7. f. galgano, diritto dei contratti

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FRANCESCO GALGANO * DIRITTO DEI CONTRATTI 1. – L’odierno diritto dei contratti ruota, in Italia come altrove, intorno al dilemma fra libertà contrattuale e giustizia del contratto: se la libertà di contrarre e di determinare i contenuti del contratto debba essere difesa fino al punto di accettare che il contratto possa risultare ingiusto, ossia economicamente incongruo, con squilibrio fra le prestazioni corrispettive, o se in nome della giustizia del contratto si debbano, all’opposto, accettare limitazioni della libertà contrattuale. Tre recenti monografie, che sono opera, se non erro, di studiosi debuttanti, si sono con decisione pronunciate per il primo termine dell’alternativa 1 . Per contro, la più recente giurisprudenza della nostra Cassazione, che pure è opera di giuristi di matura età (i nonni di quei debuttanti) opta per il primo corno del dilemma. Sviluppa il concetto di buona fede contrattuale, e di equità quale fonte di integrazione (e di correzione) del contratto, fino al punto di introdurre i seguenti principi: a) è nulla, per violazione del canone della buona fede * Professore Ordinario nell’Università di Bologna 1 Mi riferisco ai libri di VOLPE, La giustizia contrattuale fra autonomia e mercato, Napoli, 2004; PERFETTI, L’ingiustizia del contratto, Milano, 2005; CACCAVALE, Giustizia del contratto e presupposizione , Torino, 2005, sui quali v. PIERAZZI, La giustizia del contratto, in Contratto e impresa, 2005, p. 647. 1

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Page 1: 7. F. Galgano, Diritto Dei Contratti

FRANCESCO GALGANO*

DIRITTO DEI CONTRATTI

1. – L’odierno diritto dei contratti ruota, in Italia come altrove,

intorno al dilemma fra libertà contrattuale e giustizia del contratto:

se la libertà di contrarre e di determinare i contenuti del contratto

debba essere difesa fino al punto di accettare che il contratto possa

risultare ingiusto, ossia economicamente incongruo, con squilibrio

fra le prestazioni corrispettive, o se in nome della giustizia del

contratto si debbano, all’opposto, accettare limitazioni della libertà

contrattuale. Tre recenti monografie, che sono opera, se non erro, di

studiosi debuttanti, si sono con decisione pronunciate per il primo

termine dell’alternativa1. Per contro, la più recente giurisprudenza

della nostra Cassazione, che pure è opera di giuristi di matura età (i

nonni di quei debuttanti) opta per il primo corno del dilemma.

Sviluppa il concetto di buona fede contrattuale, e di equità quale

fonte di integrazione (e di correzione) del contratto, fino al punto di

introdurre i seguenti principi:

a) è nulla, per violazione del canone della buona fede nella

formazione del contratto, la clausola contrattuale che il contraente

forte impone alla controparte, rendendo incongruo lo scambio

contrattuale2;

b) il contratto, anche se il senso letterale delle parole rende

certa l’intenzione delle parti, deve essere interpretato secondo

buona fede, non essendo il canone interpretativo di cui all’art. 1366

c.c. da intendere, come in passato era stato inteso, quale canone da

* Professore Ordinario nell’Università di Bologna1 Mi riferisco ai libri di VOLPE, La giustizia contrattuale fra autonomia e mercato, Napoli, 2004;

PERFETTI, L’ingiustizia del contratto, Milano, 2005; CACCAVALE, Giustizia del contratto e presupposizione, Torino, 2005, sui quali v. PIERAZZI, La giustizia del contratto, in Contratto e impresa, 2005, p. 647.

2 Cass., 2 novembre 1998, n. 10926, in Foro it., 1998, I, c. 2081.

1

Page 2: 7. F. Galgano, Diritto Dei Contratti

adottare solo in presenza di clausole ambigue3;

c) la buona fede è, per il giudice, strumento di «governo della

discrezionalità nell’esecuzione del contratto», da ricondurre allo

«standard di normalità sociale e, quindi, a ragionevolezza»4;

d) il giudice può rilevare d’ufficio la eccessività della penale

contrattuale e d’ufficio procedere alla sua riduzione secondo equità,

e ciò non nell’interesse delle parti, ma «per evitare che l’autonomia

contrattuale travalichi i limiti entro i quali la tutela delle posizioni

soggettive delle parti appare meritevole di tutela»5.

2. – Sul tema bisogna introdurre la dimensione dello spazio. Ripeto

qui quanto ho scritto nel mio recente libro su La globalizzazione

nello specchio del diritto, ossia che la realtà oggi muta rapidamente

nel tempo, ma si rende sempre più uniforme nello spazio. Gli indirizzi

giurisprudenziali ora segnalati altro non sono, in verità, se non

l’emersione, in ambito nazionale, di tendenze che dominano la scena

mondiale.

Sta oggi prendendo vita un diritto uniforme spontaneo; e mi

riferisco alla lex mercatoria, della quale si parla, in giurisprudenza,

come di un «ordinamento giuridico», separato dagli ordinamenti

statuali e dotato, al pari di questi, del carattere di ordinamento

originario, quale espressione della «business community» o

«societas mercantile». Sono parole usate da una sentenza della

nostra Cassazione6, e a questo modo gli usi del commercio

internazionale vengono assunti quali veri e propri usi normativi, vere

e proprie fonti di diritto oggettivo; ma di un diritto oggettivo non

3 Cass., 17 febbraio 2004, n. 2992; e su di essa v. il commento di TODARO, Buona fede contrattuale: nuovi sviluppi della Cassazione, in Contratto e impresa, 2005, p. 579.

4 Cass., 11 febbraio 2005, n. 2855; e su di essa v. il commento di BARALDI, Il governo giudiziario della discrezionalità contrattuale, in Contratto e impresa, 2005, p. 501.

5 Cass., Sez. un., 13 settembre 2005, n. 18128, che così risolve il contratto al riguardo manifestatosi fra le sezioni semplici, facendo eco a Corte di giustizia Ce, 27 giugno 2000, nn. 240 e 244/98, sulla rilevabilità d’ufficio della vessatorietà delle clausole nei contratti con il consumatore.

6 Cass., 8 febbraio 1982, n. 722, in Foro it., 1982, I, c. 2285.

2

Page 3: 7. F. Galgano, Diritto Dei Contratti

statuale, bensì sovranazionale: di un diritto oggettivo della societas

mercatorum, della comunità internazionale degli operatori

economici.

Ad una simile costruzione, largamente diffusa in ambito

internazionale, mostrano di avere aderito i legislatori nazionali: i

codici di procedura civile si uniformano a principi dettati dai

regolamenti delle camere arbitrali internazionali, stabilendo che gli

arbitri internazionali debbono comunque attenersi, quale che sia il

diritto nazionale applicabile al contratto (per scelta delle parti o per

il criterio del più stretto collegamento), agli «usi del commercio».

Così l’art. 1496 del codice di procedura civile francese, come

modificato nel 1981; così il nostro codice di procedura civile all’art.

834 introdotto con la riforma dell’arbitrato del 1994.

3. - Della lex mercatoria è fatta da Unidroit una organica

compilazione, che va sotto il nome di Principi dei contratti

commerciali internazionali. Si tratta di una «parte generale» sulle

obbligazioni e sul contratto, coestensiva per intenderci alle norme

sulle obbligazioni e sul contratto in generale di cui agli artt. 1321-

1469 del nostro codice civile, ma con forti elementi di originalità

rispetto ai diritti codificati: basti pensare che unico requisito del

contratto è la volontà dei contraenti, escluso ogni altro requisito (art.

3.2.); ciò che, per un verso, esclude l’esistenza di contratti reali, che

si perfezionino cioè solo con la consegna della cosa oggetto del

contratto, e decreta, per altro verso, l’irrilevanza tanto del requisito

della causa, presente nei sistemi di civil law a diritto romano-

francese, quanto di quello della consideration, proprio del contratto

in common law. E l’irrilevanza tanto della causa quanto della

consideration spiega come possa il contratto essere valido

nonostante l’impossibilità originaria dell’adempimento

dell’obbligazione assunta (art. 3.3), che è equiparata all’impossibilità

3

Page 4: 7. F. Galgano, Diritto Dei Contratti

sopravvenuta, con la conseguenza che il contraente ad essa

obbligato sarà inadempiente se l’impossibilità originaria era a lui

imputabile.

Per contro, assume rilievo preponderante il canone della buona

fede (art. 1.7), che può fra l’altro comportare l’imposizione di

obbligazioni implicite, non previste cioè dal testo contrattuale (art.

5.1.2, lett. c); ciò che lega la Nuova lex mercatoria all’antica, che dal

diritto romano si era andata differenziando soprattutto per l’appello

ai valori dalla buona fede e dell’equità. Le regole di diritto che

compongono la lex mercatoria sono, per alcuni aspetti, il frutto della

generalizzazione di principi vigenti in alcuni sistemi statuali, in

ragione della loro conformità agli usi del commercio internazionale.

Altre volte la regola accolta è del tutto originale, priva di

riscontro nei sistemi nazionali. Così è la disciplina della forza

maggiore, quale risulta dall’art. 7.1.7, difforme sia dalla frustration

di common law sia dalla impossibilità sopravvenuta di civil law, ma

conforme alla clausola costantemente ripetuta nei contratti

internazionali, ispirata da un più forte favor creditoris: è forza

maggiore, che libera il debitore, qualsiasi impedimento

all’adempimento che non solo derivi da cause estranee alla sua sfera

di controllo, ma che sia altresì estraneo al prevedibile rischio da lui

assunto con il contratto (ossia che «non era ragionevolmente tenuto

a prevedere al momento della conclusione del contratto o ad evitare

o a superare»); sicché il contraente inadempiente può essere

chiamato a rispondere, per lex mercatoria, anche in casi nei quali,

per i diritti nazionali, conseguirebbe la propria liberazione (lo

sciopero dei portuali, ad esempio, che gli impedisce di consegnare la

merce è impedimento estraneo alla sua sfera di controllo, ma non

imprevedibile al momento della assunzione dell’obbligazione, e

perciò rientrante nella sfera di rischio assunto con il contratto).

Quanto mai originali sono le figure della Gross disparity (art.

4

Page 5: 7. F. Galgano, Diritto Dei Contratti

3.10) e dell’Hardship (artt. 6.2.1, 6.2.2, 6.2.3), che portano a

conseguenze estreme, in precedenza sconosciute a tutti i diritti

nazionali (sconosciute, quanto meno, al tempo della prima

apparizione dei Principi Unidroit), quel criterio di equità contrattuale

che la Nuova lex mercatoria ha ereditato dall’antica. C’è Gross

disparity quando il contratto o una sua clausola attribuisce ad una

parte un vantaggio eccessivo sull’altra, quale che sia il fattore che

l’ha provocato, facendo sì che il contratto – secondo la formula che

figura nell’art. 3.10, comma 2° - risulti non «conforme ai criteri

ordinari di correttezza nel commercio». Solo a titolo esemplificativo

(«fra gli altri») sono indicati fattori quali la dipendenza economica,

l’approfittamento dello stato di bisogno, l’imperizia o l’inesperienza e

simili (art. 3.10, comma 1°, lett. a), mentre assume autonomo rilievo

«la natura o lo scopo del contratto» (art. 3.10, comma 1°, lett. b),

sicché lo squilibrio fra le prestazioni può risultare oggettivamente

ingiustificato, in considerazione della natura o dello scopo del

contratto, a prescindere dalla presenza delle condizioni soggettive

predette.

Già sotto questo aspetto la figura della Gross disparity si

discosta dal modello originario e si rivela priva di riscontro nei

fondamentali sistemi giuridici nazionali7, presente solo nel diritto

olandese e nei diritti scandinavi, che prevedono l’inefficacia del

contratto «contrario ad equità», mentre l’Uniform Commercial Code

degli Stati Uniti, che pure conosce la unconscionability, ossia la

irragionevolezza, del contratto (sec. 2.302), come poi il Restatement

of contracts, che si esprime in termini di gross disparity (§ 208), sono

di fatto applicati sul solo dimostrato presupposto che il contraente

forte abbia abusato della propria posizione di potere a danno della

controparte.

7 Cfr. la ricognizione che ne fa la M. TIMOTEO, Nuove regole in materia di squilibrio contrattuale: l’art. 3.10 dei Principi Unidroit, in Contratto e impresa-Europa, 1997, p. 141 ss., dove i riferimenti ai dati normativi qui utilizzati.

5

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Il diritto italiano, come è ben noto, dà rilievo allo squilibrio

originario fra le prestazioni contrattuali solo in una serie di situazioni

fortemente tipizzate, che muovono dalla rescissione per lesione ultra

dimidium con approfittamento dell’altrui stato di bisogno (art. 1447

del codice civile), per poi pervenire ai contratti con il consumatore

finale, predisposti dal professionista in contrasto con la buona fede e

tali da determinare «un significativo squilibrio dei diritti e degli

obblighi derivanti dal contratto» (art. 1469 bis, introdotto per

direttiva comunitaria), e ancora ai contratti di subfornitura nelle

attività produttive con «abuso di dipendenza economica», che

provoca «un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi» (art. 9, legge

18 giugno 1998, n. 192), e infine al contratto usurario, che preveda

«vantaggi sproporzionati» a danno di chi «si trova in condizioni di

difficoltà economica o finanziaria» (art. 1, legge 7 marzo 1996, n.

108).

Dove il Principio Unidroit si rivela del tutto originale è in ciò che

attiene ai rimedi predisposti per la Gross disparity, che non risiedono

solo nell’annullamento del contratto o della clausola con prestazioni

squilibrate (art. 3.10, comma 1°), eventualmente evitabile, per il

contraente che lo subirebbe, con l’offerta di un adattamento del

contratto o di sue clausole, in modo da renderlo «conforme ai criteri

di correttezza nel commercio» (art. 3.10, comma 3°), ciò che

corrisponde all’offerta di riconduzione ad equità che anche il codice

civile italiano conosce in materia di rescissione (art. 1450). Altro

rimedio, privo di precedenti nei sistemi giuridici occidentali, è il

provvedimento del giudice-arbitro che, su richiesta della parte che

ha diritto all’annullamento, modifica il contratto per adattarlo ai

predetti criteri di correttezza (art. 3.10, comma 2°). Si è qui in

presenza di quella che viene definita come equità correttiva: figura

che si è soliti definire come eccezionale nell’ambito di sistemi retti

dal principio della libertà contrattuale, nei quali il giusto prezzo è

6

Page 7: 7. F. Galgano, Diritto Dei Contratti

quello che si determina spontaneamente nel libero gioco delle forze

economiche.

L’altra figura, l’Hardship, riguarda lo squilibrio sopravvenuto fra

le prestazioni contrattuali, provocato da eventi successivi alla sua

stipulazione, il cui rischio non sia stato assunto dalla parte

svantaggiata. Anche qui si rende generale un rimedio che, nei

sistemi nazionali, è ammesso solo in presenza di situazioni

fortemente tipizzate, come nel caso della eccessiva onerosità

sopravvenuta provocata da eventi straordinari e imprevedibili di cui

all’art. 1467 del codice civile italiano. L’Hardship legittima la parte

svantaggiata a chiedere alla controparte la rinegoziazione del

contratto, e fin qui non si va oltre ciò che, nei diritti nazionali, si

suole desumere dal canone della buona fede nell’esecuzione del

contratto; come non si va oltre con la norma che prevede la

risoluzione del contratto se il contraente avvantaggiato si rifiuta di

rinegoziare (art. 6.2.3, comma 4°, lett. a), giacché anche a tanto si

può arrivare nei diritti nazionali con la risoluzione del contratto per

inadempimento all’obbligazione di esecuzione secondo buona fede.

Ciò a cui nessun diritto nazionale era arrivato, quanto meno in

Occidente, è l’ulteriore rimedio che consiste nel potere del giudice di

«modificare il contratto al fine di ripristinare l’originario equilibrio»

(art. 6.2.3, comma 4°, lett. b).

L’equità correttiva diventa, a questo modo, una regola generale,

operante sia per correggere lo squilibrio originario del contratto, sia

per ripristinare l’equilibrio successivamente alterato. La libertà

contrattuale resta un valore fondamentale, espresso dall’art. 1.1; ma

è una libertà che, per lex mercatoria, trova limite in altri valori, quali

la buona fede e la correttezza nel commercio internazionale, alla cui

violazione la lex mercatoria reagisce con la sostituzione autoritativa

del contratto equo al contratto voluto dalle parti.

7

Page 8: 7. F. Galgano, Diritto Dei Contratti

4. - Il diritto prodotto in Occidente dalle codificazioni del

diciannovesimo secolo e sviluppato dalla legislazione statuale

successiva affonda le sue radici culturali nell’Illuminismo e in quella

sua traduzione in valori e concetti giuridici che siamo soliti

riassumere nel giusnaturalismo del diciassettesimo e diciottesimo

secolo. Ma l’Illuminismo, e tutto ciò che ad esso si collega, è stato un

fenomeno solo occidentale 8, cui sono rimaste del tutto estranee

quelle vaste aree del pianeta, dall’Islam all’India e soprattutto dal

Giappone alla Cina, che solo a partire dal ventesimo secolo sono

entrate in competizione economica e culturale con l’Occidente9. A

queste vaste aree del pianeta dice poco o nulla tutto ciò che, in

Occidente, è «diritto di natura» o «diritti di ragione», quale base del

diritto codificato e, al tempo stesso, quale permanente meta da

realizzare, quale limite inviolabile alla potestà legislativa degli Stati;

né dice gran che ciò che in Occidente si definisce come «principi

generali del diritto generalmente accettati», là dove l’avverbio

«generalmente» è pur sempre riferito alla generalità dei Paesi

occidentali. È vero che, fra la fine del diciannovesimo e l’inizio del

ventesimo secolo, il Giappone e la Cina hanno recepito i codici

occidentali e che essi vi sono tuttora in vigore (mentre i Paesi

islamici hanno adottato codici modellati sull’esempio occidentale

solo per regolare i rapporti con l’estero); è però altrettanto vero che,

8 BERMAN, Diritto e rivoluzione, trad. it., Bologna, 1998, p. 49, fa notare che: «l’Illuminismo del diciottesimo secolo fu un fenomeno esclusivamente occidentale, che fornì le basi ideologiche delle rivoluzioni non solo francese ed americana, ma anche dei sommovimenti a favore di cambiamenti radicali in Inghilterra ed altrove. La Rivoluzione russa nacque dal movimento comunista internazionale fondato da due tedeschi; le sue radici si rinvengono nella Comune di Parigi del 1870. Similmente, le rivoluzioni nazionali ebbero enormi ripercussioni – tutte occidentali – dopo il loro scoppio».

9 Già al principio degli anni ottanta BERMAN, cit. alla nota prec., p. 63, scriveva che «oggi c'è di nuovo che la trasformazione investe tutta la tradizione giuridica nel suo complesso e non solo alcuni elementi o aspetti di essa; ciò appare chiaro soprattutto nel confronto con le civiltà e le filosofie non-occidentali. In passato, l'uomo occidentale ha fiduciosamente portato con sé il suo diritto per il mondo. Oggi, tuttavia, il mondo è diffidente — più che mai diffidente — nei confronti della ‘legalità’ occidentale; i popoli orientali e meridionali propongono delle alternative e l'Occidente stesso mette in dubbio la validità universale della propria tradizionale visione del diritto, soprattutto nei confronti delle culture non-occidentali. Il diritto, che finora appariva ‘naturale’, appare oggi ‘occidentale’ e molti sostengono che esso sia obsoleto anche per l'Occidente».

8

Page 9: 7. F. Galgano, Diritto Dei Contratti

nell’applicazione di quei codici, giapponesi e cinesi non si riflettono

affatto nello «specchio dei diritti occidentali», e anzi rifiutano le

prassi interpretative e le sistemazioni teoriche di giudici e giuristi

dell’Occidente10.

L’adozione dei codici occidentali volle essere una ostentazione

di modernità rivolta all’Occidente, da parte di Paesi che, come in

particolare la Cina, avevano alle proprie spalle una propria

millenaria tradizione giuridica. In sede di applicazione si è dato

particolare risalto alle clausole generali, come quella della buona

fede contrattuale, le cui applicazioni, per il rifiuto di una tipizzazione

delle fattispecie, danno luogo ad una sorta di diritto libero; e si è

finito con il far coincidere la buona fede con l’equità, approdando al

risultato di svuotare di contenuto tanto la volontà contrattuale

quanto la disciplina codicistica del contratto11. La recente legge

cinese sui contratti del 1° ottobre 1999 si colloca in questa

prospettiva: eleva la manifesta iniquità a causa di annullamento del

contratto (art. 52, n. 2); consente al giudice di integrare il contratto

con prescrizione relative alla qualità dei beni che ne sono oggetto, al

prezzo, al luogo, al tempo e alle modalità dell’adempimento (art. 61),

ciò su cui i giuristi cinesi fondano le Gross disparity e l’Hardship12.

Per contro, la responsabilità per inadempimento prescinde dalla

colpa (art. 107), ed è irrilevante il fatto del terzo che abbia impedito

l’adempimento; lungi dal liberare il debitore, esso instaura un

rapporto fra il debitore e il terzo (art. 121).

Il tasso di sviluppo dei Paesi orientali emergenti è in crescita

incessante; la capacità di competizione economica di questa nuova

frontiera del capitalismo è ora in una fase che in Occidente si giudica

allarmante. L’antico dogma della statualità del diritto rappresentava

10 Cfr. TIMOTEO, Il contratto in Cina e in Giappone nello specchio dei diritti occidentali , Padova, 2004.

11 TIMOTEO, cit. alla nota prec., p. 352 ss. 12 La testimonianza è in TIMOTEO, cit. alla penult. nota, p. 24.

9

Page 10: 7. F. Galgano, Diritto Dei Contratti

una invalicabile barriera difensiva; nel pensiero dei suoi teorici,

«all’intangibilità fisica dei confini corrisponde l’esclusività

dell’ordinamento giuridico»13. Ma era la filosofia giuridica di

un’epoca nella quale i confini territoriali erano, al tempo stesso,

confini politici ed economici. Nel tempo presente l’ordine basato

sulla intangibilità del territorio si è spezzato; il monopolio dello

Stato, ed i fondamenti ideali sui quali poggiava, non hanno retto,

all’interno degli Stati, alla pressione esercitata dalla società civile, e

non hanno retto all’esterno, all’urto della globalizzazione dei

mercati, alla invasione delle imprese transnazionali14. Il monopolio

statuale della produzione del diritto ha ceduto il posto ad un diverso

sistema che ammette, al di là della legge, altre non statuali fonti del

diritto, e fonti di un diritto doppiamente globale, per il suo ambito di

applicazione, essendo destinato a trovare applicazione oltre ogni

confine statuale, e per il suo modo di produzione, essendo

suscettibile di formarsi nei più diversi punti del pianeta.

L’odierna lex mercatoria, per quanto dotata di alcuni elementi di

significativa originalità, può ancora dirsi prevalente espressione

della civiltà giuridica occidentale. Ma questo suo attuale marchio

d’origine riflette l’odierno, tuttora persistente, predominio delle

imprese occidentali e dei valori culturali che esse portano con sé e

diffondono nel mondo. Non sappiamo se e fino a quando perdurerà

una lex mercatoria di prevalente ispirazione occidentale, qual è

quella che oggi troviamo consacrata nei Principi Unidroit, o se e a

partire da quando i mutati rapporti di forza fra Oriente e Occidente

non porteranno ad una diversa lex mercatoria, lontana dai suoi

attuali contenuti, ispirata dalle consuetudini commerciali dei mercati

orientali. Che sarà allora, in un mondo giuridico non più 13 Così N. IRTI, Norma e luoghi. Problemi di geo-diritto, Bari, 2001, p. 5, con riferimento alla

concezione dello Stato propugnata da Jellinek, che fu al principio del Novecento fra i massimi artefici della concezione assolutizzante del potere statuale.

14 Così B. BADIE, La fine dei territori. Saggio sul disordine internazionale e sull’utilità sociale del rispetto, trad. it., Trieste, 1996, p. 33 ss.

10

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eurocentrico, del formalismo europeo e del razionalismo occidentale

di smittiana memoria? La lex mercatoria è ora un contenitore di

principi di matrice in prevalenza occidentale; ma essa può in futuro

trasformarsi in un veicolo che traghetta in Occidente principi nati in

altre latitudini giuridiche.

Qualcosa sta già accadendo: le figure della Gross disparity e

dell’Hardship, che sono nate in Oriente, frutto della equitativa

concezione del contratto nutrita da quelle civiltà, ha trovato

accoglimento nei Principi Unidroit, pur in assenza di riscontri nei

sistemi occidentali. E ciò è senza dubbio conseguenza della vastità

delle relazioni commerciali fra Oriente e Occidente, cui va

ricollegandosi una commistione di rispettivi principi regolatori del

contratto. Ma c’è ben di più: con la recente riforma tedesca del

diritto delle obbligazioni, entrata in vigore nel 2002 e dettata

all’insegna della Modernisierung des Schuldsrecht, ha fatto la

propria comparsa, al § 313 del BGB, sotto la rubrica «Alterazione

della base negoziale», la norma che, di fronte al mutamento

successivo delle circostanze che erano state poste a fondamento del

contratto, consente al giudice di «imporre ad una delle parti

l’adeguamento del contratto». E così l’Hardship è passato dal diritto

interno della Cina ai Principi Unidroit e da questi al diritto interno

della Germania: i Principi Unidroit, ossia la lex mercatoria, hanno già

cominciato ad operare come veicolo che trasporta nei diritti

nazionali dell’Occidente figure giuridiche nate in Oriente15. Ecco le

rivincite della storia: cent’anni or sono la Cina aveva importato il

diritto tedesco; ora, e sia pure attraverso la lex mercatoria, è la

Germania che importa il diritto cinese.

Quanto all’Italia, l’Hardship può ora dirsi penetrato grazie ad un 15 L’introduzione dell’Hardship ha, come era prevedibile, suscitato perplessità in settori della

dottrina tedesca, che hanno denunciato il pericolo di un eccessivo ridimensionamento del principio pacta sunt servanda, cioè dell’efficacia vincolante del contratto. Sul punto D. MEMMO, Il nuovo modello tedesco della responsabilità per inadempimento delle obbligazioni , in Contratto e impresa, 2004, p. 821.

11

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lodo arbitrale che, in rapporto ad un contratto internazionale, ha

sviluppato il concetto di buona fede contrattuale fino al punto di

procedere, sul rifiuto della parte controinteressata di rinegoziaziare

il contratto a prestazioni resesi squilibrate a seguito della crisi di

mercato delle azioni di new economy, alla determinazione del più

ridotto, ed adeguato ai nuovi valori di mercato, prezzo di

compravendita di un pacchetto azionario16.

5. - L’Istituto sorto per promuovere l’uniformità internazionale della

legislazione si è trovato ad assolvere la funzione, impensabile al

tempo della sua costituzione, di compilatore di un diritto uniforme

spontaneo, qual è la Nuova lex mercatoria. L'effettività di questa

sorta di nuovo Digesto è attestata nel crescente numero di lodi

arbitrali internazionali che, nel risolvere controversie in applicazione

della lex mercatoria, fanno testuale riferimento ai principi Unidroit,

assumendoli come accreditata sua fonte di cognizione17. Si assiste a

questa singolare divaricazione: la lex mercatoria è diritto

consuetudinario: la sua fonte di produzione è l'uso; e tuttavia i

Principi Unidroit ne costituiscono autorevole fonte di cognizione.

A partire dagli anni sessanta i collegi arbitrali internazionali, in

difetto di una opzione delle parti per un dato diritto nazionale,

avevano manifestato la sempre più netta propensione ad applicare la

lex mercatoria18: a volte, la lex mercatoria è stata applicata in

concorso con il diritto nazionale richiesto dalle parti19; più

recentemente, a partire dal 1995, si è fatta applicazione dei Principi

16 Mi riferisco al lodo ALPA-NANNI-SBISÀ del 15 luglio 2004, sul quale rinvio al commento di MARASCO, La rinegoziazione e l’intervento del giudice nella gestione del contratto, in Contratto e impresa, 2005, p. 539.

17 Un lodo recente è quello della Corte arbitrale internazionale della Camera di commercio internazionale, 28 luglio 2000, n. 9797, pubblicato in Rivista del commercio internazionale, 2001, p. 211, con nota di BONELL, che fa riferimento ai Principi Unidroit « quale fonte attendibile del diritto commerciale internazionale ». Ampi riferimenti in MARRELLA, La nuova lex mercatoria, Padova, 2003.

18 Documentazione al riguardo in MARRELLA, Nuova lex mercatoria, cit., p. 319 ss.19 Ancora MARRELLA, cit., p. 349 s.

12

Page 13: 7. F. Galgano, Diritto Dei Contratti

Unidroit, laddove le parti avevano espressamente scelto la lex

mercatoria o, più genericamente, gli usi del commercio

internazionale20; oppure la scelta era stata effettuata dagli arbitri,

facoltizzati dalle norme del regolamento arbitrale (così, in

particolare, i regolamenti della Camera di commercio internazionale

di Parigi, della Camera arbitrale nazionale e internazionale di

Milano, di quella di Roma) che attribuiscono loro la scelta del diritto

più appropriato alla natura della controversia21. Infine, i Principi

Unidroit sono stati applicati in assenza di qualsiasi riferimento delle

parti al diritto applicabile22, o anche, pur in presenza di una opzione

delle parti per un dato diritto nazionale, come fonte di integrazione

di questo23

Un diritto regolatore degli scambi transnazionali non può essere

se non un diritto a produzione diffusa, creato in forza delle

consuetudini, quali emergono dalla giurisprudenza arbitrale

internazionale e da quell’opera di ricognizione e di sistemazione cui

sta attendendo Unidroit. Il Grande Diritto del passato fu (così era

stato definito il BGB tedesco) un «diritto dei professori», o un

«diritto dei giuristi», la cui forza di penetrazione era riposta nella

sua «scientificità»(24). Alla mediazione politica degli interessi in

20 MARRELLA, cit., p. 405 ss.21 Come nel lodo n. 10422 del 2001, pubblicato in Rivista del commercio internazionale, 2004, p.

483, con nota di Peleggi. Sulla premessa che l’art. 17 (1) del Regolamento di arbitrato dispone che, «in assenza di accordo delle parti, il Tribunale arbitrale applica le regole di diritto che ritiene più appropriate nel caso di specie», il lodo individua la soluzione più appropriata nell’«applicare le regole e i principi generali dei contratti internazionali e cioè la cosiddetta lex mercatoria». Quindi, preso atto che «numerose sentenze arbitrali hanno applicato i Principi Unidroit come espressione della lex mercatoria», e citati vari precedenti, il lodo ne fa applicazione al caso di specie «nella misura in cui questi ultimi costituiscono una fedele trasposizione delle regole riconosciute dagli operatori del commercio internazionale come applicabili ai contratti internazionali». Altre citazioni in MARRELLA, cit., p. 441 ss.

22 MARRELLA, cit., p. 410 ss.23 MARRELLA, cit., p. 427 ss.24 In una più ampia prospettiva si colloca B. LEONI, La libertà e la legge, trad. it., Macerata, 1994,

quando scrive che «i Romani e gli Inglesi condividevano l’idea che il diritto è qualcosa da scoprire piuttosto che da decretare e che nessuno è così potente nella società da essere in posizione di identificare la propria volontà con la legge del paese» (p. 13); e aggiunge: «la parola tedesca Rechtsfindung, cioè l’operazione di trovare il diritto, sembra rendere bene l’idea centrale dello juristenrecht e del complesso della attività del giurista dell’Europa continentale» (p. 158).

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gioco, che è propria del diritto legislativamente creato dagli Stati (o

del diritto uniforme creato per convenzioni fra Stati), è qui sostituita,

come al tempo dell'antica lex mercatoria, la mediazione culturale dei

giuristi. È vero sì che la Nuova lex mercatoria è diritto

unilateralmente creato dalla classe imprenditoriale e che essa può,

per ciò stesso, meritare il giudizio di diritto non democratico, bensì

tecnocratico e, perciò, dispotico. Ma è vero anche che essa viene

applicata dopo avere ricevuto il filtro culturale di Unidroit, che la

rimodella secondo i consolidati principi di civiltà giuridica, cui

nessun operatore economico può sottrarsi, nella ricerca del giusto

punto di equilibrio fra gli opposti interessi in gioco, fra le ragioni

dell'impresa e le esigenze di protezione del contraente debole. E

basti riferirsi ad alcune figure proprie della Nuova lex mercatoria,

come la Gross Disparity o come l’Hardship, che realizzano in modo

compiuto quella congruità dello scambio contrattuale, o equità del

contratto, verso la quale i diritti nazionali dell’Occidente tendono in

modo ancora incerto e frammentario.

Il concetto di dispotismo è però richiamato fuori luogo: neppure

nel moderno dibattito sulla legittimazione del potere la procedura

democratica di assunzione delle decisioni viene assunta come la sola

procedura idonea a produrre legittimità. Produce legittimità, per

restare al campo del diritto, anche l’opinio iuris atque necessitatis,

ossia quella forma di consenso diffuso, o di volonté gènèrale, che si

traduce in fonte del diritto senza passare attraverso le procedure

della rappresentanza politica. E’ ben vero che, nella elaborazione del

concetto di Stato di diritto, quale è stata condotta nell’Europa

continentale, si è affermata l’idea che il diritto, per essere tale,

debba promanare da assemblee legislative elette a suffragio

universale; ma è altrettanto vero che l’altra metà del mondo del

diritto, ossia il common law, può celebrare il rule of law pur

ammettendo che il diritto sia, in prevalenza, prodotto da fonti non

14

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legislative, quali la consuetudine e il judge made law. La lex

mercatoria è fonte di diritto – la sola possibile fonte di diritto capace,

nel tempo presente, di produrre diritto transnazionale – non solo

perché è usus, cioè pratica costante dei traffici sul mercato globale,

ma anche perché è usus assistito dalla opinio iuris, ossia perché le

camere arbitrali internazionali lo applicano nella convinzione che

esso debba essere applicato, siccome sistema di vere e proprie

regole giuridiche, proprie della business community, e perché le

stesse leggi e gli stessi giudici degli Stati le riconoscono questa

attitudine regolatrice.

6. – Infine, uno sguardo all’Europa, che il tema generale di questo

convegno sollecita.

Non si pongano sullo stesso piano, come talora è dato di

constatare, i Principi Unidroit e i vari progetti di codice civile

europeo. Questi ultimi sono prospettazioni di un futuro auspicato; i

primi sono, all’opposto, diritto vigente. Lo loro effettività è data –

come si è già segnalato - dai tanti lodi arbitrali che, dovendo

applicare la lex mercatoria, hanno fatto riferimento ai Principi

Unidroit, quale loro riconosciuta fonte di cognizione (fermo restando

che la loro fonte di produzione è la consuetudine).

Un diritto europeo dei contratti, che non siano i contratti con il

consumatore, reso tendenzialmente uniforme in Europa per direttiva

comunitaria, oggi non può dirsi esistente. Lo si può certo auspicare,

come contributo alla creazione di un altrettanto auspicabile mercato

europeo, quale mercato interno delle imprese europee. E’ però un

fatto, allo stato attuale delle cose, che per una impresa italiana

vendere in Francia è ancora vendere all’estero, non diversamente

che vendere in Cina; come è un fatto che un contratto fra una

impresa italiana e una impresa francese non è sottoposto ad un

diritto diverso dal diritto destinato a regolare un contratto fra una

15

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impresa italiana e una impresa cinese. Nell’uno o nell’altro caso, se

si vuole fare capo ad un diritto transnazionale uniforme, si deve fare

pur sempre capo alla lex mercatoria: non ad un diritto europeo dei

contratti, che oggi come oggi ancora non esiste, ma ad un diritto

regolatore dei rapporti transnazionali, che non fa differenza fra

rapporti endoeuropei e rapporti extra-europei, essendo

semplicemente il diritto regolatore dei rapporti contrattuali entro

l’odierna società globale. Fare del mercato europeo il mercato

interno delle imprese europee è un obiettivo che si persegue da

quasi cinquant’anni; non basta, per realizzarlo, il superamento delle

barriere giuridiche; permangono, e sono sotto gli occhi di tutti,

barriere politiche, sociali, economiche.

Né è detto che la neoilluministica idea di un codice civile per

l’Europa – neoilluministica o, se si preferisce, neoromantica – sia il

solo strumento di edificazione dell’unità giuridica europea. Un altro

strumento sta oggi facendo notevoli passi avanti, ed alludo alla

competizione fra i diversi sistemi, ossia allo shopping endoeuropeo

del diritto, avallato da molteplici ben note decisioni della Corte di

giustizia25. Quando sarà certo che due italiani potranno regolare i

loro interni rapporti scegliendo, anziché il diritto nazionale, quello

francese, senza incontrare ostacolo nelle norme imperative del

diritto interno, allora saremo più vicini all’unità europea di quanto

non si possa esserlo con l’esperanto giuridico di un codice civile

comunitario, formato con la tecnica del mosaico fra i vari codici

nazionali. Il modello della competizione, anziché della convergenza,

dei sistemi giuridici ha dato buoni frutti negli Stati Uniti, e ben potrà

darli anche in Europa.

25 Mi riferisco alle sentenze 9 marzo 1999, causa C212/97; 5 novembre 2002, causa C208/00; 30 settembre 2003, causa C167/01.

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