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John Agnew FARE GEOGRAFIA POLITICA NOZIONI INTRODUTTIVE DI GEOGRAFIA POLITICA. Definizioni . Nella definizione di Agnew, la geografia politica (g.p.) è lo studio della distribuzione politica del potere , del suo concentrarsi e spostarsi in luoghi diversi nel tempo (soprattutto attraverso le guerre). Un’altra definizione, più “classica”, è quella dello studio di come la geografia influenzi la politica , ossia di come le caratteristiche geografiche di uno Stato influenzino le sue scelte di politica estera. A. respinge questa definizione in quanto oggi non si tende più a spiegare le scelte politiche di uno Stato attraverso i tratti fisici del suo territorio (anche per l’emergere di attori extra- statali) e ne sostiene una versione rovesciata: studio di come la politica influenzi la geografia . Questa tesi di fondo viene espressa attraverso numerosi esempi nel suo volume. Potere e conoscenza . A. sostiene la visione postmoderna per cui la conoscenza è prodotta in contesti storico-geografici precisi . Ciò equivale a dire che non esistono realtà oggettive ma solo verità “date”, influenzate cioè dal periodo storico e dal luogo in cui si sviluppano tali conoscenze. La g.p. non fa eccezione. La visione naturalistica, per cui esistono fatti geografici incontestabili, fu dominante tra la fine dell’Ottocento e la Seconda guerra mondiale, al servizio di punti di visita nazionalisti. Il fatto che la g.p. come disciplina sia nata e si sia sviluppata in Europa nell’epoca degli imperialismi e dei nazionalismi ha favorito l’emergere di una branca molto vicina agli interessi delle grandi potenze, un’attività di problem-solving chiamata in causa dai leader 1

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Riassunto del libro di John AgnewFARE GEOGRAFIA POLITICA

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Page 1: Agnew

John AgnewFARE GEOGRAFIA POLITICA

NOZIONI INTRODUTTIVE DI GEOGRAFIA POLITICA.

Definizioni. Nella definizione di Agnew, la geografia politica (g.p.) è lo studio della distribuzione politica del potere, del suo concentrarsi e spostarsi in luoghi diversi nel tempo (soprattutto attraverso le guerre). Un’altra definizione, più “classica”, è quella dello studio di come la geografia influenzi la politica, ossia di come le caratteristiche geografiche di uno Stato influenzino le sue scelte di politica estera. A. respinge questa definizione in quanto oggi non si tende più a spiegare le scelte politiche di uno Stato attraverso i tratti fisici del suo territorio (anche per l’emergere di attori extra-statali) e ne sostiene una versione rovesciata: studio di come la politica influenzi la geografia. Questa tesi di fondo viene espressa attraverso numerosi esempi nel suo volume.

Potere e conoscenza. A. sostiene la visione postmoderna per cui la conoscenza è prodotta in contesti storico-geografici precisi. Ciò equivale a dire che non esistono realtà oggettive ma solo verità “date”, influenzate cioè dal periodo storico e dal luogo in cui si sviluppano tali conoscenze. La g.p. non fa eccezione. La visione naturalistica, per cui esistono fatti geografici incontestabili, fu dominante tra la fine dell’Ottocento e la Seconda guerra mondiale, al servizio di punti di visita nazionalisti. Il fatto che la g.p. come disciplina sia nata e si sia sviluppata in Europa nell’epoca degli imperialismi e dei nazionalismi ha favorito l’emergere di una branca molto vicina agli interessi delle grandi potenze, un’attività di problem-solving chiamata in causa dai leader mondiali per risolvere i loro problemi. L’idea quindi di un punto di visita delocalizzato, una conoscenza che sia cioè vera a prescindere da posizioni geografiche e intellettuali, è da scartare. Al di là di pochi ‘outsider’, questa visione naturalistica è rimasta dominante fino agli anni ’60 quando c’è stato un revival della g.p. di natura diversa da quella classica abbandonata con l’emergere della Guerra fredda. Al di là di tutto, A. riconosce che il concetto di g.p. abbia mantenuto costanti nel tempo tre dimensioni imprescindibili:

1. Insieme di concetti comuni: confine, territorio, Stato, sfera di influenza ecc. che sono incontestabili.

2. Studio di come la geografia media tra gli individui e le organizzazioni politiche, sulla base della consapevolezza che la politica non può essere compresa senza considerare i contesti geografici in cui si svolge.

3. Professionalizzazione dell’ambiente accademico per cui i geografi politici adottano alcune norme di pratica accademica che li distinguono da settori attigui (relazioni internazionali, geografia economica ecc.)

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Il significato del “politico”. Nell’affrontare il significato del concetto di “politica”, i geografi si sono divisi in due correnti:

Statalisti: lo Stato-nazione è unica fonte del potere politico e dell’autorità assoluta sui cittadini. La dicotomia amico-nemico di Carl Schmitt si fonda su questa visione ed ha stimolato sia le ideologie totalitarie che quelle di sicurezza nazionale dei due blocchi. Secondo A., in un’accezione positiva questo concetto si ritroverebbe tra i comunitaristi favorevoli a un’unione di Stati da cui emerga un gruppo socio-politico (in realtà un super-stato) comunque detentore unico del potere politico.

Liberal: la politica non è controllo del territorio e del popolo ma sfera di compromesso tra istanze contrapposte provenienti dalla società a cui lo Stato tenta di porre rimedio. Nella g.p. contemporanea la visione liberal è maggiormente usata nello studio dello Stato rispetto a quella più classica statalista.

A partire dagli anni ’70 sarebbe nata una successiva divisione tra studiosi: Approccio politico-economico: il politico è solo complementare

all’economico, per cui la geografia economica ha importanza prioritaria rispetto alla g.p. che ne è solo derivazione.

Approccio soggettivo: il politico è la possibilità di azione ed è presenta ogni qualvolta si esercita potere.

L’eccessiva confusione di significato può venire mitigata, secondo A., considerando diversi fattori: l’esistenza di egemonie, ossia Stati o gruppi sociali dominanti in un certo periodo che la g.p. studia considerando come la storia modifichi la distribuzione geografica del potere; la convinzione che il politico risieda anche solo nei discorsi, anch’essi egemonici ma non sempre considerati validi da tutti e perciò a volte osteggiati da gruppi (etnici, sociali, religiosi ecc.); la presenza di reti di attori che condividono il potere politico nel mondo.

Casi contemporanei di geografia politica. A. si addentra infine in diversi casi-studio che dimostrano come si è evoluta la g.p. nel tempo, affrontando questioni diverse da quelle canoniche dei rapporti di forza tra grandi potenze.

1. Traffico di droga e confini nazionali. Le politiche tradizionali del governo americano in materia hanno sempre tentato di ridurre l’importazione di droga negli Usa bloccando i rifornimenti ai confini. Stime ONU ritengono che solo percentuali dal 13 al 30% vengano effettivamente confiscate dai governi. A livello economico la droga è un business mondiale, con un giro d’affari pari all’8% del commercio mondiale totale e su cui si fonda quasi tutta l’economia sommersa di paesi come Colombia e Bolivia. Su queste basi non c’è nessun mistero del perché la polizia di frontiera americana non fermi il flusso di droga: semplicemente, il trafficante di droga elude i confini nazionali che sono sempre più “colabrodo”.

2. Conflitto Israele-Palestina e inconciliabilità territoriale. Successivamente agli accordi di Oslo, l’unica soluzione del conflitto israelo-palestinese è sembrata quella di creare due Stati in coesistenza pacifica che si spartissero il territorio. La soluzione, derivante dalla logica statocentrica delle grandi potenze, è fallimentare in Terra Santa. La

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suddivisione della Palestina in 3 zone secondo gli accordi di Oslo – A per le zone a totale giurisdizione palestinese, B per le zone a giurisdizione parziale e C per le zone sotto controllo civile e militare israeliano – non ha creato uno Stato unico ma un’immensa frammentazione di zone a macchia di leopardo. Israele possiede ancora il controllo del 60% della Cisgiordania e il 20% della Striscia di Gaza. Le zone sotto controllo palestinese sono aride, incolte e circondate da quelle israeliane così che i palestinesi per spostarsi dipendono da concessioni di Israele. L’unica soluzione è quindi una convivenza pacifica dei due popoli sullo stesso territorio, logica da seguire anche in altri contesti di conflitti tra popoli dove la divisione territoriale non è più perseguibile.

3. Ruthenia. Se il precedente caso mostra come lo Stato sia ormai un concetto difficilmente applicabile nel mondo moderno, questo caso dimostra come il suo appeal sia ancora molto forte. La popolazione dei ruteni di etnia slavo-orientale è incuneata tra Ucraina, Slovacchia, Ungheria, Polonia e Romania. La loro importanza, secondo Huntington, sta nell’essere a cavallo di una frattura fondamentale tra il mondo cristiano occidentale e quello ortodosso e inoltre i ruteni si trovano sia in paesi NATO (Ungheria e Polonia) che in altri non ancora entrati (Slovacchia). La loro importanza è destinata a crescere, benché al momento sembrano limitarsi alla richiesta di maggiore autonomia.

4. Nagorno-Karabagh. Di verso uguale a quello precedente, questo caso mostra invece come la richiesta di autonomia giunga a veri conflitti per la conquista di uno Stato. La regione del Nagorno-Karabagh nel Caucaso (grande quanto il Molise) si trova all’interno dell’Azerbaigian ma è di etnia armena. Una violenta guerra per l’indipendenza della regione vede oggi il Karabagh eleggere un proprio presidente e un’assemblea di rappresentati, possiede forze armate e inoltre stampa proprio francobolli, riconosciuti internazionalmente in quanto validati dall’Armenia benché l’ONU non riconosca l’esistenza di questo Stato (né tantomeno le associazioni filateliche mondiali).

5. Los Angeles: South-Central. Mentre la g.p. classica studiava solo casi nazionali, quella contemporanea si focalizza anche sulla geografia urbana. Il caso del quartiere di South-Central a Los Angeles è un esempio di studio di un ambiente urbano. Anche qui esistono confini, tra quartiere e quartiere, e i confini secondo A. esistono ogni qualvolta demarchino differenze di potere fra gruppi diversi. In questo quartiere la demarcazione è tra la popolazione afro-americana residente e il resto della città. Nonostante l’importanza che il traffico di droga riveste per l’economia sommersa del quartiere (cosa che prova anche periodiche guerre tra “clan”), esiste a South-Central un forte senso della comunità da cui proviene un attivismo politico per il miglioramento delle condizioni di vita del quartiere. Il senso della comunità non è quindi solo nazionale.

Con questi esempi, A. dà una scorsa ai tanti temi che oggi sono pane quotidiano per la g.p. a differenza del “canone storico” di seguito affrontato, che resta sulle tematiche classiche degli Stati e delle potenze.

IL CANONE STORICO.

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Il contesto geopolitico: 1875-1945. Verso la fine dell’Ottocento, spronate dalle nascenti velleità imperialiste di Germania e Italia, le grandi potenze di Francia e Gran Bretagna rafforzarono le proprie mire coloniali. L’espansione mondiale negli spazi aperti era ormai finita, ossia non esistevano più terre vergini che non fossero nella sfera d’influenza di una potenza. Nasceva così una rivalità interimperiale per l’allargamento delle sfere d’influenza a danno di altre potenze. Tutto ciò provocò grande instabilità politica ed economica per l’emergere di nuove potenze e per il fatto che la Gran Bretagna non era più in grado di sostenere l’economia mondiale senza danneggiare la propria posizione coloniale: la Germania competeva con la Gran Bretagna per il controllo dei mari e ciò comporto un’accresciuta spesa militare del governo inglese a scapito dello sviluppo economico. Analogamente, la crescita industriale dell’Europa continentale e degli Usa provocò l’imposizione da parte di Londra di barriere commerciali che limitarono il libero mercato. Il nuovo imperialismo, tuttavia, produsse un’enorme crescita dell’economia mondiale derivante soprattutto dalla specializzazione industriale e dalla ripresa degli investimento nella produzione di materie prime. La realtà è che la crescente rivalità tra potenze e blocchi di potenze non poteva durare e di fatto con la Prima guerra mondiale le tensioni produssero una deflagrazione generale. La rivalità interimperiale, causa scatenante della Prima, fu anche la miccia della Seconda guerra mondiale; per A. lo testimonia il fatto che le protagoniste furono Germania, Italia e Giappone, ossia le tre potenze con le economie e le classi dirigenti più introverse e intolleranti verso lo status quo globale, intenzionate a conquistare nuovi ampi spazio nel mondo.

La conoscenza naturalizzata. La nascita della geografia come disciplina universitaria avvenne alla fine dell’Ottocento sia grazie allo sviluppo delle società geografiche nazionali che all’incremento dell’attività cartografica dei territori degli Stati. Anche la geografia fu affetta dal desiderio di naturalizzare la conoscenza, ossia di spiegare i fenomeni attraverso spiegazioni empiriche mutuate dalla scienze esatte della fisica e della biologia. Da un lato si assistette alla rivendicazione di una conoscenza universale aldilà della nazionalità del singolo studioso; le teorie proposte dai geografi venivano considerate oggettivamente valide, benché in realtà servissero gli scopi dei rispettivi governi; dall’altra si promosse una visione organicistica dello Stato attraverso l’uso di metafore biologiche tali per cui ogni nazione ha le sue richieste da soddisfare. Questa visione organistica o naturalizzata della g.p. classica si fondava sui seguenti assunti:

1. Stato inteso come Nazione, una comunità mitica priva di differenze culturali e considerata tutt’uno col territorio di appartenenza (gli ebrei, in quanto senza-stato per antonomasia, furono perciò malvisti). Su queste basi Ratzel riteneva che la Germania dovesse espandersi in Europa acquisendo tutte le popolazioni di razza tedesca, ma non in Russia per le eccessive differenze di civiltà.

2. Confini naturali per ogni Stato: non sempre i confini erano giusti e ogni popolo doveva possedere i suoi (il principio dell’autodeterminazione) sulla base di caratteri della geografia fisica: ad esempio Kjellen

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sosteneva che la Norvegia non potesse rendersi autonoma dalla Svezia in quanto le montagne scandinave non rappresentavano un confine naturale come invece erano i mari e i fiumi.

3. Nazionalismo economico: le comunità nazionali dovevano basarsi sull’economia nazionale in quanto lo Stato o l’impero da esso creato era definito come l’unità fondamentale dell’economia mondiale, mentre individui e imprese erano ad esso subordinati; il liberismo era considerato come fonte di instabilità e decadenza. La Gran Bretagna e la Francia adottarono un imperialismo di libero scambio (restrizioni all’interno dei loro imperi e libero scambio al di fuori), mentre le nuove potenze come la Germania assunsero politiche di protezionismo per la salvaguardia delle proprie industrie.

4. Carattere determinante delle condizioni geografiche: gli Stati che avevano maggiore successo erano quelli che godevano di maggiori vantaggi nella posizione geografica e nelle condizioni ambientali. Gli Stati-marca, ossia quelli situati ai margini dei continenti, possedevano perciò maggiori vantaggi in quanto avevano meno Stati confinanti e quindi meno avversari potenziali. Per Mackinder la grande estensione della Heartland (la massa euroasiatica interna) rendeva perciò difficile i collegamenti e quindi il controllo delle colonie inglesi sul crescent (o rimland), ossia sulle rive del continente. A livello economico, la g.p. studiava inoltre le diverse disponibilità di risorse naturali degli Stati attraverso inventari delle risorse e delle tipologie climatiche di essi.

I fondatori e i loro critici. Il termine g.p. venne usato per la prima volta dal filosofo ed economista francese Turgot nel 1750. Un precursore può essere considerato l’inglese William Petty nel Seicento con la sua opera Political Anatomy of Ireland. La g.p. nasce però ufficialmente nella Germania di fine Ottocento. Il fondatore della g.p. tedesca, Friedrich Ratzel (1844-1904), fu cattedratico di geografia all’Università di Lipsia. Nel 1885 pubblicò un articolo sulla “nuova carta politica dell’Africa” che è generalmente riconosciuto come la pietra miliare della g.p. Di formazione scientifica e amico del biologo Moritz Wagner, sostenitore dell’isolamento nella creazione della specie, R. nella sua opera fondamentale Anthropogeographie elaborò una geografia umana di stampo naturalistico. Egli sostenne la necessità di subordinare tutti i classici concetti geografici allo Stato, detentore unico del potere politico e soggetto privilegiato della g.p. la quale per sua natura doveva servire un progetto politico, in quel caso lo Stato- nazione appunto. Nel suo Politische Geographie R. elenca le sette leggi della crescita spaziale dello Stato:

1. Le dimensioni aumentano parallelamente alla cultura di uno Stato.2. La crescita avviene parallelamente alla crescita dei popoli.3. La crescita procede mediante annessione dei membri più piccoli.4. Il confine è la fonte della crescita dello Stato e la sua linea di difesa.5. Lo Stato tende a inglobare posizioni politicamente vantaggiose.6. Le spinte iniziali alla crescita provengono dall’esterno dello Stato.7. La tendenza all’annessione aumenta di intensità da Stato a Stato.

La necessità di uno Stato di crescere di dimensioni era la legge fondamentale della teoria ratzeliana, proveniente dalla propria fede maltusiana nell’idea che

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all’aumentare della popolazione scarseggiassero le risorse e fosse perciò necessario conquistarne altre a scapito di altri popoli. Poco più tardo di Ratzel, Harold Mackinder (1861-1947) in Gran Bretagna sposò ugualmente la visione naturalista del precedente (anch’egli proveniva da una formazione di biologia prima di insegnare geografia a Oxford). Nella sua prima pubblicazione, frutto di un discorso alla Royal Geographical Society di Londra del 1887, sostenne la visione della geografia come ponte conoscitivo tra mondo naturale e mondo umano; in una seconda pubblicazione (1904) presentata nello stesso consesso egli elaborò invece la sua teoria peculiare: le potenze marittime erano ormai in declino a causa dell’avvento delle ferrovie, che rendevano la massa continentale euroasiatica strategicamente importante a livello mondiale e, più importante ancora, al cuore dell’Eurasia vi era un’area denominata pivot o Heartland che sarebbe divenuta il centro del potere mondiale. Quest’area al centro del continente andava dagli Urali alla Siberia. In una successiva pubblicazione, Democratic Ideals and Reality (1919), M. sostenne che fosse l’Europa centrale il nuovo ago della bilancia del potere politico globale. La geopolitica di M. era tutta tesa a spronare l’impero britannico a controllare le aree cruciali del mondo per mantenere in piedi la propria supremazia. Secondo A., i teorici del contenimento sovietico nella Guerra fredda presero spunto dalle idee della Heartland. Influenzati da Ratzel, i successivi autori di g.p. tedeschi o affini formarono una scuola geopolitica molto fiorente. Rudolf Kjellen (1864-1922) fu il primo ad usare il termine “geopolitica”. Il principale autore della corrente fu però Karl Haushofer (1869-1946) che elaborò una teoria molto seducente per la Germania uscita umiliata dalla Prima guerra mondiale. La necessità della Germania era quella di conquistare il Lebensraum, o “spazio vitale”, a scapito dei vicini. H. divideva tra popoli imperiali e popoli colonizzati sottintendendo la superiorità dei primi e il loro diritto alla dominazione. Il nazismo diede prestigio alla Geopolitik ma in realtà perdurò una certa differenza: ad esempio i g.p. erano favorevoli a un’alleanza con l’Unione Sovietica e prevedevano un’Europa centrale come federazione multietnica, senza alcun rilievo per la questione razziale. Più influente sul nazismo fu forse Albrecht Penck, fautore di un volkisch Reich tedesco etnicamente omogeneo che inglobasse le sacche germaniche a est e definisse le frontiere naturali della Germania. In Italia la prima rivista dedicata alla g.p. nasce nel 1939. La geopolitica italiana fu più di stampo mediterraneo che eurasiatico come quella tedesca o globale e non presupponeva la superiorità nazionale quanto quella ideologica del fascismo. Massimo esponente fu Ernesto Massi che proseguì la sua attività anche dopo il fascismo divenendo presidente della Società Geografica Italiana ed europeista convinto. Critico verso le posizioni classiche, Paul Vidal de la Blache (1845-1918) era comunque sostenitore del naturalismo della geografia ma rifiutava l’idea dei confini naturali tanto cara alla g.p. canonica: egli riteneva che i confini fossero frutto di contingenze storiche e fossero quindi aperti, cosa che valeva soprattutto per la Francia la quale piuttosto che essere un’unità primordiale era in realtà una fusione di parti diverse. L’identità nazionale francese non dipendeva da caratteri etnici o ambientali ma da fusioni di modi di vita diversi intorno a un genius loci nazionale. Il fatto che egli scrivesse all’indomani della sconfitta francese nella guerra contro la Prussia permette di capire l’origine di quelle teorie. V. fu anche

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contrario all’uso del termine g.p. preferendo ad esso quello di geografia umana in quanto più aperto alla crescente importanza dell’economia nella società. Vicino a Vidal fu Elisée Reclus (1830-1905). Nella sua opera principale, L’homme et la terre, egli identifica delle regioni naturali frutto di contingenze storiche, linguistiche e culturali ma continuamente lacerate da conflitti sociali provocati da disparità di ricchezza e potere. R. superava quindi Vidal nel graduale abbandono della concezione centrale dello Stato nella g.p. preferendo ad esso un’ottica regionale. Questa convinzione proveniva dalla sua fede anarchica che tuttavia non gli impedì di schierarsi a favore del colonialismo francese in Nord Africa. In generale, comunque, la sua visione anti-statocentrica era chiaramente in anticipo sui tempi.

Il wilsonianismo e la geografia politica americana. Prima e dopo la Grande Guerra, negli Stati Uniti si diffuse una corrente di g.p. diversa da quella del vecchio continente. Essa manteneva intatto l’approccio deterministico (ad es. Turner riteneva che la mobilità estrema della frontiera americana avesse contribuito a forgiare la peculiare mentalità della società statunitense) ma sottolineava due differenze fondamentale con l’Europa:

Libero commercio e pacifismo: gli Usa mantenevano frontiere aperte, commercio pacifico con gli altri paesi e nessun esercito permanente ma solo una guardia nazionale, in opposizione allo statalismo europeo.

Esperimento sociale americano: gli Usa erano il luogo di nuove opportunità ed esperimenti sociali impossibili nel Vecchio mondo.

Fedele a questa visione del particolarismo americano, Woodrow Wilson da presidente degli Stati Uniti si fece fautore di una “missione americana” nel mondo: raggiunti ormai i ‘confini naturali’ del Pacifico, l’America doveva ora diventare un modello per il resto del mondo che Wilson promosse attraverso la Società delle Nazioni e il Trattato di Versailles. In questo contesto nacque la g.p. americana fondata da Isaiah Bowman (1878-1950). Egli fu consigliere territoriale della delegazione americana alla Conferenza di pace di Parigi e nel suo The New World: Problems in Political Geography (1921) trattò principalmente della Prima guerra mondiale proponendo uno schema comune per analizzare i 35 Paesi e regioni mondiali che allora dividevano politicamente il pianeta. Fu il primo dizionario geopolitico mondiale. A. lo definisce il primo “scienziato politico” americano che metteva le proprie conoscenza al servizio degli interessi nazionali del governo come problem-solvers. Samuel Van Valkenburg pubblicò nel 1939 un libro dedicato a B., in cui proponeva una teoria degli stadi: ogni nazione passava per la giovinezza, l’adolescenza, la maturità e la vecchiaia per poi modificare completamente il proprio assetto. Il percorso poteva anche interrompersi e regredire in qualunque momento,

Geopolitica e geografia politica. La geopolitica non fu mai universalmente accettata negli ambienti della geografia politica. Ad esempio Nicholas Spykman (1944) ha ribaltato la teoria di Mackinder sostenendo che il controllo della rimland, e non quello dell’Heartland, è fondamentale per la stabilità mondiale. Karl Wittfogel (1896-1988), marxista tedesco, sostenne che la geopolitica non fosse adeguata in quanto ignorava le politiche economiche delle grandi potenze. Edmunbd Walsh criticò le strategie americane contro l’Urss durante la

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Guerra fredda sostenendo che il conflitto contro il comunismo non andasse interpretato nei classici termini di scontro tra superpotenze ma in quelli di una lotta tra “grandi moralità opposte”. I seguaci di Videl in Francia criticarono i fondamenti della geopolitica preferendo concentrarsi sull’importanza dei fattori umani nello studio della g.p., di cui la geopolitica non sarebbe stato altro che un ramo.

IL REVIVAL.

L’eclissi della geografia politica. Con l’emergere della Guerra fredda, la g.p. in Europa venne relegata perché vista con sospetto mentre negli Usa e in Urss si combinò con opposte visioni ideologiche – una liberal, l’altra marxista - entrambe però critiche verso il classico approccio statalista. L’affermarsi del comportamentismo provocò negli Usa l’elaborazione di una sorta di modello comportamentale che veniva usato come metro di misura per il resto del mondo. La “psicologizzazione” della politica ridimensionò perciò la sua sfera geografica: non ci si definiva più “americani” o “sovietici” sulla base di criteri nazionali, ma “occidentali” (o “capitalisti”) e “socialisti” (o “comunisti”) sulla base di criteri ideologici e comportamentisti. Per sostenere l’economia interna, gli Usa abbandonarono il vecchio imperialismo territoriale aprendo al libero commercio internazionale che ebbe effetti negativi sul Terzo mondo ma favorì le economie di Paesi quali Taiwan, Corea del Sud, Messico, Cina che fecero delle esportazioni la punta di diamante della loro economia. Venute dunque meno le basi della vecchia g.p. (identità Stato-nazione e nazionalismo economico), e consumatosi il ‘divorzio’ tra geografia politica e geografia economica con la superiorità della seconda, si verificò nel secondo dopoguerra un ristagno della disciplina. Negli Usa eclatante fu il caso del geografo Owen Lattimore, membro dell’Institute for Pacific Relations che pubblicava ricerche sull’Estremo Oriente e autore di importanti scritti sulla Cina che andavano contro la vulgata maccartista del “nemico rosso”; come conseguenza, Lattimore subì una serie di processi come spia comunista voluti dal senatore McCarthy e fu considerato il principale responsabile della vittoria maoista in Cina. Solo nel 1955 queste accuse caddero, ma alcuni anni dopo Lattimore preferì spostarsi in Inghilterra. Su queste basi, sostiene A., non stupisce che gli altri geografi e politologi preferirono non esporsi in teorie troppo radicali. Uno studio più originale, compito però da un conservatore, fu quello di Richard Hartshorne che cercò di abbandonare l’approccio naturalistico classico sostenendo che il tema centrale della g.p. dovesse essere non lo studio dei confini e quindi delle nazioni ma quello delle “regioni” come terreno d’incontro tra fattori naturali e umani. Il principale innovatore nella g.p. del periodo fu Jean Gottman (1915-1994), un ebreo di origini ucraine che emigrò prima in Francia e poi negli Stati Uniti e che proprio per la sua esperienza cosmopolita elaborò forse la prima vera teoria di g.p. non statalista. Egli sostenne nelle sue opere che la compartimentazione del mondo, ossia la sua divisione in “grandi comparti” (o regioni) dipendesse dall’interazione tra:

Circulations, ossia forze di cambiamento esterno capaci di muovere persone, beni, idee e informazioni.

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Iconographies, ossia sistemi di credenze e simboli condivisi da una comunità territorialmente definita.

Mentre la prima è una forza di mutamento, la seconda è una forza di resistenza. L’apertura di uno Stato o meglio di un insieme omogeneo di Stati al mondo esterno dipende appunto dal grado di interazione tra le due forze: debole se la seconda è più forte della prima, forte se vale il viceversa. Nella sua opera più celebre, Megalopolis (1961), G. prosegue il ragionamento sostenendo che alla g.p. degli Stati-nazione si stia sostituendo una g.p. su scala urbana fatta di “reti e nodi”, plurale e aperta al cambiamento. Il cambiamento nel canone storico fu infine portato avanti dai coniugi Harold e Margaret Sprout, della Princeton University, che ur legati agli scritti di Bowman e Hartshorne hanno sviluppato una loro teoria innovativa in The Ecological Perspective of Human Affairs (1965) in cui criticano il determinismo classico. Essi evidenziano come il determinismo ambientale sui cui la g.p. basava i proprio processi decisionali non portasse a risultati prevedibili in quanto le condizioni relative dell’ambiente e della posizioni di uno Stato non sono sufficienti per prevedere gli esiti delle proprie politiche.

Perché un revival?. La g.p. iniziò la sua ripresa negli anni ’60. Essa tuttavia si concentrò inizialmente su tematiche completamente diverse da quelle classiche: i flussi migratori, la localizzazione delle industrie, la distribuzione spaziale degli insediamenti ecc. Questi oggetti di studio ben si prestavano ai metodi quantitativi che le scienze sociali usavano in quel periodo per garantire la scientificità delle proprie ricerche. A rimettere la politica al centro dei ragionamenti furono gli avvenimenti di quel decennio in Occidente: le rivolte razziali, le marce per i diritti civili, le dimostrazioni contro la guerra del Vientam e la contestazione studentesca. Il ritorno della politica nello studio della geografia avvenne in questo periodo attraverso tre modi peculiari di espressione:

Studi sulla distribuzione del potere integrate con l’analisi dei fenomeni economici e sociali: studi sulla distribuzione residenziale secondo parametri di razza e di classe nelle città, studi sulla distribuzione globale dello sviluppo economico.

Analisi pubblica della disciplina: chi gestiva la g.p., per conto di chi e con quali fini? Yves Lacoste sostenne che la vecchia geopolitica avesse favorito il ricorso alla guerra tra potenze e andasse sostituita.

Ridefinizione della geografia politica intesa dai nuovi studiosi non più come geografia tra Stati ma come geografia della politica in senso ampio e multidisciplinare (contributi dell’economia, sociologia, antropologia…).

Su queste basi, A. individua tre contributi fondamentali alla disciplina che provocarono il revival della g.p.

1. Geografia elettorale: studi su come i risultati elettorali locali dipendano da indicatori sociali e di come i metodi di divisione delle circoscrizioni influenzino gli esiti del voto. Veniva rimossa la convinzione classica dell’omogeneità nazionale del voto tipica della vecchia g.p.

2. Conflitti urbani: come i governi locali distribuiscano iniquamente i “beni” e i “mali” sociali, concedendo benessere alle categorie più alte e

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concentrando i danni urbani (inquinamento, pochi servizi) nelle aree più disagiate che non hanno possibilità di spostamento.

3. Commistione con nuove discipline: i contributi di sociologi, storici, politologici e diplomatici alla disciplina vennero favoriti soprattutto dalla Commissione sulla Ricerca Permanente sulla Geografia Politica dell’IPSA, un’associazione di politica internazionale che scalzò la vecchia IGU (International Geographical Union) nel motore di sviluppo della disciplina, laddove la IGU è rimasta alle posizioni della Guerra fredda non riabilitando mai fino ad oggi la g.p.

Tre correnti teoriche e quattro ambiti di studio. La nuova g.p. nata negli anni ’60 e rimasta dominante per tutto il resto del XX secolo viene classificata da A. in tre periodi storici e quindi in tre correnti teoriche.

1. Prospettiva analitico-spaziale (anni ’60) in cui cioè lo spazio e la distanza divennero le variabili fondamentali della disciplina. Per esempio negli studi di geografia elettorale ci si concentrò su come all’aumentare della distanza si riducessero gli effetti di influenza reciproca tra votanti di un quartiere. Kevin Cox e David Reynolds a tale proposito riconoscono che l’importanza crescente dello spazio nell’analisi politica deriva sia dall’analoga importanza data alle esternalità nel campo industriale (il ruolo cioè di fattori terzi esterni alla processo produttivo nello sviluppo di tale processo) sia dall’adozione di prospettive sistemiche nelle scienze politiche per cui si tende a considerare l’insieme dei fattori nel loro complesso (nel caso elettorale non è tanto importante per quanto si vince ma ‘chi vince dove’).

2. Prospettiva politico-economica (anni ’70) influenzata da scritti di economia politica marxisti e neomarxisti, in cui ci si concentrò sullo sviluppo non uniforme dell’economia mondiale e sulle cause di ciò. Immanuel Wallerstein e Peter Taylor elaborarono il modello del “sistema-mondo” e della divisione tra centro, periferie e semi-periferia che influenzò il dibattito del periodo.

3. Prospettiva postmoderna (anni ’80) derivante dalla messa in crisi delle teorie forti e delle “grandi narrazioni” nelle scienze sociali. Si mise in evidenza la parzialità del sapere, inevitabilmente “situato” e mai universalmente valido, e ci si concentrò sul ruolo del linguaggio e della scrittura nella costruzione di una realtà soggettiva.

A. affronta successivamente l’analisi delle quattro principali aree tematiche della g.p. (geopolitica, spazialità degli Stati, movimenti, luoghi e identità, nazionalismo) sulla base delle tre correnti teoriche sopra riportate. Lo schema su cui si basa il ragionamento seguente è quello sottostante, in cui sono sintetizzati i principali teorici delle diverse prospettive:

Aree tematiche Prosp. analitico-spaziale

Prosp. politico-economica

Prosp.postmoderna

Geopolitica Henrikson Corbridge O’ TuathallSpazialità Stati Rokkan Mann KrishnaMovimenti Bennett ed Earle Osei-Kwame e Taylor Routledge

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Luoghi e identità Murphy Wacquant ForestNazionalismo Conversi Williams Johnson

Geopolitica. Uno dei migliori approcci analitico-spaziali a questo tema è quello di Alan Herikson che in un saggio del 1980 tratta del ruolo della politica estera americana nel contesto geopolitico. Attraverso un modello centro-periferia, H. sottolinea lo spostamento nella percezione dell’opinione pubblica americana della centralità degli Usa nel mondo, da elemento periferico a elemento centrale della geopolitica contemporanea. La Guerra ispano-americana e la Seconda guerra mondiale sarebbero state fondamentali nella conquista della leadership mondiale degli Stati Uniti. In seguito all’attacco di Pearl Harbour, gli Usa sono infatti passati da una difesa emisferica (tesa a mantenere la sicurezza dell’emisfero occidentale) a una offensiva globale. Più teso a sottolineare il ruolo del contesto economico mondiale nell’ambito della formazione delle politiche estere è l’approccio politico-economico di Stuart Corbirdge che in uno studio del 1994 traccia una sistema di economia geopolitica in cui attori principali non sono più gli Stati ma tre grandi aree – Stati Uniti, Giappone e Unione Europea – dove dominano organismi internazionali e imprese private. Non esiste più un gioco a somma zero nell’economia mondiale (Stato contro Stato) ma una continuo aumento di flussi di capitale e di collegamenti finanziari e commerciali. Decostruzionista e postmoderna è invece la tesi di Gearoid O’ Tuathail che si innesta nella corrente degli studiosi di g.p. attenti ai modi in cui politici e media rappresentano la geopolitica, criticando le “strategie discorsive” che avvalorano l’importanza di crisi e guerre agli occhi del’opinione pubblica. In un’analisi del 1993 sulla Guerra del Golfo, egli riporta i discorsi del presidente Bush e ne vede la “narrazione della nuova minaccia generale” da sostituire a quella sovietica nei confronti degli Usa. La necessità americana di mantenere l’egemonia mondiale verrebbe quindi giustificata costruendo un nuovo nemico da combattere ovunque nel mondo per costruire un nuovo ordine mondiale di sicurezza. Un elemento postmoderno di questa guerra fu la “cancellazione del luogo”: l’attacco avvenne non attraverso eserciti di terra ma tramite bombardamenti dall’alto, cosa che dimostrava come ogni Stato fosse vulnerabile in qualsiasi momento ad attacchi nemici al di là delle naturali frontiere territoriali.

Spazialità degli Stati. Insieme alle geopolitica, la spazialità degli Stati è la tematica più consolidata della g.p. Essa si riferisce sia alla delimitazione esterna che all’organizzazione territoriale interna degli Stati. La sua importanza oggi è cresciuta a causa della crisi degli Stati-nazione derivanti dai fenomeni della globalizzazione, della dissoluzione degli “Stati forti” del blocco sovietico, dell’emergere di forme di governo sovranazionali come l’Unione europea, della decentralizzazione territoriale all’interno degli Stati. Uno studio fondamentale di tipo analitico-spaziale sulla formazione degli Stati-nazione è quello di Stein Rokkan che nel 1980 esponeva una celebre tesi sugli elementi spaziali che hanno contributi alla formazione e allo sviluppo degli Stati europei. Tra questi: il crollo dell’impero romano e la successiva “configurazione etnica” dell’Europa; il feudalesimo e la formazione di una fascia urbana centrale nord-sud che va

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dalle Fiandra all’Italia settentrionale; gli effetti geografici della Riforma e della Controriforma; l’imposizione di modelli unitari e federali di governo. Rokkan distingue quindi gli Stati europei tra periferie marittime (Norvegia, Irlanda), Stati-nazione marittimi (Inghilterra, Danimarca, Francia, Spagna, Portogallo), Stati-nazione continentali (Germania est, Austria, Svezia), Europa delle città-Stato (Germania ovest, Benelux, Svizzera, Italia) e Zone cuscinetto continentali (Finlandia, Jugoslavia). Diverso l’approccio politico-economico adottato da altri studiosi che sottolineano il ruolo del mercantilismo e del capitalismo emergente nella costruzione degli Stati europei. Michael Mann nel 1984 sostiene la tesi dello Stato come semplice luogo, privo di identità particolare, ma dotato di grande autonomia in quanto il suo essere territorio gli garantisce la fornitura di beni e infrastrutture ai diversi gruppi che compongono la società presente sul territorio da esso circoscritto. Il potere infrastrutturale dello Stato è la sua capacità di fare per i gruppi sociali ciò che essi non possono fare da soli; in cambio, tali gruppi forniscono favori (voti) allo Stato. Secondo M., a Stati forti corrispondono società territorializzate e centralizzate. Infine un approccio postmoderno al tema è quello di Sankaran Krishna che nel 1994 affronta il tema dello Stato indiano parlando di un’ansia cartografica per la formazione del concetto di “Nazione” indiana: attraverso narrazioni governative si crea una falsa storia dell’India per identificare i confini storici di una nazione che non è mai esistita prima della dominazione britannica. l I gruppi di confine sono i protagonisti della costruzione di questa identità artificiale.

Geografie dei movimenti politici e sociali. Lo studio dei movimenti all’interno degli Stati a livello geografico si concentra su come tendano a trasformarsi da localizzati e sporadici a nazionali e sistemici. Anche quando si tratta di movimento non locali (incentrati su temi di grande portata), essi sono tuttavia legati a luoghi specifici per la mobilitazione. Del resto molti partiti politici sono nati come movimenti sociali; il ruolo strutturante del luogo nella politica è stato studiato da Sari Bennett e Carville Earle nel 1983 per dare risposta alla questione della mancata formazione negli Stati Uniti di un partito socialista tra XIX e XX secolo. Essi analizzano la geografia del voto all’unico Partito socialista americano durante le elezioni del 1912. Il voto era principalmente radicato nel nord-est dove si trovavano piccole città con forte presenza di industria pesante, ottenendo quindi il voto degli operai scarsamente specializzati, ma non riuscì a stabilire basi nelle grandi città impedendo la sua espansione nazionale. Un approccio di tipo politico-economico alla tematica è quello di Peter Osei-Kwame e Peter Taylor del 1984 sull’influenza reciproca tra economia e partiti politici in Ghana. Analizzando i risultati elettorali nel Paese, essi individuano un certo numero di sotto-periodi in cui hanno prevalso partiti diversi (principalmente il Convention People’s Party di Nkrumah e l’United Party di Busia) e giustificano quest’alternanza sulla base delle diverse ricette di politica economica dei partiti: quello di Nkrumah favorevole al centralizzazione e al protezionismo, quello di Busia favorevole al decentramento e alla liberalizzazione del commercio. L’alternanza è stata resa possibile dal periodico passaggio all’opposizione delle rappresentanze dell’etnia Ashanti, legata alle piantagioni di cacao e quindi in possesso della maggior ricchezza del Paese. Ricchezza e luogo, luogo e partito politico sono così strettamente correlanti: la

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posizione del Ghana nell’economia mondiale e il legame tra produzione per il mercato mondiale ed etnia sono i fattori che permettono di comprendere i movimenti politici nel Paese. Infine, un approccio post-coloniale è quello di Paul Routledge che nel 1992 affronta lo studio di un movimento sociale locale dell’India in opposizione al disegno governativo di stabilire impianti militari nel distretto di Balipal. Alla radice della mobilitazione locale, R. individua un senso del luogo di matrice culturale e non spaziale o economico.

Luoghi e politiche dell’identità. A partire dagli anni ’60 sono emersi movimenti contestatari che chiedevano non migliori condizioni economiche o potere politico ma il riconoscimento di specifiche identità. La politica contemporanea, secondo A., è quindi anche una politica dell’identità. Nonostante la sua apparente delocalizzazione, quello dell’identità è un tema che ha comunque radici spaziali: le persone che lottano per difendere un’identità lo fanno all’interno di un determinato campo geografico come uno Stato e l’interazione tra movimenti indentitari affronta comunque il problema della distanza spaziale e del radicamento territoriale. Inoltre, l’identità si costruisce anche geograficamente: gli afro-americani fanno delle loro origini africane e del loro essere americani un elemento distintivo della propria identità. Alexander B. Murphy nel 1993 affronta la questione spazialmente studiando il caso delle identità linguistiche del Belgio: come cioè i confini giurisdizionali tra il nord fiammingo e il sud francofono alimentano le identità tra i gruppi. Secondo M. i confini regionali hanno aumentato ancora di più l’identità sociale dei due gruppi a scapito dell’unità nazionale. Un approccio economico è quello di Loic J. D. Wacquant del 1994 nella sua ricerca sui ghetti neri delle città americane. In essi preverrebbero processi sociali ed economici molto diversi da quelli delle aree circostanti pur in assenza di confini precisi. Nel caso del ghetto di Chicago la caratteristica è quella di un centro interno in decadenza economicamente e socialmente circondato da quartieri-satellite proletari o piccolo-borghesi. L’identità del ghetto, proveniente da un’infrastruttura organizzativa fatta di chiese, logge, stampa nera ecc. è in rovina a causa dell’abbandono da parte del governo e dell’industria. I residenti più socialmente mobili tendono ad abbandonare il centro per godere di maggiori opportunità. Infine una prospettiva postmoderna è quella di Benjamin Forest (1995) con il caso della comunità gay di West Hollywood: qui si è verificato un incontro tra interessi e identità attraverso la creazione di una vera comunità politica autonoma omosessuale che ha dimostrato come il mantenimento di un’identità scomoda non pregiudichi il conseguimento di interessi economici e sociali precisi come quelli di una città e della sua amministrazione. West Hollywood rappresenta una precisa narrazione morale di tipo geografico-identitario.

Geografie del nazionalismo e del conflitto etnico. Il nazionalismo è servito nel tempo per costruire identità e interessi condivisi da parte di un popolo che occupa un territorio comune. Con la fine della Guerra fredda il nazionalismo ha assunto la forma della proliferazione di conflitti etnici: molti Stati infatti sono multietnici e soggetti alla pressione centrifuga delle diverse componenti. Nello studio di Daniele Conversi del 1995 sulla definizione dei confini da parte dei gruppi nazionali ed etnici viene usato un approccio analitico-spaziale. I gruppi

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si identificano in contrapposizione ad altri gruppi e lottano per la definizione di confini spaziali, ossia per il controllo di una particolare terra. Diversamente, Colin H, Williams (1989) affronta i casi dei separatismi di Spagna, Francia e Nigeria attraverso un approccio politico-economico sostenendo che l’emergere di questi gruppi di opposizione derivi dall’insoddisfazione delle minoranze che sono rimaste emarginate dal processo della formazione dello Stato in epoca storica. Il cambiamento nell’economia politica capitalista provocata dalla globalizzazione ha reso possibile a questi gruppi di affermarsi con le proprie forze. Di tipo postmoderno è l’approccio di Nuala Johnson che nel 1995 presenta una teoria secondo la quale la formazione delle identità avviene tramite l’utilizzo di un preciso immaginario nazionale: per esempio le statue e monumenti commemorativi hanno come scopo quello di “spazializzare” la memoria pubblica collegando la storia nazionale a precisi luoghi del territorio.

Attraversare lo spartiacque teorico. Alcuni tentativi di convergenza tra le opposte teorie sono state effettuate abbastanza di recente. In un lavoro di Agnew e Corbridge (1995) si fa coincidere prospettiva politico-economia e postmoderna attraverso un’analisi dell’ordine geopolitico di tipo economico e del discorso geopolitico nella formazione delle pratiche quotidiane della politica mondiale. La geopolitica storica che ne consegue individua i diversi periodi storici in cui ordine e discorso sono stati variamente collegati tra loro. Nello studio di Beaverstock del 2000 sulle reti di città-mondiali si unificano prospettive analatico-spaziali e politico-economiche costruendo un modello di nodi focali che parte da 55 città-mondiali importanti dal punto di vista economico e che si sviluppa attraverso i flussi tra di esse che convergono verso una gerarchia superiore al cui vertice si trovano New York, Londra, Parigi e Hong Kong. In generale la fine della Guerra fredda e il post-1989 hanno visto nascere nuove teorie per dare spiegazioni a nuove tendenze del mondo tra cui le due principali:

Esplosione di scontri etnici, religiosi e di civiltà che si sostituiscono ai tradizionali scontri tra Stati e grandi potenze.

Emergere di un “mondo dei flussi” che si sostituisce al “mondo dei territori” precedente ed è reso possibile dalle innovazioni tecnologiche nel settore del trasporto, delle telecomunicazioni e dell’informatica.

L’ORIZZONTE.

La g.p. contemporanea sarebbe caratterizzata secondo A. da tre tendenze:1. Uso della “scala geografica” per la comprensione della geografia

del potere, sostituendo lo Stato-nazione come unità di misura.2. Recupero del nesso fisico-umano attraverso lo studio delle minacce

ambientali all’umanità.3. Natura della politica e il suo legame con la diversità umana.

Scala geografica. Solitamente nella g.p. ci si è sempre serviti della scala nazionale o di quella globale per la comprensione dei fenomeno politici; per casi più specifici si utilizza la scala locale o quella regionale. Generalmente ogni scala è esclusiva, nel senso che se si usa quella nazionale si perderà di vista il

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contesto globale e viceversa. Per i riduzionisti la scala più piccola è sempre la migliore perché i fenomeni vanno compresi dal livello d’analisi più basso; per gli olisti invece la scala più ampia è preferibile perché solo una visione d’insieme può garantire la comprensione. I nuovi orizzonti della g.p. hanno introdotto nuovi tipi di scala e l’uso trasversale di scale a più livelli per la comprensione di fenomeno compressi come le reti di città globali, i movimenti politici mondiali, le reti politiche transnazionali ecc.

Il rapporto tra scala geografica e terrorismo è una delle novità della nuova g.p. I movimenti terroristici sono solitamente di orientamento nazionalista: l’Ira e l’Eta agiscono all’interno di Stati precisi e puntano a guadagni territoriali. Anche un movimento ufficialmente solo ideologico come quello zapatista in Messico, critico verso la globalizzazione rappresentata dal NAFTA, in realtà lotta per una riforma fondiaria nel sud del Messico ed è quindi radicato nel territorio. Diversi sono invece quei gruppi terroristici di matrice islamica nati con scopi nazionalistici ma che hanno finito per diventare transnazionali: Hamas in Palestina, Jihad islamica in Egitto e Palestina, Hezbollah in Libano e poi Al-Qaeda, movimento terroristico transnazionale per antonomasia in quanto non mira a scopi territoriali ma colpisce obiettivi diversi, dagli Stati Uniti all’Egitto all’Arabia Saudita. Le reclute di Al-Qaeda provengono da tutto il mondo arabo e dalla diaspora araba in Europa. Essa è formata da cellule sparse ovunque e che fanno uso delle tecnologie più avanzate in termini di comunicazione così da essere gruppi deterritorializzati per antonomasia. Tuttavia secondo A. il centro di Al-Qaeda non è così deterritorializzato come sembra: esso infatti trovava base in Afghanistan e oggi forse sui confini pakistani; mira alla costruzione di un Califfato arabo e quindi ha uno scopo territoriale; ha un nemico – gli Stati Uniti – che sono un’astrazione geopolitica; si fonda sulla fedeltà di gruppi radicati sul territorio e sui loro obiettivi precisi quali in Iraq la supremazia sunnita o in Afghanistan il ritorno dei talebani. Il terrorismo di Al-Qaeda ha generato poi una nuova corsa al controllo dei confini negli Usa e in Occidente: la Homeland Security del governo americano deriva dal timore di una minaccia transnazionale capace di permeare le frontiere nazionali.

Più tradizionale il tema del rapporto tra scala geografia e politiche elettorali. Negli Usa ad esempio le elezioni presidenziali sono sempre più regionalizzate, con i democratici fuori nel nord-est e sulla costa ovest e i repubblicani nell’entroterra. La distribuzione geografica del voto in Italia è stata attentamente studiata da A. e divisa in tre periodi storici:

Periodo 1947-1963. In questo periodo il Paese è suddiviso in cinque zone a seconda del consenso ai partiti principali. Il triangolo industriale del nord-ovest (Piemonte, Liguria, Veneto) dove si equilibravano DC, PCI e PSI; la zona bianca del nord-est (Bergamo, Brescia, Trento, Udine, Veneto) a maggioranza DC; la zona rossa dell’Italia centrale (Emilia, Marche, Toscana e Umbria) a prevalenza PCI; il sud (Lazio, Campania, Abruzzo, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria) dominata dalla DC e dalla destra; le isole (Sicilia e Sardegna) più complesse, dove in Sicilia il PCI era forte nel sud e in Sardegna la presenza di un partito regionalista problematizzava le cose.

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Periodo 1963-1976. Si evidenza in questo periodo l’espansione del PCI fuori dalla zona rossa soprattutto nel nord-ovest industriale e in alcune parti del sud, mentre la DC perde consenso nella zona bianca a causa dell’emigrazione lavorativa. Si assiste a una nazionalizzazione dei grandi partiti.

Periodo 1976-oggi. La tendenza è una diminuzione dei consensi di PCI e DC a favore dei partiti minori: il PSI e il PRI al nord, il MSI al sud. Gradualmente il PCI perde consensi nel nord-ovest a causa della deindustrializzazione della zona. I partiti tornano a localizzarsi e a formare coalizioni regionali basate sul perseguimento di interessi locali.

Rilevante è anche il rapporto tra scala geografica e nuova finanza globale. Durante gli anni ’70 il mondo industrializzato fu affetto da due fenomeni:

Spostamento della produzione dai grandi stabilimenti alle piccole imprese distribuite in modo capillare.

Crollo del sistema di Bretton Woods.Da un lato sembra che sia emerga una rete finanziaria globale in quanto i confini nazionali vengono meno a livello economico e la digitalizzazione della finanza riduce l’importanza dei luoghi fisici di produzione. Tuttavia le politiche economiche e i regolamenti internazionali si rivolgono ancora a entità territoriali. Ad esempio il sussistere di scorte di denaro presuppone che il mercato nazionale abbia ancora un senso e sia delimitato da confini statali. Inoltre, la globalizzazione ha delle radici geopolitiche ben precise: è stata sostenuta dalle grandi potenze occidentali per incoraggiare la crescita economica e soddisfare le lobby finanziarie e bancarie. Infine nascono nuovi luoghi come centri della finanza globale, quali i centri offshore delle Bahamas e delle Cayman, di Vanuatu, di Singapore e Hong Kong ecc. Essi offrono condizioni normative che facilitano il movimento dei capitali, mentre ancora quasi tutti gli Stati possiedono normative peculiari che sono ostative alla libera circolazione,

Politiche ambientali. La g.p. contemporanea si è interessata alle tematiche ambientali attraverso diversi approcci:

Sicurezza ambientale. C’è sempre più consapevolezza che i problemi ambientali costituiscono una minaccia globale. Inoltre è evidente ormai che le risorse non rinnovabili quali il petrolio sono fonti di conflitto in contesti caldi come il Medio Oriente e l’Asia centrale (in dubbio è invece il ruolo scatenante dell’acqua e del cibo nelle guerre). L’opinione pubblica riconosce di vivere in una società del rischio (Beck) dove lo sviluppo economico e sociale provoca inevitabilmente effetti boomerang pericolosi. La sicurezza militare nazionale posta in essere dalle grandi potenze ha, ad esempio, contributo a un’insicurezza ambientale sempre maggiore (es. pericolo nucleare, chimico, batteriologico). Inoltre secondo la teoria della gerarchia eco politica di Mofson, più i problemi vanno affrontati da un numero crescente di attori più sono di difficile soluzione; perciò il cambiamento climatico è forse irrisolvibile perché richiede un’azione globale, diversamente da un problema di inquinamento locale. In una sua ricerca, Laura Pulidio ha dimostrato poi come spesso i pericolo ambientali risiedono in zone disagiate; nella regione di Los

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Angeles in particolare la concentrazione di inquinamento è nelle zone a minoranza razziale. Scala locale e globale si compenetrano in questo tema.

Geopolitica verde. Secondo A. i movimenti ambientalisti sono tra i principali critici dell’economia capitalistica. Resta però il fatto che molti di essi mantengono un organizzazione simile al modello delle multinazionali. Timothy Luke in uno studio del 2000 si è focalizzato sul Worldwatch Institute a Washington, un’organizzazione di montaggio e lobbying globale sull’ambiente. Essa si dice a favore di un modello bioeconomico: il nuovo sistema di vita della società umana, eco-compatibile, non può essere portato avanti da singoli Stati ma solo da grandi organizzazioni internazionali a-politiche e tecnocratiche.

Politiche statali nell’agricoltura e nell’industria. In uno studio del 2001, Andrew Hogan sottolinea la grande industrializzazione dell’agricoltura britannica, da cui sono scaturiti i drammi della mucca pazza e dell’afta epizootica che hanno afflitto il Paese in questi anni. Le politiche agricole del governo britannico del secondo dopoguerra hanno prodotto un radicale cambiamento nel tradizionale sistema di allevamento inglese con danni terribili.

Geografia politica normativa. La g.p. classica, con la sua ossessione per l’oggettività e il determinismo, ha sempre tenuto da parte giudizi normativi verso ciò che fosse giusto o sbagliato nelle questioni politiche. Oltretutto lo stretto legame tra g.p. e ragion di Stato produceva un’accettazione dello status-quo politico nell’ambito della disciplina. Solo a partire dagli anni ’90 sono emersi quattro importanti aree di studio della g.p normativa:

Democrazia transnazionale: la crisi dello Stato-nazione si evidenzia in studi contemporanei sui “quasi-Stati” e sugli “Stati-falliti” presenti sia in Africa che in Asia che in Europa meridionale. Il fallimento della burocrazia statale non implica tuttavia che non esista in questi territori una governance informale che sostituisce il ruolo del governo nazionale. Anche negli Stati forti, inoltre, si assiste a un indebolimento del potere centrale causato da movimenti autonomistici e ridimensionamento delle capacità frontaliera. Secondo David Held, tuttavia, Stato e democrazia sono strettamente correlati e il venir meno del primo provoca anche il venir meno del secondo. Held propone di creare nuove istituzioni democratiche che sostituiscano lo Stato o cooperino con esso. Secondo A. è tuttavia difficile tutto ciò da una parte perché una democrazia transazionale è un controsenso in quanto la “natura deliberante” della democrazia presuppone uno spazio comune in cui deliberare, dall’altra perché nonostante la globalizzazione le identità nazionali sono ancora prevalente e la democrazia continua a poggiarsi su essa. Infine, gli organismi che i fautori della democrazia transnazionale indicano come nuovi soggetti – es. le ONG – non godono oggi di trasparenza e partecipazione democratica nel loro funzionamento e non sono perciò affidabili completamente.

Armi e guerra: secondo A. la tradizionale visione anarchica del sistema internazionale in cui gli Stati si scontrano continuamente per il potere e le

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risorse è stata smentita dalla Guerra fredda in avanti. C’è sempre meno volontà da parte degli Stati più forti di scontrarsi gli uni contro gli altri, il che però non vuol dire che ci sia meno violenza politica in quanto si assiste a un aumento dei conflitti interni. Tuttavia in generale l’impatto delle armi nucleari e il pericolo di escalation, gli eccessivi costi economici e politici delle guerre e il crescente rifiuto dei costi umani delle guerre hanno alienato il consenso verso di esse. Inoltre la nuova economia globalizzata favorisce la cooperazione anziché il conflitto.

Etica della cura: il mondo globalizzato ha visto estendere l’etica della cura, cioè l’interessarsi al proprio prossimo, dal contesto domestico al mondo circostante. Da una parte si sostiene che sia stata ripresa l’idea kantiana di una sola umanità fondata su un’etica cosmopolitica fatta di diritti comuni e giustizia imparziale; dall’altra si afferma invece che questa visione sia illusoria in quanto permangono iniquità nel mondo globalizzato e inoltre la visione occidentale del mondo non è sempre quella giusta ma rischia di trasformare il cosmopolitismo morale in imperialismo morale se non si dimostra sensibile alle diverse moralità locali.

Stati democratici e libertà intellettuale. La g.p. contemporanea è fortemente critica verso le politiche imperialiste delle grandi potenze, in primis degli Usa, nonostante riconosca che solo l’ampia tolleranza occidentale abbia potuto permettere l’evolversi della disciplina.

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