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Elena Donazzan è la mia terra per noi Corona è un alpinista c’è gente perbene i veneti sono andati nel mondo rimanendo orgogliosi di essere italiani in Veneto si è fatta l’Italia è terra di alpini la genialità delle nostre imprese stupisce il mondo è bello ha città, campanili, opere d’arte, che a stento conosciamo noi e che farebbero impallidire il mondo è generoso è lavoratore dovremmo amarlo di più Amo il Veneto perché:

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Elena Donazzan

è la mia terraper noi Corona è un alpinistac’è gente perbenei veneti sono andati nel mondo rimanendo orgogliosi di essere italianiin Veneto si è fatta l’Italiaè terra di alpinila genialità delle nostre imprese stupisce il mondoè belloha città, campanili, opere d’arte, che a stento conosciamo noi e che farebbero impallidire il mondoè generosoè lavoratoredovremmo amarlo di più

Amo il Veneto perché:

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Progetto, testi e coordinamento editoriale > Alessandro ZaltronSupervisione > Serena Dalla ValleHa collaborato > Barbara RicciutiImpostazione grafica e impaginazione > Enrico Sabadin per St’art Un grazie a chi ha fornito materiali e spunti, al prof. Paolo Feltrin, alla dr.ssa Diletta Ricciardi

Finito di stampare nel mese di febbraio 2010presso Laboratorio Grafico BST - Romano d’Ezzelino (VI)

2010 EDIZIONI BST - Romano d’Ezzelino (VI)

© Elena DonazzanTutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere fotocopiata o riprodotta se non nei termini previsti dalla legge che tutela il Diritto d’autore.

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In principio- Com’è nata l’idea di questo libro -

“Vivi come se dovessi morire subito,pensa come se non dovessi morire mai”.

Giorgio Almirante

Oggi le persone votano in modo più responsabile; questo fenomeno è reso evidente anche dall’aumen-to delle preferenze nominative per i singoli candi-dati.C’è voglia di decidere, di scegliere la persona, oltre che il partito. E, se scegli una persona, vuoi conosce-re qualcosa di più di lei.Quando sei assessore regionale, in molti ti riconosco-no perché hanno presente il tuo viso. A me è capitato di essere interpellata alle cinque di mattina mentre appendevo dei manifesti elettorali, tutta impiastric-ciata di colla. Un gentile signore mi aveva visto con lo scopettone, si è fermato, mi ha chiesto se ero pro-prio io e ha voluto stringermi la mano.Ma sembra che pochi conoscano, anche se sarebbe-ro interessati, la tua storia e il tuo percorso, chi è la tua famiglia («de chi sito?»), dove sei nata, come sei cresciuta. Sono elementi utili per farsi un’idea più completa della persona che chiede il tuo voto.

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Ecco come è nata l’idea di questo libro, provando a mettere per iscritto chi sono, cosa penso, quali sono i miei valori, le mie convinzioni, il mio modo di essere e di vivere, le cose a cui do importanza.Buona lettura e, se vi avrò convinto… ricordatevi di me.

E. D.

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Piacere, Elena- Conosciamoci meglio -

“Se la fiducia nell ’amore mi abbandonasse,allora sarebbe tutto finito”.

Nicola Pasetto

>Partiamo con una malignità. Ma è vero che sei un caterpillar, come ti dipingono i tuoi avversari politici?Cominciamo bene… La verità è che ho pianto anch’io. Di dolore un sacco di volte. Ho subìto gros-si lutti, mio padre, mio cugino Lorenzo che aveva 22 anni: facevo la maturità in quei giorni, per cui ho dei ricordi orrendi dell’esame. E, non si direbbe, ma da bambina ero di una timidezza imbarazzante… Mia mamma era preoccupata, perché mi nasconde-vo spesso dietro le sue gonne e cambiavo strada se avevo un adulto davanti. Anche oggi ci sono certi argomenti che mi mettono a disagio, come la sfera della sessualità, perché sono pudica, quasi una bac-chettona.

>Come definiresti l’amore?L’amore è rispetto, soprattutto. Il fatto che tu rie-sca a rinunciare a qualche cosa per un’altra perso-

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na. Quando penso a cosa sarebbe di me senza mia sorella, precipito nella disperazione totale. Parliamo di amore assoluto. Poi c’è l’amore di quando fai un pezzo di strada con una persona e vuoi che quel pez-zo di strada sia per tutto il resto della tua vita. Che è un impegno. Io mi innamoro un sacco di volte, con tanta passione, spesso legata all’idealità e alla politi-ca, mentre l’amore è impegno esclusivo. Credo che il matrimonio debba durare per tutta la vita, perché quando litighi con qualcuno, soprattutto se è un tuo familiare, non è concepibile che ti giri dall’altra par-te. Ti confronti, ti affronti, provi a risolvere, e se non risolvi stai lì. Oggi è un po’ tutto un “prendi e porta via”, c’è il supermercato degli affetti. È facile stare assieme finché sei giovane, brillante, figo, magari con una bella posizione. Ma i momenti difficili nella vita ci sono, per tutti. E a chi devo affidarmi allora? A uno che mi guarda solo se ho la taglia 42 o a chi mi ha scelta perché ci siamo presi degli impegni reci-procamente?

>Ma c’è posto per l’amore coniugale nella tua vita?Io sono fortunata, sono innamorata di una persona che condivide tutto con me. Perché ha fatto politi-ca militante, crede nella generosità dell’atto politico, abbiamo un grande rispetto l’una dell’altro, perché so che è capace di combattere. E poi è difficile tro-vare una “suocera” così carina…

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>Come vi siete conosciuti tu e…?Vittorio. Ci siamo conosciuti a un campo giovanile, che erano i nostri campo base. Sono stati una bel-lissima idea della giovane Destra sociale, dove ho passato le mie estati a piantare tende, a preparare da mangiare, a parlare di filosofia, a elaborare progetti per l’anno successivo, a incontrarmi con gente che veniva da tutta Italia. Un legame comunitario che non ha paragoni, di fratellanza. Lì, otto anni fa, ho conosciuto Vittorio. Lui era di una Destra patinata, glamour. Ricordo che, conoscendolo, il mio amico Andrea Del Mastro disse: «Le cose stanno cam-biando, ragazzi, abbiamo anche quelli che si vestono bene e sorridono». Vittorio è uno che tende a dirmi che fra sette anni ci fidanziamo. Nota che siamo fi-danzati da sette!

>È stato amore a prima vista?Successivamente, al congresso giovanile di Viterbo, è venuta la svolta. Per me di sicuro. C’è stato uno scontro pesante dentro al partito. Vinse l’attuale mi-nistro Meloni, io ero dall’altra parte. Vittorio, nello scacchiere delle appartenenze, stava con loro. E in-vece decise di sostenere il nostro candidato, dicendo che era una «scelta d’amore». Per la politica, non per me; però ho visto una persona che ci stava rimet-tendo perché dall’altra parte avrebbe vinto. E inve-ce fece una scelta che lo penalizzava. Come diceva Junio Valerio Borghese, non è importante vincere o

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perdere, ma come si vince o come si perde.

>Passiamo alla tua famiglia.Mi identifico nel mio cognome, perché ho una storia familiare di cui vado fierissima… È in origine una famiglia di scalpellini, di Pove del Grappa: allora il Grappa dava opportunità in termini di pastorizia e di lavorazione della pietra. La mia famiglia agli inizi del ’900 ha una buona posizione economica, perché quella di scalpellino è una professione specialistica. È una famiglia numerosa: mio nonno ha quattro fratelli e una sorella. Tutti gli uomini di casa sono impegnati in questa attività; in buona parte poi, tra gli anni Venti e Trenta, decidono per la vita militare.

>Ci parli di loro?Il più grande, lo zio Costantino, medaglia d’argento al Valor militare, è un atleta nell’esercito degli anni Trenta, per la precisione un maratoneta, tanto che nel ’36 avrebbe dovuto partecipare alle Olimpiadi. Dal momento però che vede partire tutti i suoi ca-merati, scappa dall’ospedale militare dov’è ricoverato per andare in Spagna coi suoi. Al porto di Napoli gli indicano la nave sbagliata e lui finisce a fare la guer-ra in Africa. Enrico, il più giovane, parte volontario mentre è universitario, diventa ufficiale, sottotenente degli alpini; viene mandato sul fronte russo, da cui non torna più. Italo Giorgio è il secondogenito, par-te come camicia nera per l’Africa Orientale italiana

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dove diviene ufficiale agli ordini del fratello Costan-tino. Combatte nella famosa battaglia di Keren ed è fatto prigioniero. L’8 settembre, alla domanda degli inglesi da che parte volesse stare, non ebbe esitazio-ne: dalla stessa dove aveva combattuto fino ad allora! Nessuno di loro tradì il giuramento fatto alla Patria, alla propria divisa, ai valori nei quali erano cresciuti ed è per questo che aderirono alla Repubblica So-ciale Italiana, pur consapevoli che sarebbe stata una guerra perduta. Sono molto orgogliosa della mia fa-miglia per queste ragioni: c’erano amore di patria, senso del dovere e dignità, e questi sono rimasti va-lori per me non negoziabili.

>Com’è proseguita poi la storia familiare?L’azienda di famiglia all’indomani della Seconda guerra mondiale andò male, perché i miei aveva-no svolto tutti i lavori per il duomo di Fiume, che dopo la guerra nessuno ha più pagato… Sono gli anni della storia di mio padre, che nacque proprio nel ’46. Continuando la tradizione di famiglia, a 16 anni scelse di arruolarsi negli Alpini. Dopo essere stato avviato a Viterbo per la Scuola sottoufficiali, e poi alla Scuola militare alpina di Aosta (era molto atletico, infatti aveva la specializzazione come istrut-tore cinofilo, di sci e di roccia), venne assegnato alla caserma di Borgo San Dalmazzo, vicino a Cuneo. Lì conobbe mia madre, che è piemontese. Si sposarono nel 1970. Io, la prima figlia, sono nata a Bassano del

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Grappa il 22 giugno 1972.

>Perché i tuoi sono tornati a Bassano?Mio padre, Fabio, aveva un fratello maschio e due sorelle; in quegli anni tentarono di rimettere in gio-co l’azienda, e mio padre in un momento di difficol-tà lasciò l’esercito su richiesta della famiglia. Quello fu il suo più grande sacrificio, secondo me, perché lui era nato per la vita militare. Poi però l’azienda chiu-se definitivamente; e verso il ’75 mio padre scelse di fare il camionista, fino alla fine della sua carriera. Il grande insegnamento che mio padre mi ha dato è che bisogna affrontare tutte le difficoltà guardando negli occhi chi hai davanti e che, sia nei momenti in cui le cose vanno bene che in quelli in cui van-no male, la dignità è la cosa fondamentale; e mi ha insegnato anche che la coerenza con la quale si af-frontano i problemi dipende solo da noi. Purtroppo papà è morto giovane, a 54 anni… Ha fatto appena in tempo a vedermi eletta.

>Una famiglia maschile la tua…Se gli uomini mi danno i paletti e la direzione, le donne rappresentano il riferimento costante della mia esistenza. Mia madre è stata il collante della famiglia… un cemento, in ogni momento delle no-stre vite. Ha sempre pensato al dopo, a cosa poteva lasciare a noi figli; non in termini materiali, ma di esempio, di etica. Mia madre è una donna molto le-

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ale, anche troppo franca alle volte… è una che non le manda a dire, pur essendo molto dolce.

>Che lavoro faceva tua madre?Caterina è una grande educatrice, nata con la voca-zione per l’insegnamento… Ha un amore smisurato per i bambini, per la conoscenza e per l’educazione. Con lo stipendio di maestra si è accollata un mutuo per la casa che ha finito di pagare l’anno scorso… Questo per dire quanto nel suo modo di vivere sia presente l’idea del sacrificio, legato a obiettivi più elevati della semplice gestione del presente. È una donna fortissima: ha affrontato le difficoltà econo-miche e quelle familiari con una tenacia e una fede incrollabili. Il grande dono di mia mamma è proprio questa fede senza confini. Una fede molto praticante e praticata… lei era catechista e si dedica al volonta-riato: fa l’insegnante di sostegno gratuitamente nelle scuole pubbliche, insegna l’italiano ai bambini extra-comunitari… Alla faccia di chi definisce razzista la Donazzan!

>E tua sorella?Giovanna è del ’75: è la mia sorella minore, anche se per responsabilità, consapevolezza, posatezza e de-terminazione è molto più matura di me. Ripongo una stima totale in lei: ha saputo fare tutti i mestieri del mondo per mantenersi agli studi, non si è mai tirata indietro; e infine è la persona più leale che io

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conosca, di una purezza straordinaria. Rappresenta per me la coerenza vera e totale, e somiglia molto a mia madre quanto a determinazione… Mia sorella è la mia coscienza, è quella che mi giudica per la co-erenza tra quello che faccio e quello che dico, e non mi fa sconti; e inoltre è lei, con la sua concretezza, a gestirmi le finanze, perché io con il denaro ho un rapporto pessimo.

>Di cosa si occupa Giovanna?Oggi è un’insegnante precaria. Come la mamma, lavora nelle scuole elementari. Si sta laureando in psicologia. Anche lei ha la vocazione per l’insegna-mento…

>Stai spesso coi tuoi?Vivo con la famiglia, quindi sono un bamboccione se-condo la definizione dell’ex ministro Padoa Schiop-pa. E peraltro, cosa c’è di male a vivere in famiglia? Uno fa delle scelte. Una volta le famiglie erano nu-merose, e a me piace avere la casa affollata. I miei genitori mi hanno insegnato l’ospitalità. Mio padre capitava a casa a mezzanotte con venti amici e chie-deva una pastasciutta a mia madre. È sempre stata una casa molto vivace e aperta, la mia.

>Parliamo d’altro. I tuoi hobby?Vado a cavallo fin da bambina. Amo cavalcare, per-ché l’animale è potente e, per poterlo gestire, devi

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essere molto più determinata di lui; quando vado a cavallo, so che prima di tutto impegno me stessa a controllare me stessa, libero del tutto la mente, cosa che altrimenti mi riesce con difficoltà. Ci vado più spesso che posso, compatibilmente coi ritmi della mia vita… L’altro animale che amo è il cane, che per me fa parte della famiglia. Fin dalla nascita ho vissuto coi cani: quando rientro a casa alla sera, mol-to spesso ben dopo l’una di notte, sono gli unici ad aspettarmi. Adesso ne ho quattro: due pastori te-deschi, una bastardina, Morgana, che ha tre zampe perché l’hanno buttata giù da una macchina in corsa che aveva un mese… e comanda lei tutti gli altri; e poi un segugio italiano, l’impegnativo, il dotto di casa. Il cane non tradisce, è sempre a tua disposizio-ne, si fida totalmente di te, e tu lo senti… dovrebbe valere un po’ di più anche tra gli uomini.

>Il tuo personaggio preferito?Cesare Battisti, romantico e irredentista, è il mio primo eroe. La mia mamma mi portò in gita scola-stica al Castello del Buon Consiglio di Trento con la sua classe. All’età di quattro anni venni a conoscen-za di Cesare Battisti. Mio papà era un sottufficiale nell’esercito e per me era identico fisicamente a Bat-tisti, quindi mi feci regalare le sue cartoline a sof-fietto. Per me era l’eroe che moriva gridando: «Viva l’Italia!».

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>Film preferito?Braveheart su tutti! L’eroe che non si arrende mai: che fascino! Il senso dell’onore è una grande cosa. «Libertà!» dice William Wallace, il protagonista. Avrebbe dovuto implorare “pietà” nei confronti di quanti lo stavano torturando fino alla morte, ma scelse di gridare «libertà» per il proprio popolo e la propria terra.

>Fiore preferito?Devo confessare: non amo i fiori. Invece adoro i pro-fumi, le fragranze, gli incensi, candele e pot-pourri: sia in ufficio che a casa non posso farne a meno!

>Cibo preferito?Ogni buon cibo, accompagnato da un buon bicchie-re di vino. La torta di mele di mamma Caterina. Lo spiedo alla vicentina.

>Qualità preferita in un uomo?Intelligenza. Con le persone intelligenti riesci a vo-lare alto e a crescere.

>Che rapporto hai con la moda?Mi piace avere un look mio, non seguo le tendenze. Preferisco la borsa e le scarpe dell’artigiano locale, gli abiti rigorosamente “made in Italy”, gli occhiali del Bellunese e lo stesso profumo da sempre. Credo che la moda italiana sia sinonimo di stile unico nel

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mondo, di grande classe, e sono altresì convinta che le nostre scelte negli acquisti possano incidere non solo nel nostro apparire, ma anche nel nostro essere. Sono convinta che l’abito faccia il monaco: la mia imma-gine è coerente con il ruolo che ho. Unico peccato di vanità: la passione per i tacchi a spillo.

>Chirurgia plastica: pro o contro?Un chirurgo una volta mi disse che avrebbe sempli-cemente limato il mio naso importante: a me piace davvero così, anzi mi fa sentire particolare.

>Qualcosa che invece vorresti cambiare?I bronci a casa. Fuori ho mille energie e sorrido sem-pre. A chi si ama di più, alle volte, si riservano solo le proprie fragilità.

>Hai mai fumato uno spinello?No, mai! Credo che siano dei poveretti quelli chi si drogano, dei mediocri, dei paurosi, e io sono un’an-ticonformista coraggiosa. Mi ha aiutato fare molto sport da giovane: ho giocato a pallavolo, fino alla se-rie C, me la cavo a tennis, il cavallo è la mia grande passione.

>Rapporto con la musica?Adoro cantare, da Battiato a Ruggeri… anche se non ho una gran voce. Suono il pianoforte, quindi la musica classica fa parte della mia vita.

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>Qualche aneddoto di questi anni?Con un grande imprenditore della nostra regione stavo parlando di un’emergenza alimentare molto forte, che lo riguardava anche. Siccome accennavo a difficoltà di spostamento, mi disse: «Ma perché, non hai un elicottero?». No, purtroppo la mia Alfa non vola ancora.

>Sei superstiziosa?No, coltivo una grande fede. Credo di avere un po-tente angelo custode, mi sento protetta. Anche le cose difficili della vita sono prove, e Dio dà le prove solo a chi riesce a sopportarle.

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Nudi alla metaAppena nata, il dottor De Toni ha portato Elena fuori dalla sala parto e l ’ha consegnata al papà che, tutto orgoglioso, non la faceva toccare nemmeno alla nonna giunta lì apposta. Le infermiere, intanto, erano alla ricerca della bambina per poterla vestire.

Cu re di madre

Elena e il cane Dea

- Dall’album di Caterina Rovere -

Mamma Caterina durante il battesimo

di Elena

Attenti al cane!Per la preoccupazione che il cane, un pastore belga di nome Dea, allora molto legato a me, potesse diventare geloso, ho messo per terra il cestino con Elena appena nata e ho informato l ’animale: «Dea, questo è un giocattolo per te». Il cane l ’ha annusata bene ed è diventato, da quel momento, la sua guardia del corpo.

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Elena al mare a un anno

Al mare con papà

Noi siamo piccoli ma cresceremoDi carattere timido, chiuso e riservato, Elena da bimba voleva restare sempre a casa. Ogni volta che si entrava in un luogo diverso, perfino dalla nonna, lei fissava preoccupata le pareti, poi si metteva a piangere, quasi a urlare, costringendo noi genitori a... rincasare.

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A domanda rispondoSeconda elementare. La maestra Luisa Lorenzoni parla del lavoro delle mamme, soprattutto delle non casalinghe. Alla domanda «Che lavoro fa tua mamma, fuori di casa?», Elena risponde: «Stende i panni sul terrazzo».

Con i cuginetti

Al battesimo della sorellina Giovanna

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20Gita con la vaporiera

A carte quarantottoA Elena piace giocare a carte con sua sorella, ma pretende di vincere sempre. Se perde due o tre partite di seguito, fa volare via il mazzo e se ne va indignata.

Il paladino dei deboliMolto sensibile verso i compagni in difficoltà a scuola, spesso Elena li invitava a casa e mi diceva: «Aiutali a imparare bene, così la maestra poi non li sgrida».

Carnevale alla scuola di Primolano (con don Giovanni Bellò)

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Questa casa non è un... canileMolto sensibile verso gli animali, Elena portava a casa cani randagi per cercare di “piazzarli” agli amici. Il papà aveva costruito un recinto proprio per loro, perché non andassero a provocare i nostri pastori tedeschi.

Già da bambina

imboccava...

la Strada

degli Alpini

Festa di compleanno assieme a papà Fabio

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Spazzare via la tensioneIn casa, Elena è patita della scopa elettrica: a volte la usa con vigore anche alle dieci di sera perché, dice, «questo lavoro mi “scarica”».

Ecursione al Forcelletto - Monte Grappa

A Col Moschin con i parà della Folgore

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Cosa penso del mondo- Piccolo catalogo delle idee -

– PRIVACY –Essendo di Destra, vivo la fede politica come una scelta di vita, quindi per me non ha senso distingue-re fra pubblico e privato.È mia profonda convinzione che non esista il priva-to quando si è un personaggio pubblico, che quando si rappresenta qualcun altro si debba essere ancora più rispettosi dei propri comportamenti, che biso-gna essere rigorosi verso se stessi per potersi rivol-gere ad altri. Questo mi ha attirato critiche perché mi viene detto che non dobbiamo occuparci di tutto, ma guardare solo alla parte che viene rappresenta-ta all’esterno. Ma quale privacy? Io voglio sapere se tu ti droghi. Devo sapere se, quando decidi per me, sei lucido o no, sei ricattato o no, sei libero o no. E mi riferisco non alla libertà assoluta, ma alla li-bertà rispetto alle scelte che tu fai responsabilmente nell’orizzonte dei tuoi valori.

“Vi auguro di non stare mai tranquilli”. don Luigi Giussani

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– ONORE –«Mi sono battuto con onore, mi avete preso con la pistola in pugno, ho diritto all’onore delle armi». Cesare Battisti per me vale molto, vengo da una fa-miglia di militari. La parola onore è difficile da dire oggi. «È una questione d’onore». Non puoi discutere tutto, valutare sempre i pro e i contro, vedere cosa te ne viene in tasca, qual è la strada più breve. Dipende qual è la tua scala di valori. Che non è uguale per tutti. Io so quale vale per me, e quindi ci sono del-le cose che non metto in discussione. Qualcuno li chiama pregiudizi, io li definisco assiomi.

– VALORI –Viviamo in una società da Grande fratello, dove tutto è messo in bella (?) mostra, dove il pudore è roba superata, dove lo stile è confuso col modo di vestire.Secondo questa società, non val la pena niente. Col relativismo puoi dimostrare tutto e il contrario di tutto, non c’è niente di definitivo o per cui valga la pena, tutto si può accomodare ai nostri vizi, ai piace-ri che spesso sono degenerazioni.Come lasciò scritto Marzio Tremaglia nel suo te-stamento spirituale, «credo in una dimensione etica della vita che si riassume nel senso dell’onore e nel rispetto fondamentale verso se stessi, nel rifiuto del compromesso sistematico e nella certezza che esi-stono beni superiori alla vita e alla libertà per i quali a volte è giusto sacrificare vita e libertà». Questa è la

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mia Patria. Ieri confine fisico da difendere, i nomi dei cui protagonisti riempiono i tanti e troppo spes-so dimenticati monumenti delle nostre città, oggi confine ideale da presidiare perché non vincano il relativismo, la furbizia, la vigliaccheria.

– VERSUS –Per una fiera dell’orientamento e dell’educazione ho costruito una campagna mediatica con dépliant che mettevano a confronto due facce della medaglia. Esempi diversi tra loro, opposti, non contrapposti: questo significa versus. Pellegrino (olimpionica di nuoto) vs Melita (Grande Fratello), se affrontiamo il tema del successo; Roberto Baggio (campione del calcio) vs Marion Jones (centometrista squalificata per doping), sull’etica sportiva; la Nazionale di rugby vs la droga, parlando di coraggio; l’Arena di Verona vs le ciminiere di Marghera, se ci confrontiamo sullo stile urbanistico; una sopressa e del vino vs McDo-nalds, nella scelta fra tradizione e globalizzazione nella vita quotidiana.Qualcuno mi accusò di voler dare un’accezione eti-ca alla mia gestione politica: certamente io ho una visione anche etica della politica! Poi la gente deci-derà se votarmi o no, ma deve sapere come la penso; l’elettore deve sapere che quando vota una persona, vota la sua coerenza. E nel momento in cui sono chiamata ad amministrare, devo fare l’interesse di tutti, ma devo soprattutto ricercare il bene comune,

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il quale per me non può che essere legato ai princi-pi in cui credo. Quando mi disse che potevo comu-nicare i miei valori, ma non dovevo mettere il mio portato culturale nella politica, mi sono chiesta: e che cosa devo fare da assessore regionale, l’ordinaria amministrazione? Per questo ci vuole un tecnico, io faccio politica!

– LAVORO –Credo che il mondo stia cambiando a partire da questa crisi. La percezione che tutto debba sempre andare verso il meglio, verso un progresso infinito e inesorabile, si è scontrata con la realtà di questi ultimi mesi. Sono convinta che le “favole” di una globalizzazione sempre buona e ricca di opportunità per chiunque voglia approfittarne siano state smen-tite definitivamente. C’è la necessità che si scrivano regole non dettate dalla finanza senza volto, né da interessi sempre estranei al nostro mondo e alla no-stra terra, e che queste tengano conto degli interessi nazionali, dell’uomo e della vita, che siano rispettose dell’etica e delle radici culturali. Solo così difende-remo il nostro lavoro e quello delle nostre imprese.

– POLITICA –Il modello della politica di adesso è svilito, poco for-male, involgarito, gridato. Ormai si stenta a credere nella politica e in chi fa politica: troppi cattivi esem-pi, troppi interessi personali hanno allontanato le

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persone “per bene” dall’interessarsi e dal credere che un’alternativa sia possibile.Ci deve perciò essere la capacità, da parte della po-litica, di ascoltare, di interpretare e soprattutto di essere al servizio della propria comunità. Solo at-traverso la più ampia partecipazione ai processi de-cisionali si possono immaginare progetti che siano condivisi e possibili. Dobbiamo dimostrarci garanti dell’interesse pubblico, evitando ogni scelta che non solo sia illecita ma anche solamente inopportuna. Dobbiamo ritrovare l’umiltà che ci permetta di tor-nare in mezzo alla gente, di andare a dialogare coi rappresentanti delle categorie, del sociale, delle for-ze dell’ordine. Tutto questo va fatto non attraverso maldestri tentativi di stabilire interessati contatti a poche settimane dalle scadenze elettorali, ma in modo sistematico e continuativo, così da diventare interlocutori credibili, capaci di tradurre la propria azione politica in risposte concrete.

– VELINE –Il modello che si sta delineando in politica non mi piace moltissimo. Il belloccio che fa notizia non per le cose che fa ma magari per la battuta o per l’evento mediatico o l’avvenenza.La questione delle veline si inserisce appieno nel ragionamento che porto avanti sullo stile: per me velina, a Destra come a Sinistra, vuol dire princi-palmente l’improvvisazione in politica. A me l’im-

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provvisazione non è mai piaciuta; non può piacermi la figura che acquisisce notorietà perché è stata al reality, e neppure quella che la acquisisce perché si alza e insulta il suo leader di partito per andare poi su YouTube e diventare un fenomeno. Difendo la professione politica perché credo che richieda com-petenze e sacrifici, e credo che la politica, per il ruolo che riveste e l’importanza che ha, debba essere fatta da persone preparate. Siccome do grande peso alle scelte politiche, che guidano una comunità, credo di conseguenza che i partiti debbano avere anche una buona classe dirigente: e questa non si forma sull’improvvisazione.

– FASCISMO –La Costituzione non ha mai scritto la parola “fasci-smo” né “antifascismo”, perché i padri costituenti, che avevano provato sulla loro pelle la tragedia della Seconda guerra mondiale e della Resistenza, furo-no molto più lungimiranti di qualche nostalgico che oggi spera in un nuovo scontro su parole vecchie.No, la Resistenza non è un valore. E il Fascismo non è il male assoluto, perché non è una categoria del bene o del male, è un periodo storico. Ci sono stati combattenti che si sono affrontati lealmente, chi in nome della libertà dell’Italia, chi per l’onore d’Italia, ma sempre sotto il tricolore, sempre per un ideale di Patria. “Pacificazione nazionale” è la parola d’ordine per chi sta a Destra e per chi ha a cuore il futuro

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dell’Italia. Resta il diritto alla propria memoria, alla propria storia personale, ma c’è un dovere di conse-gnare tutta la storia d’Italia all’ufficialità e al rico-noscimento, si deve ricostruire una memoria storica condivisa, che ci possa far sentire tutti italiani.

– PATRIA –Io dico che la patria è la terra dei padri, perché eti-mologicamente questo è il significato, ed è un signi-ficato bellissimo. Quando si parla di padri, si parla di continuità di padre in figlio, che non è solo una trasmissione di sangue, ma di cultura, di tradizione.L’idea di Patria non è un concetto arcaico, o me-glio: è un concetto antico, che trova la propria ragion d’essere nel quotidiano di oggi, perché la patria non è un’idea astratta risalente all’Ottocento. La patria è la dimensione, l’orizzonte in cui una comunità si riconosce; quella comunità per me è il popolo.“Per la Patria”: questa bellissima frase si trova spesso sui monumenti che nei nostri Comuni, anche i più piccoli, all’indomani della Grande guerra vennero dedicati ai Caduti che si immolarono per un’Italia tutta ancora da costruire. Un’Italia che, con buo-na pace della storiografia ufficiale, non è quella del 1861, né del 1866, ma è quella del 4 novembre 1918.Per la Patria vale la pena morire, lottare, credere.

– ITALIANITÀ –Essere italiani è un fatto di appartenenza a un po-

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polo al quale non si può casualmente o utilitaristi-camente aderire, ma che è innanzitutto una condi-visione di tradizioni, di cultura, di destino comune.Appartenenza è: il tricolore per i ragazzi di Nassirya, la difesa del made in Italy, i nostri atleti alle Olim-piadi, la difesa dell’artigiano dall’aggressione delle multinazionali, comperare italiano per difendere il lavoro italiano, parlare italiano (magari bene…) senza farsi affascinare dall’esterofilia, stare con Vale Rossi che indossa la maglia di Materazzi, mangiare la pizza invece che andare al fast food, scegliere il chinotto al posto della Coca Cola, chiedersi perché la Gioconda di Leonardo sia ancora al Louvre o per-ché le opere di Canova si trovino a San Pietrobur-go o a New York, andare in ferie in Italia anziché a Sharm el-Sheikh, chiamare i propri figli Maria, Pa-ola o Matteo anziché Deborah (con l’acca) o Ilary…Anche questi fatti di costume rispondono al biso-gno primario di sentirsi comunità e di appartenere a qualche cosa che sia un tantino più elevato della propria individualità.

– IMMIGRAZIONE –Il Veneto ha una realtà forte di immigrazione, circo-scritta in alcune zone nelle quali la presenza di im-migrati è molto rilevante. Questo per me è un pro-blema forte, alla faccia del buonismo a tutti i costi di quanti la considerano solo un’opportunità.L’integrazione è difficile, ma certamente deve co-

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minciare dalle prossime generazioni, con forza, e da modalità concrete. Creare una vera integrazione si-gnifica educare coloro che vengono a vivere qui, in una terra di radici e tradizioni millenarie, con regole sociali che non sono soltanto regole scritte, in cui non c’è solamente il diritto, ma anche le consuetu-dini, le abitudini, ciò che ha formato il nostro vivere in comunità. Integrazione significa che devi inserire i bambini in un contesto e non è pensabile che se in classe, su 24, 20 sono stranieri di tutte le etnie, questi possano imparare correttamente la lingua, seguire i programmi, crescere agevolmente in contesti italia-ni, veneti, con regole precise di funzionamento per la vita sociale di un paese, inteso come piccola comuni-tà, Comune. Quando parlai di quote, anche il mini-stro Gelmini alzò le barricate dicendo che saremmo stati tacciati di razzismo. Oggi il ministro Gelmini l’ha messo nel Decreto, inserendo una quota massi-ma del 30% di ragazzi extracomunitari.

– RAZZISMO –Diciamolo chiaramente: in Italia non c’è alcun peri-colo razzista, c’è piuttosto un clima che sta divenen-do insostenibile per la cattiva integrazione e per una convivenza non regolata con i tanti che giungono nel nostro Paese.Non può esserci vera convivenza senza il rispetto, che altrettanto banalmente deve essere reciproco, ma oggi appare del tutto sbilanciato a sfavore degli

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italiani.Ma è forse razzismo parlare di sicurezza affrontando il problema dell’immigrazione clandestina o denun-ciare la riduzione a zone franche di illegalità di par-te delle nostre città dove si sono insediati in modo massiccio cittadini extracomunitari, oppure parlare del sovraffollamento delle carceri dovuto alla popo-lazione carceraria straniera? O sostenere che questa è una terra di grandi tradizioni e cultura, che vanno conosciute e rispettate da chi la abita?Non credo sia razzismo, ma che si tratti di esaspera-zione, come ha ben affermato uno scrittore tra quelli non allineati, Giancarlo Marinelli.Il razzismo della Destra, poi, è una leggenda. L’Msi raggiunse il suo minimo storico perché Rauti candi-dò una persona di colore a Firenze.

– INTEGRAZIONE –Spesso chi parla di integrazione vive su un’auto blu, si muove con la scorta, frequenta locali esclusivi e salotti perbene, manda i propri figli nelle migliori scuole. Non è questa la realtà della nostra società oggi!Non possiamo abbassare la guardia, dobbiamo sem-mai alzare le nostre difese perseguendo una vera integrazione che è fatta di controlli, di accettazio-ne e di comprensione, attuando un sistema per cui chiunque voglia venire nella nostra terra si conformi al rispetto di regole, usi e costumi.

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Integrazione non è adesione, ma inserimento, non è recidere la propria cultura, ma portare se stessi e il proprio bagaglio culturale in una nuova società, che a sua volta ha cultura, tradizioni, usi e costumi, e an-che regole, rispetto alle quali è necessaria l’accetta-zione, se non la condivisione, proprio per permettere allo straniero di farne parte.Integrazione non è dunque accoglienza indiscrimi-nata, non è concessione di tutto, non è l’applicazione sistematica di un compromesso al ribasso.

– RELIGIONE –Ho proposto la conoscenza della nostra cultura at-traverso l’inserimento, nel programma di Educa-zione civica, dello studio obbligatorio dei principi e della storia della religione cristiana cattolica. Non è certamente un approccio confessionale. Lo diceva il filosofo ateo Benedetto Croce che «Non possiamo non dirci cristiani».Questo fa crescere il ragazzo in una dimensione pubblica della cittadinanza, che non è solamente la nozione astratta della Costituzione o della cittadi-nanza, ma è la consapevolezza di appartenere a una storia e a un popolo. È una questione spirituale: o aderisci a una comunità, oppure non lo fai. E non è solamente un problema di rispetto della legalità: definirlo in questi termini sarebbe molto riduttivo.Ritengo che la mia visione del mondo, almeno in Veneto, sia maggioritaria. La religione cattolica ha

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contaminato il nostro vivere pubblico e sociale. Noi non andiamo a scuola a Natale o a Pasqua, e cele-briamo il santo patrono nelle città; anche il cittadino extracomunitario si chiede perché festeggiamo San Lorenzo o Sant’Antonio. O perché in ogni picco-lo Comune c’è una chiesa e un campanile, non una moschea. O, ancora, perché le vie sono quartiere San Marco, San Giuseppe, San Michele. E perché i nostri nomi di battesimo sono Andrea, Elisabetta, Sara, che sono anche nomi di santi. Secondo me ab-biamo il dovere morale di insegnare agli immigrati tutte queste tradizioni che fanno parte della cittadi-nanza. Perché non fa male, non è violenza fisica: non sto obbligando a conversioni.

– VENETO –Io credo che essere veneti sia un valore aggiunto. In Veneto abbiamo una storia millenaria, che è la storia della Repubblica Serenissima; la storia di una grande capacità di governo, una capacità espansiva, un primato culturale, di regole stabilite nel mondo allora conosciuto (il diritto commerciale).È importante ricordarci che nelle nostre terre c’è la più grande biblioteca di tutto il Nord Italia; che qui è nata la storia della Marina; che esiste una specifica visione del mondo ereditata da Venezia che vedeva l’Adriatico e il Mediterraneo come un unico grande porto; e il porto per definizione è un luogo di scam-bio, scambio nel quale Venezia dettava, grazie alla

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forte identità, il proprio stile amministrativo, com-merciale, culturale.Prima del “tradimento” di Napoleone, che ha sven-duto la Repubblica, la bandiera di guerra veneta si trovava anche a Perasto, sotto l’altare della città, e Perasto è molto a sud, in Montenegro. La grandezza e la grandiosità della veneticità è più che il “logo” del leone di San Marco o qualche slogan buttato là a casaccio; e se noi ne fossimo più consapevoli, non solo ne saremmo orgogliosi, ma comprenderemmo anche che la storia veneta trova una propria natura-le configurazione nell’Italia, perché l’Italia nasce dal Veneto.L’Italia è quella di Vittorio Veneto, fondata su una vittoria, dal momento che il senso della patria, credo, va fondato anche su elementi positivi di costruzione e di condivisione. È l’Italia del Piave, del Grappa, del Montello, dell’Ortigara, dell’Altopiano di Asiago, del Pasubio, che ieri erano confini fisici e che oggi costituiscono una sorta di confine ideale, valoriale.

– DIALETTO –Abbiamo una straordinaria cultura, nobile, altissima e misconosciuta. Siamo i primi a non essere consa-pevoli di quanta storia, tradizione, conoscenza, cul-tura sia partita dal Veneto, sia presente in Veneto.Non è tollerabile essere derisi per gli strafalcioni linguistici o la poca dimestichezza con le “doppie”. Non sopporto più di vedere la cultura veneta svilita

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e relegata al dialettismo.La nostra cultura popolare, diffusa, è tutt’altro che bassa e banale; non è sagra paesana, come qualche uscita banalotta rischia di far diventare, ma è cele-brazione della specificità, complesso racconto dalle note fortemente caratteristiche, quello che se fossi-mo un pochino più orgogliosi e preparati chiame-remmo cultura veneta.Prendiamoci la nostra grande storia, la nostra bella tradizione, la nostra immensa cultura, e cerchiamo di non avere complessi di inferiorità.

– GLOBALIZZAZIONE –Il mondo globalizzato ha mostrato una parte del proprio volto, finora rimasto in ombra: è la parte più aggressiva, quella della finanza spregiudicata, senza identità né confini, senza etica né rispetto, dove la sovranità di un popolo, con la propria identità e i propri interessi nazionali, è stata subordinata alle regole dell’economia di carta a scapito di quella re-ale. Quello che sta accadendo nel mondo deve far-ci riflettere e deve fare crescere in noi, nella nostra società, la consapevolezza che la ricchezza facile, le scorciatoie, le furbizie non pagano, ma illudono e rendono deboli e fragili le persone, le comunità e le nazioni. Possiamo quindi scrivere una pagina nuova per la storia dell’Italia a partire dalla nostra identità. Una cultura straordinaria formata da un patrimonio artistico, monumentale, letterario, ambientale unico

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e irripetibile. Siamo circondati dal bello della natura e da quello costruito dall’uomo, che il mondo inte-ro ci invidia. Grandi opere architettoniche, genialità artistica, opere d’arte uniche rendono l’Italia la terra che ospita una gran parte delle ricchezze culturali dell’umanità. Pensatori, letterati, pittori, scultori ita-liani hanno lasciato un segno indelebile, influenzato e creato stili artistici che hanno conosciuto la no-torietà nel mondo, diventando punto di riferimento per altre espressioni e altri stili. La bellezza e la ge-nialità hanno contraddistinto lo stile italiano nelle epoche. Oggi questo stile diviene elemento di carat-terizzazione qualificante del nostro vivere.

– MADE IN ITALY –“Made in Italy” è sinonimo di stile, di bellezza, di qualità e di unicità. Lo è, in particolare, in un settore che, proprio in momenti di fragilità dei meccanismi internazionali legati alla finanza, deve farci riscopri-re il ruolo manifatturiero dell’Italia, delle sue produ-zioni industriali e artigianali, dal design alla tecnica. Si tratta di una italianità che si sviluppa in tutti i campi del sapere e della conoscenza come tratto di-stintivo in un mondo globalizzato, come elemento identificante un’appartenenza che ci rende unici, con un’eredità qualificante che va rinnovata nel tempo presente e va pensata perché possiamo a nostra vol-ta trasmetterla. Assume particolare rilievo, quindi, il mondo della scuola, elemento fondamentale di tra-

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smissione della conoscenza e del sapere. Ma nem-meno la più profonda consapevolezza di chi siamo ci porterà a vincere le difficili sfide del mondo del lavoro, del confronto con altre identità, della crescita personale e di popolo, se non introduciamo, in ogni campo del nostro agire, il concetto di merito.

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La mia esperienza in Regione- Fare politica oggi -

“L’unica cultura che riconoscoè quella delle idee che diventano azione”.

Ezra Pound

>Quando è nata la tua passione per la politica?Ce l’ho nel sangue fin dai tempi della scuola: tra-smettere ciò in cui credo, affinché sia di beneficio anche agli altri. È un ricordo fondamentale e preci-so quello che segna la mia decisione di impegnarmi in politica. Io credo nell’emblematicità dei “primi” momenti, delle pulsioni intime che portano a fare una scelta. Cominciai a fare politica a scuola, quando passai dalle medie al liceo – il liceo classico Broc-chi di Bassano del Grappa, che prevedeva una serie di sperimentazioni, tra le quali ho scelto l’indirizzo linguistico. Stiamo parlando della metà degli anni Ottanta, periodo nel quale l’insegnamento aveva un approccio molto politicizzato e di sinistra… Ricor-do docenti con marcate propensioni all’indottrina-mento, più che all’educazione. Le scuole superiori cominciarono con una serie di scioperi. In questo clima la mia scelta fu proprio una reazione: quella di impegnarmi nella politica studentesca. Così diventai

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rappresentante d’istituto attorno ai 17 anni.

>E poi?In vista delle elezioni che ci sarebbero state di lì a poco, proposi alla scuola di tenere un’assemblea in-vitando rappresentanti di tutto l’arco costituzionale. I partiti risposero inviando la “quarta fila”, ovvero al-cuni consiglieri comunali, mentre il Movimento so-ciale scomodò l’onorevole Franco Franchi. Ricordo quella giornata come davvero insolita: un’assemblea studentesca non guidata, moderata da me, dominata da Franchi, grande oratore che suscitò addirittura standing ovation. Parlando di che cosa? Di patria, di droga, di regole, contro la partitocrazia. È stata l’occasione in cui scelsi l’adesione ideale alla Destra.

>Prendesti la tessera di partito?Non subito. Un pomeriggio a Bassano del Grappa, qualche settimana dopo questa assemblea, in piaz-za c’era un gruppo (tre anziani e un ragazzo) che raccoglieva le firme per una storica battaglia, quella contro le droghe. La Bassano di quegli anni era una piazza molto legata a Padova, per quanto riguarda i rapporti politici; c’era un nucleo forte di estrema si-nistra che aveva occupato un centro sociale, esisteva un forte collegamento coi movimenti universitari… quindi per un banchetto dell’Msi era sicuramente un posto difficile. Quel giorno arrivò un gruppo di autonomi, e immediatamente anche la Celere. In-

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tanto io stavo lì a fare una di quelle classiche “va-sche”, il passeggio spensierato dei ragazzi, e mi ritro-vai in mezzo: da un lato questo banchetto di quattro persone, dall’altra parte i manifestanti rabbiosi che cominciarono a tirare uova, sassi, monete, colpendo una signora che stava firmando. Per la prima volta mi trovavo di fronte alla violenza e all’odio, senza capirne la ragione. In quel momento, istintivamente, decisi da che parte stare: quella di chi coraggiosa-mente voleva affermare le proprie idee, voleva farlo in mezzo alla gente (sfidando l’indifferenza di qual-cuno e addirittura l’odio di qualcun altro), e aveva la dignità di non arretrare. Quando tornai a dirlo a casa mia, ci fu una bella discussione… Nessuno prima di me, in famiglia, aveva avuto una tessera o aveva mai fatto politica, anche se mio padre era di-chiaratamente di Destra.

>Di lì è partita la tua “carriera”.Mi sono iscritta al Movimento sociale italiano a 17 anni, nell’89, caduta del muro di Berlino. Nel 1990 ero segretaria nella sezione di Bassano del Fronte della Gioventù e nel ’92 segretaria provinciale vicen-tina. L’adesione al movimento giovanile è il periodo più bello della mia vita… Sono stati anni di idealità, di generosità totale, di militanza pura… Mai avrei pensato di diventare anche solo consigliere comu-nale, figuriamoci assessore regionale di questa mera-viglia che è il Veneto! L’impegno era la pura conse-

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guenza di una adesione ideale e valoriale, non c’era nessun calcolo, né professionale né di carriera. In quel periodo ho avuto la fortuna di incontrare tanti ragazzi come me, che poi sono andati nel mondo e credo lo abbiano contagiato con la loro purezza, la loro generosità e la loro militanza. Erano persone speciali perché era difficile fare militanza politica a Destra. Credo di appartenere all’ultima generazio-ne di quelli che, per le loro idee, le hanno buscate fisicamente. Ricordo una manifestazione sulle Foi-be all’Università a Padova. Io e mia sorella eravamo insieme e stavamo accompagnando un ragazzo dei nostri, fortemente disabile, su una sedia a rotelle, e ho sentito i “compagni” urlare: «Prendiamo la donna e l’handicappato». Giovanna ha difeso il nostro ami-co portandolo nel bar del Bo, mentre io sfilavo un bracciolo della sedia a rotelle, pronta a difendermi…

>Quali delle persone incontrate in politica hanno segnato la tua esperienza?Mi vengono in mente subito Nicola Pasetto e Mar-zio Tremaglia, entrambi morti giovani. La storia della Destra in Italia sembra maledetta, perché i suoi uomini migliori se ne sono andati molto presto.Pasetto era un giovane militante del Fronte della gioventù, brillantissimo avvocato, consigliere co-munale del Msi. È stato deputato del Movimento sociale e di Alleanza nazionale, e il primo segretario regionale di An in Veneto. Nicola ha il merito di

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avere costruito il più grande movimento giovanile a Verona, grazie alla sua fortissima personalità. Per capire che persona fosse, racconterò un aneddoto: all’epoca del primo Governo Berlusconi, quando era responsabile all’immigrazione per An, diede le dimissioni da dirigente nazionale perché si trovò a scontrarsi con alcune posizioni tenute dal Governo, pur avallate dal partito. È il più bell’esempio di co-erenza e generosità che io in politica abbia incon-trato.L’altra figura di riferimento è Marzio Tremaglia, fi-glio del più noto Mirko. Anche lui proviene dal mo-vimento giovanile, e da assessore alla cultura della Regione Lombardia si è distinto proprio per l’intel-ligenza vivacissima e la cultura straordinaria… Mar-zio è stato realmente un grande punto di riferimento per la cultura di Destra, oltre che un ottimo am-ministratore. Mentre era già ammalato, svolsero una campagna elettorale per lui senza che si muovesse dal letto, e venne eletto a furor di popolo a Bergamo.

>Nel 1994 c’è stata la svolta di Fiuggi.E io sono diventata dirigente nazionale del movi-mento giovanile. Ho vissuto favorevolmente il pas-saggio dentro ad Alleanza nazionale prima, e poi nel Pdl, perché con la sigla “Movimento sociale” non ti era permesso parlare. In quel periodo le tue idee po-tevano essere le migliori del mondo, potevi essere la persona più preparata e credibile, ma non ti era

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dato parlare perché eri di destra. Personalmente ho sempre pensato che non fosse necessario uno sdo-ganamento (termine che a me non piace), ma una legittimazione: che non doveva derivare dallo status dell’appartenenza politica, ma dalla validità intrinse-ca delle idee. Ero mossa dalla fiducia che, una volta ottenuta la possibilità di rappresentare le nostre idee, non modificandone il contenuto ma semplicemen-te in un clima che prescindesse dal posizionamento, queste idee ci avrebbero dato ragione. Preferisco il confronto sui temi, preferisco misurarmi sulle batta-glie e sulle posizioni politiche, preferisco argomen-tare piuttosto che avere o attribuire un’etichetta che congeli e irrigidisca il dibattito.

>E arrivò anche l’esperienza in Provincia.Nel ’96 c’erano sedi nelle quali la possibilità di esse-re eletti era maggiore. In quella tornata, non posso non ricordare il segretario del Movimento sociale italiano, Pio Turchetti, che da anni si impegnava come candidato alla Camera sapendo di non ave-re nessuna possibilità (anzi, talora la candidatura gli generava qualche problema sul lavoro). Dopo i cambiamenti di Tangentopoli, che avevano creato alcuni spazi, quell’elezione poteva significare per lui il riscatto di una vita; invece fece un passo indietro per offrire a me la possibilità di candidarmi in uno dei collegi più sicuri. Una grande intelligenza e una grande generosità, che hanno fatto sì che io avessi

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la mia occasione. Sono diventata consigliere provin-ciale di opposizione a Vicenza e poi ho dato le di-missioni per far cadere la Giunta. Persi le successive elezioni provinciali: mi costò molto quella sconfitta, ma mi formò.

>Tu sei entrata in Regione nel 2000, ed eri il più giovane consigliere del Veneto.Ero il più giovane consigliere d’Italia in assoluto. In quel periodo mi è stato permesso di decidere le Commissioni a cui partecipare: ho scelto Agricoltu-ra e Cultura. La commissione Cultura mi ha portato ad approfondire le competenze sull’istruzione e in parte sulla formazione, e ovviamente l’Agricoltura tutti i temi agricoli e quelli venatori… le materie che mi interessano di più.

>Come ci si sente a 28 anni in Consiglio regionale?È una cosa che può dare alla testa… All’epoca ero ancora all’Università, studiavo Giurisprudenza a Padova. Ottieni attenzione, rispetto, ti trovi a vive-re veramente in un contesto particolare… e guada-gni tanti soldi. Ho avuto la fortuna di non cascarci. Grazie alla mia storia e alle persone che hanno ac-compagnato la mia crescita, ho i piedi ben piantati per terra – anche se la testa rivolta al cielo. Mi sono quindi preparata, ho presentato diversi progetti di legge.

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>Donna, giovane, politica. Non era facile azzec-care il filotto.In effetti, negli anni giovanili della mia militanza non si contavano molte donne. Quando sono stata eletta segretario provinciale del Fronte della gioven-tù, in Italia c’erano due donne con la stessa carica, oltre a me: Alessia Rosolen di Trieste, oggi asses-sore al Lavoro del Friuli Venezia Giulia, e Giorgia Meloni, oggi ministro. L’ambiente della Destra è prettamente maschile, anche se non posso definir-lo maschilista perché gli uomini mi hanno sempre sostenuto per candidature anche importanti. Era un mondo maschile perché non c’erano ragazze che ve-nivano da noi in sezione, ma il partito a noi ha sem-pre dato grande spazio. Nella mia esperienza, anzi, ho anche tratto vantaggio dal fatto di essere donna: ero una sorta di mosca bianca nel panorama della Destra, che aveva bisogno di essere svecchiato.Devo dire che non ho fatto politica al femminile, mai cavalcato le classiche pari opportunità o utilizzato la strategia del “parlare alle donne”, perché lo tro-vo avvilente: una condizione di remissione culturale, un complesso di inferiorità per cui devi parlare al tuo recinto e basta. In questi anni ho visto cambiare le cose, e ho visto una maggiore consapevolezza da parte delle donne, che votano le donne perché pre-miano la preparazione, non l’appartenenza di sesso. Ma non è morto il principio per cui, in quanto don-ne, dobbiamo essere più brave degli uomini.

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>Più brave?La mia esperienza mi fa dire questo. Appena sono giunta in Regione, molti mi guardavano… se andava bene con curiosità, e se andava male con supponenza, spesso col classico pregiudizio del “in quanto donna, si sa com’è arrivata dov’è”. E così ho sempre cercato di ascoltare, di essere preparata, di non prestare il fianco, perché so che niente mi viene perdonato. Io vedo che i miei colleghi maschi si permettono di es-sere alle volte scanzonati e anche un po’ superficiali, perché tutto sommato c’è sempre una possibilità di recupero. Per noi donne non è così. Sulla scorta di questo ragionamento, ho poi cambiato percezione dell’universo femminile. Mi sono detta: se in que-sto contesto mi guardano così perché donna, pro-babilmente vale lo stesso per tutte le donne che si impegnano, anche in professioni diverse. Da questa comunanza non voglio far derivare discorsi di alle-anze o di lobby; ho semplicemente provato a rive-dere concettualmente le mie azioni, le mie strategie. Ho cominciato a fare politiche più attente verso le peculiarità al femminile: i tempi della vita, la sensi-bilità, la preparazione, la discrezione e la praticità. Cerco di essere più dolce e garbata, cerco di ascoltare anche più di prima; credo che queste siano caratte-ristiche più femminili, ma che giovano alla politica in senso generale.

>La tua esperienza in Regione è fortemente se-

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gnata dal rapporto con Sergio Berlato.Io devo molto a Sergio Berlato. La prima volta che venne eletto, fu come esterno ad Alleanza nazionale, nel ’95. Prese una marea di voti, qualcosa come 12 mila preferenze, il numero più elevato di tutti i con-siglieri regionali in Italia. Il rapporto che lega me e Berlato è semplice: Nicola Pasetto mi aveva chiesto di affiancarlo politicamente, perché Sergio era bra-vissimo nell’amministrazione, con idee molto chiare, ma senza legami col partito. Quindi io collaboravo con lui per fare da collegamento. Nel ’99 lui scelse l’avventura europea e nel 2000, anche grazie al suo aiuto, io divenni consigliere regionale. Sergio Berla-to è una persona che lavora moltissimo, ogni giorno, rappresentando la risposta migliore all’antipolitica. Lui è sempre presente, basti pensare che è uno dei deputati più assidui del Parlamento Europeo. È pre-parato, studia molto, è aperto al confronto: ha fatto migliaia di incontri, in tutto il collegio elettorale.

>Arriviamo alla storia recente. Assessore…Ho innumerevoli deleghe. Quando mi sono state as-segnate, non ho dormito per due giorni. Poi ho co-minciato a studiare. Non è da sottovalutare l’impat-to, anche in termini economici, di incarichi così forti, perché Istruzione, Formazione e Lavoro significano tante risorse da gestire, fondi comunitari, rapporti con l’Europa e col mondo del lavoro. E tutto questo nel Veneto, che coincide con un’economia dinamica,

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vivace, parcellizzata, quindi difficile da gestire.Inoltre: la Protezione civile, che vuol dire ben 16 mila persone; il Volontariato, che in Veneto è di grande generosità e rilevanza; la Caccia, cui ero pro-fondamente interessata, perché gran parte del mio elettorato chiedeva a me di gestire il tema venato-rio; la Tutela del consumatore, con la Sicurezza ali-mentare e i Servizi veterinari. Questa nuova delega è centrale, perché la nostra è una Regione leader nel settore primario, anche per quanto riguarda l’agri-coltura di trasformazione.

>L’assessorato alla caccia è stato piuttosto discusso.Mi domandano spesso come fa l’assessore all’istru-zione ad essere anche assessore alla caccia, o come fa una donna a essere a favore della caccia. Quasi che la caccia fosse qualcosa di brutto, disumano e con-tro natura. La caccia invece è una grande tradizione della nostra terra, connaturata all’uomo. Ritengo che la caccia e i cacciatori siano stati osteggiati da una forma di ambientalismo molto materialista, lontano dalla tradizione rurale della nostra terra dove l’ani-male è sempre servito alla vita della famiglia, dove le famiglie più povere avevano la necessità di procac-ciarsi il cibo e instauravano un rapporto di grande equilibrio e di rispetto con la natura, perché la natu-ra era la fonte del loro sostentamento.Difendo la caccia perché l’uomo cacciatore è un fatto del tutto naturale, perché fa parte della nostra

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tradizione contadina, perché il cacciatore è il primo ambientalista.

>A quali principi ti sei ispirata nell’azione politica?La persona come centro delle scelte politiche e la comunità come orizzonte di riferimento. Su questi due pilastri ho costruito la mia azione in seno alla Giunta regionale con le mie deleghe.

>Ricordiamo che potresti essere onorevole…Quando sono stata eletta alla Camera dei deputati, nel 2006, non ho avuto la minima esitazione a di-mettermi. Innanzitutto avevo una preoccupazione: quella di essere tentata da una strada più semplice, che poi costituisce proprio il rischio della casta… Lì davvero rischi di alienarti dalla realtà. È senz’altro possibile svolgere il lavoro di deputato in maniera seria e incisiva, impegnandosi a fondo e investendo tempo e risorse; ma è ancora presente la possibilità di rifugiarsi in un cono d’ombra, un’area grigia che garantisca la permanenza nel sistema a fronte di un apporto marginale, a patto di non distinguersi con eclatanti episodi negativi. Il ruolo del deputato, se-condo me, può diventare abbastanza comodo, e la tentazione di “sistemarmi” poteva esserci. Però avevo la consapevolezza che 13.651 persone avevano scrit-to “Donazzan” dandomi una fiducia straordinaria, perché quando scrivi il cognome di qualcuno lo sce-gli. Mi sono sentita investita da una responsabilità

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forte, ma mi sono anche detta: a 31 anni ho la pos-sibilità di essere assessore della più bella Regione del mondo, della mia Regione, tra la mia gente… Ho deciso di continuare a fare l’assessore. E poi ero stata eletta da solo un anno, avevo tutto da dimostrare.

>Ti stai preparando a una nuova campagna elet-torale…Finora ne ho fatte una all’anno, se non per me per qualcun altro. Mi piace la parte più semplice della politica. Il contatto con la gente è la cosa più bella in assoluto, più gratificante, pur se questo rapporto ho cercato di tenerlo sempre, anche nei momenti isti-tuzionali.

>1989-2009: vent’anni di militanza politica; in cosa sei cambiata?Un aspetto di me che mi piace (perché me lo ri-conoscono gli altri) è che non sono cambiata. Mi ritengo cresciuta per le competenze che ho matura-to, sono migliorata per alcune percezioni delle cose, per come ho affrontato alcuni problemi, ma sono rimasta uguale nell’idealità, perché volevo interpre-tare un modo diverso di fare politica, uno stile diver-so, quello che non ti fa “casta”. La mia idealità è la passione, nel senso di passione politica sfrenata. Ho tanta soddisfazione e davvero tanta gratificazione in quello che faccio, e credo sia questo a permettermi di superare tutte le crisi e le difficoltà.

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>Il tuo sogno nel cassetto?L’ho sempre detto: il presidente della Giunta regio-nale. Secondo me la cosa più bella che può fare un politico che ama la propria terra è il presidente del-la Regione. A parte questo, mi piacerebbe portare a termine le strategie che abbiamo messo in campo: e quindi completare la riforma dell’istruzione, perché finora abbiamo difeso bene la scuola veneta per le proprie peculiarità, sempre avendo una prospettiva di crescita, che vuole andare verso un sistema real-mente integrato fra il mondo della scuola e quello del lavoro, rispondente ai fabbisogni del territorio. E poi ci terrei a lavorare ancora sulla cultura del volon-tariato, quello che manifesta senso del dovere verso gli altri.

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Cinque anni di... scatto- Il mandato per immagini -

Adunata Alpini 2008 a Bassano del Grappa

Rafting sul Brenta a Oliero

Premiazione “Scuola sicura”Festa del Donatore a Cima Grappa

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Inaugurazione del monumento al BersagliereCommemorazione dei Caduti in Ortigara

Inaugurazione del monumento al Bersagliere ciclista

Sull ’Ortigara e... ... sul Pasubio

L’assessore a Venezia

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Convegno “Alimentinsalute” con Galan e Coppola

Da sinistra: Donazzan, Sarracco, Alemanno, Berlato

Con Giorgetti e... PrezzemoloElena, Vittorio e Giorgia Meloni

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Alla Fiera della caccia

Firma del protocollo della riforma Gelmini

Presentazione ufficiale della mini leva

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Festa di Alleanza Nazionale

Con il Presidente Berlusconi a Verona per la visita del Santo Padre

Partenza dei mezzi per l ’Abruzzo Job & Orienta 2009

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Vendemmia a Montebello Vicentino

Da sinistra: Giovanna, Serena, Elena, Fabrizia

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Vendemmia a Montebello Vicentino

Cos’ho fatto per il Veneto- I risultati di cui vado fiera -

“Guardateci! Non siamo ancora spossati!Ritti sulla cima del mondo,

noi scaglieremo una volta ancorala nostra sfida alle stelle!”. Filippo Tommaso Marinetti

ISTRUZIONE Crescita delle persone, delle aspettative, e anche del-le opportunità di vita. Dalla scuola al lavoro.

Fatto!

ho difeso le risorse per la formazione iniziale por-tandole da 65 a 90 milioni di euro (a garanzia di gratuità per una scuola che altrimenti sarebbe con-siderata privata): 16.000 giovani assolvono gra-tuitamente l’obbligo formativo e ottengono una qualifica; il 97% dei diplomati, quando esce con una qualifica data dalla Regione, trova immediata-mente un posto di lavoro ho valorizzato gli Istituti tecnici con un patto Re-gione-Confindustria-Scuola: negli ultimi due anni

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si è verificata un’inversione di tendenza in Veneto rispetto ai licei, per cui gli istituti tecnici dello Sta-to hanno visto un elevato aumento del numero di iscritti, con picchi anche del 70% ho combattuto, prima Regione in Italia, la disper-sione scolastica: da noi i ragazzi non si perdono, affrontano con coerenza i percorsi di studi ho creato gli strumenti per orientare i giovani ver-so il successo formativo e lavorativo: Borsino delle professioni, banche dati sulla popolazione studen-tesca veneta, collegamento dei Servizi per il lavoro (pubblici e privati), monitoraggio degli esiti sul percorso di studi ho dato supporto alle scuole attraverso un con-tributo regionale per pagare una parte degli in-segnanti di sostegno per i bambini disabili o per quelli stranieri (con la previsione di quote di bam-bini stranieri nelle classi per favorirne realmente l’integrazione attraverso l’apprendimento) ho difeso la specificità veneta delle famiglie, man-tenendo il tempo pieno nella scuola primaria no-nostante i tagli alla spesa pubblica ho favorito le fasce di reddito più fragili finanzian-do il buono-scuola per le scuole paritarie, mante-nuto costante per questi cinque anni ho potenziato l’insegnamento della matematica e delle scienze e finanziato il progetto Lauree scien-tifiche (siamo stati monitorati dal sistema Ocse-Pisa, che ha valutato gli studenti del Veneto come i

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migliori in Italia per l’apprendimento della lingua italiana, della matematica e delle conoscenze nelle materie scientifiche) ho valorizzato il patrimonio storico e culturale del-la nostra terra, promuovendo il recupero delle “pa-gine strappate” sulle Foibe e l’esodo degli italiani di Istria, Fiume e Dalmazia, sulla Grande guerra, sulla diffusione della cultura alpina, sui grandi ve-neti della letteratura italiana… ho favorito l’educazione alla legalità nelle scuole con il coinvolgimento delle Forze dell’ordine, ap-profondimenti e convegni finanziati dalla Regione ho difeso la riforma della scuola, a partire dal me-rito e dal legame col territorio: voto in condotta, semplificazione degli indirizzi, responsabilizzazio-ne dei docenti nell’autonomia, maggiore coinvol-gimento del mondo del lavoro ho sostenuto i piccoli centri e le scuole di monta-gna ho creato i Distretti formativi legati a quelli pro-duttivi

ho finanziato progetti con l’Università connessi alle imprese e al mondo del lavoro: borse di stu-dio, assegni di ricerca, dottorati di ricerca e master (30 milioni in 5 anni). Il Veneto è stata la prima Regione ad applicare l’alto apprendistato, facendo entrare l’impresa nell’Università e portando i do-centi nelle imprese

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Da fare

emanare la legge sulla Scuola del Veneto: per applicare il Titolo V della Costituzione, con ul-teriori competenze in tema di organizzazione e programmazione dell’offerta formativa e gestione della spesa pubblica. Una legge che renda centrale il progetto educativo, che privilegi le competenze certificate, che valorizzi il ruolo degli educatori, che riconosca il servizio pubblico senza distinzione tra gestione pubblica e privata dare contenuti alla materia Cittadinanza e Costitu-zione, intesa come approfondimento della cultura e della tradizione della nostra comunità destinare ulteriori risorse per i laboratori e per i percorsi esperienziali sul lavoro, con accompagna-mento di un docente in qualità di tutor creare una figura professionale dedicata specifi-camente all’orientamento per accompagnare nella scelta della prosecuzione degli studi i ragazzi, le loro famiglie e i docenti promuovere concorsi in accordo col ministero dell’Istruzione per nuovi docenti e dirigenti, con l’obbligatorietà della residenza in Regione per al-meno cinque anni inserire insegnanti di sostegno per bambini certifi-cati: competenza in capo alla Regione per definire un contratto con risorse aggiuntive, favorendo la

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stabilizzazione della figura professionale e la con-tinuità didattica modificare il calendario scolastico della scuola se-condaria del secondo ciclo (superiori) per avere un periodo diverso di sospensioni: più diffuse e lun-ghe durante l’arco dell’anno, riducendo le vacanze estive (modello tedesco) creare i Poli scolastici per razionalizzare i labora-tori, le palestre, le sale conferenze, le mense, fa-vorendo l’utilizzo dell’edificio scolastico durante tutta la giornata per attività di studio, di aggrega-zione, di formazione creare il Politecnico del Veneto: ateneo diffu-so, rispettoso delle eccellenze e del policentrismo dell’alta cultura e della ricerca

FORMAZIONE E LAVOROFar dialogare scuola e lavoro, in una tradizione tutta veneta che ha visto nascere scuole sotto la spinta di illuminati imprenditori e che ha lanciato imprendi-tori usciti dalle scuole professionali e dagli istituti tecnici.

Fatto!

ho affrontato la crisi con la massima partecipazio-ne alle scelte da parte delle imprese e dei lavorato-ri, riprogrammando tutta l’attività e dando priorità

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assoluta al sostegno ai lavoratori (230 milioni di euro stanziati solo nel 2009) e alle imprese ho lavorato con le parti sociali per modificare gli strumenti degli ammortizzatori sociali per adat-tarli alle imprese venete: la Cassa integrazione guadagni in deroga, finora utilizzata solo per le grandi aziende, dal 2005 beneficia anche le piccole imprese e l’artigianato ho voluto e fatto approvare la legge regionale n. 3 del 2009 in materia di occupazione e di merca-to del lavoro: la legge Biagi del Veneto. La legge sul lavoro, la più importante di tutta la legislatura, introduce importanti strumenti subito utili per la crisi, e governerà il mercato del lavoro per i pros-simi anni ho favorito un modello di relazioni tra l’Istituzione e le parti sociali che non fosse legato alla “vecchia” concertazione, ma incentrato sulla massima parte-cipazione di tutti gli attori del sistema economico-sociale, aprendo anche al mondo delle libere pro-fessioni, prima non rappresentate ho applicato il motto: formazione dedicata alle imprese, non imprese dedicate alla formazione. Ho finanziato la formazione realmente richiesta, verificato tutti gli Enti di formazione accreditati presso la Regione (istituzione dell’Elenco regio-nale), riprogrammato le offerte coinvolgendo il territorio nella scelta delle priorità ho definito alcuni ambiti strategici (turismo, agri-

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coltura, restauro, artigianato, innovazione, ener-gie alternative, edilizia, spettacolo…), per andare verso una formazione non generalista ma rivolta a una reale necessità professionale ho potenziato il braccio operativo della Regione, Veneto Lavoro, per migliorare la capacità di go-verno a partire dal reale contesto esistente: Osser-vatorio sul mercato del lavoro, assistenza tecnica, progetti pilota per modernizzare gli strumenti per le nuove politiche del lavoro ho costruito rapporti credibili e costanti con il Governo nazionale per poter avere le risposte al territorio, alle imprese e ai lavoratori: casse inte-grazioni in deroga (2005-2009: 200 milioni di euro), risorse per progetti innovativi (12 milioni al Challenge: la sfida della qualificazione delle risor-se umane per lo sviluppo competitivo dei distretti produttivi veneti) ho sostenuto le esperienze formative nel lavoro: apprendistato, tirocini, stage, finanziati con risorse europee e regionali

Da fare

ribadire un nuovo ruolo della Regione nelle poli-tiche industriali, favorendo la contrattazione terri-toriale e aziendale secondo un principio di parte-cipazione creare un Ufficio dedicato alla semplificazione

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delle procedure di utilizzo dei fondi comunitari, dell’accesso alle opportunità regionali, in confron-to con gli operatori del sistema potenziare il ruolo dei Servizi per il lavoro rivol-gendoli alla ricerca dei posti di lavoro e non alla sola gestione del lavoratore in difficoltà favorire un Patto generazionale fra i trenta-qua-rantenni per farsi carico delle dinamiche dei pros-simi anni in un Veneto completamente cambiato e in transizione, per aprire opportunità, sciogliere impedimenti nelle professioni, nei ruoli dirigen-ziali pubblici e privati proteggere le fasce deboli con strumenti dedicati e non in competizione fra loro valorizzare e sostenere nei ruoli di tutor sul lavoro o a scuola le persone con esperienza: l’età è un va-lore, non dev’essere un peso

PROTEZIONE CIVILE(con l’Antincendio boschivo)

Grazie ai volontari, perché la forza della Protezione civile è la generosità della sua gente, ma è anche la capacità di essere organizzati e formati.

Fatto!

ho potenziato l’organizzazione, la formazione e

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l’aggiornamento (anche attraverso le esercitazioni annuali e straordinarie) ho cementato un rapporto forte col Dipartimento nazionale di Protezione civile e con Guido Berto-laso, che sa di poter contare sul Veneto ho creato il CFD (Centro funzionale decentrato), centrale operativa di Protezione civile direttamen-te collegata al Dipartimento nazionale ho dotato tutto il territorio regionale di Piani co-munali di Protezione civile, finanziati dalla Regio-ne ho creato bandi per finanziare i mezzi, le dotazioni e le sedi, in modo da poter riordinare sul territorio, diviso in Distretti secondo le tipologie di rischio, l’intera struttura di Protezione civile: oltre 7 mi-lioni di euro alle organizzazioni di volontariato e 11 milioni per il potenziamento degli Enti locali tra cui i Distretti (risorse erogate dal 2005 al 2009) ho riorganizzato la Protezione civile per aree di specializzazione: antincendio boschivo, soccorso alpino, trasmissione, cinofilia, subacquea, aerea, sanitaria, sicurezza. Accanto ai volontari generici, ho inserito gruppi specializzati per costituire la Colonna mobile regionale ho favorito il coordinamento regionale dei grup-pi specialistici attraverso la firma di convenzioni specifiche ho fatto crescere il momento di incontro regiona-le del sistema di Protezione civile (al Meeting di

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Lonigo hanno partecipato, dal 2005 al 2009, quasi 7.000 volontari) ho istituito i campi avventura per promuovere nel-le scuole superiori la conoscenza del volontariato: campi estivi organizzati dalla Protezione civile e articolati nelle varie specializzazioni ho creato l’“Ufficio grandi eventi”: Adunata nazio-nale alpini Asiago 2006, Adunata nazionale alpini Bassano del Grappa 2008, visita del Papa a Lo-renzago di Cadore e a Verona, inaugurazione del Passante di Mestre ho seguito personalmente la presenza di nostri vo-lontari durante la lunga permanenza in Abruzzo. La Regione Veneto è stata la prima ad arrivare, la più importante per i numeri: oltre 4.000 uomini e donne si sono avvicendati per aiutare altri fratelli d’Italia ho informatizzato tutto il sistema con una banca dati leggibile ovunque e in ogni momento: ogni volontario sarà dotato di tesserino di riconosci-mento contenente tutti i dati che lo riguardano, ogni mezzo sarà immediatamente localizzabile e utilizzabile ho favorito la nascita della “mini leva”: un’espe-rienza su base volontaria, sperimentata nel 2009 da 150 ragazzi (dai 18 ai 25 anni). Visto il succes-so, il ministro La Russa ha convinto il Governo a finanziare il “Progetto pianeta difesa”, che lui chia-ma stage sportivo-militare, aprendolo a tutti i com-

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parti dell’Esercito. Il finanziamento è per i pros-simi tre anni, per 5.000 uomini e donne all’anno.

Da fare

trasformare la nostra struttura regionale in un Di-partimento regionale di Protezione civile con le caratteristiche di quello nazionale, con personale adeguatamente formato e valorizzato il futuro e lo sviluppo del “Sistema regionale di Protezione civile” deve essere direttamente pro-porzionale alla creazione di un organigramma del-la catena di comando certo ed evidente, identifi-cando chiari ruoli a ciascuna delle componenti del sistema, sia essa appartenente alle Organizzazioni di volontariato che alle Istituzioni assegnare ai DOGE (Disaster Manager), nell’am-bito del Sistema del volontariato, un ruolo a sup-porto dei sindaci, dei Distretti e delle Organizza-zioni di volontariato completare l’acquisizione di tutti gli strumenti e le competenze necessari al mantenimento e allo svi-luppo della Colonna mobile regionale, investendo in tecnologia e comunicazione a beneficio dei vo-lontari e delle Istituzioni del “Sistema regionale di Protezione civile” realizzare a Bonisiolo, nel Comune di Mogliano Veneto (Tv), il Polo logistico della Protezione ci-

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vile del Veneto con un magazzino attrezzature e mezzi in grado di soddisfare gli eventi e le emer-genze tipiche del Veneto a supporto della Colonna mobile nazionale di Protezione civile incrementare ulteriormente le attività di formazio-ne dei volontari di Protezione civile, degli Ammi-nistratori pubblici, dei funzionari e dirigenti: una moderna Protezione civile potrà esserci solo se la formazione capillare e multilivello verrà organiz-zata e distribuita, anche con le risorse del mondo delle imprese

CACCIABattaglia di valorizzazione della cultura che ha a che fare col mondo venatorio, in particolare mediante progetti dedicati alla scuola.

Fatto!

ho promosso la conoscenza della tradizione ve-natoria sotto l’aspetto culturale: pubblicazione di testi su falconeria, biologia alpina, cucina, poesie; cura della mostra su Rigoni Stern ospitata al Salo-ne del libro di Torino; convegni; Premio Cacciato-re gentiluomo e gentildonna ho fatto in modo dal 2002 che i cacciatori del Ve-neto possano cacciare secondo le nostre tradizio-ni venatorie con la caccia in deroga. Siamo stati

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la prima Regione in Italia nell’applicazione della Direttiva 409/79, grazie anche al lavoro svolto in sede nazionale per modificare la legge ho difeso in sede di Governo nazionale il dirit-to dei cacciatori del Veneto di andare a caccia se-condo le normative europee, e anche davanti alla Commissione Ambiente del Parlamento Europeo e al Tar del Veneto ho favorito il ruolo delle associazioni venatorie (riconosciute per legge) nell’informare e formare i propri associati nella conoscenza delle diverse nor-mative comunitarie ho sostenuto le associazioni ornitologiche e i loro momenti di aggregazione e di crescita ho favorito una corretta gestione del patrimonio faunistico-venatorio nel rispetto delle normative, dei dati scientifici e delle tradizioni del territorio ho portato in approvazione il Piano faunistico ve-natorio dopo dieci anni, per aggiornare gli stru-menti di pianificazione territoriale ho finanziato piani di ripopolamento e di manu-tenzione del territorio ho coinvolto il mondo venatorio nella gestione di emergenze sociali e ambientali (aviaria, rabbia), come sentinelle sul territorio

Da fare

far modificare la legge nazionale 157/92 per ga-

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rantire piena e pari dignità ai cacciatori nei con-fronti dei loro colleghi europei, in particolare per quanto riguarda l’abrogazione dell’obbligo di cac-cia in via esclusiva, la conversione delle sanzioni penali in amministrative, la possibilità di cacciare la selvaggina migratoria su tutto il territorio re-gionale vincolando la caccia stanziale al territorio degli ambiti di appartenenza, la modifica del ca-lendario venatorio per cacciare per periodi e per specie, togliere le giornate di silenzio venatorio che rappresentano una anomalia nel panorama europeo far approvare la creazione dell’Istituto regionale per la fauna selvatica incaricato di dare paraeri tecnici e scientifici per la corretta gestione del pa-trimonio faunistico costituire un intergruppo in Consiglio regionale per la caccia sostenibile, per la biodiversità e le at-tività rurali modificare la legge sui Parchi perché possa esser-ci una gestione equilibrata dell’attività dell’uomo all’interno delle aree protette favorire il controllo delle specie nocive in ogni luo-go, considerando i danni all’equilibrio della fauna selvatica dovuti a una presenza incontrollata e in-vasiva

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TUTELA DEL CONSUMATOREIl principio cardine delle mie scelte politiche: un consumatore è libero quando è informato.

Fatto!

ho strutturato una delega che non aveva contenu-ti né risorse: nel 2005 pochissime competenze e circa 80 mila euro; nel 2010 una legge approvata, rapporti col ministero per le Attività produttive (per le risorse della lotta alla contraffazione), e 2 milioni di euro disponibili ho coinvolto e responsabilizzato a un’azione con-divisa le Associazioni dei consumatori riconosciu-te per legge, alle cui attività destinare una parte consistente di risorse ho fatto approvare la Legge per la tutela dei con-sumatori, degli utenti e per il contenimento dei prezzi al consumo ho firmato accordi con Camere di commercio e Associazioni di categoria dei commercianti e degli artigiani ho realizzato progetti per la lotta alla contraffa-zione, ai prodotti pericolosi e non controllati, ai prezzi ingiustificati, per favorire la cultura della corretta informazione ho difeso i prodotti italiani e veneti attraverso la cultura della scelta consapevole anche nel consu-mo quotidiano, sapendo che non si acquista solo

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un prodotto, ma una storia, una tradizione, un po-sto di lavoro, una opportunità di vita di chi ci ha lavorato ho pubblicato il Codice del consumo, commentato e distribuito con ausilio telematico, nella massima trasparenza e gratuità ho istituito la Giornata del consumatore, itineran-te nelle città del Veneto ho partecipato come Regione capofila ai momenti nazionali sul tema

SICUREZZA ALIMENTARE (con i Servizi veterinari)

Fatto!

ho costruito una delega che non esisteva, coinvol-gendo il mondo della produzione agricola, della trasformazione, della commercializzazione, degli organi scientifici e di controllo ho costituito l’Unità di coordinamento per la si-curezza alimentare (UCSA) e un nucleo speciale di veterinari (NORV) per un controllo ancora più efficace, in coordinamento con le Forze dell’ordine ho valorizzato la sicurezza dei nostri prodotti, con il progetto Alimentinsalute, promuovendone la bontà, il legame col territorio, le qualità nutrizio-nali, la tradizione: attraverso le scuole, i medici di

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base, i pediatri, gli organi di stampa, la massima diffusione in eventi popolari ho assegnato un riconoscimento ad alcuni prodotti del Veneto che hanno fatto un percorso di ulterio-re attenzione per la sicurezza alimentare, adeguan-dosi all’apposito disciplinare

Da fare

promuovere costantemente il progetto Alimentin-salute per tutelare quei prodotti sicuri e buoni che nel Veneto rappresentano tanti posti di lavoro sostenere la battaglia per il made in Italy come certificazione dei nostri prodotti strategici, e con-tro la contraffazione e lo scorretto utilizzo di un marchio riconosciuto nel mondo come garanzia di qualità, di storia, di fascino del bel e buon vivere (unica materia prima di cui l’Italia è ricca e sulla quale può costruire il proprio futuro economico e sociale)

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Dal mio diario- Racconto, per appunti, di una settimana tipo -

“Non esiste vento favorevole per chi non sa dove andare”.

Seneca

La mia vita è piuttosto intensa. Ma non potrebbe essere diversamente, vista la mole degli impegni e il mio lavoro in una Regione vitalissima.Può esserne un esempio il resoconto di una giornata qualsiasi, il 30 novembre 2009. In quel giorno ho partecipato a cinque incontri: alle 9 il convegno “Le strutture operative di Protezione civile”, alle 10 “I la-vori che ti aspetti” per gli studenti delle classi quinte delle superiori, alle 11 “Acqua e sostenibilità am-bientale. Nuovi stili di vita”, alle 14.30 il cinquante-simo dell’attività formativa della Fondazione Cuoa, alle 20.30 una trasmissione televisiva su “Giovani. Dal bullismo ai buoni esempi”. Siccome c’erano persone che dicevano «Non rie-sco ad avere un appuntamento con te» o «Mi ricevi solo fra tre mesi», sono arrivata a pubblicare la mia agenda su internet, tranne i fatti del tutto privati: ma quando c’è un buco di un giorno e mezzo si capisce

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che sono andata a trovare il mio fidanzato…Se sarò rieletta, inviterò una volta al mese un cittadi-no a trascorrere una giornata con me. Così ci si ren-derà conto che salto il pranzo, che bevo pochi caffè perché mi fanno mal di stomaco, che devo sorridere tanto perfino quando non ne ho voglia, che cerco di essere sempre disponibile anche quando magari non lo si nota.

Alla mattina esco di casa fra le 8 e le 8.30. Ci voglio-no purtroppo due ore per andare a Venezia, e una vita se prendi il treno. Due ore durante le quali leggo i giornali (cinque quotidiani al giorno) e cerco di ri-spondere alle tante telefonate.A Venezia, riunioni di Giunta, poi gli appuntamenti - coi dirigenti. Nel pomeriggio ci sono incontri sul territorio, spesso convegni organizzati direttamente da noi o da chi mi invita. Ho cercato di andare io verso la gente in tutti questi anni: verso le impre-se, nei momenti di aggregazione dei lavoratori. La politica democristiana di avere il confessionale dove tutti devono venire con la testa china non mi piace. Credo che i politici siano al servizio dei cittadini: sono io che devo andare verso loro, non il contrario.Alla sera, sempre riunioni: non rientro a casa prima di mezzanotte, mai, di solito sono anche le due.I tempi di trasferimento in auto sono dedicati alle telefonate. Tempo ce n’è: negli ultimi cinque anni ho percorso 500 mila chilometri…

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Tutto questo sette giorni su sette, sabati e dome-niche compresi. L’unica giornata che si discosta un pochino è la domenica: preferisco manifestazioni pubbliche dove c’è la messa, così assolvo l’obbligo; e il pomeriggio e la sera cerco di stare a casa con mia mamma e mia sorella. Nel tempo in casa, faccio le pulizie, prendo in mano la scopa elettrica e pulisco, riordino tutto e mi arrabbio se non trovo le cose: è il mio metodo di decompressione, o forse una mania.Ogni 15 giorni vado a Roma: mi tocca Roma, oserei dire. Perché, con le Regioni che hanno avuto molte competenze su materie concorrenti, bisogna anda-re due volte al mese a queste riunioni che durano un pomeriggio e la mattina seguente. Quindi vado a dormire presto, e di solito mi mangio un panino schifoso in camera d’albergo perché mi deprime mangiare da sola in un ristorante. Questa è l’organizzazione delle mie settimane: lune-dì lo dedico al territorio, spesso di Thiene-Vicenza; martedì sono sempre a Venezia; mercoledì e giovedì ogni 15 giorni Roma o altrimenti Venezia (sedute del Consiglio regionale); venerdì, i convegni al mat-tino, mentre il pomeriggio lo dedico al Bassanese; sabato e domenica tocca a convegni, manifestazioni, tagli di nastro in tutto il Veneto. Ho cercato real-mente di fare l’assessore regionale, pur avendo un occhio di riguardo per la mia provincia: non si può essere miopi al punto tale da preferire la propria pe-

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culiarità a una visione d’insieme del Veneto. Durante il giorno non prendo quasi mai telefonate se sono impegnata a parlare con qualcuno, perché trovo profondamente maleducato interrompere una conversazione fisica per farne una para-virtuale. È per questo che non sono in Facebook. Ho un gruppo che mi segue su internet, ma se fossi impegnata a ri-spondere a Facebook lo troverei irrispettoso nei con-fronti dell’attenzione che devo a chi mi sta di fronte.Rispondo di sera tardi ai messaggi. Ma non è per-ché io soffra di insonnia. Ho un sonno pazzesco. In macchina dormo spesso, ma non solo. Tra le mie esperienze di vita, ho dormito su un elicottero mi-litare in volo da Roma a Pisa e in un cargo militare da Bologna a Belgrado: era l’8 marzo, avevo deci-so di onorare in modo diverso la Festa della donna, andando a trovare i nostri militari, all’epoca c’era la Brigata Julia. Dormo in treno, in aereo non mi ac-corgo nemmeno che sto rullando sulla pista, dormo su una sedia. E non mi drogo. Vacanze ne faccio poche, e in Italia. Mi piace tut-to, camminare in montagna, visitare le città d’arte, anche se credo in fondo di essere più una pigrona da mare: il sole, l’acqua. Sono legata in particolare a Trieste, per il suo carattere patriottico: per anni è stata allontanata dalla terra natia, ha avuto i primi irredentisti nei caffè dei letterati, è così legata alla

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storia dell’Istria e della Dalmazia e… ci abita la mia migliore amica, Alessia Rosolen, anche lei assessore al lavoro. È indubbio che per la vita politica ho sacrificato la mia vita privata, ma ne è valsa la pena. A dire la ve-rità, non li ho mai visti come sacrifici. Ho sempre avuto tante gratificazioni, per cui va bene così. Resta davvero poco tempo per se stessi, ma si fa perché la soddisfazione delle persone, soprattutto di quelle più semplici, è molto più importante.Vedo che le persone mi guardano con simpatia. Che mi trovi in un convegno patinato o vada a fare la spesa - raramente peraltro - o passeggi per la città, ricevo un sorriso di benevolenza. Essere guardati col sorriso è per me una vittoria. Uno dei miei obiettivi era infatti dimostrare che i politici non sono tutti uguali. Io non mi sento né meglio né peggio, ma di-versa, e tendo a rappresentare questa mia diversità in tutti i modi e in tutti i contenuti.

Per rilassarmi, torno a casa alla sera e abbraccio i miei cani. Faccio pet therapy: c’è gente che paga, io ce l’ho gratis. E cerco di ridere, tanto.

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I miei numeri- Un piccolo gioco istruttivo -

“Ti con nu, nu con ti”. Motto della Serenissima

0 gli schiaffi ricevuti

1 Dio

2 i genitori

3 le paia di anfibi

4 i cani

7 gli anni di fidanzamento con Vittorio

– lui se ne ricorda solo 3

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8le deleghe: Istruzione, Formazione, Lavoro,

Protezione civile, Caccia, Antincendio boschivo, Tutela del consumatore, Servizi veterinari

9 novembre caduta del muro di Berlino

10 le camicie bianche

12le ore passate in piedi all’Adunata

degli Alpini di Bassano del Grappa

14 le Adunate degli Alpini alle quali ho partecipato

20 gli anni di militanza politica

22 il giorno del mio compleanno (giugno)

26 gli amici

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37 l’età

39 il numero di piede

350 i giorni lavorativi in un anno

1994 la prima manifestazione a Bassano del Grappa

2.000 gli incontri fatti sul territorio dal 2005 a oggi

3.000 le delibere approvate dalla Giunta

solo per argomenti delle mie deleghe

13.651 le persone che hanno scritto Donazzan

nel 2005 sulla scheda elettorale

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I momenti che non dimenticherò

- Incontri, episodi, esperienze di vita -

“Voi pensate che i tempi sono cattivi, pesanti, difficili.Vivete bene e muterete i tempi”.

Sant’Agostino

– GIORNI DI GUERRA –Avevo manifestato la mia contrarietà all’attacco in Iraq, eravamo nel 2003, e avevo tenuto alcuni in-contri sul tema. Col mio collega Iles Braghetto de-cidemmo di andare sul posto e partimmo il giorno stesso in cui Blair, Bush e Aznar si ritrovavano alle Azzorre per decidere il da farsi. Andammo a Roma, ottenemmo il visto di accesso all’Iraq, partimmo con l’Associazione di amicizia Italia-Iraq, atterrammo e da subito capimmo che la situazione era del tutto impari.Da parte degli iracheni c’era una totale benevolen-za, nei confronti soprattutto dell’Italia. A noi, sfa-tando ogni forma di propaganda che sentivamo in Occidente, non hanno chiesto niente se non cosa volevamo vedere e fare nei tre giorni di permanen-za. Stupiti della disponibilità, chiedemmo di vedere l’ospedale pediatrico, per capire cosa potevamo fare, di incontrare Tarek Aziz, allora vice primo ministro,

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e il vescovo di Bagdad, di visitare l’università, l’uni-ca cristiana di tutto il Medio Oriente. In cambio, ci pregarono solo di visitare il loro Mausoleo nazionale. Il primo giorno riuscimmo a incontrare il vesco-vo e il rettore dell’università, che ci fece visitare la parrocchia cristiana; all’ospedale non ebbi il corag-gio di guardare: c’erano bambini con malformazio-ni orribili, vittime dei bombardamenti con l’uranio. Agghiacciante. Ci domandarono di far arrivare dei medicinali, il cui invio era stato bloccato a seguito dell’embargo attivo da dieci anni e che stava per sca-dere.La sera il rettore ci accompagnò a cena in un risto-rante, deserto per mancanza di soldi tra gli irache-ni. Io potevo girare tranquillamente, senza veli sulla testa. Secondo me non c’erano armi di distruzione di massa, e purtroppo noi abbiamo fatto un disastro vero.Dopo la cena tornammo a casa del rettore, lui ri-cevette una telefonata da Parigi, e lo vedemmo sbiancare. Avrebbero dato 48 ore agli osservatori dell’Onu per lasciare l’Iraq. Tornammo in albergo, lo Sheraton, di fronte all’hotel Palestine, dove c’era-no tutti i giornalisti. Alcuni di loro ci invitarono ad andarcene subito dal Paese, solo che il nostro volo sarebbe partito tre giorni dopo. Panico.Andai a letto vestita, con le valigie fatte e le ten-de tirate per accorgermi in tempo reale di eventuali bombardamenti. La mattina ho incrociato un arabo

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e ho visto che mi guardava male: noi eravamo di-ventati i nemici. Sono scesa per fare colazione e non mi sono mai sentita così male. Nella sala da pranzo vuota non c’era nulla di preparato. La cameriera ci guardava speranzosa, pensava: se questi sono oc-cidentali e sono qui a fare colazione, vuol dire che va tutto bene. Andammo alla reception e l’addetto, con un sorriso caldissimo, ci disse: «Spero tanto di rivedervi». I cellulari erano oscurati. Ci recuperò il responsabile della sicurezza, che era uno dei Servi-zi di Saddam Hussein: dovevamo imbarcarci subito perché l’aeroporto chiudeva dopo un’ora. Salutando-ci, disse: «Loro potranno bombardarci dal cielo, ma quando scenderanno a terra li sbraneremo». In quel momento tifavo per lui.Abbiamo preso l’ultimo volo in partenza dal Sad-dam Hussein Airport, che poi avrei rivisto in foto, distrutto. Per far salire noi, hanno tenuto a terra tre persone. Questo è un magone che mi porterò dentro sempre.

– IL CAPPELLO ALPINO –Adunata degli alpini di Bassano del Grappa 2008, la più bella esperienza politica della mia vita, vale a dire la massima soddisfazione per come sono stata in grado di vivere quel momento: non solo una rap-presentanza istituzionale, un atto dovuto, non solo un grande palcoscenico, ma anche la più alta realiz-zazione dei principi che ho dentro di me.

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Terminata la sfilata, avevo posato accanto a me il cappello di mio padre, perché sapevo quanto ci avrebbe tenuto lui a essere lì con me. Mi giro e vado per salutare, quando il Comandante delle truppe al-pine, gen. Petti, mi chiama: «Assessore, ecco il suo cappello». Io rispondo: «Guardi, dev’essere di qual-cun altro, quello di mio padre è lì». Lui risponde: «Quello è di suo padre, questo è il suo». Mi sono trovata arruolata nel 7° Alpini, battaglione Feltre…

– TRA I CATTOLICI DI BELFAST –L’Irlanda, Europa piena, è ancora una nazione divisa da un muro, dall’odio, dalla prevaricazione e soprat-tutto dal fatto che c’è una potenza che si comporta come una colonialista nei confronti dei propri con-fratelli, a pochi passi da quella Bruxelles che raccon-ta a tutti quali sono le regole e i diritti dell’uomo. Assieme ad altri componenti del mio movimento politico, ho partecipato alla manifestazione che i cattolici di Belfast fanno in risposta alla marcia degli orangisti. A luglio di ogni anno, i protestanti sfilano per le strade della città, per ricordare la conquista di Guglielmo d’Orange, e lambiscono i punti di con-tatto coi quartieri cattolici: molto spesso succedono tafferugli. Erano diversi anni che non ne capitavano.Noi raggiungiamo il quartiere cattolico più povero, andiamo a visitare la chiesa, incontriamo il sacerdo-te. Padre Gary ci spiega che i buchi nella chiesa sono dovuti al fatto che gli orangisti buttano delle molo-

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tov durante la marcia. A un certo punto vediamo ar-rivare dei blindati che si schierano e fanno da mura-glia, e lì sfila la marcia, molto rumorosa, degli inglesi. C’è una mamma con due bambini in passeggino. Le chiedo se non abbia paura, e lei mi risponde: «Devo-no imparare fin da piccoli com’è la vita qui». Partono le prime bordate di sassi. Il disastro. Ci troviamo col parroco che stacca pezzi di muretto dalla chiesa per tirarli addosso alla polizia inglese.La situazione dell’Irlanda è ai confini della realtà, se pensiamo che siamo nel 2010. I cattolici dell’Irlanda del Nord non possono fare carriera, non possono es-sere assunti nella pubblica amministrazione oltre un certo grado, non possono entrare nelle forze dell’or-dine, sono trattati realmente come cittadini di serie B. Addirittura il fermo di polizia dura 48 ore se sei cattolico, 24 se sei protestante. E l’Europa tace.

– PER LA BANDIERA –Un incontro importante è stato quello con Gian-franco Paglia, paracadutista della Folgore, medaglia d’oro al Valor militare perché nel ’91 in Somalia, du-rante un conflitto a fuoco, venne colpito e perse l’uso delle gambe. Mi misi in contatto con lui perché volevo conoscer-lo. Gli chiesi come mai avesse voluto continuare a indossare la divisa, e lui mi disse: «Paracadutista per me è una scelta di vita, è una fede, un credo, e io vo-glio dimostrare che un uomo non è solo la sua pre-

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stanza fisica. Voglio continuare a vestire questa mia divisa perché ero disposto a morire per il tricolore».Eravamo sul Col Moschin e non nascondo che ho provato un certo brivido. Un giovane che, invece di piangersi addosso perché la guerra è brutta – affer-mazione verissima –, non si stava lamentando: era la dimostrazione della sua coerenza. Una forza morale che l’ha reso ai miei occhi superiore. Questa secon-do me è la figura dell’eroe. Brecht diceva una cosa aberrante: «Beato quel popolo che non ha bisogno di eroi». Io sostengo l’esatto opposto: beato il popolo che ha degli eroi, che li addita a modello, che li pone come esempio da seguire.

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Ho chiesto di parlare di me a…

- Il parere di alcune persone che mi stimano -

“I partiti cambiano, si adeguano alle situazioni,sono transeunti come il nostro futile tempo,

ma altrettanto sinceramente ho sempre credutoche i princìpi fossero eterni, e non mercanteggiabili

sul piano delle opportunità personali”. Elena Donazzan

Fabrizia Antonello > Ho cominciato l’avventura con Elena 10 anni fa. Ero una ragazzina appena uscita dall’università che vedeva la politica come un diver-timento nel tempo libero. Lei è riuscita a farmi amare così tanto quel mondo da far sì che prendesse la tota-lità delle mie giornate e dei miei pensieri. Ho sempre ammirato in lei la passione sfrenata per quel che face-va, la forza, la coerenza (a volte scomoda) e l’instanca-bilità. Ho condiviso con lei vittorie e purtroppo anche sconfitte, sempre con l’orgoglio e la consapevolezza che c’era qualcosa in più sopra le nostre rabbie, le nostre risate, i nostri pianti… la “cosa giusta” non è opinabile. Insieme a lei sono diventata donna…

Ilaria Capua > Una donna che mi sorprende sempre per la sua visione del futuro, i suoi princìpi e la sua determinazione.

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Isi Coppola > Sono veramente tanti i pensieri, le ri-flessioni, i sentimenti, i progetti e le piccole o grandi soddisfazioni che corrono nella mia presente memo-ria se mi fermo a pensare a questi anni con Elena, in Giunta regionale. La nostra comune cultura di Destra ci ha sicuramente sempre rafforzato nelle nostre scelte, e anche la nostra “vicentinità” è stata spesso un forte collante. Essere vicini, sostenere e condividere il per-corso politico e amministrativo di Elena, vuol dire dare continuità e valore al nostro Veneto e... se mi è per-messo... anche alle donne, che sanno aggiungere quel “sesto senso” che, in fondo, è il sale della vita e anche della politica.

Giancarlo Galan > Elena è una donna che ha nello sguardo quella certa luce che sempre illumina gli occhi di chi vive fino in fondo la passione civile, l’impegno politico. Elena è la “nostra ragazza”, il tipo di ragazza che non si tira mai indietro, che rischia, che se c’è da dirlo in faccia al mondo, lo dice e lo dice senza calcoli preventivi, senza timori, al di fuori o contro ogni com-promesso. Tutti sanno che anch’io sono portato a esprimermi in modo diretto, schietto, non conformistico. E sarà for-se questo il motivo per cui qualche volta sono rimasto sorpreso da quanto detto o fatto da Elena nel suo ruolo di dinamicissimo assessore. Il suo non conformismo è il mio non conformismo, però mi piace di più se sono io a interpretarlo. Se l’interprete è qualche altro, ecco che mi sorprendo. Credo si capisca così che Elena è

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stata la presenza più “galaniana”, nella mia Giunta, ga-laniana in un modo ben più “estremo” dell’originale. Ed è per queste ragioni che le auguro tutto il meglio che si può augurare a chi si mette di nuovo in gioco per il bene del Veneto.

Ignazio La Russa > La Donazzan è un soldato! Pro-babilmente assieme agli alpini è la persona che più ha contribuito e gioito della mia iniziativa per quella che è stata chiamata “mini-naia” dedicata alle giovani gene-razioni per farle crescere nell’amore di Patria, nel senso del dovere e dell’onore. Alla Destra il compito di di-fendere e promuovere questo patrimonio di valori che si traduce nel senso dell’appartenenza ad una storia, ad una terra, ad una bandiera, ad un popolo che vogliamo idealmente rappresentato da quei ragazzi che vestendo una divisa, in Patria come nei confini lontani, tengono alto il tricolore.

Morena Martini > Accanto alla donna politica, forte e determinata, ho saputo cogliere le caratteristiche di sensibilità che appartengono all’universo del suo essere femminile. Sensibilità che nulla toglie ma anzi arric-chisce l’approccio nei confronti dell’altro, del diverso. Sa garantire pari opportunità a tutte le istanze che le vengono proposte con una attenzione particolare a quelle legate al mondo giovanile e del lavoro. Elena Donazzan è una donna veneta, di un Veneto giovane e deciso. Con lei ho conosciuto la parte migliore del Veneto che studia e che lavora.

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Maurizio Sacconi > La persona prima di tutto! Non è e non deve essere solo un’affermazione di principio ma il tratto distintivo di quei valori della tradizione che ci devono guidare in questa sfida epocale. La persona in sé e nelle sue proiezioni relazionali: la famiglia, quale luogo delle relazioni affettive; il lavoro, quale espres-sione di un progetto di vita; la comunità e il territorio, quali ambiti di rapporti solidali. Ho condiviso questa prospettiva culturale ancor prima che politica con l’as-sessore Elena Donazzan, affrontando insieme una crisi che ha imposto una riflessione sul mondo per come lo abbiamo finora vissuto e per come dovremo, insieme, ricostruirlo.

Gianluca Vigne > La scuola, l’università, il sistema di formazione professionale, iniziale e continua, diver-ranno uno dei principali fattori di sviluppo economico e sociale per la nostra regione. L’impegno di Confin-dustria verso la creazione di competenze sempre più evolute in campo scientifico e tecnologico ha trovato nella Regione e nell’assessore Elena Donazzan un in-terlocutore e un partner istituzionale di alto livello. La programmazione regionale – lucida e pragmatica – non solo è stata ed è adeguata alle sfide, ma ha creato le con-dizioni perché la scuola e la formazione, l’impresa e il lavoro convergano verso livelli di eccellenza. La Regio-ne ha aperto finestre di dialogo vero. Il Veneto dell’in-novazione e della conoscenza ha ora basi più solide.

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Ripartiamo dall’abc- L’alfabeto del mio mondo -

“Se un uomo non è disposto a correre qualche rischio per le sue idee, o le sue idee non valgono nulla

o non vale niente lui”. Ezra Pound

Alpini > un mondo che ho idealizzato, che mi commuove, che mi riporta agli affetti di famiglia, al ricordo che rende vivo per sempre mio padre, che mi lega alla mia terra, alla mia Patria, al senso del dove-re. Valori che voglio lasciare alle parole di due grandi alpini: 1) “Buoni e semplici come eroi fanciulli; au-daci e prudenti come soldati di razza; robusti, resi-stenti come il granito dei loro monti; calmi, sereni come pensatori o filosofi; col cuore pieno di passione malgrado la fredda scorza esteriore, al pari di vulcani coperti di ghiaccio e di neve; tali apparvero nell’Alpe nostra gli alpini d’Italia” (Cesare Battisti); 2) “Ma cosa quel cappello significhi nessun alpino ve lo sa-prà mai dire per intero. Perché, a spiegarlo non si tratta di usar parole, ma la vita; si tratta della parti-colare maniera in cui si sono riempiti i giorni, le ore, i minuti della vita. E chi riesce, alla fine, a tirare le somme e a spiegare la vita?” (Giulio Bedeschi).

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Bandiera > è un simbolo; i simboli valgono per ciò a cui rimandano e che riconosci valido non solo per te. La mia bandiera è stata troppe volte offesa. Rap-presenta il passato ma anche quel sentirsi popolo che manca all’Italia: i peggiori detrattori dell’Italia sono gli italiani. Sono triste quando vedo che non si rispetta un simbolo nel quale dovremmo ricono-scerci tutti e per il quale dovremmo provare affetto. Quando c’è chi viene a Cima Grappa al sacrario mi-litare e la prende come una semplice manifestazione e non canta l’inno nazionale, offende quelle migliaia di Caduti, la nostra storia. Coloro che portano un simbolo, non lo stanno portando perché è il proprio ma perché sanno che in quel simbolo si sono rico-nosciute generazioni, uomini, appartenenze diverse.

Comunità > è la ragione per cui sono stata eletta (Faccio politica per riscattare una storia e una pa-tria). Diceva don Giussani che la genialità o è dentro a un popolo o è inutile. Significa che, se sei un indi-viduo geniale, fai per te; se sei una persona all’inter-no di una comunità, fai la bellezza, fai la costruzione di una città, la trasmissione di quello che hai.La comunità allargata è il popolo: un dato di par-tenza e un orizzonte comune. Il legame è la terra, la nostra radice, la nostra madre, il senso per cui siamo nati qui. Il poeta Marcello De Angelis dice: «Io sono

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nato qui perché qui dovevo vivere e questo pane do-vevo mangiare e questa lingua dovevo scrivere e par-lare e queste canzoni dovevo cantare e sotto questi ulivi dovevo dormire e quest’uva dovevo pestare e quest’aria dovevo respirare e sotto questa terra dovrò riposare. Tutto questo lo ha deciso Dio. E nessuno me lo può levare».

Destra > la cultura di Destra risponde a certe griglie di riferimento: l’amore di patria e il senso dell’onore, il rispetto per il patrimonio nazionale, la centralità della persona per la sua dimensione spiri-tuale, il primato dell’economia sulla finanza e della politica sull’economia, il primato delle scelte politi-che in prospettiva rispetto alla pianificazione di bre-ve termine. Dobbiamo avere le radici – come diceva Tolkien – profonde, che non gelano, ma dobbiamo guardare verso l’alto e sapere che c’è qualcosa dopo di noi. Questo è importante nella gestione della cosa pubblica, perché quello che hai trovato devi lasciarlo migliorato: è una eredità che ti viene data in prestito.La Destra di domani è anche la difesa della famiglia naturale, perché due uomini non possono fare un fi-glio; l’opposizione alla manipolazione genetica e la tutela del diritto alla vita fin dal suo concepimento; il rispetto per il fine vita; la valutazione dell’anziano non come problema sociale ma come patrimonio di saggezza, e l’aiuto agli anziani per restare all’interno della propria famiglia; il sostegno alle fasce più de-

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boli e ai non garantiti; la considerazione dei proble-mi sociali non come problemi di bilancio, ma come potenziali problemi per le generazioni future.Una Destra che sia responsabile del proprio ambien-te, che rispetti il patrimonio artistico e architettoni-co delle nostre città opponendosi alle speculazioni edilizie, che dia le giuste risposte infrastrutturali con serietà e trasparenza, che mantenga l’uomo legato alla terra, alla sua lavorazione e alla valorizzazione delle produzioni agroalimentari autoctone.

Educazione > educare, cioè introdurre alla realtà e al suo significato, mettendo a frutto il patrimonio che viene dalla nostra tradizione culturale, è pos-sibile e necessario, ed è una responsabilità di tutti. Tengo molto alla parola “educazione”, che è stata allontanata dal linguaggio in uso nelle scuole dal ’68 in poi. Io credo all’educazione, dal latino “educere”, condurre fuori, far venire alla luce; ogni persona ha una storia, dei talenti, delle aspettative, e il sistema educativo deve far crescere il meglio di lei e aiutarla nelle scelte che vanno compiute per la sua realizza-zione. Educare è certamente più difficile, più dispen-dioso, più duro che non insegnare, cioè tracciare un segno, mettere dentro.

Famiglia > la famiglia è il centro della mia vita. Ho imparato le cose più importanti proprio in seno ai miei affetti, mi sono formata come persona, ho

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trovato sostegno e conforto alle mie aspirazioni e ai miei sogni. La mia famiglia è l’educazione che ho avuto, e l’educazione che ho avuto è a sua volta quel-lo che cerco di tradurre nel mio agire quotidiano. Se credo nell’impegno politico è grazie ai valori di responsabilità e onestà che mi sono stati trasmessi.

Generazione > dovrebbe essere un patto fra chi condivide gli stessi problemi e le stesse esigenze, e per quanto riguarda la nostra ha un problema. Sia-mo i primi che staranno peggio dei propri padri, che hanno un modello sociale evolutosi alla velocità del-la luce, che vengono tenuti fuori. L’Italia non è un posto per giovani, c’è la gerontocrazia: abbiamo un numero ridicolo di dirigenti che hanno trent’anni, ci sono gli ordini professionali che parlano di deonto-logia e fanno griglia di accesso. Ti dicono che devi aspettare il compimento del sessantesimo anno di età, e allora sarai maturo. In altri Stati questo non esiste. Blair aveva trent’anni quando è stato primo ministro, Aznar più o meno la stessa età quando ha governato la Spagna, l’inventore di Google aveva 21 anni e a me dicono che sono un giovane assessore… Ma io ho 37 anni, non sono giovane! La nostra ge-nerazione deve fare un patto, una lobby a viso aperto: “io aiuto te, tu aiuti me”, altrimenti non rompiamo questo meccanismo.

Hobbit > il fantastico, il mondo di Tolkien come

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metafora della vita, della lotta tra il bene e il male, di un mondo fatto di appartenenze, di gerarchie spi-rituali, dell’amicizia come valore assoluto, del senso dell’onore che lega per sempre nella battaglia, quan-do la parola data vale come un patto di sangue se in ballo c’è la sopravvivenza del proprio mondo, delle proprie tradizioni, della terra dei padri. Questo stra-ordinario professore cattolico di Cambridge venne scoperto dalla giovane Destra degli anni Settanta, che voleva superare lo schematismo fascismo-anti-fascismo per dare un senso nuovo alla propria bat-taglia politica, per parlare alla propria generazione con un linguaggio eterno. Giovani innamorati di una Destra comunitaria che trovava ispirazione nel-le canzoni della Compagnia dell’Anello.

Identità > identità come genio, creatività, unicità, tradizione. L’identità non è mica un fatto nostalgico o museale. Non è solamente un dato di partenza, è una continua affermazione di coerenza. Vale per la persona (nessuno nasce oggi, siamo figli di qualcu-no e nipoti di qualcun altro) e per la sua dimensio-ne comunitaria (il mondo è fatto di legami, chi li recide è un uomo senza radici e, come una pianta, muore). L’identità deve essere il collante tra gene-razioni diverse e tra italiani e coloro che aspirano a diventarlo perché, se non rispettiamo innanzitutto la nostra identità, non saremo in grado di riconoscere e rispettare quelle degli altri.

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Ma l’identità non si costruisce artificialmente né si può negare razionalmente; si respira negli odori del-la nostra terra, si vive nell’atmosfera dei nostri pa-esi, si ascolta nella musicalità della nostra lingua e dei nostri dialetti, si ammira nei nostri musei, nelle nostre città d’arte, si prega nelle nostre chiese cri-stiane e cattoliche, si rigenera nella lettura dei nostri classici e nella trasmissione della profonda cultura popolare, si difende tutelando la nostra unicità nel mondo.

Libertà > la libertà è libertà di scegliere, nel senso di consapevolezza, ed è legata all’identità. La liber-tà non può essere licenza, né nichilismo, la libertà senza valori porta alla schiavitù dell’individuo che soccombe alle singole pulsioni individuali, anche le più inusitate, anche le più animalesche, come nel caso dei pedofili. Se la libertà non è connaturata a una scelta di valori, tutto diventa indifferente e in-tercambiabile, ognuno si sente libero di fare ciò che gli piace, distruggendo il tessuto sociale e le ragioni della convivenza civile: un cammino che indurrebbe a conseguenze nefaste, spostando ogni volta più in là il confine dell’ammissibile e portando inevitabil-mente all’anarchia e alla scomparsa stessa della so-cietà.

Merito > evviva il merito!, dovrebbe essere dapper-tutto, dovrebbe mettere ciascuno di noi nelle condi-

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zioni di dare il meglio per ciò che ha attorno. Pari punto di partenza, non pari punto di arrivo; a cia-scuno a prescindere dalla sua possibilità economica. Merito come criterio di valutazione: nella scuola e nel mondo del lavoro, tra i docenti e tra gli studenti; merito in antitesi al favoritismo, come trasparenza nei comportamenti, come disciplina. Chi ha paura di misurarsi con questo concetto, non ha speranze di affrontare il futuro.

Natale > andrebbe riscoperto come dimensione cristiana: deve cioè portare una riflessione. L’ho tra-scorso sempre in famiglia, non è pensabile altrove. Due anni fa abbiamo deciso di non farci regali e di scriverci delle lettere tra familiari. Io non ho difficol-tà a scrivere e ho superato la mia iniziale timidezza. Ma è stata la cosa più difficile scrivere una lettera a mia madre, a mia sorella, a mia cugina. È uscita però la parte migliore di noi. Dovremmo fermarci ogni tanto per andare a fondo: fa male e fa paura. È più facile risolvere tutto con una battuta o un regalo costoso. L’anno scorso abbiamo deciso invece, anche per aiutare i consumi, di fare dei regali a due fami-glie che non conosciamo e che ne hanno bisogno.

Opportunità > sono quelle che la vita ti offre e che tu devi saper cogliere. Soprattutto la nostra gene-razione non deve lasciarsele sfuggire. Sono come i talenti, che puoi sotterrare e tenere lì fino a che

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devi restituirli, oppure che puoi far fruttare. Non è quanto pesano, ma quanto riesci a portare alla fine. Bisogna quindi lavorare duro, essere preparati, non improvvisarsi. Perlopiù le opportunità sono sintomo della tua responsabilità e frutto del tuo sacrificio. Vanno date e vanno colte. Io spero di darle.

Posizione > www.posizione.org è il sito della nostra associazione, che diventerà fondazione. È composta solo da under 45 e si chiama Identità e libertà. “Posi-zione” perché noi dobbiamo essere capaci di tenere delle posizioni, di prendere delle posizioni, di uscire dal grigiore. Si sposa con la coerenza, ma soprattutto è un metodo.Non sopporto chi non ha posizioni, quelli a cui va bene tutto, coloro che si fanno trascinare dagli umo-ri, dalle mode, da chi fa la voce più grossa, da chi è in maggioranza. Evviva le minoranze eroiche! Ci sto bene in maggioranza, posso governare, ho con-tribuito a governare questo Veneto, ma ho saputo anche tenere posizioni in assoluta minoranza perché ritenevo fosse giusto così.

Qualità > è una battaglia la qualità. E credo che qui si vinca la sfida dell’economia nazionale. Avre-mo sempre qualcosa più a Sud o a Est di noi, nel mondo, che ci impedirà di competere sui mercati internazionali. La globalizzazione, che non è solo un’opportunità ma anche una grossa difficoltà, fa

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soffrire le nostre imprese perché sulla quantità non competiamo più. Il made in Italy è il tratto distinti-vo dell’economia italiana nel mondo, è un brand, un valore commerciale fatto di qualità: agroalimentare, moda, buon vivere, turismo, capacità ricettiva, modo di porsi. Sulla qualità le politiche devono fare delle scelte durissime di tutela.

Responsabilità > attiene a ciascuno di noi. C’è un libro di Sebastiano Zanolli, di cui consiglio la lettura, Io, società a responsabilità illimitata: oggi la persona ha il potere di cambiare il mondo, prima di tutto il proprio personale, con scelte responsabili. Il concet-to di responsabilità è privato, ma è anche pubblico perché su di essa costruiamo una comunità che sta assieme. In Veneto molte ipoteche sul futuro della mia generazione sono state poste da chi ha affidato in modo fideistico e poco responsabile la missione di decidere per sé. Si è guardato all’oggi per oggi. È questa un’idea della politica piccola (a malapena esce dal proprio Comune) e corta (perché è la pancia che parla).Le responsabilità politiche sono tutte in capo a chi ci ha preceduto, a chi ha ipotecato il nostro avve-nire e quello della nostra terra, a chi ha permesso le baby pensioni, a chi ha costruito il più pesante ammortizzatore sociale (la pubblica amministrazio-ne), a chi ha cancellato il merito quale elemento di valutazione, a chi ha sfruttato il territorio senza una

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progettualità politica, a chi resta sempre al proprio posto anche quando ha fallito, a chi non dà valore all’esperienza, ma solo alla presenza… fino alla fine dei propri giorni.

Sicurezza > oggi è un concetto che, percepito come mancanza di sicurezza fisica, preoccupa le persone: per paura, non viviamo più alcune parti delle nostre città. Ed è una priorità assoluta. Ma non significa dotarsi di più forze di polizia, significa semplice-mente che ciascuno di noi deve diventare un buon cittadino, denunciare ciò che non funziona. E poi c’è l’altra sicurezza, declinata come mancanza di cer-tezze per il proprio futuro; la buona politica deve occuparsi di questo.

Tradizione > la tradizione è quell’insieme di prin-cipi e valori nei quali una comunità è nata e cresciu-ta. La tradizione è ciò che si trasmette di padre in figlio: “tradere” = trasferire. Così come dobbiamo es-sere padroni della lingua italiana per poter corretta-mente comunicare tra di noi, altrettanto dovremmo essere in grado di condividere il linguaggio culturale, intriso di cristianità, per poter costruire quel sentire comune che ci rende appartenenti alla medesima di-mensione. Dai principi della religione cristiana de-rivano la sacralità della vita, il rispetto della dignità della persona, la sua centralità e quella della fami-glia, la solidarietà, la sussidiarietà, l’umanesimo del

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lavoro, la dimensione sociale del privato, i principi educativi e di morale diffusi, lo stesso diritto positivo chiamato a regolamentare la società.

Ufficio > ho un bellissimo staff, composto da Silvia, le due Alessandra, Maria, Mattia, Barbara, Luca e Serena. Siamo un modello-famiglia, ognuno di noi ha un compito, non c’è chi vale di più o di meno. Io mi accorgo di essere sicuramente esigente sul lavoro. Nei momenti di massima pesantezza cerchiamo di trovare la risata distensiva.

Veneto > sono innamorata della mia terra. Il Ve-neto è una terra che si contraddistingue, per le qua-lità espresse dal tessuto socio-economico, tra le più dinamiche e produttive regioni europee. Io penso che nella nostra cultura, nella nostra voglia di fare, nell’avere il sacrificio come elemento costante del nostro agire, portiamo qualità capaci di darci fiducia e prospettiva per il futuro.Il Veneto è stato definito “miracolo del Nordest”, io che sono credente ho una idea di che cosa sia un mi-racolo e non credo che la nostra società veneta rap-presenti un evento miracolistico, piuttosto è un mo-dello. Un modello si può capire, analizzare e quindi riprodurre. La conoscenza delle ragioni per le quali la nostra regione ha conquistato livelli di eccellenza in ogni campo ci permetterà di vincere le sfide del futuro.

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DonaZZan > mi ritrovo molto nel cognome, per-ché rappresenta il senso delle radici, dell’apparte-nenza, di chi è stato prima di me. Per questo, se lo storpiano mi arrabbio moltissimo… dal “Donàzzan” di altre zone d’Italia al fatto che qui in Veneto le zeta si pronuncino come esse… Anche in campagna elettorale, quando vado a parlare coi nostri veneti doc che mi chiamano “Donassàn”, rispondo: mi racco-mando, quando lo scrivete, con due zeta…

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Credo nei valori del radicamento, della identità e della libertà,

nei valori che nascono dalla tutela della dignità personale.

Sono convinto che la vita non può ridursi allo scambio,

alla produzione o al mercato, ma necessita di dimensioni più alte e diverse.

Penso che l’apertura al sacro e al bello non siano solo problemi individuali.

Credo in una dimensione etica della vita che si riassume nel senso dell’onore,

nel rispetto fondamentale verso se stessi, nel rifiuto del compromesso sistematico

e nella certezza che esistono beni superiori alla vita e alla libertà, per i quali a volte è giusto

sacrificare vita e libertà

dal testamento spirituale di Marzio Tremaglia