50753094 f4a7-a6bc

130
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DELL'INSUBRIA FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA CORSO DI LAUREA IN EDUCAZIONE PROFESSIONALE EDUCARE ALLE EMOZIONI L'EDUCATORE PROFESSIONALE COME PROMOTORE E OPERATORE DELL'EDUCAZIONE AFFETTIVA Relatrice: Dott.ssa Daniela CAPITANUCCI Tesi di Laurea di: LAURA FERRO Matricola n° 704306 Anno Accademico 2008/2009

Upload: iva-zigghyova-martini

Post on 17-May-2015

1.415 views

Category:

Documents


2 download

TRANSCRIPT

Page 1: 50753094 f4a7-a6bc

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DELL'INSUBRIA

FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA

CORSO DI LAUREA IN EDUCAZIONE PROFESSIONALE

EDUCARE ALLE EMOZIONI

L 'EDUCATORE PROFESSIONALE COME PROMOTORE E OPERATORE DELL 'EDUCAZIONE AFFETTIVA

Relatrice:

Dott.ssa Daniela CAPITANUCCI

Tesi di Laurea di:

LAURA FERRO

Matricola n° 704306

Anno Accademico 2008/2009

Page 2: 50753094 f4a7-a6bc

���

… dedicata a tutti i bambini che con il loro

sorriso colorano il mondo e sanno rendere

ogni cosa meravigliosa …

���

Page 3: 50753094 f4a7-a6bc

INDICE

INTRODUZIONE .......................................................................................................... 1

1- LE EMOZIONI .......................................................................................................... 7

1.1 Definire l’emozione ................................................................................................. 8

1.2 Un ventaglio di interpretazioni .............................................................................. 12

1.3 Principali apporti teorici ........................................................................................ 14

1.4 Classificare le emozioni ......................................................................................... 17

2- COME NASCONO LE EMOZIONI ...................................................................... 20

2.1 Due menti ............................................................................................................... 20

2.2 Evoluzione delle aree cerebrali implicate nell’ambito emotivo ............................ 21

2.3 L’Amigdala, sede delle passioni ............................................................................ 23

2.4 Nella fusione fra psicoanalisi e biologia si indaga anche

sull’Amigdala e sulle emozioni .............................................................................. 26

3- COMUNICARE LE EMOZIONI ............................................................................ 30

3.1 Il legame fra emozione ed espressioni .................................................................. 31

3.2 L’influenza culturale ............................................................................................. 33

3.3 L’espressività del corpo ......................................................................................... 36

3.4 La comunicazione come indicatore emotivo ........................................................ 38

4- INTELLIGENZA EMOTIVA – COMPETENZA EMOTIVA ............................ 44

4.1 Fornire una definizione .......................................................................................... 45

4.2 Sviluppo delle abilità emotive .............................................................................. 47

5- L’EDUCAZIONE AFFETTIVA . ............................................................................. 53

5.1 Perché interessarsi alle emozioni .......................................................................... 54

Page 4: 50753094 f4a7-a6bc

5.2 Alessitimia, una particolare condizione ................................................................ 59

5.3 Verso un’educazione affettiva ............................................................................... 61

5.4 Portare a scuola le emozioni .................................................................................. 65

6- LA FIGURA DELL’EDUCATORE PROFESSIONALE

NELL’EDUCAZIONE AFFETTIVA ...................................................................... 70

6.1 L’Educatore Professionale ..................................................................................... 71

6.2 Metodologie e strumenti a disposizione ................................................................ 75

6.3 Educatori a scuola col programma PATHS ........................................................... 87

7- ESPERIENZE PRATICHE: LABORATORI EDUCATIVI ............................ 92

7.1 Ipotesi di partenza .................................................................................................. 93

7.2 Destinatari dei laboratori ........................................................................................ 94

7.3 Finalità e obiettivi .................................................................................................. 95

7.4 Metodologie e strumenti utilizzati ......................................................................... 96

7.5 Descrizione e riflessioni ....................................................................................... 100

7.6 Verifiche e riflessioni ........................................................................................... 103

7.7 Conclusione .......................................................................................................... 114

CONCLUSIONI ....................................................................................................... 117

APPENDICE 1 ......................................................................................................... 123

APPENDICE 2 ......................................................................................................... 131

APPENDICE 3 ......................................................................................................... 161

BIBLIOGRAFIA ...................................................................................................... 204

RINGRAZIAMENTI ............................................................................................... 207

Page 5: 50753094 f4a7-a6bc

1

INTRODUZIONE

L’oggetto di indagine della presente tesi trova origine nel mio interesse verso il campo

emotivo; interesse che grazie agli stimoli sia teorici che pratici offertemi dal corso

universitario affrontato, è cresciuto e si è rafforzato prendendo la forma di un quesito:

“Che cosa si può fare perché le persone imparino a gestire meglio il loro vissuto

interiore in modo da vivere più serenamente le proprie emozioni?”. Da questo

interrogativo è partita la ricerca che mi ha condotta verso l’educazione affettiva,

scoprendo le immense potenzialità che questa può avere se sfruttata da professionisti

quali gli Educatori Professionali.

L’obiettivo della presente tesi è quello di far riflettere i lettori sulla necessità di porre

una maggiore attenzione al mondo delle emozioni, culturalmente sottovalutato, aprendo

le porte della formazione anche all’educazione affettiva, indispensabile per un vero e

completo sviluppo dell’individuo. L’educazione affettiva, infatti, permette alle persone

di conoscere e di riconoscere le emozioni provate, consapevolezza che influisce sulla

gestione del carico emotivo e su come esprimerlo al meglio, aiutandole a sentire,

definire e usare le loro emozioni. Tali competenze emotive riverberano sulla

consapevolezza della propria identità, sulla capacità di fiducia in se stessi, sulla

competenza di gestire i propri desideri e bisogni.

Al fine di rendere all’educazione affettiva il giusto riconoscimento in campo formativo

e di favorirne la diffusione vengono individuati come “primo target” di riferimento

educativo i bambini, la scuola come il più efficace luogo di sperimentazione

dell’educazione affettiva e l’Educatore Professionale come operatore e promotore di

questa pratica educativa.

La fine della modernità che, come spiega il sociologo Bauman, costitutiva un mondo

solido e ordinato ha portato all’affermazione dell’odierna realtà “liquida”. Essa,

destrutturata e priva di riferimenti stabili, è generatrice di ansie e incertezze che hanno

influenza su ogni livello di vita dell’uomo. Autori come Goleman, Kindlon e Thompson

riportano interessanti esempi di questa odierna incompetenza affettiva, dimostrando

come nel frastuono assordante di questa società veloce e frammentata riuscire a

mantenere il contatto e la gestione del proprio vissuto emotivo non è, al contrario di

Page 6: 50753094 f4a7-a6bc

2

quanto induce a pensare la cultura occidentale, né intuitivo né scontato. Bisogna essere

educati a farlo: è necessario essere accompagnati nel conoscere le emozioni, perché si

possa imparare a comunicarle, viverle e gestirle al meglio.

L’Educatore professionale, grazie alle competenze multidisciplinari di cui dispone,

potrà partecipare alla creazione di progetti educativi nell’ambito scolastico gestendo la

formazione e i rapporti dei soggetti coinvolti, quali i bambini, il corpo docente e i

soggetti significativi come ad esempio la famiglia; tutto questo mantenendo sempre una

viva e costante relazione con la comunità. Questo operatore, trovando il necessario

supporto sia nella letteratura scientifica che umanistica e mantenendo sempre con un

forte riferimento agli episodi della quotidianità, può avvalersi degli strumenti messi a

disposizione dalla psicologia e dalla pedagogia per affrontare la pianificazione e la

progettazione di interventi educativi sull’affettività.

Nello specifico la presente tesi compie un accurato percorso, partendo dai concetti

fondamentali, per dotare il lettore degli strumenti necessari a cogliere le potenzialità

formative dell’educazione affettiva.

Nel primo capitolo vengono presi in esame i concetti necessari per fornire al lettore le

basi per sostenere le letture successive. Si parte con l’affrontare il concetto di Emozione

che, così sfuggente alla razionalità, viene considerato e indagato secondo più

sfaccettature a partire dall’approccio utilizzato, infatti gli studiosi dei diversi filoni di

ricerca psicologico, biologico, filosofico e sociologico, ne approfondiscono aspetti

differenti. Le loro definizioni, tuttavia, condividono il voler mettere in luce la

complessità del “fenomeno” Emozione, dovuta alle interazioni di molteplici fattori tra i

quali quelli individuali, quelli sociali e quelli culturali. Viene inoltre presentata una

rassegna delle principali teorie riguardanti l’interpretazione delle emozioni, visionando

nel dettaglio, tra gli altri, il punto di vista evoluzionista, funzionalista, comportamentista

e cognitivista. Viene infine messo in evidenza come le difficoltà trovate nel fornire una

definizione all’emozione sono state riscontrate anche nell’esplicitazione degli elementi

salienti per determinare una classificazione dell’oggetto di ricerca. Infatti il dibattito

scientifico sulla classificazione delle emozioni, sul riconoscimento di emozioni primarie

Page 7: 50753094 f4a7-a6bc

3

e sull’organizzazione di famiglie emozionali prosegue, ancora attualmente, fra i

ricercatori.

Il secondo capitolo offre una visione di carattere fisiologico riguardo l’oggetto di

studio, spiegando come il nostro corpo venga coinvolto a livello neurofisiologico

dall’azione emotiva e presentando le componenti cerebellari e i sistemi coinvolti nel

processo emozionale. Partendo dalla visione offerta da Goleman di una mente divisa fra

razionalità ed emozionalità, gli autori sono stati sollecitati ad indagare su quest’ultima

componente constatandone attraverso una breve indicazione filogenetica l’antica

esistenza anche a livello biologico, riuscendo anche a individuare le parti più antiche del

cervello da cui è partita la sua evoluzione. Alla mente emozionale è stata inoltre

riconosciuta una forte interazione con la parte razionale finalizzata alla produzione di

una risposta agli stimoli ambientali - situazionali percepiti. Una particolare attenzione

viene posta alla presentazione del Complesso Amigdaloideo, individuando in questo

l’elemento di maggiore rilevanza per il processo emozionale e definendolo perciò “sede

delle passioni.” Un autore particolarmente interessante citato in questo capitolo è

Kandel il cui obiettivo è di fondere il sapere della biologia con quello psicologico per

dare un fondamento oggettivistico alla psicoanalisi. L’importanza di questo autore

rispetto all’educazione affettiva risiede nel suo studio delle funzioni svolte

dall’amigdala e dall’ippocampo, analisi fondamentali per il concetto di “campo

emotivo” e la comprensione del suo funzionamento.

Nel terzo capitolo viene messo in evidenza come l’emozione non sia un fenomeno che

si consuma soltanto all’interno della persona, ma sia anche esteriorizzazione del proprio

vissuto emotivo e dunque un processo che coinvolge l’individuo mettendolo in

comunicazione con gli altri. Partendo dallo stretto rapporto preso in esame dalla teoria

evoluzionistica con Darwin fra emozione ed espressione, si giunge ad evidenziare la

caratteristica di “fenomeno pubblico” dell’emozione. Inoltre prendendo in

considerazione la presenza e la rilevanza dell’ascendente culturale che, attraverso le

norme sociali e le regole di esibizione, definisce come esprimere, quando esprimere,

come controllare/ regolare e come interpretare le proprie esperienze emotive.

Nell’insieme delle modalità espressive che riguardano le componenti sia verbali,

Page 8: 50753094 f4a7-a6bc

4

paraverbali che non verbali del canale comunicativo, l’elemento ritenuto di primo

riconoscimento e di maggiore espressività è il volto. Esso diviene l’oggetto più

scandagliato nei vari studi condotti poiché è ritenuto lo strumento di maggior

comunicazione emotiva anche fra individui di diverse culture. Viene così messo in luce

l’alto potenziale della comunicazione non verbale che non solo funge da sostegno e

complemento del linguaggio verbale, ma è essa stessa il mezzo principale per esprimere

e per comprendere le emozioni.

Nel quarto capitolo vengono descritte le competenze emotive a partire dall’interessante

affiancamento del Q.E. (Quoziente Emotivo) al già noto Q.I. (Quoziente Intellettivo),

formulando e sostenendo la necessità dello sviluppo di entrambi per il raggiungimento

di una buona e completa formazione dell’individuo. Lo stesso ambito scientifico

sostiene la necessità di una maggiore attenzione all’Intelligenza e Competenza Emotiva,

conferendo all’individuo in formazione gli strumenti e gli input necessari per il

raggiungimento del benessere psicofisico. Va ricordato che lo sviluppo della

Competenza Emotiva coinvolge l’individuo fin dalla sua infanzia, nella lenta

acquisizione delle capacità di esprimere le emozioni provate, di ascoltare e riconoscere

quelle altrui e di sostenere interazioni sviluppando strategie efficaci.

Il quinto capitolo costituisce il fulcro dell’indagine sull’educazione emotiva. Attraverso

la letteratura fornitaci dall’esperienza di diversi autori e mantenendo sempre un forte

contatto con la odierna realtà, marcata da eventi che sono esempio di emotività mal

gestita, si è giunti alla conclusione della necessità di un maggiore interessamento al

campo emotivo. L’educazione affettiva viene presentata come elemento di sintesi degli

argomenti emotivi e come migliore e necessaria soluzione alle carenze di gestione ed

espressione emotiva. Esponendo il pensiero di diversi studiosi che hanno individuato

nell’istituzione scolastica un ottimo mezzo per riconoscere all’educazione affettiva il

ruolo di primo piano che le spetta nell’ambito educativo, si sostiene che applicando a

livello curricolare l’educazione affettiva si potrebbe innanzitutto adempiere pienamente

all’obiettivo di una completa formazione dell’individuo e successivamente modificare la

concezione della nostra cultura occidentale che riserva alle emozioni un posto di

secondo piano.

Page 9: 50753094 f4a7-a6bc

5

Il sesto capitolo ha l’obiettivo di presentare l’educatore professionale descrivendo prima

di tutto un quadro di riferimento descrittivo e normativo e giungendo a proporlo come

un professionista di grande rilevanza nell’educazione affettiva. Egli nello svolgimento

del suo compito educativo, oltre a far riferimento alla fondamentale componente di

sensibilità rispetto alla sfera affettiva, dispone sia delle competenze multidisciplinari

derivanti dalla sua formazione, sia delle metodologie e degli strumenti inerenti allo

sviluppo e all’analisi delle competenze emotivo – affettive.

Queste ultime risorse sono ideate da differenti discipline allo scopo di progettare

interventi educativi all’interno di istituti scolastici e sono perciò volte alla promozione e

all’inserimento dell’educazione affettiva nel curricolo scolastico. Infine nel presente

capitolo viene esposto un particolare un programma di intervento e prevenzione relativo

all’educazione affettiva, il PATHS, ideato per figure educative, da attuare nell’ambito

scolastico. Il paragrafo riguardante il programma PATHS rappresenta una perfetta

fusione tra l’educazione affettiva e l’interevento educativo dell’Educatore Professionale,

costituendone inoltre un esempio realmente compiuto.

Il settimo capitolo si distingue dai precedenti in quanto è costituito di una parte

applicativa. Il presente capitolo raccoglie, infatti, l’analisi delle due esperienze condotte

della laureanda sul campo, con la diretta sperimentazione in due laboratori sulle

emozioni in differenti condizioni. Vengono qui riportati: la progettazione del

laboratorio, la sperimentazione sul campo con una breve descrizione nelle due

condizioni dell’esperienza e l’analisi dell’elaborato seguita dal confronto fra le

sperimentazioni e dalle riflessioni finali.

L’Appendice 1 contiene il questionario sulla consapevolezza emotiva ideato da Steiner

e Perry nel 1999, che consente di distinguere i tre “profili tipo” della consapevolezza

emotiva: bassa, media e alta.

Le Appendici 2 e 3 sono allegati del settimo capitolo e raccolgono materiali e prodotti

dell’esperienza pratica condotta in ambito scolastico.

Nell’appendice 2 viene riportato quanto utilizzato nello “studio pilota ” effettuato

presso il doposcuola della Scuola Primaria “Galileo Galilei” di Ispra: il modulo di

Page 10: 50753094 f4a7-a6bc

6

avviso ai genitori, il modulo di consenso al trattamento dei dati fotografici e

audio/video e infine il progetto effettuato, con buona parte del materiale utilizzato

oltre alle fotografie del laboratorio educativo “Le giornate delle emozioni”.

Nell’appendice 3 vengono riportate specifiche relative al laboratorio educativo “Le

giornate delle emozioni”, effettuato presso la classe quinta della Scuola Primaria

“San Benedetto” di Voltorre. Vengono qui raccolti: il modulo di avviso ai genitori,

il modulo di consenso al trattamento dei dati fotografici e audio/video e il progetto

effettuato, buona parte del materiale utilizzato oltre alle fotografie.

Page 11: 50753094 f4a7-a6bc

7

CAPITOLO PRIMO

LE EMOZIONI

In realtà quasi non esiste un campo di fenomeni psichici più ostico allo studio che quello dei sentimenti.

Se scorriamo la psicologia, dalla più antica alla più recente, da nessuna parte regnano tanta divergenza e

tanto contrasto nelle prospettive e nella spiegazione come in quest’ambito.

J.W. Nahlowsky. Das Gefühlsleben, 1862.

In questo capitolo si darà conto delle definizioni più utilizzate del concetto emozione, si

passeranno in rassegna le principali classificazioni, determinate dagli approcci presi in

considerazione e si affronteranno i maggiori apporti teorici che hanno segnato questo

campo d’indagine.

________________________________________________________

Attraverso le esperienze che quotidianamente si vivono, si percepiscono e si provano

molte emozioni. Anche se l’esperienza è conoscenza, il vissuto non rende semplice una

riflessione critica che cerchi di produrre un pensiero il più scientifico, chiaro e

applicabile universalmente su questi soggetti un po’ sfuggenti alla riflessione critica.

Trattare il tema dell’emozione nasconde molte insidie, già solo per quanto riguarda una

prima definizione. Ponendosi in atteggiamento riflessivo, cercando di analizzare che

cosa siano, quale ne sia l’origine e che cosa avvenga in noi con esse; si nota subito che

nel formulare delle risposte si incontrano varie difficoltà. Come riuscire a staccarsi dalla

personale esperienza emotiva interiore?

Come descrive Gay (2002, pag. 6): «Quando si è in preda ad un’emozione, la si vive e

basta: o meglio, è l’emozione stessa che vive in noi, che ci vive».

Page 12: 50753094 f4a7-a6bc

8

Solo recentemente le scienze si sono interessate ad un approfondimento del campo

emotivo, svelando la sua necessità per un buono e completo sviluppo dell’essere umano.

Non si sono compiute infatti solo ricerche relative alle strutture o ai fenomeni di tipo

emotivo, ma si è ricercata anche la componente di interazione tra lo sviluppo emotivo,

cognitivo e sociale, riconoscendo oggi alle emozioni un preciso valore ed impatto su

tutto il comportamento umano. Precedentemente a tali ricerche le emozioni venivano

ritenute indipendenti dalle attività intellettive o almeno parallelamente legate, quindi la

loro scarsa influenza che spesso veniva interpretata come elemento di disturbo negli

studi, dettava il non interesse dei ricercatori.

1.1 DEFINIRE L’EMOZIONE

Nel cercare di fornire una definizione il più completa ed universale possibile i vari

ricercatori hanno incontrato molte difficoltà: ogni autore ed ogni corrente di pensiero

apporta una propria visione, concedendo a questo fenomeno tante sfumature, tali da

renderlo difficile da inquadrare. La complessità di questa manifestazione porta i

ricercatori a scontrarsi con definizioni incomplete e l’impossibilità di un’esplicitazione

universalistica, in quanto essendo un fenomeno sperimentabile di persona, nasconde

sfumature di percezione differenti da essere umano ad essere umano, per non parlare poi

dell’incidenza dell’appartenenza culturale dell’individuo.

Partendo dall’etimologia del termine “Emozione” ritroviamo una radice latina nel verbo

E-MOVÈRE (portare fuori, smuovere, scuotere; la particella “E” che significa “da”,

aggiunge forza all’azione del vocabolo a cui è legata). Si nota come sia forte la

componente del movimento e del cambiamento, emerge la tendenza all’agire costitutivo

essenziale e visibile dell’emozione. Questi elementi sono stati individuati anche da

Atkinson e Hilgard (2006, pag. 408) che definiscono brevemente l’emozione come: «un

episodio complesso, a più componenti, che induce ad una prontezza ad agire».

“L’Enciclopedia di Psicologia” a cura di Galimberti (1999, pag. 358) riporta alla voce

“Emozione” tale definizione: «reazione affettiva intensa con insorgenza acuta e di breve

durata determinata da uno stimolo ambientale. La sua comparsa provoca una modifica a

livello somatico, vegetativo e psichico». Si tratta di un’intensa reazione affettiva proprio

Page 13: 50753094 f4a7-a6bc

9

perché sono determinanti la brevità e la sua ampia portata. Per la complessità di tale

fenomeno è anche definita “sindrome reattiva multidimensionale” come riporta

Battacchi nel manuale di Psicologia delle emozioni a cura di D’Urso e Trentin (1990,

pag. 73).

Come suggerisce lo studioso Battacchi, la reazione emotiva provoca nel soggetto

mutamenti a più livelli, rispetto alle condizioni dello stato di pre-evento emotivo. Nello

specifico possiamo distinguere fra:

- Risposte fisiologiche: riferendosi all’attivazione dei sistemi immunitario,

endocrino e nervoso autonomo. A tale livello vengono prodotte risposte

fisiologiche caratteristiche come alterazioni nella frequenza respiratoria e

cardiaca o nella pressione sanguigna.

- Risposte motorie ed espressive: mentre le prime riguardano la prontezza della

persona all’azione che può essere di fuga (scappare, correre) al contrario di

contrattacco (avanzare, colpire, mordere); nelle seconde vengono evidenziati gli

aspetti fisici di espressione come la mimica facciale, le vocalizzazioni e i gesti.

- Risposte tonico-posturali: si soffermano sullo stato del corpo nel suo complesso,

cioè se quest’ultimo si trova in uno stato di tensione o di rilassamento.

- Vissuto soggettivo: consideriamo qui l’esperienza personale che il soggetto

percepisce e rielabora, in modo cosciente. Tale può essere analizzata rispetto

l’intensionalità e gli aspetti attentivo, percettivo e mnestico:

Intensionalità1: l’esperienza emotiva che viviamo è tale in relazione a

quel qualcosa che la ha provocata. È esperienza di qualcosa, anche se può

accadere di provare emozione senza sapere consciamente di che cosa e

perché (in tal caso ci troviamo davanti ad una intensionalità vuota, ma

non assente).

Attenzione: le emozioni influiscono positivamente o negativamente nel

processo attentivo.

1 Il termine “ Intensionalità” viene utilizzato da Battacchi in luogo di «intenzionalità», seguendo il pensiero di Boden che lo riferisce al carattere, proprio delle azioni eseguite in vista di uno scopo. Ritroviamo il vocabolo nel testo: Psicologia delle Emozioni, alla pagina 74 (D’Urso e Trentin, ed. Mulino, Bologna, 1990).

Page 14: 50753094 f4a7-a6bc

10

Percezione: gli oggetti-stimolo con le loro caratteristiche fisiognomiche o

espressive, producono percezioni che suggeriscono uno stato emotivo

(oggetti che appaiono invitanti o al contrario minacciosi oppure

disgustosi).

Recupero mnestico: la facilitazione o al contrario la difficoltà che le

emozioni, legate al ricordo memorizzato, portano al processo di recupero

di tale reminiscenza.

Da non dimenticare che la presenza di tutte le componenti connesse fra loro da

complessi rapporti di interdipendenza è indispensabile al realizzarsi del fenomeno

“Emozione”, poiché nessuna componente singola è da sola, in grado di permettere di

caratterizzare e distinguere un’emozione da un’altra. Per poter definire di che emozione

si tratta dobbiamo sempre tenere conto di una serie di elementi vari come: il

comportamento-risposta messo in atto, la mimica facciale, le sensazioni corporee, il

sentimento provato, le valutazioni cognitive dello stimolo. È doveroso inoltre ricordare

che ci sono vari modi per sentire l’emozione: diversi modi per essere tristi, per provare

gioia o rabbia e tali modi sono legati alle condizioni psicofisiche del soggetto, alle

influenze culturali di appartenenza-residenza, l’ambiente sociale e infine la situazione in

cui è avvenuto lo stimolo.

Il fenomeno “emozione” non è complesso solo per le varie componenti che lo

caratterizzano, ma anche per il processo che lo determina dalla comparsa alla sua fine.

Un’emozione intensa secondo Atkinson e Hilgard (2006, pag. 408), rifacendosi agli

autori Frijda e Lazarus, consta tipicamente di sei fasi:

- Il tutto inizia con la valutazione cognitiva (valutazione, compiuta dal soggetto,

del significato personale delle circostanze) che sollecita una sequenza di

risposte.

- La seconda è l’esperienza soggettiva dell’emozione provata (lo stato affettivo o

il tono sentimentale associato all’emozione).

- Ne segue la tendenza al pensiero o all’azione (determinato dall’urgenza di dare

una risposta allo stimolo ricevuto nella data situazione).

Page 15: 50753094 f4a7-a6bc

11

- La quarta componente è relativa ai mutamenti determinati dalle reazioni

corporee interne (specialmente quelle determinate dal sistema nervoso

autonomo).

- A tale segue l’esternazione dell’emozione, vissuta attraverso espressioni, gesti o

vocalizzazioni (nel particolare in questa fase sono considerate le contrazioni

muscolari che determinano particolari tratti espressivi: le mimiche facciali).

- Infine, come ultima componente, abbiamo le risposte alle emozioni (che

comprendono i modi in cui le persone regolano le loro emozioni, reagiscono ad

esse o affrontano le situazioni che le hanno indotte).

Anche se l’obiettivo finale dei ricercatori è cercare di far convergere tutto il sapere

ricavato dai vari studi in un unico schema integrato, purtroppo ancora oggi la ricerca

sulle emozioni si muove lungo percorsi distinti che si concentrano su specifiche di tale

fenomeno. La realizzazione di uno schema decisivo permetterebbe di definire con

precisione, le caratteristiche di ogni emozione ammettendone anche un confronto,

acconsentendo al contempo una distinzione all’interno dei fenomeni psichici affini o

complementari riguardanti la sfera affettiva. Come riferiscono D’Urso e Trentin (2007,

pag. 9) in tale sfera va operata una specificazione terminologica fra i termini affetti,

emozione, sentimento, umore ed tratti del carattere. Nel linguaggio quotidiano si sente

spesso utilizzare una grande varietà di termini per il lessico affettivo, con però un uso

improprio. Molto spesso infatti più termini vengono usati come sinonimi appiattendo le

differenze che fra loro esistono, con la conseguenza che da ciò ne derivino poi molte

difficoltà nel riconoscere, nominare ed in secondo piano gestire il proprio vissuto

affettivo.

Il temine affetti ha carattere generico ed ampio, che concede operazioni di variazioni per

intensità e per qualità. Possiamo immaginare gli affetti come una “grande scatola”

contenente diversi “elementi”, tra cui le emozioni, che ne sono incluse in quanto stati

affettivi. Gli affetti e le emozioni sono unite da un legame unidirezionale poiché

l’operazione logica contraria non è possibile, in quanto non tutti gli stati affettivi sono

emozioni.

Page 16: 50753094 f4a7-a6bc

12

Per emozioni intendiamo gli stati affettivi di breve durata determinati da una precisa

causa scatenante, ritenuta come stimolo-causa, che può essere sia interna che esterna e

che porta una modificazione in entrambi i livelli nel soggetto. Queste modificazioni

portate all’individuo differiscono per ogni emozione e proprio queste differenze

permettono di distinguere fra le innumerevoli emozioni esistenti. Dell’emozione è

possibile rintracciare un inizio, una durata e una fine che tendenzialmente è determinata

da una fase di attenuazione più lenta rispetto alla fase di comparsa.

Sentimento ed umore invece sono caratterizzati da una bassa intensità, pur essendo però

durevoli e pervasivi. Opposti alle emozioni per le caratteristiche sovra descritte, questi

altri due stati affettivi possono anche avere una causa scatenante non immediatamente

percepibile. In più questi non vanno a interrompere i processi di pensiero, come spesso

le emozioni fanno, ma li influenzano con tonalità positive o negative.

I tratti del carattere possono essere considerati modalità stabili, attuate dal soggetto che

le considera più appartenenti a sé, al proprio stile di risposta alla situazione creatasi,

poiché tendono a manifestarsi in modo automatico e ripetitivo, non adattivo alla

situazione come le emozioni. La loro manifestazione è dovuta alla complessa

interazione fra disposizioni temperamentali ed esperienza.

1.2 UN VENTAGLIO DI INTERPRETAZIONI

Galimberti (1999, pag. 359) fornisce un inquadramento dei principali approcci

scientifici:

Approccio Filosofico

Ripercorrendo storicamente le concezioni sulle emozioni Galimberti presenta come

primo studioso Aristotele che utilizza un principio logico, includendo le emozioni nella

categoria della passività, in quanto non considerabili “azioni”, ma “passioni”. Le

emozioni, secondo Aristotele tengono relazioni col sistema cognitivo attraverso il

processo di persuasione.

Seguono a tale filosofo le considerazioni degli Stoici, come riporta che condividendo il

giudizio di irrazionalità, applicabile alle emozioni, ne compiono una prima

Page 17: 50753094 f4a7-a6bc

13

classificazione, individuando quattro emozioni principali: il desiderio per un evento

buono e atteso, la paura per un evento cattivo e atteso, la gioia per un evento buono e

presente e infine il dispiacere per un evento cattivo e presente.

Questa prima forma di classificazione viene successivamente, nel periodo medievale,

arricchita prendendo in analisi oltre alla categoria dell’evento e la sua presenza, anche il

fattore intenzionalità, permettendo di ampliare il numero delle “emozioni base” da

quattro a sei, aggiungendo: la speranza e la disperazione. Secondo Galimberti dunque

con la filosofia moderna continua la considerazione delle emozioni come fenomeni

irrazionali, trovando il punto massimo nella filosofia kantiana della morale, che propone

l’esclusione di tutte le emozioni.

Approccio Psicologico

In questo filone viene perso l’interesse per il “significato” delle emozioni,

concentrandosi invece sulle modificazioni di adattamento o disadattamento indotte nel

soggetto calato nella situazione.

In questo approccio Galimberti individua diversi studiosi che hanno saputo apportare

interessanti concezioni:

Osgood assume come criteri classificatori: la piacevolezza (P), l’attivazione (A) e il

controllo (C) della situazione, la presenza positiva o neutra di questi indicatori definisce

l’emozione presa in considerazione. Dalla differente combinazione dei fattori: P, A, C,

nascono le emozioni fondamentali come per esempio la gioia ( P+, A+, C neutro) o la

ripugnanza (P, A+, C+).

Plutchik invece, cataloga le emozioni in base ai processi adattivi del comportamento,

per cui si evidenziano processi come: protezione (paura), distruzione (rabbia),

reintegrazione (tristezza), affiliazione (accettazione), riproduzione (gioia), rifiuto

(disgusto), esplorazione (attesa) e l’orientamento (sorpresa).

A questa ricerca si affianca Izard che da quelle emozioni individuate, ritenute primarie,

ricavò una serie di emozioni denominate complesse che riteneva essere la risultante di

una sommatoria di più “emozioni base”.

Page 18: 50753094 f4a7-a6bc

14

Approccio Sociologico

In questo ambito l’attenzione verso una classificazione delle emozioni viene posta

rispetto alla distinzione fra: emozioni egoistiche, che portano all’affermazione di sé o

attuate in difesa di sé; da emozioni altruistiche, comprendenti quelle legate all’ambito

famigliare e sessuale; alle emozioni superiori che producono tonalità affettive generali,

superando la sfera primaria della relazione IO-TU ed abbracciando il sociale. In questo

modello l’influenza esercitata dallo stato sociale, dalla cultura di appartenenza, dalla

contestualizzazione spazio-temporale della situazione e dalla conformazione della

società sono determinanti per stabilire sfumature nei vari stati delle categorie emotive.

Approccio Biologico

Questo ambito, rispetto ai precedenti, gode sicuramente di maggiore oggettività poiché

vengono analizzati i sistemi biologici a cui le emozioni sono connesse e a partire da

questi vengono compiute le classificazioni. A suddette considerazioni corrispondono le

classificazioni di Ax, come riporta Galimberti che predispone un piano di rilevatori

fisiologici della risposta emotiva come: frequenza cardio-respiratoria, temperatura

corporea, riflesso cutaneo galvanico, corrente d’azione (registrata al di sopra degli

occhi). Una volta individuati i caratteri biologici tipici di un’emozione, l’autore si

concentra sui tipi di reazione che variano sensibilmente da soggetto a soggetto (ad una

stessa situazione-input accade che persone diverse reagiscano con emozioni differenti:

in presenza di una situazione di conflitto, c’è chi reagisce con l’ira e chi con l’ansia).

1.3 PRINCIPALI APPORTI TEORICI

Esistono molte differenti interpretazioni riguardo al campo emotivo che trovano origine

rispetto ai principi classificatori che lo riguardano. Tra le più significative Galimberti

(1999, pag. 360) riporta le seguenti:

La Teoria Evoluzionista

Darwin, maggiore esponente di questa corrente teorica, offre una lettura di tipo

evoluzionistico fondata su tre principi:

Page 19: 50753094 f4a7-a6bc

15

Il principio delle abitudini associate, per cui se nel rispondere alla situazione che ci si

presenta viene utilizzata una particolare modalità espressiva che risulta essere efficace,

come per esempio: aggrottare le sopracciglia e imbronciare il viso per mostrare il

disaccordo o mostrare i denti prima di urlare contro all’interlocutore per manifestare la

rabbia provata, quest’azione verrà riutilizzata in futuro divenendo cosi la modalità per

esprimere quella determinata emozione provata.

Il principio dell’antitesi, per cui se ci si richiude su se stessi, coprendosi il volto per

difendersi da un attacco, il meccanismo contrario per cui ci si avventa contro l’altro è

l’espressione dell’emozione contraria.

L’azione diretta del sistema nervoso, per cui un’azione-risposta messa in atto dal

soggetto si chiamerebbe in realtà attivazione fisiologica, poi assunta come abitudine

associativa attraverso la ripetizione in condizioni simili o uguali. Questa teoria sostiene

l’ipotesi diffusa che nell’emozione vi siano componenti primitive, proprio a partire dal

controllo esercitato dalle aree celebrali più antiche.

La Teoria Periferica di James e Lange

James e Lange giunsero alla formulazione di teorie molto simili, per questo spesso nei

testi ritroviamo i due autori affiancati nell’esplicazione della Teoria Periferica.

Qui viene sostenuta l’importanza della risposta somatica nella percezione soggettiva

delle emozioni per cui: “ho paura perché sto scappando” e non come più familiarmente

ritroviamo nel senso comune: “sto scappando perché ho paura”. James sostiene che le

modificazioni viscerali e somatiche sono il dato essenziale, sono queste a rendere

emotiva la percezione rilevata. Questa interpretazione sottolinea il fenomeno feed-back

(retroazione) delle risposte somatiche scatenate dalle emozioni, il riconoscimento

dell’emozione avviene dopo la risposta fisiologica.

La Teoria Funzionalista

Rappresentante della formulazione funzionalista rintracciamo Dewey che mira

all’integrazione delle teorie apportate da Darwin e James e Lange. Le emozioni

vengono qui spiegate come funzioni psichiche che consentono una valutazione delle

situazioni ambientali, in funzione dell’adeguamento che il soggetto è portato a

compiere. L’aspetto comune alle numerose teorie, facenti parte del ramo funzionalista,

Page 20: 50753094 f4a7-a6bc

16

consiste nel fatto che l’attenzione viene posta sul significato delle funzioni emotive e

sulla relazione emozione-ambiente piuttosto che sulla loro descrizione e sul rapporto

con la coscienza e il sistema nervoso.

La Teoria Gestaltica

L’emozione, in questo enunciato, viene interpretata come l’effetto di una buona o

cattiva forma che l’ambiente rimanda alla percezione del soggetto. La percezione è un

meccanismo di attribuzione di significato, per cui definire un’emozione è conferire un

significato a ciò che viene prodotto. Secondo questa teoria, gli stati emotivi non sono

solo il frutto delle proiezioni dei nostri stati d’animo all’esterno, ma derivano dalle

forme, la comprensione di queste porta un’organizzazione dei dati esperienziali a cui

segue la determinazione emotiva.

La Teoria Comportamentista

Watson, autore rappresentante del settore comportamentista, parte dal principio per cui

l’emozione sia una risposta periferica dell’organismo a stimoli periferici, individuando

fra le emozioni tre candidati principali che si acquisiscono già allo stadio neonatale: la

paura, la collera, l’amore. Tutte le altre emozioni, a partire da queste tre principali,

vengono acquisite mediante un processo di condizionamento.

La Teoria Omeostatica

Nel meccanismo dell’emozione, Cannon, fu il primo studioso ad opporsi alla visione di

James e Lange, conferendo inoltre un ruolo basilare al sistema nervoso centrale. La

teoria da lui costruita viene inoltre chiamata “teoria talamica” poiché sposta la sede

dell’emozione a livello neurofisiologico, attribuendo al talamo un ruolo essenziale nel

processo emozionale, in cui l’energia potenziale liberata nell’organismo, nella fase di

risposta, consente la preparazione di reazioni intensive che risultano adeguate allo

stimolo provocatore.

La teoria Cognitivista

Questa visione ritiene che non si debba cercare nell’azione comportamentale espressa o

nella reazione fisiologica adottata, ma l’origine della risposta emotiva va indagata nella

valutazione cognitiva del dato in ingresso, che subisce l’influenza del significato

Page 21: 50753094 f4a7-a6bc

17

soggettivamente attribuito. Secondo Pribram prima che qualsiasi comportamento venga

messo in atto, anche in situazioni di squilibrio con l’ambiente, la mente elabora dei

piani di comportamento. L’emozione interverrebbe nel momento in cui il piano

comportamentale ideato non riesce ad essere messo in atto e non può essere ristabilito

l’equilibrio con la situazione ambientale, l’emozione fungendo da blocco impedisce ai

piani comportamentali più razionali e adattivi di essere agiti, così la mente compie una

regressione mettendo in atto i comportamenti più primitivi come l’aggressione o la fuga.

Tutti quei comportamenti tipicamente emotivi che tendiamo a considerare come la

conseguenza della perdita del controllo su se stessi. Secondo questo modello quindi il

numero e l’intensità delle emozioni provato è inversamente proporzionale alla quantità

di informazioni disponibili che dovrebbero condurre all’attuazione di piani

comportamentali ben congeniati a livello cognitivo.

1.4 CLASSIFICARE LE EMOZIONI

Classificare in termini oggettivi qualcosa come l’emozione è difficile per la complessità

degli elementi che la compongono è un compito assai arduo, soprattutto poiché si parla

di un fenomeno che non rientra nelle grandezze fisiche. Proprio tale complessità ha

determinato numerose ricerche che hanno portato a molteplici teorie che però non

riescono a convergere fra loro.

Ricordiamo, come riporta Proietti (2008, pag. 3) che nella più elementare

classificazione: «le emozioni possono essere distinte in positive (felicità, amore, gioia,

interesse, ecc.) e negative (tristezza, collera, paura, ansia, depressione, noia, disgusto,

vergogna, ecc.)» per lo stato affettivo che apportano al soggetto nel momento in cui,

entrando in scena, modificano la sua omeostasi emotiva. In questa classificazione i

termini “positivo” e “negativo” devono essere sostituiti con “gradevole” e “sgradevole”,

in quanto questi ultimi rendono maggiormente l’idea della modificazione apportata nella

coscienza del soggetto e non denigrano l’importante funzione che le emozioni come:

tristezza, collera, paura, ansia, depressione, noia, disgusto e vergogna (definite

Page 22: 50753094 f4a7-a6bc

18

precedentemente “negative”), hanno nel suggerire una risposta adattiva alla situazione

che prevede un “attacco” verso il soggetto.

La ricerca di emozioni primarie fortemente legata alla necessità di essere

universalmente riconoscibili viene affrontata, come riporta Goleman (2004, pag. 334)

da Ekman, ricercatore dell’University of California di San Francisco. Ekman compie

una ricerca sulle espressioni facciali relative alle emozioni, individuando con tale analisi

l’esistenza di quattro emozioni (paura, collera, tristezza e gioia) riconoscibili in ogni

cultura del mondo (compresi popoli analfabeti e meno civilizzati), proprio per le

espressioni date dalle mimiche facciali molto simili. Plausibilmente per la

riconoscibilità universale, le definì primarie.

A partire dalla precedente ricerca Goleman (2004, pag. 333) mette in evidenza il

concetto di famiglie emozionali fondamentali, affermando che: «vi sono centinaia di

emozioni con tutte le loro mescolanze, variazioni, mutazioni e sfumature (…). I

ricercatori continuano a discutere su quali precisamente possano essere considerate le

emozioni primarie - il blu, il rosso e il giallo del sentimento (…). Alcuni teorici

propongono famiglie emozionali, anche se non tutti concordano nell’identificarle».

Inoltre lo studioso presenta un proprio modello di emozioni primarie, raggruppate nelle

otto famiglie di appartenenza emotiva di seguito elencate:

- COLLERA: furia, sdegno, risentimento, ira, esasperazione, indignazione,

irritazione, acrimonia, animosità, fastidio, irritabilità, ostilità, e al grado estremo,

odio e violenza patologici.

- TRISTEZZA: pena, dolore, mancanza d’allegria, cupezza, malinconia,

autocommiserazione, solitudine, abbattimento, disperazione e in casi patologici,

grave depressione.

- PAURA: ansia, timore, nervosismo, preoccupazione, apprensione, cautela,

esitazione, tensione, spavento, terrore, come stato psicopatologico, fobia e

panico.

- GIOIA: felicità, godimento, sollievo, contentezza, beatitudine, diletto,

divertimento, fierezza, piacere sensuale, esaltazione, estasi, gratificazione,

soddisfazione, euforia, capriccio e al limite estremo l’entusiasmo maniacale.

Page 23: 50753094 f4a7-a6bc

19

- AMORE: accettazione, benevolenza, fiducia, gentilezza, affinità, devozione,

adorazione, infatuazione, agape.

- SORPRESA: shock, stupore, meraviglia, trasecolamento.

- DISGUSTO: disprezzo, sdegno, aborrimento, avversione, ripugnanza, schifo.

- VERGOGNA: senso di colpa, imbarazzo, rammarico, rimorso, umiliazione,

rimpianto, mortificazione, costrizione.

IN SINTESI

Nel presente capitolo sono stati presi in esame alcuni concetti fondamentali, per fornire

al lettore le basi necessarie alla comprensione del tematica centrale della presente tesi.

(1.1) È stato evidenziato come il concetto di Emozione, così sfuggente alla razionalità,

venga diversamente definito dagli autori che se ne sono occupati, ma tali definizioni

apportate condividono tutte il voler mettere in luce la complessità delle emozioni,

dovuta alle interazioni tra fattori individuali, sociali, culturali.

(1.2) L’emozione viene considerata ed indagata su più sfaccettature a partire

dall’approccio utilizzato. L’approccio Filosofico, Psicologico, Biologico e Sociologico

attraverso i propri ricercatori approfondiscono aspetti differenti.

(1.3) Viene presentata una rassegna delle principali teorie riguardanti l’interpretazioni

delle emozioni, visionando tra gli altri il punto di vista evoluzionista, funzionalista,

comportamentista, cognitivista, …

(1.4) Le difficoltà trovate nel fornire una definizione all’emozione, sono state

riscontrate anche nella esplicitazione degli elementi salienti per determinare una

classificazione per questo oggetto di ricerca. Infatti il dibattito scientifico sulla

classificazione delle emozioni, sul riconoscimento di emozioni primarie e

sull’organizzazione di famiglie emozionali prosegue, ancora attualmente, fra i

ricercatori.

Page 24: 50753094 f4a7-a6bc

20

CAPITOLO SECONDO

COME NASCONO LE EMOZIONI

Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris. Nescio, sed fieri sentio et excrucior.

(Ti odio e ti amo. Come possa fare ciò, forse ti chiedi.

Non lo so, ma sento che così avviene e me ne tormento.)

Caio Valerio Catullo. Carmina: Odi Et Amo (LXXXV).

Partendo dalla stimolante visione dell’esistenza di due differenti Menti, una Razionale e

l’altra Emozionale che nella loro cooperazione determinano l’agire umano, nel presente

capitolo si giungerà a porre particolare attenzione all’aspetto neuro-fisiologico

dell’emozione, interessandosi all’evoluzione compiuta dagli organi celebrali coinvolti

ed in particolare alla funzione dell’amigdala, reputata la sede delle passioni.

________________________________________________________

Con il ritrovato interesse per il campo emotivo, si apre intorno agli anni Settanta un

vasto ambito di ricerca. Si indagano le emozioni, utilizzando un approccio differente

rispetto i precedenti, individuando le relazioni che intervengono fra queste e i processi

cognitivi in un contesto sociale. Si sviluppano nuovi approcci volti all’approfondimento

degli aspetti cognitivi, neurobiologici e socioculturali.

2.1 DUE MENTI

Goleman (2004, pag. 27) sostiene l’esistenza di due differenti menti in interazione fra

loro il cui prodotto determina l’agire, la risposta che viene fornita alla situazione

vissuta: «a tutti gli effetti abbiamo due menti, una che pensa, l’altra che sente». La

“mente che pensa” è la mente razionale, comprendente i processi di cui siamo

Page 25: 50753094 f4a7-a6bc

21

consapevoli e che perciò domina nella riflessione e nella consapevolezza. In continua

interazione con questa troviamo la “mente che sente”, cioè la mente emozionale, un

altro sistema di conoscenza che in opposizione al precedente, è impulsivo e a volte

illogico.

La dicotomia razionale-emozionale viene quotidianamente ripresa nella popolare

opposizione mente-cuore. Non è possibile stabilire con certezza quanto la mente

emozionale influisca su quella razionale nel controllo del nostro agire poiché

l’ascendente che esercita si muove lungo un continuum che dipende dalle condizioni in

atto nella situazione vissuta in quel determinato momento. È affermabile che più è forte

l’emozione e lo stato d’animo provato, maggiore è l’influenza determinata dalla mente

emozionale. Sebbene la mente emozionale e quella razionale siano interdipendenti per

l’azione-risposta che verrà messa in atto, sono comunque due sistemi fisiologicamente

semi-indipendenti, poiché ciascuno rimanda a circuiti cerebrali distinti.

2.2 EVOLUZIONE DELLE AREE CEREBRALI IMPLICATE

NELL’AMBITO EMOTIVO

Il tronco cerebrale che regola le funzioni vegetative fondamentali è la parte del cervello

più primitiva. Da questa struttura derivano i centri emozionali che durante un arco di

tempo di milioni di anni si sono evoluti in aree del cervello pensante, oggi riconosciute

come la neocorteccia. A questo proposito Goleman (2004, p. 29) afferma: «molto prima

che esistesse un cervello razionale, esisteva già quello emozionale». Il fatto che la mente

razionale si sia evoluta da quella emozionale ci suggerisce l’importanza e la forza della

loro connessione.

Cercando di ritracciarne lo sviluppo, è possibile partire dal lobo olfattivo, in origine il

più importante ai fini della sopravvivenza dell’essere umano primitivo, si sono poi

sviluppati gli antichi centri emozionali, che crescendo finirono per attorniare l’estremità

cefalica del tronco cerebrale. L’evoluzione della neocorteccia, data dalla estensione e

dall’infittimento delle connessioni, permise una regolazione fine che consentì l’aggiunta

di altrettante sfumature alla vita emotiva. Negli esseri umani il rapporto tra neocorteccia

e sistema limbico è di molto superiore alle altre specie viventi e proprio grazie a questa

Page 26: 50753094 f4a7-a6bc

22

stretta interazione si è in grado di disporre di una gamma di risposte di gran lunga più

ampia. Le aree emozionali sono strettamente collegate a tutte le zone della corteccia

attraverso una miriade di circuiti di connessione. Questo conferisce ai centri emozionali

l’immenso potere di influenzare il funzionamento di tutte le altre aree del cervello,

compresi i centri del pensiero.

Per comprendere meglio la complessità che il fenomeno emozione determina a livello

corporeo, D’Urso e Trentin (2007, pag. 27) fanno riferimento alle componenti

fisiologiche coinvolte a livello di sistemi. L’emozione, infatti, porta all’attivazione del:

Sistema Nervoso Centrale, Sistema Nervoso Periferico, Sistema Nervoso Autonomo o

Neurovegetativo, Sistema Ormonale o Endocrino.

• Il Sistema Nervoso Centrale ha un ruolo primario nell’attivazione del processo

emotivo grazie agli organi che lo costituiscono: l’encefalo (comprendendo

l’amigdala e l’ipotalamo) e il midollo spinale.

• Il Sistema Nervoso Periferico, che comprende i nervi afferenti ed efferenti, ha il

compito di mettere in relazione il Sistema Nervoso Centrale con l’intero

organismo. Fa parte di questo sistema anche il Sistema Nervoso Autonomo o

Vegetativo che è responsabile delle risposte autonome o vegetative (da quelle

provocate dalle modificazioni rilevate nell’apparato cardiovascolare e

respiratorio alle variazioni salivari e della dilatazione della pupilla) messe in

atto con lo stato emotivo.

• Il Sistema Nervoso Autonomo è ripartibile in due sottosistemi: il Sistema

Simpatico (Ortosimpatico) e quello Parasimpatico che svolgono funzioni

antagoniste nel controllo dei muscoli e nella liberazione di energia.

• Il Sistema Endocrino viene coinvolto nell’attivazione emotiva in quanto svolge

la funzione di integrazione e mediazione fra il Sistema Nervoso Centrale e il

Sistema Nervoso Autonomo. Tra gli ormoni indicatori della presenza di uno

stato emotivo è possibile citare la Tiroxina (ormone tiroideo), l’ormone GH

Growth Hormone (ormone ipofisario della crescita), le Endorfine (addette alla

regolazione della sensazione di dolore). Sono particolarmente rilevanti anche le

Page 27: 50753094 f4a7-a6bc

23

azioni dell’Adrenalina e della Noradrenalina, ormoni e mediatori chimici,

impegnati nella propagazione dell’impulso nervoso.

Il controllo neurofisiologico, riguardante sia il comportamento che l’esperienza

emotiva, è stato quindi rappresentato dalle due studiose sopra citate nella triade: Tronco

Encefalico (incluse le parti del diencefalo), Sistema Limbico e Neocorteccia. Rilevante è

anche l’interazione tra queste e l’Ipotalamo.

L’Ipotalamo è una zona del cervello volta alla coordinazione del sistema nervoso

autonomo e regola, attraverso una complessa attività ormonale, varie funzioni

all’interno dell’organismo molte delle quali sono implicate nel vissuto e nella attuazione

psicofisiologica delle emozioni.

La Neocorteccia è garante delle previsioni, delle distinzioni più fini e dell’analisi delle

informazioni condizionate linguisticamente. Inoltre partecipa alla costruzione di piani e

interessi spontanei, basilari nel fornire occasioni di emozione vera e propria, e alla

produzione dell’interesse e del desiderio per ciò che è possibile ottenere o raggiungere.

Il Sistema Limbico, che interagisce col sistema ipotalamico, consta di un certo numero

di strutture interconnesse, la maggior parte delle quali secondo un punto di vista

filogenetico, fa parte delle aree “più antiche” del cervello. Le principali strutture di

questo sistema sono: l’amigdala, la formazione dell’ippocampo (l’ippocampo è

l’elemento di connessione fra la memoria e i circuiti a sostegno della competenza

emotiva) e l’area del setto. Alcuni autori tendono ad includere anche la corteccia

cingolata e il talamo anteriore. Questo insieme di strutture è volto alla regolazione delle

risposte organizzate in principio dall’ippocampo e dai gangli basali. Vengono così

integrati, attraverso questo sistema, gli aspetti cognitivi e gli ordini di azione.

2.3 L’AMIGDALA, SEDE DELLE PASSIONI

I nuclei del Telencefalo, facenti parte del Sistema Nervoso Centrale, vengono

denominati nel complesso Nuclei della Base e presentano connessioni e funzioni

differenti. In sostanza sono formazioni grigie, situate profondamente in ciascun

emisfero che intrattengono relazioni con il Diencefalo e in particolare con il Talamo.

Page 28: 50753094 f4a7-a6bc

24

Nello specifico i Nuclei della Base includono: il Clustro, l’Amigdala e il Corpo Striato.

L’Amigdala, tra questi, è la parte filogeneticamente più antica dell’intero complesso

grigio e viene spesso indicata col termine Archistriatum.

Topografia del corpo striato visto dal lato esterno; immagine tratta dal manuale di

anatomia umana, vol.3 di Balboni et Al. (2000, pag. 147).

Gli autori Balboni et Al. (2000, pag. 148) convergono nel definire l’Amigdala, o

Complesso Nucleare Amigdaloideo, «formazione grigia» poiché è ricoperta da uno

strato di corteccia rudimentale, «foggiata a mandorla, che si trova profondamente, nella

parte dorsomediale del lobo temporale, in diretto rapporto con l’apice ventrale e con le

parti superiore e mediale del corno inferiore del ventricolo laterale». In questa struttura

vengono individuate due principali formazioni: il gruppo di nuclei basi laterali e il

gruppo di nuclei corticomediali. Il primo è situato esternamente al gruppo di nuclei

corticomediali e comprende il nucleo amigdaloideo laterale, quello basale e quello

accessorio. Il gruppo di nuclei corticomediali rappresenta invece la parte dorsale e

Page 29: 50753094 f4a7-a6bc

25

dorsomediale del complesso, comprendendo l’area amigdaloidea anteriore, quella

corticale, quella centrale e il nucleo della stria olfattiva laterale.

L’Amigdala viene da molti considerata un centro di integrazione dei processi

neurologici superiori come le emozioni. È inoltre coinvolta anche nei sistemi della

memoria emozionale e nel sistema di comparazione degli stimoli ricevuti con le

esperienze passate, come riporta Goleman (2004, pag. 34): «all’amigdala è legato

qualcosa di più dell’affetto: tutte le passioni dipendono da essa». Inoltre lo studioso

(2004, pag. 34) affronta il caso della privazione di questo organo descrivendo: «La vita

senza amigdala» come «un’esistenza spogliata di significato personale». Una realtà

insipida, senza la possibilità di poter assaporare quel pizzico di sale e pepe che rende

unica ogni esperienza, che ci permette di ricordarla come speciale. Nel caso in cui

l’amigdala dovesse essere resecata dal resto del cervello ci si troverebbe in una

situazione che Goleman (2004, pag. 34) nomina «cecità affettiva». Il risultato sarebbe

un’evidentissima incapacità di valutare il significato emozionale degli eventi. Non

bisogna dimenticare, a questo proposito, che la nostra capacità emozionale è uno dei

tanti fattori che ci aiuta a definirci e a distinguerci dagli altri. Perderla o esserne privati è

come dire addio a ciò che consideriamo noi stessi. Per avvalorare le sue affermazioni

Goleman (2004, pag. 34) espone gli studi del neuroscienziato Le Doux che per primo

tentò di far emergere il ruolo fondamentale dell’amigdala nel cervello emozionale. Le

scoperte di quest’ultimo ricercatore sui circuiti del cervello hanno rovesciato le

preesistenti ipotesi sul sistema limbico, ponendo al centro dell’attenzione proprio

l’azione dell’amigdala. L’attività di questa struttura e l’interazione che essa intrattiene

con la neocorteccia sono l’epicentro dell’intelligenza emotiva. I segnali che arrivano

dagli organi sensoriali consentono all’amigdala di analizzare ogni esperienza, ponendola

così, come scrive Goleman (2004, pag. 35), in una posizione di grande rilievo nella vita

mentale: «facendone una sorta di sentinella psicologica che scandaglia ogni situazione e

ogni percezione, sempre guidata da un unico interrogativo, il più primitivo: è qualcosa

che odio? Qualcosa che mi ferisce? Qualcosa che temo?». Se la risposta a queste

primordiali domande risultasse affermativa, l’amigdala sarebbe pronta per un immediato

intervento segnalando a tutte le parti del cervello una situazione di crisi. Le Doux

afferma inoltre che l’architettura del cervello conferisce all’amigdala una posizione

Page 30: 50753094 f4a7-a6bc

26

privilegiata, collocazione che le assegna la capacità, con il suo messaggio di allarme, di

arruolare tutte le aree del cervello per giungere ad una risposta il più repentina possibile.

2.4 NELLA FUSIONE TRA PSICOLOANALISI E BIOLOGIA

SI INDAGA ANCHE SULL’AMIGDALA E SULLE EMOZIONI

Gli studi condotti da Le Doux non vengono unicamente ripresi da Goleman, anche un

altro autore cita questo studioso come riferimento nei propri elaborati. Kandel (Richard

e Piggle, 2001, pag. 72) scrive: «Le Doux ha sostenuto che nell’ansia, il paziente

sperimenta l’attivazione del sistema nervoso come qualcosa di minaccioso che sta per

succedere, un’attivazione mediata dall’amigdala. Le Doux attribuisce l’assenza di

consapevolezza all’arresto delle funzioni dell’ippocampo sotto stress». In questa

affermazione si nota come il sapere psicologico viene fuso alle conoscenze biologiche:

questa frase, infatti, contiene un’oggettività scientifica grazie all’individuazione di

strutture fisiologiche, quali l’amigdala e l’ippocampo, che reggono l’affermazione

psicologica dello stato di ansia e stress.

Per spiegare le emozioni nel primo capitolo ci si è avvalsi di molti riferimenti

psicologici poiché proprio la psicologia si è particolarmente interessata al mondo delle

emozioni cercando di indagarne ogni aspetto, senza per questo dimenticare che

quest’ultime hanno anche una base fisiologica. Come si è appreso in questo capitolo

l’emozione modifica l’equilibrio neurofisiologico del nostro corpo, quindi non è

impossibile ricondurre l’emozione alle sole indagini psicologiche, soprattutto

unicamente a quelle di stampo psicoanalitico. Dato i riscontri fisiologici e psico-

pedagogici delle emozioni è interessante proporre degli estratti di un articolo di Kandel,

il cui intento è di tracciare “un ponte” fra le scoperte psicoanalitiche e quelle biologiche,

così da conferire alla psicologia una maggiore oggettività scientifica. Kandel (Richard e

Piggle, 2001, pag. 57) esordisce: «nel corso della prima metà del ventesimo secolo la

psicoanalisi ha rivoluzionato la nostra comprensione della vita mentale (…) La cosa più

importante, ed anche la più deludente, è che la psicoanalisi non si è evoluta

scientificamente. In particolare non ha sviluppato metodi oggettivi per verificare le

Page 31: 50753094 f4a7-a6bc

27

eccitanti teorie che aveva precedentemente formulato» per poi giungere a formulare il

suo intento (Richard e Piggle, 2001, pag. 58):« il mio scopo, in questo articolo, è quello

di suggerire uno dei modi attraverso i quali la psicoanalisi potrebbe rivitalizzare se

stessa, si tratta di sviluppare una relazione più stretta con la biologia in generale e con le

neuroscienze cognitive in particolare». La fusione fra i saperi di queste discipline

potrebbe portare a nuove scoperte oltre che ad un maggiore approfondimento delle

conoscenze già possedute; inoltre ne gioverebbero anche gli studi sulle emozioni.

In questo paragrafo l’attenzione viene focalizzata tra gli studi dell’ampia ricerca di

Kandel, sulle scoperte che interessano il campo emotivo. Nell’esplorare la mente

Kandel (Richard e Piggle, 2001, pag. 63) indaga i processi mentali inconsci che

riportandoli al sapere biologico identifica con i meccanismi della memoria procedurale:

«questi ricordi che noi ora chiamiamo memoria procedurale o implicita sono

completamente inconsci e sono attivi nelle varie performance piuttosto che nel ricordo

cosciente». La memoria procedurale viene dallo studioso (Richard e Piggle, 9, 1, 2001

pag. 64) così definita: «è essa stessa una raccolta di processi che coinvolgono diversi

sistemi celebrali: l’incontro o il riconoscimento di stimoli incontrati recentemente è una

funzione della corteccia sensoriale; l’acquisizione di stati sensoriali diversi ricordati

coinvolge l’amigdala; la formazione di nuove abitudini motorie (o forse cognitive)

richiede il neostrato; apprendere nuovi comportamenti motori oppure attività coordinate,

dipende dal cervelletto».

«Questa importante corrispondenza tra neuroscienze cognitive e psicoanalisi fu

riconosciuta per la prima volta in un particolare articolo da Robert Clyman, che

considerava la memoria procedurale nel contesto delle emozioni e la sua rilevanza per il

transfert e il trattamento» così continua l’articolo di Kandel (Richard e Piggle, 2001,

pag. 65) che trova infine il modo di verificare oggettivamente, attraverso le conoscenze

e gli strumenti della biologia, le importanti scoperte psicoanalitiche (Richard e Piggle,

2001, pag. 66): «una delle prime limitazioni allo studio dei processi psichici inconsci fu

che non esistevano metodi per osservarli direttamente (…). La biologia può attualmente

fornire con la sua capacità di raffigurare i processi mentali e la sua abilità nello studiare

pazienti (…), lo studio dei processi mentali inconsci dall’inferenza indiretta

all’osservazione diretta. Attraverso questi mezzi saremo in grado di determinare quali

Page 32: 50753094 f4a7-a6bc

28

aspetti della memoria procedurale, rilevanti dal punto di vista psicoanalitico, siano

mediati dai sistemi sottocorticali presi in considerazione». Nel particolare i punti di

convergenza fra biologia e psicoanalisi rintracciati da Kandel (Richard e Piggle, 2001,

pag. 71) sono tre e vengono da lui così descritti: «l’importanza della memoria

procedurale per lo sviluppo morale precoce, per gli aspetti di transfert e per i momenti

di senso nella terapia psicoanalitica. Abbiamo esaminato un secondo punto di

convergenza nell’esaminare il rapporto tra le caratteristiche associative del

condizionamento classico e il determinismo psicologico. Vorrei, ora, illustrare un terzo

punto di convergenza: quello tra il condizionamento al pericolo, una forma di memoria

procedurale mediata dall’amigdala, l’ansia segnale, e il disturbo post-traumatico da

stress (PTSD) negli esseri umani». Per quanto riguarda l’amigdala Kandel scrive

(Richard e Piggle, 2001, pag. 72): «sappiamo che l’amigdala è importante per la

memoria emotivamente carica» e continua definendone la funzione: «L’amigdala

coordina il flusso di informazioni tra le aree del talamo e la corteccia celebrale che

elaborano i segnali sensoriali e le aree che elaborano l’espressione». Infine Kandel

(Richard e Piggle, 2001, pag. 72) presenta anche la funzione di un'altra struttura

celebrale che interessa l’iter emotivo: «l’ippocampo, che regola la risposta autonoma

alla paura e le aree limbiche associative corticali, il giro cigolato e la corteccia

prefrontale che si pensa siano coinvolte nella valutazione consapevole delle emozioni».

Page 33: 50753094 f4a7-a6bc

29

IN SINTESI

Il presente capitolo ha fornito una visione di carattere fisiologico riguardo l’oggetto di

studio, spiegando come il nostro corpo venga coinvolto a livello neurofisiologico

dall’azione emotiva.

(2.1) La visione di una mente divisa fra razionalità ed emozionalità ha portato gli autori

ad indagare su quest’ultima constatandone un’antica esistenza anche a livello biologico

ed una forte interazione con la parte razionale per la produzione di una risposta agli

stimoli ambientali-situazionali percepiti.

(2.2) È stata fornita una breve indicazione filogenetica sulle componenti della mente

emozionale, individuando le parti più antiche del cervello da cui è partita la sua

evoluzione. Sono state inoltre presentate le componenti cerebellari e i sistemi coinvolti

nel processo emozionale.

(2.3) Particolare attenzione è stata posta al Complesso Amigdaloideo, individuando in

questo l’elemento di maggiore rilevanza per il processo emozionale e nominandolo

perciò “sede delle passioni”.

(2.4) Viene qui presentato un ulteriore autore, Kandel, che affrontando l’obiettivo

propostosi di fondere il sapere della biologia con quello psicologico per dare un

fondamento oggettivistico alla psicoanalisi, cita e affronta il “campo emotivo”

analizzandone le sedi fisiologiche dell’Amigdala e dell’Ippocampo.

Page 34: 50753094 f4a7-a6bc

30

CAPITOLO TERZO

COMUNICARE LE EMOZIONI

Toglimi il pane, se vuoi, toglimi l'aria, ma

non togliermi il tuo sorriso … … negami il pane, l'aria,

la luce, la primavera, ma il tuo sorriso mai, perché io ne morrei.

Pablo Neruda. Il tuo sorriso.

Verranno qui messe in rilievo le caratteristiche relative alla esteriorizzazione dell’emozione affrontando in particolare gli aspetti della comunicazione non verbale.

Verranno inoltre illustrati studi e riflessioni relativi al tema della comunicazione dell’emozione, agli indici di riconoscimento e alle influenze dettate dalla cultura di

appartenenza. ________________________________________________________

L’emozione apporta una modifica nell’omeostasi del soggetto in cui interviene. Questa

è osservabile poiché coinvolge ogni sfera comunicativa a disposizione dell’essere

umano. Porre attenzione a particolarità come la postura, il tono, la gestualità e il

contenuto verbale può aiutare a individuare la presenza di uno stato emotivo e

addirittura a determinare quale emozione viene vissuta dalla persona in osservazione.

Ciò viene altresì proposto dalle autrici D’Urso e Trentin (2007, pag. 61) nel concetto:

«uno degli aspetti più tipici dell’emozione è il fatto di produrre in chi la prova delle

modificazioni ben visibili nel modo di esprimersi con la faccia, con la voce e con il

corpo». Si nota come l’emozione si fondi nelle componenti verbali, paraverbali e non

verbali della comunicazione, facendoli divenire propri elementi di riconoscimento.

Page 35: 50753094 f4a7-a6bc

31

3.1 IL LEGAME FRA EMOZIONE ED ESPRESSIONE

Il legame fra le emozioni e l’espressività è stato esaminato per la prima volta da Darwin

a cui interessava nello specifico il significato che l’espressione emotiva otteneva

secondo una prospettiva evoluzionistica. Nel 1872 avvenne la pubblicazione della sua

opera: L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali, che portò gli studiosi a

considerare l’originaria carica espressiva dell’emozione come un fondamentale fattore

per la sopravvivenza della specie. Facendo risaltare il carattere biologico Darwin

intendeva far riferimento al grado di adeguamento all’ambiente che ogni particolare

specie ha sviluppato in secoli di evoluzione e di modificazioni genetiche, applicandolo

anche all’ambito dell’espressività emotiva. Sotto l’influsso di Darwin l’espressività

emotiva venne studiata in modo scientifico giungendo così a sostenere una sua

evoluzione di affinamento, rispetto all’originaria funzione legata alla sopravvivenza,

svelandone pertanto un carattere ereditario e innato.

Oltre al carattere di eredità l’autore si interessò ad approfondire anche l’influenza del

fattore “abitudine”, ponendolo col precedente alla base dei suoi costrutti. Darwin (2008,

pag. 23) enunciò tre principi che come scrisse nella sua opera: «considero responsabili

della maggior parte delle espressioni e dei gesti messi in atto involontariamente

dall’uomo e dagli animali meno evoluti, sotto l’influenza d’emozioni e sensazioni

diverse»:

- Il primo: il principio delle abitudini utili associate, secondo il quale alcune

azioni complesse vengono agite in funzione di un’utilità diretta o indiretta per

portare sollievo o gratificazioni in particolari stati d’animo. Ogni volta che la

persona si ritrova in uno stato d’animo simile tende, per associazione o per la

forza dell’abitudine, a ripetere la risposta messa in atto precedentemente.

- Il secondo: il principio di antitesi per cui quando si induce nel soggetto uno stato

mentale radicalmente opposto a quello precedentemente provato, otterremo una

risposta di natura contraria a quella compiuta con la precedente stimolazione,

provocata da una tendenza involontaria nel comandare i movimenti agiti.

- Il terzo principio: il principio di azioni dovute alla costituzione del sistema

nervoso e in una certa misura all’abitudine, indipendentemente dalla volontà,

Page 36: 50753094 f4a7-a6bc

32

secondo cui nell’apparato sensorio che riceve una forte stimolazione si genera

un eccesso di energia che deve essere distribuita. Questa viene quindi rilasciata

in direzioni che risultano determinate dalle connessioni nervose ed in parte

dall’abitudine arrivando così a provocare o bloccare specifici movimenti.

Le teorie evoluzionistiche a cui Darwin diede avvio si distinsero dagli altri approcci

teorici proprio perché sostennero il carattere innato delle emozioni. Per avvalorare

questa tesi vennero compiuti molti esperimenti sia sugli animali che sugli uomini al fine

di individuare la funzione adattiva delle risposte emotive. Quest’ultima funzione

riguarda l’adattamento biologico che la specie realizza attraverso l’evoluzione e la

modificazione genetica per meglio rispondere alle richieste dell’ambiente, aumentando

in questo modo le probabilità di sopravvivenza. A conclusione dei suoi studi Darwin

considerò l’espressione delle emozioni una risposta di carattere adattivo in grado di

evolvere ed in particolare capace di partecipare alla regolazione delle stesse. Come

riportano D’Urso e Trentin (1990, pag. 101): «Darwin aveva affermato che la libera

espressione dello stato emotivo intensifica l’emozione stessa, mentre la soppressione

l’indebolisce e l’attenua». Successivamente alla corrente avviata da Darwin intervenne

il Pensiero Psicoanalitico che proponeva una opinione contraria. Secondo quest’ultima

corrente, infatti, come sintetizzano D’Urso e Trentin (1990, pag. 101): «l’espressione

riduce la forza dell’emozione». Il Pensiero Psicoanalitico afferma che quando nel

soggetto si forma energia emozionale questa deve essere scaricata attraverso i canali di

esternalizzazione, cioè quello verbale, fisiologico e corporeo. Nel momento in cui uno

di questi risulti bloccato l’energia viene ripartita fra i canali funzionanti aumentando

l’intensità della risposta agita.

Nella seconda metà del 1900 Scheres, rievocando Darwin sostenne nuovamente il

concetto evolutivo applicandolo nello specifico all’espressione vocale delle emozioni

nei tratti prosodici e paralinguistici del parlato che, in quanto riconoscibili nelle loro

alterazioni, assumono un ruolo fondamentale nella caratterizzazione degli stati emotivi.

A favore della tesi di questo studioso intervennero le applicazioni di Davitz, come

riportano D’Urso e Trentin (1990, pag. 99), le quali confermarono la possibilità di

comunicare specifiche emozioni attraverso la variazione di alcune qualità della voce, a

prescindere dal contenuto verbale.

Page 37: 50753094 f4a7-a6bc

33

Nonostante esistano numerose difficoltà metodologiche nell’analisi degli effetti

compiuti dall’emozione sul linguaggio, anche recenti ricerche condotte a fine degli anni

ottanta dallo stesso Scheres, come riportano D’Urso e Trentin (1990, pag. 99),

dimostrarono che le emozioni producono esiti stabili e coerenti sul campo vocale. Lo

studioso descrisse tre principali aspetti funzionali di mediazione del processo

emozionale che D’Urso e Trentin (1990, pag. 99) così riassumono:

- la valutazione della rilevanza dello stimolo ambientale o degli eventi in

relazione ai bisogni, ai piani e alle preferenze dell’individuo che si trova in

situazioni specifiche;

- la preparazione psicologica e fisiologica dell’organismo per affrontare

adeguatamente gli eventi stimolo;

- la comunicazione-segnalazione da parte dell’organismo del proprio stato

interiore, delle proprie intenzioni e delle proprie reazioni verso l’ambiente

circostante.

3.2 L’INFLUENZA CULTURALE

Nei suoi studi Darwin dovette scontrarsi con gli aspetti culturali che tuttora influenzano

e regolano notevolmente le espressioni emotive. Le regole di esibizione emotiva

vengono acquisite dal soggetto attraverso il processo di socializzazione che avviene

all’interno della cultura di appartenenza. I genitori stessi ed i soggetti significativi

insegnano sia in modo diretto che attraverso l’esempio l’uso delle emozioni in maniera

appropriata e consona alla propria cultura. Con le regole di esibizione si scoprono le

forme convenzionali di manifestazione, una specie di codice espressivo delle emozioni

riconosciuto dall’interno dei membri della cultura di appartenenza e che perciò potrebbe

potenzialmente essere mal interpretato da membri esterni. Nella vita sociale

dell’individuo è altamente rilevante la componente espressivo-motoria poiché comporta

una certa influenza anche nell’ambiente circostante e proprio per questo le emozioni

vengono definite, come citano D’Urso e Trentin (1990, pag. 100) un: «veicolo pubblico

di attività private». Attraverso le due condizioni di “privatezza” e “pubblica” le attività

emozionali sono funzionali alla regolazione dell’interazione sociale. La prima riguarda

Page 38: 50753094 f4a7-a6bc

34

il riconoscimento interno dello stato emozionale che viene provato; mentre la successiva

prevede l’attivazione di comportamenti empatici negli altri. Proprio l’empatia porta alla

conoscenza sociale dello stato d’animo della persona osservata. In questo modo viene

inoltre effettuato lo scambio comunicativo di informazioni riguardo al proprio stato

d’animo. Per la persona che prova l’emozione e per la collettività che assiste alla sua

comunicazione è fondamentale una corrispondenza fra quanto viene provato

internamente e quanto viene manifestato, per questo l’individuo durante il processo di

crescita acquisisce importanti strategie come il controllo e la regolazione dell’emozione.

Con queste competenze la persona fa corrispondere l’esperienza interiore con quella

manifestata mantenendo sempre un adeguamento alle situazioni sociali e alle norme

socio-culturali implicate. Infatti nelle diverse condizioni che possono venire a

presentarsi intervengono norme regolatrici proprie della cultura di appartenenza che

hanno lo scopo di definire innanzitutto l’emozione appropriata alla situazione e

successivamente anche quale sia il modo e l’intensità con cui comunicarla. Gli obiettivi

del processo di socializzazione delle emozioni, come ricordano D’Urso e Trentin (1990,

pag. 118) riprendendo le conclusioni degli studi di Lewis e Michalson, sono le

sfumature di una armoniosa e completa acquisizione, conseguita per vari gradi:

- come esprimere le emozioni, attraverso l’acquisto delle “regole di esibizione

sociale” per cui un’espressione emotiva viene attenuata, accentuata,

neutralizzata o dissimulata;

- quando esprimere le emozioni, con l’acquisizione delle regole situazionali che

curano la corrispondenza fra le emozioni espresse e quelle richieste dalla

situazione;

- come controllare/regolare le emozioni abilità che cura la capacità della persona

di adeguare l’emozione esternata in relazione alla circostanza esterna e alle

attese sociali;

- come interpretare le proprie esperienze emotive, competenza che cura la

capacità finale di saper appurare l’armonia dei precedenti punti, ottenendo la

coerenza fra lo stato interiore, il vissuto soggettivo e la manifestazione esterna

dell’esperienza emotiva.

Page 39: 50753094 f4a7-a6bc

35

Le norme sociali si preoccupano anche di stabilire situazioni in cui un certo grado di

“scatenamento emotivo” può essere approvato e socialmente controllato, ne sono un

esempio i festeggiamenti per i mondiali calcistici. Un interessante punto di

argomentazione è relativo alla differenza di espressione emotiva negli adulti di sesso

diverso. Sebbene non sia possibile stabilire se questa differenziazione sia dovuta

principalmente a fattori biologici o di socializzazione è consuetudine ritenere la donna

un soggetto più emotivamente espressivo dell’uomo. A questo proposito Atkinson e

Hilgard (2006, pag. 430) scrivono: «attraverso studi multipli che hanno consolidato le

osservazioni, gli psicologi hanno appreso che gli uomini e le donne differiscono

maggiormente nell’espressione delle emozioni - sia facciale che verbale - che

nell’esperienza soggettiva delle stesse». Tuttavia questa affermazione insinua

sottilmente il potere della radice culturale, infatti gli autori così continuano: «ciò

suggerisce che gli stereotipi di genere influenzano i resoconti delle persone sulle loro

esperienze. Gli uomini potrebbero pensare “sono un uomo e gli uomini non sono

emotivi; quindi, non devo essere emotivo”. Invece le donne potrebbero pensare “sono

una donna e le donne sono emotive; quindi, devo essere emotiva”», con questi

illuminanti esempi viene fornito e dimostrato l’enorme potere della cultura di

appartenenza in cui gli stereotipi, ormai ben affermati ed acquisiti socialmente, riescono

a influenzare i rapporti emotivi. A sostegno di quanto affermato precedentemente

diversi studi psicologici citati da Atkinson e Hilgard (2006, pag. 431) hanno dimostrato

che: «le differenze di genere nell’espressività emotiva sono legate alle differenze di

genere negli obiettivi di regolazione delle emozioni, da parte di uomini e donne». È

quindi fondamentale prestare attenzione al fatto che la distinzione sottolineata è relativa

all’espressione delle emozioni e non all’esperienza emotiva di per sé e tali differenze

trovano origine per lo più nel modo in cui uomini e donne vengono avviati alla

socializzazione e all’adeguamento agli stereotipi culturali.

Page 40: 50753094 f4a7-a6bc

36

3.3 L’ESPRESSIVITÀ DEL CORPO

Analizzando l’espressione delle emozioni viene esaminato l’insieme delle modalità

mimico-espressive, vocali, gestuali, posturali attraverso cui l’emozione viene

manifestata. L’elemento di maggiore rilievo è il volto, ritenuto il fulcro

dell’espressività. Questo è stato ovviamente l’oggetto più scandagliato nei vari studi

condotti, poiché permette un grado di immediatezza espressiva che la comunicazione

verbale non concede. Il linguaggio risulta, infatti, uno strumento non del tutto adeguato

alla comunicazione delle emozioni in quanto facilmente si possono incontrare difficoltà

sia nel riconoscere lo stato emotivo provato e nel nominarlo, sia nell’immediatezza

necessaria all’espressione emotiva che la comunicazione verbale non riesce a fornire.

Un vero e proprio interesse per le espressioni facciali emerge tra gli anni 1920-1940,

ove le ricerche riguardavano principalmente la capacità dei soggetti di giudicare

correttamente l’emozione ritratta in visi fotografati. Inizialmente a causa delle deboli

metodologie adottate, i risultati sono stati spesso ritenuti ambigui o invalidati. Soltanto

nella seconda metà del 1900 studiosi come Ekman e Friesen, come riportano D’Urso e

Trentin (2007, pag. 68), sono riusciti a superare molte delle difficoltà metodologiche

precedentemente incontrate, elaborando il Facial Action Coding System (FACS). Alla

base del suddetto FACS c’è l’intenzione di scoprire la funzione ed il ruolo di ogni

singolo muscolo per spiegare ogni movimento espressivo nel volto umano. Durante le

ricerche il volto è stato analizzato scomponendolo in due aree espressive distinte: l’area

superiore comprendente gli occhi, la fronte e le sopracciglia e l’area inferiore

comprendente la bocca, le guance e il naso. Ai muscoli facciali dei candidati sono stati

applicati degli elettrodi per rilevare i movimenti di cambiamento che la persona in

esame compiva nel ricevere uno stimolo emotivo. Dalle modificazioni espressive

rilevate, sono state individuate ben 44 unità di azione che sole o in combinazione

ricoprono tutta la gamma espressiva del viso.

La letteratura riguardante gli studi e le concezioni di molti ricercatori sull’importanza

degli aspetti comunicativi nell’esteriorizzazione delle emozioni è molto ampia. Duncan,

citato da D’Urso e Trentin (2007, pag. 71) propone una lista di comportamenti non

verbali capaci di fornire informazioni emotive. Tale lista pone al vertice le espressioni

Page 41: 50753094 f4a7-a6bc

37

facciali seguite dal movimento degli occhi e la direzione dello sguardo; i gesti e le

posture; la tonalità vocale; le inflessioni, le pause e gli intercalari utilizzati in un

discorso; ed infine anche l’uso dello spazio fisico nella comunicazione. Ekman e

Friesen invece suggeriscono una classificazione dei comportamenti espressivi basandosi

sulla loro funzionalità, comprendendo:

- emblemi: i gesti che hanno un corrispettivo verbale fisso e noto a tutti, come

mostrare il pugno per comunicare il proprio stato di rabbia;

- gesti di illustrazione: come i movimenti di accompagnamento al discorso

effettuati con le mani e le braccia;

- espressori di emozioni: principali rappresentanti le mimiche facciali;

- gesti regolatori: usati per segnare il tempo di uno scambio verbale, come

annuire o richiedere spazio nella comunicazione;

- adattatori: non sono diretti trasmettitori di messaggi, ma sono indispensabili alla

persona che comunica per mantenere sotto controllo lo stress e consentire

l’adattamento alla situazione, ne sono un esempio grattarsi e toccarsi il volto.

D’Urso e Trentin (2007, pag. 68) descrivono l’interessante studio compiuto da Ekman e

Friesen che nel confronto fra l’efficacia informativa detenuta dagli indicatori del viso e

quelli del corpo, rilevano una maggior efficacia negli indicatori del viso. Il valore dello

studio del significato delle espressioni facciali in relazione alle emozioni è

particolarmente utile perché diversi studi hanno dimostrato somiglianze, sebbene con

alcune differenze, a prescindere dal contesto geografico e culturale di appartenenza.

Ekman, come riportano D’Urso e Trentin (2007, pag. 67) fu uno degli studiosi che si

interessò in particolare al tema dell’universalità delle espressioni facciali, studio che

condusse parallelamente a quello relativo all’efficacia informativa delle mimiche del

volto. La ricerca interculturale da lui realizzata si è avvalsa dell’utilizzo di stimoli visivi

costituiti proprio dalle fotografie di espressioni emotive che dovevano ottenere lo stesso

riconoscimento da giudici di culture differenti, il medesimo giudizio dell’espressione

emotiva permetteva di sancire l’universalità dell’emozione riconosciuta. D’Urso e

Trentin (2007, pag. 66) si preoccupano di apportare altri dati a favore del carattere

universale di alcune espressioni emotive, ottenuti grazie agli studi condotti da Izard e da

una seguente ricerca condotta dallo stesso Ekman con l’assistenza di Friesen su soggetti

Page 42: 50753094 f4a7-a6bc

38

della Nuova Guinea. Infatti proprio l’impossibilità dei soggetti di venire a conoscenza

dei metodi espressivi delle altre culture in quanto privi di strumenti informativi come

giornali o televisione, ha dimostrato inequivocabilmente l’universalità di alcune

espressioni emotive. Al contrario di quanto riteneva inizialmente, lo stesso Ekman

dovette riconoscere una certa influenza al contesto culturale, poiché alcuni studiosi

soprattutto antropologi dimostrarono la relatività culturale delle manifestazioni emotive.

A questi rilevanti studi che portano una contraddizione nelle sue formulazioni, Ekman

ha risposto con la formulazione del concetto di regole di esibizione (display rules). Con

questa nozione lo studioso è riuscito a dimostrare che in una situazione ritenuta

“privata” i soggetti manifestano reazioni con caratteristiche universali, mentre quando

vengono calati un una situazione “pubblica” o “sociale” possono controllare

l’esternazione delle emozioni provate per rispettare forme culturali. Le regole di

esibizione vengono acquisite durante il processo di socializzazione e specificano, come

riportato da D’Urso e Trentin (2007, pag. 75): «chi può manifestare emozioni, in quale

situazione, rispetto a quale stimolo e stabiliscono le differenze fra i due sessi, fra i ceti

sociali e naturalmente fra le varie etnie e culture» come riportano. Queste secondo

Ekman agiscono in quattro modi: diminuendo l’intensità emotiva o aumentandola

oppure rendendo neutra la reazione (cioè mostrando indifferenza) o mascherandola

(cioè dissimulando la vera emozione).

3.4 LA COMUNICAZIONE COME INDICATORE EMOTIVO

Il verbo comunicare trova origine nelle parole latine: Communico – che significa

“mettere in comune”, “rendere manifesto” – e Communicatio – che significa “rendere

partecipe qualcuno di qualche cosa”. Quando comunichiamo, infatti, mettiamo in

comune messaggi e informazioni con altre persone. Come scrivono Redigolo, Kaldor e

Magrini (1995, pag. 5): «il linguaggio rappresenta lo strumento con cui è possibile

stabilire la comunicazione», ma il linguaggio non è il solo ed unico dispositivo della

comunicazione. Anche il comportamento è un mezzo fondamentale, infatti: «tutto il

comportamento è comunicazione e tutta la comunicazione influenza il comportamento»

come espongono Redigolo et Al. (1995, pag. 6). Si evidenzia così il modo in cui tutti i

Page 43: 50753094 f4a7-a6bc

39

vari aspetti che compartecipano al comportamento producono comunicazione e ne

vengono a loro volta influenzati, soprattutto nel campo emotivo. Il processo

comunicativo è molto complicato poiché consta di molte parti e fasi che debbono

combinarsi perfettamente fra loro per compiere una buona realizzazione. In particolare

del processo comunicativo desta interesse la sfaccettatura manifesta della

comunicazione cioè il canale comunicativo. Quest’ultimo è definibile come il mezzo

fisico-ambientale in cui avviene la comunicazione e che rende possibile il passaggio

dell’informazione-messaggio. Esso è particolarmente legato all’ambito emotivo proprio

perché ne determina l’esteriorizzazione, attraverso la sua componente verbale,

paraverbale e non verbale. Infatti: «nell’interazione comunicativa fra persone l’uso della

voce non è limitato alla sola produzione di espressioni verbali, ma il processo

comunicativo si estende anche alla modulazione di diversi aspetti non linguistici,

indipendenti dal contenuto verbale» come scrivono Redigolo et Al. (1995, pag. 50).

Questi aspetti indipendenti comprendono tutti gli indici del paralinguaggio, cioè il tono,

il volume, il timbro e le pause. Interessante è la classificazione composta da Laver e

Trudgill, citata da Redigolo et Al. (1995, pag. 50) per cui sono previste tre categorie di

comportamento verbale, identificate basandosi sulle caratteristiche portanti della classe:

- caratteristiche extralinguistiche della voce, costituenti gli aspetti anatomico

funzionali che consentono anche il riconoscimento della persona attraverso il

timbro e la qualità della voce;

- caratteristiche paralinguistiche del tono della voce, che svolgono la funzione di

inviare informazioni sullo stato emotivo della persona. Queste sono soggette ad

influenze di tipo culturale;

- caratteristiche della realizzazione fonetica che sono attinenti essenzialmente

all’accento e alla pronuncia.

«Il corpo costituisce lo “strumento” con cui l’uomo conosce ed entra in relazione con il

mondo» così esordiscono Redigolo et Al. (1995, pag. 31). Il linguaggio non verbale

costituisce il mezzo principale per esprimere e comprendere le emozioni manifestate gli

stessi Redigolo et Al. (1995, pag. 31) gliene riconoscono questo compito scrivendo che:

«vi è sostanziale accordo nel considerare il linguaggio non verbale come una delle

Page 44: 50753094 f4a7-a6bc

40

componenti essenziali del più complesso processo comunicativo». Interessante notare

come anche sugli aspetti non verbali della comunicazione intervengono delle influenze,

per altro già incontrate in questo capitolo, di carattere biologico (innato) e socioculturale

(in particolare l’educazione acquisita dalla famiglia e dai soggetti significativi oltre che

dai modelli culturali) come viene sottolineato da Redigolo et Al. (1995, pag. 36) con

questa espressione: «l’utilizzo del repertorio espressivo in funzione di comunicare è

entrato a far parte del patrimonio innato e viene appreso e sperimentato durante il

processo di socializzazione».

La particolarità della comunicazione non verbale è che nel corso della sua filogenesi

questa non è progressivamente decaduta lasciando spazio al contenuto verbale, come si

sarebbe potuto pensare dato l’alto utilizzo da parte dell’uomo, ma al contrario la sua

evoluzione è cresciuta parallelamente alla comunicazione verbale, accompagnandola e

spesso anche specificandola. Questo significa che le espressioni non verbali sono giunte

a ricoprire un ruolo necessario nel processo comunicativo. Le funzioni per cui l’uomo fa

ricorso alla comunicazione non verbale sono diverse e vengono raccolte da Redigolo et

Al. (1995, pag. 33) come segue:

- sostegno e complemento alla comunicazione verbale;

- mezzo principale per esprimere e per comprendere le emozioni;

- mezzo per comunicare atteggiamenti circa l’immagine di sé;

- mezzo sostitutivo del linguaggio verbale;

- sistema di regolazione dell’interazione (attraverso sequenze interattive e feed-

back);

- elemento basilare nelle manifestazioni collettive;

- “canale di dispersione” (subendo in modo minore il controllo neuropsichico,

permette con maggiore facilità al contenuto più profondo di riemergere);

- elemento insostituibile delle arti.

Gli indicatori a sostegno della comunicazione non verbale sono diversi e tutti

compartecipano a renderla estremamente espressiva e di immediata comprensione. È

però necessario un approccio globale a tutti questi indici, poiché se considerato

Page 45: 50753094 f4a7-a6bc

41

isolatamente un elemento del linguaggio non verbale può portare a interpretazioni

errate. Sono indicatori costituenti la comunicazione non verbale:

• il volto che d’altra parte rappresenta il primo elemento di interazione per il

neonato con l’altro, in particolare con la madre. Qui va specificato l’importante

ruolo svolto dallo sguardo, del quale viene analizzato il livello di contatto visivo

attraverso indici quali: la durata dello sguardo; la frequenza con cui ogni persona

rivolge lo sguardo; la frequenza con cui ogni interagente abbandona il contatto.

• la cinesica, branca della semiotica di cui fanno parte l’espressione dei gesti e dei

movimenti corporei compiuti durante l’interazione comunicativa. Di questo

argomento Redigolo et Al. (1995, pag. 42) illustrano la distinzione compiuta da

Argille fra:

o gesti illustratori e altri segnali correlati al linguaggio verbale;

o gesti convenzionali e linguaggio dei segni;

o movimenti che esprimono stati emozionali;

o movimenti che esprimono la personalità;

o movimenti usati nei rituali.

Nonostante sia il volto l’elemento di maggior rilievo e di primo impatto per la grande

espressività emotiva vi sono gesti che pur interessando altre parti del corpo risultano

significativi in questo senso. In generale la parte del corpo maggiormente coinvolta

sono le mani, soprattutto negli stati di agitazione ove i gesti, seppur non compiuti con

l’intento di comunicare ottengono comunque questo risultato “parlando” dello stato

emotivo della persona. Molto importante è non distaccare ogni gesto dal contesto in cui

viene compiuto, poiché in questo modo viene meglio compresa la carica espressiva del

gesto. Esistono più tipologie gestuali:

o di inibizione: comprendono movimenti di ritiro, stereotipati, inadeguati e

impacciati (ne è un esempio l’arrotolarsi una ciocca di capelli tra le dita);

o di depressione: prevede l’uso di movimenti lenti, rari, esitanti;

o di euforia: comprende movimenti veloci, scattanti, ritmici ed espansivi,

affettuosi, spontanei ed autoaffermativi;

Page 46: 50753094 f4a7-a6bc

42

o di ansia dove troviamo movimenti nervosi e ripetitivi (nascondere il

volto, scompigliarsi i capelli, grattarsi in volto, torsione e congiunzione

delle mani).

Lo stile gestuale di una persona può comunicare molto di lei, come il retroterra culturale

di origine, lo stato sociale e la professione, l’età, il sesso, lo stato di salute.

• la prossemica assume una valenza comunicativa a dipendenza della situazione

individuale, culturale e sociale in cui è calata l’interazione. L’oggetto di

interesse per la prossemica è il comportamento spaziale, espressione con cui si

intende la collocazione del corpo nello spazio, cioè la distanza tenuta dalla

persona, presa in considerazione, in relazione con l’interlocutore.

Comportamenti non verbali come: il contatto corporeo, la distanza

interpersonale, l’orientamento e la postura utilizzano lo spazio come modalità

comunicativa. Va in oltre ricordato che la collocazione dell’individuo nello

spazio a disposizione è la risultante fra variabili intervenienti, quali i

condizionamenti culturali e gli elementi emotivi che agiscono sull’individuo.

IN SINTESI

L’emozione è un fenomeno che non si consuma soltanto nel vissuto interiore della

persona, ma è tale anche per il processo di esteriorizzazione che coinvolge l’individuo

mettendolo in comunicazione con gli altri. Nel presente capitolo sono stati presi in

esame gli aspetti relativi alla esternazione dell’emozione.

(3.1) Partendo dall’apporto teorico dato da Darwin con la visione evoluzionistica

dell’espressione è stato esaminato lo stretto rapporto fra emozione ed espressione.

Page 47: 50753094 f4a7-a6bc

43

(3.2) È stata quindi evidenziata la caratteristica dell’emozione di essere un “fenomeno

pubblico” e cioè la presenza e la rilevanza dell’ascendente culturale che attraverso le

norme sociali e le regole di esibizione definisce: come esprimere, quando esprimere,

come controllare/ regolare e come interpretare le proprie esperienze emotive.

(3.3) Si è mostrato come nell’insieme delle modalità espressive delle emozioni

l’elemento ritenuto il fulcro dell’espressività è il volto. Divenuto l’oggetto più

scandagliato nei vari studi condotti, è stato ritenuto lo strumento di maggior

comunicazione emotiva, proprio per il suo alto grado di immediatezza, anche in

individui di diverse culture.

(3.4) Si è sottolineato come varie siano le componenti del canale comunicativo: verbale,

paraverbale e non verbale e come queste divengano i mezzi di espressione al servizio

delle emozioni. È stato messo in luce l’alto potenziale della comunicazione non verbale

che non solo funge da sostegno e complemento del linguaggio verbale, ma è essa stessa

il mezzo principale per esprimere e per comprendere le emozioni.

Page 48: 50753094 f4a7-a6bc

44

CAPITOLO QUARTO

INTELLIGENZA EMOTIVA – COMPETENZA EMOTIVA

Amministra le tue emozioni per poter avere speranza,

brindare alla vita, contemplare il bello.

Non dimenticare che possono darti i mattoni,

ma solo tu puoi costruire, possono mostrarti il timone,

ma solo tu puoi navigare nelle acque delle emozioni …

Augusto Cury. Dieci regole per essere felici (2008).

In questo capitolo verranno descritti i concetti di Intelligenza e Competenza Emotiva,

fornendo il pensiero degli autori che ne hanno coniato i termini, per poi affrontare le

formulazioni teoriche riguardanti l’acquisizione e lo sviluppo di questi.

__________________________________________________________________

Steiner e Perry (1999, pag. 12) scrivono: «Tutti abbiamo qualcosa da imparare sulle

nostre emozioni. Alcuni crescono con un alto livello di competenza emotiva, ma io

credo che pochi possiedano le capacità necessarie». L’importanza di essere dotati di

Competenza Emotiva oggi è stata fortemente rivalutata: per ottenere una vita serena e

una brillante carriera, non è sufficiente un alto livello di Quoziente Intellettivo.

Goleman (2006, pag. 375) documenta come l’intelligenza emotiva è fondamentale ai

fini del successo, quanto un alto Quoziente Intellettivo (Q.I.): «Molte persone

intelligenti sui libri, ma carenti di intelligenza emotiva finiscono per lavorare alle

dipendenze di gente con un Q.I. più basso, ma tali da eccellere nelle capacità

dell’intelligenza emotiva». Quindi, per vivere bene, un alto Q.I. non è sufficiente!

Page 49: 50753094 f4a7-a6bc

45

Affiora la necessità di possedere anche un alto «Q.E., quoziente emotivo», così definito

da Steiner e Perry (1999, pag. 24), che permetta di saper beneficiare e rallegrarsi per “le

ricchezze dello spirito”, imparando a gestire le proprie emozioni oltre a riconoscerle e

convivere con quelle altrui. Steiner e Perry introducendo il termine “Q.E.” vogliono

avere un forte impatto nel confronto con il fattore intellettivo. Il “Q.E.” è un concetto

spurio, non scientifico. Il Quoziente Emotivo non può essere misurato e quantificato al

pari di quello Intellettivo: se ne può ottenere una vaga idea, ma non può essere calcolato

ottenendo valori da indici e scale scientificamente provate. Le emozioni non

costituiscono una grandezza fisica, non sono definibili aritmeticamente, tuttavia la

scienza stessa ha recentemente documentato la loro importanza nella vita e nel

benessere delle persone.

Tra i sostenitori di una distinzione fra capacità intellettuali ed emotive, le cui

elaborazioni ed attività hanno luogo in parti diverse del cervello, troviamo Gardner,

come riporta Goleman (2006, pag. 375). Nel 1983 Gardner propone un modello che

definisce “Intelligenza Multipla” , in cui rintraccia sette diversi tipi di intelligenza. Oltre

alle abilità cognitive, come il ragionamento matematico e la espressività verbale,

ritenute standard, propone due forme di “Intelligenza Personale”: una volta alla

gestione di sé stessi (conoscenza del proprio mondo interiore) e l’altra (destrezza

sociale) per guidare le proprie relazioni. Il limite dell’autore è quello di indagare queste

nuove forme delineate, ponendo l’attenzione solo sugli elementi cognitivi, dimenticando

il ruolo essenziale delle emozioni svolto in queste due facoltà.

4.1 FORNIRE UNA DEFINIZIONE

Un approfondimento del concetto “Intelligenza Emotiva” viene apportato da Goleman

che riprende la teoria proposta nel 1990 da Salovey e Mayer. Quest’ultimi, come riporta

Goleman (2006, pag. 375) definiscono l’Intelligenza Emotiva come: «la capacità di

monitorare e dominare i sentimenti propri e altrui e di usare i primi per guidare il

pensiero e l’azione». Goleman (2006, pag. 375) propone una sua formulazione,

riferendosi all’Intelligenza Emotiva come: «alla capacità di riconoscere i nostri

sentimenti e quelli degli altri, di motivare noi stessi, e di gestire positivamente le

Page 50: 50753094 f4a7-a6bc

46

emozioni, tanto interiormente, quanto nelle nostre relazioni» giungendo, inoltre, al

riconoscimento di cinque fondamentali competenze emotive e sociali:

- Consapevolezza di sé: conoscere in ogni particolare momento i propri

sentimenti e le proprie preferenze e usare questa conoscenza per guidare i

processi decisionali; avere una valutazione realistica delle proprie abilità e una

ben fondata fiducia in se stessi.

- Dominio di sé: gestire le proprie emozioni così che esse - invece di interferire

con il compito in corso - lo facilitino; essere coscienziosi e capaci di rimandare

le gratificazioni per perseguire i propri obiettivi; sapersi riprendere bene dalla

sofferenza emotiva.

- Motivazione: usare le proprie preferenze più intime per spronare e guidare se

stessi al raggiungimento dei propri obiettivi, come per aiutare a prendere

l’iniziativa; essere altamente efficienti e perseverare nonostante insuccessi e

frustrazioni.

- Empatia: percepire i sentimenti degli altri, essere in grado di adottare la loro

prospettiva e coltivare fiducia e sintonia emotiva con un’ampia gamma di

persone fra loro diverse.

- Abilità sociali: gestire bene le emozioni nelle relazioni e saper leggere

accuratamente le situazioni e le reti sociali; interagire fluidamente con gli altri;

usare queste capacità per persuaderli e guidarli per negoziare e ricomporre

dispute, come pure per cooperare e lavorare in team.

L’origine del termine “Competenza Emotiva” va a Steiner (1999, pag. 25) come lui

attesta: «Quanto al termine Emotional Literacy, competenza emotiva, lo coniai io

diciotto anni fa. Apparve per la prima volta nel mio libro Healding Alcolism, nel 1979».

Secondo Steiner e Perry (1999, pag. 12) essere “emotivamente competenti” significa

possedere tre capacità: «quella di comprendere le emozioni, quella di ascoltare gli altri,

immedesimandosi nelle loro emozioni; e infine quella di esprimere le emozioni in modo

produttivo». Queste tre caratteristiche per Steiner e Perry (1999, pag. 12) porterebbero il

soggetto possedente ad aumentare il potere personale e la qualità della vita: «la

Page 51: 50753094 f4a7-a6bc

47

competenza emotiva migliora i rapporti, crea possibilità d’affetto tra le persone, rende

possibile il lavoro cooperativo e facilità il senso di comunità».

4.2 SVILUPPO DELL’ ABILITÀ EMOTIVA

Per quel che riguarda l’acquisizione di conoscenze scientifiche, nell’ambito dello

sviluppo emotivo, gli ultimi vent’anni sono stati fondamentali: in particolare le ricerche

si sono interessate al periodo prescolare, sostenendo una sempre più articolata e

complessa natura del processo di comprensione delle emozioni, in cui entrano in gioco

diverse abilità specifiche. La comprensione emotiva, secondo Gerow e Kendall come

riportano Albanese e Molina (2008, pag. 24) consta nella conoscenza consapevole dei

propri ed altrui processi emotivi. Sebbene tale consapevolezza nell’essere umano viene

raggiunta solo dopo la prima infanzia, durante questo periodo vengono però gettate le

basi per lo sviluppo emotivo, incontrando nel percorso: «precursori della futura capacità

di comprendere le emozioni» così definiti da Albanese e Molina (2008, pag. 24). Lo

sviluppo della competenza emotiva può quindi essere descritto secondo le autrici (2008,

pag. 24) come: «La capacità dei bambini di identificare, prevedere e spiegare le

emozioni, può essere perciò vista come un’evoluzione naturale di caratteristiche

emotive meno esplicite e accessibili della coscienza». Nel periodo fra i due e i tre anni,

generalmente i bambini acquisiscono la capacità linguistica necessaria a determinare la

comprensione vera e propria delle emozioni, in quanto vi è un accesso consapevole

all’esperienza emotiva che può così essere comunicata, spaziando dalla descrizione di

un’emozione facente parte dell’esperienza presente, di un ricordo passato oppure di una

previsione per una possibile situazione futura. Precisamente Albanese e Molina (2008,

pag. 25) fanno riferimento agli studi di Pons, Harris e de Ronsay in cui vengono

individuati nove componenti per definire la comprensione delle emozioni:

- Riconoscimento – Etichettamento: i bambini, verso i tre anni di età (capacità

che aumenta avvicinandosi ai cinque anni), sono in grado di riconoscere e

nominare le emozioni, attraverso i tratti espressivi del viso, principalmente

partendo dalle emozioni considerabili “di base” (felicità, paura, tristezza e

Page 52: 50753094 f4a7-a6bc

48

rabbia) per poi considerare, in susseguirsi, le emozioni positive e solo in ultimo

quelle negative. Questa lenta acquisizione è dovuta all’attenzione, posta dai

bambini, verso gli indizi percettivi posti nel viso: dapprima essi pongono

attenzione verso la zona orale, cogliendo le espressioni della bocca che meglio

descrivono le emozioni positive (individuando per esempio l’emozione felicità);

solo in seguito la percezione dei bambini verrà posta anche nella zona oculare,

individuando e distinguendo così le emozione negative (quali tristezza, rabbia e

paura). In questo percorso viene acquisita la capacità di riconoscere e distinguere

le emozioni rifacendosi alle espressioni mostrate.

- Causa esterna (situazionale): i bambini iniziano intorno ai tre/quattro anni a

comprendere come cause esterne, situazionali, influiscono sulle emozioni sia

proprie che altrui. Globalmente tale capacità viene acquisita in età prescolare in

maniera simile alla capacità di riconoscimento delle emozioni: partendo quindi

da situazioni che vanno a determinare stati emotivi positivi, per poi spostarsi a

stati emotivi negativi. Inizialmente i bambini che affrontano l’acquisizione di

questa competenza sono portati a compiere distinzioni causali che riguardano

prettamente la loro personale esperienza, solo in un secondo momento

scompariranno le difficoltà nel riconoscere cause situazionali relative a

esperienze altrui.

- Desiderio: la comprensione che le reazioni emotive delle persone dipendono dal

loro desiderio, avviene nel bambino di circa quattro anni. In questo periodo

l’infante ha le competenze necessarie a comprendere che una stessa situazione-

stimolo può portare, in due persone diverse, due differenti emozioni, poiché

determinante è il desiderio provato dai due soggetti.

- Conoscenza (credenza): tra i cinque e sei anni di età si scoprono l’influenza

della credenza nel procurare emozioni; siano queste credenze vere o false,

comunque sono determinanti per la reazione emotiva in quella specifica

situazione vissuta.

- Ricordo: la comprensione della relazione esistente, fra emozione e ricordo, è un

processo che si sviluppa tra i tre e i sei anni. Lentamente viene acquisita la

consapevolezza che l’intensità di un’emozione vissuta si attenua col passare del

Page 53: 50753094 f4a7-a6bc

49

tempo e che alcuni stimoli possono rievocare il carico emozionale contenuto in

una reminescenza.

- Regolazione: crescendo i bambini apprendono strategie sempre più efficaci per

controllare le emozioni. Passando da strategie meramente comportamentali,

tipiche dei bambini di sei/sette anni, a strategie di carattere psicologico superati

gli otto anni. In questa fascia di età, vengono scoperte anche strategie

mentalistiche per affrontare, soprattutto, emozioni negative, ma l’applicazione di

tali strategie è ancora sporadica e difficile. Solo col progredire dell’età si riuscirà

a riconoscerne l’efficacia per applicarle spontaneamente.

- Occultamento (nascondere): le regole che determinano la possibilità di esibire

le emozioni provate varia con l’appartenenza culturale, portando spesso a dover

imparare “l’arte della dissimulazione” del proprio vissuto emotivo. Queste

norme culturali vengono lentamente acquisite dai bambini attraverso la

socializzazione. I bambini imparano a mascherare, modulare l’intensità o

sostituire un’emozione con un’altra, nel tempo aumenta anche la consapevolezza

nell’agire questi meccanismi, ricordiamo che i bambini già intorno ai quattro

anni sono capaci di avvertire una discordanza fra l’emozione manifestata

espressivamente e quella realmente provata dalla persona con cui interagiscono.

La comprensione del fenomeno dissimulazione però non si ha prima dei sei anni.

- Emozioni miste (ambivalenti): diversi teorici sostengono l’incapacità dei

bambini minori di otto anni, nel comprendere la possibilità di provare più

emozioni e anche contrastanti, verso uno stesso stimolo o situazione.

- Morale: la consapevolezza che i sentimenti negativi derivino da un’azione

“moralmente reprensibile/riprovevole”, mentre quelli positivi da un’azione

“moralmente lodevole” giunge intorno agli otto anni circa. I bambini di questa

età sono in oltre capaci di descrivere le “situazioni morali” attraverso l’uso di

emozioni complesse, come l’orgoglio ed il senso di colpa, oltre a quelle

fondamentali. A questa età i bambini tendono a conferire sentimenti in base alle

norme morali, mentre un bambino di età inferiore, soprattutto prescolare, quando

sussiste un conflitto fra motivazione personale e norme morali, è portato a

Page 54: 50753094 f4a7-a6bc

50

giudicare in base al raggiungimento degli obiettivi prefissati prima che alla

morale prevista.

Albanese e Molina (2008, pag. 22) riconoscono alle riflessioni di Carolyn Saarni un

contributo importante alla comprensione del riconoscimento dello sviluppo emotivo nel

bambino. Secondo Saarni la crescita della competenza emotiva implica la presenza di

tutte quelle skills (abilità) necessarie per sentirsi auto-efficace negli scambi relazionali,

che ovviamente comportano una buona conoscenza sia delle proprie che delle altrui

emozioni:

- 1° componente: la consapevolezza dei propri stati emotivi. Il riconoscimento

delle emozioni vissute, situazione per situazione, comprendendo l’analisi tra le

varie emozioni sperimentate e gli avvenimenti-causa. Durante il primo anno di

vita il bambino prova diversi stati emotivi di cui però non è consapevole, poiché

ancora non possiede le capacità di rappresentazione cognitiva, fondamentali per

riconoscere i propri stati emotivi. Indispensabili in questa fase sono le

interazioni sociali, da cui il bambino acquisisce questa componente. Ad esempio

un bambino di un anno posto di fronte ad estranei regola il proprio stato emotivo

in funzione di quello espresso dai genitori, utilizza l’osservazione della risposta

di soggetti per lui significativi, per modellare la sua reazione emotiva.

- 2° componente: la capacità di riconoscere e di comprendere le emozioni degli

altri . La capacità di percepire le emozioni altrui è complementare alla prima

componente e ne consente anche un affinamento. Qui ritroviamo le capacità

trasversali dell’aspetto personale e sociale dell’individuo. Indizi primari per

riconoscere le emozioni altrui sono: il tono della voce, la mimica facciale, la

gestualità utilizzata. Per sviluppare tale competenza è necessario che il bambino

abbia le competenze adeguate per poter osservare gli altri (ad esempio

l’interazione).

- 3° componente: la competenza comunicativa delle emozioni. Saper comunicare

il proprio stato emotivo, linguisticamente oppure supportato da immagini o

simboli, saper accedere alle proprie rappresentazioni emotive, mettendole anche

a confronto con rappresentazioni altrui. Un ricco vocabolario emotivo è

Page 55: 50753094 f4a7-a6bc

51

sicuramente necessario per poter comunicare ciò che si prova, elaborandolo e

integrandolo con quello altrui. Le conversazioni sono sicuramente un’ottima

palestra per il bambino, utili per costruire e riattivare i cosiddetti “Script

emotivi”, schemi interpretativi che si occupano della realizzazione di una

“routine” per dare senso alle esperienze emotive in modo che siano significative.

- 4° componente: la capacità d’empatia. Per instaurare positive relazioni con altri

l’empatia è una capacità fondamentale che inoltre favorisce la comunicazione.

L’abilità di sentire con e per gli altri richiede una buona consapevolezza di sé,

permettendo l’interazione.

- 5° componente: corrispondenza non autentica fra lo stato emotivo interno e

quello espresso. La persona non sempre mostra la vera emozione provata; la

comprensione di questo aspetto favorisce la relazione, migliorando la

comunicazione. La consapevolezza che propri o altrui stati emotivi interni non

corrispondano a quelli manifestati è rintracciabile già nel bambino prescolare.

Questi processi di regolazione dell’espressione emotiva sono dovuti

all’influenza derivante dall’esposizione ai propri modelli comportamentali e

culturali: il bambino impara in questa fase a rispettare gli standard e le

aspettative della sua cultura di appartenenza.

- 6° componente: gestire emozioni avverse o di sconforto. Maggiori difficoltà

nella gestione delle emozioni esperite si hanno con quelle negative o avverse che

richiedono l’elaborazione da parte del soggetto di tecniche di autoregolazione.

Tale capacità prevede l’utilizzo di strategie quali: il problem solving, la ricerca

di aiuto, l’evitamento.

- 7° componente: consapevolezza della natura della relazione o della

comunicazione. Riconoscere le esperienze emotive serve a gestire i rapporti con

le persone e a essere consci delle conseguenze interpersonali di ogni

trasmissione emotiva. Le emozioni e il grado di simmetria presente nel rapporto

fra i personaggi della relazione influenzano la coscienza della

relazione/comunicazione, favorendo ancor più la comprensione del vissuto

emotivo-affettivo dei soggetti in interazione. Questa componente avvia alla

comprensione della necessità di più modalità per giungere a “comunicare in

Page 56: 50753094 f4a7-a6bc

52

modo appropriato”. Tale consapevolezza è legata alla compresenza di tre aspetti

nella relazione avviata: i rituali d’interazione (consistono nello stile della

relazione), i processi di negoziazione interpersonale e la metacomunicazione

(per cui viene comunicata oltre alla propria esperienza anche il proprio stile di

comportamento).

- 8° componente: accettare le proprie esperienze emotive. L’accettazione del

proprio vissuto emotivo porta il soggetto a creare una personale teoria delle

emozioni, che sarà il risultato delle proprie esperienze personali, del suo

carattere e delle influenze provenienti dalla cultura di appartenenza. In base a

queste teorie il bambino si sentirà più o meno appropriato emotivamente al

contesto di riferimento, giudicando i suoi sentimenti funzionali o meno,

sviluppando in tal modo il sentimento di auto-efficacia emotiva.

IN SINTESI

L’attenzione posta al mondo delle emozioni porta gli studiosi a formulare l’esistenza di

una seconda tipologia di risposta necessaria per il buon sviluppo dell’individuo (oltre al

già noto Q.I.), si “conquista” così il Quoziente Emotivo.

(4.1) L’Intelligenza Emotiva è fondamentale al raggiungimento del benessere della

persona, la scienza stessa lo ha recentemente documentato. All’individuo in formazione

va fornita un’attenzione particolare anche allo sviluppo di una positiva Competenza

Emotiva, conferendogli gli strumenti e gli input necessari all’accrescimento.

(4.2) Lo sviluppo della Competenza Emotiva coinvolge l’individuo fin dalla sua

infanzia. Lentamente viene acquisita la capacità di esprimere le emozioni provate, di

ascoltare e riconoscere quelle altrui e di sostenere interazioni sviluppando strategie

efficaci.

Page 57: 50753094 f4a7-a6bc

53

CAPITOLO QUINTO

L’EDUCAZIONE AFFETTIVA

Metà dei problemi, nella vita, sono causati dal fatto che ci si abbandona alle emozioni

quando si dovrebbe pensare, e si pensa

quando ci si dovrebbe abbandonare alle emozioni.

J. C. Collins.

Partendo da una riflessione sulla realtà odierna presentataci da vari studiosi si giungerà,

attraverso le loro riflessioni, all’inquadramento dell’educazione affettiva, esplicando la

necessità di inserirla nel contesto culturale. A questo proposito verrà infine sottolineato

il ruolo centrale della scuola intesa come valido mezzo di diffusione e sensibilizzazione

alle competenze emotive.

________________________________________________________

Nella storia dell’istituzione scolastica molte autorità si sono mosse perché tutti i minori

potessero accedere all’istruzione e la scuola divenisse “il luogo formativo” per

eccellenza. Di fondo si sentiva il desiderio di fornire ai bambini l’accesso al mondo

della conoscenza accompagnati da figure specializzate che potessero aiutarli nella loro

crescita, così da poter sviluppare nel modo migliore le capacità possedute e scoprirne

altre, ottenendo nel contempo gli strumenti per raggiungere un buono e completo

sviluppo della propria persona. Alla scuola è stato attribuito il compito di istruire e

formare, ma nella formulazione dei propri obiettivi non è stato approfondito quanto

avrebbe meritato lo sviluppo delle competenze affettive, ciò perché qualcosa nel

pensiero comune si è però arenato, come testimonia Boccali (1983, pag. 7) affrontando

il tema dell’educazione: «l’opinione comune, nel mondo occidentale contemporaneo, è

che le vie di conoscenza non-razionali come sensazione, emozione, sentimento non

richiedano nessuna educazione, e tanto meno nessuna disciplina formativa»; parole forti

Page 58: 50753094 f4a7-a6bc

54

e dirette, frasi che fanno riflettere. Perché l’educazione viene associata solo

all’acquisizione di nozioni, saperi e norme comportamentali? Perché si deve credere che

l’ottenimento e il controllo del mondo emotivo avvenga in modo automatico ed il

bambino non debba quindi essere guidato in questa scoperta? Boccali (1983, pag. 8)

continua la sua “arringa” riuscendo a colpire il lettore con la sua chiarezza: «il

preconcetto è illogico e, se non fosse così nocivo, persino buffo: nessuno di noi si sogna

di credere che un individuo, anche molto intelligente, possa realizzare il suo potenziale

intellettuale senza istruzione, senza educazione, senza lavoro. La convinzione opposta si

applica invece quasi automaticamente e inconsciamente alle facoltà non razionali».

Questa riflessione trova un rinforzo nelle considerazioni di Gay (2002, pag. 57):

«dunque l’educazione emotiva è tutt’altro che un semplice lasciar libero il bambino di

esprimere i propri vissuti interni con una passionalità che potrebbe condurlo invece a

mettere in atto comportamenti antisociali. Essa consiste essenzialmente nel partire dal

riconoscimento delle emozioni di qualsiasi tipo che il bambino legittimamente prova,

per aiutarlo a trovare modalità di espressione e riflessione sulle stesse, ponendo limiti

precisi ai comportamenti che ne conseguono». Ancora più incisivi sono Piatti e Terzi

(2008, pag. 10) nell’affermazione ripresa da Galimberti ne L’Ospite inquietante: «ci

preme qui ricordare che “la nostra emotività può essere educata e, se vogliamo una

società migliore, deve essere educata”». Gli avvenimenti che oggi viviamo e vediamo

parlano chiaro, l’educazione affettiva è uno strumento indispensabile per il buono e

completo sviluppo dell’individuo.

5.1 PERCHÉ INTERESSARSI ALLE EMOZIONI

Dai vari testi presi in esame emerge che gli autori nelle loro riflessioni sulla situazione

odierna, sugli avvenimenti quotidiani, concordano sulla necessità di strutturare un

percorso di educazione affettiva. Nell’introduzione al tema dell’affettività Piatti e Terzi

(2008, pag. 7) scrivono: «consapevoli che nella società odierna stanno prendendo piede

sentimenti nocivi come il cinismo e l’indifferenza, siamo convinti che questa situazione

si sia acuita grazie a un diffuso analfabetismo emozionale e a una sottovalutazione

crescente nella cura delle relazioni interpersonali e sociali».

Page 59: 50753094 f4a7-a6bc

55

Un contributo particolarmente importante riguardo alle problematiche prese in esame è

stato apportato da Goleman (2004, pag. 7), il quale afferma: «ho scritto Emotional

Intelligence in un momento in cui la società civile americana si dibatteva in una crisi

profonda, caratterizzata da un netto aumento della frequenza di crimini violenti, dei

suicidi e dell’abuso di droghe - come pure di altri indicatori di malessere emozionale -

soprattutto fra i giovani». Non illudiamoci che la situazione descritta da Goleman

riguardi solo la società americana, l’autore (2004, pag. 7), infatti, continua: «ho anche

appreso dai miei amici che in Italia si percepiscono i primi segnali ammonitori di

un’alienazione sociale e di una disperazione individuale che, se non controllati,

potrebbero un giorno portare a lacerazioni più profonde nel tessuto sociale. Nei paesi

europei, la tendenza generale della società è verso un’autonomia sempre maggiore

dell’individuo, che a sua volta porta a una minor disponibilità alla solidarietà e a una

maggiore competitività», in questa analisi della società Goleman (2004, pag. 7) rileva

che: «insieme a questa atmosfera di incipiente crisi sociale, ci sono anche i segni di un

crescente malessere emozionale, soprattutto fra i bambini e i giovani. Ciò che colpisce

in modo particolare è l’impennata della violenza fra gli adolescenti (…). Tutto questo

indica che alcuni minorenni italiani stanno avviandosi all’età adulta con gravi carenze

relative all’autocontrollo, alla capacità di gestire la propria collera, e all’empatia».

Appoggiandosi agli studi di Goleman, Gay (2002, pag. 56) si interroga sulla necessità di

parlare di educazione affettiva: «perché oggi? Forse (…) perché oggi ci troviamo in

un’epoca in cui già i fatti di cronaca, spesso riguardanti ragazzi e adolescenti, rivelano

un malessere generale e uno squilibrio emotivo impressionanti, che poi si manifestano

anche, in forme più subdole e apparentemente meno allarmanti». Citando Greenberg e

Kusché (2009, pag. 17): «sebbene gli studi abbiano messo in evidenza il legame tra

deficit nello sviluppo emotivo e psicopatologia, è stata stranamente riservata poca

attenzione al ruolo fondamentale dello sviluppo emotivo nei modelli di intervento

preventivo». Appare poi indiscutibile che, come scrive Goleman (2004, pag. 12): «ogni

giorno siamo raggiunti da notiziari pieni di queste cronache della disintegrazione della

civiltà e del venir meno della sicurezza - attacchi furiosi di impulsi spregevoli sfuggiti a

ogni controllo» eppure la società, le persone e le istituzioni sminuiscono il messaggio

che questi avvenimenti lanciano oppure intervengono con mezzi che non prevedono la

Page 60: 50753094 f4a7-a6bc

56

valorizzazione dell’educazione affettiva come strumento risolutivo. Questa possibilità

invece viene presa in analisi da Gay (2002, pag. 49) che esordisce con questa

riflessione: «ci si può però chiedere, come del resto spesse volte si è fatto, se

comportamenti di questo tipo non abbiano una funzione adattiva. In fondo essi non

fanno altro che denunciare visibilmente il disagio del singolo nei riguardi

dell’istituzione, e quindi richiamano l’attenzione su ciò che in essa non funziona, su ciò

che ha bisogno di essere preso in esame, di essere fatto oggetto di riflessione e di

mutamento». Secondo Gay (2002, pag. 54): «il rischio può essere quello di credere che

dedicarsi all’educazione emotiva del bambino significhi occuparsi solo di un aspetto del

suo sviluppo, e neppure di quello che siamo abituati a considerare il più importante»,

con questo intervento l’autrice svela le nascoste titubanze della società sull’educazione

affettiva, continuando così in difesa di quest’ultima: «invece la crescita emotiva investe

tutta la personalità e fa tutt’uno con i comportamenti intellettivi, affettivi, sociali, morali

nella messa in moto delle azioni che li riguardano».

Goleman (2004, pag. 12) riporta interessanti esempi su cui riflettere; esempi non così

astratti, dato che al contrario occupano quotidianamente buona parte delle notizie dei

telegiornali:

- «In una scuola locale, un ragazzino di nove anni in preda alla collera ha versato

della vernice sui banchi, i computer e le stampanti e ha distrutto un’automobile

in sosta nel parcheggio della scuola. La ragione: alcuni compagni di classe della

terza lo avevano chiamato “piccoletto” e lui voleva far impressione su di loro»;

- «Otto adolescenti, fra quelli che sostavano fuori da un rap club di Manhattan,

sono rimasti feriti in una rissa nata da una spinta involontaria e finita quando

uno dei contendenti ha cominciato a sparare sul gruppo con un’automatica

calibro 38. Il cronista osservava come negli ultimi anni queste sparatorie causate

da motivi apparentemente futili, ma percepiti come mancanze di rispetto, siano

diventate sempre più comuni nel paese»;

- «Nel caso di vittime di omicidi al di sotto dei dodici anni, riporta un altro

articolo, il 57 per cento degli assassini sono i genitori naturali o il nuovo partner

di uno dei due. In quasi la metà dei casi, i genitori affermano che “stavo solo

cercando di dare una lezione al bambino”. Il fatale eccesso di violenza era

Page 61: 50753094 f4a7-a6bc

57

causato da “infrazioni” come il monopolio della TV, il pianto o l’essersela fatta

addosso»;

- «Un giovane tedesco è accusato dell’omicidio di cinque donne e bambine turche,

morte in un incendio da lui appiccato mentre le vittime stavano dormendo.

Membro di un gruppo neonazista, il giovane ha raccontato che beveva, non

riusciva a tenersi un posto di lavoro, e riteneva gli stranieri i veri colpevoli della

sua cattiva sorte. Con un filo di voce si difendeva così: “non posso darmi pace

per quello che abbiamo fatto, e mi vergogno infinitamente”».

Goleman non è l’unico a riportare interessanti esempi, Kindlon e Thompson (2002, pag.

8), due esperti della psicologia dell'età evolutiva, espongono anch’essi alcuni casi su cui

riflettere:

- «Ci sono capitati istitutori che ci portavano i ragazzi per la terapia e poi li

piantavano in asso sulla soglia in quanto loro stessi erano troppo a disagio per

fermasi a parlare»;

- «Altri insegnanti hanno portato nel nostro studio i propri alunni, della cui

infelicità erano costretti a parlarci loro perché questi ragazzini erano incapaci di

articolare il proprio dolore»;

- «Abbiamo visto bambini e adolescenti starsene li seduti, muti e furiosi, con i

loro famigliari; e ci sono capitati ragazzi con cui abbiamo dovuto parlare giù nel

parcheggio, visto che non avevano la minima intenzione di scendere dall’auto

per partecipare alla seduta di terapia famigliare»;

- «Abbiamo lottato per molti anni – con diversi mezzi, ottenendo vittorie e

incassando sconfitte – nel tentativo di aiutare adolescenti tristi, ansiosi e pieni di

rabbia a raccontare la loro vita interiore»;

- «a volte ci tocca aspettare settimane, o magari mesi, per riuscire a cogliere lo

spiraglio di un’apertura emotiva, il fugace momento in cui il ragazzo

all’improvviso, ci mostra tutta la sua tristezza e la sua confusione, in precedenza

mascherate col silenzio o con la rabbia».

La difficoltà nel comunicare e “lavorare” sui propri stati d’animo traspare chiaramente

da questi episodi riportati poiché, come specifica Gay (2002, pag 46): «si possono

Page 62: 50753094 f4a7-a6bc

58

verificare momenti in cui le emozioni esplodono, oppure “si ammalano”, rivelando

aspetti potenzialmente o realmente distruttivi (…) e qui non intendiamo riferirci a

situazioni legate a una vera e propria patologia (…). Ci riferiamo invece a certi aspetti o

certi momenti della vita emotiva che possono sorprenderci per la loro violenza o per la

loro capacità di determinare comportamenti apparentemente “disadattivi”». I soggetti a

cui più spesso si riferiscono gli studiosi sono i giovani, come testimoniato da Gay

(2002, pag. 48): «i casi più seri sono quelli di bambini e ragazzi che, a causa di conflitti

con l’ambiente familiare, esprimono comportamenti che sono considerabili come

“sintomi” di un profondo disagio emotivo e affettivo»; non vanno tuttavia dimenticati i

genitori, ai quali Gay (2002, pag. 55) si riferisce scrivendo: «affrontando i problemi

educativi, Gottman parla della necessità, per i genitori, di un “allenamento emotivo” da

impartire prima di tutto a se stessi e poi ai propri figli». I giovani sono l’oggetto di

indagine per eccellenza, su di loro e per loro si dovrebbe creare una nuova formula

educativa che tenga più in considerazione il lato emotivo e che permetterebbe così di

riscoprire insieme a loro le emozioni che costituiscono un mondo poco conosciuto ed

esplorato anche per l’adulto. L’incapacità di contatto col proprio mondo interiore e la

derivante inabilità nel controllare i propri stati emotivi non riguarda solo gli eccessi di

ira, ma, come riferisce Gay (2002, pag. 49) oscilla tra: «il ragazzino che esprime il suo

disagio attraverso comportamenti di tipo aggressivo, richiamando l’attenzione su di sé.

E quello che invece sembra quasi voler cancellare la propria presenza, rintanandosi in

un’apatia che esprime totale mancanza di motivazione su tutti i piani». A conclusione di

questo excursus di difficoltà emotiva si può citare una riflessione di Kindlon e

Thompson (2002, pag. 9), dettata dalla loro esperienza: «se c’è una cosa che abbiamo

imparato, è che - se non gli si offre una valida alternativa - il giovane rabbioso di oggi è

destinato a diventare l’uomo solitario e ostile di domani».

Le analisi e le riflessioni degli autori concordano nel considerare la situazione odierna

una questione non accantonabile e rimandabile, guardando all’educazione affettiva

come la migliore strategia risolutiva. Non è più possibile lasciare che il bambino scopra

e costruisca il suo mondo interiore da solo: bisogna guidarlo e formarlo. Come scrive

Goleman (2004, pag. 8): «tutto questo suggerisce la necessità di insegnare ai bambini

quello che potremmo definire l’alfabeto emozionale – le capacità fondamentali del

Page 63: 50753094 f4a7-a6bc

59

cuore» l’autore (2004, pag. 9) continua poi in tono rassicurante: «le nuove scoperte

scientifiche sono incoraggianti. Ci assicurano che se cercheremo di aumentare

l’autoconsapevolezza, di controllare più efficacemente i nostri sentimenti negativi, di

conservare il nostro ottimismo, di essere perseverati nonostante le frustrazioni, di

aumentare la nostra capacità di essere empatici e di curarci degli altri, di cooperare e di

stabilire legami sociali - in altre parole, se presteremo attenzione in modo sistematico

all’intelligenza emotiva - potremo sperare in un futuro più sereno». Quindi Goleman

(2004, pag. 7) conclude: «il mio consiglio per guarire questi mali sociali era di prestare

una maggiore attenzione alla competenza sociale ed emozionale nostra e dei nostri figli,

e di coltivare con grande impegno queste abilità del cuore».

5.2 ALESSITIMIA, UNA PARTICOLARE CONDIZIONE

Le ricerche condotte per meglio inquadrare e migliorare gli strumenti di misura e

determinazione dell’alessitimia, hanno favorito nell'ultimo decennio notevoli progressi,

soprattutto rispetto all’interessante interazione fra questa condizione e il campo

emotivo, sfociando nel connubio salute e malattia. Queste ricerche vengono riassunte

dallo studioso Taylor nell’introduzione del libro Alessitimia. Valutazione e trattamento,

a cura di Caretti e La Barbera (2005). La particolare condizione che Taylor presenta

viene definita come un disturbo specifico del funzionamento mentale contraddistinto,

fra gli altri fattori, dalla difficoltà nelle competenze emotive. Letteralmente il termine

viene tradotto con l’espressione "non avere le parole per le emozioni", ma come

sottolinea Taylor rifacendosi allo studioso Bucci, il deficit è molto più complesso

rispetto a questa traduzione letterale. In alcuni casi l'individuo affetto da alessitimia è

privo di simboli sia verbali che non-verbali per gli stati somatici, riflettendo così un

deficit nella capacità di simbolizzare le emozioni, come sostenuto anche da molti altri

ricercatori. Tale condizione, che priva l’individuo di simbolizzazione, lo spinge verso

tensioni percepite come intollerabili, le quali per potersi riequilibrare vengono sfogate

attraverso canali motori e somatici. Il meccanismo di difesa messo in atto comporta,

però, modalità disadattive della regolazione affettiva. Le carenze riferite alla sfera delle

Page 64: 50753094 f4a7-a6bc

60

competenze emotive a cui si fa riferimento comprendono l'incapacità di percepire,

riconoscere e descrivere i propri e gli altrui stati emotivi. Rispetto ad un deficit

dell'esperienza conscia delle emozioni, l'alessitimia racchiude qualcosa in più: i soggetti

alessitimici appaiono intrappolati da un pensiero prettamente concreto e dall'attenzione

verso dettagli minuziosi e irrilevanti degli eventi. Inoltre non riescono ad accedere al

livello più inconscio che consente di trasformare le esperienze emozionali in sogni

simbolici e fantasie creative.

Il termine alessitimia è stato coniato all'inizio del 1970 da Sifneos e Nemiah, i quali lo

utilizzarono per riassumere l’insieme delle distinte caratteristiche di personalità

appartenenti ai soggetti riconosciuti come psicosomatici. Nel tempo venne poi applicato

più specificatamente per descrivere i disturbi psicosomatici nei quali è presente una

difficoltà a relazionarsi con le emozioni. Gli autori del termine “alessitimia” tendono a

sottolineare che i soggetti che ne soffrono non sono privi di emozioni, ma la loro

limitata capacità di elaborarle li predispone a vivere gli stati affettivi in modo

indifferenziato o scarsamente regolato. Queste persone dunque hanno grandi difficoltà

ad individuare quali siano i motivi che li spingono a provare o esprimere le proprie

emozioni e al contempo non sono in grado di interpretare le emozioni altrui. In loro

l'emozione viene vissuta solo per via somatica, direttamente sul corpo, mancando quindi

della capacità d'introspezione e di rielaborazione mentale e spesso per questo motivo

attuano come forma di difesa la conformazione ai comportamenti tipicamente mostrati

dalla persona media. I soggetti alessitimici tendono inoltre a presentare diverse

problematiche riguardo alle forme di relazione che stabiliscono e le quali possono

oscillare fra la forte dipendenza e il completo isolamento. Per gli aspetti appena descritti

questa condizione è stata spesso associata ad uno stile di attaccamento insicuro-evitante,

caratterizzato da un bisogno talvolta ossessivo di attenzioni e cure.

L'incremento delle ricerche e dell'interesse per questo costrutto può essere attribuito in

gran parte allo sviluppo della scala autosomministrata Toronto Alexithymia Scale

(TAS), soprattutto nella sua versione di 20 item (TAS-20), presentata nel 1994. Prima di

questi strumenti, la ricerca empirica sull'alessitimia era limitata dalla mancanza di

metodi validi e affidabili per la valutazione di questa condizione. È stata, infatti,

scientificamente provata l’affidabilità e la validità della TAS-20 anche a livello

Page 65: 50753094 f4a7-a6bc

61

interculturale, grazie a studi condotti su soggetti appartenenti a culture e lingue diverse,

permettendo in questo modo una maggiore generalizzazione dei risultati ottenuti.

Recentemente i ricercatori italiani si sono dedicati in particolare allo studio del rapporto

intercorrente fra l’alessitimia e la disregolazione affettiva, riprendendo quanto prima

accennato sulla forma di attaccamento sviluppata e sulla relazione fra comportamento

non-verbale e consapevolezza emotiva. Le difficoltà portanti dell’alessitimia legate alla

mancanza di autoconsapevolezza influenzerebbero, secondo diversi ricercatori, i

risultati della scala di misura basata sull’autosomministrazione. Per questo nell’ambito

di ricerca ci si indirizza verso un nuovo approccio multi - metodo per la valutazione del

costrutto.

5.3 VERSO UN’EDUCAZIONE AFFETTIVA

Con il termine “cuore” utilizzato anche dallo studioso Goleman si fa riferimento

all’aspetto metaforico della sede dei sentimenti, immagine che anche Filliozat (2001,

pag. 19) riconduce all’educazione scrivendo: «l’intelligenza del cuore è la capacità di

risolvere i problemi posti dalla vita e dal rapporto con gli altri. Per essere esercitata

pienamente, richiede una giusta padronanza delle paure, degli scatti di collera e dei

sentimenti di tristezza che punteggiano la vita»; inoltre come intervengono Piatti e Terzi

(2008, pag. 9): «prospettare un’educazione sulla pedagogia del cuore è una grande sfida

per i prossimi anni». Si è fin qui affermato che il pensiero s’intreccia con le reazioni

emotive e che il ruolo assunto dai sentimenti e dall’affettività è determinante nell’intero

arco dello sviluppo umano. Piatti e Terzi (2008, pag. 40), ad esempio riprendendo un

pensiero di Lindenfield, scrivono: «la ragione per cui proviamo emozioni consiste nel

“motivarci” a compiere delle azioni che avranno degli effetti vantaggiosi sul

mantenimento del nostro benessere e sulla sopravvivenza della razza umana».

Alle emozioni vengono in primis riconosciute funzionalità di benessere e di

sopravvivenza, ma esse assolvono anche molte altre funzioni che Piatti e Terzi (2008,

pag. 40) riassumono così:

Page 66: 50753094 f4a7-a6bc

62

- funzione di segnalazione intersoggettiva: le emozioni hanno l’effetto di

comunicare, esternare lo stato dell’organismo;

- funzione intrasoggettiva: l’individuo conosce in modo immediato e globale i

propri stati interni, i bisogni e i desideri del proprio organismo;

- funzione adattiva di regolazione continua del comportamento: le emozioni

guidano e regolano il comportamento dell’individuo.

Quelle appena descritte sono capacità base delle emozioni, funzioni che esse svolgono

indistintamente da una possibile educazione. L’educazione affettiva oltre ad affinare

queste risorse permetterebbe molto altro, come ad esempio la promozione di un buon

sviluppo dell’intelligenza e competenza emotiva, tematiche affrontate nel precedente

capitolo e alle quali è stata riconosciuta una fondamentale importanza formativa.

Imparare a educare anche il lato meno razionale delle persone, iniziando da bambini,

vorrebbe dire riuscire ad andare oltre al riconoscimento dell’esistenza di un mondo

istintivo. Significherebbe riuscire a migliorare la persona accrescendo il suo equilibrio

interiore, perché integrando nell’educazione un’attenzione agli stati emotivi si

permetterebbe alle persone di avere un maggiore contatto con la propria interiorità

affettiva e ne deriverebbe una maggiore facilità di riconoscimento anche a livello

sociale.

Aprire le porte dell’educazione alle emozioni significherebbe inoltre, come affermano

Piatti e Terzi (2008, pag. 15), estendere gli orizzonti della formazione poiché un

maggiore interesse al mondo emotivo permetterebbe di:

- «favorire i processi di apprendimento, motivazionali e decisionali: le emozioni

facilitano (ovvero ostacolano) l’apprendimento, condizionano la memoria e

influiscono sulle motivazioni, contribuendo non poco al successo nel

raggiungimento degli obiettivi»;

- «creare un clima positivo e collaborativo e potenziare le risorse del gruppo:

quando due o più persone si mettono insieme per uno scopo comune (…) non è

detto che si trovino bene insieme e che cooperino spontaneamente (…). Perché

sviluppino un vero spirito di collaborazione, è indispensabile che chi guida,

forma e cura il gruppo ponga l’attenzione al tipo di interazioni, agli stili di

Page 67: 50753094 f4a7-a6bc

63

comunicazione prevalenti e soprattutto ai sentimenti che intercorrono tra le

persone»;

- «promuovere la salute e prevenire il disagio: chi ha una certa dimestichezza con

la dimensione emotiva può comprendere meglio gli altri, tenere conto del loro

stato emozionale, per preservare la relazione, se è nel suo interesse farlo, o per

prenderne le distanze, se il rispetto della propria salute psichica lo suggerisce.

Diversamente chi non ha autoconsapevolezza rischia di “agire” le emozioni,

mettendo in atto comportamenti a rischio per sé e/o per gli altri, o di reprimerle e

ignorarle, andando incontro a nevrosi, malattie psicosomatiche, ecc.»;

- «migliorare le relazioni: ogni interazione passa attraverso il filtro delle emozioni

dei soggetti coinvolti. Chi è più competente dal punto di vista emotivo (…) ha

maggiori chance di entrare in rapporto di vicinanza autentica, profonda. Cosa

che dà stabilità e fondamento alla relazione»;

- «promuovere i comportamenti prosociali: sulla capacità empatica si fondano le

relazioni di aiuto di carattere professionale, ma anche le amicizie. L’empatia è,

per così dire, un prerequisito e un fattore legato alla prosocialità»;

- «prevenire e contenere fenomeni di bullismo: tra le condizioni che favoriscono

l’insorgenza del fenomeno, la letteratura pone in evidenza come caratteristica

comune sia al bullo sia alla vittima, l’incapacità a leggere le emozioni, a

riconoscerle dentro di sé e nell’altra persona, ad esprimerle in modo adeguato, e

l’incapacità a mettersi nei panni degli altri»;

- «prevenire, affrontare e risolvere i conflitti: le competenze emozionali (…) sono

chiamate in gioco quando si intende affrontare e risolvere conflitti (…); è

importante che la persona sappia entrare in contatto con il suo stato d’animo e

sappia comunicarlo all’altro in modo chiaro, diretto, non aggressivo (…),

assumendosi la responsabilità di ciò che prova. Per colui che ascolta si tratta di

mettere in pratica la capacità di mettersi in contatto autentico con lo stato

d’animo dell’altra persona»;

- «comunicare in modo assertivo ed efficace: nelle relazioni interpersonali la

comunicazione ha un ruolo importante e le competenze comunicative

presuppongono adeguate competenze emozionali. L’autoconsapevolezza

Page 68: 50753094 f4a7-a6bc

64

emotiva è prima di tutto condizione per la pratica dell’ascolto attivo (…), è

ingrediente irrinunciabile inoltre dei messaggi Io (l’I-Message, detto anche di

“autorivelazione”) attraverso i quali vengono espressi contenuti personali, anche

relativi ad emozioni, stati d’animo, sentimenti. Altrettanto per i “messaggi di

confronto”».

Tutte queste sono buone motivazioni per interessarsi all’educazione affettiva, allo scopo

di andare oltre alle principali funzioni che le emozioni assolvono per gli esseri umani,

spingendo così gli studiosi verso la comprensione della necessità di prendere in

considerazione e di attuare l’educazione agli stati emotivi. Come già abbiamo

precedentemente affermato negli ultimi decenni si è registrato un certo interesse da

parte di molti studiosi di diverse discipline, per il mondo degli affetti e per lo spazio

educativo che a questi andrebbe riservato. Tuttavia come scrivono Ianes e Demo (2008,

pag. 9) a questo proposito vigono le più diverse interpretazioni e proposte: «ciò che

passa sotto le espressioni di educazione emotiva, educazione alle competenze emotive,

all’intelligenza emotiva, all’alfabetizzazione emozionale e socio-affettiva si è diffuso

notevolmente nei contesti scolastici, spesso in modo disordinato e con proposte di vario

orientamento teorico e di diverso impianto metodologico. Questa rapida diffusione ha

creato qualche difficoltà di scelta e di orientamento agli insegnanti che vogliono

intraprendere con decisione e con un buon fondamento teorico-metodologico un lavoro

specifico in questo ambito». C’è ancora troppa confusione, troppe proposte e nulla di

definitivo e attuabile a livello stabile e nazionale, l’educazione affettiva non è ancora

riuscita ad instaurarsi a livello culturale, raggiungendo una consapevolezza sociale. Per

questo è necessario in primis diffondere il messaggio di porre maggiore attenzione alle

emozioni, di non negare la loro esistenza, di riconoscere la loro potenza ed influenza.

Solo in questo modo, infatti, si riuscirebbe a garantire alle emozioni il degno posto che

spetta loro nel “mondo dell’educazione”, riuscendo così ad istituire una forma di

educazione affettiva utilizzabile nel mondo formativo dell’istruzione scolastica. Infatti,

a lato della famiglia, quale istituzione più della scuola ha la possibilità di dare degno

posto all’educazione affettiva, riuscendo ad inserirla nella cultura della società?

Page 69: 50753094 f4a7-a6bc

65

5.4 PORTARE A SCUOLA LE EMOZIONI

Nel passaggio all’età scolare il bambino affronta un periodo di maturazione che lo

condurrà verso una competenza emotiva sempre più completa. Proprio per la delicatezza

di questo passaggio è possibile scontrarsi con fasi di avanzamento e di ambivalenze, di

tentativi ed errori e perfino di regressione. Queste situazioni possono venire a crearsi

perché, al contrario di quello che dovrebbe avvenire, il processo di sviluppo che

produce cambiamenti nel bambino deve essere sempre mediato dalla realtà, dal contesto

esterno. Intorno ai 5-6 anni si può notare un affinamento di vari aspetti della

competenza emotiva, quali l’ampliamento dell’alfabeto emotivo; la percezione dei

segnali emotivi che si fa sempre più ricca; la capacità di adattare intenzionalmente i

comportamenti espressivi per rendere più efficace la comunicazione interpersonale e le

regole di esibizione che, ormai interiorizzate vengono adottate sempre più

efficacemente. In questo stadio il bambino fa conoscenza con l’istituzione scolastica, la

quale parteciperà al compimento della sua formazione. Come scrive Gay (2002, pag.

30): «l’ingresso nella scuola e la sua frequentazione, soprattutto nei primi tempi,

comporta una grande dispendio di energie psichiche e quindi la mobilitazione di molte e

intense emozioni», la stessa autrice (2002, pag. 30) continua scrivendo: «il bambino

(…) si trova ora per la prima volta in un contesto nuovo, nel quale ha a che fare con

adulti aventi un preciso ruolo di “autorità” (…). Ogni esperienza di separazione e

cambiamento suscita un vissuto emotivo fatto di elementi contradditori». Il bambino

sperimenta dunque sensazioni forti perché scopre le emozioni contrastanti che può

provocare l’inserimento scolastico, altalenandosi fra ansia, preoccupazione e dall’altro

eccitazione ed entusiasmo.

Dopo aver presentato il bambino che accede alla scuola non solo carico dei libri e

quaderni che porta in cartella, ma anche delle forti e a volte nuove emozioni che porta

con sé, bisogna spiegare perché gli studiosi hanno individuato nell’istituzione scolastica

il miglior contesto dove l’educazione affettiva può essere conosciuta e riconosciuta

come fondamentale strumento educativo. Ianes e Demo (2008, pag. 53) scrivono a

questo proposito: «la scuola cosa può fare nell’ambito della formazione alla vita

affettiva? Crediamo che possa, e debba, fare moltissimo, sia in modo strutturato e

Page 70: 50753094 f4a7-a6bc

66

formale, sia nei mille modi informali e inclusi nelle attività di relazione e di

apprendimento che la caratterizzano». Anche Goleman (2004, pag. 8) riconosce nella

scuola una grande fonte di opportunità, asserendo: «le scuole potrebbero dare un

positivo contributo in tal senso introducendo programmi di “alfabetizzazione

emozionale” che - oltre alle materie tradizionali come la matematica e la lingua -

insegnino ai bambini le capacità interpersonali essenziali», così da sostenere e ribadire

quella che Goleman (2004, pag 8) identifica come “l’urgenza di base”: «mente e cuore

hanno bisogno l’una dell’altro», riconosciuta inoltre da Piatti e Terzi (2008, pag. 15):

«risulta sempre più urgente, dunque, la necessità di adottare un approccio olistico, che

integri cioè gli aspetti intellettivi, sociali ed emotivi nell’apprendimento». Il messaggio

di fondo è che l’educazione, e quindi ciascuna delle istituzioni atte alla sua pratica, non

può dedicarsi alla formazione di una sola delle due forme di apprendimento poiché in

questo caso non sarebbe possibile raggiungere una formazione realmente completa. Al

pensiero di questi autori si aggiungono le considerazioni di Piatti e Terzi (2008, pag.

15), evidenziano la necessità per l’istituzione scolastica di prendersi carico anche della

formazione emotiva dell’alunno: «la scuola in particolare non può prescindere dalla

necessità di riconquistare il bisogno di allenarsi a riconoscere e a gestire il sapere delle

emozioni. Agli alunni vanno insegnati i fondamentali, come trattare i sentimenti, come

sviluppare empatia, come controllare gli impulsi, come gestire situazioni conflittuali».

Altri autori, Ianes e Demo (2008, pag. 54) sostengono che l’educazione affettiva più che

divenire un’ulteriore materia scolastica: «dovrebbe diventare uno spazio specifico di

crescita personale, esplicito e protetto, nel contesto di un fare e vivere a scuola in un

modo affettivamente sensibile».

Cercando di analizzare meglio la situazione scolastica prendiamo spunto ancora una

volta da una nuova riflessione lanciata da Ianes e Demo (2008, pag. 53): «ma che cosa

dicono i documenti istituzionali più recenti di questi temi?». Nonostante le continue

revisioni in atto da parte del Ministero della Pubblica Istruzione, è comunque possibile

trovare interessanti direttive riguardo all’educazione all’affettività nelle indicazioni per i

Piani Personalizzati nella Scuola Primaria che Ianes e Demo (2008, pag. 54)

sintetizzano così: «nell’ambito generale dell’Educazione alla convivenza civile si trova

l’Educazione all’affettività, che si articola in varie conoscenze e abilità che dovrebbero

Page 71: 50753094 f4a7-a6bc

67

diventare progressivamente competenze». Seguono in scaletta le abilità individuate, così

come Ianes e Demo (2008, pag.54) le riportano:

- il sé, le proprie capacità, i propri interessi, i cambiamenti personali nel tempo:

possibilità e limiti dell’autobiografia come strumento di conoscenza di sé;

- le reazioni tra coetanei e l’adulto con i loro problemi;

- le principali differenze psicologiche, comportamentali e di ruolo tra maschi e

femmine;

- esempi di diverse situazioni nei rapporti tra uomini e donne nella storia;

- forme di espressione personale, ma anche socialmente accettate e moralmente

giustificate, di stati d’animo, sentimenti, emozioni diversi, riferite a situazioni

differenti;

- attivare atteggiamenti di ascolto/conoscenza di sé e di relazione positiva nei

confronti degli altri;

- attivare modalità relazionali positive con i compagni e con gli adulti, tenendo

conto anche delle loro caratteristiche sessuali;

- avvalersi del diario o della corrispondenza con gli amici per riflettere su di sé e

sulle proprie relazioni;

- comunicare la percezione di sé e del proprio ruolo nella classe, nella famiglia e

nel gruppo dei pari in genere;

- esercitare modalità socialmente efficaci e moralmente legittime di espressione

delle proprie emozioni e della propria affettività;

- in situazioni di gioco, di lavoro e di relax, esprimere la propria emotività con

adeguate attenzioni agli altri e alla riflessione sul bene e sul male.

Ianes e Demo (2008, pag. 59) prendono atto delle formule ideate da altri studiosi per

attivare un’educazione affettiva in campo scolastico scrivendo: «negli ultimi anni sono

apparse varie proposte operative per l’educazione all’affettività (…). Il denominatore

comune sembra essere quello della sequenza - percorso, che si snoda attraverso varie

attività mirate esplicitamente allo sviluppo di competenze affettive». Alcune di queste

proposte risultano più strutturate e formalizzate, mentre altre appaiono di portata più

ampia se non globale. Come individuano i due autori (2008, pag. 59) sopra citati, i

Page 72: 50753094 f4a7-a6bc

68

modelli teorici: «sono diversi, anche se non moltissimi. Alcuni ambiti della psicologia

se ne sono tenuti distanti, come ad esempio la psicologia dinamica e la psicoanalisi. La

psicologia congnitivo-comportamentale, invece, è particolarmente presente, con attività

educative costruite sulla base del filone che va sotto il nome di Educazione Razionale

Emotiva». Ianes e Demo (2008, pag. 56) riportano inoltre un’interessante chiarimento:

«ci interessa discutere anche di cosa non è l’educazione affettiva nella scuola». Molto

spesso, infatti, come specificano Ianes e Demo (2008, pag. 53) sono presenti attività i

cui contenuti possono essere vicini a quelli dell’educazione affettiva, ma che in realtà se

ne allontanano: «ci riferiamo in particolare alle attività di consulenza e counseling che

possono essere fatte all’interno della scuola da personale psicologico. Anche se in

queste situazioni si affrontano spesso tematiche affettivamente rilevanti, il contesto e le

modalità si avvicinano a quelle del lavoro individuale di sostegno psicologico, se non

addirittura della psicoterapia». Ianes e Demo (2008, pag. 59) si domandano allora:

«come collocare attività di educazione all’affettività all’interno delle prassi

scolastiche?». Gli stessi autori (2008, pag. 53) rispondono: «noi riteniamo che si

dovrebbero far coesistere due piani di lavoro distinti, ma complementari: quello formale

e strutturato e quello informale incluso e nascosto all’interno della quotidianità

dell’apprendere e del relazionarsi».

Con l’espressione piano formale i due studiosi intendono i percorsi strutturati e

organizzati in sequenze di attività che hanno come obiettivo lo sviluppo di specifiche

competenze affettive; per piano informale invece riconoscono tre ambiti generali, ove

agire con una particolare attenzione verso la componente affettiva. Queste aree secondo

gli studiosi (2008, pag. 59) citati sono: «l’ambito delle dinamiche di insegnamento-

apprendimento, la relazione di aiuto in situazioni affettivamente cariche e l’elaborazione

nel gruppo di temi sensibili». Gli autori individuano così nella dimensione

dell’apprendimento e della relazione, quotidiane nella “vita scolastica”, le aree

fondamentali su cui agire, arricchendole di attenzioni per lo sviluppo di competenze

emotive, attenzioni che gli stessi Ianes e Demo (2008, pag. 64) definiscono:

«pedagogicamente chiare, ma nascoste, implicite, informali», aggiungendo, inoltre, che

a queste è necessario associare per gli insegnanti, che gli studiosi ritengono essere i

Page 73: 50753094 f4a7-a6bc

69

principali attori e responsabili dell’educazione all’affettività degli alunni, attività di

autovalutazione relative al proprio stile affettivo.

IN SINTESI

Il presente capitolo costituisce il fulcro dell’indagine sull’educazione emotiva che è

stata qui presentata e affrontata secondo diversi punti di vista:

(5.1) Attraverso l’esperienza e gli esempi apportati da molti autori si è giunti alla

conclusione di una quotidianità marcata da eventi che sono esempio di emotività mal

gestita; di qui la necessità di un maggiore interessamento al campo emotivo, per

facilitare il raggiungimento di un sviluppo completo della persona.

(5.2) Fra le condizioni facenti parte delle incompetenze emotive viene qui descritta una

particolare condizione: l’alessitimia. Oltre alla definizione, alla presentazione dei fattori

caratterizzanti il quadro del soggetto alessitimico, viene presentata anche la scala di

individuazione e misurazione scientificamente riconosciuta.

(5.3) È stata qui presentata l’educazione affettiva come elemento di sintesi degli

argomenti emotivi e come migliore e necessaria soluzione alle carenze di gestione ed

espressione emotiva.

(5.4) Diversi studiosi hanno individuato nell’istituzione scolastica un ottimo mezzo per

riconoscere all’educazione affettiva il ruolo di primo piano che le spetta nell’ambito

educativo. Secondo gli autori, infatti, la scuola, applicando a livello curricolare

l’educazione affettiva, potrebbe adempiere pienamente all’obiettivo di una completa

formazione dell’individuo, permettendo inoltre l’integrazione di questa nel contesto

culturale e nell’ambito educativo.

Page 74: 50753094 f4a7-a6bc

70

CAPITOLO SESTO

LA FIGURA DELL’EDUCATORE PROFESSIONALE NELL’EDUCAZIONE AFFETTIVA

Essere felici è un requisito di base per la salute.

Le tue emozioni possono essere un’oasi o una bomba

per il tuo organismo, la scelta è tua.

Augusto Cury. Dieci regole per essere felici, (2008).

A partire da un breve inquadramento sulla figura dell’Educatore Professionale si

giungerà a mostrare come la sua formazione, per poter dirsi completa, debba

comprendere lo sviluppo di una certa sensibilità emotiva, fondamentale per

l’accompagnamento dell’utente. Si giungerà così ad asserire la necessità, per questo

“operatore sensibile”, di rendersi promotore dell’educazione affettiva. Verranno inoltre

presentati possibili strumenti, metodologie e progetti a disposizione di questo

professionista.

_________________________________________________________________

Tra le figure professionali che operano con e per la persona ritroviamo l’Educatore

Professionale il quale, interagendo a stretto contatto con l’utenza di ogni area sociale:

accoglie, sperimenta, vive ed è chiamato a gestire quotidianamente le competenze

emotive. Quanto detto porta alla visione dell’educatore professionale come un operatore

sensibile, attento al carico emotivo in gioco nella relazione e proprio per la formazione

multidisciplinare e per l’esperienza pratica di cui dispone, come un possibile promotore

dell’uso dell’educazione affettiva. Egli, operando per il raggiungimento di un buon e

completo sviluppo dell’individuo, dovrà tener conto della necessità di prendersi cura del

Page 75: 50753094 f4a7-a6bc

71

vissuto emotivo della persona, elemento non trascurabile per un efficiente intervento

educativo.

6.1 L’EDUCATORE PROFESSIONALE

Miodini e Zini (1992, pag. 14), riguardo alla figura dell’Educatore Professionale

scrivono: «non è facile delineare un inquadramento sintetico e chiaro del ruolo

dell’educatore professionale, in quanto questa figura, operante da diversi anni nei

progetti di intervento sulla salute con finalità e modalità differenti, ha avuto un

complesso percorso di sviluppo». Le tappe che hanno condotto a rafforzare e delineare

tale figura professionale in campo socio-sanitario sono state molte e tuttora hanno

ancora luogo apporti normativi chiarificatori e di affinamento.

Oggi è possibile affermare ai sensi del D.M. 2/04/2001 che l'Educatore Professionale

appartiene alla seconda classe delle lauree in Professioni Sanitarie della Riabilitazione.

Membro dell’équipe degli operatori sanitari, agisce in collaborazione con loro; a lui

spetta la formulazione e la realizzazione di specifici progetti, caratterizzati da

intenzionalità e continuità, volti a uno sviluppo equilibrato della persona finalizzati a

obiettivi educativi e riabilitativi. Gli Educatori Professionali progettano, gestiscono e

verificano i loro interventi con il coinvolgimento diretto dei soggetti interessati, tenendo

conto inoltre delle figure significative che ruotano intorno all’utenza, come ad esempio

la famiglia e senza mai dimenticare l’importanza di mantenere una ferma rete sociale

con la comunità. Come Miodini e Zini scrivono (1992, pag. 25): «la confusione che

vivono gli educatori nella percezione del proprio ruolo è confermata dalla diversità degli

interventi per i quali viene utilizzata questa figura». All’Educatore Professionale sono

infatti richieste competenze di diversa natura quali: pedagogiche, psicologiche,

riabilitative, di animazione, culturali e sociologiche che le autrici così descrivono nel

dettaglio:

- secondo Miodini e Zini (1992, pag. 27) le competenze pedagogiche

dell’educatore professionale: «si deducono dal concetto fondamentale che

l’individuo può e deve cambiare (…). L’educatore professionale accompagna

Page 76: 50753094 f4a7-a6bc

72

nel percorso evolutivo, è suo compito fare affiorare le potenzialità dell’individuo

favorendo l’espressione delle competenze e delle attitudini soggettive; (…) la

componente pedagogica presente nel ruolo dell’educatore professionale

contribuisce a trasformare l’esperienza soggettiva, quasi sempre inconsapevole,

in una esperienza consapevole, intenzionale, programmata, favorendo

l’evoluzione dell’individuo in una continuità e stabilità di rapporto»;

- per le competenze psicologiche alle autrici (1992, pag. 29) preme sottolineare

che: «la crescita di un individuo comprende elementi individuali, relazionali,

sociali» ed è perciò una necessità per l’educatore professionale affinare: «la

capacità di comprendere le componenti psicologiche presenti nell’individuo in

ogni fase della sua evoluzione, (…) la capacità di individuare la presenza di

dinamiche relazionali nei contesti che prevedono l’intervento dell’operatore

educativo e di sviluppare pertanto nuove modalità di rapporto adeguate alle

realtà e al potenziale in essa presente su più versanti»;

- Miodini e Zini (1992, pag. 31) per quanto riguarda le competenze riabilitative

scrivono: «l’educatore, come abbiamo più volte ribadito, mette la propria

competenza professionale a disposizione di persone che si trovano

temporaneamente o irreversibilmente in condizioni di disagio psico-fisico». Le

autrici specificano inoltre che, in base all’obiettivo propostosi nel progetto, gli

interventi che possono essere compiuti rientrano nelle categorie di: manuale-

operativa, intellettuale, psicologico- relazionale ed espressivo- creativa;

- per le competenze animative le studiose (1992, pag. 32) scrivono: «nel proprio

lavoro l’educatore professionale non può non contemplare tutto ciò che

appartiene all’animazione, differenziando l‘intervento in base al settore dei

minori, degli adolescenti e degli anziani». Le autrici desiderano mettere in

risalto il lato progettuale ed educativo dell’animazione definendola: «un’insieme

di azioni che mirano a liberare la sensibilità delle persone, a destabilizzare le

regole formali sulle quali si è strutturato il comportamento abituale, a favorire

l’espressione della gestualità puntando sulla partecipazione e sulla

collaborazione spontanea e attiva degli utenti. Il valore della soggettività e del

rapporto con gli altri viene in questo modo ampiamente recuperato»;

Page 77: 50753094 f4a7-a6bc

73

- Miodini e Zini (1992, pag. 33) con l’espressione competenze culturali

dell’educatore intendono: «la capacità di individuare tutte le attività di tipo

culturale presenti nel territorio in cui opera per utilizzarle come stimoli

nell’attività di recupero (…). La pregnanza e il valore di queste iniziative sono

invece confermati dal fatto che, offrendo conoscenze e informazioni che

diventano materiale per progettare nuove fasi di intervento, completano il

progetto educativo e/o rieducativo»;

- infine a proposito delle competenze sociologiche, le studiose (1992, pag. 34)

scrivono: «l’educatore professionale non interviene solamente nella relazione

con l’utente, la sua famiglia e gli altri sistemi significativi di riferimento, ma

agisce nella complessità dell’ecosistema, determinata dai condizionamenti

provenienti dall’ambiente sociale e dai vincoli stabiliti dall’organizzazione dei

sistemi territoriali».

L’Educatore Professionale accompagna l’individuo nel suo percorso verso un contesto

di partecipazione e recupero alla vita quotidiana attraverso gli strumenti della

progettazione educativa e della relazione interpersonale, anch’essa un fondamentale

dispositivo per quest’operatore socio-sanitario.

La relazione interpersonale è la costruzione di un rapporto significativo con l’utente che

avviene anche grazie al buon uso di un altro importante strumento per l’Educatore: la

competenza empatica. Nella relazione interpersonale che diviene educativa, poiché

utilizzata come strumento operativo, è necessario mantenere un equilibrio tra il

coinvolgimento e il distacco, anche se ciò risulta spesso difficile perché emergono e

vengono coinvolti aspetti intimi del professionista quali la sua emotività e la sua

affettività. Quanto detto porta alla visione dell’educatore professionale come un

operatore sensibile, attento al carico emotivo in gioco nella relazione, un esperto che

quotidianamente ha che fare con le competenze emozionali degli individui. Grazie alla

formazione teorica e all’esperienza pratica l’Educatore Professionale è in grado di

comprendere la necessità di prendersi cura del vissuto interiore ed emotivo, per un buon

e completo sviluppo della persona. In questo modo l’Educatore Professionale può farsi

Page 78: 50753094 f4a7-a6bc

74

promotore dell’uso dell’educazione affettiva, utilizzandola in prima persona come

pratica educativa.

Perché l’educazione affettiva entri effettivamente a far parte del complesso e polivalente

concetto culturale di educazione si può partire dalla formazione dei minori, usufruendo

dell’istituzione scolastica come mezzo per sensibilizzare alla necessità di una maggiore

attenzione all’affettività. Strutturando laboratori che possano riportare in luce la

rilevanza delle competenze emozionali nella formazione della persona, l’educatore

professionale sarebbe in grado di aiutare e supportare gli insegnanti e i rappresentanti

istituzionali ad avviarsi all’utilizzo dell’educazione affettiva, così da rendere possibile la

sua integrazione nei programmi scolastici. Riguardo all’inserimento nelle ore

scolastiche di attività a favore dello sviluppo emotivo, Albanese et Al. (2006, pag. 120)

descrivono l’esistenza di due differenti metodi: «tra le azioni che favoriscono

l’intervento, alcune utilizzano la riflessione sulle emozioni per favorire lo sviluppo di un

pensiero critico, mentre altre favoriscono lo sviluppo delle abilità di pensiero critico per

una migliore gestione delle emozioni».

Per quanto riguarda gli interventi del primo tipo Albanese et Al. (2006, pag. 120)

prevedono tre possibili formule di azione:

1. «suscitando l’espressione delle emozioni provate durante l’apprendimento per

favorire gli alunni che hanno bisogno di parlare delle proprie emozioni prima di

prendere un’attitudine di apprendimento»;

2. «facilitando la comprensione delle emozioni allo scopo di aiutare gli alunni a

trasporre in un altro contesto ciò che vivono emotivamente in una situazione»;

3. «portando uno sguardo filosofico sulle emozioni per favorire la discussione in

modo più concettuale sul ruolo delle emozioni stesse nell’apprendimento».

Descrivendo le azioni che favoriscono lo sviluppo delle abilità di pensiero critico per

una migliore gestione delle emozioni, Albanese et Al. (2006, pag. 124) fanno

riferimento agli studi condotti da Lafortune e St-Pierre. I due studiosi, oltre a sostenere

che la prospettiva secondo la quale lo sviluppo del pensiero critico sostiene quello della

meta-cognizione è poco sfruttata, segnalano che: «le emozioni provate

nell’apprendimento influenzano la gestione dell’attività mentale. Ciò significa che, in un

Page 79: 50753094 f4a7-a6bc

75

processo di apprendimento, è necessario tenere conto delle emozioni che influenzano il

processo mentale sia positivamente, per mezzo della motivazione o della fiducia in sé,

sia negativamente attraverso l’ansia o il disinteresse». L’attenzione educativa posta alle

emozioni le rende quindi il collante perfetto per la completa formazione del bambino.

Gli studiosi (2006, pag. 125), infatti, sottolineano le influenze della componente

emotiva nella crescita del pensiero critico: «si può pensare che il passaggio delle

emozioni alla meta-cognizione favorisca lo sviluppo del pensiero critico; (…) più gli

alunni utilizzano delle abilità meta cognitive, più avranno l’opportunità di essere “in

contatto” con ciò a cui pensano e con il modo in cui il loro processo mentale

progredisce».

6.2 METODOLOGIE E STRUMENTI A DISPOSIZIONE

L’educatore professionale, attingendo alle multicompetenze che caratterizzano la sua

formazione, deve essere in grado di spaziare tra la letteratura psicologia, sociologica e

pedagogica, compiendo un’azione di integrazione e approfondimento degli strumenti

messi a disposizione da ciascuna di queste diverse discipline, allo scopo di ottenere la

“formulazione migliore” per il proprio operato e di collaborare al meglio con le altre

figure professionali dell’èquipe a cui appartiene. Questo paragrafo raccoglie alcuni

metodi, di diversa natura disciplinare, utilizzati per lo studio delle emozioni. È infatti

impossibile riportare una completa illustrazione di tutti i metodi esistenti sia perché

sono numericamente elevati, sia perché molte ricerche non sono ancora state

completate.

In questo paragrafo si vuole semplicemente presentare un quadro metodologico delle

tecniche più diffuse e dei paradigmi sperimentali attualmente più utilizzati per misurare

i vari aspetti delle emozioni. D’Urso e Trentin (1990, pag. 47) introducono così l’analisi

da loro condotta sulle questioni di metodo utilizzate per il campo emotivo scrivendo:

«tradizionalmente le emozioni sono state definite e studiate da tre punti di vista:

l’esperienza del vissuto, le manifestazioni comportamentali e l’attivazione fisiologica».

Page 80: 50753094 f4a7-a6bc

76

Nell’indagine metodologica emergono in primis i metodi di auto-valutazione; infatti,

come scrivono D’Urso e Trentin (1990, pag. 49): «il modo più diretto e diffuso per

valutare gli stati emotivi consiste nel fare riferimento all’esperienza soggettiva».

Rientrano in questo campo metodologico le tecniche d’indagine che si basano

sull’introspezione, sull’uso del linguaggio e quelle che prevedono la compilazione di

questionari. Intuitivamente si comprende che queste procedure di indagine hanno gravi

limitazione metodologiche in quanto non vi è alcuna possibilità di controllo

intersoggettivo circa la validità dei dati e risultati raccolti e non viene fatta distinzione

fra umore e stati emotivi. D’Urso e Trentin (1990, pag. 49), infatti, descrivono così le

lacune di queste formule: «l’auto-valutazione delle emozioni può essere richiesta solo a

soggetti adulti in condizione di lucidità e in piena collaborazione; le capacità di

introspezione variano da persona a persona e da momento a momento». Nonostante il

fatto che questa difficoltà venga riconosciuta anche ufficialmente nel campo scientifico

e che si continuino a ricercare nuovi metodi per aumentare le validità di questi, le forme

di misurazione soggettiva del vissuto emotivo descritte, vengono utilizzate spessissimo

per il semplice motivo che non vi è nessun’altra misura che possa sostituire meglio la

valutazione del vissuto soggettivo.

Per quanto riguarda le metodologie basate sull’indagine del linguaggio, esse consistono

nella presentazione di liste di aggettivi o costrutti verbali, comunemente utilizzati per

riferirsi agli stati emotivi e umorali. I soggetti sono chiamati a individuare quali fra le

opzioni proposte descrivono meglio il proprio stato, indicando, a volte, anche

l’intensità, la frequenza o il grado di certezza della propria scelta. La scala di

autovalutazione più diffusa, come riportano D’Urso e Trentin (1990, pag. 50), è la

Adjective Check List formulata da Gough; scala in cui il soggetto deve indicare i termini

che trovava più appropriati per descrivere il proprio stato emotivo scegliendo fra

trecento proposti. Considerando gli aggettivi scelti e quelli scartati viene calcolato un

punteggio di valutazione su sedici scale che dovrebbero fornire indicazioni sui tratti più

costanti della personalità. D’Urso e Trentin (1990, pag. 50) presentano un altro test

formulato da Zuckerman e Lubin, simile nella forma al precedente, ma più breve

(prevede una tavola di centotrentadue termini) che viene utilizzato ancora attualmente in

Page 81: 50753094 f4a7-a6bc

77

ambiente anglo-sassone: il Multiple Affect Adjective Check List. In questo test, tuttavia, i

punteggi finali sono specificatamente volti all’individuazione degli stati di ansia,

depressione e ostilità. La diffidenza con cui gli studiosi utilizzano questo genere di test è

prettamente dovuta al metodo grossolano con cui lo stesso punteggio viene associato a

tutti i termini, indistintamente dal valore espresso da ciascuno di essi, come ad esempio

nel caso dei termini “impaurito” e “terrorizzato” che evidentemente richiamano un

impari grado di intensità pur avendo lo stesso punteggio. Le autrici (1990, pag. 51)

continuano la rassegna metodologica citando Nowlis e i suoi collaboratori i quali hanno

realizzato diverse scale di autovalutazione formate sempre da liste di aggettivi, ma nelle

quali, tuttavia, l’obiettivo non è la selezione di termini rappresentanti i propri stati

d’animo, ma viene richiesto ai soggetti di indicare per ogni elemento della lista la

gradualità con cui esso è provato, scegliendo fra: “molto”, “poco”, “per niente” o “?”

(nel caso fossero incerti). In questi tipi di scale la elaborazione risulta differente dalle

formule precedenti e attraverso analisi fattoriali si raggiunge l’obiettivo di misurare gli

stati d’animo.

Oltre alle scale di autovalutazione venne messo a punto un altro modo di indagare gli

stati emotivi, cioè metodi volti alla raccolta di dati introspettivi attraverso esplicite

domande al soggetto, come ad esempio: “ti senti imbarazzato quando ti prendono ad

esempio?” oppure “in questo momento sei felice?”. Una versione alternativa alla diretta

domanda è quella di presentare alla persona una lista di proposizioni a cui egli debba

esprimere una concordanza o meno.

Per quanto riguarda le misure di fattori comportamentali dell’emozione D’Urso e

Trentin (1990, pag. 53) scrivono: «è opinione diffusa – e non smentita dalla psicologia

scientifica – che gli stati emotivi si manifestano nel comportamento, anche all’insaputa

o contro il volere di chi li prova. Valutare gli stati emotivi partendo dal comportamento

osservabile richiede però delle decisioni di metodo che non possono prescindere da una

teoria. In primo luogo va identificato e circoscritto il comportamento da osservare e lo

stato emotivo che vi è connesso (…). Infine vanno messe a punto delle procedure

attendibili di misurazione». Fra le misure comportamentali degli stati emotivi viene

riconosciuta grande rilevanza alla voce, specie in ambito clinico. Come esempio di

Page 82: 50753094 f4a7-a6bc

78

questo campo d’indagine D’Urso e Trentin (1990, pag. 53) riportano gli studi condotti

da Eldred e Price, i quali raccolsero le trascrizioni di tutte le sedute psicoterapiche

compiute su un paziente per un intero anno, anche grazie all’intervento di specialisti

esterni e le analizzarono per individuare dei parametri generalizzabili, estraendo così

quattro misure: l’altezza della voce, il volume, la velocità di eloquio e il ritmo, termine

con cui si intende la fluidità o la discontinuità del discorso. Gli studiosi, come riportano

le autrici (1990, pag. 53), notarono inoltre che alcune misure linguistiche erano

sistematicamente correlate con il giudizio dato dagli specialisti: «per esempio la rabbia

esplicita si manifestava con un aumento dell’altezza, del volume e della velocità del

parlato e con pochissime interruzioni. Nei momenti di depressione invece l’altezza,

volume e velocità della voce diminuivano». Nelle ricerche condotte da D’Urso e Trentin

vengono però individuate come “metodi principe” per identificare gli stati emotivi le

espressioni del volto. Per analizzarle sono stati utilizzati strumenti quali disegni e

schizzi anatomici, foto e ritratti e ai soggetti veniva richiesto di assegnare un’emozione

ad ogni volto. Inoltre D’Urso e Trentin (1990, pag. 57) aggiungono: «per quanto

riguarda il modo tipico di manifestare gli stati emotivi con comportamenti globali, si è

proceduto con metodi assai diversi sia dalla posizione teorica sia dal tipo di ricerca».

Uno strumento degno di essere citato è il Test di Comprensione delle Emozioni (TEC)

che Albanese e Molina (2008, pag. 55) presentano attraverso l’obiettivo chiave per il

quale è stato formulato: «uno dei principali obiettivi del TEC è proprio quello di fornire

uno strumento in grado di valutare, con la stessa metodologia, l’insieme delle

componenti della comprensione delle emozioni». Questo test permette così di verificare

empiricamente la correttezza del profilo evolutivo dell’individuo testato. Come scrivono

Albanese et Al. (2006, pag. 46): «il pregio principale dello strumento ci sembra

consistere nella semplicità della sua concezione, che dovrebbe permettere di identificare

l’andamento evolutivo con grande chiarezza, comprendendo assieme componenti

diverse e livelli diversi di difficoltà». Un altro vantaggio è rappresentato dal tempo di

somministrazione del test, che dura complessivamente circa 15/20 minuti, tempo che

anche i bambini più piccoli sono in grado di sostenere con attenzione e partecipazione.

Le emozioni che vengono prese in esame sono quelle di base: felicità, tristezza, rabbia,

Page 83: 50753094 f4a7-a6bc

79

paura oltre alla condizione neutra (normale). Albanese et Al. (2006, pag. 46) rifacendosi

a diversi studiosi di metacognizione e apprendimento sottolineano che: «le varie

difficoltà che emergono a scuola sarebbero da mettersi in relazione con disturbi della

comprensione delle emozioni rilevabili attraverso il TEC. L’uso del TEC permetterebbe,

quindi, da un lato di individuarli e dall’altro di porre le basi per la messa a punto di

percorsi di educazione emotiva, che tengano congiuntamente conto dello sviluppo

cognitivo ed emotivo- affettivo del bambino».

Il Test di Comprensione delle Emozioni (Test of Emotion Comprehension), come

riportano Albanese et Al. (2006, pag. 36), è stato messo a punto dagli studiosi Pons e

Harris nel 2000 ed è volto alla comprensione delle emozioni in bambini compresi nella

fascia di età, tra i 3 e gli 11 anni. Le finalità di questo strumento sono dirette all’analisi

di nove componenti: due volte al riconoscimento delle emozioni di base e comprensione

della possibile natura mista di queste; cinque volte al riconoscimento del ruolo delle

cause esterne, dei ricordi, dei desideri, delle credenze e dei valori morali; infine le

ultime due componenti riguardano la distinzione fra emozione apparente- provata e la

regolazione dell’esperienza in corso. Il TEC consiste in una serie di ventitré tavole A4

numerate progressivamente, distinte nella versione maschile e femminile, contenenti

nella parte superiore della tavola una serie di vignette, mentre sono collocate quattro

espressioni facciali indicanti le possibili conseguenze emotive dell’azione

precedentemente descritta, rappresentate da nella parte inferiore. Il compito del

ricercatore è quello di fornire l’input per la comprensione della situazione emotiva:

solitamente questo consiste nella lettura di una breve storia che chiarisca la vignetta

rappresentativa, lettura che termina con la domanda di quale sarà la conseguenza

emotiva adatta. Il bambino che osserva la tavola è chiamato ad indicare col dito (non è

richiesta una risposta verbale) l’espressione facciale che ritiene opportuna. Va ricordato

che l’ordine di presentazione delle storie rispetta una graduatoria di complessità

crescente. Il test venne inizialmente tarato su un campione di 100 bambini inglesi dai 3

agli 11 anni, uniformemente distribuito per fasce di età e genere. I risultati di questa

ricerca furono successivamente confermati da una seconda sperimentazione compiuta su

39 bambini indios quechua, di età compresa fra i 4 e gli 11 anni. Attraverso queste

sperimentazioni si è potuto notare come è chiaramente visibile dall’analisi dei dati e dei

Page 84: 50753094 f4a7-a6bc

80

grafici che il punteggio complessivo e le risposte alle singole componenti crescono

abbastanza regolarmente con l’età mostrando un andamento evolutivo, anche se viene

sempre mantenuta una grande varietà nelle risposte dovuta all’individualità dei bambini.

Le difficoltà celate dalle tavole variano in base alle componenti testate: il

riconoscimento delle espressioni emotive (componente 1), l’influenza delle cause

esterne delle emozioni (componente 2) e del ruolo determinato dai ricordi (componente

5) si collocano al livello di minore difficoltà; la comprensione del ruolo dei desideri

(componente 3), delle credenze (componente 4) e della possibile discrepanza fra

emozione espressione mostrata e emozione provata (componente 7) costituiscono il

livello intermedio; per poi accedere al livello di sviluppo dell’elaborazione mentale

raggiunto solo nella tarda fanciullezza, livello che comprende le componenti relative

alla comprensione dell’ambivalenza emotiva (componente 8), del controllo consapevole

delle emozioni (componente 6) e quella relativa alla dimensione morale delle emozioni

(componente 9). Le sperimentazioni e gli studi fin ora citati riguardano l’Inghilterra, ma

anche in Italia è stato avviato un progetto di standardizzazione del TEC a cura del

gruppo di ricerca di diverse università coordinato negli anni 2004-2007 dalla studiosa

Ottavia Albanese. Come Albanese et Al. (2006, pag. 39) scrivono: «la traduzione

italiana del test da noi effettuata è stata verificata con Francisco Pons, uno degli Autori

dello strumento. Con lui sono state discusse le procedure di somministrazione e i criteri

di inclusione dei bambini del campione». L’obiettivo primo del gruppo di ricerca

italiano, riguardante la prima parte della ricerca, era di verificare la possibilità di

ripetere nel contesto italiano i risultati ottenuti negli studi condotti sul campione inglese.

Mantenendo le formule di ricerca inglese si verificava che anche in questo contesto la

presenza della risposta corretta per tutte le componenti cresce regolarmente con l’età.

Dai risultati è stato inoltre possibile evincere, come Albanese et Al. (2006, pag. 43)

scrivono che non ci sono differenze significative di punteggio complessivo in relazione

al genere dei bambini: «le differenze individuali non sono dunque legate al genere né

alla presenza di fratelli o sorelle».

Un ulteriore e interessante strumento volto alla comprensione del grado di

consapevolezza emotiva di cui disponiamo è stato introdotto da Steiner e Perry: il

Page 85: 50753094 f4a7-a6bc

81

questionario sulla consapevolezza emotiva. Gli autori (1999, pag. 31) sottolineano così

il valore dello strumento da loro ideato: «la maggior parte di noi è solo vagamente

consapevole di quanto siano forti le nostre emozioni o persino di che cosa le provochi.

Sono infatti poche le persone che sanno quali emozioni vivono, tranne forse per quelle

più forti, come la rabbia, la paura o l’amore. Senza questa consapevolezza, non

possiamo sperare di sviluppare le capacità empatiche e interattive che sono il culmine

della competenza emotiva (…). Il questionario che segue vi aiuterà a esplorare la

consapevolezza emotiva, anche se non esiste un test scientificamente valido per la

valutazione del Q.E., il questionario vi fornirà un’idea del vostro livello di

consapevolezza emotiva». L’obiettivo di questo strumento è quello di fornire un valore

indicativo della propria consapevolezza emotiva su una scala che va dall’insensibilità

alla interattività. Le possibili risposte alle trentasei domande poste, suddivise nelle sei

aree, sono “si”, “no” e “non so” nel caso di incertezza. Viene ovviamente richiesta la

massima sincerità nella compilazione. Come sottolineano gli autori, nel testo citato, non

si tratta di una precisa misurazione del grado di competenza emotiva posseduta dalla

persona, ma di un esame relativo alla consapevolezza, che è un fattore importante di tale

competenza.

In Appendice 1 vengono riportati il questionario e l’analisi dei possibili risultati in

quanto tale test è ritenibile uno strumento degno di rilevanza.

Page 86: 50753094 f4a7-a6bc

82

Il profilo emergente dall’uso di questo strumento si basa su una scala che parte da un

basso livello di consapevolezza emotiva (insensibilità), fino a raggiungere un alto

livello di consapevolezza (interattività) attraversando un continuum di sei condizioni:

Scala di consapevolezza emotiva

100% Interattività

Empatia

Causalità

Differenziazione

BARRIERA VERBALE

Esperienza primaria

Sensazioni fisiche

0% Insensibilità

Di seguito la spiegazione di ogni livello della scala di consapevolezza emotiva. Avere

una panoramica di questi livelli aiuterà a interpretare meglio il profilo personale che si è

ottenuto.

• Insensibilità: a questo livello non si è per nulla consapevoli di ciò che è legato ai

sentimenti o alle emozioni. Quando si domanda all’interessato che cosa prova è

probabile che riferisca di non provare nulla. Come scrivono Steiner e Perry

(1999, pag. 37): «le sue emozioni sono come surgelate, non disponibili alla

consapevolezza. In termini psichiatrici, questo stato di insensibilità emotiva,

viene definito alessitimia».

• Sensazioni fisiche: le persone facenti parte di questo livello sono in grado di

percepire le sensazioni fisiche che accompagnano le emozioni, ma non le

emozioni stesse. Non sanno associare gli stati fisici che provano all’emozione

corrispondente: essi percepiscono l’accelerazione del battito cardiaco senza

rendersi conto che tale definisce lo stato emotivo di paura. Soggetti che come

questi vivono in uno stato di analfabetismo emotivo, spesso finiscono per

ricorrere a farmaci per placare o comunque agire sulle sensazioni fisiche

CO

NS

AP

EV

OLE

ZZ

A

Page 87: 50753094 f4a7-a6bc

83

provate, senza riconoscerne l’origine emotiva. Di conseguenza le problematiche

emotive restano irrisolte. In termini psichiatrici si parla di somatizzazione.

• Esperienza primaria: a questo livello la persona è consapevole delle proprie

emozioni, ma le vive in modo estremo e disturbante tanto che non può

comprenderle né esprimerle con le parole. Di conseguenza è una persona molto

vulnerabile o controllabile, infatti nel momento in cui il gruppo a cui questa

appartiene viene sottoposto a forte stress sarà il primo soggetto a cedere. Per i

soggetti facenti parte di questa categoria è particolarmente facile avere sfoghi

emotivi incontrollati e attacchi d’impulsività o depressione.

• La barriera verbale: per superare la barriera verbale ci vuole un ambiente

favorevole alle informazioni emotive, dove si possano condividere sinceramente

le reciproche emozioni. Sfortunatamente non è facile da trovare e le persone

timide spesso non riescono a discutere dei loro sentimenti. A proposito di questa

difficoltà Steiner e Perry (1999, pag. 41) scrivono: «in questi anni, imparare a

parlare delle proprie emozioni è diventato ancor più difficile, perché molte

persone passano la giornata lavorativa a stretto contatto con macchine con i

computer invece che con persone, (…) tutti mezzi che isolano. Chi passa tanto

tempo in isolamento difficilmente analizza le proprie emozioni e finisce così per

perdervi interesse in generale».

• Differenziazione: la differenziazione costituisce un passo in avanti verso il

riconoscimento delle emozioni e della loro intensità, oltre all’apprendimento del

modo di comunicarle. In questa fase vengono riconosciute le differenze tra le

emozioni basilari e come in dipendenza della situazione possano essere provate

a livelli di intensità e di durata diversi.

• Causalità: a questo livello si inizia a comprendere la vera natura dei sentimenti e

degli eventi che stimolano la risposta emotiva. Steiner e Perry (1999, pag. 43)

scrivono: «ad un certo punto riusciamo a esaminare, e nella gran parte dei casi a

capire, perché proviamo certi sentimenti».

• Empatia: è possibile definirla come una forma di intuizione delle emozioni,

come scrivono Steiner e Perry (1999, pag. 44): «a volte, più un’abilità sembra

quasi chiaroveggenza, che all’inizio ci può stupire o spaventare. Quando siamo

Page 88: 50753094 f4a7-a6bc

84

empatici non stiamo a pensare o a riflettere su, ma semplicemente sentiamo o

vediamo le emozioni altrui». Solitamente a causa del contesto in cui si vive,

poco attento alle emozioni, i soggetti empatici tendono a soffocare questa loro

abilità. Steiner e Perry (1999, pag. 43) sostengono: «l’empatia come l’intuizione

è imprecisa e di scarsa utilità finché non si apprendono i modi per confermare

oggettivamente l’accuratezza delle nostre percezioni».

• Interattività: se l’empatico è profondamente consapevole dell’universo

complesso delle informazioni emotive e sente ciò che provano gli altri, questo

però non presuppone necessariamente che egli sappia che cosa fare al riguardo,

come agire sulla base delle informazioni intuite. Come ricordano Steiner e Perry

(1999, pag. 47): «il comportamento emotivo altrui sembra richiedere una

risposta, ma magari una risposta non è desiderata, accettata, possibile». Una

persona con alte competenze empatiche deve sapere che cosa fare della propria

consapevolezza, poiché in un mondo così “poco alfabetizzato emotivamente”

come rammentano Piatti e terzi, essere empatici può creare problemi. Il passo

successivo all’intuizione empatica è l’interattività emotiva. Essa richiede,

basandosi sui più sofisticati livelli di consapevolezza che si riconosca come gli

altri risponderanno alle emozioni e quando tale interazione può avere esiti

positivi o negativi, questo permette di risolvere le inconvenienze dettate

dall’intuizione empatica. Come scrivono Steiner e Perry (1999, pag. 49): «la

capacità di predire le reazioni è frutto di grande esperienza o saggezza.

L’interattività (…) si riferisce all’interazione intelligente più che all’accettazione

passiva. La consapevolezza interattiva ci permette di registrare le emozioni

dentro e attorno a noi e di cominciare a capire come possono essere plasmate per

fini creativi invece di passare inosservate o incontrollate». In definitiva come

sostengono gli studiosi Steiner e Perry (1999, pag. 49): «l’interattività è l’anello

che lega la consapevolezza emotiva alla competenza emotiva».

Page 89: 50753094 f4a7-a6bc

85

Piatti e Terzi presentano poi un altro interessante strumento per educare alle competenze

emotive: le “Carte delle emozioni”.

L’esperienza nell’ambito di prevenzione del disagio giovanile e della promozione del

benessere, soprattutto nel campo scolastico, indirizzò i due studiosi verso l’educazione

affettiva, come loro stessi (2008, pag. 13) scrivono: «ci rendemmo conto di quanto fosse

necessario e ineludibile occuparsi di emozioni, sia dal punto di vista tecnico sia come

ambito di lavoro con le persone. Sentimmo ben presto anche l’esigenza di avere uno

strumento che supportasse questo nostro lavorare sul clima affettivo, sulla

consapevolezza emotiva e sul ruolo che le emozioni giocano relativamente al

benessere/malessere individuale e collettivo».

Lo strumento da loro ideato sono proprio le “Carte delle emozioni”: ogni carta riporta

uno stato emotivo descritto sia attraverso l’uso del linguaggio verbale che con

l’espressione iconico/grafica, più evocativa e chiarificativa. L’emozione riportata viene

introdotta dalla condizione “MI SENTO …” che prevede l’utilizzo di un aggettivo a

seguirla, allo scopo di avviare la comunicazione personale dello stato emotivo, un invito

ad aprirsi ad un’autentica comunicazione emotiva.

Le carte delle emozioni sono ben 96 e come spiegano gli autori (2008, pag. 21): «la

scelta è caduta su queste, tra il migliaio di termini disponibili nel vocabolario della

lingua italiana e le 200 circa sperimentate in questi 15 anni». Gli autori hanno utilizzato

come criteri di scelta: la frequenza con cui le carte venivano scelte nei gruppi studio, il

grado di efficacia nel cogliere l’emozione rappresentata e l’esigenza di saper offrire una

vasta varietà di possibili stati emotivi.

Gli studiosi inoltre tengono molto a sottolineare i punti di forza di questo strumento

registrati durante i percorsi formativi e nei progetti di educazione socio- affettiva,

riassumendoli così: sorpresa e piacere; autoconoscenza ed espressione di sé; ascolto e

conoscenza degli altri; effetti positivi sul clima, sulle relazioni e sull’efficacia del

gruppo; l’attività lascia tracce sia nella memoria del gruppo sia in quella del singolo.

Page 90: 50753094 f4a7-a6bc

86

Inoltre Piatti e Terzi (2008, pag. 22) desiderano citare i possibili contesti in cui le “Carte

delle emozioni”, per loro esperienza, si possono rivelare un utile sussidio:

- nei gruppi di adulti in formazione;

- all’interno di progetti aziendali che abbiano tra le loro finalità l’empowerment

dei team di lavoro, la qualità e l’efficacia del lavoro;

- nel counseling individuale;

- in tutti quei contesti, istituzionali o informali, in cui si avverte il bisogno di

curare il clima affettivo e di intervenire sulle relazioni;

- all’interno di progetti specifici di alfabetizzazione emotiva, in ci si vogliono

promuovere la prosocialità, l’intelligenza emotiva, le competenze relazionali e

comunicative;

- nell’ambito degli interventi di educazione all’affettività e sessualità con bambini

e ragazzi;

- laddove sia necessario prevenire o contenere fenomeni di bullismo;

- nei progetti specificatamente finalizzati alla gestione dei conflitti;

- negli interventi di educazione alla salute e di promozione del benessere

psicologico in genere.

Il quadro di riferimento metodologico a cui Piatti e Terzi si ispirano nella creazione di

queste “carte delle emozioni” consta del sapere apportato, come loro (2008, pag. 23)

citano: «dai principali autori di riferimento: Gordon Willard Allport, Arnold P.

Goldstein, Abraham Maslow, Carl Rogers, Rollo May, Erich Fromm, Thomas Gordon,

Robert Carkhuff, Marshall Rosenberg, Donata Francescato, Anna Putton, Daniel

Goleman, ecc.». Per quanto riguarda l’uso di questo strumento è necessario che il

conduttore per primo sappia creare e vivere in prima persona una condizione di ascolto

autentica, che prevede l’astensione da commenti, giudizi, critiche o quant’altro

impedisca la creazione di un clima sereno, di accoglienza e legittimazione di qualsiasi

sentimento espresso. Tutto questo in nome della riservatezza e del rispetto, condizioni

primarie per un clima positivo che possa divenire spazio educativo.

Oltre alle 96 carte delle emozioni, Piatti e Terzi forniscono al lettore anche un altro

strumento: l’emozionario. Si tratta di un elenco di termini o espressioni emotive che è

Page 91: 50753094 f4a7-a6bc

87

stato creato in modo che fosse il più ricco e corretto possibile dal momento che è stato

considerato dagli autori (2008, pag. 46), come un supporto (non da interpretare in modo

rigido e assoluto): «agile e sufficientemente esaustivo». Rientrano qui molti termini che

non sono stati compresi nel mazzo delle “Carte delle emozioni”. L’“Emozionario” è

stato creato a partire dalle sei emozioni riconosciute fondamentali, intorno alle quali

sono stati creati dei raggruppamenti in base al criterio di somiglianza/vicinanza e a

quello di opposizione, distribuendoli, dove possibile, all’interno del raggruppamento di

appartenenza secondo il criterio di intensità.

6.3 EDUCATORI A SCUOLA COL PROGRAMMA PATHS

Gli autori Greenberg e Kusché presentano nel libro Emozioni per l’uso un progetto

educativo degno di rilevanza poiché permetterebbe di dare avvio all’educazione

affettiva nelle istituzioni formative. A nome degli educatori e dei professionisti che

hanno lavorato nel campo educativo scolastico, gli studiosi Greenberg e Kusché (2009,

pag. 15) scrivono: «sebbene le competenze sociali ed emotive non fossero mai state

considerate componenti necessarie dell’istruzione, avevamo l’impressione che fossero

diventate tanto importanti, per le conoscenze di base di un bambino, quanto il saper

leggere, il saper scrivere e il saper fare di conto. Gli insegnanti riconoscevano di

possedere poche conoscenze specifiche e metodologiche per affrontare la questione

della competenza sociale ed emotiva e pertanto noi ci rendemmo conto della necessità

di fornire loro lezioni dettagliate, insieme a materiale e suggerimenti appropriati».

Il programma denominato Promoting Alternative Thinking Strategies (Strategie Per

Promuovere Un Pensiero Alternativo), comunemente riassunto nella sigla PATHS, è

secondo Greenberg e Kusché (2009, pag. 13): «un intervento integrato che mira a

promuovere nei bambini in età scolare le competenze emotive e sociali e a ridurre i

problemi di aggressività e di comportamento, potenziando al tempo stesso i processi

educativi in aula». Gli autori, inoltre, tengono a precisare che: «tale programma

educativo di prevenzione universale pluriennale è stato messo a punto per essere

utilizzato da educatori e psicologi nel campo scolastico». La descrizione fornita da

Page 92: 50753094 f4a7-a6bc

88

Greenberg e Kusché (2009, pag. 13), infatti, precisa come PATHS sia stato pensato per

bambini della scuola dell’infanzia ed elementare, sottolineando la necessità che questo

venga messo in pratica nel contesto scolastico: «in teoria, il suo avvio dovrebbe

coincidere con quello della scolarizzazione e proseguire fino all’ultimo anno della

scuola primaria». Gli autori, nel spiegare come applicare questo progetto, facendo

riferimento ai risultati delle più recenti indagini compiute sui programmi di successo

che indicano fra i fattori primari la necessità di utilizzare interventi a lungo termine ne

promuovono l’utilizzo per almeno tre volte settimanali, per una durata di circa 30

minuti alla volta. Greenberg e Kusché (2009, pag. 33) nel presentare questo programma

educativo scrivono: «uno degli obiettivi centrali di PATHS è incoraggiare i bambini a

parlare di sentimenti, esperienze, opinioni e bisogni significativi dal punto di vista

personale e farli sentire apprezzati, sostenuti e rispettati sia dagli insegnanti che dal

gruppo dei pari». Gli autori inoltre riassumono nello specifico i vari obiettivi a cui il

programma è finalizzato: promuovere l’alfabetizzazione emotiva, l’autocontrollo, la

competenza sociale, tutto ciò affinché i bambini possano giungere a stabilire corrette e

positive relazioni con i loro pari e acquisire la capacità di problem - solving

interpersonale. Come suggeriscono gli autori citati è importante che il bambino giunga a

generalizzare le abilità acquisite nel programma trasportandole ed utilizzandole anche

all’esterno del laboratorio, nella vita quotidiana. Greenberg e Kusché (2009, pag. 13)

rimarcando l’attendibilità del programma affermano: «è stato dimostrato che il

programma PATHS incrementa i fattori protettivi e riduce i fattori rischio

comportamentali. In sede di valutazione sono stati messi in evidenza miglioramenti

significativi dei bambini che hanno aderito al programma».

Il programma di prevenzione ed intervento qui riportato è stato creato basandosi su

cinque modelli concettuali di riferimento, che Greenberg e Kusché (2009, pag. 16) così

descrivono:

- il Modello Evolutivo ABCD che si concentra sulla promozione dello sviluppo

ottimale per ciascun individuo. Questo modello assegna particolare importanza

all’integrazione evolutiva di linguaggio, comportamento e comprensione

cognitiva dell’affettività allo scopo di promuovere la competenza sociale ed

emotiva;

Page 93: 50753094 f4a7-a6bc

89

- l’ Orientamento al Sistema Ecologico - Comportamentale della classe secondo il

quale viene dato particolare rilievo al modo in cui l’insegnante fa uso del

programma di intervento e propone attività per costruire un’atmosfera positiva

all’interno del gruppo. I programmi di orientamento ecologico non si limitano ad

enfatizzare l’insegnamento delle competenze, ma mirano a creare significative

opportunità per sperimentare le competenze stesse nella quotidianità, fornendo

anche il rinforzo necessario affinché le competenze apprese possano essere

applicate efficacemente;

- il modello concernente il Campo della Neurobiologia e della

Strutturazione/Organizzazione del Cervello. Questo modello riprende la Prima

Teoria Neurobiologica: secondo cui la comunicazione verticale fra il sistema

limbico e i lobi frontali suggerisce che insegnando ai bambini strategie di

autocontrollo tramite la mediazione del linguaggio, si favorisce lo sviluppo di un

maggior controllo degli impulsi; e la Seconda Teoria Evolutiva Neurobiologica:

la quale sostiene invece che la comunicazione orizzontale fra l’emisfero sinistro

e quello destro sta ad indicare che identificare ed etichettare verbalmente le

emozioni dovrebbe essere un aiuto nel gestire il controllo delle emozioni e del

comportamento;

- il modello riguardante la Formazione Psicodinamica, secondo cui si deve mirare

ad armonizzare lo sviluppo a livello sociale, emotivo e cognitivo e a dare rilievo

al processo di interiorizzazione;

- il modello relativo alle Questioni Psicologiche sulla consapevolezza/intelligenza

emotiva. Secondo tale modello la consapevolezza emotiva viene acquisita e di

conseguenza esternata, quando i bambini si sentono ascoltati, rispettati, curati

dagli adulti che li circondano. Solo in questo modo essi imparano a rispettare gli

altri, oltre che se stessi.

A partire da questi cinque modelli il programma PATHS si muove lungo cinque principi

base: il riconoscimento della scuola come ambiente di fondamentale importanza, punto

centrale per il cambiamento; la necessità di un approccio olistico che metta

particolarmente in risalto l’affettività, il comportamento e la cognizione affinché

Page 94: 50753094 f4a7-a6bc

90

vengano a determinarsi dei cambiamenti significativi nella competenza sociale ed

emotiva dei bambini; il legame fra la capacità del bambino di comprendere e

verbalizzare i propri stati emotivi e la capacità di limitare il comportamento mediante

l’autocontrollo verbale; la capacità di comprendere le proprie e altrui emozioni; l’ultimo

principio riguarda il fattore protettivo determinato da un buon sviluppo emotivo nella

diminuzione del disadattamento.

Nel concreto il programma PATHS è costituito da un manuale di istruzioni, sei volumi

di lezioni, immagini, carte delle emozioni e materiale aggiuntivo per i laboratori

educativi. È suddiviso in tre principali aree: prontezza e autocontrollo; sentimenti e

relazioni; problem- solving cognitivo interpersonale. In più altre due aree riguardano la

costruzione di un’autostima positiva e il miglioramento della comunicazione/relazione

tra pari. A livello di pianificazione PATHS richiederebbe cinque anni consecutivi di

intervento. Va però ricordato che, come ogni elaborato educativo, è un programma

flessibile e ampliabile che tiene e deve tener conto delle specifiche caratteristiche

dell’utenza a cui verrà rivolto.

Inoltre come scrivono Greenberg e Kusché (2009, pag. 71) anche: «il programma

presenta tuttavia dei limiti. Fino a questo momento risulta che PATHS e gli altri

programmi proposti nelle scuole abbiano avuto effetti limitati sul comportamento in

famiglia. (…) Gli interventi effettuati a scuola che non prevedono un contatto

sufficiente coi genitori, hanno scarso effetto». A tale proposito gli autori riportano che i

genitori non hanno notato differenze al post-test e al follow-up, mentre in classe sono

stati registrati significativi cambiamenti. Questa considerazione deve suggerire come sia

necessario tener bene presente che, oltre all’utenza diretta, bisogna porre particolare

attenzione alle figure significative ed al contesto in cui questa vive e quindi cercare di

coinvolgere, in questo caso, la famiglia nel programma di educazione affettiva.

L’Educatore professionale ne è ben consapevole di questa necessità e sicuramente

saprebbe apportare grazie alla sua conoscenza e alla sua formazione importanti sviluppi

al programma PATHS, il quale può certamente costituire un ottimo punto di partenza

per l’educazione affettiva.

Page 95: 50753094 f4a7-a6bc

91

IN SINTESI

Il presente capitolo ha presentato l’operatore soggetto della presente tesi: l’educatore

professionale, giungendo a descriverlo come un professionista di grande rilevanza

nell’educazione affettiva. Nello specifico:

(6.1) È stata presentata una descrizione della figura dell’Educatore Professionale,

ponendo in particolare rilievo la componente di sensibilità rispetto alla sfera affettiva di

cui deve disporre per poter svolgere il proprio ruolo professionale.

(6.2) Sono stati presentati diversi studi, interessanti metodologie e strumenti inerenti

allo sviluppo e analisi delle competenze emotive- affettive, ideati da differenti

discipline.

(6.3) Si è esposto in particolare un programma di intervento e prevenzione, il PATHS,

ideato per figure educative affinché si riesca ad attuare nell’ambito scolastico, in modo

coscienzioso e formativo, l’educazione affettiva.

Page 96: 50753094 f4a7-a6bc

92

CAPITOLO SETTIMO

ESPERIENZE PRATICHE: LABORATORI EDUCATIVI

Pensi che il mio sia solo un piccolo dolore, un minuscolo prurito o un debole male,

una bottiglietta sullo scaffale col bordo sbeccato, una macchia sul lato,

una lacrima dipinta o una canzone resa triste.

Pensi che il mio sia solo un piccolo dolore, non degno di vera attenzione

e allora offri solo un piccolo tempo una carezza distratta, una parola gentile un gesto simbolico, un sorriso grazioso.

Forse le mie parole erano piccole? Il mio tono era allegro,

la mia bocca e la mia voce saltellavano di gioia come se parlassi di un piccolo dolore?

Curerò da me la mia ferita, lì dove tu hai visto soltanto un piccolo dolore.

Margot Sunderland. Aiutare i bambini a esprimere le emozioni (2007).

In questo capitolo verranno esposte ed analizzate le due esperienze pratiche di laboratori

educativi incentrati sull’educazione affettiva condotte dalla laureanda.

__________________________________________________________________

I precedenti capitoli hanno risposto all’obiettivo di fornire al lettore le basi per giungere

alla presentazione del tema centrale della presente tesi: l’educazione affettiva affrontata

dall’Educatore Professionale. Definendo passo per passo ogni elemento del complesso

campo emotivo, che cos’è l’emozione, come e dove nasce, come si esprime, quali sono

le competenze emotive e come si sviluppano, si è giunti infine alla presentazione

Page 97: 50753094 f4a7-a6bc

93

dell’educazione affettiva e dell’Educatore Professionale, evidenziando come

quest’ultimo possa essere un operatore della forma educativa in questione. Il presente

capitolo si distacca dai sei precedenti narrando e analizzando le due esperienze condotte

sul campo con i laboratori educativi: LE GIORNATE DELLE EMOZIONI.

7.1 IPOTESI DI PARTENZA

Durante la ricerca compiuta per la stesura di questi sei precedenti capitoli mi sono resa

conto di quanto potesse essere interessante applicare a livello pratico quanto letto, così

da ottenere direttamente un vero e proprio riscontro su ciò che la presente tesi mi ha

permesso di indagare. Nel quinto capitolo si incentiva l’integrazione in ambito

scolastico dell’educazione affettiva con l’aiuto dell’Educatore Professionale, i

“minilaboratori” sull’ambito emotivo, descritti in questo capitolo, sono nati con lo

scopo di sperimentare la fattibilità di questa integrazione.

È innegabile che il ruolo assunto dai sentimenti e dall’affettività è determinante

nell’intero arco dello sviluppo umano. Educare alle emozioni equivale perciò a fornire

strumenti cognitivi e linguistici, abilità sociali con cui nominare, significare,

armonizzare e costruire un mondo di eventi e momenti che hanno luogo dentro la

persona e fra le persone.

Le esperienze da me condotte e qui riportate, ovviamente, possono considerarsi solo un

piccolo assaggio dell’educazione affettiva: il tempo e le condizioni messe a disposizione

non hanno permesso di sperimentare ed approfondire maggiormente l’elaborato.

Ritengo tuttavia che queste minime sperimentazioni siano già un buon punto di partenza

per un confronto con la parte teorica e un input verso traguardi maggiori che potrebbero

essere raggiunti in futuro.

Page 98: 50753094 f4a7-a6bc

94

7.2 DESTINATARI DEI LABORATORI

In entrambe le esperienze i primi destinatari sono i bambini, tuttavia come abbiamo

precedentemente visto nel capitolo quinto e sesto, il laboratorio si rivolge indirettamente

anche al corpo insegnanti, alle famiglie e figure significative e infine alla comunità,

affinché l’educazione affettiva entri culturalmente a far parte integrante dell’ambito

educativo e formativo. In entrambe le sperimentazioni sono stati scelti gruppi medi,

questa decisione non è stata casuale, ma presa riflettendo sulla possibile gestione del

gruppo. Per la formula attiva delle metodologie proposte il medio gruppo avrebbe

meglio risposto agli stimoli proposti. Il fatto che queste sperimentazioni descritte siano

state le prime in cui mi sono cimentata e anche la forma coinvolgente e attiva del

laboratorio mi hanno portato a non prediligere un gruppo numericamente consistente,

perché un grande gruppo avrebbe facilmente potuto portare a problemi di gestione o alla

necessità di ridurre il numero di attività per riuscire a concedere a tutti il giusto spazio di

intervento. Per queste motivazioni mi sono concentrata sulla ricerca di un gruppo

numericamente contenuto, anche facendo riferimento ad alcuni dei criteri orientativi

suggeriti da David e Roger Johnson così riportati da Nigris, Negri e Zuccoli (2008, pag.

217): «minore è il tempo e più piccolo dovrebbe essere il gruppo; (…) più il gruppo è

piccolo e più è difficile che gli studenti “si imboschino” e non partecipino al lavoro;

(…) con l’aumento della numerosità del gruppo diminuisce l’interazione e

l’affiatamento dei suoi membri, con una conseguente diminuzione degli scambi di

sostegno interpersonale».

Nello specifico i laboratori sono stati svolti con il:

- gruppo doposcuola delle classi quarta e quinta della Scuola Primaria “Galileo

Galilei” di Ispra, per mezzo dell’organizzazione AND – Azzardo e Nuove

Dipendenze che sovraintende il progetto “Scuole Aperte”, il quale si occupa

della gestione dello spazio orario pomeridiano non curricolare.

Grazie alla collaborazione della mia relatrice, la Dottoressa Daniela Capitanucci,

ho potuto prendere contatti con le coordinatrici di “Scuole Aperte”, presentando

il progetto e poi accordandoci sugli incontri. Una volta ottenuto il benestare per

l’attuazione del laboratorio, ai genitori dei bambini è stato comunicato, previo

Page 99: 50753094 f4a7-a6bc

95

un avviso, il progetto a cui i loro figli avrebbero partecipato e sono state raccolte

le autorizzazioni necessarie. È inoltre previsto per fine novembre un incontro

serale di restituzione ai genitori, riguardo a quanto è stato compiuto nel

laboratorio.

- gruppo classe quinta della Scuola Primaria “San Benedetto” di Voltorre di

Gavirate. I contatti con la scuola sono stati presi nuovamente grazie alle

indicazioni ed al supporto della mia relatrice che mi ha suggerito di partecipare

ad un incontro di restituzione riguardo ad un precedente progetto, condotto da

una sua collaboratrice presso l’istituto. Quest’ultima mi ha presentata alle

docenti presenti e alla referente scolastica offrendomi la possibilità di proporre il

mio progetto educativo e le mie motivazioni. A seguito di questo primo e

positivo incontro ho preso contatto con la docente Daniela Pierri, la cui

collaborazione è stata fondamentale per la realizzazione del laboratorio. Questa

volta le pratiche di benestare sono state più complicate in quanto la scuola di

Voltorre necessitava dell’autorizzazione del dirigente dell’istituto comprensivo

di Gavirate. Ottenuta l’approvazione di quest’ultimo dopo un colloquio di

presentazione del progetto ho incontrato la docente Daniela Pierri, per definire

gli incontri, le modalità e per raccogliere informazioni sulla classe. Anche questa

volta i genitori sono stati avvisati del progetto, previo comunicazione scritta ed è

stato loro consegnata anche la richiesta di autorizzazione al trattamento del

materiale audio/video. È in programma un ulteriore incontro con la classe a fine

novembre per una restituzione del lavoro svolto insieme attraverso la consegna

di un diario sul laboratorio che raccoglierà le foto, i pensieri dei bambini e la

narrazione delle attività svolte insieme.

7.3 FINALITÀ E OBIETTIVI

L’obiettivo primario dei laboratori era di avvicinare e sensibilizzare i bambini alla

tematica “Emozioni”, coinvolgendoli con attività ludiche e momenti di riflessione

generale, instillando in loro, così, l’interesse per un maggior approfondimento per

questo argomento che insolitamente viene affrontato apertamente.

Page 100: 50753094 f4a7-a6bc

96

Le esperienze condotte mi hanno inoltre permesso di sperimentarmi in prima persona e

di riflettere su quanto è emerso dai laboratori. La scelta di compiere due laboratori è

nata dal desiderio di mettere a confronto l’esperienza raggiunta in condizioni di lavoro

completamente differenti. Ciò che accomuna le due esperienze è la finalità di

sensibilizzare le strutture che mi hanno accolta, in particolare l’Istituzione Scolastica,

alla tematica affettività/emotività e vengono inoltre condivisi gli obiettivi.

Innanzitutto è stata compiuta una rilevazione della condizione iniziale che consiste cioè

nel sondare il rapporto dei bambini con il mondo emotivo che va dalla competenza di

alfabetizzazione, alla capacità di esprimere il vissuto interiore, al riconoscimento degli

elementi emotivi negli altri, alla capacità di sostenere degli incontri sul tema emotivo

sapendo intervenire/interagire. A questa indagine, ottenuta grazie ad un’attenta e

costante osservazione e al supporto di schede di rilevazione, succede l’avvicinamento da

parte dei bambini alle competenze emotive attraverso la creazione di un’atmosfera di

sicurezza e protezione dove potersi liberamente aprire alle emozioni e la stimolazione

con attività ludiche/educative.

Nello specifico gli obiettivi indicati per l’intervento educativo sono:

• espansione del lessico emozionale;

• riconoscimento e identificazione delle emozioni;

• comprensione delle diverse modalità per comunicare l’emozione;

• dare voce ai pensieri, agli interessi ed alle esperienze degli alunni.

7.4 METODOLOGIE E STRUMENTI UTILIZZATI

Le metodologie utilizzate sono state diverse. È stata innanzitutto importantissima

un’attenta osservazione compiuta non solo inizialmente, ma per tutto il tempo del

laboratorio: questa ha fornito interessanti informazioni per la valutazione finale del

laboratorio. Oltre ad un’osservazione continua, è stato utilizzato il brainstorming per

ogni nuovo concetto affrontato durante gli incontri. Ho infatti preferito non spiegare

direttamente i significati e le definizioni, ma lasciare che i bambini con le loro intuizioni

arrivassero il più possibile vicini alle soluzioni, raccogliendo le loro ipotesi e

Page 101: 50753094 f4a7-a6bc

97

indirizzandoli verso la definizione offerta dalla letteratura scientifica. Questa

metodologia è stata attuata soprattutto nel raggiungimento delle definizioni di emozione

ed emozione universale, nella spiegazione di specifiche emozioni e infine per il

riconoscimento degli elementi di individuazione espressiva delle emozioni. Un’ulteriore

metodologia, utilizzata in entrambi i laboratori e per tutta la durata di questi, è stata la

discussione aperta in classe, cioè una modalità di dialogo dettata dall’interazione

verbale fra la conduttrice e i bambini. Infine si è fatto uso anche del lavoro di gruppo

nelle attività ludico-educative. La scelta delle metodologie attuate non è stata casuale,

ma determinata da una riflessione a monte del progetto, l’interesse principale all’origine

dell’elaborato è stato quello di avvicinare i bambini alla “ri-scoperta” delle emozioni e

proprio tenendo conto di questo e del target di riferimento è stato scelto un metodo di

conduzione più attivo e ludico preferendolo alla lezione frontale poiché più

coinvolgente ed “esplorativo”. Quanto detto viene perfettamente sostenuto da Nigris,

Negri e Zuccoli (2008, pag. 125): «La caratteristica delle metodologie attive è, infatti,

quella di non proporsi come ricette dalla facile o, all’opposto, dalla rigida applicabilità,

ma di presentarsi come modalità flessibili, strategie significative, ma non vincolanti, che

hanno un reale valore solo se si inseriscono all’interno di un percorso didattico, se

risuonano delle peculiarità dei gruppi in cui vengono utilizzate e se implicano al loro

interno, per poter concretamente funzionare, una reale consapevolezza e una profonda

condivisione». Ciò che emergeva dai pensieri dei bambini durante i momenti di

brainstorming e alla fine delle attività ludiche permetteva di intavolare un momento di

riflessione aperta per poi tirare le fila rielaborando e riassumendo quanto scoperto, in

questo modo ai bambini non sono state fornite delle informazioni, ma si è permesso loro

di scoprirle, con l’aiuto di tutti, con ovviamente un importante e attento lavoro di buona

direzione compiuto dall’operatore. Questa impronta utilizzata in entrambi i laboratori ha

dato ottimi risultati perché i bambini si sono sentiti partecipi e “creatori” allo stesso

tempo, permettendo che si venisse a creare uno spazio sereno e sicuro per rievocare

esperienze vissute, approfondire tematiche, porre domande e così facilitando

l’acquisizione delle nozioni. Gli strumenti utilizzati nei laboratori con i bambini sono

elencati nelle Tabelle 1 e 2, così, da permettere una migliore presentazione dell’operato

condotto.

Page 102: 50753094 f4a7-a6bc

98

LE GIORNATE DELLE EMOZIONI

• Cartelloni: L’EMOZIONE È …

IL CESPUGLIO DELLE EMOZIONI

MA CHE DEFINIZIONE DIAMO ALL’EMOZIONE?

L’ALBERO DELLE EMOZIONI

UNA DEFINIZIONE ALLE EMOZIONI

• Schede: Le situazioni emotive;

Il termometro delle emozioni;

Collegare pensieri ad espressioni emotive del volto;

Collegare le emozioni alle situazioni emotive;

Analisi degli episodi emotivi;

• Scheda di ripasso: Vediamo di riassumere quante cose abbiamo scoperto

insieme!

• Presentazione in PowerPoint: DA CHE COSA RICONOSCI LE EMOZIONI?

• Cantastorie: la storia di Giorgio.

• Il gioco dell’oca emozionata.

Tabella 1:Strumenti utilizzati nel laboratorio ad Ispra. In Appendice 2 vengono riportati

in particolare i moduli di avviso e di consenso dati; il progetto presentato ed il materiale

utilizzato nel corso del laboratorio.

Page 103: 50753094 f4a7-a6bc

99

LE GIORNATE DELLE EMOZIONI

• Cartelloni: PER ME L’EMOZIONE È … e L’EMOZIONE È …

IL CESPUGLIO DELLE EMOZIONI.

L’ALBERO DELLE EMOZIONI.

LE EMOZIONI UNIVERSALI.

• Schede: Le situazioni emotive;

Collegare pensieri ad espressioni emotive del volto;

Collegare le emozioni alle situazioni emotive;

Analisi degli episodi emotivi;

Il linguaggio del corpo: la posizione della testa;

Dove nasconde le emozioni Nonimporta?

• Scheda di ripasso: Vediamo di riassumere quante cose abbiamo scoperto

insieme!

• Presentazione in PowerPoint: DA CHE COSA RICONOSCI LE EMOZIONI?

• Lettura: uno scricciolo di nome Nonimporta.

• Le strisce colorate per l’attività: “le strade delle emozioni”.

• Le Carte delle emozioni.

• Disegni, foto, oggetti, manufatti per l’attività: “la mostra di emozioni”.

• Il gioco delle emozioni.

Tabella 2:Strumenti utilizzati nel laboratorio a Voltorre. In Appendice 3 vengono

riportati in particolare i moduli di avviso e di consenso dati; il progetto presentato ed il

materiale utilizzato nel corso del laboratorio.

Page 104: 50753094 f4a7-a6bc

100

7.5 DESCRIZIONE E RIFLESSIONI SULLE ESPERIENZE:

IL “GRUPPO PILOTA”: DOPOSCUOLA DI ISPRA

Il primo laboratorio è stato effettuato presso il doposcuola della Scuola Primaria

“Galileo Galilei” di Ispra, nel mese di maggio 2009.

Il progetto è stato creato anche tenendo conto della disponibilità tempistica offertami,

perciò è stato ripartito in sei incontri da un’ora ciascuno: il primo di

osservazione/conoscenza e cinque pratici. I bambini iscritti al doposcuola

complessivamente sedici e appartenenti sia alla classe quarta che quinta elementare,

formavano un gruppo misto occupante un’unica classe, concessa a loro dalla scuola per

lo svolgimento delle attività di doposcuola. Lo spazio pomeridiano è sempre stato

gestito dalle due educatrici referenti che hanno pensato di suddividerlo fra una prima

ora occupata dai compiti e dallo studio e la seconda per il mio intervento educativo.

Ho considerato questi bambini come il “Gruppo Pilota” poiché con loro mi sono

sperimentata sul campo per la prima volta.

La condizione offertami da questa prima esperienza non era quella auspicata poiché,

come è stato descritto nel capitolo quinto, lo scopo dell’educazione affettiva è quello di

radicarsi nella programmazione della scuola; tuttavia è stata comunque un interessante

“rampa di lancio” verso l’istituzione scolastica, considerata il vero luogo ideale per la

pratica dell’educazione affettiva.

La gestione e direzione del laboratorio è sempre stata tenuta dalla sottoscritta, ma la

presenza e collaborazione delle educatrici Alessia e Piera è stata di grande supporto per

la continuità dell’esperienza. Le attività distribuite nei cinque incontri pratici sono state

finalizzate all’acquisizione da parte dei bambini:

- della definizione di emozione, del concetto di emozioni fondamentali/universali

e dell’ampliamento del loro “vocabolario emotivo”. L’ultimo tema in particolare

è stato affrontato nei primi due incontri attraverso la creazione di cartelloni che

raccogliessero in primis le loro ipotesi per poi giungere a scoprire insieme le

definizioni scientifiche;

Page 105: 50753094 f4a7-a6bc

101

- degli elementi di riconoscimento espressivo delle emozioni in se stessi e negli

altri, temi affrontati nel terzo e quarto incontro attraverso la visione di una

presentazione in PowerPoint, la compilazione di schede, la lettura di una storia

creata appositamente e la messa in scena di alcuni spezzoni di questa.

L’ultimo incontro è stato invece finalizzato attraverso l’attività “Il gioco dell’oca

emozionata”, al riconoscimento e alla valutazione del percorso svolto. Fra le caselle del

percorso gioco sono state inserite delle schede contenenti brevi esercizi e domande su

quanto è stato scoperto e affrontato nei precedenti incontri: ho potuto così compiere

delle vere e proprie verifiche finali. Il riscontro ottenuto da queste ha messo in luce che

nonostante il forte interesse mostrato dai bambini riguardo al campo emotivo e alle

attività proposte, il laboratorio è stato vissuto più come uno spazio di sfogo del loro

vissuto emotivo che come uno spazio di acquisizione di informazioni e chiarimenti sul

campo affettivo. Le schede di verifica hanno infatti generalmente evidenziato una buona

capacità di riconoscimento dell’espressione emotiva, ma una non sufficiente

comprensione dei concetti affrontati insieme. Ad esempio le schede riguardanti la

definizione di emozione e la spiegazione di specifiche situazioni emotive prese in

considerazione sono state minimamente completate con le informazioni spiegate

contenendo invece più rielaborazioni personali su esperienze e propri pensieri.

A fronte dei dati analizzati è possibile affermare da un lato che rispetto alle definizioni

proposte inizialmente dai bambini è stato registrato un discreto aumento del vocabolario

emotivo durante lo svolgimento del laboratorio, ma dall’altro lato anche che alcuni

punti che durante gli incontri sembravano chiariti ed acquisiti sono risultati non del tutto

compresi. Proprio queste riflessioni hanno dato luogo ad una riprogrammazione di

alcune attività ed interventi che sono stati realizzati nel gruppo studio.

GRUPPO STUDIO:

CLASSE QUINTA DELLA SCUOLA PRIMARIA DI VOLTORRE

Il secondo laboratorio è stato effettuato presso la classe quinta della scuola primaria

“San Benedetto” di Voltorre di Gavirate, nei mesi di Settembre e Ottobre 2009. In

questa occasione non è stato utilizzato il primo incontro di pura osservazione e

Page 106: 50753094 f4a7-a6bc

102

conoscenza come nella precedente sperimentazione. Ho, infatti, preferito fondere il

momento di conoscenza con l’inizio delle attività sui cartelloni, in primis a causa della

strutturazione tempistica del laboratorio, che prevedeva infatti tre incontri di due ore e

mezza ed inoltre per poter compiere un confronto con la precedente conduzione dove

era prevista. Ho lasciato all’insegnante il compito di preparare i bambini alla mia

presenza, dando loro indicazioni sui nostri incontri e quello di provvedere alla

distribuzione e raccolta degli avvisi per i genitori. Queste mansioni avevano in realtà un

velato scopo, cioè l’intenzionalità nascosta di far rientrare l’attività educativa nella

quotidianità scolastica, facendo sì che fosse proprio l’insegnante a porre le basi del

laboratorio. La decisione di evitare il primo incontro puramente conoscitivo ha avuto un

buon riscontro, infatti, l’accoglienza è stata molto calorosa e da subito si è creata una

buona intesa e un’atmosfera positiva e produttiva. Questa buona situazione di partenza

ha confermato che l’intervento della figura educativa scolastica può sostituire al meglio

il primo incontro volto alla presentazione reciproca, ottenendo così una buona

rispondenza all’ipotesi per cui ho modificato la formula di prima conoscenza.

L’esperienza precedentemente effettuata, come già accennato, mi ha permesso di

ampliare e modificare il progetto, pur mantenendo il medesimo scheletro di

strutturazione. In questa occasione le otto ore previste dal progetto sono state distribuite

in tre incontri, dedicando così l’intero lunedì pomeriggio al laboratorio sull’educazione

affettiva. Quindici dei sedici bambini iscritti alla classe quinta hanno frequentato

l’attività pomeridiana. Ho considerato i bambini di questa seconda esperienza il

“Gruppo Studio” della mia ricerca pratica dal momento che questa situazione ha offerto

le condizioni auspicate dall’educazione affettiva: il contatto e la collaborazione con

l’istituzione scolastica e il corpo docente nonché la realizzazione del laboratorio in

classe e in orario scolastico. Ritengo che queste condizioni abbiano lasciato trapelare

una prima traccia del messaggio che l’educazione affettiva si prefigge: “portare a scuola

le emozioni”. Molto interessante e vantaggiosa è stata la presenza durante gli incontri

della maestra Daniela Pierri, la quale, oltre ad essere un valido aiuto nella gestione del

laboratorio si è sempre mostrata interessata alle attività e alle tematiche svolte,

riprendendo durante la settimana quanto affrontato nel laboratorio.

Page 107: 50753094 f4a7-a6bc

103

I tre incontri effettuati hanno avuto l’obiettivo di far giungere i bambini all’acquisizione

della definizione scientifica di emozione e di emozioni fondamentali/universali; degli

elementi di riconoscimento espressivo delle emozioni in se stessi e negli altri; di

ampliare il “vocabolario emotivo” ed infine una sensibilizzazione alla tematica emotiva

e alla capacità di mettersi in gioco raccontando le proprie emozioni ed esperienze.

Durante l’incontro finale attraverso l’attività “Il gioco delle emozioni” ho potuto

ottenere un diretto riscontro dell’acquisizione delle nozioni affrontate durante gli

incontri. Il gioco si è prestato come verifica finale: fra le caselle sono state inserite,

infatti, alcune schede contenenti breve esercizi e domande su quanto è stato scoperto e

affrontato nei precedenti incontri. I risultati ottenuti hanno messo in luce che le

condizioni offerte dall’ambito scolastico e dal laboratorio hanno permesso un migliore

sviluppo della tematica emotiva.

Il laboratorio oltre ad essere stato uno spazio di sfogo e rielaborazione emotiva, ha

funzionato anche da spazio educativo, portando alla riflessione e alla acquisizione di

nozioni e chiarimenti basilari del campo emotivo. Quanto fin qui sostenuto emerge sia

dalla presenza e dall’interesse manifestato dai bambini che dall’analisi delle schede di

verifica.

7.6 VERIFICHE E RIFLESSIONI

Per ambo i laboratori sono stati condotti due tipi di verifica.

La prima verifica è occorsa in itinere, determinata dagli indicatori: frequenza e grado

interesse/partecipazione espresso durante il laboratorio.

La seconda formula di verifica è stata condotta a conclusione del laboratorio per

valutare il raggiungimento degli obiettivi prefissati e per ottenere un generale riscontro

sull’efficacia del laboratorio.

Gli indicatori della valutazione in itinere hanno evidenziato che sia per il “gruppo

pilota” che per il “gruppo studio” il laboratorio è stato complessivamente ritenuto una

interessante, piacevole e stimolante offerta formativa. La tematica ha catturato

l’interesse dei bambini che si sono mostrati disponibili e partecipativi durante gli

Page 108: 50753094 f4a7-a6bc

104

incontri, desiderosi di esprimere i loro pensieri e le loro esperienze, mettendosi, così, in

gioco. Per quanto riguarda la valutazione degli indicatori della verifica finale è

necessaria una maggiore attenzione; per questo vengono qui riportati nello specifico le

analisi delle verifiche finali di ambo le sperimentazioni.

Analisi della verifica finale del “Gruppo Pilota” (Ispra)

Sono stati creati dei grafici di analisi per le verifiche compiute attraverso l’attività “Il

gioco dell’oca emozionata”, per meglio mostrare i risultati ottenuti. Si ricorda che le

schede di riconoscimento presentate come verifica finale erano simili a quelle utilizzate

durante gli incontri. Per quanto riguarda le schede di verifica sulle nozioni da acquisire,

queste, oltre ad essere state più volte riprese nel laboratorio sono state anche raccolte in

una scheda riassuntiva consegnata ai bambini.

Le risposte dei bambini sono state valutate secondo tre parametri:

• Riconosciuto: descrive una piena acquisizione del concetto e quindi la giusta

compilazione della scheda di verifica;

• Pertinente: descrive una situazione di acquisizione più che sufficiente, con il

riconoscimento della maggior parte delle nozioni acquisite

• Non riconosciuto: si riferisce, infine, alla situazione di non acquisizione delle

nozioni, con la presentazione di schede compilate in modo errato o consegnate

in bianco.

Page 109: 50753094 f4a7-a6bc

I grafici seguenti rappresentano l’analisi delle schede di I grafici seguenti rappresentano l’analisi delle schede di riconoscimento

Grafico A

Grafico B

105

riconoscimento:

Page 110: 50753094 f4a7-a6bc

Complessivamente i Grafici A

appreso con maggiore facilità i fattori espressivi per distinguere le emozioni. Gli aspetti

del non - verbale come gli elementi iconografici utilizzati per il riconoscimento delle

emozioni, sono stati acquisiti i

relativo all’analisi degli episodi emotivi sia della paura che della gioia. Maggiori

difficoltà, invece, sono state riscontrate nella scheda

emotive, come rappresenta

ma descrizioni verbali di situazione emotive, quasi a suggerire come l’elemento

iconografico sia di più facile riconoscimento emotivo.

Grafico C

Grafici A, B, C mettono in evidenza come i bambini abbiano

appreso con maggiore facilità i fattori espressivi per distinguere le emozioni. Gli aspetti

verbale come gli elementi iconografici utilizzati per il riconoscimento delle

emozioni, sono stati acquisiti in modo pertinente come dimostrato anche dal

relativo all’analisi degli episodi emotivi sia della paura che della gioia. Maggiori

difficoltà, invece, sono state riscontrate nella scheda Collega le emozioni alle

il Grafico B, dove non erano presenti elementi iconografici,

ma descrizioni verbali di situazione emotive, quasi a suggerire come l’elemento

iconografico sia di più facile riconoscimento emotivo.

106

mettono in evidenza come i bambini abbiano

appreso con maggiore facilità i fattori espressivi per distinguere le emozioni. Gli aspetti

verbale come gli elementi iconografici utilizzati per il riconoscimento delle

n modo pertinente come dimostrato anche dal Grafico C

relativo all’analisi degli episodi emotivi sia della paura che della gioia. Maggiori

Collega le emozioni alle situazioni

non erano presenti elementi iconografici,

ma descrizioni verbali di situazione emotive, quasi a suggerire come l’elemento

Page 111: 50753094 f4a7-a6bc

I grafici seguenti rappresentano l’analisi delle schede di

I grafici seguenti rappresentano l’analisi delle schede di riconoscimento

Grafico D

Grafico E

107

riconoscimento

Page 112: 50753094 f4a7-a6bc

I Grafici D, E, F e G relativi l’analisi delle

come l’acquisizione dei concetti più nozionistici sia stata per i bambini più complicata.

In tutte e quattro le domande di verifica, come rappresentano i grafici infatti, i risultati

non propendono verso la valutazione “riconoscimento” che esprime la piena

acquisizione, ma verso la valutazione “pertinente”, la quale riconosce l’apprendimento

di certi fattori determinanti della definizione, anche se la piena acquisizione auspicata

non viene raggiunta.

Grafico F

Grafico G

relativi l’analisi delle schede di verifica sulle nozioni

come l’acquisizione dei concetti più nozionistici sia stata per i bambini più complicata.

tutte e quattro le domande di verifica, come rappresentano i grafici infatti, i risultati

non propendono verso la valutazione “riconoscimento” che esprime la piena

acquisizione, ma verso la valutazione “pertinente”, la quale riconosce l’apprendimento

rti fattori determinanti della definizione, anche se la piena acquisizione auspicata

108

schede di verifica sulle nozioni evidenziano

come l’acquisizione dei concetti più nozionistici sia stata per i bambini più complicata.

tutte e quattro le domande di verifica, come rappresentano i grafici infatti, i risultati

non propendono verso la valutazione “riconoscimento” che esprime la piena

acquisizione, ma verso la valutazione “pertinente”, la quale riconosce l’apprendimento

rti fattori determinanti della definizione, anche se la piena acquisizione auspicata

Page 113: 50753094 f4a7-a6bc

109

Riflessioni finali

A conclusione del laboratorio mi sono prima di tutto interrogata se questa esperienza

condotta potesse bastare per rappresentare la parte applicativa dell’oggetto di indagine

della tesi per poi soffermarmi ad analizzare i punti di forza e di debolezza di questo

laboratorio. Come ho precedentemente avvertito la condizione offertami non era quella

desiderata, poiché il laboratorio non è stato condotto nelle ore scolastiche. È mancato

dunque il messaggio di integrazione dell’educazione affettiva con la programmazione

scolastica, ma è stata comunque un’interessante prima esperienza poiché mi ha

permesso di riflettere su come migliorare il mio progetto e sulle difficoltà incontrabili

nella conduzione dell’attività.

Ribadisco che durante i sei incontri i bambini hanno mostrato un certo interesse alle

attività proposte nonostante le condizioni in cui il laboratorio è stato svolto, condizioni

che non ritengo sottovalutabili come: la stanchezza del pomeriggio e del “carico-

compiti” affrontato, la condizione di classi di età mista e l’incostanza nella frequenza al

doposcuola. Nell’incontro effettuato a fine laboratorio con le educatrici e con le

rappresentati di “Scuole Aperte” si è discusso sull’interesse dei bambini per il

laboratorio, interesse confermato anche dalle educatrici e dopo una generale

presentazione delle attività svolte insieme, mi sono ritenuta soddisfatta della prima

impressione. Dialogando della partecipazione dei bambini al progetto, mi sono resa

conto che questa mia proposta ha fatto emergere nuove ed interessanti informazioni sui

bambini, fino a suggerire alle operatrici altri possibili campi di intervento futuro,

riguardanti per esempio la gestione della rabbia nella sua componente di aggressività,

un’emozione molto sentita e messa in discussione dai bambini durante le attività.

I risultati ottenuti mi hanno convinto a muovermi per ottenere la possibilità di un

secondo laboratorio, modificando il programma, cercando maggior materiale educativo

di supporto e dando un’impronta più ludica al laboratorio così che i bambini venissero

più piacevolmente coinvolti, imparando ugualmente dalle attività a seguito commentate

e dai momenti di riflessione comune. Nello specifico i risultati riguardanti

l’acquisizione delle definizioni dei concetti di base non stati troppo positivi e anche

questo mi ha spinto a modificare il metodo e la formula offerta, semplificando,

Page 114: 50753094 f4a7-a6bc

110

specificando e soffermandomi maggiormente su questi aspetti teorici per favorire una

maggiore chiarezza.

Analisi della verifica finale del “Gruppo Studio” (Voltorre)

Complessivamente i successivi grafici mettono in evidenza come i bambini abbiano

appreso con maggiore facilità i fattori espressivi per distinguere le emozioni. Gli aspetti

come gli elementi iconografici del non - verbale, utilizzati per il riconoscimento delle

emozioni, sono stati acquisiti in modo pertinente, come dimostrato anche dal grafico

relativo all’analisi degli episodi emotivi. Maggiori difficoltà, invece, sono state

riscontrate nella scheda Collega le emozioni alle situazioni emotive, dove non erano

presenti elementi iconografici, ma descrizioni verbali di situazione emotive.

Qui di seguito vengono riportati i grafici di analisi delle verifiche compiute attraverso

l’attività: il gioco dell’oca emozionata. Si ricorda che le schede di riconoscimento

presentate come verifica finale erano simili a quelle utilizzate durante gli incontri. Per

quanto riguarda le schede di verifica sulle nozioni da acquisire, queste, oltre ad essere

state più volte riprese nel laboratorio sono state anche raccolte in una scheda riassuntiva

consegnata ai bambini.

Le risposte dei bambini sono state valutate secondo tre parametri:

• riconosciuto: descrive una piena acquisizione del concetto e quindi la giusta

compilazione della scheda di verifica;

• pertinente: invece descrive una situazione di acquisizione più che sufficiente,

con il riconoscimento della maggior parte delle nozioni acquisite

• non riconosciuto: si riferisce, infine, alla situazione di non acquisizione delle

nozioni, con la presentazione di schede compilate in modo errato o consegnate

in bianco.

Page 115: 50753094 f4a7-a6bc

Il grafico seguente rappresenta

Il Grafico H rappresentata la capacità di riconoscimento dei fattori

espressivi/iconografici per distinguere le emozion

nel complesso un’ottima capacità di riconoscimento per ambo le schede, relative

all’identificazione della paura e della rabbia.

I grafici seguenti rappresentano l’analisi delle schede di

grafico seguente rappresenta l’analisi delle schede di riconoscimento

Grafico H

rappresentata la capacità di riconoscimento dei fattori

espressivi/iconografici per distinguere le emozioni compiuta del gruppo classe, si nota

nel complesso un’ottima capacità di riconoscimento per ambo le schede, relative

all’identificazione della paura e della rabbia.

I grafici seguenti rappresentano l’analisi delle schede di verifica:

Grafico I

111

l’analisi delle schede di riconoscimento:

rappresentata la capacità di riconoscimento dei fattori

i compiuta del gruppo classe, si nota

nel complesso un’ottima capacità di riconoscimento per ambo le schede, relative

verifica:

Page 116: 50753094 f4a7-a6bc

Grafico L

Grafico M

112

Page 117: 50753094 f4a7-a6bc

113

Grafico N

I Grafici I, L, M, N sopra riportati riassumono l’analisi dei dati riguardanti le schede di

verifica sulle nozioni. Viene messo in evidenza come l’acquisizione dei concetti più

nozionistici sia stata per questo secondo gruppo meno difficile: le colonne del valore

“riconosciuto”, infatti, sono molto significative per tutti e quattro i grafici. La domanda

che ha riscosso maggiori difficoltà riguarda la definizione del fenomeno “Emozione”,

come mostra il Grafico M, situazione prevedibile data la complessità degli elementi che

la definiscono. In ogni caso il risultato non è negativo in quanto il grafico mostra per

questa scheda una propensione a risposte adeguate e pertinenti.

In conclusione dall’osservazione dei grafici è possibile affermare che il laboratorio

compiuto in questa classe ha ottenuto risultati complessivamente più che soddisfacenti,

tenendo conto del breve tempo di sperimentazione.

Riflessioni finali

Questo laboratorio ha risposto alle mie aspettative, colmando le mancanze percepite

nella precedente sperimentazione. I bambini sono riusciti ad acquisire maggiormente

anche i concetti nozionistici, rispetto al precedente gruppo sperimentale. Oltre al

notevole interesse riscontrato dai bambini, ho avvertito anche un certo interesse da parte

Page 118: 50753094 f4a7-a6bc

114

della stessa docente. Oltre a farmi molto piacere, questo interesse ha anche sollecitato la

continuità che speravo: la docente, infatti, mi ha chiesto di poter riutilizzare quanto

emerso dal breve laboratorio nelle lezioni di italiano. Tale richiesta rappresenta un vero

e proprio risultato sul campo scolastico perché dimostra che il laboratorio condotto è

riuscito a porre delle basi molto solide, riuscendo a far emergere un maggiore interesse

per il campo emotivo.

7.7 CONCLUSIONI

Dalle riflessioni finali del primo laboratorio condotto ad Ispra emerge chiaramente il

desiderio di compiere una successiva esperienza che mi permettesse di avvicinarmi

maggiormente all’obiettivo primario dell’educazione affettiva: poter essere condotta

nelle ore scolastiche affiancandosi alla formazione offerta dall’istituzione scolastica.

Ho sentito inoltre la necessità di sperimentarmi nuovamente per valutare i

miglioramenti apportati al mio progetto dopo le interessanti riflessioni a cui sono giunta

rispetto alla prima esperienza.

Riprendendo il terzo paragrafo che descrive le finalità ed obiettivi prefissati nel progetto

posso concludere, comprendendo quanto emerso da entrambi i laboratori che questi

sono stati raggiunti, anche se a livelli differenti nelle due esperienze. Il messaggio di

sensibilizzazione in entrambi gli enti è stato rilevato e per quanto riguarda i bambini

l’auspicato “contatto” con il proprio lato emotivo è stato affrontato e l’alfabetizzazione

emotiva è stata rilevata rispetto alla situazione di pre - esperienza.

Mi rendo conto che progetti di sei e otto ore non concordano con l’auspicabile sviluppo

emotivo descritto nel progetto PATHS a cui ho fatto riferimento nel quinto capitolo.

Un laboratorio emotivo efficace dovrebbe prevedere sia un monte ore che una continuità

ben maggiori; tuttavia le condizioni e le tempistiche a disposizione non hanno permesso

di più.

Infine considero queste due sperimentazioni sul campo un punto di partenza, un

elemento di riflessione e di prova più che una vera e propria applicazione di quanto

affrontato nel quinto capitolo.

Page 119: 50753094 f4a7-a6bc

115

IN SINTESI

L’attenzione posta al mondo delle emozioni mi ha indirizzato verso una

sperimentazione sul campo, oltre che verso un’approfondita ricerca nella letteratura

multidisciplinare. In questo capitolo vengono riprese ed analizzate le due brevi

esperienze di educazione emotiva condotte.

(7.1) Il primo paragrafo raccoglie le ipotesi di partenza, l’origine della sentita necessità

di provare a sperimentasi sul campo.

(7.2) L’utenza primaria a cui il laboratorio è stato indirizzato sono stati in entrambe le

esperienze, i bambini. Tuttavia come è stato affrontato nel quinto e sesto capitolo, il

laboratorio si rivolgeva indirettamente anche al corpo insegnati, alle famiglie e figure

significative e infine alla comunità, affinché l’educazione affettiva entri culturalmente a

far parte integrante dell’ambito educativo e formativo. Viene qui riportato, inoltre, il

modo in cui sono stati presi i contatti con le strutture.

(7.3) Vengono qui delineate le finalità e gli obiettivi che mi ero proposta per la

sperimentazione di questi due laboratori. Da un primo momento dedicato

all’osservazione e al sondare le capacità emotive dei gruppi bambini, si è passati alla

creazione di uno spazio contenitivo e sicuro dove potersi dedicare alla tematica emotiva,

fino al raggiungimento attraverso le attività: dell’ espansione del lessico emozionale; del

riconoscimento e identificazione delle emozioni; della comprensione dei diversi modi

per comunicare l’emozione; dando sempre voce ai pensieri, agli interessi ed alle

esperienze degli alunni.

(7.4) Il presente paragrafo ha raccolto tutte le metodologie utilizzate durante gli incontri

del laboratorio: l’osservazione continua, il brainstorming, la discussione aperta ed infine

il lavoro di gruppo. Inoltre vengono riportati in scaletta gli strumenti utilizzati durante la

conduzione dei laboratori.

Page 120: 50753094 f4a7-a6bc

116

(7.5) Vengono qui descritte le condizioni di lavoro e le esperienze condotte: partendo

dalla formulazione del progetto presentato, dalle strutture e dalla conduzione del

laboratorio. Viene fornita una panoramica delle condizioni e del gruppo di lavoro.

(7.6) In questo paragrafo vengono descritte le forme di verifica utilizzate, dalla

presentazione della verifica in itinere alla analisi dei dati raccolti dalla verifica finale

compiendo una riflessione generale sulla esperienza condotta.

(7.7) Qui vengono riportate le conclusioni finali che prevedono una spiegazione della

necessità di compiere un secondo laboratorio, emergente dalle considerazioni finali del

primo e dal desiderio di sperimentarsi nuovamente con nuove proposte e una riflessione

conclusiva riguardo all’operato compiuto in entrambi i laboratori. Viene, così, messo in

evidenza come quest’ultimi debbano essere considerati un punto di partenza e di

riflessione per interventi più radicati e a lungo termine sull’educazione affettiva.

Page 121: 50753094 f4a7-a6bc

117

CONCLUSIONI

Gli elementi costituenti il complesso campo emotivo sono stati oggetto d’indagine nei

capitoli della presente tesi per rispondere al quesito che mi sono posta all’inizio di

questa ricerca, cioè “Come poter intervenire affinché le persone imparino a gestire al

meglio il loro vissuto interiore, in modo da vivere più serenamente le proprie

emozioni?”.

Il concetto di Emozione, così sfuggente alla razionalità, non rappresenta

un’argomentazione chiara e semplice nemmeno per la letteratura scientifica e

umanistica, infatti, la sua descrizione viene presentata attraverso più sfaccettature,

rifacendosi a più studiosi di diversi filoni di ricerca. Con lo scopo di fornire una visione

il più ampia possibile essa viene presentata attraverso un inquadramento psicologico,

pedagogico, biologico, filosofico e sociologico, che ne approfondiscono aspetti

differenti. Le loro differenti visioni, tuttavia, condividono il voler mettere in luce la

complessità del “fenomeno” Emozione, dovuta all’interazioni di molteplici fattori tra i

quali quelli individuali, quelli sociali e quelli culturali. Queste difficoltà riscontrate nella

presentazione dell’emozione sono state affrontate anche negli studi per determinarne

una completa e chiara classificazione tanto che, ancora attualmente, fra i ricercatori

prosegue il dibattito scientifico sulla classificazione, sul riconoscimento di emozioni

primarie e sull’organizzazione di famiglie emozionali.

Successivamente alla presentazione del “fenomeno” Emozione viene offerta una breve

argomentazione di carattere fisiologico, spiegando come il nostro corpo viene coinvolto

nella risposta emotiva: vengono citate nello specifico le componenti cerebellari e i

sistemi fisiologici coinvolti nel processo emozionale, ponendo una particolare

attenzione alla descrizione del Complesso Amigdaloideo, che nella letteratura

scientifica viene presentato come l’elemento di maggiore rilevanza per il processo

emozionale e per questo definito “sede delle passioni.”. A fronte degli studi effettuati

alla “mente emozionale” è stata riconosciuta una forte interazione con la parte razionale,

influenza finalizzata alla produzione di una risposta agli stimoli ambientali e

situazionali percepiti.

Page 122: 50753094 f4a7-a6bc

118

Dopo aver definito l’emozione e aver descritto come questa coinvolge le nostre parti

corporee l’indagine prosegue mettendo in evidenza come tale non sia un fenomeno che

si consuma soltanto all’interno della persona, ma viene anche esternata nel processo di

comunicazione con gli altri, considerandola per questo un “fenomeno pubblico”.

Nell’insieme delle modalità espressive che riguardano le componenti sia verbali,

paraverbali che non verbali del canale comunicativo, l’elemento ritenuto di primo

riconoscimento e di maggiore espressività è il volto, facendo così risaltare l’alto

potenziale della comunicazione non verbale. Interessandosi alla manifestazione degli

stati emotivi è doveroso, inoltre, prendere in considerazione la presenza e la rilevanza

dell’ascendente culturale che, attraverso le norme sociali e le regole di esibizione,

definisce come esprimere, quando esprimere, come controllare e regolare ed infine

come interpretare le proprie esperienze emotive.

Un ulteriore passo di questa ricerca ha previsto di indagare sulle competenze emotive a

partire dall’interessante affiancamento del Q.E. (Quoziente Emotivo) al già noto Q.I.

(Quoziente Intellettivo), formulando e sostenendo la necessità dello sviluppo di

entrambi per il raggiungimento di una buona e completa formazione dell’individuo.

All’individuo in formazione devono essere, infatti, forniti tutti gli strumenti e gli input

necessari per il raggiungimento del benessere psicofisico e qui le emozioni

rappresentano un determinante impegno da affrontare. Nello specifico lo sviluppo della

Competenza Emotiva coinvolge l’individuo fin dalla sua infanzia verso la lenta

acquisizione delle capacità di riconoscere e saper esprimere le proprie emozioni provate,

di ascoltare e riconoscere quelle altrui e infine di saper sostenere interazioni

sviluppando strategie efficaci.

Solo dopo aver esplicato nel modo più chiaro possibile i concetti fondamentali del

campo emotivo, quindi presentando che cos’è l’emozione, come e dove nasce, come si

esprime; quali sono i fattori caratterizzanti delle competenze emotive e l’acquisizione

evolutiva di queste, si può giungere infine a denunciare un’ attuale generale incapacità

emotiva. Quest’ultimo passaggio permette di toccare il fulcro di indagine della presente

tesi: l’educazione affettiva. La denuncia di quest’attuale incompetenza nel campo

emotivo, sostenuta tra gli altri da Goleman, viene ribadita da Piatti e Terzi (2008, pag.

7), i quali scrivono: «consapevoli che nella società odierna stanno prendendo piede

Page 123: 50753094 f4a7-a6bc

119

sentimenti nocivi come il cinismo e l’indifferenza, siamo convinti che questa situazione

si sia acuita grazie a un diffuso analfabetismo emozionale e a una sottovalutazione

crescente nella cura delle relazioni interpersonali e sociali». L’accusa, così cruenta nella

sua veridicità, non mostra una situazione irrecuperabile, ma al contrario invita a cogliere

il possibile spiraglio di luce, come scrive Goleman (2004, pag. 9): «se presteremo

attenzione in modo sistematico all’intelligenza emotiva potremo sperare in un futuro più

sereno».

Tra le figure professionali che operano “con e per” la persona troviamo l’Educatore

Professionale, il quale, interagendo a stretto contatto con l’utenza di ogni area sociale:

accoglie, sperimenta, vive ed è chiamato a gestire quotidianamente le competenze

emotive. Grazie alla formazione di cui dispone è in grado di riconoscere la necessità di

prendersi cura del vissuto interiore per un buon e completo sviluppo dell’individuo. Va

però ricordato che ancora oggi, purtroppo, l’educazione affettiva non è riuscita a

conquistarsi il meritato riconoscimento nelle considerazioni culturali sul mondo della

formazione dell’individuo. Le ipotesi avanzate da numerosi studiosi riguardo alla

tematica dell’educazione affettiva propongono l’Istituzione Scolastica come migliore

luogo per l’affermazione e per l’espansione di questa pratica educativa.

Condivido fermamente il pensiero dei ricercatori sulla necessità di sviluppare al più

presto un progetto educativo nel quale venga prestata maggiore attenzione all’affettività;

la necessità di essere accompagnati a scoprire le proprie emozioni per imparare a

gestirle e a conoscersi non è affatto rimandabile. A questo riguardo la quotidianità ci

invia forti messaggi: sempre più persone faticano a gestire le situazioni emotive, a

reggere i confronti e le relazioni. Nella mia ricerca presento l’Educatore Professionale

come un professionista in grado di rispondere a queste “richieste di intervento”,

ponendosi come operatore e promotore della pratica educativa sull’affettività. La

sensibilità e la formazione multidisciplinare di cui dispone possono permettergli di

interagire in un’équipe di intervento anche nell’Istituzione Scolastica, strutturando

progetti formativi, laboratori ed ovviamente supportando le insegnanti nell’approccio e

nella formazione alla pratica educativa sull’affettività. A questo proposito Albanese et

Al. (2006, pag. 46) sottolineano che: «le varie difficoltà che emergono a scuola

sarebbero da mettersi in relazione con disturbi della comprensione delle emozioni

Page 124: 50753094 f4a7-a6bc

120

rilevabili attraverso il TEC. L’uso del TEC permetterebbe, quindi, da un lato di

individuarli e dall’altro di porre le basi per la messa a punto di percorsi di educazione

emotiva, che tengano congiuntamente conto dello sviluppo cognitivo ed emotivo -

affettivo del bambino». Integrare l’educazione affettiva nel programma scolastico

aiuterebbe i bambini a raggiungere realmente un buono e completo sviluppo della loro

persona, evitando di focalizzarsi solamente sugli ambiti valutati dal Q.I. e a tale scopo

l’Educatore Professionale rappresenterebbe un operatore in grado di strutturare i

progetti e i percorsi tesi a riportare in luce la fondamentale importanza del lato

emozionale, finora marginalmente affrontato dai programmi scolastici.

Allo scopo di “verificare sul campo” quanto ipotizzato riguardo all’intervento

dell’Educatore Professionale nell’Istituzione Scolastica e per saggiare la possibilità di

sensibilizzare la Scuola all’educazione affettiva, ho realizzato due laboratori in contesti

e condizioni differenti. In entrambe le esperienze i primi destinatari sono stati i bambini,

tuttavia la finalità del laboratorio era una sensibilizzazione generale al tema emotivo,

per cui si è rivolto indirettamente anche al corpo insegnanti, alle famiglie e figure

significative e infine alla comunità.

Nello specifico i laboratori sono stati condotti con il gruppo doposcuola delle classi

quarta e quinta della Scuola Primaria “Galileo Galilei” di Ispra (con cui è stato

realizzato un progetto di sei ore) e con il gruppo classe quinta della Scuola Primaria

“San Benedetto” di Voltorre di Gavirate (dove è stato realizzato un progetto di otto ore).

I progetti realizzati (il cui materiale viene raccolto nelle Appendici 2 e 3) hanno messo

in evidenza un rilevabile interesse verso la tematica e le attività, accompagnando i

bambini verso il raggiungimento dei generali obiettivi di: espansione del lessico

emozionale, riconoscimento e identificazione delle emozioni, comprensione delle

diverse modalità per comunicare l’emozione, oltre all’importante possibilità di dare

voce ai pensieri, agli interessi ed alle esperienze degli alunni, determinata dalla

creazione di uno spazio e di un tempo dedicato a loro, creando un’atmosfera di

sicurezza che invitasse i bambini a esprimersi liberamente. L’osservazione continua, il

brainstorming, la discussione aperta ed infine il lavoro di gruppo sono state le principali

metodologie utilizzate durante il laboratorio ed i risultati riscontrati attraverso la verifica

in itinere e la verifica conclusiva hanno apportato interessanti informazioni, in

Page 125: 50753094 f4a7-a6bc

121

particolare le riflessioni finali riguardo alla prima sperimentazione hanno costituito un

importante punto di partenza per la realizzazione del progetto per la seconda

sperimentazione.

Vari fattori, fra cui la disponibilità di un tempo limitato; la mancanza di un gruppo

équipe ben radicato; di un mandato e di un riconoscimento istituzionale del progetto

hanno limitato la sperimentazione rendendola un breve intervento di riscontro sui

principali obiettivi e impedendo fortemente il raggiungimento della finalità di una

affermata e sondata sensibilizzazione generale della comunità.

Tuttavia i positivi risultati, ottenuti in così poco tempo, permettono di sperare in

un’ottima integrazione dell’educazione affettiva nella pratica scolastica. Infatti, come

sottolineato da Goleman solo prestando una maggiore attenzione alle emozioni e

attuando l’educazione affettiva possiamo sperare in un futuro migliore. Questa è la

condizione per creare le basi di una realtà dove le persone riescano a vivere serenamente

il proprio vissuto emotivo, gestendo al meglio la propria consapevolezza emotiva e

riscoprendo l’importanza, per noi “animali sociali”, delle relazioni interpersonali.

Le riflessioni finali di entrambi i laboratori suggeriscono come la tematica emotiva sia

un’interessante argomento da sviluppare in modo più approfondito, attraverso interventi

a lungo termine che così possano porgere ai bambini gli strumenti necessari per

imparare a conoscere e quindi gestire il proprio vissuto interiore. I laboratori da me

condotti hanno rappresentato un “assaggio” dell’educazione affettiva, nella speranza di

instillare nei destinatari un maggiore interesse e approfondimento della tematica.

A conclusione della tesi vorrei sottolineare come l’educazione affettiva non sia un

argomento adatto solo alla fascia dei minori, la finalità di questa è di entrare a far parte

degli argomenti educativi, quindi di divenire patrimonio culturale, sensibilizzando tutti

gli individui ad una maggiore attenzione verso lo sviluppo e la gestione delle

competenze emotive.

Per quanto detto fin qui ritengo che avrebbe potuto essere molto interessante prima di

tutto riuscire a compiere una sperimentazione a lungo termine dei laboratori emotivi con

i bambini, ma anche potersi sperimentare in altre fasce di utenza. Scoprendo, così, cosa

sarebbe potuto emergere da interventi di educazione affettiva nell’area geriatrica,

nell’area psichiatrica, nell’area delle dipendenze e marginalità, nell’area delle disabilità,

Page 126: 50753094 f4a7-a6bc

122

approfondendo inoltre delle riflessioni di confronto dai risultati ottenuti in questi diversi

campi del sociale. Essendo questo elaborato una tesi di laurea, ho dovuto scegliere un

indirizzo specifico per il mio intervento e pensando al futuro migliore, auspicato da

Goleman, ho scelto di concentrarmi sui minori, ma considero queste riflessioni finali

come un buon punto di partenza per possibili futuri interventi ed approfondimenti.

Page 127: 50753094 f4a7-a6bc

123

BIBLIOGRAFIA

Albanese O., Lafortune L., Daniel M.F., Doudin P.A., Pons F. (2006) Competenza

emotiva tra psicologia ed educazione - Ed. Franco Angeli, Milano.

Albanese O., Molina P. (2008) Lo sviluppo della comprensione delle emozioni e la sua

valutazione - Ed. Unicopli, Milano.

Atkinson W. W., Hilgard E. R. (2006) Introduzione alla psicologia - Ed. Piccin,

Padova.

Balboni G.C., Bastianini A., Brizzi E., Castorina S., Comparini L., Donato R.F.,

Filogamo G., Fusaroli P., Lanza G., Grossi C.E., Manzoli F.A, Marinozzi G.,

Miani A., Mitolo V., Motta P., Nesci E., Orlandini G.E., Passaponti A., Pizzini

G., Reale E., Renda T., Ridola C., Ruggeri A., Santoro A., Tedde G., Zaccheo D.

(2000) Anatomia umana (vol. 3) - Ed. Ermes, Milano.

Boccali G. (1983) Verso l'educazione dei sentimenti - Ed. Editoriale Nuova, Milano.

Caretti V., La Barbera D. (2005) Alessitimia. Valutazione e trattamento – Ed.

Astrolabio Ubaldini, Roma.

Darwin C., Celli G. (2008) L'espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali - Ed.

Newton Compton, Roma.

Del Re G., Bazzo G. (2002) Educazione sessuale e relazione affettiva - Ed. Erickson,

Gardolo (TN).

D'Urso V., Trentin R. (1990) Psicologia delle emozioni - Ed. Il Mulino, Bologna.

D'Urso V., Trentin R. (2007) Introduzione alla psicologia delle emozioni - Ed. Laterza,

Roma – Bari.

Filliozat I. (2001) Le emozioni dei bambini - Ed. Piemme Bestseller, Casale Monferrato

(AL).

Page 128: 50753094 f4a7-a6bc

124

Frijda N.H. (1990) Emozioni - Ed. Il Mulino, Bologna.

Gay R. (2002) Educare all'emotività - Quando i figli si emozionano - Ed. San Paolo,

Milano.

Goleman D. (2004) Intelligenza emotiva che cos'è, perché può renderci felici - Ed. Bur

– Rizzoli, Milano.

Goleman D. (2006) Lavorare con intelligenza emotiva - Ed. Bur – Rizzoli, Milano.

Goleman D., De Masi D. (2009) La natura dell'intelligenza emotiva - Ed. Bur – Rizzoli,

Milano.

Greenberg M.T., Kusché C.A. (2009) Emozioni per l'uso una proposta per educare i

bambini - Ed. La Meridiana, Molfetta (BA).

Ianes D., Demo H. (2008) Educare all'affettività - Ed. Erickson, Gardolo (TN).

Kandel E.R. (1999) Biology and the future of Psychoanalysis. A new Intellectual

Framework of Psychiatry Revisited. The American Journal of Psychiatry; 156

(4): 505 – 24. Traduzione italiana di Ardizzone I. (2001), in Richard e Piggle –

Studi psicoanalitici del bambino e dell’adolescente, (9) 1. Ed. Il Pensiero

Scientifico, Torino.

Kindlon D., Thompson M. (2002) Intelligenza emotiva per un bambino che diventerà

uomo - Ed. Bur – Rizzoli, Milano.

Miodini S., Zini M.T. (1992) L'educatore professionale (formazione, ruolo,

competenza) - Ed. La Nuova Italia Scientifica, Roma.

Nigris E. (2008) Didattica generale - Ed. Guerini Scientifica, Milano.

Nigris E. Nigris S.C. Zuccoli F. (2008) Esperienza e didattica, le metodologie attive -

Ed. Carocci Editori, Roma.

Piatti L. Terzi A. (2008) Emozioni in gioco (carte per educare alle competenze emotive)

- Ed. La Meridiana, Molfetta (BA).

Page 129: 50753094 f4a7-a6bc

125

Proietti G. (2008) Le emozioni (conoscerle, comunicarle e ritrovare l'equilibrio) - Ed.

Xenia tascabili, Milano.

Redigolo D., Kaldor K., Magrini R.I. (1995) Il processo comunicativo nella relazione

d'aiuto - Ed. Rosini Editrice, Firenze.

Steiner C., Perry P. (1999) L'alfabeto delle emozioni (come conquistare la competenza

emotiva) - Ed. Sperling & Kupfer, Milano.

Sunderland M. (2007) Aiutare i bambini a esprimere le emozioni - Ed. Erickson,

Gardolo (TN).

Galimberti U. (1999) Enciclopedia di psicologia - Ed. Garzanti libri (collana le

Garzantine), Torino.

Page 130: 50753094 f4a7-a6bc

126

_________________________Ringraziamenti________________________

I ringraziamenti in una tesi sono la parte più carica di emozioni. Nascondono l’affetto e l’apprezzamento per l’interesse e il sostegno ricevuto in questo particolare momento in

cui ci si sperimenta nella ricerca, nella rielaborazione e nella creazione di qualcosa che è tuo, “che sa di te”. Sono molto orgogliosa e felice di aver potuto creare un elaborato che parli di una tematica che mi è da sempre molto a cuore e se ci sono

riuscita devo ringraziare molte persone. Nel citarle provo gioia perché averle avute accanto e aver potuto contate sulla loro collaborazione ha per me significato molto.

_____________________________________________________________

Innanzitutto desidero ringraziare la mia relatrice, la Dottoressa Daniela Capitanucci per

aver appoggiato il mio argomento di tesi, per l’infinita cortesia e gentilezza sempre

dimostratami e per il prezioso aiuto che mi ha saputo offrire. Vorrei inoltre ringraziare

Angela Biganzoli, Roberta Smaniotto, Janice Romito, le educatrici Alessia e Piera e la

maestra Daniela Pierri: la loro collaborazione e il loro sostegno sono stati indispensabili

per la realizzazione dei laboratori sull’educazione affettiva. Colgo l’occasione per

rinnovare il mio ringraziamento alle coordinatrici del progetto Scuole Aperte per la

Scuola Primaria “Galileo Galilei” di Ispra e al dirigente e alla docente referente per la

Scuola Primaria "San Benedetto” di Voltorre, sottolineando la loro disponibilità nel

concedermi uno spazio per sperimentare il breve laboratorio educativo.

Inoltre, desidero ringraziare sentitamente il Dottor Cristiano Termine per l’interessante

materiale fornitomi e la Dottoressa Marchini Grazia per la grande disponibilità e la

pazienza nel dirimere i miei dubbi.

Un profondo grazie a mia zia Cristina, ai miei genitori e a Luca che mi sono sempre

stati di grande sostegno e che hanno vissuto con me passo dopo passo la mia esperienza

universitaria e la stesura di questa tesi. Lo stesso caloroso ringraziamento va agli amici,

che considero una seconda famiglia per la forza e la sincerità del legame che ci unisce,

in particolare debbo un grandissimo grazie a Marta che ha sempre saputo darmi

preziosissimi consigli e assistermi per ogni necessità. Infine desidero ringraziare Chiara,

Debora, Ilaria, Veronica, Laura, Daniela (il cui testo di anatomia è stata una salvezza),

Nadia, Marina e Lorenzo che si sono sempre resi disponibili e il cui sostegno morale è

stato importantissimo.