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Kairós 67 – La Parola 1 KAIRÓS La preghiera di Salomone e il vero tempio di Dio 67 Anno XII n. 5 Maggio 2008 Indice La Parola 2 La preghiera di Salmone e il vero tempio di Dio don Severino Pagani La Preghiera 11 Mio Dio, vita mia dolce alimento del mio cuore Giovanni di Fécamp La Tradizione 13 Comunione spirituale Dietrich Bonhoeffer Se cerchi un libro 25

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Kairós 67 – La Parola

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KAIRÓS La preghiera di Salomone

e il vero tempio di Dio 67

Anno XII n. 5 Maggio 2008

Indice La Parola 2 La preghiera di Salmone e il vero tempio di Dio don Severino Pagani La Preghiera 11 Mio Dio, vita mia dolce alimento del mio cuore Giovanni di Fécamp

La Tradizione 13 Comunione spirituale Dietrich Bonhoeffer Se cerchi un libro 25

Kairós 67 – La Parola

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LA PAROLA

don Severino Pagani

LA PREGHIERA DI SALOMONE

E IL VERO TEMPIO DI DIO

Ci vuole saggezza per capire dove abita il Signore. Nella vita a poco a poco si può scoprirlo, non senza passi falsi, alla maniera di chi progressivamente si fa la giusta misura delle cose. Si impara a distinguere l’oro dal ferro, si misura se stessi per quello che si è, ne troppo né poco. Ci si umilia senza abbattersi, ci si propone senza esaltarsi. Si é sempre pronti per una nuova saggezza: ciascuno passa per la sua prova e ciascuno riconosce il suo dono. Lungo la vita si può acquistare una più vera sapienza. Noi siamo il tempio di Dio, il luogo dove Dio può essere sempre ritrovato; perché Dio, in Gesù, ha deciso di rimanere sempre nel cuore dell’uomo. Questa la grazia straordinaria dell’umanità, ma questa è anche l’avventura della libertà umana, la quale in mille maniere può custodire questo dono, oppure può sminuirlo, renderlo fragile, farlo morire. Questa presenza rende veramente umano l’umano; questa stessa assenza della grazia rende cosificata e insignificante ogni frammento di umanità, un correre senza meta, un tendere senza gustare. La Sapienza è quella straordinaria virtù, che diventa permanente facoltà dell’uomo ed è in grado di esercitare

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sempre un giusto discernimento nelle vicende della vita. Con questo discernimento si guarda il mondo con gli occhi di Dio, non si perde la strada, si diventa custodi del mistero, si rimane tempio vero dello Spirito. La vita di fede rappresenta il travaglio di questa preziosa custodia del mistero di Dio: a volte sentiamo Dio così vicino che chi aiuta e ci sostiene; altre volte è proprio lui, il mistero di Dio, che ci dà gusto, voglia di fare, passione per la vita. Ci sono giorni, invece, in cui custodire il mistero di Dio è un’impresa dolorosa, che ci fa soffrire, ci pone tanti interrogativi. Ci vuole sempre umiltà, vera intelligenza e preghiera, soprattutto in alcuni momenti della vita, per mantenere aperto il tempio di Dio che è dentro di noi. 1. LA STORIA DELLA SALVEZZA

Dal primo libro dei Re 1 Re 8, 15-30

Preghiera di Salomone

A. LETTURA DEL TESTO 22 Salomone si pose davanti all’altare del Signore, di fronte a tutta l’assemblea di Israele, e, stese le mani verso il cielo, 23 disse: “Signore, Dio di Israele, non c’è un Dio come te, né lassù nei cieli né quaggiù sulla terra! Tu mantieni l’alleanza e la misericordia con i tuoi servi che camminano davanti a te con tutto il cuore. 24 Tu hai mantenuto nei riguardi del tuo servo Davide mio padre quanto gli avevi promesso; quanto avevi detto con la bocca l’hai adempiuto con potenza, come appare oggi. 25 Ora, Signore Dio di Israele, mantieni al tuo servo Davide mio padre quanto gli hai promesso: Non ti mancherà un discendente che stia davanti a me e sieda sul trono di

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Israele, purché i tuoi figli veglino sulla loro condotta camminando davanti a me come vi hai camminato tu. 26 Ora, Signore Dio di Israele, si adempia la parola che tu hai rivolta a Davide mio padre. 27 Ma è proprio vero che Dio abita sulla terra? Ecco i cieli e i cieli dei cieli non possono contenerti, tanto meno questa casa che io ho costruita! 28 Volgiti alla preghiera del tuo servo e alla sua supplica, Signore mio Dio; ascolta il grido e la preghiera che il tuo servo oggi innalza davanti a te! 29 Siano aperti i tuoi occhi notte e giorno verso questa casa, verso il luogo di cui hai detto: Lì sarà il mio nome! Ascolta la preghiera che il tuo servo innalza in questo luogo. Salomone, re sapiente di Israele, si pone davanti all’altare del Signore, per raccogliere la sua fede e prepararsi alla preghiera; ma insieme si mette di fronte a tutta l’assemblea, per non estraniarsi dalla storia del suo popolo. Sulla scia di questo re sapiente, anche noi ci poniamo tra cielo e terra, tra desideri spirituali e lavoro quotidiano, tra bellezza e fastidio delle relazioni di ogni giorno, per tentare un chiarimento della mente e formulare una preghiera. Salomone manifesta le sue poche certezze, e vorremmo che fossero sempre di più anche le nostre: Dio è vero e abita nei cieli non ha la nostra piccala misura terrena; Dio si nasconde nella storia e mantiene la sua fedeltà e la sua misericordia; Dio mantiene le promesse e ci garantisce un futuro concreto dell’anima, dei pensieri e del corpo. Salomone il saggio, però, quasi come noi uomini e donne del nostro tempo non finge davanti a dubbio, all’incertezza, al bisogno di una nuova rivelazione. Si lascia andare, come noi: davvero Signore tu abiti sulla

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nostra terra, nei nostri giorni, nella nostra cultura, nella gente che vive accanto a noi? La casa che ho costruito per te – la mia vita e la mia fede – mi sembra così piccola e inadeguata, incapace di vera intimità e di preghiera, come farà a contenerti? Siano aperti i tuoi occhi notte e giorno verso questa casa, verso il luogo di cui hai detto: lì sarà il mio nome! Ascolta la preghiera che il tuo servo innalza in questo luogo. Dalla nostra casa, da questo luogo di vita, e dentro la nostra vocazione, rivolgiamo a Dio una vera preghiera. Ci conforti la verità e la fedeltà di Dio, quando siamo stanchi e quando siamo entusiasti. Ci dia sapienza per mantenere un animo stabile e un impegno costante, per superare le idolatrie del mondo contemporaneo che continuamene insidiano e circuiscono le nostre stanchezze e le nostre abitudini.

B. LA PREGHIERA E LA VITA - Signore, è proprio vero che abiti la terra? Questa è la mia domanda, Signore? Donami la grazia della fede e della preghiera. So che anche la tua presenza non è una cosa scontata; a volte quando non ti sento provo un certo disordine e una grande solitudine. Credo, o Signore, che abiti la terra e ne cerca continuamente i segni. - Signore, la mia preghiera è anche il senso ultimo della mia speranza: su di me, su mia moglie, su mio marito, sulle parsone che amo. Una speranza per me, per il senso di quello che faccio, per la pace dell’anima, per la gioia con cui io affronto ogni cosa. - Signore, i tuoi occhi siano aperti giorno e notte sulla mia casa. Ogni casa e ogni famiglia sono come un piccolo mondo: ci sono mille cose manifeste e segrete. Ci sono consolazioni e

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sofferenze, silenzi e parole, entusiasmi e perseveranze. Quante cose ci sono, o Signore, nella mia casa: volgi su di essa il tuo sguardo. Guida i nostri passi. 2. LA MEDITAZIONE TEOLOGICA A. LA LETTURA DEL TESTO

Dalla prima lettera ai Corinzi

1Corinzi 3, 10-17 Voi siete il tempio di Dio

10 Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un sapiente architetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra. Ma ciascuno stia attento come costruisce. 11 Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo. 12 E se, sopra questo fondamento, si costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia, 13 l’opera di ciascuno sarà ben visibile: la farà conoscere quel giorno che si manifesterà col fuoco, e il fuoco proverà la qualità dell’opera di ciascuno. 14 Se l’opera che uno costruì sul fondamento resisterà, costui ne riceverà una ricompensa; 15 ma se l’opera finirà bruciata, sarà punito: tuttavia egli si salverà, però come attraverso il fuoco. 16 Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? 17 Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi.

Nessuno può porre un fondamento diverso, da Gesù, anche quando, se pur nel bene, viene il sospetto di guardare altrove. Il fondamento è ciò che spesso non ha grande visibilità, ma è ciò su cui tutto si appoggia. Gesù ha definito la nostra identità con la sua persona e con il dono del suo Spirito in noi; stare lontano da lui genera confusione, non

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gusto e apatia della vita; provoca quasi una predisposizione ad una soffusa tristezza, che non è più in grado di definire bene i tempi, gli spazi e i contorni della vita. Senza Gesù il tempo diventa grigio, l’amore sembra troppo scontato, e gli eventi schiacciano la coscienza. Sul quell’unico fondamento che è Gesù, poi certamente si deve costruire: gli anni maturi della vita di una coppia mostrano il valore della costruzione, che deve essere libera, autonoma, profonda. Si costruisce come dice s. Paolo, con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia. Poi avviene la prova del fuoco: ognuno ha sua prova e il suo fuoco, che illumina o acceca, riscalda o brucia, consuma o si spegne. Potrei chiudermi qual è per me la prova del fuoco? E per la mia famiglia? Per i miei figli? Questa prova è indispensabile per vivere una fede matura e per dare frutti nello Spirito. C’è anche qui una vera sapienza da ricordare, come scrive Paolo: “Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?” Questa divina ospitalità va coltivata. Non è facile mantenere e promuovere delle ospitalità veramente spirituali. A volte si può essere ospitali, ma non spirituali. L’ospitalità spirituale è sempre strettamente legata alla carità, senza pettegolezzo, senza maldicenza, senza presunzione, capace alla fine di condurre esplicitamente allo spirito di Dio. Esige lavoro, iniziativa, parole buone, capacità di ascolto, inviti disinteressati; per essere ospitali nello spirito non bastano le affinità elettive del temperamento e della simpatia; l’ospitalità spirituale cerca l’obiettività del bene. Così lo Spirito di Dio rimane e fa spazio nelle nostre anime. B. LA PREGHIERA E LA VITA

- Signore, non vorrei ma costruire qualcosa nella mia vita che si allontani da te: quali sono le tentazioni che talvolta mi

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prendono intelligenza e cuore? Dubito forse di te qualche volta? Sono forse provocato dalla cultura circostante? Riesco a non smarrire un modo di pensare e di vivere che sia secondo il vangelo? - Signore, aiutami a costruire bene, con oro, argento e pietre preziose; so, o Signore, che mi proverai o mi stai già provando come attraverso il fuoco. Quale fuoco in questo tempo della mia vita mi mette alla prova, mi brucia, mi consuma? Mettimi alla prova, o Signore, ma salvami. - Signore, ti chiedo il dono della tua presenza dentro di me. Ho bisogno di un colloquio continuo con te; con te devo imparare a pensare il nuovo della mia vita: tempi, spazi, preoccupazioni, scelte, fedeltà. Rimani in me, o Signore, non permettere che lo spirito del mondo mi consumi e mi confonda. 3. LA GIOIA DEL VANGELO

Dal vangelo di Marco Marco 12, 41-44

Il tesoro del tempio A. LA LETTURA DEL TESTO

41 E sedutosi di fronte al tesoro, osservava come la folla gettava monete nel tesoro. E tanti ricchi ne gettavano molte. 42 Ma venuta una povera vedova vi gettò due spiccioli, cioè un quattrino. 43 Allora, chiamati a sé i discepoli, disse loro: “In verità vi dico: questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. 44 Poiché tutti hanno dato del loro superfluo, essa invece, nella sua povertà, vi

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ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere”.

Anche noi tra la folla gettiamo le nostre monete nel tesoro

del tempio. Ogni domenica, ogni giorno: siamo nati così abituati fin da piccoli al dono della fede, ai ritmi della

preghiera, ai segni della carità. Noi siamo insieme a quella

folla, buona gente che soffre e che spera, che dà del suo senza troppi pensieri, con il gesto consueto della mano e con la piega abituata nel cuore. Gesù, li acanto, seduto ci osserva, ci pensa, ci ama, e ci perdona. Gesù è lì seduto di fronte alla sala del tesoro: entriamo nei suoi pensieri. Vorrei incrociare lo sguardo di Gesù su di me, mentre passo, quasi in fila come si passa per baciare una reliquia; vorrei entrare nei suoi pensieri per essere sicuro che verso di me questi pensieri si volgano a misericordia; vorrei entrare nel suo cuore perché trasformi il mio sentire. Sento il tuo sguardo Signore, su di me e sulle mie abitudini di carità e di preghiera: ho bisogno di una più rinnovata verità di me stesso.

Gesù richiama i discepoli ad una attenzione inconsueta:

mostra a loro una povera vedova che getta due spiccioli. È un grane dono avere qualcuno che con dolcezza e qualche volta con violenza ti fa guardare dalla parte giusta. Perché ci sono delle cose che non vediamo mai, anche si ci passano dieci volte al giorno davanti agli occhi e dentro il cuore. Ci vuole qualcuno o qualcosa che mi richieda attenzione, considerazione, nuova verginità della mente, nuova igiene del pensiero. Come sarebbe bello che lo sguardo e il pensiero abbiano sempre l’oggetto giusto nel corso della vita. Gesù costringe i suoi discepoli a guardare una povera vedova, una persona così irrilevante nella cultura di allora, da non essere degna neppure di uno sguardo. Anche oggi davanti a noi ci sono cose e situazioni, persone e pensieri che non considerano nemmeno. Come è importante imparare a vedere: Gesù, ti preghiamo, suscita in noi quelle inconsuete

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attenzioni di cui abbiamo bisogno. Diventeremmo umili, capaci di ascoltare davvero. Dove, in questo momento della mia vita, devo volgere o sguardo? Signore, cosa metto davanti agli occhi dei miei figli?

Gesù fornisce ai suoi discepoli un criterio nuovo, quello

del superfluo, e insegna a loro il valore di quello che si dà:

Gesù chiede tutto quello che si ha per vivere. E’ difficile, ma è anche indispensabile, ritornare a pensare e percepire quello che oggi è veramente superfluo. E’ un’operazione difficile per noi che siano circondati da una esuberanza materiale ingannatrice. Non penso soltanto alle cose, penso anche alla materia dei sentimenti, dei pensieri, delle considerazioni, delle parole, delle false certezze, e di tutto ciò che affastella la mente (confusione), il corpo (sensazione), il cuore (emozione). Bisogna non avere e non distribuire il superfluo: ciò che non dice l’essenziale del vivere. Una vita nel superfluo è come un caro nel fango: affonda sempre più e ci vuole sempre più forze per tirarlo fuori. Che cosa veramente ci serve per vivere?

B. LA PREGHIERA E LA VITA

- Signore, rendici vivi nella fede: donaci preghiera e carità, e un po’ di tempo direttamente per Dio. Solo il rapporto con lui dà sapore eterno alla frammentarietà e alla fretta dell’oggi. Non permettere che continuiamo a fare cose solo per alimentare un bisogno religioso, o un’abitudine che si spegne. - Signore, insegnaci a guardare le persone e gli atteggiamento con i tuoi occhi: tu ci insegni a riconoscere ciò che è superfluo, ciò che è convenzionale, ciò che è fittizio. Aiutaci a non guardare all’apparenza, a non avvolgerci nella nostra presunzione, o nella nostra troppo sicura appartenenza a te.

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- Signore, che cosa veramente ci è necessario per vivere? E’ questo che noi dovremmo offrirti. Questi due spiccioli di senso vero, di significato intenso per la nostra interiore sensibilità. Quando ti abbiamo offerto tutto quello che avevamo per vivere, ci ha dato più slancio, più leggerezza, più gioia. Che cosa in questo momento della vita ci tiene occupata la mente, il gusto, il cuore? Che cosa ci fa vivere?

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LA PREGHIERA

Giovanni di Fécamp

M IO DIO , VITA MIA DOLCE ALIMENTO DEL M IO CUORE

Mio Dio, vita mia, dolce alimento del mio cuore, concedimi di lodarti. Metti nel mio cuore la luce e sulle labbra la parola, così che il cuore mediti sulle tue promesse e la lingua canti la tua gloria. Ma perché lo faccia con più purezza e con più amore, fammi dono del pianto e della quiete dove possa fuggire, tacere e riposare, e sulle ferite della mia anima notte e giorno fare penitenza. Ti supplico per il Figlio tuo concedimi come dono della tua misericordia che sgorghi nel mio cuore un'irrigua fonte di lacrime, che scorra fino a lavare tutta l'anima dal suo peccato. Tutto ciò che vuole la tua mano è certo capace di compierlo, poiché tu parli e tutto è fatto, comandi e tutto esiste. Perché allora aspetti, perché ritardi? Vieni, Signore, non tardare. Spacca la durezza del mio cuore e sgorghi questa fonte, dal cui desiderio troppo brucia l'anima mia. Donami lacrime di pentimento e lacrime di desiderio; benedici con la rugiada del cielo e con l'abbondanza della terra, perché le lacrime siano il mio pane giorno e notte.

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Liberami dagli alterchi e dalle contese, nelle quali incorre l'anima sventurata negli assembramenti di uomini litigiosi. Dammi invece quella parte migliore che scelse Maria e che ho scelto anch'io da tempo, prediligendola per ispirazione della tua grazia: sciolto da ogni preoccupazione, poter sedere libero ai piedi del Signore Gesù Cristo, ed ascoltare attento ciò che la sapienza celeste insegna.

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LA TRADIZIONE

Dietrich Bonhoeffer

COMUNIONE SPIRITUALE

La misura in cui Dio concede il dono di una comunità visibile è vario. Il cristiano in diaspora è consolato da una breve visita di un fratello cristiano, da una preghiera in comune e dalla benedizione fraterna; è persino fortificato da una lettera scrittagli da mano cristiana. Il saluto aggiunto dall'apostolo Paolo di propria mano alle sua lettere era certo anche un segno di questa comunione. Ad altri è donata la comunione nel culto domenicale. Altri ancora possono vivere una vita cristiana nella comunità familiare; giovani teologi, prima della loro consacrazione, godono del dono di una vita in comune con i fratelli per un certo tempo. Tra cristiani impegnati di una comunità oggi nasce il desiderio di incontrarsi, negli intervalli concessi dal loro lavoro, con altri cristiani, per breve tempo, per vivere insieme e studiare insieme la Parola. La vita in comune, oggi, è di nuovo sentita dai cristiani come quella grazia che veramente è, come una situazione d'eccezione, come «rose e gigli» della vita cristiana (Lutero). Comunione cristiana è comunione per mezzo di Gesù Cristo e in Gesù Cristo. Non esiste comunione cristiana che sia più di questo e nessuna che sia meno. Sol questo, sia nel breve incontro di una sola volta sia in una comunione quotidiana prolungata negli anni. Siamo uniti solo per mezzo di Gesù Cristo e in Lui. (...)

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Forse che il dono di Dio, in un giorno qualunque, anche nei giorni più difficili e dolorosi di una comunità cristiana, è meno di questo dono così grande e incomprensibile? Forse che lì dove colpa e malintesi dominano la vita in comune, anche il fratello peccatore non resta pur sempre il fratello insieme col quale mi trovo sotto la Parola di Cristo? ed il suo peccato non offre pur sempre nuova occasione di gratitudine per il fatto che ambedue possiamo vivere in quell'unico amore che ci perdona in Gesù Cristo? Forse che proprio l'ora della profonda delusione per l'atteggiamento del fratello non mi riuscirà estremamente salutare, perché insegna così radicalmente che ambedue non possiamo vivere mai delle nostre parole e azioni, ma solo di quell'unica Parola e di quell'unico fatto che ci unisce nella verità, cioè nel perdono dei peccati in Gesù Cristo? Lì dove le nebbie mattutine delle nostre illusioni si levano, ecco che incomincia la luminosa giornata della comunione cristiana. Nella comunità cristiana il ringraziamento ha lo stesso ruolo che nella vita del singolo cristiano. Solo chi ringrazia per le cose piccole riceve pure quelle grandi. Noi impediamo Dio di concederci i grandi doni spirituali, che Egli tiene in serbo per noi, perché non ringraziamo per i doni quotidiani. Crediamo di non doverci accontentare dell'esperienza spirituale, della conoscenza, dell'amore, che ci sembrano dati in piccola misura, ma di dover ricercare bramosi i doni maggiori. Ci lamentiamo di mancare della grande certezza, della forte fede, delle ricche esperienze che Dio ha concesso ad altri cristiani, e ci riteniamo molto pii per queste nostre lamentele. Chiediamo nelle nostre preghiere cose grandi e dimentichiamo di ringraziare per i piccoli (eppure in realtà per nulla piccoli!) doni giornalieri. Ma come potrebbe il Signore affidare cose grandi a chi non è capace di accettare da lui con gratitudine le cose piccole?

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Se non ringraziamo ogni giorno per la comunione cristiana nella quale siamo posti, anche quando non facciamo grandi esperienze nè riceviamo ricchezze sensibili, ma anzi sentiamo la nostra debolezza, la poca fede, le difficoltà, se continuiamo a lamentarci con Dio che tutto resta ancora così misero e così piccolo, che nulla corrisponde alle nostre aspettative impediamo Dio di accrescere la nostra comunione nella misura e con le ricchezze che sono pronte per noi in Gesù Cristo. E questo si riferisce in particolare anche alle lamentele che si sentono così spesso da parte di pastori e di membri di chiesa zelante a proposito della loro comunità. Un pastore non si lamenti della sua comunità con Dio, ma tanto meno con gli uomini; la comunità non gli è stata affidata perché egli si faccia suo accusatore davanti a Dio e agli uomini. Chi è deluso di una comunità cristiana nella quale è stato posto, esamini prima se stesso, se non è magari solo un'ideale che Dio spezza; e se si rende conto che le cose stanno così, ringrazi Dio che lo ha condotto in questo travaglio; se invece ritiene che le cose non sono così, eviti, però, di farsi accusatore della comunità del Signore, ma accusi piuttosto se stesso per la sua mancanza di fede, chieda a Dio che gli insegni a riconoscere il suo fallimento ed il suo particolare peccato, preghi di non rendersi colpevole di fronte ai suoi fratelli; riconoscendo la propria colpa, interceda per i suoi fratelli, si dedichi al suo compito e ringrazi il Signore. Per una comunità cristiana accade lo stesso che per la nostra santificazione: è un dono di Dio che non possiamo reclamare. Solo Dio sa a che punto è la nostra comunione, a che punto la nostra santificazione. Ciò che a noi appare debole e povero per Dio può essere grande e magnifico. Il cristiano non deve continuamente stare a sentire il polso della sua vita spirituale, e così pure la comunità cristiana non ci è data perché misuriamo insistentemente la sua temperatura. Quanto più profonda è la gratitudine con la quale accettiamo

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ogni giorno ciò che ci viene donato, tanto più certa e costante sarà la crescita quotidiana della comunione secondo la volontà di Dio. Comunione cristiana non è un'ideale che dobbiamo sforzarci di realizzare, ma una realtà data da Dio in Cristo, alla quale possiamo partecipare. Quanto più chiaramente impariamo a vedere il fondamento e la forza e la promessa di ogni nostra comunione in Gesù Cristo solamente, tanto più serenamente impareremo pure a riflettere sulla nostra comunità e a pregare e sperare per essa. Dato che la comunità cristiana è basata solo su Gesù Cristo, essa è una realtà pneumatica e non psichica. Ed in questo veramente essa differisce da ogni altra comunità. La Sacra Scrittura indica col termine pneumatico (= spirituale) ciò che solo lo Spirito Santo crea, il quale pone nei nostri cuori Gesù Cristo come nostro Signore e Salvatore; chiama, invece, psichico (= dell'animo) ciò che nasce dagli istinti, dalle forze naturali, dalla disposizione dell'animo umano. Il fondamento di ogni realtà spirituale è la chiara Parola di Dio manifestata in Gesù Cristo. Il fondamento di ogni realtà psichica è il desiderio tenebroso e torbido dell'animo umano. Il fondamento della comunione spirituale è la verità, il fondamento della comunione psichica è la brama. L'essenza della comunione spirituale è la luce - «Dio è luce e in lui non vi sono tenebre alcune» (1Gv 1,5) - «Se camminiamo nella luce, com' Egli è nella luce, abbiamo comunione l'uno con l'altro». La natura della comunione psichica è tenebre - «poiché è dal di dentro, dal cuore degli uomini, che escono cattivi pensieri» (Mc 7,21).

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E' la notte fonda che copre ogni opera umana nelle sue

origini, anche tutti gli istinti nobili e pii. Comunione spirituale è la comunione di coloro che sono chiamati da Cristo; psichica è la comunione delle anime religiose. Nella comunione spirituale vive il chiaro amore del servizio fraterno, l'agape; nella comunione psichica arde il fosco amore degli empi istinti pii, dell'eros. Là regna il servizio fraterno ordinato, qui la disordinata brama di godimento; là l'umile sottomissione sotto il fratello, qui il superbo-umile assoggettamento del fratello ai propri desideri. Nella comunione spirituale regna solo la Parola di Dio; nella comunione psichica accanto alla Parola domina ancora l'uomo dotato di particolari forze, di esperienza, di disposizione suggestivo-magiche. Là il legame è dato solo dalla Parola di Dio, qui il legame è anche un tentativo di vincolare l'altro a sè. Là ogni potenza, gloria e signoria è data dalla Spirito Santo; qui si cerca e si coltivano sfere di potere e di influsso personale, finché si tratta di persone pie, certo con l'intenzione di servire alle cose migliori e più nobili, ma in realtà, nonostante tutto, per detronizzare lo Spirito Santo e tenerlo ad una distanza irreale. Infatti qui rimane reale solo quanto v'è di psichico. Perciò lì regna lo Spirito, qui la psicotecnica, il metodo; lì l'amore del prossimo sincero, prepsicologico, premetodico, pronto ad aiutare; qua l'analisi delle costruzioni psicologiche; lì il servizio umile e semplice reso al fratello, qua il trattamento calcolatore e indagatore dell'estraneo. Forse la seguente osservazione può rendere più evidente il contrasto tra la realtà spirituale e quella psichica: entro una comunità spirituale non può mai esserci in nessun modo una relazione «immediata» tra l'uno e l'altro; nella comunità «psichica» invece regna un desiderio di comunione profondo, originale, psichico, di contatto immediato con le altre anime, così come nella carne vive il desiderio di immediata unione con altra carne. Questa brama dell'animo umano cerca la completa fusione dell'io con il tu, sia che essa si effettui

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nell'unione dell'amore, sia che si effettui nel forzato assoggettamento dell'altro alla propria sfera di influenza e di potere, il che in fondo è lo stesso. Qui chi è psichicamente più forte si sfoga e si attira l'ammirazione, l'amore o il timore del più debole. Tutto si basa su vincoli umani, su suggestione, su asservimento, e tutto ciò che è caratteristico e proprio solo della comunione data da Cristo, in questa immediata comunione delle anime, compare come caricatura. Esiste una conversione «psichica», che si manifesta con tutti i segni di una vera conversione lì dove, in seguito all'abuso conscio o inconscio della superiorità di un uomo, un singolo o tutta una comunità sono profondamente emozionati e attirati nella sua sfera di influenza. Qui l'animo ha esercitato il suo influsso direttamente su un'altra anima. Il più debole è stato sopraffatto dal più forte; la resistenza del più debole è stata spezzata dalla personalità dell'altro. E' stato violentato, ma non vinto dalla causa. E questo si manifesta nel momento in cui si richiede un impegno per la causa indipendentemente dalla persona alla quale sono legato o forse anche in contrasto con questa. A questo punto chi è psichicamente convertito crolla e manifesta in tal modo che la sua conversione non è opera della Spirito Santo, ma di un uomo e che perciò non è duratura. Ed altrettanto esiste un amore «psichico» per il prossimo. Esso è capace di compiere i sacrifici più inauditi; nella sua ardente dedizione e nei suoi successi visibili supera spesso il vero amore cristiano, parla il linguaggio cristiano con una eloquenza sbalorditiva ed elettrizzante. Ma è questo l'amore di cui l'apostolo dice: «E quando distribuissi tutte le mie facoltà per nutrire i poveri e quando dessi il mio corpo ad essere arso» - cioè se compissi le maggiori azioni d'amore con la massima dedizione - «se non ho carità (cioè l'amore di Cristo), ciò niente mi giova» (1Cor 13,3). L'amore psichico ama il prossimo per se stesso, l'amore spirituale ama il prossimo per Cristo. Perciò l'amore psichico crea il contatto

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immediato con l'altro, non lo ama nella sua libertà, ma come uno che è legato ad esso vuole vincere, conquistare ad ogni costo, insiste presso l'altro, vuole essere irresistibile, vuole dominare. L'amore psichico non tiene in gran conto la verità, la relativizza, perché nulla, nemmeno la verità, deve intromettersi tra lui e l'essere amato. L'amore psichico desidera l'altro, la comunione con lui, il suo amore, ma non lo serve. Anzi, anche lì dove sembra servire, desidera ancora qualcosa per sè. Due cose, che in fondo sono la stessa, mettono in luce la differenza tra amore spirituale e amore psichico: l'amore psichico non riesce a sopportare lo scioglimento di una comunità non più vera per amore di una comunione vera; l'amore psichico non può amare il nemico, quello, cioè, che gli si oppone ostinatamente e seriamente. Questi sentimenti nascono ambedue dalla stessa origine: l'amore psichico per natura è amore che desidera qualcosa per sè, è, cioè, brama di comunione psichica. Finché è in grado di accontentare in qualche modo questo desiderio, non vi rinuncia mai, nemmeno per amore della verità, nemmeno per il vero amore del prossimo. Dove, però, non ha più speranza di soddisfare questa sua brama, lì è arrivato alla sua fine, cioè al nemico; si muta in odio, disprezzo e calunnia. Ma proprio qui è il punto dove ha inizio l'amore spirituale. Perciò l'amore psichico diviene odio personale lì dove incontra il sincero amore spirituale che non desidera nulla per sè, ma serve il prossimo. L'amore psichico si rende da sè fine a se stesso, opera, idolo, che adora ed al quale deve asservire ogni cosa. Cura, coltiva, ama sè stesso e null'altro a questo mondo. L'amore spirituale invece, viene da Gesù Cristo, serve solo lui, sa che non ha accesso immediato al prossimo. Cristo sta tra me e l'altro. Che cosa significhi amore per il prossimo non lo so in partenza, solo dal concetto generico di amore sorto dal mio desiderio psichico - anzi, tutto ciò, forse, davanti a Cristo può essere proprio odio e massimo egoismo - ; che cosa è amore mi vien detto solamente da cristo nella sua Parola. Contro ogni mia propria

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opinione e convinzione Gesù Cristo mi dirà come si manifesta realmente l'amore per il fratello. Perciò l'amore, per il cristiano, è legato solo alla Parola di Gesù Cristo. Lì dove Cristo, a causa dell'amore, vuole che io viva in comunione con gli altri, lo farò; lì dove la sua verità, a causa dell'amore, mi ordina di interrompere una comunione, la interrompo a dispetto di ogni protesta del mio amore psichico. Poiché l'amore spirituale non desidera nulla per sè, ma pensa solo a servire, ama tanto il nemico quanto il fratello. Esso infatti non è nato nè dal fratello nè dal nemico, ma da Cristo e dalla sua Parola. L'amore psichico non comprenderà mai quello spirituale; poiché l'amore spirituale viene dall'alto ed ha qualcosa di completamente estraneo, nudo, incomprensibile per l'amore terreno. Dato che Cristo sta tra me e l'altro, non devo desiderare una comunione immediata con questo. Come solo Cristo poteva parlare con me in modo da soccorrermi realmente, così anche l'altro può essere aiutato solo da Cristo stesso. Ma ciò significa che lo devo lasciare libero l'altro e non tentare di determinare le sue decisioni, costringerlo o dominarlo con il mio amore. Essendo libero da me, l'altro vuol essere amato così come è veramente, cioè come un uomo per il quale Cristo ha conquistato la remissione dei peccati ed al quale ha preparato la vita eterna. Poiché Cristo ha già da tempo compiuto la sua opera nel mio fratello, ben prima che io potessi incominciare la mia opera in lui, perciò devo lasciar libero il fratello per Cristo; egli deve incontrarmi solo da quell'uomo che egli è già per Cristo. Ecco che cosa significa che possiamo incontrare il prossimo solo tramite Gesù Cristo. L'amore psichico si crea una propria immagine dell'altro, di ciò che quello è e di ciò che deve diventare. Prende la vita del prossimo nelle proprie mani. L'amore spirituale riconosce la vera immagine del prossimo tramite Gesù Cristo; è l'immagine che Gesù Cristo ha forgiato e che vuole forgiare.

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Perciò l'amore spirituale resterà costante affidando, in tutto ciò che dice e che fa, il prossimo a Cristo. Non tenterà di suscitare nel suo animo emozioni cercando di influenzarlo troppo personalmente ed immediatamente, o intervenendo nella sua vita in maniera impura; non proverà piacere nell'eccitazione dei sentimenti e nell'eccessivo ardore religioso; ma lo incontrerà con la chiara Parola di Dio e sarà pronto a lasciarlo solo con questa Parola per un lungo periodo, a lasciarlo di nuovo libero, perché Cristo possa operare in lui. Rispetterà i limiti che sono posti tra me e l'altro da Cristo e troverà la piena comunione con lui nel Cristo che ci congiunge e unisce tutti. Perciò parlerà più con Cristo del fratello che non di Cristo al fratello. Sa che la via più breve che porta all'altro passa attraverso la preghiera rivolta a Cristo e che l'amore per lui è completamente legato alla verità in Cristo. Riguardo a questo amore l'apostolo Giovanni dice: «Io non ho maggiore allegrezza di questa, di udire che i miei figlioli camminano nella verità». (3 Gv 4). L'amore psichico vive di un'oscura bramosia incontrollata e incontrollabile; l'amore spirituale vive nella chiarezza e nel servizio ordinato dalla verità. L'amore psichico lega, produce asservimento e irrigidimento; l'amore spirituale porta frutti che crescono all'aperto, sotto la pioggia e la tempesta, al sole, in pieno vigore, come piace a Dio. Per ogni convivenza cristiana è questione di vita o di morte promuovere in tempo la capacità di discernere tra ideale umano e realtà divina, tra comunione spirituale e comunione psichica. E' questione di vita o di morte di una comunità cristiana saperne, quanto prima, giudicare spassionatamente. Cioè: una vita vissuta in comune sotto la Parola può restare sana lì dove non si presente come movimento, ordine monastico, associazione, collegium

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pietatis, ma come parte della chiesa universale, una e santa; dove partecipa, lavorando e soffrendo, al travaglio, al combattimento, alla promessa di tutta la chiesa. Ogni principio di selezione e ogni conseguente separazione, che non è obiettivamente condizionata da un lavoro comune, da cause locali, da nessi familiari, è un vero pericolo per un comunità cristiana. Nella via della selezione intellettuale o spirituale si introduce spesso di nuovo di soppiatto il fattore psichico e defrauda la comunione della sua forza spirituale e della sua efficacia per la comunità, la spinge ad assumere un atteggiamento settario. L'esclusione dalla comunità di che è debole o modesto o apparentemente inutile può addirittura comportare l'esclusione di Cristo, che bussa alla nostra porta nel fratello povero. Perciò dobbiamo essere particolarmente cauti su questo punto. Un osservatore superficiale potrebbe pensare che il pericolo di confondere l'ideale con la realtà, il fattore spirituale con quello psichico sia maggiore lì dove una comunità è variamente strutturata, cioè lì dove, come nel matrimonio, nella famiglia, nell'amicizia il fattore psichico ha un'importanza preminente nella formazione della comunità in genere, e dove il fattore spirituale si aggiunge solo a quello fisico-psichico. Veramente solo in tali comunità si correrebbe il pericolo di mescolanza e di confusione delle due sfere, mentre essa potrebbe difficilmente aver luogo in una comunità di carattere prettamente spirituale. Ma chi pensa così, incorre in un grave errore. Tutte le esperienze e, come si vede facilmente, anche la cosa in sé ci dimostrano proprio il contrario. Un vincolo matrimoniale, una famiglia, un'amicizia conoscono molto chiaramente i limiti delle loro forze intese a creare la comunione; sanno molto bene, se sono sani, dove finisce il fattore psichico e dove incomincia quello spirituale. Conoscono il contrasto tra comunione fisico-psichica e comunione spirituale. D'altro canto lì dove si mette insieme

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una comunità di carattere puramente spirituale è molto vicino il pericolo che vengano portati nella comunità tutti i fattori psichici e vi vengano confusi. Unirsi in una comunità di carattere prettamente spirituale non è solo pericoloso, ma anzi un fatto del tutto anormale. Dove, in una comunità spirituale, non entra a far parte una comunione fisico-familiare, o la comunione in serio lavoro, dove non entra la vita quotidiana con tutto ciò che essa pretende dall'uomo che lavora, lì è necessaria una particolare vigilanza e sobrietà. Perciò l'esperienza ci dice che proprio in brevi incontri durante le vacanze il momento psicologico si fa largo assai facilmente. Nulla è più facile che risvegliare l'ebrezza della comunione in pochi giorni di vita comunitaria, e nulla è più fatale per una vita comunitaria sana, sobria e fraterna nel lavoro quotidiano. Non ci sono molti cristiani a cui Dio non conceda, almeno una volta nella loro vita, l'esperienza inebriante di una vera comunione cristiana. Ma una simile esperienza in questo mondo non rimane altro che un sovrappiù, una grazia concessa oltre al pane quotidiano di una vita comunitaria cristiana. Non possiamo reclamare simili esperienze, ed esse non sono lo scopo di una vita in comune con altri cristiani. Non è l'esperienza di comunione cristiana ciò che ci congiunge, ma la fede ferma e certa nella comunione cristiana. Afferriamo per fede come il più grande dono di Dio il fatto che è Dio che opera ed ha già operato in noi; questo ci rende beati e contenti, ma ci prepara anche a rinunziare a tutte le esperienze se Dio, a volte, non vuole concederlo. Siamo congiunti per fede, non per esperienza. «Ecco quanto è buono e quanto è gioioso per i fratelli dimorare insieme» (Salmo 133,1): questo è l'inno della Sacra Scrittura alla vita in comune sotto la Parola. Volendo spiegare la Parola «insieme» (cioè concordi), possiamo dire «che fratelli dimorino assieme» in Cristo, perché Gesù Cristo

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solo è la nostra concordia. «Egli è la nostra pace» (Ef 2,14). Solo tramite lui possiamo incontrarci, godere gli uni degli altri, avere comunione gli uni con gli altri. [D. Bonhoeffer, La vita comune, Queriniana, Brescia, 1976, pp. 39-40; 48-60].

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SE CERCHI UN LIBRO

I racconti di Pasqua B. Maggioni, F. Manzi, E. Ronchi, R. Vignolo Paoline €11,00 Per essere viva e trasformarsi in esperienza, la fede ha bisogno di un continuo aggiornamento. E la risurrezione, snodo centrale della fede, può dispiegare la sua forza di speranza solo se ripensata e vissuta in ogni momento storico. Lo scopo dei tre saggi di lettura biblica raccolti nel presente volume è appunto questo: ripensare la risurrezione, aderendo con forza ai testi scritturistici. I contributi dei biblisti (originariamente pensati per gli incontri del centro culturale della Corsia dei Servi, a Milano) seguono la scansione degli eventi: - la mattina del primo giorno dopo il sabato, quando le donne si recano al sepolcro di Gesù e lo trovano vuoto (Le donne al sepolcro,di Bruno Maggioni); - il tempo che trascorre da quella mattina fino all’Ascensione, vissuto attraverso l’esperienza dei discepoli (Egli si mostrò ad essi vivo dopo la sua passione, di Roberto Vignolo); - il tempo proiettato nel futuro con il ritorno di Cristo e la fede nella risurrezione dei morti ai primi tempi della cristianità, in particolare nella Prima lettera di san Paolo ai Tessalonicesi, la prima opera, in senso cronologico, del Nuovo Testamento (Credo nella risurrezione. La fede della Chiesa di Tessalonica, di Franco Manzi). Chiude il volume un quarto contributo, quello di Ermes Ronchi (Il passo del sole), nel quale si cerca di indicare quale dinamismo vitale, quale forza di speranza la risurrezione possa effondere nella vita del credente.

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L’amore vince la morte: commento esegetico spirituale alle lettere di Giovanni Enzo Bianchi San Paolo €14,00 Le tre lettere di Giovanni rispondono all’esigenza della prima comunità cristiana di difendersi dai falsi maestri e dalle concezioni dualistiche che ponevano una netta separazione tra lo spirito e la materia e minavano la verità dell’incarnazione del Figlio di Dio. Enzo Bianchi prende spunto dallo scritto giovanneo per riaffermare con forza e originalità l’unità del credente e la forza di amare che viene dal fatto che “Dio è amore” (4,8).