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Discepoli di Gesù sulle orme di Paolo

Orientamenti pastorali 2008-2009

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Discepoli di Gesù sulle orme di Paolo

In copertina: Dipinto di G.B. Ragazzi, 1750Chiesa San Paolo in Modica

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Orientamenti pastorali 2008-2009

DIOCESI DI NOTO

DISCEPOLI DI GESÙSULLE ORME DI PAOLO

ORIENTAMENTI PASTORALI

2008-2009

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Discepoli di Gesù sulle orme di Paolo

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Orientamenti pastorali 2008-2009

Consegno ai presbiteri e ai diaconi, ai religiosi ealle religiose, agli operatori pastorali e ai fedeli, maanche a tutti gli uomini di buona volontà che vor-ranno prenderli in considerazione, questi Orientamen-ti pastorali per l’anno 2008-2009. La loro funzione èquella di accompagnare il cammino dei credenti edelle comunità cristiane nella crescita della fede edella comunione ecclesiale. Sono nati da una coraleelaborazione che ha visto la partecipazione soprat-tutto dei Consigli diocesani presbiterale e pastorale.Esprimono così la coscienza della nostra Chiesa difronte alla chiamata di Dio in questo nostro tempo edella missione che Egli ci affida. Li consegno alla fede,alla preghiera e alla responsabilità di ciascuno per-ché tutti insieme, da veri discepoli, possiamo percor-rere le vie che il nostro Maestro e Signore Gesù Cri-sto e il suo apostolo San Paolo indicano e traccianoper noi.

Noto, 14 settembre 2008Esaltazione della Santa Croce

IL VESCOVO DI NOTO

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DISCEPOLI DI GESÙ OGGI

PREMESSE

L’idea generativa

Gli Orientamenti pastorali 1 per gli anni 2008-2010 adottano come idea generativa l’esperien-za dei discepoli di Gesù; propongono infatti ildiscepolato evangelico come modello e originedell’esistenza cristiana anche per il nostro tem-po; vogliono suggerire e far sperimentare quan-to sia possibile, significativo e ricco di speran-za vivere oggi come discepoli di Gesù.

Chiamiamo generativa l’idea di discepolatoperché non è una a caso tra altre, ma svolge unruolo determinante nelle origini cristiane e in ogniforma di rinascita cristiana. Essa ci fa capire cheessere cristiani non è un insieme affastellato dicose da sapere e da fare, ma una relazione per-sonale di fede in Gesù da cui tutto si genera

1 Viene adottata la formula “Orientamenti pastorali”,piuttosto che, per esempio, “Piano pastorale”, per sotto-lineare che non si pretende di dire tutto e di esaurire iltema scelto, ma piuttosto per indicare una pista su cuicorrere tutti facendovi convergere apporti che possanoarricchire il comune cammino ecclesiale nella unità e nellaconcordia.

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nell’esistenza credente di ogni singolo cristia-no e di ogni comunità cristiana, come pure diogni uomo che viene in contatto con Gesù econ i suoi discepoli.

Dall’appartenenza ad una religione alla relazionecon la persona di Gesù

Se osserviamo il modo di vivere e di pensa-re di tanti cristiani, è possibile constatare cheessi sembrano per lo più sentirsi, più o menoconsapevolmente, parte di una totalità segna-ta dal cristianesimo, e come tali fedeli di unareligione tra altre, parte dell’istituzione eccle-siastica, membri di una organizzazione religio-sa, individui inseriti in un processo di tradizio-ne e in una cultura impregnate di cristianesi-mo; prevale in altri termini un senso quasi ano-nimo e impersonale di sentire e vivere l’appar-tenenza cristiana.

Siamo sollecitati, perciò, a riscoprire il verovolto della fede cristiana, che consiste nella re-lazione personale con Gesù. In tale passaggio,dall’appartenenza religiosa sociologica e cul-turale alla relazione e sequela personale e co-munitaria dietro a Gesù, avviene come un pro-cesso di liberazione, perché ciò che prima ap-pariva un peso insopportabile, come tutte leforme di legame associativo in cui si appannal’origine e il senso, ora si presenta per ciò che

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veramente è, una relazione personale capacedi ridare respiro e speranza ad una vita cheritrova senso, entusiasmo, gioia, possibilità didedizione e di solidarietà.

Una speranza anche per chi è lontano

Anche rispetto ai non pochi che vivono lon-tano dalla religiosità tradizionale cristianamen-te ispirata, che non svolgono alcuna praticareligiosa o che hanno abbracciato forme spurieo alternative di credenza e di pratica religiosa,la riscoperta del discepolato evangelico è ca-pace di fornire il senso genuino di una fede edi una esperienza che non avevano mai gusta-to o che sorprende con il suo sapore di novità edi autenticità, come solo la scoperta di unapersona straordinaria sa dare.

Alla riscoperta del discepolato evangelico

Il nostro impegno pastorale vuole alloraruotare attorno alla riscoperta del discepolatoevangelico; vuole scoprire la possibilità di vi-vere da discepoli di Gesù oggi, nelle più diver-se condizioni umane e sociali.

Vivere da discepoli di Gesù significa entra-re in relazione personale con lui, imparare aconoscerlo e ad amarlo, abbracciarlo come pro-prio Signore, cioè maestro, modello, guida, fon-

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te personale della forza che rende capaci dipensare e vivere con lui e come lui.

Il testo degli Orientamenti pastorali che di se-guito vengono esposti comprende innanzitutto unapresentazione dei motivi teologico-biblici che stan-no a fondamento del discepolato cristiano e costi-tuiranno punto di riferimento per l’intero biennio2008-2010.

Una seconda parte espone il tema specifico del-l’anno pastorale 2008-2009 che intende valoriz-zare la figura di san Paolo come modello del disce-polo.

Nella terza parte si guarda al discepolo in quan-to persona umana inserita in questo nostro mondoutilizzando i temi proposti dal recente ConvegnoNazionale di Verona, che ha individuato alcuniambiti dell’esperienza storico-temporale del creden-te, quali l’affettività, la tradizione, il lavoro e lafesta, la fragilità e la cittadinanza, per suggerirepiste di riflessione e di iniziativa nel programmarepercorsi concreti di discepolato cristiano oggi incorrispondenza alle esigenze concrete di singoli,di gruppi e di comunità.

Infine l’ultima parte si sofferma su alcune indi-cazioni di carattere operativo in funzione della pro-grammazione pastorale.

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PRIMA PARTE

In questa prima parte vengono proposti i temiteologico-biblici, a partire soprattutto dai Vange-li, che definiscono il modello del discepolo secondol’esperienza e l’insegnamento di Gesù. Abbiamocosì a disposizione un testo di riferimento per iltempo in cui fermeremo la nostra attenzione pa-storale diocesana sul discepolato.

«VOGLIAMO VEDERE GESÙ» (Gv 12,21; cf. 8,12)

Esperienza del discepolato

Per andare alla riscoperta del discepolatoevangelico è necessario ripercorrere la narra-zione evangelica non solo per apprendere ciòche essa ci mostra dei discepoli di Gesù e ci facapire delle caratteristiche e delle esigenze deldiscepolato cristiano, ma quasi per immedesi-marci nei discepoli di Gesù e fare della nostravita un cammino dietro a lui. Se infatti la pa-rola discepolo (mathetes = colui che è dispostoad apprendere) rimanda a colui che sotto laguida di un maestro apprende ciò che ha biso-gno di conoscere per vivere, nel Vangelo tale

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apprendimento è un apprendistato, l’assimi-lazione di un preciso di stile di vita, e l’ascoltodi colui che è stato chiamato da Gesù equivalea stargli accanto (cf. Mc 3,13-19), dialogare conlui (cf. Lc 9,18-22), stargli dietro seguendone leorme (cf. 1Pt 2,21) e lasciandosi portare doveegli conduce (cf. Gv 21,18). Apprendere infat-ti ciò che Gesù insegna non è solo ascoltaredegli insegnamenti ma osservare una vita econdividere un’esperienza. Gesù insegna eguida con le sue parole e con l’esempio dellasua persona e della sua vita in tutte le sue ma-nifestazioni.

Ascolto e discepolato

Il discepolato si lega profondamente al-l’ascolto, su cui abbiamo fermato la nostra at-tenzione durante l’anno pastorale trascorso.Dall’ascolto infatti scaturisce spontaneamentela relazione personale e il seguitare dietro allapersona incontrata, il mantenere e coltivare larelazione con colui da cui ci siamo lasciati con-quistare (cf. Fil 3,12), ascoltandolo. Discepolatoevangelico e ascolto costituiscono per così direuna “endiadi” esistenziale: l’uno richiama l’al-tro, dispiegando il senso misterioso della seque-la dietro a Gesù. Nella chiamata dei primi di-scepoli (cf. Mt 4,18-20) cogliamo il perno del-l’ascolto che fonda il discepolato: da una parte

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la chiamata-invito di Gesù che manifesta quel-l’autorevolezza (exousia) che è propria di Dio;nella formazione dei discepoli, infatti, l’inizia-tiva è sempre di Gesù che chiama a sé chi vuo-le (cf. Gv 15,16), nella prospettiva salvifica delprogetto di Dio sull’umanità (cf. 1Tm 2,4); dal-l’altra, la prontezza dei discepoli a rispondereall’invito del maestro. Una risposta docile,pronta, fiduciosa (come si evince dall’avverbiodi tempo eutheos di Mt 18,20).

L’iniziativa di Gesù e la risposta docile deidiscepoli costituiscono il mistero della chiama-ta cristiana, la cui connotazione peculiare èdata dall’intima relazione con il maestro, alpunto di condividere con lui lo stile di ascoltoche egli a sua volta ha tenuto nei confronti dellavolontà del Padre. La chiamata di Gesù si con-densa in questo concetto di “relazione” che ècondivisione del suo destino, vale a dire liberaaccoglienza dell’essere progressivamente coin-volti nel progetto di salvezza per tutti. I disce-poli non ascoltano un messaggio, ma assimila-no uno stile di vita e imparano ad accogliere,nell’imitazione, la persona stessa del maestro.Essere discepoli vuol dire condividere il suodestino di Messia, contestato e rigettato, mascelto da Dio per quel disegno di benevolenzache intende raggiungere tutti (cf. 1Pt 2,4). Sem-bra dunque un naturale sviluppo dell’ascoltocercare di prolungarlo – perché non si può mai

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smettere di ascoltare il Signore – in un cammi-no fedele dietro a lui con tutta la propria per-sona e la propria vita.

Le condizioni del discepolato: libertà e coraggio

La chiamata dei discepoli, che risponde al-l’iniziativa di elezione da parte di Gesù sulmodello delle elezioni veterotestamentarie (Es3,10; Gdc 6,11.14; Ger 1,5; Is 49,1.5; Am 7,15),esige alcune condizioni per la sequela. Anchese le pretese sembrano ardue, esse tuttavia ri-chiedono al discepolo di ricomprendere la suaidentità, il suo essere in libertà. Il superamentodei legami è a fondamento del recupero di unalibertà che restituisce il senso della propria iden-tità umana. La piccola sezione di Lc 9,57-62 inparallelo con Mt 8,18-22 presenta alcuni casidi una chiamata, fondata sulla prontezza, do-cilità e apertura nella libertà della sequela. Lasituazione di Gesù che «non ha dove posare ilcapo» (Lc 9,58) suggerisce al discepolo la liber-tà da ogni forma di sicurezza. Non è possibilecapire il mistero della chiamata senza questaapertura al volere di Dio che prende le mossedalla lucida e sapiente intenzionalità di acco-gliere la novità (il novum) che irrompe nella pro-pria vita.

La libertà dai legami parentali (Lc 9,59-60)è un altro aspetto essenziale del discepolato

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evangelico (cf. Mt 10,37; 19,29). Chi segueGesù, incamminato verso Gerusalemme e quin-di verso il compimento della volontà del Pa-dre, deve concepirsi pienamente intimo nellarelazione con lui, appartenente a lui in unadimensione per così dire “consacratoria”, se-condo lo statuto di impegno tipico delle elezio-ni veterotestamentarie. Questa libertà discepo-lare si completa nelle sue condizioni con la ca-pacità di sapersi distanziare da richiami delpassato (Lc 9,61-62). La compagnia di Gesùmaestro, che è una presenza viva, certa e gioio-sa, non ammette dilazioni o pentimenti.

La libertà, recuperata nell’intima relazionecon Gesù, reclama inoltre un’intelligente com-prensione delle conseguenze che i discepoli de-vono tenere in conto: il rischio della propriavita per restare fedeli a Gesù e all’annuncio delVangelo (cf. Mc 8,35). Portare la croce e segui-re Gesù, comporta non solo la condivisione delsuo destino ma anche il rischio di essere con-dannati come Gesù stesso (cf. Mt 10,38; Lc14,27; Mc 8,34; Gv 15,18-25).

Oltre alla libertà, un’altra condizione essen-ziale è il coraggio di sostenere l’urto di undiscepolato esigente e radicale. Non dobbiamodimenticare l’insegnamento che scaturisce dal-l’episodio del giovane ricco (cf. Mt 19,16-30;Mc 10,17-31; Lc 18,18-30), al quale Gesù chie-de espressamente di “rinunziare ai propri

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beni”. Non è facile intendere, almeno di primoacchito, il senso di questa richiesta così massi-malista. Il seguito della pericope (cf. Mt 19,23-30) permette di raccogliere qualche sollecita-zione. La proposta evangelica, corrispondentead un esplicito invito di Dio, è il “caso serio”.Prendere sottobanco l’invito di Gesù non sol-tanto porta a sminuire il valore di un’iniziati-va che è divina, ma rischia di mettere a repen-taglio il senso della propria esistenza. SeguireGesù con serietà significa recuperare la vitacome dono e la capacità di spenderla profetica-mente nelle circostanze attuali. La sequela èun dono di “salvezza” che ci libera dalle no-stre schiavitù e ci dispone a condividere nellasolidarietà fraterna quella comunione che è sìdono di Dio, ma edificata sul ceppo di questalibertà, quale risposta all’opera riscattatrice diDio da quelle schiavitù che oscurano persinola nostra identità.

È possibile tuttavia che nella ricezione di que-ste pretese sopravvenga quello stato di scorag-giamento che è tipico di chi non ha maturato asufficienza la relazione con il maestro. Le ra-dicali esigenze del discepolato possono abbat-tere e persino spaventare. Ma nella sequela diGesù occorre tener conto di un aspetto fonda-mentale: è sempre lui a precedere il nostro cam-mino. Il discepolo infatti va “dietro” al suomaestro. Ciò che è importante non è osservare

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pedissequamente modi e stili di comportamen-to, ma farsi indicare da Gesù la direzione delcammino, nel senso dell’espressione giovannea:«Io sono la luce del mondo; chi segue me noncammina nelle tenebre, ma avrà la luce dellavita» (Gv 8,12). La relazione con Gesù, che di-venta una inabitazione della compagniatrinitaria (cf. Gv 14,23), è manifestazione dellaluce di quell’ethos che i discepoli apprendonodal legame amorevole con lui. Gesù è la lucedella vera vita, fonte e forza per un’esistenzadi significato. Dall’intimo legame con lui, fon-dato esplicitamente sull’amore, scaturisce ladecisività di una risposta seria e responsabiledi solidarietà fraterna (cf. Gv 10,13.34;15,12.17).

Discepolato e Regno di Dio

Un’altra caratteristica del discepolato ri-guarda la comprensione della signoria di Dio.Essa è affidata ai discepoli, i quali devono im-parare a scrutare la sua prossimità nei gesti enelle parole del maestro. La conoscenza delRegno infatti è comprensione dell’identità diGesù, partecipazione e comunione di vita conlui. I discepoli tuttavia non comprendono su-bito l’istanza nuova di tale insegnamento. Essifaticano a identificare il compimentomessianico del Regno. Il loro cuore appare in-

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durito (cf. Mc 6,52) e la prospettiva dell’esisten-za resta quella di primeggiare l’uno sull’altro(cf. Mc 9,34). Gesù non può che biasimare taleincomprensione: «Non intendete e non capiteancora? Avete il cuore indurito? Avete occhi enon vedete, avete orecchi e non udite?» (Mc8,17-18a; cf. 6,52). Essa è anche perdita dimemoria: «E non vi ricordate, quando ho spez-zato i cinque pani per i cinquemila, quante ce-ste colme di pezzi avete portato via? Gli disse-ro: dodici. E quando ho spezzato i sette paniper i quattromila, quante sporte piene di pezziavete portato via? Gli dissero: sette. E disse loro:non capite ancora?» (Mc 8,18b-21). Da qui sievidenzia il compito precipuo dei discepoli: im-parare a “comprendere”. Comprendere anzi-tutto lui, il maestro, che rende presente nellasua vita il Regno di Dio. La comprensione del-l’identità di Gesù in relazione al suo annuncioè un preciso impegno del discepolo. L’incom-prensione al contrario risalta dall’incapacitàdel discepolo a penetrare la signoria di Dio nellasemplicità dell’annuncio di Gesù. È l’effetto diuna “tensione”, provocata dall’impatto con lalinearità e discrezione dell’irruzione di questoRegno (cf. Mc 4,26-32).

È l’incomprensione di un cammino chedefluisce all’inverso, in direzione del fallimen-to e della croce. Gesù, pertanto, è obbligato adistruire i suoi (cf. Mc 8,31; 9,31), affinché il suo

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cammino di passione possa diventare memo-ria esperienziale di sequela, servizio e donodella vita: «Se uno vuol essere primo sia l’ulti-mo di tutti e servo di tutti» (Mc 9,35; cf. 10,45).Dall’esperienza della croce scaturisce così ildono della comunione: esso unisce Gesù e i di-scepoli in una comunione reciproca, poiché ildiscepolato è «chiamata alla sequela, alla co-munione di vita; e il senso della chiamata èquesta stessa comunione di vita con Gesù. Essaè strada e meta a un tempo» (K. Stock).

Dal discepolato alla comunità della sequela

La chiamata dei primi discepoli non è solomodello della costituzione del “vero discepo-lo”, ma diventa altresì espressione o meglio ma-nifestazione di una comunità di sequela. Quisi coglie in modo preponderante la dimensio-ne generativa del discepolato. La chiamata in-fatti non è mai autoreferenziale, ma, nell’otti-ca della comunione con Gesù, sottintende lacompartecipazione di un medesimo idealeelettivo. Gesù chiama e manda a due a due,lasciando trasparire che la chiamata è sì unarelazione personale, ma si traduce tempestiva-mente in una relazione di “con-chiamata”(ekklesia). La dimensione ecclesiale deldiscepolato è intesa pertanto come condivisionedella comunione con Gesù. Ciò evoca, oltre alla

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natura primigenia della Chiesa che nasce dal-l’ascolto orante del maestro, lo specificodell’ecclesialità discepolare, vale a dire lacondivisione della conoscenza di Gesù. E giac-ché tale conoscenza nasce dall’amore verso dilui, essa è anzitutto condivisione dell’amorefiduciale che ogni discepolato insegna a matu-rare nella perseverante adesione al Vangelo delRegno.

La fraternità, che scaturisce dalla generosacondivisione dell’amore verso Gesù (cf. Gv15,9), non può arrestare il corso di questoirrefrenabile contagio (cf. Gv 1,40-42). L’ami-cizia, che i discepoli osano esprimersi recipro-camente, è attrazione verso Gesù. La sintoma-tica richiesta dei greci sul desiderio di vedereGesù («Vogliamo vedere Gesù»: Gv 12,21) ri-manda infatti all’efficacia di una testimonian-za, scevra da proselitismo, che ha posto Cristoal centro del proprio interesse. La vitadiscepolare è sempre cristocentrica: i discepolinon possono non avere Cristo come centro econtenuto del loro esistere. L’assimilazione dellapersona di Gesù fonda relazioni che si ispira-no alle modalità delle sue inusitate aperture diservizio e di abnegazione. La stima e l’amici-zia dei discepoli tra di loro è frutto dell’amoreverso Gesù che li ha progressivamente resi ser-vi gli uni degli altri, come lui che non ha ricu-sato la condizione dello schiavo (cf. Fil 2,6-7).

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L’aspetto dell’imitazione e della testimonian-za è implicito nella sequela. Gesù infatti esortai discepoli a un servizio disinteressato, richia-mando l’attenzione su di lui che ha scelto diservire (cf. Mc 10,45) e dare gratuitamente lapropria vita per gli altri (cf. Gv 15,13).

Discepoli in comunione e in missione

Quelli che seguono Gesù e condividono conlui il suo destino partecipano anche della suamissione. Da qui si comprende il senso dell’es-sere inviati. Sebbene il termine apostoloi, riferi-to ai dodici e ai discepoli, sia di origine post-pasquale, esso richiama una precisa intenzio-ne di Gesù sulla dilatazione del Regno di Dio.Il compito dei discepoli infatti riguarda pro-priamente l’irruzione della signoria divina e lasua vittoria sul male, le cui spire purtroppo af-fliggono l’umanità. Non possiamo dimentica-re l’esortazione che sottostà al mandato: «Estrada facendo, predicate che il Regno dei cieliè vicino: guarite gli infermi, risuscitate i morti,sanate i lebbrosi, cacciate i demoni» (Mt 10,7-8). La testimonianza inoltre è segnata da unpreciso statuto missionario, le cui modalità siispirano alla povertà di Cristo e alla libertà dallesicurezze personali (cf. Mc 6,8-9). Si tratta ov-viamente dell’assimilazione di uno stile speci-ficamente evangelico, contrassegnato appun-

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to dalla libertà che i discepoli hanno imparatoa forza di seguire il maestro. Il discepolato per-tanto non può che essere missionario, in virtùdi quella forza contagiosa che scaturisce dal-l’intimo legame con il maestro.

È proprio da questo intenso amore versoGesù che la missionarietà dei discepoli si co-niuga con il servizio. Missione e servizio costi-tuiscono due facce della stessa medaglia. Nonè possibile concepire la testimonianza missio-naria, senza quell’apertura, solidale e frater-na, che diventa tenerezza, attenzione, solleci-tudine; e d’altronde non si può immaginare unservizio che sia cambiamento di stile nelle re-lazioni, senza essere profetica testimonianzadella signoria di Dio. Missione e servizio sono,allora, congiunti dalla medesima finalità: l’an-nuncio della salvezza in Cristo. La testimo-nianza, come servizio, è ‘compromissione’ peril Vangelo, e il servizio, come missione, è ga-ranzia di una predicazione efficace.

Nella potenza dello Spirito del Risorto

Tale efficacia è affidata all’accompagna-mento dello Spirito. L’autore del quarto Van-gelo lo sottolinea a più riprese, lasciando tra-pelare l’idea, sempre attuale, che senza Gesùnon possiamo fare nulla (cf. Gv 15,5). Il donodello Spirito santo da parte del Risorto è deter-

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minante per la missione discepolare. Il suo ac-compagnamento riguarda certo la compren-sione della «verità tutta intera» (Gv 16,13), nel-l’ottica della presenza continuativa di Gesù (cf.Mt 28,20), sempre comunque in riferimento allastoria, ove il discepolo esprime l’opera perma-nente del Risorto. È al dono dello Spirito che sideve l’amalgama di quell’amicizia solidale cheforma l’identità della comunità discepolare; edè sempre grazie a lui che la fede può esprimer-si coerentemente nella lotta contro il male, an-ticipando ora ciò che lo Spirito permette di in-travedere sulle realtà celesti (cf. Col 3,1-2; Ef1,14).

Così siamo condotti a compiere un passo ul-teriore, che fa come esplodere la gioia di uncredente che incontra oggi Gesù Cristo nellaChiesa. Infatti la scoperta sorprendente è cheessere discepoli di Gesù è addirittura pienamen-te possibile, e quasi più accessibile, solo dopoche è divenuto impraticabile seguirlo per le viedella Palestina, e cioè dopo la sua morte. Infat-ti solo la risurrezione rende disponibile l’effu-sione dello Spirito e quindi il conferimento del-la presenza divina e della grazia necessaria avivere in relazione di fede e di amore a Gesùtutto il percorso della propria vita.

Intendiamo come solo nella relazione per-sonale con Gesù condivisa da tutti i chiamati ebattezzati è possibile e necessario vivere in co-

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munione, nella comunione della Chiesa; e solonel vissuto sperimentato e consolidato di quel-la relazione è possibile rendere ad altri testi-monianza di un incontro e di un’esperienzanon solo accessibili a tutti, ma addirittura di-sponibili ad essere fatti propri da chiunque nonsi chiuda al fascino del Trasfigurato Signoreche continua a offrirsi in dono sacrificale e con-viviale di amore nel sacramento eucaristico.

Discepolato e contemporaneità

Sono tante le domande che sorgono di frontea questa proposta, poiché ben differente è lacondizione di coloro che hanno conosciutoGesù anche prima della sua morte e della suarisurrezione; e noi ci troviamo alla distanza diduemila anni da quel tempo. Eppure molti dipiù, di quanti lo hanno conosciuto per le viedella Palestina, sono coloro che nel corso deisecoli lo hanno seguito, si sono fatti suoi disce-poli in maniera così coinvolgente e totale damostrarci al vivo, in modo quasi palpabile, diaver seguito passo passo una persona viva,poiché solo una relazione d’amore totalizzan-te ha potuto rendere possibile esistenze intera-mente consumate dal desiderio e dalla volontàdi aderire a Gesù e di realizzare in tutto la suaparola e la sua stessa vita. Nella fede è possibi-le vivere una tale relazione con Gesù. Chi ha

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conosciuto veramente Gesù non riesce a stac-carsi da lui, in ogni momento e ad ogni passo;la sua vita diventa veramente un ascoltareGesù e un andare dietro a lui, un camminarenella vita seguendo lui.

Riscoprire il nostro essere discepoli

Quali possono essere le vie per riscoprire eimparare sempre di nuovo e più profondamen-te la possibilità e la necessità di essere discepolidi Gesù oggi?

In un certo senso tanti sono i percorsi quan-ti se ne possono creare con la Chiesa, la Parolae i Sacramenti, in un’esistenza cristiana resaperfetta dalla croce fino al martirio. Tre vie non-dimeno sono caratteristiche ed esemplari a talfine. Esse sono l’accostamento assiduo e orantedella Scrittura, l’esperienza spirituale alimen-tata nella preghiera e nell’Eucaristia, e l’umileconfronto con i testimoni della fede. Esse tutte,insieme ad ogni forma di cammino cristiano,non sono mai avventure individuali, ma espe-rienze profondamente personali che matura-no e vengono sostenute e condivise all’internodi comunità cristiane nell’orizzonte vasto del-la vita della Chiesa.

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SECONDA PARTE

La celebrazione dell’anno paolino ci invita a con-frontarci con un testimone straordinario e un an-nunciatore entusiasta della fede in Gesù Cristo, chepuò farci riscoprire in maniera originale ildiscepolato evangelico. Paolo è la guida, il model-lo e l’icona che accompagna il nostro camminodiocesano durante l’anno pastorale 2008-2009.

PAOLO, DISCEPOLO DI CRISTO SIGNORE

«Tutto ormai io reputo una perditadi fronte alla sublimità

della conoscenza di Cristo Gesù,mio Signore»

(Fil 3,8)

Premessa

L’esperienza discepolare di Paolo è legata,come per ogni discepolo, all’incontro con Gesù.Una relazione viva, essenziale e segnata dalleesigenze evangeliche: una relazione che vastrutturandosi in un ethos e in comportamentiche rendono il discepolo colui che rappresentaal vivo il proprio maestro. Tale relazione sem-bra andare oltre la semplice assimilazione di

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un messaggio impegnativo, giacché esige sì unregolare processo di apprendimento, ma nel-l’ottica di un’imitazione che conduce alla con-divisione del destino del maestro. È questa lapeculiarità del discepolato evangelico: un in-vito a seguire, stando dietro a Gesù e accoglien-do il suo stile di vita. La prospettiva evangelicadel discepolo è dunque la piena comunione conil maestro (cf. Mc 8,34-38) e diventa pure co-raggiosa testimonianza di fronte al mondo (cf.Mt 28,19).

Questi nodi fondamentali definiscono la na-tura del discepolato evangelico, attualizzatodalla mediazione e dalla testimonianza di Pa-olo. Egli infatti non ha incontrato storicamen-te il Signore e lui stesso, in 1Cor 9,1 pone aisuoi oppositori la domanda in tono sarcastico:«Non ho veduto Gesù, Signore nostro?», quasia dire che l’autorevolezza della sua testimo-nianza prende le mosse da un incontro del tuttosingolare che può diventare per molti la nuo-va misura della sequela evangelica.

Paolo ammette di non aver conosciuto Cri-sto «secondo la carne» e ribadisce a scanso diequivoci che «anche se abbiamo conosciuto Cri-sto secondo la carne, ora non lo conosciamopiù così» (2Cor 5,16), poiché l’adesione a luiporta a trasformare radicalmente l’esistenza.L’appartenenza a Cristo genera infatti la «cre-atura nuova» (2Cor 5,17): la condizione

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“attualizzata” del discepolo, il cui significatoè parallelo al monito di Gesù: «Seguitemi, vifarò pescatori di uomini» (Mt 4,19). Il discepo-lato paolino sembra allora nella medesima pro-spettiva indicata dagli evangelisti. E anche senegli scritti di Paolo non compare mai la ter-minologia specifica, la concezione discepolareè vivamente presente sia nell’uso che egli fa dialcuni concetti, quali apostolo, servo, eletto,araldo, e sia nei racconti autobiografici da cuitraspare una singolare relazione con Gesù.

È proprio questa relazione a indicarlo disce-polo per antonomasia, essendo consapevole cheil suo incontro con il Risorto è iniziativa di Dio:«Quando colui che mi scelse fin dal seno di miamadre e mi chiamò con la sua grazia si com-piacque di rivelare a me suo Figlio perché loannunziassi in mezzo ai pagani» (Gal 1,15-16);una relazione che ha pure consistenza eccle-siale: «In seguito, dopo tre anni andai a Gerusa-lemme per consultare Cefa, e rimasi presso dilui quindici giorni; degli apostoli non vidi nes-sun altro, se non Giacomo, il fratello del Signo-re» (Gal 1,18-19). Nella vita di Paolo il discepo-lato risalta così come esperienza personale edecclesiale di incontro con il Risorto, la cui co-noscenza porterà l’apostolo a considerare Gesùil suo Signore (cf. Fil 3,8).

L’intima amicizia con lui, che lo rende «af-ferrato» dalla sublimità del suo amore, fonda

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il valore di questo discepolato, prossimo a quel-lo evangelico. La concezione che Paolo ha del-la sequela equivale alla radicalità ingiunta dalmonito di Gesù: «Che giova all’uomo guada-gnare il mondo intero, se poi perde la propriaanima?» (Mc 8,36), giacché per l’apostolo ilvero guadagno è Cristo ed «essere trovato inlui, non con una mia giustizia derivante dallalegge, ma con quella che deriva dalla fede inCristo, cioè con la giustizia che deriva da Dio,basata sulla fede» (Fil 3,9).

Ripercorrendo allora alcune tappe salientidella sua vita, possiamo scorgere un itinerariodiscepolare che ha ovviamente incidenzapropositiva sulle modalità odierne, ma che so-prattutto non si discosta dalla radicalità del-l’invito a stare costantemente dietro a Gesù.Anzi, la disamina di questi stralci autobiogra-fici permetterà di non fraintendere questo rife-rirsi dell’apostolo alla sua esperienza, perchél’imitazione che reclama della sua persona (cf.1Cor 11,1) è sempre consequenziale al suo es-sere imitatore di Gesù, portando le stigmate dilui nel suo corpo (cf. Gal 6, 17).

La chiamata sconvolgente di Damasco

L’incontro che Paolo ha avuto sulla via diDamasco può essere ricondotto ad una storiadi vocazione. Lo chiarisce lui stesso quando

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tenta di esplicitare le motivazioni che lo han-no persuaso a mutare radicalmente la vita:«Colui che mi scelse fin dal seno di mia madree mi chiamò con la sua grazia» (Gal 1,15). Ele-zione e chiamata stanno a fondamento dellamissione di Paolo e costituiscono gli aspettipropulsori del discepolato evangelico. L’inizia-tiva di Dio nelle storie di vocazioni rimandanoalla chiamata che Gesù rivolge ai primi disce-poli (cf. Mc 1,16-20). Un atto solenne chesottostà pure alla chiamata di Paolo.

L’espressione «apostolo di Gesù Cristo pervolontà di Dio» (2Cor 1,1), che si legge con qual-che variante negli indirizzi delle sue epistole,lascia trapelare il mistero dell’intervento divi-no. Paolo è consapevole che il suo “apostolato”presso i pagani è voluto da Dio (cf. Gal 1,16), ilquale lo ha reso degno di una chiamata il cuiartefice e mediatore è Gesù. L’idea che questachiamata sia veramente frutto della «volontàdi Dio» sopraggiunge pure dall’uso che Paolofa del termine «rivelazione», il cui significatolascia intendere l’irruzione di un piano salvi-fico, esteso ovviamente ai pagani e quindi a tuttii popoli, come espressione della sollecitudinedivina. Paolo concepisce la sua azione disce-polare sull’onda di questa misericordia che eglisa di dover ricondurre a se stesso: «A me, chesono l’infimo fra tutti i santi, è stata concessaquesta grazia di annunziare ai Gentili le im-

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perscrutabili ricchezze di Cristo, e far risplen-dere agli occhi di tutti qual è l’adempimentodel mistero nascosto da secoli nella mente diDio» (Ef 3,8-9).

La sua testimonianza discepolare è anzitut-to attestazione dell’amore che Dio ha manife-stato nei suoi confronti (cf. Rm 5,5), facendogliconoscere la sublimità del mistero del Figlio,donatosi gratuitamente. Rivelazione diventapertanto comunicazione di un amore passio-nale, vivace, effettivo, con il quale Dio nel Fi-glio intende ricondurre a sé, nell’unità di unarelazione intima con lui, i due popoli che ritro-veranno in Cristo la via della pace e la realiz-zazione dell’«uomo nuovo» (cf. Ef 2,14-16).

La chiamata di Damasco è descritta poconelle sue epistole, forse perché l’apostolo pre-ferisce rilevare gli effetti della conversione cheportano a risaltare, molto più della sua docili-tà, la potenza della grazia di Gesù. Ma dallanarrazione lucana (cf. At 9,19a), soprattuttoquella in cui Paolo si esprime in prima persona(cf. At 22,3-21; 26,4-23), emergono alcuniaspetti significativi che possiamo ricondurre aldiscepolato gesuano. A fondamento della chia-mata vi è anzitutto la libera iniziativa di Dio:«Vidi sulla strada, o re, una luce dal cielo, piùsplendente del sole, che avvolse me e i mieicompagni di viaggio» (At 26,13; cf. 2Cor 4,6).

L’apostolo, come d’altronde tutti i chiama-

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ti, recepisce l’invito di Dio come una seduzio-ne a cui non si può non cedere (cf. Ger 20,7).L’irrefrenabile attrazione genera inoltre l’ascol-to, da cui affiora la prontezza del discepolo aseguire il maestro: «Io udii dal cielo una voceche mi diceva in ebraico» (At 26,14). Il dialogotra Paolo e Gesù può essere compreso in que-sto senso. Esso sembra evocare quella disponi-bilità che si coglie nella storia di ogni vocazio-ne. La tempestività a seguire Gesù: «ed essi su-bito, lasciate le reti, lo seguirono» (Mt 4,20) faeco alla chiamata di Paolo che, nel chiederel’identità del suo interlocutore, intraprende unintimo colloquio, fondamentale per l’atto dellasequela. Qui l’ascolto cela quella prontezza chel’apostolo esprimerà nella testimonianza per ilVangelo.

Questa disponibilità, vivace e ardente, cheappena si intravede, affiora invece potentemen-te da un passo autobiografico: «Se alcuno ri-tiene di poter confidare nella carne, io più dilui: circonciso l’ottavo giorno, della stirped’Israele, della tribù di Beniamino, ebreo daebrei, fariseo quanto alla legge; quanto a zelopersecutore della chiesa; irreprensibile quantoalla giustizia che deriva dall’osservanza dellalegge» (Fil 3,4-6). È il passato di un uomo cheviveva non del Vangelo della grazia, ma dellalegge dell’autogiustificazione, la quale gli fa-ceva dimenticare di essere uomo bisognoso del

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perdono di Dio, graziato dal suo amore mise-ricordioso. L’incontro ha cambiato la sua vita.Confuso e disorientato, comprende di averfrainteso la verità delle cose. Un ribaltamentoimportante che lo porterà a cogliere la prezio-sità della «perla nascosta» (cf. Mt 13,45-46) ela gioia di testimoniare a tutti la grandezza del-l’amore di Dio.

L’incontro con Gesù è comunque una forteesperienza di “visione”. La chiamata supponesempre questa tipologia di contatto. Lo ram-menta Luca nell’esordio del suo Vangelo: «Co-loro che ne furono testimoni (autoptai = coloroche sono stati resi degni di una visione) fin dalprincipio e divennero ministri della parola» (Lc1,2). È probabile che il terzo evangelista anno-veri anche Paolo nel novero di questi chiama-ti. Ne parla lui stesso in un altro passo auto-biografico: «Apparve a Cefa e quindi ai Dodi-ci. In seguito apparve a più di cinquecento fra-telli in una sola volta […]. Ultimo fra tutti ap-parve anche a me come a un aborto. Io infattisono l’infimo degli apostoli, e non sono degnoneppure di essere chiamato apostolo, perchého perseguitato la chiesa di Dio» (1Cor 15,5-9).

Quando l’apostolo domanda di aver visto ilSignore (cf. 1Cor 9,1), si riferisce a quest’even-to sulla strada di Damasco, il cui incontro èappunto una chiamata precisa, sulla falsarigadella chiamata gesuana. Il “lasciarsi vedere”

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di Gesù risorto abilita Paolo ad essere autore-vole testimone della gratuità di tale iniziativa(cf. 1Tm 1,12-13), ma nel contempo avalla ilprivilegio della chiamata paolina equivalenteai criteri discepolari della prima ora. Cosìl’espressione: «Su, alzati e rimettiti in piedi; tisono apparso infatti per costituirti ministro etestimone di quelle cose che hai visto e di quel-le per cui ti apparirò ancora» (At 26,16) lasciaintendere i moniti evangelici sulla sequela, lacui radicalità sta proprio nella ricezione dellavolontà di chi invia. Ciò risulta sconvolgenteagli occhi di Paolo. Pertanto egli riferirà: «Sicompiacque di rivelare a me suo Figlio perchélo annunziassi ai pagani» (Gal 1,15), quasi avoler affermare implicitamente la misura ine-stimabile dell’amore di Dio. A quel Paolo cheaveva sbagliato tutto, Gesù affida tutto invian-dolo a testimoniare il suo perdono.

L’accompagnamento discepolare

È insito nel mistero della chiamata un tem-po di formazione, per crescere e assimilare lecondizioni del discepolato. Gesù stesso com-pie questo gesto con i suoi discepoli, chiaman-doli a sé perché «stessero con lui e anche permandarli a predicare e perché avessero il po-tere di scacciare i demoni» (Mc 3,14-15). Untempo congruo di preparazione che consiste

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soprattutto nel prendere consapevolezza diquello che Dio sta per compiere nella vita diun discepolo. Paolo si trova nella medesimacondizione. L’accompagnamento di Anania eBarnaba costituisce un momento privilegiatodi vera iniziazione discepolare al mistero di GesùCristo. E se Anania si presenta come colui chemedierà all’apostolo il senso recondito delleparole di grazia, Barnaba apparirà mediatoreindispensabile della comunione ecclesiale. En-trambi necessari per suscitare in Paolo quellozelo apostolico che lo renderà «strumento elet-to per portare il mio nome dinanzi ai popoli, aire e ai figli d’Israele» (At 9,15).

La mediazione di Anania è legata al discer-nimento dei fatti di Damasco. Il suo compito èdi attualizzare le parole che hanno sconvoltola vita dell’apostolo. E questo si rende possibileperché Anania, lui per primo, è discepolo delSignore. La sua paternità spirituale nasce dalsuo essere discepolo. È la condizione per gene-rare figli nella fede, ma anche il contrassegnoche avalla l’autenticità del vero discepolo. Difronte a Paolo, persecutore prima e adesso chia-mato, Anania deve rinnovare la sua scelta didiscepolo. L’espressione «ecco io, Signore» (At9,10), ove è rimarcata l’enfasi del pronome per-sonale, evoca il mistero di questa chiamata instato di perenne adesione. Colpisce la frase concui Anania si rivolge a Paolo: «Saulo fratello»

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(At 9,17; 22,13), da cui sembra affiorare la di-sponibilità della Chiesa ad accogliere colui cheprima la perseguitava. Tale accoglienza ponePaolo nella condizione di intravedere le esigen-ze discepolari. Egli infatti, per la mediazionedi Anania, diventa «fratello in Cristo» e quin-di abilitato a confessare la fede nel Risorto, se-condo quel criterio, condiviso da tutti gli apo-stoli, di assimilare la vita del maestro.

Questo aspetto essenziale che lo rende di-scepolo di Gesù è ben rimarcato da Luca neivv. 15-16. Anania enuncia le esigenze del disce-polato evangelico a cominciare anzitutto dal-l’oggetto della testimonianza: «il mio nome»,che riguarda il compimento della signoria delPadre nel nome di Cristo Signore (cf. Fil 2,9-11). Anche i destinatari, ebrei e pagani, ai qualiPaolo è mandato, si inquadrano in questo pro-gramma discepolare. Esso allude all’universa-lismo evangelico, promosso dalla testimonian-za stessa di Gesù. Il motivo della sofferenza nel-l’espressione «io infatti gli mostrerò quantodeve soffrire in favore del mio nome» mette inevidenza il compimento di questo programmadiscepolare. Paolo deve essere icona di Gesùsofferente (cf. Lc 9,22; 17,25): una testimonian-za legata ovviamente al coraggio di mostrarsicristiano, ma anche alla sua vocazione impli-cita di annunciare la Parola di Dio in quantodiscepolo. I passi davvero numerosi sull’auda-

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cia dell’apostolo (cf. 1Cor 4,9-13; 2Cor 1,5-11;4,7-12; 6, 3-10; 11,23-33; Fil 1,29-30) lascianointravedere come quest’assimilazione si sia pro-gressivamente radicata nella sua esistenza, ren-dendo efficace e sconvolgente il suo annunciodi testimonianza.

Con Barnaba, Paolo è introdotto alla vitadella comunità degli apostoli. La sua media-zione è necessaria per comprendere che la te-stimonianza missionaria è sempre espressionedella comunione con la Chiesa. Ed è accanto aBarnaba che il giovane Paolo manifesterà le sueinnate capacità oratorie e soprattutto quellozelo che lo attesta quale grande apostolo dellegenti, secondo il modello del discepolato evan-gelico: un apostolo instancabile, perseguitato,senza paura, di grande eloquenza e rivolto atutti nello stile di Gesù, pastore buono. L’ac-compagnamento di Barnaba si colloca in unparticolare momento dell’esistenza di Paolo,quando cioè nel ritorno a Gerusalemme, il per-secutore si imbatte con discepoli paurosi cheostacolano le sue intenzioni (cf. At 9,26). Egli«lo prese con sé, lo presentò agli apostoli e rac-contò loro come durante il viaggio aveva vistoil Signore che gli aveva parlato» (At 9,27). Lalungimiranza di Barnaba, che l’autore di Attideduce dalla manifesta disponibilità a pren-derlo con sé, costituisce un atto di confermasignificativo per il futuro di Paolo. Barnaba ga-

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rantisce per lui davanti agli apostoli, rischian-do probabilmente la propria fiducia riposta inun giovane che poco prima perseguitava laChiesa.

Il carattere discepolare di questo gesto, cheevoca l’autorevolezza di Gesù nell’atto di chia-mare i suoi discepoli, ove permangono virtù disapienza, umiltà e fiducia nell’iniziativa di Dio,fa sì che Paolo possa capire il senso della chia-mata di Damasco. Questa percezione dellamisericordia di Dio nella storia di Paolo costi-tuisce un aspetto importante della formazioneche Barnaba, in quanto discepolo del Signore,esercita sull’apostolo. Il vero accompagnatoreè anzitutto vero discepolo che sa “sostare ac-canto” con la fatica del verificare, capire, espri-mere un giudizio e additare. La meta poi restala crescita dell’altro, secondo un’azione pro-fetico-didattica di approfondimento del miste-ro cristiano. Barnaba accanto a Paolo è infattiquesto discepolo che esorta ed espleta un ser-vizio alla Parola di Dio. Il suo atto d’accompa-gnamento è certamente profetico non soltantoperché richiama con i suoi gesti l’agire effetti-vo di Dio nella storia di Paolo, ma tenta altresìdi educare quest’ultimo al discernimento dellasua presenza. Ed è così che entrambi ricevonol’appellativo di «apostoli» (At 4,14): grazie allaformazione spirituale di Barnaba, Paolo è pron-to per quell’avventura missionaria che lo ren-

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derà a pieno titolo apostolo di Gesù Cristo trale genti.

Un’intensa esperienza di grazia

Paolo ha sempre concepito la chiamatacome una visita della misericordia di Dio. Lostato di conversione lo deve a questa condi-scendenza divina che egli appella “grazia”. Iltermine nel pensiero dell’apostolo assume unsenso molto ampio e così denso da poterloesprimere nel seguente modo: l’amore di Dioraggiunge ogni uomo nella sua condizione dipeccatore con la gratuità di un atto che nellapersona di Gesù si manifesta come amore soli-dale, preveniente, assoluto. Tale concezione èlegata alla propria esperienza, al fatto cioè chePaolo su quella via di Damasco ha constatatopersonalmente l’incommensurabilità di que-st’amore. L’espressione che egli fissa in Rm 5,8:«Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi,perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cri-sto è morto per noi» riguarda soprattutto labenevolenza divina sperimentata sulla sua per-sona. Egli è consapevole di essere stato cercatoe accolto dall’amore di Dio. Tutto questo di-venta per lui “grazia”. La sua esistenza è gra-zia e lo è pure la missione che egli vive comeprolungamento di questa benevolenza.

Il fulcro di tale concezione si colloca in 1Cor

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15,10, ove l’apostolo comprende che l’incon-tro con Gesù risorto, «come a un aborto», èfrutto di questa grazia. Nella sua condiscen-denza, Dio ha voluto che Paolo diventasse“apostolo” di un progetto redentivo esteso atutti (cf. 1Tm 2,4). Tale consapevolezza lo por-ta ad affermare di sé: «Per grazia di Dio sonoperò quello che sono, e la sua grazia in me nonè stata vana». Egli sa che l’opera a cui è chia-mato appartiene a Dio, ma la sua stessa vitarientra in questo piano di benevolenza, essen-do lui stesso oggetto di quest’amore di cui di-venterà strumento privilegiato di evangelizza-zione (cf. At 9,15). Una predilezione che non èparzialità divina, bensì manifestazione del de-siderio da parte di Dio che tutti possano com-prendere «l’ampiezza, la lunghezza, l’altezzae la profondità e conoscere l’amore di Cristoche sorpassa ogni conoscenza, perché siatericolmi di tutta la pienezza di Dio» (Ef 3,18-19).

L’esistenza di Paolo, «sono quello che sono»,appare così pervasa da questa grazia che egliriconosce come sua preziosa compagna di viag-gio: «Ma la grazia di Dio che è con me». Lasua assistenza è certamente causa di quell’ar-ditezza e libertà di parola che contraddistin-guono lo zelo indefesso dell’apostolo. Le suetravagliate e gioiose visite alle comunità da luifondate, che lo porteranno ad affermare: «Po-treste infatti avere anche diecimila pedagoghi

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in Cristo, ma non certo molti padri, perché sonoio che vi ho generato in Cristo Gesù, medianteil vangelo» (1Cor 4,15), rappresentano unaspetto della sua abnegazione per il Vangelo.Sospinto esclusivamente dalla certezza di es-sere accompagnato dall’amore di Dio, egli, chericonduce tutto alla grazia, non desidera altroche farsi tutto a tutti (cf. 1Cor 9,19-23) nel com-pimento di una solidarietà che emula l’amorespogliativo di Gesù.

Questa grazia, che lo rende apostolo di GesùCristo (cf. Rm 1,5) e per la quale egli vanta ildiritto di essere annoverato tra gli apostoli (cf.Gal 2,9), costituisce il suo “fondamento”. Su diesso edifica le sue comunità, ma, come si è vi-sto, anche la sua stessa vita. L’espressione sin-tomatica: «Secondo la grazia di Dio, che mi èstata data, come un sapiente architetto io hoposto il fondamento» (1Cor 3,9), lascia inten-dere che l’esperienza di fede nella persona diGesù rappresenta il “fondamento” su cui Diointende edificare solidamente l’esistenza deicredenti (cf. Ef 2,20-22). L’esperienza della fede,che Paolo concepisce come Vangelo e che altronon è che la grazia di Gesù, lo porta non sol-tanto a identificare il Vangelo che egli annun-cia con Gesù, ma a cogliere altresì una singola-re assimilazione della sua vita a quella del Si-gnore. Per lui il Vangelo non è un messaggio eforse neanche un preciso stile di vita, bensì la

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persona stessa di Gesù che sente vivere dentrose stesso (cf. Gal 2,20).

È qui che il discepolato paolino raggiungel’acme di quello che probabilmente era deside-rio del Gesù storico. Il monito della sequela, chesi condensa nella sintomatica espressione «die-tro di me», non è da intendersi in senso spazialeo cronologico, ma volutamente esistenziale nelsenso di una progressiva assimilazione delkerygma salvifico che è viva partecipazionedelle persone divine. Quando Paolo in Rm 1,9precisa che l’annuncio di Dio riguarda «il van-gelo del Figlio suo», sottintende che quel Van-gelo tocca propriamente la persona di Gesù, ilracconto di un progetto redentivo che la Trini-tà ha reso manifesto con l’incarnazione delLogos. Vangelo è dunque grazia nel senso diquella condiscendenza d’amore che prende lemosse dall’inabitazione della Trinità e, raggiun-gendo l’uomo, si tramuta in risposta di fedesulla medesima lunghezza d’onda. Dall’amo-re di Dio si parte e all’amore di Dio si arriva.Un movimento circolare che è sospinto dall’ab-bassamento di Cristo e dal dono dello SpiritoSanto; per cui il credente – e Paolo è profonda-mente convinto di questa dinamica che vederealizzare nella sua testimonianza di fede – èafferrato da questo amore che si tramuta in so-lidarietà fraterna. Il Vangelo, come stile di vita,è per l’apostolo soltanto conseguenza di un’as-

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similazione esistenziale: Gesù vive in lui o me-glio è la sua vita che lentamente lascia spazioall’inabitazione divina.

L’aspetto sensazionale di questa scoperta,iniziata sulla strada di Damasco, si intravedeancora nella decisione da parte di Paolo di vo-ler approfondire il senso del mistero d’amoredi Cristo che «non è stato manifestato agli uo-mini delle precedenti generazioni come al pre-sente è stato rivelato ai suoi santi apostoli eprofeti per mezzo dello Spirito» (Ef 3,5). Unmistero che coinvolge tutto il suo essere, alpunto da esporsi nei seguenti termini: «Maquello che poteva essere per me un guadagno,l’ho considerato una perdita di fronte alla su-blimità della conoscenza di Cristo Gesù, mioSignore, per il quale ho lasciato perdere tuttequeste cose e le considero come spazzatura, alfine di guadagnare Cristo» (Fil 3,7-8). È pro-babile che Paolo conoscesse le parole della se-quela (cf. Mc 8,34-38), ma nella sua confessio-ne di fede si scorge qualcosa di più o meglio laproposta di una ricomprensione di quelle pa-role, attualizzate dentro una vivida relazioneche ha mutato radicalmente la vita. La perso-na di Gesù è infatti entrata nella sua esistenza;rispetto alla relazione con Gesù egli consideratutto una perdita, al punto che il guadagnonon concerne più l’anima o la persona, comeper i sinottici, ma Gesù stesso: la sua intima

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persona che diventerà parte di se stesso. Saràquesto il senso del discepolato gesuano? È dif-ficile arguirlo.

Quello che sembra evidente è che nel pen-siero dell’apostolo il monito discepolare esplo-de in un significato più ardente e passionale, ilquale non soltanto esplica con chiarezza il vo-lere redentivo di Dio, ma permette altresì dicapire che la redenzione è conquista, median-te Cristo, di quello stato di immortalità cheapparteneva all’Adamo edenico. Il guadagna-re Cristo, che poi significa più concretamenteessere da lui afferrati, intende appunto que-st’opera di divinizzazione per l’uomo decadu-to, opera che Dio elargisce per grazia nell’assi-milazione della persona del Figlio. Per Paolotutto ciò è certezza che scaturisce dall’aver con-statato quest’azione condiscendente di Dioagire con la potenza dell’amore di Cristo nellasua stessa persona. Pertanto egli dirà: «Se sia-mo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio,coeredi di Cristo, se veramente partecipiamoalle sue sofferenze per partecipare anche allasua gloria» (Rm 8,17; cf. Fil 3,10).

L’assimilazione alla “passione” di Cristo

Il discepolo mostra la sua appartenenza aCristo, cercando soprattutto di condividere ilsuo destino. L’espressione «prendere la croce»

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lascia intendere che il destino del maestro ri-guarderà pure il discepolo. Lo ribadisce conperentorietà l’autore del quarto Vangelo: «Seil mondo vi odia, sappiate che prima di voi haodiato me […]. Ricordatevi della parola che viho detto: Un servo non è più grande del suopadrone. Se hanno perseguitato me, persegui-teranno anche voi» (Gv 15,18.20). Quest’aspet-to discepolare, che costituisce il ganglio vitaledella sequela, è rinvenibile nella vita di Paolo.Si è persino parlato di una passio Pauli, quasi avoler dire che l’esperienza di fede dell’aposto-lo emula l’esistenza di Gesù, servo sofferente.La frase che leggiamo in Fil 3,10: «Perché iopossa conoscere lui, la potenza della sua risur-rezione, la partecipazione alle sue sofferenze,diventandogli conforme nella morte», paralle-la certamente a quella di Gal 6,17: «Difatti ioporto le stigmate di Gesù nel mio corpo», è in-dicativa della peculiarità del discepolatopaolino, la cui intenzione è certamente quelladi Gesù. Al di là delle riproposizioni etiche chel’apostolo da una parte mutua dai sistemi filo-sofici del tempo e dall’altra tenta di rileggerenell’ottica del Vangelo, ciò che affiora dalla suatestimonianza di fede è soprattutto quest’assi-milazione alla passione di Gesù.

Il discepolato di Paolo si inquadra pertantoall’interno di questa verità: «Se infatti siamostati completamente uniti a lui con una morte

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simile alla sua, lo saremo anche con la sua ri-surrezione» (Rm 6,5). Il cammino di fede delvero discepolo consiste in questa assimilazio-ne della morte di Gesù che resta pur sempre“imitazione”. La frase, che nell’originale gre-co suona «in una somiglianza della sua mor-te», richiama sì la completa partecipazione allesofferenze di Gesù, ma in una dimensione nonsostitutiva dell’atto salvifico. Chi salva è Gesù,che si avvale ovviamente della nostra parteci-pazione alle sofferenze, che pur essendo no-stre diventano misticamente sue (cf. Col 2,24).

Il senso di questa verità si enuclea nella for-mulazione del cosiddetto «paradosso della cro-ce», che l’apostolo enuncia con espressionieclatanti ma rivelative dell’intimo pensiero diDio. Ed è questa la vocazione del discepolo:«Considerate infatti la vostra chiamata, fratel-li: – ammonisce l’apostolo – non ci sono tra voimolti sapienti secondo la carne, non molti po-tenti, non molti nobili. Ma Dio ha scelto ciò chenel mondo è stolto per confondere i sapienti[…], ciò che è nulla per ridurre a nulla le coseche sono» (1Cor 1,26-27a.28b). L’adesione allaparola della croce, che si rivela come potenzadi Dio, riflette quelle condizioni discepolari chei sinottici fissano nel monito sulla radicalitàevangelica (cf. Mt 8,18-22; Lc 9,57-60). SeguireGesù implica per l’apostolo una duplice con-sapevolezza: da una parte la certezza dell’amo-

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re di Dio in Cristo Gesù, la cui misericordia èriverbero nella debolezza umana; e dall’altra,la partecipazione alle sue sofferenze che per ildiscepolo sono potenza, giacché Paolo è del-l’avviso che è sufficiente nella condizione del-la propria umanità fragile l’amore eccelso diCristo: «Ti basta la mia grazia; la mia potenzainfatti si manifesta pienamente nella debolez-za» (2Cor 12,9a).

È significativo il modo con cui l’apostolo svi-luppa e forse porta alle estreme conseguenzequel «dietro di me» che ha valenza di totaleaffidamento alla grazia di Dio, proprio a par-tire dalla fragilità umana. L’espressione che neconsegue: «Mi vanterò quindi ben volentieridelle mie debolezze, perché dimori in me lapotenza di Cristo» (2Cor 12,9b) lascia intende-re non soltanto lo stato di fragilità, insito nellanatura umana, ma anche tutte quelle persecu-zioni e dileggi che si soffriranno a causa delnome di Gesù (cf. Mc 8,37; 10,30). Parteciparealle sofferenze di Cristo è dunque una realtàconcreta, viva, coinvolgente, che reclama lacondivisione della propria esistenza, sicchél’esperienza della passione di Cristo diventaquella del discepolo: «Perciò mi compiaccionelle mie infermità, negli oltraggi, nelle neces-sità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferteper Cristo: quando sono debole, è allora chesono forte» (2Cor 12,10). In questo contesto è

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suggestivo l’uso della preposizione hyper (infavore di), mediante cui Paolo fa intendere cheCristo non ha bisogno delle nostre sofferenze,ma li ritiene necessarie per ratificare la perfet-ta somiglianza. È proprio la debolezza, offertaa Cristo (hyper Christou = in favore di Cristo),a rendere il discepolo conforme alla vita del Fi-glio di Dio (cf. Gal 4,19).

Questo vivo desiderio di conoscere Gesù en-trando in misteriosa comunione anche fisicacon le sue sofferenze esplicita la natura deldiscepolato paolino. L’apostolo infatti è testi-mone di Cristo non soltanto nei discorsi travol-genti o dotti o pieni di tenerezza, ma anchequando viene imprigionato, portato davanti aitribunali, trasferito da un carcere all’altro, consorte incerta, con limitazioni gravi della liber-tà, con il timore della morte. Ad attestarlo visono alcuni passi significativi che accostanoPaolo a Cristo in sorprendente somiglianza.Alla maniera di Gesù, l’apostolo subisce l’arre-sto (cf. At 21,27-40), un arresto proditorio, in-giusto, fatto alle spalle, con un agguato. Ag-guato per Gesù ed agguato anche per Paolo,suscitato ad arte dai suoi nemici. È condottoanche davanti ai tribunali (cf. At 22,1-26,32),proprio come Gesù, in processi che hanno par-venza di giustizia, ma lasciano intravedere in-teressi personali, paure, scontri, ambizioni in-dividuali o di gruppi. E poi la partecipazione

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fisica alle sofferenze di Gesù, le quali in veritànon sono più grandi, ma permettono di coglie-re la desolazione che quest’uomo ha potutosperimentare nel testimoniare Cristo con la suavita.

È probabile che abbia provato anche l’ab-bandono da parte di Dio, le tenebre interiori,la desolazione, la notte dello spirito. Quelle sof-ferenze morali che talvolta occludono la visio-ne e obbligano a camminare con il solo ricordodi tutta la ricchezza posseduta e della forza diDio non sensibilmente presente. Ciò è ravvisa-bile in particolare in quell’espressione che celala fatica e per così dire la durezza della testimo-nianza di fede nella prova: «Nella mia primadifesa in tribunale nessuno mi ha assistito; tut-ti mi hanno abbandonato» (2Tm 4,16). Tale af-fermazione rilancia con maggiore veemenza ilprocesso di assimilazione alla persona di Gesù.Prevaricazioni, oltraggi, persecuzioni, ingiusti-zie non possono arrestare il moto irrefrenabiledell’amore di Dio che si manifesta in questodiscepolo, fedele e giusto, che ha permesso aCristo di inabitare nella sua esistenza, lascian-do trionfare ovunque la sollecitudine divina.Nonostante queste prove, Paolo resta dell’av-viso che nella debolezza si manifesta la straor-dinaria potenza di quest’amore di Dio, mani-festatosi in Cristo Gesù: «Siamo infatti tribola-ti da ogni parte, ma non schiacciati; siamo

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sconvolti, ma non disperati; perseguitati, manon abbandonati; colpiti, ma non uccisi, por-tando sempre e dovunque nel nostro corpo lamorte di Gesù, perché anche la vita di Gesù simanifesti nel nostro corpo. Sempre infatti, noiche siamo vivi, veniamo esposti alla morte acausa di Gesù, perché anche la vita di Gesù siamanifesta nella nostra carne mortale» (2Cor4,8-11; cf. 6,4-10; 1Cor 4,9-13).

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TERZA PARTE

Questa terza parte riprende i cinque ambiti pro-posti al IV Convegno ecclesiale nazionale di Vero-na come luoghi possibili, perché tipici ma nonesclusivi, in cui attualizzare il nostro discepolatoin comunione tra di noi e con la Chiesa. 2 Sono in-dicazioni che non si pretendono esaustive, tese, so-prattutto sul piano esistenziale, pastorale e pedago-gico: 1) ad aiutare quella lettura della situazionesocio-pastorale indispensabile per vivere oggi dadiscepoli e per «comunicare il Vangelo in un mon-do che cambia»; 2) a tenere presente l’integralità ela pienezza a cui siamo chiamati nel cammino diconformazione a Cristo e alla sua croce, con la ne-cessaria verifica offerta - nella comunità discepolare- da un vivo “sensus ecclesiae” autenticato dallaguida dei pastori e dalla dottrina e tradizione del-la Chiesa; 3) a favorire la maturazione di atteg-giamenti e di concreti cammini di discepolato. 3 Il

2 “Rigenerati per una speranza viva” (1Pt 1,3): testimonidel grande “Sì” di Dio all’uomo. Nota pastorale dell’Episco-pato italiano dopo il 4° Convegno Ecclesiale Italiano, 12,in «Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana» 4(29 Giugno 2007) 154-158. Per una consultazione di tuttoil materiale prodotto al convegno di Verona, cf. CONFE-RENZA EPISCOPALE ITALIANA, Testimoni di Gesù risorto, speranzadel mondo. Atti del 4° Convegno ecclesiale nazionale (Verona,16-20 ottobre 2006), EDB, Bologna 2008.

3 Abbiamo adottato un corpo di carattere più piccoloper le prime due sezioni (Sguardo alla situazione e Punti di

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passaggio dal linguaggio biblico ai temi esisten-ziali dell’attualità denota che c’è uno spazio dacoprire, tra una ispirazione evangelica e paolinada coltivare assiduamente e una ricerca della figu-ra odierna di discepolo, che non è precostituita epredefinita, ma nemmeno si delinea per germina-zione casuale, ma piuttosto si genera a partire dal-l’ascolto dell’idea generativa dentro il tessuto dellavita della Chiesa e del mondo di oggi. Abbiamo di-nanzi una serie di suggestioni e di riferimenti, chesollecitano una ricerca concreta, in questi e in altriambiti, e non hanno l’obiettivo di offrire un modellodiscepolare preconfezionato. Abbiamo due estremi darifuggire: il facile e sterile moralismo, uno spiri-tualismo vagamente mistico e alla fine evanescente.

VITA AFFETTIVA

Si vive da discepoli in tutte le dimensioni del-la persona e della vita. L’affettività è una di quelleoggi venute in maggiore evidenza. A ben guarda-re essa non svolge un ruolo secondario anche nellavita di Gesù e dei suoi discepoli. Le relazioni, l’at-tenzione alle persone, soprattutto se più deboli, unsenso vivo dell’amicizia, un amore forte che daDio e per Dio informa i rapporti, gli atteggiamen-

riferimento) per sottolineare che si tratta di un sussidiominimo per affrontare adeguatamente i compiti sugge-riti nella sezione Proposte operative nel quadro di una ido-nea programmazione pastorale nell’ambito considerato.

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ti, le scelte di Gesù e di quanti lo seguono. SanPaolo, in particolare, ha trovato nella relazionecon Gesù, in un amore totalizzante da lui e per lui,il centro e l’origine della sua esistenza e delle suerelazioni (cf. Fil 1,21-26; 3,7-14; ).

Sguardo alla situazione

L’affettività è uno dei temi così detti “sensibili”;vale la pena tentarne una lettura in chiave cristiana.Prima di considerare gli aspetti problematici inerentil’ambito della vita affettiva, che tocca non solo i rap-porti familiari ma tutti i rapporti interpersonali in ge-nerale, così come vengono a configurarsi nella nostrasocietà sempre più soggetta a rapidi cambiamenti, cisono da segnalare significativi aspetti positivi.

Quanto più si avverte la fragilità della vita affetti-va così com’è, tanto più cresce la ricerca di relazionipiù autentiche e profonde, non solo tra i giovani maad ogni età. Si moltiplicano inoltre i punti d’incontroe di socializzazione, che denotano in ogni caso, al dilà della loro reale efficacia, l’attestazione dell’esigen-za insopprimibile di socialità dell’essere umano. Sisperimentano forme inedite di vita comunitaria e fra-terna tra giovani e tra famiglie.

Tra le attività pastorali emergono sempre più quel-le che si prefiggono la formazione e l’accompagna-mento dei fidanzati 4, delle giovani coppie di sposi 5,dei genitori in crisi 6, delle persone separate e divor-

4 Cf. Secondo Sinodo della Diocesi di Noto, decisione n. 71.5 Cf. Ibid., decisione n. 68.6 Cf. Ibid., decisione n. 73.

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ziate 7. Anche i servizi stabili dei consultori familiari 8,dei centri di ascolto e delle associazioni cattoliche spe-cifiche sono sempre più ricercati e valorizzati. Si ri-scontra inoltre la ricerca di una spiritualità adatta especifica per il cammino di fede della coppia.

Tra i tanti segni che attestano una grande genero-sità ancora diffusa si possono evidenziare quelli del-l’affido e dell’adozione di minori anche portatori dihandicap, dell’accoglienza incondizionata e respon-sabile della vita da parte di giovani coppie che maga-ri hanno già più di un figlio. Anche gli anziani trova-no a volte occasione non solo per essere valorizzatinelle loro risorse, come per esempio nel servizio vo-lontario di vigilanza svolto nelle scuole, ma ancheper porsi come attori sociali ancora indispensabili, sesi pensa al ruolo di accompagnamento e di educazio-ne che svolgono i nonni per tanti bambini i cui genitorisono loro tenuti lontani da gravosi impegni lavorativi.

E non va dimenticata la vitalità dell’associazioni-smo cattolico in ordine alla promozione della fami-glia come soggetto attivo e partecipe delle scelte poli-tiche per il sociale, fino alla proposta vera e propria distrategie per le politiche familiari.

In una cultura, come quella attuale, contrassegna-ta profondamente da individualismo, relativismo ededonismo, la vita affettiva tende però anche a diven-tare sempre più insicura, aggressiva e fragile. Essa,invece di maturare e tradursi in fedeltà, responsabili-tà, perseveranza, donazione, si appiattisce e immiseri-

7 Cf. Ibid., decisione n. 65.8 Cf. Ibid., decisione n. 73.

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sce nella ricerca di relazioni momentaneamente gra-tificanti e fluttuanti, di emozioni e sensazioni forti,fruibili nell’immediatezza e svincolate da ogni valo-re. Si può dire che la vita affettiva sia caratterizzataoggi da “legami liquidi” e da “analfabetismo affetti-vo”, per usare due espressioni ricorrenti nel linguag-gio sociologico.

Tutto ciò fa registrare un radicale mutamento, ri-spetto al tradizionale insegnamento della Chiesa, nelmodo di intendere e vivere non solo il rapporto trauomo e donna, ma anche il rapporto tra affettività esessualità, tra sessualità e concepimento dei figli, ilruolo della paternità e della maternità, il rapporto tragenerazioni, il ruolo educativo nell’ambito familiaree in quello pubblico. In termini concreti, tale muta-mento si traduce in disagio e fallimento nella vita co-niugale con inevitabili ripercussioni sulla vita dei fi-gli, esclusione sociale degli anziani e delle personefisicamente svantaggiate, crisi dei valori che struttu-rano i sistemi educativi, destabilizzazione della vitaumana dal concepimento al termine naturale e, al-l’opposto, ricerca accanita del concepimento del fi-glio con ricorso a manipolazioni di laboratorio.

I cambiamenti in atto della vita affettiva non ri-guardano solo la società genericamente intesa, maanche la Chiesa con le sue persone e le sue istituzioni:un cambiamento rispetto al passato riguarda anchelo spessore e lo stile delle relazioni delle persone con-sacrate, le motivazioni esistenziali e teologiche delcelibato, le dinamiche della vita comunitaria, i per-corsi e i luoghi della formazione.

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Punti di riferimento

Il mondo dei sentimenti-emozioni, a cui è legatal’affettività, va trovando il suo giusto posto anche nellariflessione teologica. In forza dell’unità inscindibiledella persona, anche il mondo delle emozioni fa parteintegrante dell’uomo, compenetrandosi vitalmente conla razionalità e la decisione libera, sicché si può direche l’uomo sente tutto ciò che pensa e pensa anche ciò chesente. Solo se esiste un equilibrio armonico di tutte lesue parti l’uomo potrà essere maturo e felice. Essaemerge come apertura sconfinata all’altro, oggetto pro-porzionato del suo amore e fonte della sua gioia. Cosìl’uomo è come strutturato dall’amore che si esprimesia come bisogno dell’altro, sia come capacità di do-narsi a lui. L’amore è riconoscere l‘altro come fontedella propria gioia e quindi come valore in sé; specu-larmente l’amore è anche sentirsi da lui riconosciutocome tale. In tale scambio felice di amore ricevuto edonato si realizza l’affettività dell’uomo. L’uomo èsete ed acqua insieme.

Poiché, per colpa del peccato che inquina la no-stra acqua, si verifica di fatto uno scarto tra il bisognodi amore e l’amore realmente donato, tra il bisogno diessere riconosciuti e la capacità di uscire da se stessiper riconoscere l’altro, è necessario un supplementodi amore, che ci siano persone che riempiano talevuoto con l’amore gratuito imparato alla sequela delCristo. Persone che si lascino affascinare dalla bellez-za di Dio che le disseti con la sua acqua originante esempre fresca, colmando la loro affettività a tal puntoda trasformarle in acqua viva (cf. Gv 4,14), in risorsedisponibili per il mondo delle affettività negate (vedi

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le persone sole) o spente (vedi il “vedovo” che nonriesce a trovare altre forme di espressione della pro-pria affettività) o ferite e in qualche modo tradite (vediil mondo complesso dei divorziati). 9

Tutta la vita affettiva ruota attorno ad alcuni fulcrifondamentali, che diventano veri e propri punti diriferimento per l’azione pastorale: il rapporto amicale,la sessualità, la famiglia e l’educazione. Su questipunti occorrerà lavorare, a partire dalla parola e dal-l’esempio di Gesù e dallo stile che egli ha impresso intutte le relazioni personali e secondo cui ha plasmatoi discepoli, tra i quali esemplare è Paolo, che porta intutta la sua vita e in tutti i rapporti l’impronta dellagrazia della chiamata e della relazione personale conGesù. Saranno poi necessari anche l’approfondimentodottrinale, il discernimento personale e comunitario,la verifica pastorale e l’orientamento sociale perchéla vita affettiva cresca e si sviluppi secondo dinami-che che conducono alla piena maturità del discepolodi Cristo.

L’amicizia è un’esperienza dell’uomo non basatasu altri motivi aggreganti (vedi interessi o attività co-muni) che non siano la cura del rapporto interperso-nale nelle sue dimensioni di conoscenza reciproca,del farsi carico dei problemi di ciascuno, dell’accom-pagnamento reciproco nel cammino della vita. Pro-prio perché essa sia tale è necessario che non restichiusa in se stessa e non si alimenti del gusto di op-porsi a tutti gli altri, ma diventi un’energia pura per ilmondo spesso abbrutito dal calcolo e dal potere. An-cora, perché sia se stessa è indispensabile che l’ami-

9 Cf. BENEDETTO XVI, Lettera enciclica Deus Caritas est, 3-1

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cizia si nutra del rapporto intimo con l’Amico di cia-scuno e di tutti, Gesù Signore che non ci ha chiamatoservi ma amici (cf. Gv 15,15).

È opportuno, ancora, considerare la coppia e lasua naturale espansione nella famiglia da essa crea-ta. La coppia è fondata sull’amore reciproco conside-rato dal Concilio Vaticano II come suo scopo prima-rio. 10 Esso, oltre al rapporto amicale, è connotato daquello sessuale. C’è stretto rapporto tra affettività esessualità; 11 questa, infatti, è veramente umana se, at-traverso la gestualità dei corpi, esprime ed attinge lapersona in modo che si realizzi un incontro tra perso-ne, non solo tra corpi. Più il rapporto sessuale è “cari-co di anima” più diventa gratificante e capace di ap-pagare l’affettività; altrimenti quel rapporto fisico siriduce ad uno scambio di natura inerte.

Se la sessualità concerne l’affettività, essa trova ilsuo vero significato nel collocarsi armonicamente inquel rapporto d’amore con il quale l’uomo e la donnasi donano reciprocamente e per sempre; essa perciò«non è affatto qualcosa di puramente biologico, mariguarda l’intimo nucleo della persona umana cometale». 12

10 Cf. CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Gaudium et spes, 49.11 «La sessualità esercita un’influenza su tutti gli aspet-

ti della persona umana, nell’unità del corpo e della suaanima. Essa concerne particolarmente l’affettività, la ca-pacità di amare e di procreare, e, in un modo più genera-le, l’attitudine ad intrecciare rapporti di comunione conaltri» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2332).

12 GIOVANNI PAOLO II, Esortazione Apostolica Familiarisconsortio, 11.

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La sessualità diventa fattore di crescita e dimaturazione per la persona umana quando viene vis-suta nella dimensione della castità, che riguarda tuttii battezzati, in qualsiasi stato di vita essi si trovino,sia nel celibato che nel matrimonio. 13 Solo nella casti-tà la sessualità viene diventa veramente “umana” econfigura la persona nella sua perfetta identità, inquanto viene integrata nella relazione da persona apersona, nel dono reciproco, totale e illimitato nel tem-po, dell’uomo e della donna. 14

In tal modo il rapporto dei corpi non resterà fine ase stesso ma diventerà espressivo del (e indirizzatoverso il) rapporto di anime in modo che le persone di-ventino «una sola carne» (Gen 2,24), che vuol direcapaci di assunzione reciproca della propria debo-lezza, di gioie e dolori, di paure e sogni, di speranze eprogetti.

In questo cammino di accoglimento totale dell’al-tro, che chiamiamo castità, i membri della coppia sa-ranno discepoli di Colui che ha assunto le nostra de-bolezze (i nostri peccati) ed i nostri sogni di felicità edi pace dando la sua vita perché ciò si realizzi. Saràcosì possibile intessere rapporti di vera amicizia, vi-vendo come quei discepoli che Gesù stesso ha chia-mato suoi amici. La castità conduce l’amicizia allacomunione spirituale. 15

L’amore coniugale è un’offerta incondizionata disé all’altro e, per sua natura, non sopporta vincoli o

13 Cf. CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dichia-razione Persona humana (1976), 11.

14 Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2337.15 Cf. ibid., 2347; cf. Gv 15,15.

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condizioni alcune. L’amore è, per sé, eterno, essendopiù forte anche della morte (cf. Ct 8,6). La fedeltà èquindi una conseguenza felice dell’amore. Essa do-vrà essere ogni giorno alimentata dall’amore.

Anche la nascita dei figli è da vedere come unanaturale estensione dell’amore che per sua natura ècreativo. I figli sono quindi il frutto e l’espansionedell’amore coniugale degli sposi la cui intima unio-ne, frutto di una piena donazione reciproca, diventacosì indissolubile e feconda. 16

L’apertura alla vita è costitutiva della vita matri-moniale, per la connessione inscindibile tra il signifi-cato unitivo e il significato procreativo che la caratte-rizza. 17 Il linguaggio dell’amore coniugale è quellodella reciproca donazione totale degli sposi, che giun-ge a pienezza nel dono della nuova vita. 18

Lo stesso linguaggio si trova ad essere contrad-detto quando si fa ricorso a quelle tecniche di fecon-dazione artificiale che, dissociando l’atto sessualedall’atto procreatore, inculcano la mentalità di un“diritto al figlio” e fanno perdere di significato il pri-mato del dono della vita nell’atto del concepimento.«Il figlio non è qualcosa di dovuto, ma un dono. Il donopiù grande del matrimonio è una persona umana. Ilfiglio non può essere considerato come oggetto di pro-

16 Cf. CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Gaudium et spes,48; cf. Codice di Diritto Canonico, 1056; anche Mc 10,9; Mt19,1-12; 1Cor 7,10-11.

17 GIOVANNI PAOLO II, Esortazione Apostolica Familiarisconsortio, 30; PAOLO VI, Lettera enciclica Humanae vitae, 11. 12.

18 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Esortazione ApostolicaFamiliaris consortio, 32.

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prietà […]. In questo campo, soltanto il figlio ha veridiritti: quello di essere il frutto dell’atto specifico del-l’amore coniugale dei suoi genitori e anche il diritto aessere rispettato come persona dal momento del suoconcepimento». 19 L’apertura alla vita e la generositàdell’amore si possono esprimere anche in altre forme,come l’affido o l’adozione di bambini abbandonati oancora altri servizi a favore del prossimo.

Ma i figli sono anche “un’altra cosa” rispetto ailoro genitori, sono una nuova creatura con suoi dirittied un suo unico destino. I genitori debbono allorasaperli accompagnare con una discrezione e distaccocrescenti, senza strumentalizzazione alcuna, evitan-do di trasferire in essi le loro frustrazioni e i loro sogniirrealizzati, rimanendo però punti fermi per il lorocammino della vita. “Stabili” come Maria che seppeaccogliere, sotto la croce, il disegno misterioso e dolo-roso di Dio (cf. Gv 19,25) che le chiedeva di perdere ilproprio figlio per ritrovare tutti noi.

Infine, nella famiglia, non va trascurata la posizio-ne delle persone anziane, non solo in ragione del quar-to comandamento che richiama la responsabilità deifigli verso i genitori, 20 ma anche per i tesori di espe-rienza, di saggezza e di umanità con cui possono ar-ricchire le relazione personali.

L’educazione della vita affettiva è opera che si svol-ge prima di tutto all’interno della famiglia. La funzio-

19 Catechismo della Chiesa Cattolica, 2378-2379; cf. CON-GREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione Donumvitae, II, 8.

20 Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2218; Mc 10,12;Sir 3,2-6; Sir 3,12-13.16.

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ne educativa dei genitori è per tanti versi insostituibile,anche se deve essere supplita là dove manca . 21 Il di-ritto e il dovere dell’educazione sono, per i genitori,primari e inalienabili, 22 poiché nella famiglia si ap-prendono la tenerezza, il perdono, il rispetto, la fedel-tà, il servizio disinteressato e tutte le altre virtù uma-ne e cristiane. 23 Un posto particolare occupa in talsenso l’educazione della coscienza della persona, cheè compito di tutta la vita, ma trova nei primi anni leopportunità fondamentali per preservare o guariredalla paura, dall’egoismo e dall’orgoglio, dai risenti-menti della colpevolezza e dai moti di compiacenza,che nascono dalla debolezza e dagli sbagli umani, inmodo da garantire la libertà e veder generare la pacedel cuore. 24

Proposte operative

Diventare discepoli di Gesù nella maturazio-ne dell’affettività e nella manifestazione dellavita affettiva in tutte le sue dimensioni e nellecondizioni concrete di vita è un compito dalquale singoli e comunità non possono prescin-dere. San Paolo esplicita tale compito con l’in-vito che introduce l’inno cristologico di Fil 2:

21 Cf. CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Decreto Gravis-simum educationis, 3.

22 GIOVANNI PAOLO II, Esortazione Apostolica Familiarisconsortio, 36.

23 Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2223.24 Cf. ibid., 1784.

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«abbiate in voi gli stessi sentimenti che furonoin Cristo Gesù» (v. 5) e dà ad esso puntuale ri-scontro in tutta la serie di richiami ai propri ealtrui sentimenti che costellano tutte le sue let-tere.

Tale compito di maturazione e di formazio-ne può diventare oggetto specifico di program-mazione e di discernimento in situazioni pa-storali particolari, tra le quali spiccano i grup-pi di adolescenti e di giovani, le coppie che sipreparano al matrimonio, gli sposi e le fami-glie che avvertono l’esigenza di un accompa-gnamento spirituale e pastorale; ma poi anchei figli di coppie separate e divorziate, gli stessiseparati e divorziati, i vedovi e le persone sole.Non possiamo nemmeno dimenticare che lamedesima esigenza di fondo interessa le comu-nità religiose e in genere le persone consacratee dedicate al ministero.

Possiamo qui richiamare alcune esigenze datenere presenti nello sviluppo di una program-mazione pastorale specifica in questo ambito,che è volta alla crescita del discepolato cristia-no nell’esercizio della affettività sia degli ope-ratori pastorali sia dei destinatari della loroattività.

Una prima esigenza è l’accoglienza, che saprestare attenzione alle situazioni di solitudi-ne e alle persone anziane, che favorisce l’in-contro e la conoscenza tra persone, che è at-

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tenta ai momenti estremi del nascere e del mo-rire, che si esprime anche nello stile quotidia-no e ordinario di una comunità parrocchiale.

Una seconda esigenza è quella dell’accom-pagnamento, umano, spirituale e pastorale, ri-volto a persone che entrano a far parte dellacomunità, ai fidanzati, alle giovani coppie, allefamiglie in difficoltà, alle coppie conviventi, aiconiugi separati e divorziati, agli immigrati, aglianziani, ai minori a rischio, a persone colpiteda lutti e disgrazie, alle persone disabili.

Riguardo alle coppie, l’accompagnamentoassume forme specifiche quando si tratta digenitori lontani dalla Chiesa che chiedono peròdi far battezzare il loro bambino, o ancora pergenitori in difficoltà nello svolgimento del lorocompito educativo. In tutto questo sono neces-sari competenza, maturità ed equilibrio in chiassume l’incarico di accompagnare altre per-sone.

Una terza esigenza è la formazione, che toc-ca la catechesi ordinaria dei fanciulli e dei ra-gazzi, ma interessa gli educatori, quali i mini-stri ordinati, le persone consacrate, i catechi-sti, gli insegnanti di religione. Importante la for-mazione riguardo alla sessualità, al significatodella castità, alla reciprocità tra matrimonio everginità, tra famiglia e vita consacrata.

Una quarta esigenza tocca specificamenteil ruolo, già richiamato, della famiglia, e sotto-

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linea il compito dei genitori non solo nella edu-cazione dei figli in generale, ma anche nellaloro crescita di discepoli, credenti e membridella comunità ecclesiale. Importante in que-sto campo il coinvolgimento di consultori, cen-tri di ascolto, associazioni familiari, organiz-zazioni di volontariato e così via; ma poi an-che l’integrazione della famiglia nelle struttu-re sociali e civili, oltre che ecclesiali, al fine diraggiungere la realizzazione delle sue finalitàcostitutive.

In ultimo, esigenza da tenere presente nellaprogrammazione è la cultura; una cultura chepromuova una visione positiva dell’amore edella famiglia, che difenda la dignità della per-sona umana, il valore della corporeità, dellasessualità, della famiglia anche nel mondo deimass media e in generale in tutte quelle sediche possano animare e orientare una nuovacultura sociale, politica ed economica.

LAVORO E FESTA

Il lavoro e la festa hanno sempre accompagna-to la vita dell’uomo. In questo ambito si manifestaspesso la tanto lamentata separazione tra fede evita, poiché vi regna la necessità del sostentamen-to, degli interessi, del riposo, del divertimento.Risulta perciò impegnativa la domanda suldiscepolato: come lavora oggi un discepolo diGesù? Come fa festa e si diverte? Sono domande

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con cui presto o tardi bisogna misurarsi (cf. Mt6,25-34; At 20,33-35; 1Cor 4,12).

Sguardo alla situazione

Nel contesto culturale attuale, caratterizzato so-prattutto dal fenomeno della globalizzazione, il lavo-ro umano è sottoposto a condizionamenti schiacciantie a cambiamenti radicali. Non mancano aspetti posi-tivi in tale fenomeno, come ad esempio la maggioredisponibilità e circolazione di merci e di beni mate-riali e immateriali; come pure il moltiplicarsi dellepossibilità e delle opportunità economiche e sociali,sia nel lavoro che nell’esperienza della festa. Ma taliaspetti cedono il passo a preoccupazioni e ansie so-prattutto per i singoli e i deboli.

Espressioni ricorrenti nel linguaggio economico,come riordinamento delle aziende e delocalizzazionedelle imprese, indicano mutamenti nel settore dellaproduzione e del commercio che incidono profonda-mente nella vita delle persone e delle famiglie. Il rior-dinamento delle aziende, infatti, con tagli del perso-nale e cambiamento dell’indirizzo produttivo generaspesso disoccupazione e dequalificazione della ma-nodopera, mentre la delocalizzazione delle impresecomporta investimenti di capitale all’estero ed ancheallontanamenti prolungati di operai specializzatidalle loro famiglie, quasi una nuova emigrazione. Setecnici e operai specializzati, a motivo della delocaliz-zazione delle imprese, si spostano a lavorare semprepiù fuori dai confini nazionali, si assiste di conversoall’immigrazione di lavoratori dall’estero che vengo-no impiegati soprattutto nei settori dell’agricoltura e

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dell’edilizia, caratterizzati ancora da lavoro manua-le pesante. Sono moltissime anche le donne immigra-te che trovano lavoro nel nostro paese come badanti eassistenti degli anziani.

Un dato molto problematico risulta essere quellodell’inserimento di giovani nel mondo del lavoro. Siregistra una grande divario tra il mondo della scuolae dell’università e quello del lavoro: dopo aver conse-guito un titolo di studio i giovani si ritrovano del tuttoimpreparati a venire incontro alle esigenze delle im-prese, nel caso di una pronta e immediata assunzio-ne.

Le attuali politiche del lavoro sembrano avere comeuno dei principali criteri di orientamento quello dellacosiddetta flessibilità. Certamente questo criterio, làdove viene rettamente applicato, contribuisce molto asoddisfare sia le esigenze di chi offre il lavoro sia quelledi chi lo richiede. Ciononostante allo stato attuale fles-sibilità sembra essere sinonimo di precarietà.

Gli attuali processi economici, favoriti anche daapposite politiche legislative, stanno conducendo allaformazione di grandi aziende, con vertiginoso accu-mulo di capitale, e alla penalizzazione e anche scom-parsa di quelle medio-piccole, con un evidente ritor-no al passato e la cancellazione soprattutto delle im-prese a conduzione familiare che hanno caratterizza-to l’ultimo mezzo secolo del lavoro in Italia. Segnoevidente di questi nuovi sviluppi sono le condizionidi accesso al credito, molto più favorevoli alle grandiimprese che non a quelle medio-piccole.

A fronte dei cambiamenti vertiginosi che si stannoverificando nel mondo del lavoro, i sindacati tradi-zionali sembrano trovarsi impreparati e incapaci di

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concepire strategie nuove di orientamento che possa-no in ogni caso salvaguardare i diritti inalienabili deilavoratori.

I ritmi incalzanti imposti dai cicli della produzio-ne creano a volte contrasti irriducibili tra le esigenzedelle aziende e quelle delle famiglie. In generale peròsi potrebbe affermare che tutto il mondo del lavoro èsottoposto oggi a logiche esclusivamente economicisti-che, secondo le quali le esigenze spesso anche fittizidel profitto e del mercato hanno la prevalenza suglistessi diritti dei lavoratori e sul bene comune. Per faresolo un esempio, pensiamo alle logiche economicheche stanno portando alla pressoché totale scomparsadella categoria di tempo libero.

In questo contesto trova risonanza, anche dal pun-to di vista della fede, la questione della domenica 25,giorno del Signore, che nella mentalità corrente nonriesce a sottrarsi alle logiche del consumismo e dell’edonismo. Non mancano certo i pronunciamenti delmagistero ecclesiale sulla domenica, che è giorno diriposo non soltanto nel senso che si cessa dalle attivi-tà lavorative ma anche e soprattutto nel senso che of-fre occasioni di creare relazioni sociali indispensabi-li per umanizzare lo stesso lavoro. Non è esageratoaffermare che la scomparsa della domenica come gior-no di riposo condurrebbe ad una disumanizzazionedello stesso lavoro, che diventerebbe processo pro-duttivo fine a se stesso e non sarebbe più una collabo-razione libera e gioiosa dell’uomo all’opera creatricedi Dio.

È da dire anche che purtroppo non si registra una

25 Cf. Secondo Sinodo della Diocesi di Noto, decisione n. 28

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adeguata attenzione della comunità cristiana ai pro-blemi sin qui esposti, ulteriore segno di uno scolla-mento tra la fede e la vita. Non mancano però alcunifermenti di novità che fanno bene sperare per il futu-ro. In alcune diocesi, ad esempio, ricorrendo anchealle possibilità offerte dal Progetto Policoro, sono sta-te avviate esperienze vitali di cooperazione socialenelle quali si pone attenzione ad una equa remunera-razione del lavoro, alla qualità delle relazioni tra lepersone, alla condivisione sia dei rischi che degli uti-li, alla creazione di posti di lavoro soprattutto per igiovani. Anche altre esperienze significative, comequelle dell’economia di comunione, della Banca eti-ca, del micro-credito, del consumo critico, del mercatoequo e solidale, trovano sempre più spazio e interessenelle comunità cristiane, contribuendo a creare unanuova e più giusta cultura del lavoro.

Da segnalare infine all’interno delle comunità cri-stiane l’esperienza di nuove forme di aggregazioni dilavoratori che, sotto forma di comitati spontanei oassociazioni, si sforzano di dare voce non solo ai pro-blemi che li riguardano ma anche alle proposte disoluzione da portare al tavolo delle sedi istituzionali.

Punti di riferimento

Il discepolo di Gesù deve trovare in lui ispirazio-ne e senso per il suo lavoro, pienezza di ristoro per ilsuo riposo e di gioia per la sua festa. San Paolo segna-la per il suo tempo indicazioni che richiedono pun-tuale attualizzazione; come la rivendicazione di averguadagnato di che vivere con le sue mani o anche ilcomando «chi non vuol lavorare neppure mangi» (2Ts

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3,10). Su questo sfondo la Chiesa invita a tenere pre-senti alcune indicazioni che aiutano il cristiano dioggi a salvaguardare le esigenze di fondo nella ricer-ca di un cammino dietro a Gesù sempre più coerentecon la sua chiamata.

Essa entra nel merito ricordando come l’attivitàeconomica non abbia come scopo principale l’aumen-to della produzione e del profitto ma il servizio al-l’uomo e la promozione del bene comune. Perciò essadovrà fondarsi con equilibrio sia sulle leggi dell’eco-nomia sia sulle esigenze morali fondamentali, per cor-rispondere al disegno di Dio e al bene dell’uomo. 26

Per l’uomo il lavoro è un dovere morale che scatu-risce dal suo essere creato ad immagine e somiglian-za di Dio e dalla conseguente chiamata a collaborarecon Dio al disegno della creazione. 27 Associandosipoi a Cristo sulla croce, l’uomo è chiamato anche aconferire al suo lavoro un valore di redenzione. 28

Attraverso il lavoro l’uomo esalta i doni e i talentiricevuti da Dio esprimendo quindi se stesso nell’ope-ra delle proprie mani. In questo senso si può afferma-re che il lavoro è per l’uomo e non l’uomo per il lavo-ro. 29

26 Cf. CONCILIO VATICANO II, Costituzione pastoraleGaudium et spes, 64.

27 Cf. Gn 1,28; CONCILIO VATICANO II, Costituzione pa-storale Gaudium et spes, 34; GIOVANNI PAOLO II, Lettera en-ciclica Centesimus annus, 31.

28 Cf. Gn 3,14-19; GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclicaLaborem exercens, 27.

29 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Laboremexercens, 6.

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Con il lavoro l’uomo santifica se stesso e anima lerealtà temporali secondo lo spirito di Cristo. 30 Anco-ra, l’uomo con il lavoro procura a se stesso e ai suoifamiliari i mezzi di sostentamento della vita e svolgealtresì un servizio per tutta la comunità. 31

Nel lavoro, ognuno gode del diritto di iniziativaeconomica; tale diritto però dovrà essere esercitato nonsecondo un tornaconto egoistico, ma per contribuiread una maggiore crescita del bene di tutti. 32

Per quanto riguarda il rapporto tra i mezzi dellaproduzione, si deve ribadire che il lavoro gode di unapriorità intrinseca rispetto al capitale, pur rimanen-do entrambi complementari fra di loro. 33

Le inevitabili divergenze che sorgono nel mondodel lavoro, a motivo di conflitti di interesse, devonoessere appianate e risolte con senso di responsabilità,sempre in vista del bene comune, ricorrendo a tutti imezzi possibili di mediazione ed evitando azioni con-flittuali tese a salvaguardare gli interessi di una catego-ria a discapito e a detrimento di quelli di un’altra. 34

In ogni caso, l’attività economica fondata sul la-voro dell’uomo dovrà essere garantita da un adegua-to quadro istituzionale politico e giuridico che tuteli

30 Cf. Catechismo della Chiesa cattolica, 2427.31 Cf. ibid., 2428.32 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Centesimus

annus, 32; 34.33 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Laborem

exercens, 12; Compendio della dottrina sociale della Chiesa, 276-280.

34 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Laboremexercens, 11; Catechismo della Chiesa cattolica, 2430.

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la libertà degli individui e delle imprese, il diritto diproprietà, la distribuzione equa dei beni e dei mezzidella produzione, la stabilità della moneta, l’efficien-za dei servizi pubblici. Perciò la libertà di mercatonon potrà prescindere da precise norme e regolamen-ti previsti e garantiti dallo Stato. 35

Per ciò che riguarda la proprietà dei mezzi dellaproduzione, si deve ribadire il principio che il dirittodi proprietà degli stessi mezzi della produzione èsubordinato al principio della destinazione univer-sale dei beni. Ciò significa che la proprietà che si ac-quista anzitutto mediante il lavoro deve servire al la-voro. I mezzi di produzione non possono essere pos-seduti contro il lavoro, non possono essere neppureposseduti per possedere. Il loro possesso diventa ille-gittimo quando la proprietà non viene valorizzata oserve ad impedire il lavoro di altri, o a creare specula-zione e sfruttamento. 36

Nel perseguire il profitto, necessario per fare nuo-vi investimenti e creare occupazione, le imprese do-vranno altresì stare attente a rispettare l’integrità deilavoratori, l’equilibrio ambientale ed il bene comune. 37

Fermo restando il dovere di ogni società di garan-tire ai propri cittadini il diritto al lavoro, 38 è da evita-re ogni forma di discriminazione, nell’accesso al mon-

35 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Centesimusannus, 48.

36 Cf. Compendio della dottrina sociale della Chiesa, 282;GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Laborem exercens, 14;ID., Lettera enciclica Centesimus annus, 43.

37 Cf. ibid., 37.38 Cf. ibid., 48.

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do del lavoro, tra uomini e donne, tra sani e disabili,tra persone del posto e immigrati. 39

La retribuzione del giusto salario a tempo debitorimane un’esigenza morale inderogabile, l’inosser-vanza della quale è causa di gravi ingiustizie. 40 Perstabilire con giustizia ed equamente l’ammontare delsalario non basta l’accordo delle parti, ma occorre chesi tenga conto dell’esigenza del lavoratore di poter farefronte, attraverso il proprio salario, ai bisogni fonda-mentali personali e della famiglia, assicurando in ognicaso una vita dignitosa sotto ogni punto di vista. 41

Lo sciopero può essere esercitato come diritto solonel caso in cui sono risultati fallimentari le trattativetra le parti, quando le condizioni in atto fanno ragio-nevolmente sperare nel conseguimento del fine, quan-do il vantaggio sia proporzionato ai disagi creati,quando viene salvaguardato il bene comune e quan-do in ogni caso si eviti ogni forma di violenza o con-dotta inaccettabile. 42

La privazione del lavoro non può essere immedia-tamente giustificata dalle logiche della produzione edel mercato. Essa deve essere vista, innanzitutto, comeun’offesa alla dignità della persona, oltre che comeun danno, una minaccia, un rischio che si vengono acreare per il lavoratore e la sua famiglia. 43

39 Cf. ID., Lettera enciclica Laborem exercens, 19; 22-23.40 Cf. Lv 19,13; Dt 24,14-15; Gc 5,4.41 Cf. CONCILIO VATICANO II, Costituzione pastorale

Gaudium et spes, 67; Catechismo della Chiesa cattolica, 2434.42 Cf. Catechismo della Chiesa cattolica, 2435.43 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Laborem

exercens, 18.

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Il riposo festivo è un diritto. 44 Dio cessò nel setti-mo giorno da ogni suo lavoro; anche gli uomini, crea-ti a sua immagine, devono godere di sufficiente ripo-so e tempo libero che permetta loro di curare la vitafamiliare, culturale, sociale e religiosa. 45 A ciò contri-buisce l’istituzione del giorno del Signore. 46

Proposte operative

Un percorso di discepolato cristiano nel-l’ambito del lavoro e della festa non deve per-dere di vista l’esperienza paolina di incontrotravolgente con il Cristo Risorto e di parteci-pazione alla sua passione; deve invece farla ri-vivere dentro l’esperienza concreta della fati-ca del lavoro e la spensieratezza e l’allegria dellafesta. Ciò richiede un cammino interiore e nel-lo stesso tempo una capacità di farsi carico edi coinvolgersi nell’impegno sociale dentro ilquale maturano i frutti del bene, della giusti-zia e della dignità umana.

A tal fine è necessario uno sforzo di risco-perta del senso evangelico e spirituale del la-voro e del tempo libero, delle loro condizionidi umanizzazione e di elevazione delle perso-ne al loro destino di relazione e di comunione

44 Cf. Ibid., 19; ID., Lettera enciclica Centesimus annus, 9.45 Cf. Gn 2,2; CONCILIO VATICANO II, Costituzione pasto-

rale Gaudium et spes, 67.46 Cf. Catechismo della Chiesa cattolica, 2184-2188.

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con Gesù, e grazie a lui anche nei vari ambien-ti sociali. Altrettanto importante è l’approfon-dimento dell’etica sociale, non soltanto ricor-rendo all’insegnamento sociale della Chiesa,ma soprattutto facendolo diventare patrimo-nio di una comunità credente che cresce nelconfronto con i problemi della società.

Uno spazio privilegiato di osservazione deiproblemi del lavoro, affrontati secondo un’ot-tica di fede, è senza dubbio la Scuola diocesanadi formazione all’impegno sociale e politico. Ilsuo servizio dovrebbe estendersi oltre la cer-chia ristretta di addetti ai lavori, così da diven-tare parte integrante della pastorale ordinaria.Bisogna aiutarci tutti a prendere coscienza econoscenza di quanto sta avvenendo nel mon-do del lavoro. Il contributo di tutti permette diindividuare vie nuove lungo le quali riscoprireil lavoro come rispondente alla vocazione diciascuno e alle esigenze del bene comune.

Luoghi significativi di crescita personale edi studio e soluzione dei problemi legati al la-voro e alla festa possono essere, a vari livelli,l’incontro di e con cattolici impegnati in politi-ca e nelle sedi di rappresentanza e di respon-sabilità amministrativa e istituzionale; l’incon-tro fra le diverse categorie di lavoratori, maanche di datori di lavoro, per rileggere alla lucedell’appartenenza e della comunione ecclesia-le la reciproca responsabilità.

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Una attenzione particolare alla comunitàcristiana come tale e ai singoli è richiesta dalfenomeno dell’immigrazione, con tutte le im-plicazioni umane e di giustizia sociale che sol-leva.

Anche la cooperazione sociale può offrireuna pista concreta di superamento dell’indivi-dualismo e di solidarietà, tanto più in un con-testo in cui persiste la piaga della disoccupa-zione. Può risultare importante in tal senso laconoscenza del Progetto Policoro nelle comu-nità parrocchiali e la valorizzazione delle ri-sorse che esso offre. Non dovrebbe nemmenomancare una attenzione, a partire dalla com-petenza e dall’esperienza dell’ufficio diocesanoper la pastorale del lavoro, agli attuali contrat-ti di lavoro ispirati da criteri di flessibilità, chesono esposti al rischio di degenerare in fattoridi persistente precarietà.

Un compito specifico di educazione e for-mazione delle coscienze riguarda quella auten-tica piaga che è il clientelismo, che snatura illavoro stesso facendogli perdere la sua dimen-sione essenziale di vocazione e di servizio. Làdove necessario, anche la denuncia può esserevia di annuncio, mai disgiunta però da unaazione coerente da parte degli stessi annun-ciatori.

Non può essere trascurato che nel tessutoculturale e religioso meridionale il senso della

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festa è ancora vivo e la domenica, almeno comegiorno di riposo dal lavoro, viene in gran parteconservata. Tale senso oggi deve essere educa-to a misurarsi con l’inversione di tendenza inatto, prodotta non da ultimo dalla nascita deigrandi centri commerciali, che appiattisce ilgiorno festivo e tende a cancellare la domeni-ca come tempo di celebrazione e di ricreazio-ne dei rapporti interpersonali. A ciò rispondeun’adeguata opera educativa e insieme unaefficace presenza culturale e sociale.

Percorsi specifici di formazione e di orga-nizzazione richiedono i comitati e tutte le per-sone coinvolte nella preparazione e nello svol-gimento delle feste religiose 47; la pietà popola-re può diventare luogo di evangelizzazione efermento di nuovi rapporti fondati sulla soli-darietà e sul senso di speranza e di gioia chescaturiscono dell’esperienza condivisa dellafede cristiana.

FRAGILITÀ

La condizione di fragilità può apparire la piùprossima nella sequela di Gesù e nel cammino sul-le orme di Paolo; la passione e la morte di Gesù,infatti, assimilate intimamente da san Paolo, isti-tuiscono un termine non solo di confronto, maanche di riferimento e quasi di immedesimazione

47 Cf. Secondo Sinodo della Diocesi di Noto, decisione n. 45.

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per il credente che vive una qualche forma di fra-gilità. L’apostolo riconosce nella debolezza l’amoremisericordioso di Dio che lo ama e lo accoglie nel-la persona di Gesù: «Egli mi ha detto: Ti basta lamia grazia; la mia potenza infatti si manifestapienamente nella debolezza. Mi vanterò quindiben volentieri delle mie debolezze, perché dimoriin me la potenza di Cristo» (2Cor 12,9). È daverificare fino a che punto tale riferimento rimanead un livello consolatorio e quando diventa cam-mino di oblazione e di partecipazione alla missio-ne redentrice di Cristo e all’azione apostolica del-la Chiesa (cf. Fil 2,16b-18; 2Tm 4,6-8).

Sguardo alla situazione

Nella nostra società la condizione di fragilità nonappartiene più alla eccezionalità dell’esistenza uma-na, ma quasi alla normalità. Infatti, oggi la fragilità èdeterminata non solo da situazioni di malattia, di po-vertà o di vecchiaia, ma molto più e soprattutto dauna radicale destrutturazione dell’equilibrio psichicoe spirituale della persona umana ad ogni età dellavita.

Tale condizione di fragilità ha senza dubbio unamatrice culturale, improntata oggi ai miti dell’efficien-za fisica e dell’onnipotenza tecnologica, della perfe-zione estetica e del soddisfacimento di ogni deside-rio, della libertà da ogni vincolo etico e da ogni limitenaturale. Il risultato di questa cultura, diffusa e raf-forzata dai mezzi della comunicazione sociale, è lacreazione di facciate di forza e sicurezza dietro allequali si celano però l’incapacità di lottare per un ide-

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ale, la carenza di valori forti, una permanente inquie-tudine dell’animo, la paura del futuro.

Al livello sociale la condizione di fragilità può es-sere rilevata in riferimento all’identità culturale che,dinanzi ai fenomeni dell’immigrazione e del plurali-smo razziale, culturale e religioso, viene tentata diripiegamento su se stessa per l’insufficiente capacitàdi accoglienza e di integrazione.

La fragilità si manifesta poi in un modo semprepiù preoccupante all’interno della famiglia nella qua-le i legami di affetto e di solidarietà vengono ad allen-tarsi, scadendo anche in forme di individualismo, disolitudine e di conflittualità.

Anche le istituzioni educative conoscono formegravi di fragilità date dalla incapacità di dialogo tragenerazioni e soprattutto da progetti formativi basatisu criteri di efficientismo e di utilitarismo che perdo-no di vista l’integralità della persona umana con isuoi aspetti psicologici e spirituali.

Le istituzioni democratiche, poi, si mostrano inca-paci di svolgere il proprio ruolo a motivo di queicondizionamenti planetari che sembrano rendere im-possibile oggi la sussistenza dei governi nazionali.Inoltre il consumo dissennato delle risorse naturali el’inquinamento ambientale contribuiscono molto acreare instabilità spirituale e disagio psicologico.

La fragilità sociale degenera in forme patologichesempre più acute quali l’illegalità diffusa ed eretta asistema, lo sfruttamento del lavoro, la crisi delle poli-tiche sociali, il rifiuto della vita nascente e la ricercadell’eutanasia, la dipendenza dall’alcol e dalla dro-ga, la frenesia del gioco d’azzardo, il rifugio sistema-tico nel mondo virtuale, i fenomeni di bullismo e la

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delinquenza minorile, la proliferazione dell’usura,l’abbandono delle persone anziane, l’aumento deicarcerati e la loro penosa condizione, la carenza deiservizi sanitari, l’emarginazione dei portatori di han-dicap nonostante i numerosi proclami a loro difesa,l’abbandono scolastico, la mancanza di alloggi, ecc.

La comunità cristiana, che sempre si è prodigata sulfronte della carità, trova perciò oggi nuove sfide posteda una fragilità sociale dai mille volti. Non mancano isegni e le opere che attestano in tal senso la vitalità dellenostre comunità. Soprattutto, si distingue l’azione del-la Caritas che a livello nazionale è riuscita a dare orien-tamenti generali condivisi ed apprezzati dalle Chieselocali, e che continua a fornire strumenti di studio e diapprofondimento dei fenomeni della povertà che si ri-velano indispensabili per l’azione pastorale svolta dal-le singole comunità ecclesiali.

L’attività della Caritas viene così apprezzata an-che dalle istituzioni civili e politiche che volentieri silasciano suggerire e concordano con essa strategie einterventi per venire incontro alle varie situazioni difragilità. Grazie alla Caritas sono ormai numerosissi-me le parrocchie 48 che, quanto meno, hanno dato vitaad un centro di ascolto che diventa sul territorio pun-to di riferimento essenziale per chi versa in condizio-ni gravi di fragilità.

Inoltre, rimane sempre viva l’esperienza del vo-lontariato, anche se oggi le possibilità economiche ele risorse offerte dalle nuove normative possono farcorrere il rischio di smorzarne lo slancio originario edi snaturarne il significato. Sono da segnalare al ri-

48 Cf. Secondo Sinodo della Diocesi di Noto, decisione n. 56.

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guardo le esperienze importanti di volontariato – cal-deggiate e sostenute dalle comunità ecclesiali – negliospedali e nelle varie associazioni a scopo caritativo.

Infine, non si può dare conto di quelle numerosetestimonianze di carità interpersonali e interfamiliariche, compiute nel nascondimento, rappresentano unagrande realtà che riesce a tenere ancora saldo il no-stro tessuto sociale.

Punti di riferimento

Imprescindibile è il riferimento a quanto il Vange-lo ci attesta della attenzione di Gesù verso i malati everso quelli che soffrono per qualsiasi motivo di disa-gio, fisico e spirituale; ma allo stesso tempo della suapartecipazione alla fragilità umana fino alla croce.San Paolo testimonia una coscienza viva, e a trattidrammatica, della sua fragilità, abbracciata proprio amotivo della sua missione apostolica, ma anche por-tata con grande fiducia e coraggio in unione alla pas-sione di Cristo.

C’è bisogno di imparare ad essere e rimanere sen-sibili non solo alle proprie, ma anche dinanzi allefragilità altrui, per dare senso al proprio camminodietro a Gesù e per ridare slancio ai necessari inter-venti sociali e caritativi che salvaguardino la sacralitàdella vita umana. 49

Riguardo alla sacralità della vita umana è da rite-nere il quinto comandamento, “non uccidere”, chemette in guardia dall’omicidio diretto e volontario ma

49 Cf. CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istru-zione Donum vitae, introduzione, 5.

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anche da qualsiasi azione diretta anche solo a mal-trattare una persona, o ancora dalle attività e anchecondizioni sociali che espongono gli altri a rischiomortale o impediscono l’assistenza in caso di perico-lo. 50 La vita umana deve essere assolutamente rispet-tata e tutelata in ogni istante, dal concepimento 51 finoal suo termine naturale, escludendo ogni forma di ac-canimento terapeutico. 52 La vita è un dono di Dio daaccogliere con riconoscenza, da preservare e promuo-vere. 53

Tollerare, da parte della società umana, condizio-ni di miseria che portano alla morte senza che ci sisforzi di porvi rimedio, è una scandalosa ingiustiziae una colpa grave. Quanti nei commerci usano prati-che usuraie e mercantili che provocano fame e mortedei loro fratelli in umanità, commettono indirettamen-te un omicidio. 54 In modo simile va considerato chiusa i poteri di cui dispone in modo tale da spingeread agire male, 55 ad esempio promuovendo leggi ostrutture sociali che degradano la vita umana o indu-cono alla frode e alla disonestà. 56

La salute è un dono di Dio da tutelare e curare,non solo da parte della singola persona ma di tutta la

50 Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2269.51 Cf. ibid., 2270-2275; CONCILIO VATICANO II, Costituzio-

ne pastorale Gaudium et spes, 51; Codice di Diritto Canonico,1314, 1323-1324, 1398; CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA

FEDE, Istruzione Donum vitae, III.52 Cf. ibid., 2277-2279.53 Cf. ibid., 2280-2283.54 Cf. ibid., 2269; Am 8,4–10.55 Cf. ibid., 2287.56 Cf. ibid., 2286.

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società, ponendo in atto tutte le condizioni essenzialiper godere giustamente di cibo, vestiti, abitazione,assistenza sanitaria, insegnamento di base, lavoro,previdenza sociale, 57 ma anche per evitare quegli ec-cessi e abusi di cibo, alcool, tabacco e medicinali chepossono nuocere alla salute. Non bisogna aver timo-re di affermare che l’uso di droga costituisce una col-pa grave, per se stessa e per le conseguenze che pro-duce nei comportamenti sociali. 58 Anche i giochi d’az-zardo sono da condannare quando privano la perso-na di ciò che le è necessario per far fronte ai bisognipropri e altrui, tanto più che rischiano di diventare,anch’essi, una schiavitù. 59

La Chiesa non ha solo insegnato a custodire e pro-muovere l’essere umano, soprattutto se debole, comeattestano le cosiddette opere di misericordia corpora-le e spirituale, 60 ma ha realizzato e sostiene attività eistituzioni. Il suo amore per i poveri appartiene allasua costante tradizione, 61 non solo in riferimento allapovertà materiale, ma anche alle sue forme culturali,spirituali e religiose. 62 Gli oppressi dalla miseria sonooggetto di un amore di preferenza da parte della Chie-

57 Cf. ibid., 2288.58 Cf. ibid., 2290.59 Cf. ibid., 2413.60 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Centesimus

annus, 57; Catechismo della Chiesa Cattolica, 2445. 2447; Is58,6-7; Eb 13,3; Mt 25,31-46.

61 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Centesimusannus, 57.

62 Cf. Gc 5,1-6; GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclicaCentesimus annus, 57; BENEDETTO XVI, Lettera enciclica Spesalvi, 35-40.

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sa, impegnata da sempre a sollevarli, difenderli e li-berarli, realizzando a questo scopo quelle opere disolidarietà che rimangono sempre e dappertutto in-dispensabili. 63

Proposte operative

Un momento rilevante ed essenziale dell’in-segnamento e dell’esempio di Gesù, e del suodiscepolo e apostolo delle genti Paolo, è pro-prio costituito dal piegarsi sull’umanità soffe-rente e sui fratelli nella fede provati da ognigenere di sofferenza. In Paolo incontriamo ilpromotore della colletta per i poveri di Gerusa-lemme, ma poi anche l’annunciatore e il testi-mone di una fraternità che invita e pratica il «por-tate i pesi gli uni degli altri» (Gal 6,2). Un cam-mino di discepolato richiede di sicuro una for-mazione della sensibilità e delle proprie capacitàall’attenzione e alla dedizione al fratello e al pros-simo nel bisogno, nell’indigenza, nella disgrazia,nella malattia, oltre che la promozione di inizia-tive e la realizzazione di strutture adeguate.

Pur essendo impossibile eliminare del tuttole condizioni di fragilità dall’esistenza umana– e le ideologie che lo proclamano possibilerisultano ingannevoli e pericolose –, la Chiesa

63 Cf. CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istr.Libertatis conscientia, 68; BENEDETTO XVI, Lettera enciclicaDeus Caritas est, 30.

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si sente impegnata senza riserve a reagire al-l’ingiustizia e al fatalismo, a parlare e ad esse-re presente nei luoghi e nelle situazioni di do-lore con spirito di carità, senza cedere a formedi assistenzialismo e di paternalismo. Dinanzialla fragilità dell’uomo non possiamo dimenti-care che Dio stesso, incarnandosi, ha rinun-ciato al ruolo di onnipotenza e si è fatto eglistesso fragile come la sua creatura, sottoponen-dosi alla croce per manifestare e comunicare ilmistero sconfinato del suo amore.

In questo senso la fragilità dell’essere uma-no, prima di essere condizione da cancellare, èper la Chiesa condizione esistenziale da evan-gelizzare perché il mistero di Cristo si manife-sti in modo eminente proprio nella fragilità ac-cettata e offerta. Compito prioritario della Chie-sa di fronte alla fragilità è piegarsi sulle ferite esulle povertà, conformandosi a Cristo servo,senza rinunciare però alla denuncia delle cau-se e delle strutture ingiuste, e alla progettualitàculturale e politica che metta a sistema la curadelle persone sofferenti. Compiendo ciò, laChiesa non si limita a fare o donare qualcosa,ma ripensa se stessa, la sua identità e la suanatura a partire dagli ultimi, superando così letentazioni del potere e della ricerca di gran-dezza umana.

La comunità cristiana ha bisogno di risco-prire e svolgere il proprio compito in soccorso

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dell’uomo debole e ferito attraverso i sacramentidella guarigione; riconciliazione e unzione de-gli infermi celebrano la misericordia di Dio edesprimono la sollecitudine e l’amore della Chie-sa verso chi vive un periodo buio della propriavita. Anche la preghiera deve essere aiutata apassare da preghiera per i poveri a preghieracon i poveri. Ciò richiede una presenza più at-tenta e più frequente dei ministri della Chiesae degli operatori pastorali nei luoghi della sof-ferenza 64, quali ospedali, carceri, case di ripo-so, centri di ascolto, consultori familiari, fami-glie in lutto, comunità di recupero, centri perdisabili, ecc.

La comprensione della condizione e dellesituazioni di fragilità può essere meglio appro-fondita mediante strumenti idonei quali, peresempio, l’“osservatorio delle povertà” 65, percogliere non soltanto i singoli casi ma anche lecause e le dinamiche attraverso le quali le fra-gilità stesse si diffondono e si consolidano nelsistema sociale.

L’azione caritativa della Chiesa porta in séun’impronta pedagogica che può essere evi-denziata, in modo da rendere le persone aiu-tate non soltanto destinatarie, ma anche prota-goniste del loro riscatto; e in modo da promuo-

64 Cf. Secondo Sinodo della Diocesi di Noto, decisione n. 50.65 Cf. Secondo Sinodo della Diocesi di Noto, decisione n. 58.

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vere stili di vita gratuiti, solidali e improntatialla sobrietà, per il superamento di mentalitàconsumistiche. A questo scopo merita di esse-re coltivata l’esperienza del volontariato cri-stiano, vissuto all’insegna di una reale gratui-tà, senza che diventi opera di supplenza a fron-te di carenze istituzionali.

Perché la carità non sia delegata solo ad ap-posite strutture, magari anonime, è auspicabilela creazione di una rete di collaborazione sulterritorio, in modo da instaurare tra le perso-ne, le famiglie e le istituzioni rapporti di “buonvicinato”, che aiutino a superare l’indifferen-za dinanzi ai bisogni degli altri.

Le opere di carità possono diventare sul ter-ritorio un segno visibile di presenza attiva del-la Chiesa. E i segni non servono solo a mostra-re realizzazioni, ma anche a destare la speran-za in tutti, non ultimo anche nelle persone fra-gili che non sono immediatamente destinatariedi un aiuto diretto.

In una cultura come quella attuale, nella qualefacilmente le sofferenze tendono ad esseremedicalizzate, bisognerebbe curare in particola-re la formazione del personale sanitario e diquanti sono in contatto con persone malate, percreare rapporti che non riducano i pazienti a sem-plici consumatori di farmaci, ma che li conside-rino persone la cui sofferenza è comunque sem-pre anche spirituale, oltre che fisica.

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Poiché le situazioni di fragilità legate allamiseria, nelle città tendono facilmente a veni-re confinate in determinate zone o quartieri,diventa importante sviluppare un’attenzioneparticolare alle dinamiche di insediamento ur-banistico, presentando proposte e progetti perevitare il formarsi di ghetti. Oggi tale proble-matica si pone soprattutto per l’integrazionedegli immigrati, sia cattolici che di altre con-fessioni cristiane o di altre religioni. L’elabora-zione di piani di integrazione e di dialogo cone per gli immigrati va vista come una condi-zione indispensabile per la prevenzione e il risa-namento di situazioni di fragilità che facilmentedegenerano in devianze sociali.

CITTADINANZA

Anche l’attenzione alla cittadinanza, comequella al lavoro e alla festa, ci conduce verso climiculturali e spirituali che appaiono refrattari se noninconciliabili con il discepolato cristiano. È possi-bile farsi carico da credenti e discepoli di Gesùdella città degli uomini? Anzi, di più, è possibilefare dell’impegno per la città una via di discepolatocristiano? San Paolo rammenta che seguire Gesùporta ad assimilare uno stile di relazione (cf. Rm12,1-2) che se da una parte rimarca la differenza delcristiano di fronte al mondo (cf. 1Pt 1,11-12), dal-l’altra promuove quell’apertura che diventa dialo-go e servizio (cf. Rm 13,1-7; 1Tm 2,1-4; Tt 3,1-2).

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Sguardo alla situazione

La categoria di cittadinanza viene oggi interpreta-ta in riferimento non soltanto al contesto locale, maanche a quello globale. Cresce sempre più la perce-zione di appartenere non soltanto al proprio paesed’origine ma al mondo intero, e si sviluppa semprepiù l’obbligo morale di farsi carico, come cittadini delmondo, dei problemi politici, sociali, culturali, econo-mici che si affacciano sulla scena planetaria e metto-no in condizioni di interdipendenza tutte le nazionidel mondo. Problemi come la globalizzazione deimercati, l’alimentazione di intere popolazioni del pia-neta, l’approvvigionamento idrico, il rifornimentoenergetico e l’inquinamento ambientale richiedonol’impegno e la responsabilità di tutti e di ciascuno,perché la loro soluzione non può essere data da sceltepolitiche di parte né dalla necessità di salvaguardareequilibri di potere anche se a livello internazionale.

Nel dibattito culturale e politico, presso le sedi isti-tuzionali o a livello di società civile, ormai l’identitàdel cittadino non viene definita solo dai diritti che glispettano ma anche dagli impegni che egli è chiamatoad assumere verso la collettività intera. Cresce la co-scienza che essere cittadini comporta vivere con at-teggiamenti di vigilanza e di responsabilità, evitandoe denunciando quegli atteggiamenti qualunquisti orassegnati che sfociano nella sensazione diffusa diimpotenza e generano la subcultura del nichilismo.A livello culturale si diffonde sempre più l’espressione“cittadinanza attiva”, e si registra un notevole sforzo diapprofondimento concettuale, anche se l’esperienzamutuata dal concetto è ancora in una fase germinale.

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In effetti, se diventa sempre più ricorrente l’espres-sione “cittadinanza attiva”, non scompare nel lin-guaggio sociologico l’espressione “socialità corta”,che indica piuttosto la tendenza comune ad unripiegamento e all’appiattimento nella sfera privata eintimistica. Questa tendenza riguarda anche la co-munità cristiana, per la quale spesso è sufficiente spin-gersi sul fronte della carità interpersonale, sottraen-dosi però agli impegni specifici e concreti per ridefiniree modulare evangelicamente il sistema sociale e poli-tico. Di fatto appare diffusa la scarsa rilevanza deilaici cristiani sul piano socio-politico.

Non è superfluo rimarcare che essere stranieri opellegrini nel mondo, secondo la fede cristiana, nonsignifica certo essere estranei al mondo. Se da unaparte la Chiesa non si può sostituire alla società civi-le, dall’altra parte non può né deve separarsi da essa.Si registra il tentativo variamente diffuso di riscoprireed interpretare in modo nuovo il compito di fondo, daparte della Chiesa, di animare la società civile dal-l’interno. In questo senso, sono sempre più ricorrentii pronunciamenti del magistero ecclesiale per riaf-fer-mare che la religione non può essere relegata nellasfera privata né può essere intesa come un fatto cheriguardi la sola coscienza personale.

In ambito cattolico, nel tentativo di ridefinire unacittadinanza che si attagli alle esigenze della nostraepoca, si registrano notevoli sforzi di superare da unaparte la nostalgia di un ritorno ad un regime di cristia-nità, dall’altra parte di declinare il cristianesimo intermini di religione civile, con la sua strumentalizza-zione per il raggiungimento di fini politici.

Si avverte, con sempre maggiore chiarezza, che la

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riscoperta della cittadinanza deve passare oggi attra-verso una democrazia che si fondi sulle idee primache sui numeri, e su una laicità dello Stato che salva-guardi i diritti fondamentali di ognuno, non ultimoquello della libertà religiosa. Sul fronte della demo-crazia e della laicità dello Stato, in ogni caso, i cattoli-ci sembrano ben coscienti di ritrovarsi oggi ad affron-tare una battaglia decisiva per il futuro.

Mentre si guarda con favore alla partecipazionedei cattolici a diversi schieramenti politici, è da se-gnalare pure una certa lacerazione del tessuto eccle-siale causata dalle relative contrapposizioni e divi-sioni ideologiche. Nell’odierno pensiero politico deicattolici e nella pastorale sociale della Chiesa si per-cepisce a diversi livelli il desiderio e il tentativo direstituire per il futuro la politica al servizio e di pre-servare l’unità di fondo del mondo cattolico, rispettan-do il legittimo pluralismo di posizioni.

Volgendo lo sguardo al contesto più specificamen-te nostrano, ci si accorge che la crisi di cittadinanza simanifesta e va di pari passo con la crisi della legalità.Di fatto, si riscontra una fiscalità corrotta, il prolifera-re della malavita organizzata, il clientelismo, i voti discambio, l’omertà, il condizionamento di poteri oc-culti come quello della mafia. Si delinea come unavera e propria patologia la “rissosità della politica”,fatta di contrapposizione e scontro fini a se stessi,nonché di demonizzazione dell’avversario. Tale pa-tologia rischia di contagiare il tessuto ecclesiale inge-nerando atteggiamenti e comportamenti che si pon-gono in netto contrasto con la carità e la fraternitàcristiana.

Negli ultimi tempi l’ispirazione cristiana della po-

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litica ha portato a mettere in primo piano i valori umanie cristiani della persona della famiglia e della comu-nità. Ci si accorge però che l’impegno dei cattolicinon si può esaurire nel richiamo alla famiglia, allalibertà dell’educazione, alla difesa della vita, perchéquesti valori non si attestano semplicemente contro-battendo le provocazioni laiciste. Si avverte piuttostol’esigenza di proporre politiche economiche e socialiche permettano di raggiungere tali obiettivi, manife-stando sul piano del confronto politico un atteggia-mento di mediazione più che di contrapposizione.

Sul piano del rapporto tra globale e locale va rile-vato il fatto che il “territorio” è diventato una catego-ria indispensabile ed un punto di riferimento impre-scindibile non solo nella riflessione politica ma an-che in quella pastorale. Anche se in passato tale cate-goria è sempre esistita, in riferimento soprattutto allaparrocchia, è da dire che oggi essa indica non solo gliaspetti geografici ma anche e più precisamente quellistorici e culturali, di cui occorre promuovere una let-tura attenta per avere le coordinate per l’orientamen-to della nuova evangelizzazione.

Punti di riferimento

In questo ambito è più che mai difficile trovareindicazioni dirette nei testi neotestamentari; è invecepiù che mai necessaria un’opera di mediazione chesalvaguardi e traduca l’ispirazione evangelica epaolina nel campo della cittadinanza. Si tratta di unaispirazione interiore e motivazionale che conferiscerespiro spirituale al cammino cristiano dentro la vitadella società in cui ci si trova inseriti; ma si tratta an-

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che di un quadro di riferimento che orienti gli atteg-giamenti e sostenga le scelte necessarie.

In questa ottica si collocano alcune indicazionifrutto di una elaborazione scaturita dalla fede e dallavita della Chiesa nel mondo di oggi. E innanzituttova tenuto come fondamento, centro e fine della comu-nità umana la persona umana con la dignità piena einalienabile e con i diritti fondamentali che le appar-tengono per intrinseca natura. 66 Nella coscienza del-la persona è iscritto un ordine che è origine e criterioispiratore delle leggi che regolano la convivenza uma-na – familiare, civile e politica – e che fondano le con-dizioni di una piena cittadinanza. 67 In conformitàad esso ognuno svolgerà il suo ruolo di cittadino incorrispondenza alle necessità del bene comune, chein epoca moderna trova la sua formulazione appuntonel rispetto dei diritti e nell’osservanza dei doveri fon-damentali e universali della persona umana. 68

Il richiamo della coscienza e le esigenze del benecomune spingono la persona verso la “socializzazio-

66 Cf. CONCILIO VATICANO II, Costituzione pastoraleGaudium et spes, 25; Catechismo della Chiesa Cattolica, 1881;CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Nota Dottrinalicirca alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamentodei cattolici nella vita politica (2002), 3.

67 Cf. Compendio della dottrina sociale della Chiesa, 384;GIOVANNI XXIII, Lettera enciclica Pacem in terris; ID., Lette-ra enciclica Mater et Magistra.

68 Cf. CONCILIO VATICANO II, Costituzione pastoraleGaudium et spes, 74; GIOVANNI XXIII, Lettera enciclica Pacemin terris; Catechismo della Chiesa cattolica, 2237; GIOVANNI PA-OLO II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, 2000;Compendio della dottrina sociale della Chiesa, 397-398.

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ne”, 69 in cui essa è chiamata a decidere delle propriesorti in corresponsabilità con i propri simili. In altreparole, la persona umana, per sua stessa natura, èvolta a creare rapporti di collaborazione e mutuo so-stegno con altre persone, generando così la vita socia-le e politica della comunità ai suoi diversi livelli, pri-mo fra tutti quello della famiglia fondata sul matri-monio. 70

Una cittadinanza piena e responsabile richiedeche le due dimensioni della libertà della persona uma-na e dei suoi obblighi di socializzazione stiano inmutuo rapporto fra loro, sostenendosi e non annullan-dosi reciprocamente, come potrebbe accadere qualo-ra nella vita politica si ingenerassero sistemi anarchi-ci o totalitari. Libertà e socializzazione della personasono salvaguardate dal rispetto del principio di sus-sidiarietà che, opponendosi a tutte le forme di totali-tarismo e precisando i limiti dell’intervento dello Sta-to, tende appunto ad armonizzare i rapporti tra gliindividui e la società. 71

Definendo il bene comune come l’insieme di quel-le condizioni della vita sociale che permettono ai grup-pi, come pure ai singoli membri, di raggiungere la

69 Cf. CONCILIO VATICANO II, Costituzione pastoraleGaudium et spes, 25; GIOVANNI XXIII, Lettera enciclica Materet magistra, 60; Catechismo della Chiesa cattolica, 1881-1882.

70 Cf. CONCILIO VATICANO II, Costituzione pastoraleGaudium et spes, 48; GIOVANNI PAOLO II, Lettera alle fami-glie Gratissimam sane, 7.17; Catechismo della Chiesa cattolica,2206; Compendio della dottrina sociale della Chiesa, 211.213.

71 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Centesimusannus, 48; Catechismo della Chiesa cattolica, 1883.1885.

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propria perfezione più pienamente e più speditamen-te, 72 si capisce che esso interessa la vita di tutti. Si ri-scontrano nel bene comune almeno tre elementi essen-ziali costitutivi: il rispetto – anche dei pubblici poteri– dei diritti fondamentali e inalienabili della personaumana; il benessere sociale e lo sviluppo della comu-nità, dove siano soddisfatti adeguatamente i bisognidi vitto, vestito, salute, lavoro, educazione, cultura,informazione, famiglia; la pace intesa come stabilità esicurezza dell’ordine giusto. 73

Chiaramente, intensificandosi ed estendendosi atutta la terra i legami di mutua dipendenza tra gli uo-mini, il bene comune deve essere inteso oggi comebene comune “universale”. 74 Una cittadinanza pie-na e attiva richiede la partecipazione di tutti i membridella comunità. Si può intendere la partecipazionecome un impegno volontario e generoso della perso-na negli scambi sociali, soprattutto nei settori nei qualisi esercita la responsabilità personale, come la fami-glia e il lavoro; 75 e nella gestione della cosa pubblica. 76

La realizzazione del bene comune attraverso lacittadinanza attiva e la partecipazione responsabilenon potrebbe essere assicurata, tuttavia, se nel siste-ma sociale e politico di una comunità non vigesse lagiustizia sociale, intesa come l’insieme di tutte quellecondizioni che consentono agli individui e alle asso-

72 Cf. CONCILIO VATICANO II, Costituzione pastoraleGaudium et spes, 26.

73 Cf. Catechismo della Chiesa cattolica, 1907-1909.74 Cf. ibid., 1911.75 Cf. ibid., 1914.76 Cf. ibid., 1915.

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ciazioni di conseguire ciò a cui hanno diritto secondola loro natura e la loro vocazione, sempre nel rispettodella dignità trascendente della persona umana e deisuoi diritti fondamentali. 77

In modo particolare, la giustizia sociale poggia sudue principi fondamentali: l’eguaglianza tra gli uo-mini che conduce al superamento di ogni discrimina-zione, 78 e la solidarietà umana che si ha innanzituttonella ripartizione dei beni.79

Tra i diversi sistemi politici, quello democratico èritenuto oggi il più adatto alla realizzazione di unacittadinanza piena, partecipata, attiva e responsabi-le; 80 occorrerà tuttavia essere vigilanti, perché un’au-tentica democrazia non è solo il risultato di un rispet-to formale di regole, ma è soprattutto il frutto dellaconvinta accettazione dei valori che ispirano le pro-cedure democratiche: valori riconducibili sempre alladignità e ai diritti inalienabili della persona umana. 81

Nel contesto di tali diritti è qui da richiamare quelloalla libertà religiosa. 82 Un sistema democratico a mi-

77 Cf. ibid., 1928-1930.78 Cf. CONCILIO VATICANO II, Costituzione pastorale

Gaudium et spes, 29.79 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Sollicitudo rei

socialis, 38-40; ID., Lettera enciclica Centesimus annus, 10.Sul rapporto tra giustizia e carità cf. BENEDETTO XVI, Lette-ra enciclica Deus Caritas est, 26-29.

80 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Centesimusannus, 46.

81 Cf. Compendio della dottrina sociale della Chiesa, 407.82 Cf. CONCILIO VATICANO II, Dichiarazione Dignitatis

humanae, 1-3.6-7; Catechismo della Chiesa cattolica, 2105–2108.

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sura di cittadinanza piena consentirà un rapportopacifico e fecondo tra Chiesa e comunità politica, nelproprio campo indipendenti ed autonome l’una dal-l’altra. 83

Infine è da ricordare che il compito della realizza-zione della cittadinanza piena, nella partecipazionealla vita politica della comunità, appartiene prima ditutto, per loro stessa natura, ai fedeli laici. 84

Proposte operative

Alla luce di quanto fin qui analizzato, ap-pare chiaro il compito urgente ed inderogabiledi formulare un nuovo alfabeto sociale cristia-no, non solo riproponendo a livello diffuso itemi classici dell’insegnamento sociale dellaChiesa, ma anche indicando esempi concreti etestimonianze di cristiani che in politica han-no agito creando veri modelli di cittadinanzaattiva e responsabile. Infatti nel corso della sto-ria della Chiesa si stagliano le figure gigante-sche di cristiani, soprattutto laici, che sono riu-sciti a immettere il lievito del Vangelo, con sa-pienza ed efficacia, nella massa spesso confu-sa, contraddittoria e problematica della vita po-

83 Cf. CONCILIO VATICANO II, Costituzione pastoraleGaudium et spes, 76; Catechismo della Chiesa cattolica, 2245.

84 Cf. CONCILIO VATICANO II, Costituzione DogmaticaLumen gentium, 31; GIOVANNI PAOLO II, Esortazione Apo-stolica Christifideles laici, 59.

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litica, apportando abbondanti frutti per il benecomune e il progresso spirituale e sociale.

Si vuol così coltivare la fondata speranzache, volgendo lo sguardo ai testimoni esemplaridella fede nella vita politica, la spiritualità delcristiano laico di oggi possa essere declinata inmodo da uscire dagli angusti canoni del priva-to per sfociare in responsabile impegno politi-co. Perciò l’impegno nel volontariato e nellavita sociale in genere non basta per il raggiun-gimento del bene comune di una comunità. Oc-correrà sempre che il laico cristiano, per diven-tare perfetto discepolo di Cristo, formuli in ma-niera sempre nuova, attraverso una lettura at-tenta dei segni dei tempi, quale possa e debbaessere il suo contributo attivo perché tutti imembri della sua comunità, retta secondo ilsistema democratico, diventino veri cittadini.

A tale scopo bisognerebbe sperimentare for-me di discernimento comunitario che trovinospazio nelle sedi pastorali ordinarie delle par-rocchie, delle associazioni, dei gruppi. Uno spa-zio importante merita pure la formazione al-l’impegno sociale e politico 85, nello spirito diquella è stata definita carità politica, quale for-ma peculiare e alta di carità cristiana. Inoltrebisognerebbe far diventare il tema della citta-dinanza comune e trasversale a tutti i percorsi

85 Cf. Secondo Sinodo della Diocesi di Noto, decisione n. 83.

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formativi ecclesiali. Sarebbe poi da istituire evalorizzare il ruolo di appositi “osservatori” –giuridico-legislativi, sociali e politici – per unalettura attenta delle istanze, dei cambiamentie delle dinamiche in corso nel territorio.

Una ulteriore occasione di formazione al-l’impegno sociale politico potrebbe essere datadalla organizzazione e dalla partecipazione re-sponsabile, informata e motivata da eventi dimobilitazione pastorale, che finora sono natiin genere in modo spontaneo e occasionale,quali per esempio i dibattiti pubblici relativi aldiritto alla vita, o ancora al ruolo delle scuolecattoliche, alle questioni di bioetica, ai proble-mi del lavoro e dell’ambiente. Rendersi prota-gonisti di tali eventi non in forma acritica, macon conoscenza e responsabilità, significa cre-scere come cittadini maturi.

Sul versante dell’etica sociale, un compitoeducativo nuovo riguarda l’identificazione delcosiddetto peccato sociale che può essere con-trastato non solo con la conversione del singo-lo ma anche con quella di tutta intera la collet-tività, che passa attraverso la presa di coscien-za di una responsabilità comune e condivisa,la denuncia pubblica di situazioni di ingiusti-zia sociale, l’assunzione di impegni da partedi tutta la comunità perché siano smantellatele strutture ingiuste ed edificate quelle per ilservizio ed il bene comune.

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Un aspetto specifico di tali strutture riguar-da la pratica costante e normale dell’illegalità.La legalità dovrebbe diventare il criterio ispi-ratore e il fondamento stabile della conviven-za civile e del sistema democratico, per la rea-lizzazione di una vera cittadinanza.

Anche il confronto con i politici, che mettada parte logiche di schieramento e faziosità,per porre attenzione ai bisogni del territorio ealle modalità di possibili interventi comparte-cipati e corresponsabili di soluzione, può tro-vare posto tra le iniziative delle comunità cri-stiane.

L’estensione della cittadinanza agli orizzon-ti della mondialità 86 sarà possibile anche valo-rizzando le esperienze ecclesiali missionarie,soprattutto in riferimento ai giovani. Oggi in-fatti il discernimento ecclesiale della missionepassa anche attraverso la comprensione delfenomeno della globalizzazione che, rettamen-te guidato ed orientato, potrebbe far diventareil mondo un villaggio strutturato secondo prin-cipi di solidarietà.

86 Cf. Secondo Sinodo della Diocesi di Noto, decisione n. 59.

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TRADIZIONE

San Paolo manifesta in vario modo una preoc-cupazione costante per la trasmissione fedele e vivadella fede per la quale ha impegnato tutto se stessoe ha ricevuto la missione di portare l’annuncio diCristo a tutte le genti (cf. 1Cor 15,1-8; 1Tm 2,7).Egli mostra la convinzione che è parte essenzialedella sua relazione con Cristo – della cui graziavive e della cui passione partecipa – mantenerevivo l’annuncio e assicurarne la comunicazioneautentica a tutti coloro che incontra nel corso del-la sua vicenda umana e nell’adempimento dellasua missione (cf. 2Tm 1,12-14).

Sguardo alla situazione

La tradizione della Chiesa è ben altro che conserva-zione immobile o limitazione di libertà o mancanza dicreatività, come invece comunemente si intende quan-do se ne parla. Essa è la trasmissione di generazione ingenerazione dell’evento stesso che costituisce la Chie-sa, cioè il mistero della Pasqua di Cristo, morto e risortoper la salvezza dell’uomo. Nasce con l’irrompere diCristo risorto nella storia e con il suo dono dello SpiritoSanto. In questo senso la tradizione non è solo dottrinao messaggio intellettuale, ma azione di tutta la Chiesache coinvolge la vita dell’uomo in ogni dimensione,affettiva, morale, culturale, religiosa, ecc. Anche il si-gnificato di depositum fidei, così legato all’idea di tradi-zione, non rimanda a qualcosa di statico ma piuttostoindica la concretizzazione storica, nel corso dei secoli,della trasmissione del mistero pasquale.

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Nella nostra epoca, dal punto di vista culturale, sitende a rimuovere la tradizione, pensando in questomodo di far crescere la libertà e l’emancipazione del-l’uomo. Rimuovendo la tradizione, però, la fede vieneridotta facilmente a un fatto privato; si ingeneranocosì mentalità e stili di vita che si possono identifica-re con il soggettivismo culturale, il relativismo etico,l’indifferenza religiosa. I risultati sono, tra altri, l’ac-cettazione fatalistica del male morale, la perdita delsenso di colpa, la rimozione delle domande sul sensoultimo della vita, la mancanza di progettualità, l’as-solutizzazione del momento presente, e ancoradisorientamento, incertezza, stanchezza, smarrimen-to. Si ha l’impressione che l’uomo viva alla giornata,senza punti di riferimento e senza certezze, senza pre-cisi quadri normativi, con il paradosso e l’aggravan-te, però, che questa condizione culturale ed esisten-ziale – all’insegna dell’instabilità, della frammenta-rietà e della precarietà – viene comunemente presen-tata come un fatto positivo e come un progresso diciviltà.

Né sembra che la tradizione della Chiesa possaessere oggi adeguatamente sostenuta dalle consuetu-dini sociali, dalla storia del territorio, dalle manife-stazioni della pietà popolare; e neanche dalla richie-sta abitudinaria e devozionistica dei sacramenti.

Da parte della Chiesa si registra oggi lo sforzo didare maggior risalto alla tradizione e di presentarlapiù efficacemente nel contesto della cultura contem-poranea attraverso la riscoperta dei testimoni esem-plari della vita cristiana i quali, incarnando la fede,hanno creato e propongono modelli di riferimento. Inrealtà nelle gesta del testimone si manifesta quell’of-

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ferta di senso della vita e quella realizzazione di sal-vezza che dovrebbero essere insite in ogni trasmissio-ne della fede.

Guardando alla figura dei suoi testimoni, la Chie-sa rinnova la sua coscienza che la tradizione non èestranea alla famiglia, alla scuola, all’università, agliambienti di lavoro, al mondo della cultura. Ci si ren-de conto che la tradizione diventa credibile nella mi-sura in cui riesce a fare sintesi tra fede e vita, cosìcome avviene nella vita dei testimoni.

Si registra oggi un pressoché comune accordo sulfatto che sia finito il regime di cristianità, ma rimaneaperta la questione dell’identità cristiana e della veri-tà del credo professato nel contesto di una societàriconosciuta come multiculturale e multireligiosa. Daquesto punto di vista si ha l’impressione che quantopiù si insiste sull’importanza del dialogo tanto più sene sconoscono le modalità e i contenuti; non sembraaffatto chiaro a molti che condizione di un vero dialo-go non può essere l’offuscamento o l’abbandono del-l’identità delle parti in dialogo.

Punti di riferimento

Dio, per il suo immenso amore, parla agli uominicome ad amici e si intrattiene con essi, per invitarli eammetterli alla comunione con sé; pur rimanendoinvisibile parla e si dona attraverso eventi e paroledella storia. 87 La rivelazione di Dio è comunicazione,in una storia intessuta di avvenimenti personali e

87 Cf. CONCILIO VATICANO II, Costituzione dogmaticaDei Verbum, 2.

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collettivi, e di parole affidate ai suoi inviati; il loromessaggio entra in una tradizione che passa da unagenerazione all’altra. 88

Gesù di Nazaret vive della tradizione di Israeleattestata nei libri sacri 89 e dà inizio, con i suoi disce-poli, ad una nuova tradizione. 90 Si sviluppa così la“tradizione apostolica” in una varietà di forme, rac-conti, professioni di fede, inni, formule e riti liturgici,esempi e regole di vita, ordinamenti e istituzioni. An-che questa tradizione ben presto si deposita in testiscritti 91 redatti da autori divinamente ispirati in senoalla comunità cristiana delle origini.

Gli apostoli lasciano in eredità alle successivi ge-nerazioni cristiane la loro testimonianza, viva e scrit-ta, di maestri, come un sacro deposito da custodirefedelmente e rivivere in situazioni sempre nuove. 92

La tradizione apostolica originaria, comprendente laSacra Scrittura, si prolunga nella tradizione ecclesia-le con il sostegno perenne dello Spirito di verità pro-messo da Gesù. 93

La rivelazione viene comunicata, esplicitata,attualizzata. La luce della divina rivelazione si pro-paga attraverso la dottrina, il culto e la prassi dellaChiesa, servendosi di vari canali concreti: l’insegna-

88 Cf. CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Catechismo degliadulti. La verità vi farà liberi, 55.

89 Cf. Mt 5,17.90 Cf. Mt 28,19-20; 1Cor 11,23; 15,3; Fil 4,9; 1Ts 4,2; CON-

CILIO VATICANO II, Costituzione dogmatica Dei Verbum, 7.91 Cf. Lc 1,1-4; 2Ts 2,15.92 Cf. 1Tm 6,20; 2Tm 1,12-14.93 Cf. Gv 14,16-17.26.

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Orientamenti pastorali 2008-2009

mento del Papa e dei vescovi, la predicazione e lacatechesi, la liturgia, la comunione fraterna, la carità,il comportamento esemplare dei cristiani, soprattuttodei santi, l’arte e le istituzioni. 94 Al magistero del Pa-pa e dei vescovi è affidato in particolare il compito diinterpretare autenticamente la parola di Dio scritta otrasmessa. 95

Con la guida dei pastori, tutti i fedeli partecipanoattivamente alla trasmissione della fede. 96 Ognuno èsostenuto dagli altri e contribuisce a sostenere gli al-tri, in una comunicazione perenne fino alla fine dellastoria. Possono venir meno le particolari tradizioniumane ma non può venir meno la tradizione dellafede come tale, sostenuta da tutto il popolo di Dio. 97

Quando infatti Dio si rivela e si dona, e l’uomo lo ac-coglie liberamente e con tutto il cuore, 98 si ha un’ade-sione che trascende il comune senso religioso e che sichiama fede e senso della fede. 99

La fede è atteggiamento esistenziale: dà la convin-

94 Cf. CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Catechismo degliadulti. La verità vi farà liberi, 58.

95 Cf. CONCILIO VATICANO II, Costituzione dogmaticaDei Verbum, 10.

96 Cf. CONCILIO VATICANO II, Costituzione dogmaticaLumen gentium, 12; ID., CONCILIO VATICANO II, Costituzionedogmatica Dei Verbum, 8; CONCILIO VATICANO II, Costitu-zione pastorale Gaudium et spes, 11.

97 Cf. CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Catechismo degliadulti. La verità vi farà liberi, 61.

98 Cf. CONCILIO VATICANO II, Costituzione dogmaticaDei Verbum, 5.

99 Cf. CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Catechismo degliadulti. La verità vi farà liberi, 86.

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Discepoli di Gesù sulle orme di Paolo

zione di essere amati, libera dalla solitudine e dal-l’angoscia del nulla, dispone ad accettare se stessi ead amare gli altri, dà il coraggio di sfidare l’ignoto. 100

Credere è aprirsi, uscire da se stessi, fidarsi, obbedire,rischiare, mettersi in cammino verso le cose «che non sivedono» (Eb 11,1), andare dietro a Gesù «autore eperfezionatore della fede» (Eb 12,2). È assumere un at-teggiamento di accoglienza operosa, che consente a Dio difare storia insieme a noi, oltre le umane possibilità. 101

Allo stesso tempo la fede è assenso a un contenutodottrinale. È conforme alla nostra dignità dar creditoalle dichiarazioni e alle promesse di persone oneste;a maggior ragione si deve dar credito a quelle di Dioche è la veracità stessa. Affidarsi a Dio significa ade-rire fermamente al suo messaggio, alla dottrina da luirivelata e proposta autorevolmente in suo nome dallaChiesa. La fede non è un vago sentimento, né solo unimpegno pratico; ha un contenuto di verità, che il cre-dente deve conoscere sempre meglio. 102

In modi diversi, secondo le situazioni personali eculturali, Dio offre a tutti il dono di credere, almenoimplicitamente. Nessuno è escluso.

La fede è insieme dono di Dio e decisione liberadell’uomo. Dio non si impone, ma si propone; nonsolo rispetta, ma suscita e sostiene la libertà. 103 La

100 Cf. ibid., 87.101 Cf. CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Catechismo degli

adulti. La verità vi farà liberi, 88.102 Cf. CONCILIO VATICANO II, Costituzione dogmatica

Dei Verbum, 5–6.103 Cf. CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Catechismo degli

adulti. La verità vi farà liberi, 91.

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Orientamenti pastorali 2008-2009

fede è una scelta responsabile e ragionevole. Da unaparte prende avvio da un’adesione ragionevole allarivelazione, dall’altra schiude alla ragione l’orizzon-te di una comprensione più profonda della realtà.Essa è apertura coraggiosa e sottomissione incondi-zionata alla verità, e pertanto costituisce lo spaziovitale più adatto per lo sviluppo della ricerca razio-nale e del senso critico. Esige solo la rinuncia, an-ch’essa ragionevole, alla pretesa di capire tutto. 104 Lafede «opera per mezzo della carità» (Gal 5,6). Nellafede, il cristiano, mentre pregusta nella speranza lasalvezza eterna, ne pone i segni nella città terrena:libertà, giustizia, solidarietà, bene comune, rispettodella natura, pace. 105

La fede è una decisione personale, ma nessunopuò darsi la fede da solo. La riceviamo da altri e latrasmettiamo ad altri; gli altri sostengono noi e noisosteniamo gli altri. Non è possibile essere cristianisenza la comunità cristiana. La fede è comunitaria ela comunità è madre e maestra di credenti. 106

Proposte operative

Nell’ambito della tradizione, il compito chesi impone con più urgenza oggi è quello delrinnovamento della catechesi, la quale non puòsolo offrire contenuti da apprendere ed espe-

104 Cf. ibid., 92.105 Cf. CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Catechismo degli

adulti. La verità vi farà liberi, 93.106 Cf. ibid., 95.

112 Orientamenti pastorali 2008-2009

Discepoli di Gesù sulle orme di Paolo

rienze da fare, ma deve anche aiutare le per-sone a comprendersi, a giudicare cristianamen-te se stessi, gli altri, le relazioni umane, le dina-miche sociali. In altri termini, la catechesi deveforgiare una mentalità di fede.

Bisognerebbe perciò pensare ad una cate-chesi per tutti e per ogni stagione della vita –dai piccoli ai ragazzi, dai giovani agli adulti –che abbia carattere mistagogico e sappia valo-rizzare i tempi dell’anno liturgico, che in que-sto senso costituisce la proposta di un vero eproprio itinerario di fede. Altrettanto impor-tante sarebbe valorizzare la proposta catechi-stica in occasione di momenti significativi e ri-levanti dell’esistenza quali per esempio la na-scita, le nozze, la malattia, il lutto.

Accanto a catechisti maturi spiritualmentee preparati dottrinalmente, si pone la risorsadel coinvolgimento delle famiglie nel compitodella trasmissione della fede, essendo i genito-ri i primi responsabili dell’educazione cristia-na dei figli 107. A questo scopo, è ovviamentenecessaria una formazione specifica dei geni-tori attraverso percorsi catechistici riservati adessi.

Nella trasmissione della fede bisognerebbeaver cura che la fede non appaia come un fat-to intimistico ed estraneo ai drammi della vita

107 Cf. Secondo Sinodo della Diocesi di Noto, decisione n. 15.

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Orientamenti pastorali 2008-2009

umana. La catechesi dovrebbe realizzare unlegame con le opere della carità e con la vitasociale. Infatti la carità della Chiesa è sempredono gratuito e incondizionato, gesto d’amoreche manifesta la verità di Dio. Solo l’amore ècredibile e l’amore è la via della Chiesa, è ilvolto più credibile della Chiesa. In questo sen-so si può dire che la tradizione è il tramandar-si di generazione in generazione delle operedella carità, compiute nella forza della veritàcristiana primordiale manifestata in quel pri-mo gesto con il quale il Figlio di Dio incarnatoha dato se stesso per amore, morendo sulla cro-ce e risuscitando.

Un aspetto molto importante della trasmis-sione della fede riguarda l’inserimento nei luo-ghi della cultura, quali scuole ed università. Atal fine, si esige che i credenti sappiano coniu-gare la conoscenza delle verità di fede con legrandi questioni poste oggi in modo particola-re dall’intervento della tecnologia sulla vitaumana e sull’ambiente. Tali questioni determi-nano profondamente la formazione della men-talità e pongono interrogativi esistenziali mol-to profondi ai quali bisogna cercare una rispo-sta. Un contributo importante può essere datoin tal senso dal “Progetto culturale”.

In riferimento ai luoghi della cultura, sareb-be necessario individuare e formulare nuovilinguaggi per la trasmissione della fede che sap-

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Discepoli di Gesù sulle orme di Paolo

piano avvalersi dell’arte, della musica, del tea-tro, del cinema. Anche i mezzi della comuni-cazione sociale costituiscono in questo sensouna grande risorsa. In funzione della catechesisarebbe da valutare il ruolo di una Scuola dio-cesana di formazione teologica che svolga unservizio stabile e continuativo.

Alla luce della Traditio della Chiesa, biso-gnerebbe sottoporre a verifica tante forme reli-giose tradizionali, come feste popolari 108, chenel corso del tempo si sono offuscate e talvoltapersino svuotate del loro contenuto cristiano,sino a diventare una sorta di tributo ad un ge-nerico consumismo religioso. Bisognerebbe di-scernere ciò che esprime la fede del popolo diDio e ciò che si è ridotto a manifestazione folclo-ristica, evangelizzazione e teatralizzazione,edificazione della comunità cristiana o sprecoin contrasto con la carità. Altra cosa sono quelleforme tradizionali di devozione e di preghie-ra, come ad esempio il Rosario, che hanno ali-mentato la fede del popolo cristiano.

108 Cf. Secondo Sinodo della Diocesi di Noto, decisioni nn.43–45.

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Orientamenti pastorali 2008-2009

QUARTA PARTE

Quest’ultima parte risponde all’esigenza di in-dicare alcune proposte operative per orientare arealizzare quanto fin qui offerto alla riflessione ealla programmazione spirituale e pastorale.

INDICAZIONI PER LA PROGRAMMAZIONE

Obiettivo generale

Il titolo di questo opuscolo riassume non soloil contenuto ma anche l’obiettivo che voglia-mo perseguire nel corso di questo anno pasto-rale: diventare discepoli di Gesù sulle ormedi Paolo. Certo, un tale obiettivo non è com-mensurabile ad un anno della nostra vita edelle nostre attività. Non è l’obiettivo di unanno, è la meta ultima di una vita intera. Sitratta allora di un obiettivo a cui tendere in uncammino di crescita che ci vedrà impegnatitematicamente e intenzionalmente quest’anno.Anche perché non c’è proporzione tra le no-stre attività – qualsiasi attività – e una metache alla fine sarà raggiunta – da chi la raggiun-gerà – solo perché donata, non conquistata.

Il nostro intento è educare noi stessi e la-sciarci educare dal Signore nella Chiesa, attra-

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Discepoli di Gesù sulle orme di Paolo

verso la Scrittura, la preghiera e la meditazio-ne, i sacramenti e una vita ordinata dicondivisione e di carità all’interno delle comu-nità e nei rapporti con tutti, a fare nostri gliatteggiamenti del discepolo di Cristo sull’esem-pio di Paolo, soprattutto nel mettere al centrodella nostra vita la grazia della chiamata, del-l’incontro con Cristo e dell’amore incondizio-nato per lui come unica ragione di vivere, finoad essere disposti a sacrificare tutto di noi stes-si pur di partecipare alla sua missione di sal-vezza realizzata nel suo mistero di morte e dirisurrezione. Da questa ricerca di una crescenteconformazione a Cristo, negli atteggiamenti,nelle scelte e nei comportamenti, deve deline-arsi a poco a poco un progetto di vita che as-suma e definisca i tratti del discepolo di Cristooggi a somiglianza di san Paolo.

In che senso parliamo di obiettivo? Comedetto, non è certo un traguardo definibile econtrollabile come qualsiasi attività program-mata. Si tratta invece di una meta spirituale epastorale a cui tutti siamo chiamati a tendere.Il suo raggiungimento sarà soprattutto graziadi Dio accolta e corrisposta da noi singoli e dallenostre comunità. L’obiettivo però ha il valoredi farci camminare insieme e nella medesimadirezione.

Il risultato verificabile non potrà essere ladimostrazione plateale di chi sarà diventato più

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Orientamenti pastorali 2008-2009

discepolo e chi no. Su questo piano sarà possi-bile e utile solo il “racconto” del cammino spi-rituale che si potrà condividere e testimoniarereciprocamente in piccoli gruppi, nelle associa-zioni, nelle comunità, con il coraggio e la di-screzione della fede.

Un risultato verificabile sarà invece, alla fine,la ricostruzione di eventuali “figure” e “cam-mini” di discepoli che per il loro valore esem-plare e originale potranno essere presentati eofferti alla riflessione di tutti, e potranno di-ventare contenuto di annuncio e di testimo-nianza nei nostri ambienti, per quanti ricevo-no la chiamata a conoscere Gesù Cristo e a se-guirlo. In questo senso il risultato sarà la con-ferma della competenza e della proprietà dialcuni percorsi formativi, e inoltre l’indicazio-ne esemplare di alcuni tratti personali riconosci-bili, nelle varie condizioni di vita, come tipici diun discepolo di Gesù oggi sull’esempio di Paolo.

Attività programmate e da programmare

Per tendere tutti al medesimo obiettivo saràimportante adottare alcuni mezzi e deciderealcuni percorsi. Ciò non potrà essere definitointeramente in questo testo, all’inizio e per tut-ti; per ogni parrocchia e vicariato – ma ancheaggregazione laicale o gruppo – bisogneràprovvedere ad una specifica programmazione

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Discepoli di Gesù sulle orme di Paolo

che tenga conto della situazione concreta e dellepotenzialità e necessità di ciascuno. Non pos-siamo infatti dimenticare che un piano pasto-rale vuole animare e unificare, non sostituirele attività pastorali istituzionali ordinarie; einoltre, dobbiamo sempre avere presente che ildiventare discepoli non è il risultato dello svol-gimento delle attività suggerite o successiva-mente programmate (sarebbe ridicolo!), ma ilfrutto spirituale (perché donato dallo Spirito)di un cammino, personale e comunitario, chele attività servono (e come tali sono necessarie)a guidare, accompagnare, sostenere.

Una prima attività programmatica riguar-da questo stesso opuscolo che abbiamo inmano. Qualcuno giustamente osserverà che ètroppo lungo e difficile. Esso vuole essere unostrumento da utilizzare come è meglio possibi-le da chi ha responsabilità pastorale e da chiha interesse personale. Esso può essere acco-stato per la lettura, la meditazione, lo studiopersonale: questo è un primo modo di entraree fare un percorso con gli Orientamenti pasto-rali diocesani. Un secondo modo di utilizzarequesto opuscolo è trattarlo come un sussidio ocome un repertorio a cui attingere di volta involta secondo le necessità, per la programma-zione, per la catechesi, per la celebrazione, ecc.Un terzo modo è quello di utilizzare qualcuna

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Orientamenti pastorali 2008-2009

delle sue parti – quest’anno soprattutto la secon-da – come traccia per un cammino di formazio-ne organica da sviluppare e approfondire.

Una seconda attività, ben più importante eimpegnativa per tutti, sarà la lectio divina sul-la lettera ai Galati e – in alternativa o in suc-cessione – della lettera ai Filippesi, testi chemeglio possono introdurci all’esperienza e alcammino personali di Paolo nel suo discepolatodietro a Gesù. Il ricorso alle lettere paoline rap-presenta quest’anno la modalità principe pertendere all’obiettivo spirituale e pastorale deldiscepolato cristiano. A tal fine sarà appron-tato un sussidio che potrà essere utile per pre-parare gli incontri.

Una terza attività avrà carattere diocesanoe consisterà nella proposta di lectio divina te-nuta dal Vescovo, una per città, su brani dell’epistolario paolino scelti secondo un percor-so organico attraverso le lettere e gli Atti, ri-guardante la coscienza e l’esperienza deldiscepolato. In tal senso è già stato definito unelenco di testi e un calendario che sarannomessi a disposizione di tutti.

Una ulteriore attività potrà essere un pelle-grinaggio diocesano sui luoghi paolini delMedio Oriente.

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Discepoli di Gesù sulle orme di Paolo

Trova naturale collocazione in questo con-testo l’impegno assunto in occasione del venten-nale del gemellaggio, di promuovere la cam-pagna “Una Bibbia per famiglia”: una fami-glia della nostra diocesi regala una Bibbia inlingua swahili ad una famiglia della diocesi diButembo-Beni, consapevoli come siamo che acontatto con la Sacra Scrittura si rinnova inmodo privilegiato l’esperienza del discepolatocristiano.

Una espressione peculiare del cammino diriscoperta del discepolato evangelico sarà l’isti-tuzione di una fondazione, affidata al corpodiaconale permanente e intitolata a “SanCorrado”, voluta per consentire la realizzazio-ne di iniziative e opere di carità a favore dellefasce più deboli della società, come segno dellavolontà dei discepoli di Cristo di farsi prossi-mo, a imitazione del maestro, di chi più è nelbisogno. Da sottolineare in questo contesto lo“Studio analitico del territorio in collaborazio-ne con le istituzioni universitarie”, intrapresogià da alcuni mesi, che sarà portato avanti alfine di una conoscenza delle povertà e dellerisorse del territorio sul piano economico, so-ciale, culturale e ambientale, per una presen-za di Chiesa consapevole delle condizioni divita dei suoi fedeli e delle responsabilità socialie istituzionali nella comunità civile. Da ricor-

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dare infine l’attivazione di un “Osservatoriodelle povertà” che appronterà i primi risultatientro la fine del 2008.

Infine il calendario diocesano, nei suoi ap-puntamenti ordinari e straordinari, avrà il com-pito di dispiegare opportunamente nel corsodell’anno l’attenzione agli Orientamenti pasto-rali secondo occasioni e circostanze.

Organismi, vicariati, parrocchie, comunità religio-se, aggregazioni e gruppi

Gli organismi diocesani, primi fra tutti gliuffici di curia, saranno richiesti di un contribu-to specifico di programmazione per fornire in-dicazioni e sussidi per gli Orientamenti pasto-rali.

In modo particolare, a motivo del nesso inti-mo che lega l’iniziazione cristiana al discepo-lato, è affidato all’ufficio catechistico diocesano,unitamente all’ufficio liturgico diocesano e alservizio diocesano per la pastorale giovanile, ilcompito di progettare l’istituzione del Serviziodiocesano del catecumenato degli adulti; e inol-tre di ridefinire secondo il modello catecume-nale il percorso formativo dei bambini e deiragazzi che completano l’iniziazione cristiana;e ancora di formulare un progetto formativo

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Discepoli di Gesù sulle orme di Paolo

secondo il modello catecumenale per il comple-tamento dell’iniziazione cristiana degli adultiche lo richiedono.

Al fine di arricchire l’offerta formativa, èstato chiesto al Centro di spiritualità biblica,alla Scuola di formazione teologica e alla Scuo-la di formazione socio-politica, di programma-re le loro attività in modo da assicurare occa-sioni di riflessione e di approfondimento sultema del discepolato cristiano, così che possia-mo disporre di una serie di percorsi e di eventigià inseriti in calendario.

I ritiri spirituali, gli esercizi spirituali e gliincontri di formazione permanente dei presbi-teri e dei diaconi avranno anch’essi come temadi riferimento il discepolato cristiano, in parti-colare nell’ottica paolina. Una coincidenza sin-golare è rappresentata dalla apertura dellaCasa del clero a Noto, un luogo di fraternitàsacerdotale per i presbiteri che la abiteranno eper tutti i presbiteri che vi si raduneranno peri ritiri e per altri incontri, e un segno che perprimi i ministri ordinati sono discepoli del Si-gnore chiamati ad accompagnare e a servire ifratelli nella sequela di Gesù.

Alle comunità parrocchiali è chiesto di pre-disporre una programmazione pastorale an-

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Orientamenti pastorali 2008-2009

nuale che assicuri la lectio divina almeno suuna delle lettere paoline indicate (Gal o Fil) einoltre il progetto di un percorso di formazio-ne e di esperienza di discepolato secondo unodegli ambiti presentati nella terza parte, chesia rispondente alla situazione e alle esigenzedella parrocchia che lo intraprende.

Per esempio: un percorso di formazionealla affettività per un gruppo di adolescenti;una serie di incontri sulla fragilità come luo-go di discepolato per i Ministri straordinaridella Comunione; un itinerario di riflessionee di confronto con lavoratori sul tema del la-voro o con il comitato di una festa sul sensodella festa come espressione e luogo del di-scepolato cristiano; o ancora una serie di at-tività, incontri e confronti per giovani adultio per professionisti o altro che si pongono ilproblema della responsabilità sociale e poli-tica nella città; una verifica della capacità ditrasmissione della fede e di formazione aldiscepolato delle nostre comunità con il grup-po dei catechisti; ecc.

Tra le attenzioni e le vie proposte per gliambiti adottati al convegno ecclesiale di Ve-rona ogni comunità o gruppo ne potrà libera-mente scegliere qualcuna, dunque, con la con-sapevolezza che ci arricchisce la complemen-tarietà dei carismi e delle esperienze, che ci facrescere ed evita chiusure e contrapposizionisterili la leale e fraterna sollecitazione ed an-

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Discepoli di Gesù sulle orme di Paolo

che la correzione che può provenire da sensi-bilità diverse dalla nostra e, soprattutto, cheaiutiamo gli altri (i fratelli nella fede e i com-pagni in umanità) nella misura in cui – comeAnania e Barnaba nei confronti Paolo – re-stiamo noi per primi discepoli del Signore,sempre attenti a non tradire la verità e la se-rietà del Vangelo ma anche a «non caricarepesi sugli altri senza poi aiutare a portarlineppure con un dito» (cf. Mt 23,4).

Ai vicariati è chiesto di coordinare e com-pensare con le possibili collaborazioni le attivi-tà parrocchiali, eventualmente con l’integra-zione di qualche iniziativa specifica concorda-ta. Sarà cura del Vescovo tenere un incontroper ogni vicariato all’inizio dell’anno pastora-le, allo scopo di accompagnare la programma-zione vicariale e parrocchiale.

Anche le comunità religiose e le aggrega-zioni laicali e i gruppi tengano conto degliOrientamenti pastorali compatibilmente con lapropria specifica identità carismatica e propo-sta formativa e organizzativa.

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Discepoli di Gesù sulle orme di Paolo

Orientamenti pastorali 2008-2009

PREMESSE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .L’idea generativa . . . . . . . . . . . . . . . . . .Dall’appartenenza ad una religionealla relazione con la persona di GesùUna speranza anche per chi è lontano .Alla riscoperta del discepolato evan-gelico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

PRIMA PARTE«VOGLIAMO VEDERE GESÙ» (Gv 12,21; cf. 8,12)

Esperienza del discepolato . . . . . . . .Ascolto e discepolato . . . . . . . . . . . .Le condizioni del discepolato: liber-tà e coraggio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Discepolato e Regno di Dio . . . . . . . .Dal discepolato alla comunità dellasequela . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Discepoli in comunione e in missio-ne . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Nella potenza dello Spirito del Ri-sorto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Discepolato e contemporaneità . . . . .Riscoprire il nostro essere discepoli

SECONDA PARTEPAOLO, DISCEPOLO DI CRISTO SIGNORE

Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .La chiamata sconvolgente di Da-masco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .L’accompagnamento discepolare . .Un’intensa esperienza di grazia . . .

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INDICE

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Discepoli di Gesù sulle orme di Paolo

L’assimilazione alla “passione” diCristo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

TERZA PARTEVITA AFFETTIVA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Sguardo alla situazione . . . . . . . . . . .Punti di riferimento . . . . . . . . . . . . . . ..Proposte operative . . . . . . . . . . . . . . . .

LAVORO E FESTA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Sguardo alla situazione . . . . . . . . . . .Punti di riferimento . . . . . . . . . . . . . . .Proposte operative . . . . . . . . . . . . . . . .

FRAGILITÀ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Sguardo alla situazione . . . . . . . . . . .Punti di riferimento . . . . . . . . . . . . . . .Proposte operative . . . . . . . . . . . . . . . .

CITTADINANZA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Sguardo alla situazione . . . . . . . . . . .Punti di riferimento . . . . . . . . . . . . . . .Proposte operative . . . . . . . . . . . . . . . .

TRADIZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Sguardo alla situazione . . . . . . . . . . .Punti di riferimento . . . . . . . . . . . . . . .Proposte operative . . . . . . . . . . . . . . . .

QUARTA PARTEINDICAZIONI PER LA PROGRAMMAZIONE . . . . . .

Obiettivo generale . . . . . . . . . . . . . . . . .Attività programmate e da program-mare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Organismi, vicariati, parrocchie, co-munità religiose, aggregazioni egruppi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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