6.6) beccaccia ( scolopax rusticola - provincia di pisa · delle gabbie-trappola modello larsen....
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possono essere cacciate sfruttando i movimenti giornalieri che gli uccelli effettuano normalmente
per recarsi nei luoghi di alimentazione.
2) Incremento delle possibilità di nidificazione. Le possibilità di nidificazione per il germano
possono essere notevolmente aumentate favorendo lo sviluppo della vegetazione naturale sulle rive
e negli immediati dintorni dei corpi idrici. In particolare va favorita la colonizzazione degli specchi
d’acqua da parte di fragmiteti e della tifa, nonché delle essenze erbacee degli argini e delle sponde
dei fossati. Anche l’instaurarsi di boschi igrofili di piccole dimensioni crea favorevoli situazioni per
la nidificazione. Oltre a ciò è possibile collocare nidi artificiali (di vimini o a cassetta) negli specchi
d’acqua, o sopraelevati rispetto al livello dell’acqua, oppure posizionati si zattere costruite in legno
e ricoperte con fasci di canne e erbe acquatiche.
3) Incremento del successo di nidificazione. Gran parte dei nidi costruiti dai germani viene distrutta
dal taglio della vegetazione delle sponde dei corsi d’acqua artificiali e naturali per la loro pulitura.
In questi casi è sufficiente posticipare il taglio alla tarda primavera, quando la maggior parte dei
nidi è arrivata alla schiusa. Un altro fattore che limita fortemente il successo di nidificazione è la
predazione delle uova da parte di ratti e corvidi e delle femmine in cova da parte di cani e gatti
vaganti. Per limitare l’impatto della predazione è necessario adottare provvedimenti di
contenimento e controllo dei predatori naturali e non, soprattutto dove si rilevano le densità più
elevate di coppie di germano e dove, quindi, può essere attivata una risposta funzionale da parte dei
diversi predatori.
4) Incremento della capacità portante dei bacini artificiali. Alcuni bacini artificiali, in particolare
quelli derivanti da attività estrattive, possono essere modificati senza un eccessivo dispendio
economico per aumentare la loro capacità di accoglimento degli uccelli acquatici. Le modifiche
riguardano soprattutto la forma e il profilo delle sponde, che devono essere il più possibile sinuose e
poco rilevate rispetto al livello dell’acqua, e il fondale che deve avere profondità il più possibile
diversificata, con alternanza di zone basse e zone più profonde.
5) Riduzione della mortalità invernale. La riduzione della mortalità durante il periodo più freddo
dell’anno può avvenire soprattutto con interventi di foraggiamento da realizzarsi preferibilmente
all’interno delle Zone Protette, lungo le sponde dei corpi idrici.
6.6) Beccaccia (Scolopax rusticola)
Metodi di monitoraggio
Per questa specie risulta impossibile effettuare censimenti assoluti, per cui è necessario almeno
ottenere degli indici d’abbondanza che permettano di valutare la tendenza delle fluttuazioni
numeriche degli effettivi. Lo stato di una popolazione di beccacce è rilevabile sia dalla dinamica
dell’areale di riproduzione, sia dalla sopravvivenza di giovani e adulti, sia dalla densità nelle aree di
svernamento (Spanò et al. 1998). Queste variabili sono stimabili con metodi specifici, messi a
punto, in particolare in Francia.
Per quanto riguarda l’areale di nidificazione occorre dire che l’Italia si trova ai limiti e che le
segnalazioni di beccacce nel periodo riproduttivo sono molto rare in Italia centrale; nonostante
questo sarebbe opportuno raccogliere sistematicamente tutte le segnalazioni di beccacce nel periodo
di nidificazione (marzo-aprile) e verificarle per accertare se esistano indizi di attività riproduttiva
(parate nuziali dei maschi al crepuscolo).
La sopravvivenza può essere stimata dal rapporto d’età riscontrabile negli animali abbattuti durante
il periodo di svernamento, esaminando le ali (apici delle remiganti, copritrici) e le timoniere.
L’abbondanza dei contingenti svernanti nelle zone di svernamento può essere calcolata mediante
Indici Cinegetici d’Abbondanza (ICA) in base alla seguente formula (Spanò et al. 1998):
ICA=BXN1/N2
Dove B è il numero di beccacce abbattute, N1 il numero delle uscite in cui sia stata trovata almeno
una beccaccia e N2 il numero totale delle uscite di caccia. Gli ICA ottenuti da un alto numero di
cacciatori, che cacciano in territori ben definiti, permettono di conoscere le fluttuazioni annuali dei
contingenti svernanti.
Organizzazione del prelievo
In Italia, come nel resto dell’areale di distribuzione della beccaccia, il prelievo è sicuramente più
elevato di quanto possa apparire dalle analisi dei tesserini venatori e questo avviene, con ogni
probabilità, anche per la provincia di Pisa. Complessivamente, su tutto l’areale di distribuzione, la
mortalità da prelievo ha, probabilmente, un impatto molto importante sulle popolazioni. Anche per
questa specie il prelievo dovrebbe essere programmato sulla base dei dati d’abbondanza annuali e di
successo riproduttivo, a livello internazionale. Attualmente, però, non sembra ancora possibile
realizzare una tale programmazione e, di conseguenza, appare opportuno agire sui tempi di caccia
perché il prelievo realizzato sia sostenibile dalle popolazioni.
In primo luogo la stagione di caccia alla beccaccia non dovrebbe protrarsi oltre il 31 dicembre
(preferibilmente il 15 dicembre). Infatti, tra il 15 di dicembre e il 31 gennaio cade il periodo più
freddo dell’anno con gelate che si protraggono anche per più giorni. In queste condizioni le
beccacce sono costrette a frequentare le poche località dove il terreno non gela e diventano più
vulnerabili all’azione di caccia. Inoltre in questo periodo aumenta la mortalità naturale ed è
opportuno non aggiungere a questa anche la mortalità da prelievo.
Considerato che il disturbo causato dall’attività venatoria, in particolare quella ad altre specie come
il cinghiale, è fortemente limitante per i contingenti svernanti di beccacce, è opportuno istituire
Zone di Protezione per l’avifauna migratrice nelle zone di svernamento, disegnate in modo da
includere più siti conosciuti come idonei e regolarmente frequentati dalle beccacce svernanti.
Inoltre, una limitazione del carniere giornaliero (2 beccacce) e annuale (10 beccacce) può essere
utile per limitare ulteriormente l’impatto del prelievo sulle popolazioni. Infine, con particolari
condizioni climatiche nel perido di svernamento, la caccia alla beccaccia dovrebbe essere
completamente sospesa (Tavecchia et al. 2002, Spanò 2001).
Interventi indiretti
Gli interventi indiretti per la conservazione della beccaccia consistono sostanzialmente in
provvedimenti finalizzati a distribuire la pressione venatoria, interventi di miglioramento delle
formazioni forestali e istituzione di zone protette.
1) Distribuzione della pressione venatoria. Normalmente si verificano elevate concentrazioni di
cacciatori di beccacce nelle aree migliori per la sosta durante la migrazione e lo svernamento. In
queste zone la pressione venatoria può causare un disturbo insostenibile da parte delle beccacce,
forzandole a spostarsi in habitat sub-ottimali. Inoltre il prelievo può diventare troppo elevato in caso
di condizioni climatiche particolari. Una migliore distribuzione dei cacciatori e, quindi, della
pressione venatoria e del prelievo, può avvenire con l’individuazione di zone di caccia alla
beccaccia, dove sia regolato l’afflusso di cacciatori in base alla loro estensione. In tali zone
dovrebbe essere vietata ogni altra forma di caccia durante il periodo interessato dalla presenza delle
beccacce ed in particolare dovrebbero essere vietate o fortemente limitate le braccate al
cinghiale,per l’elevato disturbo che causano.
2) Miglioramenti ambientali. I miglioramenti ambientali per la beccaccia consistono soprattutto in
interventi sui boschi, per migliorare la loro capacità d’accoglimento sia nel periodo della
migrazione, sia in quello dello svernamento. In alcuni Paesi dell’Europa occidentale effetti molto
positivi sono stati ottenuti con interventi di diradamento delle formazioni boschive molto chiuse e
dense, creazione di radure con strato erbaceo e apertura di sentieri nel sottobosco cespugliare.
Inoltre è possibile incrementare la disponibilità alimentare per la beccaccia con l’incentivazione del
pascolamento di bestiame vaccino nelle zone limitrofe ai boschi e all’interno di essi. Il
pascolamento ha anche l’effetto di mantenere lo strato erbaceo ad un’altezza favorevole alla specie;
infatti, una copertura di erbe troppo alta sembra che sia negativa per la beccaccia.
3) Protezione. Come per tutte le specie migratrici, anche per la beccaccia sarebbe opportuno
istituire Zone di Protezione per l’avifauna, in particolare nelle aree di svernamento. Poiché le ZP
hanno lo scopo di garantire la tranquillità necessaria per il superamento della fase critica invernale,
non è necessario che siano molto estese, ma sono sufficienti superfici di 200-300 ha. Queste zone di
protezione per la beccaccia potrebbero anche avere carattere temporaneo ed essere attive solo nel
periodo dello svernamento (15 dicembre-31 gennaio).
6.7) Corvidi (Cornacchia grigia Corvus corone cornix e Gazza Pica
pica)
Metodi di monitoraggio
Le popolazioni di cornacchia grigia e gazza devono essere attentamente monitorate in quanto,
essendo queste specie predatori di uova e pulcini di galliformi, esse sono sottoposte a controllo
numerico e, quindi, il monitoraggio ha principalmente gli scopi di individuare le aree dove è
necessario intervenire e di verificare l’efficacia del controllo.
I metodi di censimento delle popolazioni di cornacchia e gazza più facilmente attuabili sono il
conteggio dei nidi e il conteggio diretto degli individui. Il primo metodo viene realizzato
predisponendo degli itinerari da percorrere in autovettura in inverno per contare i nidi della passata
stagione riproduttiva; il numero di nidi contati viene rapportato alla lunghezza dell’itinerario per
ottenere così un indice chilometrico d’abbondanza (IKA). Se i conteggi vengono effettuati per più
anni consecutivi sugli stessi itinerari è possibile evidenziare la tendenza della popolazione
nidificante e, di conseguenza, l’effetto degli interventi di controllo.
Per ottenere dati di densità di nidi e, quindi, di coppie di cornacchia e gazza, è necessario perlustrare
completamente, sempre in inverno, le aree interessate. Ovviamente questo può essere fatto solo su
superfici limitate ed è un metodo utilizzabile all’interno di aree protette quali ZRC, Oasi di
protezione, AFV, AAV, ecc.
Normalmente si stima che la popolazione nidificante di cornacchia sia il 30% di quella totale,
poiché molti individui non si riproducono nell’anno successivo alla nascita. Per questo motivo è
opportuno censire anche gli individui giovani che formano gruppi anche molto numerosi in inverno.
Anche in questo caso il censimento può essere fatto lungo itinerari predisposti in modo da coprire il
numero maggiore possibile di ambienti e ottenere dei valori dell’IKA rappresentativi di tutto il
territorio.
Controllo numerico
Il metodo più efficace di controllo numerico delle popolazioni di cornacchia e gazza è l’utilizzo
delle gabbie-trappola modello Larsen. Questo metodo, rispetto all’intervento diretto sui nidi, ha il
vantaggio di non coinvolgere rapaci diurni e notturni; in qualche occasione possono entrare nelle
gabbie degli sparvieri che possono essere facilmente liberati. Il metodo richiede, però, molto
impegno da parte del personale di vigilanza e, quindi, può essere attuato efficacemente solo
all’interno di zone protette. Infatti, la trappola va posizionata in prossimità del nido di una coppia e,
una volta catturati entrambi i membri della coppia, deve essere spostata al nido successivo.
Per ridurre il numero di cornacchie al di fuori del periodo riproduttivo, il metodo migliore è l’uso
della gabbia a nassa di modello francese (nasse a corbeaux). Questa è efficace soprattutto durante
l’inverno, quando si riducono le risorse alimentari disponibili per le cornacchie e deve essere
innescata con scarti di macelleria.
Un ulteriore metodo di riduzione delle cornacchie e gazze è l’abbattimento con carabina a canna
rigata di piccolo calibro; questo metodo può essere usato come complemento agli altri sopra
elencati e attuato solo con personale autorizzato ed esperto nell’uso di tali armi.
6.8) Lepre (Lepus europaeus)
Metodi di monitoraggio
I metodi di censimento utilizzabili per censire le popolazioni di Lepre sono sostanzialmente i
conteggi in battuta per aree campione e i censimenti notturni da autovettura con proiettori alogeni
manovrabili a mano. Entrambi i metodi danno risultati molto attendibili se vengono accuratamente
pianificati e realizzati e, in particolare, se le superfici campionate sono una porzione sufficiente
dell’intero territorio da sottoporre a censimento. A questo proposito si considera che per superfici
che non superano i 2000 ha sia sufficiente coprire una percentuale del 10%; tale percentuale può
essere ridotta se la superficie aumenta.
E’ necessario effettuare due censimenti: quello primaverile, entro il mese di marzo, e quello
autunnale, entro il mese di novembre; eventualmente, se le condizioni ambientali lo permettono,
può essere effettuato un terzo censimento in estate, nel mese di agosto. Il censimento in battuta è
quello più dispendioso per l’impiego di numerosi operatori (40-60 o più a seconda dell’estensione
delle aree campione) e diventa impraticabile nel caso di territori molto estesi (p. es. ATC), ma può
essere l’unica soluzione dove le aree aperte, necessarie per i censimenti notturni, sono poche e
molto frazionate. Nel censimento in battuta le aree campione devono essere scelte in modo che in
esse siano rappresentati tutti i tipi vegetazionali presenti sul territorio, nelle medesime proporzioni.
Inoltre gli appezzamenti dove vengono fatte le battute devono essere delimitati naturalmente da
sentieri, fossati o siepi ed il numero di battitori deve essere rapportato alla larghezza dell'area
campione e alla copertura vegetale.
In alternativa al metodo della battuta è possibile utilizzare quello dei conteggi con fari
dall'automezzo di notte quando le lepri sono all'aperto in alimentazione. Questo metodo si basa
sull’assunzione per cui durante le ore notturne dedicate all’alimentazione le lepri stanno nelle zone
aperte ed evitano i cespugliati e i boschi. Il metodo prevede l’uso di un’autovettura con la quale si
percorrono le strade sterrate e le carrarecce ad una velocità massima di 10 km/h e il più possibile
costante. Contemporaneamente si illuminano con proiettori alogeni orientabili da 50 o 100 W i lati
del percorso, mappando accuratamente le zone illuminate su carte topografiche in scala 1:10.000.
Le aree effettivamente illuminabili devono essere mappate durante il censimento perché la
penetrazione del fascio luminoso può essere molto variabile da una notte all’altra in relazione al
pulviscolo presente nell’aria e all’umidità. Errori che portano a sovrastime o sottostime anche
considerevoli possono derivare dal considerare sempre costante l’area illuminata in notti diverse
oppure dal mappare l’area illuminata di giorno. Tutte le lepri osservate devono essere schedate,
registrando la distanza perpendicolare dal percorso, e mappate. I censimenti devono essere ripetuti
in ogni zona per almeno tre notti sullo stesso percorso e nelle stesse condizioni meteorologiche
perché il numero di animali contattati è usualmente molto variabile da una notte all’altra, soprattutto
se le popolazioni sono a bassa densità.
Il calcolo della densità viene poi effettuato stratificando per i tipi di vegetazione presenti ai lati del
percorso e la consistenza viene calcolata estrapolando la densità osservata a tutte le aree aperte e
illuminabili presenti nel territorio da sottoporre a censimento. Le zone con vegetazione alta come
incolti erbacei, cespugliati e boschi vengono considerati a densità uguale a zero.
I censimenti effettuati due o tre volte l’anno permettono di determinare la tendenza delle
popolazioni, gli incrementi riproduttivi e le mortalità del periodo invernale, ma non danno
informazioni sulla struttura delle popolazioni. Queste informazioni sono ottenibili dall’esame degli
individui vivi che vengono catturati d’inverno nelle Zone di Ripopolamento e Cattura dalle
Amministrazioni Provinciali. In occasione di queste operazioni tutti gli individui catturati devono
essere sessati e ne deve essere determinata l’età (giovani o adulti) mediante la palpazione
dell’epifisi del radio. Questa è apprezzabile negli individui giovani dell’anno e completamente
ossificata e, quindi, non rilevabile negli animali adulti.
Le popolazioni di lepre delle zone protette dove si procede a catture con scopi di traslocazione per
ripopolamento devono essere anche monitorate per lo stato sanitario, in particolare per
l’accertamento della presenza del virus dell’EBHS (European Brown Hare Syndrome).
Criteri di stima prelievo sostenibile
Il prelievo sostenibile dalle popolazioni di lepre dipende in parte dalle densità ottenibili, che sono
estremamente variabili in relazione alla situazione ambientale, e in parte dalla produttività della
popolazioni, altrettanto variabile.
Nelle zone di pianura le densità raggiungibili sono influenzate dalla diversità ambientale (maggiore
è la diversità, più elevate sono le densità) e dallo sviluppo dei bordi a vegetazione naturale. I terreni
arati invece incidono negativamente sulle consistenze soprattutto in primavera.
Nei territori collinari la Lepre raggiunge le densità maggiori nelle zone coltivate con seminativi a
rotazione, soprattutto se ai coltivi sono intercalati appezzamenti di incolti e boschi di latifoglie di
estensione limitata. Le aree prevalentemente boscate possono anch'esse essere colonizzate dalla
specie ma con densità ridotte. Un altro tipo di habitat dove la specie può raggiungere elevate densità
è costituito dalle zone di prateria e pascolo.
Per quanto riguarda le produttività delle popolazioni e le possibilità di prelievo occorre fare alcune
distinzioni tra territori di pianura e collinari ed anche tenere presente che gli studi sulla specie in
Italia non sono così avanzati come per i fasianidi ed è quindi necessaria una maggiore cautela nella
sperimentazione dei prelievi.
In ambienti di pianura sono stati accertati mediamente incrementi annui del 66,9% con variazioni
molto accentuate secondo le zone e gli anni (dallo 0% al 226,5%) e mortalità invernali del 22,1%
anch'esse con variazioni notevoli (dallo 0% al 72,8%). Il prelievo per poter mantenere consistenze
stabili quindi potrebbe aggirarsi intorno al 20% della consistenza autunnale.
Nelle zone di collina ben coltivate sono stati accertati incrementi annui medi del 111% ma non è
stato possibile constatare l'incidenza della mortalità invernale. In questi casi il prelievo ipotizzabile
può variare tra il 20 e il 30% della consistenza estivo-autunnale. Occorre precisare che questi dati si
riferiscono alle aree con maggiore vocazionalità per la specie che corrispondono alle zone con quote
intermedie. La produttività e quindi le possibilità di prelievo delle popolazioni, scendono
notevolmente salendo di quota, o in situazioni di scarso o nullo uso agricolo del terreno, per
l'estendersi progressivo delle aree boscate, che sopportano densità inferiori.
Nel caso in cui fosse possibile effettuare solamente il conteggio di fine inverno, occorre porre molta
attenzione nella predisposizione del piano di abbattimento: infatti l'incremento annuo che determina
la possibilità di prelievo dipende dalla mortalità dei giovani e questa può essere molto alta in caso di
stagioni fredde e piovose (l'umidità favorisce l'insorgere di patologie parassitarie quali la coccidiosi
ed altre). In ogni caso è bene sospendere l'attività venatoria alla Lepre se le densità primaverili
sono inferiori ai 10 capi per kmq.
Pianificazione del prelievo
La caccia alla Lepre dovrebbe essere permessa a partire dalla metà di ottobre, fino alla prima
settimana di dicembre; questo perché le nascite si protraggono fino a tutto settembre e quindi in
ottobre sono presenti molti animali giovani che non hanno ancora completato lo sviluppo corporeo.
Dalla metà di dicembre in avanti, molte femmine vanno in estro e vengono fecondate dai maschi:
per questo motivo è opportuno evitare il disturbo per non creare situazioni anomale nello
svolgimento delle prime fasi della riproduzione. Infatti le femmine gravide vengono abbattute più
facilmente e così verrebbero eliminati riproduttori sicuri.
Per il mantenimento di consistenti popolazioni, sarebbe necessaria anche una regolamentazione dei
mezzi di caccia. In particolare la caccia alla Lepre col cane da seguita andrebbe permessa solamente
in determinate situazioni ambientali, vale a dire nei comprensori delle zone collinari dove potrebbe
essere praticata senza inconvenienti, mentre in zone più aperte può essere eccessivamente
distruttiva.
Le lepri abbattute devono essere registrate settimanalmente dagli organismi preposti alla gestione
per la verifica del piano di abbattimento e di ogni lepre deve essere stabilito il sesso e l’età. A
questo scopo deve essere resa obbligatoria la consegna di una zampa anteriore per ogni lepre,
tagliata a livello del gomito.
Interventi diretti
Per la Lepre non sarebbe necessario creare ambiti protetti, in quanto è sufficiente sospendere
l'attività venatoria per una stagione, o al massimo due, per raggiungere, senza ripopolamenti, le
densità minime necessarie ad impostare un prelievo venatorio razionalizzato.
L'istituzione di nuove zone di produzione o il mantenimento di alcune di quelle esistenti però può
essere utile per avere animali di sicura provenienza da utilizzare per incrementare rapidamente le
popolazioni cacciabili. In alcuni casi poi le zone di ripopolamento e cattura per la Lepre possono
coincidere con le zone di protezione per la Starna ottenendo così il raggiungimento di un doppio
obiettivo. Le catture possono essere effettuate nel periodo invernale (possibilmente entro il mese di
dicembre); gli animali catturati potranno essere utilizzati per ripopolare con costi ridotti altre zone
dove le densità sono basse.
I ripopolamenti con soggetti di importazione, pratica ormai consolidata e normalmente effettuata su
tutto il territorio nazionale, sono da evitarsi nel modo più assoluto, in primo luogo perché
comportano oneri economici eccessivi per i bilanci degli enti pubblici e degli istituti di gestione
venatoria e, fatto ancor più importante, perché, con gli animali, vengono spesso importati agenti
patogeni contro i quali le popolazioni autoctone non hanno difesa.
Da esami effettuati su lepri di cattura provenienti dall'Ungheria e dalla Polonia, sono state
evidenziate infestazioni di diverse specie di coccidi, tra cui Eimeria hungarica, e di nematodi, tra
cui Trichiuris leporis e Strongyloides papillosus, nel 92% dei soggetti esaminati.
Gli animali importati presentano anche notevoli problemi di adattamento al nuovo ambiente in cui
vengono introdotti, problemi che sono certamente acuiti dalle condizioni in cui si trovano, dopo
permanenze, a volte di mesi, nelle cassette adibite al trasporto; su 200 lepri importate dall'Ungheria
nel 1981, contrassegnate con targhe auricolari e liberate in una zona collinare della provincia di
Pavia, solamente 10 (5%) sono state riprese nei due anni successivi. A volte succede che i soggetti
importati provengano dal Sud America (Argentina) e quindi trovino nei nostri climi problemi
ancora maggiori: infatti vengono liberate da noi in inverno mentre nelle regioni di origine è estate.
Notevoli problemi sorgono anche utilizzando per i ripopolamenti le lepri di allevamento; infatti da
diversi studi condotti in Italia e in Francia, è risultato che la percentuale di ripresa dei soggetti
allevati, non è mai superiore al 12% di quelli immessi. Questo accade sia che le lepri vengano
liberate senza preventivo ambientamento sia che vengano usati recinti di acclimatazione. Le lepri di
allevamento vanno incontro a una fortissima mortalità per predazione da parte di cani e gatti
randagi e di altri predatori naturali.
In ogni caso gli interventi di ripopolamento hanno un successo ridotto: dal 6 al 22% di
sopravvivenza per le lepri di allevamento, dal 15 al 33% per quelle di importazione e dal 30 al 50%
per quelle di cattura locale. In questi intervalli si collocano anche le sopravvivenze accertate per
lepri da ripopolamento delle tre provenienze, marcate con radiocollari e rilasciate nel 1996 in tre
aree protette della provincia di Pavia, caratterizzate da situazioni ambientali differenti.
Interventi sull’ambiente
Per incrementare la densità di queste specie è importante una struttura dell'habitat adeguata ed una
abbondante disponibilità di essenze erbacee verdi; le aree cespugliate appaiono molto importanti
come siti selezionati per il riposo diurno. Per questo motivo gli interventi attuabili a favore della
Lepre sono nei territori di pianura e collina, in pratica, tutti quelli proposti per i galliformi con
particolare attenzione alla conservazione e al ripristino delle coltivazioni di cereali a semina
autunnale. Queste ultime infatti garantiscono per tutto il periodo invernale un'elevata disponibilità
di alimento verde ad alto valore nutritivo. In più sarebbe auspicabile il mantenimento e lo sviluppo
di strisce inerbate ai bordi dei campi che dovrebbero essere sfalciate nella tarda estate in modo che
ritornino ad una nuova fase vegetativa in autunno e in inverno. Per le zone a pascolo occorre dire
che un pascolamento equilibrato è favorevole alla Lepre ma, se il carico diviene eccessivo, la cotica
erbosa viene distrutta e il terreno può essere eroso dal ruscellamento delle acque piovane,
provocando così una minore produttività di alimento anche per la Lepre. E' opportuno comunque
sui pascoli lasciare diversi cespugli sparpagliati che assicurano il rifugio dai predatori e riducono il
disturbo causato dal bestiame.
Da una ricerca condotta nelle ZRC della provincia di Siena dal 1995 al 1996 sull’effetto dei
miglioramenti ambientali sulle popolazioni di lepre è risultato che con un incremento, dal 1995 al
2000, da 6 a 33 ZRC interessate dai miglioramenti di vario tipo, da 13,3 a 377,8 ha di estensione
totale degli interventi e da 9.720 a 269.602 Euro di investimento, è stato ottenuto un aumento della
densità autunnale di lepri dell’86,1% in 5 anni (da 11,5 per km2 nel 1995 a 21,4 nel 2000). I tipi di
miglioramento che hanno avuto maggior effetto sulla densità delle popolazioni sono stati le colture
di cereali a perdere e l’impianto di prati stabili.
Altri interventi
Considerato lo scarso successo dei ripopolamenti effettuati mediante traslocazione delle lepri di
qualunque origine esse siano, è necessario diversificare la gestione della specie per garantire
l’occupazione di tutti i territori idonei e il raggiungimento della capacità portante. Questo obiettivo
può essere perseguito in parte attraverso l’immissione di animali di cattura locale dove si vogliano
ricostituire popolazioni estremamente depauperate dall’attività venatoria e in parte attraverso la
costituzione di una rete di zone protette, non destinate alla cattura, che possano ripopolare i territori
circostanti per emigrazione, una volta raggiunta la capacità portante al loro interno. Le zone protette
per la lepre devono essere, quindi, di due tipi: zone grandi di almeno 1000 ha di superficie in
territori molto idonei, destinate alla produzione per le catture e zone piccole di circa 500 ha che
coprano il resto del territorio a macchia di leopardo, localizzate in aree a media idoneità, e che
colleghino tra loro le zone destinate alla cattura.
6.9) Coniglio selvatico (Oryctolagus cuniculus)
Metodi di monitoraggio
Il monitoraggio delle popolazioni è un’operazione estremamente difficoltosa a causa delle
difficoltà di censimento. Indici di abbondanza possono essere ricavati dal conteggio delle conigliere
e, nelle aree aperte, da censimenti notturni con proiettori alogeni orientabili manualmente. Il
conteggio delle conigliere dà notevoli problemi perché esse sono dotate di diverse aperture e, in
caso di forti densità, sono disposte molto vicine le une alle altre cosicché risulta difficoltoso
distinguerle, col risultato di sottostime notevoli. Un’alternativa è quella di calcolare degli indici
chilometrici di abbondanza (IKA) dal conteggio dei mucchietti di feci, che hanno una funzione di
marcatura territoriale, su percorsi lineari che attraversino i diversi tipi di vegetazione presenti
nell’area da censire. Il censimento notturno deve essere effettuato con le stesse modalità descritte
per la lepre, tenendo conto però che poiché i conigli nelle ore notturne sono in attività anche in zone
cespugliate e con vegetazione erbacea alta e, quindi, non illuminabili, il dato raccolto non
rappresenta una densità assoluta ma un indice che con ogni probabilità è correlato al valore reale di
densità.
I dati raccolti con questi tipi di censimento possono essere utili per stabilire a lungo termine le
tendenza delle popolazioni e per evidenziare fluttuazioni annuali della consistenza, dovute
all’insorgere di malattie epidemiche come ad esempio la mixomatosi.
Per ottenere dati sulla produttività delle popolazioni è necessario provvedere alla raccolta degli
occhi degli animali abbattuti a caccia e alla pesata del cristallino. Il metodo è piuttosto laborioso e
complesso e richiede particolari attrezzature e,quindi, non è praticabile di routine e in modo
generalizzato, però può fornire dati affidabili sulla struttura per età delle popolazioni.
Criteri di stima del prelievo sostenibile
Considerate le difficoltà di censimento delle popolazioni, è praticamente impossibile definire
l’entità del prelievo da esse sostenibile. D'altronde l’impatto dell’attività venatoria sulla specie è
decisamente ridotto se essa viene cacciata normalmente coi cani, perché i conigli si difendono
molto bene, rifugiandosi in tana al minimo accenno di pericolo e rendendo molto aleatorio
l’abbattimento. In base a queste considerazioni e al fatto che la specie in diverse zone di pianura
può arrecare seri danni alle coltivazioni, non si ritiene che la caccia debba basarsi su piani di
abbattimento.
Pianificazione del prelievo
Non si ritiene che per questa specie debba essere adottata una particolare regolamentazione e
pianificazione del prelievo. Per il mantenimento dell’attuale livello numerico delle popolazioni è
sufficiente il divieto di caccia in tana col furetto.
Interventi diretti
Sono assolutamente sconsigliabili le introduzioni di conigli in zone poste al di fuori dell’attuale
areale di distribuzione, a causa dei possibili danni che la specie può arrecare alle coltivazioni. Lo
stesso vale anche per i ripopolamenti dove il coniglio sia già presente, in quanto, anche dopo crolli
numerici come quelli che si verificano al passaggio di epidemie di mixomatosi, la specie è
perfettamente in grado di riprendersi da sola e di ritornare ai livelli numerici originari nel volgere di
pochissimi anni.
Interventi sull’ambiente
Non si ritengono necessari particolari interventi di miglioramento ambientale per favorire la specie.
Altri interventi
Dato che la specie, come si è detto, può causare notevoli danni alle coltivazioni, in particolare ai
vivai di piante, agli impianti di pioppi al primo anno e alle coltivazioni orticole, è necessario
provvedere alla protezione di tali coltivazioni mediante recinzioni, reti di protezione e l’uso di
prodotti repellenti. Qualora i metodi adottati non fossero sufficienti a limitare i danni entro livelli
accettabili e sostenibili, è necessario provvedere alla riduzione numerica delle popolazioni. Questa
operazione può essere effettuata efficacemente da personale specializzato, con l’uso del furetto. In
questi casi il prelievo di contenimento deve essere effettuato su tutto l’arco dell’anno.
6.10) Silvilago (Sylvilagus floridanus)
Il Silvilago o minilepre è specie introdotta in Italia e in provincia di Pisa e come tale può avere
effetti negativi sulle popolazioni di Lagomorfi autoctoni, in particolare sulla Lepre. Gli effetti
negativi possono manifestarsi attraverso competizione per gli stessi habitat di alimentazione e di
rifugio e attraverso la trasmissione di malattie e parassitosi. Per questo motivo è opportuno
monitorare attentamente le popolazioni presenti in provincia, benché la presenza sia ancora limitata,
per evitare l’espansione della specie che in altre regioni Italiane (Piemonte e Lombardia) si sta
diffondendo in modo sempre più rapido.
Metodi di monitoraggio
Il monitoraggio del silvilago può essere attuato efficacemente mediante censimenti notturni come
per la Lepre. Considerate le capacità di rapida espansione della specie appare opportuno effettuare
tali censimenti su percorsi campione che coprano anche le zone dove attualmente il silvilago non è
presente. In alternativa ai censimenti notturni, vista l’elevata contattabilità della specie, possono
essere effettuate osservazioni diurne lungo transetti percorsi in autovettura nelle ore del mattino e
della sera, specialmente in periodo tardo primaverile ed estivo. Un altro metodo efficace per
accertare la presenza della specie e valutare l’eventuale espansione dell’areale è la ricerca dei segni
di presenza e in particolare delle feci che, per la loro dimensione e distribuzione, sono facilmente
distinguibili da quelle della Lepre e del Coniglio selvatico. Il piano di monitoraggio del silvilago in
provincia può essere completato con la distribuzione agli operatori del settore faunistico ed ai
cacciatori di schede di segnalazione in cui registrare tutte osservazioni casuali di individui effettuate
nel corso dell’anno. La mappatura e l’elaborazione delle segnalazioni e dei dati dei censimenti
notturni permetteranno di tenere sotto controllo la specie e di valutarne la dinamica della
distribuzione negli anni.
Metodi di contenimento delle popolazioni
Si ritiene che il metodo più efficace di contenimento delle popolazioni di Silvilago sia il divieto
assoluto di caccia. Questo provvedimento può efficacemente disincentivare i rilasci clandestini e di
conseguenza gli allevamenti non regolarmente registrati e denunciati.
Dove si registrassero, con i censimenti notturni, densità apprezzabili della specie, potrebbe essere
opportuno intervenire con abbattimenti di controllo effettuati da personale di vigilanza e da
operatori opportunamente addestrati.
6.11) Volpe (Vulpes vulpes)
Metodi di monitoraggio
Il monitoraggio delle popolazioni di volpe presenta notevoli difficoltà per le abitudini notturne della
specie e per il suo comportamento elusivo. Peraltro, essendo anch’essa specie sottoposta a controllo,
la valutazione degli effetti degli interventi deve per forza di cose passare attraverso la definizione
della tendenza delle popolazioni.
Per la volpe è praticamente impossibile ottenere dati di densità assoluta se non per aree limitate e
con l’impiego di personale altamente specializzato e di tecniche costose e complesse (radio-
tracking). Occorre quindi puntare sul calcolo di indici d’abbondanza relativi che si possono ottenere
sia con osservazioni dirette degli animali, sia col rilievo dei loro segni di presenza. Vengono di
seguito elencati i metodi più facilmente applicabili per monitorare le popolazioni di volpe su
territori estesi.
1) Conteggio degli escrementi. Gli escrementi di volpe sono facilmente riconoscibili e rinvenibili
sui sentieri e le carrarecce tanto nei boschi quanto nelle aree aperte e coltivate. Il numero di
escrementi rapportato alla lunghezza dell’itinerario percorso costituisce un indice chilometrico
d’abbondanza valido sia per comparare aree diverse, sia per valutare le variazioni d’abbondanza di
anno in anno. Il metodo deve essere applicato predisponendo una serie d’itinerari che siano
rappresentativi delle caratteristiche ambientali della zona che si vuole monitorare e di lunghezza
minima tale da rendere indipendente il valore dell’IKA dalla lunghezza stessa. Prima di iniziare il
monitoraggio i percorsi devono essere ripuliti dagli escrementi vecchi che si sono accumulati nel
tempo. Il periodo migliore per il conteggio degli escrementi è dal tardo inverno alla primavera,
quando più intensa è l’attività di marcatura delle volpi. Il vantaggio di questo metodo, rispetto
all’osservazione diretta, consiste nella possibilità di utilizzarlo anche in ambienti chiusi (boschi e
cespuglieti) e di giorno.
2) Conteggio e osservazione delle tane. Il numero di tane presenti in una zona è proporzionale al
numero di famiglie di volpi che la abitano e può essere utilizzato come indice d’abbondanza
relativa. Il problema è trovare le tane e definirne lo stato, vale a dire se sono abbandonate oppure
utilizzate. Normalmente le località dove le volpi collocano le tane sono ben conosciute da
cacciatori, guardacaccia, agricoltori e operatori del settore faunistico; può essere relativamente
facile, quindi, individuarle perlustrando in inverno le zone idonee, quando la vegetazione non limita
la visibilità. Per ogni tana o sistema di tane, è importante definire se sia stata usata nella passata
stagione riproduttiva. Il numero di tane attive registrato annualmente in una zona delimitata
permette così di definire la tendenza della popolazione.
3) Censimenti notturni. I censimenti notturni permettono di ottenere degli indici chilometrici
d’abbondanza (IKA) che, però, possono esser comparati solo per la stessa zona in anni successivi.
Infatti, le volpi possono essere più o meno visibili e contattabili di notte secondo il tipo di
vegetazione presente e secondo l’habitat che frequentano per la ricerca del cibo. Questi possono
variare da zona a zona non permettendo l’utilizzo dell’IKA, calcolato sugli avvistamenti notturni,
per comparare l’abbondanza in zone diverse per il tipo di uso del suolo e per la distribuzione delle
risorse alimentari (Cavallini 1998).
Controllo numerico
Il controllo numerico delle popolazioni di volpe è problematico per diversi motivi. In primo luogo
l’impatto delle volpi sulle popolazioni di selvaggina non è ben conosciuto e spesso altri predatori su
cui è più difficile effettuare il controllo (p. es. cani e gatti vaganti) hanno un effetto più importante.
Inoltre gli effetti del controllo non sono per niente conosciuti, non tanto per quanto riguarda le
popolazioni di volpe, ma piuttosto sulle densità delle diverse specie di selvaggina; in altre parole
non si sa se l’abbattimento delle volpi provoca un aumento della densità e della produttività delle
specie predate. Infine, in diversi ambienti è difficile se non impossibile attuare un controllo efficace
ed efficiente.
Premesso questo, per il controllo della volpe devono essere assolutamente scartati gli abbattimenti
effettuati con le battute in periodo primaverile, perché causano disturbo alla fauna selvatica, e quelli
in tana, quando sono presenti i cuccioli, per questioni etiche. Le uniche forme di controllo
accettabili sono gli abbattimenti effettuati di notte col faro alogeno e da appostamento, attirando le
volpi con carnai. Tali interventi devono essere effettuati durante l’inverno e devono cessare quando
le volpi entrano in riproduzione e, in particolare, quando iniziano a nascere le cucciolate.
In situazioni normali la predazione della volpe su popolazioni naturali di fasianidi e lagomorfi non
riduce né le densità né la produttività. Invece, la volpe ha un notevole impatto sulla sopravvivenza
degli animali d’allevamento, rilasciati per reintroduzione o ripopolamento. In questi casi le
operazioni di controllo devono essere intensificate nel periodo precedente il rilascio, adottando
contemporaneamente gli opportuni interventi per ridurre la predazione sugli animali immessi.
Opere citate
Cavallini P. 1998. La Volpe. In: Principi e tecniche di gestione faunistico-venatoria (a cura di
Simonetta A.M. e Dessì-Fulgheri F.). Greentime, Bologna, pp. 330-342.
Pandolfi M. e De Marinis A.M. 1998. Avifauna delle zone umide. In: Principi e tecniche di gestione
faunistico-venatoria (a cura di Simonetta A.M. e Dessì-Fulgheri F.). Greentime, Bologna, pp. 275-
298.
Spanò S. 2001. Il punto sulla Beccaccia. Editoriale Olimpia, Firenze, 182 pp.
Spanò S. e Dani M.C. 1998. La Beccaccia. In: Principi e tecniche di gestione faunistico-venatoria (a
cura di Simonetta A.M. e Dessì-Fulgheri F.). Greentime, Bologna, pp. 299-308.
Tavecchia G., Pradel G., Gossmann F., Bastat C., Ferrand Y. e Lebreton J.-D. 2002. Temporal
variation in annual survival probabilità of the Eurasian Woodcock Scolopax rusticola wintering in
France. Wildlife Biology:
CAPITOLO 7
Indicazioni gestionali per alcuni Istituti Faunistico-Venatori
Premessa
La situazione ambientale generale della provincia di Pisa rende possibile pianificare e razionalizzare
la presenza dei diversi tipi di Istituti Faunistico-Venatori (IFV), secondo i modelli e i canoni
comunemente accettati e raccomandati dall’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica (vedi "Primo
documento orientativo sui criteri di omogeneità e congruenza per la pianificazione faunistico-
venatoria" Volume I, INFS) e già sperimentati in altre province italiane. Infatti la notevole
diversificazione del territorio provinciale permette di disegnare i diversi tipi di istituti perseguendo
le loro proprie finalità specifiche e perseguendo lo scopo di ottimizzarne il funzionamento e la
produttività. Un limite può essere individuato nell’elevata antropizzazione delle zone di pianura e
litoranee della parte settentrionale della provincia che può porre seri limiti all’istituzione ed al
funzionamento di alcuni tipi di Istituti Faunistico-Venatori, benché la produttività di questi territori
per la piccola fauna sedentaria e migratrice venga notevolmente sottostimata. Appare, quindi,
opportuno adottare efficaci strategie, adattate alla realtà locale, per la gestione degli IFV previsti
dalla legge 157/92, in modo che questi trovino una loro collocazione funzionale nell’ambito della
gestione faunistico-venatoria complessiva del territorio provinciale.
Vengono di seguito fornite alcune schematiche proposte di gestione per gli Istituti Faunistico-
Venatori previsti dalla legge quadro n. 157 dell'11 febbraio 1992. L'esperienza maturata nel settore
ha permesso, infatti, di rendersi conto di una serie di manchevolezze ed errori nella gestione di
questi istituti, tali da inficiarne gravemente la funzionalità e la produttività.
1) Ambiti Territoriali di Caccia
La gestione faunistico-venatoria deve investire ogni ATC nel suo complesso soprattutto per quelle
specie soggette a spostamenti stagionali e che hanno aree vitali molto vaste. Per raggiungere gli
scopi perseguiti dalla Legge Quadro n. 157 del 1992, la gestione programmata deve stabilire
l'estensione degli ATC, la strutturazione degli organismi preposti, le tecniche di gestione e la
pressione venatoria. Problemi tanto nella programmazione della gestione, quanto nella sua
attuazione sul territorio, possono sorgere quando gli ATC hanno territori troppo vasti che includono
situazioni ambientali molto diversificate. In questi casi risulta molto difficoltoso programmare
efficacemente gli interventi gestionali e distribuire la pressione venatoria in relazione alla
produttività del territorio per le diverse specie di selvaggina cacciabile.
1.1) Individuazione delle Unità di Gestione
E’ comunemente riconosciuto, in base alle esperienze passate che l’estensione massima di una unità
gestionale, per una gestione efficace della fauna, sia di 10-15.000 ha. In presenza di ATC al di sopra
di queste dimensioni è opportuno individuare al loro interno porzioni di territorio, il più possibile
omogenee dal punto di vista ambientale, chiamate Unità di Gestione (UG). Per Unità di Gestione
s’intende la più piccola entità territoriale, omogenea dal punto di vista ambientale, che permette la
gestione unitaria di una popolazione animale o di più popolazioni di specie diverse, assimilabili per
caratteristiche ecologiche.
Le unità di gestione, per essere tali, devono avere alcune caratteristiche fondamentali.
1. Omogeneità ambientale. Devono, cioè, coincidere con quelle che in ecologia del paesaggio
vengono chiamate “Unità di Paesaggio”, vale a dire porzioni di territorio in cui i valori delle
variabili ambientali (tipi di vegetazione, complessità ambientale, orografia, altitudine, clima,
ecc.) sono molto simili ovunque vengano misurati.
2. Confini identificabili. Devono avere, in altre parole, una delimitazione facilmente
individuabile e trasferibile su carte topografiche. Possibilmente i confini devono coincidere
con elementi topografici naturali e visibili (crinali, fondovalle, corsi d’acqua, ecc.), oppure
con strade, oppure ancora con confini amministrativi (p. es. confini comunali).
3. Dimensioni compatibili con popolazioni vitali delle specie. Per popolazione vitale
s’intende una popolazione autosufficiente ad un livello numerico tale da non correre il
rischio d’estinzione per i problemi cui vanno incontro le piccole popolazioni (depressione da
inbreeding, perdita di variabilità genetica, riduzione della natalità e della sopravvivenza). In
relazione alle caratteristiche ambientali, una popolazione può raggiungere densità differenti
e, conseguentemente, una popolazione minima vitale può occupare superfici diverse: più
piccole se l’ambiente sopporta densità elevate, più grandi se l’ambiente sopporta solo
densità basse. La gestione, per essere efficace, deve agire unitariamente sulle popolazioni e,
quindi, non può interessarne solo piccole frazioni che non raggiungono la dimensione
minima vitale.
4. Dimensioni compatibili con una gestione attiva. La gestione faunistico-venatoria deve
comprendere attività che vanno dal monitoraggio delle popolazioni, agli interventi di
sostegno (p. es. miglioramenti ambientali e ripopolamenti), alla programmazione del
prelievo (formulazione dei piani d’abbattimento). E’ ovvio che queste attività abbisognano
del coinvolgimento diretto dei cacciatori, nonché di un’approfondita conoscenza del
territorio e del contatto diretto con gli operatori agricoli. Queste condizioni si possono
verificare solamente con estensioni territoriali appropriate.
La definizione dei confini delle Unità di Gestione può essere effettuata in modo oggettivo sulla base
delle Unità Ambientali Omogenee, utilizzando elementi paesaggistici di rilievo e facilmente
individuabili, oppure mediante i confini amministrativi dei comuni.
1.1) Metodi e tecniche di gestione
L'attività gestionale all’interno degli ATC e delle UG dovrebbe concretizzarsi in alcuni interventi
principali, di seguito elencati.
Censimenti della selvaggina cacciabile. Devono essere effettuati contemporaneamente su tutto il
territorio degli ATC per le specie soggette a considerevoli spostamenti e in periodi ben definiti per
quelle più sedentarie. I censimenti devono essere organizzati a livello delle singole UG. Dove le
condizioni ambientali lo permettono è opportuno procedere a due censimenti annuali di cui uno pre-
riproduttivo (primaverile) ed uno post-riproduttivo (estivo), i cui tempi esatti devono essere definiti
in base alle specie presenti e ai cicli delle lavorazioni agricole.
Pianificazione del prelievo. Deve essere formulato il piano di abbattimento degli ATC, raccogliendo
i dati provenienti dalle singole UG. Il piano di abbattimento deve essere definito per ogni specie e
frazionato per ogni UG in funzione della disponibilità di ambienti idonei alla specie considerata e
dei risultati dei censimenti locali.
Sempre a livello di ATC deve essere esaminata, in seguito ai risultati dei censimenti, la necessità di
sospensione della caccia (per ogni specie) e le limitazioni di tempi e luoghi.
Reintroduzioni e ripopolamenti. Le reintroduzioni di specie vocazionali e, dove necessario, i
ripopolamenti, devono essere organizzati a livello di ATC. Alle UG, il cui territorio ricade nelle
zone prescelte per gli interventi, va affidata l'attuazione dei medesimi (strutture d’ambientamento,
immissioni di animali, protezione e cura degli stessi). Tuttavia la scelta degli animali da utilizzare
non deve essere lasciata all'ATC per evitare disomogeneità o errori, ma deve avvenire su precise
indicazioni dell'Amministrazione Provinciale. Questa può avvalersi di personale tecnico
specializzato per il reperimento dei soggetti migliori.
Istituzione di zone di protezione e produzione. Questi istituti devono essere organizzati a livello di
ATC poiché devono necessariamente coprire superfici vaste e soprattutto ricadere in ambienti
idonei con perimetrazione razionale. Deve essere posta particolare attenzione alle caratteristiche di
vocazionalità del territorio per ciascuna specie. La gestione di queste zone, che hanno un interesse
generale, può però avvenire anche sotto la responsabilità delle singole UG.
Interventi di miglioramento ambientale. Devono essere organizzati all'interno d’ogni UG perché,
attuandosi prevalentemente su terreni privati, è estremamente importante instaurare un rapporto
diretto e costruttivo tra agricoltori e responsabili locali della gestione. A livello di ATC possono
essere fissati i limiti minimi e massimi percentuali di superficie da destinare a tali opere e può
essere indicato il tipo di intervento da effettuarsi in ogni UG a seconda della prevalente
vocazionalità della stessa e della reale necessità e possibilità di incrementare la capacità portante del
territorio per le diverse specie.
Organizzazione della vigilanza. Ogni ATC dovrebbe avere un numero congruo di guardiacaccia che
operino al suo interno, in relazione alla sua estensione. Tale servizio non dovrebbe avere
caratteristiche di volontariato bensì professionali, alle dipendenze dell'Organismo di gestione
dell’ATC. Considerato che un ATC non potrebbe affrontare l'onere economico derivante da diverse
guardie regolarmente stipendiate, dovrebbero essere previsti accordi tra Amministrazioni
provinciali e ATC. In base a tali accordi le Amministrazioni Provinciali potrebbero stanziare un
finanziamento annuo pari al costo dei contributi previdenziali dei dipendenti.
La vigilanza dovrebbe avere un compito di controllo delle attività degli ATC, di consulenza tecnica
e sorveglianza delle zone di protezione e di produzione, in collaborazione con la vigilanza
provinciale.
Pressione venatoria. Deve essere calibrata in funzione delle caratteristiche ambientali di ogni ATC e
della produttività media delle popolazioni di selvaggina, tenendo conto delle differenze di
produttività che esistono per la stessa specie in situazioni ambientali differenti. E' in ogni modo
importante che al cacciatore sia data la possibilità di prelievi annui soddisfacenti.
All'interno dei singoli ATC dovrebbe essere fissato il rapporto cacciatore-territorio in funzione della
produttività delle popolazioni di selvaggina.
Per ogni ATC, inoltre, dovrebbe essere fissato un numero chiuso di cacciatori, garantendo però
l'accettazione di tutti i residenti qualora questi fossero in numero eccedente.
Un ulteriore provvedimento atto a razionalizzare la pressione venatoria, consiste nella
specializzazione del cacciatore. Questa può essere definita per specie e modi di caccia e deve
comunque essere una libera scelta. Le specializzazioni potrebbero essere le seguenti:
1. Caccia alla selvaggina stanziale e migratoria col cane da ferma
2. Caccia alla lepre comune col cane da seguita
3. Caccia al cinghiale col cane da seguita
4. Caccia di selezione agli ungulati
5. Caccia alla selvaggina migratoria da appostamento
I cacciatori potrebbero essere autorizzati a scegliere non più di due tipi di caccia.
2) Zone protette (Zone di Protezione, Oasi di Protezione Zone di Ripopolamento
e Cattura, e Zone di Rispetto Venatorio)
Le zone protette previste dalla Legge quadro 157/92 e dalla Legge regionale 3/94 sono
sostanzialmente di quattro tipi:
1) Zone di protezione. Sono zone protette destinate alla protezione dell’avifauna migratoria e
devono essere collocate lungo le rotte di migrazione individuate dall’Istituto Nazionale per
la Fauna Selvatica.
2) Oasi di protezione. Sono zone protette destinate alla protezione sia della fauna stanziale sia
di quella migratoria; per la prima svolgono anche funzioni di irradiamento nel territorio
destinato alla caccia.
3) Zone di Ripopolamento e Cattura. Sono destinate principalmente alla protezione delle
specie di selvaggina stanziale, con finalità di produzione per traslocazione in territori di
caccia e di irradiamento.
4) Centri pubblici e privati di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale. Sono
Istituti sia pubblici sia privati che hanno come finalità principale la produzione di fauna
autoctona per ricostituzione di popolazioni selvatiche, vale a dire per reintroduzione e/o
ripopolamento.
5) Zone di rispetto venatorio. Sono aree protette, istituite direttamente dagli ATC, che
costituiscono uno dei mezzi per la tutela e l’incremento delle popolazioni di fauna selvatica
e che non necessariamente devono essere considerate nel calcolo della percentuale di
superficie protetta a livello provinciale.
La gestione della fauna selvatica oggetto di prelievo non può limitarsi, per ovvi motivi, alla
creazione di ambiti protetti e quindi ad un tipo di gestione del tutto passiva. L’abbandono delle
attività agricole nelle aree meno produttive, fa sì che l'ambiente diventi, col passare del tempo,
sempre meno idoneo alle specie di piccola selvaggina. Per contro nei territori di pianura
l'intensificazione esasperata della produzione agricola e l’elevata antropizzazione, fanno sì che, per
motivi del tutto opposti ai precedenti, si riduca fortemente la capacità portante del territorio per la
maggior parte delle specie d’interesse venatorio. La gestione degli ambiti protetti e in particolar
modo di quelli destinati alla produzione naturale di selvaggina dovrebbe tendere al mantenimento
delle condizioni ambientali ancora favorevoli alle specie d’interesse venatorio ed eventualmente,
dove è possibile, al ripristino di tali condizioni. Questo appare ancor più importante se si tiene conto
del fatto che le zone protette previste dalla normativa sull’attività venatoria non hanno vincoli
ambientali di nessun tipo e quindi, sotto questo aspetto, non è possibile con la loro istituzione, far
fronte alle modificazioni ambientali negative per la fauna d’interesse venatorio. L’unico modo per
evitare che zone protette già istituite o di nuova istituzione divengano man mano più inospitali per
la selvaggina è quello di pianificare accuratamente gli interventi gestionali per garantire, almeno, il
mantenimento dell’attuale capacità portante per le diverse specie e popolazioni.
Nella pianificazione degli interventi diretti ed indiretti volti all'incremento delle popolazioni delle
specie oggetto della gestione va tenuto conto della produttività e dell'efficacia degli interventi stessi
e, quindi, della loro economicità.
Per quanto riguarda il disegno e l’estensione dei diversi tipi di zone protette, occorre considerare, in
primo luogo, la loro specifica finalità e secondariamente la possibilità di coprire il territorio con una
rete di zone protette a macchia di leopardo dei diversi tipi previsti, anche in considerazione delle
percentuali minime e massime di territorio protetto previste dalla Legge regionale 3/94. Fermo
restando che le Zone di Protezione devono obbligatoriamente essere collocate lungo le rotte
migratorie ufficialmente individuate dall’INFS, il resto del territorio può essere coperto alternando
ambiti protetti medio-grandi (1000-2000 ha circa), costituiti da Zone di Ripopolamento e Cattura, a
Oasi di Protezione e Zone di Rispetto Venatorio di piccole dimensioni (300-500 ha). Nelle ZRC
sarà perseguito lo sviluppo di popolazioni naturali da cui prelevare (previ censimenti) una parte
degli individui da destinare a porzioni di territorio impoverite dall’attività venatoria, mentre nelle
Oasi e nelle ZRV sarà favorito il ripopolamento tramite irradiamento. Le ZRV, in particolare,
potranno essere utilizzate per l’acclimatazione di selvaggina da ripopolamento allevata in cattività,
riducendone la mortalità da ambientamento e rendendo più efficaci i ripopolamenti. Questo disegno
è molto valido soprattutto per territori intensamente coltivati, dove sono rare le zone di estensione
maggiore ai 300-500 ha in cui le caratteristiche dell’ambiente siano favorevoli alle popolazioni di
piccola selvaggina e per le zone collinari dove si assiste all’incremento delle formazioni forestali e
dove le aree coltivate hanno subito negli ultimi decenni una drastica riduzione.
E' possibile suddividere gli interventi gestionali da programmarsi nelle zone protette in interventi
ordinari e interventi straordinari. Tra i primi si possono enumerare i conteggi della selvaggina
(censimenti), i foraggiamenti, i miglioramenti ambientali, le catture e la vigilanza.
Tra gli interventi straordinari possiamo invece individuare il controllo numerico delle specie
dannose alle attività antropiche, le immissioni, la costruzione di strutture d’ambientamento e la
ricerca scientifica sulle specie oggetto di prelievo e no.
2.1) Interventi ordinari
Censimenti
Da esperienze precedentemente fatte sulle zone protette in diverse province italiane risulta di grande
importanza monitorare costantemente l'evoluzione e lo sviluppo numerico delle popolazioni di
selvaggina. Soprattutto nel caso di ambiti protetti di nuova istituzione, i conteggi permettono di
stabilire se le popolazioni si accrescono con la velocità attesa, se si mantengono stabili oppure se
arrivano ad una fase di declino e, conseguentemente, permettono verifiche sull'idoneità del territorio
ad ospitare popolazioni autosufficienti ed in buona salute delle specie per cui la protezione è stata
istituita.
Nel caso, poi, delle Zone di Ripopolamento e Cattura e dei Centri di riproduzione della fauna
selvatica, i censimenti permettono di valutare la possibilità di prelievo e di trasferimento degli
animali in relazione alla dimensione delle popolazioni ed ai loro tassi di incremento e mortalità.
In ogni zona protetta devono essere effettuati due censimenti all'anno: uno prima della stagione
riproduttiva e uno al termine di questa, in autunno. Dai valori di densità e consistenza primaverile e
autunnale ottenuti è possibile calcolare l'incremento annuo delle popolazioni e la mortalità invernale
e, quindi, stabilire l'entità del prelievo sostenibile dalle popolazioni.
I censimenti permettono, inoltre, di valutare l'effetto di eventi negativi ed accidentali sulle
popolazioni e di programmare di conseguenza il ripristino delle consistenze originarie con
immissioni.
Tenendo sotto controllo l'andamento delle popolazioni è anche possibile valutare con precisione
l'effetto, positivo o negativo, di altri interventi gestionali e quindi, determinarne l'efficacia in
relazione ai costi.
I censimenti possono essere effettuati secondo diversi metodi che devono essere di volta in volta
scelti in relazione alla specie da censire, alle caratteristiche ambientali delle zone protette e al
periodo dell'anno.
I conteggi devono essere programmati e condotti da esperti del settore, coadiuvati dalle guardie
provinciali e degli ATC e con la partecipazione dei cacciatori e di quanti, teoricamente ed in pratica,
sono interessati alla fauna selvatica.
Foraggiamenti
Per alcune specie e in particolari condizioni ambientali, può essere opportuno procedere alla
somministrazione periodica di alimenti aggiuntivi. Lo scopo di questo tipo di intervento è quello di
ridurre la mortalità causata dalla deficienza di una adeguata disponibilità alimentare e, perciò, è un
intervento da effettuarsi soprattutto nelle Zone di Ripopolamento e Cattura, per aumentare le
possibilità di prelievo sulle popolazioni ed, eventualmente, anche in Oasi di Protezione e Zone di
Rispetto Venatorio su popolazioni seriamente minacciate. Il periodo in cui effettuare i
foraggiamenti è naturalmente il periodo limitante in quanto ad offerta alimentare, cioè l'inverno, e il
foraggiamento dovrà essere tanto più prolungato tanto più permanenti sono le condizioni climatiche
negative (innevamento e gelo).
Il foraggiamento invernale è risultato molto efficace su specie sensibili alle carenze alimentari
invernali quali la Starna, il Fagiano e la Pernice rossa. Le modalità di somministrazione di cibo
supplementare dovranno essere valutate e decise caso per caso, avendo cura, comunque, di non
provocare eccessive concentrazioni di animali che potrebbero causare una più intensa attività
predatoria. In particolare i punti di foraggiamento devono essere collocati in modo che non siano
visibili, per evitare azioni di bracconaggio, ma devono essere facilmente raggiungibili per garantire
il rifornimento con qualunque condizione.
Il foraggiamento invernale sembra avere effetti positivi anche sulla produttività, in particolare delle
specie di Galliformi, in quanto le femmine, in migliori condizioni fisiche, hanno un successo
riproduttivo maggiore, producendo uova di migliore qualità da cui nascono pulcini con probabilità
di sopravvivenza più elevate. Durante una reintroduzione di starne e pernici rosse in provincia di
Siena è stato verificato che gli effetti del foraggiamento cominciano a essere sensibili con almeno
cinque punti d’alimentazione ogni 100 ha.
Miglioramenti ambientali
Nelle fasce di pianura e di collina intensamente coltivata di prioritaria importanza, soprattutto
all’interno di zone protette, sono gli interventi tesi a diversificare l’ambiente e a fornire possibilità
di rifugio e alimentazione alle specie di piccola selvaggina. Allora, per rompere i blocchi di
monocolture, è importante ricostituire piccole zone a vegetazione naturale o filari e siepi stratificate
a divisione degli appezzamenti. Altro intervento importante per favorire le popolazioni di fauna
stanziale è quello della predisposizione, all’interno dei campi, di strisce in cui non venga effettuato
il raccolto, garantendo anche in questo modo rifugio e alimentazione.
Per la porzione collinare meno coltivata della provincia, il problema si presenta in modo
esattamente opposto. Infatti, le zone ancora coltivate sono in questa fascia altimetrica molto ridotte
e, tra queste, ancor meno sono le aree destinate alle coltivazioni a rotazione (cereali e foraggiere).
D'altra parte l'importanza delle coltivazioni per le specie di piccola selvaggina (Galliformi e
Lagomorfi) è stata evidenziata da moltissime ricerche scientifiche su questo argomento. Si ritiene,
perciò, che sia della massima importanza intervenire all'interno delle zone protette, coltivando i
terreni attualmente abbandonati e ripristinando così, almeno parzialmente, le condizioni di diversità
ambientale e di produttività primaria del territorio che hanno favorito lo sviluppo delle popolazioni
di piccola selvaggina fino alla metà di questo secolo.
In particolare dovranno essere coltivati, tra i cereali, frumento ed orzo e, tra le foraggiere, erba
medica e trifoglio. Occorre inoltre che i metodi di lavorazione siano quelli tradizionali con arature,
semina, concimazioni e i tempi di raccolta siano programmati in modo da non causare perdite di
nidi, uova e giovani nati. Per quanto riguarda i cereali, dopo la mietitura, le stoppie dovranno essere
lasciate per tutta l’estate, fino al momento della successiva semina; gli appezzamenti coltivati a
foraggiere, dovranno essere periodicamente tagliati per garantire una buona qualità di foraggio per
le lepri.
Catture
Il prelievo tramite cattura può essere effettuato solamente all'interno delle Zone di Ripopolamento e
Cattura e dei Centri di Riproduzione della Fauna Selvatica ed eventualmente nelle Zone di Rispetto
Venatorio, ed ha come scopo il trasferimento degli individui catturati ad altre zone sia per
ripopolamento sia per reintroduzione. E' di fondamentale importanza che le catture vengano fatte
solamente quando le popolazioni sono sviluppate a tal punto da non risentire dell'asportazione di un
certo numero di animali. Per questo motivo non è possibile o, comunque, può risultare fortemente
negativo, programmare catture senza avere a disposizione i dati dei censimenti.
Sia la decisione se effettuare o no catture, sia l'entità di queste debbono dipendere strettamente dai
risultati dei censimenti. In particolare il prelievo non deve mai superare l'incremento utile annuo
dato dalla differenza tra incremento annuo e mortalità invernale.
E' altrettanto importante che le catture vengano effettuate in modo da non agire sulla popolazione
riproduttiva. Per questo motivo è bene che l'attività di cattura sia prevista sempre all'inizio del
periodo invernale e che termini al massimo alla fine del mese di gennaio.
Così facendo verranno catturati, presumibilmente, buona parte degli individui in sovrappiù della
popolazione, quelli cioè che in ogni caso si perderebbero prima dell'inizio della stagione
riproduttiva.
I metodi di cattura utilizzabili dipendono dalla specie e dalle caratteristiche delle zone in cui si
opera. In generale per i Galliformi è bene utilizzare delle gabbie trappola a nassa previo adeguato
foraggiamento. Per le lepri il metodo che dà i migliori risultati è quello della cattura con reti a
tremaglio nelle quali gli animali vengono spinti dai battitori.
Vigilanza
L'attività di vigilanza è uno degli interventi di routine più importanti della gestione delle zone
protette. Se la vigilanza non è efficace tutti gli altri interventi vengono vanificati. Considerata
l'estensione notevole che la maggior parte delle zone protette deve avere e il numero non elevato di
queste l'organizzazione più efficace potrebbe prevedere un numero variabile da 1 a 2 guardie fisse
per ogni zona protetta con l'eventualità di affidare anche 2 o 3 zone di piccole dimensioni ad una
coppia di guardie.
La vigilanza dovrebbe essere completamente a carico delle guardie dipendenti
dall'Amministrazione Provinciale, le quali potrebbero fare affidamento, in casi particolari, su
guardie venatorie volontarie, guardie ecologiche, guardie degli ATC e anche cacciatori. La o le
guardie devono essere completamente responsabili di quanto avviene nella zona protetta loro
assegnata e devono occuparsi della programmazione e dell'attuazione di tutti gli interventi
gestionali previsti. Un’alternativa è quella di affidare la vigilanza delle zone protette ad operatori
specializzati dipendenti dagli ATC, evitando, comunque che un compito così delicato venga svolto
da volontari, non sufficientemente preparati sul piano tecnico.
Deve essere inoltre previsto, data la responsabilità degli addetti, un premio di produttività che sia
determinato sulla base dei risultati dei censimenti (almeno 2 all’anno) e delle catture effettuate.
2.2) Interventi straordinari
Controllo numerico di specie dannose
Con l'istituzione di zone protette, di qualunque tipo esse siano, possono verificarsi vere e proprie
esplosioni numeriche di specie che esulano dagli obiettivi di protezione e che ad alte densità
causano notevoli danni, soprattutto alle attività agricole. Alcune specie inoltre possono avere
un'influenza negativa su altre che si vogliono salvaguardare. Questi improvvisi incrementi sono
causati dalla cessazione di ogni tipo di attività venatoria e dallo spostamento e concentrazione degli
animali all'interno delle zone protette dove non sono disturbati. Il fenomeno può essere tanto più
grave quanto più estese sono le zone protette. Una specie per la quale sono state verificate queste
modalità di occupazione e colonizzazione degli ambiti protetti è il Cinghiale che allo stesso tempo è
quella che ha il maggior impatto sulle attività agricole e che può entrare in forte competizione con
specie più sensibili come il Capriolo.
Per questi motivi, qualora si sia accertato, attraverso i censimenti, un innalzamento dei livelli delle
popolazioni, è bene intervenire, con prelievi mirati, per prevenire l'esplosione numerica della
specie. Tale tipo di intervento può essere anche effettuato in base alle richieste degli agricoltori,
quando vengano accertati reali e consistenti danneggiamenti alle coltivazioni.
Le operazioni di prelievo dovrebbero essere effettuate avendo cura di causare il minimo disturbo
possibile alle altre specie di selvaggina; per questo motivo sarebbe preferibile utilizzare, al posto
delle battute con cani da seguita, l'abbattimento da postazioni fisse (altane) localizzate in siti di
consueta frequentazione da parte dei cinghiali e dove, in più, gli animali vengono attirati, nei
periodi di scarsità alimentare, con appositi foraggiamenti.
Gli abbattimenti dovrebbero essere condotti principalmente dalle guardie dell'Amministrazione
Provinciale, eventualmente coadiuvate dai cacciatori degli ATC interessati da ogni zona protetta. La
scelta degli animali da abbattere dovrà inoltre rispondere, oltre alla necessità di riduzione numerica,
anche a criteri selettivi per non incorrere in problemi di destrutturazione delle popolazioni e per
attuare più efficacemente il controllo e la riduzione delle popolazioni, incidendo sulle classi d’età
più produttive.
Immissioni
Le immissioni all’interno delle zone protette possono essere sostanzialmente di due tipi:
� Reintroduzioni. Si definisce reintroduzione l’immissione di individui di una specie autoctona
presente in tempi storici recenti e attualmente estinta, o localmente o sull’intero areale di
distribuzione.
� Ripopolamenti: Si definisce ripopolamento l’immissione di individui di una specie autoctona
ancora localmente presente ma con livelli di popolazione molto bassi.
Le immissioni all’interno delle zone protette devono essere effettuate solamente per quelle specie
per le quali il territorio è definito idoneo sulla base delle risultanze della carta delle vocazioni
faunistiche (o carta delle potenzialità faunistiche).
Tutti i tipi di zone protette possono in teoria essere utilizzati per le reintroduzioni, ma, considerato
che perché queste operazioni abbiano successo sono necessarie superfici protette di dimensioni
medio-grandi, le ZRC e i Centri Pubblici di Riproduzione della Fauna Selvatica sono da
considerarsi le zone protette più adatte allo scopo. Per quanto riguarda i ripopolamenti, se il loro
scopo è quello di ristabilire densità ottimali per popolazioni in declino, allora possono essere
effettuati in tutti i tipi di zone protette; in particolare in quelle di nuova o recentissima istituzione,
per raggiungere rapidamente consistenze pari alla capacità portante del territorio. Al contrario, se il
ripopolamento è un’operazione di routine che serve a ripopolare il territorio destinato all’attività
venatoria, per questo scopo possono essere destinate le ZRV di piccole dimensioni che
funzionerebbero, in questo caso, come aree d’ambientamento per la selvaggina allevata.
Le immissioni nelle zone protette possono essere effettuate con animali selvatici traslocati da altre
zone protette dove le popolazioni sono più abbondanti, oppure con individui allevati. In
quest’ultimo caso, è necessario, per aumentare la sopravvivenza e ridurre la dispersione, che ogni
zona protetta sia dotata di almeno una struttura d’ambientamento, preferibilmente un recinto a cielo
aperto di 1-2 ha contenente voliere coperte da rete di nylon. Nel caso di immissioni di lepri
d’allevamento, i recinti d’ambientamento devono essere di dimensioni maggiori.
La costruzione di strutture di ambientamento (voliere, recinti, ecc.) è un supporto assolutamente
necessario per garantire il successo delle immissioni, attraverso una riduzione della mortalità da
ambientamento e della dispersione, cui tipicamente vanno incontro gli animali immessi in zone a
loro sconosciute.
Queste strutture vanno costruite e posizionate sotto la guida di esperti in modo che rispondano a
tutti i requisiti di sicurezza, efficienza ed economicità. Le strutture di ambientamento vanno inoltre
sorvegliate strettamente dal personale di vigilanza destinato alla zona protetta in modo da prevenire
atti di bracconaggio e vandalismo e distruzioni dovute a cani e gatti randagi.
Ricerca scientifica
Una delle principali attività da promuovere all'interno degli ambiti protetti è la ricerca scientifica
sulla selvaggina. L'acquisizione di conoscenze sulla biologia della selvaggina è ancora più
importante in Italia dove vi è una notevole carenza di tale tipo di studi. La ricerca scientifica
dovrebbe essere indirizzata ad argomenti di tipo autoecologico e sinecologico per fornire una base
oggettiva alle attività gestionali.
Gli studi da privilegiare dovrebbero essere quelli inerenti la dinamica di popolazione, le preferenze
di habitat, la competizione tra specie coesistenti e i rapporti prede-predatori. Le zone protette,
specie se di buona estensione, permettono di avere a disposizione territori di studio dove viene
eliminata una delle più importanti e non quantificabili variabili che incidono sulle popolazioni di
selvaggina: la caccia. Inoltre nelle zone protette è possibile avere il fondamentale supporto del
personale di vigilanza che direttamente può raccogliere in modo continuativo una serie di dati molto
utili nelle fasi di approfondimento delle ricerche.
2.3) Caratteristiche
Le zone protette di ogni tipo devono presentare:
- Ambiente idoneo secondo la specie da produrre nel caso delle ZRC e dei Centri o da proteggere
nel caso delle Zone di Protezione, Oasi e delle Zone di Rispetto Venatorio e diversità ambientale
elevata;
- Antropizzazione scarsa, rete stradale e viabilità interna ridotta;
- Confini razionali, possibilmente impostati su strade o corsi d'acqua o altri elementi geografici di
rilievo;
- Se si tratta di zone protette finalizzate alla produzione di selvaggina per la cattura e la
traslocazione, l’estensione non dovrebbe essere inferiore ai 1000 ha. Se si tratta di Zone di
Protezione, Oasi di Protezione o di Zone di Rispetto Venatorio, sono utili anche superfici inferiori
perché la finalità non è quella della produzione. Per ricostituire o salvaguardare popolazioni di
Starna e Pernice rossa le dimensioni minime vanno aumentate a 1500 ha e le zone protette vanno
previste ad una distanza tale da garantire gli scambi tra i nuclei di popolazione.
3) Aziende Faunistico-Venatorie
E' proprio in questo tipo d’istituto che si verificano usualmente le inadempienze più gravi e gli
errori più marcati nella gestione, che spesso coinvolgono e vanificano gli altri interventi di gestione
venatoria complessiva. Pertanto si suggeriscono le seguenti disposizioni:
1) revoca delle Aziende che non si attengono alle disposizioni di legge;
2) controlli (a sorpresa) per verifiche di consistenza e gestione;
3) revisione delle caratteristiche di idoneità ambientale, secondo quanto previsto dalla legge;
4) divieto di abbattimento della Pernice rossa e della Starna;
5) commisurato numero di guardie per unità di superficie;
6) accertamenti rigorosi sulla professionalità delle guardie, che devono aver seguito corsi di
preparazione e di aggiornamento;
7) controllo sugli eventuali ripopolamenti e divieto assoluto dei ripopolamenti effettuati durante la
stagione venatoria;
8) censimenti condotti da esperti incaricati dall'Amministrazione Provinciale.
Inoltre la concessione di un'Azienda Faunistico-Venatoria dovrebbe essere subordinata
all'approvazione di un vero proprio Piano di Sviluppo e Riqualificazione Faunistica (PSRF)
dell'Azienda stessa che contenga gli obbiettivi di gestione da conseguire nell'arco di tempo di 5 anni
dall'inizio dell'attività e che, trascorso questo periodo, deve essere aggiornato ogni 3 anni. Il PSRF
deve essere redatto da professionisti esperti in gestione della fauna oggetto di caccia, laureati in
Scienze Biologiche o Naturali o che abbiano conseguito una specializzazione post-laurea in
gestione della fauna e deve prevedere:
a) Catasto dei terreni da includere nella AFV
b) Rilievo completo in scala 1:10.000 della vegetazione naturale e coltivata su base fitosociologica
e strutturale
c) Elenco delle principali specie di uccelli e mammiferi di interesse venatorio e non, presenti
nell'area con dati di densità e di abbondanza
d) Individuazione della o delle specie principalmente oggetto della gestione e di quelle di interesse
secondario
e) Programma di interventi a favore delle specie principali di interesse venatorio
f) Programma di protezione delle specie di interesse per la conservazione eventualmente presenti
Le specie di cui al punto d) vanno individuate sulla base delle indicazioni emergenti dal Piano
Faunistico-Venatorio provinciale ed in particolare dalla Carta delle Vocazioni Faunistiche del
Piano.
Il programma di cui al punto e) dovrà prevedere:
- programma di miglioramenti ambientali per singola specie o per gruppi di specie
- programma delle immissioni per le specie per le quali si rendono necessarie
- previsione delle strutture di ambientamento per le immissioni
- programma dei foraggiamenti
- programmazione dei prelievi per ogni specie con previsioni dettagliate dell'influenza dei prelievi
stessi sulla tendenza delle popolazioni
- censimento e programma di controllo dei predatori, in particolare cani e gatti randagi e
rinselvatichiti.
Inoltre ogni anno l'AFV dovrà inoltrare all’Amministrazione Provinciale, in tempo utile per
l'approvazione, una relazione tecnica contenente i risultati dei censimenti effettuati (primaverile e di
fine estate) e il piano di prelievo o piano di abbattimento.
Nel particolare, la gestione delle diverse specie di selvaggina, all'interno delle AFV, dovrà avvenire
con modalità concordate con l'Amministrazione Provinciale e seguendo le indicazioni contenute nel
Piano Faunistico-Venatorio nella parte riguardante le proposte gestionali delle singole specie.
Perché le AFV abbiano una funzione pubblica, è bene che venga concessa l'autorizzazione al
prelievo per una sola specie di selvaggina stanziale tra quelle vocazionali per il loro territorio,1 e
che venga esercitata una gestione attiva su tutte quelle possibili per favorire l'incremento delle
popolazioni. Per le specie da reintrodurre (es. Pernice rossa e Starna) l'AFV potrà ricevere incentivi
economici da parte dell'Amministrazione Provinciale che coprano in tutto o in parte i costi delle
operazioni di reintroduzione sul proprio territorio, seguendo le indicazioni tecniche
dell'Amministrazione Provinciale, soprattutto per quanto riguarda l'acquisto dei soggetti da
immettere e la costruzione delle strutture di ambientamento.
Per quanto riguarda le immissioni, queste dovranno essere indirizzate esclusivamente al
miglioramento di situazioni faunistiche molto degradate, vale a dire che potranno essere attuate con
scopi di reintroduzione o di rapido ripristino di consistenze in equilibrio con la capacità portante
dell'ambiente. Dovranno quindi avere un carattere di occasionalità, limitatamente al periodo di
tempo necessario per la ricostituzione di popolazioni stabili e autosufficientii. Da evitarsi nel modo
più assoluto sono gli interventi di ripopolamento a cadenza annuale o stagionale o addirittura
mensile o giornaliera, mirati ad incrementare le possibilità di prelievo.
4) Aziende Agroturistico-Venatorie
Contrariamente a quanto indicato per le Aziende Faunistico-Venatorie, per questo tipo di Istituto
previsto dalla vigente normativa si rende necessario prevedere un approccio più consumistico per la
gestione della fauna oggetto di caccia. In quest'ottica la naturale potenzialità faunistica del territorio
deve essere incrementata con opportune immissioni a scopo di ripopolamento artificiale, con
cadenza rutinaria volte ad assecondare l'esigenze del consumo venatorio.
Come principali caratteristiche le Aziende Agroturistico-Venatorie dovrebbero:
1) Avere un’estensione limitata (massimo 200 ha)
2) Insistere sui territori di scarso valore faunistico e ambientale
3) Non occupare porzioni di aree ad elevata vocazione per la Starna e per la Pernice rossa
4) Ricadere in zone agricole marginali
5) Non avere al loro interno emergenze naturalistiche in genere
L'attività venatoria dovrebbe essere comunque indirizzata solamente sul Fagiano avendo cura di
evitare che le immissioni continue di soggetti di allevamento possano causare concentrazioni di
predatori dannose anche ad altre specie di maggiore interesse naturalistico e cinegetico.
La domanda di concessione delle AAV dovrà essere accompagnata da una sintetica relazione
tecnica comprendente:
a) Catasto dei terreni da includere
b) Rilievo completo dell'uso del suolo in scala 1:10 000
c) Elenco delle principali specie di uccelli e mammiferi presenti nell'area
d) Programma annuale dei ripopolamenti e degli abbattimenti
e) Indicazioni sul reperimento dei soggetti da ripopolamento con descrizione delle strutture
d’allevamento se prodotti in loco
f) Programma degli interventi atti ad evitare lo sviluppo innaturale delle popolazioni di predatori e
la loro concentrazione nell'area
5) Centri pubblici e privati di riproduzione della fauna selvatica allo stato
naturale
Centri pubblici
Questo tipo di istituti faunistico-venatori sono per legge delle zone protette in cui è possibile
esercitare un prelievo tramite cattura di soggetti presenti che si sono riprodotti allo stato naturale
(vedi "Primo documento orientativo sui criteri di omogeneità e congruenza per la pianificazione
faunistico-venatoria" Volume I, INFS).
Di fatto le funzioni di queste zone non si discostano molto da quelle delle Zone di Ripopolamento e
Cattura e, quindi, per questi valgono le indicazioni gestionali già espresse a proposito delle ZRC.
L'unica lieve differenza è che la funzione di riproduzione della fauna allo stato naturale può essere
raggiunta anche attuando immissioni a fini di reintroduzione e quindi di ricostituzione di
popolazioni selvatiche di specie un tempo presenti sul territorio ed ora scomparse. Analoga
funzione si può ottenere, proprio per le ZRC adottando tutta una serie di interventi gestionali (vedi
"Zone protette") atti ad incrementare la produttività delle popolazioni naturali già esistenti e a creare
la possibilità di prelievo a scopo di immissione in altri territori. Si ritiene che per differenziare il
ruolo della gestione venatoria dei due tipi di zone (Centri pubblici e ZRC), sarebbe opportuno
utilizzare i Centri pubblici di riproduzione della fauna selvatica come aree sperimentali per la messa
a punto di metodi e tecniche di immissione, per la verifica dell'efficacia dei miglioramenti
ambientali e quindi, in sintesi, per sperimentare diversi metodi di conduzione delle zone protette a
fini faunistici.
Centri privati
Per quanto riguarda i Centri privati è possibile individuare come scopo principale di questi istituti,
quello di creare le possibilità per un reddito aggiuntivo dei terreni agricoli e forestali, attraverso la
produzione e la vendita di soggetti vivi e selvatici da destinarsi al ripopolamento o meglio alla
reintroduzione. La riproduzione allo stato naturale esclude, di fatto, la possibilità di creare
concentrazioni innaturali in aree recintate a meno che i recinti non siano di vaste dimensioni (1000-
2000 ha) e abbiano il solo scopo di impedire una eccessiva dispersione che ridurrebbe di molto le
possibilità di prelievo e quindi vanificherebbe ogni possibilità di reddito del terreno.
Si ritiene che il miglior utilizzo dei Centri privati di riproduzione della fauna selvatica sia la
produzione su vaste aree di ungulati e di lepri da destinarsi alla reintroduzione.
6) Aree addestramento cani
In merito alle Aree Addestramento Cani (AAC) la legge regionale 3/94 dà la possibilità di due tipi
di zone classificati in base alla possibilità o meno di abbattimento.
Le AAC con possibilità di abbattimento, non pongono particolari problemi gestionali a patto che
siano di dimensioni contenute (massimo 50 ha) e che la specie sulla quale si esercita l'attività di
addestramento sia la sola Quaglia allevata. Queste zone potrebbero anche essere aperte tutto l'anno.
Le aree di addestramento su selvaggina naturale, invece necessitano di rigorosi indirizzi gestionali
che permettano di mantenere al loro interno popolazioni naturali di selvaggina stanziale. I fattori
che più di altri incidono negativamente sulle capacità di accoglimento delle Aree Addestramento
Cani sono i seguenti:
1) Estensione limitata
2) Carico eccessivo di cani e relativi conduttori
3) Immissioni ripetute di selvaggina allevata
4) Tempi di addestramento troppo dilatati.
L'estensione deve essere nell'ordine di un migliaio di ettari e più, quando la legge lo permetta.
Un'estensione troppo ridotta causerebbe un turnover troppo rapido di cani e conduttori con un
eccessivo disturbo per la selvaggina che sarebbe indotta inevitabilmente ad abbandonare il sito.
Occorre tenere presente che un turno di addestramento dovrebbe durare almeno 1 ora ed insistere
nel caso di 1 o 2 cani da ferma o da cerca su un territorio di almeno 200 ha. Nell'arco di mezza
giornata non è possibile prevedere più di due turni ogni 200 ha di zona. Se la zona di addestramento
fosse di 1000 ha, in una giornata intera sarebbe possibile ospitare 10 turni. Un carico maggiore
causerebbe un disturbo insostenibile alla selvaggina.
Nel caso di cani da seguita che vengono addestrati in muta l'estensione necessaria per ogni turno
dovrebbe essere di almeno 500 ha con due turni giornalieri, uno al mattino e uno al pomeriggio.
Le immissioni di selvaggina allevata che vengono continuativamente fatte per incrementare le
possibilità di fruizione delle aree di addestramento cani, di fatto provocano l'allontanamento degli
individui selvatici per l'eccessivo disturbo e per l'incremento artificiale della densità, aumentano il
carico di predatori presenti in zona e creano le premesse per la trasmissione di malattie parassitarie
e non. Inoltre l'addestramento fatto su selvaggina allevata ha uno scarso valore e spesso è
controproducente in quanto induce il cane alla scorrettezza e ad incontri troppo facili che non
accrescono la sua esperienza di cacciatore.
L'addestramento su selvaggina naturale dovrebbe assolutamente essere evitato nei periodi
antecedenti, durante e dopo la riproduzione per non causare spostamenti innaturali dei riproduttori e
mortalità nei giovani. Di fatto i periodi nei quali si può operare senza provocare danno sono per la
piccola selvaggina dall'inizio di febbraio alla fine di marzo e dalla metà di luglio fino all'apertura
della caccia. Durante questi periodi l'addestramento deve essere sospeso per almeno due giornate
alla settimana.
Per quanto riguarda la morfologia dei territori da destinarsi a zone addestramento cani su selvaggina
naturale occorre tenere presente diverse esigenze e distinguere tra cani da ferma o da cerca e cani da
seguita. Per i primi occorrono terreni soprattutto scoperti con vegetazione erbacea e cespugliare in
vaste estensioni inframmezzate da piccoli boschi. Per le diverse razze di segugi invece è opportuno
scegliere terreni accidentati con valli anche profonde e per la maggior parte boscati.
Per quanto riguarda le zone senza abbattimento destinate ai cani da ferma, esse potrebbero essere
distinte in due tipi ulteriori: zone da destinarsi solamente alle gare classiche su starna e zone per
l’addestramento vero e proprio, oltre che per gare di caccia pratica senza sparo su altra selvaggina
stanziale (sostanzialmente fagiano).
Le prime dovrebbero essere individuate nei territori vocazionali alla Starna ed essere gestite da
associazioni cinofile sotto il controllo dell’Amministrazione provinciale. In particolare
l’associazione cinofila a cui sarà affidata la gestione dovrebbe farsi carico del servizio di
sorveglianza (un operatore a tempo pieno regolarmente stipendiato), degli interventi di
reintroduzione della Starna, compreso l’acquisto degli animali e la costruzione delle strutture di
ambientamento, e dei miglioramenti ambientali.
CAPITOLO 8
Proposte per l’individuazione dei territori da dest inarsi a zone protette
METODI
L'individuazione dei territori da destinarsi alle zone protette è stata effettuata sulla base delle
vocazioni faunistiche per le principali specie di piccola selvaggina.
Sono stati definiti dei gruppi di Unità di Campionamento in cui l'idoneità del territorio fosse elevata
considerando globalmente l'idoneità per le specie di cui sopra, vale a dire in cui il punteggio
derivante dalla sommatoria delle singole classi di idoneità fosse il più elevato. In pratica è stato
calcolato per ogni UC un punteggio corrispondente all’idoneità ambientale globale per tutte le
specie considerate. Le aree protette andranno perciò disegnate dove si concentrano le UC con
punteggio di idoneità complessivo più elevato.
Un’analisi a parte è stata prevista per la starna e la pernice rossa, specie in pericolo di estinzione,
per le quali sono state individuate le UC a maggiore idoneità per entrambe le specie che dovranno
essere incluse nelle aree protette appositamente istituite per l'effettuazione di operazioni di
reintroduzione delle due specie.
In aggiunta, è stata effettuata anche un’analisi dell’idoneità del territorio delle zone protette (Oasi e
ZRC) in corso di istituzione o già istituite dall’Amministrazione provinciale per la piccola
selvaggina e, separatamente, per la starna e la pernice rossa, sovrapponendo il layer dei confini di
tali zone a quello dell’idoneità ambientale complessiva.
RISULTATI
Le aree idonee alla localizzazione di zone di protezione per la piccola selvaggina stanziale sono
risultate distribuite in modo non omogeneo sul territorio provinciale (Fig. 8.1).
Fig. 8.1 – Punteggio di idoneità ambientale globale per le diverse specie di piccola selvaggina
Esse sono risultate maggiormente concentrate nella porzione centro-orientale della provincia lungo
le vallate principali. Oltre il 31% delle UC sono risultate con un buon livello di idoneità
complessiva (≥ 4); l’ATC che contiene una maggiore porzione di territorio con idoneità
complessiva buona è l’ATC 15 con il 39,8 % di UC con punteggio ≥ 4, contro il 25,0 % dell’ATC
14 (Tab. 8.1). Complessivamente le UC a scarso valore faunistico per la piccola selvaggina
costituiscono il 68,8 % del territorio provinciale e sono localizzate nelle aree boscate ad altitudine
più elevata e lungo le coste.
Tab. 8.1 – Numero e percentuale di UC a diverso punteggio di idoneità ambientale globale nei
due ATC e sul totale della provincia
Punteggio di idoneità ATC 14 ATC 15 Provincia
N 491 338 829 0
% 31.9 30.4 31.3
N 51 27 78 1
% 3.3 2.4 2.9
N 202 118 320 2
% 13.1 10.6 12.1
N 409 186 595 3
% 26.6 16.7 22.5
N 184 149 333 4
% 12.0 13.4 12.6
N 126 191 317 5
% 8.2 17.2 12.0
N 48 78 126 6
% 3.1 7.0 4.8
N 21 22 43 7
% 1.4 2.0 1.6
N 5 3 8 8
% 0.3 0.3 0.3
Le zone protette previste dall’Amministrazione provinciale sono per la maggior parte localizzate in
porzioni di territorio caratterizzate dai valori elevati di idoneità faunistica globale e soltanto in
qualche caso isolato ricadono in aree a vocazione bassa o nulla (Fig. 8.2).
Fig. 8.2 – Collocazione degli istituti protetti e punteggio di idoneità ambientale globale per le
diverse specie di piccola selvaggina
In particolare circa il 44% delle 792 UC interessate da istituti protetti hanno un punteggio di
idoneità globale ≥ 4 (Tab. 8.2).
Tab. 8.2 - Numero e percentuale di UC a diverso punteggio di idoneità ambientale globale
ricadenti negli istituti protetti
Punteggio N %
0 121 15.3
1 9 1.1
2 110 13.9
3 204 25.8
4 120 15.2
5 131 16.5
6 62 7.8
7 28 3.5
8 7 0.9
Tra i diversi tipi di istituti, le Oasi di Protezione sono quelle dove maggiore è la discordanza tra il
punteggio di idoneità e l’attuale localizzazione (Tab. 8.3).
Tab. 8.3 - Numero e percentuale di UC a diverso punteggio di idoneità ambientale globale
ricadenti nelle Oasi
Punteggio N %
0 42 97.7
4 1 2.3
Le Zone di Ripopolamento e Cattura e le Zone di Rispetto Venatorio mostrano valori elevati e
paragonabili di UC con punteggio di idoneità ≥ 4, rispettivamente del 45,6% e 47,7%. Solo il 21,4%
delle UC interessate da questi due tipi di istituti mostrano punteggio di idoneità nullo (Tab. 8.4 e
8.5).
Tab. 8.4 - Numero e percentuale di UC a diverso punteggio di idoneità ambientale globale
ricadenti nelle ZRC
Punteggio N %
0 50 10.1
1 7 1.4
2 74 15.0
3 137 27.8
4 80 16.2
5 85 17.2
6 41 8.3
7 15 3.0
8 4 0.8
Tab. 8.5 - Numero e percentuale di UC a diverso punteggio di idoneità ambientale globale
ricadenti nelle ZRV
Punteggio N %
0 29 11.3
1 2 0.8
2 36 14.1
3 67 26.2
4 39 15.2
5 46 18.0
6 21 8.2
7 13 5.1
8 3 1.2
Anche per quanto riguarda la starna e la pernice rossa, i territori più adatti per la localizzazione di
zone protette destinate alla reintroduzione e, in particolar modo a formare una rete zone che possano
garantire l’interscambio tra i diversi nuclei, sono localizzati nella porzione centro-orientale della
provincia (Fig. 8.3). L’ATC 15 mostra una idoneità maggiore anche per queste due specie, rispetto
all’ATC 14 nel quale oltre il 70% delle UC risultano a idoneità globale nulla, con oltre il 35% delle
UC con punteggio ≥ 2(Tab. 8.6).
Fig. 8.3 – Punteggio di idoneità ambientale globale per la Starna e la Pernice rossa
Tab. 8.6 – Numero e percentuale di UC a diverso punteggio di idoneità ambientale per starna
e pernice rossa nei due ATC e sul totale della provincia
Punteggio di idoneità ATC 14 ATC 15 Provincia
N 1111 585 1696 0
% 72.3 52.6 64.0
N 220 135 355 1
% 14.3 12.1 13.4
N 147 265 412 2
% 9.6 23.8 15.6
N 27 107 134 3
% 1.8 9.6 5.1
N 32 20 52 4
% 2.1 1.8 2.0
PARTE SECONDA
Bozza del Documento tecnico sulla
gestione degli Ungulati
Prof. Marco Apollonio e collaboratori
C.I.R.Se.M.A.F.
PIANO FAUNISTICO-VENATORIO DELLA PROVINCIA DI PISA – SEZIONE
UNGULATI E LUPO
ANALISI DEI DATI FAUNISTICO VENATORI PREGRESSI E ATTUALI
La componente venatoria
Il numero dei cacciatori iscritti nelle due ATC della Provincia di Pisa ha subito un decremento nel
quinquennio 2000-2005 passando dai 23043 del 2000 ai 20883 (Fig 1). Attualmente la densità
media di cacciatori in provincia porta ad avere una disponibilità di circa 11,17 ha per cacciatore.
Suddividendo tali dati per ATC risulta attualmente un numero complessivo di 12491 cacciatori
nell’ATC 14 e di 8393 nell’ATC 15 cui corrispondono delle disponibilità rispettive di 11.4 e 12.1
ha per cacciatore.
0
2000
4000
6000
8000
10000
12000
14000
16000
SV 2000-2001 SV 2001-2002 SV 2002-2003 SV 2003-2004 SV 2004-2005
19500
20000
20500
21000
21500
22000
22500
23000
23500
Iscritti ATC14
Iscritti ATC15
Iscritti Provincia
Fig. 1 – Cacciatori iscritti agli ATC 14 Pisa Occidentale e ATC 15 Pisa Orientale. Tale densità mostra per altro notevoli oscillazioni nei comuni della Provincia facendo riferimento ai
residenti nei comuni iscritti agli ATC: nell’ultima annata venatoria per esempio i valori relativi
oscillano da 3 a 110 ha disponibili di territorio comunale (Fig. 2) indicando come esistano notevoli
differenze nell’interesse alla caccia rapportato alla superficie dei diversi comuni.
0,0
10,0
20,0
30,0
40,0
50,0
60,0
BIE
NT
INA
CA
LCI
CA
PA
NN
OLI
CA
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MO
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VO
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RR
A
Densità venatoria 2000-2001
Densità venatoria 2001-2002
Densità venatoria 2002-2003
Densità venatoria 2003-2004
Densità venatoria 2004-2005
Fig. 2 – Densità cacciatori residenti. Considerando solo i cacciatori residenti risulta una disponibilità media di 15.9 ha per cacciatore.
Volendo considerare l’interesse per la caccia pesato sulla popolazione residente maschile
maggiorenne si rileva come, nell’ultima annata venatoria nei comuni della Provincia di Pisa i
cacciatori residenti sui residenti totali varino dai 3.8 ogni 100 abitanti di Pisa ai 28.8 di Monteverdi
Marittimo con una media di 14.4 cacciatori ogni 100 maschi maggiorenni. E’ interessante notare
come in molti comuni della Val di Cecina e della parte meridionale della Provincia in genere si
registrino dati prossimi o superiori ai 20 cacciatori su 100. (Fig. 3).
0
5
10
15
20
25
30
35
Fig. 3 – Interesse per la caccia calcolato per ogni 100 abitanti. Analizzando invece la suddivisione in cacciatori residenti in Provincia e non residenti si osserva che
tale percentuale oscilla fra il 73 ed il 74% nell’ultimo quinquennio, non mostrando variazioni
apprezzabili (Fig. 4).
Cacciatori iscritti agli ATC
0%
10%
20%
30%
40%
50%
60%
70%
80%
90%
100%
SV 2000-2001 SV 2001-2002 SV 2002-2003 SV 2003-2004 SV 2004-2005
Stagioni venatorie
Non residenti
Residenti
Fig. 4 – Percentuale di cacciatori residenti e non iscritti ai due ATC pisani.
In particolare la suddivisione per le altre province toscane viene presentata nella Fig. 5 dove si può
notare come la maggiore incidenza sia dovuta ai cacciatori della limitrofa provincia di Livorno con
il 63.4 % delle presenze cui corrispondono 3615 cacciatori.
0,04%
8,69%
0,44%
63,37%
18,93%
2,38% 3,65%0,19% 2,31%
0
500
1000
1500
2000
2500
3000
3500
4000
AREZZO
FIRENZE
GROSSETO
LIVORNO
LUCCA
MASSA
PISTOIA
PRATO
SIENA
0,00%
10,00%
20,00%
30,00%
40,00%
50,00%
60,00%
70,00%
Iscritti ATC14
Iscritti ATC15
Fig. 5 – Provenienza dei cacciatori iscritti agli ATC pisani ma non residenti nella provincia di Pisa.
I cacciatori di cinghiale
Attualmente in Provincia di Pisa la caccia al cinghiale in braccata, svolta secondo le modalità
previste dal Regolamento Regionale del 1996 successivamente integrato nel Testo Unico del 2002,
viene effettuata da 5603 cacciatori suddivisi in 87 squadre. Suddividendo il dato per ATC si ottiene
per l’ATC 14 un dato di 49 squadre per un totale di 3122 iscritti mentre per l’ATC 15 si ottengono
rispettivamente 38 squadre e 2174 iscritti.
Nel complesso l’81% dei cacciatori di cinghiale risiede in Provincia di Pisa mentre 19%, pari a
1069 unità risiede fuori Provincia, di questi 799 pari al 75% provengono dalla provincia di Livorno.
La tendenza del numero di squadre e di caccia al cinghiale e dei loro iscritti nelle ultime cinque
stagioni venatorie evidenzia come esista una sostanziale stabilità nei due valori e nelle due ATC
(Fig. 6 e Fig. 7). Infatti si passa dalle 51 e 39 squadre delle ATC 14 e 15 nella stagione venatoria
1999/2000 alle 49 e 38 attuali, così come per i cacciatori iscritti si passa dai 3074 e 2203 degli ATC
14 e 15 agli attuali 3122 e 2174.
51
46 47 4749
39 4038 38 38
0
10
20
30
40
50
60
1999-2000 2000-2001 2001-2002 2002-2003 2003-2004
ATC 14
ATC 15
Fig. 6 – Numero delle squadre al cinghiale degli ultimi 5 anni.
3074 31182917
3082 3122
2203 21482037
2145 2174
0
500
1000
1500
2000
2500
3000
3500
1999-2000 2000-2001 2001-2002 2002-2003 2003-2004
ATC 14
ATC 15
Fig. 7. – Numero dei cacciatori di cinghiali degli ultimi 5 anni.
Considerando la residenza dei cacciatori iscritti della Provincia di Pisa risulta ovvio come i comuni
della Val di Cecina ospitino una rilevante percentuale dei cacciatori di cinghiale della Provincia: in
particolare nei soli comuni di Pomarance e Volterra sono presenti quasi 800 cacciatori di cinghiale
(Fig. 8).
0
50
100
150
200
250
300
350
400
450
BIE
NT
INA
BU
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LCI
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RR
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Fig. 8 – Numero di cacciatori iscritti alle squadre al cinghiale. Se si considera l’interesse per la caccia al cinghiale pesato sul numero di cacciatori residenti e
iscritti negli ATC per comune si ottiene un dato estremamente indicativo del grande interesse che
questo tipo di attività venatoria suscita nel sud della Provincia. Infatti in alcuni comuni della Val di
Cecina (Castelnuovo VC, Monteverdi Marittimo, Pomarance) per ogni 100 cacciatori iscritti agli
ATC oltre 70 praticano la caccia al cinghiale (Fig. 9).
Fig. 9 – Interesse per la caccia al cinghiale. La suddivisione dei cacciatori di cinghiale in fasce di età evidenzia come siano le età comprese fra i
50 ed i 70 anni a rappresentare la maggioranza dei cacciatori di cinghiale. E’interessante notare che
esistono oltre 450 cacciatori nella fascia 70-80 anni ed addirittura 53 cacciatori di cinghiale di oltre
80 anni (Fig. 10).
0
200
400
600
800
1000
1200
19-30 31-40 41-50 51-60 61-70 71-80 >80
Classi di età
0%
5%
10%
15%
20%
25%
30%
Numero
Percentuale
Fig. 10 – Suddivisione dei cacciatori di cinghiale in funzione dell’età.
I cacciatori di selezione di Cervidi e Bovidi
Attualmente risultano iscritti al Registro Provinciale dei cacciatori abilitati alla caccia di selezione
465 cacciatori. Di questi l’82% risiede in Provincia di Pisa mentre il 18% proviene da fuori
Provincia con la prevalenza dei cacciatori di selezione di Livorno, che, con 68 unità rappresentano
l’81% dei cacciatori di selezione non residenti in Provincia.
Le abilitazioni riguardano oltre al capriolo, “specie guida” nell’effettuazione di tale pratica
venatoria e quindi indispensabile per l’acquisizione dell’iscrizione al Registro, anche daino,
muflone e cervo rispettivamente con 232, 209 e 73 abilitazioni.
La tendenza alle abilitazioni, che sono iniziate nel 1999 con 54 abilitati alla caccia di selezione al
capriolo, è stata caratterizzata da una crescita rilevante intervallata a delle stasi dovute alla
mancanza dell’effettuazione di corsi di abilitazione (come è accaduto per esempio nel 2000) (Fig.
11).
crescita abilitati Pisa
0
50
100
150
200
250
300
350
400
450
1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005
capriolo
daino
muflone
cervo
Fig. 11 – Crescita del numero di abilitati nella Provincia di Pisa. In particolare è notevole la crescita degli anni 2002 e 2003 (Tab. 1).
capriolo daino cervo muflone 1999 54 2001 88 2002 96 87 73 83 2003 120 75 61 2004 70 65 2005 61
419 232 73 209 Tabella 1 – Numero abilitati alla caccia di selezione in provincia di Pisa. L’effettuazione dei corsi ha avuto come motore l’Amministrazione Provinciale di Pisa, è
significativo notare peraltro che l’organizzazione dei corsi è passata dalla Provincia di Pisa alle
Associazioni Venatorie già nel secondo anno di effettuazione (Tab. 2).
Organizzatore Specie Anno
Amm.ne Prov.le cap. 1999 Amm.ne Prov.le cap. 2001 EPS cap. 2001 UNAVI daino muflone cervo 2002
EPS daino muflone cervo 2002
UNAVI capriolo 2002 UNAVI daino muflone 2003 UNAVI capriolo 2003 C.A.Ve.Pi. daino muflone 2004 C.A.Ve.Pi. capriolo 2005
Tabella 2 – Corsi caccia di selezione Considerando i comuni di residenza dei cacciatori di selezione della Provincia di Pisa (381 unità) si
nota come alcuni comuni della Val di Cecina (Pomarance, Volterra, Montecatini VC) rappresentino
con il capoluogo di provincia le aree dove risiedono il maggior numero di cacciatori. In particolare i
primi tre comuni citati raccolgono quasi 100 cacciatori di selezione (Fig. 12).
Registro Residenti Pisa (N)
0
5
10
15
20
25
30
35
40
45
Fig. 12 – Registro dei residenti di Pisa (n).
Se si considera il rapporto fra i cacciatori di selezione ed il numero di cacciatori complessivo
residenti nei diversi comuni risulta rafforzata l’indicazione del forte interesse per questo tipo di
pratica venatoria nei comuni della Val di Cecina: è interessante notare che sia nell’ATC 15 con i
casi di Castelnuovo VC, Pomarance e Volterra sia nell’ATC 14 con quelli di Santa Luce,
Monteverdi Marittimo e Montecatini VC, i valori più elevati si raggiungano nei comuni che sono
stati sede di corsi di abilitazione per la caccia di selezione (Fig. 13).
n° CS / C.totali x1000
0,00
50,00
100,00
150,00
200,00
250,00
Bie
ntin
a
But
i
Cal
ci
Cal
cina
ia
Cap
anno
li
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ano
n° CS/C totali (1000)
0102030405060708090
BIENTI
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CASTELFR
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CASTELNUOVO V
.C.
PONTEDERA
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PISA
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PONSA
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S. CROCE S
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ARIA A
MONTE
S. MIN
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TERRICCIO
LA
VOLTERRA
Fig. 13 – Cacciatori di selezione presenti rispettivamente nell’ ATC 14 e ATC 15. La suddivisione dei cacciatori di selezione in fasce di età evidenzia come siano le età comprese fra i
40 ed i 60 anni quelle maggiormente rappresentative di tale categoria, visto che complessivamente
più del 60% dei cacciatori di selezione appartiene a tali età. E’ significativo notare come la terza
fascia maggiormente importante sia quella dai 31-40 (Fig. 14).
28
59
110
124
47
127
29 33
123
16
0
20
40
60
80
100
120
140
21-30 31-40 41-50 51-60 61-70 71-82
N° %
Fig. 14 – Suddivisione dei cacciatori di selezione in funzione dell’età.
DISTRIBUZIONE E STATUS DELLE SPECIE DI UNGULATI E DEL LUPO
Capriolo
In provincia di Pisa il capriolo risulta storicamente presente, soprattutto nella sua parte meridionale,
soprattutto nei territori compresi nei comuni di Castellina Marittima, Riparbella, Montecatini Val di
Cecina, Monteverdi Marittimo, Pomarance e Castelnuovo Val di Cecina. Sul territorio della
Provincia la caccia a questa specie infatti era consentita fino al 1975, a partire dalla terza domenica
di agosto fino al primo di novembre, e tradizionalmente il capriolo è stato cacciato ancora prima del
cinghiale. Battute di caccia che richiamavano cacciatori anche da altre regioni, si svolgevano nel
complesso di Caselli, appartenuto fino al 1955 alla famiglia della Gherardesca, e nell’Azienda di
Querceto, di proprietà della famiglia Ginori. In questa vigeva la tradizione che in data 11 novembre,
giorno di S. Martino, il marchese Ginori desse la possibilità agli abitanti della Sassa di compiere
una battuta al capriolo, con la sola limitazione di cacciare esclusivamente i maschi. All’interno delle
tenute erano permesse battute di caccia fino alla fine del mese di novembre e la stagione di caccia si
chiudeva, fino ad allora, con la tipica sagra del capriolo, tenutasi fino alla metà degli anni ’60 a
Monteverdi Marittimo. Attualmente la specie risulta presente in quasi tutto il territorio provinciale a
sud della strada di grande traffico FI-PI-LI ed alcune presenze sono segnalate nell’area compresa fra
Montefalcone e S. Maria a Monte (Fig. 15).
La densità attualmente raggiunta dalla specie nelle aree gestite e quindi sottoposte a censimenti
regolari risultano medio-alte essendo comprese in termini di dato medio fra i 26 ed i 29 capi/100ha .
Daino
In provincia di Pisa esiste una delle più antiche popolazioni di daino della penisola italiana, quella
della Tenuta di San Rossore. Probabilmente presente sino dal XIV secolo e certamente dal XVIII
questa popolazione rappresenta l’origine delle varie introduzioni fatte nelle tenute limitrofe e
successivamente in diverse aree della parte meridionale della provincia dove è stato spesso
introdotto all’interno di aree protette rappresentate dalla attuali Riserva Naturali di Berignone,
Monterufoli e Caselli ed all’interno di Oasi di Protezione di Santa Luce Chianti.
Attualmente la sua distribuzione interessa, oltre al Parco Regionale Migliarino-San Rossore-
Massaciuccoli, diversi complessi boschivi della parte meridionale della Provincia per la maggior
parte inclusi o contigui alle già citate Riserva Naturali ed alcune Oasi di Protezione. Vanno peraltro
segnalate osservazioni anche molto distati da aree a diverso titolo protette che testimoniano di una
generale tendenza all’espansione di questa specie (Fig 16).
Fig. – 16 – Distribuzione del daino.
Ad una distribuzione piuttosto ampia fa riscontro una forte disomogeneità nelle consistenze: infatti
nelle aree gestite per le quali negli ultimi tre anni si hanno dati quantitativi questi risultano piuttosto
modesti se riferiti all’intera superficie dei quattro distretti di gestione che li ospitano, non superando
mai i 3,3 capi/100 ha. Se però si considera l’area effettivamente censita cui corrisponde la porzione
di distretto dove la specie era effettivamente presente queste densità salgono in alcuni casi sino a
valori doppi o tripli. Deve essere considerato come queste porzioni a maggiore densità risultano
quasi invariabilmente contigue ad aree protette. Inoltre in alcune AFV come quelle di Ariano e
Villetta Canneto la specie raggiunge densità oscillanti fra 3 e 12 capi/100ha. In aree distanti da
ambiti protetti la presenza del daino in gran parte risulta essere occasionale e quindi risulta
impossibile determinare alcuna densità.
Muflone
Questa specie è stata introdotta nella Provincia di Pisa dagli anni ’60, a partire dall’Azienda
Faunistico Venatoria di Miemo, i cui mufloni a loro volta avevano origine da capi provenienti dal
Supramonte a loro volta introdotti nell’Isola del Giglio circa un decennio prima. Successivamente
venne introdotto nella attuali Riserve Naturali di Berignone e Monterufoli, in alcune Aziende
Faunistico Venatorie come quella di Montegemoli e si sono espansi nelle aree limitrofe, in particolar
modo alla AFV di Miemo.
Attualmente la distribuzione di questa specie si articola nel complesso forestale della AFV di Miemo
ed aree circostanti sino a raggiungere a nord i comuni di Cascina Terme, Santa Luce e Chianni,
nell’area che include la Foresta di Berignone, la Rocca di Sillano e San Dalmazio, nella Foresta di
Monterufoli e nell’area di Montegemoli (Fig. 17).
Fig. 17 – Distribuzione del muflone
La densità della specie risulta molto variabile nei diversi comprensori: essa risulta in genere piuttosto
elevata all’interno della AFV di Miemo oscillando negli ultimi due anni fra gli 8 ed i 10 capi/100ha
mentre risulta più modesta nell’AFV di Montegemoli dove in rapporto all’intera superficie aziendale
non supera i 2.5 capi/100ha ma dove è necessario considerare che la specie sembra utilizzare solo
una parte della AFV. Nei distretti di gestione del muflone dove è stato possibile raccogliere dati
riferiti agli ultimi tre anni le densità appaiono sempre modeste se rapportate all’intero distretto visto
che non raggiungono mai i 2 capi/100ha ma localmente risultano essere più elevate in rapporto ad
una forte tendenza della specie a localizzarsi in aree precise.
Cervo
Il cervo è presente solo da pochi anni allo stato libero in Provincia di Pisa, ha una modesta
distribuzione che interessa un’area limitrofa all’allevamento del Frassinello, sito nel comune du
Montecatini VC da dove il piccolo nucleo attualmente presente ha avuto origine grazie ad una fuga
accidentale( Fig. 18). La quantificazione della presenza non è possibile in termini precisi, si
tratterebbe sulla base delle osservazioni effettuate durante operazioni di censimento di altri ungulati
di pochi capi, non superiori attualmente ai 15-20 al massimo.
Fig. 18 – Distribuzione del cervo.
Lupo
In Italia, ai primi del ‘900 la specie era presente lungo la catene appenninica dall’Emilia Romagna
all’Aspromonte e con pochi esemplari in Sicilia. Negli anni ’60 l’areale di questa specie in Italia
raggiunge il minimo: sopravvivono alcuni nuclei in area appenninica centro-meridionale e in area
tirrenica tra le colline a cavallo fra Lazio e Toscana.
Grazie alle prime azioni intraprese per la protezione del lupo, al mutamento delle condizioni
ambientali ma soprattutto alle sue caratteristiche biologiche, a partire dagli anni ’70 si assiste ad un
generale incremento numerico e di distribuzione di questa specie, favorita dalla disponibilità di
prede selvatiche, dalla sua ampia adattabilità, e dai cambiamenti socioculturali che avvenivano nel
nostro Paese, che la porta a ricolonizzare molte delle aree dalle quali era scomparsa.
Attualmente il lupo è una specie di grande importanza nel nostro Paese: i conflitti con gli allevatori,
l’attenzione del mondo ambientalista, le interazioni con le popolazioni di prede selvatiche e gli
importanti aspetti scientifici della sua complessa biologia sono tutti elementi che ne fanno una
specie al centro degli interessi di zoologi, appassionati, allevatori, cacciatori e politici.
Tra le oltre 100 specie di mammiferi presenti in Italia, solo 22 (che scendono a 5 escludendo i
pipistrelli) sono considerate secondo la Direttiva Habitat 92/43 della Comunità Europea (allegato II)
recepita dalla Regione Toscana con la Legge Regionale Toscana 56/00, specie di interesse
comunitario, la cui conservazione richiede la realizzazione di una rete di zone speciali di
conservazione. Il lupo (Canis lupus) inolte nel quadro normativo nazionale è classificato tra le
specie particolarmente protette (L.N. 157/92).
La presenza del lupo in provincia di Pisa è storicamente provata fin dal medioevo come testimonia
ad esempio, lo Statuto comunale di Castelnuovo V.C. del 1476, dove il Comune stanziava una
taglia di 20 soldi per i lupi adulti e di 5 soldi per i piccoli, per il comune di Volterra si arriva fino a
100 soldi. Somme di tutto rispetto se si pensa che il reddito medio del tempo era di 1504 soldi per
una famiglia di Libbiano.
Le uccisioni di mammiferi domestici e selvatici da parte dei lupi erano così frequenti da indurre il
comune di Castelnuovo V.C. a regolamentare la vendita delle carni degli animali “allupati” ossia
uccisi dai lupi.
Nel secolo scorso, quando la diffusione della specie raggiunge in Italia il suo minimo storico,
continuano le segnalazioni per la provincia di Pisa come provano reperti museali del 1936 e
successivi. Segnalazioni di avvistamenti e di predazioni continuano in maniera sporadica fino agli
anni ottanta quando la Provincia di Pisa commissiona una prima indagine per verificare la presenza
di canidi sul territorio provinciale. Ma solo nella metà degli anni novanta inizia una ricerca
sistematica sulla presenza, distribuzione ed ecologia alimentare del lupo nel territorio dell’alta Val
di Cecina. Il territorio occupato dal lupo in provincia di Pisa rappresenta la propaggine
settentrionale dell’areale di distribuzione tirrenico della specie. L’area estesa delle Colline
Metallifere tra le province di Grosseto, Siena, Livorno e Pisa si rivela essere un serbatoio naturale
per la specie che negli ultimi anni sta mostrando segnali di ripresa.
Distribuzione
Negli anni novanta il lupo era presente in maniera stabile nella parte meridionale della provincia di
Pisa nei comuni di Castelnuovo V.C., Pomarance, Volterra, Monteverdi mo. e Montecatini V.C. in
un comprensorio situato a sud della strada statale 67 che unisce Cecina a Volterra.
Un ruolo di primo piano nella ripresa della specie in provincia di Pisa è dovuto al sistema di Aree
Protette della Comunità Montana della Val di Cecina che ha garantito la necessaria protezione alla
specie consentendole di integrarsi nella catena alimentare controllando le popolazioni di ungulati
selvatici, ben rappresentate da quattro specie preda: capriolo, cinghiale, daino e muflone.
Questa situazione favorevole ha fatto sì che la specie ampliasse in suo areale espandendosi nel
complesso montuoso centrale del territorio pisano.
Attualmente la superficie occupata dalla specie interessa 16 comuni e si aggira intorno a 113.778 ha
che rappresentano il 46,5% del territorio provinciale (Fig . 19).
Fig. 19 – Distribuzione del lupo. Gli studi condotti negli ultimi anni, commissionati dalla Provincia di Pisa e dalla Comunità
Montana della Val di Cecina lasciano ipotizzare la presenza di due branchi. Un primo nucleo nella
parte meridionale della provincia è localizzato nelle Riserve Naturali di Berignone-Tatti e
Monterufoli-Caselli che hanno garantito nel tempo zone di rifugio stabili, ed un secondo nucleo
nella parte centrale, sui monti di Chianni-S.Luce che si può considerare frutto di una recente
espansione.
In entrambi i casi si tratta di nuclei familiari, con un alta mortalità dei piccoli e con un’alta
dispersione. Questa situazione porta ad osservare individui isolati anche nella parte centro-
settentrionale della provincia ampliando l’areale occupato dalla specie.
Il lupo, insieme al cinghiale, rappresenta una delle specie selvatiche del panorama italiano più
difficili dal punto di vista gestionale. I conflitti con le attività antropiche, uniti alla poca conoscenza
della specie e a falsi luoghi comuni, continuano a far percepire il lupo come una specie nociva per
gli allevatori ed come un formidabile concorrente dai cacciatori.
Dal 1996 al 2004 sono stati accertati dal Servizio Veterinario della USL 5 di Volterra 134 attacchi a
carico di allevamenti di ovini. I capi uccisi o gravemente feriti tanto da rendere necessario
l’abbattimento sono stati 795.
Il 53% degli attacchi e circa il 60% dei capi predati si sono avuti nel 1999 e 2000. A partire da
quest’anno sono diminuiti notevolmente sia gli attacchi sia i capi predati fino a quasi scomparire del
tutto nel 2004 nonostante la maggiore presenza accertata della specie (Fig 20)
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50
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1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004
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ti
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atta
cchi
capi predati
n° attacchi
Fig 20 - Andamento del numero degli attacchi e dei capi predati in seguito ad attacchi di canidi in Provincia di Pisa dal 1996 al 2004. A livello comunale sono stati, in ordine, Pomarance e Volterra a far registrare le maggiori perdite,
seguiti da Castelnuovo V.C. e Montecatini V.C. (Fig. 21).
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103
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80
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Montecatini V.C. Pomarance Volterra Castelnuovo V.C.
N° capi predati1996-2004
n° attacchi
N° capi predati
Fig. 21 - Distribuzione per comune del numero di attacchi e di capi predati da canidi in Provincia di Pisa dal 1996 al 2004.
Fig. 22 - Andamento mensile degli attacchi e dei capi predati da canidi fra il 1996 ed il
2004
L’andamento mensile mostra che poco meno del 50% (48%) dei capi sono predati nei primi quattro
mesi dell’anno con una media di 7,52 capi per attacco, valore molto superiore alla una media
annuale di 5,93 capi uccisi per attacco. Questi dati trovano spiegazione nel diverso modo di
Andamento mensile
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4,00
6,00
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12,00
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16,00
gen feb mar apr mag giu lug ago set ott nov dic
%
attacchi capi predati
conduzione delle greggi durante l’anno. Nei mesi inverno-primaverili le greggi sono confinate in
piccoli pascoli o in recinti che poco favoriscono la fuga in caso di attacco.
Vale la pena di ricordare come in recenti analisi della dieta del lupo svolta nella Provincia di Pisa
negli anni 2000-01 e 2003-04 sia risultato che la percentuale di ungulati domestici, espressi come
volume medio percentuale, non superasse mai il 10%, mentre la restante percentuale fosse costituita
da ungulati selvatici. Fra questi ultimi nel primo studio risultavano maggiormente importanti i
cervidi seguiti dal muflone e dal cinghiale, mentre nel secondo studio risultava maggiormente
importante il cinghiale seguito da capriolo, daino e muflone.
ANALISI DELLA GESTIONE FAUNISTICO-VENATORIA PREGRES SA ED ATTUALE
La caccia di selezione in Provincia di Pisa
Premesse
Lo sviluppo della caccia di selezione in provincia di Pisa ha preso le mosse da un’indagine accurata
che ha riguardato ola specie che maggiormente riveste importanza per lo sviluppo di questa pratica
venatoria:il capriolo. A partire dal 1995 l’Amministrazione Provinciale di Pisa ha commissionato al
Dipartimento di Etologia Ecologia Evoluzione (già Dipartimento di Scienze del Comportamento
Animale e dell’Uomo), gruppo Prof. Marco Apollonio, un’indagine sul territorio della Provincia per
determinare la distribuzione e la consistenza reale e potenziale del capriolo. La ricerca sulla
presenza e la diffusione del capriolo nella provincia di Pisa è stata quindi finalizzata alla
predisposizione di un sistema di rilevamento dati attraverso una procedura standardizzata con lo
scopo di raggiungere la determinazione della densità della specie. Questo lavoro si è articolato in
una prima fase di raccolta di informazioni e sopralluoghi finalizzati a determinare la distribuzione
della specie ed una seconda fase in cui sono state applicate metodologie standard per il censimento
del capriolo in aree campione. Il territorio provinciale è stato così diviso in dodici diverse aree in
modo da coprire interamente la parte meridionale della Provincia e la raccolta informazioni è stata
condotta tramite successivi rilievi di campagna svolti tra aprile 1995 e maggio 1996. Sono state
rilevate le caratteristiche fisiche e le componenti fisionomiche del territorio, la tipologia di bosco e
sottobosco presente ed inoltre la presenza ed ubicazione di Istituti Faunistici. I dati raccolti hanno
inoltre permesso di registrare notizie riguardanti l’epoca di comparsa e le zone di provenienza del
capriolo e di definire le aree all’interno delle quali era presumibile riscontrarne una maggiore
consistenza. Per quanto riguarda la seconda fase di indagine, la valutazione da un punto di vista
quantitativo della presenza del capriolo è stata effettuata in base a censimenti condotti con il metodo
delle “battute campione”. in aree sperimentali scelte anche sulla base delle informazioni ottenute
durante la prima fase. Sono state individuate dodici aree campione comprese nei comuni di
Montecatini Val di Cecina, Volterra, Pomarance, Santa Luce, Chianti e Palaia, con una superficie
media di 34,6 ha ed una superficie totale censita di 415,1 ha. (Fig. 23)
Fig. 23 - Aree di censimento in battuta al capriolo individuate nella Provincia di Pisa negli anni 1995-96