68. giovanni domenico ferretti (firenze, 1692-1768) maria ... · meucci fece lo sposalizio di ma -...

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68. Scheda storico-artistica «Segue a quella Cappella il Ma- gnifico Altare di San Giuseppe, fatto fare dal Marchese Carlo Ri- nuccini, dove Giovanni Ferretti dipinse sull’Altare il Transito di S. Giuseppe, e dai lati Vincenzo Meucci fece lo Sposalizio di Ma- ria, ed Ignazio Osford una molto studiata fuga in Egitto, e sotto la mensa leggesi la seguente iscrizio- ne: MARCHIO CAROLVS DE RINVCCINIS / FVLCI FILIVS PATRITIVS FLORENTINVS / DIVI IOSEPHI PATROCINIO / SE SVAMQVE FAMILIAM COMMENDAS / ARAM HANC / ERIGENDAM ET ORNAN- DAM CVRAVIT / AN. DOM. MDCCXLII». È di Giuseppe Ri- cha, nell’articolata opera dedicata alle chiese di Firenze, Lezione XIII (Richa 1756, p. 133), una delle prime pubblicazioni che docu- mentano il dipinto della chiesa di San Paolo Apostolo a Firenze ad opera di Giovanni Domenico Ferretti. L’edificio, dopo aver ospitato dal 1529 al 1618 i frati minori osservanti di san Francesco, fu concesso nel 1618, per volere del granduca Cosimo II, ai padri car- melitani scalzi, arrivati a Firenze in quell’anno. Nel 1667, per vo- lontà del priore padre Cesario, la chiesa subì una rivoluzione, con la rotazione di 90° rispetto all’as- se precedente, e un totale rinno- vamento, conclusosi nel 1693, su progetto di Giovanni Battista Ba- latri (1627-1669), architetto della corte medicea. Il nuovo assetto architettonico coinvolse anche gli apparati decorativi come quadri e affreschi, affidati ai massimi autori dell’epoca quali Ignazio Hugford (1703-1778), Vincenzo Meucci (1694-1766), Giovanni Battista Foggini (1652-1725), e Giovanni Domenico Ferretti, all’apice della carriera. Quest’ultimo proveniva, infatti, da commissioni importanti come quella degli affreschi della chiesa di San Salvatore al Vescovo, dove gli fu affidata la decorazione del- la cupola del coro raffigurante la Trasfigurazione di Cristo e la tela, collocata dietro l’altare, con l’A- dorazione dei pastori, entrambe realizzate nel 1738. Il progetto fu commissionato dall’arcivescovo di Firenze, il colto Giuseppe Maria Martelli, che lo incaricò anche di una pala per la Cattedrale da collo- carsi nella cappella di San Giusep- pe (Maser 1968, p. 65), raffigu- rante il Transito del santo (1741). Il medesimo soggetto, molto sentito negli anni del governo di Cosimo III de’ Medici, il quale dichiarò Giuseppe santo patrono della To- scana, si ritrova l’anno seguente sulla tela voluta dal marchese Car- lo Rinuccini per la chiesa di San Paolino, all’interno di una ricca e sfarzosa cappella collocata alla de- stra del transetto. Figlio dell’orafo Antonio di Gio- vanni da Imola e di Margherita di Domenico Gori, Giovanni Do- menico nacque a Firenze (Trotta 2015, p. 173), ma esordì nella città paterna, Imola, dove a dieci anni, nel 1702 (Gabburri ca 1730- 1742 ed. 2008, vol. III, c. 192v), fu a bottega da Francesco Chiusu- ri (Imola ?-1729), allievo di Carlo Cignani (1628-1719). Tornato a Firenze, dalle notizie riportate da Francesco Maria Niccolò Gab- burri (1676-1742) (Gabburri ca 1730-1742 ed. 2008, vol. III, c. 192v), suo primo biografo, entrò dapprima nello studio di Tomma- so Redi (1665-1726) e, successi- vamente, di Sebastiano Galeotti (1675-1741). Da Tommaso Redi apprese la teatralità dei gesti, le composizioni serrate, la dramma- ticità espressiva. Da Sebastiano Galeotti, già allievo di Giovan Gioseffo Dal Sole (1654-1719), acquisì, invece, una pennellata ampia e fluente, una gamma chia- ra dei colori, panneggi svolazzanti, cieli luminosi e ariosi, guance car- nose e rosee, fronti ampie e spazio- se, bocche leggermente socchiuse o a cuore. Dopo l’apprendistato fiorentino, Ferretti, nel 1714, si trasferì a Bologna nella bottega di Felice Torelli (1667-1748) e del- la moglie Lucia Casalini (1677- 1762), entrambi allievi di Giovan Gioseffo Dal Sole. Al suo rientro in Toscana, nel 1715, appartiene un corposo ciclo di affreschi nella villa La Magia a Pistoia commissionato della famiglia Attavanti. Nel 1719 lo troviamo a Firenze con una lettera di raccomandazione del cardinale Corrado Gozzadini per Cosimo III de’ Medici, mentre nel 1720 è a Imola dove affresca la distrutta cupola del duomo. Dal 1721 è nuovamente a Firen- ze, città dalla quale si allontanò in seguito assai poco, soprattutto in considerazione delle molte opere alle quali qui si dedicò. Nobiltà e clero lo reclamavano e il granduca Cosimo III gli assegnò importanti commissioni nell’arazzeria di cor- te, mentre l’elettrice palatina Anna Maria Luisa lo prese sotto la pro- pria protezione. Nel vortice dei numerosi incarichi, Giovanni Domenico, oltre alla pit- tura a fresco, si dedicò alla pittura su tela di cui una fra le opere più significative è proprio il Transito di san Giuseppe, patrono della buona morte (Baldassari 2002, p. 207). Il dipinto, di notevoli dimensioni, rappresenta uno dei momenti più alti dell’attività dell’autore in cui trasfuse pathos e drammaticità, pur nell’utilizzo di una tavolozza chiara e luminosa dove le luci e le ombre sono modulate con estrema perizia. La composizione si apre allo spet- tatore in tutta la sua grandiosità attraverso l’ampio gesto del Figlio che si rivolge al Padre, mentre la Vergine concentra verso il consorte uno sguardo mesto e dignitosa- mente doloroso. Angeli e cheru- tecnica/materiali olio su tela dimensioni 451 × 251 cm provenienza Firenze, chiesa di San Paolo Apostolo, detta di San Paolino collocazione Firenze, chiesa di San Paolo Apostolo, detta di San Paolino proprietà del Fondo edifici di culto, Ministero dell’Interno - Dipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazione - Direzione Centrale per l’Amministrazione del Fondo edifici di culto scheda storico-artistica Maria Pia Zaccheddu relazione di restauro Nicoletta Fontani restauro Nicoletta Fontani, con la consulenza e la collaborazione di Elizabeth Wicks, Marina Vincenti, Luciano Sostegni, Aviv Fürst (cornice) e la collaborazione di Paola Alonso con la direzione di Maria Pia Zaccheddu (Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Firenze e le Province di Pistoia e Prato) Giovanni Domenico Ferretti (Firenze, 1692-1768) Transito di san Giuseppe 1742

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Page 1: 68. Giovanni Domenico Ferretti (Firenze, 1692-1768) Maria ... · Meucci fece lo Sposalizio di Ma - ria, ed Ignazio Osford una molto studiata fuga in Egitto, e sotto la mensa leggesi

68.

Scheda storico-artistica

«Segue a quella Cappella il Ma-gnifico Altare di San Giuseppe, fatto fare dal Marchese Carlo Ri-nuccini, dove Giovanni Ferretti dipinse sull’Altare il Transito di S. Giuseppe, e dai lati Vincenzo Meucci fece lo Sposalizio di Ma-ria, ed Ignazio Osford una molto studiata fuga in Egitto, e sotto la mensa leggesi la seguente iscrizio-ne: MARCHIO CAROLVS DE RINVCCINIS / FVLCI FILIVS PATRITIVS FLORENTINVS / DIVI IOSEPHI PATROCINIO / SE SVAMQVE FAMILIAM COMMENDAS / ARAM HANC / ERIGENDAM ET ORNAN-DAM CVRAVIT / AN. DOM. MDCCXLII». È di Giuseppe Ri-cha, nell’articolata opera dedicata alle chiese di Firenze, Lezione XIII (Richa 1756, p. 133), una delle prime pubblicazioni che docu-mentano il dipinto della chiesa di San Paolo Apostolo a Firenze ad opera di Giovanni Domenico Ferretti.L’edificio, dopo aver ospitato dal 1529 al 1618 i frati minori osservanti di san Francesco, fu concesso nel 1618, per volere del granduca Cosimo II, ai padri car-melitani scalzi, arrivati a Firenze in quell’anno. Nel 1667, per vo-lontà del priore padre Cesario, la chiesa subì una rivoluzione, con la rotazione di 90° rispetto all’as-se precedente, e un totale rinno-

vamento, conclusosi nel 1693, su progetto di Giovanni Battista Ba-latri (1627-1669), architetto della corte medicea. Il nuovo assetto architettonico coinvolse anche gli apparati decorativi come quadri e affreschi, affidati ai massimi autori dell’epoca quali Ignazio Hugford (1703-1778), Vincenzo Meucci (1694-1766), Giovanni Battista Foggini (1652-1725), e Giovanni Domenico Ferretti, all’apice della carriera.Quest’ultimo proveniva, infatti, da commissioni importanti come quella degli affreschi della chiesa di San Salvatore al Vescovo, dove gli fu affidata la decorazione del-la cupola del coro raffigurante la Trasfigurazione di Cristo e la tela, collocata dietro l’altare, con l’A-dorazione dei pastori, entrambe realizzate nel 1738. Il progetto fu commissionato dall’arcivescovo di Firenze, il colto Giuseppe Maria Martelli, che lo incaricò anche di una pala per la Cattedrale da collo-carsi nella cappella di San Giusep-pe (Maser 1968, p. 65), raffigu-rante il Transito del santo (1741). Il medesimo soggetto, molto sentito negli anni del governo di Cosimo III de’ Medici, il quale dichiarò Giuseppe santo patrono della To-scana, si ritrova l’anno seguente sulla tela voluta dal marchese Car-lo Rinuccini per la chiesa di San Paolino, all’interno di una ricca e sfarzosa cappella collocata alla de-stra del transetto.

Figlio dell’orafo Antonio di Gio-vanni da Imola e di Margherita di Domenico Gori, Giovanni Do-menico nacque a Firenze (Trotta 2015, p. 173), ma esordì nella città paterna, Imola, dove a dieci anni, nel 1702 (Gabburri ca 1730-1742 ed. 2008, vol. III, c. 192v), fu a bottega da Francesco Chiusu-ri (Imola ?-1729), allievo di Carlo Cignani (1628-1719). Tornato a Firenze, dalle notizie riportate da Francesco Maria Niccolò Gab-burri (1676-1742) (Gabburri ca 1730-1742 ed. 2008, vol. III, c. 192v), suo primo biografo, entrò dapprima nello studio di Tomma-so Redi (1665-1726) e, successi-vamente, di Sebastiano Galeotti (1675-1741). Da Tommaso Redi apprese la teatralità dei gesti, le composizioni serrate, la dramma-ticità espressiva. Da Sebastiano Galeotti, già allievo di Giovan Gioseffo Dal Sole (1654-1719), acquisì, invece, una pennellata ampia e fluente, una gamma chia-ra dei colori, panneggi svolazzanti, cieli luminosi e ariosi, guance car-nose e rosee, fronti ampie e spazio-se, bocche leggermente socchiuse o a cuore. Dopo l’apprendistato fiorentino, Ferretti, nel 1714, si trasferì a Bologna nella bottega di Felice Torelli (1667-1748) e del-la moglie Lucia Casalini (1677-1762), entrambi allievi di Giovan Gioseffo Dal Sole. Al suo rientro in Toscana, nel 1715, appartiene un corposo ciclo di affreschi nella villa

La Magia a Pistoia commissionato della famiglia Attavanti. Nel 1719 lo troviamo a Firenze con una lettera di raccomandazione del cardinale Corrado Gozzadini per Cosimo III de’ Medici, mentre nel 1720 è a Imola dove affresca la distrutta cupola del duomo. Dal 1721 è nuovamente a Firen-ze, città dalla quale si allontanò in seguito assai poco, soprattutto in considerazione delle molte opere alle quali qui si dedicò. Nobiltà e clero lo reclamavano e il granduca Cosimo III gli assegnò importanti commissioni nell’arazzeria di cor-te, mentre l’elettrice palatina Anna Maria Luisa lo prese sotto la pro-pria protezione.Nel vortice dei numerosi incarichi, Giovanni Domenico, oltre alla pit-tura a fresco, si dedicò alla pittura su tela di cui una fra le opere più significative è proprio il Transito di san Giuseppe, patrono della buona morte (Baldassari 2002, p. 207). Il dipinto, di notevoli dimensioni, rappresenta uno dei momenti più alti dell’attività dell’autore in cui trasfuse pathos e drammaticità, pur nell’utilizzo di una tavolozza chiara e luminosa dove le luci e le ombre sono modulate con estrema perizia. La composizione si apre allo spet-tatore in tutta la sua grandiosità attraverso l’ampio gesto del Figlio che si rivolge al Padre, mentre la Vergine concentra verso il consorte uno sguardo mesto e dignitosa-mente doloroso. Angeli e cheru-

tecnica/materiali olio su tela

dimensioni 451 × 251 cm

provenienza Firenze, chiesa di San Paolo Apostolo, detta di San Paolino

collocazione Firenze, chiesa di San Paolo Apostolo, detta di San Paolino

proprietà del Fondo edifici di culto, Ministero dell’Interno - Dipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazione - Direzione Centrale per l’Amministrazione del Fondo edifici di culto

scheda storico-artistica Maria Pia Zaccheddu

relazione di restauro Nicoletta Fontani

restauro Nicoletta Fontani, con la consulenza e la collaborazione di Elizabeth Wicks, Marina Vincenti, Luciano Sostegni, Aviv Fürst (cornice) e la collaborazione di Paola Alonso

con la direzione di Maria Pia Zaccheddu (Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Firenze e le Province di Pistoia e Prato)

Giovanni Domenico Ferretti(Firenze, 1692-1768)Transito di san Giuseppe1742

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Dopo il restauro

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Riflettografia IR, particolare del volto della Vergine con il pentimento Dopo il restauro, particolare con il volto della Vergine

Prima del restauro Prima del restauro, verso Dopo il restauro, particolare con il volto di Cristo

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bini assistono al trapasso, alcuni rivolgendo lo sguardo al Padre, altri all’agonizzante. Nella centina, un possente Dio Padre si rivolge all’uomo adagiato su un letto il-luminato da un bianco lenzuolo, mentre il largo aprirsi delle braccia squarcia lo spazio. Nulla è immoto in quest’opera: ogni personaggio ha un atteggiamento proprio e unico, ogni espressione è differente l’una dall’altra. Persino l’aria acqui-sta materialità nell’imprimere mo-

vimento alle gonfie vesti del Cristo e della Vergine, ai panni che copro-no i cherubini, alle ali spiegate degli angeli, al fumo denso che fuoriesce dal turibolo percorso da corren-ti che lo dissolvono in molteplici direzioni. Il turbine che avvolge l’intera composizione è accentua-to dalla nudità dei corpi sapiente-mente costruiti dalle ombre e dalle luci che ne esaltando la plasticità. Una linea ascensionale, dal movi-mento diagonale, parte repentina

dalla figura di san Giuseppe verso il volto dell’angelo, presumibilmente l’autoritratto del pittore, rivolgen-dosi al Padre. A sinistra un nutrito gruppo di puttini si arrampica su nuvole dense e corpose; un angelo, dal movimento disinvolto, sposta la manica del Dio Padre. Intensi e vigorosi i colori che giocano fra sfumature di rosso e blu nei manti del Cristo e della Vergine, nell’a-rancio della coltre di Giuseppe, nei verdi dei panni, ma, soprattut-

to, negli incarnati dalle molteplici sfumature rosate. La luce si spande a lampi esaltando gli incarnati dei volti e delle nudità. In quest’opera, più ancora che nel dipinto di Santa Maria del Fiore (1741), si eviden-zia l’estro, la possanza e la magnifi-cenza di Ferretti che seppe rendere il dramma dell’uomo davanti al proprio trapasso con cruda realtà e vigore. Un vigore che si riscontra anche nel disegno a matita nera e biacca su carta cerulea conservato

Dopo il restauro, particolare con Dio Padre

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al Gabinetto Disegni e Stampe del-le Gallerie degli Uffizi (n. 5794 S.; 279 × 291 mm).L’opera, quasi intoccata da mani di restauratore, è stata oggetto di un restauro integrale nell’ambito del progetto Restituzioni di Intesa Sanpaolo, che ha permesso di re-cuperare a pieno la godibilità del dipinto. L’opera ha subito un pri-mo intervento di pulitura che ha rivelato delle peculiarità come la tela in un’unica pezza, singolare per un dipinto di tali dimensioni, e le due strisce di tessuto sul retro,

apposte dall’artista e agganciate alle traverse con lo scopo di dargli una maggiore stabilità. Liberata la superficie pittorica dal nero del fumo delle candele, dal pulviscolo atmosferico e da uno strato di col-la organica, sono emersi un colore luminoso, ricco di passaggi cro-matici, e soprattutto la presenza di alcuni pentimenti dell’autore: nel volto della Vergine, inizialmente spostato a destra, accanto a quello di Giuseppe, ma successivamente posizionato in zona centrale, in as-se con il volto del Dio Padre; nel

pollice della mano destra del Cri-sto; nella mano destra dell’angelo accanto a Giuseppe, che presenta un cambiamento peculiare della posizione tale da mostrare una de-cina di dita, indice di un reiterato ripensamento. Delicati, quanto difficoltosi, sono stati lo strip lining e il consolidamento del colore per il quale è stato necessario, anche in considerazione delle dimensioni dell’opera, l’utilizzo del sottovuoto a bassa pressione, operazione assai delicata che ha richiesto grande maestria da parte del restauratore

onde evitare lo schiacciamento del manto pittorico.

BibliografiaGabburri ca 1730-1742, ed. 2008, vol. III, c. 192v; Richa 1756, pp. 130-138, in particolare p. 133; Paatz 1952, p. 595; Maser 1968, p. 44; Busigna-ni, Bencini 1979, pp. 161-174, in particolare p. 174; De Marchi 1997; Baldassari 2002, p. 207; La chiesa di San Paolo Apostolo 2008; Trotta 2015, pp. 168-174.

Dopo il restauro, particolare (si noti il pentimento sulla mano dell’angelo)

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Relazione di restauro

Il presente restauro ha permesso il recupero di un dipinto quasi di-menticato ma di altissima qualità artistica. Ha inoltre rivelato fin da subito la mano di un pittore dalla sensibilità e dalla perizia tecnica davvero straordinarie, tali da ga-rantire all’opera stessa un dignitoso stato di conservazione. Il dipinto, appena rimosso dall’al-tare, era ancora ben tensionato sul telaio, del quale mostrava sul recto l’impronta delle due traverse a croce. Da tale impronta e dalla presenza di un’unica chiodatura ri-spondente esattamente ai punti di trazione della tela sul telaio, si evin-ce l’originalità del supporto ligneo, mai diviso dalla tela. Il dipinto è costituito da un solo taglio di tela privo di cuciture, la cui altezza, da cimosa a cimosa è di 265 cm, corri-spondente alle misure del telaio sul quale fu tessuta. È interessante no-tare che, all’epoca, la larghezza più comune delle tele era compresa, a causa delle dimensioni dei telai per la tessitura, fra i 69 e i 210 cm e raramente erano usate tele più alte: Ferretti, dunque, fece uso di una tela scelta appositamente per le di-mensioni della nicchia nella quale fu alloggiata. Essa presenta un’ar-matura tipo tela, con riduzione in trama di 11 fili per cm e in ordito di 9 fili per cm. Un aspetto tecni-co voluto dal pittore consiste nella presenza sul retro di due sciarpe di tessuto (fig. 1), sicuramente origi-nali poiché cucite al di sotto della pellicola pittorica: esse, a distanza regolare lungo l’altezza del dipinto, hanno la funzione di vincolare la tela alla traversa centrale del tela-io, ostacolandone l’allentamento e aiutandone la stabilità meccanica. Per quanto riguarda gli strati pitto-rici, la mestica rossa, sembra essere a base di bolo e olio: la brillantezza del colore, la tipologia del craquelé minuto e diffuso che caratterizza gran parte della pellicola pittorica, l’estrema sensibilità di quest’ultima a sostanze a base di acqua, l’aspetto rigonfio delle aree chiare ricche di biacca, confermano tale supposi-

1. Durante il restauro, sciarpa originale, vincolata al telaio e sciarpa ricostruita in luogo di quella tagliata

2. Durante il restauro, colla animale nel cretto

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zione (figg. 2, 4, 5). La mestica, ste-sa a spatola dal fronte, fuoriesce sul retro attraverso la trama della tela. La pellicola pittorica è di grande qualità cromatica e sensibilità chia-roscurale, con passaggi di luce deli-cati e pennellate corpose sui chiari. Si notano aree sottilmente definite e altre apparentemente non finite o abbozzate con una tecnica veloce quasi da ‘frescante’, che ci parlano di un pittore abile nelle rappresen-tazioni di grandi dimensioni. Gli scuri sono meno corposi dei chia-ri: Ferretti spesso li costruisce per

trasparenza dal rosso-bruno della mestica.

Dalle indagini fotografiche in ri-flettografia IR e infrarosso falso-co-lore non è stata rilevata la presenza del disegno preparatorio. Erano vi-sibili invece numerosi pentimenti, nella mano del Cristo, nelle mani giunte dell’angelo alle spalle di san Giuseppe e soprattutto sul volto della Vergine, ben visibile nelle fo-tografie in luce trasmessa e in riflet-tografia (fig. 3), dove la testa, ori-ginariamente reclinata sulla destra,

è eretta nella stesura definitiva. La versione finale ha tuttavia sofferto di tale pentimento, tanto che la fi-gura della Vergine è più trasparente e meno corposa delle altre (fig. 7). Non sono pervenute notizie di re-stauri precedenti, ma si è potuto supporre, in sede di analisi, che il dipinto fosse stato smontato dalla sua collocazione una sola volta, per riparare due lacune di supporto e colore, poste sul lato superiore si-nistro e su quello destro. Le lacu-ne erano state risarcite con toppe e colla animale e successivamente

ridipinte; in tale occasione l’opera non fu smontata dal telaio: fu in-vece tagliata la sciarpa superiore, per facilitare l’intervento. Forse al-lora la tela fu anche impregnata di quella colla animale, divenuta nel tempo grigia, che sembrava affio-rare, per capillarità, dal cretto (figg. 2, 6-8). Il dipinto sembrava non avere su-bito importanti manomissioni, né in occasione del vecchio restauro, né in altre, conservandosi senza es-sere stato mai pulito o trattato con impregnanti dannosi. Nella parte

3. Durante il restauro, fotografia IR a luce trasmessa; in evidenza le differenze fra le aree a corpo, a velatura e i pentimenti

4. Durante il restauro, fotografia a luce radente con tasselli di pulitura

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5. Durante il restauro, area centrale a luce radente 6. Durante il restauro, particolare di Dio Padre, tassello di pulitura

7. Durante il restauro, particolari della Vergine e san Giuseppe, pulitura 8. Durante il restauro, particolare del volto di Cristo, pulitura: in alto è visibile la lacuna corrispondente alla toppa a luce radente con tasselli di pulitura

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inferiore dell’opera erano presenti quattro sfondamenti del supporto, a una distanza regolare, fra di loro (fig. 4): è probabile che in passato sia stato poggiato contro l’opera un tabernacolo o un altro arredo liturgico di forma rettangolare, che l’aveva così sfondata. Inoltre l’area relativa alla centina era cosparsa e gravemente danneggiata da una fit-ta serie di chiodi di piccole e medie dimensioni, forse infissi per sorreg-gere drappi pasquali. Il craquelé era visibilmente sollevato su tutta la su-perficie del dipinto e la fotografia a luce trasmessa (fig. 3) ha evidenzia-to i molti punti di debolezza sia del supporto sia della pellicola pittori-ca. Uno spesso strato di sporco am-bientale e nerofumo copriva l’intera pellicola pittorica nascondendone i delicati passaggi cromatici.Le indagini fotografiche hanno confermato la considerevole pre-

senza di materiali di deposito misti a colle animali. In considerazione di ciò, il nostro primo intervento è consistito nella pulitura dell’opera (figg. 4-8), allo scopo di restituirle, per quanto possibile, una migliore qualità cromatica e di impedire che il successivo intervento di consoli-damento (fig. 9) inglobasse anche lo sporco, complicandone la suc-cessiva rimozione. Questi risultati sono stati raggiunti mediante in-terventi successivi e diversificati fra loro. La scelta dei solventi idonei è stata fatta in base a test di pulitura (fig. 4), allo scopo di rispettare e salvaguardare la patina originale, formata da vernice o essudato del legante pittorico ancora presenti. La pulitura è iniziata con la rimo-zione delle gocce di cera di candela presenti nella parte inferiore del di-pinto, mediante un solvente apola-re; la rimozione del particellato di

deposito è stata effettuata con una soluzione di tensioattivo anionico lavato con White Spirit. Lo strato di sporco più antico, misto a colla, è stato invece rimosso con l’utiliz-zo di miscele gelificate contenen-ti tensioattivo, cocco collagene e chelante EDTA con pH alcalino tamponato. Le ridipinture, trop-po alterate ed estese sulla pellicola pittorica per essere conservate, so-no state rimosse con una miscela gelificata simile alla precedente ma addizionata con dimetilsolfossido. Dopo lo smontaggio dell’opera dal telaio, il retro è stato pulito con aspiratore a bassa potenza. Le toppe sono state rimosse ammorbi-dendo la colla con gel di agar. Gli sfondamenti deformati sono stati riportati alla planarità mediante delicato inumidimento e succes-siva asciugatura tra piani sostenuti da calamite. Le lacune di supporto sono state tessute con filo in po-liestere o colmate con intarsi in tela stabilizzata simile all’originale. Le suture di strappi, di fili tessuti e di intarsi sono state saldate con polvere poliammidica e rinforzate con stucco acrilico e velo poliestere adeso con Beva film. Il dipinto è stato consolidato, in seguito a test, con resina Beva 341 in cicloesano al 25%. Il consolidante è stato at-tivato creando il sottovuoto a bassa pressione (1/2 atm) e applicando un moderato calore (65 °C), tra-smesso mediante l’uso di vasche di acqua a temperatura controllata (fig. 9). In questo modo è stato ga-rantito il riscaldamento uniforme, non invasivo su tutta la superficie e il successivo raffreddamento sor-vegliato. Per garantire la conservazione dei meravigliosi rilievi della pittura durante le operazioni di consolida-mento, il dipinto è stato poggiato su un triplo strato di tessuto-non-tessuto e il rilievo delle sciarpe è stato protetto con strati ammortiz-zanti in feltro. Allo scopo di ten-sionare nuovamente il dipinto su un nuovo telaio, è stato eseguito lo strip lining, facendo aderire strisce di tela poliestere ai bordi del dipin-to mediante Beva film. Il bordo del-

la centina era estremamente fragile, rispetto alle altre aree, per il danno causato dai chiodi. Per questo mo-tivo tale area è stata protetta con un doppio velo: il primo in poliestere Origam (18 g/m2), adeso a punti sull’area danneggiata, allo scopo di frazionare le forze di trazione. Il secondo, in tela Ispra (50 g/m2) ha svolto il vero e proprio ruolo di tela di trazione. La tela usata per i bordi della parte centinata è stata ricavata da una sola pezza di stoffa, allo scopo di conformare il verso del bordo a quello della tela originale. Il telaio, benché di buona fattura, era tarlato e privo di meccanismo di espansione. È stato perciò sosti-tuito con un nuovo telaio ligneo a espansione, che seguisse l’originale struttura dell’opera, in modo da rispettare la funzione delle sciarpe in tessuto previste da Ferretti, che tanto contribuirono alla buona conservazione dell’opera. La sciar-pa mancante è stata ricostruita a questo scopo (fig. 1). Dopo il mon-taggio sul nuovo telaio a espansio-ne, sono state riagganciate le sciar-pe con un velcro rimuovibile. Le lacune di colore sono state colmate utilizzando uno stucco a legante acrilico, intonato al colore della preparazione originale; le integra-zioni pittoriche sono state eseguite con gouache. Tali operazioni sono state seguite da una verniciatura in più mani con vernice Laropal A81, mentre le integrazioni sono state ultimate con colori a vernice.Il recupero della splendida qualità cromatica della pittura di Giovan-ni Domenico Ferretti suggerisce l’immagine di una voce affievolita nel tempo che finalmente torna a cantare in modo cristallino.

9. Durante il restauro, consolidamento sotto vuoto con riscaldamento mediante vasche di acqua calda

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Abbreviazioni

BNCF: Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale.

Bibliografia

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