la riforma del “maestro unico” nella scuola primaria · la riforma del “maestro unico”...
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Sommario
Sommario .................................................................................................................................. 3
Prefazione .................................................................................................................................. 5
Capitolo 1
DESCRIZIONE DELLA RIFORMA E RISULTATI ATTESI IN BASE ALLA
LETTERATURA INTERNAZIONALE ................................................................................ 11
1. Introduzione .................................................................................................................. 11
2. Descrizione della riforma del “Maestro Unico” .............................................................. 11
2.1 Assegnazione organico e tempo-scuola nella scuola primaria ......................................... 14
3. L’effetto del tempo-scuola sugli esiti scolastici degli studenti e sull’offerta di lavoro
delle madri: una breve sintesi della letteratura ................................................................ 19
3.1 L’effetto del tempo-scuola sugli esiti scolastici degli studenti ........................................ 19
3.2 L’effetto dell’offerta scolastica sulla partecipazione al mercato del lavoro delle madri ... 23
4. Effetti attesi della riforma .............................................................................................. 26
Capitolo 2
EFFETTO DELLA RIFORMA SUI PRINCIPALI INPUTS SCOLASTICI ....................... 28
1. Introduzione .................................................................................................................. 28
2. I dati MIUR e ISTAT .................................................................................................... 28
3. Differenze negli input scolastici tra regioni .................................................................... 30
4. Effetti della riforma sui principali input scolastici .......................................................... 38
5. Effetti della riforma sulla riorganizzazione oraria delle scuole ....................................... 41
6. Conclusioni e principali risultati del capitolo ................................................................. 50
Appendice ................................................................................................................................. 51
Capitolo 3
EFFETTO DELLA RIFORMA SUGLI APPRENDIMENTI DEGLI STUDENTI ............. 53
1. Introduzione .................................................................................................................. 53
2. I dati SNV ..................................................................................................................... 54
3. Metodologia .................................................................................................................. 60
4. Problemi per la stima del parametro d'interesse .............................................................. 63
5. Statistiche descrittive ..................................................................................................... 65
6. Effetti della riforma ....................................................................................................... 67
7. Sintesi dei principali risultati del capitolo ...................................................................... 70
Capitolo 4
EFFETTI DELLA RIFORMA SULL’OFFERTA DI LAVORO DELLE MADRI ............. 72
1. Introduzione .................................................................................................................. 72
2. Disegno di valutazione e selezione del campione ........................................................... 73
2.1 Strategia di stima ........................................................................................................... 73
2.2 La rilevazione trimestrale delle forze lavoro dell’ISTAT................................................ 75
2.3 La selezione del campione ............................................................................................. 76
3. Statistiche descrittive ..................................................................................................... 76
4. Effetti della riforma ....................................................................................................... 83
5. Sintesi dei principali risultati del capitolo ...................................................................... 89
Appendice………...…………………………...………………………………………………………………… 91
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Capitolo 5
CONCLUSIONI E IMPLICAZIONI DI POLICY ................................................................ 93
Riferimenti bibliografici ......................................................................................................... 96
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Prefazione
Questo lavoro rappresenta il primo studio sulla valutazione degli effetti della riforma Gelmini nella
scuola primaria. La riforma ha interessato scuole, studenti e famiglie in modo progressivo a partire
dalle prime classi dell’a.s. 2009/10, per poi coinvolgere le prime e seconde classi nell’a.s. 2010/11,
le prime, seconde e terze classi nell’a.s. 2011/12, e così via. Lo studio ha un triplice obiettivo. In
primo luogo, quello di documentare quali input scolastici sono stati maggiormente modificati
dall’intervento. In secondo luogo, quantificare gli effetti di tali cambiamenti sull’apprendimento degli
studenti. Infine, il terzo obiettivo è quello di studiare i possibili effetti della riforma sull’offerta di
lavoro delle madri. Offriremo un’analisi approfondita dei dati relativi al sistema scolastico e alla forza
lavoro, utilizzando informazioni che integrano diverse fonti provenienti dal MIUR, ISTAT e
INVALSI. All’evidenza aneddotica su cui si sono basati sostenitori e contestatori della riforma, il
nostro lavoro contrappone una rigorosa analisi controfattuale basata su dati amministrativi.
In estrema sintesi, i principali cambiamenti introdotti dalla riforma hanno riguardato la riduzione
dell’organico assegnato a ciascun istituto secondo le modalità previste dalla legge (nel triennio
2009/12, il 17% rispetto al numero d’insegnanti impiegati nel 2007), l’eliminazione della
compresenza in tutte le classi delle scuola primaria a partire dall’anno 2008/09, e la possibilità offerta
alle scuole di aggiustare i profili orari offerti in un contesto di risorse ridotte. Non sorprendentemente,
quindi, l’implementazione della riforma ha dato seguito a numerose reazioni, che hanno visto come
protagonisti i principali attori coinvolti – insegnanti e famiglie – e le istituzioni pubbliche del paese.
Buona parte del dibattito si è concentrata sui possibili effetti della riduzione dell’organico, che è
stata accompagnata dalla re-introduzione della figura del “maestro prevalente” con un profilo orario
a 24 ore settimanali. E’ importante evidenziare che, diversamente da quanto annunciato nella sua
prima formulazione, la riforma ha introdotto il maestro prevalente (il cosiddetto “maestro unico” che
ha poi fornito l’etichetta alla riforma) come possibile profilo di insegnamento nella scuola primaria,
in aggiunta a quello già esistente del “tempo pieno”. In altre parole, questa è stata solamente una
possibilità offerta alle scuole. Ci siamo pertanto posti l’obiettivo di verificare se - ed eventualmente
in che misura - tale possibilità sia stata presa in considerazione dalle scuole nella predisposizione
degli orari. A tal fine, in quanto segue abbiamo fornito una fotografia oggettiva basata su dati
amministrativi provenienti dal MIUR per l’intero paese, con un focus speciale sulla regione Piemonte.
La possibilità data alle scuole di aggiustare i profili orari delle classi potrebbe, in linea di principio,
aver modificato la durata del tempo-scuola. Questo è stato un tema ricorrente che ha infuocato i mesi
precedenti l’inizio del primo anno scolastico post-riforma. Il filo conduttore della critica fornita da
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molti genitori e operatori del settore è facile da spiegare. Meno insegnanti a disposizione delle scuole
implicano un monte ore disponibile minore per venire incontro alle esigenze dei genitori. Per tale
motivo, la domanda crescente da parte dei genitori per classi a tempo pieno potrebbe non essere stata
soddisfatta. A partire dalla riforma Moratti, le richieste delle famiglie hanno avuto un ruolo
importante per l’organizzazione dell’orario scolastico, e devono essere tenute in considerazione dai
dirigenti scolastici in fase di programmazione. E’ davvero cambiata la durata del tempo-scuola per
effetto della riforma Gelmini? Documentare se e come le scuole abbiano modificato l’offerta oraria,
combinando la riduzione dell’organico con l’abolizione della compresenza, rappresenta il primo
obiettivo del presente lavoro.
Il secondo obiettivo riguarda la misurazione degli effetti della riforma sugli apprendimenti degli
studenti. Comprendere se il tempo speso a scuola abbia un effetto positivo sull’apprendimento degli
studenti e quantificare tale effetto è un argomento che ha ricevuto molta attenzione da parte dei policy
makers nel corso dei passati decenni, e i cui confini di interesse vanno al di là del territorio nazionale.
Dimostrare che il prolungamento dell’orario scolastico sia in grado di aumentare le competenze degli
studenti avrebbe delle implicazioni enormi da un punto di vista di policy. Non a caso il Presidente
Obama durante un discorso tenuto alla Camera di Commercio Ispanica il 10 marzo 2009 ha
annunciato la riforma del sistema educativo statunitense in cui uno dei punti cardine consisteva
nell’estendere l’orario settimanale a scuola e la durata dell’anno scolastico.
E’ ampiamente dimostrato in letteratura che i risultati conseguiti durante l’istruzione obbligatoria
hanno degli effetti di lungo periodo sull’istruzione successiva (educazione superiore e universitaria),
sulla formazione e sui salari, elementi questi inseriti dal Consiglio Europeo tra gli obiettivi strategici
di EU 2020. Pertanto individuare le componenti che favoriscano lo sviluppo delle competenze degli
studenti riveste un ruolo di primaria importanza nell’attuale dibattito per la crescita futura e la
competitività dell’Europa nel lungo periodo, anche alla luce del fatto che le competenze linguistiche
e numeriche stanno progressivamente deteriorando in Europa.
Per poter valutare adeguatamente gli effetti della riforma sugli apprendimenti avremmo dovuto
condurre un esperimento in cui un gruppo di studenti selezionati in modo casuale era soggetto ai
cambiamenti previsti dall’intervento (gruppo dei trattati) e un gruppo di studenti, sempre selezionati
casualmente, veniva escluso dall’intervento (gruppo dei controlli). Un disegno sperimentale così
pensato avrebbe permesso di stimare l’effetto di interesse tramite un semplice confronto fra le medie
degli esiti scolastici dei due gruppi. In molti paesi del Nord Europa studi pilota, ovvero studi condotti
su piccola scala condotti prima di estendere l’intervento all’intero paese, sono tipicamente utilizzati
dai policy makers per stabilire il modo più efficace di utilizzare (o di contenere, come nel caso della
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legge Gelmini) l’investimento pubblico. Al contrario, la riforma Gelmini è stata introdotta senza un
disegno di valutazione di impatto sottostante. La difficoltà che nasce per valutarne gli effetti segue
dalla mancanza di un “gruppo di controllo” generato tramite esperimento. Sfortunatamente, la cultura
della valutazione è una mancanza che la riforma Gelmini condivide con molti altri interventi pubblici
attuati o annunciati nel nostro paese.
Il nostro lavoro utilizza metodi di stima quasi-sperimentali e, pertanto, dati non generati tramite
esperimento. In particolare abbiamo utilizzato l’informazione proveniente dai dati INVALSI sugli
apprendimenti misurati tramite test standardizzati nelle seconde e quinte classi della scuola primaria
per gli anni scolastici 2008/09, 2009/10, 2010/11 e 2011/12. Avendo a disposizione quattro anni di
dati, le seconde classi sono osservate nei due anni prima dell’introduzione della riforma e nei due
anni successivi alla riforma. Tuttavia, è noto che il confronto tra apprendimenti prima e dopo la
riforma potrebbe essere sporcato da trend, che plausibilmente variano tra i diversi contesti socio
economici del paese. Per poter risolvere questo problema siamo ricorsi all’utilizzo del metodo di
stima quasi-sperimentale della differenza-tra-differenze (difference-in-differences), in cui il gruppo
di controllo viene definito in modo tale da costruire un contesto quanto più possibile vicino
all’esperimento. Tale gruppo di controllo può essere utilizzato per depurare l’analisi da possibili
contaminazioni di trend. Gli studenti delle classi quinte della scuola elementare osservati negli stessi
anni degli studenti delle classi seconde ma non soggetti ai cambiamenti previsti dalla riforma fino
all’a.s. 2012/13 rappresentano un gruppo di controllo adeguato.
Un’altra innovazione importante introdotta dalla riforma ha riguardato l’abolizione della
compresenza. E’ quindi interessante capire se la mancata compresenza di più insegnanti nella classe
sia stata accompagnata da una riduzione dei livelli di apprendimento. Poiché la disponibilità di più
insegnanti permetteva di gestire le situazioni più problematiche nella classe, e in molti casi di creare
gruppi con carichi di lavoro differenziati in base ai bisogni degli studenti, molti esperti del settore
sostengono (senza tuttavia fornire evidenza sostanziale) che la riforma abbia avuto un impatto
negativo sugli apprendimenti. Ci sono altri possibili canali che potrebbero avere causato un
peggioramento degli apprendimenti. Tra questi citiamo l’affaticamento degli insegnanti dovuto ai
maggiori carichi di lavoro, con il conseguente calo nella qualità dell’insegnamento; l’organizzazione
delle cattedre su più classi o, addirittura, più plessi, con evidenti ripercussioni sulla qualità del servizio
erogato; maggiore rischio per gli studenti di essere esposti a insegnanti scadenti, vista l’abolizione
della compresenza. Le ipotesi discusse in questa relazione permettono di isolare in quale misura abbia
pesato sugli apprendimenti l’abolizione della compresenza. In questo senso, non solo guarderemo
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agli effetti complessivi della riforma sugli apprendimenti, ma sotto certe ipotesi riusciremo a
distinguere quali input scolastici sono stati maggiormente responsabili per tali effetti.
Il terzo obiettivo del nostro lavoro consiste nell’investigare gli effetti della riforma sulle famiglie.
Ricordiamo infatti che la posizione del governo nei confronti della riforma è stata quella di enfatizzare
la possibilità per le famiglie di negoziare con le scuole l’offerta oraria settimanale anche al di sopra
del minimo imposto per legge (le 24 ore). In particolare, nelle intenzioni dell’allora Ministro
dell’Istruzione il taglio della spesa pubblica doveva essere accompagnato da un aumento del potere
dato alle famiglie nel richiedere classi a tempo pieno. Orari scolastici più lunghi potrebbero avere un
indubbio effetto sull’occupazione dei genitori e in particolare delle madri, con un certo grado di
eterogeneità che dipende dalla composizione socio-economica dell’area. Considerata l’elevata
diversità del mercato del lavoro locale tra le regioni in Italia, ci si può attendere che i cambiamenti
nell’offerta oraria possano aver prodotto risposte molto diverse in termini occupazionali nelle diverse
realtà locali.
Quest’ultimo aspetto è particolarmente importante, poiché l’Italia è tra i paesi dell’OCSE con la
più bassa partecipazione femminile, ed esiste evidenza empirica che laddove le famiglie abbiano la
possibilità di conciliare vita lavorativa e vita familiare grazie alla disponibilità di servizi di cura dei
figli esterni alla famiglia, la partecipazione al mercato del lavoro delle madri aumenta. Tuttavia, alla
luce dei risultati sui cambiamenti dell’offerta oraria delle scuole menzionati in precedenza, non è
chiaro a priori quale possa essere stato l’effetto complessivo sull’offerta di lavoro delle madri. Di
fronte ad un aumento dell’offerta di classi a tempo pieno, le madri si potrebbero essere trovate nella
situazione di una più facile conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare. Al tempo stesso, nel caso
in cui la scuola si sia trovata invece costretta a ricorrere ad una contrazione dei profili orari come
conseguenza della riduzione di organico imposta dalla riforma, la situazione per le madri lavoratrici
(o potenzialmente tali) potrebbe essere peggiorata. Per gettare luce su questo aspetto, stranamente
ignorato dal dibattito che ha circondato la riforma, abbiamo utilizzato informazione dalla Rilevazione
delle Forze Lavoro (RFL). La strategia che seguiamo si basa sul linkage statistico tra i dati
amministrativi raccolti nei capitoli precedenti e i dati della RFL per un periodo sufficientemente lungo
da coprire i periodi pre- e post-riforma Gelmini. Questa strategia permette di comprendere gli effetti
dell’intervento del governo sulle scelte lavorative delle famiglie mettendo in relazione la variabilità
del tempo-scuola tra province (2004-2011) e la variazione nella partecipazione femminile al mercato
del lavoro.
Il presente volume è strutturato nel modo seguente. Il primo capitolo è dedicato all’illustrazione
della riforma Gelmini, mettendo in evidenza i punti cruciali di cambiamento introdotti dalla riforma
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che hanno riguardato i) la riduzione dell’organico di fatto attribuito alle scuole (da realizzarsi in 3
anni), ii) l’eliminazione della compresenza in tutti gli anni di corso e iii) la variazione del tempo-
scuola a cui le scuole necessariamente si sono dovute adattare per soddisfare l’obiettivo i). Abbiamo
inoltre descritto lo stato dell’arte della letteratura che guarda ai possibili effetti dei cambiamenti del
tempo-scuola su numerose variabili misurate a livello scolastico e familiare.
Il secondo capitolo offre una rigorosa descrizione degli effetti della riforma sui principali input
scolastici e sui cambiamenti nell’offerta oraria della scuola nei primi tre anni di attuazione utilizzando
le fonti dati MIUR e ISTAT. Anche se la riforma aveva come obiettivo dichiarato solo la riduzione
dell’organico nelle scuole, nella realtà dei fatti ha prodotto cambiamenti non trascurabili su una serie
di input scolastici e in particolare nella riorganizzazione oraria del tempo-scuola. I nostri risultati
mostrano che a seguito della riforma è aumentato il numero di classi organizzate a modulo di 27 ore
settimanali, non è stata sfruttata la possibilità del profilo orario a 24 ore, ed è aumentato il numero di
classi a tempo pieno. Questo ha comportato che l’effetto complessivo sul tempo-scuola è stato
complessivamente non sostanziale: le nostre stime indicano che il tempo-scuola si è ridotto di circa
un’ora per settimana, ovvero circa 33 ore nell’intero anno scolastico. Abbiamo tuttavia documentato
variazioni tra aree diverse del paese. I risultati per il Piemonte si allineano con le stime nazionali.
Il terzo capitolo si pone l’obiettivo di misurare gli effetti della riforma sugli apprendimenti degli
studenti. Le nostre analisi fanno vedere che la riforma ha avuto effetti negativi sull’apprendimento
degli studenti, ma per motivi diversi nelle macro aree del paese. In particolare, nel Nord la riduzione
dell’organico e l’aumento della dimensione delle classi sono stati più rilevanti dell’abolizione della
compresenza, mentre nel Sud l’abolizione della compresenza sembra aver avuto un impatto maggiore
sui risultati dei test. Complessivamente, l’evidenza che produciamo supporta l’ipotesi che
l’abolizione della compresenza sia stata più rilevante ai fini degli apprendimenti per i bambini delle
seconde classi rispetto a quelli delle quinte classi. In altre parole, la possibilità di fornire un’offerta
didattica più personalizzata, ad esempio organizzando la classe in gruppi per gestire le situazioni più
difficili, sembra contare maggiormente all’inizio del percorso nella scuola primaria. I risultati per il
Piemonte si allineano con le stime ottenute per il Nord Italia. Tuttavia, la numerosità campionaria in
quest’ultimo caso rende le stime ottenute meno precise.
Il quarto capitolo analizza gli effetti della riforma sull’offerta di lavoro delle madri. La possibilità
per le famiglie di negoziare con le scuole l’offerta oraria settimanale anche sopra il minimo imposto
per legge (24 ore) potrebbe aver favorito la conciliazione lavoro-famiglia, facilitando l’occupazione
delle madri. In realtà poiché l’aumento delle classi a tempo pieno è coinciso anche con l’aumento
delle classi a 27 ore settimanali e con la contrazione delle classi nella fascia oraria centrale (28-39
10
ore), non è chiaro quale sia l’effetto complessivo. Nel presente capitolo metteremo in relazione la
variabilità del tempo-scuola tra province (2004-2011) e la variazione nella partecipazione femminile
al mercato del lavoro per comprendere l’effetto indiretto della riforma sulle famiglie. La strategia di
identificazione utilizzata in questa analisi è molto simile a quella seguita per gli apprendimenti.
Tuttavia la struttura dei dati RFL ha reso necessari alcuni aggiustamenti che sono dettagliati nel
capitolo. Le nostre conclusioni sono che, in generale, la riforma non ha cambiato (o ha cambiato
molto poco) l’offerta di lavoro delle madri. Questo risultato vale per l’intero paese, e per il Piemonte
in particolare. L’unica dimensione rilevante, robusta a varie alternative considerate, è l’età: la
partecipazione al mercato del lavoro di madri relativamente meno giovani sembra essere aumentata
rispetto a quella delle madri più giovani. Pur non avendo accesso a dati che permettono di
comprendere e misurare l’origine di tale risultato, nelle conclusioni ne offriamo una possibile
spiegazione, suggerendo interessanti spunti per estensioni di questa ricerca.
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Capitolo 1
DESCRIZIONE DELLA RIFORMA E RISULTATI ATTESI IN BASE ALLA
LETTERATURA INTERNAZIONALE
1. Introduzione
Questo capitolo illustra i contenuti della riforma Gelmini del 2009, fortemente osteggiata da
opposizione, sindacati, maestri e famiglie. Come ampiamente discusso dai media, annullando la
riforma introdotta con la legge 5 giugno 1990, n.148, che prevedeva tre maestri per due classi, la
riforma Gelmini ha reintrodotto la figura del maestro prevalente (maestro unico) già per le prime
classi da settembre 2009. Tuttavia, l’accento sul maestro unico ha rappresentato un chiaro esempio
di disinformazione occulta che è stata data alle famiglie, poiché i punti cruciali di cambiamento
introdotti dalla riforma hanno riguardato i) la riduzione dell’organico di fatto attribuito alle scuole
(da realizzarsi in tre anni), ii) l’eliminazione della compresenza in tutti i gradi e, soprattutto iii) la
variazione del tempo-scuola cui le scuole necessariamente si sono dovute piegare per soddisfare
l’obiettivo i). Per comprendere appieno la portata della riforma e le sue possibili implicazioni per
famiglie, studenti e docenti, abbiamo ritenuto necessario illustrare il contesto economico nel quale
collocare la nostra ricerca. Abbiamo inoltre descritto lo stato dell’arte della letteratura che guarda ai
possibili effetti dei cambiamenti del tempo-scuola su numerose variabili misurate a livello scolastico
e familiare.
Il capitolo è così organizzato. La sezione 2 è dedicata alla descrizione della riforma, e in particolare
al meccanismo di assegnazione dell’organico agli istituti e l’organizzazione del tempo-scuola nella
scuola primaria. Nella sezione 3 viene presentata una sintesi dei principali lavori in letteratura che
hanno analizzato l’effetto del tempo-scuola sugli apprendimenti degli studenti e sull’offerta di lavoro
delle madri. Nella sezione 4, infine, si illustrano gli effetti attesi della riforma alla luce di quello che
sappiamo dalla letteratura internazionale.
2. Descrizione della riforma del “Maestro Unico”
Dall’anno scolastico 2009/10 il Ministero dell’Istruzione ha implementato una riforma per
incrementare di 1 punto il rapporto studenti/insegnante nella scuola primaria italiana. Questo è
l’obiettivo principale dichiarato nel testo di legge che annuncia l’intervento in oggetto. Prima della
riforma il rapporto studenti/insegnante era di poco sopra 11, molto inferiore al valore medio registrato
12
per gli altri paesi europei. La riforma ha previsto una riduzione di 17 punti percentuali nel numero
d'insegnanti in ogni scuola, usando come riferimento il valore della dotazione di organico a
disposizione delle scuole all’inizio dell’anno scolastico 2007/2008. L’intervento ha chiaramente
avuto come obiettivo il contenimento della spesa pubblica, come indicato dalla legge 133/2008.
La messa in atto di tali interventi è avvenuta gradualmente nel tempo: la prima coorte di studenti
interessati è quella dagli iscritti alle classi prime della primaria nell’anno scolastico 2009/2010. A
fronte di una riduzione dell’organico a disposizione, alle scuole è stata data maggiore flessibilità
nell’organizzazione dell’orario scolastico, sempre tenendo in considerazione le esigenze delle
famiglie come già previsto dalla legge. Poiché il tempo-scuola dipende dal numero d’insegnanti
disponibili, è ragionevole attendersi che la riforma abbia prodotto un cambiamento nei profili orari
delle classi negli anni coinvolti, con possibili implicazioni sia sull’apprendimento degli studenti sia
sulla conciliazione lavoro-famiglia da parte delle madri. La principale motivazione del presente
lavoro è di verificare l’esistenza di tali effetti e quantificarne l’impatto mediante un'analisi che
evidenzi una relazione causa-effetto e corregga per fattori che avrebbero influenzato cambiamenti
negli indicatori considerati anche in assenza della riforma.
Prima della riforma, il tempo-scuola nella scuola primaria era organizzato secondo due schemi.
Lo schema base prevedeva ventisette ore settimanali (891 ore l’anno), rappresentava il minimo
imposto dalla legge, ed era principalmente speso per l’insegnamento di italiano e matematica. Sulla
base delle risorse a disposizione del dirigente scolastico, all’orario settimanale di base potevano
essere aggiunte fino a 3 ore settimanali, per un totale di 99 ore annuali aggiuntive. Questo portava a
uno schema “esteso” di tempo-scuola che andava dalle 28 alle 30 ore settimanali. La scuola aveva
poi la possibilità di offrire fino a 10 ore addizionali a settimana per “supervisione” e “supporto
educativo”. In particolare, le 10 ore extra erano utilizzate per il servizio di refettorio e attività
pomeridiane. Non costituivano pertanto tempo addizionale speso nell’insegnamento della matematica
o dell’italiano. In sintesi, il tempo totale speso a scuola (insegnamento e altre attività) poteva andare
dalle 27 alle 40 ore settimanali, dove quest’ultima possibilità corrispondeva al tempo pieno.
Le classi a tempo pieno erano organizzate con 2 insegnanti predisposti all’insegnamento
dell’italiano, della matematica e delle scienze. Gli insegnanti assegnati a classi con orari diversi dal
tempo pieno lavoravano generalmente in più di una classe con la cosiddetta organizzazione “a
modulo”, cioè tre insegnanti per due classi (in media 1,5 insegnanti per classe) o in casi più rari 4
insegnanti su 3 classi. Prima della riforma, il modulo rappresentava lo schema più diffuso di
organizzazione del tempo-scuola in Italia.
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La riforma ha introdotto un nuovo profilo orario, quello delle 24 ore, che implica un solo
insegnante per classe. Gli 0,5 insegnanti risparmiati nella formazione di una classe a 24 ore possono
essere utilizzati per creare una classe addizionale a tempo pieno senza nessun costo aggiuntivo per la
scuola, ma il numero di classi a tempo pieno non può aumentare rispetto all’anno precedente se non
in casi speciali e preventivamente autorizzati dal Ministero.
Figura 1: Percentuale di studenti frequentanti classi a 24 ore
E’ proprio in base all’elemento innovativo delle classi a 24 ore che la riforma è divenuta nota al
pubblico come “riforma del maestro unico”, anche se questo rappresenta effettivamente solo un
elemento minore dell’intervento e certamente non l’innovazione principale. Inoltre, poiché la riforma
richiedeva ai dirigenti scolastici di tener conto nell’organizzazione del tempo-scuola anche delle
richieste delle famiglie, i nostri calcoli mostrano che le classi a 24 ore formate dopo la riforma
Kilometers
0 500
(.0076329,.0334269](.0039859,.0076329](.0010318,.0039859][0,.0010318]No data
legend
distribuzione tra province
% di studenti a 24 ore
14
rappresentano solo lo 0,5 percento del totale, un numero pressoché trascurabile. In altre parole,
l’opzione di un profilo orario a 24 ore settimanali è stata ignorata dalle scuole. La Figura 1 mostra la
distribuzione provinciale della percentuale di studenti frequentanti classi a 24 ore. Anche se con una
certa eterogeneità territoriale, con alcune province del Piemonte, dell'Italia centrale e della Sicilia che
hanno usufruito maggiormente di questa possibilità, il grafico mostra che l’opzione delle 24 ore non
ha veramente rappresentato una scelta per le famiglie italiane, visto che laddove si sono registrate le
percentuali più elevate non si è saliti sopra il 3%. Questo dimostra che l’opinione pubblica e la stampa
hanno erroneamente puntato l’attenzione sull’imposizione della regola maestro unico che nella realtà
dei fatti non è stata attuata.
Come già anticipato nella Prefazione, uno degli elementi di maggiore cambiamento prodotto dalla
riforma è stato l’eliminazione della compresenza degli insegnanti, strumento molto utilizzato dai
docenti per costruire gruppi di lavoro con carichi diversi in base alle esigenze e abilità degli studenti
e recuperare studenti in difficoltà. Le ore ricavate dall’eliminazione della compresenza hanno
rappresentato un ulteriore grado di libertà a disposizione dei dirigenti scolastici per evitare una
riduzione dell’orario scolastico altrimenti inevitabile a fronte del taglio dell’organico del 17% da
realizzarsi nel triennio 2009-2011. In buona sostanza, quindi, possiamo dire che la riduzione
dell’organico-insegnanti complessivamente a disposizione della scuola assieme all’eliminazione
della compresenza in classe rappresentano i due principali cambi negli input scolastici imposti alle
scuole.
Diversamente dal primo input, l’obbligo di eliminare la compresenza è stato imposto sin da subito
in tutti i gradi della scuola primaria. Ai fini della valutazione dell’intervento questo pone problemi
pratici per la stima degli effetti casuali, poiché l’unico confronto possibile è quello tra esiti scolastici
e familiari prima e dopo l’abolizione della compresenza. Come discuteremo più avanti, tale confronto
potrebbe rivelare cambiamenti nelle dimensioni d'interesse che si sarebbero verificati anche in
assenza della riforma. Nella prossima sezione descriviamo in dettaglio in che modo l’assegnazione
degli insegnanti alle scuole sia cambiata prima e dopo la riforma e quali conseguenze abbia
comportato nella riorganizzazione oraria.
2.1 Assegnazione organico e tempo-scuola nella scuola primaria
Prima della riforma (fino all’anno scolastico 2008/2009)
Gli insegnanti sono assegnati alle scuole sulla base delle classi attivate e l’orario scolastico offerto.
Secondo il contratto collettivo nazionale, gli insegnanti sono occupati per 22 ore a settimana. Questo
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implica che un solo insegnante non può coprire lo schema minimo orario imposto dalla legge (cioè le
27 ore), anche sottraendo le 3 ore settimanali dedicate all’insegnamento della religione e della lingua
inglese, generalmente assegnate a personale esterno qualificato. Poiché due insegnanti coprono un
totale di 44 ore, le ore residuali in eccesso al minimo possono essere usate per offrire un orario
scolastico più lungo e/o offrire attività che non necessariamente si riferiscono all’insegnamento (ad
esempio la sorveglianza negli orari della mensa, o attività pomeridiane).
Una cospicua parte delle ore in eccesso è utilizzata per garantire la compresenza tra insegnanti
nella classe. La compresenza è utilizzata per svolgere attività di laboratorio in caso sia necessario
dividere la classe in due gruppi, o per attività di recupero rivolte a bambini con difficoltà o in ritardo.
L’assegnazione dell’organico alla scuola avviene in tre passi:
1. Il numero di classi e il loro profilo orario sono decisi dalla scuola sulla base delle iscrizioni
pervenute alla scuola entro fine gennaio. I profili orari offerti dipendono anche dalla
contrattazione con i genitori, come previsto dalla legge Moratti.
2. Il numero d’insegnanti è assegnato alla scuola entro fine maggio (organico di diritto) sulla base
del numero di studenti iscritti e di classi previste.1
3. Tra la fine di maggio e l’inizio dell’anno scolastico si può verificare un aggiustamento al numero
d’insegnanti assegnati alla scuola dovuto alla necessità di creare classi aggiuntive a seguito
dell’iscrizione di nuovi studenti, richieste di trasferimento in altra scuola da parte degli allievi,
studenti disabili o ripetenti. Il numero finale d’insegnanti assegnati alla scuola nel mese di
settembre rappresenta l’organico di fatto.
L’assegnazione degli insegnanti nel passo 2 avviene tramite l’applicazione meccanica di una
formula che utilizza come input la distribuzione delle classi secondo il profilo orario. Pertanto il
numero d'insegnanti assegnato dal Ministero dell’Istruzione è:
1 Per organico di diritto si intende la dotazione delle cattedre e dei posti del personale assegnata annualmente alle
istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, in riferimento al numero di alunni iscritti e di classi previste. Nel corso
dell’anno scolastico (da gennaio a luglio, e qualche volta anche a settembre) e comunque dopo la scadenza delle iscrizioni
da parte degli studenti, si possono verificare delle modifiche all’organico di diritto e i numeri possono cambiare arrivando
così all’organico di fatto, cioè a quell’organico che consente realmente a settembre, ovvero all’inizio dell’anno scolastico,
il buon funzionamento di tutte le classi.
16
���� ����� �� � � ����×���� + ��� ��� × 2 (1)
dove ��� ���, ��� �� � �� ��� e ��� ��� sono rispettivamente il numero di classi con il profilo orario
base, esteso (o “modulo”) e tempo pieno. Alle classi a tempo pieno sono sempre assegnati due
insegnanti. Per esempio, se ��� ��� = 1, ��� �� � �� ��� = 2 e ��� ��� = 1, allora 6 insegnanti sono
assegnati alla scuola per un totale di 22 × 6 = 132 ore. Un totale di 27 + 40 = 67 ore sono
necessarie per coprire due classi con un profilo orario base (27 ore) e un tempo pieno (40 ore). Le
132 − 67 = 65 ore in eccesso possono essere usate dal dirigente scolastico per organizzare i due
restanti profili orari, che non necessariamente devono essere identici. Questo comporta che scuole
con lo stesso numero di insegnanti possono offrire profili orari diversi secondo le caratteristiche della
scuola e delle richieste dei genitori.
Inoltre, è importante notare che esiste una regola per determinare il minimo e massimo numero di
studenti per classe, e che questo può andare da 10 fino a 25. Ciò significa che gradi in cui ci siano 25
iscritti avranno una sola classe pari al numero d'iscritti. Gradi con 26 iscritti dovranno invece essere
organizzati in due classi, di numerosità pari a 13 studenti ognuna. Ci sono eccezioni a tale regola che
possono essere raggruppate in due possibili categorie (escludendo le multi-classi, che comunque
rappresentano il 2 per cento delle classi nel paese):
1. classi a cui vengono assegnati bambini portatori di handicap possono avere un numero inferiore
di alunni;
2. i dirigenti scolastici possono prevedere differenze entro il 10% dai limiti consentiti purché queste
siano motivate da esigenze organizzative.
Come vedremo, le eccezioni discusse rendono la relazione che esiste tra numero d'iscritti e
dimensione delle classi effettivamente implementata nelle scuole non perfettamente coincidente con
la relazione descritta in Figura 2 più sotto.
Dopo la riforma
I cambiamenti introdotti dalla riforma introdotti dall’anno scolastico 2009/2010 si possono
riassumere in quattro punti:
1. Viene offerta alle famiglie e alle scuole la possibilità di scegliere un profilo orario a 24 ore,
riducendo in tal modo il numero minimo di ore a scuola in un anno – 891 fino a quel punto -
dell’11%. Questa opzione è disponibile solo per le coorti di prima elementare dell’anno scolastico
2009/10, per le coorti di prima e seconda elementare dell’anno scolastico 2010/11, e così via.
17
Tuttavia, la scelta di questo profilo orario da parte delle famiglie italiane è stata del tutto
trascurabile (0,5 in media nel paese, come abbiamo documentato in Figura 1).
2. La riforma ha cambiato i pesi nella formula usata per definire l’organico. La nuova regola diventa:
���) ������ ����� �� � � �������)* ������� , (2)
dove ��� ��� è il numero di classi con il nuovo profilo orario. Poiché i dati mostrano che
��� ��� ≅ 0, la riforma ha generato la seguente riduzione nel numero d’insegnanti assegnati alla
scuola:
− ���� ����� �� � � ����×��� + ��� ��� × -��
�� − 2.. (3)
Questa regola si applica solo alle classi prime nell’anno scolastico 2009/10, alle classi prime e
seconde nell’anno scolastico 2010/11, e così via. A titolo esemplificativo, se riprendiamo
l’esempio precedente con ��� ��� = 1, ��� �� � �� ��� = 2 e ��� ��� = 1, emerge che il numero
d'insegnanti assegnati alla scuola per attivare lo stesso numero di classi pre- e post-riforma sarà
5,5 (usando la formula 2) invece che 6 (ottenuto tramite la formula 1), con una riduzione quindi
di 0,5 insegnanti (formula 3) dopo la riforma rispetto al periodo pre–riforma.
3. La compresenza degli insegnanti durante l’orario scolastico non è più permessa in nessuna
classe. Questo significa che le ore residue possono essere usate esclusivamente per coprire
normale tempo-scuola.
4. La regola per determinare il numero minimo e massimo di studenti per classi è cambiata e ora le
classi vanno da un minimo di 15 a un massimo di 26 alunni per classe, elevabile fino a 27.
I cambiamenti imposti dalla riforma sono riassunti dalla Tabella 1.
18
Tabella 1. Sintesi dei cambiamenti introdotti dalla riforma
Prima della riforma Dopo la riforma
(solo le classi
interessate)
Gennaio: le scuole decidono circa il numero di classi e profili orari dopo
consultazione con i genitori
Regola per determinare il
numero di studenti per classe 10-25 15-27
Profilo orario Da 27 a 40 ore Da 24 a 40 ore
Regola per determinare il
profilo orario Negoziazione con i
genitori
Negoziazione con i
genitori
Maggio: Ministero dell’Istruzione assegna gli insegnanti alle scuole
Regola seguita dal Ministero
per determinare il # di
insegnanti nella scuola Equazione (1) Equazione (2)
Giugno- Agosto: aggiustamenti fatti al numero di insegnanti assegnati
Possibili aggiustamenti ai
profili orari Sì Sì
Settembre: inizio anno scolastico
Compresenza Permessa
Non permessa (in
nessuna classe)
Figura 2: Regola per la formazione delle classi pre- e post-riforma
10
15
20
25
30
num
ero
sità d
ella
cla
sse
25 50 75 100 125 150studenti iscritti a scuola
pre riforma post riforma
I punti indicano la numerosità minima richiesta per formare una classe (10 pre riforma, 15 post riforma)
Regola per la formazione delle classi
19
La Figura 2 mostra come la riforma abbia influenzato la numerosità della classe. Sull’asse delle
ascisse riportiamo il numero di studenti iscritti a scuola e sull’asse delle ordinate il numero di alunni
per classe. Nel periodo pre-riforma il numero minimo di alunni per classe è 10, diventato 15 dopo la
riforma. Nel caso in cui la scuola abbia un numero di alunni compreso tra 10 e 25, il numero di alunni
per classe aumenta fino a 25; uno studente addizionale nella scuola che porterebbe la numerosità della
classe a 26 genera la formazione di 2 classi composte di 13 alunni e ciò spiega la brusca caduta della
linea continua da 25 a 13 nel grafico. In modo simile, un numero di alunni nella scuola pari a 50
genera la creazione di due classi di 25; l’aggiunta di un nuovo alunno porta a una suddivisione in 3
classi di 17 alunni. Lo stesso ragionamento vale nel periodo post-riforma dove però la suddivisione
in classi avviene per multipli di 26 (o 27).
L’aumento della numerosità della classe rappresenta un altro tratto distintivo della riforma che è
stato ignorato dai media. Nella misura in cui il numero di bambini nella classe rappresenta un input
importante per gli apprendimenti (l’evidenza empirica dalla letteratura internazionale non fornisce
sempre indicazioni univoche a tale riguardo), cambiamenti tra prima e dopo l’intervento potrebbero
essere spiegati anche tramite questo canale.
3. L’effetto del tempo-scuola sugli esiti scolastici degli studenti e sull’offerta di lavoro delle
madri: una breve sintesi della letteratura
3.1 L’effetto del tempo-scuola sugli esiti scolastici degli studenti
Un importante filone della letteratura nell’economia dell’istruzione ha fornito argomenti teorici circa
l’efficacia degli interventi educativi durante le prime fasi di sviluppo dei bambini. Inoltre è stato
evidenziato che gli investimenti fatti durante l’infanzia sono più efficaci nel ridurre la propensione al
crimine o comportamenti a rischio, o nel migliorare la formazione e lo sviluppo della forza-lavoro
rispetto a interventi in altre fasi nel ciclo di vita degli individui. Per questo motivo, gli investimenti
in istruzione e cura dei bambini nei primi anni di vita possono essere più efficienti e meno costosi
(Currie, 2001). Inoltre, poiché esistono forti complementarietà nell’acquisizione del capitale umano,
lo sviluppo cognitivo in giovane età rappresenta un passo fondamentale per lo sviluppo cognitivo di
un individuo durante tutto l’arco di vita (Heckman, 2000; Carneiro and Heckman, 2003).
La letteratura sugli effetti del tempo-scuola sull’apprendimento degli studenti ha avuto un notevole
sviluppo a partire dall’inizio del decennio scorso. Prima del 2000 la maggior parte degli studi aveva
natura puramente descrittiva, e quindi aveva come unico obiettivo quello di determinare
20
l’associazione tra il tempo-scuola e gli apprendimenti degli studenti. Dall’inizio dello scorso
decennio, gli economisti si sono posti il problema di stimare l’effetto d'interesse al netto di possibili
effetti di simultaneità che potrebbero nascere dalla correlazione spuria tra tempo trascorso a scuola e
altri input scolastici e caratteristiche familiari. Ad esempio, non è chiaro se un tempo-scuola
mediamente più lungo sia dovuto al fatto che la partecipazione delle madri al mercato del lavoro è
più elevata, o se sia la disponibilità stessa di profili orari più lunghi ad alzare la partecipazione delle
donne al mercato del lavoro. Nel primo caso, è l’offerta di lavoro delle madri a plasmare i profili
orari. Nel secondo caso sono invece questi ultimi, e quindi la disponibilità di risorse messa a
diposizione delle scuole, a contribuire al tasso di partecipazione femminile. La valutazione rigorosa
degli effetti delle politiche “family-friendly” si basa sulla capacità di isolare questi due canali.
Nel corso degli ultimi 15 anni, gli studiosi hanno impiegato diverse strategie per risolvere il
problema della simultaneità appena descritto e quindi determinare l’effetto causale del tempo-scuola
sugli esiti scolastici degli studenti, con risultati spesso contrastanti. Una prima strategia di
identificazione consiste nell’utilizzare la variabilità tra paesi e all’interno di uno stesso paese nel
tempo di esposizione allo studio di alcune materie scolastiche che differisce tra i diversi sistemi
scolastici in Europa.
Lee e Barro (2001) hanno utilizzato dati panel per 59 paesi per valutare l’impatto del tempo speso
a scuola durante l’anno sulla performance degli studenti controllando per una varietà di indicatori
delle risorse scolastiche e non hanno trovato alcun effetto sui risultati scolastici degli studenti.
Tuttavia, mentre questo studio tenta di identificare l’effetto del tempo-scuola sui risultati scolastici
dopo aver controllato per le caratteristiche e le risorse in ogni scuola e paese, questo metodo non può
escludere l’esistenza di distorsioni dovute a eterogeneità non osservata nella scuola o nel paese che
sono correlate con esiti scolastici e tempo-scuola.
Usando i dati TIMMS per 39 paesi, Wößmann (2003) trova un effetto positivo e significativo del
tempo trascorso a scuola sull’apprendimento, ma la grandezza dell’effetto è pressoché trascurabile.
Lo stesso risultato è ottenuto da Lavy (2014) utilizzando un campione di studenti quindicenni
proveniente da più di 50 nazioni che hanno partecipato al test PISA. Mandel e Süssmuth (2011)
utilizzano la variazione nel tempo-scuola tra diversi Stati in Germania, e trovano che il tempo
trascorso a scuola rappresenta una determinante importante dello sviluppo cognitivo degli studenti.
Una seconda strategia di identificazione consiste nell’utilizzare variazioni esogene nella lunghezza
dell’anno scolastico in un contesto quasi-sperimentale. Marcotte (2007) e Marcotte e Hemelt (2008)
considerano la variazione nei giorni di chiusura dovuti a precipitazioni nevose in Maryland e trovano
21
che gli studenti che non hanno avuto variazioni nel numero di giorni di chiusura scolastica hanno
migliori performance scolastiche. In modo simile, Hansen (2013) utilizza le cancellazioni dovute a
fenomeni atmosferici avversi in Colorado e Maryland e i ritardi nelle date di somministrazione del
test in Minnesota per studiare l’effetto del tempo-scuola sull’apprendimento degli studenti. L’autore
trova un effetto positivo del numero di giorni di scuola sulla performance degli studenti.
Recentemente Goodman (2014) ha in realtà mostrato che la strategia identificativa usata da Marcotte
(2007), Marcotte e Hemelt (2008) e Hansen (2013) non è propriamente corretta. Il problema
individuato da Goodman riguarda il fatto che i tre lavori utilizzano le condizioni meteo avverse come
strumento per il numero di giorni di neve cumulati da una data scuola o dagli studenti, identificando
in tal modo l’effetto dei giorni di neve. Goodman (2014) mostra tuttavia che i giorni di neve hanno
un effetto sul tempo-scuola attraverso due canali. Da un lato alcuni giorni di nevicate intense
provocano la chiusura totale delle scuole e in tal caso tutti gli studenti saltano le lezioni. Dall’altro
lato, alcuni giorni di neve meno intensa non generano la chiusura delle scuole e solo alcuni
sottogruppi di studenti possono decidere di rimanere a casa probabilmente a causa di problemi di
trasporti o di salute. Il fatto che le precipitazioni nevose abbiano un effetto sia sulla chiusura delle
scuole che sulle assenze degli studenti viola la restrizione di esclusione (exclusion restriction)
richiesta per stimare l’impatto esclusivo della chiusura delle scuole sull’apprendimento degli studenti.
Ciò implica che, quando vengono usati più strumenti legati al meteo per stimare in modo credibile
l’impatto di questi due regressori endogeni, Goodman (2014) trova che l’impatto delle condizioni
metereologiche si realizza attraverso le assenze degli studenti e non attraverso la chiusura delle
scuole. In particolare, ogni assenza dovuta a cattive condizioni metereologiche riduce il risultato nel
test di matematica di 0,05 deviazioni standard, suggerendo che la frequenza può tener conto fino a un
quarto del gap nei risultati scolastici tra studenti ricchi e studenti poveri.
Sims (2008) usa un’idea simile ad Hansen (2013) e cioè sfrutta una riforma in Wisconsin nel 2001
che impedisce ai distretti di iniziare la scuola dopo il 1 settembre per identificare l’effetto di tempo
addizionale sui risultati scolastici degli studenti. L’autore trova che maggiore tempo a scuola causa
un lieve miglioramento in matematica per gli studenti nelle quarte classi, ma non ha alcuna influenza
sull’apprendimento delle competenze verbali. Pischke (2007) utilizza la variazione nel tempo-scuola
nella Germania dell’Ovest nel 1966-67 che aveva ridotto l’anno scolastico di 2/3 per alcuni studenti.
Questa riduzione ha comportato una maggiore ripetizione di anni scolastici nella scuola primaria e
una più bassa iscrizione nella scuola superiore, ma senza conseguenze negative su redditi e
occupazione in età adulta.
22
Un filone della letteratura più vicino alla nostra ricerca ha investigato l’effetto del maggiore tempo
trascorso a scuola sull’apprendimento degli studenti, dove il tempo-scuola viene misurato in termini
di “più ore al giorno” piuttosto che “più giorni per anno”. Il maggiore tempo a scuola durante la
giornata è ottenuto tramite l’apertura delle scuole per un numero maggiore di ore nel pomeriggio.
L’obiettivo principale è di fornire tempo-scuola extra da impiegare nelle attività curriculari o aiutare
studenti provenienti da un contesto sociale svantaggiato nello svolgere i compiti assegnati.
Bellei (2009) ha studiato l’impatto di un programma introdotto in Cile che ha aumentato il tempo
trascorso a scuola nelle scuole pubbliche. I risultati di tale studio mostrano che il programma ha avuto
un effetto positivo sugli apprendimenti in matematica e sulle abilità verbali. Gibbs (2010) ha
considerato l’effetto della frequenza a tempo pieno nella scuola dell’infanzia rispetto alla frequenza
a tempo ridotto in Indiana, mostrando che il tempo pieno ha un effetto sostanziale solo per i bambini
con difficoltà verbali (nel quartile più basso della distribuzione dell’abilità verbale). Utilizzando un
disegno non sperimentale, DeCicca (2007) trova che il tempo prolungato a scuola migliora le
competenze nella lettura ma l’effetto svanisce dopo la prima elementare, specialmente per i bambini
appartenenti alle minoranze. In modo simile, Cannon et al. (2006) trovano che i benefici del tempo
pieno durano solo fino alla terza elementare. Infine, Checkoway (2011) analizza l’iniziativa
denominata Massachusetts Expanded Learning Time (ELT) implementata nel 2005 che permetteva a
un numero limitato di scuole di ridisegnare l’orario scolastico e incrementare l’orario giornaliero o la
durata dell’anno scolastico. Lo studio non ha mostrato l’esistenza di guadagni rilevanti negli
apprendimenti.
Ci sono alcuni lavori che hanno utilizzato esplicitamente studi sperimentali per quantificare
l’effetto di programmi che prevedono tempo pieno a scuola sugli apprendimenti. Il primo è il rapporto
finale sulla valutazione del programma “21st Center Community Learning Centers” (James-Burdumy
et al., 2005), applicato negli anni di scuola che vanno dall’ultimo anno della scuola materna fino alla
classe 6. I risultati mostrano l’esistenza di un effetto nullo del programma. Il secondo studio stima
l’effetto del tempo pieno verso il tempo ridotto nella scuola dell’infanzia, materna e prima classe
elementare (Robin et al., 2006). Anche se l’esperimento è condotto su un gruppo ristretto di
partecipanti, i risultati suggeriscono che il programma potrebbe avere una certa efficacia. Lavy and
Schlosser (2005) analizzano l’impatto di un programma avente l’obiettivo di fornire tempo-scuola
addizionale a studenti Israeliani che frequentano la scuola superiore con scarsi risultati scolastici.
L’analisi mostra che il programma genera un aumento di 3 punti percentuali nella probabilità di
iscriversi all’università. Uno studio sperimentale in Olanda valuta l’impatto di un programma che
prevede il tempo pieno a scuola sui risultati del test di matematica e di lettura (Meyer and Van
23
Klaveren, 2011). I risultati non mostrano alcun effetto; tuttavia, la dimensione ristretta del campione
e la valutazione del programma avvenuta solo dopo 11 settimane dalla fine dello stesso impongono
cautela nell’interpretazione. Zimmer et al. (2010) hanno studiato un campione di scuole pubbliche
nell’area di Pittsburgh che hanno intrapreso diverse attività per migliorare la performance degli
studenti attraverso iniziative di tutoraggio e attività educative addizionali. Usando dati longitudinali
sugli studenti, gli autori trovano un effetto positivo delle diverse attività intraprese sul rendimento in
matematica, ma non trovano miglioramenti nella lettura. Basandosi sul lavoro di Lavy (2014), Rivkin
and Shiman (2013) identificano l’effetto del tempo-scuola sull’apprendimento degli studenti
attraverso la differenza nel tempo dedicato dagli studenti allo studio della matematica rispetto alla
loro lingua corrente. L’analisi empirica mostra che l’apprendimento degli studenti aumenta con il
tempo-scuola e con il contesto ambientale in classe.
Lavy (2012) analizza un esperimento condotto nelle scuole elementari in Israele che prevede un
incremento del budget destinato al tempo-scuola e che ha permesso una modifica della lunghezza
della settimana scolastica e del tempo dedicato alle materie scolastiche fondamentali. L’autore trova
che il maggiore tempo speso a scuola nelle materie interessate dall’esperimento ha effetti positivi
sull’apprendimento della matematica, inglese e scienze. Inoltre l’effetto è maggiore per studenti
provenienti da un contesto socio-economico svantaggiato e in scuole i cui studenti abbiano un
background socio-economico omogeneo.
Altri studi tuttavia non hanno trovato alcun effetto della frequenza della scuola a tempo pieno
sull’apprendimento (vedere James-Burdumy et al. 2005, Checkoway et al. 2011 and Meyer e Van
Klaveren 2011).
In sintesi, gli studi condotti fino ad ora non danno un’indicazione precisa degli effetti del tempo-
scuola sull’apprendimento degli studenti; i risultati spesso dipendono dal tipo di campione
selezionato, dal disegno sperimentale o non sperimentale dell’indagine, dalla classe analizzata e
infine dalla durata dell’intervento.
3.2 L’effetto dell’offerta scolastica sulla partecipazione al mercato del lavoro delle madri
Gran parte della letteratura riguardante l’effetto dell’offerta scolastica sulla partecipazione al mercato
del lavoro delle madri si è concentrata principalmente sulla disponibilità di scuola dell’infanzia
pubblica. I ricercatori hanno trovato generalmente evidenza che sussidiare i servizi all’infanzia fa
aumentare l’offerta di lavoro delle donne con figli (Bos et al. 1999; Granger e Cryton 1999; Blau e
Tekin 2007). Cascio (2009) utilizza invece la variabilità geografica e temporale nell’introduzione di
24
programmi pubblici pre-scolari negli US (nella maggior parte realizzati tra il 1960 e il 1970) per
verificare l’effetto della disponibilità scolastica sul lavoro delle madri. L’autrice trova che
l’introduzione di aiuti statali per la scuola d’infanzia fa aumentare l’offerta di lavoro delle madri
single con figli di età superiore ai 5 anni, ma ha un effetto trascurabile sulle donne sposate pur con
figli aventi diritto agli aiuti.
Usando il semestre di nascita come strumento per l’iscrizione di bambini di 5 anni presso la scuola
dell’infanzia pubblica (kindergarten) nel 1980 negli US, Gelbach (2002) trova che madri sposate con
figli nella scuola d’infanzia pubblica hanno maggiori probabilità di lavorare (tra il 6 e il 24% secondo
la misura di lavoro impiegata) e di lavorare più ore, e minore probabilità di ricevere sussidi statati
(welfare assistance) rispetto alle madri single. La regola amministrativa impiegata da Gelbach (2002)
implica che i bambini nati in aprile sono generalmente eleggibili per il kindergarten quando hanno 5
anni mentre i bambini nati in dicembre devono aspettare l’anno seguente.
Usando una fonte esogena di variazione nelle opportunità di guadagno delle madri, generata
dall’età di ingresso nella scuola dei figli, Barua (2008) studia l’offerta intertemporale delle donne
sposate negli US. In particolare l’autrice esamina l’effetto di ritardare l’ingresso a scuola di un anno
sull’offerta di lavoro delle madri e trova un effetto positivo della frequenza scolastica dei bambini di
5 anni sull’offerta di lavoro delle madri sposate. I risultati inoltre mostrano evidenza di sostituzione
intertemporale nell’offerta di lavoro.
Mentre gran parte della letteratura sull’argomento si è sviluppata negli US, recentemente sono
apparsi alcuni lavori che analizzano l’espansione delle strutture scolastiche in altri paesi tra cui
l’Argentina (Berlinski e Galiani, 2007), il Canada (Baker et al., 2008), l’Israele (Schlosser, 2011), la
Francia (Goux e Maurin, 2010) e la Norvegia (Havnes e Mogstad, 2010). Questi studi mostrano
evidenza del fatto che una crescita nell’offerta di posti disponibili nella scuola d’infanzia fa aumentare
l’occupazione delle madri. I risultati sono tuttavia molto eterogenei a seconda del contesto studiato.
Schlosser (2011) studia l’introduzione di una riforma in Israele nel 2009 che prevede l’accesso alla
scuola d'infanzia pubblica obbligatoria e gratuita per tutti i bambini di tre e quattro anni. L’autrice
usa la variazione temporale nell’introduzione del programma tra le diverse municipalità per
identificare l’effetto del programma sull’offerta di lavoro delle donne con figli e trova che la
disponibilità della scuola dell’infanzia genera un aumento dell’occupazione di circa 7 punti
percentuali. Goux e Maurin (2010) valutano l’impatto dell’accesso alla scuola pubblica a 2 o 3 anni
per i bambini francesi sull’offerta di lavoro delle madri. Gli autori mostrano che l’accesso anticipato
nella scuola produce effetti positivi sull’offerta di lavoro delle madri single ma non sulle famiglie con
due genitori. Inoltre mostrano che gli effetti aumentano al crescere dei figli quando le famiglie
25
perdono l’eleggibilità per i sussidi familiari. In modo simile, Berlinski e Galiani (2007) trovano un
effetto positivo solo per madri single senza altri figli eligibili per l’ingresso nella scuola, mentre Baker
et al. (2008) non trovano un effetto per le madri sposate con figli piccoli. Infine, Havnes e Mogstad
(2010) analizzano un’espansione su larga scala dell’accesso al childcare sussidiato in Norvegia e
trovano effetti positivi sulla partecipazione delle madri al mercato del lavoro.
Tuttavia, le analisi dell’elasticità dell’offerta di lavoro femminile in anni più recenti hanno
mostrato che le donne non sembrano più modificare come prima i loro comportamenti in seguito a
cambiamenti di salario (Blau e Kahn 2007, Heim 2007). Questa ridotta risposta potrebbe significare
che i sussidi all’infanzia hanno oggi un effetto minore sull’offerta di lavoro femminile rispetto al
passato. Inoltre l’elevato tasso di partecipazione femminile al mercato del lavoro e il più lungo orario
di lavoro possono significare che il sotto-campione di donne per cui il sussidio genera sia un effetto
prezzo che un effetto reddito è ora più piccolo di quanto lo fosse una volta. Questo potrebbe spiegare
perché, esaminando gli effetti dell’introduzione di un sussidio universale prescolare per bambini di 4
anni in Georgia e Oklahoma nel 1990, Fitzpatrick (2010) non trova alcun effetto sull’offerta di lavoro
delle madri.
Fitzpatrick (2012) analizza in che modo la frequenza della scuola pubblica influenza l’offerta di
lavoro delle madri. L’autrice crede che la frequenza della scuola aumenti l’occupazione delle madri
single senza altri figli piccoli. Per gli altri gruppi di donne i risultati sono poco coerenti e cambiano
segno secondo la specificazione usata.
Per ciò che riguarda l’Italia, Brilli et al (2011) trovano un effetto positivo della disponibilità dei
servizi d'assistenza all’infanzia sulla partecipazione alla forza lavoro delle madri e sugli
apprendimenti degli studenti nella scuola primaria (almeno nei test di lettura e apprendimento della
lingua Italiana). Recentemente Carta e Rizzica (2014) hanno analizzato la relazione tra la disponibilità
di strutture di assistenza all’infanzia a basso costo (generalmente strutture pubbliche) sull’offerta di
lavoro delle madri, utilizzando la discontinuità nelle regole che determinano l’eleggibilità dei bambini
di età diverse a differenti tipi di servizi. Le autrici trovano che la possibilità di usare servizi di
childcare a basso costo, in particolare la possibilità di anticipare l’entrata dei bambini nella scuola
materna, ha generato un aumento della partecipazione delle madri al mercato del lavoro di circa 6
punti percentuali. Questi effetti sono concentrati tra le madri che vivono nel Nord Italia dove il
mercato del lavoro è più fluido, e tra donne sposate e meno istruite, la cui propensione al lavoro è
generalmente più bassa delle donne single e più istruite, le quali sono invece generalmente disposte
a pagare costi più alti per usufruire del childcare.
26
4. Effetti attesi della riforma
Il meccanismo causale che intendiamo discutere nei capitoli che seguono, utilizza la riforma come
potenziale fonte di variazione di input scolastici fondamentali, quale rapporto studenti/insegnanti
nella scuola, dimensione delle classi e durata del tempo-scuola. Oltre a ciò, abolizione della
compresenza. Come discusso all’inizio di questo capitolo, due sono stati gli input esplicitamente
considerati nel testo di legge che ha introdotto la riforma: l’organico insegnanti messo a disposizione
delle scuole, e la regola con cui viene determinata la dimensione della classe. Nel Capitolo 2
documenteremo dapprima come tali cambiamenti imposti per legge si siano riflessi sulla
determinazione di altri input scolastici, sul tempo-scuola in particolare. La possibilità di assumere
insegnanti con un profilo a 24 ore – anche questa opzione esplicitamente menzionata nel decreto
legge – non sembra essere stata sufficiente ad avere un effetto diretto sul tempo-scuola, come discusso
in Figura 1.
Oltre agli effetti diretti su input scolastici, guarderemo agli effetti indiretti che tali cambiamenti
hanno comportato per l’acquisizione di competenze in diversi curricula (matematica e italiano, come
misurati dalla rilevazione INVALSI). Non è chiaro ex-ante cosa attendersi da tale analisi. Se è vero
che i cambiamenti portati dalla riforma hanno riguardato principalmente gli studenti all’inizio del
ciclo scolastico (classe prima nel 2009/10, classi prime e seconde nel 2010/11, e così via), sarebbe
ragionevole attendersi un cambio tra prima e dopo l’intervento nella differenza tra le competenze di
studenti all’inizio e alla fine della scuola primaria. Per fissare le idee, poiché INVALSI rileva
competenze di studenti iscritti alle classi seconde e quinte, differenze tra questi due gruppi potrebbero
cambiare dal 2010/11 poiché questo è il primo anno in cui la riforma ha coinvolto studenti iscritti alle
classi seconde. La logica descritta esemplifica il disegno di valutazione che verrà considerato nel
Capitolo 3, in cui considereremo “esposti” gli studenti iscritti alle classi seconde e “controlli” gli
studenti iscritti alle classi quinte. Se fosse vero che, come la discussione basata su evidenze
aneddotiche ha spesso lasciato intendere, la riforma ha in qualche modo contenuto la possibilità data
alle scuole di venire incontro alla volontà delle famiglie di avere orari scolastici più “flessibili”,
potremmo osservare competenze più basse post-riforma come conseguenza del minore tempo speso
a scuola.
Alla luce dei risultati della letteratura internazionale riassunta in questo capitolo, non è ovvio che
tale meccanismo causale abbia effetti statisticamente rilevanti. Un simile discorso si applica, inoltre,
alla dimensione delle classi poiché la regola utilizzata dai presidi cambia a partire dalle classi seconde
nella rilevazione 2010/11 dell’indagine INVALSI. Come detto in precedenza, inoltre, la riforma ha
27
abolito la possibilità di avere compresenza in tutte le classi a partire dal primo anno di
implementazione. Per tale motivo, discuteremo più avanti i problemi incontrati per studiare gli effetti
dell’abolizione della compresenza.
La riforma potrebbe avere indotto cambiamenti non solo negli input scolastici, ma anche in quelli
familiari. Ad esempio, se la riforma avesse inciso sull’organizzazione oraria delle scuole, ci potrebbe
essere un conseguente effetto sull’offerta di lavoro delle madri. Nel Capitolo 4 ci occuperemo di
verificare l’esistenza di tali effetti, la cui rilevanza è stata discussa poco sopra presentando i risultati
di diversi studi dalla letteratura internazionale. L’esistenza di effetti indiretti – positivi o negativi –
sulla partecipazione al mercato del lavoro potrebbe a sua volta avere un effetto sugli apprendimenti
misurati da INVALSI, ad esempio tramite maggiore o minore tempo trascorso dalle madri con i propri
figli. In questo senso, lo studio della partecipazione al mercato del lavoro potrebbe aiutare a
interpretare la dimensione degli effetti sugli apprendimenti discussa nel Capitolo 3.
28
Capitolo 2
EFFETTO DELLA RIFORMA SUI PRINCIPALI INPUTS SCOLASTICI
1. Introduzione
L’obiettivo di questo capitolo è offrire una rigorosa descrizione degli effetti della riforma sui
principali input scolastici e sui cambiamenti nell’offerta oraria della scuola nei primi tre anni di
implementazione, fornendo una discussione costruttiva basata su evidenze oggettive dei cambiamenti
in atto. Anche se la riforma aveva come obiettivo dichiarato solo la riduzione dell’organico nelle
scuole, nella realtà dei fatti ha prodotto cambiamenti non trascurabili su una serie di input scolastici,
in particolare dimensione delle classi e tempo-scuola. Questo capitolo colmerà il vuoto di conoscenza
esistente sull’argomento. Attenzione particolare verrà dedicata alla regione Piemonte, al fine di
valutare se la riforma abbia avuto in questa regione effetti differenti rispetto al resto dell’Italia.
Nella sezione 2 descriviamo le fonti dati utilizzate. La sezione 3 illustra le differenze esistenti nei
principali input scolastici tra regioni tra il 2004 e il 2011. La sezione 4 analizza gli effetti della riforma
sugli input scolastici, con un focus particolare sull’offerta oraria delle scuole (sezione 5). La sezione
6 conclude.
2. I dati MIUR e ISTAT
Al fine di quantificare gli effetti della riforma Gelmini sulla riduzione dell’organico e la conseguente
riorganizzazione dell’offerta oraria abbiamo utilizzato le seguenti fonti amministrative messe a
disposizione da MIUR e ISTAT:
1. dati amministrativi sull’organizzazione scolastica dal 2003/2004 fino al 2011/12; questi
dati ci sono stati forniti dall’ufficio statistico del MIUR, e non siamo a conoscenza di archivi
amministrativi per l’Italia accessibili a ricercatori che contengano un'informazione con il
grado di dettaglio utilizzato delle analisi che seguono.
2. serie storiche relative ai principali input scolastici (numero di alunni per classe e genere,
numero di classi, numero di insegnanti per scuola, rapporto studenti/insegnante) reperiti a
partire dalle pubblicazioni ISTAT e MIUR dal 1945/46 fino al 2011/12. Questa rappresenta
l’informazione cartacea recuperata dalle biblioteche ISTAT e MIUR, poi digitalizzata e
trasferita su fogli elettronici ai fini delle analisi presentate qui di seguito.
29
Siamo partiti dal tracciato record ottenuto dalla “Rilevazione integrativa delle scuole primarie
statali”, che rappresenta il questionario che ogni scuola deve fornire al MIUR con informazioni su
classi, alunni (totale maschi, totale femmine, cittadinanza non italiana, tipo di cittadinanza,
appartenenza a comunità nomadi), orario settimanale e attività scolastica (insegnamenti e attività
facoltative, frequenza lingue straniere, tipo di lingua straniera, insegnamento della religione
cattolica), alunni con disabilità (classi con alunni con disabilità, numero di alunni con disabilità,
tipologia di disabilità), e organizzazione e servizi della scuola. A partire da questo dato
amministrativo abbiamo costruito l’elenco delle variabili necessarie alle nostre analisi che non
presentassero problemi di riservatezza.2 Tale lavoro è stato realizzato separatamente per ogni anno a
disposizione, poiché le informazioni contenute nelle variabili d'interesse cambiano di anno in anno.
Le variabili sono state selezione per gli anni che vanno dal 2004/05 fino al 2011/12 e riguardano: (1)
numero di studenti per classe (da 1 fino 5), suddivisi per genere; (2) numero di classi; (3) numero di
studenti per orario settimanale a scuola (differenti categorie che vanno dal tempo parziale/modulo al
tempo pieno; (4) numero di classi per orario settimanale; (5) numero di bambini che usufruiscono di
servizi offerti dalla scuola (mensa, attività pomeridiane) e numero di studenti che usufruiscono del
trasporto scolastico. L’informazione circa i profili orari delle classi ottenuta dal dato MIUR è del tutto
comparabile, in aggregato, con l’informazione sulla stessa quantità rilevata nel questionario
INVALSI.
A questi dati sono state poi aggiunte le informazioni riguardanti l’organico di fatto assegnato
annualmente a ogni istituto scolastico dal 2007/08 fino al 2011/12. Il dato calcolato dal MIUR messo
a disposizione per le nostre analisi si riferisce al numero totale di docenti, a tempo indeterminato e
tempo determinato, dove per tempo determinato si intende supplenti annuali e fino al termine delle
attività didattiche. Nel totale docenti sono considerati anche gli insegnanti del sostegno, mentre sono
esclusi gli insegnanti di religione cattolica e i docenti che fanno supplenze brevi e saltuarie.
Le serie storiche relative ai principali input scolastici a livello provinciale (numero di scuole;
numero d'insegnanti; numero di studenti; numero di classi) sono state pubblicate dall’anno scolastico
1945/1946 fino al 2011/2012 e sono disponibili su volumi cartacei presso le biblioteche dell’ISTAT
2 Tale procedura è stata necessaria in quanto i dati amministrativi sull’organizzazione scolastica forniti dal MIUR
contengono dati sensibili come per esempio la presenza di bambini con disabilità nelle classi e il tipo di disabilità che non
possono essere forniti a personale esterno al MIUR.
30
e del MIUR. In particolare, i dati fino al 1983/84 sono stati pubblicati dall’ISTAT nell’Annuario
Statistico dell'istruzione Italiana”, dal 1984/85 fino al 1986/87 sono presenti nelle “Statistiche
dell'istruzione” che comprendono dalla scuola materna all’università. Dopo il 1987, l’ISTAT ha
cambiato il tipo di pubblicazione e si è passati alle “Statistiche della scuola materna ed elementare”.
Il passaggio da un tipo di pubblicazione all’altra ha fatto si che si perdessero due anni di dati e cioè il
1987/1988 e 1988/1989 che non è stato possibile recuperare né in Banca d’Italia, né presso il MIUR
né in altre biblioteche in Italia. Questo genera un’interruzione nelle serie storiche degli input scolastici
che abbiamo ricostruito. Le statistiche sull’istruzione sono state di competenza dell’ISTAT fino al
1996/97; dal 1997/98 sono diventate di pertinenza del MIUR che ha iniziato a raccogliere le
informazioni sull’istruzione nella pubblicazione “La scuola statale: sintesi dei dati” fino al 2011/12.
3. Differenze negli input scolastici tra regioni
Prima di occuparci di studiare i possibili effetti della riforma, è interessante descrivere le differenze
negli input tra regioni pre-esistenti al momento dell’intervento. La riforma potrebbe avere contenuto
o accentuato la differenza tra aree in vari input scolastici, ed è quindi importante considerare tale
dimensione. Le tabelle che seguono si occupano di tale aspetto, e sono state ottenute come segue. In
ogni anno abbiamo considerato i nuovi iscritti alla classe prima della scuola primaria: le figure
presentate si riferiscono quindi agli input (ad esempio: numerosità della classe) tra il 2004 e il 2011,
ovvero negli anni per cui ci è stata fornita informazione amministrativa da parte del MIUR. La regione
di riferimento è il Piemonte, ed è indicata in grassetto alla fine di ogni tabella. Ad esempio, nella
Tabella 1 è riportata la dimensione media delle classi in Piemonte dal 2004 al 2011. Le grandezze per
le altre regioni sono misurate come scostamento dalla regione Piemonte. Ad esempio, guardando
nuovamente la Tabella 1, in Calabria la dimensione media delle classi nel 2004 era di circa tre studenti
minore a quella in Piemonte. In tutte le tabelle è riportata la significatività statistica di tali differenze,
a cui è associata un'importanza in base al numero di asterischi (più asterischi implicando maggiore
significatività statistica).
E’ possibile notare sostanziali differenze tra regioni in un input fondamentale come la numerosità
della classe. Tutte le regioni sono caratterizzate da un trend crescente nel tempo per tale dimensione;
ad esempio, il Piemonte ha visto aumentare di quasi due studenti la dimensione media della classe
dal 2004 al 2011. Un aumento considerevole. Esiste anche una notevole variabilità tra aree per ciascun
anno scolastico, e tendenzialmente si osservano classi più numerose nelle regioni del Sud Italia.
31
Le Tabelle 2-5 riportano in numero medio di ore settimanali di frequenza (Tabella 2) e la
percentuale di classi suddivise in tre fasce orarie: fino a 27 ore (Tabella 3), da 28 a 39 ore (Tabella
4), e 40 ore (Tabella 5) che corrisponde al tempo pieno. La Tabella 2 ci dice che il Piemonte è una
delle regioni con offerta oraria più generosa, ma in generale la tendenza per tutte le regioni è stata di
ridurre l’offerta oraria nel corso degli anni. In particolare, la riduzione del tempo-scuola in Piemonte
negli ultimi anni segue da un aumento delle classi a 27 ore settimanali (minimo imposto dalla legge)
a scapito delle classi a modulo (da 28 a 39 ore settimanali nelle tabelle). L’offerta di classi a tempo
pieno risulta invece abbastanza stabile negli ultimi anni per tale regione.
32
Tabella 1. Serie storiche delle differenze regionali negli input scolastici: dimensione della classe
(1) (2) (3) (4) (5) (6) (7) (8)
VARIABILI 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011
Abruzzo -0.7180** -1.1328*** -1.1919*** -1.0347*** -1.0005*** -1.6225*** -1.7148*** -1.3614***
Basilicata -1.5171*** -1.8814*** -2.3805*** -2.1899*** -1.2154*** -0.7490* -2.1021*** -2.3006***
Calabria -3.0148*** -2.5271*** -2.6175*** -2.8223*** -2.7468*** -2.5596*** -2.6684*** -2.4401***
Campania 0.0360 -0.0078 -0.4973*** -0.6828*** -0.6130*** -0.0113 -0.9345*** -1.2564***
Emilia-Romagna 1.8413*** 2.0006*** 1.9992*** 2.2351*** 2.3887*** 2.5337*** 1.5772*** 2.0507***
Friuli 0.0853 0.0081 -0.1579 0.4117 0.0492 0.1925 0.0331 -0.1840
Lazio 1.0435*** 1.0288*** 0.8002*** 0.9832*** 1.0216*** 1.4464*** 0.7129*** 1.1786***
Liguria 0.2717 0.1734 0.5873** 0.4359 0.5342* 0.1057 0.1680 -0.1901
Lombardi 1.5853*** 1.6259*** 1.4782*** 1.6485*** 1.4078*** 1.9407*** 1.2940*** 1.4427***
Marche 1.1491*** 1.2984*** 0.7487*** 1.1758*** 1.6530*** 1.2618*** 1.1894*** 0.9934***
Molise -2.8815*** -2.1875*** -3.1923*** -2.9503*** -2.7628*** -2.8897*** -2.7020*** -4.4015***
Puglia 2.2996*** 2.1844*** 1.8444*** 2.0684*** 1.7689*** 2.4544*** 1.4908*** 1.5990***
Sardegna -0.9729*** -0.8290*** -0.8591*** -1.1904*** -0.8620*** -0.3884 -1.2254*** -0.8469***
Sicilia 0.4878** 0.2606 0.0715 0.0658 0.5089*** 0.3969* 0.1962 0.0616
Toscana 1.2843*** 1.3846*** 1.5169*** 1.7713*** 1.7451*** 2.0266*** 1.5387*** 1.7805***
Umbria -0.6086* -0.8512*** -0.7170** -0.7439** -1.2782*** 0.2272 -0.7499** -0.1572
Veneto 0.7928*** 0.8920*** 0.8416*** 0.7873*** 0.9108*** 1.3905*** 0.8537*** 0.6241***
Piemonte 16.8793 17.0619 17.1838 17.2475 17.3818 17.0215 18.4376 18.4906
Osservazioni 14,339 14,210 14,401 14,252 14,113 14,304 13,624 13,571 Fonte: Rilevazione integrativa delle scuole primarie statali 2004-11 (MIUR)
Note: Significatività statistica: *** p<0.01, ** p<0.05, * p<0.1
33
Tabella 2. Serie storiche delle differenze regionali negli input scolastici: tempo-scuola (ore settimanali)
(1) (2) (3) (4) (5) (6) (7) (8)
VARIABILI 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011
Abruzzo -2.3051*** -2.2680*** -2.5693*** -2.6819*** -2.5999*** -2.6913*** -2.3097*** -2.2163***
Basilicata 0.9651*** 0.5907** 0.6374** 0.5774** 0.4146 2.3396*** 2.7302*** 3.3480***
Calabria -1.4638*** -1.3397*** -1.6473*** -1.5174*** -1.5103*** -1.0910*** -0.8225*** -0.6069***
Campania -2.4118*** -2.2130*** -2.4915*** -2.4272*** -2.5568*** -2.5866*** -2.5320*** -2.5472***
Emilia-Romagna 0.1926 0.4082** 0.3038* 0.2407 0.4173** 0.3609* 0.4606** 0.7626***
Friuli 0.2964 0.3476 0.1862 0.2360 0.1972 0.2587 0.8213*** 0.9912***
Lazio 0.2619 0.3753** 0.5084*** 0.3813** 0.4894*** 0.7366*** 1.0706*** 1.3578***
Liguria -0.0468 -0.1715 -0.4185** -0.7587*** -0.4513** -0.3175 0.0620 0.2608
Lombardia 0.2762* 0.1348 -0.0995 -0.2123 -0.0353 0.4407*** 0.9523*** 1.3528***
Marche -1.2985*** -1.1216*** -1.3942*** -1.5706*** -1.5358*** -1.6993*** -1.6105*** -1.3176***
Molise -3.3311*** -2.8819*** -3.2117*** -3.2346*** -2.9095*** -2.9830*** -2.5796*** -2.4057***
Puglia -2.8292*** -2.4573*** -2.8007*** -2.8856*** -2.7372*** -1.7705*** -1.5793*** -1.7893***
Sardegna -1.5649*** -1.2784*** -1.5100*** -1.5570*** -1.2670*** 0.4736** 0.8675*** 0.9639***
Sicilia -2.8256*** -2.5124*** -2.9228*** -2.8846*** -2.9933*** -2.2044*** -2.5543*** -2.8851***
Toscana -0.1743 0.0405 0.1380 0.1897 0.1563 0.4067** 0.5682*** 0.8461***
Umbria -1.6639*** -1.3448*** -1.7348*** -1.8055*** -1.7790*** -1.4617*** -1.2219*** -0.9184***
Veneto -2.2640*** -2.0649*** -2.2034*** -2.3821*** -2.1923*** -1.8375*** -1.6101*** -1.2365***
Piemonte 32.9293*** 32.8313*** 33.2101*** 33.2869*** 33.2763*** 33.5264*** 32.9622*** 32.4490***
Osservazioni 15,476 15,531 15,564 15,471 15,417 15,221 15,069 14,909 Fonte: Rilevazione integrativa delle scuole primarie statali 2004-11 (MIUR)
Note: Significatività statistica: *** p<0.01, ** p<0.05, * p<0.1
34
Tabella 3. Serie storiche delle differenze regionali negli input scolastici: percentuale di classi a 27 ore settimanali (24 e 27 ore dal 2009)
(1) (2) (3) (4) (5) (6) (7) (8)
VARIABILI 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011
Abruzzo -0.0667*** -0.0837*** -0.0557*** -0.0535*** -0.0394*** -0.0791*** -0.1027*** -0.1298***
Basilicata -0.0741*** -0.1040*** -0.0663*** -0.0758*** -0.0592*** -0.0893*** -0.2054*** -0.3258***
Calabria -0.0318** -0.0728*** -0.0246*** -0.0491*** -0.0309*** -0.0580*** -0.1278*** -0.1868***
Campania -0.0235* -0.0773*** -0.0435*** -0.0588*** -0.0254*** -0.0179* -0.0031 -0.0049
Emilia-Romagna 0.0030 -0.0069 -0.0255*** -0.0076 0.0165* -0.0210* -0.0310** -0.0620***
Friuli -0.1335*** -0.0743*** -0.0737*** -0.0835*** -0.0547*** -0.0924*** -0.1820*** -0.1728***
Lazio -0.0671*** -0.0667*** -0.0565*** -0.0594*** -0.0432*** -0.0882*** -0.1110*** -0.1639***
Liguria -0.0430** -0.0275** -0.0318*** -0.0247** -0.0073 -0.0220 -0.0356* -0.0581**
Lombardia -0.0618*** -0.0046 -0.0342*** -0.0368*** -0.0180** -0.0360*** -0.1298*** -0.2378***
Marche -0.0422** -0.0425*** -0.0490*** -0.0533*** -0.0198* -0.0100 0.0706*** 0.0251
Molise -0.0030 -0.0531*** -0.0589*** -0.0880*** -0.0575*** -0.0588** -0.1489*** -0.1819***
Puglia -0.0398** -0.0850*** -0.0515*** -0.0498*** -0.0451*** -0.0872*** -0.0176 0.0751***
Sardegna -0.1137*** -0.0988*** -0.0749*** -0.0917*** -0.0610*** -0.1190*** -0.1923*** -0.2328***
Sicilia 0.0050 -0.0610*** -0.0018 -0.0359*** -0.0147* -0.0432*** -0.0125 0.0560***
Toscana -0.0231 -0.0207** -0.0661*** -0.0615*** -0.0355*** -0.0313*** -0.0508*** -0.1014***
Umbria -0.1049*** -0.0811*** -0.0585*** -0.0677*** -0.0429*** -0.1129*** -0.1245*** -0.2158***
Veneto 0.0017 0.0201** -0.0321*** -0.0163** 0.0040 0.0042 0.0168 0.0345**
Piemonte 0.2022*** 0.1142*** 0.0886*** 0.1016*** 0.0778*** 0.1363*** 0.2431*** 0.3671***
Osservazioni 15,562 15,538 15,564 15,471 15,417 15,222 15,069 14,911 Fonte: Rilevazione integrativa delle scuole primarie statali 2004-11 (MIUR)
Note: Significatività statistica: *** p<0.01, ** p<0.05, * p<0.1
35
Tabella 4. Serie storiche delle differenze regionali negli input scolastici: percentuale di classi da 28 a 39 ore settimanali
(1) (2) (3) (4) (5) (6) (7) (8)
VARIABILI 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011
Abruzzo 0.3198*** 0.3356*** 0.3294*** 0.3377*** 0.3113*** 0.3720*** 0.3645*** 0.3904***
Basilicata 0.0024 0.0762*** 0.0225 0.0408 0.0355 -0.1178*** -0.0060 0.0887**
Calabria 0.1837*** 0.2279*** 0.1967*** 0.2155*** 0.1913*** 0.1845*** 0.2484*** 0.3035***
Campania 0.2636*** 0.3226*** 0.3057*** 0.3192*** 0.2887*** 0.2819*** 0.2572*** 0.2611***
Emilia-Romagna -0.0219 -0.0318* 0.0027 -0.0141 -0.0632*** -0.0089 -0.0058 0.0043
Friuli 0.1411*** 0.0618*** 0.0772*** 0.0850*** 0.0514** 0.0942*** 0.1545*** 0.1255***
Lazio 0.0571*** 0.0493*** 0.0227 0.0391** 0.0073 0.0412** 0.0372* 0.0761***
Liguria 0.0583** 0.0529** 0.0832*** 0.1080*** 0.0547** 0.0603** 0.0401 0.0495*
Lombardia 0.0519*** -0.0074 0.0544*** 0.0690*** 0.0269* 0.0027 0.0735*** 0.1738***
Marche 0.1873*** 0.1767*** 0.2031*** 0.2263*** 0.1793*** 0.1829*** 0.0692*** 0.0992***
Molise 0.3327*** 0.3573*** 0.3978*** 0.4379*** 0.3657*** 0.3748*** 0.4515*** 0.4770***
Puglia 0.3359*** 0.3563*** 0.3470*** 0.3533*** 0.3324*** 0.2904*** 0.1808*** 0.0813***
Sardegna 0.3069*** 0.2563*** 0.2484*** 0.2749*** 0.2060*** 0.1073*** 0.1632*** 0.2063***
Sicilia 0.2766*** 0.3298*** 0.2946*** 0.3351*** 0.3184*** 0.2765*** 0.2717*** 0.2157***
Toscana 0.0478** 0.0225 0.0721*** 0.0610*** 0.0305* 0.0000 0.0092 0.0472**
Umbria 0.3054*** 0.2399*** 0.2496*** 0.2686*** 0.2336*** 0.2929*** 0.2841*** 0.3724***
Veneto 0.2272*** 0.1804*** 0.2621*** 0.2595*** 0.2141*** 0.1782*** 0.1392*** 0.0788***
Piemonte 0.4415*** 0.5685*** 0.5637*** 0.5392*** 0.5713*** 0.4702*** 0.3878*** 0.2779***
Osservazioni 15,556 15,538 15,564 15,471 15,417 15,222 15,069 14,911 Fonte: Rilevazione integrativa delle scuole primarie statali 2004-11 (MIUR)
Note: Significatività statistica: *** p<0.01, ** p<0.05, * p<0.1
36
Tabella 5. Serie storiche delle differenze regionali negli input scolastici: percentuali di classi a 40 ore settimanali
(1) (2) (3) (4) (5) (6) (7) (8)
VARIABILI 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011
Abruzzo -0.2494*** -0.2519*** -0.2737*** -0.2842*** -0.2718*** -0.2929*** -0.2618*** -0.2606***
Basilicata 0.0754*** 0.0279 0.0438 0.0350 0.0237 0.2072*** 0.2114*** 0.2371***
Calabria -0.1566*** -0.1560*** -0.1721*** -0.1665*** -0.1603*** -0.1265*** -0.1206*** -0.1167***
Campania -0.2473*** -0.2445*** -0.2622*** -0.2604*** -0.2633*** -0.2640*** -0.2541*** -0.2562***
Emilia-Romagna 0.0206 0.0387** 0.0227 0.0218 0.0467*** 0.0298* 0.0368** 0.0577***
Friuli -0.0119 0.0125 -0.0035 -0.0015 0.0033 -0.0018 0.0275 0.0473**
Lazio 0.0026 0.0172 0.0339** 0.0203 0.0360** 0.0469*** 0.0738*** 0.0859***
Liguria -0.0160 -0.0254 -0.0514** -0.0833*** -0.0473** -0.0383* -0.0045 0.0086
Lombardia 0.0084 0.0121 -0.0202 -0.0323** -0.0089 0.0333** 0.0563*** 0.0639***
Marche -0.1414*** -0.1256*** -0.1541*** -0.1730*** -0.1595*** -0.1729*** -0.1399*** -0.1242***
Molise -0.3326*** -0.3041*** -0.3389*** -0.3499*** -0.3082*** -0.3159*** -0.3026*** -0.2951***
Puglia -0.2938*** -0.2712*** -0.2955*** -0.3035*** -0.2873*** -0.2032*** -0.1632*** -0.1564***
Sardegna -0.1895*** -0.1575*** -0.1735*** -0.1832*** -0.1450*** 0.0117 0.0291 0.0265
Sicilia -0.2803*** -0.2682*** -0.2928*** -0.2992*** -0.3037*** -0.2334*** -0.2592*** -0.2717***
Toscana -0.0241 -0.0010 -0.0060 0.0005 0.0050 0.0313* 0.0416** 0.0542***
Umbria -0.1968*** -0.1588*** -0.1910*** -0.2009*** -0.1908*** -0.1800*** -0.1596*** -0.1566***
Veneto -0.2250*** -0.2005*** -0.2300*** -0.2431*** -0.2180*** -0.1825*** -0.1560*** -0.1133***
Piemonte 0.3525*** 0.3174*** 0.3476*** 0.3592*** 0.3510*** 0.3935*** 0.3691*** 0.3550***
Osservazioni 15,556 15,538 15,564 15,471 15,417 15,222 15,069 14,911 Fonte: Rilevazione integrativa delle scuole primarie statali 2004-11 (MIUR)
Note: Significatività statistica: *** p<0.01, ** p<0.05, * p<0.1
37
Figura 1: Disuguaglianza tra regioni nell’orario scolastico
Fonte: Rilevazione integrativa delle scuole primarie statali 2004-11 (MIUR)
La Figura 1 riassume graficamente l’informazione presentata nelle Tabelle 2-5. L’asse verticale
presenta una misura dell’intensità delle differenze negli input tra regioni: valori maggiori di questo
indicatore suggeriscono che la variabile considerata è distribuita in maniera più diseguale tra aree del
paese. Partendo dall’ultimo grafico in figura, si vede che le differenze tra classi in diverse aree del
paese sono caratterizzate da un trend crescente, che è stato ulteriormente accentuato dalla riforma
(indicata dalla linea rossa verticale). L’orario settimanale per un bambino preso a caso in una regione
del nostro paese varia in base alla regione considerata, tale diversità è andata crescendo negli anni, e
la riduzione nelle risorse resa operativa dalla riforma ha fortemente aumentato tale diversità. Si vede
che tale risultato deriva da un aumento delle differenze nel numero di studenti con orario scolastico
secondo i minimi di legge (27 ore), o a tempo pieno (40 ore). L’utilizzo di un’organizzazione oraria
a modulo, rappresentata dal profilo 28-39, è più omogeneo dopo la riforma. Guardando le statistiche
presentate in Tabella 4, si vede che tale omogeneità risulta da una riduzione sostanziale e diffusa
nell’utilizzo di tale opzione, compensata da una polarizzazione verso i profili orari agli estremi delle
possibilità ammesse dalla normativa vigente (27 e 40 ore). Su questo risultato torneremo nel seguito
di questa monografia.
.12
.125
.13
.135
va
ria
bili
tà
2004 2006 2008 2010 2012anno di riferimento
40 ore
.11
.12
.13
.14
va
ria
bili
tà
2004 2006 2008 2010 2012anno di riferimento
28-39 ore
.02
.04
.06
.08
.1.1
2va
ria
bili
tà
2004 2006 2008 2010 2012anno di riferimento
27 ore
1.1
1.2
1.3
1.4
1.5
1.6
va
ria
bili
tà
2004 2006 2008 2010 2012anno di riferimento
ore in media
Disuguaglianza tra regioni
38
4. Effetti della riforma sui principali input scolastici
La Figura 2 mostra il cambiamento percentuale nel numero d'insegnanti dal 2008 fino al 2011, rispetto
al valore base del 2007. La figura è stata costruita nel seguente modo.
(1) L’organico che ci è stato reso disponibile dal MIUR è calcolato a livello d'istituto scolastico, e
in quanto tale può comprendere insegnanti assegnati a diversi plessi.
(2) Tale organico è stato ottenuto per anni scolastici pre- riforma (2007/08 e 2008/09), e post-
riforma (2009/2010, 2010/11 e 2011/12) seguendo nel tempo lo stesso istituto.
(3) L’asse orizzontale del grafico riporta il numero d'insegnanti impiegati nell’istituto nell’anno
scolastico 2007/08. Infatti, la riforma ha previsto una diminuzione dell’organico a disposizione
delle scuole nella misura del 17% rispetto al valore registrato in tale anno, da realizzarsi
nell’arco dei 3 anni successivi.
(4) La figura riporta l’istogramma di frequenza relativo al numero d'istituti che nel 2007/08
impiegavano uno specifico numero d'insegnanti. Ad esempio, quasi 500 istituti impiegavano
50 insegnanti; il campo di variazione dei valori considerati è tra 15 e 80 insegnanti, poiché tale
è l’intervallo rilevante per la gran parte degli istituti in Italia.
La linea rossa in alto rappresenta la variazione percentuale nel numero d’insegnanti occupati nel
2008/09 rispetto al valore del 2007/08. Poiché il 2008 rappresenta un periodo precedente la riforma,
non ci attendiamo nessuna variazione sistematica nell’organico, come confermato dal fatto che la
linea rossa oscilla intorno allo zero. Le altre tre linee invece si discostano dallo zero e mostrano che
la riduzione dell’organico si è cumulata negli anni. In particolare la linea verde più in basso mostra il
cambiamento percentuale tra il 2007/08 e il 2011/2012. La linea verde in alto e la linea gialla centrale
mostrano invece gli effetti cumulati intermedi, e si riferiscono rispettivamente a differenze calcolate
nel 2009/10 (primo anno della riforma) e 2010/11 (secondo anno della riforma).
Nell’arco dei tre anni successivi alla riforma, l’organico a disposizione delle scuole si è ridotto
all’incirca dell’11%. Ciò suggerisce che l’obiettivo di contenimento della spesa pubblica in materia
d’istruzione da realizzarsi con il taglio dell’organico delle scuole è stato solo parzialmente realizzato
poiché il taglio effettivo è stato circa il 65% rispetto a quello teorico previsto nella legge. Le ragioni
possono essere molteplici, non ultima la possibilità per le scuole di chiedere delle eccezioni alla regola
se giustificate da esigenze di organizzazione didattica (come previsto esplicitamente dalla legge che
ha introdotto la riforma). Va anche ricordato che la forte opposizione delle famiglie e dei sindacati
all’introduzione della riforma (si ricordino i numerosi scioperi di massa e le manifestazioni in tutta
39
Italia nel corso del 2008 contro la riforma della scuola e dell’università) può avere reso il Ministero
più flessibile nell’applicazione della legge.
Un aspetto importante da notare è che l’applicazione della riforma, comprese le eccezioni alla
regola appena discusse, è avvenuta in modo uniforme tra istituti di diverse dimensioni. Ciò si può
vedere da fatto che la riduzione percentuale rispetto all’organico nel 2007/08 è ragionevolmente
costante rispetto ai valori indicati sull’asse orizzontale del grafico. Ciò equivale ad affermare che la
riduzione nel monte ore disponibile per formare gli orari scolastici è stata, in termini percentuali,
ugualmente importante in istituti piccoli e grandi. Ovviamente, ciò non equivale ad affermare che la
riorganizzazione dell’assetto scolastico sia stata la stessa in tutti gli istituti.
Figura 2: Cambiamento percentuale nel numero d'insegnanti nel 2008 (pre
riforma), 2009, 2010 e 2011 rispetto al numero d'insegnanti occupati nella
scuola nel 2007/08.
Fonte: Dati elaborati ad hoc dal MIUR per questa ricerca
La Figura 3 inserisce la riforma in un contesto storico. In particolare, essa documenta l’andamento
dei principali input scolatici (numero di studenti, numero di scuole, numero di classi, numero
d'insegnanti, dimensione delle classi, rapporto studenti/insegnante) a partire dal 1946 fino al
2012, con la retta verticale rossa a rappresentare l’anno della riforma. Le serie storiche sono state
ottenute da fonte MIUR e ISTAT, e sono misurate a livello provinciale. Invece di riportare serie
40
storiche specifiche per provincia, i grafici presentati si riferiscono a un profilo medio per l’intero
paese (calcolato dagli autori mediante opportuni metodi di regressione multivariata).
La figura presenta sei grafici. Il primo grafico in alto a sinistra mostra l’andamento del numero di
studenti (in logaritmo) che tra gli anni ‘70 e ‘90 ha subito una diminuzione drastica per poi fermarsi
nei primi anni ‘90, grazie anche all’apporto degli studenti immigrati. Come atteso, non sembra esserci
una differenza tra prima e dopo la riforma: il numero d'iscritti alla scuola primaria è un fenomeno che
cambia nel tempo per effetto di fattori demografici, e questi non possono essere stati modificati
dall’intervento di cui ci stiamo occupando. L’andamento della serie storica del numero delle classi
(grafico al centro in alto) riflette quello degli studenti: un calo tra gli anni ‘70 e ‘90 e un andamento
costante successivamente. Sembra esserci una piccola flessione nel numero di classi dopo la riforma
ma rimane da valutare se questo effetto sia di dimensione significativa (da notare il trend negativo
nella serie già a partire dal 2005). Un possibile effetto della riforma, infatti, potrebbe essere stato
quello di avere attivato un numero minore di classi per garantire una certa continuità con i profili
orari in vigore prima dell’intervento. Se così fosse, dovrebbe essere possibile osservare un effetto
sulla numerosità della classe.
Di notevole interesse è il grafico relativo al numero d'insegnanti (in alto a destra) che mostra una
crescita costante fino a metà degli anni ‘70, un andamento costante fino al 2009, e una drastica
riduzione dopo la riforma, confermando quanto trovato nella Figura 2. Il grafico in basso a sinistra
riporta la serie storica del numero di scuole, diminuite in modo costante dalla metà del secolo scorso.3
Non si evidenzia alcun cambiamento dopo la riforma. La serie della dimensione di classe segue un
chiaro andamento a U, con una dimensione media di circa 20 alunni per classe negli anni ‘40, di circa
19 alunni per classe alla fine del primo decennio del 2000, e un picco negativo a 15 alunni per classe
alla fine degli anni ‘80. Si evidenzia inoltre un piccolo incremento verso l’alto dopo la riforma. Questo
è un aspetto su cui ritorneremo in seguito in questo documento.
Il pacchetto d'interventi nel settore della scuola che ha accompagnato la riforma Gelmini ha anche
cambiato le regole per la formazione delle classi. Come discusso nel Capitolo 1, questa componente
dell’intervento ha meccanicamente aumentato la dimensione della classe, e ciò in maniera del tutto
indipendente dalla riduzione dell’organico insegnanti. Infine la serie storica del rapporto studenti per
3 Il picco negativo tra il 2000 e il 2004 è attribuibile ad una variazione nell’unità di analisi (istituto vs plesso) durante
quegli anni e in coincidenza con il passaggio delle elaborazioni delle statistiche dall’ISTAT al MIUR. Dal 2004 la serie
ritorna ai livelli pre-2000.
41
insegnante ha un chiaro andamento negativo fino all’inizio degli anni ‘90, per poi stabilizzarsi negli
anni successivi. E’ visibile un piccolo incremento verso l’alto dopo la riforma; tale risultato
suggerisce che l’obiettivo di aumentare tale rapporto è stato effettivamente realizzato.
Figura 3: Serie storiche dei principali input scolastici: numero di studenti,
numero di scuole, numero di classi, numero d'insegnanti, dimensione delle
classi, rapporto studenti/insegnante
Fonte: Annuario Statistico dell'istruzione Italiana (ISTAT) dal 1948/49 al 1983/84; Statistiche
dell'istruzione(ISTAT) dal 1984/85 al 1986/87; Statistiche della scuola materna ed elementare
(ISTAT) dal 1987/88 al 1996/97; La scuola statale: sintesi dei dati (MIUR) dal 1997/98 al 2011/12
5. Effetti della riforma sulla riorganizzazione oraria delle scuole
Dopo aver documentato nella sezione precedente la riduzione dell’organico nelle scuole in una misura
consistente dell’11% a seguito dell’introduzione della riforma Gelmini, in questa sezione
verifichiamo se e in che modo questo si è tradotto in una riorganizzazione oraria delle scuole. Nella
Tabella 6 abbiamo riportato in un contesto puramente descrittivo la percentuale di alunni che hanno
un tempo-scuola fino a 27 ore, da 28 a 39 ore e a 40 ore (tempo–pieno), prima e dopo la riforma.
Ricordiamo che gli alunni che appartengono al periodo pre-riforma sono quelli frequentanti la prima
classe nel 2009 o negli anni successivi, quelli frequentanti la seconda classe nel 2010 o negli anni
successivi, quelli frequentanti la terza classe nel 2011 o negli anni successivi.
42
Tabella 6: Percentuale di alunni per fasce orarie di tempo-scuola prima e dopo la riforma
Pre – riforma Post - riforma
Percentuale alunni fino a 27 ore 0.06 0.20
Percentuale alunni da 28 a 39 ore 0.71 0.50
Percentuale alunni a 40 ore 0.23 0.30
Fonte: Rilevazione integrativa delle scuole primarie statali 2004-11 (MIUR)
E’ evidente dalla prima colonna di questa tabella che il tempo-scuola preferito dalle famiglie
italiane è quello della fascia oraria tra le 28 e le 39 ore, e che dopo la riforma ci sono stati cambiamenti
rilevanti. Prima della riforma il 70% degli alunni frequentava la scuola nella fascia oraria 28-39 ore
settimanali; dopo la riforma solo il 50% degli alunni utilizza questo profilo orario. La tabella mostra
che dopo la riforma, c’è stata una migrazione degli studenti dalla fascia oraria 28-39 ore verso le altre
due fasce orarie ma con una prevalenza maggiore nella fascia fino alle 27 ore che è salita dal 6% al
20% di studenti. Questo può essere attribuito a due ragioni principali:
• esistono dei vincoli che le scuole devono rispettare nella creazione di classi a tempo pieno (non
si possono creare nuove classi a tempo pieno se non quelle che permettono il completamento del
ciclo già esistente, salvo eccezioni);
• le scuole, a fronte della riduzione dell’organico, hanno reagito riducendo l’offerta oraria e quindi
hanno creato classi con minore ore di frequenza.
Sempre a fini descrittivi, la Figura 4 riporta l’istogramma di frequenza relativo al cambiamento
nel numero di ore di tempo-scuola settimanale pre- e post-riforma, ottenuto per l’intero paese e
calcolato dagli autori con metodi di regressione multivariata. Sull’asse delle ascisse riportiamo la
variazione del tempo-scuola tra il periodo precedente e quello seguente la riforma. Il range di tale
variazione è stato all’incirca tra -2 ore e + 2 ore. La figura mostra che nella maggioranza dei casi c’è
stata una riduzione di circa 1 ora alla settimana del tempo-scuola (barra a sinistra dello zero),
parzialmente compensata da una certa percentuale di classi che ha aumentato il tempo-scuola di 1 ora
(barra a destra dello 0). E’ quindi plausibile pensare che, in media, la variazione nel tempo-scuola sia
stata trascurabile a livello nazionale.
43
Figura 4: Distribuzione dei cambiamenti nell’orario settimanale
(media nazionale)
Fonte: Rilevazione integrativa delle scuole primarie statali 2004-11 (MIUR)
Nella Figura 5 abbiamo verificato l’esistenza di eterogeneità nella distribuzione dei cambiamenti
di orari a livello provinciale. In altre parole, la Figura 5 mostra la disaggregazione per area geografica
dei numeri in Figura 4. La figura mostra una notevole eterogeneità ni cambiamenti del tempo-scuola,
con la Sardegna, la Basilicata, alcune province della Lombardia e della Puglia che mostrano un
incremento del tempo-scuola più marcato che nel resto d’Italia, e Abruzzo e Marche che invece
mostrano una tendenza opposta, cioè una riduzione del tempo-scuola. Tuttavia non è possibile
individuare una sistematicità negli effetti della riforma sulle ore di scuola, per esempio con effetti
differenziati per il Nord, Centro e Sud.
0.1
.2.3
perc
entu
ale
di pro
vin
ce
-2 0 2 4ore in più o in meno alla settimana
distribuzione tra province
Cambiamenti nell'orario settimanale
44
Figura 5: Distribuzione provinciale dei cambiamenti nell’orario settimanale
Fonte: Rilevazione integrativa delle scuole primarie statali 2004-11 (MIUR)
Alla luce delle evidenze descrittive discusse, consideriamo ora l’effetto causale della riforma sui
diversi input scolastici. La Tabella 7 riporta le stime di tale effetto ottenute dagli autori con regressioni
multivariate che implementano l’idea dello stimatore differenza nelle differenze (difference in
differences) spiegato nel prossimo capitolo. Gli effetti sono calcolati confrontando quello che è
successo dopo l’introduzione della riforma con la nostra stima di quello che sarebbe successo in
assenza della stessa. Tale approccio si basa sulla definizione di “effetto” che segue il paradigma
controfattuale. L’idea sottostante la stima ha una spiegazione molto intuitiva. Per fissare le idee,
consideriamo solo l’informazione proveniente da una scuola. Per tale unità abbiamo a disposizione
input (ad esempio, tempo-scuola) in tutte le classi per anni pre- e post-riforma. L’organizzazione di
tutte le classi della scuola non è influenzata dall’intervento fino all’anno scolastico 2008/09.
Dall’anno successivo, e in maniera incrementale con il passare del tempo, le classi all’interno della
scuola risultano esposte dalle classi prime. Ovvero, i provvedimenti previsti dalla riforma diventano
45
obbligatori nell’anno 2009/10 per le classi prime, nell’anno 2010/11 per le classi prime e seconde e
così via.
La strategia di stima permette di verificare se la serie storica degli input relativi alle classi prime
subisce un cambiamento dall’anno 2009/10, se la serie delle classi seconde subisce un cambiamento
dall’anno 2010/11, e così via. L’informazione longitudinale (o da serie storica) per periodi a cavallo
della riforma, insieme al fatto che la riforma è introdotta gradualmente nei gradi della primaria,
permettono di evidenziare eventuali discontinuità che conseguono dalla messa a regime della legge
Gelmini. In ogni anno a partire dal 2009/10 i dati amministrativi si riferiscono a classi “esposte” e a
classi “controllo”, e per tali classi sono a disposizione molteplici osservazioni in un arco temporale
che spazia da prima a dopo l’intervento. Pertanto tale disegno sfrutta variabilità nel livello di
“trattamento” in un certo periodo (ovvero, la classe interessata dalla legge Gelmini), e variabilità
temporale che permette di osservare input a livello di classe prima che la riforma sia stata introdotta.
La logica utilizzata per stabilire questo confronto è poi estesa all’intera popolazione delle scuole in
Italia, o in Piemonte – come vedremo in seguito – considerando aggregati medi per l’area d'interesse.
Gli output forniti dal software econometrico utilizzato per le elaborazioni sono riportati nelle Tabelle
A1 e A2 dell’Appendice alla fine del capitolo.4
I risultati per la regione Piemonte sono riportati separatamente; in questo modo è possibile
apprezzare la differenza con le quantità stimate a livello nazionale. L’unità statistica di analisi è
rappresentata dalla scuola/classe, cioè ogni classe nella scuola rappresenta una osservazione. Gli anni
utilizzati vanno dal 2004 al 2011, quindi 5 anni pre-riforma e 3 anni post-riforma. Nella tabella
abbiamo riportato solo il coefficiente della variabile d'interesse “Riforma” che è stata costruita come
una variabile binaria pari a 1 per tutte le classi interessate. Il numero di osservazioni è all’incirca poco
più di 600.000 per l’Italia e poco più di 50.000 per il Piemonte, con possibili riduzioni in caso
d'informazioni mancanti sulle variabili dipendenti.
Le prime due colonne riportano l’effetto della riforma sul numero di classi, che è non significativo
sia per l’Italia (colonna 1) che per il Piemonte (colonna 2). Questo risultato rispecchia quando
4 Nelle regressioni abbiamo anche tenuto conto degli effetti temporali, controllando per l’anno di analisi, e della classe
frequentata dagli studenti. L’analisi di regressione che abbiamo implementato permette di quantificare gli effetti della
riforma utilizzando un disegno di differenza nelle differenze: l’assunzione sottostante alle nostre analisi è che, in assenza
della riforma, il trend osservato negli input considerati per le classi della scuola primaria non toccate dalla riforma sia una
buona approssimazione del trend che si sarebbe osservato per le classi della scuola primaria interessate dalla riforma
qualora quest’ultima non avesse avuto luogo.
46
mostrato nella Figura 3. Gli effetti della riforma sulla dimensione di classe sono significativi (colonne
3 e 4). In particolare la riforma ha prodotto un incremento della dimensione di classe di 0,27 studenti
in Italia (0,31 studenti in Piemonte). Questo risultato è coerente con l’obiettivo fissato dalla legge che
prevedeva un incremento del numero di studenti per classe di 0,40 (Art 2, 2e) (Decreto del Presidente
della Repubblica 20 marzo 2009). Ciò detto, l’incremento osservato – pur essendo statisticamente
significativo – non appare essere quantitativamente rilevante.
Tabella 7: Effetto della riforma sui principali input scolastici: Italia e Piemonte
(1) (2) (3) (4) (5) (6)
Numero Numero Dimensione Dimensione Ore di Ore di
VARIABILI di classi di classi classe classe scuola scuola
Riforma 0.0004 -0.0059 0.2697*** 0.3096*** 0.1607*** -0.1984***
(0.004) (0.010) (0.027) (0.095) (0.016) (0.048)
Osservazioni 629,175 53,320 560,107 43,464 615,061 52,377
Area Italia Piemonte Italia Piemonte Italia Piemonte
Fonte: Rilevazione integrativa delle scuole primarie statali 2004-11 (MIUR)
Note: Significatività statistica: *** p<0.01, ** p<0.05, * p<0.1
E’ interessante notare che gli effetti della riforma sulle ore trascorse a scuola sono diversi tra
l’Italia (colonna 5) e il Piemonte (colonna 6). In particolare in media per l’Italia il tempo-scuola è
aumentato di 0.16 ore mentre in Piemonte è diminuito di 0.20 ore. Questo risultato potrebbe essere
spiegato dal fatto che, come mostrato in Figura 1 del Capitolo 1, il Piemonte è stata una delle regioni
in Italia in cui il take-up rate dell’orario a 24 ore è stato più elevato (anche se sempre molto basso in
valore assoluto) e quindi il monte ore complessivo si è in media abbassato. Volendo investigare in
dettaglio in che modo l’offerta oraria si sia modificata nelle scuole in seguito all’introduzione della
riforma, abbiamo analizzato l’effetto della riforma sulla percentuale di studenti impegnati fino a 27
ore (Colonne 7 e 8), sulla percentuale di studenti impegnati tra le 28 e le 39 ore (colonne 9 e 10) e
sulla percentuale di studenti frequentanti a tempo pieno (colonne 11 e 12). Come già evidenziato a
livello descrittivo nelle tabelle 2-5, la tabella 7 (colonne 7-12) mostra una chiara polarizzazione
dell’orario a seguito della riforma con una riduzione degli studenti frequentanti la fascia oraria
(7) (8) (9) (10) (11) (12) (13) (14)
% alunni % alunni % alunni % alunni % alunni % alunni % classi % classi
VARIABILI a 27 ore a 27 ore a 28-39 a 28-39 a 40 ore a 40 ore a 40 ore a 40 ore
Riforma 0.0911*** 0.1204*** -0.1345*** -0.1367*** 0.0434*** 0.0162*** 0.0456*** 0.0215***
(0.002) (0.007) (0.002) (0.008) (0.001) (0.004) (0.002) (0.005)
Osservazioni 615,523 52,406 615,497 52,406 615,497 52,406 559,874 43,459 Area Italia Piemonte Italia Piemonte Italia Piemonte Italia Piemonte
47
centrale a favore di uno spostamento sia sulle 27 ore che sulle 40 ore. Questo è vero sia per l’Italia
nel suo complesso che per il Piemonte in particolare, ma a fronte di una riduzione simile di studenti
con regime orario tra le 28 e le 39 ore, la riforma ha prodotto in Piemonte uno spostamento maggiore
rispetto alla media italiana verso le 27 ore (colonna 8 vs colonna 7). Questo andamento è confermato
anche dall’effetto della riforma sulla percentuale di classi a 40 ore (colonne 13 e 14) che sono
aumentate dopo la riforma ma di quasi il doppio in media in Italia rispetto al Piemonte. L’aumento
del numero di classi a tempo pieno non è conforme allo spirito originario della riforma che non
prevedeva la creazione di classi a 40 ore se non quelle necessarie a completare cicli già esistenti.
Tuttavia, come evidenziato nella sezione 2 del Capitolo 1, il Ministero ha operato con una certa
flessibilità a seguito della forte opposizione di famiglie e sindacati alla riforma. La Figura 6, infine,
mostra la distribuzione provinciale dei cambiamenti nella percentuale di studenti frequentanti il
tempo pieno dopo la riforma. Il grafico conferma che nel Piemonte l’opzione del tempo-pieno non ha
subito variazioni sostanziali rispetto al periodo pre-riforma mentre in alcune altre regioni, in
particolare in Puglia, Lombardia, Basilica e Sardegna, le scuole si sono spostate, in misura maggiore
dopo la riforma, verso l’offerta oraria del tempo pieno.
48
Figura 6: Cambiamenti nella % di studenti frequentanti classi a tempo pieno (40 ore)
Fonte: Rilevazione integrativa delle scuole primarie statali 2004-11 (MIUR)
Nella tabella 8 abbiamo analizzato l’effetto della riforma sul numero d'insegnanti e sul rapporto
studenti per insegnante. In questo caso l’unità di analisi è rappresentata dall’istituto e non dalla scuola.
Questa è stata una scelta forzata, dettata dal fatto che il dato sul numero d'insegnanti fornito dal MIUR
si riferisce agli istituti e non ai singoli plessi e non è neanche possibile conoscere il numero
d'insegnanti per ciascuna classe. Di conseguenza l’effetto della riforma è identificato semplicemente
tramite le dummy di anno dopo il 2009. In particolare, l’analisi è stata condotta per stimare effetti
sulla dimensione d'interesse distinguendo per anno d'implementazione dell’intervento. Ad esempio,
la colonna 3 dice che nel 2008 la variazione rispetto al 2007 del rapporto studenti/insegnanti è
statisticamente non significativa e pari a 0,0084 studenti. Nel 2009, primo anno della riforma, la
variazione rispetto al 2008 è pari a 0,5017 studenti, e statisticamente diversa da zero. Nel 2010, la
variazione rispetto al 2009 è di 0,1738 studenti, implicando una variazione complessiva nei primi due
anni della riforma di 0,5017+0,1738 = 0,6755 studenti.
49
Tabella 8: Effetto della riforma sul numero d'insegnanti e sul rapporto studenti per insegnante
VARIABILE
Numero di
insegnanti
(log)
Numero di
insegnanti
(log)
Rapporto
studenti per
insegnante
Rapporto
studenti per
insegnante (1) (2) (3) (4) Anno ≥ 2008 0.0005 0.0191*** 0.0084 -0.1853*** (0.001) (0.005) (0.038) (0.047) Anno ≥ 2009 -0.0497*** -0.0465*** 0.5017*** 0.4385*** (0.001) (0.004) (0.023) (0.036) Anno ≥ 2010 -0.0167*** -0.0272*** 0.1738*** 0.2651*** (0.001) (0.004) (0.015) (0.041) Anno 2011 -0.0245*** -0.0362*** 0.2514*** 0.3561*** (0.001) (0.004) (0.016) (0.040) Costante -1.3389*** -1.1446** 9.5329*** 9.1416*** (0.095) (0.564) (0.022) (0.042) Osservazioni 30,485 1,939 30,485 1,939 R2 0.984 0.984 0.758 0.849 Unità statistica Istituto Istituto Istituto Istituto Periodo 2007-2011 2007-2011 2007-2011 2007-2011 Area Italia Piemonte Italia Piemonte
Fonte: Rilevazione integrativa delle scuole primarie statali 2004-11 (MIUR), Dati sul numero d'insegnanti
elaborati ad hoc dal MIUR
Note: Errori standard robusti in parentesi: *** p<0.01, ** p<0.05, * p<0.1
Le colonne 1 e 2 confermano che con l’ingresso della riforma c’è stata un'effettiva riduzione nel
numero d'insegnanti impiegati e la riduzione è stata simile in Italia e in Piemonte. Complessivamente,
stimiamo che il numero d'insegnanti sia diminuito del 0,0497 + 0,0167 + 0,0245 = 0,0909 (circa
9,1%) in Italia, e 0,0465 + 0,0272 + 0,0362 = 0,1099 (circa 11%) in Piemonte, dove negli anni pre-
riforma c’era un trend positivo nel numero d'insegnanti impiegati dalle scuole (la variazione di
0,0191, circa 2%, nella colonna 2 si riferisce al cambio tra 2007 e 2008). A tale proposito, è
importante considerare le differenze con l’andamento della stessa serie storica per l’intero paese nei
periodi pre 2009 (Figura 3). L’obiettivo della riforma era di aumentare di 1 punto il rapporto studenti
per insegnante. Come si evince dalla tabella 8, colonne 3 e 4, c’è stato un effettivo aumento di questo
rapporto, sia in Italia che in Piemonte, anche se leggermente più contenuto rispetto al valore teorico
suggerito dal Ministero per l’intero paese. In particolare, stimiamo che tale rapporto nel primo
triennio di implementazione della legge Gelmini sia cambiato di 0,6755 studenti in Italia e di 1,0597
studenti in Piemonte. In quest’ultimo caso, il primo valore riportato nella colonna 4 della tabella fa
capire che la riforma ha invertito la tendenza in atto prima dell’approvazione della legge.
50
6. Conclusioni e principali risultati del capitolo
Nel presente capitolo abbiamo offerto una rigorosa descrizione di cosa sia successo agli input
scolastici nei primi tre anni d'implementazione della riforma. Abbiamo documentato l’andamento dei
principali fattori (numero di studenti, numero di scuole, numero di classi, numero d'insegnanti,
dimensione delle classi, rapporto studenti/insegnante) a partire dal 1946 fino al 2012, per poi
concentrarci sull’offerta oraria delle scuole. Abbiamo documentato come la riforma abbia causato
una maggiore concentrazione di classi organizzate a modulo in 27 ore settimanali. Le scuole hanno
reagito tagliando i profili orari “intermedi” tra il minimo di legge e il tempo pieno. Tuttavia, non è
corretto affermare che la riforma abbia impedito alle scuole l’organizzazione di classi a tempo pieno.
Al contrario, come abbiamo visto, tale numero è aumentato, e alla luce dei dati a disposizione è
difficile dire se ciò sia avvenuto senza venire incontro alla domanda da parte dei genitori.
E’ certamente vero che, aumentando il numero di classi organizzate a modulo di 27 ore settimanali,
non essendo stata sfruttata la possibilità del profilo orario a 24 ore, ed essendo aumentato il numero
di classi a tempo pieno, l’effetto complessivo sul tempo-scuola è stato complessivamente non
sostanziale. Come abbiamo visto, le nostre stime indicano che il tempo-scuola si è ridotto di circa
un’ora alla settimana, ovvero circa 33 ore nell’intero anno scolastico. Abbiamo tuttavia documentato
variazioni non trascurabili tra aree diverse del paese. I risultati per il Piemonte si allineano con le
stime nazionali.
Abbiamo infine guardato al rapporto tra studenti e insegnanti, un indicatore spesso considerato in
letteratura per valutare la qualità dell’insegnamento. Tale rapporto è cresciuto nel paese come
meccanica conseguenza della riduzione d'insegnanti, ma in modo inferiore a quanto originariamente
previsto dalla legge. Le nostre stime ci portano a concludere che ci sia stato un aumento di 0.6755
studenti. Se consideriamo il Piemonte, al contrario, l’aumento sembra essere stato molto più
importante, e superiore a quanto stabilito dalla legge (1,0597). Abbiamo tuttavia discusso che la serie
storica del numero d'insegnanti nelle scuole del Piemonte era caratterizzata da un trend crescente pre-
riforma, diversamente dalla stessa serie calcolata per l’intero paese che era sostanzialmente piatta.
Infine, abbiamo documentato un aumento della dimensione media della classe di 0,3 studenti in
media nel paese. Complessivamente possiamo concludere polarizzazione del tempo-scuola, aumento
del rapporto studenti/insegnanti, aumento della numerosità delle classi e abolizione della
compresenza sono stati gli input scolastici cambiato dalla riforma.
51
Appendice
Risultati delle analisi multivariate
Tabella A1: Effetto della riforma sul numero di classi, sulla dimensione delle classi, sulle ore di tempo-scuola in
Italia e in Piemonte.
Numero di
classi
Numero di
classi
Dimensione di
classe
Dimensione di
classe
Ore di tempo-
scuola
Ore di tempo-
scuola
VARIABILI (1) (2) (3) (4) (5) (6)
Riforma 0.0004 -0.0059 0.2697*** 0.3096*** 0.1607*** -0.1984***
(0.004) (0.010) (0.027) (0.095) (0.016) (0.048) Anno ≥ 2005 0.0009 0.0190*** 0.0873*** 0.1481*** -0.0418** -0.3171***
(0.001) (0.005) (0.010) (0.037) (0.019) (0.074)
Anno ≥ 2006 0.0177*** 0.0301*** 0.0587*** 0.1767*** 0.1255*** 0.3680***
(0.002) (0.005) (0.011) (0.039) (0.015) (0.061)
Anno ≥ 2007 -0.0045*** -0.0039 0.0956*** 0.1715*** 0.0238* 0.0989**
(0.001) (0.005) (0.010) (0.036) (0.012) (0.045)
Anno ≥ 2008 -0.0150*** -0.0075 0.0312*** 0.0878** 0.0405*** 0.0024
(0.001) (0.005) (0.010) (0.036) (0.013) (0.049)
Anno ≥ 2009 -0.0077*** -0.0052 0.0488*** 0.0851** 0.2310*** 0.0186
(0.002) (0.005) (0.012) (0.037) (0.015) (0.055)
Anno ≥ 2010 -0.0166*** -0.0157*** 0.1248*** 0.1815*** -0.1062*** -0.1509***
(0.002) (0.006) (0.013) (0.046) (0.011) (0.048)
Anno 2011 -0.0116*** 0.0072 0.0623*** -0.0098 -0.2578*** -0.4521***
(0.002) (0.007) (0.013) (0.048) (0.012) (0.051)
Classe II -0.0072*** -0.0241*** -0.0378*** -0.0763*** -0.0059* 0.0012
(0.001) (0.003) (0.008) (0.028) (0.003) (0.014)
Classe III -0.0004 -0.0197*** -0.0553*** -0.1345*** 0.0343*** 0.1101***
(0.002) (0.005) (0.012) (0.039) (0.005) (0.020)
Classe IV -0.0040 -0.0353*** -0.0228 -0.1389*** 0.0336*** 0.1385***
(0.003) (0.006) (0.014) (0.048) (0.006) (0.022)
Classe V 0.0082*** -0.0243*** 0.0357** -0.1222** 0.0087 0.1248***
(0.003) (0.007) (0.017) (0.057) (0.006) (0.024)
Intercetta 1.6929*** 1.3526*** 17.6465*** 17.0424*** 31.9806*** 33.1397***
(0.002) (0.005) (0.012) (0.040) (0.015) (0.056)
Osservazioni 629,175 53,320 560,107 43,464 615,061 52,377
Area Italia Piemonte Italia Piemonte Italia Piemonte
Fonte: Rilevazione integrativa delle scuole primarie statali 2004-11 (MIUR)
Note: Errori standard robusti in parentesi: *** p<0.01, ** p<0.05, * p<0.1
52
Tabella A2: Effetto della riforma sulla percentuale di studenti nei diversi profili orari e sulla percentuali di classi
a tempo pieno in Italia e in Piemonte.
% studenti % studenti % studenti % studenti % studenti % studenti % classi % classi
a 27 ore a 27 ore a 28-39 ore a 28-39 ore a 40 ore a 40 ore a 40 ore a 40 ore
VARIABILI (1) (2) (3) (4) (5) (6) (7) (8)
Riforma 0.0911*** 0.1204*** -0.1345*** -0.1367*** 0.0434*** 0.0162*** 0.0456*** 0.0215***
(0.002) (0.007) (0.002) (0.008) (0.001) (0.004) (0.002) (0.005)
Anno ≥ 2005 -0.0743*** -0.0451*** 0.1048*** 0.0929*** -0.0257*** -0.0440*** -0.0324*** -0.0551***
(0.002) (0.006) (0.003) (0.009) (0.002) (0.007) (0.002) (0.009)
Anno ≥ 2006 -0.0092*** -0.0225*** -0.0008 -0.0076 0.0097*** 0.0301*** -0.0017 0.0114
(0.002) (0.005) (0.002) (0.008) (0.001) (0.006) (0.002) (0.008) Anno ≥ 2007 0.0065*** 0.0112** -0.0109*** -0.0244*** 0.0043*** 0.0132*** 0.0149*** 0.0077
(0.002) (0.005) (0.002) (0.006) (0.001) (0.004) (0.002) (0.008)
Anno ≥ 2008 -0.0028* -0.0113*** -0.0005 0.0145** 0.0032*** -0.0031 0.0259*** 0.0327***
(0.001) (0.004) (0.002) (0.006) (0.001) (0.005) (0.002) (0.007)
Anno ≥ 2009 -0.0065*** 0.0000 -0.0146*** -0.0019 0.0212*** 0.0019 0.0120*** 0.0095
(0.002) (0.005) (0.002) (0.007) (0.001) (0.005) (0.001) (0.006)
Anno ≥ 2010 0.0311*** 0.0369*** -0.0298*** -0.0329*** -0.0013 -0.0040 -0.0028*** -0.0079
(0.002) (0.006) (0.002) (0.007) (0.001) (0.004) (0.001) (0.005)
Anno 2011 0.0769*** 0.1011*** -0.0743*** -0.0862*** -0.0028*** -0.0149*** 0.0008 -0.0128***
(0.002) (0.008) (0.002) (0.008) (0.001) (0.004) (0.001) (0.005)
Classe II -0.0062*** -0.0106*** 0.0086*** 0.0136*** -0.0024*** -0.0030*** -0.0025*** -0.0037**
(0.001) (0.002) (0.001) (0.002) (0.000) (0.001) (0.000) (0.001) Classe III -0.0238*** -0.0469*** 0.0275*** 0.0499*** -0.0037*** -0.0030** -0.0043*** -0.0043**
(0.001) (0.005) (0.001) (0.005) (0.000) (0.001) (0.000) (0.002)
Classe IV -0.0302*** -0.0592*** 0.0359*** 0.0630*** -0.0057*** -0.0039** -0.0063*** -0.0030
(0.001) (0.005) (0.001) (0.005) (0.000) (0.002) (0.001) (0.002)
Classe V -0.0304*** -0.0592*** 0.0387*** 0.0644*** -0.0083*** -0.0053*** -0.0089*** -0.0036
(0.001) (0.005) (0.001) (0.005) (0.001) (0.002) (0.001) (0.002)
Intercetta 0.1417*** 0.1554*** 0.6140*** 0.4814*** 0.2398*** 0.3593*** 0.2389*** 0.4000***
(0.002) (0.006) (0.002) (0.008) (0.001) (0.005) (0.001) (0.006)
Osservazioni 615,523 52,406 615,497 52,406 615,497 52,406 559,874 43,459
Area Italia Piemonte Italia Piemonte Italia Piemonte Italia Piemonte
Fonte: Rilevazione integrativa delle scuole primarie statali 2004-11 (MIUR)
Note: Errori standard robusti in parentesi: *** p<0.01, ** p<0.05, * p<0.1
53
Capitolo 3
EFFETTO DELLA RIFORMA SUGLI APPRENDIMENTI DEGLI
STUDENTI
1. Introduzione
L’obiettivo del presente capitolo è misurare gli effetti della riforma sugli apprendimenti degli studenti
utilizzando i dati INVALSI per gli anni scolastici 2008/09, 2009/10, 2010/11 e 2011/12. Qualunque
cambiamento che generi un impatto sullo sviluppo cognitivo dei bambini deve essere oggetto di
approfondito studio, soprattutto per le possibili implicazioni nel lungo periodo. Tuttavia nel contesto
di riforme scolastiche la valutazione degli effetti non è un compito sempre agevole in Italia. Come
accade per molti degli interventi pubblici nel nostro paese, l’implementazione di riforme così
importanti non è pianificata insieme con un rigoroso disegno per valutarne gli effetti sulle dimensioni
d'interesse. La riforma in oggetto è un ottimo esempio di questa pratica, che a tutti gli effetti ci
distanzia non poco da altri paesi europei dove la consapevolezza dell’importanza di esercizi di
valutazione è invece stata maturata da molto tempo.
Per poter valutare adeguatamente gli effetti della riforma avremmo dovuto infatti condurre un
esperimento in cui un gruppo di studenti selezionati in modo casuale fosse soggetto alla riforma
(gruppo dei trattati) e un gruppo di studenti, sempre selezionati casualmente, fosse escluso
dall’intervento (gruppo dei controlli). Un disegno sperimentale così pensato avrebbe permesso di
stimare l’effetto d'interesse tramite un semplice confronto fra le medie degli esiti scolastici dei due
gruppi di studenti. Questo perché, essendo gli studenti scelti in modo casuale, le loro caratteristiche
osservabili sarebbero state identiche in media.5 In molti paesi del Nord Europa la messa in atto di
studi pilota, ovvero studi condotti su piccola scala prima di estendere l’intervento all’intero paese, è
tipicamente utilizzata dai policy makers per stabilire il modo più efficace di utilizzare (o di contenere,
come nel caso della legge Gelmini) l’investimento pubblico. Al contrario, la riforma Gelmini è stata
introdotta sull’intero territorio nazionale senza un disegno di valutazione d'impatto sottostante. La
difficoltà che nasce per valutarne gli effetti segue dalla mancanza di un gruppo di controllo generato
5 Per completezza di informazione bisogna dire che nelle scienze sociali l’utilizzo degli esperimenti è reso molto
difficoltoso da un complesso di ragioni giuridiche, etiche o legate al consenso relative all’esperimento stesso.
54
tramite esperimento. Questo ha comportato l’utilizzo di metodi di stima quasi-sperimentali, nel nostro
caso il metodo delle differenze-nelle-differenze, in cui il gruppo di controllo viene costruito
artificialmente dai ricercatori in modo tale da costruire un contesto quanto più possibile vicino
all’esperimento.
Il presente capitolo è organizzato come segue. Nella sezione 2 descriviamo la fonte dati utilizzata.
Nella sezione 3 illustriamo la metodologia delle differenze-nelle-differenze impiegata per
determinare l’effetto d'interesse. Nella sezione 4 illustriamo i problemi connessi con l’identificazione
del parametro d'interesse. La sezione 5 è dedicata alla presentazione delle statistiche descrittive,
mentre gli effetti della riforma vengono presentati nella sezione 6. La sezione 7 conclude.
2. I dati SNV
I dati utilizzati nel presente capitolo sono prodotti dall’INVALSI (Istituto Nazionale per la
Valutazione del Sistema Educativo) attraverso il Servizio Nazionale di Valutazione (SNV) per gli
anni scolastici 2008/09, 2009/10, 2010/11 e 2011/12. Gli anni a disposizione coprono studenti nelle
ultime due coorti prima e nelle prime due coorti dopo l’implementazione della riforma. La scelta degli
anni scolastici utilizzati per le analisi è stata forzata dalla necessità di abbinare gli identificativi delle
scuole nei dati INVALSI con il codice meccanografico disponibile al Ministero dell’Istruzione e,
tramite quest’ultimo, informazione amministrativa utile per le analisi. Purtroppo non è stato ancora
possibile utilizzare i dati sugli apprendimenti per l’anno scolastico 2012/13 messi a disposizione da
INVALSI solo recentemente e non ancora rilasciati agli autori di questo lavoro.
L’SNV raccoglie dati su base annuale relativi ai risultati di test standardizzati in Matematica e in
Italiano per studenti iscritti alle seconde e quinte classi della scuola primaria.6 I test sono
generalmente condotti in due giornate diverse nel mese di maggio. Nel 2008 la partecipazione delle
scuole al test era su base volontaria; tuttavia un campione rappresentativo di scuole su base nazionale
è stato selezionato per sottoporre la procedura di amministrazione del test e la correzione al controllo
di un osservatore esterno. Circa il 95% delle scuole selezionate per essere monitorate dall’osservatore
ha effettivamente scelto di partecipare. L’obiettivo della selezione era di avere comunque un
campione rappresentativo a livello nazionale anche con una procedura di partecipazione volontaria.
Dall’anno 2009/10 la partecipazione delle scuole e degli studenti è diventata obbligatoria per legge,
6 L’INVALSI raccoglie dati anche sulla prime e terze classi della scuola secondaria inferiore e sulle seconde classi
della scuola secondaria superiore. La loro analisi va oltre gli scopi della presente analisi.
55
permettendo così all’INVALSI di raccogliere dati su tutti gli studenti iscritti nelle due classi
menzionate della scuola elementare. Poiché i test sono amministrati dagli insegnanti della scuola,
l’INVALSI, al fine di assicurare l’affidabilità dei risultati, ha continuato a prevedere l’invio di
esaminatori esterni ad un gruppo di scuole e classi selezionate a caso (random) e tali da essere
rappresentative della popolazione italiana.
L’assegnazione dell’esaminatore esterno agli istituti è determinata con una probabilità
proporzionale al numero d’iscritti nell’anno di somministrazione del test. Il campionamento è inoltre
stratificato per regione. All’interno degli istituti campionati, le classi cui assegnare l’esaminatore
esterno dovrebbero essere scelte casualmente; la regola (non scritta) è che viene selezionata una classe
nel caso in cui il numero totale d'iscritti in seconda (o in quinta) sia all’incirca inferiore a 100 e due
classi nel caso in cui questo numero sia superiore a 100. Quindi in generale, negli istituti piccoli a cui
viene assegnato un esaminatore esterno, due classi (una seconda e una quinta) dovrebbero essere
monitorate, mentre negli istituti grandi l’esaminatore esterno dovrebbe essere assegnato a 4 classi
(due seconde e due quinte).
Tuttavia, le nostre analisi rivelano che in pratica la scelta delle classi all’interno degli istituti non
è avvenuta in modo casuale e gli esaminatori sono assegnati con maggiore probabilità alle classi più
numerose, cioè quelle per cui il carico di lavoro nel controllo e nella correzione è maggiore. Molto
probabilmente ciò è il risultato di una contrattazione tra dirigenti scolastici e INVALSI. Gli
osservatori esterni sono selezionati tra un pool d’insegnanti in pensione che nei due anni precedenti
al test non hanno lavorato nella città o nella scuola alla quale sono assegnati. I test sono amministrati
dagli insegnanti della scuola (anche se non della stessa classe e materia) e dagli esaminatori esterni
(qualora presenti), ai quali è richiesto il compito di supervisionare la somministrazione del test e
ricopiare le risposte degli studenti su una scheda risposta a lettura ottica. Le schede risposta devono
poi essere trasferite all’INVALSI tramite corriere (entro lo stesso pomeriggio alla presenza di un
osservatore esterno, entro pochi giorni nel caso di presenza solo d'insegnanti della scuola).7 E’
importante sottolineare che il processo di trascrizione sulla scheda risposta non è una procedura
passiva. Poiché il test è composto di domande a risposta multipla e domande aperte, la trascrizione
richiede talvolta anche di interpretare le risposte degli studenti come corrette, errate o mancanti.
Ovviamente questo processo lascia aperta la porta a possibilità di manipolazione dei risultati dei test
da parte degli insegnanti. Ciò comporta che i risultati dei test controllati da osservatori esterni possono
7 Per i dettagli sulla somministrazione dei test e le procedure amministrative consultare il sito http://www.invalsi.it.
56
essere considerati esenti da manipolazione e rappresentano pertanto un benchmark rispetto a cui
interpretare i risultati ottenuti.
I risultati dei test sono riportati nella forma di numero di risposte corrette. Per assicurare la
comparabilità tra anni e materie, nell’analisi principale abbiamo utilizzato come indicatore di
performance nel test la percentuale di risposte corrette.
Insieme ai dati sui test degli studenti, l’INVALSI raccoglie anche dati di contesto. In particolare
vengono raccolte informazioni dalla segreteria o tramite un questionario-studente sullo stato socio-
economico delle famiglie, le risorse familiari, istruzione, occupazione, e luogo di nascita dei genitori,
cittadinanza, genere, luogo di nascita ed età dello studente. Inoltre sono incluse informazioni su
iscrizioni in anticipo o in ritardo rispetto all’età corretta d'iscrizione a scuola dello studente. La somma
del numero dei record registrati per classe fornisce il numero dei test-takers che può non coincidere
con il numero di bambini effettivamente iscritti nella classe.
Ai dati INVALSI abbiamo poi legato (via codice meccanografico) informazioni amministrative
ottenute dal Ministero dell’Istruzione. In particolare, la dimensione effettiva della classe è ottenuta
come numero di studenti iscritti nella classe all’inizio dell’anno scolastico. Allo stesso modo si può
ottenere il numero totale di alunni iscritti alle classi seconde e alle classi quinte nel plesso e
nell’istituto. Il linkage tra dati INVALSI e dati del Ministero, pur essendo logicamente molto facile
da comprendere, non è avvenuto con procedure automatiche ed è stato compiuto per noi dai tecnici
dell’INVALSI. La messa a punto del database utilizzato per le analisi che seguono ha richiesto più di
un anno di lavoro.
Occorre ricordare che le scuole sono organizzate in plessi (l’unità fisica) che a loro volta possono
essere raggruppati in istituti (l’unità amministrativa che può raccogliere diversi plessi). Mentre la
suddivisione in classi avviene tenendo conto del numero d'iscritti in ogni plesso, le informazioni
amministrative sull’organico (fonte MIUR) sono relative all’istituto, quindi è impossibile determinare
sia in numero d'insegnanti assegnati ad ogni plesso, sia il numero effettivo d'insegnanti per ogni
classe. Dalla nostra analisi sono esclusi il 10% circa di studenti che frequentano le scuole private per
concentrarci sulle scuole pubbliche.
La nostra analisi statistica si concentra sugli istituti, poiché per il 2008 non è possibile identificare
né il plesso né la classe. La richiesta all’INVALSI di fornire queste due informazioni nel mese di
Luglio 2014 ancora non è stata evasa. Rimane pur vero che una delle variabili d’interesse in questo
contesto è rappresentata dal numero d'insegnanti che, come spiegato in precedenza, è disponibile solo
a livello di istituto scolastico. Di conseguenza, abbiamo scelto di sintetizzare le informazioni riportate
57
nei dati usando le medie per istituto. Ciò significa che tutte le variabili utilizzate sono state riportate
a livello di aggregazione di istituto.
Ai fini di interpretare le analisi che seguono, è bene documentare alcune caratteristiche di contesto
riguardanti l’indagine INVALSI. Il sospetto che i risultati dei test siano potenzialmente manipolati
dalle scuole è stato messo in luce più volte sia dai media che dai ricercatori che hanno utilizzato i
micro-dati messi a disposizione (vedere Battistin et al. 2014, Angrist et al. 2014, Bertoni et al. 2013).
Figura 1: Tasso di manipolazione nel test di matematica per provincia
Fonte: SVN 2009/10, SNV 2010/11, SNV 2011/12
La Figura 1 riproduce le stime di manipolazione dei test di matematica calcolate dall’INVALSI per
ogni classe e aggregate da noi a livello provinciale. L’indicatore di manipolazione identifica le classi
in cui i test sono stati manipolati attraverso l’utilizzo di un modello statistico che combina
informazioni a livello di classe su elevati valori medi dei test, bassa variabilità dei risultati del test,
basso tasso di risposte mancanti e pattern anomali di risposte (per esempio tutte le domande difficili
con risposte corrette e tutte le domande facili con risposte errate). La variabile di manipolazione
INVALSI identifica perciò le classi con una distribuzione anomala degli esiti dei test imputando una
probabilità di manipolazione a ciascuna classe (vedere Quintano et al., 2009 e INVALSI, 2010).
58
Questa misura produce una stima del tasso di manipolazione a livello nazionale di circa il 5%.
Tuttavia questo dato nasconde un’elevata variabilità tra aree poiché nel Sud la proporzione di test
manipolati raggiunge circa il 14% con punte del 20% in alcune province. A titolo esemplificativo, la
Sicilia ha un tasso del 16% di test manipolati mentre nel Veneto le classi che presumibilmente
manipolano sono meno dell’1%. Ciò testimonia l’esistenza di un gradiente regionale notevole nella
propensione a manipolare.
La seconda caratteristica importante dei test INVALSI è che, per gli anni considerati in questo
rapporto, i punteggi non sono ancorati nel tempo né tra classi (II e V primaria). Ciò significa che i
punteggi al test delle seconde in due anni consecutivi non denotano competenze nella materia
d'interesse (matematica o italiano) misurate sulla stessa scala. Tuttavia, INVALSI garantisce che il
livello di difficoltà delle domande sia ragionevolmente costante in anni diversi. Inoltre, la mancanza
di ancoraggio tra classi seconde e quinte non permette di costruire misure di valore aggiunto a livello
di bambino.
Figura 2: Distribuzione del livello di difficoltà nei test in matematica e
italiano, separatamente per classe e anno
Fonte: SVN 2008/09, SNV 2009/10, SNV 2010/11, SNV 2011-12
La Figura 2 chiarisce le limitazioni per l’analisi che seguono dalla mancanza di ancoraggio. Il
grafico di sinistra riporta una misura del livello di difficoltà del test in matematica per gli anni
considerati, separatamente per i due gradi. Il grafico di destra si riferisce invece al test in italiano. La
definizione di grado di difficoltà è del tutto convenzionale, e ottenuta selezionando solo studenti in
59
scuole monitorate della regione con la minore incidenza di manipolazione, cioè il Veneto. L’asse
verticale della Figura 2 riporta la percentuale di risposte corrette al test per tali studenti. Più elevata è
questa percentuale, minore è il livello di difficoltà al test con riferimento alla distribuzione delle
abilità degli studenti del Veneto. La scelta di usare il Veneto è, ovviamente, del tutto convenzionale.
Relazioni del tutto simili si possono trovare replicando lo stesso grafico per altre regioni. La
motivazione per la nostra scelta è di limitare la distorsione nei coefficienti di difficoltà considerando
un gruppo di studenti per cui l’indicatore di manipolazione sviluppato da INVALSI è sostanzialmente
nullo.
Come discuteremo nelle sezioni seguenti, le analisi che seguono sono robuste rispetto a trend
temporali nel livello di difficoltà del test, a patto che tali trend siano gli stessi per i due gradi
considerati. In sostanza, dobbiamo assumere che i trend in Figura 2 siano paralleli. La ragione per
richiedere tale proprietà è facilmente intuibile (ma sarà spiegata in dettaglio nella sezione seguente):
utilizzando le classi quinte come controllo per le classi seconde, trend paralleli garantiscono che
differenze tra gradi nel livello di difficoltà siano costanti nel tempo. Solo in questo caso la
misurazione di cambiamenti degli apprendimenti nel tempo non è distorta da idiosincrasie specifiche
di classe e/o di anno.
Gli effetti della mancanza di ancoraggio, e della violazione dell’ipotesi di trend paralleli, sono
evidenti se si considerano i coefficienti di difficoltà per il 2011/12 in matematica. Fino all’anno
2010/11 l’ipotesi di trend paralleli tra i livelli di difficoltà sembra ragionevole. E’ difficilmente
pensabile che la caduta nella percentuale di risposte corrette per le quinte sia spiegabile con un “effetto
coorte” (ovvero studenti particolarmente meno bravi nella coorte 2011/12). Molto più probabile è la
spiegazione che i test per le quinte nel 2011/12 siano stati particolarmente “duri”, caratterizzati cioè
da un livello di difficoltà sostanzialmente maggiore del test dell’anno precedente e, soprattutto, molto
diverso da quello del test per le seconde. Simili commenti possono essere fatti se si considerano i test
in italiano (grafico di destra nella Figura 2).
Le analisi che seguono terranno in considerazione tali problemi, e saranno sviluppate per ottenere
conclusioni robuste rispetto agli effetti di manipolazione. Gli andamenti anomali per il 2011 nei livelli
di difficoltà e l’assenza di trend paralleli tra le seconde e le quinte classi nei test d’italiano giustificano
la scelta di proseguire l’analisi concentrandoci sui risultati dei test di matematica ed eliminando
l’anno scolastico 2011/12.
60
3. Metodologia
Per valutare l’impatto della riforma sugli apprendimenti dobbiamo stabilire quale sarebbe stato l’esito
scolastico degli studenti qualora l’intervento non avesse avuto luogo. Tale quantità, chiaramente non
osservabile, prende il nome di evento controfattuale. Per rispondere a questa domanda dobbiamo
prima di tutto identificare la popolazione obiettivo (cioè per chi si cerca l’effetto). Come descritto nel
Capitolo 1, la riforma è stata introdotta gradualmente a partire dall’anno scolastico 2009/10 nelle
prime classi della scuola primaria, per poi estendersi gradualmente anche alle seconde classi nel
2010/11, e così via. Il livello controfattuale degli apprendimenti va ricostruito per tale gruppo di
studenti. L’effetto della riforma è definito come differenza tra quanto si è osservato dopo la
realizzazione dell’intervento e quanto si sarebbe osservato in sua assenza. Mentre il primo termine di
questo confronto è osservabile, il secondo termine è ipotetico, non osservabile per definizione. In
altre parole, una volta messo in atto l’intervento, l’informazione sul comportamento degli studenti
nel caso ipotetico in cui l’intervento non avesse avuto luogo non può più essere osservata.
La strategia con cui si tenta di approssimare l’evento controfattuale è quella di osservare ciò che
accade a un opportuno insieme di soggetti non destinatari dell’intervento, e discutere sotto quali
condizioni questi possono approssimare ciò che sarebbe successo ai destinatari in assenza
d'intervento. Affinché questa strategia sia credibile, occorre che i due gruppi, destinatari e non
destinatari, abbiano caratteristiche simili, e quindi siano confrontabili. Per fissare le idee,
consideriamo studenti iscritti alla seconda o quinta elementare nell’anno scolastico 2008/09, e
studenti iscritti alla seconda o quinta elementare nell’anno scolastico 2010/11. La scelta di
considerare studenti di queste due classi dipende dalla disponibilità dell’informazione INVALSI sugli
apprendimenti. La scelta di considerare 2008/09 e 2010/11 segue dal fatto che sono, rispettivamente,
anni prima e dopo la messa in atto della legge Gelmini. Sempre per fissare le idee, dimentichiamoci
per un attimo che la riforma ha abolito la pratica della compresenza in tutte le classi della scuola
primaria. Ci occuperemo di isolare gli effetti di quest'ulteriore dimensione nelle analisi che seguono.
Sotto tali condizioni, solo uno dei quattro gruppi di studenti definito dall’incrocio di anni di
rilevazione e classe della scuola primaria è esposto ai cambiamenti indotti dalla riforma. Tale gruppo
è quello dagli studenti iscritti alla seconda elementare nell’anno scolastico 2010/11; in entrambi gli
anni considerati, gli studenti iscritti alla quinta elementare rappresentano invece un gruppo di
“controllo” perché non sono mai esposti alla riforma. La prima analisi possibile per stabilire gli effetti
della riforma sugli apprendimenti si basa sul confronto tra 2008/09 e 2010/11 degli studenti iscritti al
secondo anno. Tale confronto è chiamato prima/dopo (before/after) nella letteratura internazionale, e
può essere facilmente interpretato guardando la Figura 3. Gli esiti scolastici degli studenti
61
frequentanti la seconda elementare nel 2010/11 sono indicati con 0��1�/1133 ,. Gli esiti scolastici degli
studenti frequentanti la seconda elementare nel 2008/09 sono invece indicati con 0����/��33 . Il
confronto prima/dopo è ottenuto come differenza 0��1�/1133 − 0����/��
33 .
Figura 3: Confronto prima/dopo
Figura 4: Confronto prima/dopo dei trattati e dei controlli
62
Il confronto prima/dopo non offre una stima realistica dell’effetto d'interesse. La differenza negli
apprendimenti osservata tra prima e dopo la riforma, che convenzionalmente nel grafico abbiamo
reso positiva, potrebbe essere “sporcata” da altri fattori intervenuti nel periodo considerato. Ad
esempio, la crescita negli apprendimenti potrebbe riflettere un trend nelle competenze di coorti
consecutive di studenti iscritti alla scuola elementare che è indipendente dalla realizzazione
dell’intervento. In altre parole, la crescita degli apprendimenti tra il 2008/09 e il 2010/11 potrebbe
verificarsi, in presenze di trend, anche se l’effetto della riforma fosse nullo. Per tale motivo serve
utilizzare un gruppo di controllo che stabilisca cosa sarebbe successo agli apprendimenti degli
studenti tra i due anni considerati qualora la riforma non avesse avuto luogo.
Nel nostro caso, le classi quinte si prestano naturalmente a essere utilizzate a tal fine. In Figura 4
gli esiti scolastici degli studenti frequentanti la quinta elementare nel 2010/11 sono indicati con
0��1�/114 . Gli esiti scolastici degli studenti frequentanti la quinta elementare nel 2008/09 sono invece
indicati con 0����/��4 . La crescita temporale negli apprendimenti per gli studenti delle quinte è quindi
pari a 0��1�/114 − 0����/��
4 . Per sua stessa natura, tale crescita non può essere dovuta
all’implementazione della riforma. L’idea è di utilizzare le classi quinte per approssimare l’evento
controfattuale delle classi seconde, ovvero quello che sarebbe successo tra il 2008/09 e il 2010/11
agli studenti delle seconde qualora la legge Gelmini non fosse stata messa in atto (come evidenziato
nella Figura 5).
Figura 5: Differenza-nelle-differenze
63
Il confronto tra le differenze temporali negli apprendimenti degli studenti delle seconde
(0��1�/1133 − 0����/��
33 ) con quelle degli studenti delle quinte (0��1�/114 − 0����/��
4 ) prende il nome di
differenze-nelle-differenze (DiD). Prendendo il nome alla lettera, si tratta di considerare la differenza
tra gruppi (seconde e quinte) di differenze nel tempo. Tale metodo è valido a condizione che valga il
seguente assunto: l’evoluzione della variabile-risultato che avrebbero avuto i trattati se non lo fossero
stati è la stessa che hanno avuto i controlli (assunzione di trend comune o common trend). Tornando
alla Figura 5 quanto detto implica che il segmento in grigio, relativo alla differenza controfattuale
prima/dopo dei trattati, sia parallelo al segmento osservato della differenza fattuale prima/dopo dei
controlli (linea nera).
Le stime degli effetti sugli apprendimenti discusse nel seguito sono ottenute seguendo il principio
appena descritto. Spiegheremo nella prossima sezione come tale metodo necessiti di alcuni
aggiustamenti per tenere conto della complessità della riforma.
4. Problemi per la stima del parametro d'interesse
Il piano delle analisi seguito per stimare gli effetti della riforma è riassunto nelle Tabelle 1 e 2. Il
metodo adottato segue il disegno DiD descritto nella sezione precedente. Partendo dalla Tabella 1,
considereremo dapprima la differenza negli apprendimenti tra il 2008/09 e il 2010/11 per le classi
seconde (prima riga della tavola), e successivamente la stessa differenza per le classi quinte (seconda
riga della tavola). La prima differenza sarà informativa dell’effetto “complessivo” della riforma sulle
classi seconde, in altre parole l’abolizione della compresenza e l’introduzione degli altri
provvedimenti riguardanti la riduzione del numero d'insegnanti e alla dimensione delle classi. La
seconda differenza sarà solo informativa sull’abolizione della compresenza per le classi quinte. Come
detto, infatti, la riforma ha sin da subito comportato in tutte le classi l’abolizione della compresenza,
ma alle classi quinte non si applicano le disposizioni di legge che sono state invece gradualmente
introdotte a partire dalle nuove coorti d'iscritti. La differenza delle due differenze, seguendo quanto
discusso nella sezione precedente, eliminerà gli effetti distorsivi di possibili trend temporali sotto
l’assunzione che tali trend negli apprendimenti siano gli stessi per gli studenti delle seconde e delle
quinte. Questa è l’assunzione mantenuta in tutta la nostra analisi. E’ evidente dalla Tabella 1 che la
differenza delle differenze identificherà l’effetto “complessivo” per le classi nelle seconde, meno
l’effetto dell’abolizione della compresenza per le classi quinte. Visivamente tale risultato può essere
facilmente intuito considerando la “differenza” delle celle nell’ultima colonna della Tabella 1.
64
Tabella 1: Differenza nelle differenze tra anni scolastici 2010/11 e 2008/09
2008/09 2010/11
Classi II Pre-riforma
Abolizione compresenza
Riduzione dell’organico
Classi più grandi
Classi V Pre-riforma Abolizione compresenza
Isolare l’effetto dell’abolizione della compresenza da quello “complessivo” della riforma richiede
qualche ulteriore riflessione. Sotto l’assunto che l’effetto dell’abolizione della compresenza è lo
stesso per le classi seconde e quinte, è facile convincersi guardando l’ultima colonna della Tabella 1
che la differenza delle differenze identifica l’effetto dei provvedimenti relativi alla riduzione del
numero d'insegnanti e alla dimensione delle classi.
Tabella 2: Differenza nelle differenze tra anni scolastici 2009/10 e 2008/09
2008/09 2009/10
Classi II Pre-riforma Abolizione compresenza
Classi V Pre-riforma Abolizione compresenza
La Tabella 2 suggerisce come sia possibile testare nei nostri dati l’ipotesi che l’abolizione della
compresenza abbia avuto lo stesso effetto nelle seconde e nelle quinte classi. La tabella esemplifica
l’idea del disegno DiD questa volta considerando il 2009/10 come anno post-riforma. Sia le seconde
che le quinte classi in tale anno devono sottostare all’obbligo di legge che abolisce la compresenza a
seguito dell’introduzione della legge. Diversamente dal confronto operato in Tabella 1, le classi
seconde ora non devono rispettare le nuove regole sulla riduzione del numero d'insegnanti e
numerosità della classe. Pertanto, la differenza delle differenze costruita a partire dai confronti nella
Tabella 2 identifica le differenze nell’effetto dell’abolizione della compresenza per le classi seconde
e quinte (si veda l’ultima colonna della tabella).
Le analisi che seguono implementeranno le due stime DiD sottostanti all’idea rappresentata nelle
Tabelle 1 e 2. Come discusso nella Sezione 2, la mancanza di ancoraggio dei test INVALSI in
rilevazioni successive potrebbe rappresentare una seria minaccia alla validità delle nostre stime. Per
tale motivo l’analisi principale sarà condotta imponendo le seguenti restrizioni. In primo luogo,
considereremo solo apprendimenti in matematica poiché – come si vede dalla Figura 2 – questo è
l’unico caso dove è rispettata l’ipotesi che il livello medio di difficoltà dei test cambi tra il 2008/09 e
il 2010/11 in modo simile tra classi. In secondo luogo, nelle analisi non sarà considerato l’anno
65
2011/12 poiché per le classi quinte il livello di difficoltà del test INVALSI è notevolmente più alto
rispetto agli anni precedenti.
5. Statistiche descrittive
Come già spiegato nella Sezione 2, nei nostri dati non è possibile identificare né il plesso né la classe;
pertanto l’unità di rilevazione è costituita dagli istituti e il livello di apprendimento degli studenti (la
variabile-risultato d’interesse) viene ottenuto come la media calcolata a livello d'istituto della
percentuale di risposte corrette nel test di matematica separatamente per le seconde e le quinte classi.
Applichiamo il metodo della differenza-nelle-differenze controllando nelle nostre regressioni
multivariate per alcune caratteristiche osservabili, le cui statistiche descrittive sono riportate nella
Tabella 3 per l’Italia e nella tabella 4 per il Piemonte.
Tabella 3: Statistiche descrittive - Italia
2008 2009 2010
Classe II Classe V Classe II Classe V Classe II Classe V
VARIABILI media DS. media DS media DS media DS media DS media DS
Risposte corrette (%) 56.74 7.25 58.08 7.95 62.35 11.34 64.61 9.56 65.73 10.53 69.23 8.12
Esaminatore esterno 1.000 0.000 1.000 0.000 0.212 0.409 0.212 0.409 0.211 0.408 0.211 0.408
Iscritti nell’istituto 103.17 45.42 103.88 44.84 83.24 42.05 85.07 42.14 84.05 42.47 86.68 42.63
% Femmine 0.436 0.149 0.433 0.172 0.483 0.073 0.487 0.074 0.456 0.097 0.488 0.070
%Femmine mancanti 0.119 0.270 0.116 0.308 0.012 0.048 0.011 0.040 0.073 0.139 0.005 0.025
% Immigrati 0.031 0.031 0.045 0.049 0.088 0.085 0.087 0.081 0.087 0.086 0.090 0.085
% Immigrati mancanti 0.124 0.271 0.119 0.310 0.024 0.089 0.022 0.087 0.030 0.133 0.028 0.126
% Padri con:
Meno di diploma 0.360 0.228 0.388 0.269 0.422 0.233 0.449 0.238 0.447 0.219 0.470 0.226
Diploma 0.220 0.142 0.218 0.158 0.242 0.138 0.232 0.132 0.267 0.134 0.255 0.131
Laurea o più 0.084 0.089 0.082 0.092 0.088 0.088 0.084 0.084 0.098 0.093 0.091 0.086
Istruzione mancante 0.336 0.360 0.311 0.403 0.248 0.327 0.236 0.322 0.188 0.294 0.184 0.292
% Madri:
Disoccupate 0.023 0.032 0.020 0.031 0.037 0.044 0.031 0.037 0.040 0.042 0.034 0.039
Casalinghe 0.286 0.214 0.303 0.238 0.323 0.214 0.340 0.216 0.342 0.212 0.359 0.215
Occupate 0.384 0.240 0.394 0.270 0.415 0.238 0.417 0.234 0.444 0.232 0.441 0.229
Occup. mancante 0.307 0.358 0.283 0.401 0.225 0.320 0.212 0.317 0.173 0.293 0.166 0.290
Istruzione mancante 0.325 0.365 0.300 0.408 0.236 0.331 0.223 0.326 0.174 0.298 0.169 0.295
N (istituti) 608 608 6,102 6,102 6,147 6,147
Fonte: SVN 2008/09, SNV 2009/10, SNV 2010/11
Note: DS indica la deviazione standard. Per il 2008 sono riportati solo gli istituti monitorati.
Nella Tabella 3 vediamo che la percentuale di risposte corrette è generalmente più alta nelle classi
quinte che nelle classi seconde e crescente nel tempo. Per il 2008 abbiamo deciso di includere solo
66
gli istituti cui è stato assegnato un esaminatore esterno, poiché gli altri istituti hanno partecipato su
base volontaria e quindi è per definizione un campione non rappresentativo e potenzialmente affetto
da problemi di selezione (per esempio, solo gli istituti migliori potrebbero aver deciso di aderire
all’iniziativa e quindi i risultati nei test saranno più elevati di quelli di un campione scelto a caso).
Nel 2009 e 2010, a circa il 20% degli istituti è stato assegnato un esaminatore esterno (questa è la
percentuale che appare nelle pubblicazioni ufficiali INVALSI, vari anni). Tra le altre variabili
considerate abbiamo calcolato il numero d'iscritti nelle seconde e quinte classi nell’istituto. Mentre
nel 2008, gli istituti registrano poco più di 100 iscritti per tipo di classe (II o V), nei successivi due
anni si scende a circa 85 bambini iscritti. Se guardiamo alla percentuale di bambine nell’istituto,
questa è leggermente di sotto il 50% eccetto che nel 2008, dove risultano all’incirca il 10% di dati
mancanti sul genere dei bambini. La percentuale d'immigrati è non sorprendentemente crescente nel
tempo e, come nel caso del genere, c’è un'elevata frazione di dati mancanti nel 2008, molto simile a
quella precedente. Ciò potrebbe suggerire una certa resistenza da parte delle segreterie amministrative
a fornire informazioni di contesto relative ai bambini che non fossero strettamente legate ai risultati
dei test. Tra i dati di contesto disponibili nei dati SNV abbiamo anche le informazioni relative
all’istruzione e stato occupazionale dei genitori. Poiché per la teoria dell’assortative mating, grado
d'istruzione e stato occupazionale dei due partner sono probabilmente molto correlati, abbiamo
riportato solo il livello d'istruzione del padre e lo stato occupazionale della madre. Nonostante
un’elevata quantità di dati mancanti, tra il 20% e 30%, il livello d'istruzione più diffuso tra i padri è
al di sotto di un diploma di scuola superiore, dato questo che conferma il basso livello d'istruzione in
Italia evidenziato dall’OECD, mentre la maggior parte delle madri è occupata o casalinga.
Se guardiamo le statistiche descrittive per il Piemonte nella Tabella 4, vediamo che sono in linea
con i dati per l’Italia con due eccezioni: una maggiore percentuale di padri con laurea e una maggiore
percentuale di madri occupate. In particolare, quest’ultimo dato conferma che il Piemonte è una
regione con maggiore diffusione del lavoro femminile rispetto ad altre regioni italiane.
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Tabella 4: Statistiche descrittive - Piemonte
2008 2009 2010
Classe II Classe V Classe II Classe V Classe II Classe V
VARIABILI media DS media DS media DS media DS media DS media DS
Risposte corrette (%) 56.27 6.42 59.63 4.70 60.60 7.28 64.22 5.99 63.48 7.62 69.74 5.56
Esaminatore esterno 1.000 0.000 1.000 0.000 0.197 0.398 0.197 0.398 0.202 0.402 0.202 0.402
Iscritti nell’istituto 112.41 41.21 116.14 43.41 90.53 37.71 91.24 37.62 92.86 38.16 94.24 38.93
% Femmine 0.471 0.090 0.496 0.069 0.490 0.060 0.486 0.068 0.467 0.083 0.493 0.067
% Femmine mancanti 0.030 0.124 0.004 0.016 0.009 0.033 0.009 0.042 0.053 0.098 0.003 0.011
% Immigrati 0.058 0.039 0.090 0.065 0.125 0.091 0.128 0.088 0.125 0.102 0.128 0.091
% Immigrati mancanti 0.032 0.122 0.006 0.017 0.014 0.060 0.017 0.071 0.025 0.108 0.024 0.112
% Padri con:
Meno di diploma 0.377 0.237 0.393 0.245 0.457 0.201 0.474 0.208 0.465 0.190 0.491 0.197
Diploma 0.217 0.133 0.211 0.139 0.253 0.113 0.242 0.113 0.267 0.110 0.259 0.106
Laurea o più 0.115 0.094 0.102 0.093 0.097 0.085 0.092 0.077 0.111 0.104 0.097 0.083
Istruzione mancante 0.290 0.375 0.294 0.390 0.193 0.291 0.192 0.290 0.157 0.263 0.153 0.262
% Madri:
Disoccupate 0.024 0.027 0.018 0.023 0.040 0.036 0.036 0.033 0.041 0.033 0.036 0.034
Casalinghe 0.180 0.118 0.193 0.131 0.212 0.105 0.219 0.106 0.214 0.100 0.224 0.100
Occupate 0.546 0.271 0.515 0.291 0.588 0.203 0.584 0.209 0.608 0.194 0.612 0.190
Occup. mancante 0.249 0.364 0.274 0.395 0.160 0.263 0.161 0.271 0.137 0.250 0.128 0.244
Istruzione mancante 0.281 0.383 0.279 0.396 0.182 0.294 0.176 0.293 0.142 0.266 0.135 0.264
N (istituti) 37 37 381 381 386 386
Fonte: SVN 2008/09, SNV 2009/10, SNV 2010/11
Note: DS indica la deviazione standard. Per il 2008 sono riportati solo gli istituti monitorati.
6. Effetti della riforma
Gli effetti della riforma sugli apprendimenti di matematica degli studenti, così come delineato nella
Tabella 1, sono riportati nella Tabella 3 per il campione di istituti monitorati e nella Tabella 4 per
l’intero campione. Ricordiamo che questa distinzione nasce dal fatto che i risultati dei test potrebbero
essere distorti da manipolazione, che è però assente o trascurabile negli istituti ai quali è assegnato
un esaminatore esterno (vedere Angrist et al. 2014; Battistin et al. 2014). Il gruppo di risultati riportati
nella Tabella 3 rappresenta quindi un benchmark rispetto al quale valutare i risultati complessivi.
Le stime robuste rispetto a possibili manipolazioni dei test e interpretabili seguendo lo schema
della Tabella 1 sono riportate nelle colonne 1-3 della Tabella 3, in cui vengono confrontate le seconde
e le quinte tra l’a.s. 2008/09 e l’a.s. 2010/11. Gli effetti complessivi della riforma sommano a circa -
4 punti percentuali; in altre parole, la seconda classe della scuola primaria ha visto una riduzione degli
esiti nei test di matematica di circa 4 punti percentuali rispetto alla quinta classe. Se consideriamo
tutti gli istituti, con e senza esaminatore esterno, le stime della riforma riportate nella Tabella 4
sembrano più attenuate e dell’ordine di –2 punti percentuali, con un effetto in valore assoluto più
68
attenuato nel Sud che nel Nord e Centro Italia. Ciò potrebbe indicare che la manipolazione ha
parzialmente mascherato gli effetti negativi della riforma, rendendo così difficile valutarne appieno
le conseguenze.
Come evidenziato nella sezione 4, la differenza nelle differenze identifica l’effetto “complessivo”
per le classi seconde, meno l’effetto dell’abolizione della compresenza per le classi quinte. Solo sotto
l’assunto che l’effetto dell’abolizione della compresenza sia stato identico tra le seconde e le quinte
classi, la stima ottenuta rappresenta l’effetto della riduzione del numero d'insegnanti e numerosità
della classe sull’apprendimento degli studenti.
Tale assunzione è nel nostro caso testabile. Occorre ricordare a questo proposito che la riforma
nelle sue componenti di riduzione dell’organico e dimensione delle classi è stata introdotta nell’a.s.
2009/10 solo nella prima classe della scuola primaria, quindi né seconde né quinte classi erano toccate
dall’intervento. Già dall’a.s. 2009/10 la compresenza è stata eliminata in tutte le classi. Pertanto il
confronto tra gli esiti scolastici degli studenti appartenenti alle classi seconde e quinte tra il 2008 e il
2009 ci permette di verificare l’impatto dell’eliminazione della compresenza sugli apprendimenti.
Qualora l’abolizione della compresenza abbia avuto gli stessi effetti nella seconda e nella quinta, la
stima delle differenze nelle differenze dovrebbe produrre un valore nullo.
I risultati di questo test sono riportati nelle colonne 4-6 della Tabella 3, dove sono confrontate le
seconde e le quinte classi tra l’a.s. 2008/09 e l’a.s. 2009/10 negli istituti con esaminatore esterno. La
tabella mostra l’esistenza di effetti differenziali tra classi. In particolare, le classi seconde sembrano
subire effetti negativi maggiori rispetto alle classi quinte, anche se l’effetto è principalmente
concentrato nel Sud (nel Nord/Centro l’effetto è solo di -1 punto percentuale e debolmente
significativo). Questo risultato sembrerebbe suggerire che la compresenza risulti più utile nei primi
anni della scuola elementare, quando per esempio la presenza di bambini recentemente immigrati e
pertanto appena esposti al sistema scolastico italiano richiederebbe un intervento di supporto
all’insegnamento svolto separatamente rispetto al resto della classe. Un intervento rapido nei primi
anni di scuola potrebbe in tal modo permettere un rapido processo di assimilazione da parte degli
immigrati, rendendo così meno necessaria la compresenza nelle ultime classi. Come già evidenziato
per gli effetti complessivi della riforma (colonne 1-3) anche in questo caso i risultati relativi all’effetto
dell’abolizione della compresenza ottenuti nelle colonne 4-6 della Tabella 4 per l’intero campione
d'istituti monitorati risultano più attenuati con un effetto nullo per il Nord/Centro e debolmente
significativo per il Sud.
In sintesi, la Tabella 3 ci mostra che nel Nord la riduzione dell’organico e l’aumento della
dimensione delle classi (colonna 2) è stata più rilevante dell’abolizione della compresenza (colonna
69
5), mentre nel Sud l’abolizione della compresenza sembra aver avuto un impatto maggiore sui risultati
dei test. In altri termini, l’eliminazione della compresenza spiega solo il 23% (-0,959/-4,088)
dell’impatto della riforma sugli esiti scolastici degli studenti nel Nord/Centro mentre nel Sud questa
percentuale arriva all’85% (-3,499/-4,120). Se consideriamo il campione complessivo d'istituti nella
Tabella 4, i risultati sono in linea con quelli della Tabella 3 anche se più contenuti (14% nel
Nord/Centro e 78% nel Sud).
Tabella 3: Effetto della riforma sull’apprendimento degli studenti in matematica (solo istituti
monitorati)
Riforma Abolizione della compresenza
(1) (2) (3) (4) (5) (6)
Classi II -4.168*** -4.088*** -4.120*** -2.152*** -0.959* -3.499***
(0.536) (0.530) (0.940) (0.512) (0.512) (0.907)
Osservazioni 3,656 2,029 1,627 3,649 2,015 1,634
Periodo 2008 & 2010 2008 & 2010 2008 & 2010 2008 & 2009 2008 & 2009 2008 & 2009
Area Italia Nord &
Centro
Sud Italia Nord &
Centro
Sud
Fonte: SVN 2008/09, SNV 2009/10, SNV 2010/11
Note: Le covariate utilizzate nelle regressioni sono elencate nella Tabella 1. Errori standard robusti ottenuti usando cluster
per istituto sono riportati in parentesi: i livelli di significatività sono indicati con *** p<0.01, ** p<0.05, * p<0.
Tabella 4: Effetto della riforma sull’apprendimento degli studenti in matematica (tutti gli istituti)
Riforma Abolizione della compresenza
(1) (2) (3) (4) (5) (6)
Classi II -2.466*** -2.816*** -1.754** -0.867* -0.407 -1.366*
(0.466) (0.471) (0.813) (0.460) (0.459) (0.806)
Osservazioni 13,310 7,262 6,048 13,214 7,181 6,033
Periodo 2008 & 2010 2008 & 2010 2008 & 2010 2008 & 2009 2008 & 2009 2008 & 2009
Area Italia Nord &
Centro
Sud Italia Nord &
Centro
Sud
Fonte: SVN 2008/09, SNV 2009/10, SNV 2010/11
Note: Le covariate utilizzate nelle regressioni sono elencate nella Tabella 1. Errori standard robusti ottenuti usando cluster
per istituto sono riportati in parentesi: i livelli di significatività sono indicati con *** p<0.01, ** p<0.05, * p<0.
Se guardiamo solo alla regione Piemonte nella Tabella 5, vediamo che i risultati rispecchiano
quanto già trovato nel Nord Italia nelle Tabelle 3 e 4. In altre parole, l’effetto della compresenza è
nullo (colonne 2 e 4) mentre l’effetto congiunto della riduzione d'insegnanti e dell’aumento della
dimensione di classe (colonne 1 e 3) è più consistente (anche se debolmente significativo e solo per
gli istituti monitorati). La non significatività potrebbe essere dovuta alla bassa numerosità
campionaria; in ogni caso, se guardiamo in termini percentuali, la compresenza spiega meno del 30%
70
dell’effetto totale negli istituti monitorati e solo il 6% per l’intero campione, in linea con quanto
trovato per il Nord/Centro nelle precedenti due tabelle.
Tabella 5: Effetto della riforma sull’apprendimento degli studenti in matematica (solo gli
istituti in Piemonte)
Solo istituti monitorati Tutti gli istituti
Riforma
Abolizione
compresenza Riforma
Abolizione
compresenza
(1) (2) (3) (4)
Classi II -3.137* -0.0920 -2.260 -0.144
(1.796) (1.459) (1.450) (1.460)
Osservazioni 230 224 845 836
Periodo 2008 & 2010 2008 & 2009 2008 & 2010 2008 & 2009
Area Piemonte Piemonte Piemonte Piemonte
Fonte: SVN 2008/09, SNV 2009/10, SNV 2010/11
Note: Le covariate utilizzate nelle regressioni sono elencate nella Tabella 1. Errori standard robusti ottenuti usando cluster
per istituto sono riportati in parentesi : i livelli di significatività sono indicati con *** p<0.01, ** p<0.05, * p<0.
7. Sintesi dei principali risultati del capitolo
L’obiettivo di questo capitolo è stato misurare gli effetti della riforma sugli apprendimenti degli
studenti utilizzando i dati INVALSI per gli anni scolastici 2008/09, 2009/10, 2010/11 e 2011/12. La
principale sfida che abbiamo affrontato ha riguardato l’individuazione di un’adeguata strategia
identificativa che permettesse di determinare una stima realistica dell’effetto d'interesse non
“sporcata” da altri fattori intervenuti nel periodo considerato. Abbiamo a tal fine utilizzato il metodo
delle differenze-nelle-differenze che consiste nel confrontare le differenze temporali negli
apprendimenti degli studenti delle seconde (soggetti alla riforma) con quelle degli studenti delle
quinte (non soggetti alla riforma) per stimare l’effetto d'interesse. Gli studenti di quinta approssimano
ciò che sarebbe successo agli studenti di seconda in assenza d'intervento.
I risultati hanno mostrato che la riforma ha avuto degli effetti causali negativi sull’apprendimento
degli studenti. Le nostre stime quantificano questo effetto a circa 4% di risposte corrette in meno al
test INVALSI sulle competenze in matematica (colonna 1 della Tabella 3). Poiché i punteggi
INVALSI non sono ancorati nel tempo, la percentuale di risposte corrette in matematica è l’unica
misura di performance scolastica che il gruppo di lavoro FBK-IRVAPP ha giudicato affidabile per la
valutazione d'impatto. Tale stima ingloba gli effetti di cambiamenti causati dalla riforma su tre input
fondamentali, già discussi nel Capitolo 2: riduzione dell’organico, innalzamento della dimensione
della classe ed eliminazione della compresenza di più maestri nella classe.
La nostra strategia identificativa ci ha portato a concludere che la riduzione della compresenza
spiega circa metà dell’effetto negativo documentato sugli apprendimenti. L’abolizione della
71
compresenza ha penalizzato maggiormente gli studenti più giovani. Abbiamo stimato una differenza
di circa -2% nel numero di risposte corrette al test INVALSI sulle competenze in matematica per gli
studenti della classe seconda rispetto agli studenti della classe quinta (colonna 4 della Tabella 3). Se
confrontiamo l’effetto negativo della compresenza (-2%) con l’effetto generale della riforma (-4%),
concludiamo che il pacchetto d'interventi che ha innalzato la numerosità della classe e ridotto
l’organico nelle scuole ha ridotto di circa il 2% gli apprendimenti nella scuola primaria. Altre analisi
sugli stessi dati finalizzate a stimare l’effetto della numerosità della classe sugli apprendimenti nella
scuola primaria (si veda Angrist et al. 2014) hanno portato a concludere che la dimensione della classe
non è un input rilevante nella scuola pubblica italiana. Ne segue quindi che il principale canale che
spiega l’effetto negativo della riforma è quello della riduzione dell’organico assegnato alle scuole, o
l’innalzamento del rapporto studenti/insegnanti.
Le nostre analisi fanno vedere un notevole grado di eterogeneità degli effetti tra aree. Se
consideriamo solo le scuole del Nord e centro Italia, c’è poca evidenza che la compresenza abbia
avuto effetti differenziali tra bambini della classe seconda e bambini della classe quinta (si veda la
significatività degli effetti in colonna 4 della Tabella 3). In tale contesto geografico, l’effetto negativo
della riforma (-4%, colonna 2 della Tabella 3) è per lo più attribuibile all’innalzamento del rapporto
studenti/insegnanti. Al contrario, nelle scuole del Mezzogiorno l’abolizione della compresenza ha
marcatamente sfavorito i bambini più giovani (colonna 6 della Tabella 3). Per questo gruppo di scuole
l’innalzamento del rapporto studenti/insegnanti ha avuto un ruolo meno importante che al Nord, e
pari a poco più di -0.6% sulla percentuale di risposte corrette in matematica (colonna 3 della Tabella
3: -4,120 + 3,499 = -0,621).
Va ribadito che il non avere programmato la riforma prevedendo un rigoroso disegno di
valutazione ci ha costretto a valutarne gli effetti sugli apprendimenti basandoci su assunzioni non
testabili. Ad esempio, abbiamo assunto che la riduzione dell’organico previsto dalla riforma a partire
dalla prima classe nell’a.s. 2008/09 non abbia indotto le scuole ad “aggiustare” profili orari nelle
classi – in base alla legge – non coinvolte nell’intervento. In altre parole, l’utilizzo della classe quinta
come gruppo di controllo per la classe seconda richiede assenza di “contaminazione”. Questa ipotesi,
alla luce dei dati a disposizione, è difficilmente testabile.
72
Capitolo 4
EFFETTI DELLA RIFORMA SULL’OFFERTA DI LAVORO DELLE
MADRI
1. Introduzione
Nel Capitolo 2 abbiamo visto come la riforma abbia influenzato l’offerta oraria delle scuole con una
polarizzazione verso le 27 ore e il tempo pieno a scapito del tempo-scuola tra le 28 e 39 ore. Abbiamo
tuttavia visto che, in media, la riforma non ha modificato in modo sostanziale la durata del tempo-
scuola. Nel presente capitolo investighiamo la risposta delle famiglie alla riforma. La posizione del
governo nei confronti dell’intervento è stata quella di enfatizzare la possibilità per le famiglie di
negoziare con le scuole l’offerta oraria settimanale anche sopra il minimo imposto per legge (le 24
ore). In particolare, nelle intenzioni dell’allora Ministro dell’Istruzione, Maria Stella Gelmini, il taglio
della spesa pubblica doveva essere accompagnato da un aumento del potere dato alle famiglie nel
richiedere classi a tempo pieno. Orari scolastici più lunghi potrebbero avere un indubbio effetto
sull’occupazione dei genitori e in particolare delle madri, con un certo grado di eterogeneità che
dipende dalla composizione socio-economica dell’area. Nel Capitolo 2 abbiamo evidenziato una certa
variabilità provinciale nel numero di classi a tempo pieno formate dopo la riforma. Considerata
l’elevata diversità del mercato del lavoro locale tra le regioni in Italia, ci si potrebbe attendere che i
cambiamenti nell’offerta oraria possano aver prodotto risposte molto diverse in termini occupazionali
nelle diverse realtà locali.
In quanto segue analizziamo gli effetti sulla partecipazione delle madri al mercato del lavoro. La
possibile esistenza di tali effetti è motivata dai cambiamenti indotti sul tempo-scuola. Nonostante
questi ultimi siano stati - in media - sostanzialmente contenuti, è possibile che in alcune regioni o per
tipologie di nucleo famigliare (ad esempio identificato da diversi profili socio-economici, o da madri
single) gli effetti sull’offerta del lavoro siano rilevanti. Quest’ultimo aspetto è particolarmente
importante, poiché l’Italia è tra i paesi dell’OCSE con la più bassa partecipazione femminile, ed esiste
evidenza empirica che laddove le famiglie abbiano la possibilità di conciliare vita lavorativa e vita
familiare grazie alla disponibilità di servizi di cura dei figli esterni alla famiglia, la partecipazione al
mercato del lavoro delle madri aumenta (Brilli et al. 2011, Del Boca e Vuri 2007, Carta e Rizzica
2014). E’ importante notare che la questione se il lavoro delle madri sia positivo per i figli o meno
non è in discussione in questo contesto. La letteratura non ha ancora raggiunto un consenso unanime
sul fatto che il tempo non speso dai genitori con i figli a causa del lavoro abbia effetti negativi sullo
73
sviluppo cognitivo dei bambini. Da una parte, la presenza dei genitori al di fuori dell’orario scolastico
ha dei vantaggi per i figli sia in termini d'investimento diretto di tempo che di energie. Dall’altro lato,
una maggiore disponibilità finanziaria che nasce proprio dall’occupazione dei genitori accresce la
possibilità per gli stessi di acquistare input produttivi di cui beneficia la loro prole (lezioni d'inglese,
attività sportive, lezioni di musica). La misura in cui un effetto prevalga sull’altro è ancora una
questione aperta a cui solo opportune analisi empiriche potranno dare una risposta e che esula dagli
obiettivi della presente monografia.
In questo capitolo utilizziamo una base dati esistente, la Rilevazione Trimestrale delle Forze
Lavoro (RFL), per misurare i possibili effetti indiretti della riforma sulle scelte lavorative delle donne.
La strategia che seguiamo si basa sul linkage statistico tra i dati amministrativi raccolti nei capitoli
precedenti e i dati della RFL per un periodo sufficientemente lungo da coprire periodi prima e dopo
la riforma. Questa strategia permette di mettere in relazione la variabilità del tempo-scuola tra
province e la variazione nella partecipazione femminile al mercato del lavoro.
Il presente capitolo è strutturato nel seguente modo. Nella sezione 2 illustriamo la metodologia
adottata per stimare l’effetto d'interesse, e la selezione del campione utilizzato per le analisi. La
sezione 3 è dedicata alla presentazione delle statistiche descrittive, gli effetti della riforma sono
presentati nella sezione 4. La sezione 5 termina.
2. Disegno di valutazione e selezione del campione
2.1 Strategia di stima
La strategia d'identificazione seguita sfrutta il modo in cui la riforma è stata gradualmente introdotta
nelle diverse classi della scuola primaria a partire dal 2009. Per fissare le idee, consideriamo famiglie
con un solo figlio suddivise per anno d'iscrizione di quest’ultimo alla scuola primaria. Come vedremo
in quanto segue, i micro-dati della RFL si riferiscono a indagini sezionali a cadenza trimestrale dal
primo trimestre del 2004 (2004.I) al quarto trimestre del 2013 (2013.IV). Tale periodo si ferma
all’ultimo trimestre reso disponibile dall’ISTAT. I file utilizzati fanno parte di una nuova serie di
micro-dati longitudinali che inizia dal primo trimestre 2004, momento in cui la rilevazione trimestrale
sulle forze di lavoro è diventata continua. Definiamo quindi gruppi (“coorti”) consecutive di madri il
cui figlio è iscritto alla prima classe a Settembre 2003, a Settembre 2004 e così via fino a Settembre
2012. Tale disegno identifica 10 coorti di madri, dal 2003 al 2012, identificate dall’anno d'iscrizione
del figlio alla primaria. Per ognuna di queste coorti costruiamo il tasso di partecipazione al mercato
74
del lavoro durante l’anno scolastico considerato. Ad esempio, per la coorte identificata dai bambini
iscritti nel Settembre 2004, utilizziamo i trimestri 2004.IV, 2005.I, 2005.II e 2005.III per calcolare il
tasso di partecipazione delle madri nell’anno scolastico 2004/05. Per l’ultima coorte a disposizione,
quella identificata dai bambini iscritti a Settembre 2012, utilizziamo i trimestri 2012.IV, 2013.I,
2013.II e 2013.III.
Tale disegno permette di separare coorti prima (fino al 2008) e dopo (dal 2009) l’introduzione
della riforma. Un effetto di quest’ultima sulla partecipazione femminile al mercato del lavoro deve
generare una discontinuità della serie storica a partire dal 2009.
Seguendo la stessa idea, il disegno di valutazione deve tenere conto del fatto che la RFL non ha
una componente panel sufficientemente lunga da seguire le madri in molteplici anni scolastici.
Consideriamo ad esempio la coorte di madri il cui figlio si iscrive alla prima classe a Settembre 2009.
Tutte le madri campionate nei trimestri 2009.IV, 2010.I, 2010.II e 2010.III contribuiscono al calcolo
del tasso di partecipazione nell’anno scolastico 2009/10. Le madri della stessa coorte campionate
dalla RFL nei trimestri 2010.IV, 2011.I, 2011.II e 2011.III contribuiscono al calcolo del tasso di
partecipazione nell’anno scolastico 2010/11 (quando il bambino è iscritto alla seconda elementare).
Lo stesso ragionamento si applica alle madri campionate in trimestri successivi. La Tabella 1 riassume
quali sono le indagini trimestrali RFL utilizzate per definire le coorti di madri in base all’anno
d'iscrizione del figlio alla scuola primaria. Le celle con lo sfondo bianco si riferiscono a coorti pre-
riforma. Le celle con lo sfondo grigio chiaro si riferiscono a coorti post-riforma.
La seconda colonna della tabella esemplifica il disegno di valutazione discusso poco sopra per le
prime classi. I dati a disposizione permettono di confrontare tassi di partecipazione delle madri nel
primo anno di scuola elementare del figlio, per 6 coorti pre-riforma e 4 coorti post-riforma. La serie
storica dei tassi di partecipazione nella seconda colonna dovrebbe presentare una discontinuità dopo
il 2009. In modo del tutto analogo, la terza colonna della tabella replica la stessa idea riferendosi al
secondo anno di scuola elementare del figlio. In questo caso, i dati RFL a disposizione limitano a 3 il
numero di coorti post-riforma. La riduzione delle coorti post-riforma aumenta considerando le classi
terze e quarte, come si vede dalla terza e quarta colonna della tabella. Le celle con sfondo grigio scuro
si riferiscono a combinazioni coorti/classi che non sono “sfruttabili” essendo 2013.IV l’ultimo
trimestre disponibile. L’ultima colonna della Tabella 1 si riferisce alle classi quinte, che sono
osservate solo nei periodi pre-riforma. Poiché il disegno di valutazione si basa su cambiamenti nelle
serie storiche tra prima e dopo il 2009, la nostra analisi non considera le classi quinte. Per tale motivo,
le celle che si riferiscono alla classe quinta sono riportate con uno sfondo grigio scuro.
75
Rimane infine da chiarire come trattare famiglie con più figli iscritti alla scuola elementare. In
questo caso la definizione delle coorti per anno d'iscrizione diventa arbitraria, e può riferirsi ad uno
qualsiasi dei fratelli. Nel caso di più fratelli iscritti alla scuola elementare, la nostra analisi utilizza il
fratello più giovane per definire la coorte di riferimento.
Tabella 1: Indagini RFL utilizzate per definire il campione.
Tasso di partecipazione delle madri nell’anno in cui il figlio è iscritto alla:
Corte 1 Classe 2 Classe 3 Classe 4 Classe 5 Classe
Settembre
1999 2003.IV, 2004.I,
2004.II, 2004.III
Settembre
2000 2003.IV, 2004.I,
2004.II, 2004.III 2004.IV, 2005.I,
2005.II, 2005.III
Settembre
2001 2003.IV, 2004.I,
2004.II, 2004.III 2004.IV, 2005.I,
2005.II, 2005.III 2005.IV, 2006.I,
2006.II, 2006.III
Settembre
2002
2003.IV, 2004.I,
2004.II, 2004.III
2004.IV, 2005.I,
2005.II, 2005.III
2005.IV, 2006.I,
2006.II, 2006.III
2006.IV, 2007.I,
2007.II, 2007.III
Settembre
2003
2003.IV, 2004.I,
2004.II, 2004.III
2004.IV, 2005.I,
2005.II, 2005.III
2005.IV, 2006.I,
2006.II, 2006.III
2006.IV, 2007.I,
2007.II, 2007.III
2007.IV, 2008.I,
2008.II, 2008.III
Settembre 2004
2004.IV, 2005.I, 2005.II, 2005.III
2005.IV, 2006.I, 2006.II, 2006.III
2006.IV, 2007.I, 2007.II, 2007.III
2007.IV, 2008.I, 2008.II, 2008.III
2008.IV, 2009.I, 2009.II, 2009.III
Settembre
2005
2005.IV, 2006.I,
2006.II, 2006.III
2006.IV, 2007.I,
2007.II, 2007.III
2007.IV, 2008.I,
2008.II, 2008.III
2008.IV, 2009.I,
2009.II, 2009.III
2009.IV, 2010.I,
2010.II, 2010.III
Settembre 2006
2006.IV, 2007.I, 2007.II, 2007.III
2007.IV, 2008.I, 2008.II, 2008.III
2008.IV, 2009.I, 2009.II, 2009.III
2009.IV, 2010.I, 2010.II, 2010.III
2010.IV, 2011.I, 2011.II, 2011.III
Settembre
2007
2007.IV, 2008.I,
2008.II, 2008.III
2008.IV, 2009.I,
2009.II, 2009.III
2009.IV, 2010.I,
2010.II, 2010.III
2010.IV, 2011.I,
2011.II, 2011.III
2011.IV, 2012.I,
2012.II, 2012.III
Settembre 2008
2008.IV, 2009.I, 2009.II, 2009.III
2009.IV, 2010.I, 2010.II, 2010.III
2010.IV, 2011.I, 2011.II, 2011.III
2011.IV, 2012.I, 2012.II, 2012.III
2012.IV, 2013.I, 2013.II, 2013.III
Settembre
2009
2009.IV, 2010.I,
2010.II, 2010.III
2010.IV, 2011.I,
2011.II, 2011.III
2011.IV, 2012.I,
2012.II, 2012.III
2012.IV, 2013.I,
2013.II, 2013.III
Settembre 2010
2010.IV, 2011.I, 2011.II, 2011.III
2011.IV, 2012.I, 2012.II, 2012.III
2012.IV, 2013.I, 2013.II, 2013.III
Settembre
2011
2011.IV, 2012.I,
2012.II, 2012.III
2012.IV, 2013.I,
2013.II, 2013.III
Settembre 2012
2012.IV, 2013.I, 2013.II, 2013.III
2.2 La rilevazione trimestrale delle forze lavoro dell’ISTAT
Il nostro studio si basa sui dati della Rilevazione Trimestrale (continua) delle Forze di Lavoro (RFL)
dell’ISTAT. Ogni anno viene intervistato un campione di oltre 250,000 famiglie residenti in Italia
(per un totale di circa 600.000 individui) distribuite in circa 1.100 comuni italiani. La rilevazione è
effettuata durante tutte le settimane dell’anno. Le famiglie rientranti nel campione sono intervistate 4
volte nell’arco di 15 mesi, e pertanto la rilevazione ha una dimensione panel seppur limitata a questo
breve periodo. Lo schema di rilevazione segue quello della stessa indagine in altri paesi OECD. Ogni
famiglia è intervistata per due trimestri consecutivi; seguono un'interruzione per i due successivi
trimestri, dopodiché essa viene nuovamente intervistata per altri due trimestri. Considerando il focus
sull’attività lavorativa dell’indagine, poiché le transizioni dall’inattività all'occupazione degli
individui di età superiore ai 74 anni sono pressoché nulle, dal 1° gennaio 2011, le famiglie composte
76
di sole persone di 75 anni o più inattive non vengono re-intervistate. Vengono raccolte informazioni
sullo stato occupazionale, ma anche sulla struttura familiare e altre caratteristiche socio-economiche.
I risultati mostrati in seguito sono stati ottenuti usando micro-dati a cui il gruppo di lavoro FBK-
IRVAPP ha avuto accesso tramite il Laboratorio Adele dell’ISTAT. Come anticipato poco sopra, le
indagini utilizzate variano dal primo trimestre del 2004 (2004.I) al quarto trimestre del 2013
(2013.IV).
2.3 La selezione del campione
La selezione del campione è avvenuta tenendo conto della strategia di valutazione esemplificata in
Tabella 1. La prima selezione è stata quella di considerare solamente nuclei familiari con almeno un
bambino iscritto alla scuola primaria al momento dell’intervista. Nella pratica tale criterio seleziona
famiglie con uno o due figli alla scuola elementare, poiché il numero di famiglie con più di due figli
è del tutto trascurabile nei dati a disposizione. A partire da questo campione, abbiamo considerato
solo nuclei familiari in cui la madre ha tra i 25 e i 50 anni. Le province di Trento, Bolzano e Aosta
sono escluse dalle analisi per avere un campione comparabile con i dati utilizzati nei precedenti
capitoli.
Il campione risultante da tale selezione è costituito da circa 20.000 madri per anno, le cui
caratteristiche sono descritte nella Tabella 2 distinguendo tra Italia (colonne 1 e 2) e Piemonte
(colonne 3 e 4), per un totale di quasi 180.000 osservazioni, di cui 14.200 localizzate in Piemonte. E’
bene ricordare che le grandezze derivate nelle tabelle che seguono sono rappresentative della
popolazione delle donne tra i 25 e 50 anni con almeno un figlio alla scuola primaria.
3. Statistiche descrittive
Dalla Tabella 2 si evince che il tasso di partecipazione al mercato del lavoro delle madri in Italia è
inferiore al 60% nel periodo considerato, con un tasso di occupazione circa del 53%; ovviamente
queste percentuali sono molto più elevate per il Piemonte, con percentuale di madri attive pari al 73%
(68% occupate), a conferma che in questo secondo caso ci troviamo nel Nord Ovest operoso
dell’Italia. Questi dati sono in linea sia con le fonti ufficiali ISTAT relative al totale delle donne attive
e occupate, che con i dati relativi al numero di donne occupate nei dati SNV utilizzati nel precedente
capitolo. Il numero di ore lavorate in Italia dalle madri in media è di 14,5 (circa 20 in Piemonte). I
contratti a tempo determinato sono ancora poco diffusi, mentre circa il 40% delle donne lavora con
contratti a tempo indeterminato (circa il 60% in Piemonte).
77
Non sorprendentemente per il nostro paese, la maggioranza delle madri presenti nel campione è
sposata, quasi il 90% (86% in Piemonte) e solo una piccola frazione di madri sono single (6,5% in
Italia e 7,7% in Piemonte). Il nostro campione ha un’età media relativamente bassa, circa 38 anni,
poiché abbiamo imposto la condizione che almeno il figlio più piccolo, che spesso coincide con
l’unico figlio vista la bassa fertilità in Italia, frequenti la scuola primaria. Nella RFL l’informazione
sulla condizione di immigrate è disponibile solo a partire dal 2004. Nel sotto-campione di madri
intervistate dal 2004, il 13,0% in Italia (e 17,6% in Piemonte) sono immigrate. Se guardiamo al livello
d'istruzione delle madri i dati confermano che l’istruzione terziaria è ancora poco diffusa nel nostro
paese, solo poco più del 10% delle madri possiede una laurea, mentre poco più del 40% non ha un
diploma di scuola superiore; il restante 40% ha almeno ottenuto il diploma. Queste percentuali sono
simili in Piemonte e anche per i padri presenti nel campione. Per quanto riguarda la ripartizione
geografica, quasi metà del campione di madri vive al Sud, conseguenza della più alta fertilità nel
Mezzogiorno.
Il 35% delle madri ha anche un figlio al di sotto dei 5 anni (anche in Piemonte) e quasi il 30% ha
almeno un altro figlio tra gli 11 e i 18 anni (23% in Piemonte). Il 27% circa delle famiglie ha anche
un altro figlio nella fascia di età rilevante per la nostra analisi e cioè tra i 6 e i 10 anni.
78
Tabella 2: Statistiche descrittive. Anni scolastici 2003-2011. Italia e Piemonte.
Italia Piemonte
VARIABILI Media DS Media DS
Variabile-risultato
% madri attive 0.579 0.494 0.727 0.445
% madri occupate 0.524 0.499 0.680 0.467
% madri disoccupate 0.055 0.228 0.048 0.213
ore lavorate 14.39 17.17 19.62 17.87
% lavoro a tempo determinate 0.066 0.248 0.058 0.234
% lavoro a tempo indeterminato 0.400 0.490 0.575 0.494
Covariate
% Madri sposate 0.897 0.304 0.862 0.344
% Madri monogenitore 0.064 0.244 0.077 0.266
Madri età 37.93 5.04 38.18 4.80
% Madri nate all’estero * (dal 2005) 0.130 0.337 0.176 0.381
% Madri con:
Meno di diploma 0.429 0.495 0.395 0.489
Diploma 0.433 0.495 0.474 0.499
Laurea o piu’ 0.138 0.345 0.132 0.338
% Padri con:
Meno di diploma 0.433 0.495 0.430 0.495
Diploma 0.364 0.481 0.380 0.486
Laurea o piu’ 0.109 0.312 0.113 0.316
Padre mancante/non in nucleo 0.064 0.244 0.077 0.266
% nuclei familiari con:
Bambini di età 0-5 in nucleo familiare 0.354 0.478 0.345 0.475
Più di un bambino di età 6-10 in nucleo 0.271 0.444 0.263 0.440
Bambini di età 11-18 in nucleo familiare 0.277 0.448 0.229 0.420
Ripartizione geografica:
Nord 0.388 0.487 - -
Centro 0.158 0.365 - -
Sud 0.454 0.498 - -
Classe I 0.344 0.475 0.348 0.476
Classe II 0.340 0.474 0.340 0.474
Classe III 0.316 0.465 0.312 0.463
N (madri) 137,470 10,985
Fonte: RFL 2004-2012 (ISTAT)
Nota: *La percentuale di madri immigrate è stata calcolata su un campione di 122.551 osservazioni per l’Italia e 9.660
osservazioni per il Piemonte.
79
Figura 1: Tasso di partecipazione femminile/materna tra gli anni scolastici
2003 e 2011. Italia e Piemonte.
Fonte: RFL 2004-2013 (ISTAT)
La dimensione longitudinale dei dati permette di studiare l’evoluzione nel tempo di indicatori di
partecipazione al mercato del lavoro per le donne della popolazione di riferimento. In altri termini, è
possibile disaggregare per anno la statistica descrittiva presentata per tale indicatore in Tabella 2. La
Figura 1 riporta la serie storica del tasso di partecipazione femminile nel periodo considerato. Il panel
di sinistra presenta serie separate per tre aree del paese (Nord, Centro e Sud), mentre il panel di destra
si riferisce al solo Piemonte. I livelli della serie sono notevolmente diversi nel Mezzogiorno; più in
generale, il tasso di partecipazione in ogni area, compreso il Piemonte, presenta un cambio dopo il
2009. Tale aumento nel livello di attività sul mercato del lavoro non si riflette in maggiore impiego,
come si evince dalla Figura 2. Tale figura è organizzata come la precedente, ma riporta il tasso di
occupazione. Il tasso di disoccupazione riportato in Figura 3 completa il quadro, facendo emergere
chiaramente gli effetti della crisi.
Si tratta di capire se, e in quale misura, il cambio di pendenza nelle serie dei tassi di partecipazione
sia legato all’introduzione della riforma. Ovviamente, i possibili effetti della riforma devono essere
distinti da quelli della recente crisi economica. La Figura 4 è interessante perché mette in luce il
possibile canale che lega input scolastici a partecipazione femminile al mercato del lavoro.
80
Figura 2: Tasso di occupazione femminile tra gli anni scolastici 2003 e 2011.
Italia e Piemonte.
Fonte: RFL 2004-2013 (ISTAT)
Figura 3: Tasso di disoccupazione femminile tra gli anni scolastici 2003 e 2011.
Italia e Piemonte.
Fonte: RFL 2004-2013 (ISTAT)
81
L’asse orizzontale della Figura 4 si riferisce alla percentuale di studenti a tempo pieno, mentre
l’asse verticale riporta il tasso di partecipazione. Entrambe le misure sono considerate nell’ultimo
anno pre-riforma (e, in buona sostanza, pre-crisi), il 2008. I punti nel grafico si riferiscono ad
aggregati costruiti per regione, essendo riportato in rosso il valore per il Piemonte. Una relazione del
tutto simile si può trovare presentando aggregati provinciali anziché regionali.
Figura 4: Relazione tra quota di studenti a tempo pieno e tasso di
partecipazione materna. Anno 2008. Regioni italiane.
Fonte: RFL 2008 (ISTAT), Rilevazione integrativa delle scuole primarie statali (MIUR)
La figura documenta l’esistenza di una relazione positiva tra durata del tempo-scuola e
partecipazione delle madri al mercato del lavoro. Tale relazione non necessariamente segnala una
relazione causa-effetto. Non è chiaro se una maggiore percentuale di bambini a tempo pieno sia
l’origine di maggiore partecipazione o se, al contrario, un’offerta di lavoro più elevata induca
maggiore contrattazione tra famiglie e scuole risultando in più classi a tempo pieno. La distinzione
tra “correlazione” e “relazione causale” è esattamente la ragione per definire un chiaro disegno di
valutazione. Le Figure 5 e 6 si riferiscono a tassi di occupazione e di disoccupazione. E’ interessante
vedere che in quest’ultimo caso non esiste alcuna relazione con la durata del tempo-scuola.
82
Figura 5: Relazione tra quota di studenti a tempo pieno e tasso di
occupazione materna. Anno 2008. Regioni italiane.
Fonte: RFL 2008 (ISTAT), Rilevazione integrativa delle scuole primarie statali (MIUR)
Figura 6: Relazione tra quota di studenti a tempo pieno e tasso di
disoccupazione materna. Anno 2008. Regioni italiane.
Fonte: RFL 2008 (ISTAT), Rilevazione integrativa delle scuole primarie statali (MIUR)
83
4. Effetti della riforma
In questa sezione discutiamo gli effetti della riforma sugli esiti lavorativi delle madri. Frequentemente
la scarsa flessibilità degli orari scolastici è stata indicata come possibile causa della difficile
conciliazione tra lavoro e vita familiare, con la conseguenza che le madri italiane sono spesso costrette
a fare una scelta drastica rinunciando alla realizzazione professionale. L’introduzione della riforma
Gelmini, dando maggiori possibilità alle famiglie di contrattare sull’offerta oraria della scuola, come
ampiamente illustrato nel Capitolo 1, potrebbe aver effettivamente fornito strumenti nuovi per la
conciliazione lavoro-famiglia. Questo elemento è stato del tutto trascurato nella valutazione della
riforma.
Le analisi presentate di seguito implementano l’idea mostrata in Tabella 1 mediante opportuni
modelli di regressione. La specificazione considerata utilizza micro-dati a livello familiare. La
variabile risposta è un indicatore che assume valore uno nel caso in cui la madre sia attiva. Le altre
variabili risposta utilizzate sono costruite in maniera simile (ad esempio, per studiare il tasso di
occupazione abbiamo costruito un indicatore per le madri occupate). La regressione controlla per un
polinomio nella coorte d’ingresso alla scuola elementare (la prima colonna della Tabella 1) ed effetti
fissi di classe (dalla seconda alla quarta). Le stime riportate nelle tabelle che seguono si riferiscono
al coefficiente di variabili che assumono valore uno per le celle con sfondo grigio chiaro nella Tabella
1 (queste celle si riferiscono a coorti/classi post-riforma). Tutte le regressioni controllano per le
caratteristiche familiari in Tabella 2 come istruzione del padre e della madre, numero di fratelli (se
presenti) ed età dei membri del nucleo famigliare. In altre parole, la regressione fornisce una stima
del salto pre e post 2009 per famiglie con figli iscritti alla prima, seconda, terza e quarta classe al
netto di variabili demografiche che sintetizzano la struttura del nucleo familiare. Inoltre in tutte le
regressioni abbiamo introdotto effetti fissi per il trimestre di rilevazione dell’indagine RFL in modo
da tener conto di fattori di stagionalità nelle variabili lavorative, ed effetti fissi a livello provinciale
che catturano fattori non osservati a livello provinciale e costanti nel tempo. Gli errori standard di
queste regressioni sono calcolati ammettendo clustering di provincia/anno.
Nella Tabella 3 consideriamo l’effetto di avere almeno un figlio iscritto nella scuola primaria post-
riforma. La variabile di trattamento assume valore uno se almeno un bambino nel nucleo familiare
frequenta una classe della scuola primaria interessata dalla riforma, e zero altrimenti. Abbiamo
riportato gli effetti per l’intero campione (colonna 1 per l’Italia, e colonna 4 per il Piemonte), e
distinguendo per tipologie di nucleo in base al numero di figli alla scuola primaria. Poiché nel
campione selezionato le famiglie hanno almeno uno e al più due figli alla scuola primaria, nelle
colonne 2 e 3 (per l’Italia) e 5 e 6 (per il Piemonte) distinguiamo tra questi due gruppi. Le famiglie
84
con un bambino e con due bambini rappresentano rispettivamente il 72,9% e il 27,1% del campione.
Complessivamente non troviamo effetti statisticamente significativi della riforma sul tasso di attività.
Le uniche eccezioni sono nella colonna 1 e nella colonna 3, dove l’effetto stimato - 1,2 e 2.4 punti
percentuali, rispettivamente – è solo marginalmente significativo.
Tabella 3: Effetto della riforma sulla partecipazione delle madri al mercato del lavoro.
Italia Piemonte
Intero
campione
un figlio
iscritto
alla
primaria
due figli
iscritti
alla
primaria
Intero
campione
un figlio
iscritto
alla
primaria
due figli
iscritti alla
primaria
VARIABILI (1) (2) (3) (4) (5) (6)
Iscrizione post-riforma 0.012* 0.008 0.024* -0.028 -0.025 -0.044
(0.007) (0.009) (0.014) (0.021) (0.021) (0.050)
Osservazioni 137,470 100,252 37,218 10,985 8,094 2,891
Fonte: RFL 2004-2012 (ISTAT)
Nota: Le covariate includono: classe, stato civile, istruzione, età ed età al quadrato della madre, istruzione del padre (se
presente), presenza di figli tra 0 e 5 anni, presenza di figli tra 11 e 18 anni, ed effetti fissi di grado, anno e provincia. Errori
standard robusti ottenuti usando cluster per l’interazione tra provincia e anno di frequenza scolastica. I livelli di
significatività sono indicati con *** p<0.01, ** p<0.05, * p<0.1.
Tabella 4: Effetto della riforma sulla partecipazione delle madri al
mercato del lavoro per ripartizione geografica.
Nord & Centro Sud
VARIABILI (1) (2)
Iscrizione post-riforma 0.007 0.014
(0.009) (0.011)
Osservazioni 75,005 62,465
Fonte: RFL 2004-2012 (ISTAT)
Nota: Le covariate includono: classe, stato civile, istruzione, età ed età al quadrato della
madre, istruzione del padre (se presente), presenza di figli tra 0 e 5 anni, presenza di figli tra
11 e 18 anni, ed effetti fissi di grado, anno e provincia. Errori standard robusti ottenuti usando
cluster per l’interazione tra provincia e anno di frequenza scolastica. I livelli di significatività
sono indicati con *** p<0.01, ** p<0.05, * p<0.1.
Data l’elevata eterogeneità geografica del mercato del lavoro italiano, con il Nord Italia
caratterizzato da tassi di attività elevati e il Sud Italia caratterizzato da tassi di disoccupazione
considerevoli (si vedano le Fugure 1, 2 e 3), nella Tabella 4 abbiamo investigato se l’effetto della
riforma ha effetti differenziali per ripartizione geografica. Nel Mezzogiorno la riforma sembra avere
un impatto maggiore sulla partecipazione al mercato del lavoro rispetto all’Italia Settentrionale, ma
gli effetti non sono statisticamente diversi da zero per entrambe le aree. Più in generale, la precisione
statistica delle stime non permette di evidenziare differenze significative negli effetti tra aree diverse
85
del paese. Possiamo pertanto concludere che la stratificazione per area geografica non fornisce
informazioni rilevanti per spiegare i comportamenti delle madri italiane e pertanto non verrà tenuta
in conto nelle analisi che seguono.
Tabella 5: Effetto della riforma per madri immigrate e non immigrate.
Italia Piemonte
Intero
campione
Madre
italiana
Madre
straniera
Intero
campione
Madre
italiana
Madre
straniera
VARIABILI (1) (2) (3) (4) (5) (6)
Iscrizione post-riforma 0.013* 0.010 0.028 -0.035* -0.024 -0.006
(0.007) (0.008) (0.020) (0.021) (0.023) (0.051)
Osservazioni 120,479 104,881 15,698 9,660 7,960 1,700
Fonte: RFL 2005-2012 (ISTAT)
Nota: Le covariate includono: stato civile, istruzione, età ed età al quadrato della madre, istruzione del padre (se presente),
presenza di figli tra 0 e 5 anni, presenza di figli tra 11 e 18 anni, ed effetti fissi di grado, anno e provincia. Errori standard
robusti ottenuti usando cluster per l’interazione tra provincia e anno di frequenza scolastica. I livelli di significatività sono
indicati con *** p<0.01, ** p<0.05, * p<0.1
I risultati in Tabella 3 potrebbero nascondere effetti eterogenei rispetto alla nazionalità della
madre. Le madri immigrate potrebbero non avere una rete familiare di supporto in grado di permettere
la conciliazione tra lavoro e famiglia e per tale ragione potrebbero essere state influenzate di più dalla
riforma. E’ possibile identificare nei dati RFL le madri immigrate solo dal 2005, e per tale motivo, le
regressioni stimate per ottenere i risultati in Tabella 5 si riferiscono a un campione più piccolo rispetto
a quello utilizzato in Tabella 3. Ciò nonostante i risultati nelle colonne 1 e 4 sono molto simili a quelli
nelle stesse colonne della Tabella 3. Anche in questo caso la stratificazione considerata non fa
emergere effetti significativi.
Nella Tabella 6 abbiamo studiato l’effetto della riforma su altri indicatori della condizione
lavorativa delle madri. In particolare, abbiamo considerato probabilità di essere occupata (colonna 2),
di essere disoccupata (colonna 3), sul numero di ore lavorate a settimana (colonna 4), e sul tipo di
contratto (a tempo determinato in colonna 5, e a tempo indeterminato in colonna 6). La tabella
presenta due panel separati, distinguendo Italia dal Piemonte. I risultati mostrano che il debole effetto
sulla partecipazione al mercato del lavoro documentato in Tabella 3 è attribuibile allo spostamento
delle madri da inattività ad attività, ma non necessariamente verso occupazione. Non si evidenziano
effetti sul numero di ore lavorate o sulla tipologia di contratto. Come vedremo più avanti, la Tabella
6 non permette di valutare differenze negli effetti tra madri appartenenti a diversi gruppi di età, con
diversi livelli di istruzione e con stato civile differente.
86
Tabella 6: Effetto della riforma su altri indicatori della condizione lavorativa.
(1) (2) (3) (4) (5) (6)
VARIABILI Attività Occupazione Disoccupazione
Ore
lavorate
Lavoro a
tempo
determinato
Lavoro a
tempo
indeterminato
Italia
Iscrizione post- riforma 0.012* 0.007 0.006 0.105 0.004 0.005
(0.007) (0.007) (0.003) (0.256) (0.004) (0.008)
Osservazioni 137,470 137,470 137,470 137,470 122,551 122,551
Piemonte
Iscrizione post- riforma -0.028 -0.023 -0.005 -0.964 -0.008 -0.021
(0.021) (0.023) (0.011) (1.047) (0.015) (0.033)
Osservazioni 10,985 10,985 10,985 10,985 9,592 9,592
Fonte: RFL 2004-2012 (ISTAT)
Nota: Le covariate includono: stato civile, istruzione, età ed età al quadrato della madre, istruzione del padre (se presente),
presenza di figli tra 0 e 5 anni, presenza di figli tra 11 e 18 anni, ed effetti fissi di grado, anno e provincia. Errori standard
robusti ottenuti usando cluster per l’interazione tra provincia e anno di frequenza scolastica. I livelli di significatività sono
indicati con *** p<0.01, ** p<0.05, * p<0.1
Nella Tabella 7 abbiamo studiato se la riforma ha avuto effetti diversi in base a caratteristiche
demografiche della madre. In particolare abbiamo considerato la possibilità di effetti eterogenei
rispetto all’età, livello d'istruzione e stato matrimoniale, separatamente per l’Italia (colonne 1-3) e il
Piemonte (colonne 4-6) e per tipologia familiare. Il Panel A distingue tra madri in diverse classi di
età: 25-34, 35-39 e 40-50; il Panel B distingue tra madri con differente livello d’istruzione e il Panel
C distingue tra madri con differente stato civile.
I risultati presentati nella tabella possono essere interpretati nel seguente modo. A titolo
esemplificativo consideriamo il Panel A relativo all’età della madre. Le due variabili “madri età 35-
39” e “madri età 40-50” sono ottenute come interazione tra le due dummy di età considerate e la
dummy per il periodo post-riforma; di conseguenza, la variabile “Iscrizione post-riforma” si riferisce
alla categoria di età omessa “25-34 anni”. Ne segue che il coefficiente di “Iscrizione post-riforma”
rappresenta l’effetto della riforma sulle madri nella fascia di età 25-34 anni, mentre i coefficienti di
“madri età 35-39” e “madri età 40-50” rappresentano rispettivamente l’effetto differenziale della
riforma sulle madri nelle due fasce di età considerate rispetto alla categoria di riferimento “25-34
anni”.
Diversamente da quanto documentato in Tabella 3, la riforma ha avuto degli effetti significativi
per le madri relativamente più vecchie del campione (dai 35 ai 50 anni, che rappresentano il 76,3%
delle madri in periodi post-riforma). Gli effetti sono importanti, e pari ad un aumento di circa il 2%
sul tasso di attività. Uno sguardo alle colonne 2 e 3 della tabella fa capire che l’effetto differenziale
87
tra età diverse permane anche quando il campione è diviso per tipologia familiare, con effetti più
marcati per le famiglie con due figli entrambi iscritti alla scuola primaria. Quando l’analisi si
concentra sul Piemonte, l’effetto dell’età non è più significativo.
Tabella 7: Eterogeneità degli effetti rispetto a età, istruzione e stato civile delle madri.
Italia Piemonte
Intero
camp.
un figlio
iscritto
alla
primaria
due figli
iscritti
alla
primaria
Intero
camp.
un figlio
iscritto
alla
primaria
due figli
iscritti
alla
primaria
VARIABILI (1) (2) (3) (4) (5) (6)
Panel A: Età
Iscrizione post-riforma -0.011 -0.008 -0.020 -0.032 -0.037 -0.007
(0.010) (0.012) (0.020) (0.037) (0.038) (0.060)
Ref.: madri età 25-34
madri età 35-39 0.026** 0.012 0.062*** -0.000 0.006 -0.041
(0.010) (0.012) (0.019) (0.036) (0.037) (0.056)
madri età 40-50 0.031*** 0.025** 0.050*** 0.008 0.024 -0.050
(0.010) (0.011) (0.019) (0.031) (0.034) (0.054)
Panel B: Istruzione
Iscrizione post-riforma 0.014 0.013 0.018 -0.063** -0.043 -0.111*
(0.009) (0.011) (0.017) (0.027) (0.029) (0.057)
Ref.: madre meno di diploma
madre diploma -0.009 -0.013 -0.001 0.049 0.026 0.107***
(0.008) (0.010) (0.016) (0.031) (0.036) (0.031)
madre laurea o più 0.016 0.006 0.036* 0.082*** 0.049 0.134**
(0.014) (0.015) (0.020) (0.024) (0.033) (0.056)
Panel C: Stato civile
Iscrizione post-riforma 0.011 0.007 0.023 -0.025 -0.020 0.023
(0.007) (0.009) (0.014) (0.021) (0.021) (0.050)
Ref.: madre con partner
madre single 0.015 0.011 0.022 -0.035 -0.048 0.006
(0.013) (0.013) (0.028) (0.040) (0.041) (0.090)
Osservazioni 137,470 100,252 37,218 10,985 8,094 2,891
Fonte: RFL 2004-2012 (ISTAT)
Nota: I risultati nei Panel A, B e C sono ottenuti tramite regressioni separate. Le covariate includono: stato civile,
istruzione, età ed età al quadrato della madre, istruzione del padre (se presente), presenza di figli tra 0 e 5 anni,
presenza di figli tra 11 e 18 anni, ed effetti fissi di grado, anno e provincia. Errori standard robusti ottenuti usando
cluster per l’interazione tra provincia e anno di frequenza scolastica. I livelli di significatività sono indicati con
*** p<0.01, ** p<0.05, * p<0.1
La Tabella 7 permette anche di capire se la risposta delle madri alla riforma dipende dal loro livello
d'istruzione. La riforma ha aumentato la partecipazione solo delle madri con un livello d’istruzione
più alto, ma solo per il Piemonte – si vedano le colonne 4, 5 e 6. In questa regione le madri post-
riforma con titolo di studio più basso presentano un tasso di partecipazione minore. L’effetto è
principalmente attribuibile alle madri con due figli iscritti alla scuola primaria (colonna 6).
Probabilmente le madri che hanno investito di più nella loro carriera, anche alla luce del tipo di lavoro
88
svolto, potrebbero avvantaggiarsi di eventuali orari più lunghi a scuola. E’ possibile che questo effetto
emerga solo per il Piemonte e non per il resto d’Italia perché questa regione ha un mercato del lavoro
più dinamico in cui un’effettiva volontà d'ingresso nel mercato del lavoro può trovare realizzazione.
Se guardiamo allo stato civile, l’effetto della riforma non sembra essere diverso per le madri single
rispetto alle madri sposate.
Tabella 8: Eterogeneità degli effetti rispetto a età, istruzione e stato civile delle madri.
Italia Piemonte
attività occupazione
dis-
occupazione
attività occupazione
dis-
occupazione
VARIABILI (1) (2) (3) (4) (5) (6)
Panel A: Età
Iscrizione post-riforma -0.011 -0.015 0.005 -0.032 -0.028 -0.003
(0.010) (0.010) (0.005) (0.037) (0.041) (0.020)
Ref.: madri età 25-34
madri età 35-39 0.026** 0.028*** -0.002 -0.000 0.005 -0.005
(0.010) (0.010) (0.005) (0.036) (0.039) (0.015)
madri età 40-50 0.031*** 0.027*** 0.004 0.008 0.006 0.002
(0.010) (0.009) (0.005) (0.031) (0.030) (0.018)
Panel B: Istruzione
Iscrizione post-riforma 0.014 0.007 0.006 -0.063** -0.047 -0.016
(0.009) (0.009) (0.004) (0.027) (0.031) (0.015)
Ref.: madre meno di diploma
madre diploma -0.009 -0.009 0.001 0.049 0.026 0.023
(0.008) (0.009) (0.005) (0.031) (0.033) (0.017)
madre laurea o più 0.016 0.023 -0.007 0.082*** 0.081*** 0.000
(0.014) (0.014) (0.005) (0.024) (0.027) (0.014)
Panel C: Stato civile
Iscrizione post-riforma 0.011 0.007 0.004 -0.025 -0.015 -0.010
(0.007) (0.007) (0.003) (0.021) (0.023) (0.011)
Ref.: madre con partner
madre single 0.015 -0.002 0.017** -0.035 -0.100** 0.065*
(0.013) (0.014) (0.008) (0.040) (0.043) (0.035)
Osservazioni 137,470 137,470 137,470 10,985 10,985 10,985
Fonte: RFL 2004-2012 (ISTAT)
Nota: I risultati nei Panel A, B e C sono ottenuti tramite regressioni separate. Le covariate includono: stato civile, istruzione, età
ed età al quadrato della madre, istruzione del padre (se presente), presenza di figli tra 0 e 5 anni, presenza di figli tra 11 e 18
anni, ed effetti fissi di grado, anno e provincia. Errori standard robusti ottenuti usando cluster per l’interazione tra provincia e
anno di frequenza scolastica. I livelli di significatività sono indicati con *** p<0.01, ** p<0.05, * p<0.1
La Tabella 8 studia in quale misura le transizioni da inattività ad attività documentate per alcuni
gruppi nella Tabella 7 abbiano dato luogo a occupazione o a ricerca di lavoro. I risultati ci portano a
concludere che:
• le donne relativamente più vecchie sono entrate nel mercato del lavoro, trovando
un’occupazione. Questo si può vedere dagli effetti positivi nella colonna 2.
89
• la riforma non ha avuto effetti differenziali diversi per donne con diversi livelli di istruzione,
se non in Piemonte dove donne piu’ istruite sono transitate verso l’occupazione - questo si
può vedere dagli effetti positivi nella colonna 5.
• le donne in contesti familiari meno agevoli, qui identificate dalle madri single, hanno
aumentato la ricerca di lavoro ma non hanno trovato occupazione, come si evince dalla
colonna 3.
In sintesi possiamo dire che la riforma ha modificato i comportamenti delle madri in contesti familiari
più difficili e sopra i 35 anni portando ad uno spostamento dalla non-forza lavoro alla disoccupazione
nel primo caso e all’occupazione nel secondo.
5. Sintesi dei principali risultati del capitolo
Questo capitolo ha discusso gli effetti della riforma sull’offerta di lavoro delle madri utilizzando i
dati della RFL 2004-2011. Come già per il Capitolo 3, la principale sfida che abbiamo affrontato ha
riguardato l’individuazione di un’adeguata strategia identificativa che permettesse di identificare
l’effetto della riforma al netto di possibili effetti di contaminazione spuria. A tal fine abbiamo
selezionato solo madri con almeno un figlio e non più di due figli iscritti alla scuola primaria e
abbiamo ricostruito le coorti di madri secondo l’anno d’iscrizione dei figli.
La strategia d’identificazione seguita sfrutta il modo in cui la riforma è stata gradualmente
introdotta nelle diverse classi della scuola primaria a partire dal 2009. Tale disegno ha permesso di
separare coorti di madri prima (fino al 2008) e dopo (dal 2009) l’introduzione della riforma. Abbiamo
in tal modo ottenuto una stima dell’effetto della riforma sulla partecipazione femminile al mercato
del lavoro guardando all’esistenza di una discontinuità della serie storica a partire dal 2009.
I risultati hanno mostrato che la riforma ha avuto degli effetti causali in generale statisticamente
non significativi sulla partecipazione al mercato del lavoro. Gli effetti sono positivi per alcuni gruppi
identificati da caratteristiche socio-demografiche (età, istruzione o stato civile), ma la transizione da
inattività ad attività non necessariamente ha significato una transizione verso occupazione. Si
evidenzia che la riforma ha avuto effetti diversi in base a caratteristiche demografiche della madre.
In particolare, le donne nella fascia di età oltre i 35 anni sembrano aver beneficiato dell’introduzione
della riforma, mostrando un incremento del tasso di occupazione.
Ricordiamo che nel Capitolo 2 abbiamo trovato evidenza che la riforma si è principalmente
tradotta una maggiore concentrazione di classi organizzate a modulo in 27 ore settimanali o a tempo
pieno a scapito della fascia oraria centrale 28-39 ore. Tale evidenza, unita a quanto trovato in questo
90
capitolo, suggerisce che le madri nelle fasce di età più mature, che hanno completato o sono vicine a
completare il loro ciclo fertile e quindi con più interesse/facilità a immettersi nel mercato del lavoro,
sono riuscite a trarre beneficio dalla riforma eventualmente avvantaggiandosi degli orari più flessibili
offerti dalle classi a tempo pieno.
91
Appendice
Tabella A1: Statistiche descrittive. Anni scolastici 2003-2011. Italia
coorti pre-riforma coorti post-riforma
VARIABILI Media DS Media DS
Variabile-risultato
% madri attive 0.577 0.494 0.585 0.493
% madri occupate 0.523 0.499 0.525 0.499
% madri disoccupate 0.054 0.225 0.060 0.237
ore lavorate 14.33 17.25 14.23 16.87
% lavoro a tempo determinate 0.067 0.250 0.061 0.240
% lavoro a tempo indeterminato 0.397 0.489 0.411 0.492
Covariate
% Madri sposate 0.905 0.293 0.869 0.338
% Madri monogenitore 0.061 0.239 0.072 0.258
Madri età 37.87 4.99 38.16 5.18
% Madri nate all’estero * (dal 2005) 0.115 0.320 0.175 0.380
% Madri con:
Meno di diploma 0.441 0.497 0.386 0.487
Diploma 0.429 0.495 0.446 0.497
Laurea o piu’ 0.130 0.336 0.168 0.374
% Padri con:
Meno di diploma 0.473 0.499 0.426 0.494
Diploma 0.360 0.480 0.379 0.485
Laurea o piu’ 0.105 0.307 0.123 0.329
Padre mancante/non in nucleo 0.061 0.239 0.072 0.258
% nuclei familiari con:
Bambini di età 0-5 in nucleo familiare 0.352 0.478 0.361 0.480
Più di un bambino di età 6-10 in nucleo 0.263 0.440 0.300 0.458
Bambini di età 11-18 in nucleo familiare 0.287 0.453 0.240 0.427
Ripartizione geografica:
Nord 0.382 0.486 0.409 0.492
Centro 0.156 0.362 0.166 0.372
Sud 0.463 0.499 0.424 0.494
Classe I 0.297 0.457 0.515 0.500
Classe II 0.341 0.474 0.336 0.472
Classe III 0.362 0.481 0.149 0.356
N (madri) 107,690 29,780
92
Tabella A2: Statistiche descrittive. Anni scolastici 2003-2011. Piemonte
coorti pre-riforma coorti post-riforma
VARIABILI Media DS Media DS
Variabile-risultato
% madri attive 0.731 0.443 0.713 0.452
% madri occupate 0.688 0.464 0.653 0.476
% madri disoccupate 0.044 0.205 0.061 0.238
ore lavorate 19.84 17.88 18.88 17.80
% lavoro a tempo determinate 0.058 0.233 0.060 0.237
% lavoro a tempo indeterminato 0.582 0.493 0.552 0.497
Covariate
% Madri sposate 0.869 0.337 0.839 0.367
% Madri monogenitore 0.077 0.266 0.078 0.268
Madri età 38.09 4.76 38.48 4.91
% Madri nate all’estero * (dal 2005) 0.146 0.353 0.260 0.439
% Madri con:
Meno di diploma 0.405 0.491 0.362 0.481
Diploma 0.473 0.499 0.477 0.500
Laurea o piu’ 0.123 0.328 0.161 0.368
% Padri con:
Meno di diploma 0.473 0.499 0.379 0.485
Diploma 0.371 0.483 0.413 0.492
Laurea o piu’ 0.108 0.310 0.130 0.337
Padre mancante/non in nucleo 0.077 0.266 0.078 0.268
% nuclei familiari con:
Bambini di età 0-5 in nucleo familiare 0.350 0.477 0.327 0.469
Più di un bambino di età 6-10 in nucleo 0.251 0.434 0.303 0.460
Bambini di età 11-18 in nucleo familiare 0.235 0.424 0.210 0.407
Classe I 0.300 0.458 0.511 0.500
Classe II 0.342 0.474 0.334 0.472
Classe III 0.359 0.480 0.156 0.363
N (madri) 8,473 2,512
93
Capitolo 5
CONCLUSIONI E IMPLICAZIONI DI POLICY
La domanda di ricerca su cui si è incentrato il presente lavoro è costruita attorno agli effetti diretti e
indiretti dell’introduzione della riforma Gelmini nella scuola primaria. L’intervento è entrato in
vigore a partire dall’a.s. 2009/2010. Malgrado i media e le varie associazioni abbiano posto l’accento
sulla reintroduzione della figura del maestro prevalente (maestro unico), come mostrato in questa
monografia la vera portata della riforma è stata di dimensioni ben più ampie.
E’ importante ricordare che l’implementazione della riforma Gelmini, come del resto le critiche o
i consensi di cui è stata oggetto, è avvenuta in un clima di totale assenza d’indicatori statistici a
supporto dell’una o dell’altra tesi. Molta della discussione – se non tutta – si è svolta citando evidenza
da aneddoto, come spesso avviene nel nostro paese. Inoltre, l’assenza di pubblicazioni ufficiali
successive al 2009 da parte del MIUR non ha agevolato, a ridosso dell’implementazione della
riforma, una discussione costruttiva basata su evidenze oggettive di quello che stava succedendo.
In questo senso, la ricerca svolta – realizzata anche grazie alla piena collaborazione avuta da parte
dei dirigenti di MIUR e INVALSI –ha contribuito a colmare un vuoto, offrendo una rigorosa
descrizione di cosa è successo agli input scolastici nei primi tre anni d’implementazione della riforma
e le possibili conseguenze sull’apprendimento degli studenti e sulle famiglie.
Come descritto nel Capitolo 1, l’intervento in oggetto ha imposto alle scuole una riduzione
importante dell’organico (pari al 17% degli insegnati occupati nel 2007), l’abolizione della
compresenza in classe, e l’aumento della dimensione delle classi (alzando il numero minimo di
studenti per classe). Nel Capitolo 2 abbiamo quantificato gli effetti della riforma su tali input
scolastici, e le conseguenze che ciò ha avuto di riflesso sull’offerta oraria della scuola primaria nei
primi tre anni d’implementazione.
Abbiamo documentato come la riforma abbia causato una maggiore concentrazione di classi
organizzate con un profilo orario a 27 ore settimanali, una contrazione dei profili orari “intermedi”
tra il minimo di legge e il tempo pieno, e un aumento del numero di classi a tempo pieno (40 ore
settimanali). Abbiamo inoltre mostrato che il profilo orario a 24 ore settimanali, tanto temuto e
osteggiato dalle famiglie, non è stato invece sfruttato né imposto forzatamente alle stesse. Abbiamo
concluso che l’effetto complessivo della riforma sul tempo-scuola è stato tutto sommato limitato, ma
con un segno diverso da quello atteso da media e opinione pubblica. La modificazione dei profili
orari ha fatto sì che, in media nel nostro paese, il tempo scuola sia stato esteso di circa 33 ore in un
anno (pari a circa una settimana in più all’anno). Il rapporto tra studenti e insegnanti è cresciuto di
94
0,6755 in media nel paese. Questo risultato è una meccanica conseguenza della riduzione
dell’organico insegnanti previsto dalla legge, ma è in caso inferiore a quanto originariamente previsto
nel testo della legge (1 punto).
Uno dei contributi fondamentali di questo lavoro riguarda la stima degli effetti sugli apprendimenti
degli studenti. Il Capitolo 3 è stato completamente dedicato a questo aspetto. I risultati mostrano che
la riforma ha avuto un effetto causale negativo sull’apprendimento degli studenti quantificabile in
circa il 4% di risposte corrette in meno al test INVALSI sulle competenze in matematica. Problemi
di misura dovuti alla mancanza di ancoraggio dei test negli anni considerati (2008/09, 2009/10,
2010/11 e 2011/12) ci hanno forzato a considerare solo gli apprendimenti in matematica. L’effetto
negativo del 4% si riferisce all’intero provvedimento Gelmini. Le nostre analisi ci hanno portato a
concludere che l’abolizione della compresenza spiega circa metà di questo effetto negativo. Poiché
altri studi hanno mostrato che la dimensione della classe non è un input rilevante per gli apprendimenti
degli studenti nella scuola pubblica italiana (si veda Angrist et al. 2014), ne segue che il principale
canale che spiega l’effetto negativo della riforma è quello della riduzione dell’organico assegnato alle
scuole.
Abbiamo mostrato che esiste un notevole grado di eterogeneità degli effetti tra aree del paese.
Nelle scuole del Mezzogiorno l’abolizione della compresenza sembra essere la principale causa della
riduzione negli apprendimenti. Nelle rimanenti aree del paese l’abolizione della compresenza sembra
avere avuto un ruolo minore. Dove rilevante, l’abolizione della compresenza ha sfavorito
maggiormente i bambini più giovani, che nei dati INVALSI sono quelli iscritti alla seconda classe
(rispetto agli iscritti alla quinta classe).
Infine nel Capitolo 4 abbiamo analizzato gli effetti della riforma sulla partecipazione delle madri
al mercato del lavoro. Un cambiamento nell’offerta oraria delle scuole con una polarizzazione verso
le 27 ore e il tempo pieno a scapito della fascia oraria 28-39 ore potrebbe aver avuto effetti inattesi
sull’offerta di lavoro delle madri. Le nostre conclusioni sono che, in generale, la riforma non ha
avuto effetti statisticamente significativi sull’offerta di lavoro delle madri. Questo risultato vale per
l’intero paese, e per il Piemonte in particolare, e non è sorprendente se si pensa che il tempo-scuola
si sia allungato in media solamente di una settimana sull’intero anno scolastico.
Tuttavia è importante rilevare che la riforma non è stata a impatto nullo per tutte le donne. La
partecipazione al mercato del lavoro di madri relativamente meno giovani sembra essere aumentata
rispetto a quella delle madri più giovani. Non avendo accesso a dati che permettano di comprendere
l’origine di tale risultato, possiamo solo speculare su quali possano essere le ragioni di tale fenomeno.
Una possibile spiegazione, ma non l’unica, potrebbe essere che non tutte le donne hanno beneficiato
95
in maniera uguale dell’aumento di classi a tempo pieno. Questo è il profilo orario che più permette la
conciliazione tra tempi lavorativi e tempi familiari. In calcoli non riportati in questa monografia,
utilizzando i dati INVALSI abbiamo verificato se la composizione delle madri in classi a tempo pieno
sia rimasta la stessa pre e post-riforma. Questo significa, ad esempio, che il rapporto tra la percentuale
di madri meno istruite e la percentuale di madri più istruite nelle classi a tempo pieno è rimasto
sostanzialemente invariato nel tempo. In questo senso, non c’è stato un cambio di opportunità causato
dalla riforma selettivamente per certe categorie di donne. I dati a disposizione ci hanno permesso di
verificare cambiamenti nella composizione solo per le variabili demografiche rilevate da INVALSI.
La variabile età, purtroppo, non è tra queste. Un cambio nella composizione delle classi a tempo pieno
secondo l’età dei genitori potrebbe avere spinto le madri vicine al completamento del ciclo di vita
fertile a sfruttare orari scolastici più per cercare un’occupazione. L’esistenza di possibili
disuguaglianze in opportunità generate dalla riforma è un tema su cui ci proponiamo di lavorare in
futuri progetti di ricerca.
96
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