6spazio_architettura enzo paci e carlo sini

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"La critica condivisa da Paci e Sini alla concezione scientifico-matematica di spazio e tempo che sorregge la concezione tradizionale di storia e la concezione razionalistica dell’architettura - nota Laura Gioeni - si sostanzia dell’appello al mondo della vita, alla spazialità e temporalità della vita vissuta, della durata e della relazione". Nell'indagare il rapporto tra memoria e progetto tutto ciò ha un ruolo essenziale, così come l'apertura d'orizzonte offerto dalla genealogia e dalla sua costitutiva capacità di farsi "carico di quella circolarità delle estasi temporali per cui il passato necessita del futuro per acquistare il suo senso compiuto". Dedichiamo queste riflessioni alla rilettura dei contributi teoretici di Enzo Paci e Carlo Sini sul progetto di architettura. Entrambi i filosofi indicano una via etica al progetto che accoglie, a partire da una serrata critica al logicismo – il primo – e allo storicismo – il secondo – il punto di vista fenomenologico ed ermeneutico-pragmatista. Enzo Paci dedica al tema del costruire numerosi articoli pubblicati nella seconda metà degli anni Cinquanta in “La Casa”, “Casabella” e “Rivista di Estetica”. In essi l’autore intende dare una compiuta risposta alla constatata crisi dell’architettura nel secondo dopoguerra: una crisi 17 ottobre 2009 Riflessioni per un’etica del progetto: la doppia metamorfosi della storia e della vita di Laura Gioeni Riflessioni per un’etica del progetto: la doppia metamorfosi della... http://www.spazioarchitettura.ch/teorie/articolo176.aspx 1 di 21 09/10/2012 19:20

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"La critica condivisa da Paci e Sini alla concezione

scientifico-matematica di spazio e tempo che

sorregge la concezione tradizionale di storia e la

concezione razionalistica dell’architettura - nota

Laura Gioeni - si sostanzia dell’appello al mondo

della vita, alla spazialità e temporalità della vita

vissuta, della durata e della relazione".

Nell'indagare il rapporto tra memoria e progetto

tutto ciò ha un ruolo essenziale, così come

l'apertura d'orizzonte offerto dalla genealogia e

dalla sua costitutiva capacità di farsi "carico di

quella circolarità delle estasi temporali per cui il

passato necessita del futuro per acquistare il suo

senso compiuto".

Dedichiamo queste riflessioni alla rilettura dei

contributi teoretici di Enzo Paci e Carlo Sini sulprogetto di architettura. Entrambi i filosofi indicano

una via etica al progetto che accoglie, a partire dauna serrata critica al logicismo – il primo – e allo

storicismo – il secondo – il punto di vistafenomenologico ed ermeneutico-pragmatista.

Enzo Paci dedica al tema del costruire numerosi

articoli pubblicati nella seconda metà degli anni

Cinquanta in “La Casa”, “Casabella” e “Rivista diEstetica”. In essi l’autore intende dare una

compiuta risposta alla constatata crisidell’architettura nel secondo dopoguerra: una crisi

17 ottobre 2009Riflessioni per un’etica del progetto: la doppia

metamorfosi della storia e della vita

di Laura Gioeni

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da addebitare, a suo giudizio, ad una troppo rigidae dogmatica interpretazione del razionalismo del

Movimento Moderno che, saldandosi all’istanzatecnicista del processo di industrializzazione

edilizia in atto, ha finito per produrre ildeclassamento dell’architettura da Arte ad un

“insieme coerente e strumentale di operazionitecniche”1.

Sulla scorta di un’attenta lettura di alcuni capisaldi

della letteratura architettonica, da Argan aGiedion, Paci stabilisce una corrispondenza tra

indirizzi di ricerca architettonici e filosofici: assimilail funzionalismo del primo Gropius, così come il

neoplasticismo del gruppo di “De Stijl”, ad unidealismo neoplatonico di stampo astorico;

istituisce un parallelo tra l’assunzione dell’Existenz-

Minimum, come unità di misura e costruzione dellospazio di vita, e l’individuazione di entità atomiche

non relazionate che sta a fondamento dellericerche logiche intraprese dai Principia di Russell,

dal Tractatus di Wittgestein, dalla Costruzionelogica del mondo di Carnap. Il rigore assolutista

del razionalismo è interpretato come un’istanza diriduzione dell’individuo a mere costanti astratte e

puri moduli matematici: “la tentazione di

identificare senz’altro una nuova forma d’arte conuna nuova ricerca tecnica ed intellettualistica è

legata proprio al funzionalismo di Gropius. È legatacioè al tentativo di dissoluzione dell’individuo in

forme matematiche invariabili che rispondono afunzioni invariabili”2.

L’incontro tra Gropius e il movimento di “De Stijl”

nella Bauhaus può avvenire dunque sulla base diuna tendenza comune verso la ricerca di dati

atomici dimensionali e formali irrelati, in unadirezione che Paci definisce “antindividualistica,

antinaturalistica ed antistorica”: “la direzione versouna forma atemporale (…) ed astorica è evidente:

si cercano forme invariabili ed elementari”3 cherisolvano l’uomo e la stessa natura nella misura e

nello stile come opposizione all’arbitrario e

all’individuale. Ma il tentativo di fondare unacostruzione logico-formale dell’architettura

produce una irriducibile divaricazione tra l’uomo ela natura: “se la natura è processo Gropius si

preoccupa di relazioni che permangono fisse ecostanti”, di “fissare il movimento in una

rappresentazione statica «irriducibile alla storicità

della natura»”4.Contemporaneamente, i trionfi della scienza e della

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tecnica sembrano minacciare la libertà dellacreazione artistica, conducendo ad un dualismo tra

arte e natura che pone l’uomo di fronte al dilemmaesistenziale: “il dualismo tra tecnica e arte si

presenta nella misura nella quale la tecnica sembra«natura» e «scienza»: diventa così un dualismo tra

arte e natura, tra spirito e materia, tra corpo eanima”5. Traspare qui tutto il côté esistenzialista

della riflessione filosofica di Paci. A fronte della

rottura dell’unità umanistica tra esperienza eragione, dell’incrinatura della dinamica sintesi tra

natura e pensiero, l’uomo cade in una condizionedi angoscia esistenziale: “non solo l’architetto e

non solo l’artista, ma l’uomo stesso, in quantouomo, si trova a disagio di fronte

all’interpretazione condizionante e deterministica

della tecnica industriale (…). È troppo limitativo fardipendere direttamente la cultura moderna e

l’architettura moderna dall’avvento della tecnica:ciò che conta sembra piuttosto il disagio,

l’angoscia, la crisi”6. La soluzione prospettata da Paci per uscire da

quella che potremmo definire, con la terminologiadi Jaspers, una situazione limite, è quella di

rinsaldare il legame tra uomo e natura attraverso

l’assunzione di una nozione processuale di naturache renda conto sia della storicità ad essa

intrinseca, sia della considerazione della tecnica, inquanto cultura, come elemento della relazione

stessa tra uomo e natura. Ai sostenitori del piùrigido logicismo razionalista occorre dunque

rispondere che “in realtà un dato atomico assoluto

non esiste: ogni elemento è già una relazione. (…)In filosofia, come in architettura, un elemento

base, sempre uguale a se stesso (e nel quale nonsia già tutta la storia e la realtà tecnica che lo ha

realizzato, nonché la potenziale spinta della storiaal futuro di nuove relazioni) non esiste: ogni dato è

già relazionale”7.E l’architetto che agli occhi di Paci sembra bene

interpretare questo nuovo orientamento è Frank

Lloyd Wright, il cui organicismo rappresenta lamaterializzazione in campo architettonico della

sintesi operata dalla stessa riflessione filosofica diPaci tra la fenomenologia di Husserl e il

relazionismo organico di Whitehead. Certo a Pacinon sfugge la citazione che lo stesso Wright fa

nella sua autobiografia di Eraclito come colui che

identifica nel mutamento il principio dell’ordinenaturale, il cui carattere processuale richiede una

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risposta flessibile: “la permanenza non è rigida macome la natura è flessibile (…). Le forme flessibili,

variabili, aperte, si costituiscono per permanere,ma per permanere devono essere, appunto,

flessibili, come è flessibile la vita organica”8. Ma,andando oltre, Paci accosta direttamente il

pensiero di Wright a quello di Whiteheadriscontrandone le fortissime analogie: “Whitehead,

come Wright, è in continua lotta contro il pericolo

della feticizzazione tecnicista, perché Whiteheadcome Wright, non vuol negare la tecnica, ma

ricondurla alla natura vissuta, all’esperienzaprofonda del mondo umano”9. Wright rappresenta

dunque “il più autentico architetto della vita, delmondo della vita”, condividendo con Whitehead un

medesimo concetto di natura e offrendo nella sua

architettura “una concreta mediazione traesperienza e ragione, tra natura e forma” e

l’incarnazione della razionalità nella corporeità, nelcorpo vivente, nel Leib di Husserl, tanto da poter

affermare che tutta “l’opera di Wright è vita che siinterpreta come architettura” 10.

Dunque la via d’uscita dalla crisi posta daltecnicismo logico e dal tecnicismo industriale,

valida sia per la filosofia come in generale per la

cultura contemporanea, è “la via indicata daambedue verso il processo naturale e storico”11. Il

superamento della situazione limite avviene, sulpiano dell’architettura non meno che su quello

della filosofia, attraverso il ritorno alla natura e allastoria intese come un processo concrescente ed

organico: “la natura non deve essere negata ma

continuata nell’uomo nel suo lavoro e nella storia,continuata in un processo di forme possibili che si

aprono a nuove e più organiche soluzioni. (…) Larelazione non è così soltanto la relazione

antinaturalistica e astorica della matematica e nonè nemmeno soltanto la identità astratta dello stile

(…). È il farsi di rapporti che nascono dalla nostraesistenza temporale, di stili sempre superabili, di

forme che devono comprendere organicamente in

sé il passato mentre si aprono all’avvenire”12.Paci definisce la concezione di Whitehead

“relazionistica” ed “organicistica” in opposizione aduna visione meccanicistica dell’universo: “l’intera

natura dell’universo è processualità nello spazio enel tempo”13. La natura dunque è storica e,

d’altro canto, la storia ha carattere organico: “nel

processo della natura ogni realtà organica è inrelazione con tutte le altre cose, così come ogni

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persona, nella storia, è in relazione con tutte lealtre persone”14.

Nella visione di Whitehead, riflessa nell’architetturadi Wright, Paci rinviene insomma due elementi tra

loro intimamente correlati che rivestono un ruolodi grande interesse nell’ottica di una critica

architettonica: in primo luogo il richiamo allatemporalità della durata e alla spazialità

dell’esperienza vissuta – la Lebenswelt – contro la

temporalità e spazialità astratta e puntualeprodotta dalla cultura tecnico scientifica; in

secondo luogo il delinearsi di un rapporto dinamicotra presente, futuro e passato, vale a dire, in

sostanza, tra memoria e progetto.Infatti Whitehead, che pure aveva svolto con

Russell nei Principia mathematica un programma

di stampo rigorosamente logicista, non trascura diconsiderare che la costruzione logica, razionale e

scientifica dell’universo non è in grado di renderconto della complessità del mondo della vita:

“Whitehead si chiederà se la ragione troppoformalmente perfetta della logica e, in genere della

costruzione scientifica, non imponga a se stessa eall’esperienza un ordine senza vita che si lascia

sfuggire, quindi, proprio la complessità organica

del mondo, il «Field of Life»”15.Bisogna dunque ammettere che il concetto di

spazio geometrico rappresenta solo un’astrazioneseparata dall’esistenza spaziale e dalla sua

temporalità, e, parallelamente occorre riconoscereil limite di una concezione del tempo come

costituito da una successione di istanti temporali

atomici ed irrelati: “i punti, come enti semplici eisolati sono respinti. Al loro posto troviamo dei

centri di interrelazione spaziale. Lo spazio non èpiù assoluto, ma relativo alle situazioni spaziali

degli enti complessi. (...) Il tempo è qui durataperché solo una durata può essere concretamente

percepita. (...) Il termine durata richiama la criticaalle separazioni irrelazionate e implica

potenzialmente la metafisica dell’organicismo”16.

Paci rileva anche come il richiamo al “mondo dellavita” sia solo uno degli elementi di fortissima

analogia tra Whitehead e Husserl, che permette diaccostare il relazionismo del primo alla

fenomenologia del secondo: “l’ontologia dellaLebenswelt si costituisce nel soggetto, nella

«presenza vivente» del soggetto il quale non è

soltanto coscienza, ma è anche corpo «proprio» eunità di corpo e anima. Come tale è Erlebnis di

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percezioni. È un sentire: è vita che esperisce ilmondo. (...) Per Whitehead, come per Husserl, si

tratta sempre di ricondurre le astrazioni allaLebenswelt, o come dice Whitehead al «campo

della vita»”17. Così come occorre ricondurre ilconcetto di tempo non al tempo astratto della

fisica, ma al tempo esperito, o, come dicevaHusserl, un «tempo allargato», che diventa

fondamento di una filosofia della correlazione

universale che vede nella storia un processointenzionale e teleologico: “la filosofia della

correlazione universale, sia in Husserl che inWhitehead, si basa sulla filosofia del tempo, sulle

estasi del tempo, sulla teleologia storica di un’ideainfinita verso la quale l’umanità si muove”18.

E per chiarire il senso della concezione organica

del tempo e della storia di Whitehead, Paci cita ecommenta un brano tratto dalle sue Note

autobiografiche: “egli parla delle rovinearcheologiche, del loro interesse e della loro

bellezza (…) «la cattedrale di Canterbury, con ilsuo splendore e le sue memorie era a sedici miglia.

Nel momento stesso nel quale scrivo posso riaverela visione precisa del luogo nel quale cadde Becket

nel 1170 e richiamare alla mia memoria la

ricostruzione del fatto così come se lo immaginò lamia giovane fantasia». Per Whitehead anche il

rapporto con le fonti storiche, con i documenti, conla realtà fisica delle rovine e dei ruderi,

presuppone un intimo legame fra gli uomini, lecose, la natura. Senza la relazione del sentire,

senza, direbbe Husserl, il sentire

intermonadologico, non solo tra gli eventicontemporanei, ma anche tra il presente e il

passato, sarebbe impossibile il processo dellanatura e della storia”19. La storia insomma è, per

dirla con Nietzsche, la storia effettiva e non quellacostruita secondo categorie astratte e modelli

teorici staccati dal modo in cui gli eventi sonoeffettivamente vissuti, esperiti, sentiti.

Viene a delinearsi quindi una filosofia della natura

e della storia che si caratterizza come “filosofiadella permanenza nella metamorfosi”20: “non

esiste un oggetto matematico, o fisico, o chimico,o psicologico. Esiste soltanto l’oggetto concreto

che è matematico, fisico, ecc., e ancora di più, inquanto è in processo, ed è quindi, oltre che una

realtà, anche una possibilità, un’emergenza, un

progetto”21.La conseguenza di tale concezione è la implicita

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apertura della storia al progetto. La storia è ilprocesso dialettico in atto tra permanenza ed

emergenza, tra l’evento in atto, il suo provenire ele forme di possibilità che lo rinnovano: “il

processo della natura, della vita e della storia, èper la filosofia organica una continua dialettica tra

il possibile e il reale, tra ciò che permane e ciò cheemerge, tra condizionamento del passato e le vie

nuove dell’avvenire”22. Principio che crediamo di

poter schematizzare in altri termini affermando chela memoria, in quanto presentificazione del

passato, è già progetto del futuro.Ecco dunque che, nell’interpretazione data della

filosofia di Whitehead, Paci enuncia e chiarifica ilnucleo della sua proposta di metodo per uscire

dalle secche della crisi dell’architettura. Il

superamento del feticismo razionalista e tecnicistadeve avvenire attraverso il richiamo alla

concretezza spazio-temporale del mondo della vitae il riconoscimento del carattere organico e

processuale della storia e della natura riflesso nelladialettica tra permanenza ed emergenza: “uno

stile valido nasce da un nuovo incontro conl’esperienza, con la Lebenswelt: senza questo

rinnovato incontro sarà sempre e soltanto qualcosa

di artificiale. (...) Se funzionalismo ed organicismovengono sentiti come esauriti e non più

soddisfacenti, la nuova architettura non potrànascere da due stili esauriti, ma solo da un nuovo

incontro con l’esperienza naturale e storica”23.Natura e storia, nel loro carattere dinamico di

processo concrescente e irreversibile, sono i dati di

partenza, gli elementi base, mai identici a sestessi, sui quali si costruisce l’architettura: “la base

prima sulla quale si costruisce è natura e storia,natura e storia che sono forme in processo”24.

In questo contesto Paci tocca uno dei temi cardinedella riflessione sulla conservazione

dell’architettura: l’accettazione del carattere dideperibilità e peribilità dei monumenti diviene

accettazione delle mutazioni che il tempo apporta

alle loro forme e nello stesso temporiconoscimento, accanto alle esigenze della cura,

della legittimità del progetto del nuovo. Sembrainfatti risuonare nelle sue parole proprio l’eco della

dialettica tra conservazione e progetto: “restasempre vero che lo spettatore e l’edificio sono in

un tempo naturale e storico, così come è vero che

l’edificio si costruisce nel tempo, permane e mutanel tempo e, infine, per quanto la permanenza sia

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lunga, rovina nel tempo. (…) Qui la prospettivafilosofica idealistica è caduta: bisogna porsi sul

piano di uno storicismo coerente che non accettasolo il processo delle idee ma il processo

spaziotemporale delle forme, e, ancora,aggiungiamo, il tempo come direzione, consumo,

bisogno che esige progetti di lavoro e lavoro,invenzione di forme nuove, di schemi e modelli

nuovi che potranno diventare o non diventare

arte”25.Ma il rapporto con la processualità spaziotemporale

del mondo della vita contraddistingue non solo laconservazione ma anche il progetto

contemporaneo tout court. Ed infatti, se l’“esserein un processo storico ed organico significa creare

nuove forme, progettare nuove relazioni, nuove

possibili armonie”26, reciprocamente Paci puòaffermare che “ogni costruzione è insieme risposta

e proposta, attuazione reale e progetto perl’avvenire, presente condizionato dal passato e

forma del futuro, o vita del futuro possibile nelpresente, proprio come vuole Wright”27.

Il compito dell’architettura moderna è dunquequello di far rivivere il passato in modo nuovo, di

far rinascere la tradizione secondo forme inedite,

attraverso l’assunzione, quale esito dellasospensione fenomenologica dei pregiudizi

categoriali, di un ideale organico che sostituiscaalle astrazioni e ai formalismi della ragione un

esercizio di sentire e vivere lo spazio e il tempocome spazio vissuto e tempo vissuto: “la

modernità non risulterà più come un’antitesi

statica tra i diversi elementi che la costituiscono, etanto meno come una sterile opposizione tra un

intellettualistico concetto della tradizione e unastratto concetto dell’avanguardia. L’antitesi non è

più tra una tradizione artificialmente ricostruita e iltribunale della modernità, così come non è più

un’antitesi tra una modernità puramenteprogrammatica e una tradizione di fatto. La

possibilità di una relazione positiva tra continuità e

rinnovamento è il compito che l’architetturaitaliana può perseguire contro ogni artificiale

separatismo e ogni dogmatizzazione degli elementicostitutivi della sintesi dialettica”28.

Contro ogni revival, “mistificazione profonda di ciòche si deve intendere come tradizione” in quanto

“mancata esperienza del presente e incapacità ad

aprirsi al futuro”, e contro ogni pretesa di poterattuare un ritorno al passato, la vera modernità

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deve fare i conti col problema della tradizione,intesa come dialettica tra continuità e

rinnovamento, permanenza ed emergenza: “ilproblema dell’architettura moderna è in gran parte

il problema della vera vitalità della tradizione e ilproblema della tradizione è il vero problema che si

deve aprire all’architettura moderna. Il passatorinasce e rivive nel presente per il futuro ed è

questo il ritmo della dialettica storica nella quale è

impossibile ogni reversibilità temporale e ogniautomatica ripetizione”29.

Paci insiste in più punti nei suoi scritti su questotema, sottolineando come la vera sfida che la

modernità deve raccogliere per superare la crisi –una crisi che è della società intera e non solo

dell’architettura – è quella di “far rivivere la vita

dei morti nella nostra”, “in un incontro che è unarelazione viva e fattiva” tra antico e nuovo, tra

passato, presente e futuro: “bisogna insistere cheessendo impossibile un effettivo ritorno l’unico

modo di far vivere la tradizione è quello di negarlacome conclusa, di accettare la crisi, di prospettare

un nuovo orizzonte. È nel nuovo orizzonte che ilpassato rivive, diventa presente per aprirsi di

nuovo verso il futuro. Il vero moderno è, alla fine,

ciò che in nuove forme rende vivo e presente in sél’antico e il vero revival è il nuovo orizzonte che si

apre con la modernità”30.L’architetto moderno deve dunque essere in grado

di esercitare quell’epoché fenomenologica, quellasospensione del giudizio che permette di entrare in

contatto con il flusso vivente dell’esperienza, con

la Lebenswelt, con l’esperienza viva, che non è maistatica ma fluida, temporale, dinamica:

“l’architetto che è disposto a «sospendere ilgiudizio», a sperimentare ed a compiere la difficile

operazione dell’epoché non solo scopre il sensoautentico delle proprie percezioni e della natura,

ma anche un senso autentico della vita sociale edella tradizione storica. (...) Se dopo la liberazione

da ogni pregiudizio, l’architetto risentirà la

tradizione viva e operante nella situazione storicadi cui fa esperienza, non farà sue le forme del

passato in nome di un meccanico, e del restoimpossibile, ritorno, ma scoprirà un modo nuovo di

far sue le forme della tradizione: non si tratterà diritornare ad un’esperienza morta ma di ridare una

voce ed una forma ai morti che in noi diventano

vivi, e vivi diventano se ci parlano in modo nuovoe ci suggeriscono nuove forme”31.

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Se dunque, da un lato, il progetto si sostanziadella memoria del passato, per cui “ogni passo in

avanti è la riconquista di un passato; ogni slancioverso il futuro è un temps retrouvé”32,

simmetricamente la memoria del passato non è undato fisso ed oggettivo, un’identità costante e

permanente perché muta nel momento stesso delsuo presentificarsi nel progetto, nell’atto stesso del

“riprendersi del passato e [del] suo radicale

rinnovamento nel presente per il futuro”33.Dunque, il senso autentico del progetto è proprio

la metamorfosi nella permanenza, quellaMutuomorphomutation che, come ci chiarisce Paci,

è la chiave di lettura del Finnegans Wake di Joyce:“nel ri-corso può essere spezzata la tradizione può

essere dato alla storia un nuovo senso nell’attuarsi

di una nuova realtà. È questa la chiave diFinnegans Wake e la chiave della storia dell’uomo.

Una chiave che spezza il circolo proprio in quantolo sperimenta e se lo assume (...) la chiave per

ripresentificare il passato nel presente secondo unsenso nuovo del futuro”34.

Anche per Carlo Sini, che di Paci è allievo ederede, la riflessione sul progetto deve essere

riconnessa ad una critica alla concezione

tradizionale della spaziotemporalità e della storia:in sostanza, nella prospettiva ermeneutico-

pragmatista-genealogica di Sini, “pensare ilprogetto” non può essere disgiunto dal “pensare la

storia”.Risalendo alle origini del concetto di storia Sini fa

innanzi tutto rilevare la stretta parentela che la

famiglia dei termini greci historikos, historeo ehistor mantiene con il sapere scientifico, la scienza

delle idee, l’episteme. Le radici etimologiche deltermine “storia” dimostrano la sua contiguità con

la scienza: “il fatto che nel momento della nascitadell’episteme risuoni la parola historia in organico

collegamento con la prima, non può riguardarsicome un casuale accostamento senza significato e

senza conseguenze”35. Ed infatti historia ed

episteme non rappresentano altro che due facce diquella stessa medaglia coniata dal gesto metafisico

della dialettica platonica e, con esso, rese possibilidall’adozione e diffusione della pratica alfabetica. È

solo nel momento in cui le modalità della scritturaalfabetica, con la sua linearità, oggettività,

predominanza visiva, distacco ed astrazione dal

mondo delle cose, vengono a sostituirsi allemodalità della partecipazione empatica, sinestetica

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e passionale della tradizione orale, che è possibileistituire la verità oggettiva dell’intellegibile puro e il

suo corrispondente soggetto, “colui che sa”, coluiche vede, l’histor, il sapiente filosofo.

Storia e scienza si configurano dunque sin dallaloro origine come scritture della verità: “anzitutto

la prospettiva storica è mossa dalla volontà diverità, (...) non solo una verità oggettiva ma una

verità esatta in tutti i particolari, (...) un resoconto

controllabile «per filo e per segno», (...) e perquesto esigiamo da colui che osserva, racconta,

analizza, una rigorosa imparzialità. Questi trerequisiti però, sono il fondamento stesso del

pensare metafisico. Volontà di verità, oggettivitàed esattezza, imparzialità, delimitano, nel bene e

nel male, la ratio metafisica e la sua storia”36. Il

modello della scrittura storiografica e il modellodella scrittura fisico matematica, ricondotti alla

loro comune origine, si rivelano quindi, al di là diogni apparente contrapposizione tra sapere

umanistico e sapere scientifico, come “metodologiefondamentali e congruenti” la cui pervasività ha tra

l’altro condotto all’esaurirsi della filosofia come“sapere vivente”, per cui “per noi comprendere

significa trascrivere storicamente e

storiograficamente”37.Obbiettivo della storiografia è insomma la

“trascrizione e la ricontestualizzazione entro lascrittura alfabetica (...) di tutte le pratiche umane.

Lo sguardo storiografico (...) ha la pretesa ditradurre entro i propri schemi esplicativi il senso di

tutto ciò che l’uomo ha fatto e fa”38. La

storiografia pertanto si connota come quelpeculiare sguardo verso il passato in cui il passato,

reciso dalle sue radici nel mondo vissuto e dallasua continuità con il presente, viene proiettato e

distanziato in una realtà oggettiva e neutrale, inuna supposta verità in sé e per sé: “il passato è

tutto ciò che l’uomo fa, ha vissuto, ha detto, hasofferto, ha iniziato, e naturalmente continua a

vivere e iniziare. Considerare tutto ciò

«storicamente» e quindi trascriverlostoriograficamente, significa però fissarlo in una

dimensione totalmente altra dal vissuto e dallacontinuità col presente”39.

E così facendo la storiografia, nella sua scritturaobbiettivata e obbiettivante, invece di studiare il

passato piuttosto lo crea: “voglio dire che lo

sguardo storiografico, nella sua pretesa di dire laverità in sé del passato, non fa affatto ciò che

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crede ideologicamente di fare: cogliere il passatocosì come si verificò cioè coglierlo nella sua

supposta verità in sé e per sé; ciò che fa è inveceprodurre il passato in quanto «passato», cioè

distanziato e proiettato in una sua posticcia realtàpassata, che non ha più col presente alcuna

relazione vivente. Il passato è così «neutralizzato»,in quanto correlato allo sguardo «neutrale», cioè

indifferente dello storico”40. All’oggettivazione

della storia in una realtà in sé corrisponde infattil’istituzione di un peculiare soggetto, un

“Interpretante cosmico”, in grado di esercitare unosguardo panoramico sul passato: “l’evento del

passato (a partire dai segni del presente) vienecosì collocato in un nesso di relazioni che si

suppone visto o visibile, osservato e osservabile, in

modo pan-oramico: c’è un occhio ideale, collocatoin un ideale punto di osservazione non coinvolto

dal movimento storico e interpretativo che «vedetutto»”41. Nella con-costituzione della storia come

“verità pubblica” e del suo corrispondenteinterpretante possiamo dunque riconoscere il

prodotto del logos dell’Occidente, della ragionefilosofica e scientifica: “il passato, quel passato che

il senso comune, e anche la scienza, considera

come una realtà in sé avvenuta una volta pertutte, è un concetto «pubblico» e una verità

«pubblica». In quanto tale esso è figlio della ratiodell’Occidente, cioè della filosofia. (...) È questo

logos (...) l’evento capitale che ha reso possibileuno sguardo volto a istituire l’oggettività in sé,

naturale e storica. È in questo modo che l’occhio

del sapere ha preso il posto dell’occhio degli Dei(...), l’ideale figura di una grande coscienza, o di

un Interpretante finale e complessivo, al cospettodel quale da sempre si totalizzerebbero tutti gli

eventi del mondo, conservandovi la loro realtà everità «in sé»”42.

Per illustrare questi temi Sini utilizza il rendicontobiografico di un’esperienza vissuta e delle

osservazioni che ne sono scaturite: dal finestrino

del treno, nell’ora del tramonto, lo sguardo cade suun grande capannone in abbandono. Come alla

ricerca di un tempo perduto, l’immaginazione delfilosofo si esercita a figurarsi l’edificio tutto nuovo

nel momento della sua inaugurazione e di rimandola memoria indugia sui ricordi di un’infanzia felice

quando tutto accadeva altrimenti che ora: “mi

venne allora un’idea assurda (...) se per miracolotutto potesse tornare indietro di quarant’anni – il

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capannone, la campagna, Bologna, la mammaio...”43. Scosso dal torpore del dolce rimembrare il

filosofo si avvede tuttavia che quanto vagheggianon può evidentemente avverarsi non solo per una

questione di fatto – il tempo non scorre a ritroso –ma neppure in linea di principio: “ora il punto che

qui interessa è proprio questo: che ciò è diprincipio impossibile... A quale luogo tornerebbe

infatti il mondo tornando nel passato? Se tutto

tornasse al 1942... Ma il 1942 è il luogo diun’interpretazione pubblica. Esso in sé non è mai

esistito (non è mai esistita la supposta totalitàdegli eventi che noi riassumiamo nella cifra 1942).

(...) Questi luoghi pubblici non sono «ciò cheesiste» o «ciò che accade»”44.

La storia del capannone come “totalità oggettiva”

di eventi e relazioni non esiste se non nella“finzione pubblica” di un “Interpretante

complessivo immaginato dalla onto-teo-logia”. Ilcapannone accade piuttosto nella dispersione di

una miriade di eventi che “non fanno totalità” mahanno solo “una reciproca distanza”: “non c’è

«insieme» di questi eventi come «storia» in sé delcapannone. Questa storia è il racconto

interpretante condotto in base al significato

pubblico «capannone» e al suo uso sociale: unitàfittizia destinata a sua volta a finire nel nulla, in

quel nulla che sempre ac-cade con gli eventi finitie de-finiti dalla loro distanza e prospettiva

multiversa”45.Nel ribadire la non esistenza del passato come

“verità pubblica” è implicita la stessa critica,

sviluppata da Paci nella prospettiva organicistico-fenomenologica, all’efficacia delle categorie logico-

scientifiche nel render conto della complessità delmondo della vita. Anche Sini, dunque, non

diversamente da Paci, da Whitehead, da Husserl,fa appello al mondo dell’esperienza vissuta: “ciò

che c’è, invece, lo vediamo: è quel bagliore delvetro spezzato che unisce in un lampo il

capannone, il sole al tramonto, la campagna, il

viaggiatore, i suoi ricordi, e li inviaimmediatamente al nulla del quale sono

l’immagine”46.Ugualmente cade sotto la critica della prospettiva

ermeneutica la peculiare concezione del temposottintesa dallo sguardo storiografico. Ciò che

infatti caratterizza la visione storiografica non è

solo il fatto che il passato divenga un “datoindubitabile”, ma anche che esso acquisti un

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carattere cumulativo, venendo a essere costituitodalla totalità di ciò che è accaduto, dalla “somma

meccanica della serie degli eventi materiali nellaforma lineare e successiva del tempo”47. Così

anche il futuro è rappresentato dalla sempliceconseguenza di antecedenti dati che ne

condizionano meccanicisticamente lo sviluppo: “ilfuturo (...): semplice accumulo di quei granelli di

sabbia che sono gli infiniti eventi che accadono.

L’uno dopo l’altro, staccandosi da un impercettibilepresente, fanno mucchio nell’ideale clessidra

cosmica: il mucchio del passato che sempre crescee sta. Ogni futuro, quindi, avrà lo stesso passato,

solo accresciuto via via dagli ultimi granellini checadono sul mucchio, condizionando la caduta dei

granellini successivi”48. L’antidoto alla “malattia

storiografica”, che, come scriveva Nietzsche, vedela storia come “raccolta di effetti in sé”, è per Sini

l’adozione di un punto di vista ermeneutico sultempo, sul quale innestare una prospettiva

genealogica.Sini sviluppa al riguardo un’osservazione

fondamentale, che riprende e chiarifica il sensodella Mutuomorphomutation come chiave per

interpretare il rapporto tra passato e futuro, tra

memoria e progetto. Per l’atteggiamentoermeneutico il passato non è mai un dato definito,

una realtà fissa data dalla sommatoria degli istantiche si succedono, ed il presente – ed il futuro –

non è mai il risultato della semplice somma delpassato. Nella prospettiva ermeneutica anche il

passato cambia: “in un presente ermeneutico i

fenomeni accadono in quanto «interpretati».Questo interpretare apre un nuovo futuro. Ma ogni

futuro, in quanto nuovo, ha anche un nuovopassato. Per l’atteggiamento ermeneutico il

passato è ciò che attende al varco nel futurodell’interpretazione. Il futuro è là dove il passato

(un passato) giunge al suo fine e si rivela comedestino; ma nello stesso tempo il futuro è ciò che

nel porsi e nel proporsi, cambia, interpretando, il

passato”49. Nell’infinita interpretazione dunque ilfenomeno accade contemporaneamente nelle due

direzioni del futuro e del passato: “nello spostarsicontinuo del centro interpretativo sul quale poggia

«copernicamente» («brunianamente») il piedealato del presente, le due dimensioni del futuro e

del passato si modificano insieme: onda circolare

mobile col suo mobile orizzonte”50. “Ondacircolare e mobile” è anche la raffigurazione più

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propria della temporalità che viene a sostituirsiall’idea di un tempo come successione lineare e

irreversibile di istanti. Dopo aver chiarito chel’irreversibilità della successione temporale è una

mera tautologia in quanto nell’esperienza cheabbiamo del tempo non vi è alcuno scorrere né

alcuna direzione, Sini argomenta che la naturapropria di ogni successione, e ancor più di ogni

evento, è solo e sempre un esser dopo come

pro-venire: dati due eventi Ea ed Eb “l’essere di bè un «aver già» a come proprio esser dopo rispetto

ad a”. L’essere di b c’è dunque solo e semprecome pro-venienza da a; il che vale a dire che

“l’essere di b è aver interpretato a come suaprovenienza. Ogni evento è interpretazione della

propria provenienza”51.

Ogni evento è dunque un “aver già interpretato” enel medesimo tempo un “aver da interpretare”,

che costituiscono il recto e il verso dell’accadere

dell’evento.Ciò che Sini intende affermare con queste

argomentazioni è la circolarità delle tre estasitemporali vista nella prospettiva ermeneutica: “il

passato accade nel presente (nell’Eb interpretantela propria provenienza), ma esso esige il futuro per

il suo senso e compimento (…). Letteralmente: non

c’è passato senza futuro; non può accadere ilpassato (l’accaduto) se non accade anche il futuro.

(…) Passato e futuro si confrontano e sitra-ducono; essi operano lo scambio dell’aver già

nell’aver da, della provenienza e delladestinazione”52. Mutuomorphomutation, appunto.

Altrove, in un ottica pragmatista-genealogica e inpiena sintonia con Whitehead e Paci, Sini riprende

questi stessi temi tradotti nei termini di continuità,

differenza ed emergenza. L’evento di b denotal’accadere di una differenza da a, dal passato; ma

in quanto “aver già interpretato” denota lacontinuità con a; ed infine in quanto “aver da

interpretare” denota un’emergenza, un destino,“un’apertura trascendentale” di senso, un

pro-getto. Per le considerazioni precedenti

possiamo dire che non vi è, se non nella finzione diuna “verità pubblica”, una cosa che è il passato.

Piuttosto il passato è sempre incontrato nelladiscontinuità di una differenza e in vista di una

destinazione, di un’emergenza: “è perun’emergenza che qualcosa appare come

continuità” e reciprocamente “l’emergenza sicomprende solo a partire dalla continuità”:

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“l’emergenza mi rimanda alla continuità; lacontinuità fa emergere la differenza e mi rimanda

alla differenza (…). Cioè dovrei ogni volta costruirequesto circolo: l’emergenza gioca nel circolo, mi dà

la continuità, ma la continuità è per la differenza,la differenza è l’emergenza stessa e così via. (…)

Ogni termine è dunque dentro l’altro ed èpensabile solo a partire dall’altro: la continuità è

per la differenza e viceversa; esse compaiono

nell’emergenza, cioè nella decisione dell’inizio; mal’emergenza sta nella continuità come sua

differenza. È nella continuità, che si differenziaattraverso le pratiche, che si crea la condizione

dell’emergenza”53. Dunque la circolarità delle treestasi temporali – passato, presente, futuro – è

tradotta nel circolo infinito della continuità,

emergenza, differenza: “quando dico continuità laposso pensare solo nella e per la differenza;

quando dico differenza la posso pensare solo comeun’emergenza; ma questa emergenza a sua volta

è quella che parla della continuità; nell’emergenzaci incontriamo con la continuità, che rimanda alla

discontinuità, e il circolo continua”54.In queste considerazioni trovano dunque

fondamento e radice comune la costruzione di

un’etica della storia e di un’etica del progetto,entrambe caratterizzate dall’esercizio di un

medesimo atteggiamento per il quale la filosofia,rinunciando a fornire un progetto conoscitivo e la

verità del mondo, torna invece ad essere praticavivente ed exemplum. E l’esempio che la filosofia

deve dare è l’esercizio di abitare consapevolmente

il circolo, la soglia, il limite dell’emergere delladifferenza, recuperando la valenza della sua

origine e il ruolo che Platone attribuì al filosofo“quando disse che era un mimo: cioè colui che

certo tiene discorsi, ma che se non li esibisce nelsuo stesso corpo e nel suo comportamento, allora

è un cattivo filosofo”55.Alla pratica storiografica che, come abbiamo visto,

“mira a produrre l’accaduto, cioè un mosaico

infinitamente perfettibile di eventi in sé e per sésecondo l’idea della totalità completa (…)

panoramicamente contemplati dall’esterno”56,occorre dunque sostituire la prospettiva

genealogica, in quanto sguardo consapevole di nonpoter restituire il passato in sé ma solo a partire

dalla interrogazione del presente. La domanda

verso la storia, infatti, non può che scaturire dalriconoscimento della nostra differenza dal passato,

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il nostro venir dopo, e ugualmente dalla condizionedel nostro trovarci continuità con esso, il nostro

provenire da. In tal senso la genealogia “diventa ilconsapevole problema di come si è soggetti al

passato, soggetti che interrogano il passato percomprendere il presente, e quindi la propria

destinazione futura”57. Il fatto stesso di ripetere ilpassato nell’esercizio della memoria ci pone

dunque in una distanza e in una differenza da

esso. Ma, avverte Sini, dobbiamo renderci contoche è quella stessa ripetizione a produrre il passato

(un passato): “Le cose sono passate solo in quantoripetute (…). Non ci sono delle cose che in loro

stesse permangono (…). Non è che qualcosa di persé si conservi. Permane in quanto viene ripetuto, e

in quanto viene ripetuto viene colto anche nella

sua differenza. Ciò che si ripete permane ecambia”58. Se il passato è perduto per sempre,

esso dunque “è perduto per sempre in quanto èconservato; nella conservazione è perduto; nella

tradizione diventa altro; nella continuità siallontana; nella ripetizione non è più lui”59.

Lungi dal voler ricostruire la verità oggettiva dellastoria, la genealogia è piuttosto “la raccolta

provvisoria di una continuità”60: è l’esercizio

consapevole di una domanda sulla storia che sicaratterizza in sostanza come quell’habitus capace

di porsi sulla soglia, continuamente cangiante, delrimando continuo tra un passato e un presente, tra

un’identità e una memoria, in costante e reciprocatrasformazione.

Ma ciò che contraddistingue ancor di più lo sguardo

genealogico è di essere una domanda nello stessotempo incidente e procedente, cioè è il suo

carattere progettuale. La genealogia è unainterrogazione sulla provenienza che nello stesso

tempo ci destina, è un “aver interpretato” che siapre ad un “aver da interpretare”. La genealogia si

fa infatti carico di quella circolarità delle estasitemporali per cui il passato necessita del futuro per

acquistare il suo senso compiuto: “circolarità che

esige un presente per la differenza e la distanzadal passato e che esige ancor di più un futuro,

perché il presente effettivamente accada nel suotendere e intendere, facendo del passato ciò che

ancora attende al varco nel futuro”61. Il che valead affermare in altri termini il carattere dinamico e

progettuale della memoria: memoria e progetto

sono il medesimo, situati su quello stesso limite inperpetuo movimento tra passato e futuro: “Vivere

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è vivere queste due relazioni: della continuitàprogettata e progettantesi e del punto che si apre

e stabilisce una decisione tra questi due orizzonti.Questi due orizzonti non disegnano due realtà in

sé, il passato e il futuro, la provenienza e ladestinazione, ma disegnano un limite: quel punto

di incontro in quanto limite in cui accade il passatoe il futuro, la provenienza e la destinazione, e

questo gioco si riproduce in ogni inizio”62.

Il progetto è dunque quel limite mobile chedistanzia ma nello stesso tempo unifica come due

metà symballiche la provenienza e la destinazione,la fatticità dell’esser gettati e le possibilità del

divenire: “l’evento dell’apertura di sensopresuppone già l’apertura della soglia, la

frequentazione di una soglia, e in questo senso è

un nuovo senso di antichi sensi (…) Quel punto dinulla (…) per cui la soglia s’instaura come luogo da

attraversare, cioè come pro-getto, come essergettati oltre la soglia”63.

A fronte della crisi di un sapere del progetto,diretta conseguenza di quella “proliferazione

impazzita di pratiche specialistico progettanti”64

che costituiscono l’esito ultimo della trascrizione

totale di tutti i saperi nella scrittura alfabetica e

perciò sottratti al commercio empatico col mondo,al mondo della vita, Sini ritiene che il contributo

che la filosofia può dare alla riflessione sulprogetto di architettura sia in sostanza proporre

un’etica del progetto nella quale il filosofo deveesibire l’esempio di un nuovo soggetto in grado di

abitare consapevolmente la soglia, trattenersi sul

limite, abitare l’an-archia, nel senso di “esseresoggetti all’evento, quell’evento che siamo e siamo

stati noi, proprio questo diventa il compito eticodella progettazione del soggetto, proprio questo

diventa ciò che è aperto da un’esperienza dipensiero”65.

Possiamo ora trarre le conseguenze ultime diqueste nostre riletture.

La critica condivisa da Paci e Sini alla concezione

scientifico-matematica di spazio e tempo, chesorregge la concezione tradizionale di storia e la

concezione razionalistica dell’architettura, sisostanzia dell’appello al mondo della vita, alla

spazialità e temporalità della vita vissuta, delladurata e della relazione: la cattedrale di cui ci

parla Whitehead e il capannone descritto da Sini

non sono spazi fisici in sé con un passato in sé, maluoghi di relazione e di memoria, la cui identità non

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è il risultato dell’accumulo della totalità degliaccadimenti della loro storia. La loro identità non è

stabile ma muta in funzione della trasformazionedel loro passato ad opera di una memoria che è

già un “in vista di”, è già un progetto; la loroidentità è un processo, una “permanenza

flessibile”, è “l’onda circolare e mobile” del tenderee dell’intendere, dell’aver interpretato in funzione

di un aver da interpretare; è l’emergenza di una

differenza nella continuità; la loro identità è latraccia di un limite in oscillazione tra le due metà

symballiche del passato e del futuro.Ecco che allora, in un senso più generale,

intravediamo in quella soglia in perpetuomovimento il luogo proprio del progetto, l’apertura

della distanza, il punto di nulla sul quale la filosofia

ci invita a sostare: il luogo dellamutuomorphomutation.

note

1 Enzo Paci, Fenomenologia e architetturacontemporanea, in “La Casa”, 1958, ripubblicato in

Relazioni e significati, vol. III, Critica e dialettica,Lampugnani Nigri editore, Milano, 1966, p.175.

2 Enzo Paci, Sull’architettura contemporanea, in“Rivista di Estetica”, n.1, 1956, ripubblicato in

Relazioni e significati, vol. III, op.cit., p.135.

3 Ibidem, p.137.4 Ibidem, p.133. La citazione di cui si avvale Paci è

tratta da Giulio Carlo Argan, Walter Gropius e laBauhaus, Einaudi, Torino, 1951, p.86.

5 Enzo Paci, Fenomenologia e architetturacontemporanea, op.cit., p.176.

6 Ibidem, pp.176, 177.7 Enzo Paci, Sull’architettura contemporanea,

op.cit., p.140.

8 Ibidem, p.141.9 Enzo Paci, Wright e lo spazio vissuto, in

“Casabella”, n.209, 1956, ripubblicato in Relazionie significati, vol. III, Critica e dialettica, op.cit.,

p.203.10 Cfr. ibidem, pp.199-201.

11 Ibidem, p.143.

12 Ibidem, p.140.13 Enzo Paci, Il significato di Whitehead, in “Aut

Aut”, 1952, ripubblicato in Relazioni e significati,vol. I, Filosofia e fenomenologia della cultura,

Lampugnani Nigri editore, Milano, 1966, p.31.14 Ibidem, p.38.

15 Enzo Paci, Empirismo e relazionismo inWhitehead, in “Aut Aut”, 1953, ripubblicato in

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Relazioni e significati, vol. I, Filosofia efenomenologia della cultura, op.cit, p.63.

16 Ibidem, pp.66,73.17 Enzo Paci, Whitehead e Husserl, in “Revue

Internationale de philosophie”, 1961, ripubblicatoin Relazioni e significati, vol. I, Filosofia e

fenomenologia della cultura, op.cit., pp.82,83.18 Ibidem, p.93.

19 Enzo Paci, Il significato di Whitehead, op.cit.,

p.38.20 Enzo Paci, Logica e filosofia in Whitehead, in

“Rivista di Filosofia”, dicembre 1953, ripubblicatoin Relazioni e significati, vol. I, Filosofia e

fenomenologia della cultura, op.cit., p.50.21 Enzo Paci, Logica e filosofia in Whitehead,

op.cit., p.60.

22 Enzo Paci, Il significato di Whitehead, op.cit.,p.32.

23 Enzo Paci, L’architettura e il mondo della vita,in “Casabella”, n.217, 1957, ripubblicato in

Relazioni e significati, vol. III, Critica e dialettica,op.cit., pp.152,153.

24 Enzo Paci, Sull’architettura contemporanea,op.cit., p.140.

25 Ibidem, p.144.

26 Ibidem, p.139.27 Ibidem, p.145.

28 Enzo Paci, Fenomenologia e architetturacontemporanea, op.cit., p.173.

29 Ibidem, p.183.30 Ibidem, p.181.

31 Enzo Paci, L’architettura e il mondo della vita,

op.cit., p.156.32 Enzo Paci, Fenomenologia e architettura

contemporanea, op.cit., p.197.33 Enzo Paci, A cominciare dal presente, in

“Questo e altro”, n.2, 1962, ripubblicato inRelazioni e significati, vol. III, Critica e dialettica,

op.cit., p.320.34 Ibidem, p.321.

35 Carlo Sini, I segni dell’anima, Laterza,

Roma-Bari, 1989, p.117. Si vedano inoltre leargomentazioni sviluppate alle pagine 118 e 119.

36 Carlo Sini, Passare il segno. Semiotica,cosmologia, tecnica, il Saggiatore, Milano, 1981,

pp.141-142.37 Carlo Sini, Filosofia e scrittura, Laterza,

Roma-Bari, 1994, p.94.

38 Ibidem.39 Ibidem, p.96. Per questi temi si veda inoltre

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Carlo Sini, Etica della scrittura, Il Saggiatore,Milano, 1992.

40 Ibidem.41 Carlo Sini, Il silenzio e la parola, Luoghi e

confini del sapere per un uomo planetario, Marietti,Genova, 1989, p.66.

42 Ibidem, p.68.43 Ibidem, p.70.

44 Ibidem.

45 Ibidem, p.71.46 Ibidem, p.72.

47 Ibidem, p.62.48 Ibidem.

49 Ibidem, p.63.50 Ibidem.

51 Ibidem, p.78.

52 Ibidem.53 Carlo Sini, Archivio Spinoza. La verità e la vita,

Edizioni Ghibli, Milano, 2005, p.41-43.54 Ibidem, p.52.

55 Carlo Sini, Pensare il progetto, TranchidaEditori, Milano, 1992, p.107.

56 Carlo Sini, Etica della scrittura, op.cit., p.165.57 Carlo Sini, Immagine e conoscenza. Le basi

materiali del conoscere e l’iconismo della scrittura,

CUEM, Milano, 1996, p.187.58 Ibidem, p.181.

59 Ibidem, p.186.60 Ibidem, p.176.

61 Carlo Sini, presentazione al nostro Genealogia eprogetto. Per una riflessione filosofica sul problema

del restauro, FrancoAngeli, Milano, 2006, p.9.

62 Carlo Sini, Archivio Spinoza, op.cit., p.53.63 Carlo Sini, Pensare il progetto, op.cit.,

pp.74-75.64 Ibidem, p.104.

65 Ibidem, p.106.

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