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5. LA DIGA RINASCIMENTALE SUL FIUME BRUNA L asciata la S.S. 1 Aurelia all’uscita per Giuncarico-Ribolla imboc- cando la S.P. 20 in direzione di Ribolla, e, dopo aver oltrepassato sulla sinistra un’area di cava e un bivio con indicazione “Pod. Mosca- tello”, dopo circa 1 km, subito prima di giungere al ponte sul fiume Bruna, parcheggiamo le vetture e ci incamminiamo a piedi immet- tendoci in un ampio sentiero sulla sinistra della strada provinciale. In alternativa è possibile giungere alla diga provenendo da Castel di Pietra (v. scheda n. 4): dopo aver disceso la strada che si inerpica sull’altura del castello, ci immettiamo nella sottostante strada bianca voltando verso destra; superiamo dopo circa 500 m la Fattoria Vati- cano, quindi, tenendosi sulla sinistra, dopo circa 3 km giungiamo sulla menzionata S.P. 20 in corrispondenza del bivio per Podere Moscatello; quindi prendiamo a sinistra e, dopo poche centinaia di metri, arriviamo al punto di partenza per l’escursione alla diga. L’ oggetto delle indagini è in questo caso piuttosto insolito, poiché consiste nelle strutture relative a un duplice sbarramento artifi- ciale sul fiume Bruna realizzato nella seconda metà del Quattrocento allo scopo creare un grande lago artificiale e, quindi, rappresenta un’opera del tutto eccezionale per i tempi in cui fu concepita e attuata. A partire dal 1997 l’Insegnamento di Archeologia Medievale dell’Uni- versità di Siena ha avviato, con la collaborazione del Comune di Ga- vorrano, un programma di indagini archeologiche e storico-architettoni- che su questo complesso rinascimentale. Il programma di studio ha pre- visto il rilievo delle strutture, ricerche topografiche e analisi pedologiche e geo-morfologiche sulla valle per individuare l’ampiezza di entrambi i bacini artificiali progettati e le ragioni del fallimento di tali iniziative. Le indagini sono state finalizzate a progetti di valorizzazione della complessiva area archeologica Muracci-Castel di Pietra, diretti a ricu- LE INDAGINI

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5. LA DIGARINASCIMENTALESUL FIUMEBRUNA

Lasciata la S.S. 1 Aurelia all’uscita per Giuncarico-Ribolla imboc-cando la S.P. 20 in direzione di Ribolla, e, dopo aver oltrepassato

sulla sinistra un’area di cava e un bivio con indicazione “Pod. Mosca-tello”, dopo circa 1 km, subito prima di giungere al ponte sul fiumeBruna, parcheggiamo le vetture e ci incamminiamo a piedi immet-tendoci in un ampio sentiero sulla sinistra della strada provinciale.

In alternativa è possibile giungere alla diga provenendo da Casteldi Pietra (v. scheda n. 4): dopo aver disceso la strada che si inerpicasull’altura del castello, ci immettiamo nella sottostante strada biancavoltando verso destra; superiamo dopo circa 500 m la Fattoria Vati-cano, quindi, tenendosi sulla sinistra, dopo circa 3 km giungiamosulla menzionata S.P. 20 in corrispondenza del bivio per PodereMoscatello; quindi prendiamo a sinistra e, dopo poche centinaia dimetri, arriviamo al punto di partenza per l’escursione alla diga.

L’ oggetto delle indagini è in questo caso piuttosto insolito, poichéconsiste nelle strutture relative a un duplice sbarramento artifi-

ciale sul fiume Bruna realizzato nella seconda metà del Quattrocentoallo scopo creare un grande lago artificiale e, quindi, rappresentaun’opera del tutto eccezionale per i tempi in cui fu concepita e attuata.A partire dal 1997 l’Insegnamento di Archeologia Medievale dell’Uni-versità di Siena ha avviato, con la collaborazione del Comune di Ga-vorrano, un programma di indagini archeologiche e storico-architettoni-che su questo complesso rinascimentale. Il programma di studio ha pre-visto il rilievo delle strutture, ricerche topografiche e analisi pedologichee geo-morfologiche sulla valle per individuare l’ampiezza di entrambi ibacini artificiali progettati e le ragioni del fallimento di tali iniziative.Le indagini sono state finalizzate a progetti di valorizzazione dellacomplessiva area archeologica Muracci-Castel di Pietra, diretti a ricu-

LE INDAGINI

cire il paesaggio tra il castello e la diga, due poli che rappresentano icontrapposti segni monumentali lasciati sul territorio dal potere signorilemedievale e dal nascente stato rinascimentale. In questo contesto si inse-risce anche l’intervento progettuale “In equilibrio sulla Bruna” elaboratoda Giuseppe Bartolini, che prevede la realizzazione di un ponte sospesopedonale destinato a ricongiungere, sulla quota originaria, gli spezzonisuperstiti del muraglione più elevato, utilizzando strutture leggere a ten-sione integrale ancorate alle due estremità della diga.

Attorno alla metà del Quattrocento il Comune di Siena promossela realizzazione di una diga in muratura al fine di sbarrare il corso deltorrente Bruna e di ottenere un ampio invaso di acqua dolce destinatoalla pesca, che avrebbe dovuto occupare un vasto tratto di fondovallecompreso nel territorio di Castel di Pietra (v. scheda 4).

Nella Toscana medievale è ampiamente documentata la presenza diinvasi artificiali di acqua dolce – e, presso il mare, anche salmastra –destinati eminentemente alla piscicoltura, che venivano denominatipiscine o piscarie; inoltre, assai spesso per un uso simile venivano sfrut-tati canalizzazioni e invasi (gore e bottacci), destinati primariamenteall’alimentazione di impianti idraulici. È noto, infatti, che durante ilRinascimento il pesce di vivaio assunse un peso molto importantenella bilancia alimentare toscana e da più parti emerge che esso venivareputato un cibo di grande pregio; si spiega così l’ammirazione chetraspare dalle parole di papa Pio II Piccolomini con le quali, alla metàdel Quattrocento, il pontefice descriveva l’ampia peschiera artificialerealizzata alle sorgenti del fiume Fiora, sul Monte Amiata, dove – af-ferma compiaciuto – “s’allevano come in un vivaio trote enormi”.

Un fiume, tre laghi pescosiSin dall’Antichità e già a partire dalla sua sorgente, le acque del

fiume Bruna erano utilizzate per l’allevamento ittico. Infatti, ilBruna trae origine dal lago dell’Accesa, un modesto specchio d’ac-qua dal perimetro di poco inferiore ai due chilometri e profondomeno di 40 m, ma molto pescoso di carpe, lucci, tinche, anguille epersici, grazie soprattutto alla particolare caratteristica che, comevuole la tradizione locale, questa acqua “non gela mai”. È noto, delresto, che il vescovo di Massa, proprietario del castello di Accesa edell’omonimo lago già nell’XI secolo, si arricchì dei frutti della pe-sca qui esercitata sino all’età moderna, quando presso le sue riveabitavano numerose famiglie di pescatori.

Inoltre, il fiume Bruna dava origine, nei pressi del proprio sboccoal mare, a quella che era la “peschiera” per antonomasia di tutta laToscana meridionale, vale a dire la Piscaria o “Lago di Castiglione”,nomi che assunse nel Medioevo il grande specchio d’acqua costieroesteso nell’attuale pianura di Grosseto – che in età classica era cono-sciuto sotto il nome di “Prile” – e di cui rimane traccia nell’attualearea umida della “Diaccia Botrona”. Durante il Medioevo questaenorme Pescaia si componeva di un esteso complesso di laghi, stagnie acquitrini alimentati dal Bruna e da altri affluenti minori, che rico-

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priva la piana compresa tra i Monti d’Alma e la foce dell’Ombrone.Almeno dalla tarda età longobarda vi veniva raccolto sale e prodottopesce in abbondanza, e la sua rilevanza fu tale da conferire il proprionome ai principali castelli che sorsero lungo le sue sponde: Casti-glione della Pescaia e Monte Pescali.

Nel basso Medioevo il principale mercato di consumo della pro-duzione ittica del Lago di Castiglione era rappresentato dalla città edallo stato di Siena; nonostante il Comune senese avesse instauratosin dal XII secolo forti legami con alcune grandi comunità affac-ciate su di esso (vale a dire Grosseto e Montepescali), la città dellaBalzana non estese il proprio raggio di azione ai centri affacciatisulla sponda settentrionale, inseriti nel dominio pisano, neancheapprofittando della dissoluzione di quest’ultimo verificatasi allafine del Trecento, poiché queste comunità nel corso dei secoli XV eXVI furono in parte inglobate nello stato di Piombino (Buriano,Badia al Fango) e in parte subirono il dominio politico fiorentino earagonese (Castiglione della Pescaia).

Tutto ciò rendeva incerto e difficoltoso per Siena fruire della pro-duzione ittica del Lago di Castiglione, proprio quando nella secondametà del Quattrocento una serie di eventi politici rendevano difficilee sgradito il ricorso a importazioni di pesce dal Lago Trasimeno, poi-

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La costa e glispecchi d’acquanel XVII secolo

(collezioneGraziani)

ché il Comune di Perugia,cui apparteneva questo vi-vaio, aveva imposto unanuova tassa sulle esporta-zioni, che comportava perl’economia senese un ulte-riore esborso annuo di mi-gliaia di fiorini.

In tale contesto maturòin seno al gruppo di tecnicie scienziati che gravitavaattorno al governo senesel’ardito progetto di realiz-zare all’interno dello Statocittadino un ampio bacinoartificiale, specificamentedestinato all’allevamento dipesce d’acqua dolce. L’ideavenne concepita e prospet-tata già nella prima metàdel Quattrocento (comemostra un disegno di Ia-copo di Mariano detto ilTaccola) e trovò un mo-

dello sia nei tentativi volti alla realizzazione di una diga nel Lago di Ca-stiglione, condotti per iniziativa fiorentina dall’architetto Michelozzodi Bartolomeo Michelozzi, sia nelle opere attuate direttamente dal Co-mune di Firenze per la realizzazione del “Lago di Fucecchio”.

Dal canto proprio, l’impresa senese venne concretizzata e posta inatto a partire dal 1468, quando Pietro di Cecco e Pietro dell’Abbaco,i due esperti incaricati di individuare il sito più adatto per la sua rea-

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Disegno di Jacopodi Mariano detto“Il Taccola” (da Adams 1984)(sopra) e rilievo eruderi a fineOttocento (da DelRosso 1905) (sotto)

pianta

alzata

lizzazione, scelsero l’alta valle del fiume Bruna, nel punto in cui que-sto corso d’acqua piega verso ovest e, insinuandosi in una strettoia tradue gruppi di colline, entra nella pianura grossetana.

Le opere per la realizzazione dell’invaso (1470-1492)I lavori preparatori presero avvio dopo l’inizio del 1470 quando il

Comune cittadino appaltò l’opera a Matteo di Iacopo e Adamo diDomenico, due maestri muratori originari delle valli comasche. Tut-tavia, nella primavera del 1471 si discuteva ancora del progetto, poi-ché i diversi esperti incaricati di provvedere e sovrintendere all’esecu-zione delle opere non avevano trovato un accordo sull’ampiezza dellasuperficie inondabile e sull’entità delle strutture di sbarramento.

In base al piano originario si intendeva sbarrare il corso del fiumeattraverso un semplice muraglione rettilineo della lunghezza di solo200 m circa e dell’altezza massima, dal livello del terreno, di12 m ab-bondanti; il profilo del muro doveva essere fortemente rastremato,poiché si prevedeva uno spessore basamentale superiore ai 10 m, ri-dotto a poco meno di 6 m sulla sommità. Inoltre, su suggerimentodegli appaltatori che giudicavano la sua mole inadeguata a sostenere lapressione delle acque, si decise di addossare a valle della struttura disbarramento rettilinea sei colossali contrafforti e un enorme rinforzocentrale dotato di una base di oltre 6 x 5 m, tutti elementi dei qualioggi non riusciamo a scorgere traccia.

Con questi primi aggiustamenti progettuali ebbero inizio i la-vori, che proseguirono per alcuni anni, durante i quali tra grandis-sime difficoltà ambientali vennero profusi enormi sforzi e conside-revoli risorse economiche. Le opere subirono una pluriennale bat-tuta d’arresto dopo il 1473, in seguito alla morte dell’appaltatoredei lavori Adamo di Domenico e a complesse vicende amministra-tive conclusesi con l’affidamento dell’incarico ad altri imprenditoriedili, questa volta senesi, oltretutto in un contesto politico insta-bile caratterizzato dagli episodi bellici che interessarono tutta la re-

La diga rinascimentale sul fiume Bruna 79

Ricostruzionetridimensionale

dei ruderi (G. Bartolini)

gione. Alcuni resoconti del 1481 denunciano i danni prodotti du-rante gli anni di stasi del cantiere dall’erosione delle acque e la-sciano presumere che, proprio per supplire agli inconvenienti veri-ficatisi, si attuasse quel ridimensionamento del progetto tradottosinell’abbandono dei lavori sulla muraglia rettilinea a vantaggiodella realizzazione di una diga semicircolare, di assai minore al-tezza, che si innestava a monte nel muraglione principale. Questaseconda soluzione ingegneristica, molto valida e fortemente inno-vativa, è stata ricondotta a un intervento progettuale di Francescodi Giorgio Martini, sebbene nei suoi trattati non compaiano ar-gini dalla concezione così avanzata e nonostante che i documentid’archivio attestino un interessamento dell’architetto sostanzial-mente marginale e limitato alle fasi conclusive dell’opera.

Il compimento e il crollo della diga (dicembre 1492)Negli ultimi giorni del 1492 la diga rovinò, squarciandosi al cen-

tro, nonostante fosse entrata in funzione solo da poco tempo e nonavesse ancora completamente assolto la sua funzione di sbarramentodelle acque. Alcuni cronisti attribuirono la causa del crollo a unapiena di straordinaria portata che avrebbe travolto lo sbarramento,trasportandone frammenti anche a grande distanza e determinandola morte di “huomini e bestiame” che si trovavano sulla sua strada;un testimone contemporaneo, il diarista senese Allegretto Allegretti,attribuì invece il collasso dell’opera alla sua imperfetta realizzazione,dovuta alla mala fede dei responsabili del cantiere, che non avreb-bero portato a termine il “muro” a regola d’arte, “bensì acciabattoloper guadagnare più assai”. Tuttavia, sulla base dell’osservazione dellestrutture superstiti, della conformazione geologica dei luoghi e di al-cuni riferimenti documentari, sembra più probabile che il cedi-mento sia stato causato dallo scorrimento sotterraneo delle acqueche minò la resistenza dello sbarramento scalzandone le inadeguatefondamenta. Il governo senese negli anni successivi considerò a piùriprese la possibilità di ripristinare la diga e anche Baldassarre Pe-ruzzi venne interessato alla progettazione di un nuovo argine: ancoroggi, infatti, si conservano sei splendidi disegni dell’architetto rina-scimentale che illustrano altrettanti progetti di ripristino, nessunodei quali, però, venne attuato.

Una volta abbandonata ogni speranza di ricostruzione, i resti delladiga furono utilizzati come una ‘steccaia’ che, innalzando artificial-mente il letto del fiume di circa 3 m, favoriva l’adduzione dell’acquaper alimentare un impianto idraulico posto più a valle sulla riva de-stra; perciò, tra i monumentali ruderi dello sbarramento venne ta-gliato un “gorello”, destinato a condurre in quota le acque fluviali sinoal sottostante “Mulino del Muro”. Il sito dell’antico sbarramento,inoltre, si configurò per il bestiame come uno dei migliori attraversa-menti del fiume e, come tale, i responsabili della Dogana dei Paschidefinirono alle due estremità dell’antica diga ampie recinzioni ove ipastori potevano ricoverare temporaneamente le greggi transumanti,in attesa del momento propizio per condurle a guado sulla spondaopposta del fiume.

80 Guida alla Maremma medievale

N elle memorie delgranduca Leopol-

do II di Lorena (1824-1859) si legge: “È unfatto che il vasto lago chefu ad arte ristagnatonella valle della Bronaruppe sue difese, ed in-vase il piano di Grosseto.Del muro gigantesco chea traverso la valle delBruna fu costruito a rin-collare a grande altezzale acque, sono gli avanzituttora presso Pietra, esono memorie della grande devastazione prodotta della discesa repentinadi tanta raccolta d’acque che mandò davanti a sé e case e terreni, ed èprobabile chiudesse colle materia la via ad Ombrone e desse potente im-pulso a quel fiume a mutare suo corso. Colmò allora verso mezzodì e,chiusa poi al seno di mar di Castiglioni la vasta foce, questo si cambiò inpadule”. Le parole del granduca, pur nell’ingenuità dell’interpretazionedelle cause del dissesto idraulico che caratterizzava la Maremma in etàmoderna e la cui soluzione costituiva una delle principali preoccupazionidel governo lorenese, se da un lato rilevano un atteggiamento non rasse-gnato verso un fenomeno che viene inteso come provocato artificialmenteda un evento fortuito e come tale reversibile per opera dell’uomo, dall’al-tro sono anche il frutto della suggestione provocata in Leopoldo II dagliimponenti ruderi della diga rinascimentale.

L asciata la strada provinciale, dopo pochi minuti di cammino simanifestano le prime avvisaglie della grande diga rinascimen-

tale: enormi blocchi di muratura tenuti insieme da ottima calce, di-velti in antico dalla furia delle acque giacciono oggi conficcati pro-fondamente nel terreno presso il greto del fiume. Più oltre, immersinella ricca vegetazione ripuaria, si ergono altissimi i resti del duplicesbarramento fluvialetravolti dalla Bruna cherendono tangibile lastraordinaria imponen-za di questa opera inge-gneristica rinascimen-tale. Al momento, nonè dato identificarequanto l’attuale pianodi campagna sia piùelevato rispetto a quelloquattrocentesco in con-seguenza dell’apportodeposizionale dei detriti

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ALLA RADICE

DELLA PALUDE

Sopra e sotto:disegni progettuali

di BaldassarrePeruzzi (da

Rilievi efabbriche 1982)

LA VISITA

Disegniprogettuali diBaldassarrePeruzzi (daRilievi efabbriche 1982)

e, quindi, non è possibiledeterminare in quale mi-sura l’altezza attuale deidiversi tratti di diga possaessere inferiore rispetto aquella originaria. La du-plice barriera è costituitada un più elevato mu-raglione ad andamentorettilineo, cui si collegauna ulteriore strutturamuraria curva con la con-vessità rivolta a monte, ingrado di scaricare verso le

estremità la pressione esercitata dalle acque sul tratto centrale, con-ferendo all’intero sbarramento una maggiore resistenza.

Proseguendo la nostra marcia lungo il greto fluviale, incon-triamo per primi i resti del muraglione rettilineo che su questo latodel fiume si conservano per una lunghezza di circa 40 m, dimen-sioni considerevoli ma modeste rispetto alla misura complessiva diquest’argine che superava i 280 m. Nei tratti conservati il muropresenta uno spessore basamentale di oltre 10 m che si assottigliaprogressivamente verso la sommità; sulla cresta si riconosce ancorail piano stradale percorribile dai carri, poiché nei tratti superstiti ifenomeni erosivi non hanno inciso in modo significativo sul manu-fatto che ha mantenuto l’altezza originaria.

Nel punto più alto, l’antica diga si eleva dal piano di campagna at-tuale per oltre 12 m e si presenta come costituita da un muro a saccocon paramenti in pietra e una potente anima in calce che ingloba an-che ciottoli di fiume; l’uso di mattoni sembra piuttosto ridotto, no-nostante che l’area fosse ricca di argilla, acqua e combustibile, ele-menti in grado di assicurare una consistente produzione laterizia.

A monte del muraglione principale si dipana una seconda pos-sente diga ad arco di cerchio, la cui altezza supera i 6 m sul pianodi campagna; la sua quota più ridotta è indice di quanto in una se-

conda fase venne ridi-mensionato il progettooriginario, con la conse-guente riduzione della su-perficie valliva che si in-tendeva allagare. La digacurvilinea era caratteriz-zata da uno spessore infe-riore (circa 8 m), ma ven-ne realizzata utilizzandouna tecnica costruttivamigliore (era dotata, tral’altro, di numerosi robu-sti contrafforti) e questa

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struttura risulta effettiva-mente meglio conservata,tanto che sono facilmentericonoscibili le chiuse e letracce delle paratie desti-nate alla pesca e alla rego-lamentazione dell’afflussoidrico.

Attualmente l’attraver-samento del fiume è pos-sibile solo a guado incondizioni di particolaresiccità, ma è stato elabo-rato un progetto di valo-rizzazione teso al ricongiungimento degli spezzoni superstiti delmuraglione rettilineo, ricollegando le due sponde del Bruna inquota mediante un ponte pedonale in strutture leggere, che con-sentirebbe di leggere più agevolmente i manufatti rinascimentali edi apprezzare a pieno il valore paesaggistico della valle.

Al presente, comunque, per visitare la porzione meglio conservatadella struttura rinascimentale, vale a dire quella ubicata sulla sponda si-nistra del Bruna, è necessario tornare sui nostri passi sino alla stradaprovinciale e imboccarla dirigendosi verso sinistra. Superato il mo-derno ponte sul fiume e percorse in direzione Ribolla poche centinaiadi metri di strada asfaltata in lieve salita imbocchiamo sulla sinistra unastrada bianca e ci dirigiamo alla volta di un gruppo di case coloniche(Casa Muccaia) forse costruite in corrispondenza dei quartieri utilizzatidai maestri costruttori della diga.

Oltrepassati questi edifici rurali il viottolo si immette direttamentesull’antica strada carreggiabile allestita dai costruttori sullo sbarra-mento diritto, che ancora ne percorre la sommità per parecchie decinedi metri. Da questo lato del Bruna, infatti, l’argine rettilineo è conser-vato per un tratto che misura poco meno di 100 m e si inoltra verso ilfiume giungendo a superare l’altezza degli alberi vicini, sino a sovra-starne ampiamente le chiome. Volgendo lo sguardo verso est, pos-siamo in qualche misurarenderci conto di quantoampio fosse il tratto di val-lata che si intendeva alla-gare realizzando lo sbarra-mento rettilineo, poiché lospecchio d’acqua artificialeavrebbe dovuto estendersia monte della diga pertutta la pianura posta auna quota inferiore al no-stro punto di vista. Pochimetri prima della voragineche interrompe lo sbarra-

La diga rinascimentale sul fiume Bruna 83

Disegniprogettuali di

BaldassarrePeruzzi (da

Rilievi efabbriche 1982)

mento (oltre la quale siscorge, immerso nellavegetazione, un altrospezzone di muro rispar-miato dai crolli) si di-parte il tratto setten-trionale del più modestosbarramento curvilineorealizzato a monte. Do-po averlo individuatodall’alto possiamo visi-tarne da vicino le strut-ture tornando sui nostripassi e discendendo ildeclivio verso il torrente.

Passiamo in prossi-mità della parete ester-na, seminascosta dallavegetazione, sino a

incontrare un varco nell’argine costituito da una grande apertura co-perta da una volta in muratura. Sebbene non sia del tutto chiara lafunzione di questo passaggio posto nel fianco settentrionale delladiga, possiamo presumere che facesse parte di un sistema di chiuse

realizzate allo scopo diregolamentare il de-flusso delle acque dallago artificiale (esistonoinfatti tracce di unaanaloga apertura anchesul fianco meridionale).

Entrati nello spazioracchiuso tra i duesbarramenti in mura-tura osserviamo l’ordi-nata serie di potenticontrafforti che soste-nevano internamente ladiga curvilinea e, primadi riprendere la via delritorno, possiamo sof-fermarci ad apprezzarela peculiare fisionomiapaesaggistica del luogo,legata anche alle parti-colari condizioni vege-tazionali connesse allapresenza delle impo-nenti strutture antiche.

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Progetto dipasserellapedonale nelfiume Bruna(G. Bartolini)

I terreni a valledella diga in uncabreo delXVIII secolo (daMontemassi eRoccatederighi,1983)