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ARTI AGGIORNAMENTI IN RIANIMAZIONE E TERAPIA INTENSIVA

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ARTIAggiornAmenti in riAnimAzione e terApiA intensivA

© Copyright 2011 by Pacini Editore S.p.A. – Pisa

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Finito di stampare nel mese di Settembre 2011

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prefazione

La terapia anticoagulante orale (TAO) rappresenta una strategia ampiamente utilizzata per il trattamen-to e la prevenzione di numerose patologie tromboemboliche, sia arteriose che venose. Il warfarin e gli altri antagonisti della vitamina K esercitano la loro attività anticoagulante inibendo la sintesi dei fattori della coagulazione vitamina K dipendenti (II, VII, IX e X) e numerosissimi studi ne hanno dimostrato da oltre 50 anni l’indubbia efficacia nella riduzione degli eventi tromboembolici. Peraltro, in considerazio-ne della notevole variabilità della posologia del warfarin sia da individuo a individuo che nello stesso paziente per numerose cause (es. cibo, farmaci, ecc.), è indispensabile durante l’impiego degli antago-nisti della vitamina K un monitoraggio laboratoristico regolare e sistematico per ridurre sia le compli-canze emorragiche che quelle trombotiche; purtroppo, nonostante un’ottimizzazione della sorveglianza laboratoristica, il tempo trascorso dai pazienti con un INR (International Normalized Ratio) in range terapeutico varia tra i vari centri tra il 50 e l’80% dei controlli. Va infine sottolineato come il numero di pazienti che ricevono TAO è in continuo incremento; in Italia ad esempio si stima che circa 1 milione di pazienti assumano tale trattamento per svariate patologie (fibrillazione atriale, cardiopatia dilatativa, valvulopatie, malattia tromboembolica venosa, protesi valvolari cardiache).

Nonostante una meticolosa e accurata sorveglianza della TAO mediante il monitoraggio regolare e si-stematico dell’INR, la complicanza più frequente relativa all’impiego degli antagonisti della vitamina K rimane certamente quella emorragica; infatti, secondo dati recenti della letteratura l’incidenza annuale di sanguinamenti maggiori è compresa tra l’1 e il 3%. In caso di emorragia maggiore in corso di TAO si impone, oltre ovviamente alla sospensione del farmaco, la rapida e completa normalizzazione della competenza emostatica al fine di ridurre l’entità del sanguinamento e conseguentemente di miglio-rare la prognosi del paziente sia in termini di mortalità che di morbilità. Ad oggi le linee guida delle più importanti società scientifiche nazionali ed internazionali raccomandano i concentrati di complesso protrombinico (PCC) come trattamento di elezione, insieme alla vitamina K, dei pazienti con emorragia maggiore in corso di TAO; tale trattamento è da preferirsi alla somministrazione di plasma fresco con-gelato (PFC) al fine di garantire una rapida e pressoché immediata normalizzazione della coagulabilità del sangue.

Obbiettivo del presente lavoro è offrire al clinico un ausilio completo, aggiornato e facilmente utilizzabi-le nella pratica quotidiana per la gestione della TAO e delle sue complicanze; a livello metodologico ab-biamo infine preferito continuare ad utilizzare la dizione TAO (al posto di quella più corretta, ma meno diffusa, di antagonisti della vitamina K) nel testo, per renderne la lettura più comprensibile e agevole.

Davide Imberti

Direttore Medicina Interna, Ospedale Civile di Piacenza

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La terapia anticoagulante orale: introduzione e aspetti generali

CARATTeRI geneRAlI dellA TeRApIA AnTICoAgulAnTe oRAle

Cenni storici

Le origini della terapia anticoagulante orale (TAO) risalgono al periodo tra la fine degli anni ’40 e gli inizi degli anni ’50, quando venne isolato un nuovo e più vantaggioso derivato del già noto dicumarolo: era la nascita del warfarin, avvenuta nel 1948.

In realtà la storia dei dicumarolici inizia diversi anni più indietro, da una strana epidemia di casi di emorragia interna che aveva provocato la morte di molti bovini nel Nord America e in Canada negli anni ’20. Dopo poco tempo fu chiaro che la causa di tale malattia doveva risiedere in un fatto-re alimentare e in particolare in alcune muffe cresciute nel fieno umido contenente trifogli. Tuttavia, occorsero diversi anni prima che la sostanza responsabile della “malattia del trifoglio dolce” fosse isolata: nel 1941 Karl Link riuscì a identificare tale molecola in un derivato ossidato della cumarina naturale, che chiamò dicumarolo 1.

Qualche anno più tardi Link ebbe l’idea di utilizzare un derivato dicuma-rolico come topicida, sfruttando la capacità intrinseca di causare emorra-gie interne. Il dicumarolo tuttavia agiva troppo lentamente, per cui Link e colleghi iniziarono a lavorare su una lista di 150 derivati della cumarina naturale che potessero essere più vantaggiosi: il numero 42 apparve esse-re particolarmente attivo e, poiché le ricerche erano state finanziate dalla Wisconsin Alumni Research Foundation (WARF), la nuova molecola venne chiamata warfarin. Il successo come topicida fu immediato 2.

Negli anni a seguire, si iniziò a utilizzare il warfarin anche per applicazioni cliniche, con il nome commerciale “Coumadin”. Rispetto agli anticoagu-lanti già esistenti, il warfarin offriva interessanti vantaggi: diversamente dall’eparina, infatti, poteva essere somministrato per via orale e, inoltre, rispetto al già noto farmaco orale dicumarolo, agiva molto più rapida-mente. In aggiunta, la sua potente azione anticoagulante manteneva, come per il dicumarolo, la capacità di essere annullata dalla vitamina K.

A dispetto della sua origine come veleno per topi, nel 1955 il warfarin venne somministrato al presidente americano Eisenhower in seguito a in-farto miocardico 1.

La diffusione dell’applicazione clinica del warfarin trovò inizialmente un ostacolo nella indisponibilità di un test di laboratorio standardizzato per determinarne accuratamente l’effetto e di conseguenza anche la posologia. Questa esigenza era necessaria poiché il warfarin presenta-va variazioni significative interindividuali e intraindividuali nel suo as-sorbimento, metabolismo e cinetica. Il tempo di protrombina (PT) era in grado di misurare l’effetto del warfarin sulla coagulazione, tuttavia risentiva significativamente delle diverse tromboplastine utilizzate per la sua determinazione. Questo problema venne superato agli inizi de-gli anni ’80 con l’introduzione, da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, dell’INR (International Normalized Ratio), che ha permesso la standardizzazione del controllo della terapia anticoagulante in tutto il mondo.

M.P. Donadini W. Ageno

Università dell’Insubria, Varese

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M.P. Donadini, W. Ageno

epidemiologia

Viene stimato che circa l’1-2% della popolazione generale e circa l’8% della popolazione ultra-ottanten-ne assuma la terapia anticoagulante orale 3 4. La prevalenza dell’utilizzo della TAO è in aumento, a causa delle migliori capacità diagnostiche e dell’aumento dell’aspettativa di vita della popolazione generale e dei pazienti con malattie croniche che richiedono la TAO.

La principale indicazione alla TAO è rappresentata dalla fibrillazione atriale (circa 65% dei casi), segui-ta da tromboembolismo venoso, protesizzazione valvolare cardiaca, cardiopatia ischemica e patologia aterotrombotica (arteriopatia obliterante degli arti inferiori, vasculopatia dei tronchi sopra-aortici, va-sculopatia cerebrale) 4.

Aspetti gestionali

Da oltre 50 anni la terapia anticoagulante orale si fonda sull’utilizzo dei farmaci antagonisti della vi-tamina K (AVK), di cui il warfarin è il capostipite e il più comunemente utilizzato in Nord America e in Europa. In Italia è presente anche l’acenocumarolo, mentre in altri stati europei è disponibile anche il fenprocumone.

Indipendentemente dalla indicazione terapeutica, la TAO necessita di un monitoraggio laboratoristico e clinico a causa del ridotto indice terapeutico degli AVK, con il conseguente potenziale rischio di compli-canze cliniche sia in caso di sovra-dosaggio che di sotto-dosaggio.

Nell’ultimo decennio, la ricerca farmacologica ha portato allo sviluppo di nuovi farmaci anticoagulan-ti orali, principalmente inibitori orali della trombina e inibitori del fattore X attivato. I nuovi farmaci anticoagulanti orali hanno l’obiettivo di fornire un’efficacia superiore o almeno non inferiore a quella degli AVK, garantendo inoltre un profilo farmacocinetico prevedibile e un più ampio indice terapeutico, in modo tale da non richiedere uno stretto monitoraggio laboratoristico. Lo scorso ottobre, negli Stati Uniti, per la prima volta in oltre 50 anni, la Food and Drug Administration ha approvato l’utilizzo cli-nico del dabigatran (inibitore del fattore II attivato), per la prevenzione primaria e secondaria a lungo termine del cardioembolismo in pazienti con fibrillazione atriale 5. Anche l’European Medicines Agency ha recentemente (aprile 2011) approvato l’utilizzo del dabigatran per il medesimo scopo, fornendo il prerequisito indispensabile per le successive procedure di approvazione da parte degli stati membri, Italia compresa.

MeCCAnIsMo d’AzIone e CARATTeRIsTIChe deglI AnTICoAgulAnTI oRAlI

Farmacodinamica

I farmaci dicumarolici agiscono sul processo di sintesi epatica vitamina K-dipendente di alcuni fattori della coagulazione. In particolare, i fattori II, VII, IX e X necessitano di una carbossilazione per poter acquisire la loro azione pro-coagulante. Questa reazione è resa possibile dalla presenza di vitamina K in forma ridotta, la quale cede il gruppo carbossilico e si ritrova, al termine della reazione, in forma ossidata. La vitamina K ossidata può tornare a rendersi disponibile per un nuovo ciclo di carbossila-zione solo se viene ri-convertita nella sua forma ridotta a opera dell’enzima vitamina K epossido-reduttasi. Proprio quest’ultimo enzima costituisce il target terapeutico dei farmaci antagonisti della vitamina K, i quali agiscono impedendo l’interconversione ciclica della vitamina K ossidata in vitami-na K ridotta 6.

Inoltre, gli AVK inibiscono anche la carbossilazione di alcune proteine anticoagulanti naturali, come le proteine C ed S, potendo perciò esercitare anche una potenziale azione pro-coagulante. In realtà l’azione anticoagulante degli AVK è dominante, ma si può assistere a un potenziale transitorio stato procoagulante in occasione dell’inizio della terapia con AVK in corso di un processo trombotico acuto (che provoca già di per sé una riduzione dei livelli di proteine anticoagulanti naturali). Questo effetto viene anche spiegato dalla diversa emivita dei fattori della coagulazione (soprattutto del fattore II) ri-spetto alle proteine anticoagulanti naturali: infatti l’emivita è di circa 6 ore per il fattore VII, 24 ore per il fattore IX, 36 ore per il fattore X e 50 ore per il fattore II, mentre è di circa 8 ore per la proteina C e 30 ore per la proteina S 6-8.

L’effetto antitrombotico pieno prodotto dagli AVK viene raggiunto dopo diversi giorni dall’inizio della terapia anticoagulante orale, nonostante l’INR possa risultare aumentato anche prima, a causa della riduzione più rapida di alcuni fattori della coagulazione, come il fattore VII.

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La terapia anticoagulante orale: introduzione ed aspetti generali

Farmacocinetica

Il warfarin è una miscela racemica 50:50 di due isomeri attivi: gli enantiomeri R ed S. Il warfarin è alta-mente solubile in acqua, viene rapidamente assorbito dal tratto gastroenterico e ha un’elevata biodispo-nibilità. Il warfarin circola nel sangue legato alle proteine plasmatiche ( > 97%), soprattutto all’albumi-na. La massima concentrazione ematica viene raggiunta già dopo circa 90 minuti dalla somministrazione orale. L’emivita plasmatica del warfarin varia da circa 36 a 42 ore mentre la sua durata d’azione può arrivare a circa 5 giorni. Il farmaco si accumula a livello epatico dove viene smaltito da enzimi del com-plesso del citocromo P450 attraverso vie diverse per le due forme R ed S. L’enantiomero S, circa 3 volte più potente dell’enantiomero R, viene trasformato soprattutto dall’enzima CYP2C9 e in misura minore dall’enzima CYP3A4. L’enantiomero R viene primariamente trasformato dagli enzimi CYP1A2 e CYP3A4 e in misura minore dal citocromo CYP2C19 6-8.

L’acenocumarolo presenta caratteristiche simili al warfarin in quanto ad assorbimento, biodisponibilità e legame con le proteine plasmatiche, tuttavia si differenzia in modo sostanziale per la sua emivita plasmatica più breve. Infatti l’emivita dell’acenocumarolo è di circa 9 ore e la sua durata d’azione di circa 2 giorni. Gli enzimi epatici del complesso P450 deputati alla sua clearance sono soprattutto il CYP2C9 e CYP2C19 7.

Seppur non disponibile in Italia (ma presente in diversi stati europei), si segnala la lunga emivita del fenprocumone (circa 5 giorni) 7.

Interazioni sull’attività anticoagulante

Sia la farmacodinamica che la farmacocinetica degli AVK sono influenzate da diversi fattori (genetici, alimentari, farmacologici, patologici), alcuni dei quali possono provocare alterazioni significative dell’at-tività anticoagulante degli AVK, che possono anche tradursi in un aumento significativo del rischio di eventi clinici trombotici o emorragici.

Fattori genetici. I fattori genetici responsabili delle interazioni significative sull’attività degli AVK sono costituiti principalmente da varianti alleliche dei geni dei citocromi coinvolti nel metabolismo degli AVK e del gene del complesso della vitamina K ossido-reduttasi (VKORC1) 6.

Infatti, diverse mutazioni puntiformi sono state descritte per il gene del CYP2C9, risultanti in una ri-duzione dell’azione enzimatica di clearance del warfarin e, in misura minore, dell’acenocumarolo. La frequenza di tali polimorfismi è variabile in diversi gruppi etnici. Pazienti portatori di queste mutazioni richiedono dosaggi di warfarin più bassi rispetto ai pazienti con genotipo wild type e inoltre presentano un aumentato rischio di complicanze emorragiche legate alla terapia dicumarolica 6.

Le varianti alleliche del gene VKORC1 causano una maggiore resistenza dell’enzima all’azione del war-farin. Anche in questo caso la frequenza delle varianti alleliche è diversa in vari gruppi etnici. I pazienti portatori di tali varianti richiedono dosi di mantenimento maggiori di warfarin.

Dieta. Il principale fattore dietetico potenzialmente interferente con l’azione degli AVK è costituito dall’apporto di vitamina K, alle cui fluttuazioni i pazienti in terapia cronica con AVK sono sensibili. La vitamina K è contenuta in diverse quantità in numerosissimi alimenti (è possibile trovarne una lista al link http://ods.od.nih.gov/factsheets/cc/coumadin1.pdf).

Importanti variazioni dell’apporto dietetico di vitamina K possono avvenire sia in soggetti sani che ma-lati. Un incremento dell’introito di vitamina K sufficiente a ridurre la sensibilità agli AVK avviene soprat-tutto in seguito all’aumentato consumo di verdure verdi durante regimi dietetici volti al calo ponderale oppure in pazienti trattati con supplementi di vitamina K. Al contrario, un potenziamento dell’attività degli AVK può avvenire in occasione di ridotto introito o assorbimento della vitamina K, come nel caso di pazienti alimentati per via parenterale senza supplementazione di vitamina K oppure in pazienti trattati con antibiotici (la flora batterica intestinale costituisce infatti una fonte significativa di vitamina K) op-pure in pazienti con malassorbimento dei grassi e quindi delle vitamine liposolubili come la vitamina K.

In generale, è auspicabile che i pazienti trattati con AVK abbiano un apporto dietetico più o meno co-stante di vitamina K. Non è necessario ridurre o aumentare l’apporto di vitamina K in pazienti con un buon controllo dell’anticoagulazione.

Controlli più ravvicinati dell’INR sono raccomandabili dopo una prolungata ospedalizzazione, durante chemioterapia, in caso di vomito o diarrea prolungati oppure in caso di cambiamento significativo delle abitudini alimentari per ottenere calo ponderale.

Oltre all’apporto dietetico “tradizionale” vi sono una serie di integratori alimentari e prodotti erboristici che possono risultare problematici nella gestione della TAO in quanto i pazienti, spesso non adeguata-mente informati sulle possibili interazioni tra quei prodotti e la TAO, non ne riferiscono l’assunzione.

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M.P. Donadini, W. Ageno

Inoltre, la standardizzazione del contenuto di tali prodotti è spesso modesta o nulla, creando quindi significative difficoltà nella identificazione di interazioni con l’INR. A questo proposito alcuni studi qua-litativamente adeguati hanno evidenziato un’assenza di interazioni con il warfarin da parte dello zen-zero, del ginkgo e del coenzima Q10. Al contrario è stato visto, in uno studio randomizzato controllato, come il ginseng riduca l’effetto del warfarin. Inoltre, non sorprende il fatto che siano state dimostrate riduzioni dell’effetto del warfarin da parte di alcuni prodotti erboristici con un alto contenuto di vita-mina K, come il tè verde. Anche il tabacco masticabile contiene elevate quantità di vitamina K, tali da richiedere un aumento della dose di warfarin 6.

Infine il consumo a lungo termine di alcool è potenzialmente in grado di aumentare la clearance epatica di warfarin, richiedendone quindi dosi maggiori.

Farmaci. Gli AVK sono molto sensibili all’attività di numerosi farmaci. In alcuni tra i principali database elettronici di farmaci e all’interno del foglietto illustrativo del Coumadin (Bristol-Myers Squibb, Prince-ton, New Jersey, USA) sono descritte centinaia di interazioni tra warfarin e altri farmaci, ma solo qualche decina di esse è in realtà comune a tutte le fonti. È consigliabile, infatti, evitare di considerare alla stessa stregua tutte le interazioni descritte, poiché molte si riferiscono solo a singoli case report e non sono ben documentate. Nel 2005 è stata pubblicata una revisione sistematica della letteratura riguardante le interazioni tra AVK e altri farmaci, che ha valutato la qualità degli studi, la direzione e la severità delle interazioni e diversi criteri di causalità, classificando tali interazioni in altamente probabili, probabili, possibili e altamente improbabili (Tab. I) 9.

Tra i meccanismi di interazione farmacologica vi è quello esercitato da alcuni farmaci a livello del me-tabolismo epatico degli AVK. Ad esempio metronidazolo, trimetoprim/sulfametossazolo e amiodarone inibiscono il metabolismo del warfarin, potenziandone di conseguenza l’effetto. Al contrario, farmaci come i barbiturici, la carbamazepina, la rifampicina e l’azatioprina riducono l’azione anticoagulante del warfarin poiché ne favoriscono la clearance, essendo degli induttori del metabolismo epatico.

Un altro meccanismo potenzialmente responsabile delle interazioni farmacologiche è quello che si espli-ca a livello farmacodinamico, sulla sintesi o sulla clearance dei fattori della coagulazione vitamina K-dipendenti. L’effetto anticoagulante degli AVK è potenziato ad esempio dalle cefalosporine di seconda e terza generazione, che inibiscono la interconversione della vitamina K (da forma ossidata a forma ridotta), dall’uso prolungato di paracetamolo, che inibisce il complesso della vitamina K-ossido reduttasi (VKORC) e dalla tiroxina, che aumenta il metabolismo dei fattori della coagulazione.

Anche variazioni importanti della quantità di vitamina K prodotta dalla flora batterica intestinale pos-sono influire sull’effetto degli AVK, in particolare durante l’utilizzo di antibiotici ad ampio spettro che possono significativamente ridurre la flora batterica intestinale stessa.

Vi sono inoltre farmaci che provocano un aumento del rischio di sanguinamento associato agli AVK poiché inibiscono altri meccanismi del processo emostatico. Ad esempio l’acido acetilsalicilico e i farmaci anti-infiammatori non steroidei inibiscono l’aggregazione piastrinica e inoltre possono causare erosioni gastriche che aumentano il rischio di sanguinamento gastroenterico. Questo effetto può essere provoca-to, in pazienti in terapia con AVK, anche dagli inibitori della COX-2.

Per molti farmaci, infine, non sono noti i meccanismi esatti di potenziamento o riduzione dell’azione degli AVK (ad esempio eritromicina, steroidi anabolici, fibrati).

Da un punto di vista gestionale, in tutti i casi in cui non è possibile utilizzare un farmaco alternativo a quelli potenzialmente interagenti con gli AVK, è consigliabile aumentare la frequenza di controllo dell’INR modificando eventualmente di conseguenza il dosaggio degli AVK, al fine di evitare eventi av-versi legati alle interazioni farmacologiche. L’aggiustamento preventivo del dosaggio degli AVK non è invece consigliato, poiché l’entità della risposta individuale dei pazienti alle interazioni farmacologiche non è comunque prevedibile in anticipo.

Condizioni fisiologiche e patologiche. Tra le variazioni più significative del dosaggio richiesto di war-farin, vi è quella legata all’aumentare dell’età. Infatti in età avanzata si riducono le scorte epatiche di vitamina K e anche le concentrazioni plasmatiche dei fattori della coagulazione vitamina K-dipendenti, causando perciò un’aumentata sensibilità al warfarin e quindi la necessità di dosi minori.

Alcuni componenti del fumo di sigaretta sono risultati essere induttori di alcuni enzimi del metabolismo del warfarin, come il CYP1A2. È stata osservata una riduzione delle dosi di warfarin a seguito dell’inter-ruzione dell’abitudine del fumo.

Tra le condizioni patologiche, le disfunzioni epatiche, gli stati ipermetabolici (come la febbre e l’iper-tiroidismo), le esacerbazioni di scompenso cardiaco e lo stadio terminale dell’insufficienza renale sono associati a un’aumentata sensibilità al warfarin.

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La terapia anticoagulante orale: introduzione ed aspetti generali

Tab. I. Interazioni sull’attività del warfarin da parte di farmaci, cibo e supplementi dietetici, classificate in base alla direzione (potenzia-mento o inibizione) e al livello di causalità 9.

Livello di causalità

Anti-microbici Farmaci cardiovascolari

Analgesici, antinfiammatori e immunologici

Farmaci agenti sul sistema nervoso centrale

Farmaci e cibi agenti a livello gastro-enterico

Supplementi erboristici

Altri farmaci

Potenziamento

Altamente probabile

CiprofloxacinaCotrimoxazoloEritromicinaFluconazoloIsoniazideMetronidazoloMiconazolo gel oraleMiconazole ovuli vaginaliVoriconazolo

AmiodaroneClofibratoDiltiazemFenofibratoPropafenonePropranololoSulfinpirazone (azione bifasica con inibizione successiva)

FenilbutazonePiroxicam

Alcool (se concomitante malattia epatica)CitalopramEntacaponeSertralina

CimetidinaOlio di pesceMangoOmeprazolo

Boldo-Fineo GrecoQuilinggao

Steroidi anaboliciZileuton

Probabile Amoxicillina/clavulanicoAzitromicinaClaritromicinaItraconazoloLevofloxacinaRitonavirTetracicline

AspirinaFluvastatinaChinidinaRopiniroloSimvastatina

AspirinaCelecoxibDestropropossifeneInterferoneParacetamoloTramadolo

DisulfiramCloralidratoFluvoxaminaFenitoina (azione bifasica con inibizione successiva)

Pompelmo DanshenDon quaiLycium barbarum LPC-SPES

FluorouracileGemcitabinaLevamisolo/fluorouracilePaclitaxelTamoxifeneTolterodina

Possibile AmoxicillinaAmoxicillina/Sciacqui con ac. tranexamicoCloramfenicoloGatifloxacinaMiconazolo gel topicoAcido NalidixicoNorfloxacinaOfloxacinaSaquinavirTerbinafina

Tossicosi indotta da amiodaroneDisopiramideGemfibrozilMetolazone

CelecoxibIndometacinaLeflunomidePropossifeneRofecoxibSulindacTolmetinaSalicilati topici

Felbamato Orlistat Danshen/metilsalicilates

AcarbosioCiclofosfamide/methotrexate/fluorouracileCurbicinDanazoloIfosfamideTrastuzumab

Altamente improbabile

CefamandoloCefazolinaSulfisoxazole

BezafibratoEparina

LevamisoloMetilprednisoloneNabumetone

Fluoxetina/diazepamQuetiapina

Etoposide/carboplatinoLevonorgestrel

Inibizione

Altamente probabile

GriseofulvinaNafcillinaRibavirinaRifampicina

Colestiramina Mesalazina BarbituriciCarbamazepina

Cibi/nutrizione enterale ad alto contenuto di vitamina KAvocado (grandi quantità)

Mercaptopurina

Probabile DicloxacillinaRitonavir

Bosentan Azatioprina Clordiazepossido Latte di soiaSucralfato

Ginseng Terapia chelanteVaccino influenzaleSupplementi multivitaminiciRaloxifene HCL

Possibile Terbinafina Telmisartan Sulfasalazina Sushi contenente alghe

CiclosporinaEtretinatoUbidecarenone

Altamente improbabile

CloxacillinaNatcillina/dicloxacillinaTeicoplanina

Furosemide Propofol Tè verde

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M.P. Donadini, W. Ageno

IndICAzIonI Al TRATTAMenTo AnTICoAgulAnTe oRAle

Le indicazioni alla terapia anticoagulante orale comprendono sia patologie dei vasi sanguigni sia pato-logie cardiache. L’intensità e la durata della TAO possono differire a seconda delle indicazioni, mentre le modalità di monitoraggio e la possibilità di complicanze emorragiche sono comuni a tutti i pazienti che assumono la terapia dicumarolica.

Fibrillazione atriale

La fibrillazione atriale (FA) rappresenta l’indicazione più comune al trattamento anticoagulante orale, essendo elevata la prevalenza di tale patologia, soprattutto tra la popolazione anziana.

L’indicazione alla TAO nei pazienti con FA si basa sulla stratificazione del rischio cardioembolico. In par-ticolare, diverse variabili (come età, ipertensione arteriosa, diabete, pregresso cardioembolismo, scom-penso cardiaco, cardiopatia ischemica, sesso femminile, tireopatia, patologia vascolare) sono risultate essere predittive di cardioembolismo in pazienti con FA. Alcune di queste variabili, più fortemente as-sociate al rischio di cardioembolismo, sono raccolte nello score clinico CHADS2, che è stato derivato e validato in diverse coorti di pazienti, e che comprende lo scompenso cardiaco (Cardiac failure), l’iperten-sione arteriosa (Hypertension), l’età maggiore di 75 anni (Age), il diabete mellito (Diabetes) e la storia di pregresso ictus ischemico o attacco ischemico transitorio (Stroke o TIA). La stratificazione del rischio cardioembolico basata sul CHADS2 score prevede l’assegnazione di 2 punti per un pregresso stroke o TIA e 1 punto per ognuna delle altre variabili dello score. Nei pazienti con FA, il rischio cardioembolico an-nuo aumenta all’aumentare del punteggio del CHADS2 score (che può variare da 0 a 6): uno score uguale a 0 è associato a un rischio pari a circa il 2%, uno score uguale 1 a un rischio pari a circa il 3%, uno score uguale a 2 a un rischio pari a circa il 4%, salendo fino a un rischio del 12% con score uguale a 5 e del 18% con score uguale a 6 10.

Diverse linee guida di pratica clinica basate sull’evidenza raccomandano l’utilizzo della terapia antico-agulante orale in pazienti con FA che presentano un CHADS2 score uguale o maggiore di 2: in questi pazienti, infatti, il rischio cardioembolico risulta più elevato del rischio di sanguinamento maggiore associato all’uso della TAO 10-12.

Il trattamento con anticoagulanti orali può essere considerato individualmente anche in pazienti con CHADS2 score uguale a 1, in alternativa alla terapia antiaggregante piastrinica. Inoltre, la TAO viene som-ministrata, indipendentemente dal CHADS2 score, in previsione di cardioversione elettrica o procedure di ablazione connesse allo studio elettrofisiologico 10-12.

La durata della TAO è da considerarsi a tempo indeterminato in pazienti con CHADS2 score uguale o maggiore di 2. Le indicazioni alla TAO sono le medesime sia in caso di flutter atriale sia in caso delle varie tipologie di fibrillazione atriale (parossitica, persistente o permanente) 10.

Nei pazienti con FA trattati con TAO, il range terapeutico dell’INR è compreso tra 2 e 3.

Tromboembolismo venoso

Il tromboembolismo venoso (TEV) comprende principalmente la trombosi venosa profonda (TVP) a li-vello degli arti inferiori e l’embolia polmonare (EP), oltre a manifestazioni meno comuni come le TVP a livello degli arti superiori, le trombosi venose splancniche e le trombosi venose cerebrali.

La terapia anticoagulante orale è prevista in tutti i casi di TVP prossimale, EP, trombosi venose splancni-che e cerebrali.

Le linee guida di pratica clinica basate sull’evidenza raccomandano il trattamento con TAO per 3 mesi in caso di TVP ed EP associate a un fattore di rischio transitorio al momento dell’evento (trauma e/o frattura, intervento chirurgico, gravidanza/puerperio, terapia estroprogestinica, malattia medica acuta associata ad allettamento prolungato). La durata della TAO dovrebbe essere di almeno 3 mesi in caso di TVP ed EP non associate ad alcun fattore di rischio (TEV idiopatico), con l’indicazione a considerare indi-vidualmente la prosecuzione della terapia tempo indeterminato. In presenza di fattori di rischio duraturi (cancro attivo) o permanenti (trombofilia maggiore, come ad esempio deficit di antitrombina, proteina C, proteina S o sindrome da anticorpi antifosfolipidi) la TAO dovrebbe essere somministrata a tempo indeterminato dopo un primo episodio di TVP e/o EP 13.

In caso di trombosi venosa cerebrale, il trattamento anticoagulante orale dovrebbe essere proseguito per almeno 1 anno. Le evidenze circa la durata ottimale del trattamento delle trombosi venose splancni-che sono più scarse: la decisione circa la durata della terapia deve tener conto, come nel caso di TVP ed EP, dei fattori di rischio associati alla manifestazione trombotica.

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La terapia anticoagulante orale: introduzione ed aspetti generali

Come nel caso della FA, anche nei pazienti con TEV che assumono la TAO, il range terapeutico dell’INR è compreso tra 2 e 3.

Valvuloprotesi cardiache

La sostituzione delle valvole cardiache con protesi meccaniche richiede il trattamento anticoagulante orale a tempo indeterminato. L’intensità della TAO varia a seconda del tipo e della posizione della valvola cardiaca e di eventuali fattori di rischio aggiuntivi per cardioembolismo (come la concomitante presenza di FA, infarto miocardico, ingrandimento atriale sinistro, stato di ipercoagulabilità, ridotta frazione di eiezione).

In linea generale, in assenza di fattori di rischio aggiuntivi, è indicato un range terapeutico dell’INR com-preso tra 2 e 3 per le valvole meccaniche in posizione aortica dei tipi bileaflet o Medtronic Hall tilting disk. In tutti gli altri casi (protesi valvolari aortiche dei tipi sopracitati in presenza di fattori di rischio aggiuntivi; tipi di protesi valvolari aortiche diversi dai sopracitati; qualsiasi tipo di protesi valvolare mitra-lica) è raccomandato un range terapeutico dell’INR compreso tra 2,5 e 3,5. In presenza di valvuloprotesi meccaniche e fattori di rischio aggiuntivi per cardioembolismo è inoltre raccomandato l’aggiunta di ac. acetilsalicilico (50-100 mg/die), tranne quando sia presente un elevato rischio emorragico (per esempio pregresso sanguinamento gastroenterico o età superiore agli 80 anni) 14 15.

Nel caso di valvuloprotesi biologiche, la TAO (range INR 2-3) è raccomandata per la durata di 3 mesi (se-guita da trattamento con ac. acetilsalicilico) per le bioprotesi in posizione mitralica. Per le bioprotesi in posizione aortica che non abbiano altre indicazioni alla TAO, è indicato unicamente l’ac. acetilsalicilico. La TAO è invece consigliata in caso di valvuloprotesi biologica, indipendentemente dalla sede, quando sono presenti i fattori di rischio per cardioembolismo sopracitati 14 15.

Altre indicazioni

Vi possono essere numerose altre indicazioni alla terapia anticoagulante orale sia come prima scelta, sia in alternativa o in aggiunta alla terapia antiaggregante (o ad altri farmaci antitrombotici), sia in sostituzione di quest’ultima in caso di suo fallimento. Tra le molte indicazioni non citate in precedenza si ricordano la cardiopatia ischemica, la cardiopatia ipocinetica e/o dilatativa, la presenza di trombi ven-tricolari, le trombosi arteriose in presenza di sindrome da anticorpi antifosfolipidi, l’arteriopatia oblite-rante cronica periferica, la vasculopatia dei tronchi sovra-aortici, gli eventi cerebrovascolari ischemici, le trombosi venose superficiali recidivanti, le trombosi venose distali, l’innesto di materiale protesico a livello vascolare o cardiaco.

ConTRoIndICAzIonI AllA TeRApIA AnTICoAgulAnTe oRAle

Rischio emorragico

La terapia anticoagulante orale è associata a un aumentato rischio di sanguinamento, sia di tipo minore che maggiore. I dati di incidenza annua di sanguinamento maggiore legato alla TAO possono essere variabili a seconda della loro fonte: per esempio, diversi trial clinici randomizzati hanno evidenziato una incidenza pari a circa l’1-2%, mentre studi di coorte e registri hanno mostrato dati variabili fino anche al 4% o più 16-18.

Di notevole rilevanza è il dato riguardante la mortalità da sanguinamento maggiore (case-fatality rate), che è pari a circa il 10-15% in generale 19 20, fino a raggiungere circa il 50% in caso di emorragia cerebrale 21.

Diversi fattori possono influenzare il rischio di sanguinamento durante TAO, alcuni dei quali legati ad aspetti della terapia stessa (target dell’INR, qualità del monitoraggio, fase iniziale della terapia rispetto alla sua conduzione cronica), altri legati a caratteristiche proprie dei pazienti (storia di pregresso sangui-namento, età avanzata, abuso alcolico, comorbidità quali insufficienza renale, malattia epatica, pregres-so stroke, concomitante uso di antiaggreganti piastrinici, elevato rischio di cadute o traumi).

Sono stati proposti diversi modelli predittivi del rischio emorragico in pazienti trattati con dicumarolici, tuttavia nessuno di essi ha dimostrato finora una sufficiente accuratezza predittiva per poter essere consigliato routinariamente nella pratica clinica. Alcune medesime variabili sono risultate predittive di sanguinamento in diversi studi, per cui si ritrovano in più di uno score.

Uno di questi modelli ha identificato i seguenti fattori predittivi indipendenti di emorragia: età > 65 anni, storia di sanguinamento gastrointestinale, storia di stroke e almeno una comorbidità tra infarto miocardico, ematocrito < 30%, creatinemia > 1,5 mg/dl e diabete mellito 22. In questo studio l’incidenza

12

M.P. Donadini, W. Ageno

di sanguinamento maggiore a 2 anni è risultata uguale al 3% in pazienti con nessuno dei fattori sopraci-tati, 12% in presenza di 1 o 2 fattori, 53% in presenza di 3 o 4 fattori. Recentemente è stato derivato uno score predittivo utilizzando i dati di una coorte di quasi 4000 soggetti con FA. A ciascuna delle variabili identificate dallo studio (raccolte con l’acronimo HAS-BLED), è stato assegnato un punteggio di 1 o 2 allo scopo di stratificare il rischio emorragico in base allo score totale (da 0 a 9). Le variabili sono: Hyper-tension (1 punto), Abnormal renal and liver function (1 o 2 punti), Stroke (1 punto), Bleeding (1 punto), Labile INR (1 punto), Elderly (1 punto), Drugs or alcohol (1 o 2 punti). Uno score maggiore o uguale a 3 ha identificato un gruppo di pazienti ad alto rischio emorragico, che ha presentato nello studio un’inci-denza di emorragia maggiore superiore al 3% all’anno 23.

problemi gestionali

I pazienti con indicazione al trattamento anticoagulante orale devono essere adeguatamente informati circa il significato della terapia stessa, il rapporto tra rischi e benefici, l’importanza dell’aderenza alla posologia prescritta, la necessità di controlli seriati dell’INR nella data di volta in volta indicata, le poten-ziali interazioni dietetiche e farmacologiche con la TAO, le possibili modalità di monitoraggio della TAO (presso i Centri per la sorveglianza anticoagulante oppure da parte del medico di medicina generale), il comportamento da adottare in caso di sanguinamento minori o maggiori.

L’importanza di fornire un’accurata educazione sanitaria ai pazienti che iniziano il trattamento antico-agulante orale risiede anche nella possibilità di identificare, per ciascun paziente, eventuali fattori che possano ostacolare la corretta aderenza a uno o più degli aspetti sopracitati. Qualora si riscontrassero condizioni possibilmente rischiose per una corretta gestione della TAO (ad esempio impossibilità di con-trollare l’INR agli intervalli stabiliti, possibile difficoltà a contattare il paziente per cambiamenti urgenti di dose, incertezza circa la capacità del pazienti di aderire alla posologia e/o alle istruzioni fornite sulla TAO, incertezza circa l’effettiva possibilità di aderire alle restrizioni dell’introito alcolico) potrà rendersi necessario una rivalutazione del rapporto rischi-benefici legati alla TAO, eventualmente prendendo in considerazione altre opzioni terapeutiche.

CAso ClInICo

A un paziente di 74 anni viene diagnosticata una TVP poplitea e distale destra tramite un esame a compressione delle vene degli arti inferiori, richiesto dal Curante a seguito della comparsa da 3 giorni di edema della gamba, eritema e dolorabilità alla compressione del polpaccio. Nessuno tra i fattori di rischio transitori per tromboembolismo venoso risulta presente nel periodo precedente la comparsa dei sintomi (recente trauma, frattura o intervento chirurgico, recente ricovero per malattia medica acuta, recente allettamento con immobilizzazione). In anamnesi il paziente riferisce ipertensione ar-teriosa (in terapia con ace-inibitore), diabete mellito di tipo II (in terapia con metformina) e broncop-neumopatia cronica ostruttiva (in terapia con tiotropio bromuro) in pregresso tabagismo. Alcuni esami del sangue eseguiti a un recente controllo di routine evidenziano normali valori dell’emocromo e della funzionalità renale.

Quali delle seguenti opzioni diagnostico-terapeutiche sembra essere più appropriata?

a) iniziare il trattamento con eparina o fondaparinux a dosaggio terapeutico, embricando dal primo giorno il trattamento dicumarolico per os (range INR 2-3);

b) come opzione “a”, eseguendo inoltre esami di screening per neoplasia occulta;

c) iniziare il trattamento eparinico a dosaggio profilattico, embricando dal primo giorno il trattamento dicumarolico per os (range INR 2-3);

d) iniziare il trattamento eparinico a dosaggio terapeutico, richiedere il posizionamento di filtro cavale e iniziare la terapia dicumarolica successivamente (range INR 2,5-3,5).

La terapia eparinica o con fondaparinux è da iniziare da subito, a dosaggio terapeutico. Il trattamento dicumarolico è anch’esso raccomandato dal 1° giorno di terapia, contestualmente e in aggiunta alla terapia eparinica o con fondaparinux che deve essere proseguita per almeno 5 giorni e fino a quando il valore di INR non è superiore a 2 per più di 48 ore. La TAO andrà modulata per mantenere un range dell’INR tra 2 e 3. Il paziente viene accuratamente informato circa le motivazioni, i rischi e i vari aspetti gestionali della TAO (vedi testo). Nella situazione descritta non è indicato il posizionamento del filtro cavale poiché non sussiste alcuna condizione che lo renda necessario (come una controindicazione al trattamento anticoagulante, un concomitante sanguinamento attivo o il fallimento terapeutico degli

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La terapia anticoagulante orale: introduzione ed aspetti generali

anticoagulanti). È consigliabile inoltre, in considerazione della sede prossimale della TVP e dell’età del paziente, eseguire degli esami di screening per neoplasia occulta.

Gli esami di screening (in questo caso eseguiti esame obiettivo completo, routine ematochimica, TC del torace, ecografia addominale, ricerca di sangue occulto fecale, dosaggio del PSA) risultano negativi per neoplasia. L’evento tromboembolico viene classificato come idiopatico e viene pertanto confermata l’in-dicazione a proseguire con trattamento dicumarolico.

Quale tra le seguenti opzioni sembra essere più appropriata riguardo la durata ottimale della TAO per questo paziente?

a) proseguire per 3 mesi, poi interrompere;

b) proseguire per 6 mesi, poi interrompere;

c) proseguire a tempo indeterminato;

d) proseguire per 3 mesi, successivamente rivalutare il rapporto rischi-benefici e coinvolgere il paziente nella decisione terapeutica.

Le linee guida di pratica clinica basate sull’evidenza raccomandano una durata minima della TAO di almeno 3 mesi in caso di TVP idiopatica. Al termine di questo periodo dovrebbe essere presa in conside-razione la possibilità di un trattamento a tempo indeterminato, dopo aver rivalutato il rapporto rischio-beneficio legato alla TAO e la preferenza del paziente.

A 3 mesi dall’evento acuto viene eseguita una rivalutazione ecografica, che dimostra la presenza di residuo trombotico > 3 mm in sede poplitea. Viene inoltre eseguita una determinazione del D-dimero, che risulta nella norma. La presenza di residuo trombotico venoso (RTV) o di D-dimero sopra il range di normalità è risultata associata a un aumentato rischio di recidiva tromboembolica, tuttavia l’utilizzo di questi parametri non è al momento raccomandato dalle linee guida per decidere la durata otti-male della TAO. Per meglio stratificare il rischio di recidiva tromboembolica sono stati recentemente derivati anche dei modelli predittivi (comprendenti le variabili di età, sesso, presentazione idiopatica/secondaria, presentazione come TVP o EP, segni di sindrome post-flebotrombotica, obesità, D-dimero), che necessitano tuttavia ancora di adeguata validazione. In questo caso clinico, il paziente, avendo avuto un episodio idiopatico di TVP, presenta un rischio di recidiva tromboembolica quantificabile in circa 30-50% a 10 anni, secondo gli studi epidemiologici. Inoltre, sebbene non ancora validati per la decisione terapeutica, il paziente presenta alcuni ulteriori fattori di rischio per recidiva (sesso maschile, età avanzata, RTV).

Il rischio emorragico non è facilmente quantificabile: il paziente presenta alcuni fattori di rischio per san-guinamento, come l’età (che è un fattore di rischio anche per recidiva tromboembolica) e l’ipertensione arteriosa (che risulta comunque ben controllata). D’altra parte il paziente non ha mai avuto pregressi episodi emorragici né presenta malattia epatica o renale. Inoltre il controllo della TAO nei primi 3 mesi è stato molto buono.

Tenuto conto di tutti questi dati, si spiegano al paziente i benefici legati alla prosecuzione della TAO e si ribadiscono i rischi legati a essa, condividendo con il paziente il fatto che, nel suo caso, sembrano pre-valere i primi. Anche il paziente ritiene adeguata la prosecuzione della TAO, visti il buon controllo avuto fino a quel momento e la preoccupazione che lui pone su un’eventuale recidiva trombotica.

D’accordo con il paziente, si decide di proseguire la TAO a tempo indeterminato con rivalutazioni perio-diche del rischio di sanguinamento.

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D. Prisco E. GrifoniC. Cenci

Dipartimento di Area Critica Medico-Chirurgica, Università di Firenze, SOD Patologia Medica, AOU Careggi, Firenze

gesTIone ClInICA dellA TAo

Valutazione preliminare del paziente

Prima di iniziare il trattamento con anticoagulanti orali è opportuna una valutazione preliminare del paziente al fine di definire l’indicazione alla TAO ed escludere la presenza di controindicazioni, definire il range tera-peutico in relazione all’indicazione principale e al rischio emorragico del paziente, stabilire la durata del trattamento, chiarire come e da chi sarà sorvegliata la TAO.

Un’accurata valutazione iniziale dovrà quindi accertare le condizioni cli-niche generali del paziente, valutandone il grado di collaborazione e la possibile presenza di condizioni che ne riducano o escludano l’affidabi-lità (deficit mentale, gravi psicosi, alcolismo, tossicodipendenza, ecc.). In quest’ultimo caso andrà valutato se il supporto familiare e/o del caregiver potrà consentire comunque una corretta esecuzione della terapia. L’anam-nesi e l’esame obiettivo evidenzieranno la presenza di controindicazioni assolute o relative al trattamento e nel caso in cui le controindicazioni non abbiano un valore assoluto si valuterà il rapporto tra i possibili rischi e i benefici attesi 1-3.

posologia

Dopo la valutazione preliminare, il medico dovrà decidere come iniziare il trattamento. La risposta ai dicumarolici è estremamente variabile dipen-dendo da molti fattori individuali e/o ambientali che devono essere consi-derati nella scelta del dosaggio più appropriato. Tra le molteplici cause di variabilità alcune sono almeno in parte note ed è opportuno conoscerle per poter prevedere la risposta nel singolo paziente con maggiori proba-bilità di successo.

1) Età. L’età avanzata aumenta la sensibilità al warfarin, portando così a una riduzione del fabbisogno. In uno studio 4 è stato dimostrato che, a parità di tempo di protrombina (PT), i pazienti di età fino a 35 anni richiedevano una dose media di warfarin di 8,1 ± 0,7 mg/die, mentre i pazienti al di sopra dei 75 anni necessitavano di 3,7 ± 0,7 mg/die. Un altro studio 5 concludeva che la dose di warfarin necessaria per ottene-re PT terapeutici diminuisce in media di circa il 10% per ogni decennio di età, corrispondente a una diminuzione media di circa 0,5 mg per decade. Un altro studio non ha mostrato differenze legate all’età nella farmacocinetica del warfarin, ma ha ipotizzato che sia un incremen-to intrinseco della sensibilità al farmaco a essere responsabile dell’au-mentato effetto del warfarin nell’anziano 6. I meccanismi di questo in-cremento non sono noti, ma non può essere escluso, almeno in certi casi, un deficit intrinseco di vitamina K (per ridotto apporto, deficit di assorbimento o alterata farmacocinetica).

2) Peso. II peso del paziente può essere un fattore da considerare al mo-mento dell’inizio della terapia anticoagulante. In media le dosi assolute di anticoagulanti orali necessarie a mantenere l’intervallo terapeutico desiderato sono direttamente correlate al peso corporeo. Uno studio 7 mostra una relazione significativa con la dose di warfarin di manteni-mento quando età e peso vengono presi in considerazione congiun-

gestione clinica, monitoraggio e “bridging therapy”

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D. Prisco, E. Grifoni, C. Cenci

tamente piuttosto che come fattori isolati: così pazienti giovani e che pesano di più richiedono una quantità maggiore di warfarin per ottenere una risposta terapeutica rispetto a soggetti anziani e di peso inferiore.

3) Razza o etnia. Anche il gruppo etnico di appartenenza può influire sulla sensibilità ai dicumarolici. È osservazione comune come i pazienti asiatici spesso richiedano dosi di warfarin minori rispetto ai pazienti di altre etnie.

Non è insolito che un paziente richieda elevate dosi di anticoagulanti orali per mantenere l’INR nell’in-tervallo terapeutico desiderato. I motivi di ciò sono numerosi: fra questi la scarsa collaborazione del paziente (errori nell’assunzione o mancata assunzione), le interazioni con altri farmaci (in particolare amiodarone, carbamazepina, barbiturici), l’assunzione con la dieta di elevate quantità di vitamina K, alterazioni metaboliche (ipotiroidismo, ipercolesterolemia), malassorbimento del farmaco, fattori ge-netici. Rari sono i casi di vera resistenza ai dicumarolici, fenomeno che è stato recentemente associato a mutazioni dei geni codificanti per gli enzimi connessi con il metabolismo dei dicumarolici e con quello della vitamina K.

Modalità di inizio e sospensione della terapia

L’induzione della TAO deve essere effettuata tenendo conto che non sono disponibili parametri preditti-vi ragionevolmente sicuri di quella che sarà la dose media giornaliera per ogni singolo paziente.

Storicamente, per l’inizio della terapia con warfarin venivano utilizzate dosi di carico superiori a 20 mg. Uno dei primi studi che ha confrontato dosi elevate con dosi di carico di 10-15 mg/die non ha rilevato al-cuna differenza significativa tra i due metodi di somministrazione nell’entità della riduzione di ciascuno dei quattro fattori della coagulazione vitamina K-dipendenti 8. Questa posologia tuttavia era associata a un aumento dell’incidenza di emorragie e a casi di necrosi tissutale 9 10. La rapida riduzione dei livelli di proteina C, anticoagulante fisiologico vitamina K-dipendente a breve emivita, non ancora compensata dalla concomitante diminuzione dei fattori della coagulazione vitamina K-dipendenti a emivita più lun-ga, può indurre infatti una trombosi del microcircolo con comparsa di necrosi cutanea, soprattutto nei pazienti con deficit congenito di proteina C o proteina S.

L’induzione della TAO dovrebbe essere effettuata dunque con una dose di warfarin di 5 mg al giorno, dosaggio che consente, con i successivi aggiustamenti, il raggiungimento di un’anticoagulazione sta-bile in 4-7 giorni nella maggior parte dei pazienti. Se si utilizza l’acenocumarolo occorre ricordare che quest’ultimo ha una potenza anticoagulante circa doppia rispetto al warfarin (per cui una compressa di 5 mg di warfarin ha lo stesso potere anticoagulante di 2,5 mg di acenocumarolo). In pazienti con elevata sensibilità al warfarin (ad es. anziani o con problemi di interazione farmacologica) potrebbero essere appropriate dosi iniziali più basse. Se l’effetto antitrombotico è più urgente (ad esempio cardiopatie ad alto rischio di embolizzazione), l’uso di una dose di carico maggiore (ad esempio 10 mg di warfarin) per i primi 2 giorni è uno schema alternativo che tuttavia aumenta i rischi di sovradosaggio e che deve essere utilizzato solo se possono essere effettuati controlli ravvicinati dell’INR.

Studi di farmacogenetica hanno indagato il ruolo di polimorfismi degli enzimi che metabolizzano i dicu-marolici (citocromo P450) e il loro target farmacologico (vitamina K epossido-reduttasi) nel determinare la sensibilità dei pazienti all’azione del farmaco e il potenziale valore predittivo di tali varianti genetiche sulla dose di dicumarolico da somministrare. Tuttavia, non esistono ad oggi algoritmi validati che per-mettano di stabilire la dose iniziale di warfarin o acenocumarolo da somministrare al singolo paziente in base al tipo di polimorfismo individuato nonostante alcuni tentativi fatti essenzialmente negli Stati Uniti 11.

Dopo la dose iniziale i pazienti dovrebbero essere valutati entro i primi giorni di terapia e poi ogni 5-7 giorni a seconda della risposta e dei fattori di rischio per emorragia. Potrebbero essere necessari un con-trollo di laboratorio e una valutazione del paziente più frequente se il soggetto ha una risposta inattesa o è instabile dal punto di vista clinico.

Pengo et al. hanno sviluppato un algoritmo utile a stabilire la dose di mantenimento utilizzando l’INR del 5° giorno dopo 4 giorni di somministrazione di 5 mg/die di warfarin 12 (Tab. I). Algoritmi di induzione più sofisticati, in grado di prevedere con buona approssimazione la dose di mantenimento sulla base della risposta anticoagulante alla dose di carico nei primi giorni, sono stati elaborati su ampie basi statistiche e implementati in vari programmi di software dedicati, utilizzati nei Centri di Sorveglianza della TAO.

Se è necessaria un’anticoagulazione immediata, come ad esempio in presenza di una trombosi in atto, è necessario iniziare la terapia con eparina (sia non frazionata che a basso peso molecolare) o fondapari-nux a dosi anticoagulanti embricando successivamente i dicumarolici per qualche giorno. È stato oggetto

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Gestione clinica, monitoraggio e “bridging therapy”

di discussione anche il tempo più appropriato della somministrazione della dose iniziale di warfarin in pazienti in terapia eparinica. Uno studio ha confrontato la somministrazione di warfarin precoce (entro 48 ore dall’inizio dell’eparina) con quella tardiva (96 ore o oltre) 13. L’inizio precoce diminuiva la durata e i costi dell’ospedalizzazione, riduceva l’incidenza di trombocitopenia indotta da eparina ed era di pari efficacia rispetto all’inizio tardivo del warfarin. Viene quindi attualmente raccomandato di iniziare la TAO il più precocemente possibile: in assenza di evidenti controindicazioni alla TAO (ad esempio la ne-cessità imminente di procedere a manovre invasive che ne renderebbero necessaria la sospensione) la prima dose di warfarin (o acenocumarolo) può essere somministrata già entro le prime 24 ore dall’inizio della terapia eparinica. L’eparina può essere sospesa quando l’INR raggiunge valori superiori a 2 per due giorni consecutivi.

Nei pazienti che ricevono contemporaneamente eparina e warfarin deve essere tenuto in considerazio-ne che l’eparina non frazionata, soprattutto a dosi elevate, può determinare un prolungamento anche del PT e quindi un aumento dell’INR. Tale effetto potrebbe trarre in inganno lasciando presumere un corretto raggiungimento dell’INR desiderato con la TAO e inducendo una prematura sospensione del trattamento eparinico. Durante il periodo di somministrazione contemporanea di eparina non frazio-nata e dicumarolici il controllo di PT e aPTT deve essere eseguito tutti i giorni. Questo problema non si pone con le eparine a basso peso molecolare o con il fondaparinux che, anche a dosi terapeutiche, determinano solo minime variazioni del PT e dell’aPTT.

L’assunzione dell’anticoagulante orale va effettuata in unica somministrazione, sempre alla stessa ora del giorno, preferibilmente nel pomeriggio o alla sera e comunque dopo il risultato del controllo dell’INR, in modo tale che, nell’eventualità che si renda necessario un cambiamento di dose, questo possa ancora essere effettuato immediatamente.

Numerosi studi 14-16 hanno dimostrato che l’interruzione della TAO induce una moderata attivazione del sistema coagulativo che non è riscontrabile durante il trattamento stesso. Questo fenomeno di “rebound” di ipercoagulabilità è più precoce e più intenso quando la sospensione venga effettuata in modo brusco anziché graduale ma è transitorio e di importanza limitata nella maggior parte dei casi. In qualche caso tuttavia queste alterazioni risultano essere di entità maggiore e più prolungate nel tempo e sono state associate a un maggior rischio di recidiva di eventi tromboembolici venosi dopo sospensione della TAO 17. Risultati sostanzialmente analoghi sono stati riportati sia per la sospensione del warfarin che dell’acenocu-marolo 18. Tuttavia, non esistendo finora nessuno studio clinico prospettico che dimostri l’utilità di sospen-dere gradualmente la TAO, è comunemente ritenuto non necessario adottare questa procedura.

popolazioni speciali

La TAO in gravidanzaI dicumarolici passano la barriera placentare e possono provocare gravi effetti per il feto, variabili a seconda del periodo di gestazione (effetti teratogeni nel primo trimestre, emorragie fetali soprattutto durante le ultime settimane, alterazioni ossee) 19. L’uso della TAO in gravidanza richiede quindi partico-lare attenzione e va riservato (solo nel periodo che va dalla 12a alla 36a settimana) a condizioni cliniche selezionate, quali donne già in TAO per ogni tipo di indicazione al momento del concepimento ed episodi tromboembolici venosi o arteriosi di origine cardioembolica insorti in gravidanza. È importante informare le pazienti in TAO in età fertile sui rischi fetali nelle prime settimane di gravidanza (dalla 6a

Tab. I. Fabbisogno settimanale di warfarin (in mg) stimato sulla base del valore di INR del 5° giorno dopo somministrazione di warfarin 5 mg/die per 4 giorni 12.

INR mg/settimana INR mg/settimana INR mg/settimana INR mg/settimana

1,0 71 2,0 26 3,0 16 4,0 9

1,1 57 2,1 24 3,1 15 4,1 8,5

1,2 48 2,2 23 3,2 14 4,2 8

1,3 43 2,3 22 3,3 13,5 4,3 7,5

1,4 39 2,4 21 3,4 13 4,4 7

1,5 35 2,5 20 3,5 12

1,6 33 2,6 19 3,6 11,5

1,7 31 2,7 18 3,7 11

1,8 29 2,8 17 3,8 10,5

1,9 27 2,9 16,5 3,9 10

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D. Prisco, E. Grifoni, C. Cenci

alla 12a) e sulla necessità di eseguire prima possibile un test di gravidanza in caso di ritardo mestruale. Nelle pazienti con test di gravidanza positivo la TAO deve essere interrotta immediatamente e sostituita da terapia eparinica, che potrà essere mantenuta anche per tutta la durata della gravidanza. L’eparina a basso peso molecolare rappresenta un’alternativa sicura in gravidanza per la terapia del tromboem-bolismo venoso 20. La posologia da utilizzare è analoga a quella di una paziente non in gravidanza e dipende dal tipo di eparina impiegata. È consigliato inoltre, se possibile, il monitoraggio di laboratorio con l’obiettivo di ottenere un’attività anti-Xa di circa 0,5-1 U/ml a 4 ore dalla iniezione sottocutanea di eparina a basso peso molecolare. Non vi sono invece studi controllati sull’efficacia dell’eparina a basso peso molecolare nella profilassi antitromboembolica nelle donne con protesi valvolari meccaniche. In alternativa alla terapia eparinica a dosaggio terapeutico per tutta la gravidanza, può essere ripresa la TAO dopo il primo trimestre fino alla 36a settimana. Dopo la 36a settimana la TAO deve essere comun-que nuovamente sostituita da eparina, da sospendere in prossimità del travaglio fino a parto avvenuto. Dopo il parto la TAO può essere ripresa e non costituisce una controindicazione all’allattamento, poiché la presenza del warfarin nel latte materno è trascurabile 21.

La TAO in età pediatricaLe principali indicazioni alla TAO in età pediatrica sono rappresentate dalla profilassi antitrombotica in bambini con cardiopatie congenite o portatori di protesi valvolari meccaniche e dalla terapia della trom-bosi venosa profonda (spesso associata all’uso di cateteri venosi in pazienti sottoposti a cure intensive), dell’embolia polmonare o della trombosi venosa cerebrale 22.

La TAO è sconsigliata nei pazienti di età inferiore ai 30 giorni, ma probabilmente va evitata nei primi 6 mesi, a causa dei livelli ancora ridotti di protrombina e di altri fattori della coagulazione, e del conse-guente aumentato rischio emorragico. È stato osservato che la generazione di trombina è inferiore nei bambini in TAO rispetto ad adulti trattati con pari livelli di anticoagulazione 23, suggerendo quindi che nei bambini potrebbero essere sufficienti livelli di anticoagulazione inferiori anche se non esistono dati precisi né linee guida al riguardo.

Nei bambini la terapia viene in genere iniziata con una dose di carico di 0,2 mg/kg/die per i primi 2 giorni e il dosaggio successivo dipende dai valori di INR misurati giornalmente durante la prima settimana di terapia. La dose media di warfarin è mediamente più elevata di quella necessaria negli adulti (0,3 mg/kg vs. 0,09 mg/kg) e il controllo della TAO è meno soddisfacente rispetto all’adulto, spesso a causa di un’alimentazione irregolare e di frequenti episodi infettivi. Sono necessari pertanto frequenti controlli dell’INR.

La TAO nel grande anzianoNel paziente anziano una frequente limitazione all’utilizzo degli anticoagulanti orali è legata ad aspetti di sicurezza. È dimostrato da numerosi studi 24 che il rischio emorragico della TAO aumenta con l’età. Le ragioni di tale aumentato rischio sono molteplici: dalla frequente presenza di patologie concomitanti (ipertensione arteriosa, insufficienza renale), alla coesistenza di numerose terapie associate, alla facilità alle cadute spesso presente nell’anziano.

Nella valutazione della indicazione alla TAO per la prevenzione dell’ictus ischemico nella fibrillazione atria-le non valvolare, l’età è uno dei principali fattori di rischio riconosciuto da tutti i modelli di stratificazione del rischio disponibili 25. Recenti studi inoltre hanno dimostrato che il beneficio della TAO in termini di prevenzione dell’ictus ischemico si mantiene nonostante l’incremento del rischio emorragico che si verifica con l’età 26 e che nella pratica clinica l’incidenza di sanguinamenti può essere mantenuta a livelli accettabil-mente bassi anche nei pazienti anziani, purché vi sia un adeguato monitoraggio della terapia 27. Gli studi degli ultimi anni e l’esperienza dei Centri di Sorveglianza italiani hanno dimostrato che sono sempre più numerosi i pazienti ultranovantenni in TAO e che l’età non rappresenta mai, di per sé, una controindica-zione alla TAO ma solo una condizione che richiede un monitoraggio clinico più attento.

La TAO nei pazienti con epatopatie cronicheL’insufficienza epatica determina alterazioni emostatiche sia in senso procoagulante che anticoagulan-te, con conseguente aumento del rischio sia trombotico che emorragico. Il rischio di trombosi aumenta in relazione alla severità del danno epatico, passando dall’1% nelle cirrosi compensate all’8-25% nelle cirrosi scompensate in attesa di trapianto 28. Il rischio di emorragie maggiori è inoltre significativamente aumentato dalle alterazioni emodinamiche del circolo entero-epatico secondarie all’ipertensione por-tale. Mentre nelle trombosi portali primitive e nella sindrome di Budd-Chiari in assenza di epatopatia il vantaggio della terapia anticoagulante è dimostrato 29, limitati e contrastanti sono i dati disponibili sul trattamento anticoagulante nei casi di trombosi secondaria a epatopatia cronica. L’anticoagulazione dovrebbe essere considerata nei pazienti con cirrosi compensata, mentre nei casi di insufficienza epatica terminale è opportuna una scelta individualizzata in base al rischio emorragico del singolo paziente 30.

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Gestione clinica, monitoraggio e “bridging therapy”

Ulteriori studi sono tuttavia necessari per meglio definire indicazioni, dosi, tipo di monitoraggio e du-rata ottimale della terapia anticoagulante nei pazienti epatopatici. Va infine ricordato che fattori locali (varici esofagee, gastrite erosiva) più che deficit sistemici dell’emostasi, salvo la piastrinopenia, giocano un ruolo prevalente nel rischio emorragico del paziente cirrotico avanzato.

La TAO nei pazienti con nefropatieFrequentemente pazienti con insufficienza renale terminale in trattamento dialitico vengono trattati con anticoagulanti orali per tromboembolismo venoso o per fibrillazione atriale. In questi pazienti sono comuni un allungamento del tempo di emorragia e un’alterata funzionalità piastrinica; inoltre, la dialisi stessa può determinare attivazione piastrinica e aumentato turnover delle piastrine, contribuendo a un aumento del rischio emorragico. I dati disponibili relativamente all’uso della TAO in questi pazienti sono limitati e la decisione deve essere presa valutando il rapporto rischio-beneficio nel singolo paziente 31.

MonIToRAggIo dellA TAo

La terapia con dicumarolici, a causa del loro indice terapeutico relativamente basso, richiede un attento monitoraggio, poiché la risposta del paziente al trattamento può variare nel tempo in relazione a nume-rosi fattori, quali cambiamenti di terapie concomitanti, malattie intercorrenti, modificazioni di abitudini alimentari e stili di vita.

Il tempo di protrombina e il sistema InR

Il monitoraggio della risposta alla terapia si esegue mediante determinazione del PT. Il PT è il tempo di coagulazione in secondi di una miscela di plasma citratato povero di piastrine, tromboplastina tissutale e ioni calcio ed è sensibile alla carenza dei fattori della via intrinseca e comune e, in particolare, a quella dei fattori II, VII e X indotta dai dicumarolici. Il PT è influenzato da numerose variabili preanalitiche e analitiche che rendono problematico il confronto dei risultati prodotti da laboratori diversi.

Tra le variabili preanalitiche è innanzitutto fondamentale l’accuratezza nel raccogliere il campione di sangue dal paziente. Il prelievo di sangue venoso deve essere meno traumatico possibile per evitare la contaminazione con sostanze tissutali che attiverebbero precocemente e in maniera incontrollata la coa-gulazione. La raccolta e successiva conservazione del sangue devono essere effettuate con materiale non contattante (siringhe e provette di plastica o vetro accuratamente siliconato). L’anticoagulante di scelta è il citrato trisodico 0,109 M, corrispondente a una concentrazione del 3,2%. Anticoagulante e sangue devono essere miscelati rapidamente in rapporto costante 1:9. Subito dopo il prelievo il sangue deve essere centrifugato e il plasma conservato a temperatura ambiente per un massimo di 3-4 ore. Bisogna inoltre evitare di conservare il plasma a temperature inferiori a quella ambiente per evitare l’attivazione del fattore VII con conseguente accorciamento del tempo di coagulazione.

Le variabili analitiche comprendono la scelta della tromboplastina e degli strumenti e la competenza tecnica del personale che esegue il test. La variabile più importante per la standardizzazione del test è la diversa sensibilità delle tromboplastine commerciali al difetto indotto dalla TAO: tromboplastine di origine diversa possono dare tempi di coagulazione estremamente diversi quando si esegue il test sullo stesso plasma.

Per risolvere questo problema nel corso degli anni sono stati fatti vari tentativi di standardizzazione del PT tra cui l’espressione del risultato prima in percento di attività, estrapolato da una curva di taratura eseguita con plasma normale diluito, e poi in rapporto fra il PT del paziente e quello di un plasma nor-male (PT ratio), fino ad arrivare all’inizio degli anni Ottanta del Novecento all’elaborazione di un sistema di calibrazione dei reagenti commerciali per mezzo di una tromboplastina standard di riferimento, il sistema INR (International Normalized Ratio). Per calibrare un qualunque reagente contro lo Standard Internazionale è necessario, secondo le raccomandazioni dell’OMS 32, eseguire il PT con entrambi i rea-genti sul plasma di almeno 20 soggetti normali e 60 pazienti in TAO stabilizzata. Con i risultati ottenuti si costruisce poi un diagramma di calibrazione riportando i logaritmi dei PT su un sistema di assi: tra i punti esiste una relazione che può essere rappresentata con buona approssimazione da una retta, la cui pendenza, denominata ISI (International Sensitivity Index), rappresenta il legame tra la tromboplastina da calibrare e lo Standard Internazionale e ne esprime la sensibilità relativa. Conoscendo il valore di ISI della tromboplastina di lavoro, è possibile trasformare il PT espresso in secondi ottenuto su un plasma di un paziente in TAO in INR. La conversione si ottiene dividendo il PT del paziente per quello del controllo normale ottenuto nelle stesse condizioni sperimentali ed elevando questo rapporto a una potenza pari all’ISI del reagente usato. I valori di ISI dei reagenti tromboplastinici solitamente sono forniti dal produt-

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D. Prisco, E. Grifoni, C. Cenci

tore del reagente stesso. Il valore di ISI varia anche a seconda dello strumento impiegato: è per questo che negli ultimi anni le autorità di standardizzazione hanno valutato la possibilità di semplificare la procedura di calibrazione introducendo la calibrazione locale dei sistemi con l’uso di un numero ridotto di plasmi liofilizzati calibranti, preventivamente certificati in rapporto a uno Standard Internazionale di tromboplastina.

Coagulometri portatili

I coagulometri portatili (monitor) sono costituiti da uno strumento di misurazione di piccole dimensioni e da una striscia reattiva che contiene tromboplastina tissutale e ioni calcio in forma liofila. Il campione in esame è costituito da una goccia di sangue, capillare o venoso non citratato, che viene posta dall’ope-ratore nella zona reattiva della striscia. Il sangue viene veicolato per capillarità all’interno della striscia dove, mescolandosi alla tromboplastina, la reidrata iniziando la reazione coagulativa, il cui punto finale è costituito dalla formazione dei primi filamenti di fibrina, che interrompono il flusso nei capillari, o dalla generazione di trombina. Il tempo di coagulazione viene poi convertito automaticamente in INR mediante i parametri di calibrazione inseriti dal fabbricante nel codice della striscia reattiva. Il requisito fondamentale per l’affidabilità dei monitor è l’accuratezza della calibrazione, che può essere effettuata utilizzando gli stessi principi usati per i sistemi convenzionali. I monitor hanno il vantaggio di consentire una misura più semplice e veloce dell’INR al di fuori del laboratorio. Tuttavia è indispensabile porre la massima cura nell’esecuzione del prelievo e allenare adeguatamente l’utilizzatore prima di usare il mo-nitor nella pratica giornaliera di controllo della terapia 1 2.

Frequenza del monitoraggio

La frequenza del monitoraggio può essere cambiata nel tempo, in rapporto alla risposta dell’INR e alla situazione clinica. È spesso necessario un controllo inizialmente bisettimanale (con controlli anche più frequenti nelle prime 2 settimane se non sono state raggiunte dosi stabili) e poi settimanale durante il primo mese. Un controllo più frequente è richiesto quando intercorrono fattori in grado di interferire con la risposta anticoagulante o se si stenta a raggiungere valori terapeutici di INR. Quando il paziente raggiunge una posologia e una risposta stabile è consigliato il controllo dell’INR a intervalli di 3-4 setti-mane 1.

Modelli di gestione della TAo

Il monitoraggio della risposta alla terapia mediante determinazione dell’INR rappresenta solo un aspet-to della sorveglianza del paziente in TAO. È infatti ampiamente dimostrato che un controllo che non includa la valutazione clinica del paziente determina un aumento delle complicanze.

I Centri di Sorveglianza della TAO gestiscono un elevato numero di pazienti e già da anni ricorrono a pro-grammi informatici per la gestione della terapia. Oltre a fornire proposte di terapia basate su algoritmi prestabiliti, tali programmi permettono di tenere un archivio elettronico di tutti i pazienti che si riferi-scono al Centro. In letteratura esistono studi che hanno dimostrato l’efficacia di tale gestione rispetto a quella tradizionale e un risparmio di tempo da parte del personale sanitario 33-38.

Il numero crescente di pazienti in TAO rende tuttavia inevitabile il decentramento della gestione della terapia al di fuori dei Centri di Sorveglianza. Sono stati elaborati vari modelli di gestione decentrata della TAO:

1) gestione completamente assistita dal Centro di sorveglianza: il paziente si reca in un centro perife-rico collegato con il Centro di sorveglianza, dove trova un operatore sanitario (di solito infermiere) che si occupa di ricevere il paziente, raccogliere le informazioni utili alla conduzione della terapia, eseguire il test di laboratorio (strumento portatile o coagulometro tradizionale), trasmettere tutti i dati di interesse al Centro, dove il medico prescrittore elabora la proposta terapeutica e la trasmette al paziente;

2) gestione completamente assistita dal medico di medicina generale: in questo caso il paziente si reca dal medico di medicina generale, che esegue il test con apparecchio portatile e prescrive contestual-mente la terapia.

3) gestione parzialmente assistita: il paziente (o un suo congiunto) esegue direttamente il test di labo-ratorio al suo domicilio (apparecchio portatile), trasmette il risultato (insieme a tutte le altre informa-zioni di interesse) al medico del Centro di sorveglianza o al medico di medicina generale, che elabora la proposta terapeutica e la trasmette al paziente;

4) gestione autonoma: il paziente (o un suo congiunto) esegue direttamente il test di laboratorio al suo

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Gestione clinica, monitoraggio e “bridging therapy”

domicilio (apparecchio portatile) ed elabora autonomamente la proposta terapeutica sulla base di un algoritmo ad hoc.

Il modello di gestione da seguire dipende dalle risorse disponibili sul territorio e dalle esigenze del pa-ziente: tutte le opzioni sono in teoria praticabili purché il percorso sia chiaro e definito 39.

BRIdgIng TheRApy

La chirurgia e le manovre invasive nei pazienti in TAO costituiscono un problema rilevante nella pra-tica clinica sia per il numero crescente di pazienti con indicazione a tale tipo di trattamento che per le aumentate indicazioni agli interventi chirurgici in elezione. L’interruzione temporanea della TAO in occasione di procedure invasive espone il paziente a un aumentato rischio tromboembolico, mentre la sua continuazione si associa a un incremento del rischio di emorragie 40 41. Pertanto la gestione periope-ratoria dei pazienti in TAO ha importanti implicazioni per la salute.

La scelta della strategia più idonea dipende da vari fattori: a) il rischio tromboembolico inerente alle di-verse situazioni cliniche per le quali è stata prescritta la TAO e specifico del paziente (Tab. II); b) il rischio emorragico legato alla TAO perioperatoria, al tipo e alla sede dell’intervento, alle condizioni cliniche associate, all’assunzione di farmaci interferenti con l’emostasi e alla possibilità di adottare idonee misure emostatiche locali; c) le conseguenze cliniche dell’evento tromboembolico o emorragico.

Le condizioni cliniche che più spesso presentano difficoltà di scelta sono quelle in pazienti con protesi valvolari o fibrillazione atriale. Al contrario di altre indicazioni alla TAO, queste condizioni richiedono una terapia a tempo indeterminato e quindi non è possibile rinviare una procedura fino alla cessazione della TAO (come si può fare ad esempio nei pazienti con pregressa trombosi venosa profonda). Non soltanto il rischio di eventi tromboembolici recidivanti o iniziali varia per le diverse condizioni (per esem-pio valvole protesiche vs. fibrillazione atriale o trombosi venosa profonda), ma anche le conseguenze cliniche di un evento tromboembolico possono risultare ben diverse 42. Per quanto riguarda invece il tipo di procedura, un elevato rischio emorragico è correlato sia alla sede dell’intervento (ad esempio neuro-chirurgia, chirurgia maggiore oncologica e vascolare) sia alle difficoltà tecniche dell’emostasi chirurgica (ad esempio prostatectomia transuretrale, polipectomia dell’apparato gastroenterico o della vescica, biopsia epatica e renale). Inoltre, la sede delle procedure deve essere considerata in termini di strutture collaterali e di pericolo causato eventualmente anche da piccole quantità di sangue fuoriuscito. Emor-ragie minime all’interno del sistema nervoso centrale e dell’occhio possono avere gravi conseguenze in confronto a sanguinamenti maggiori in aree meno vulnerabili. In considerazione di tutti questi fattori la decisione finale può essere basata soltanto su una valutazione del rapporto rischio-beneficio nel singolo individuo.

L’interruzione della TAO determina il ripristino di valori di INR accettabili per l’esecuzione della pro-cedura nell’arco di 4-5 giorni; la riduzione dei valori di INR minimizza il rischio emorragico ma espone il paziente a un aumento del rischio tromboembolico. L’utilizzo dell’eparina come anticoagulante nel periodo perioperatorio (la cosiddetta “bridging therapy”) ha come razionale proprio la riduzione del rischio di eventi tromboembolici durante il periodo di interruzione della TAO. La “bridging therapy” può essere realizzata attraverso la somministrazione sia di eparina non frazionata endovena in regime di ri-covero ospedaliero che di eparina a basso peso molecolare sottocute al di fuori dell’ambito ospedaliero. L’uso di eparina a basso peso molecolare è preferibile in quanto più semplice e associato a un miglior rapporto costo-beneficio 43.

Per la chirurgia maggiore le opzioni terapeutiche sono rappresentate dalla continuazione della TAO o dalla sua sospensione temporanea con eventuale sostituzione con eparina a dosi terapeutiche quan-

Tab. II. Categorie di rischio tromboembolico.

Rischio tromboembolico elevato Rischio tromboembolico basso-moderato

Protesi meccanica mitralica Protesi meccanica aortica di nuova generazione

Protesi meccanica aortica di prima generazione o associata a fibrillazione atriale Fibrillazione atriale non valvolare

Protesi valvolare con pregresso tromboembolismo arterioso Tromboembolismo venoso non recente

Fibrillazione atriale associata a pregresso tromboembolismo arterioso o valvulopatia mitralica

Tromboembolismo venoso recente (entro 1-3 mesi)

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do l’INR è inferiore all’intervallo terapeutico. Mentre nei pazienti a elevato rischio tromboembolico la “bridging therapy” rappresenta un’opzione largamente condivisa 44-46, più controversa è la gestione perioperatoria dei pazienti a rischio moderato e basso. La Federazione dei Centri per la diagnosi della trombosi e la Sorveglianza delle terapie antitrombotiche (FCSA) ha redatto un protocollo di gestione dei pazienti in TAO sottoposti a chirurgia e manovre invasive basato sul rischio tromboembolico del singolo paziente 47. Questo protocollo, che prevede il bridging da TAO a eparina a basso peso molecolare a dosi intorno al 70% di quelle terapeutiche per i pazienti a rischio tromboembolico elevato (Tab. III) e a dosi profilattiche per quelli a rischio tromboembolico basso-moderato (Tab. IV), è stato validato in un ampio studio prospettico di coorte, i cui risultati sono stati recentemente pubblicati 48.

Una gestione analoga a quanto previsto per la chirurgia maggiore è raccomandata per le procedure endoscopiche gastrointestinali ad alto rischio emorragico (polipectomia, ablazione e coagulazione con laser, sfinterectomia endoscopica, dilatazione pneumatica, trattamento di varici esofagee), le biopsie a cielo coperto, le punture esplorative di cavità, l’intervento di cataratta con anestesia retrobulbare, il ca-teterismo cardiaco, l’impianto di pacemaker e defibrillatori e le procedure odontoiatriche complesse.

Per quanto riguarda invece le procedure endoscopiche gastrointestinali a basso rischio emorragico (eso-fago-gastro-duodenoscopia, colonscopia con o senza biopsia, pancreo-colecistografia endoscopica re-trograda diagnostica), l’intervento di cataratta in anestesia topica, la chirurgia cutanea e le procedure odontoiatriche semplici non è richiesta la sospensione della TAO, ma è necessario verificare che l’INR sia compreso nell’intervallo terapeutico al momento dell’esecuzione della procedura.

Nei pazienti che devono essere sottoposti a interventi chirurgici in urgenza è necessario neutralizzare al più presto la TAO somministrando 10-20 mg di vitamina K1 per via endovenosa lenta (15-30 minuti) e procedere all’intervento dopo che l’INR è < 1,5 (in genere dopo 6-12 ore). Nei casi in cui è necessario

Tab. III. Procedura di sospensione della TAO in pazienti a rischio tromboembolico elevato (secondo le raccomandazioni della FCSA) 48.

Giorno -5 Sospensione TAO

Giorno -4 Inizio EBPM se il paziente era in terapia con acenocumarolo (in range terapeutico al momento della sospensione)Usare dosi di EBPM intorno al 70% di quelle terapeutiche ogni 12 o 24 ore

Giorno -3 Inizio EBPM se il paziente era in terapia con warfarin (in range terapeutico al momento della sospensione)Usare dosi di EBPM intorno al 70% di quelle terapeutiche ogni 12 o 24 ore

Giorno -1 Ultima somministrazione di EPBM almeno 12 ore prima dell’intervento

Giorno 0 Controllo INR prima dell’interventoIntervento con INR < 1,5

Giorno +1 Riprendere EBPM alle stesse dosi la mattina successiva (se almeno 12 ore dopo l’uscita dalla sala ed emostasi sicura)Riprendere TAO a una dose del 50% superiore a quella abituale (se emostasi sicura)

Giorno +2 Proseguire TAO a una dose del 50% superiore a quella abituale (se emostasi sicura)

Giorno +3 e successivi

Proseguire TAO alla dose abituale (se emostasi sicura)Sospendere EBPM dopo 2 giorni con INR > 2 (o > 2,5 per pazienti con target 3)

Tab. IV. Procedura di sospensione della TAO in pazienti a rischio tromboembolico basso-moderato (secondo le raccomandazioni della FCSA) 48.

Giorno -5 Sospensione TAO

Giorno -4 Inizio EBPM se il paziente era in terapia con acenocumarolo (in range terapeutico al momento della sospensione)Usare dosi profilattiche di EBPM ogni 24 ore

Giorno -3 Inizio EBPM se il paziente era in terapia con warfarin (in range terapeutico al momento della sospensione)Usare dosi profilattiche di EBPM ogni 24 ore

Giorno -1 Ultima somministrazione di EPBM almeno 12 ore prima dell’intervento

Giorno 0 Controllo INR prima dell’interventoIntervento con INR < 1,5

Giorno +1 Riprendere EBPM a dosi profilattiche la mattina successiva (se almeno 12 ore dopo l’uscita dalla sala ed emostasi sicura)Riprendere TAO a una dose del 50% superiore a quella abituale (se emostasi sicura)

Giorno +2 Proseguire TAO a una dose del 50% superiore a quella abituale (se emostasi sicura)

Giorno +3 e successivi

Proseguire TAO alla dose abituale (se emostasi sicura)Sospendere EBPM dopo 2 giorni con INR > 2 (o > 2,5 per pazienti con target 3)

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Gestione clinica, monitoraggio e “bridging therapy”

ripristinare immediatamente una normale emostasi è indicato infondere concentrati di complesso pro-trombinico (a dosi aggiustate per il peso corporeo e il valore di INR), oppure plasma fresco congelato 41.

CAso ClInICo

Alla fine dello scorso gennaio, a distanza di solo 2 settimane da un periodico check-up di laboratorio risultato negativo, in pieno benessere, Anna, di anni 80 e senza niente di rilevante all’anamnesi salvo un discreto sovrappeso (BMI 29), ha osservato una modificazione dell’aspetto delle urine, ipercromi-che, e delle feci, ipocoliche, che faceva pensare a una colestasi. Questa condizione è stata confermata da un’alterazione dei dati di laboratorio, mentre si registrava anche clinicamente un certo grado di ittero ingravescente nei giorni. Nell’ipotesi di una calcolosi biliare è stata eseguita subito un’ecografia addominale con rilievo di una neoplasia della testa del pancreas, apparentemente in una fase iniziale, confermata da un esame TC eseguito nella stessa giornata. Pochi giorni dopo, quando la paziente era in procinto di ricoverarsi per eseguire l’intervento chirurgico, si è verificata un’importante emorragia digestiva con melena (dimostratasi successivamente di origine duodenale) che ha imposto un imme-diato ricovero. Bloccata l’emorragia con embolizzazione selettiva dell’arteria interessata a opera di un radiologo interventista e ricostituita la massa circolatoria con trasfusione di globuli rossi concentrati, nella prima settimana di febbraio Anna è stata sottoposta a un lungo intervento radicale. Poiché un’attenta ricerca intraoperatoria al criostato era risultata completamente negativa – dato conferma-to poi anche dagli accertamenti istologici più completi successivamente condotti –, non è stato rite-nuto necessario, da parte degli oncologi, nessun trattamento specifico, neppure adiuvante. Dimessa a fine febbraio.

Il trattamento preventivo con eparina a basso peso molecolare a dosi profilattiche è stato sospeso alla dimissione, ma 10 giorni dopo è comparsa una trombosi venosa profonda femoropoplitea destra, che ha richiesto la ripresa della terapia con dalteparina a dosi terapeutiche. Dopo circa un mese, poiché non era previsto alcun trattamento della neoplasia, è stato deciso di embricare la terapia con warfarin, iniziando, in considerazione dell’età della paziente, con 2,5 mg/die e mantenendo un INR target di 2,5 (range 2-3). I controlli del PT-INR a dì alterni hanno permesso di ottenere dopo 7 giorni un INR di 2 e dopo 9 giorni un INR di 2,2. A questo punto è stata sospesa la dalteparina e la paziente ha progressivamente dilazionato i controlli del PT-INR sino a giungere a intervalli di 2 settimane.

Verso la metà di maggio si è verificata però una piccola emorragia cerebrale, che ha reso necessario un nuovo ricovero. L’INR era 2,4. Non esistevano indicazioni neurochirurgiche per cui la paziente è stata ricoagulata (vitamina K 10 mg ev e concentrato di complesso protrombinico a 4 fattori – Pronativ® – 1 ml/kg) e in seguito trattata con terapia di supporto e con calze elastiche.

I sintomi neurologici – essenzialmente, una retro- e latero-pulsione sinistra – sono rapidamente regrediti e scomparsi (e, col tempo, anche quelli radiologici hanno avuto la stessa risoluzione completa). Dopo 12 giorni è comparsa intensa dispnea con diagnosi angioTC di embolia polmonare. L’embolia si è risolta rapidamente con aspirazione del tromboembolo mediante Angiojet, così da consentire nella stessa gior-nata la inserzione di un filtro cavale. A distanza di 3 settimane dall’emorragia cerebrale è stato ripreso il trattamento con dalteparina a dosi inizialmente profilattiche e poi incrementate. Dopo lunga discussio-ne si è deciso di non rimuovere il filtro e, dopo 2 mesi dall’emorragia e con TC encefalo sostanzialmente negativa, è stata ripresa la terapia anticoagulante orale.

Successivamente la paziente ha avuto nuovamente un ittero colestatico ed è stata decisa una laparo-tomia esplorativa. A tal fine 5 giorni prima dell’intervento è stato sospeso il warfarin e dal giorno suc-cessivo è stata iniziata dalteparina a dose profilattica (5000 UI/die) fino alla sera prima dell’intervento. L’eparina è stata ripresa il giorno dopo l’intervento alla stessa dose. Per la progressione di malattia è stato deciso di non ricominciare il warfarin e la paziente è rimasta in terapia eparinica.

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Gestione clinica, monitoraggio e “bridging therapy”

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26

management del sovradosaggio e delle complicanze

soVRAdosAggIo

Viene definito sovradosaggio della TAO l’evenienza che si verifica quan-do l’INR risulta superiore rispetto al range terapeutico identificato come ottimale per quel determinato contesto clinico 1. Non è dimostrata alcuna differenza nella prevalenza di tale complicanza con l’uso del warfarin o dell’acenocumarolo; occorre tuttavia ricordare che il warfarin ha un’emi-vita più lunga, per cui la sua sospensione comporterà un più lento ritorno della coagulazione plasmatica verso i valori di base. Un sovradosaggio della TAO può dipendere da molteplici ragioni, oltreché ovviamente dal-la prescrizione di una posologia troppo alta: da un errore di assunzione da parte del paziente (o di somministrazione da parte degli infermieri o altri caregivers), ma anche da una incrementata sensibilità del paziente determinata da varie ragioni (contemporanea assunzione di farmaci o cibi interferenti, diarrea, febbre, abuso alcolico, variazioni stagionali, insuffi-cienza cardiaca e/o epatica, ipertiroidismo, neoplasia, ecc.).

Il sovradosaggio della TAO rappresenta un importante rischio di sangui-namento per valori di INR superiori a 5 ed è quindi evidente che la sua ge-stione (semplice riduzione o sospensione della dose della TAO, impiego di vitamina K) deve essere differenziata in base innanzitutto al livello di INR stesso. Nella Tabella 1 a titolo di esempio sono riassunti i tempi necessari per correggere una condizione di sovradosaggio con la sola sospensione della dose giornaliera.

Quando i valori di INR sono appena al di sopra del range terapeutico (non oltre 5-6), è raccomandabile limitarsi a sospendere (o a ridurre del 50%) la TAO per un giorno, proseguendo quindi con una dose ridotta del 5-20% rispetto alla dose settimanale e anticipando il controllo laboratoristico dopo 4-7 giorni 1. Alcuni autori suggeriscono peraltro che in alcuni pa-zienti con valori solo lievemente alterati di INR potrebbe essere sufficien-te limitarsi a un controllo laboratoristico più ravvicinato senza variare la posologia della TAO, in considerazione del fatto che quando l’incremento dell’INR è così modesto e transitorio anche il rischio assoluto giornaliero di avere una complicanza emorragica è davvero trascurabile 2.

Per pazienti con INR più elevato (superiore a 6) è invece opportuno pro-cedere a una correzione più rapida, mediante l’impiego di vitamina K; an-che valori più bassi di INR possono peraltro rappresentare un’indicazione all’uso della vitamina K sulla base di una valutazione del rischio di sangui-namento individuale (presenza di altri fattori di rischio emorragico, come

D. Imberti

Direttore Medicina Interna, Ospedale Civile di Piacenza

Tab. I. Tempi di sospensione della TAO (warfarin) necessari al fine di raggiungere i valori desi-derati di INR mediante la sola sospensione dell’anticoagulante orale.

Pazienti in TAO e rischio di evento emorragico

Tempi di sospensione dell’anticoagulante orale (warfarin) necessari al fine di correggere il livello di anticoagulazione per raggiungere valori desiderati in INR

Condizione di partenza Obiettivo INR Tempo necessario

INR 2,0-3,0 1,0-1,5 3,4 gg

INR 5,0-8,0 2,0-3,0 3 gg

INR > 8,0 2,0-3,0 4-5 gg

27

Management del sovradosaggio e delle complicanze

età > 75 anni, chirurgia recente, storia di ictus o ulcera peptica, ipertensione arteriosa, cancro, ecc.). La considerazione che per valori particolarmente elevati di INR (pur in assenza di complicanze emorragiche) sia preferibile non limitarsi alla semplice riduzione/sospensione della TAO ma intervenire con un antido-to specifico come la vitamina K è basata sui risultati di parecchi studi. Crowther et al. 3 hanno arruolato in un trial clinico pazienti con INR compreso tra 4,5 e 10 e li hanno randomizzati a stoppare semplice-mente il warfarin oppure a ricevere anche vitamina K. Una incidenza inferiore di sanguinamenti minori nei successivi tre mesi è stata riscontrata nei pazienti trattati con vitamina K rispetto ai non trattati (4% rispetto al 17%, rispettivamente; p = 0,05). Ageno et al. 4 hanno randomizzato 59 pazienti con valvole cardiache meccaniche con un INR compreso tra 6 e 12 a ricevere 1 mg/die di vitamina K per os oppure nessun trattamento. Sebbene non ci siano state differenze in termini di emorragie, i valori di INR nel gruppo trattato con vitamina K sono ritornati nella norma più frequentemente rispetto al gruppo non trattato (INR medio dopo 24 ore 2,99 rispetto a 5,23, rispettivamente). Infine, Gunther et al. 5 hanno gestito 75 episodi di INR > 10 trattando 51 di essi con basse dosi di vitamina K (2 mg) e 24 episodi senza trattamento. Non si sono registrate emorragie maggiori nei pazienti trattati con vitamina K, mentre ci sono stati tre sanguinamenti clinicamente importanti nel gruppo non trattato.

Per quanto riguarda dosaggi e via di somministrazione della vitamina K, occorre fare alcune considera-zioni:

1) alte dosi di vitamina K, sebbene efficaci, possono ridurre l’INR anche più del necessario e determinare una resistenza al warfarin per almeno una settimana (o anche più) dopo il loro impiego;

2) somministrazioni rapide endovena (EV) di vitamina K possono determinare (anche se raramente) gra-vi reazioni anafilattiche; va peraltro ricordato che tale complicanza è stata descritta anche per vie di somministrazione diverse rispetto a quella EV;

3) la risposta alla somministrazione sottocutanea (SC) di vitamina K è meno prevedibile rispetto a quella orale ed è talvolta ritardata;

4) la somministrazione orale è efficace e sicura e ha il vantaggio della maggiore maneggevolezza rispet-to alla via parenterale. Un dosaggio compreso tra 1 e 2 mg è efficace quando l’INR è compreso tra 5 e 8, ma dosaggi più alti (tra 3 e 5 mg) sono richiesti per correggere valori di INR > 8;

5) la vitamina K può essere somministrata per via EV lenta in caso di estrema urgenza a ottenere un “reverse” dell’anticoagulazione (ad esempio in caso di emorragia cerebrale) oppure in caso di un suo malassorbimento intestinale.

Nella Tabella III vengono riportate le raccomandazioni della Federazione dei Centri per la sorveglianza delle Terapie Antitrombotiche (FCSA) relativamente alla gestione del sovradosaggio della TAO.

CoMplICAnze eMoRRAgIChe

Nonostante una meticolosa e accurata sorveglianza della TAO mediante il monitoraggio regolare e siste-matico dell’International Normalized Ratio (INR), la maggiore problematica relativa all’impiego degli an-tagonisti della vitamina K rimane certamente il rischio emorragico 6 7. Infatti le complicanze più frequenti e anche più gravi della TAO sono le emorragie, che possono avere diversa entità, localizzazione e gravità clinica; esse possono manifestarsi spontaneamente oppure dopo un trauma o un intervento chirurgico o una manovra invasiva. Dalla letteratura esistente sono proposti vari schemi di classificazione e di defini-zione delle complicanza emorragiche, che rendono talora complicata e poco obiettiva la comprensione

Tab. II. Impiego della vitamina K: suggerimenti per l’uso.

L’impiego della vitamina K è particolarmente indicato quando:

a. l’INR sia particolarmente elevato e sia preferibile correggere tale valore, anche in assenza di emorragie

b. sia richiesto un intervento chirurgico o comunque manovre per le quali sia ottimale un INR compreso tra 1,0 e 1,5

c. in presenza di emorragie maggiori

I possibili inconvenienti della sua somministrazione consistono in:

a. un aumento del rischio di trombosi, sempre presente qualora si normalizzi la coagulabilità del sangue in soggetti anticoagulanti

b. induzione di una resistenza agli AO se le dosi somministrate di vitamina K sono eccessivamente elevate

c. reazioni anafilattoidi quando sia impiegata la via infusionale

28

D. Imberti

e la valutazione delle effettive dimensioni del problema 7. È quindi indispensabile far riferimento a un comune sistema di valutazione dell’entità degli eventi emorragici (maggiori, minori, non rilevanti) se-condo lo schema riportato nella Tabella IV 8.

Secondo dati recenti della letteratura la incidenza di emorragie maggiori si aggira intorno all’1,3-2,7/100 pazienti/anno 1 6. È inoltre indubbio che esiste una correlazione lineare tra livello di anticoagulazione e frequenza di complicanze emorragiche; basti pensare ad esempio che il rischio di sanguinamenti in un intervallo di 48 ore è 1 su 4.000 con INR compreso tra 2 e 3, 1 su 500 con INR superiore a 5, 1 su 100 con INR superiore a 7 6 (Tab. V). Bisogna tuttavia sottolineare che anche con INR terapeutico l’evenienza di sanguinamenti gravi è comunque assai frequente, soprattutto in presenza di fattori di rischio emorragico aggiuntivi quali l’età avanzata (> 75 anni), l’uso di FANS, la presenza di una neo-plasia, oppure l’ipertensione arteriosa. Anche la indicazione alla TAO costituita da una vasculopatia arteriosa periferica o cerebrale e i primi 90 giorni di trattamento rappresentano fattori di rischio da considerare 9 (Tab. VI).

Tab. III. Gestione del sovradosaggio della TAO (Raccomandazioni FCSA).

• Se l’INR è al di sopra del range terapeutico, ma inferiore a 5, ridurre la dose del 1° giorno (dal 50% fino alla sospensione in relazione al rischio emorragico individuale) e continuare con una dose ridotta del 10-20%, controllo INR entro 7 giorni

• Se l’INR è compreso tra 5 e 6: sospendere la TAO per un giorno e continuare con una dose ridotta del 10-20%; controllo INR entro 4-7 giorni

• Se l’INR è maggiore di 6: sospendere la TAO per 1 giorno e somministrare 2 mg di vitamina K1 per os (Konakion®, 1 goccia = 1 mg); controllo INR il giorno successivo o comunque non appena possibile, riprendendo la TAO dal 2° giorno con una dose ridotta del 10-20%

• Se l’INR è maggiore di 8: possono essere somministrate dosi superiori di vitamina K1 (3-5 mg)

• Nei soggetti in trattamento con acenocumarolo, farmaco che ha un’emivita più breve, può essere considerata la sola sospensione o la somministrazione di vitamina K1 1 mg

Tab. IV. Classificazione delle complicanze emorragiche (Raccomandazioni FCSA).

A) Emorragie maggiori

1) Fatali: quando la morte è avvenuta per emorragia (il decesso non sarebbe avvenuto se il paziente non fosse stato in terapia anticoagulante)

2) Tutti gli eventi emorragici che si verifichino nelle seguenti sedi (indipendentemente dalla loro entità):

- intracranica (con conferma TAC e/o RMN)

- oculare (con riduzione del visus)

- nelle articolazioni maggiori

- retroperitoneale

3) Tutti gli eventi emorragici per i quali è stata necessaria una soluzione chirurgica o comunque l’applicazione di manovre invasive

4) Gli eventi emorragici che hanno provocato una riduzione acuta di emoglobina > 2 g/dl, o per i quali è stato necessario trasfondere 2 o più unità di sangue

B) Emorragie minori

Tutti i fenomeni emorragici che non rientrano nelle categorie sopra riportate

N.B. Non devono essere considerate tra gli eventi emorragici neppure minori le piccole ecchimosi (meno della grandezza di una moneta e in numero inferiore a cinque), le epistassi saltuarie (che non hanno richiesto tamponamento), il sanguinamento emorroidario occasionale.

Tab. V. Pazienti in TAO e rischio di eventi emorragici (stima ricavata dallo studio ISOCOAT).

Rapporto tra INR e rischio di emorragie

INR Eventi per % anni/pz Rischio di eventi emorragici in un intervallo di 48 h

2,0-2,9 4,8 1 su 4.000

3,0-4,4 9,5 1 su 2.000

4,5-6,9 40,5 1 su 500

> 7,0 200 1 su 1.000

29

Management del sovradosaggio e delle complicanze

Condotta terapeutica in caso di complicanze emorragiche

Emorragie minoriIn caso di emorragie minori senza sovradosaggio, è utile innanzitutto ricercare cause locali di emorragia e trattarle (es. causticazione di varici nasali). In alcuni casi può essere indicato ridurre temporaneamente l’INR, diminuendo la dose della TAO; questa condotta è consigliabile soprattutto se si incontrano diffi-coltà a controllare l’emorragia o se vi sono altri fattori di rischio di sanguinamento.

In caso invece di emorragie minori con sovradosaggio, si raccomanda di riportare rapidamente l’INR al range terapeutico mediante sospensione della TAO ed eventuale uso di vitamina K.

L’occorrenza di eventi emorragici minori (soprattutto se ripetuti) deve sempre indurre a cercare e cor-reggere fattori di rischio emorragico locale o sistemico (es. ipertensione arteriosa mal controllata) e/o a riconsiderare la conduzione della TAO (range, posologia, compliance del paziente).

Nella Tabella VII sono riassunte le raccomandazioni relative alla gestione delle emorragie minori in TAO.

Emorragie maggioriIn caso di emorragia maggiore in corso di TAO si impone, oltre ovviamente alla sospensione del far-maco, la rapida e completa normalizzazione della competenza emostatica al fine di ridurre l’entità del sanguinamento e conseguentemente di migliorare la prognosi del paziente sia in termini di mortalità che di morbilità. Nel trattamento delle emorragie maggiori in corso di TAO i presidi terapeutici dispo-nibili includono la vitamina K, il plasma fresco congelato (PFC), i concentrati di complesso protrombi-nico (PCC) e il Fattore VII ricombinante (rVIIa). La terapia con vitamina K è in grado di ridurre i valori dell’INR non immediatamente, ma con una latenza minima di parecchie ore; a sua volta il PFC per ot-tenere una correzione completa della coagulazione abbisogna di grandi volumi di infusione (con con-seguente pericolo di sovraccarico di liquidi) e di tempi di somministrazione necessariamente protratti (Fig. 1). I PCC sono emoderivati che contengono fattore II, IX, VII e X (preparati a “quattro fattori”) oppure solamente fattore II, IX e X (preparati a “tre fattori”), oltre a piccole quantità di anticoagulanti naturali come la proteina C e la proteina S; numerosi studi hanno dimostrato l’efficacia e la sicurez-za dei PCC in questa particolare situazione clinica (Tab. VIII). Ad oggi non ci sono studi di confronto diretto tra preparati a “tre fattori” e a “quattro fattori”, quindi non è possibile affermare che questi ultimi sono sempre preferibili ai primi. Va peraltro ricordato che evidenze indirette dimostrano come i PCC a “tre fattori” sono solitamente inadeguati nel garantire un rapido reverse dell’anticoagulazione

Tab. VI. Emorragie e TAO: fattori di rischio (da Palareti e Cosmi, 2009 9).

Fattori di rischio

Molti fattori possono interferire con la TAO e favorire la provocazione di un’emorragia

- Predisposizione generica

- Fase del trattamento

- Età avanzata

- Valori di INR e instabilità dei risultati

- Interferenza della dieta

- Alcolismo

- Interferenze farmacologiche

- Comorbidità (epatopatie, ipertensione non controllata, storia di emorragie maggiori, cancro, scompenso cardiaco, pregressa ischemia cerebrale)

- Scarsa competenza ed esperienza di chi decide il dosaggio terapeutico

- Insufficiente informazione, compliance del paziente

Tab. VII. Gestione delle complicanze emorragiche minori durante TAO.

Pazienti in TAO e complicanze emorragiche minori

Raccomandazioni pratiche

Condizione di partenza INR Cosa fare

Emorragia minore Range terapeutico Correggere le cause locali di emorragia

Emorragia minore Elevato Vit. K per os (2-3 mg), sospensione TAO

30

D. Imberti

quando l’INR è particolarmente elevato. In un interessante studio ad esempio è stata valutata l’effi-cacia di due diversi dosaggi di un PCC a “tre fattori” per il reverse urgente del warfarin in 40 pazienti con INR > 5, che presentavano un sanguinamento in atto (n = 29) o un alto rischio di sanguinamento (n = 11) 10. Il confronto era costituito da un gruppo di controllo storico trattato con PFC. Il PFC ha ridot-to l’INR a meno di 3 nel 63% nel gruppo di controllo, mentre sia gli elevati dosaggi di PCC (50 UI/kg) che i dosaggi più bassi (25 UI/kg) hanno consentito lo stesso risultato in una percentuale nettamente inferiore di pazienti (rispettivamente il 50 e il 43%). Va sottolineato che la successiva aggiunta di PFC

Trattamento delle urgenze emorragiche in corso di TAo

FFp pCC

- Standard basato sui livelli di fattore VII - Fattore II, (VII), IX, X, proteina C, S

- Variabilità del contenuto di fattori vit. K dipendenti - Correzione più rapida e completa rispetto al plasma

- 15-20 mg/kg - Nessun rischio di sovraccarico emodinamico

- 800-3.500 ml per ottenere INR < 1,4

- Sovraccarico emodinamico

- Compatibilità, rischio infettivologico, allergico

- Lunghi tempi di preparazione e di infusione

Fig. 1. Trattamento delle emorragie maggiori in corso di TAO: confronto di plasma fresco congelato e PCC.

Tab. VIII. Caratteristiche dei differenti PCC disponibili.

Unità Internazionali relative al Fattore IX

Brand Produttore, paese di

produzione

Fattore II Fattore VII

Fattore IX

Fattore X Inattivazione virale

Ulteriori informazioni

Bebulin VH Baxter BioScience,

Austria

120 (13) 100 100 Vapore, 60°C per 10 ore

a 190 mbar, poi 80°C per 1 ora

a 375 mbar

Aggiunta di eparina

Beriplex P/N CSL Behring, Germania

128 68 100 152 Pasteurizzazione a 60°C, 10 ore,

e nanofiltrazione

Aggiunta di proteina C, antitrombina,

eparina e albumina

Cofact Sanquin, Paesi Bassi

56-140 28-80 100 56-140 Solvente/detergente

e nanofiltrazione a 15 mm

Aggiunta di antitrombina

Kaskadil LFB, Francia 148 40 100 160 Solvente/detergente

Aggiunta di eparina

Octaplex Octapharma, Austria e Francia

44-152 36-96 100 50 Solvente/detergente

e nanofiltrazione

Aggiunta di eparina; basso

contenuto del fattore VIIa

Profilnine SD Grifols, USA 148 (11) 100 64 Solvente/detergente

-

Prothrombinex VF CSL Bioplasma, Australia

100 (-) 100 100 Calore secco, 80°C, 72 ore

e nanofiltrazione

-

Prothromplex T Baxter BioScience,

Austria

100 85 100 100 Vapore, 60°C per 10 ore

a 190 mbar, poi 80°C per 1 ora

a 375 mbar

Aggiunta di antitrombina

e eparina

uman complex di Kedrion, Italia 100 (-) 100 80 Solvente/detergente e calore

secco, 100°C, 30 min

Aggiunta di antitrombina

e eparina

31

Management del sovradosaggio e delle complicanze

al trattamento con PCC ha incrementato la percentuale di efficacia, portandola all’88% nel gruppo trattato con basse dosi e all’89% nel gruppo trattato con alte dosi. In un altro trial eseguito in pazienti con emorragie cerebrale in TAO inoltre l’impiego di un PCC a “3 fattori” ha consentito la normalizza-zione dell’INR (< 1,5) nell’89% dei pazienti con INR basale compreso tra 2 e 3,9, nel 33% con INR basale compreso tra 4 e 6 e in nessun paziente con INR > 6 11 12.

Il sostanziale vantaggio dei PCC è quindi la caratteristica di consentire un rapido rimpiazzo di rilevanti quantità di fattori della coagulazione senza incorrere nel rischio di sovraccarico di liquidi; i PCC trovano quindi indicazione elettiva nel trattamento delle emorragie maggiori in corso di TAO in cui sia necessa-rio un rapido ripristino della funzionalità coagulativa. L’uso del rVIIa nel trattamento dei pazienti con emorragia maggiore in corso di TAO è stato descritto in pochissimi studi, ma ad oggi non ci sono trial clinici randomizzati che ne abbiano paragonato l’efficacia e la sicurezza rispetto ai PCC oppure al PFC. Non esistono quindi attualmente forti evidenze a favore dell’impiego del rVIIa nel reverse della TAO, anche in considerazione del rischio trombotico non trascurabile e della breve emivita di questo farmaco (circa 2 ore, con il conseguente rischio di esporre i pazienti a un prolungamento del rischio emorragico). Ad oggi quindi, le linee guida delle più importanti società scientifiche nazionali (Federazione Centri Sorveglianza Anticoagulati; FCSA) 8 e internazionali (Consensus Conference on Antithrombotic Therapy of the American College of Chest Physicians; ACCP: British Society of Haematology) 1 13 raccomandano i PCC come trattamento di elezione, insieme alla vitamina K, dei pazienti con emorragia maggiore con un difetto dei fattori della coagulazione vitamina K-dipendenti determinato dalla TAO; tale trattamento è da preferirsi alla somministrazione di plasma fresco congelato al fine di garantire una rapida e pressoché immediata normalizzazione della coagulabilità del sangue 14 (Fig. 3).

Fig. 2. Effetto subottimale della correzione di INR supraterapeutici con un PCC a tre fattori in pazienti con sovradosaggio di warfarin (da Holland et al., 2009, mod. 10).

sospensione della TAo, infusione di vitamina K1 10 mg diluita in soluzione fisiologica (100 ml in almeno 30 minuti)

• se INR < 2,0 PCC 20 UI/kg di peso corporeo

• se INR = 2,0-4,0 PCC 30 UI/kg di peso corporeo

• se INR > 4,0 PCC 50 UI/kg di peso corporeo

La dose complessiva può essere infusa* in 15-20 minuti.Al termine controllare INR: se > 1,5 ripetere l’infusione di PCC.È richiesto il consenso informato come per tutti gli emoderivati.

Fig. 3. Trattamento delle emorragie maggiori in corso di TAO (Linee Guida FCSA).

32

D. Imberti

un caso particolare: la gestione delle emorragie cerebrali nei pazienti in TAo

È indubbio che tra i sanguinamenti maggiori le emorragie intracerebrali (EIC) rivestono un ruolo di primaria importanza, sia epidemiologica che clinico-terapeutica. Bisogna infatti ricordare che la com-parsa di EIC complica il trattamento anticoagulante con una incidenza compresa tra lo 0,25 e l’1,1% dei pazienti per anno e che tale problematica rappresenta la più importante causa di eventi mortali in corso di TAO 15-17. Anche la prognosi di tale complicanza è particolarmente severa, in quanto le EIC in corso di trattamento con antagonisti della vitamina K sono più estese e il sanguinamento di durata più prolungata rispetto alle emorragie spontanee; la mortalità in particolare è molto elevata, essendo stata riportata con frequenza compresa tra il 50 e il 80% dei pazienti. In caso di EIC in corso di TAO si impone, oltre ovviamente alla sospensione del farmaco, la rapida e completa normalizzazione della competenza emostatica al fine di determinare in primo luogo una riduzione del rischio di allargamento dell’ema-toma; nel caso inoltre si renda necessario un intervento neurochirurgico, l’immediata correzione della bilancia coagulativa rende possibile eseguire l’intervento in urgenza riducendo i rischi di complicanze emorragiche intra- e post-operatorie. Numerosi studi hanno dimostrato l’efficacia e la sicurezza dei PCC in questa particolare situazione clinica 11 18-29 (Fig. 4).

Makris 18 ha comparato retrospettivamente l’efficacia di PFC e PCC nella normalizzazione della coagu-lazione in 41 pazienti in TAO con emorragie maggiori a rischio vitale, 16 dei quali presentavano una EIC; l’impiego dei PCC ha consentito una normalizzazione dell’INR più rapida e completa rispetto al trattamento con PFC. Boulis 19 ha randomizzato pazienti con EIC comparsa durante TAO a ricevere PCC (n = 5) oppure PFC (n = 8). I risultati hanno dimostrato che vi era una differenza significativa nei valori di INR tra i due trattamenti; in particolare la correzione era più rapida e completa nei pazienti trattati con concentrati. Inoltre ben 5 pazienti degli 8 trattati con infusione di plasma avevano presentato gravi complicanze legate al sovraccarico di liquidi. Fredriksson 22 ha comparato retrospettivamente i dati clinici e laboratoristici di 17 pazienti con EIC in corso di TAO trattati con PCC (n = 10) oppure PFC (n = 7). Il trat-tamento con PCC si è associato a un ripristino della competenza coagulativa più rapido e a un outcome clinico migliore rispetto alla terapia con PFC. Tiraferri et al. 24 hanno valutato l’efficacia e la sicurezza dei PCC in una serie di 38 pazienti con emorragia maggiore in corso di TAO, 23 dei quali erano EIC; in parti-colare tale trattamento ha consentito un rapido ripristino di valori normali di INR, con un ottimo profilo di sicurezza (in particolare non si sono verificate complicanze tromboemboliche).

Lankiewicz et al. 26 hanno valutato retrospettivamente l’efficacia e la sicurezza dei PCC nel “reverse” in urgenza dell’attività anticoagulante del warfarin in 58 pazienti; 36 di essi (62%) erano stati trattati per una EIC. Le dosi di PCCs sono state determinate in base all’INR basale (range tra 25 e 50 IU/kg). La somministrazione dei PCC è stata molto efficace, in quanto al termine dell’infusione il 76% dei pazienti aveva livelli di INR < 1,5 e il 96,5% < 2,0. Pabinger et al. 27 hanno prospetticamente studiato se un PCC bilanciato a “quattro fattori” era in grado di normalizzare l’INR in 43 pazienti anticoagulanti sottoposti a interventi chirurgici oppure affetti da un’emorragia maggiore acuta. Lo studio ha dimostrato che l’im-piego del PCC è stato estremamente efficace, in quanto 30 minuti dopo l’infusione il valore dell’INR era inferiore a 1,3 nel 93% dei pazienti trattati. Yasaka ha arruolato 42 pazienti anticoagulanti ricoverati nel dipartimento di emergenza per un’emorragia maggiore; in 35 di essi l’emorragia era a carico del sistema nervoso centrale 25; in tutti i pazienti la somministrazione di PCC è stata in grado di garantire la

Autore, anno studio popolazione selezionata numero totale dei pazienti trattati con pCC

Imberti, 2009 Prospettico, multicentrico Reversione TAO (INR ≥ 2) per EIC 92

Safaoui, 2009 Retrospettivo Reversione TAO per EIC 28

Cartmill, 2000 Prospettico Reversione TAO per EIC 6

Fredriksson, 1992 Retrospettivo, comparativo Reversione TAO (INR > 2) per EIC 10

Viguè, 2006 Prospettico, consecutivo Reversione TAO per EIC 18

Boulis, 1999 Prospettico, randomizzato, controllato, comparativo

Reversione TAO (PT > 17) per EIC 8

Imberti, 2011 Prospettico, multicentrico Reversione TAO (INR ≥ 2) per EIC 46

Fig. 4. Impiego dei PCC nel trattamento della EIC in corso di TAO (da Sorensen et al., 2011 30).

33

Management del sovradosaggio e delle complicanze

rapida normalizzazione dell’INR. Viguè et al. hanno investigato l’efficacia e la sicurezza dei PCC per la normalizzazione ultra-rapida dell’INR in 18 pazienti anticoagulanti con EIC con indicazione a intervento neurochirurgico in urgenza. Questo studio ha dimostrato che un’infusione in bolo di PCC (un minuto) era in grado di normalizzare completamente l’INR entro tre minuti in tutti i pazienti 28.

Recentemente Imberti et al. hanno arruolato in due studi prospettici multicentrici 138 pazienti affetti da EIC in corso di TAO 11 29; il trattamento con PCC ha garantito una normalizzazione rapida, completa e duratura dell’INR, dimostrando anche un eccellente profilo di sicurezza (nessuna complicanza trombo-embolica né alcun caso di evento avverso) (Fig. 5).

In conclusione quindi i concentrati di complesso protrombinico (PCC) rappresentano il trattamento di elezione, insieme alla vitamina K, dei pazienti con EIC in corso di TAO 30 31. Peraltro, questo importante presidio terapeutico è ampiamente sottoutilizzato nella pratica clinica quotidiana, così come recente-mente dimostrato in ampi studi osservazionali condotti proprio prevalentemente in pazienti con emor-ragia cerebrale 16 32.

CoMplICAnze non eMoRRAgIChe

Le complicanze non emorragiche della TAO sono tutto sommato rare e complessivamente di scarsa rile-vanza clinica 1. Esse sono rappresentate da:

Allergia: L’allergia è probabilmente il più comune evento avverso non emorragico attribuito al warfarin, in quanto si verifica in circa un paziente ogni mille che iniziano la TAO. Essa si manifesta solitamente come una reazione di ipersensibilità cutanea rappresentata da rash e dermatiti, spesso pruriginosi; la comparsa di tale complicanza può avvenire a distanza variabile (settimane o mesi) dall’inizio della TAO.

Necrosi cutanea: Tale complicanza è estremamente rara ed è solitamente causata da uno stato di ipercoagulabilità indotto dalla rapida caduta dei livelli di proteina C e/o proteina S, spesso durante la fase di inizio della terapia con warfarin. Tale fenomeno è ascrivibile a una trombosi delle venule e dei capillari del derma e si manifesta clinicamente con lesioni maculo-papulose che possono velo-cemente evolvere in lesioni bolloso-emorragiche con aree di necrosi. Nei pazienti con deficit di pro-teina C e proteina S o con anamnesi positiva per necrosi cutanea da cumarinici, è opportuno iniziare l’anticoagulazione contemporaneamente con eparina e TAO utilizzando bassi dosaggi di warfarin (2,5-5 mg/die), sospendendo il trattamento eparinico quando l’INR è maggiore di 2 per almeno due giorni consecutivi.

Fig. 5. Efficacia dei PCC nel reverse della TAO in pazienti con emorragia cerebrale in TAO (da Imberti et al., 2009, mod. 29).

34

D. Imberti

Sindrome delle dita blu: Questa condizione è causata da micro-emboli di colesterolo, con conseguente trombosi dei piccoli vasi della cute nella zona interessata. Tali emboli derivano dalla rottura di placche ateromasiche (sia spontanea che post-traumatica) e la loro comparsa può verificarsi in tutti i soggetti affetti da aterotrombosi, anche se indubbiamente la TAO la può favorire (soprattutto all’inizio del trat-tamento).

Osteoporosi: Anche se che non ci sono dati certi per sostenere che l’osteoporosi è una complicanza della terapia con warfarin, alcuni studi hanno segnalato un aumento dell’incidenza di fratture (soprattutto a carico di vertebre e coste) nei pazienti che assumevano warfarin per un lungo tempo e hanno sottoline-ato che vi è un meccanismo biochimico plausibile, in quanto la vitamina K interviene nel metabolismo osseo.

Alopecia: Pur essendo stata descritta ed essendo la perdita dei capelli una denuncia non infrequente da parte dei pazienti, ad oggi non è mai stata dimostrata con certezza una correlazione tra terapia con warfarin e alopecia.

BIBlIogRAFIA

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Blood Transfus 2011;9:117-9.13 Baglin TP, Keeling DM, Watson HG.; British Committee for Standards in Haematology. Guidelines on oral anticoagula-

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Management del sovradosaggio e delle complicanze

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36

trattamento con concentrato protrombinico a 4 fattori in paziente con shock emorragico secondario a emorragia digestiva in corso di sovradosaggio di terapia anticoagulante orale

pResenTAzIone del CAso

La paziente, di sesso femminile e dell’età di 83 anni, affetta da scompenso cardiaco cronico, è giunta in Pronto Soccorso per importante ematemesi e melena; in anamnesi riferita terapia anticoagulante orale (TAO) (warfa-rin) da oltre cinque anni per fibrillazione atriale cronica e assunzione ri-petuta di FANS nei giorni precedenti il ricovero per sindrome influenzale. All’esame obbiettivo presenza di marcato pallore cutaneo e mucoso, con soffio sistolico all’auscultazione cardiaca; il compenso cardiorespiratorio era mantenuto e all’esplorazione rettale era presente melena. Gli esa-mi laboratoristici eseguiti hanno evidenziato grave anemia normocitica (Hb 7,1, MCV 81), normali valori del fibrinogeno, aPTT e prove di funzio-nalità renale; l’INR era in range sovra-terapeutico (8,73).

AppRoCCIo TeRApeuTICo

La paziente è stata sottoposta a posizionamento di sondino naso-gastrico (con evidenza di sanguinamento in atto), a trattamento con omeparazolo per via endovenosa e sucralfato; sono stati inoltre somministrati plasma-expander (500 ml), 3 unità di emazie concentrate, vitamina K (10 mg ev) e PFC (5 ml/kg). Concordemente al consulente gastroenterologo, non è stata eseguita una EGDS in urgenza in quanto la paziente al momento dell’ospedalizzazione era in accettabile compenso cardiocircolatorio e l’eccessiva anticoagulazione (INR 8,73) poteva rendere la procedura en-doscopica a ulteriore rischio emorragico. La giornata successiva al ricovero la paziente ha presentato netto peggioramento del quadro clinico, con comparsa di marcata ipotensione (PA 90/60 mmHg), obnubilamento del sensorio, oligoanuria con riscontro di segni laboratoristici di insufficienza renale (creatininemia 2,8 mg/dl); gli accertamenti ematochimici eviden-ziavano ulteriore incremento dell’anemia (Hb 5 g/dl) e INR ancora in ran-ge sovra-terapeutico (6,63). È stata quindi ripetuta la somministrazione di vitamina K (10 mg ev), emazie concentrate (6 unità) e plasma expander (1.000 ml); la paziente è stata inoltre immediatamente trattata con in-fusione di 2.500 UI di Pronativ in 20 minuti (50 U/kg; paziente del peso di 50 kg). La paziente è stata quindi sottoposta a EGDS d’urgenza, con riscontro di ulcere gastriche multiple con segni di recente sanguinamento, che sono state sottoposte a infiltrazioni con adrenalina. Si è verificato un netto miglioramento del quadro clinico, con immediato arresto del san-guinamento, ripristino di un soddisfacente compenso cardiocircolatorio e ripresa della diuresi; in particolare la infusione di una sola somministra-zione di Pronativ ha consentito una rapida e duratura normalizzazione del valore di INR (1,48 al termine della infusione, 1,43 6 ore dopo e 1,18 24 ore dopo l’infusione, rispettivamente (Fig. 1).

Un EGDS di controllo eseguita dopo una settimana ha evidenziato reperti di assoluta normalità e la paziente ha ripreso la terapia anticoagulante orale un mese dopo la dimissione; alla visita di follow-up a un anno la paziente è in ottime condizioni di salute.

D. Imberti

Direttore Medicina Interna, Ospedale Civile di Piacenza

37

Trattamento con concentrato protrombinico a 4 fattori

CoMMenTo

La maggiore problematica relativa all’impiego della TAO è indubbiamente rappresentata dal rischio emorragico che, secondo dati recenti della letteratura si aggira intorno all’1,3-2,7/100 pazienti/anno di emorragie maggiori. È indubbio che esista una correlazione lineare tra livello di anticoagulazione e frequenza di complicanze emorragiche; basti pensare ad esempio che il rischio di sanguinamenti in un intervallo di 48 ore è 1 su 4.000 con INR compreso tra 2 e 3, 1 su 500 con INR superiore a 5, 1 su 100 con INR superiore a 7. Bisogna tuttavia sottolineare che l’evenienza di sanguinamenti gravi con INR terapeu-tico (oppure, come nel caso in questione, al di sopra del range terapeutico) è comunque assai frequente, soprattutto in presenza di fattori di rischio emorragico aggiuntivi quali l’età avanzata, l’uso di FANS, l’ipertensione arteriosa. In caso di emorragie gravi in corso di TAO si impone, oltre ovviamente alla so-spensione del farmaco, l’immediata e completa normalizzazione della competenza emostatica mediante somministrazione di vitamina K (5-10 mg ev), PFC (15 ml/kg) e PCC (35-50 UI/kg). La terapia con vitami-na K è in grado di ridurre i valori dell’INR non immediatamente, ma con una latenza minima di parecchie ore; a sua volta il PFC per ottenere una correzione completa della coagulazione abbisogna di grandi volumi di infusione (con conseguente pericolo di sovraccarico di liquidi) e di tempi di somministrazione necessariamente protratti. Il sostanziale vantaggio dei PCC è al contrario la caratteristica di consentire un rapido rimpiazzo di rilevanti quantità di fattori della coagulazione senza sovraccaricare di liquidi il paziente; i PCC trovano quindi indicazione soprattutto nel trattamento delle emorragie cerebrali o mag-giori a rischio vitale in corso di TAO. Va infine ricordato che evidenze indirette dimostrano come i PCC a “tre fattori” sono solitamente inadeguati nel garantire un rapido reverse dell’anticoagulazione quando l’INR è particolarmente elevato e come in tali situazioni i PCC a “quattro fattori” sono preferibili.

Il caso clinico riportato è emblematico della importanza della difficoltà gestionale di un paziente critico con emorragia grave in corso di sovradosaggio di TAO. È evidente che il timore di indurre un sovraccarico di volume in una paziente cardiopatica (con conseguente rischio di edema polmonare acuto) ad esempio ha indotto al momento del ricovero a impiegare una quantità sicuramente insufficiente di PFC (5 ml/kg); d’altro parte la mancata normalizzazione dell’INR ha determinato sia un protrarsi del sanguinamento che un ritardo nell’esecuzione della EGDS. L’impiego di una sola somministrazione di Pronativ è stato quindi decisivo in quanto ha consentito una rapida e duratura normalizzazione della coagulazione senza associarsi a un eccessivo carico di liquidi e ha quindi contribuito in modo significativo all’esito favorevole del caso descritto.

Fig. 1. Infusione del PCC e andamento dell’INR.

Aggiornamenti in Rianimazione e Terapia Intensiva è una rivista periodica che pubblica articoli brevi, case report ed abstract dalla letteratura internazionale riguardanti tutti gli aspetti legati all’epidemiologia, all’eziologia, alla patofisiologia, alla diagnosi e al trattamento delle malattie acute e dei traumi. Gli articoli scientifici originali dovranno essere accompagnati da una dichiarazione firmata dal primo Autore, nella quale si attesti che i contributi sono inediti, non sottoposti contemporaneamente ad altra rivista, ed il loro contenuto conforme alla legislazione vigente in materia di etica della ricerca. Gli Autori sono gli unici responsabili delle affermazioni contenute nell’articolo e sono tenuti a dichiarare di aver ottenuto il consenso informato per la sperimentazione e per la riproduzione delle immagini. La Redazione accoglie solo i testi conformi alle norme editoriali generali e specifiche per le singole rubriche. La loro accettazione è subordinata al parere conclusivo del Direttore Scientifico che si riserva inoltre il diritto di richiedere agli Autori la documentazione dei casi e dei protocolli di ricerca, qualora lo ritenga opportuno.

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Articoli e riviste: Bianchi M, Laurà G, Recalcati D. Il trattamento chirurgico delle rigidità acquisite del ginocchio. Minerva Ortopedica 1985;36:431-438.

Libri: Tajana GF. Il condrone. Milano: Edizioni Mediamix 1991.

Capitoli di libri o atti di Congressi: Krmpotic-Nemanic J, Kostovis I, Rudan P. Aging changes of the form and infrastructure of the external nose and its importance in rhinoplasty. In: Conly J, Dickinson JT, eds. Plastic and Reconstructive Surgery of the Face and Neck. New York: Grune and Stratton 1972, p. 84.

Ringraziamenti, indicazioni di grants o borse di studio, vanno citati al termine della bibliografia. Le note, contraddistinte da asterischi o simboli equivalenti, compariranno nel testo a piè di pagina. Termini matematici, formule, abbreviazioni, unità e misure devono conformarsi agli standards riportati in Science 1954;120:1078. I farmaci vanno indicati col nome chimico.

Solo se inevitabile potranno essere citati col nome commerciale (scrivendo in maiuscolo la lettera iniziale del prodotto).

Norme specifiche per le singole rubriche

Articoli originali brevi: comprendono brevi lavori (non più di 3 cartelle di testo) che offrono un contributo nuovo o frutto di una consistente esperienza, anche se non del tutto originale, in un determinato settore. Devono essere suddivisi nelle seguenti parti: introduzione, materiale e metodo, risultati, discussione e conclusioni. Nella sezione Obiettivi va sintetizzato con chiarezza l’obiettivo (o gli obiettivi) del lavoro, vale a dire l’ipotesi che si è inteso verificare; nei Metodi va riportato il contesto in cui si è svolto lo studio, il numero e il tipo di soggetti analizzati, il disegno dello studio (randomizzato, in doppio cieco …), il tipo di trattamento e il tipo di analisi statistica impiegata. Nella sezione Risultati vanno riportati i risultati dello studio e dell’analisi statistica. Nella sezione Conclusioni va riportato il significato dei risultati soprattutto in funzione delle implicazioni cliniche. Sono ammesse 2 tabelle o figure e una decina di voci bibliografiche.

Casi clinici: vengono accettati dal Comitato di Redazione solo lavori di interesse didattico e segnalazioni rare. La presentazione comprende l’esposizione del caso ed una discussione diagnostico-differenziale. Il testo deve essere conciso e corredato, se necessario, di 1-2 figure o tabelle e di pochi riferimenti bibliografici essenziali. Il riassunto è di circa 50 parole.

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3. FoRMA FARMACEUTICA Polvere e solvente per soluzione per infusione. La polvere è di colore azzurrognolo chiaro. Il solvente è un liquido limpido e incolore

4. INFoRMAZIoNI CLINIChE

4.1 Indicazioni terapeutiche Per il trattamento di emorragie e nella profilassi peri-operatoria di emorragia nei pazienti con deficienza acquisita dei

fattori della coagulazione del complesso protrombinico, in seguito a trattamenti con antagonisti della vitamina K, o in caso di sovradosaggio di antagonisti della vitamina K, dove è necessaria la rapida correzione della deficienza.

Per il trattamento di emorragie e nella profilassi peri-operatoria in presenza di deficit congeniti di fattori II e X della coagulazione dipendenti dalla vitamina K, quando il fattore specifico della coagulazione purificato non è disponibile.

4.2 Posologia e modo di somministrazione

Posologia Di seguito vengono fornite solo delle linee guida generali di dosaggio. Il trattamento deve essere iniziato sotto la

supervisione di un medico specialista nel trattamento dei disordini della coagulazione. Il dosaggio e la durata della terapia sostitutiva dipendono dalla gravità della patologia, dalla sede e dalla entità dell’emorragia, nonché dalle condizioni cliniche del paziente.

La dose e la frequenza delle somministrazioni devono essere sempre basate sulle condizioni specifiche del paziente. Gli intervalli di dosaggio devono essere adattati alla differente emivita di circolazione dei vari fattori della coagulazione presenti nel complesso protrombinico (vedi paragrafo 5.2).

Il fabbisogno del dosaggio individuale può essere definito solo in base a regolari determinazioni dei livelli plasmatici individuali del fattore di coagulazione interessato o ai test globali dei livelli del complesso protrombinico (tempo di protrombina, INR) ed al monitoraggio continuo delle condizioni cliniche dei pazienti.

In presenza di interventi chirurgici maggiori è essenziale un attento monitoraggio della terapia sostitutiva attraverso dei test sulla coagulazione (specifici test dei fattori della coagulazione e/o test completi dei livelli del complesso protrombinico)

Sanguinamenti e profilassi peri-operatoria di emorragie durante il trattamento con antagonisti della vitamina K La dose dipende dall’INR prima del trattamento e dall’INR stabilito che si vuole ottenere. Nella seguente tabella vengono

fornite dosi approssimative di trattamento (ml/kg di peso corporeo del prodotto ricostituito) richieste per normalizzare l’INR (≤ 1,2 in 1 ora) in base a differenti livelli iniziali di INR.

INR iniziale 2-2,5 2,5-3 3-3,5 > 3,5

Dose approssimativa* (ml Pronativ/kg peso corporeo) 0,9-1,3 1,3-1,6 1,6-1,9 > 1,9

* La singola dose non deve eccedere 3.000 UI (120 ml di Pronativ).

La correzione della riduzione della attività emostatica, indotta dall’antagonista della vitamina K, persiste per circa 6-8 ore. Tuttavia, gli effetti della vitamina K, se somministrata contemporaneamente, si raggiungono normalmente entro 4-6 ore. Pertanto di solito non è necessario ripetere il trattamento con il complesso protrombinico umano quando è stata somministrata vitamina K.

Poiché queste raccomandazioni si basano su osservazioni empiriche e il recupero e la durata degli effetti possono variare, è indispensabile monitorare l’INR in corso di trattamento.

Sanguinamenti e profilassi peri-operatoria in deficienza congenita dei fattori II e X della coagulazione, vitamina K dipendenti, quando non è disponibile un prodotto con lo specifico fattore della coagulazione

Il calcolo della dose terapeutica necessaria si basa sulla osservazione empirica che approssimativamente, 1 UI del fattore II o del fattore X per kg/peso corporeo aumenta il fattore plasmatico II o X di 0,02 e 0,017 UI/ml, rispettivamente.

La dose di uno specifico fattore da somministrare è espressa in Unità Internazionali (UI) che sono riferite all’attuale standard O.M.S. definito per ciascun fattore.

L’attività nel plasma di uno specifico fattore della coagulazione è espressa o in percentuale (relativa al plasma normale) o in Unità Internazionali (relative allo standard internazionale per lo specifico fattore della coagulazione)

Un’Unità Internazionale (UI) dell’attività di un fattore della coagulazione è equivalente alla quantità in un ml del plasma umano normale.

Ad esempio, il calcolo di una dose necessaria di fattore X si basa sul dato empirico che 1 Unità internazionale (UI) del fattore X per kg/peso corporeo aumenta l’attività del fattore X plasmatico di 0,017 UI/ml. La dose necessaria si determina usando la seguente formula:

Unità necessarie = peso corporeo (kg) x l’aumento desiderato del fattore X (UI/ml) x59, dove 59 (ml/kg) è il reciproco del recupero stimato.

Dosaggio richiesto per il fattore II:

Unità necessarie = peso corporeo (kg) x l’aumento desiderato del fattore II (UI/ml) x 50 Se il fattore individuale di ripresa è noto, questo valore deve essere utilizzato per il calcolo.

Modo di somministrazione Sciogliere il prodotto come descritto al punto 6.6. Pronativ deve essere somministrato per via endovenosa. L’infusione deve iniziare ad una velocità di 1 ml per minuto, e poi

di 2-3 ml per minuto, in condizioni di asepsi.

4.3 Controindicazioni Ipersensibilità al principio attivo o ad uno qualsiasi degli eccipienti. Allergia nota all’eparina o precedenti di trombocitopenia indotta da eparina.

4.4 Avvertenze speciali e precauzioni di impiego Consultare un medico specialista con esperienza nel trattamento dei disordini della coagulazione. Nei pazienti con deficienza acquisita dei fattori di coagulazione, vitamina K dipendenti (ad. es. indotta dal trattamento

con antagonisti della vitamina K), Pronativ deve essere usato solo se è necessaria una rapida correzione dei livelli del complesso protrombinico, come in caso di emorragia grave o chirurgia d’urgenza. In tutti gli altri casi, normalmente è sufficiente la riduzione della dose dell’antagonista della vitamina K e/o la somministrazione di vitamina K.

I pazienti trattati con antagonisti della vitamina K possono presentare uno stato latente di ipercoagulazione che l’infusione del concentrato del complesso protrombinico può esacerbare.

Nei pazienti con deficit congenito di uno dei fattori vitamina K dipendenti, deve essere utilizzato, quando disponibile, un prodotto per lo specifico fattore di coagulazione.

In caso di reazioni allergiche o di tipo anafilattico, interrompere immediatamente l’infusione. In caso di shock deve essere posto in atto il trattamento medico standard per lo shock.

Le misure standard atte a prevenire le infezioni derivanti dall’uso di prodotti medicinali preparati con sangue o plasma umano comprendono la selezione dei donatori, lo screening delle singole donazioni e dei pool di plasma per marker specifici di infezione e l’inclusione di fasi di produzione efficaci per l’inattivazione/rimozione dei virus.

Ciononostante, quando si somministrano prodotti medicinali preparati con sangue o plasma umano, la possibilità di trasmettere agenti infettivi non può essere esclusa completamente. Ciò riguarda anche virus sconosciuti o emergenti e altri agenti patogeni.

Le misure intraprese sono considerate efficaci contro i virus capsulati quali HIV, HBV e HCV, ma possono essere di efficacia limitata contro virus non capsulati quali HAV e parvovirus B19. L’infezione da parvovirus B19 può risultare grave nelle donne in gravidanza (infezione fetale) e per quei pazienti con immunodeficienza o aumentata produzione eritrocitaria (come nel caso di anemia emolitica).

Ogni volta che Pronativ viene somministrato ad un paziente, si raccomanda vivamente di registrare il nome ed il numero di lotto del prodotto, al fine di mantenere un legame tra il paziente ed il lotto del prodotto.

Si raccomanda una idonea vaccinazione contro l’epatite A e B a quei pazienti che vengono regolarmente/ripetutamente trattati con prodotti del complesso protrombinico derivati da plasma umano.

I pazienti con deficienza acquisita o congenita trattati con complesso protrombinico umano e particolarmente quelli trattati con dosaggi ripetuti, sono a rischio di trombosi o coagulazione intravascolare disseminata. I pazienti cui è stato somministrato il complesso protrombinico umano devono essere accuratamente monitorati per segni o sintomi di coagulazione intravascolare o trombosi. A causa del rischio di complicanze tromboemboliche, deve essere esercitato uno stretto monitoraggio durante la somministrazione del complesso protrombinico umano a pazienti con storia di malattie coronariche, malattie del fegato, a pazienti in condizioni peri-postoperatorie, ai neonati, o a pazienti a rischio di eventi tromboembolici o di coagulazione intravascolare disseminata. In ognuna delle suddette situazioni, si deve valutare attentamente il beneficio potenziale del trattamento, rispetto al rischio di tali complicanze.

Non ci sono dati disponibili sull’uso di Pronativ nei casi di emorragia perinatale per carenza di vitamina K nel neonato. Ogni flacone di Pronativ contiene 75-125 mg di sodio. Tenere in considerazione in caso di pazienti in dieta con apporto

di sodio controllato.

4.5 Interazioni con altri medicinali ed altre forme di interazione I prodotti del complesso protrombinico umano neutralizzano l’effetto del trattamento con antagonisti della vitamina K,

ma non sono conosciute interazioni con altri medicinali. Interferenze con analisi biologiche: nell’esecuzione di test della coagulazione, sensibili all’eparina, in pazienti trattati

con alte dosi del complesso protrombinico umano, si deve considerare l’eparina presente come costituente del prodotto somministrato.

4.6 Gravidanza e allattamento Non è stata stabilita la sicurezza del complesso protrombinico umano nell’uso in gravidanza e durante l’allattamento. Gli studi sugli animali non sono adeguati per stabilire la sicurezza in gravidanza, nello sviluppo embrionale/fetale, nel

parto o nello sviluppo post natale. Pertanto, il complesso protrombinico umano deve essere usato durante la gravidanza e l’allattamento solo in caso di necessità inequivocabilmente documentata.

4.7 Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari Non sono stati effettuati studi sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari.

4.8 Effetti indesiderati Disturbi del sistema immunitario: la terapia sostitutiva può portare raramente (≥1/10.000 a < 1/1.000) alla formazione di

anticorpi circolanti che inibiscono uno o più fattori del complesso protrombinico umano. In tal caso questa condizione si manifesta come una scarsa risposta clinica.

Negli studi clinici condotti con Pronativ, non sono state osservate reazioni allergiche o di tipo anafilattico e aumento della temperatura corporea, anche se tali condizioni si possono comunque verificare raramente (≥1/10.000 a < 1/1.000)

Patologie sistemiche e condizioni relative alla sede di somministrazione: Non è stato osservato un aumento della temperatura corporea, ma può verificarsi raramente (≥1/10.000 a < 1/1.000) Patologie vascolari: c’è il rischio di episodi di tromboembolia a seguito di somministrazione del complesso protrombinico

umano (vedere Sezione 4.4). Patologie del sistema nervoso: raramente (≥1/10.000 a < 1/1.000) possono verificarsi casi di cefalea Esami diagnostici: raramente (≥1/10.000 a < 1/1.000) è stato osservato un aumento transitorio delle transaminasi epatiche. Altri: Pronativ contiene eparina. Pertanto, raramente può essere osservata una riduzione della conta delle piastrine,

improvvisa ed indotta da meccanismi di tipo allergico, al di sotto di 100.000/µl oppure del 50% rispetto alla conta iniziale (trombocitopenia di tipo II).

Nei pazienti che non avevano mai manifestato reazioni di ipersensibilità all’eparina, questa riduzione nella conta delle piastrine può manifestarsi 6-14 giorni dopo l’inizio del trattamento. Nei pazienti che avevano mostrato in precedenza reazioni di ipersensibilità all’eparina, questa riduzione può comparire già poche ore dopo l’inizio del trattamento.

Il trattamento con Pronativ deve essere immediatamente interrotto nei pazienti che manifestano queste reazioni allergiche. Questi pazienti non devono più essere trattati in futuro con medicinali contenenti eparina.

Per la sicurezza riguardo gli agenti trasmissibili, vedere punto 4.4.

4.9 Sovradosaggio L’uso di alte dosi di prodotti del complesso protrombinico umano è stato associato con casi di infarto del miocardio,

coagulazione intravascolare disseminata, trombosi venosa ed embolia polmonare. Pertanto, in caso di sovradosaggio, aumenta il rischio dello sviluppo di complicanze tromboemboliche o di coagulazione intravascolare disseminata.

5. PRoPRIETÀ FARMACoLoGIChE 5.1 Proprietà farmacodinamiche Categoria farmacoterapeutica: antiemorragici, fattori della coagulazione del sangue IX, II, VII e X associati. Codice ATC:

B02BD01. I fattori di coagulazione II, VII, IX e X, sintetizzati nel fegato con l’aiuto della vitamina K, sono comunemente detti

Complesso Protrombinico.

Il fattore VII è lo zimogeno della serina proteasi attiva fattore VIIa, con cui inizia la via estrinseca della coagulazione del sangue. Il complesso fattore tissutale-fattore VIIa attiva i fattori X e IX della coagulazione, da cui si formano i fattori IXa e Xa. Con l’ulteriore attivazione della cascata della coagulazione, la protrombina (fattore II) viene attivata e trasformata in trombina. Mediante l’azione della trombina, il fibrinogeno viene convertito in fibrina, dando luogo alla formazione del coagulo. La normale generazione della trombina è di vitale importanza anche per la funzione piastrinica in quanto parte dell’emostasi primaria.

La carenza isolata grave del fattore VII porta alla riduzione della formazione di trombina e ad una tendenza all’emorragia dovuta alla ridotta formazione di fibrina e alla ridotta emostasi primaria. La carenza isolata del fattore IX è una delle emofilie classiche (emofilia B). La carenza isolata del fattore II o del fattore X è molto rara, ma in forma grave provoca una tendenza all’emorragia simile a quella osservata nella emofilia classica.

La deficienza acquisita dei fattori della coagulazione vitamina K dipendenti si manifesta durante il trattamento con antagonisti della vitamina K. Se la carenza diventa grave, comporta la tendenza ad emorragia grave, caratterizzata da sanguinamenti retroperitoneali o cerebrali piuttosto che da emorragie muscolari e articolari. Anche l’insufficienza epatica grave determina una marcata riduzione dei livelli dei fattori della coagulazione vitamina K dipendenti e una tendenza al sanguinamento di rilevanza clinica, fenomeno spesso complesso per la contemporanea presenza di coagulazione intravascolare di basso grado, di bassi livelli di piastrine, di deficit di inibitori della coagulazione e di alterata fibrinolisi.

La somministrazione del complesso protrombinico umano produce un aumento nei livelli plasmatici dei fattori della coagulazione vitamina K dipendenti e può temporaneamente correggere il difetto di coagulazione nei pazienti con carenza di uno o più di questi fattori.

5.2 Proprietà farmacocinetiche Le emivite plasmatiche sono comprese tra:

Fattore della coagulazione emivitaFattore II 48-60 ore

Fattore VII 1,5-6 ore

Fattore IX 20-24 ore

Fattore X 24-48 ore

Pronativ viene somministrato per via endovenosa ed è quindi immediatamente disponibile nell’organismo.

5.3 dati preclinici di sicurezza Non sono disponibili dati preclinici rilevanti sulla sicurezza clinica oltre quelli inclusi in altre sezioni del riassunto delle

caratteristiche del prodotto.

6. INFoRMAZIoNI FARMACEUTIChE 6.1 Elenco degli eccipienti Polvere: eparina: 0,2-0,5 UI/UI FIX; tri-sodio citrato diidrato. Solvente: Acqua per preparazioni iniettabili.

6.2 Incompatibilità Questo medicinale non deve essere miscelato con altri prodotti medicinali.

6.3 Periodo di validità 2 anni. La soluzione deve essere usata immediatamente dopo la sua ricostituzione.

6.4 Precauzioni particolari per la conservazione Non conservare a temperatura superiore ai 25°C. Non congelare. Conservare nella confezione originale per proteggere il

medicinale dalla luce.

6.5 Natura e contenuto del contenitore Una confezione di Pronativ contiene: flacone di polvere (vetro tipo I) con tappo (gomma di alobutile) ed una ghiera rimovibile (alluminio); flacone da 20 ml di acqua per preparazioni iniettabili (vetro tipo I), con tappo (gomma di alobutile) ed una ghiera

rimovibile (alluminio); 1 set di trasferimento (1 ago a due vie ed 1 ago con filtro).

6.6 Precauzioni particolari per l’uso, la manipolazione e lo smaltimento Si raccomanda di leggere tutte le istruzioni e seguirle attentamente! Durante la procedura di seguito descritta, devono essere rispettate le condizioni di asepsi. Il prodotto si ricostituisce velocemente a temperatura ambiente. La soluzione deve essere limpida o leggermente opalescente. Non usare soluzioni torbide o con depositi. Prima della somministrazione, i prodotti ricostituiti devono essere ispezionati visivamente per la presenza di particolati e

modifica del colore. Dopo la ricostituzione, la soluzione deve essere usata immediatamente.

Il medicinale non utilizzato ed i rifiuti derivati da tale medicinale devono essere smaltiti in conformità alla normativa locale vigente.

Istruzioni per la ricostituzione: Se necessario, portare il solvente (acqua per preparazioni iniettabili) e la polvere nelle fiale chiuse fino a temperatura

ambiente. Tale temperatura deve essere mantenuta durante la ricostituzione. Se viene usato il riscaldamento a bagnomaria, si deve aver cura che l’acqua non venga a contatto con i tappi in gomma

o con le ghiere dei flaconi. La temperatura del bagnomaria non deve superare i 37°C. Rimuovere le ghiere dai flaconi della polvere e del solvente e pulire i tappi in gomma con un tampone imbevuto di

alcool. Rimuovere la protezione dall’estremità più corta dell’ago a due vie, facendo attenzione a non toccare la punta esposta

dell’ago. Quindi, perforare il centro del tappo in gomma del flacone di solvente, con l’ago in posizione verticale. Per poter aspirare completamente il solvente dal flacone, l’ago deve essere introdotto nel tappo di gomma in modo che

possa penetrare il tappo e sia visibile nel flacone. Rimuovere la protezione dall’altra estremità lunga dell’ago a due vie, facendo attenzione a non toccare la punta esposta

dell’ago. Tenere il flacone del solvente capovolto sopra il flacone di polvere posto in verticale e perforare velocemente il centro del

tappo in gomma del flacone di polvere con l’ago. Il vuoto all’interno del flacone di polvere attirerà il solvente. Rimuovere l’ago a due vie con il flacone di solvente vuoto dal flacone di polvere e ruotare lentamente quest’ultimo fino

a completo scioglimento. Pronativ si dissolve velocemente a temperatura ambiente sino a diventare una soluzione da incolore a celestina. Non usare la preparazione se la polvere non si dissolve completamente o si forma un aggregato.

Istruzioni per l’infusione: Come misura precauzionale, prima e durante l’infusione misurare la frequenza del polso del paziente. Se si manifesta un

marcato aumento della frequenza del polso ridurre la velocità di infusione o interrompere la somministrazione. Dopo aver effettuato la ricostituzione della polvere come precedentemente descritto, rimuovere la protezione dall’ago

con filtro e perforare il tappo in gomma del flacone di polvere. Rimuovere il tappo ed attaccare l’ago con filtro ad una siringa da 20 ml. Capovolgere il flacone con l’ago e passare la soluzione nella siringa da 20 ml. Disinfettare l’area di inoculo con alcool. Dopo aver rimosso il filtro, iniettare lentamente la soluzione per i.v.: inizialmente 1 ml per minuto, e non più velocemente

di 2-3 ml per minuto. L’ago con filtro è esclusivamente monouso. Usare sempre un ago con filtro nel trasferire la preparazione in una siringa.

Non deve fluire sangue nella siringa, a causa del rischio di formazione di coaguli fibrinici.

7. TIToLARE dELL’AUToRIZZAZIoNE ALL’IMMISSIoNE IN CoMMERCIo Octapharma Italy SpA, via Cisanello 145, 56124 Pisa - Italia.

8. NUMERo(I) dELL’AUToRIZZAZIoNE ALL’IMMISSIoNE IN CoMMERCIo “500 Ui Polvere E Solvente Per Soluzione Iniettabile” 1 Flaconcino Di Polvere+1 Flaconcino Da 20 Ml Di Solvente+ Transfer

Set - AIC n° 039240015.

9. dATA dELLA PRIMA AUToRIZZAZIoNE/ RINNoVo dELL’ AUToRIZZAZIoNE Gennaio 2010.

10. dATA dI REVISIoNE dEL TESTo 28/03/2011.