campionessa del mondo, detentrice di vari record, daniela ryf … · 2019-03-11 · delle corse,...

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servizio a cura diMarzio Mellini

Ha vinto quattro volte di fila l’Ironmandelle Hawaii, per cui la tentazione didefinirla ‘donna di ferro’ è forte. Scon-tata, ma calzante, per Daniela Ryf, atle-ta solettese che incarna l’eccellenza a li-vello mondiale. In carriera ha già rag-giunto vette insperate, ma non hasmesso di lavorare per salire ancora piùin alto, convinta com’è che ci siano an-cora margini di miglioramento. Ancheper una fuoriclasse che pare invincibile.«Nessuno lo è – esordisce Daniela, affa-bile e solare –, in nessun ambito. Quan-do partecipo a una gara devo riuscire adare il meglio di me. Ogni volta è unasfida, perché so che se non do tutto, c’èqualcuno pronto a battermi. Lo sforzo èfisico e mentale, soprattutto in un Iron-man come quello delle Hawaii, che sipresenta una sola volta all’anno. Allapartenza bisogna essere consapevoliche sarà una lunga giornata, che moltecose possono accadere. La concentra-zione deve essere massima già nelle oreprecedenti la competizione. Non ci sipuò permettere di prenderla alla legge-ra. Se lo fai, sei perdente prima ancoradi prendere il via».Che relazione ha con la disciplina chel’ha resa famosa? «È una passione. Cisono cresciuta, la pratico da quandoavevo 14 anni. Nuoto volentieri, vadovolentieri in bicicletta, e amo correre.Ho avuto la fortuna di fare del triathlonla mia professione. Mi piace l’alternan-za tra le discipline, la combinazionedelle tre che si fondono per dare vita aun solo sport. È una bella sfida, insitaproprio nell’esigenza di combinare letre discipline che lo compongono, affin-ché il fisico possa rendere al meglio inciascuna delle tre».

Rigore e applicazione

Inevitabile parlare anche di sofferenza.Può essere un piacere? «Non posso diredi soffrire volentieri, quello che invecemi piace è la sensazione che si ha dopoun allenamento molto duro. Tornare acasa la sera, veramente stanco, mangia-re qualcosa e sdraiarsi sul divano... Pic-cole cose che considero una ricompen-sa. La sensazione di essere sfinita latrovo gradevole. So che per avere suc-cesso bisogna soffrire, e lavorare. Manon lo vedo in chiave negativa. Mi alle-no per dare il meglio di me, per fare inmodo di migliorare la mia forma. È bel-lo scoprire che il corpo reagisce, per-mettendoti di fare cose che prima nonriuscivi a fare. È una grande soddisfa-zione, il cui prezzo è un po’ di sacrificioin allenamento».Andare oltre i limiti significa avere an-che un grande mentale. «Il triathlon èuna questione di rigore e applicazione.Si può andare lontano, se si mettono in

campo volontà e applicazione. Serveanche del talento, è chiaro, soprattuttose si ambisce all’élite mondiale, ma neltriathlon per lo più vince chi lavora conmaggiori rigore e impegno. La compo-nente mentale è fondamentale. La par-te difficile è l’allenamento, il duro lavo-ro è alla base del successo. Se a una garaarrivi impreparato, non avrai nessunapossibilità. Non è possibile ingannare ilfisico in uno sforzo di più di otto ore. Lacompetizione è lo specchio della quali-tà del lavoro svolto in preparazione.Vince quello che è meglio preparato. Unbuon mentale ti sprona a continuare aspingere in allenamento anche quandosei stanco, in un contesto in cui sei perlo più solo con te stesso, senza pubblico,senza incoraggiamenti o applausi, lon-tano dalla luce dei riflettori».

‘Tutti gli atleti di livellomondiale sonoun po’ orgogliosi’

In quale ambito dà il meglio di sé? Alle-namento o gara? «Mi alleno molto vo-lentieri, mi piace accorgermi che sonosempre più in forma. Ma ho bisognodelle corse, per motivarmi. Non fareitutto quello che faccio se non avessi da-vanti un obiettivo preciso, una gara. Untraguardo è necessario, per le motiva-zioni. La competizione è lo show in cuiscarico quello che ho dentro, e sul qualeho lavorato in preparazione. In allena-mento non sono mai del tutto convin-cente, ma faccio il mio lavoro in vistadella gara che diventa il momento e illuogo in cui devo mostrare a che puntosono. La competizione non è la partepiù dura, bensì quella più bella. Comedetto, mi alleno molto volentieri, e con-tinuerei a farlo anche se non avessi piùgare da disputare. Solo che non lo fareicosì duramente (ride, ndr)».Tanti titoli, tanti riconoscimenti... Da-niela Ryf è orgogliosa? «Tutti gli atletidi punta devono esserlo, almeno un po’.Non ho mai avuto la presunzione divincere tutto, o di diventare campiones-sa del mondo. Volevo solo capire quan-to lontano potessi arrivare, quali tra-guardi potessi tagliare. Sono nata conquesto fisico, è il presupposto iniziale.La domanda che mi sono posta è “cosafarne?”. Un quesito che mi ha sempreaffascinato. Non è per orgoglio checompeto, tuttavia non posso che am-mettere che quando in ballo c’è un pri-mo o un secondo posto, beh quella garala voglio vincere io, e faccio di tutto permettere in campo le mie forze e preva-lere. In questo, sì, c’è sicuramente delsano orgoglio. Misurato, però. Fosseesagerato, verrebbe meno la gioia. Nonsi riuscirebbe a praticare uno sportcome il triathlon così a lungo, se non siprovasse anche gioia, nel farlo. Oggi perme è un lavoro, ma senza gioia nonavrei successo».

LA PERSONALITÀ

‘Ho la sensazione di non aver ancora raggiunto il massimo’Campionessa del mondo, numero unodella disciplina... Dove trova gli stimoliper nuove sfide? «Nella concorrenza –spiega Daniela –. Ci sono molte avversa-rie giovani e di livello affamate di suc-cesso. Se divento pigra, in un attimosparisco dalla scena. Il triathlon è one-sto: chi lavora duramente può restare aivertici, chi specula sparisce in fretta dairadar. Inoltre, ho la sensazione di nonavere ancora raggiunto il massimo dellemie prestazioni. La scorsa stagione èstata super, ma sono convinta di averedentro ancora qualcosa di inespresso, equesto mi motiva a continuare a rilan-ciare. I margini ci sono, lo sento, ma perfortuna non so quali siano, e così conti-nuo a cercarli. Infine, c’è la gioia. Non

devo più dimostrare nulla. Le prime vit-torie ottenute le ho già confermate am-piamente. Questa dinamica ha riguar-dato le prime due stagioni, ma oggi pos-so godere di quanto faccio, ed è una sen-sazione meravigliosa, che mi motivaancora di più. Non lo faccio perché devo,bensì perché voglio».Si è già lasciata alle spalle molti uomini,anche di valore. Il confronto la intriga?«I risultati degli uomini mi motivano.Vedere all’opera i migliori specialisti miporta a chiedermi come mai il loro livel-lo sia così alto, e cosa posso fare io percercare di avvicinare quei tempi. Ladonna ha degli atout interessanti cherendono il confronto particolarmentestimolante. Credo di poter avvicinare i

tempi degli uomini, ma non per batter-li – pensare di farcela è irrealistico –,bensì per vedere quanto vicino si puòarrivare. Qualche anno fa una donna inun Ironman concedeva 45 minuti, oggiil divario è sceso attorno alla mezz’ora, ecredo che sia possibile scendere ancora.Lo trovo appassionante. Il tempo in sénel triathlon dice poco, perché può esse-re condizionato da fattori esterni, in pri-mis il meteo. Il confronto diretto, invece,è sempre lo stesso: le condizioni sono lestesse per tutti».Molto nota a livello mondiale, si è co-struita una bella immagine. Si sente unesempio? «Non mi reputo poi così im-portante. Posso ispirare qualcuno, que-sto sì: è bello incontrare persone e sentir-

si dire che hanno iniziato a fare sport se-guendo il mio esempio, che ispirandosi ame hanno fatto qualcosa di positivo perla loro salute. Cerco di essere un esempiopositivo, per quanto posso. Ho una re-sponsabilità nei confronti di chi prendespunto dal mio lavoro. Ma non sono per-fetta, sia chiaro. Faccio anch’io le miebelle sciocchezze. Ai miei inizi entrai inun club, da ragazzina, e fui seguita da al-cuni adulti che mi indicarono la via daseguire per diventare l’atleta che sonopoi diventata. Quegli insegnamenti cer-co ora di trasmetterli a mia volta ai gio-vani. Voglio restituire qualcosa ai ragaz-zi che si avvicinano al mio sport. Li vo-glio motivare. Che diventino sportivid’élite o no, non fa alcuna differenza».Nei limiti, la motivazione

‘Nuoto significa passione e distacco, la bicicletta è energia e forza, nella corsa vedo prestazione ed efficacia’

Nello sforzo, gioia e Campionessa del mondo, detentrice di vari record, Daniela Ryf nobilita lo sport rossocrociatoai più alti livelli. A 31 anni la solettese specialista dell’Ironman vede ancora ‘marginidi miglioramento che mi spronano e mi motivano in un’appassionante sfida con me stessa’.

L’intervista 18venerdì 8 marzo 2019

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di Igor Nastic

L’Ironman delle Hawaii ha un fascino in-tramontabile. L’apertura dell’articolo èla conclusione personale in merito auno degli sport di resistenza più seguiti epraticati nel vasto panorama interna-zionale. Pur avendo un rapporto conflit-tuale con questa prova sportiva, un in-contro di pugilato tra amore e odio, perrendere l’idea, alla fine il bilancio è posi-tivo e le cinque partecipazioni al “Mon-diale di triathlon” non solo mi hanno ar-ricchito dal profilo sportivo, ma soprat-tutto da quello umano. Sto persino ma-turando l’idea di tornarci nel 2020, allasoglia dei 42 anni e approfittando di uncongedo lavorativo per... anzianità. Benché il triathlon abbia conosciuto unaforte impennata di popolarità e i prati-canti siano in continua crescita, per lamaggior parte della gente questa gararesta “una cosa da matti”. A dirla tutta,non me ne vogliano gli amici sportivi, unpo’ matti bisogna pur essere per nuotare3,8 km nell’Oceano Pacifico, pedalare 180km lungo le roventi lingue d’asfalto chetagliano il deserto lavico dell’isola di BigIsland, e correre una maratona come for-ma di elogio allo sforzo estremo. L’Ironman delle Hawaii, nato a Honolulunel 1977 da una scommessa tra amici suquale delle tre discipline fosse la più“dura”, dà il via allo sport del triathlon.Invece di verificare in tre momenti di-stinti chi avesse ragione, il marines JohnCollins suggerì di combinare le tre provein un’unica gara. Da fonti attendibilipare che anche alle nostre latitudini sisperimentasse la triplice proprio in que-gli anni. Durante la prima edizione cheha coinvolto poco più di una decina diatleti, c’è chi si è fermato a mangiare unhamburger e chi, malgrado fosse in testaalla corsa, si è dissetato con una birrabuttando la vittoria al vento, che tra l’al-tro proprio alle Hawaii soffia forte ed è,insieme al caldo, uno dei nemici naturalipiù temuti dagli atleti. Sarebbe però riduttivo associare il tria-thlon unicamente all’Ironman, ovvero aun marchio americano passato di recen-te in mani cinesi. Infatti nel triathlon vi èanche la distanza olimpica che, a partiredalle Olimpiadi di Sydney 2000, regalagrandi soddisfazioni allo sport rossocro-ciato. In questo caso sono 1’500 metri anuoto, 40 km in bici e 10 km a corsa. La regina indiscussa dell’Ironman è Da-niela Ryf, vincitrice delle ultime quattroedizioni delle Hawaii e detentrice del re-cord della gara. Meglio di lei sul numerodi vittorie c’è un’altra svizzera: NataschaBadmann, classe 1966, con ben 6 vittoriee ancora attiva sul piano agonistico!Tornando alla distanza olimpica, NicolaSpirig ha vinto l’oro ai Giochi di Londra2012, l’argento a Rio 2016 ed è la campio-nessa europea in carica grazie al domi-nio solitario di Glasgow 2018. Ebbene sì,la Svizzera, almeno in campo femminile,

è decisamente la nazione più forte almondo. Scritta così sembra una sempli-ce considerazione, eppure chi si cimentain questo sport conosce il valore di que-ste prestazioni e gli innumerevoli sacri-fici che bisogna fare sul piano sportivo,economico e sociale. Si calcoli che perpreparare bene un Ironman, un amatoreinveste circa 15 ore settimanali, fino adarrivare alle oltre 30 dei professionisti.Se volessimo entrare in ambito econo-mico, per fare un esempio, una bici datriathlon parte dai 6’000 franchi, ma nel-le zone cambio sono sempre più fre-quenti i mezzi che superano agilmente i10-12’000 franchi. Senza contare alcunicomponenti specifici, e tanti altri detta-gli che compongono questo mosaico difeticci sportivi. Partecipare alle Hawaiiimplica, salvo una discutibile lotteriache dà diritto a qualche slot, la qualificaad una gara del circuito Ironman. Almondo ve ne sono una quarantina spar-si sui cinque continenti. E le iscrizionicostano una fucilata.

I rischi delle prove di resistenza

In Svizzera c’è l’Ironman di Zurigo, garavinta ben nove volte dall’inossidabileRonnie Schildknecht. Si potrebbe aprireun capitolo anche sulla mezza distanzaIronman, indicata con la lunghezza dellemiglia da percorrere, ovvero l’Ironman70.3. In questo caso l’appuntamento è aRapperswil. E poi ci sono altri brandconcorrenziali al marchio, come adesempio il Challenge che, nella distanzaIronman, per scostarsi dal brand, la indi-ca come ‘full distance’. In cifre, nella pro-va del Challenge di Roth ci sono oltre2’000 iscritti, più di 250’000 spettatori equalcosa come 7’000 volontari. Un tema poco discusso e ultimamenteoggetto di alcune mie riflessioni è la soli-tudine dell’atleta di endurance. Chi se-guisse sui social Daniela Ryf noterebbeche oltre ai momenti glamour tra premi,salotti televisivi e incontri con gli spon-sor ci sono tante ore passate a macinarechilometri da sola. Spesso in una stanzadi St. Moritz a pedalare sui rulli. Una so-litudine voluta, volta a rafforzare il men-tale e che permette all’atleta di indagarea fondo i propri punti forti, migliorandoal contempo quelli deboli. Attenzioneperò a emulare questi campioni del tria-thlon che della loro passione ne hannofatto una professione ben retribuita. Leprove di resistenza, soprattutto tra gliamatori, possono portare a forme di di-pendenza da sforzo, esclusione sociale esettarismo sportivo, oltre a forme di am-plificazione del proprio ego. È un temadelicato e scomodo, ma va preso in con-siderazione con strumenti adeguati epersone formate. Anche chi scrive ha giàvissuto periodi da funambolo alla ricer-ca dell’equilibrio tra una sana attivitàsportiva e un’ossessione per gli allena-menti e lo sport.

LA TESTIMONIANZA

Solitudine scelta, voltaa rafforzare il mentale

L’intervista 19venerdì 8 marzo 2019

a e libertà

LA FILOSOFIA

‘Mi piace godere appieno dell’allenamento, senza troppi condizionamenti tecnologici’Un Ironman è lungo, sfiancante. A cosapensa durante una gara? Ha il tempo diavere dei pensieri? «Penso a un sacco dicose, ho tanto tempo per farlo. Pensierinegativi e positivi si alternano, a secon-da del grado di stanchezza, delle sensa-zioni in gara. C’è l’angioletto su una spal-la che pensa positivo e mi sprona a con-tinuare a spingere, ma sull’altra c’è ildiavoletto che controbatte. A me aiutacercare di non fare emergere i pensierinegativi, concentrandomi su cose belleche stanno per accadere a corto termine,passo dopo passo. Può anche essere soloil prossimo rifornimento, il cui avvici-narsi può fungere da motivazione. La si-tuazione ideale, però, presuppone chenon si pensi troppo. In gara, cerco quindi

di recitare un copione che scorre via, dasolo, senza per forza che debba influen-zarlo io. Così facendo, si rende di più e siavverte meno il dolore. Non è semplice,però: distrazioni e pensieri negativi sonosempre dietro l’angolo».Due edizioni dei Giochi, nel 2008 e 2012.Tuttavia il sogno olimpico di cui tanto siparla non è per forza il sogno di DanielaRyf. «Ho già dato. A Pechino fui settima,al termine di una gara che reputo perfet-ta. A Londra andò meno bene, ancheperché ero ammalata. Il triathlon appar-tiene al passato, nel frattempo ho avvia-to una nuova carriera. Indietro non tor-no. Sento che con le lunghe distanze stofacendo quello che mi si addice di più.Andare tanto per partecipare ancora

non avrebbe senso. Ci sono tante corsealle quali desidero partecipare, ed è suqueste che mi concentro».Nuoto, bicicletta e corsa. Una definizio-ne per ciascuna disciplina. «Il nuoto hamolto a che vedere con la passione: stac-care, lasciarsi trasportare... Nuotare mirilassa. La bicicletta è energia, forza, mu-scolatura. È il mio punto di forza. Nellacorsa vedo la prestazione e l’efficacia: è ilsettore in cui la gara si decide. È la disci-plina in cui mi alleno più volentieri, per-ché ti dà sempre la sensazione di averraggiunto qualcosa di concreto. In pochiminuti si può fare molto e diventaremolto stanchi».La tecnologia ha fatto passi da gigante,ma il rapporto di Daniela Ryf con orologi

e pulsometri non è così scontato. «Nonsono contro la tecnologia. Ci sono aspet-ti che riesce a curare molto bene. Uno diquesti è l’aerodinamica in bicicletta, fon-damentale. Ma per quanto attiene agliorologi da polso, sono dell’idea che trop-pi dati non facciano al caso mio. Le pul-sazioni le devo controllare, in allena-mento, ma in gara preferisco non avereriferimenti. Sono convinta di poter an-dare più velocemente senza avere rileva-menti che condizionerebbero la miaprestazione. In gara, andare oltre i pro-pri limiti è sempre possibile. Con un’ideaprecisa dei watt o delle pulsazioni, si cor-re invece il rischio di farsi condizionare.È un limite che non voglio. Anche in alle-namento è bello non sapere tutto. Biso-

gna cercare di andare al massimo, ed èper questo che è meglio non badaretroppo ai rilevamenti cronometrici. Pos-sono anche risultare frustranti, e insi-nuare dubbi e negatività che non giova-no certo alla prestazione. A me piaceuscire, e godere dell’allenamento chefaccio, in piena libertà».Tanti risultati già raggiunti, ma ancoramolti obiettivi da perseguire. «Ho anco-ra molto da dare, come atleta ho vogliadi svilupparmi ancora molto, in unacontinua sfida con me stessa, per capirefin dove mi posso spingere. Il mio obiet-tivo è correre gare delle quali la gentepossa ricordarsi a lungo. Inoltre voglioottenere altri risultati importanti e con-tribuire alla crescita di giovani talenti».

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