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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DELL'INSUBRIA
FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA
CORSO DI LAUREA IN EDUCAZIONE PROFESSIONALE
EDUCARE ALLE EMOZIONI
L 'EDUCATORE PROFESSIONALE COME PROMOTORE E OPERATORE DELL 'EDUCAZIONE AFFETTIVA
Relatrice:
Dott.ssa Daniela CAPITANUCCI
Tesi di Laurea di:
LAURA FERRO
Matricola n° 704306
Anno Accademico 2008/2009
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… dedicata a tutti i bambini che con il loro
sorriso colorano il mondo e sanno rendere
ogni cosa meravigliosa …
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INDICE
INTRODUZIONE .......................................................................................................... 1
1- LE EMOZIONI .......................................................................................................... 7
1.1 Definire l’emozione ................................................................................................. 8
1.2 Un ventaglio di interpretazioni .............................................................................. 12
1.3 Principali apporti teorici ........................................................................................ 14
1.4 Classificare le emozioni ......................................................................................... 17
2- COME NASCONO LE EMOZIONI ...................................................................... 20
2.1 Due menti ............................................................................................................... 20
2.2 Evoluzione delle aree cerebrali implicate nell’ambito emotivo ............................ 21
2.3 L’Amigdala, sede delle passioni ............................................................................ 23
2.4 Nella fusione fra psicoanalisi e biologia si indaga anche
sull’Amigdala e sulle emozioni .............................................................................. 26
3- COMUNICARE LE EMOZIONI ............................................................................ 30
3.1 Il legame fra emozione ed espressioni .................................................................. 31
3.2 L’influenza culturale ............................................................................................. 33
3.3 L’espressività del corpo ......................................................................................... 36
3.4 La comunicazione come indicatore emotivo ........................................................ 38
4- INTELLIGENZA EMOTIVA – COMPETENZA EMOTIVA ............................ 44
4.1 Fornire una definizione .......................................................................................... 45
4.2 Sviluppo delle abilità emotive .............................................................................. 47
5- L’EDUCAZIONE AFFETTIVA . ............................................................................. 53
5.1 Perché interessarsi alle emozioni .......................................................................... 54
5.2 Alessitimia, una particolare condizione ................................................................ 59
5.3 Verso un’educazione affettiva ............................................................................... 61
5.4 Portare a scuola le emozioni .................................................................................. 65
6- LA FIGURA DELL’EDUCATORE PROFESSIONALE
NELL’EDUCAZIONE AFFETTIVA ...................................................................... 70
6.1 L’Educatore Professionale ..................................................................................... 71
6.2 Metodologie e strumenti a disposizione ................................................................ 75
6.3 Educatori a scuola col programma PATHS ........................................................... 87
7- ESPERIENZE PRATICHE: LABORATORI EDUCATIVI ............................ 92
7.1 Ipotesi di partenza .................................................................................................. 93
7.2 Destinatari dei laboratori ........................................................................................ 94
7.3 Finalità e obiettivi .................................................................................................. 95
7.4 Metodologie e strumenti utilizzati ......................................................................... 96
7.5 Descrizione e riflessioni ....................................................................................... 100
7.6 Verifiche e riflessioni ........................................................................................... 103
7.7 Conclusione .......................................................................................................... 114
CONCLUSIONI ....................................................................................................... 117
APPENDICE 1 ......................................................................................................... 123
APPENDICE 2 ......................................................................................................... 131
APPENDICE 3 ......................................................................................................... 161
BIBLIOGRAFIA ...................................................................................................... 204
RINGRAZIAMENTI ............................................................................................... 207
1
INTRODUZIONE
L’oggetto di indagine della presente tesi trova origine nel mio interesse verso il campo
emotivo; interesse che grazie agli stimoli sia teorici che pratici offertemi dal corso
universitario affrontato, è cresciuto e si è rafforzato prendendo la forma di un quesito:
“Che cosa si può fare perché le persone imparino a gestire meglio il loro vissuto
interiore in modo da vivere più serenamente le proprie emozioni?”. Da questo
interrogativo è partita la ricerca che mi ha condotta verso l’educazione affettiva,
scoprendo le immense potenzialità che questa può avere se sfruttata da professionisti
quali gli Educatori Professionali.
L’obiettivo della presente tesi è quello di far riflettere i lettori sulla necessità di porre
una maggiore attenzione al mondo delle emozioni, culturalmente sottovalutato, aprendo
le porte della formazione anche all’educazione affettiva, indispensabile per un vero e
completo sviluppo dell’individuo. L’educazione affettiva, infatti, permette alle persone
di conoscere e di riconoscere le emozioni provate, consapevolezza che influisce sulla
gestione del carico emotivo e su come esprimerlo al meglio, aiutandole a sentire,
definire e usare le loro emozioni. Tali competenze emotive riverberano sulla
consapevolezza della propria identità, sulla capacità di fiducia in se stessi, sulla
competenza di gestire i propri desideri e bisogni.
Al fine di rendere all’educazione affettiva il giusto riconoscimento in campo formativo
e di favorirne la diffusione vengono individuati come “primo target” di riferimento
educativo i bambini, la scuola come il più efficace luogo di sperimentazione
dell’educazione affettiva e l’Educatore Professionale come operatore e promotore di
questa pratica educativa.
La fine della modernità che, come spiega il sociologo Bauman, costitutiva un mondo
solido e ordinato ha portato all’affermazione dell’odierna realtà “liquida”. Essa,
destrutturata e priva di riferimenti stabili, è generatrice di ansie e incertezze che hanno
influenza su ogni livello di vita dell’uomo. Autori come Goleman, Kindlon e Thompson
riportano interessanti esempi di questa odierna incompetenza affettiva, dimostrando
come nel frastuono assordante di questa società veloce e frammentata riuscire a
mantenere il contatto e la gestione del proprio vissuto emotivo non è, al contrario di
2
quanto induce a pensare la cultura occidentale, né intuitivo né scontato. Bisogna essere
educati a farlo: è necessario essere accompagnati nel conoscere le emozioni, perché si
possa imparare a comunicarle, viverle e gestirle al meglio.
L’Educatore professionale, grazie alle competenze multidisciplinari di cui dispone,
potrà partecipare alla creazione di progetti educativi nell’ambito scolastico gestendo la
formazione e i rapporti dei soggetti coinvolti, quali i bambini, il corpo docente e i
soggetti significativi come ad esempio la famiglia; tutto questo mantenendo sempre una
viva e costante relazione con la comunità. Questo operatore, trovando il necessario
supporto sia nella letteratura scientifica che umanistica e mantenendo sempre con un
forte riferimento agli episodi della quotidianità, può avvalersi degli strumenti messi a
disposizione dalla psicologia e dalla pedagogia per affrontare la pianificazione e la
progettazione di interventi educativi sull’affettività.
Nello specifico la presente tesi compie un accurato percorso, partendo dai concetti
fondamentali, per dotare il lettore degli strumenti necessari a cogliere le potenzialità
formative dell’educazione affettiva.
Nel primo capitolo vengono presi in esame i concetti necessari per fornire al lettore le
basi per sostenere le letture successive. Si parte con l’affrontare il concetto di Emozione
che, così sfuggente alla razionalità, viene considerato e indagato secondo più
sfaccettature a partire dall’approccio utilizzato, infatti gli studiosi dei diversi filoni di
ricerca psicologico, biologico, filosofico e sociologico, ne approfondiscono aspetti
differenti. Le loro definizioni, tuttavia, condividono il voler mettere in luce la
complessità del “fenomeno” Emozione, dovuta alle interazioni di molteplici fattori tra i
quali quelli individuali, quelli sociali e quelli culturali. Viene inoltre presentata una
rassegna delle principali teorie riguardanti l’interpretazione delle emozioni, visionando
nel dettaglio, tra gli altri, il punto di vista evoluzionista, funzionalista, comportamentista
e cognitivista. Viene infine messo in evidenza come le difficoltà trovate nel fornire una
definizione all’emozione sono state riscontrate anche nell’esplicitazione degli elementi
salienti per determinare una classificazione dell’oggetto di ricerca. Infatti il dibattito
scientifico sulla classificazione delle emozioni, sul riconoscimento di emozioni primarie
3
e sull’organizzazione di famiglie emozionali prosegue, ancora attualmente, fra i
ricercatori.
Il secondo capitolo offre una visione di carattere fisiologico riguardo l’oggetto di
studio, spiegando come il nostro corpo venga coinvolto a livello neurofisiologico
dall’azione emotiva e presentando le componenti cerebellari e i sistemi coinvolti nel
processo emozionale. Partendo dalla visione offerta da Goleman di una mente divisa fra
razionalità ed emozionalità, gli autori sono stati sollecitati ad indagare su quest’ultima
componente constatandone attraverso una breve indicazione filogenetica l’antica
esistenza anche a livello biologico, riuscendo anche a individuare le parti più antiche del
cervello da cui è partita la sua evoluzione. Alla mente emozionale è stata inoltre
riconosciuta una forte interazione con la parte razionale finalizzata alla produzione di
una risposta agli stimoli ambientali - situazionali percepiti. Una particolare attenzione
viene posta alla presentazione del Complesso Amigdaloideo, individuando in questo
l’elemento di maggiore rilevanza per il processo emozionale e definendolo perciò “sede
delle passioni.” Un autore particolarmente interessante citato in questo capitolo è
Kandel il cui obiettivo è di fondere il sapere della biologia con quello psicologico per
dare un fondamento oggettivistico alla psicoanalisi. L’importanza di questo autore
rispetto all’educazione affettiva risiede nel suo studio delle funzioni svolte
dall’amigdala e dall’ippocampo, analisi fondamentali per il concetto di “campo
emotivo” e la comprensione del suo funzionamento.
Nel terzo capitolo viene messo in evidenza come l’emozione non sia un fenomeno che
si consuma soltanto all’interno della persona, ma sia anche esteriorizzazione del proprio
vissuto emotivo e dunque un processo che coinvolge l’individuo mettendolo in
comunicazione con gli altri. Partendo dallo stretto rapporto preso in esame dalla teoria
evoluzionistica con Darwin fra emozione ed espressione, si giunge ad evidenziare la
caratteristica di “fenomeno pubblico” dell’emozione. Inoltre prendendo in
considerazione la presenza e la rilevanza dell’ascendente culturale che, attraverso le
norme sociali e le regole di esibizione, definisce come esprimere, quando esprimere,
come controllare/ regolare e come interpretare le proprie esperienze emotive.
Nell’insieme delle modalità espressive che riguardano le componenti sia verbali,
4
paraverbali che non verbali del canale comunicativo, l’elemento ritenuto di primo
riconoscimento e di maggiore espressività è il volto. Esso diviene l’oggetto più
scandagliato nei vari studi condotti poiché è ritenuto lo strumento di maggior
comunicazione emotiva anche fra individui di diverse culture. Viene così messo in luce
l’alto potenziale della comunicazione non verbale che non solo funge da sostegno e
complemento del linguaggio verbale, ma è essa stessa il mezzo principale per esprimere
e per comprendere le emozioni.
Nel quarto capitolo vengono descritte le competenze emotive a partire dall’interessante
affiancamento del Q.E. (Quoziente Emotivo) al già noto Q.I. (Quoziente Intellettivo),
formulando e sostenendo la necessità dello sviluppo di entrambi per il raggiungimento
di una buona e completa formazione dell’individuo. Lo stesso ambito scientifico
sostiene la necessità di una maggiore attenzione all’Intelligenza e Competenza Emotiva,
conferendo all’individuo in formazione gli strumenti e gli input necessari per il
raggiungimento del benessere psicofisico. Va ricordato che lo sviluppo della
Competenza Emotiva coinvolge l’individuo fin dalla sua infanzia, nella lenta
acquisizione delle capacità di esprimere le emozioni provate, di ascoltare e riconoscere
quelle altrui e di sostenere interazioni sviluppando strategie efficaci.
Il quinto capitolo costituisce il fulcro dell’indagine sull’educazione emotiva. Attraverso
la letteratura fornitaci dall’esperienza di diversi autori e mantenendo sempre un forte
contatto con la odierna realtà, marcata da eventi che sono esempio di emotività mal
gestita, si è giunti alla conclusione della necessità di un maggiore interessamento al
campo emotivo. L’educazione affettiva viene presentata come elemento di sintesi degli
argomenti emotivi e come migliore e necessaria soluzione alle carenze di gestione ed
espressione emotiva. Esponendo il pensiero di diversi studiosi che hanno individuato
nell’istituzione scolastica un ottimo mezzo per riconoscere all’educazione affettiva il
ruolo di primo piano che le spetta nell’ambito educativo, si sostiene che applicando a
livello curricolare l’educazione affettiva si potrebbe innanzitutto adempiere pienamente
all’obiettivo di una completa formazione dell’individuo e successivamente modificare la
concezione della nostra cultura occidentale che riserva alle emozioni un posto di
secondo piano.
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Il sesto capitolo ha l’obiettivo di presentare l’educatore professionale descrivendo prima
di tutto un quadro di riferimento descrittivo e normativo e giungendo a proporlo come
un professionista di grande rilevanza nell’educazione affettiva. Egli nello svolgimento
del suo compito educativo, oltre a far riferimento alla fondamentale componente di
sensibilità rispetto alla sfera affettiva, dispone sia delle competenze multidisciplinari
derivanti dalla sua formazione, sia delle metodologie e degli strumenti inerenti allo
sviluppo e all’analisi delle competenze emotivo – affettive.
Queste ultime risorse sono ideate da differenti discipline allo scopo di progettare
interventi educativi all’interno di istituti scolastici e sono perciò volte alla promozione e
all’inserimento dell’educazione affettiva nel curricolo scolastico. Infine nel presente
capitolo viene esposto un particolare un programma di intervento e prevenzione relativo
all’educazione affettiva, il PATHS, ideato per figure educative, da attuare nell’ambito
scolastico. Il paragrafo riguardante il programma PATHS rappresenta una perfetta
fusione tra l’educazione affettiva e l’interevento educativo dell’Educatore Professionale,
costituendone inoltre un esempio realmente compiuto.
Il settimo capitolo si distingue dai precedenti in quanto è costituito di una parte
applicativa. Il presente capitolo raccoglie, infatti, l’analisi delle due esperienze condotte
della laureanda sul campo, con la diretta sperimentazione in due laboratori sulle
emozioni in differenti condizioni. Vengono qui riportati: la progettazione del
laboratorio, la sperimentazione sul campo con una breve descrizione nelle due
condizioni dell’esperienza e l’analisi dell’elaborato seguita dal confronto fra le
sperimentazioni e dalle riflessioni finali.
L’Appendice 1 contiene il questionario sulla consapevolezza emotiva ideato da Steiner
e Perry nel 1999, che consente di distinguere i tre “profili tipo” della consapevolezza
emotiva: bassa, media e alta.
Le Appendici 2 e 3 sono allegati del settimo capitolo e raccolgono materiali e prodotti
dell’esperienza pratica condotta in ambito scolastico.
Nell’appendice 2 viene riportato quanto utilizzato nello “studio pilota ” effettuato
presso il doposcuola della Scuola Primaria “Galileo Galilei” di Ispra: il modulo di
6
avviso ai genitori, il modulo di consenso al trattamento dei dati fotografici e
audio/video e infine il progetto effettuato, con buona parte del materiale utilizzato
oltre alle fotografie del laboratorio educativo “Le giornate delle emozioni”.
Nell’appendice 3 vengono riportate specifiche relative al laboratorio educativo “Le
giornate delle emozioni”, effettuato presso la classe quinta della Scuola Primaria
“San Benedetto” di Voltorre. Vengono qui raccolti: il modulo di avviso ai genitori,
il modulo di consenso al trattamento dei dati fotografici e audio/video e il progetto
effettuato, buona parte del materiale utilizzato oltre alle fotografie.
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CAPITOLO PRIMO
LE EMOZIONI
In realtà quasi non esiste un campo di fenomeni psichici più ostico allo studio che quello dei sentimenti.
Se scorriamo la psicologia, dalla più antica alla più recente, da nessuna parte regnano tanta divergenza e
tanto contrasto nelle prospettive e nella spiegazione come in quest’ambito.
J.W. Nahlowsky. Das Gefühlsleben, 1862.
In questo capitolo si darà conto delle definizioni più utilizzate del concetto emozione, si
passeranno in rassegna le principali classificazioni, determinate dagli approcci presi in
considerazione e si affronteranno i maggiori apporti teorici che hanno segnato questo
campo d’indagine.
________________________________________________________
Attraverso le esperienze che quotidianamente si vivono, si percepiscono e si provano
molte emozioni. Anche se l’esperienza è conoscenza, il vissuto non rende semplice una
riflessione critica che cerchi di produrre un pensiero il più scientifico, chiaro e
applicabile universalmente su questi soggetti un po’ sfuggenti alla riflessione critica.
Trattare il tema dell’emozione nasconde molte insidie, già solo per quanto riguarda una
prima definizione. Ponendosi in atteggiamento riflessivo, cercando di analizzare che
cosa siano, quale ne sia l’origine e che cosa avvenga in noi con esse; si nota subito che
nel formulare delle risposte si incontrano varie difficoltà. Come riuscire a staccarsi dalla
personale esperienza emotiva interiore?
Come descrive Gay (2002, pag. 6): «Quando si è in preda ad un’emozione, la si vive e
basta: o meglio, è l’emozione stessa che vive in noi, che ci vive».
8
Solo recentemente le scienze si sono interessate ad un approfondimento del campo
emotivo, svelando la sua necessità per un buono e completo sviluppo dell’essere umano.
Non si sono compiute infatti solo ricerche relative alle strutture o ai fenomeni di tipo
emotivo, ma si è ricercata anche la componente di interazione tra lo sviluppo emotivo,
cognitivo e sociale, riconoscendo oggi alle emozioni un preciso valore ed impatto su
tutto il comportamento umano. Precedentemente a tali ricerche le emozioni venivano
ritenute indipendenti dalle attività intellettive o almeno parallelamente legate, quindi la
loro scarsa influenza che spesso veniva interpretata come elemento di disturbo negli
studi, dettava il non interesse dei ricercatori.
1.1 DEFINIRE L’EMOZIONE
Nel cercare di fornire una definizione il più completa ed universale possibile i vari
ricercatori hanno incontrato molte difficoltà: ogni autore ed ogni corrente di pensiero
apporta una propria visione, concedendo a questo fenomeno tante sfumature, tali da
renderlo difficile da inquadrare. La complessità di questa manifestazione porta i
ricercatori a scontrarsi con definizioni incomplete e l’impossibilità di un’esplicitazione
universalistica, in quanto essendo un fenomeno sperimentabile di persona, nasconde
sfumature di percezione differenti da essere umano ad essere umano, per non parlare poi
dell’incidenza dell’appartenenza culturale dell’individuo.
Partendo dall’etimologia del termine “Emozione” ritroviamo una radice latina nel verbo
E-MOVÈRE (portare fuori, smuovere, scuotere; la particella “E” che significa “da”,
aggiunge forza all’azione del vocabolo a cui è legata). Si nota come sia forte la
componente del movimento e del cambiamento, emerge la tendenza all’agire costitutivo
essenziale e visibile dell’emozione. Questi elementi sono stati individuati anche da
Atkinson e Hilgard (2006, pag. 408) che definiscono brevemente l’emozione come: «un
episodio complesso, a più componenti, che induce ad una prontezza ad agire».
“L’Enciclopedia di Psicologia” a cura di Galimberti (1999, pag. 358) riporta alla voce
“Emozione” tale definizione: «reazione affettiva intensa con insorgenza acuta e di breve
durata determinata da uno stimolo ambientale. La sua comparsa provoca una modifica a
livello somatico, vegetativo e psichico». Si tratta di un’intensa reazione affettiva proprio
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perché sono determinanti la brevità e la sua ampia portata. Per la complessità di tale
fenomeno è anche definita “sindrome reattiva multidimensionale” come riporta
Battacchi nel manuale di Psicologia delle emozioni a cura di D’Urso e Trentin (1990,
pag. 73).
Come suggerisce lo studioso Battacchi, la reazione emotiva provoca nel soggetto
mutamenti a più livelli, rispetto alle condizioni dello stato di pre-evento emotivo. Nello
specifico possiamo distinguere fra:
- Risposte fisiologiche: riferendosi all’attivazione dei sistemi immunitario,
endocrino e nervoso autonomo. A tale livello vengono prodotte risposte
fisiologiche caratteristiche come alterazioni nella frequenza respiratoria e
cardiaca o nella pressione sanguigna.
- Risposte motorie ed espressive: mentre le prime riguardano la prontezza della
persona all’azione che può essere di fuga (scappare, correre) al contrario di
contrattacco (avanzare, colpire, mordere); nelle seconde vengono evidenziati gli
aspetti fisici di espressione come la mimica facciale, le vocalizzazioni e i gesti.
- Risposte tonico-posturali: si soffermano sullo stato del corpo nel suo complesso,
cioè se quest’ultimo si trova in uno stato di tensione o di rilassamento.
- Vissuto soggettivo: consideriamo qui l’esperienza personale che il soggetto
percepisce e rielabora, in modo cosciente. Tale può essere analizzata rispetto
l’intensionalità e gli aspetti attentivo, percettivo e mnestico:
Intensionalità1: l’esperienza emotiva che viviamo è tale in relazione a
quel qualcosa che la ha provocata. È esperienza di qualcosa, anche se può
accadere di provare emozione senza sapere consciamente di che cosa e
perché (in tal caso ci troviamo davanti ad una intensionalità vuota, ma
non assente).
Attenzione: le emozioni influiscono positivamente o negativamente nel
processo attentivo.
1 Il termine “ Intensionalità” viene utilizzato da Battacchi in luogo di «intenzionalità», seguendo il pensiero di Boden che lo riferisce al carattere, proprio delle azioni eseguite in vista di uno scopo. Ritroviamo il vocabolo nel testo: Psicologia delle Emozioni, alla pagina 74 (D’Urso e Trentin, ed. Mulino, Bologna, 1990).
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Percezione: gli oggetti-stimolo con le loro caratteristiche fisiognomiche o
espressive, producono percezioni che suggeriscono uno stato emotivo
(oggetti che appaiono invitanti o al contrario minacciosi oppure
disgustosi).
Recupero mnestico: la facilitazione o al contrario la difficoltà che le
emozioni, legate al ricordo memorizzato, portano al processo di recupero
di tale reminiscenza.
Da non dimenticare che la presenza di tutte le componenti connesse fra loro da
complessi rapporti di interdipendenza è indispensabile al realizzarsi del fenomeno
“Emozione”, poiché nessuna componente singola è da sola, in grado di permettere di
caratterizzare e distinguere un’emozione da un’altra. Per poter definire di che emozione
si tratta dobbiamo sempre tenere conto di una serie di elementi vari come: il
comportamento-risposta messo in atto, la mimica facciale, le sensazioni corporee, il
sentimento provato, le valutazioni cognitive dello stimolo. È doveroso inoltre ricordare
che ci sono vari modi per sentire l’emozione: diversi modi per essere tristi, per provare
gioia o rabbia e tali modi sono legati alle condizioni psicofisiche del soggetto, alle
influenze culturali di appartenenza-residenza, l’ambiente sociale e infine la situazione in
cui è avvenuto lo stimolo.
Il fenomeno “emozione” non è complesso solo per le varie componenti che lo
caratterizzano, ma anche per il processo che lo determina dalla comparsa alla sua fine.
Un’emozione intensa secondo Atkinson e Hilgard (2006, pag. 408), rifacendosi agli
autori Frijda e Lazarus, consta tipicamente di sei fasi:
- Il tutto inizia con la valutazione cognitiva (valutazione, compiuta dal soggetto,
del significato personale delle circostanze) che sollecita una sequenza di
risposte.
- La seconda è l’esperienza soggettiva dell’emozione provata (lo stato affettivo o
il tono sentimentale associato all’emozione).
- Ne segue la tendenza al pensiero o all’azione (determinato dall’urgenza di dare
una risposta allo stimolo ricevuto nella data situazione).
11
- La quarta componente è relativa ai mutamenti determinati dalle reazioni
corporee interne (specialmente quelle determinate dal sistema nervoso
autonomo).
- A tale segue l’esternazione dell’emozione, vissuta attraverso espressioni, gesti o
vocalizzazioni (nel particolare in questa fase sono considerate le contrazioni
muscolari che determinano particolari tratti espressivi: le mimiche facciali).
- Infine, come ultima componente, abbiamo le risposte alle emozioni (che
comprendono i modi in cui le persone regolano le loro emozioni, reagiscono ad
esse o affrontano le situazioni che le hanno indotte).
Anche se l’obiettivo finale dei ricercatori è cercare di far convergere tutto il sapere
ricavato dai vari studi in un unico schema integrato, purtroppo ancora oggi la ricerca
sulle emozioni si muove lungo percorsi distinti che si concentrano su specifiche di tale
fenomeno. La realizzazione di uno schema decisivo permetterebbe di definire con
precisione, le caratteristiche di ogni emozione ammettendone anche un confronto,
acconsentendo al contempo una distinzione all’interno dei fenomeni psichici affini o
complementari riguardanti la sfera affettiva. Come riferiscono D’Urso e Trentin (2007,
pag. 9) in tale sfera va operata una specificazione terminologica fra i termini affetti,
emozione, sentimento, umore ed tratti del carattere. Nel linguaggio quotidiano si sente
spesso utilizzare una grande varietà di termini per il lessico affettivo, con però un uso
improprio. Molto spesso infatti più termini vengono usati come sinonimi appiattendo le
differenze che fra loro esistono, con la conseguenza che da ciò ne derivino poi molte
difficoltà nel riconoscere, nominare ed in secondo piano gestire il proprio vissuto
affettivo.
Il temine affetti ha carattere generico ed ampio, che concede operazioni di variazioni per
intensità e per qualità. Possiamo immaginare gli affetti come una “grande scatola”
contenente diversi “elementi”, tra cui le emozioni, che ne sono incluse in quanto stati
affettivi. Gli affetti e le emozioni sono unite da un legame unidirezionale poiché
l’operazione logica contraria non è possibile, in quanto non tutti gli stati affettivi sono
emozioni.
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Per emozioni intendiamo gli stati affettivi di breve durata determinati da una precisa
causa scatenante, ritenuta come stimolo-causa, che può essere sia interna che esterna e
che porta una modificazione in entrambi i livelli nel soggetto. Queste modificazioni
portate all’individuo differiscono per ogni emozione e proprio queste differenze
permettono di distinguere fra le innumerevoli emozioni esistenti. Dell’emozione è
possibile rintracciare un inizio, una durata e una fine che tendenzialmente è determinata
da una fase di attenuazione più lenta rispetto alla fase di comparsa.
Sentimento ed umore invece sono caratterizzati da una bassa intensità, pur essendo però
durevoli e pervasivi. Opposti alle emozioni per le caratteristiche sovra descritte, questi
altri due stati affettivi possono anche avere una causa scatenante non immediatamente
percepibile. In più questi non vanno a interrompere i processi di pensiero, come spesso
le emozioni fanno, ma li influenzano con tonalità positive o negative.
I tratti del carattere possono essere considerati modalità stabili, attuate dal soggetto che
le considera più appartenenti a sé, al proprio stile di risposta alla situazione creatasi,
poiché tendono a manifestarsi in modo automatico e ripetitivo, non adattivo alla
situazione come le emozioni. La loro manifestazione è dovuta alla complessa
interazione fra disposizioni temperamentali ed esperienza.
1.2 UN VENTAGLIO DI INTERPRETAZIONI
Galimberti (1999, pag. 359) fornisce un inquadramento dei principali approcci
scientifici:
Approccio Filosofico
Ripercorrendo storicamente le concezioni sulle emozioni Galimberti presenta come
primo studioso Aristotele che utilizza un principio logico, includendo le emozioni nella
categoria della passività, in quanto non considerabili “azioni”, ma “passioni”. Le
emozioni, secondo Aristotele tengono relazioni col sistema cognitivo attraverso il
processo di persuasione.
Seguono a tale filosofo le considerazioni degli Stoici, come riporta che condividendo il
giudizio di irrazionalità, applicabile alle emozioni, ne compiono una prima
13
classificazione, individuando quattro emozioni principali: il desiderio per un evento
buono e atteso, la paura per un evento cattivo e atteso, la gioia per un evento buono e
presente e infine il dispiacere per un evento cattivo e presente.
Questa prima forma di classificazione viene successivamente, nel periodo medievale,
arricchita prendendo in analisi oltre alla categoria dell’evento e la sua presenza, anche il
fattore intenzionalità, permettendo di ampliare il numero delle “emozioni base” da
quattro a sei, aggiungendo: la speranza e la disperazione. Secondo Galimberti dunque
con la filosofia moderna continua la considerazione delle emozioni come fenomeni
irrazionali, trovando il punto massimo nella filosofia kantiana della morale, che propone
l’esclusione di tutte le emozioni.
Approccio Psicologico
In questo filone viene perso l’interesse per il “significato” delle emozioni,
concentrandosi invece sulle modificazioni di adattamento o disadattamento indotte nel
soggetto calato nella situazione.
In questo approccio Galimberti individua diversi studiosi che hanno saputo apportare
interessanti concezioni:
Osgood assume come criteri classificatori: la piacevolezza (P), l’attivazione (A) e il
controllo (C) della situazione, la presenza positiva o neutra di questi indicatori definisce
l’emozione presa in considerazione. Dalla differente combinazione dei fattori: P, A, C,
nascono le emozioni fondamentali come per esempio la gioia ( P+, A+, C neutro) o la
ripugnanza (P, A+, C+).
Plutchik invece, cataloga le emozioni in base ai processi adattivi del comportamento,
per cui si evidenziano processi come: protezione (paura), distruzione (rabbia),
reintegrazione (tristezza), affiliazione (accettazione), riproduzione (gioia), rifiuto
(disgusto), esplorazione (attesa) e l’orientamento (sorpresa).
A questa ricerca si affianca Izard che da quelle emozioni individuate, ritenute primarie,
ricavò una serie di emozioni denominate complesse che riteneva essere la risultante di
una sommatoria di più “emozioni base”.
14
Approccio Sociologico
In questo ambito l’attenzione verso una classificazione delle emozioni viene posta
rispetto alla distinzione fra: emozioni egoistiche, che portano all’affermazione di sé o
attuate in difesa di sé; da emozioni altruistiche, comprendenti quelle legate all’ambito
famigliare e sessuale; alle emozioni superiori che producono tonalità affettive generali,
superando la sfera primaria della relazione IO-TU ed abbracciando il sociale. In questo
modello l’influenza esercitata dallo stato sociale, dalla cultura di appartenenza, dalla
contestualizzazione spazio-temporale della situazione e dalla conformazione della
società sono determinanti per stabilire sfumature nei vari stati delle categorie emotive.
Approccio Biologico
Questo ambito, rispetto ai precedenti, gode sicuramente di maggiore oggettività poiché
vengono analizzati i sistemi biologici a cui le emozioni sono connesse e a partire da
questi vengono compiute le classificazioni. A suddette considerazioni corrispondono le
classificazioni di Ax, come riporta Galimberti che predispone un piano di rilevatori
fisiologici della risposta emotiva come: frequenza cardio-respiratoria, temperatura
corporea, riflesso cutaneo galvanico, corrente d’azione (registrata al di sopra degli
occhi). Una volta individuati i caratteri biologici tipici di un’emozione, l’autore si
concentra sui tipi di reazione che variano sensibilmente da soggetto a soggetto (ad una
stessa situazione-input accade che persone diverse reagiscano con emozioni differenti:
in presenza di una situazione di conflitto, c’è chi reagisce con l’ira e chi con l’ansia).
1.3 PRINCIPALI APPORTI TEORICI
Esistono molte differenti interpretazioni riguardo al campo emotivo che trovano origine
rispetto ai principi classificatori che lo riguardano. Tra le più significative Galimberti
(1999, pag. 360) riporta le seguenti:
La Teoria Evoluzionista
Darwin, maggiore esponente di questa corrente teorica, offre una lettura di tipo
evoluzionistico fondata su tre principi:
15
Il principio delle abitudini associate, per cui se nel rispondere alla situazione che ci si
presenta viene utilizzata una particolare modalità espressiva che risulta essere efficace,
come per esempio: aggrottare le sopracciglia e imbronciare il viso per mostrare il
disaccordo o mostrare i denti prima di urlare contro all’interlocutore per manifestare la
rabbia provata, quest’azione verrà riutilizzata in futuro divenendo cosi la modalità per
esprimere quella determinata emozione provata.
Il principio dell’antitesi, per cui se ci si richiude su se stessi, coprendosi il volto per
difendersi da un attacco, il meccanismo contrario per cui ci si avventa contro l’altro è
l’espressione dell’emozione contraria.
L’azione diretta del sistema nervoso, per cui un’azione-risposta messa in atto dal
soggetto si chiamerebbe in realtà attivazione fisiologica, poi assunta come abitudine
associativa attraverso la ripetizione in condizioni simili o uguali. Questa teoria sostiene
l’ipotesi diffusa che nell’emozione vi siano componenti primitive, proprio a partire dal
controllo esercitato dalle aree celebrali più antiche.
La Teoria Periferica di James e Lange
James e Lange giunsero alla formulazione di teorie molto simili, per questo spesso nei
testi ritroviamo i due autori affiancati nell’esplicazione della Teoria Periferica.
Qui viene sostenuta l’importanza della risposta somatica nella percezione soggettiva
delle emozioni per cui: “ho paura perché sto scappando” e non come più familiarmente
ritroviamo nel senso comune: “sto scappando perché ho paura”. James sostiene che le
modificazioni viscerali e somatiche sono il dato essenziale, sono queste a rendere
emotiva la percezione rilevata. Questa interpretazione sottolinea il fenomeno feed-back
(retroazione) delle risposte somatiche scatenate dalle emozioni, il riconoscimento
dell’emozione avviene dopo la risposta fisiologica.
La Teoria Funzionalista
Rappresentante della formulazione funzionalista rintracciamo Dewey che mira
all’integrazione delle teorie apportate da Darwin e James e Lange. Le emozioni
vengono qui spiegate come funzioni psichiche che consentono una valutazione delle
situazioni ambientali, in funzione dell’adeguamento che il soggetto è portato a
compiere. L’aspetto comune alle numerose teorie, facenti parte del ramo funzionalista,
16
consiste nel fatto che l’attenzione viene posta sul significato delle funzioni emotive e
sulla relazione emozione-ambiente piuttosto che sulla loro descrizione e sul rapporto
con la coscienza e il sistema nervoso.
La Teoria Gestaltica
L’emozione, in questo enunciato, viene interpretata come l’effetto di una buona o
cattiva forma che l’ambiente rimanda alla percezione del soggetto. La percezione è un
meccanismo di attribuzione di significato, per cui definire un’emozione è conferire un
significato a ciò che viene prodotto. Secondo questa teoria, gli stati emotivi non sono
solo il frutto delle proiezioni dei nostri stati d’animo all’esterno, ma derivano dalle
forme, la comprensione di queste porta un’organizzazione dei dati esperienziali a cui
segue la determinazione emotiva.
La Teoria Comportamentista
Watson, autore rappresentante del settore comportamentista, parte dal principio per cui
l’emozione sia una risposta periferica dell’organismo a stimoli periferici, individuando
fra le emozioni tre candidati principali che si acquisiscono già allo stadio neonatale: la
paura, la collera, l’amore. Tutte le altre emozioni, a partire da queste tre principali,
vengono acquisite mediante un processo di condizionamento.
La Teoria Omeostatica
Nel meccanismo dell’emozione, Cannon, fu il primo studioso ad opporsi alla visione di
James e Lange, conferendo inoltre un ruolo basilare al sistema nervoso centrale. La
teoria da lui costruita viene inoltre chiamata “teoria talamica” poiché sposta la sede
dell’emozione a livello neurofisiologico, attribuendo al talamo un ruolo essenziale nel
processo emozionale, in cui l’energia potenziale liberata nell’organismo, nella fase di
risposta, consente la preparazione di reazioni intensive che risultano adeguate allo
stimolo provocatore.
La teoria Cognitivista
Questa visione ritiene che non si debba cercare nell’azione comportamentale espressa o
nella reazione fisiologica adottata, ma l’origine della risposta emotiva va indagata nella
valutazione cognitiva del dato in ingresso, che subisce l’influenza del significato
17
soggettivamente attribuito. Secondo Pribram prima che qualsiasi comportamento venga
messo in atto, anche in situazioni di squilibrio con l’ambiente, la mente elabora dei
piani di comportamento. L’emozione interverrebbe nel momento in cui il piano
comportamentale ideato non riesce ad essere messo in atto e non può essere ristabilito
l’equilibrio con la situazione ambientale, l’emozione fungendo da blocco impedisce ai
piani comportamentali più razionali e adattivi di essere agiti, così la mente compie una
regressione mettendo in atto i comportamenti più primitivi come l’aggressione o la fuga.
Tutti quei comportamenti tipicamente emotivi che tendiamo a considerare come la
conseguenza della perdita del controllo su se stessi. Secondo questo modello quindi il
numero e l’intensità delle emozioni provato è inversamente proporzionale alla quantità
di informazioni disponibili che dovrebbero condurre all’attuazione di piani
comportamentali ben congeniati a livello cognitivo.
1.4 CLASSIFICARE LE EMOZIONI
Classificare in termini oggettivi qualcosa come l’emozione è difficile per la complessità
degli elementi che la compongono è un compito assai arduo, soprattutto poiché si parla
di un fenomeno che non rientra nelle grandezze fisiche. Proprio tale complessità ha
determinato numerose ricerche che hanno portato a molteplici teorie che però non
riescono a convergere fra loro.
Ricordiamo, come riporta Proietti (2008, pag. 3) che nella più elementare
classificazione: «le emozioni possono essere distinte in positive (felicità, amore, gioia,
interesse, ecc.) e negative (tristezza, collera, paura, ansia, depressione, noia, disgusto,
vergogna, ecc.)» per lo stato affettivo che apportano al soggetto nel momento in cui,
entrando in scena, modificano la sua omeostasi emotiva. In questa classificazione i
termini “positivo” e “negativo” devono essere sostituiti con “gradevole” e “sgradevole”,
in quanto questi ultimi rendono maggiormente l’idea della modificazione apportata nella
coscienza del soggetto e non denigrano l’importante funzione che le emozioni come:
tristezza, collera, paura, ansia, depressione, noia, disgusto e vergogna (definite
18
precedentemente “negative”), hanno nel suggerire una risposta adattiva alla situazione
che prevede un “attacco” verso il soggetto.
La ricerca di emozioni primarie fortemente legata alla necessità di essere
universalmente riconoscibili viene affrontata, come riporta Goleman (2004, pag. 334)
da Ekman, ricercatore dell’University of California di San Francisco. Ekman compie
una ricerca sulle espressioni facciali relative alle emozioni, individuando con tale analisi
l’esistenza di quattro emozioni (paura, collera, tristezza e gioia) riconoscibili in ogni
cultura del mondo (compresi popoli analfabeti e meno civilizzati), proprio per le
espressioni date dalle mimiche facciali molto simili. Plausibilmente per la
riconoscibilità universale, le definì primarie.
A partire dalla precedente ricerca Goleman (2004, pag. 333) mette in evidenza il
concetto di famiglie emozionali fondamentali, affermando che: «vi sono centinaia di
emozioni con tutte le loro mescolanze, variazioni, mutazioni e sfumature (…). I
ricercatori continuano a discutere su quali precisamente possano essere considerate le
emozioni primarie - il blu, il rosso e il giallo del sentimento (…). Alcuni teorici
propongono famiglie emozionali, anche se non tutti concordano nell’identificarle».
Inoltre lo studioso presenta un proprio modello di emozioni primarie, raggruppate nelle
otto famiglie di appartenenza emotiva di seguito elencate:
- COLLERA: furia, sdegno, risentimento, ira, esasperazione, indignazione,
irritazione, acrimonia, animosità, fastidio, irritabilità, ostilità, e al grado estremo,
odio e violenza patologici.
- TRISTEZZA: pena, dolore, mancanza d’allegria, cupezza, malinconia,
autocommiserazione, solitudine, abbattimento, disperazione e in casi patologici,
grave depressione.
- PAURA: ansia, timore, nervosismo, preoccupazione, apprensione, cautela,
esitazione, tensione, spavento, terrore, come stato psicopatologico, fobia e
panico.
- GIOIA: felicità, godimento, sollievo, contentezza, beatitudine, diletto,
divertimento, fierezza, piacere sensuale, esaltazione, estasi, gratificazione,
soddisfazione, euforia, capriccio e al limite estremo l’entusiasmo maniacale.
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- AMORE: accettazione, benevolenza, fiducia, gentilezza, affinità, devozione,
adorazione, infatuazione, agape.
- SORPRESA: shock, stupore, meraviglia, trasecolamento.
- DISGUSTO: disprezzo, sdegno, aborrimento, avversione, ripugnanza, schifo.
- VERGOGNA: senso di colpa, imbarazzo, rammarico, rimorso, umiliazione,
rimpianto, mortificazione, costrizione.
IN SINTESI
Nel presente capitolo sono stati presi in esame alcuni concetti fondamentali, per fornire
al lettore le basi necessarie alla comprensione del tematica centrale della presente tesi.
(1.1) È stato evidenziato come il concetto di Emozione, così sfuggente alla razionalità,
venga diversamente definito dagli autori che se ne sono occupati, ma tali definizioni
apportate condividono tutte il voler mettere in luce la complessità delle emozioni,
dovuta alle interazioni tra fattori individuali, sociali, culturali.
(1.2) L’emozione viene considerata ed indagata su più sfaccettature a partire
dall’approccio utilizzato. L’approccio Filosofico, Psicologico, Biologico e Sociologico
attraverso i propri ricercatori approfondiscono aspetti differenti.
(1.3) Viene presentata una rassegna delle principali teorie riguardanti l’interpretazioni
delle emozioni, visionando tra gli altri il punto di vista evoluzionista, funzionalista,
comportamentista, cognitivista, …
(1.4) Le difficoltà trovate nel fornire una definizione all’emozione, sono state
riscontrate anche nella esplicitazione degli elementi salienti per determinare una
classificazione per questo oggetto di ricerca. Infatti il dibattito scientifico sulla
classificazione delle emozioni, sul riconoscimento di emozioni primarie e
sull’organizzazione di famiglie emozionali prosegue, ancora attualmente, fra i
ricercatori.
20
CAPITOLO SECONDO
COME NASCONO LE EMOZIONI
Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris. Nescio, sed fieri sentio et excrucior.
(Ti odio e ti amo. Come possa fare ciò, forse ti chiedi.
Non lo so, ma sento che così avviene e me ne tormento.)
Caio Valerio Catullo. Carmina: Odi Et Amo (LXXXV).
Partendo dalla stimolante visione dell’esistenza di due differenti Menti, una Razionale e
l’altra Emozionale che nella loro cooperazione determinano l’agire umano, nel presente
capitolo si giungerà a porre particolare attenzione all’aspetto neuro-fisiologico
dell’emozione, interessandosi all’evoluzione compiuta dagli organi celebrali coinvolti
ed in particolare alla funzione dell’amigdala, reputata la sede delle passioni.
________________________________________________________
Con il ritrovato interesse per il campo emotivo, si apre intorno agli anni Settanta un
vasto ambito di ricerca. Si indagano le emozioni, utilizzando un approccio differente
rispetto i precedenti, individuando le relazioni che intervengono fra queste e i processi
cognitivi in un contesto sociale. Si sviluppano nuovi approcci volti all’approfondimento
degli aspetti cognitivi, neurobiologici e socioculturali.
2.1 DUE MENTI
Goleman (2004, pag. 27) sostiene l’esistenza di due differenti menti in interazione fra
loro il cui prodotto determina l’agire, la risposta che viene fornita alla situazione
vissuta: «a tutti gli effetti abbiamo due menti, una che pensa, l’altra che sente». La
“mente che pensa” è la mente razionale, comprendente i processi di cui siamo
21
consapevoli e che perciò domina nella riflessione e nella consapevolezza. In continua
interazione con questa troviamo la “mente che sente”, cioè la mente emozionale, un
altro sistema di conoscenza che in opposizione al precedente, è impulsivo e a volte
illogico.
La dicotomia razionale-emozionale viene quotidianamente ripresa nella popolare
opposizione mente-cuore. Non è possibile stabilire con certezza quanto la mente
emozionale influisca su quella razionale nel controllo del nostro agire poiché
l’ascendente che esercita si muove lungo un continuum che dipende dalle condizioni in
atto nella situazione vissuta in quel determinato momento. È affermabile che più è forte
l’emozione e lo stato d’animo provato, maggiore è l’influenza determinata dalla mente
emozionale. Sebbene la mente emozionale e quella razionale siano interdipendenti per
l’azione-risposta che verrà messa in atto, sono comunque due sistemi fisiologicamente
semi-indipendenti, poiché ciascuno rimanda a circuiti cerebrali distinti.
2.2 EVOLUZIONE DELLE AREE CEREBRALI IMPLICATE
NELL’AMBITO EMOTIVO
Il tronco cerebrale che regola le funzioni vegetative fondamentali è la parte del cervello
più primitiva. Da questa struttura derivano i centri emozionali che durante un arco di
tempo di milioni di anni si sono evoluti in aree del cervello pensante, oggi riconosciute
come la neocorteccia. A questo proposito Goleman (2004, p. 29) afferma: «molto prima
che esistesse un cervello razionale, esisteva già quello emozionale». Il fatto che la mente
razionale si sia evoluta da quella emozionale ci suggerisce l’importanza e la forza della
loro connessione.
Cercando di ritracciarne lo sviluppo, è possibile partire dal lobo olfattivo, in origine il
più importante ai fini della sopravvivenza dell’essere umano primitivo, si sono poi
sviluppati gli antichi centri emozionali, che crescendo finirono per attorniare l’estremità
cefalica del tronco cerebrale. L’evoluzione della neocorteccia, data dalla estensione e
dall’infittimento delle connessioni, permise una regolazione fine che consentì l’aggiunta
di altrettante sfumature alla vita emotiva. Negli esseri umani il rapporto tra neocorteccia
e sistema limbico è di molto superiore alle altre specie viventi e proprio grazie a questa
22
stretta interazione si è in grado di disporre di una gamma di risposte di gran lunga più
ampia. Le aree emozionali sono strettamente collegate a tutte le zone della corteccia
attraverso una miriade di circuiti di connessione. Questo conferisce ai centri emozionali
l’immenso potere di influenzare il funzionamento di tutte le altre aree del cervello,
compresi i centri del pensiero.
Per comprendere meglio la complessità che il fenomeno emozione determina a livello
corporeo, D’Urso e Trentin (2007, pag. 27) fanno riferimento alle componenti
fisiologiche coinvolte a livello di sistemi. L’emozione, infatti, porta all’attivazione del:
Sistema Nervoso Centrale, Sistema Nervoso Periferico, Sistema Nervoso Autonomo o
Neurovegetativo, Sistema Ormonale o Endocrino.
• Il Sistema Nervoso Centrale ha un ruolo primario nell’attivazione del processo
emotivo grazie agli organi che lo costituiscono: l’encefalo (comprendendo
l’amigdala e l’ipotalamo) e il midollo spinale.
• Il Sistema Nervoso Periferico, che comprende i nervi afferenti ed efferenti, ha il
compito di mettere in relazione il Sistema Nervoso Centrale con l’intero
organismo. Fa parte di questo sistema anche il Sistema Nervoso Autonomo o
Vegetativo che è responsabile delle risposte autonome o vegetative (da quelle
provocate dalle modificazioni rilevate nell’apparato cardiovascolare e
respiratorio alle variazioni salivari e della dilatazione della pupilla) messe in
atto con lo stato emotivo.
• Il Sistema Nervoso Autonomo è ripartibile in due sottosistemi: il Sistema
Simpatico (Ortosimpatico) e quello Parasimpatico che svolgono funzioni
antagoniste nel controllo dei muscoli e nella liberazione di energia.
• Il Sistema Endocrino viene coinvolto nell’attivazione emotiva in quanto svolge
la funzione di integrazione e mediazione fra il Sistema Nervoso Centrale e il
Sistema Nervoso Autonomo. Tra gli ormoni indicatori della presenza di uno
stato emotivo è possibile citare la Tiroxina (ormone tiroideo), l’ormone GH
Growth Hormone (ormone ipofisario della crescita), le Endorfine (addette alla
regolazione della sensazione di dolore). Sono particolarmente rilevanti anche le
23
azioni dell’Adrenalina e della Noradrenalina, ormoni e mediatori chimici,
impegnati nella propagazione dell’impulso nervoso.
Il controllo neurofisiologico, riguardante sia il comportamento che l’esperienza
emotiva, è stato quindi rappresentato dalle due studiose sopra citate nella triade: Tronco
Encefalico (incluse le parti del diencefalo), Sistema Limbico e Neocorteccia. Rilevante è
anche l’interazione tra queste e l’Ipotalamo.
L’Ipotalamo è una zona del cervello volta alla coordinazione del sistema nervoso
autonomo e regola, attraverso una complessa attività ormonale, varie funzioni
all’interno dell’organismo molte delle quali sono implicate nel vissuto e nella attuazione
psicofisiologica delle emozioni.
La Neocorteccia è garante delle previsioni, delle distinzioni più fini e dell’analisi delle
informazioni condizionate linguisticamente. Inoltre partecipa alla costruzione di piani e
interessi spontanei, basilari nel fornire occasioni di emozione vera e propria, e alla
produzione dell’interesse e del desiderio per ciò che è possibile ottenere o raggiungere.
Il Sistema Limbico, che interagisce col sistema ipotalamico, consta di un certo numero
di strutture interconnesse, la maggior parte delle quali secondo un punto di vista
filogenetico, fa parte delle aree “più antiche” del cervello. Le principali strutture di
questo sistema sono: l’amigdala, la formazione dell’ippocampo (l’ippocampo è
l’elemento di connessione fra la memoria e i circuiti a sostegno della competenza
emotiva) e l’area del setto. Alcuni autori tendono ad includere anche la corteccia
cingolata e il talamo anteriore. Questo insieme di strutture è volto alla regolazione delle
risposte organizzate in principio dall’ippocampo e dai gangli basali. Vengono così
integrati, attraverso questo sistema, gli aspetti cognitivi e gli ordini di azione.
2.3 L’AMIGDALA, SEDE DELLE PASSIONI
I nuclei del Telencefalo, facenti parte del Sistema Nervoso Centrale, vengono
denominati nel complesso Nuclei della Base e presentano connessioni e funzioni
differenti. In sostanza sono formazioni grigie, situate profondamente in ciascun
emisfero che intrattengono relazioni con il Diencefalo e in particolare con il Talamo.
24
Nello specifico i Nuclei della Base includono: il Clustro, l’Amigdala e il Corpo Striato.
L’Amigdala, tra questi, è la parte filogeneticamente più antica dell’intero complesso
grigio e viene spesso indicata col termine Archistriatum.
Topografia del corpo striato visto dal lato esterno; immagine tratta dal manuale di
anatomia umana, vol.3 di Balboni et Al. (2000, pag. 147).
Gli autori Balboni et Al. (2000, pag. 148) convergono nel definire l’Amigdala, o
Complesso Nucleare Amigdaloideo, «formazione grigia» poiché è ricoperta da uno
strato di corteccia rudimentale, «foggiata a mandorla, che si trova profondamente, nella
parte dorsomediale del lobo temporale, in diretto rapporto con l’apice ventrale e con le
parti superiore e mediale del corno inferiore del ventricolo laterale». In questa struttura
vengono individuate due principali formazioni: il gruppo di nuclei basi laterali e il
gruppo di nuclei corticomediali. Il primo è situato esternamente al gruppo di nuclei
corticomediali e comprende il nucleo amigdaloideo laterale, quello basale e quello
accessorio. Il gruppo di nuclei corticomediali rappresenta invece la parte dorsale e
25
dorsomediale del complesso, comprendendo l’area amigdaloidea anteriore, quella
corticale, quella centrale e il nucleo della stria olfattiva laterale.
L’Amigdala viene da molti considerata un centro di integrazione dei processi
neurologici superiori come le emozioni. È inoltre coinvolta anche nei sistemi della
memoria emozionale e nel sistema di comparazione degli stimoli ricevuti con le
esperienze passate, come riporta Goleman (2004, pag. 34): «all’amigdala è legato
qualcosa di più dell’affetto: tutte le passioni dipendono da essa». Inoltre lo studioso
(2004, pag. 34) affronta il caso della privazione di questo organo descrivendo: «La vita
senza amigdala» come «un’esistenza spogliata di significato personale». Una realtà
insipida, senza la possibilità di poter assaporare quel pizzico di sale e pepe che rende
unica ogni esperienza, che ci permette di ricordarla come speciale. Nel caso in cui
l’amigdala dovesse essere resecata dal resto del cervello ci si troverebbe in una
situazione che Goleman (2004, pag. 34) nomina «cecità affettiva». Il risultato sarebbe
un’evidentissima incapacità di valutare il significato emozionale degli eventi. Non
bisogna dimenticare, a questo proposito, che la nostra capacità emozionale è uno dei
tanti fattori che ci aiuta a definirci e a distinguerci dagli altri. Perderla o esserne privati è
come dire addio a ciò che consideriamo noi stessi. Per avvalorare le sue affermazioni
Goleman (2004, pag. 34) espone gli studi del neuroscienziato Le Doux che per primo
tentò di far emergere il ruolo fondamentale dell’amigdala nel cervello emozionale. Le
scoperte di quest’ultimo ricercatore sui circuiti del cervello hanno rovesciato le
preesistenti ipotesi sul sistema limbico, ponendo al centro dell’attenzione proprio
l’azione dell’amigdala. L’attività di questa struttura e l’interazione che essa intrattiene
con la neocorteccia sono l’epicentro dell’intelligenza emotiva. I segnali che arrivano
dagli organi sensoriali consentono all’amigdala di analizzare ogni esperienza, ponendola
così, come scrive Goleman (2004, pag. 35), in una posizione di grande rilievo nella vita
mentale: «facendone una sorta di sentinella psicologica che scandaglia ogni situazione e
ogni percezione, sempre guidata da un unico interrogativo, il più primitivo: è qualcosa
che odio? Qualcosa che mi ferisce? Qualcosa che temo?». Se la risposta a queste
primordiali domande risultasse affermativa, l’amigdala sarebbe pronta per un immediato
intervento segnalando a tutte le parti del cervello una situazione di crisi. Le Doux
afferma inoltre che l’architettura del cervello conferisce all’amigdala una posizione
26
privilegiata, collocazione che le assegna la capacità, con il suo messaggio di allarme, di
arruolare tutte le aree del cervello per giungere ad una risposta il più repentina possibile.
2.4 NELLA FUSIONE TRA PSICOLOANALISI E BIOLOGIA
SI INDAGA ANCHE SULL’AMIGDALA E SULLE EMOZIONI
Gli studi condotti da Le Doux non vengono unicamente ripresi da Goleman, anche un
altro autore cita questo studioso come riferimento nei propri elaborati. Kandel (Richard
e Piggle, 2001, pag. 72) scrive: «Le Doux ha sostenuto che nell’ansia, il paziente
sperimenta l’attivazione del sistema nervoso come qualcosa di minaccioso che sta per
succedere, un’attivazione mediata dall’amigdala. Le Doux attribuisce l’assenza di
consapevolezza all’arresto delle funzioni dell’ippocampo sotto stress». In questa
affermazione si nota come il sapere psicologico viene fuso alle conoscenze biologiche:
questa frase, infatti, contiene un’oggettività scientifica grazie all’individuazione di
strutture fisiologiche, quali l’amigdala e l’ippocampo, che reggono l’affermazione
psicologica dello stato di ansia e stress.
Per spiegare le emozioni nel primo capitolo ci si è avvalsi di molti riferimenti
psicologici poiché proprio la psicologia si è particolarmente interessata al mondo delle
emozioni cercando di indagarne ogni aspetto, senza per questo dimenticare che
quest’ultime hanno anche una base fisiologica. Come si è appreso in questo capitolo
l’emozione modifica l’equilibrio neurofisiologico del nostro corpo, quindi non è
impossibile ricondurre l’emozione alle sole indagini psicologiche, soprattutto
unicamente a quelle di stampo psicoanalitico. Dato i riscontri fisiologici e psico-
pedagogici delle emozioni è interessante proporre degli estratti di un articolo di Kandel,
il cui intento è di tracciare “un ponte” fra le scoperte psicoanalitiche e quelle biologiche,
così da conferire alla psicologia una maggiore oggettività scientifica. Kandel (Richard e
Piggle, 2001, pag. 57) esordisce: «nel corso della prima metà del ventesimo secolo la
psicoanalisi ha rivoluzionato la nostra comprensione della vita mentale (…) La cosa più
importante, ed anche la più deludente, è che la psicoanalisi non si è evoluta
scientificamente. In particolare non ha sviluppato metodi oggettivi per verificare le
27
eccitanti teorie che aveva precedentemente formulato» per poi giungere a formulare il
suo intento (Richard e Piggle, 2001, pag. 58):« il mio scopo, in questo articolo, è quello
di suggerire uno dei modi attraverso i quali la psicoanalisi potrebbe rivitalizzare se
stessa, si tratta di sviluppare una relazione più stretta con la biologia in generale e con le
neuroscienze cognitive in particolare». La fusione fra i saperi di queste discipline
potrebbe portare a nuove scoperte oltre che ad un maggiore approfondimento delle
conoscenze già possedute; inoltre ne gioverebbero anche gli studi sulle emozioni.
In questo paragrafo l’attenzione viene focalizzata tra gli studi dell’ampia ricerca di
Kandel, sulle scoperte che interessano il campo emotivo. Nell’esplorare la mente
Kandel (Richard e Piggle, 2001, pag. 63) indaga i processi mentali inconsci che
riportandoli al sapere biologico identifica con i meccanismi della memoria procedurale:
«questi ricordi che noi ora chiamiamo memoria procedurale o implicita sono
completamente inconsci e sono attivi nelle varie performance piuttosto che nel ricordo
cosciente». La memoria procedurale viene dallo studioso (Richard e Piggle, 9, 1, 2001
pag. 64) così definita: «è essa stessa una raccolta di processi che coinvolgono diversi
sistemi celebrali: l’incontro o il riconoscimento di stimoli incontrati recentemente è una
funzione della corteccia sensoriale; l’acquisizione di stati sensoriali diversi ricordati
coinvolge l’amigdala; la formazione di nuove abitudini motorie (o forse cognitive)
richiede il neostrato; apprendere nuovi comportamenti motori oppure attività coordinate,
dipende dal cervelletto».
«Questa importante corrispondenza tra neuroscienze cognitive e psicoanalisi fu
riconosciuta per la prima volta in un particolare articolo da Robert Clyman, che
considerava la memoria procedurale nel contesto delle emozioni e la sua rilevanza per il
transfert e il trattamento» così continua l’articolo di Kandel (Richard e Piggle, 2001,
pag. 65) che trova infine il modo di verificare oggettivamente, attraverso le conoscenze
e gli strumenti della biologia, le importanti scoperte psicoanalitiche (Richard e Piggle,
2001, pag. 66): «una delle prime limitazioni allo studio dei processi psichici inconsci fu
che non esistevano metodi per osservarli direttamente (…). La biologia può attualmente
fornire con la sua capacità di raffigurare i processi mentali e la sua abilità nello studiare
pazienti (…), lo studio dei processi mentali inconsci dall’inferenza indiretta
all’osservazione diretta. Attraverso questi mezzi saremo in grado di determinare quali
28
aspetti della memoria procedurale, rilevanti dal punto di vista psicoanalitico, siano
mediati dai sistemi sottocorticali presi in considerazione». Nel particolare i punti di
convergenza fra biologia e psicoanalisi rintracciati da Kandel (Richard e Piggle, 2001,
pag. 71) sono tre e vengono da lui così descritti: «l’importanza della memoria
procedurale per lo sviluppo morale precoce, per gli aspetti di transfert e per i momenti
di senso nella terapia psicoanalitica. Abbiamo esaminato un secondo punto di
convergenza nell’esaminare il rapporto tra le caratteristiche associative del
condizionamento classico e il determinismo psicologico. Vorrei, ora, illustrare un terzo
punto di convergenza: quello tra il condizionamento al pericolo, una forma di memoria
procedurale mediata dall’amigdala, l’ansia segnale, e il disturbo post-traumatico da
stress (PTSD) negli esseri umani». Per quanto riguarda l’amigdala Kandel scrive
(Richard e Piggle, 2001, pag. 72): «sappiamo che l’amigdala è importante per la
memoria emotivamente carica» e continua definendone la funzione: «L’amigdala
coordina il flusso di informazioni tra le aree del talamo e la corteccia celebrale che
elaborano i segnali sensoriali e le aree che elaborano l’espressione». Infine Kandel
(Richard e Piggle, 2001, pag. 72) presenta anche la funzione di un'altra struttura
celebrale che interessa l’iter emotivo: «l’ippocampo, che regola la risposta autonoma
alla paura e le aree limbiche associative corticali, il giro cigolato e la corteccia
prefrontale che si pensa siano coinvolte nella valutazione consapevole delle emozioni».
29
IN SINTESI
Il presente capitolo ha fornito una visione di carattere fisiologico riguardo l’oggetto di
studio, spiegando come il nostro corpo venga coinvolto a livello neurofisiologico
dall’azione emotiva.
(2.1) La visione di una mente divisa fra razionalità ed emozionalità ha portato gli autori
ad indagare su quest’ultima constatandone un’antica esistenza anche a livello biologico
ed una forte interazione con la parte razionale per la produzione di una risposta agli
stimoli ambientali-situazionali percepiti.
(2.2) È stata fornita una breve indicazione filogenetica sulle componenti della mente
emozionale, individuando le parti più antiche del cervello da cui è partita la sua
evoluzione. Sono state inoltre presentate le componenti cerebellari e i sistemi coinvolti
nel processo emozionale.
(2.3) Particolare attenzione è stata posta al Complesso Amigdaloideo, individuando in
questo l’elemento di maggiore rilevanza per il processo emozionale e nominandolo
perciò “sede delle passioni”.
(2.4) Viene qui presentato un ulteriore autore, Kandel, che affrontando l’obiettivo
propostosi di fondere il sapere della biologia con quello psicologico per dare un
fondamento oggettivistico alla psicoanalisi, cita e affronta il “campo emotivo”
analizzandone le sedi fisiologiche dell’Amigdala e dell’Ippocampo.
30
CAPITOLO TERZO
COMUNICARE LE EMOZIONI
Toglimi il pane, se vuoi, toglimi l'aria, ma
non togliermi il tuo sorriso … … negami il pane, l'aria,
la luce, la primavera, ma il tuo sorriso mai, perché io ne morrei.
Pablo Neruda. Il tuo sorriso.
Verranno qui messe in rilievo le caratteristiche relative alla esteriorizzazione dell’emozione affrontando in particolare gli aspetti della comunicazione non verbale.
Verranno inoltre illustrati studi e riflessioni relativi al tema della comunicazione dell’emozione, agli indici di riconoscimento e alle influenze dettate dalla cultura di
appartenenza. ________________________________________________________
L’emozione apporta una modifica nell’omeostasi del soggetto in cui interviene. Questa
è osservabile poiché coinvolge ogni sfera comunicativa a disposizione dell’essere
umano. Porre attenzione a particolarità come la postura, il tono, la gestualità e il
contenuto verbale può aiutare a individuare la presenza di uno stato emotivo e
addirittura a determinare quale emozione viene vissuta dalla persona in osservazione.
Ciò viene altresì proposto dalle autrici D’Urso e Trentin (2007, pag. 61) nel concetto:
«uno degli aspetti più tipici dell’emozione è il fatto di produrre in chi la prova delle
modificazioni ben visibili nel modo di esprimersi con la faccia, con la voce e con il
corpo». Si nota come l’emozione si fondi nelle componenti verbali, paraverbali e non
verbali della comunicazione, facendoli divenire propri elementi di riconoscimento.
31
3.1 IL LEGAME FRA EMOZIONE ED ESPRESSIONE
Il legame fra le emozioni e l’espressività è stato esaminato per la prima volta da Darwin
a cui interessava nello specifico il significato che l’espressione emotiva otteneva
secondo una prospettiva evoluzionistica. Nel 1872 avvenne la pubblicazione della sua
opera: L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali, che portò gli studiosi a
considerare l’originaria carica espressiva dell’emozione come un fondamentale fattore
per la sopravvivenza della specie. Facendo risaltare il carattere biologico Darwin
intendeva far riferimento al grado di adeguamento all’ambiente che ogni particolare
specie ha sviluppato in secoli di evoluzione e di modificazioni genetiche, applicandolo
anche all’ambito dell’espressività emotiva. Sotto l’influsso di Darwin l’espressività
emotiva venne studiata in modo scientifico giungendo così a sostenere una sua
evoluzione di affinamento, rispetto all’originaria funzione legata alla sopravvivenza,
svelandone pertanto un carattere ereditario e innato.
Oltre al carattere di eredità l’autore si interessò ad approfondire anche l’influenza del
fattore “abitudine”, ponendolo col precedente alla base dei suoi costrutti. Darwin (2008,
pag. 23) enunciò tre principi che come scrisse nella sua opera: «considero responsabili
della maggior parte delle espressioni e dei gesti messi in atto involontariamente
dall’uomo e dagli animali meno evoluti, sotto l’influenza d’emozioni e sensazioni
diverse»:
- Il primo: il principio delle abitudini utili associate, secondo il quale alcune
azioni complesse vengono agite in funzione di un’utilità diretta o indiretta per
portare sollievo o gratificazioni in particolari stati d’animo. Ogni volta che la
persona si ritrova in uno stato d’animo simile tende, per associazione o per la
forza dell’abitudine, a ripetere la risposta messa in atto precedentemente.
- Il secondo: il principio di antitesi per cui quando si induce nel soggetto uno stato
mentale radicalmente opposto a quello precedentemente provato, otterremo una
risposta di natura contraria a quella compiuta con la precedente stimolazione,
provocata da una tendenza involontaria nel comandare i movimenti agiti.
- Il terzo principio: il principio di azioni dovute alla costituzione del sistema
nervoso e in una certa misura all’abitudine, indipendentemente dalla volontà,
32
secondo cui nell’apparato sensorio che riceve una forte stimolazione si genera
un eccesso di energia che deve essere distribuita. Questa viene quindi rilasciata
in direzioni che risultano determinate dalle connessioni nervose ed in parte
dall’abitudine arrivando così a provocare o bloccare specifici movimenti.
Le teorie evoluzionistiche a cui Darwin diede avvio si distinsero dagli altri approcci
teorici proprio perché sostennero il carattere innato delle emozioni. Per avvalorare
questa tesi vennero compiuti molti esperimenti sia sugli animali che sugli uomini al fine
di individuare la funzione adattiva delle risposte emotive. Quest’ultima funzione
riguarda l’adattamento biologico che la specie realizza attraverso l’evoluzione e la
modificazione genetica per meglio rispondere alle richieste dell’ambiente, aumentando
in questo modo le probabilità di sopravvivenza. A conclusione dei suoi studi Darwin
considerò l’espressione delle emozioni una risposta di carattere adattivo in grado di
evolvere ed in particolare capace di partecipare alla regolazione delle stesse. Come
riportano D’Urso e Trentin (1990, pag. 101): «Darwin aveva affermato che la libera
espressione dello stato emotivo intensifica l’emozione stessa, mentre la soppressione
l’indebolisce e l’attenua». Successivamente alla corrente avviata da Darwin intervenne
il Pensiero Psicoanalitico che proponeva una opinione contraria. Secondo quest’ultima
corrente, infatti, come sintetizzano D’Urso e Trentin (1990, pag. 101): «l’espressione
riduce la forza dell’emozione». Il Pensiero Psicoanalitico afferma che quando nel
soggetto si forma energia emozionale questa deve essere scaricata attraverso i canali di
esternalizzazione, cioè quello verbale, fisiologico e corporeo. Nel momento in cui uno
di questi risulti bloccato l’energia viene ripartita fra i canali funzionanti aumentando
l’intensità della risposta agita.
Nella seconda metà del 1900 Scheres, rievocando Darwin sostenne nuovamente il
concetto evolutivo applicandolo nello specifico all’espressione vocale delle emozioni
nei tratti prosodici e paralinguistici del parlato che, in quanto riconoscibili nelle loro
alterazioni, assumono un ruolo fondamentale nella caratterizzazione degli stati emotivi.
A favore della tesi di questo studioso intervennero le applicazioni di Davitz, come
riportano D’Urso e Trentin (1990, pag. 99), le quali confermarono la possibilità di
comunicare specifiche emozioni attraverso la variazione di alcune qualità della voce, a
prescindere dal contenuto verbale.
33
Nonostante esistano numerose difficoltà metodologiche nell’analisi degli effetti
compiuti dall’emozione sul linguaggio, anche recenti ricerche condotte a fine degli anni
ottanta dallo stesso Scheres, come riportano D’Urso e Trentin (1990, pag. 99),
dimostrarono che le emozioni producono esiti stabili e coerenti sul campo vocale. Lo
studioso descrisse tre principali aspetti funzionali di mediazione del processo
emozionale che D’Urso e Trentin (1990, pag. 99) così riassumono:
- la valutazione della rilevanza dello stimolo ambientale o degli eventi in
relazione ai bisogni, ai piani e alle preferenze dell’individuo che si trova in
situazioni specifiche;
- la preparazione psicologica e fisiologica dell’organismo per affrontare
adeguatamente gli eventi stimolo;
- la comunicazione-segnalazione da parte dell’organismo del proprio stato
interiore, delle proprie intenzioni e delle proprie reazioni verso l’ambiente
circostante.
3.2 L’INFLUENZA CULTURALE
Nei suoi studi Darwin dovette scontrarsi con gli aspetti culturali che tuttora influenzano
e regolano notevolmente le espressioni emotive. Le regole di esibizione emotiva
vengono acquisite dal soggetto attraverso il processo di socializzazione che avviene
all’interno della cultura di appartenenza. I genitori stessi ed i soggetti significativi
insegnano sia in modo diretto che attraverso l’esempio l’uso delle emozioni in maniera
appropriata e consona alla propria cultura. Con le regole di esibizione si scoprono le
forme convenzionali di manifestazione, una specie di codice espressivo delle emozioni
riconosciuto dall’interno dei membri della cultura di appartenenza e che perciò potrebbe
potenzialmente essere mal interpretato da membri esterni. Nella vita sociale
dell’individuo è altamente rilevante la componente espressivo-motoria poiché comporta
una certa influenza anche nell’ambiente circostante e proprio per questo le emozioni
vengono definite, come citano D’Urso e Trentin (1990, pag. 100) un: «veicolo pubblico
di attività private». Attraverso le due condizioni di “privatezza” e “pubblica” le attività
emozionali sono funzionali alla regolazione dell’interazione sociale. La prima riguarda
34
il riconoscimento interno dello stato emozionale che viene provato; mentre la successiva
prevede l’attivazione di comportamenti empatici negli altri. Proprio l’empatia porta alla
conoscenza sociale dello stato d’animo della persona osservata. In questo modo viene
inoltre effettuato lo scambio comunicativo di informazioni riguardo al proprio stato
d’animo. Per la persona che prova l’emozione e per la collettività che assiste alla sua
comunicazione è fondamentale una corrispondenza fra quanto viene provato
internamente e quanto viene manifestato, per questo l’individuo durante il processo di
crescita acquisisce importanti strategie come il controllo e la regolazione dell’emozione.
Con queste competenze la persona fa corrispondere l’esperienza interiore con quella
manifestata mantenendo sempre un adeguamento alle situazioni sociali e alle norme
socio-culturali implicate. Infatti nelle diverse condizioni che possono venire a
presentarsi intervengono norme regolatrici proprie della cultura di appartenenza che
hanno lo scopo di definire innanzitutto l’emozione appropriata alla situazione e
successivamente anche quale sia il modo e l’intensità con cui comunicarla. Gli obiettivi
del processo di socializzazione delle emozioni, come ricordano D’Urso e Trentin (1990,
pag. 118) riprendendo le conclusioni degli studi di Lewis e Michalson, sono le
sfumature di una armoniosa e completa acquisizione, conseguita per vari gradi:
- come esprimere le emozioni, attraverso l’acquisto delle “regole di esibizione
sociale” per cui un’espressione emotiva viene attenuata, accentuata,
neutralizzata o dissimulata;
- quando esprimere le emozioni, con l’acquisizione delle regole situazionali che
curano la corrispondenza fra le emozioni espresse e quelle richieste dalla
situazione;
- come controllare/regolare le emozioni abilità che cura la capacità della persona
di adeguare l’emozione esternata in relazione alla circostanza esterna e alle
attese sociali;
- come interpretare le proprie esperienze emotive, competenza che cura la
capacità finale di saper appurare l’armonia dei precedenti punti, ottenendo la
coerenza fra lo stato interiore, il vissuto soggettivo e la manifestazione esterna
dell’esperienza emotiva.
35
Le norme sociali si preoccupano anche di stabilire situazioni in cui un certo grado di
“scatenamento emotivo” può essere approvato e socialmente controllato, ne sono un
esempio i festeggiamenti per i mondiali calcistici. Un interessante punto di
argomentazione è relativo alla differenza di espressione emotiva negli adulti di sesso
diverso. Sebbene non sia possibile stabilire se questa differenziazione sia dovuta
principalmente a fattori biologici o di socializzazione è consuetudine ritenere la donna
un soggetto più emotivamente espressivo dell’uomo. A questo proposito Atkinson e
Hilgard (2006, pag. 430) scrivono: «attraverso studi multipli che hanno consolidato le
osservazioni, gli psicologi hanno appreso che gli uomini e le donne differiscono
maggiormente nell’espressione delle emozioni - sia facciale che verbale - che
nell’esperienza soggettiva delle stesse». Tuttavia questa affermazione insinua
sottilmente il potere della radice culturale, infatti gli autori così continuano: «ciò
suggerisce che gli stereotipi di genere influenzano i resoconti delle persone sulle loro
esperienze. Gli uomini potrebbero pensare “sono un uomo e gli uomini non sono
emotivi; quindi, non devo essere emotivo”. Invece le donne potrebbero pensare “sono
una donna e le donne sono emotive; quindi, devo essere emotiva”», con questi
illuminanti esempi viene fornito e dimostrato l’enorme potere della cultura di
appartenenza in cui gli stereotipi, ormai ben affermati ed acquisiti socialmente, riescono
a influenzare i rapporti emotivi. A sostegno di quanto affermato precedentemente
diversi studi psicologici citati da Atkinson e Hilgard (2006, pag. 431) hanno dimostrato
che: «le differenze di genere nell’espressività emotiva sono legate alle differenze di
genere negli obiettivi di regolazione delle emozioni, da parte di uomini e donne». È
quindi fondamentale prestare attenzione al fatto che la distinzione sottolineata è relativa
all’espressione delle emozioni e non all’esperienza emotiva di per sé e tali differenze
trovano origine per lo più nel modo in cui uomini e donne vengono avviati alla
socializzazione e all’adeguamento agli stereotipi culturali.
36
3.3 L’ESPRESSIVITÀ DEL CORPO
Analizzando l’espressione delle emozioni viene esaminato l’insieme delle modalità
mimico-espressive, vocali, gestuali, posturali attraverso cui l’emozione viene
manifestata. L’elemento di maggiore rilievo è il volto, ritenuto il fulcro
dell’espressività. Questo è stato ovviamente l’oggetto più scandagliato nei vari studi
condotti, poiché permette un grado di immediatezza espressiva che la comunicazione
verbale non concede. Il linguaggio risulta, infatti, uno strumento non del tutto adeguato
alla comunicazione delle emozioni in quanto facilmente si possono incontrare difficoltà
sia nel riconoscere lo stato emotivo provato e nel nominarlo, sia nell’immediatezza
necessaria all’espressione emotiva che la comunicazione verbale non riesce a fornire.
Un vero e proprio interesse per le espressioni facciali emerge tra gli anni 1920-1940,
ove le ricerche riguardavano principalmente la capacità dei soggetti di giudicare
correttamente l’emozione ritratta in visi fotografati. Inizialmente a causa delle deboli
metodologie adottate, i risultati sono stati spesso ritenuti ambigui o invalidati. Soltanto
nella seconda metà del 1900 studiosi come Ekman e Friesen, come riportano D’Urso e
Trentin (2007, pag. 68), sono riusciti a superare molte delle difficoltà metodologiche
precedentemente incontrate, elaborando il Facial Action Coding System (FACS). Alla
base del suddetto FACS c’è l’intenzione di scoprire la funzione ed il ruolo di ogni
singolo muscolo per spiegare ogni movimento espressivo nel volto umano. Durante le
ricerche il volto è stato analizzato scomponendolo in due aree espressive distinte: l’area
superiore comprendente gli occhi, la fronte e le sopracciglia e l’area inferiore
comprendente la bocca, le guance e il naso. Ai muscoli facciali dei candidati sono stati
applicati degli elettrodi per rilevare i movimenti di cambiamento che la persona in
esame compiva nel ricevere uno stimolo emotivo. Dalle modificazioni espressive
rilevate, sono state individuate ben 44 unità di azione che sole o in combinazione
ricoprono tutta la gamma espressiva del viso.
La letteratura riguardante gli studi e le concezioni di molti ricercatori sull’importanza
degli aspetti comunicativi nell’esteriorizzazione delle emozioni è molto ampia. Duncan,
citato da D’Urso e Trentin (2007, pag. 71) propone una lista di comportamenti non
verbali capaci di fornire informazioni emotive. Tale lista pone al vertice le espressioni
37
facciali seguite dal movimento degli occhi e la direzione dello sguardo; i gesti e le
posture; la tonalità vocale; le inflessioni, le pause e gli intercalari utilizzati in un
discorso; ed infine anche l’uso dello spazio fisico nella comunicazione. Ekman e
Friesen invece suggeriscono una classificazione dei comportamenti espressivi basandosi
sulla loro funzionalità, comprendendo:
- emblemi: i gesti che hanno un corrispettivo verbale fisso e noto a tutti, come
mostrare il pugno per comunicare il proprio stato di rabbia;
- gesti di illustrazione: come i movimenti di accompagnamento al discorso
effettuati con le mani e le braccia;
- espressori di emozioni: principali rappresentanti le mimiche facciali;
- gesti regolatori: usati per segnare il tempo di uno scambio verbale, come
annuire o richiedere spazio nella comunicazione;
- adattatori: non sono diretti trasmettitori di messaggi, ma sono indispensabili alla
persona che comunica per mantenere sotto controllo lo stress e consentire
l’adattamento alla situazione, ne sono un esempio grattarsi e toccarsi il volto.
D’Urso e Trentin (2007, pag. 68) descrivono l’interessante studio compiuto da Ekman e
Friesen che nel confronto fra l’efficacia informativa detenuta dagli indicatori del viso e
quelli del corpo, rilevano una maggior efficacia negli indicatori del viso. Il valore dello
studio del significato delle espressioni facciali in relazione alle emozioni è
particolarmente utile perché diversi studi hanno dimostrato somiglianze, sebbene con
alcune differenze, a prescindere dal contesto geografico e culturale di appartenenza.
Ekman, come riportano D’Urso e Trentin (2007, pag. 67) fu uno degli studiosi che si
interessò in particolare al tema dell’universalità delle espressioni facciali, studio che
condusse parallelamente a quello relativo all’efficacia informativa delle mimiche del
volto. La ricerca interculturale da lui realizzata si è avvalsa dell’utilizzo di stimoli visivi
costituiti proprio dalle fotografie di espressioni emotive che dovevano ottenere lo stesso
riconoscimento da giudici di culture differenti, il medesimo giudizio dell’espressione
emotiva permetteva di sancire l’universalità dell’emozione riconosciuta. D’Urso e
Trentin (2007, pag. 66) si preoccupano di apportare altri dati a favore del carattere
universale di alcune espressioni emotive, ottenuti grazie agli studi condotti da Izard e da
una seguente ricerca condotta dallo stesso Ekman con l’assistenza di Friesen su soggetti
38
della Nuova Guinea. Infatti proprio l’impossibilità dei soggetti di venire a conoscenza
dei metodi espressivi delle altre culture in quanto privi di strumenti informativi come
giornali o televisione, ha dimostrato inequivocabilmente l’universalità di alcune
espressioni emotive. Al contrario di quanto riteneva inizialmente, lo stesso Ekman
dovette riconoscere una certa influenza al contesto culturale, poiché alcuni studiosi
soprattutto antropologi dimostrarono la relatività culturale delle manifestazioni emotive.
A questi rilevanti studi che portano una contraddizione nelle sue formulazioni, Ekman
ha risposto con la formulazione del concetto di regole di esibizione (display rules). Con
questa nozione lo studioso è riuscito a dimostrare che in una situazione ritenuta
“privata” i soggetti manifestano reazioni con caratteristiche universali, mentre quando
vengono calati un una situazione “pubblica” o “sociale” possono controllare
l’esternazione delle emozioni provate per rispettare forme culturali. Le regole di
esibizione vengono acquisite durante il processo di socializzazione e specificano, come
riportato da D’Urso e Trentin (2007, pag. 75): «chi può manifestare emozioni, in quale
situazione, rispetto a quale stimolo e stabiliscono le differenze fra i due sessi, fra i ceti
sociali e naturalmente fra le varie etnie e culture» come riportano. Queste secondo
Ekman agiscono in quattro modi: diminuendo l’intensità emotiva o aumentandola
oppure rendendo neutra la reazione (cioè mostrando indifferenza) o mascherandola
(cioè dissimulando la vera emozione).
3.4 LA COMUNICAZIONE COME INDICATORE EMOTIVO
Il verbo comunicare trova origine nelle parole latine: Communico – che significa
“mettere in comune”, “rendere manifesto” – e Communicatio – che significa “rendere
partecipe qualcuno di qualche cosa”. Quando comunichiamo, infatti, mettiamo in
comune messaggi e informazioni con altre persone. Come scrivono Redigolo, Kaldor e
Magrini (1995, pag. 5): «il linguaggio rappresenta lo strumento con cui è possibile
stabilire la comunicazione», ma il linguaggio non è il solo ed unico dispositivo della
comunicazione. Anche il comportamento è un mezzo fondamentale, infatti: «tutto il
comportamento è comunicazione e tutta la comunicazione influenza il comportamento»
come espongono Redigolo et Al. (1995, pag. 6). Si evidenzia così il modo in cui tutti i
39
vari aspetti che compartecipano al comportamento producono comunicazione e ne
vengono a loro volta influenzati, soprattutto nel campo emotivo. Il processo
comunicativo è molto complicato poiché consta di molte parti e fasi che debbono
combinarsi perfettamente fra loro per compiere una buona realizzazione. In particolare
del processo comunicativo desta interesse la sfaccettatura manifesta della
comunicazione cioè il canale comunicativo. Quest’ultimo è definibile come il mezzo
fisico-ambientale in cui avviene la comunicazione e che rende possibile il passaggio
dell’informazione-messaggio. Esso è particolarmente legato all’ambito emotivo proprio
perché ne determina l’esteriorizzazione, attraverso la sua componente verbale,
paraverbale e non verbale. Infatti: «nell’interazione comunicativa fra persone l’uso della
voce non è limitato alla sola produzione di espressioni verbali, ma il processo
comunicativo si estende anche alla modulazione di diversi aspetti non linguistici,
indipendenti dal contenuto verbale» come scrivono Redigolo et Al. (1995, pag. 50).
Questi aspetti indipendenti comprendono tutti gli indici del paralinguaggio, cioè il tono,
il volume, il timbro e le pause. Interessante è la classificazione composta da Laver e
Trudgill, citata da Redigolo et Al. (1995, pag. 50) per cui sono previste tre categorie di
comportamento verbale, identificate basandosi sulle caratteristiche portanti della classe:
- caratteristiche extralinguistiche della voce, costituenti gli aspetti anatomico
funzionali che consentono anche il riconoscimento della persona attraverso il
timbro e la qualità della voce;
- caratteristiche paralinguistiche del tono della voce, che svolgono la funzione di
inviare informazioni sullo stato emotivo della persona. Queste sono soggette ad
influenze di tipo culturale;
- caratteristiche della realizzazione fonetica che sono attinenti essenzialmente
all’accento e alla pronuncia.
«Il corpo costituisce lo “strumento” con cui l’uomo conosce ed entra in relazione con il
mondo» così esordiscono Redigolo et Al. (1995, pag. 31). Il linguaggio non verbale
costituisce il mezzo principale per esprimere e comprendere le emozioni manifestate gli
stessi Redigolo et Al. (1995, pag. 31) gliene riconoscono questo compito scrivendo che:
«vi è sostanziale accordo nel considerare il linguaggio non verbale come una delle
40
componenti essenziali del più complesso processo comunicativo». Interessante notare
come anche sugli aspetti non verbali della comunicazione intervengono delle influenze,
per altro già incontrate in questo capitolo, di carattere biologico (innato) e socioculturale
(in particolare l’educazione acquisita dalla famiglia e dai soggetti significativi oltre che
dai modelli culturali) come viene sottolineato da Redigolo et Al. (1995, pag. 36) con
questa espressione: «l’utilizzo del repertorio espressivo in funzione di comunicare è
entrato a far parte del patrimonio innato e viene appreso e sperimentato durante il
processo di socializzazione».
La particolarità della comunicazione non verbale è che nel corso della sua filogenesi
questa non è progressivamente decaduta lasciando spazio al contenuto verbale, come si
sarebbe potuto pensare dato l’alto utilizzo da parte dell’uomo, ma al contrario la sua
evoluzione è cresciuta parallelamente alla comunicazione verbale, accompagnandola e
spesso anche specificandola. Questo significa che le espressioni non verbali sono giunte
a ricoprire un ruolo necessario nel processo comunicativo. Le funzioni per cui l’uomo fa
ricorso alla comunicazione non verbale sono diverse e vengono raccolte da Redigolo et
Al. (1995, pag. 33) come segue:
- sostegno e complemento alla comunicazione verbale;
- mezzo principale per esprimere e per comprendere le emozioni;
- mezzo per comunicare atteggiamenti circa l’immagine di sé;
- mezzo sostitutivo del linguaggio verbale;
- sistema di regolazione dell’interazione (attraverso sequenze interattive e feed-
back);
- elemento basilare nelle manifestazioni collettive;
- “canale di dispersione” (subendo in modo minore il controllo neuropsichico,
permette con maggiore facilità al contenuto più profondo di riemergere);
- elemento insostituibile delle arti.
Gli indicatori a sostegno della comunicazione non verbale sono diversi e tutti
compartecipano a renderla estremamente espressiva e di immediata comprensione. È
però necessario un approccio globale a tutti questi indici, poiché se considerato
41
isolatamente un elemento del linguaggio non verbale può portare a interpretazioni
errate. Sono indicatori costituenti la comunicazione non verbale:
• il volto che d’altra parte rappresenta il primo elemento di interazione per il
neonato con l’altro, in particolare con la madre. Qui va specificato l’importante
ruolo svolto dallo sguardo, del quale viene analizzato il livello di contatto visivo
attraverso indici quali: la durata dello sguardo; la frequenza con cui ogni persona
rivolge lo sguardo; la frequenza con cui ogni interagente abbandona il contatto.
• la cinesica, branca della semiotica di cui fanno parte l’espressione dei gesti e dei
movimenti corporei compiuti durante l’interazione comunicativa. Di questo
argomento Redigolo et Al. (1995, pag. 42) illustrano la distinzione compiuta da
Argille fra:
o gesti illustratori e altri segnali correlati al linguaggio verbale;
o gesti convenzionali e linguaggio dei segni;
o movimenti che esprimono stati emozionali;
o movimenti che esprimono la personalità;
o movimenti usati nei rituali.
Nonostante sia il volto l’elemento di maggior rilievo e di primo impatto per la grande
espressività emotiva vi sono gesti che pur interessando altre parti del corpo risultano
significativi in questo senso. In generale la parte del corpo maggiormente coinvolta
sono le mani, soprattutto negli stati di agitazione ove i gesti, seppur non compiuti con
l’intento di comunicare ottengono comunque questo risultato “parlando” dello stato
emotivo della persona. Molto importante è non distaccare ogni gesto dal contesto in cui
viene compiuto, poiché in questo modo viene meglio compresa la carica espressiva del
gesto. Esistono più tipologie gestuali:
o di inibizione: comprendono movimenti di ritiro, stereotipati, inadeguati e
impacciati (ne è un esempio l’arrotolarsi una ciocca di capelli tra le dita);
o di depressione: prevede l’uso di movimenti lenti, rari, esitanti;
o di euforia: comprende movimenti veloci, scattanti, ritmici ed espansivi,
affettuosi, spontanei ed autoaffermativi;
42
o di ansia dove troviamo movimenti nervosi e ripetitivi (nascondere il
volto, scompigliarsi i capelli, grattarsi in volto, torsione e congiunzione
delle mani).
Lo stile gestuale di una persona può comunicare molto di lei, come il retroterra culturale
di origine, lo stato sociale e la professione, l’età, il sesso, lo stato di salute.
• la prossemica assume una valenza comunicativa a dipendenza della situazione
individuale, culturale e sociale in cui è calata l’interazione. L’oggetto di
interesse per la prossemica è il comportamento spaziale, espressione con cui si
intende la collocazione del corpo nello spazio, cioè la distanza tenuta dalla
persona, presa in considerazione, in relazione con l’interlocutore.
Comportamenti non verbali come: il contatto corporeo, la distanza
interpersonale, l’orientamento e la postura utilizzano lo spazio come modalità
comunicativa. Va in oltre ricordato che la collocazione dell’individuo nello
spazio a disposizione è la risultante fra variabili intervenienti, quali i
condizionamenti culturali e gli elementi emotivi che agiscono sull’individuo.
IN SINTESI
L’emozione è un fenomeno che non si consuma soltanto nel vissuto interiore della
persona, ma è tale anche per il processo di esteriorizzazione che coinvolge l’individuo
mettendolo in comunicazione con gli altri. Nel presente capitolo sono stati presi in
esame gli aspetti relativi alla esternazione dell’emozione.
(3.1) Partendo dall’apporto teorico dato da Darwin con la visione evoluzionistica
dell’espressione è stato esaminato lo stretto rapporto fra emozione ed espressione.
43
(3.2) È stata quindi evidenziata la caratteristica dell’emozione di essere un “fenomeno
pubblico” e cioè la presenza e la rilevanza dell’ascendente culturale che attraverso le
norme sociali e le regole di esibizione definisce: come esprimere, quando esprimere,
come controllare/ regolare e come interpretare le proprie esperienze emotive.
(3.3) Si è mostrato come nell’insieme delle modalità espressive delle emozioni
l’elemento ritenuto il fulcro dell’espressività è il volto. Divenuto l’oggetto più
scandagliato nei vari studi condotti, è stato ritenuto lo strumento di maggior
comunicazione emotiva, proprio per il suo alto grado di immediatezza, anche in
individui di diverse culture.
(3.4) Si è sottolineato come varie siano le componenti del canale comunicativo: verbale,
paraverbale e non verbale e come queste divengano i mezzi di espressione al servizio
delle emozioni. È stato messo in luce l’alto potenziale della comunicazione non verbale
che non solo funge da sostegno e complemento del linguaggio verbale, ma è essa stessa
il mezzo principale per esprimere e per comprendere le emozioni.
44
CAPITOLO QUARTO
INTELLIGENZA EMOTIVA – COMPETENZA EMOTIVA
Amministra le tue emozioni per poter avere speranza,
brindare alla vita, contemplare il bello.
Non dimenticare che possono darti i mattoni,
ma solo tu puoi costruire, possono mostrarti il timone,
ma solo tu puoi navigare nelle acque delle emozioni …
Augusto Cury. Dieci regole per essere felici (2008).
In questo capitolo verranno descritti i concetti di Intelligenza e Competenza Emotiva,
fornendo il pensiero degli autori che ne hanno coniato i termini, per poi affrontare le
formulazioni teoriche riguardanti l’acquisizione e lo sviluppo di questi.
__________________________________________________________________
Steiner e Perry (1999, pag. 12) scrivono: «Tutti abbiamo qualcosa da imparare sulle
nostre emozioni. Alcuni crescono con un alto livello di competenza emotiva, ma io
credo che pochi possiedano le capacità necessarie». L’importanza di essere dotati di
Competenza Emotiva oggi è stata fortemente rivalutata: per ottenere una vita serena e
una brillante carriera, non è sufficiente un alto livello di Quoziente Intellettivo.
Goleman (2006, pag. 375) documenta come l’intelligenza emotiva è fondamentale ai
fini del successo, quanto un alto Quoziente Intellettivo (Q.I.): «Molte persone
intelligenti sui libri, ma carenti di intelligenza emotiva finiscono per lavorare alle
dipendenze di gente con un Q.I. più basso, ma tali da eccellere nelle capacità
dell’intelligenza emotiva». Quindi, per vivere bene, un alto Q.I. non è sufficiente!
45
Affiora la necessità di possedere anche un alto «Q.E., quoziente emotivo», così definito
da Steiner e Perry (1999, pag. 24), che permetta di saper beneficiare e rallegrarsi per “le
ricchezze dello spirito”, imparando a gestire le proprie emozioni oltre a riconoscerle e
convivere con quelle altrui. Steiner e Perry introducendo il termine “Q.E.” vogliono
avere un forte impatto nel confronto con il fattore intellettivo. Il “Q.E.” è un concetto
spurio, non scientifico. Il Quoziente Emotivo non può essere misurato e quantificato al
pari di quello Intellettivo: se ne può ottenere una vaga idea, ma non può essere calcolato
ottenendo valori da indici e scale scientificamente provate. Le emozioni non
costituiscono una grandezza fisica, non sono definibili aritmeticamente, tuttavia la
scienza stessa ha recentemente documentato la loro importanza nella vita e nel
benessere delle persone.
Tra i sostenitori di una distinzione fra capacità intellettuali ed emotive, le cui
elaborazioni ed attività hanno luogo in parti diverse del cervello, troviamo Gardner,
come riporta Goleman (2006, pag. 375). Nel 1983 Gardner propone un modello che
definisce “Intelligenza Multipla” , in cui rintraccia sette diversi tipi di intelligenza. Oltre
alle abilità cognitive, come il ragionamento matematico e la espressività verbale,
ritenute standard, propone due forme di “Intelligenza Personale”: una volta alla
gestione di sé stessi (conoscenza del proprio mondo interiore) e l’altra (destrezza
sociale) per guidare le proprie relazioni. Il limite dell’autore è quello di indagare queste
nuove forme delineate, ponendo l’attenzione solo sugli elementi cognitivi, dimenticando
il ruolo essenziale delle emozioni svolto in queste due facoltà.
4.1 FORNIRE UNA DEFINIZIONE
Un approfondimento del concetto “Intelligenza Emotiva” viene apportato da Goleman
che riprende la teoria proposta nel 1990 da Salovey e Mayer. Quest’ultimi, come riporta
Goleman (2006, pag. 375) definiscono l’Intelligenza Emotiva come: «la capacità di
monitorare e dominare i sentimenti propri e altrui e di usare i primi per guidare il
pensiero e l’azione». Goleman (2006, pag. 375) propone una sua formulazione,
riferendosi all’Intelligenza Emotiva come: «alla capacità di riconoscere i nostri
sentimenti e quelli degli altri, di motivare noi stessi, e di gestire positivamente le
46
emozioni, tanto interiormente, quanto nelle nostre relazioni» giungendo, inoltre, al
riconoscimento di cinque fondamentali competenze emotive e sociali:
- Consapevolezza di sé: conoscere in ogni particolare momento i propri
sentimenti e le proprie preferenze e usare questa conoscenza per guidare i
processi decisionali; avere una valutazione realistica delle proprie abilità e una
ben fondata fiducia in se stessi.
- Dominio di sé: gestire le proprie emozioni così che esse - invece di interferire
con il compito in corso - lo facilitino; essere coscienziosi e capaci di rimandare
le gratificazioni per perseguire i propri obiettivi; sapersi riprendere bene dalla
sofferenza emotiva.
- Motivazione: usare le proprie preferenze più intime per spronare e guidare se
stessi al raggiungimento dei propri obiettivi, come per aiutare a prendere
l’iniziativa; essere altamente efficienti e perseverare nonostante insuccessi e
frustrazioni.
- Empatia: percepire i sentimenti degli altri, essere in grado di adottare la loro
prospettiva e coltivare fiducia e sintonia emotiva con un’ampia gamma di
persone fra loro diverse.
- Abilità sociali: gestire bene le emozioni nelle relazioni e saper leggere
accuratamente le situazioni e le reti sociali; interagire fluidamente con gli altri;
usare queste capacità per persuaderli e guidarli per negoziare e ricomporre
dispute, come pure per cooperare e lavorare in team.
L’origine del termine “Competenza Emotiva” va a Steiner (1999, pag. 25) come lui
attesta: «Quanto al termine Emotional Literacy, competenza emotiva, lo coniai io
diciotto anni fa. Apparve per la prima volta nel mio libro Healding Alcolism, nel 1979».
Secondo Steiner e Perry (1999, pag. 12) essere “emotivamente competenti” significa
possedere tre capacità: «quella di comprendere le emozioni, quella di ascoltare gli altri,
immedesimandosi nelle loro emozioni; e infine quella di esprimere le emozioni in modo
produttivo». Queste tre caratteristiche per Steiner e Perry (1999, pag. 12) porterebbero il
soggetto possedente ad aumentare il potere personale e la qualità della vita: «la
47
competenza emotiva migliora i rapporti, crea possibilità d’affetto tra le persone, rende
possibile il lavoro cooperativo e facilità il senso di comunità».
4.2 SVILUPPO DELL’ ABILITÀ EMOTIVA
Per quel che riguarda l’acquisizione di conoscenze scientifiche, nell’ambito dello
sviluppo emotivo, gli ultimi vent’anni sono stati fondamentali: in particolare le ricerche
si sono interessate al periodo prescolare, sostenendo una sempre più articolata e
complessa natura del processo di comprensione delle emozioni, in cui entrano in gioco
diverse abilità specifiche. La comprensione emotiva, secondo Gerow e Kendall come
riportano Albanese e Molina (2008, pag. 24) consta nella conoscenza consapevole dei
propri ed altrui processi emotivi. Sebbene tale consapevolezza nell’essere umano viene
raggiunta solo dopo la prima infanzia, durante questo periodo vengono però gettate le
basi per lo sviluppo emotivo, incontrando nel percorso: «precursori della futura capacità
di comprendere le emozioni» così definiti da Albanese e Molina (2008, pag. 24). Lo
sviluppo della competenza emotiva può quindi essere descritto secondo le autrici (2008,
pag. 24) come: «La capacità dei bambini di identificare, prevedere e spiegare le
emozioni, può essere perciò vista come un’evoluzione naturale di caratteristiche
emotive meno esplicite e accessibili della coscienza». Nel periodo fra i due e i tre anni,
generalmente i bambini acquisiscono la capacità linguistica necessaria a determinare la
comprensione vera e propria delle emozioni, in quanto vi è un accesso consapevole
all’esperienza emotiva che può così essere comunicata, spaziando dalla descrizione di
un’emozione facente parte dell’esperienza presente, di un ricordo passato oppure di una
previsione per una possibile situazione futura. Precisamente Albanese e Molina (2008,
pag. 25) fanno riferimento agli studi di Pons, Harris e de Ronsay in cui vengono
individuati nove componenti per definire la comprensione delle emozioni:
- Riconoscimento – Etichettamento: i bambini, verso i tre anni di età (capacità
che aumenta avvicinandosi ai cinque anni), sono in grado di riconoscere e
nominare le emozioni, attraverso i tratti espressivi del viso, principalmente
partendo dalle emozioni considerabili “di base” (felicità, paura, tristezza e
48
rabbia) per poi considerare, in susseguirsi, le emozioni positive e solo in ultimo
quelle negative. Questa lenta acquisizione è dovuta all’attenzione, posta dai
bambini, verso gli indizi percettivi posti nel viso: dapprima essi pongono
attenzione verso la zona orale, cogliendo le espressioni della bocca che meglio
descrivono le emozioni positive (individuando per esempio l’emozione felicità);
solo in seguito la percezione dei bambini verrà posta anche nella zona oculare,
individuando e distinguendo così le emozione negative (quali tristezza, rabbia e
paura). In questo percorso viene acquisita la capacità di riconoscere e distinguere
le emozioni rifacendosi alle espressioni mostrate.
- Causa esterna (situazionale): i bambini iniziano intorno ai tre/quattro anni a
comprendere come cause esterne, situazionali, influiscono sulle emozioni sia
proprie che altrui. Globalmente tale capacità viene acquisita in età prescolare in
maniera simile alla capacità di riconoscimento delle emozioni: partendo quindi
da situazioni che vanno a determinare stati emotivi positivi, per poi spostarsi a
stati emotivi negativi. Inizialmente i bambini che affrontano l’acquisizione di
questa competenza sono portati a compiere distinzioni causali che riguardano
prettamente la loro personale esperienza, solo in un secondo momento
scompariranno le difficoltà nel riconoscere cause situazionali relative a
esperienze altrui.
- Desiderio: la comprensione che le reazioni emotive delle persone dipendono dal
loro desiderio, avviene nel bambino di circa quattro anni. In questo periodo
l’infante ha le competenze necessarie a comprendere che una stessa situazione-
stimolo può portare, in due persone diverse, due differenti emozioni, poiché
determinante è il desiderio provato dai due soggetti.
- Conoscenza (credenza): tra i cinque e sei anni di età si scoprono l’influenza
della credenza nel procurare emozioni; siano queste credenze vere o false,
comunque sono determinanti per la reazione emotiva in quella specifica
situazione vissuta.
- Ricordo: la comprensione della relazione esistente, fra emozione e ricordo, è un
processo che si sviluppa tra i tre e i sei anni. Lentamente viene acquisita la
consapevolezza che l’intensità di un’emozione vissuta si attenua col passare del
49
tempo e che alcuni stimoli possono rievocare il carico emozionale contenuto in
una reminescenza.
- Regolazione: crescendo i bambini apprendono strategie sempre più efficaci per
controllare le emozioni. Passando da strategie meramente comportamentali,
tipiche dei bambini di sei/sette anni, a strategie di carattere psicologico superati
gli otto anni. In questa fascia di età, vengono scoperte anche strategie
mentalistiche per affrontare, soprattutto, emozioni negative, ma l’applicazione di
tali strategie è ancora sporadica e difficile. Solo col progredire dell’età si riuscirà
a riconoscerne l’efficacia per applicarle spontaneamente.
- Occultamento (nascondere): le regole che determinano la possibilità di esibire
le emozioni provate varia con l’appartenenza culturale, portando spesso a dover
imparare “l’arte della dissimulazione” del proprio vissuto emotivo. Queste
norme culturali vengono lentamente acquisite dai bambini attraverso la
socializzazione. I bambini imparano a mascherare, modulare l’intensità o
sostituire un’emozione con un’altra, nel tempo aumenta anche la consapevolezza
nell’agire questi meccanismi, ricordiamo che i bambini già intorno ai quattro
anni sono capaci di avvertire una discordanza fra l’emozione manifestata
espressivamente e quella realmente provata dalla persona con cui interagiscono.
La comprensione del fenomeno dissimulazione però non si ha prima dei sei anni.
- Emozioni miste (ambivalenti): diversi teorici sostengono l’incapacità dei
bambini minori di otto anni, nel comprendere la possibilità di provare più
emozioni e anche contrastanti, verso uno stesso stimolo o situazione.
- Morale: la consapevolezza che i sentimenti negativi derivino da un’azione
“moralmente reprensibile/riprovevole”, mentre quelli positivi da un’azione
“moralmente lodevole” giunge intorno agli otto anni circa. I bambini di questa
età sono in oltre capaci di descrivere le “situazioni morali” attraverso l’uso di
emozioni complesse, come l’orgoglio ed il senso di colpa, oltre a quelle
fondamentali. A questa età i bambini tendono a conferire sentimenti in base alle
norme morali, mentre un bambino di età inferiore, soprattutto prescolare, quando
sussiste un conflitto fra motivazione personale e norme morali, è portato a
50
giudicare in base al raggiungimento degli obiettivi prefissati prima che alla
morale prevista.
Albanese e Molina (2008, pag. 22) riconoscono alle riflessioni di Carolyn Saarni un
contributo importante alla comprensione del riconoscimento dello sviluppo emotivo nel
bambino. Secondo Saarni la crescita della competenza emotiva implica la presenza di
tutte quelle skills (abilità) necessarie per sentirsi auto-efficace negli scambi relazionali,
che ovviamente comportano una buona conoscenza sia delle proprie che delle altrui
emozioni:
- 1° componente: la consapevolezza dei propri stati emotivi. Il riconoscimento
delle emozioni vissute, situazione per situazione, comprendendo l’analisi tra le
varie emozioni sperimentate e gli avvenimenti-causa. Durante il primo anno di
vita il bambino prova diversi stati emotivi di cui però non è consapevole, poiché
ancora non possiede le capacità di rappresentazione cognitiva, fondamentali per
riconoscere i propri stati emotivi. Indispensabili in questa fase sono le
interazioni sociali, da cui il bambino acquisisce questa componente. Ad esempio
un bambino di un anno posto di fronte ad estranei regola il proprio stato emotivo
in funzione di quello espresso dai genitori, utilizza l’osservazione della risposta
di soggetti per lui significativi, per modellare la sua reazione emotiva.
- 2° componente: la capacità di riconoscere e di comprendere le emozioni degli
altri . La capacità di percepire le emozioni altrui è complementare alla prima
componente e ne consente anche un affinamento. Qui ritroviamo le capacità
trasversali dell’aspetto personale e sociale dell’individuo. Indizi primari per
riconoscere le emozioni altrui sono: il tono della voce, la mimica facciale, la
gestualità utilizzata. Per sviluppare tale competenza è necessario che il bambino
abbia le competenze adeguate per poter osservare gli altri (ad esempio
l’interazione).
- 3° componente: la competenza comunicativa delle emozioni. Saper comunicare
il proprio stato emotivo, linguisticamente oppure supportato da immagini o
simboli, saper accedere alle proprie rappresentazioni emotive, mettendole anche
a confronto con rappresentazioni altrui. Un ricco vocabolario emotivo è
51
sicuramente necessario per poter comunicare ciò che si prova, elaborandolo e
integrandolo con quello altrui. Le conversazioni sono sicuramente un’ottima
palestra per il bambino, utili per costruire e riattivare i cosiddetti “Script
emotivi”, schemi interpretativi che si occupano della realizzazione di una
“routine” per dare senso alle esperienze emotive in modo che siano significative.
- 4° componente: la capacità d’empatia. Per instaurare positive relazioni con altri
l’empatia è una capacità fondamentale che inoltre favorisce la comunicazione.
L’abilità di sentire con e per gli altri richiede una buona consapevolezza di sé,
permettendo l’interazione.
- 5° componente: corrispondenza non autentica fra lo stato emotivo interno e
quello espresso. La persona non sempre mostra la vera emozione provata; la
comprensione di questo aspetto favorisce la relazione, migliorando la
comunicazione. La consapevolezza che propri o altrui stati emotivi interni non
corrispondano a quelli manifestati è rintracciabile già nel bambino prescolare.
Questi processi di regolazione dell’espressione emotiva sono dovuti
all’influenza derivante dall’esposizione ai propri modelli comportamentali e
culturali: il bambino impara in questa fase a rispettare gli standard e le
aspettative della sua cultura di appartenenza.
- 6° componente: gestire emozioni avverse o di sconforto. Maggiori difficoltà
nella gestione delle emozioni esperite si hanno con quelle negative o avverse che
richiedono l’elaborazione da parte del soggetto di tecniche di autoregolazione.
Tale capacità prevede l’utilizzo di strategie quali: il problem solving, la ricerca
di aiuto, l’evitamento.
- 7° componente: consapevolezza della natura della relazione o della
comunicazione. Riconoscere le esperienze emotive serve a gestire i rapporti con
le persone e a essere consci delle conseguenze interpersonali di ogni
trasmissione emotiva. Le emozioni e il grado di simmetria presente nel rapporto
fra i personaggi della relazione influenzano la coscienza della
relazione/comunicazione, favorendo ancor più la comprensione del vissuto
emotivo-affettivo dei soggetti in interazione. Questa componente avvia alla
comprensione della necessità di più modalità per giungere a “comunicare in
52
modo appropriato”. Tale consapevolezza è legata alla compresenza di tre aspetti
nella relazione avviata: i rituali d’interazione (consistono nello stile della
relazione), i processi di negoziazione interpersonale e la metacomunicazione
(per cui viene comunicata oltre alla propria esperienza anche il proprio stile di
comportamento).
- 8° componente: accettare le proprie esperienze emotive. L’accettazione del
proprio vissuto emotivo porta il soggetto a creare una personale teoria delle
emozioni, che sarà il risultato delle proprie esperienze personali, del suo
carattere e delle influenze provenienti dalla cultura di appartenenza. In base a
queste teorie il bambino si sentirà più o meno appropriato emotivamente al
contesto di riferimento, giudicando i suoi sentimenti funzionali o meno,
sviluppando in tal modo il sentimento di auto-efficacia emotiva.
IN SINTESI
L’attenzione posta al mondo delle emozioni porta gli studiosi a formulare l’esistenza di
una seconda tipologia di risposta necessaria per il buon sviluppo dell’individuo (oltre al
già noto Q.I.), si “conquista” così il Quoziente Emotivo.
(4.1) L’Intelligenza Emotiva è fondamentale al raggiungimento del benessere della
persona, la scienza stessa lo ha recentemente documentato. All’individuo in formazione
va fornita un’attenzione particolare anche allo sviluppo di una positiva Competenza
Emotiva, conferendogli gli strumenti e gli input necessari all’accrescimento.
(4.2) Lo sviluppo della Competenza Emotiva coinvolge l’individuo fin dalla sua
infanzia. Lentamente viene acquisita la capacità di esprimere le emozioni provate, di
ascoltare e riconoscere quelle altrui e di sostenere interazioni sviluppando strategie
efficaci.
53
CAPITOLO QUINTO
L’EDUCAZIONE AFFETTIVA
Metà dei problemi, nella vita, sono causati dal fatto che ci si abbandona alle emozioni
quando si dovrebbe pensare, e si pensa
quando ci si dovrebbe abbandonare alle emozioni.
J. C. Collins.
Partendo da una riflessione sulla realtà odierna presentataci da vari studiosi si giungerà,
attraverso le loro riflessioni, all’inquadramento dell’educazione affettiva, esplicando la
necessità di inserirla nel contesto culturale. A questo proposito verrà infine sottolineato
il ruolo centrale della scuola intesa come valido mezzo di diffusione e sensibilizzazione
alle competenze emotive.
________________________________________________________
Nella storia dell’istituzione scolastica molte autorità si sono mosse perché tutti i minori
potessero accedere all’istruzione e la scuola divenisse “il luogo formativo” per
eccellenza. Di fondo si sentiva il desiderio di fornire ai bambini l’accesso al mondo
della conoscenza accompagnati da figure specializzate che potessero aiutarli nella loro
crescita, così da poter sviluppare nel modo migliore le capacità possedute e scoprirne
altre, ottenendo nel contempo gli strumenti per raggiungere un buono e completo
sviluppo della propria persona. Alla scuola è stato attribuito il compito di istruire e
formare, ma nella formulazione dei propri obiettivi non è stato approfondito quanto
avrebbe meritato lo sviluppo delle competenze affettive, ciò perché qualcosa nel
pensiero comune si è però arenato, come testimonia Boccali (1983, pag. 7) affrontando
il tema dell’educazione: «l’opinione comune, nel mondo occidentale contemporaneo, è
che le vie di conoscenza non-razionali come sensazione, emozione, sentimento non
richiedano nessuna educazione, e tanto meno nessuna disciplina formativa»; parole forti
54
e dirette, frasi che fanno riflettere. Perché l’educazione viene associata solo
all’acquisizione di nozioni, saperi e norme comportamentali? Perché si deve credere che
l’ottenimento e il controllo del mondo emotivo avvenga in modo automatico ed il
bambino non debba quindi essere guidato in questa scoperta? Boccali (1983, pag. 8)
continua la sua “arringa” riuscendo a colpire il lettore con la sua chiarezza: «il
preconcetto è illogico e, se non fosse così nocivo, persino buffo: nessuno di noi si sogna
di credere che un individuo, anche molto intelligente, possa realizzare il suo potenziale
intellettuale senza istruzione, senza educazione, senza lavoro. La convinzione opposta si
applica invece quasi automaticamente e inconsciamente alle facoltà non razionali».
Questa riflessione trova un rinforzo nelle considerazioni di Gay (2002, pag. 57):
«dunque l’educazione emotiva è tutt’altro che un semplice lasciar libero il bambino di
esprimere i propri vissuti interni con una passionalità che potrebbe condurlo invece a
mettere in atto comportamenti antisociali. Essa consiste essenzialmente nel partire dal
riconoscimento delle emozioni di qualsiasi tipo che il bambino legittimamente prova,
per aiutarlo a trovare modalità di espressione e riflessione sulle stesse, ponendo limiti
precisi ai comportamenti che ne conseguono». Ancora più incisivi sono Piatti e Terzi
(2008, pag. 10) nell’affermazione ripresa da Galimberti ne L’Ospite inquietante: «ci
preme qui ricordare che “la nostra emotività può essere educata e, se vogliamo una
società migliore, deve essere educata”». Gli avvenimenti che oggi viviamo e vediamo
parlano chiaro, l’educazione affettiva è uno strumento indispensabile per il buono e
completo sviluppo dell’individuo.
5.1 PERCHÉ INTERESSARSI ALLE EMOZIONI
Dai vari testi presi in esame emerge che gli autori nelle loro riflessioni sulla situazione
odierna, sugli avvenimenti quotidiani, concordano sulla necessità di strutturare un
percorso di educazione affettiva. Nell’introduzione al tema dell’affettività Piatti e Terzi
(2008, pag. 7) scrivono: «consapevoli che nella società odierna stanno prendendo piede
sentimenti nocivi come il cinismo e l’indifferenza, siamo convinti che questa situazione
si sia acuita grazie a un diffuso analfabetismo emozionale e a una sottovalutazione
crescente nella cura delle relazioni interpersonali e sociali».
55
Un contributo particolarmente importante riguardo alle problematiche prese in esame è
stato apportato da Goleman (2004, pag. 7), il quale afferma: «ho scritto Emotional
Intelligence in un momento in cui la società civile americana si dibatteva in una crisi
profonda, caratterizzata da un netto aumento della frequenza di crimini violenti, dei
suicidi e dell’abuso di droghe - come pure di altri indicatori di malessere emozionale -
soprattutto fra i giovani». Non illudiamoci che la situazione descritta da Goleman
riguardi solo la società americana, l’autore (2004, pag. 7), infatti, continua: «ho anche
appreso dai miei amici che in Italia si percepiscono i primi segnali ammonitori di
un’alienazione sociale e di una disperazione individuale che, se non controllati,
potrebbero un giorno portare a lacerazioni più profonde nel tessuto sociale. Nei paesi
europei, la tendenza generale della società è verso un’autonomia sempre maggiore
dell’individuo, che a sua volta porta a una minor disponibilità alla solidarietà e a una
maggiore competitività», in questa analisi della società Goleman (2004, pag. 7) rileva
che: «insieme a questa atmosfera di incipiente crisi sociale, ci sono anche i segni di un
crescente malessere emozionale, soprattutto fra i bambini e i giovani. Ciò che colpisce
in modo particolare è l’impennata della violenza fra gli adolescenti (…). Tutto questo
indica che alcuni minorenni italiani stanno avviandosi all’età adulta con gravi carenze
relative all’autocontrollo, alla capacità di gestire la propria collera, e all’empatia».
Appoggiandosi agli studi di Goleman, Gay (2002, pag. 56) si interroga sulla necessità di
parlare di educazione affettiva: «perché oggi? Forse (…) perché oggi ci troviamo in
un’epoca in cui già i fatti di cronaca, spesso riguardanti ragazzi e adolescenti, rivelano
un malessere generale e uno squilibrio emotivo impressionanti, che poi si manifestano
anche, in forme più subdole e apparentemente meno allarmanti». Citando Greenberg e
Kusché (2009, pag. 17): «sebbene gli studi abbiano messo in evidenza il legame tra
deficit nello sviluppo emotivo e psicopatologia, è stata stranamente riservata poca
attenzione al ruolo fondamentale dello sviluppo emotivo nei modelli di intervento
preventivo». Appare poi indiscutibile che, come scrive Goleman (2004, pag. 12): «ogni
giorno siamo raggiunti da notiziari pieni di queste cronache della disintegrazione della
civiltà e del venir meno della sicurezza - attacchi furiosi di impulsi spregevoli sfuggiti a
ogni controllo» eppure la società, le persone e le istituzioni sminuiscono il messaggio
che questi avvenimenti lanciano oppure intervengono con mezzi che non prevedono la
56
valorizzazione dell’educazione affettiva come strumento risolutivo. Questa possibilità
invece viene presa in analisi da Gay (2002, pag. 49) che esordisce con questa
riflessione: «ci si può però chiedere, come del resto spesse volte si è fatto, se
comportamenti di questo tipo non abbiano una funzione adattiva. In fondo essi non
fanno altro che denunciare visibilmente il disagio del singolo nei riguardi
dell’istituzione, e quindi richiamano l’attenzione su ciò che in essa non funziona, su ciò
che ha bisogno di essere preso in esame, di essere fatto oggetto di riflessione e di
mutamento». Secondo Gay (2002, pag. 54): «il rischio può essere quello di credere che
dedicarsi all’educazione emotiva del bambino significhi occuparsi solo di un aspetto del
suo sviluppo, e neppure di quello che siamo abituati a considerare il più importante»,
con questo intervento l’autrice svela le nascoste titubanze della società sull’educazione
affettiva, continuando così in difesa di quest’ultima: «invece la crescita emotiva investe
tutta la personalità e fa tutt’uno con i comportamenti intellettivi, affettivi, sociali, morali
nella messa in moto delle azioni che li riguardano».
Goleman (2004, pag. 12) riporta interessanti esempi su cui riflettere; esempi non così
astratti, dato che al contrario occupano quotidianamente buona parte delle notizie dei
telegiornali:
- «In una scuola locale, un ragazzino di nove anni in preda alla collera ha versato
della vernice sui banchi, i computer e le stampanti e ha distrutto un’automobile
in sosta nel parcheggio della scuola. La ragione: alcuni compagni di classe della
terza lo avevano chiamato “piccoletto” e lui voleva far impressione su di loro»;
- «Otto adolescenti, fra quelli che sostavano fuori da un rap club di Manhattan,
sono rimasti feriti in una rissa nata da una spinta involontaria e finita quando
uno dei contendenti ha cominciato a sparare sul gruppo con un’automatica
calibro 38. Il cronista osservava come negli ultimi anni queste sparatorie causate
da motivi apparentemente futili, ma percepiti come mancanze di rispetto, siano
diventate sempre più comuni nel paese»;
- «Nel caso di vittime di omicidi al di sotto dei dodici anni, riporta un altro
articolo, il 57 per cento degli assassini sono i genitori naturali o il nuovo partner
di uno dei due. In quasi la metà dei casi, i genitori affermano che “stavo solo
cercando di dare una lezione al bambino”. Il fatale eccesso di violenza era
57
causato da “infrazioni” come il monopolio della TV, il pianto o l’essersela fatta
addosso»;
- «Un giovane tedesco è accusato dell’omicidio di cinque donne e bambine turche,
morte in un incendio da lui appiccato mentre le vittime stavano dormendo.
Membro di un gruppo neonazista, il giovane ha raccontato che beveva, non
riusciva a tenersi un posto di lavoro, e riteneva gli stranieri i veri colpevoli della
sua cattiva sorte. Con un filo di voce si difendeva così: “non posso darmi pace
per quello che abbiamo fatto, e mi vergogno infinitamente”».
Goleman non è l’unico a riportare interessanti esempi, Kindlon e Thompson (2002, pag.
8), due esperti della psicologia dell'età evolutiva, espongono anch’essi alcuni casi su cui
riflettere:
- «Ci sono capitati istitutori che ci portavano i ragazzi per la terapia e poi li
piantavano in asso sulla soglia in quanto loro stessi erano troppo a disagio per
fermasi a parlare»;
- «Altri insegnanti hanno portato nel nostro studio i propri alunni, della cui
infelicità erano costretti a parlarci loro perché questi ragazzini erano incapaci di
articolare il proprio dolore»;
- «Abbiamo visto bambini e adolescenti starsene li seduti, muti e furiosi, con i
loro famigliari; e ci sono capitati ragazzi con cui abbiamo dovuto parlare giù nel
parcheggio, visto che non avevano la minima intenzione di scendere dall’auto
per partecipare alla seduta di terapia famigliare»;
- «Abbiamo lottato per molti anni – con diversi mezzi, ottenendo vittorie e
incassando sconfitte – nel tentativo di aiutare adolescenti tristi, ansiosi e pieni di
rabbia a raccontare la loro vita interiore»;
- «a volte ci tocca aspettare settimane, o magari mesi, per riuscire a cogliere lo
spiraglio di un’apertura emotiva, il fugace momento in cui il ragazzo
all’improvviso, ci mostra tutta la sua tristezza e la sua confusione, in precedenza
mascherate col silenzio o con la rabbia».
La difficoltà nel comunicare e “lavorare” sui propri stati d’animo traspare chiaramente
da questi episodi riportati poiché, come specifica Gay (2002, pag 46): «si possono
58
verificare momenti in cui le emozioni esplodono, oppure “si ammalano”, rivelando
aspetti potenzialmente o realmente distruttivi (…) e qui non intendiamo riferirci a
situazioni legate a una vera e propria patologia (…). Ci riferiamo invece a certi aspetti o
certi momenti della vita emotiva che possono sorprenderci per la loro violenza o per la
loro capacità di determinare comportamenti apparentemente “disadattivi”». I soggetti a
cui più spesso si riferiscono gli studiosi sono i giovani, come testimoniato da Gay
(2002, pag. 48): «i casi più seri sono quelli di bambini e ragazzi che, a causa di conflitti
con l’ambiente familiare, esprimono comportamenti che sono considerabili come
“sintomi” di un profondo disagio emotivo e affettivo»; non vanno tuttavia dimenticati i
genitori, ai quali Gay (2002, pag. 55) si riferisce scrivendo: «affrontando i problemi
educativi, Gottman parla della necessità, per i genitori, di un “allenamento emotivo” da
impartire prima di tutto a se stessi e poi ai propri figli». I giovani sono l’oggetto di
indagine per eccellenza, su di loro e per loro si dovrebbe creare una nuova formula
educativa che tenga più in considerazione il lato emotivo e che permetterebbe così di
riscoprire insieme a loro le emozioni che costituiscono un mondo poco conosciuto ed
esplorato anche per l’adulto. L’incapacità di contatto col proprio mondo interiore e la
derivante inabilità nel controllare i propri stati emotivi non riguarda solo gli eccessi di
ira, ma, come riferisce Gay (2002, pag. 49) oscilla tra: «il ragazzino che esprime il suo
disagio attraverso comportamenti di tipo aggressivo, richiamando l’attenzione su di sé.
E quello che invece sembra quasi voler cancellare la propria presenza, rintanandosi in
un’apatia che esprime totale mancanza di motivazione su tutti i piani». A conclusione di
questo excursus di difficoltà emotiva si può citare una riflessione di Kindlon e
Thompson (2002, pag. 9), dettata dalla loro esperienza: «se c’è una cosa che abbiamo
imparato, è che - se non gli si offre una valida alternativa - il giovane rabbioso di oggi è
destinato a diventare l’uomo solitario e ostile di domani».
Le analisi e le riflessioni degli autori concordano nel considerare la situazione odierna
una questione non accantonabile e rimandabile, guardando all’educazione affettiva
come la migliore strategia risolutiva. Non è più possibile lasciare che il bambino scopra
e costruisca il suo mondo interiore da solo: bisogna guidarlo e formarlo. Come scrive
Goleman (2004, pag. 8): «tutto questo suggerisce la necessità di insegnare ai bambini
quello che potremmo definire l’alfabeto emozionale – le capacità fondamentali del
59
cuore» l’autore (2004, pag. 9) continua poi in tono rassicurante: «le nuove scoperte
scientifiche sono incoraggianti. Ci assicurano che se cercheremo di aumentare
l’autoconsapevolezza, di controllare più efficacemente i nostri sentimenti negativi, di
conservare il nostro ottimismo, di essere perseverati nonostante le frustrazioni, di
aumentare la nostra capacità di essere empatici e di curarci degli altri, di cooperare e di
stabilire legami sociali - in altre parole, se presteremo attenzione in modo sistematico
all’intelligenza emotiva - potremo sperare in un futuro più sereno». Quindi Goleman
(2004, pag. 7) conclude: «il mio consiglio per guarire questi mali sociali era di prestare
una maggiore attenzione alla competenza sociale ed emozionale nostra e dei nostri figli,
e di coltivare con grande impegno queste abilità del cuore».
5.2 ALESSITIMIA, UNA PARTICOLARE CONDIZIONE
Le ricerche condotte per meglio inquadrare e migliorare gli strumenti di misura e
determinazione dell’alessitimia, hanno favorito nell'ultimo decennio notevoli progressi,
soprattutto rispetto all’interessante interazione fra questa condizione e il campo
emotivo, sfociando nel connubio salute e malattia. Queste ricerche vengono riassunte
dallo studioso Taylor nell’introduzione del libro Alessitimia. Valutazione e trattamento,
a cura di Caretti e La Barbera (2005). La particolare condizione che Taylor presenta
viene definita come un disturbo specifico del funzionamento mentale contraddistinto,
fra gli altri fattori, dalla difficoltà nelle competenze emotive. Letteralmente il termine
viene tradotto con l’espressione "non avere le parole per le emozioni", ma come
sottolinea Taylor rifacendosi allo studioso Bucci, il deficit è molto più complesso
rispetto a questa traduzione letterale. In alcuni casi l'individuo affetto da alessitimia è
privo di simboli sia verbali che non-verbali per gli stati somatici, riflettendo così un
deficit nella capacità di simbolizzare le emozioni, come sostenuto anche da molti altri
ricercatori. Tale condizione, che priva l’individuo di simbolizzazione, lo spinge verso
tensioni percepite come intollerabili, le quali per potersi riequilibrare vengono sfogate
attraverso canali motori e somatici. Il meccanismo di difesa messo in atto comporta,
però, modalità disadattive della regolazione affettiva. Le carenze riferite alla sfera delle
60
competenze emotive a cui si fa riferimento comprendono l'incapacità di percepire,
riconoscere e descrivere i propri e gli altrui stati emotivi. Rispetto ad un deficit
dell'esperienza conscia delle emozioni, l'alessitimia racchiude qualcosa in più: i soggetti
alessitimici appaiono intrappolati da un pensiero prettamente concreto e dall'attenzione
verso dettagli minuziosi e irrilevanti degli eventi. Inoltre non riescono ad accedere al
livello più inconscio che consente di trasformare le esperienze emozionali in sogni
simbolici e fantasie creative.
Il termine alessitimia è stato coniato all'inizio del 1970 da Sifneos e Nemiah, i quali lo
utilizzarono per riassumere l’insieme delle distinte caratteristiche di personalità
appartenenti ai soggetti riconosciuti come psicosomatici. Nel tempo venne poi applicato
più specificatamente per descrivere i disturbi psicosomatici nei quali è presente una
difficoltà a relazionarsi con le emozioni. Gli autori del termine “alessitimia” tendono a
sottolineare che i soggetti che ne soffrono non sono privi di emozioni, ma la loro
limitata capacità di elaborarle li predispone a vivere gli stati affettivi in modo
indifferenziato o scarsamente regolato. Queste persone dunque hanno grandi difficoltà
ad individuare quali siano i motivi che li spingono a provare o esprimere le proprie
emozioni e al contempo non sono in grado di interpretare le emozioni altrui. In loro
l'emozione viene vissuta solo per via somatica, direttamente sul corpo, mancando quindi
della capacità d'introspezione e di rielaborazione mentale e spesso per questo motivo
attuano come forma di difesa la conformazione ai comportamenti tipicamente mostrati
dalla persona media. I soggetti alessitimici tendono inoltre a presentare diverse
problematiche riguardo alle forme di relazione che stabiliscono e le quali possono
oscillare fra la forte dipendenza e il completo isolamento. Per gli aspetti appena descritti
questa condizione è stata spesso associata ad uno stile di attaccamento insicuro-evitante,
caratterizzato da un bisogno talvolta ossessivo di attenzioni e cure.
L'incremento delle ricerche e dell'interesse per questo costrutto può essere attribuito in
gran parte allo sviluppo della scala autosomministrata Toronto Alexithymia Scale
(TAS), soprattutto nella sua versione di 20 item (TAS-20), presentata nel 1994. Prima di
questi strumenti, la ricerca empirica sull'alessitimia era limitata dalla mancanza di
metodi validi e affidabili per la valutazione di questa condizione. È stata, infatti,
scientificamente provata l’affidabilità e la validità della TAS-20 anche a livello
61
interculturale, grazie a studi condotti su soggetti appartenenti a culture e lingue diverse,
permettendo in questo modo una maggiore generalizzazione dei risultati ottenuti.
Recentemente i ricercatori italiani si sono dedicati in particolare allo studio del rapporto
intercorrente fra l’alessitimia e la disregolazione affettiva, riprendendo quanto prima
accennato sulla forma di attaccamento sviluppata e sulla relazione fra comportamento
non-verbale e consapevolezza emotiva. Le difficoltà portanti dell’alessitimia legate alla
mancanza di autoconsapevolezza influenzerebbero, secondo diversi ricercatori, i
risultati della scala di misura basata sull’autosomministrazione. Per questo nell’ambito
di ricerca ci si indirizza verso un nuovo approccio multi - metodo per la valutazione del
costrutto.
5.3 VERSO UN’EDUCAZIONE AFFETTIVA
Con il termine “cuore” utilizzato anche dallo studioso Goleman si fa riferimento
all’aspetto metaforico della sede dei sentimenti, immagine che anche Filliozat (2001,
pag. 19) riconduce all’educazione scrivendo: «l’intelligenza del cuore è la capacità di
risolvere i problemi posti dalla vita e dal rapporto con gli altri. Per essere esercitata
pienamente, richiede una giusta padronanza delle paure, degli scatti di collera e dei
sentimenti di tristezza che punteggiano la vita»; inoltre come intervengono Piatti e Terzi
(2008, pag. 9): «prospettare un’educazione sulla pedagogia del cuore è una grande sfida
per i prossimi anni». Si è fin qui affermato che il pensiero s’intreccia con le reazioni
emotive e che il ruolo assunto dai sentimenti e dall’affettività è determinante nell’intero
arco dello sviluppo umano. Piatti e Terzi (2008, pag. 40), ad esempio riprendendo un
pensiero di Lindenfield, scrivono: «la ragione per cui proviamo emozioni consiste nel
“motivarci” a compiere delle azioni che avranno degli effetti vantaggiosi sul
mantenimento del nostro benessere e sulla sopravvivenza della razza umana».
Alle emozioni vengono in primis riconosciute funzionalità di benessere e di
sopravvivenza, ma esse assolvono anche molte altre funzioni che Piatti e Terzi (2008,
pag. 40) riassumono così:
62
- funzione di segnalazione intersoggettiva: le emozioni hanno l’effetto di
comunicare, esternare lo stato dell’organismo;
- funzione intrasoggettiva: l’individuo conosce in modo immediato e globale i
propri stati interni, i bisogni e i desideri del proprio organismo;
- funzione adattiva di regolazione continua del comportamento: le emozioni
guidano e regolano il comportamento dell’individuo.
Quelle appena descritte sono capacità base delle emozioni, funzioni che esse svolgono
indistintamente da una possibile educazione. L’educazione affettiva oltre ad affinare
queste risorse permetterebbe molto altro, come ad esempio la promozione di un buon
sviluppo dell’intelligenza e competenza emotiva, tematiche affrontate nel precedente
capitolo e alle quali è stata riconosciuta una fondamentale importanza formativa.
Imparare a educare anche il lato meno razionale delle persone, iniziando da bambini,
vorrebbe dire riuscire ad andare oltre al riconoscimento dell’esistenza di un mondo
istintivo. Significherebbe riuscire a migliorare la persona accrescendo il suo equilibrio
interiore, perché integrando nell’educazione un’attenzione agli stati emotivi si
permetterebbe alle persone di avere un maggiore contatto con la propria interiorità
affettiva e ne deriverebbe una maggiore facilità di riconoscimento anche a livello
sociale.
Aprire le porte dell’educazione alle emozioni significherebbe inoltre, come affermano
Piatti e Terzi (2008, pag. 15), estendere gli orizzonti della formazione poiché un
maggiore interesse al mondo emotivo permetterebbe di:
- «favorire i processi di apprendimento, motivazionali e decisionali: le emozioni
facilitano (ovvero ostacolano) l’apprendimento, condizionano la memoria e
influiscono sulle motivazioni, contribuendo non poco al successo nel
raggiungimento degli obiettivi»;
- «creare un clima positivo e collaborativo e potenziare le risorse del gruppo:
quando due o più persone si mettono insieme per uno scopo comune (…) non è
detto che si trovino bene insieme e che cooperino spontaneamente (…). Perché
sviluppino un vero spirito di collaborazione, è indispensabile che chi guida,
forma e cura il gruppo ponga l’attenzione al tipo di interazioni, agli stili di
63
comunicazione prevalenti e soprattutto ai sentimenti che intercorrono tra le
persone»;
- «promuovere la salute e prevenire il disagio: chi ha una certa dimestichezza con
la dimensione emotiva può comprendere meglio gli altri, tenere conto del loro
stato emozionale, per preservare la relazione, se è nel suo interesse farlo, o per
prenderne le distanze, se il rispetto della propria salute psichica lo suggerisce.
Diversamente chi non ha autoconsapevolezza rischia di “agire” le emozioni,
mettendo in atto comportamenti a rischio per sé e/o per gli altri, o di reprimerle e
ignorarle, andando incontro a nevrosi, malattie psicosomatiche, ecc.»;
- «migliorare le relazioni: ogni interazione passa attraverso il filtro delle emozioni
dei soggetti coinvolti. Chi è più competente dal punto di vista emotivo (…) ha
maggiori chance di entrare in rapporto di vicinanza autentica, profonda. Cosa
che dà stabilità e fondamento alla relazione»;
- «promuovere i comportamenti prosociali: sulla capacità empatica si fondano le
relazioni di aiuto di carattere professionale, ma anche le amicizie. L’empatia è,
per così dire, un prerequisito e un fattore legato alla prosocialità»;
- «prevenire e contenere fenomeni di bullismo: tra le condizioni che favoriscono
l’insorgenza del fenomeno, la letteratura pone in evidenza come caratteristica
comune sia al bullo sia alla vittima, l’incapacità a leggere le emozioni, a
riconoscerle dentro di sé e nell’altra persona, ad esprimerle in modo adeguato, e
l’incapacità a mettersi nei panni degli altri»;
- «prevenire, affrontare e risolvere i conflitti: le competenze emozionali (…) sono
chiamate in gioco quando si intende affrontare e risolvere conflitti (…); è
importante che la persona sappia entrare in contatto con il suo stato d’animo e
sappia comunicarlo all’altro in modo chiaro, diretto, non aggressivo (…),
assumendosi la responsabilità di ciò che prova. Per colui che ascolta si tratta di
mettere in pratica la capacità di mettersi in contatto autentico con lo stato
d’animo dell’altra persona»;
- «comunicare in modo assertivo ed efficace: nelle relazioni interpersonali la
comunicazione ha un ruolo importante e le competenze comunicative
presuppongono adeguate competenze emozionali. L’autoconsapevolezza
64
emotiva è prima di tutto condizione per la pratica dell’ascolto attivo (…), è
ingrediente irrinunciabile inoltre dei messaggi Io (l’I-Message, detto anche di
“autorivelazione”) attraverso i quali vengono espressi contenuti personali, anche
relativi ad emozioni, stati d’animo, sentimenti. Altrettanto per i “messaggi di
confronto”».
Tutte queste sono buone motivazioni per interessarsi all’educazione affettiva, allo scopo
di andare oltre alle principali funzioni che le emozioni assolvono per gli esseri umani,
spingendo così gli studiosi verso la comprensione della necessità di prendere in
considerazione e di attuare l’educazione agli stati emotivi. Come già abbiamo
precedentemente affermato negli ultimi decenni si è registrato un certo interesse da
parte di molti studiosi di diverse discipline, per il mondo degli affetti e per lo spazio
educativo che a questi andrebbe riservato. Tuttavia come scrivono Ianes e Demo (2008,
pag. 9) a questo proposito vigono le più diverse interpretazioni e proposte: «ciò che
passa sotto le espressioni di educazione emotiva, educazione alle competenze emotive,
all’intelligenza emotiva, all’alfabetizzazione emozionale e socio-affettiva si è diffuso
notevolmente nei contesti scolastici, spesso in modo disordinato e con proposte di vario
orientamento teorico e di diverso impianto metodologico. Questa rapida diffusione ha
creato qualche difficoltà di scelta e di orientamento agli insegnanti che vogliono
intraprendere con decisione e con un buon fondamento teorico-metodologico un lavoro
specifico in questo ambito». C’è ancora troppa confusione, troppe proposte e nulla di
definitivo e attuabile a livello stabile e nazionale, l’educazione affettiva non è ancora
riuscita ad instaurarsi a livello culturale, raggiungendo una consapevolezza sociale. Per
questo è necessario in primis diffondere il messaggio di porre maggiore attenzione alle
emozioni, di non negare la loro esistenza, di riconoscere la loro potenza ed influenza.
Solo in questo modo, infatti, si riuscirebbe a garantire alle emozioni il degno posto che
spetta loro nel “mondo dell’educazione”, riuscendo così ad istituire una forma di
educazione affettiva utilizzabile nel mondo formativo dell’istruzione scolastica. Infatti,
a lato della famiglia, quale istituzione più della scuola ha la possibilità di dare degno
posto all’educazione affettiva, riuscendo ad inserirla nella cultura della società?
65
5.4 PORTARE A SCUOLA LE EMOZIONI
Nel passaggio all’età scolare il bambino affronta un periodo di maturazione che lo
condurrà verso una competenza emotiva sempre più completa. Proprio per la delicatezza
di questo passaggio è possibile scontrarsi con fasi di avanzamento e di ambivalenze, di
tentativi ed errori e perfino di regressione. Queste situazioni possono venire a crearsi
perché, al contrario di quello che dovrebbe avvenire, il processo di sviluppo che
produce cambiamenti nel bambino deve essere sempre mediato dalla realtà, dal contesto
esterno. Intorno ai 5-6 anni si può notare un affinamento di vari aspetti della
competenza emotiva, quali l’ampliamento dell’alfabeto emotivo; la percezione dei
segnali emotivi che si fa sempre più ricca; la capacità di adattare intenzionalmente i
comportamenti espressivi per rendere più efficace la comunicazione interpersonale e le
regole di esibizione che, ormai interiorizzate vengono adottate sempre più
efficacemente. In questo stadio il bambino fa conoscenza con l’istituzione scolastica, la
quale parteciperà al compimento della sua formazione. Come scrive Gay (2002, pag.
30): «l’ingresso nella scuola e la sua frequentazione, soprattutto nei primi tempi,
comporta una grande dispendio di energie psichiche e quindi la mobilitazione di molte e
intense emozioni», la stessa autrice (2002, pag. 30) continua scrivendo: «il bambino
(…) si trova ora per la prima volta in un contesto nuovo, nel quale ha a che fare con
adulti aventi un preciso ruolo di “autorità” (…). Ogni esperienza di separazione e
cambiamento suscita un vissuto emotivo fatto di elementi contradditori». Il bambino
sperimenta dunque sensazioni forti perché scopre le emozioni contrastanti che può
provocare l’inserimento scolastico, altalenandosi fra ansia, preoccupazione e dall’altro
eccitazione ed entusiasmo.
Dopo aver presentato il bambino che accede alla scuola non solo carico dei libri e
quaderni che porta in cartella, ma anche delle forti e a volte nuove emozioni che porta
con sé, bisogna spiegare perché gli studiosi hanno individuato nell’istituzione scolastica
il miglior contesto dove l’educazione affettiva può essere conosciuta e riconosciuta
come fondamentale strumento educativo. Ianes e Demo (2008, pag. 53) scrivono a
questo proposito: «la scuola cosa può fare nell’ambito della formazione alla vita
affettiva? Crediamo che possa, e debba, fare moltissimo, sia in modo strutturato e
66
formale, sia nei mille modi informali e inclusi nelle attività di relazione e di
apprendimento che la caratterizzano». Anche Goleman (2004, pag. 8) riconosce nella
scuola una grande fonte di opportunità, asserendo: «le scuole potrebbero dare un
positivo contributo in tal senso introducendo programmi di “alfabetizzazione
emozionale” che - oltre alle materie tradizionali come la matematica e la lingua -
insegnino ai bambini le capacità interpersonali essenziali», così da sostenere e ribadire
quella che Goleman (2004, pag 8) identifica come “l’urgenza di base”: «mente e cuore
hanno bisogno l’una dell’altro», riconosciuta inoltre da Piatti e Terzi (2008, pag. 15):
«risulta sempre più urgente, dunque, la necessità di adottare un approccio olistico, che
integri cioè gli aspetti intellettivi, sociali ed emotivi nell’apprendimento». Il messaggio
di fondo è che l’educazione, e quindi ciascuna delle istituzioni atte alla sua pratica, non
può dedicarsi alla formazione di una sola delle due forme di apprendimento poiché in
questo caso non sarebbe possibile raggiungere una formazione realmente completa. Al
pensiero di questi autori si aggiungono le considerazioni di Piatti e Terzi (2008, pag.
15), evidenziano la necessità per l’istituzione scolastica di prendersi carico anche della
formazione emotiva dell’alunno: «la scuola in particolare non può prescindere dalla
necessità di riconquistare il bisogno di allenarsi a riconoscere e a gestire il sapere delle
emozioni. Agli alunni vanno insegnati i fondamentali, come trattare i sentimenti, come
sviluppare empatia, come controllare gli impulsi, come gestire situazioni conflittuali».
Altri autori, Ianes e Demo (2008, pag. 54) sostengono che l’educazione affettiva più che
divenire un’ulteriore materia scolastica: «dovrebbe diventare uno spazio specifico di
crescita personale, esplicito e protetto, nel contesto di un fare e vivere a scuola in un
modo affettivamente sensibile».
Cercando di analizzare meglio la situazione scolastica prendiamo spunto ancora una
volta da una nuova riflessione lanciata da Ianes e Demo (2008, pag. 53): «ma che cosa
dicono i documenti istituzionali più recenti di questi temi?». Nonostante le continue
revisioni in atto da parte del Ministero della Pubblica Istruzione, è comunque possibile
trovare interessanti direttive riguardo all’educazione all’affettività nelle indicazioni per i
Piani Personalizzati nella Scuola Primaria che Ianes e Demo (2008, pag. 54)
sintetizzano così: «nell’ambito generale dell’Educazione alla convivenza civile si trova
l’Educazione all’affettività, che si articola in varie conoscenze e abilità che dovrebbero
67
diventare progressivamente competenze». Seguono in scaletta le abilità individuate, così
come Ianes e Demo (2008, pag.54) le riportano:
- il sé, le proprie capacità, i propri interessi, i cambiamenti personali nel tempo:
possibilità e limiti dell’autobiografia come strumento di conoscenza di sé;
- le reazioni tra coetanei e l’adulto con i loro problemi;
- le principali differenze psicologiche, comportamentali e di ruolo tra maschi e
femmine;
- esempi di diverse situazioni nei rapporti tra uomini e donne nella storia;
- forme di espressione personale, ma anche socialmente accettate e moralmente
giustificate, di stati d’animo, sentimenti, emozioni diversi, riferite a situazioni
differenti;
- attivare atteggiamenti di ascolto/conoscenza di sé e di relazione positiva nei
confronti degli altri;
- attivare modalità relazionali positive con i compagni e con gli adulti, tenendo
conto anche delle loro caratteristiche sessuali;
- avvalersi del diario o della corrispondenza con gli amici per riflettere su di sé e
sulle proprie relazioni;
- comunicare la percezione di sé e del proprio ruolo nella classe, nella famiglia e
nel gruppo dei pari in genere;
- esercitare modalità socialmente efficaci e moralmente legittime di espressione
delle proprie emozioni e della propria affettività;
- in situazioni di gioco, di lavoro e di relax, esprimere la propria emotività con
adeguate attenzioni agli altri e alla riflessione sul bene e sul male.
Ianes e Demo (2008, pag. 59) prendono atto delle formule ideate da altri studiosi per
attivare un’educazione affettiva in campo scolastico scrivendo: «negli ultimi anni sono
apparse varie proposte operative per l’educazione all’affettività (…). Il denominatore
comune sembra essere quello della sequenza - percorso, che si snoda attraverso varie
attività mirate esplicitamente allo sviluppo di competenze affettive». Alcune di queste
proposte risultano più strutturate e formalizzate, mentre altre appaiono di portata più
ampia se non globale. Come individuano i due autori (2008, pag. 59) sopra citati, i
68
modelli teorici: «sono diversi, anche se non moltissimi. Alcuni ambiti della psicologia
se ne sono tenuti distanti, come ad esempio la psicologia dinamica e la psicoanalisi. La
psicologia congnitivo-comportamentale, invece, è particolarmente presente, con attività
educative costruite sulla base del filone che va sotto il nome di Educazione Razionale
Emotiva». Ianes e Demo (2008, pag. 56) riportano inoltre un’interessante chiarimento:
«ci interessa discutere anche di cosa non è l’educazione affettiva nella scuola». Molto
spesso, infatti, come specificano Ianes e Demo (2008, pag. 53) sono presenti attività i
cui contenuti possono essere vicini a quelli dell’educazione affettiva, ma che in realtà se
ne allontanano: «ci riferiamo in particolare alle attività di consulenza e counseling che
possono essere fatte all’interno della scuola da personale psicologico. Anche se in
queste situazioni si affrontano spesso tematiche affettivamente rilevanti, il contesto e le
modalità si avvicinano a quelle del lavoro individuale di sostegno psicologico, se non
addirittura della psicoterapia». Ianes e Demo (2008, pag. 59) si domandano allora:
«come collocare attività di educazione all’affettività all’interno delle prassi
scolastiche?». Gli stessi autori (2008, pag. 53) rispondono: «noi riteniamo che si
dovrebbero far coesistere due piani di lavoro distinti, ma complementari: quello formale
e strutturato e quello informale incluso e nascosto all’interno della quotidianità
dell’apprendere e del relazionarsi».
Con l’espressione piano formale i due studiosi intendono i percorsi strutturati e
organizzati in sequenze di attività che hanno come obiettivo lo sviluppo di specifiche
competenze affettive; per piano informale invece riconoscono tre ambiti generali, ove
agire con una particolare attenzione verso la componente affettiva. Queste aree secondo
gli studiosi (2008, pag. 59) citati sono: «l’ambito delle dinamiche di insegnamento-
apprendimento, la relazione di aiuto in situazioni affettivamente cariche e l’elaborazione
nel gruppo di temi sensibili». Gli autori individuano così nella dimensione
dell’apprendimento e della relazione, quotidiane nella “vita scolastica”, le aree
fondamentali su cui agire, arricchendole di attenzioni per lo sviluppo di competenze
emotive, attenzioni che gli stessi Ianes e Demo (2008, pag. 64) definiscono:
«pedagogicamente chiare, ma nascoste, implicite, informali», aggiungendo, inoltre, che
a queste è necessario associare per gli insegnanti, che gli studiosi ritengono essere i
69
principali attori e responsabili dell’educazione all’affettività degli alunni, attività di
autovalutazione relative al proprio stile affettivo.
IN SINTESI
Il presente capitolo costituisce il fulcro dell’indagine sull’educazione emotiva che è
stata qui presentata e affrontata secondo diversi punti di vista:
(5.1) Attraverso l’esperienza e gli esempi apportati da molti autori si è giunti alla
conclusione di una quotidianità marcata da eventi che sono esempio di emotività mal
gestita; di qui la necessità di un maggiore interessamento al campo emotivo, per
facilitare il raggiungimento di un sviluppo completo della persona.
(5.2) Fra le condizioni facenti parte delle incompetenze emotive viene qui descritta una
particolare condizione: l’alessitimia. Oltre alla definizione, alla presentazione dei fattori
caratterizzanti il quadro del soggetto alessitimico, viene presentata anche la scala di
individuazione e misurazione scientificamente riconosciuta.
(5.3) È stata qui presentata l’educazione affettiva come elemento di sintesi degli
argomenti emotivi e come migliore e necessaria soluzione alle carenze di gestione ed
espressione emotiva.
(5.4) Diversi studiosi hanno individuato nell’istituzione scolastica un ottimo mezzo per
riconoscere all’educazione affettiva il ruolo di primo piano che le spetta nell’ambito
educativo. Secondo gli autori, infatti, la scuola, applicando a livello curricolare
l’educazione affettiva, potrebbe adempiere pienamente all’obiettivo di una completa
formazione dell’individuo, permettendo inoltre l’integrazione di questa nel contesto
culturale e nell’ambito educativo.
70
CAPITOLO SESTO
LA FIGURA DELL’EDUCATORE PROFESSIONALE NELL’EDUCAZIONE AFFETTIVA
Essere felici è un requisito di base per la salute.
Le tue emozioni possono essere un’oasi o una bomba
per il tuo organismo, la scelta è tua.
Augusto Cury. Dieci regole per essere felici, (2008).
A partire da un breve inquadramento sulla figura dell’Educatore Professionale si
giungerà a mostrare come la sua formazione, per poter dirsi completa, debba
comprendere lo sviluppo di una certa sensibilità emotiva, fondamentale per
l’accompagnamento dell’utente. Si giungerà così ad asserire la necessità, per questo
“operatore sensibile”, di rendersi promotore dell’educazione affettiva. Verranno inoltre
presentati possibili strumenti, metodologie e progetti a disposizione di questo
professionista.
_________________________________________________________________
Tra le figure professionali che operano con e per la persona ritroviamo l’Educatore
Professionale il quale, interagendo a stretto contatto con l’utenza di ogni area sociale:
accoglie, sperimenta, vive ed è chiamato a gestire quotidianamente le competenze
emotive. Quanto detto porta alla visione dell’educatore professionale come un operatore
sensibile, attento al carico emotivo in gioco nella relazione e proprio per la formazione
multidisciplinare e per l’esperienza pratica di cui dispone, come un possibile promotore
dell’uso dell’educazione affettiva. Egli, operando per il raggiungimento di un buon e
completo sviluppo dell’individuo, dovrà tener conto della necessità di prendersi cura del
71
vissuto emotivo della persona, elemento non trascurabile per un efficiente intervento
educativo.
6.1 L’EDUCATORE PROFESSIONALE
Miodini e Zini (1992, pag. 14), riguardo alla figura dell’Educatore Professionale
scrivono: «non è facile delineare un inquadramento sintetico e chiaro del ruolo
dell’educatore professionale, in quanto questa figura, operante da diversi anni nei
progetti di intervento sulla salute con finalità e modalità differenti, ha avuto un
complesso percorso di sviluppo». Le tappe che hanno condotto a rafforzare e delineare
tale figura professionale in campo socio-sanitario sono state molte e tuttora hanno
ancora luogo apporti normativi chiarificatori e di affinamento.
Oggi è possibile affermare ai sensi del D.M. 2/04/2001 che l'Educatore Professionale
appartiene alla seconda classe delle lauree in Professioni Sanitarie della Riabilitazione.
Membro dell’équipe degli operatori sanitari, agisce in collaborazione con loro; a lui
spetta la formulazione e la realizzazione di specifici progetti, caratterizzati da
intenzionalità e continuità, volti a uno sviluppo equilibrato della persona finalizzati a
obiettivi educativi e riabilitativi. Gli Educatori Professionali progettano, gestiscono e
verificano i loro interventi con il coinvolgimento diretto dei soggetti interessati, tenendo
conto inoltre delle figure significative che ruotano intorno all’utenza, come ad esempio
la famiglia e senza mai dimenticare l’importanza di mantenere una ferma rete sociale
con la comunità. Come Miodini e Zini scrivono (1992, pag. 25): «la confusione che
vivono gli educatori nella percezione del proprio ruolo è confermata dalla diversità degli
interventi per i quali viene utilizzata questa figura». All’Educatore Professionale sono
infatti richieste competenze di diversa natura quali: pedagogiche, psicologiche,
riabilitative, di animazione, culturali e sociologiche che le autrici così descrivono nel
dettaglio:
- secondo Miodini e Zini (1992, pag. 27) le competenze pedagogiche
dell’educatore professionale: «si deducono dal concetto fondamentale che
l’individuo può e deve cambiare (…). L’educatore professionale accompagna
72
nel percorso evolutivo, è suo compito fare affiorare le potenzialità dell’individuo
favorendo l’espressione delle competenze e delle attitudini soggettive; (…) la
componente pedagogica presente nel ruolo dell’educatore professionale
contribuisce a trasformare l’esperienza soggettiva, quasi sempre inconsapevole,
in una esperienza consapevole, intenzionale, programmata, favorendo
l’evoluzione dell’individuo in una continuità e stabilità di rapporto»;
- per le competenze psicologiche alle autrici (1992, pag. 29) preme sottolineare
che: «la crescita di un individuo comprende elementi individuali, relazionali,
sociali» ed è perciò una necessità per l’educatore professionale affinare: «la
capacità di comprendere le componenti psicologiche presenti nell’individuo in
ogni fase della sua evoluzione, (…) la capacità di individuare la presenza di
dinamiche relazionali nei contesti che prevedono l’intervento dell’operatore
educativo e di sviluppare pertanto nuove modalità di rapporto adeguate alle
realtà e al potenziale in essa presente su più versanti»;
- Miodini e Zini (1992, pag. 31) per quanto riguarda le competenze riabilitative
scrivono: «l’educatore, come abbiamo più volte ribadito, mette la propria
competenza professionale a disposizione di persone che si trovano
temporaneamente o irreversibilmente in condizioni di disagio psico-fisico». Le
autrici specificano inoltre che, in base all’obiettivo propostosi nel progetto, gli
interventi che possono essere compiuti rientrano nelle categorie di: manuale-
operativa, intellettuale, psicologico- relazionale ed espressivo- creativa;
- per le competenze animative le studiose (1992, pag. 32) scrivono: «nel proprio
lavoro l’educatore professionale non può non contemplare tutto ciò che
appartiene all’animazione, differenziando l‘intervento in base al settore dei
minori, degli adolescenti e degli anziani». Le autrici desiderano mettere in
risalto il lato progettuale ed educativo dell’animazione definendola: «un’insieme
di azioni che mirano a liberare la sensibilità delle persone, a destabilizzare le
regole formali sulle quali si è strutturato il comportamento abituale, a favorire
l’espressione della gestualità puntando sulla partecipazione e sulla
collaborazione spontanea e attiva degli utenti. Il valore della soggettività e del
rapporto con gli altri viene in questo modo ampiamente recuperato»;
73
- Miodini e Zini (1992, pag. 33) con l’espressione competenze culturali
dell’educatore intendono: «la capacità di individuare tutte le attività di tipo
culturale presenti nel territorio in cui opera per utilizzarle come stimoli
nell’attività di recupero (…). La pregnanza e il valore di queste iniziative sono
invece confermati dal fatto che, offrendo conoscenze e informazioni che
diventano materiale per progettare nuove fasi di intervento, completano il
progetto educativo e/o rieducativo»;
- infine a proposito delle competenze sociologiche, le studiose (1992, pag. 34)
scrivono: «l’educatore professionale non interviene solamente nella relazione
con l’utente, la sua famiglia e gli altri sistemi significativi di riferimento, ma
agisce nella complessità dell’ecosistema, determinata dai condizionamenti
provenienti dall’ambiente sociale e dai vincoli stabiliti dall’organizzazione dei
sistemi territoriali».
L’Educatore Professionale accompagna l’individuo nel suo percorso verso un contesto
di partecipazione e recupero alla vita quotidiana attraverso gli strumenti della
progettazione educativa e della relazione interpersonale, anch’essa un fondamentale
dispositivo per quest’operatore socio-sanitario.
La relazione interpersonale è la costruzione di un rapporto significativo con l’utente che
avviene anche grazie al buon uso di un altro importante strumento per l’Educatore: la
competenza empatica. Nella relazione interpersonale che diviene educativa, poiché
utilizzata come strumento operativo, è necessario mantenere un equilibrio tra il
coinvolgimento e il distacco, anche se ciò risulta spesso difficile perché emergono e
vengono coinvolti aspetti intimi del professionista quali la sua emotività e la sua
affettività. Quanto detto porta alla visione dell’educatore professionale come un
operatore sensibile, attento al carico emotivo in gioco nella relazione, un esperto che
quotidianamente ha che fare con le competenze emozionali degli individui. Grazie alla
formazione teorica e all’esperienza pratica l’Educatore Professionale è in grado di
comprendere la necessità di prendersi cura del vissuto interiore ed emotivo, per un buon
e completo sviluppo della persona. In questo modo l’Educatore Professionale può farsi
74
promotore dell’uso dell’educazione affettiva, utilizzandola in prima persona come
pratica educativa.
Perché l’educazione affettiva entri effettivamente a far parte del complesso e polivalente
concetto culturale di educazione si può partire dalla formazione dei minori, usufruendo
dell’istituzione scolastica come mezzo per sensibilizzare alla necessità di una maggiore
attenzione all’affettività. Strutturando laboratori che possano riportare in luce la
rilevanza delle competenze emozionali nella formazione della persona, l’educatore
professionale sarebbe in grado di aiutare e supportare gli insegnanti e i rappresentanti
istituzionali ad avviarsi all’utilizzo dell’educazione affettiva, così da rendere possibile la
sua integrazione nei programmi scolastici. Riguardo all’inserimento nelle ore
scolastiche di attività a favore dello sviluppo emotivo, Albanese et Al. (2006, pag. 120)
descrivono l’esistenza di due differenti metodi: «tra le azioni che favoriscono
l’intervento, alcune utilizzano la riflessione sulle emozioni per favorire lo sviluppo di un
pensiero critico, mentre altre favoriscono lo sviluppo delle abilità di pensiero critico per
una migliore gestione delle emozioni».
Per quanto riguarda gli interventi del primo tipo Albanese et Al. (2006, pag. 120)
prevedono tre possibili formule di azione:
1. «suscitando l’espressione delle emozioni provate durante l’apprendimento per
favorire gli alunni che hanno bisogno di parlare delle proprie emozioni prima di
prendere un’attitudine di apprendimento»;
2. «facilitando la comprensione delle emozioni allo scopo di aiutare gli alunni a
trasporre in un altro contesto ciò che vivono emotivamente in una situazione»;
3. «portando uno sguardo filosofico sulle emozioni per favorire la discussione in
modo più concettuale sul ruolo delle emozioni stesse nell’apprendimento».
Descrivendo le azioni che favoriscono lo sviluppo delle abilità di pensiero critico per
una migliore gestione delle emozioni, Albanese et Al. (2006, pag. 124) fanno
riferimento agli studi condotti da Lafortune e St-Pierre. I due studiosi, oltre a sostenere
che la prospettiva secondo la quale lo sviluppo del pensiero critico sostiene quello della
meta-cognizione è poco sfruttata, segnalano che: «le emozioni provate
nell’apprendimento influenzano la gestione dell’attività mentale. Ciò significa che, in un
75
processo di apprendimento, è necessario tenere conto delle emozioni che influenzano il
processo mentale sia positivamente, per mezzo della motivazione o della fiducia in sé,
sia negativamente attraverso l’ansia o il disinteresse». L’attenzione educativa posta alle
emozioni le rende quindi il collante perfetto per la completa formazione del bambino.
Gli studiosi (2006, pag. 125), infatti, sottolineano le influenze della componente
emotiva nella crescita del pensiero critico: «si può pensare che il passaggio delle
emozioni alla meta-cognizione favorisca lo sviluppo del pensiero critico; (…) più gli
alunni utilizzano delle abilità meta cognitive, più avranno l’opportunità di essere “in
contatto” con ciò a cui pensano e con il modo in cui il loro processo mentale
progredisce».
6.2 METODOLOGIE E STRUMENTI A DISPOSIZIONE
L’educatore professionale, attingendo alle multicompetenze che caratterizzano la sua
formazione, deve essere in grado di spaziare tra la letteratura psicologia, sociologica e
pedagogica, compiendo un’azione di integrazione e approfondimento degli strumenti
messi a disposizione da ciascuna di queste diverse discipline, allo scopo di ottenere la
“formulazione migliore” per il proprio operato e di collaborare al meglio con le altre
figure professionali dell’èquipe a cui appartiene. Questo paragrafo raccoglie alcuni
metodi, di diversa natura disciplinare, utilizzati per lo studio delle emozioni. È infatti
impossibile riportare una completa illustrazione di tutti i metodi esistenti sia perché
sono numericamente elevati, sia perché molte ricerche non sono ancora state
completate.
In questo paragrafo si vuole semplicemente presentare un quadro metodologico delle
tecniche più diffuse e dei paradigmi sperimentali attualmente più utilizzati per misurare
i vari aspetti delle emozioni. D’Urso e Trentin (1990, pag. 47) introducono così l’analisi
da loro condotta sulle questioni di metodo utilizzate per il campo emotivo scrivendo:
«tradizionalmente le emozioni sono state definite e studiate da tre punti di vista:
l’esperienza del vissuto, le manifestazioni comportamentali e l’attivazione fisiologica».
76
Nell’indagine metodologica emergono in primis i metodi di auto-valutazione; infatti,
come scrivono D’Urso e Trentin (1990, pag. 49): «il modo più diretto e diffuso per
valutare gli stati emotivi consiste nel fare riferimento all’esperienza soggettiva».
Rientrano in questo campo metodologico le tecniche d’indagine che si basano
sull’introspezione, sull’uso del linguaggio e quelle che prevedono la compilazione di
questionari. Intuitivamente si comprende che queste procedure di indagine hanno gravi
limitazione metodologiche in quanto non vi è alcuna possibilità di controllo
intersoggettivo circa la validità dei dati e risultati raccolti e non viene fatta distinzione
fra umore e stati emotivi. D’Urso e Trentin (1990, pag. 49), infatti, descrivono così le
lacune di queste formule: «l’auto-valutazione delle emozioni può essere richiesta solo a
soggetti adulti in condizione di lucidità e in piena collaborazione; le capacità di
introspezione variano da persona a persona e da momento a momento». Nonostante il
fatto che questa difficoltà venga riconosciuta anche ufficialmente nel campo scientifico
e che si continuino a ricercare nuovi metodi per aumentare le validità di questi, le forme
di misurazione soggettiva del vissuto emotivo descritte, vengono utilizzate spessissimo
per il semplice motivo che non vi è nessun’altra misura che possa sostituire meglio la
valutazione del vissuto soggettivo.
Per quanto riguarda le metodologie basate sull’indagine del linguaggio, esse consistono
nella presentazione di liste di aggettivi o costrutti verbali, comunemente utilizzati per
riferirsi agli stati emotivi e umorali. I soggetti sono chiamati a individuare quali fra le
opzioni proposte descrivono meglio il proprio stato, indicando, a volte, anche
l’intensità, la frequenza o il grado di certezza della propria scelta. La scala di
autovalutazione più diffusa, come riportano D’Urso e Trentin (1990, pag. 50), è la
Adjective Check List formulata da Gough; scala in cui il soggetto deve indicare i termini
che trovava più appropriati per descrivere il proprio stato emotivo scegliendo fra
trecento proposti. Considerando gli aggettivi scelti e quelli scartati viene calcolato un
punteggio di valutazione su sedici scale che dovrebbero fornire indicazioni sui tratti più
costanti della personalità. D’Urso e Trentin (1990, pag. 50) presentano un altro test
formulato da Zuckerman e Lubin, simile nella forma al precedente, ma più breve
(prevede una tavola di centotrentadue termini) che viene utilizzato ancora attualmente in
77
ambiente anglo-sassone: il Multiple Affect Adjective Check List. In questo test, tuttavia, i
punteggi finali sono specificatamente volti all’individuazione degli stati di ansia,
depressione e ostilità. La diffidenza con cui gli studiosi utilizzano questo genere di test è
prettamente dovuta al metodo grossolano con cui lo stesso punteggio viene associato a
tutti i termini, indistintamente dal valore espresso da ciascuno di essi, come ad esempio
nel caso dei termini “impaurito” e “terrorizzato” che evidentemente richiamano un
impari grado di intensità pur avendo lo stesso punteggio. Le autrici (1990, pag. 51)
continuano la rassegna metodologica citando Nowlis e i suoi collaboratori i quali hanno
realizzato diverse scale di autovalutazione formate sempre da liste di aggettivi, ma nelle
quali, tuttavia, l’obiettivo non è la selezione di termini rappresentanti i propri stati
d’animo, ma viene richiesto ai soggetti di indicare per ogni elemento della lista la
gradualità con cui esso è provato, scegliendo fra: “molto”, “poco”, “per niente” o “?”
(nel caso fossero incerti). In questi tipi di scale la elaborazione risulta differente dalle
formule precedenti e attraverso analisi fattoriali si raggiunge l’obiettivo di misurare gli
stati d’animo.
Oltre alle scale di autovalutazione venne messo a punto un altro modo di indagare gli
stati emotivi, cioè metodi volti alla raccolta di dati introspettivi attraverso esplicite
domande al soggetto, come ad esempio: “ti senti imbarazzato quando ti prendono ad
esempio?” oppure “in questo momento sei felice?”. Una versione alternativa alla diretta
domanda è quella di presentare alla persona una lista di proposizioni a cui egli debba
esprimere una concordanza o meno.
Per quanto riguarda le misure di fattori comportamentali dell’emozione D’Urso e
Trentin (1990, pag. 53) scrivono: «è opinione diffusa – e non smentita dalla psicologia
scientifica – che gli stati emotivi si manifestano nel comportamento, anche all’insaputa
o contro il volere di chi li prova. Valutare gli stati emotivi partendo dal comportamento
osservabile richiede però delle decisioni di metodo che non possono prescindere da una
teoria. In primo luogo va identificato e circoscritto il comportamento da osservare e lo
stato emotivo che vi è connesso (…). Infine vanno messe a punto delle procedure
attendibili di misurazione». Fra le misure comportamentali degli stati emotivi viene
riconosciuta grande rilevanza alla voce, specie in ambito clinico. Come esempio di
78
questo campo d’indagine D’Urso e Trentin (1990, pag. 53) riportano gli studi condotti
da Eldred e Price, i quali raccolsero le trascrizioni di tutte le sedute psicoterapiche
compiute su un paziente per un intero anno, anche grazie all’intervento di specialisti
esterni e le analizzarono per individuare dei parametri generalizzabili, estraendo così
quattro misure: l’altezza della voce, il volume, la velocità di eloquio e il ritmo, termine
con cui si intende la fluidità o la discontinuità del discorso. Gli studiosi, come riportano
le autrici (1990, pag. 53), notarono inoltre che alcune misure linguistiche erano
sistematicamente correlate con il giudizio dato dagli specialisti: «per esempio la rabbia
esplicita si manifestava con un aumento dell’altezza, del volume e della velocità del
parlato e con pochissime interruzioni. Nei momenti di depressione invece l’altezza,
volume e velocità della voce diminuivano». Nelle ricerche condotte da D’Urso e Trentin
vengono però individuate come “metodi principe” per identificare gli stati emotivi le
espressioni del volto. Per analizzarle sono stati utilizzati strumenti quali disegni e
schizzi anatomici, foto e ritratti e ai soggetti veniva richiesto di assegnare un’emozione
ad ogni volto. Inoltre D’Urso e Trentin (1990, pag. 57) aggiungono: «per quanto
riguarda il modo tipico di manifestare gli stati emotivi con comportamenti globali, si è
proceduto con metodi assai diversi sia dalla posizione teorica sia dal tipo di ricerca».
Uno strumento degno di essere citato è il Test di Comprensione delle Emozioni (TEC)
che Albanese e Molina (2008, pag. 55) presentano attraverso l’obiettivo chiave per il
quale è stato formulato: «uno dei principali obiettivi del TEC è proprio quello di fornire
uno strumento in grado di valutare, con la stessa metodologia, l’insieme delle
componenti della comprensione delle emozioni». Questo test permette così di verificare
empiricamente la correttezza del profilo evolutivo dell’individuo testato. Come scrivono
Albanese et Al. (2006, pag. 46): «il pregio principale dello strumento ci sembra
consistere nella semplicità della sua concezione, che dovrebbe permettere di identificare
l’andamento evolutivo con grande chiarezza, comprendendo assieme componenti
diverse e livelli diversi di difficoltà». Un altro vantaggio è rappresentato dal tempo di
somministrazione del test, che dura complessivamente circa 15/20 minuti, tempo che
anche i bambini più piccoli sono in grado di sostenere con attenzione e partecipazione.
Le emozioni che vengono prese in esame sono quelle di base: felicità, tristezza, rabbia,
79
paura oltre alla condizione neutra (normale). Albanese et Al. (2006, pag. 46) rifacendosi
a diversi studiosi di metacognizione e apprendimento sottolineano che: «le varie
difficoltà che emergono a scuola sarebbero da mettersi in relazione con disturbi della
comprensione delle emozioni rilevabili attraverso il TEC. L’uso del TEC permetterebbe,
quindi, da un lato di individuarli e dall’altro di porre le basi per la messa a punto di
percorsi di educazione emotiva, che tengano congiuntamente conto dello sviluppo
cognitivo ed emotivo- affettivo del bambino».
Il Test di Comprensione delle Emozioni (Test of Emotion Comprehension), come
riportano Albanese et Al. (2006, pag. 36), è stato messo a punto dagli studiosi Pons e
Harris nel 2000 ed è volto alla comprensione delle emozioni in bambini compresi nella
fascia di età, tra i 3 e gli 11 anni. Le finalità di questo strumento sono dirette all’analisi
di nove componenti: due volte al riconoscimento delle emozioni di base e comprensione
della possibile natura mista di queste; cinque volte al riconoscimento del ruolo delle
cause esterne, dei ricordi, dei desideri, delle credenze e dei valori morali; infine le
ultime due componenti riguardano la distinzione fra emozione apparente- provata e la
regolazione dell’esperienza in corso. Il TEC consiste in una serie di ventitré tavole A4
numerate progressivamente, distinte nella versione maschile e femminile, contenenti
nella parte superiore della tavola una serie di vignette, mentre sono collocate quattro
espressioni facciali indicanti le possibili conseguenze emotive dell’azione
precedentemente descritta, rappresentate da nella parte inferiore. Il compito del
ricercatore è quello di fornire l’input per la comprensione della situazione emotiva:
solitamente questo consiste nella lettura di una breve storia che chiarisca la vignetta
rappresentativa, lettura che termina con la domanda di quale sarà la conseguenza
emotiva adatta. Il bambino che osserva la tavola è chiamato ad indicare col dito (non è
richiesta una risposta verbale) l’espressione facciale che ritiene opportuna. Va ricordato
che l’ordine di presentazione delle storie rispetta una graduatoria di complessità
crescente. Il test venne inizialmente tarato su un campione di 100 bambini inglesi dai 3
agli 11 anni, uniformemente distribuito per fasce di età e genere. I risultati di questa
ricerca furono successivamente confermati da una seconda sperimentazione compiuta su
39 bambini indios quechua, di età compresa fra i 4 e gli 11 anni. Attraverso queste
sperimentazioni si è potuto notare come è chiaramente visibile dall’analisi dei dati e dei
80
grafici che il punteggio complessivo e le risposte alle singole componenti crescono
abbastanza regolarmente con l’età mostrando un andamento evolutivo, anche se viene
sempre mantenuta una grande varietà nelle risposte dovuta all’individualità dei bambini.
Le difficoltà celate dalle tavole variano in base alle componenti testate: il
riconoscimento delle espressioni emotive (componente 1), l’influenza delle cause
esterne delle emozioni (componente 2) e del ruolo determinato dai ricordi (componente
5) si collocano al livello di minore difficoltà; la comprensione del ruolo dei desideri
(componente 3), delle credenze (componente 4) e della possibile discrepanza fra
emozione espressione mostrata e emozione provata (componente 7) costituiscono il
livello intermedio; per poi accedere al livello di sviluppo dell’elaborazione mentale
raggiunto solo nella tarda fanciullezza, livello che comprende le componenti relative
alla comprensione dell’ambivalenza emotiva (componente 8), del controllo consapevole
delle emozioni (componente 6) e quella relativa alla dimensione morale delle emozioni
(componente 9). Le sperimentazioni e gli studi fin ora citati riguardano l’Inghilterra, ma
anche in Italia è stato avviato un progetto di standardizzazione del TEC a cura del
gruppo di ricerca di diverse università coordinato negli anni 2004-2007 dalla studiosa
Ottavia Albanese. Come Albanese et Al. (2006, pag. 39) scrivono: «la traduzione
italiana del test da noi effettuata è stata verificata con Francisco Pons, uno degli Autori
dello strumento. Con lui sono state discusse le procedure di somministrazione e i criteri
di inclusione dei bambini del campione». L’obiettivo primo del gruppo di ricerca
italiano, riguardante la prima parte della ricerca, era di verificare la possibilità di
ripetere nel contesto italiano i risultati ottenuti negli studi condotti sul campione inglese.
Mantenendo le formule di ricerca inglese si verificava che anche in questo contesto la
presenza della risposta corretta per tutte le componenti cresce regolarmente con l’età.
Dai risultati è stato inoltre possibile evincere, come Albanese et Al. (2006, pag. 43)
scrivono che non ci sono differenze significative di punteggio complessivo in relazione
al genere dei bambini: «le differenze individuali non sono dunque legate al genere né
alla presenza di fratelli o sorelle».
Un ulteriore e interessante strumento volto alla comprensione del grado di
consapevolezza emotiva di cui disponiamo è stato introdotto da Steiner e Perry: il
81
questionario sulla consapevolezza emotiva. Gli autori (1999, pag. 31) sottolineano così
il valore dello strumento da loro ideato: «la maggior parte di noi è solo vagamente
consapevole di quanto siano forti le nostre emozioni o persino di che cosa le provochi.
Sono infatti poche le persone che sanno quali emozioni vivono, tranne forse per quelle
più forti, come la rabbia, la paura o l’amore. Senza questa consapevolezza, non
possiamo sperare di sviluppare le capacità empatiche e interattive che sono il culmine
della competenza emotiva (…). Il questionario che segue vi aiuterà a esplorare la
consapevolezza emotiva, anche se non esiste un test scientificamente valido per la
valutazione del Q.E., il questionario vi fornirà un’idea del vostro livello di
consapevolezza emotiva». L’obiettivo di questo strumento è quello di fornire un valore
indicativo della propria consapevolezza emotiva su una scala che va dall’insensibilità
alla interattività. Le possibili risposte alle trentasei domande poste, suddivise nelle sei
aree, sono “si”, “no” e “non so” nel caso di incertezza. Viene ovviamente richiesta la
massima sincerità nella compilazione. Come sottolineano gli autori, nel testo citato, non
si tratta di una precisa misurazione del grado di competenza emotiva posseduta dalla
persona, ma di un esame relativo alla consapevolezza, che è un fattore importante di tale
competenza.
In Appendice 1 vengono riportati il questionario e l’analisi dei possibili risultati in
quanto tale test è ritenibile uno strumento degno di rilevanza.
82
Il profilo emergente dall’uso di questo strumento si basa su una scala che parte da un
basso livello di consapevolezza emotiva (insensibilità), fino a raggiungere un alto
livello di consapevolezza (interattività) attraversando un continuum di sei condizioni:
Scala di consapevolezza emotiva
100% Interattività
Empatia
Causalità
Differenziazione
BARRIERA VERBALE
Esperienza primaria
Sensazioni fisiche
0% Insensibilità
Di seguito la spiegazione di ogni livello della scala di consapevolezza emotiva. Avere
una panoramica di questi livelli aiuterà a interpretare meglio il profilo personale che si è
ottenuto.
• Insensibilità: a questo livello non si è per nulla consapevoli di ciò che è legato ai
sentimenti o alle emozioni. Quando si domanda all’interessato che cosa prova è
probabile che riferisca di non provare nulla. Come scrivono Steiner e Perry
(1999, pag. 37): «le sue emozioni sono come surgelate, non disponibili alla
consapevolezza. In termini psichiatrici, questo stato di insensibilità emotiva,
viene definito alessitimia».
• Sensazioni fisiche: le persone facenti parte di questo livello sono in grado di
percepire le sensazioni fisiche che accompagnano le emozioni, ma non le
emozioni stesse. Non sanno associare gli stati fisici che provano all’emozione
corrispondente: essi percepiscono l’accelerazione del battito cardiaco senza
rendersi conto che tale definisce lo stato emotivo di paura. Soggetti che come
questi vivono in uno stato di analfabetismo emotivo, spesso finiscono per
ricorrere a farmaci per placare o comunque agire sulle sensazioni fisiche
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83
provate, senza riconoscerne l’origine emotiva. Di conseguenza le problematiche
emotive restano irrisolte. In termini psichiatrici si parla di somatizzazione.
• Esperienza primaria: a questo livello la persona è consapevole delle proprie
emozioni, ma le vive in modo estremo e disturbante tanto che non può
comprenderle né esprimerle con le parole. Di conseguenza è una persona molto
vulnerabile o controllabile, infatti nel momento in cui il gruppo a cui questa
appartiene viene sottoposto a forte stress sarà il primo soggetto a cedere. Per i
soggetti facenti parte di questa categoria è particolarmente facile avere sfoghi
emotivi incontrollati e attacchi d’impulsività o depressione.
• La barriera verbale: per superare la barriera verbale ci vuole un ambiente
favorevole alle informazioni emotive, dove si possano condividere sinceramente
le reciproche emozioni. Sfortunatamente non è facile da trovare e le persone
timide spesso non riescono a discutere dei loro sentimenti. A proposito di questa
difficoltà Steiner e Perry (1999, pag. 41) scrivono: «in questi anni, imparare a
parlare delle proprie emozioni è diventato ancor più difficile, perché molte
persone passano la giornata lavorativa a stretto contatto con macchine con i
computer invece che con persone, (…) tutti mezzi che isolano. Chi passa tanto
tempo in isolamento difficilmente analizza le proprie emozioni e finisce così per
perdervi interesse in generale».
• Differenziazione: la differenziazione costituisce un passo in avanti verso il
riconoscimento delle emozioni e della loro intensità, oltre all’apprendimento del
modo di comunicarle. In questa fase vengono riconosciute le differenze tra le
emozioni basilari e come in dipendenza della situazione possano essere provate
a livelli di intensità e di durata diversi.
• Causalità: a questo livello si inizia a comprendere la vera natura dei sentimenti e
degli eventi che stimolano la risposta emotiva. Steiner e Perry (1999, pag. 43)
scrivono: «ad un certo punto riusciamo a esaminare, e nella gran parte dei casi a
capire, perché proviamo certi sentimenti».
• Empatia: è possibile definirla come una forma di intuizione delle emozioni,
come scrivono Steiner e Perry (1999, pag. 44): «a volte, più un’abilità sembra
quasi chiaroveggenza, che all’inizio ci può stupire o spaventare. Quando siamo
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empatici non stiamo a pensare o a riflettere su, ma semplicemente sentiamo o
vediamo le emozioni altrui». Solitamente a causa del contesto in cui si vive,
poco attento alle emozioni, i soggetti empatici tendono a soffocare questa loro
abilità. Steiner e Perry (1999, pag. 43) sostengono: «l’empatia come l’intuizione
è imprecisa e di scarsa utilità finché non si apprendono i modi per confermare
oggettivamente l’accuratezza delle nostre percezioni».
• Interattività: se l’empatico è profondamente consapevole dell’universo
complesso delle informazioni emotive e sente ciò che provano gli altri, questo
però non presuppone necessariamente che egli sappia che cosa fare al riguardo,
come agire sulla base delle informazioni intuite. Come ricordano Steiner e Perry
(1999, pag. 47): «il comportamento emotivo altrui sembra richiedere una
risposta, ma magari una risposta non è desiderata, accettata, possibile». Una
persona con alte competenze empatiche deve sapere che cosa fare della propria
consapevolezza, poiché in un mondo così “poco alfabetizzato emotivamente”
come rammentano Piatti e terzi, essere empatici può creare problemi. Il passo
successivo all’intuizione empatica è l’interattività emotiva. Essa richiede,
basandosi sui più sofisticati livelli di consapevolezza che si riconosca come gli
altri risponderanno alle emozioni e quando tale interazione può avere esiti
positivi o negativi, questo permette di risolvere le inconvenienze dettate
dall’intuizione empatica. Come scrivono Steiner e Perry (1999, pag. 49): «la
capacità di predire le reazioni è frutto di grande esperienza o saggezza.
L’interattività (…) si riferisce all’interazione intelligente più che all’accettazione
passiva. La consapevolezza interattiva ci permette di registrare le emozioni
dentro e attorno a noi e di cominciare a capire come possono essere plasmate per
fini creativi invece di passare inosservate o incontrollate». In definitiva come
sostengono gli studiosi Steiner e Perry (1999, pag. 49): «l’interattività è l’anello
che lega la consapevolezza emotiva alla competenza emotiva».
85
Piatti e Terzi presentano poi un altro interessante strumento per educare alle competenze
emotive: le “Carte delle emozioni”.
L’esperienza nell’ambito di prevenzione del disagio giovanile e della promozione del
benessere, soprattutto nel campo scolastico, indirizzò i due studiosi verso l’educazione
affettiva, come loro stessi (2008, pag. 13) scrivono: «ci rendemmo conto di quanto fosse
necessario e ineludibile occuparsi di emozioni, sia dal punto di vista tecnico sia come
ambito di lavoro con le persone. Sentimmo ben presto anche l’esigenza di avere uno
strumento che supportasse questo nostro lavorare sul clima affettivo, sulla
consapevolezza emotiva e sul ruolo che le emozioni giocano relativamente al
benessere/malessere individuale e collettivo».
Lo strumento da loro ideato sono proprio le “Carte delle emozioni”: ogni carta riporta
uno stato emotivo descritto sia attraverso l’uso del linguaggio verbale che con
l’espressione iconico/grafica, più evocativa e chiarificativa. L’emozione riportata viene
introdotta dalla condizione “MI SENTO …” che prevede l’utilizzo di un aggettivo a
seguirla, allo scopo di avviare la comunicazione personale dello stato emotivo, un invito
ad aprirsi ad un’autentica comunicazione emotiva.
Le carte delle emozioni sono ben 96 e come spiegano gli autori (2008, pag. 21): «la
scelta è caduta su queste, tra il migliaio di termini disponibili nel vocabolario della
lingua italiana e le 200 circa sperimentate in questi 15 anni». Gli autori hanno utilizzato
come criteri di scelta: la frequenza con cui le carte venivano scelte nei gruppi studio, il
grado di efficacia nel cogliere l’emozione rappresentata e l’esigenza di saper offrire una
vasta varietà di possibili stati emotivi.
Gli studiosi inoltre tengono molto a sottolineare i punti di forza di questo strumento
registrati durante i percorsi formativi e nei progetti di educazione socio- affettiva,
riassumendoli così: sorpresa e piacere; autoconoscenza ed espressione di sé; ascolto e
conoscenza degli altri; effetti positivi sul clima, sulle relazioni e sull’efficacia del
gruppo; l’attività lascia tracce sia nella memoria del gruppo sia in quella del singolo.
86
Inoltre Piatti e Terzi (2008, pag. 22) desiderano citare i possibili contesti in cui le “Carte
delle emozioni”, per loro esperienza, si possono rivelare un utile sussidio:
- nei gruppi di adulti in formazione;
- all’interno di progetti aziendali che abbiano tra le loro finalità l’empowerment
dei team di lavoro, la qualità e l’efficacia del lavoro;
- nel counseling individuale;
- in tutti quei contesti, istituzionali o informali, in cui si avverte il bisogno di
curare il clima affettivo e di intervenire sulle relazioni;
- all’interno di progetti specifici di alfabetizzazione emotiva, in ci si vogliono
promuovere la prosocialità, l’intelligenza emotiva, le competenze relazionali e
comunicative;
- nell’ambito degli interventi di educazione all’affettività e sessualità con bambini
e ragazzi;
- laddove sia necessario prevenire o contenere fenomeni di bullismo;
- nei progetti specificatamente finalizzati alla gestione dei conflitti;
- negli interventi di educazione alla salute e di promozione del benessere
psicologico in genere.
Il quadro di riferimento metodologico a cui Piatti e Terzi si ispirano nella creazione di
queste “carte delle emozioni” consta del sapere apportato, come loro (2008, pag. 23)
citano: «dai principali autori di riferimento: Gordon Willard Allport, Arnold P.
Goldstein, Abraham Maslow, Carl Rogers, Rollo May, Erich Fromm, Thomas Gordon,
Robert Carkhuff, Marshall Rosenberg, Donata Francescato, Anna Putton, Daniel
Goleman, ecc.». Per quanto riguarda l’uso di questo strumento è necessario che il
conduttore per primo sappia creare e vivere in prima persona una condizione di ascolto
autentica, che prevede l’astensione da commenti, giudizi, critiche o quant’altro
impedisca la creazione di un clima sereno, di accoglienza e legittimazione di qualsiasi
sentimento espresso. Tutto questo in nome della riservatezza e del rispetto, condizioni
primarie per un clima positivo che possa divenire spazio educativo.
Oltre alle 96 carte delle emozioni, Piatti e Terzi forniscono al lettore anche un altro
strumento: l’emozionario. Si tratta di un elenco di termini o espressioni emotive che è
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stato creato in modo che fosse il più ricco e corretto possibile dal momento che è stato
considerato dagli autori (2008, pag. 46), come un supporto (non da interpretare in modo
rigido e assoluto): «agile e sufficientemente esaustivo». Rientrano qui molti termini che
non sono stati compresi nel mazzo delle “Carte delle emozioni”. L’“Emozionario” è
stato creato a partire dalle sei emozioni riconosciute fondamentali, intorno alle quali
sono stati creati dei raggruppamenti in base al criterio di somiglianza/vicinanza e a
quello di opposizione, distribuendoli, dove possibile, all’interno del raggruppamento di
appartenenza secondo il criterio di intensità.
6.3 EDUCATORI A SCUOLA COL PROGRAMMA PATHS
Gli autori Greenberg e Kusché presentano nel libro Emozioni per l’uso un progetto
educativo degno di rilevanza poiché permetterebbe di dare avvio all’educazione
affettiva nelle istituzioni formative. A nome degli educatori e dei professionisti che
hanno lavorato nel campo educativo scolastico, gli studiosi Greenberg e Kusché (2009,
pag. 15) scrivono: «sebbene le competenze sociali ed emotive non fossero mai state
considerate componenti necessarie dell’istruzione, avevamo l’impressione che fossero
diventate tanto importanti, per le conoscenze di base di un bambino, quanto il saper
leggere, il saper scrivere e il saper fare di conto. Gli insegnanti riconoscevano di
possedere poche conoscenze specifiche e metodologiche per affrontare la questione
della competenza sociale ed emotiva e pertanto noi ci rendemmo conto della necessità
di fornire loro lezioni dettagliate, insieme a materiale e suggerimenti appropriati».
Il programma denominato Promoting Alternative Thinking Strategies (Strategie Per
Promuovere Un Pensiero Alternativo), comunemente riassunto nella sigla PATHS, è
secondo Greenberg e Kusché (2009, pag. 13): «un intervento integrato che mira a
promuovere nei bambini in età scolare le competenze emotive e sociali e a ridurre i
problemi di aggressività e di comportamento, potenziando al tempo stesso i processi
educativi in aula». Gli autori, inoltre, tengono a precisare che: «tale programma
educativo di prevenzione universale pluriennale è stato messo a punto per essere
utilizzato da educatori e psicologi nel campo scolastico». La descrizione fornita da
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Greenberg e Kusché (2009, pag. 13), infatti, precisa come PATHS sia stato pensato per
bambini della scuola dell’infanzia ed elementare, sottolineando la necessità che questo
venga messo in pratica nel contesto scolastico: «in teoria, il suo avvio dovrebbe
coincidere con quello della scolarizzazione e proseguire fino all’ultimo anno della
scuola primaria». Gli autori, nel spiegare come applicare questo progetto, facendo
riferimento ai risultati delle più recenti indagini compiute sui programmi di successo
che indicano fra i fattori primari la necessità di utilizzare interventi a lungo termine ne
promuovono l’utilizzo per almeno tre volte settimanali, per una durata di circa 30
minuti alla volta. Greenberg e Kusché (2009, pag. 33) nel presentare questo programma
educativo scrivono: «uno degli obiettivi centrali di PATHS è incoraggiare i bambini a
parlare di sentimenti, esperienze, opinioni e bisogni significativi dal punto di vista
personale e farli sentire apprezzati, sostenuti e rispettati sia dagli insegnanti che dal
gruppo dei pari». Gli autori inoltre riassumono nello specifico i vari obiettivi a cui il
programma è finalizzato: promuovere l’alfabetizzazione emotiva, l’autocontrollo, la
competenza sociale, tutto ciò affinché i bambini possano giungere a stabilire corrette e
positive relazioni con i loro pari e acquisire la capacità di problem - solving
interpersonale. Come suggeriscono gli autori citati è importante che il bambino giunga a
generalizzare le abilità acquisite nel programma trasportandole ed utilizzandole anche
all’esterno del laboratorio, nella vita quotidiana. Greenberg e Kusché (2009, pag. 13)
rimarcando l’attendibilità del programma affermano: «è stato dimostrato che il
programma PATHS incrementa i fattori protettivi e riduce i fattori rischio
comportamentali. In sede di valutazione sono stati messi in evidenza miglioramenti
significativi dei bambini che hanno aderito al programma».
Il programma di prevenzione ed intervento qui riportato è stato creato basandosi su
cinque modelli concettuali di riferimento, che Greenberg e Kusché (2009, pag. 16) così
descrivono:
- il Modello Evolutivo ABCD che si concentra sulla promozione dello sviluppo
ottimale per ciascun individuo. Questo modello assegna particolare importanza
all’integrazione evolutiva di linguaggio, comportamento e comprensione
cognitiva dell’affettività allo scopo di promuovere la competenza sociale ed
emotiva;
89
- l’ Orientamento al Sistema Ecologico - Comportamentale della classe secondo il
quale viene dato particolare rilievo al modo in cui l’insegnante fa uso del
programma di intervento e propone attività per costruire un’atmosfera positiva
all’interno del gruppo. I programmi di orientamento ecologico non si limitano ad
enfatizzare l’insegnamento delle competenze, ma mirano a creare significative
opportunità per sperimentare le competenze stesse nella quotidianità, fornendo
anche il rinforzo necessario affinché le competenze apprese possano essere
applicate efficacemente;
- il modello concernente il Campo della Neurobiologia e della
Strutturazione/Organizzazione del Cervello. Questo modello riprende la Prima
Teoria Neurobiologica: secondo cui la comunicazione verticale fra il sistema
limbico e i lobi frontali suggerisce che insegnando ai bambini strategie di
autocontrollo tramite la mediazione del linguaggio, si favorisce lo sviluppo di un
maggior controllo degli impulsi; e la Seconda Teoria Evolutiva Neurobiologica:
la quale sostiene invece che la comunicazione orizzontale fra l’emisfero sinistro
e quello destro sta ad indicare che identificare ed etichettare verbalmente le
emozioni dovrebbe essere un aiuto nel gestire il controllo delle emozioni e del
comportamento;
- il modello riguardante la Formazione Psicodinamica, secondo cui si deve mirare
ad armonizzare lo sviluppo a livello sociale, emotivo e cognitivo e a dare rilievo
al processo di interiorizzazione;
- il modello relativo alle Questioni Psicologiche sulla consapevolezza/intelligenza
emotiva. Secondo tale modello la consapevolezza emotiva viene acquisita e di
conseguenza esternata, quando i bambini si sentono ascoltati, rispettati, curati
dagli adulti che li circondano. Solo in questo modo essi imparano a rispettare gli
altri, oltre che se stessi.
A partire da questi cinque modelli il programma PATHS si muove lungo cinque principi
base: il riconoscimento della scuola come ambiente di fondamentale importanza, punto
centrale per il cambiamento; la necessità di un approccio olistico che metta
particolarmente in risalto l’affettività, il comportamento e la cognizione affinché
90
vengano a determinarsi dei cambiamenti significativi nella competenza sociale ed
emotiva dei bambini; il legame fra la capacità del bambino di comprendere e
verbalizzare i propri stati emotivi e la capacità di limitare il comportamento mediante
l’autocontrollo verbale; la capacità di comprendere le proprie e altrui emozioni; l’ultimo
principio riguarda il fattore protettivo determinato da un buon sviluppo emotivo nella
diminuzione del disadattamento.
Nel concreto il programma PATHS è costituito da un manuale di istruzioni, sei volumi
di lezioni, immagini, carte delle emozioni e materiale aggiuntivo per i laboratori
educativi. È suddiviso in tre principali aree: prontezza e autocontrollo; sentimenti e
relazioni; problem- solving cognitivo interpersonale. In più altre due aree riguardano la
costruzione di un’autostima positiva e il miglioramento della comunicazione/relazione
tra pari. A livello di pianificazione PATHS richiederebbe cinque anni consecutivi di
intervento. Va però ricordato che, come ogni elaborato educativo, è un programma
flessibile e ampliabile che tiene e deve tener conto delle specifiche caratteristiche
dell’utenza a cui verrà rivolto.
Inoltre come scrivono Greenberg e Kusché (2009, pag. 71) anche: «il programma
presenta tuttavia dei limiti. Fino a questo momento risulta che PATHS e gli altri
programmi proposti nelle scuole abbiano avuto effetti limitati sul comportamento in
famiglia. (…) Gli interventi effettuati a scuola che non prevedono un contatto
sufficiente coi genitori, hanno scarso effetto». A tale proposito gli autori riportano che i
genitori non hanno notato differenze al post-test e al follow-up, mentre in classe sono
stati registrati significativi cambiamenti. Questa considerazione deve suggerire come sia
necessario tener bene presente che, oltre all’utenza diretta, bisogna porre particolare
attenzione alle figure significative ed al contesto in cui questa vive e quindi cercare di
coinvolgere, in questo caso, la famiglia nel programma di educazione affettiva.
L’Educatore professionale ne è ben consapevole di questa necessità e sicuramente
saprebbe apportare grazie alla sua conoscenza e alla sua formazione importanti sviluppi
al programma PATHS, il quale può certamente costituire un ottimo punto di partenza
per l’educazione affettiva.
91
IN SINTESI
Il presente capitolo ha presentato l’operatore soggetto della presente tesi: l’educatore
professionale, giungendo a descriverlo come un professionista di grande rilevanza
nell’educazione affettiva. Nello specifico:
(6.1) È stata presentata una descrizione della figura dell’Educatore Professionale,
ponendo in particolare rilievo la componente di sensibilità rispetto alla sfera affettiva di
cui deve disporre per poter svolgere il proprio ruolo professionale.
(6.2) Sono stati presentati diversi studi, interessanti metodologie e strumenti inerenti
allo sviluppo e analisi delle competenze emotive- affettive, ideati da differenti
discipline.
(6.3) Si è esposto in particolare un programma di intervento e prevenzione, il PATHS,
ideato per figure educative affinché si riesca ad attuare nell’ambito scolastico, in modo
coscienzioso e formativo, l’educazione affettiva.
92
CAPITOLO SETTIMO
ESPERIENZE PRATICHE: LABORATORI EDUCATIVI
Pensi che il mio sia solo un piccolo dolore, un minuscolo prurito o un debole male,
una bottiglietta sullo scaffale col bordo sbeccato, una macchia sul lato,
una lacrima dipinta o una canzone resa triste.
Pensi che il mio sia solo un piccolo dolore, non degno di vera attenzione
e allora offri solo un piccolo tempo una carezza distratta, una parola gentile un gesto simbolico, un sorriso grazioso.
Forse le mie parole erano piccole? Il mio tono era allegro,
la mia bocca e la mia voce saltellavano di gioia come se parlassi di un piccolo dolore?
Curerò da me la mia ferita, lì dove tu hai visto soltanto un piccolo dolore.
Margot Sunderland. Aiutare i bambini a esprimere le emozioni (2007).
In questo capitolo verranno esposte ed analizzate le due esperienze pratiche di laboratori
educativi incentrati sull’educazione affettiva condotte dalla laureanda.
__________________________________________________________________
I precedenti capitoli hanno risposto all’obiettivo di fornire al lettore le basi per giungere
alla presentazione del tema centrale della presente tesi: l’educazione affettiva affrontata
dall’Educatore Professionale. Definendo passo per passo ogni elemento del complesso
campo emotivo, che cos’è l’emozione, come e dove nasce, come si esprime, quali sono
le competenze emotive e come si sviluppano, si è giunti infine alla presentazione
93
dell’educazione affettiva e dell’Educatore Professionale, evidenziando come
quest’ultimo possa essere un operatore della forma educativa in questione. Il presente
capitolo si distacca dai sei precedenti narrando e analizzando le due esperienze condotte
sul campo con i laboratori educativi: LE GIORNATE DELLE EMOZIONI.
7.1 IPOTESI DI PARTENZA
Durante la ricerca compiuta per la stesura di questi sei precedenti capitoli mi sono resa
conto di quanto potesse essere interessante applicare a livello pratico quanto letto, così
da ottenere direttamente un vero e proprio riscontro su ciò che la presente tesi mi ha
permesso di indagare. Nel quinto capitolo si incentiva l’integrazione in ambito
scolastico dell’educazione affettiva con l’aiuto dell’Educatore Professionale, i
“minilaboratori” sull’ambito emotivo, descritti in questo capitolo, sono nati con lo
scopo di sperimentare la fattibilità di questa integrazione.
È innegabile che il ruolo assunto dai sentimenti e dall’affettività è determinante
nell’intero arco dello sviluppo umano. Educare alle emozioni equivale perciò a fornire
strumenti cognitivi e linguistici, abilità sociali con cui nominare, significare,
armonizzare e costruire un mondo di eventi e momenti che hanno luogo dentro la
persona e fra le persone.
Le esperienze da me condotte e qui riportate, ovviamente, possono considerarsi solo un
piccolo assaggio dell’educazione affettiva: il tempo e le condizioni messe a disposizione
non hanno permesso di sperimentare ed approfondire maggiormente l’elaborato.
Ritengo tuttavia che queste minime sperimentazioni siano già un buon punto di partenza
per un confronto con la parte teorica e un input verso traguardi maggiori che potrebbero
essere raggiunti in futuro.
94
7.2 DESTINATARI DEI LABORATORI
In entrambe le esperienze i primi destinatari sono i bambini, tuttavia come abbiamo
precedentemente visto nel capitolo quinto e sesto, il laboratorio si rivolge indirettamente
anche al corpo insegnanti, alle famiglie e figure significative e infine alla comunità,
affinché l’educazione affettiva entri culturalmente a far parte integrante dell’ambito
educativo e formativo. In entrambe le sperimentazioni sono stati scelti gruppi medi,
questa decisione non è stata casuale, ma presa riflettendo sulla possibile gestione del
gruppo. Per la formula attiva delle metodologie proposte il medio gruppo avrebbe
meglio risposto agli stimoli proposti. Il fatto che queste sperimentazioni descritte siano
state le prime in cui mi sono cimentata e anche la forma coinvolgente e attiva del
laboratorio mi hanno portato a non prediligere un gruppo numericamente consistente,
perché un grande gruppo avrebbe facilmente potuto portare a problemi di gestione o alla
necessità di ridurre il numero di attività per riuscire a concedere a tutti il giusto spazio di
intervento. Per queste motivazioni mi sono concentrata sulla ricerca di un gruppo
numericamente contenuto, anche facendo riferimento ad alcuni dei criteri orientativi
suggeriti da David e Roger Johnson così riportati da Nigris, Negri e Zuccoli (2008, pag.
217): «minore è il tempo e più piccolo dovrebbe essere il gruppo; (…) più il gruppo è
piccolo e più è difficile che gli studenti “si imboschino” e non partecipino al lavoro;
(…) con l’aumento della numerosità del gruppo diminuisce l’interazione e
l’affiatamento dei suoi membri, con una conseguente diminuzione degli scambi di
sostegno interpersonale».
Nello specifico i laboratori sono stati svolti con il:
- gruppo doposcuola delle classi quarta e quinta della Scuola Primaria “Galileo
Galilei” di Ispra, per mezzo dell’organizzazione AND – Azzardo e Nuove
Dipendenze che sovraintende il progetto “Scuole Aperte”, il quale si occupa
della gestione dello spazio orario pomeridiano non curricolare.
Grazie alla collaborazione della mia relatrice, la Dottoressa Daniela Capitanucci,
ho potuto prendere contatti con le coordinatrici di “Scuole Aperte”, presentando
il progetto e poi accordandoci sugli incontri. Una volta ottenuto il benestare per
l’attuazione del laboratorio, ai genitori dei bambini è stato comunicato, previo
95
un avviso, il progetto a cui i loro figli avrebbero partecipato e sono state raccolte
le autorizzazioni necessarie. È inoltre previsto per fine novembre un incontro
serale di restituzione ai genitori, riguardo a quanto è stato compiuto nel
laboratorio.
- gruppo classe quinta della Scuola Primaria “San Benedetto” di Voltorre di
Gavirate. I contatti con la scuola sono stati presi nuovamente grazie alle
indicazioni ed al supporto della mia relatrice che mi ha suggerito di partecipare
ad un incontro di restituzione riguardo ad un precedente progetto, condotto da
una sua collaboratrice presso l’istituto. Quest’ultima mi ha presentata alle
docenti presenti e alla referente scolastica offrendomi la possibilità di proporre il
mio progetto educativo e le mie motivazioni. A seguito di questo primo e
positivo incontro ho preso contatto con la docente Daniela Pierri, la cui
collaborazione è stata fondamentale per la realizzazione del laboratorio. Questa
volta le pratiche di benestare sono state più complicate in quanto la scuola di
Voltorre necessitava dell’autorizzazione del dirigente dell’istituto comprensivo
di Gavirate. Ottenuta l’approvazione di quest’ultimo dopo un colloquio di
presentazione del progetto ho incontrato la docente Daniela Pierri, per definire
gli incontri, le modalità e per raccogliere informazioni sulla classe. Anche questa
volta i genitori sono stati avvisati del progetto, previo comunicazione scritta ed è
stato loro consegnata anche la richiesta di autorizzazione al trattamento del
materiale audio/video. È in programma un ulteriore incontro con la classe a fine
novembre per una restituzione del lavoro svolto insieme attraverso la consegna
di un diario sul laboratorio che raccoglierà le foto, i pensieri dei bambini e la
narrazione delle attività svolte insieme.
7.3 FINALITÀ E OBIETTIVI
L’obiettivo primario dei laboratori era di avvicinare e sensibilizzare i bambini alla
tematica “Emozioni”, coinvolgendoli con attività ludiche e momenti di riflessione
generale, instillando in loro, così, l’interesse per un maggior approfondimento per
questo argomento che insolitamente viene affrontato apertamente.
96
Le esperienze condotte mi hanno inoltre permesso di sperimentarmi in prima persona e
di riflettere su quanto è emerso dai laboratori. La scelta di compiere due laboratori è
nata dal desiderio di mettere a confronto l’esperienza raggiunta in condizioni di lavoro
completamente differenti. Ciò che accomuna le due esperienze è la finalità di
sensibilizzare le strutture che mi hanno accolta, in particolare l’Istituzione Scolastica,
alla tematica affettività/emotività e vengono inoltre condivisi gli obiettivi.
Innanzitutto è stata compiuta una rilevazione della condizione iniziale che consiste cioè
nel sondare il rapporto dei bambini con il mondo emotivo che va dalla competenza di
alfabetizzazione, alla capacità di esprimere il vissuto interiore, al riconoscimento degli
elementi emotivi negli altri, alla capacità di sostenere degli incontri sul tema emotivo
sapendo intervenire/interagire. A questa indagine, ottenuta grazie ad un’attenta e
costante osservazione e al supporto di schede di rilevazione, succede l’avvicinamento da
parte dei bambini alle competenze emotive attraverso la creazione di un’atmosfera di
sicurezza e protezione dove potersi liberamente aprire alle emozioni e la stimolazione
con attività ludiche/educative.
Nello specifico gli obiettivi indicati per l’intervento educativo sono:
• espansione del lessico emozionale;
• riconoscimento e identificazione delle emozioni;
• comprensione delle diverse modalità per comunicare l’emozione;
• dare voce ai pensieri, agli interessi ed alle esperienze degli alunni.
7.4 METODOLOGIE E STRUMENTI UTILIZZATI
Le metodologie utilizzate sono state diverse. È stata innanzitutto importantissima
un’attenta osservazione compiuta non solo inizialmente, ma per tutto il tempo del
laboratorio: questa ha fornito interessanti informazioni per la valutazione finale del
laboratorio. Oltre ad un’osservazione continua, è stato utilizzato il brainstorming per
ogni nuovo concetto affrontato durante gli incontri. Ho infatti preferito non spiegare
direttamente i significati e le definizioni, ma lasciare che i bambini con le loro intuizioni
arrivassero il più possibile vicini alle soluzioni, raccogliendo le loro ipotesi e
97
indirizzandoli verso la definizione offerta dalla letteratura scientifica. Questa
metodologia è stata attuata soprattutto nel raggiungimento delle definizioni di emozione
ed emozione universale, nella spiegazione di specifiche emozioni e infine per il
riconoscimento degli elementi di individuazione espressiva delle emozioni. Un’ulteriore
metodologia, utilizzata in entrambi i laboratori e per tutta la durata di questi, è stata la
discussione aperta in classe, cioè una modalità di dialogo dettata dall’interazione
verbale fra la conduttrice e i bambini. Infine si è fatto uso anche del lavoro di gruppo
nelle attività ludico-educative. La scelta delle metodologie attuate non è stata casuale,
ma determinata da una riflessione a monte del progetto, l’interesse principale all’origine
dell’elaborato è stato quello di avvicinare i bambini alla “ri-scoperta” delle emozioni e
proprio tenendo conto di questo e del target di riferimento è stato scelto un metodo di
conduzione più attivo e ludico preferendolo alla lezione frontale poiché più
coinvolgente ed “esplorativo”. Quanto detto viene perfettamente sostenuto da Nigris,
Negri e Zuccoli (2008, pag. 125): «La caratteristica delle metodologie attive è, infatti,
quella di non proporsi come ricette dalla facile o, all’opposto, dalla rigida applicabilità,
ma di presentarsi come modalità flessibili, strategie significative, ma non vincolanti, che
hanno un reale valore solo se si inseriscono all’interno di un percorso didattico, se
risuonano delle peculiarità dei gruppi in cui vengono utilizzate e se implicano al loro
interno, per poter concretamente funzionare, una reale consapevolezza e una profonda
condivisione». Ciò che emergeva dai pensieri dei bambini durante i momenti di
brainstorming e alla fine delle attività ludiche permetteva di intavolare un momento di
riflessione aperta per poi tirare le fila rielaborando e riassumendo quanto scoperto, in
questo modo ai bambini non sono state fornite delle informazioni, ma si è permesso loro
di scoprirle, con l’aiuto di tutti, con ovviamente un importante e attento lavoro di buona
direzione compiuto dall’operatore. Questa impronta utilizzata in entrambi i laboratori ha
dato ottimi risultati perché i bambini si sono sentiti partecipi e “creatori” allo stesso
tempo, permettendo che si venisse a creare uno spazio sereno e sicuro per rievocare
esperienze vissute, approfondire tematiche, porre domande e così facilitando
l’acquisizione delle nozioni. Gli strumenti utilizzati nei laboratori con i bambini sono
elencati nelle Tabelle 1 e 2, così, da permettere una migliore presentazione dell’operato
condotto.
98
LE GIORNATE DELLE EMOZIONI
• Cartelloni: L’EMOZIONE È …
IL CESPUGLIO DELLE EMOZIONI
MA CHE DEFINIZIONE DIAMO ALL’EMOZIONE?
L’ALBERO DELLE EMOZIONI
UNA DEFINIZIONE ALLE EMOZIONI
• Schede: Le situazioni emotive;
Il termometro delle emozioni;
Collegare pensieri ad espressioni emotive del volto;
Collegare le emozioni alle situazioni emotive;
Analisi degli episodi emotivi;
• Scheda di ripasso: Vediamo di riassumere quante cose abbiamo scoperto
insieme!
• Presentazione in PowerPoint: DA CHE COSA RICONOSCI LE EMOZIONI?
• Cantastorie: la storia di Giorgio.
• Il gioco dell’oca emozionata.
Tabella 1:Strumenti utilizzati nel laboratorio ad Ispra. In Appendice 2 vengono riportati
in particolare i moduli di avviso e di consenso dati; il progetto presentato ed il materiale
utilizzato nel corso del laboratorio.
99
LE GIORNATE DELLE EMOZIONI
• Cartelloni: PER ME L’EMOZIONE È … e L’EMOZIONE È …
IL CESPUGLIO DELLE EMOZIONI.
L’ALBERO DELLE EMOZIONI.
LE EMOZIONI UNIVERSALI.
• Schede: Le situazioni emotive;
Collegare pensieri ad espressioni emotive del volto;
Collegare le emozioni alle situazioni emotive;
Analisi degli episodi emotivi;
Il linguaggio del corpo: la posizione della testa;
Dove nasconde le emozioni Nonimporta?
• Scheda di ripasso: Vediamo di riassumere quante cose abbiamo scoperto
insieme!
• Presentazione in PowerPoint: DA CHE COSA RICONOSCI LE EMOZIONI?
• Lettura: uno scricciolo di nome Nonimporta.
• Le strisce colorate per l’attività: “le strade delle emozioni”.
• Le Carte delle emozioni.
• Disegni, foto, oggetti, manufatti per l’attività: “la mostra di emozioni”.
• Il gioco delle emozioni.
Tabella 2:Strumenti utilizzati nel laboratorio a Voltorre. In Appendice 3 vengono
riportati in particolare i moduli di avviso e di consenso dati; il progetto presentato ed il
materiale utilizzato nel corso del laboratorio.
100
7.5 DESCRIZIONE E RIFLESSIONI SULLE ESPERIENZE:
IL “GRUPPO PILOTA”: DOPOSCUOLA DI ISPRA
Il primo laboratorio è stato effettuato presso il doposcuola della Scuola Primaria
“Galileo Galilei” di Ispra, nel mese di maggio 2009.
Il progetto è stato creato anche tenendo conto della disponibilità tempistica offertami,
perciò è stato ripartito in sei incontri da un’ora ciascuno: il primo di
osservazione/conoscenza e cinque pratici. I bambini iscritti al doposcuola
complessivamente sedici e appartenenti sia alla classe quarta che quinta elementare,
formavano un gruppo misto occupante un’unica classe, concessa a loro dalla scuola per
lo svolgimento delle attività di doposcuola. Lo spazio pomeridiano è sempre stato
gestito dalle due educatrici referenti che hanno pensato di suddividerlo fra una prima
ora occupata dai compiti e dallo studio e la seconda per il mio intervento educativo.
Ho considerato questi bambini come il “Gruppo Pilota” poiché con loro mi sono
sperimentata sul campo per la prima volta.
La condizione offertami da questa prima esperienza non era quella auspicata poiché,
come è stato descritto nel capitolo quinto, lo scopo dell’educazione affettiva è quello di
radicarsi nella programmazione della scuola; tuttavia è stata comunque un interessante
“rampa di lancio” verso l’istituzione scolastica, considerata il vero luogo ideale per la
pratica dell’educazione affettiva.
La gestione e direzione del laboratorio è sempre stata tenuta dalla sottoscritta, ma la
presenza e collaborazione delle educatrici Alessia e Piera è stata di grande supporto per
la continuità dell’esperienza. Le attività distribuite nei cinque incontri pratici sono state
finalizzate all’acquisizione da parte dei bambini:
- della definizione di emozione, del concetto di emozioni fondamentali/universali
e dell’ampliamento del loro “vocabolario emotivo”. L’ultimo tema in particolare
è stato affrontato nei primi due incontri attraverso la creazione di cartelloni che
raccogliessero in primis le loro ipotesi per poi giungere a scoprire insieme le
definizioni scientifiche;
101
- degli elementi di riconoscimento espressivo delle emozioni in se stessi e negli
altri, temi affrontati nel terzo e quarto incontro attraverso la visione di una
presentazione in PowerPoint, la compilazione di schede, la lettura di una storia
creata appositamente e la messa in scena di alcuni spezzoni di questa.
L’ultimo incontro è stato invece finalizzato attraverso l’attività “Il gioco dell’oca
emozionata”, al riconoscimento e alla valutazione del percorso svolto. Fra le caselle del
percorso gioco sono state inserite delle schede contenenti brevi esercizi e domande su
quanto è stato scoperto e affrontato nei precedenti incontri: ho potuto così compiere
delle vere e proprie verifiche finali. Il riscontro ottenuto da queste ha messo in luce che
nonostante il forte interesse mostrato dai bambini riguardo al campo emotivo e alle
attività proposte, il laboratorio è stato vissuto più come uno spazio di sfogo del loro
vissuto emotivo che come uno spazio di acquisizione di informazioni e chiarimenti sul
campo affettivo. Le schede di verifica hanno infatti generalmente evidenziato una buona
capacità di riconoscimento dell’espressione emotiva, ma una non sufficiente
comprensione dei concetti affrontati insieme. Ad esempio le schede riguardanti la
definizione di emozione e la spiegazione di specifiche situazioni emotive prese in
considerazione sono state minimamente completate con le informazioni spiegate
contenendo invece più rielaborazioni personali su esperienze e propri pensieri.
A fronte dei dati analizzati è possibile affermare da un lato che rispetto alle definizioni
proposte inizialmente dai bambini è stato registrato un discreto aumento del vocabolario
emotivo durante lo svolgimento del laboratorio, ma dall’altro lato anche che alcuni
punti che durante gli incontri sembravano chiariti ed acquisiti sono risultati non del tutto
compresi. Proprio queste riflessioni hanno dato luogo ad una riprogrammazione di
alcune attività ed interventi che sono stati realizzati nel gruppo studio.
GRUPPO STUDIO:
CLASSE QUINTA DELLA SCUOLA PRIMARIA DI VOLTORRE
Il secondo laboratorio è stato effettuato presso la classe quinta della scuola primaria
“San Benedetto” di Voltorre di Gavirate, nei mesi di Settembre e Ottobre 2009. In
questa occasione non è stato utilizzato il primo incontro di pura osservazione e
102
conoscenza come nella precedente sperimentazione. Ho, infatti, preferito fondere il
momento di conoscenza con l’inizio delle attività sui cartelloni, in primis a causa della
strutturazione tempistica del laboratorio, che prevedeva infatti tre incontri di due ore e
mezza ed inoltre per poter compiere un confronto con la precedente conduzione dove
era prevista. Ho lasciato all’insegnante il compito di preparare i bambini alla mia
presenza, dando loro indicazioni sui nostri incontri e quello di provvedere alla
distribuzione e raccolta degli avvisi per i genitori. Queste mansioni avevano in realtà un
velato scopo, cioè l’intenzionalità nascosta di far rientrare l’attività educativa nella
quotidianità scolastica, facendo sì che fosse proprio l’insegnante a porre le basi del
laboratorio. La decisione di evitare il primo incontro puramente conoscitivo ha avuto un
buon riscontro, infatti, l’accoglienza è stata molto calorosa e da subito si è creata una
buona intesa e un’atmosfera positiva e produttiva. Questa buona situazione di partenza
ha confermato che l’intervento della figura educativa scolastica può sostituire al meglio
il primo incontro volto alla presentazione reciproca, ottenendo così una buona
rispondenza all’ipotesi per cui ho modificato la formula di prima conoscenza.
L’esperienza precedentemente effettuata, come già accennato, mi ha permesso di
ampliare e modificare il progetto, pur mantenendo il medesimo scheletro di
strutturazione. In questa occasione le otto ore previste dal progetto sono state distribuite
in tre incontri, dedicando così l’intero lunedì pomeriggio al laboratorio sull’educazione
affettiva. Quindici dei sedici bambini iscritti alla classe quinta hanno frequentato
l’attività pomeridiana. Ho considerato i bambini di questa seconda esperienza il
“Gruppo Studio” della mia ricerca pratica dal momento che questa situazione ha offerto
le condizioni auspicate dall’educazione affettiva: il contatto e la collaborazione con
l’istituzione scolastica e il corpo docente nonché la realizzazione del laboratorio in
classe e in orario scolastico. Ritengo che queste condizioni abbiano lasciato trapelare
una prima traccia del messaggio che l’educazione affettiva si prefigge: “portare a scuola
le emozioni”. Molto interessante e vantaggiosa è stata la presenza durante gli incontri
della maestra Daniela Pierri, la quale, oltre ad essere un valido aiuto nella gestione del
laboratorio si è sempre mostrata interessata alle attività e alle tematiche svolte,
riprendendo durante la settimana quanto affrontato nel laboratorio.
103
I tre incontri effettuati hanno avuto l’obiettivo di far giungere i bambini all’acquisizione
della definizione scientifica di emozione e di emozioni fondamentali/universali; degli
elementi di riconoscimento espressivo delle emozioni in se stessi e negli altri; di
ampliare il “vocabolario emotivo” ed infine una sensibilizzazione alla tematica emotiva
e alla capacità di mettersi in gioco raccontando le proprie emozioni ed esperienze.
Durante l’incontro finale attraverso l’attività “Il gioco delle emozioni” ho potuto
ottenere un diretto riscontro dell’acquisizione delle nozioni affrontate durante gli
incontri. Il gioco si è prestato come verifica finale: fra le caselle sono state inserite,
infatti, alcune schede contenenti breve esercizi e domande su quanto è stato scoperto e
affrontato nei precedenti incontri. I risultati ottenuti hanno messo in luce che le
condizioni offerte dall’ambito scolastico e dal laboratorio hanno permesso un migliore
sviluppo della tematica emotiva.
Il laboratorio oltre ad essere stato uno spazio di sfogo e rielaborazione emotiva, ha
funzionato anche da spazio educativo, portando alla riflessione e alla acquisizione di
nozioni e chiarimenti basilari del campo emotivo. Quanto fin qui sostenuto emerge sia
dalla presenza e dall’interesse manifestato dai bambini che dall’analisi delle schede di
verifica.
7.6 VERIFICHE E RIFLESSIONI
Per ambo i laboratori sono stati condotti due tipi di verifica.
La prima verifica è occorsa in itinere, determinata dagli indicatori: frequenza e grado
interesse/partecipazione espresso durante il laboratorio.
La seconda formula di verifica è stata condotta a conclusione del laboratorio per
valutare il raggiungimento degli obiettivi prefissati e per ottenere un generale riscontro
sull’efficacia del laboratorio.
Gli indicatori della valutazione in itinere hanno evidenziato che sia per il “gruppo
pilota” che per il “gruppo studio” il laboratorio è stato complessivamente ritenuto una
interessante, piacevole e stimolante offerta formativa. La tematica ha catturato
l’interesse dei bambini che si sono mostrati disponibili e partecipativi durante gli
104
incontri, desiderosi di esprimere i loro pensieri e le loro esperienze, mettendosi, così, in
gioco. Per quanto riguarda la valutazione degli indicatori della verifica finale è
necessaria una maggiore attenzione; per questo vengono qui riportati nello specifico le
analisi delle verifiche finali di ambo le sperimentazioni.
Analisi della verifica finale del “Gruppo Pilota” (Ispra)
Sono stati creati dei grafici di analisi per le verifiche compiute attraverso l’attività “Il
gioco dell’oca emozionata”, per meglio mostrare i risultati ottenuti. Si ricorda che le
schede di riconoscimento presentate come verifica finale erano simili a quelle utilizzate
durante gli incontri. Per quanto riguarda le schede di verifica sulle nozioni da acquisire,
queste, oltre ad essere state più volte riprese nel laboratorio sono state anche raccolte in
una scheda riassuntiva consegnata ai bambini.
Le risposte dei bambini sono state valutate secondo tre parametri:
• Riconosciuto: descrive una piena acquisizione del concetto e quindi la giusta
compilazione della scheda di verifica;
• Pertinente: descrive una situazione di acquisizione più che sufficiente, con il
riconoscimento della maggior parte delle nozioni acquisite
• Non riconosciuto: si riferisce, infine, alla situazione di non acquisizione delle
nozioni, con la presentazione di schede compilate in modo errato o consegnate
in bianco.
I grafici seguenti rappresentano l’analisi delle schede di I grafici seguenti rappresentano l’analisi delle schede di riconoscimento
Grafico A
Grafico B
105
riconoscimento:
Complessivamente i Grafici A
appreso con maggiore facilità i fattori espressivi per distinguere le emozioni. Gli aspetti
del non - verbale come gli elementi iconografici utilizzati per il riconoscimento delle
emozioni, sono stati acquisiti i
relativo all’analisi degli episodi emotivi sia della paura che della gioia. Maggiori
difficoltà, invece, sono state riscontrate nella scheda
emotive, come rappresenta
ma descrizioni verbali di situazione emotive, quasi a suggerire come l’elemento
iconografico sia di più facile riconoscimento emotivo.
Grafico C
Grafici A, B, C mettono in evidenza come i bambini abbiano
appreso con maggiore facilità i fattori espressivi per distinguere le emozioni. Gli aspetti
verbale come gli elementi iconografici utilizzati per il riconoscimento delle
emozioni, sono stati acquisiti in modo pertinente come dimostrato anche dal
relativo all’analisi degli episodi emotivi sia della paura che della gioia. Maggiori
difficoltà, invece, sono state riscontrate nella scheda Collega le emozioni alle
il Grafico B, dove non erano presenti elementi iconografici,
ma descrizioni verbali di situazione emotive, quasi a suggerire come l’elemento
iconografico sia di più facile riconoscimento emotivo.
106
mettono in evidenza come i bambini abbiano
appreso con maggiore facilità i fattori espressivi per distinguere le emozioni. Gli aspetti
verbale come gli elementi iconografici utilizzati per il riconoscimento delle
n modo pertinente come dimostrato anche dal Grafico C
relativo all’analisi degli episodi emotivi sia della paura che della gioia. Maggiori
Collega le emozioni alle situazioni
non erano presenti elementi iconografici,
ma descrizioni verbali di situazione emotive, quasi a suggerire come l’elemento
I grafici seguenti rappresentano l’analisi delle schede di
I grafici seguenti rappresentano l’analisi delle schede di riconoscimento
Grafico D
Grafico E
107
riconoscimento
I Grafici D, E, F e G relativi l’analisi delle
come l’acquisizione dei concetti più nozionistici sia stata per i bambini più complicata.
In tutte e quattro le domande di verifica, come rappresentano i grafici infatti, i risultati
non propendono verso la valutazione “riconoscimento” che esprime la piena
acquisizione, ma verso la valutazione “pertinente”, la quale riconosce l’apprendimento
di certi fattori determinanti della definizione, anche se la piena acquisizione auspicata
non viene raggiunta.
Grafico F
Grafico G
relativi l’analisi delle schede di verifica sulle nozioni
come l’acquisizione dei concetti più nozionistici sia stata per i bambini più complicata.
tutte e quattro le domande di verifica, come rappresentano i grafici infatti, i risultati
non propendono verso la valutazione “riconoscimento” che esprime la piena
acquisizione, ma verso la valutazione “pertinente”, la quale riconosce l’apprendimento
rti fattori determinanti della definizione, anche se la piena acquisizione auspicata
108
schede di verifica sulle nozioni evidenziano
come l’acquisizione dei concetti più nozionistici sia stata per i bambini più complicata.
tutte e quattro le domande di verifica, come rappresentano i grafici infatti, i risultati
non propendono verso la valutazione “riconoscimento” che esprime la piena
acquisizione, ma verso la valutazione “pertinente”, la quale riconosce l’apprendimento
rti fattori determinanti della definizione, anche se la piena acquisizione auspicata
109
Riflessioni finali
A conclusione del laboratorio mi sono prima di tutto interrogata se questa esperienza
condotta potesse bastare per rappresentare la parte applicativa dell’oggetto di indagine
della tesi per poi soffermarmi ad analizzare i punti di forza e di debolezza di questo
laboratorio. Come ho precedentemente avvertito la condizione offertami non era quella
desiderata, poiché il laboratorio non è stato condotto nelle ore scolastiche. È mancato
dunque il messaggio di integrazione dell’educazione affettiva con la programmazione
scolastica, ma è stata comunque un’interessante prima esperienza poiché mi ha
permesso di riflettere su come migliorare il mio progetto e sulle difficoltà incontrabili
nella conduzione dell’attività.
Ribadisco che durante i sei incontri i bambini hanno mostrato un certo interesse alle
attività proposte nonostante le condizioni in cui il laboratorio è stato svolto, condizioni
che non ritengo sottovalutabili come: la stanchezza del pomeriggio e del “carico-
compiti” affrontato, la condizione di classi di età mista e l’incostanza nella frequenza al
doposcuola. Nell’incontro effettuato a fine laboratorio con le educatrici e con le
rappresentati di “Scuole Aperte” si è discusso sull’interesse dei bambini per il
laboratorio, interesse confermato anche dalle educatrici e dopo una generale
presentazione delle attività svolte insieme, mi sono ritenuta soddisfatta della prima
impressione. Dialogando della partecipazione dei bambini al progetto, mi sono resa
conto che questa mia proposta ha fatto emergere nuove ed interessanti informazioni sui
bambini, fino a suggerire alle operatrici altri possibili campi di intervento futuro,
riguardanti per esempio la gestione della rabbia nella sua componente di aggressività,
un’emozione molto sentita e messa in discussione dai bambini durante le attività.
I risultati ottenuti mi hanno convinto a muovermi per ottenere la possibilità di un
secondo laboratorio, modificando il programma, cercando maggior materiale educativo
di supporto e dando un’impronta più ludica al laboratorio così che i bambini venissero
più piacevolmente coinvolti, imparando ugualmente dalle attività a seguito commentate
e dai momenti di riflessione comune. Nello specifico i risultati riguardanti
l’acquisizione delle definizioni dei concetti di base non stati troppo positivi e anche
questo mi ha spinto a modificare il metodo e la formula offerta, semplificando,
110
specificando e soffermandomi maggiormente su questi aspetti teorici per favorire una
maggiore chiarezza.
Analisi della verifica finale del “Gruppo Studio” (Voltorre)
Complessivamente i successivi grafici mettono in evidenza come i bambini abbiano
appreso con maggiore facilità i fattori espressivi per distinguere le emozioni. Gli aspetti
come gli elementi iconografici del non - verbale, utilizzati per il riconoscimento delle
emozioni, sono stati acquisiti in modo pertinente, come dimostrato anche dal grafico
relativo all’analisi degli episodi emotivi. Maggiori difficoltà, invece, sono state
riscontrate nella scheda Collega le emozioni alle situazioni emotive, dove non erano
presenti elementi iconografici, ma descrizioni verbali di situazione emotive.
Qui di seguito vengono riportati i grafici di analisi delle verifiche compiute attraverso
l’attività: il gioco dell’oca emozionata. Si ricorda che le schede di riconoscimento
presentate come verifica finale erano simili a quelle utilizzate durante gli incontri. Per
quanto riguarda le schede di verifica sulle nozioni da acquisire, queste, oltre ad essere
state più volte riprese nel laboratorio sono state anche raccolte in una scheda riassuntiva
consegnata ai bambini.
Le risposte dei bambini sono state valutate secondo tre parametri:
• riconosciuto: descrive una piena acquisizione del concetto e quindi la giusta
compilazione della scheda di verifica;
• pertinente: invece descrive una situazione di acquisizione più che sufficiente,
con il riconoscimento della maggior parte delle nozioni acquisite
• non riconosciuto: si riferisce, infine, alla situazione di non acquisizione delle
nozioni, con la presentazione di schede compilate in modo errato o consegnate
in bianco.
Il grafico seguente rappresenta
Il Grafico H rappresentata la capacità di riconoscimento dei fattori
espressivi/iconografici per distinguere le emozion
nel complesso un’ottima capacità di riconoscimento per ambo le schede, relative
all’identificazione della paura e della rabbia.
I grafici seguenti rappresentano l’analisi delle schede di
grafico seguente rappresenta l’analisi delle schede di riconoscimento
Grafico H
rappresentata la capacità di riconoscimento dei fattori
espressivi/iconografici per distinguere le emozioni compiuta del gruppo classe, si nota
nel complesso un’ottima capacità di riconoscimento per ambo le schede, relative
all’identificazione della paura e della rabbia.
I grafici seguenti rappresentano l’analisi delle schede di verifica:
Grafico I
111
l’analisi delle schede di riconoscimento:
rappresentata la capacità di riconoscimento dei fattori
i compiuta del gruppo classe, si nota
nel complesso un’ottima capacità di riconoscimento per ambo le schede, relative
verifica:
Grafico L
Grafico M
112
113
Grafico N
I Grafici I, L, M, N sopra riportati riassumono l’analisi dei dati riguardanti le schede di
verifica sulle nozioni. Viene messo in evidenza come l’acquisizione dei concetti più
nozionistici sia stata per questo secondo gruppo meno difficile: le colonne del valore
“riconosciuto”, infatti, sono molto significative per tutti e quattro i grafici. La domanda
che ha riscosso maggiori difficoltà riguarda la definizione del fenomeno “Emozione”,
come mostra il Grafico M, situazione prevedibile data la complessità degli elementi che
la definiscono. In ogni caso il risultato non è negativo in quanto il grafico mostra per
questa scheda una propensione a risposte adeguate e pertinenti.
In conclusione dall’osservazione dei grafici è possibile affermare che il laboratorio
compiuto in questa classe ha ottenuto risultati complessivamente più che soddisfacenti,
tenendo conto del breve tempo di sperimentazione.
Riflessioni finali
Questo laboratorio ha risposto alle mie aspettative, colmando le mancanze percepite
nella precedente sperimentazione. I bambini sono riusciti ad acquisire maggiormente
anche i concetti nozionistici, rispetto al precedente gruppo sperimentale. Oltre al
notevole interesse riscontrato dai bambini, ho avvertito anche un certo interesse da parte
114
della stessa docente. Oltre a farmi molto piacere, questo interesse ha anche sollecitato la
continuità che speravo: la docente, infatti, mi ha chiesto di poter riutilizzare quanto
emerso dal breve laboratorio nelle lezioni di italiano. Tale richiesta rappresenta un vero
e proprio risultato sul campo scolastico perché dimostra che il laboratorio condotto è
riuscito a porre delle basi molto solide, riuscendo a far emergere un maggiore interesse
per il campo emotivo.
7.7 CONCLUSIONI
Dalle riflessioni finali del primo laboratorio condotto ad Ispra emerge chiaramente il
desiderio di compiere una successiva esperienza che mi permettesse di avvicinarmi
maggiormente all’obiettivo primario dell’educazione affettiva: poter essere condotta
nelle ore scolastiche affiancandosi alla formazione offerta dall’istituzione scolastica.
Ho sentito inoltre la necessità di sperimentarmi nuovamente per valutare i
miglioramenti apportati al mio progetto dopo le interessanti riflessioni a cui sono giunta
rispetto alla prima esperienza.
Riprendendo il terzo paragrafo che descrive le finalità ed obiettivi prefissati nel progetto
posso concludere, comprendendo quanto emerso da entrambi i laboratori che questi
sono stati raggiunti, anche se a livelli differenti nelle due esperienze. Il messaggio di
sensibilizzazione in entrambi gli enti è stato rilevato e per quanto riguarda i bambini
l’auspicato “contatto” con il proprio lato emotivo è stato affrontato e l’alfabetizzazione
emotiva è stata rilevata rispetto alla situazione di pre - esperienza.
Mi rendo conto che progetti di sei e otto ore non concordano con l’auspicabile sviluppo
emotivo descritto nel progetto PATHS a cui ho fatto riferimento nel quinto capitolo.
Un laboratorio emotivo efficace dovrebbe prevedere sia un monte ore che una continuità
ben maggiori; tuttavia le condizioni e le tempistiche a disposizione non hanno permesso
di più.
Infine considero queste due sperimentazioni sul campo un punto di partenza, un
elemento di riflessione e di prova più che una vera e propria applicazione di quanto
affrontato nel quinto capitolo.
115
IN SINTESI
L’attenzione posta al mondo delle emozioni mi ha indirizzato verso una
sperimentazione sul campo, oltre che verso un’approfondita ricerca nella letteratura
multidisciplinare. In questo capitolo vengono riprese ed analizzate le due brevi
esperienze di educazione emotiva condotte.
(7.1) Il primo paragrafo raccoglie le ipotesi di partenza, l’origine della sentita necessità
di provare a sperimentasi sul campo.
(7.2) L’utenza primaria a cui il laboratorio è stato indirizzato sono stati in entrambe le
esperienze, i bambini. Tuttavia come è stato affrontato nel quinto e sesto capitolo, il
laboratorio si rivolgeva indirettamente anche al corpo insegnati, alle famiglie e figure
significative e infine alla comunità, affinché l’educazione affettiva entri culturalmente a
far parte integrante dell’ambito educativo e formativo. Viene qui riportato, inoltre, il
modo in cui sono stati presi i contatti con le strutture.
(7.3) Vengono qui delineate le finalità e gli obiettivi che mi ero proposta per la
sperimentazione di questi due laboratori. Da un primo momento dedicato
all’osservazione e al sondare le capacità emotive dei gruppi bambini, si è passati alla
creazione di uno spazio contenitivo e sicuro dove potersi dedicare alla tematica emotiva,
fino al raggiungimento attraverso le attività: dell’ espansione del lessico emozionale; del
riconoscimento e identificazione delle emozioni; della comprensione dei diversi modi
per comunicare l’emozione; dando sempre voce ai pensieri, agli interessi ed alle
esperienze degli alunni.
(7.4) Il presente paragrafo ha raccolto tutte le metodologie utilizzate durante gli incontri
del laboratorio: l’osservazione continua, il brainstorming, la discussione aperta ed infine
il lavoro di gruppo. Inoltre vengono riportati in scaletta gli strumenti utilizzati durante la
conduzione dei laboratori.
116
(7.5) Vengono qui descritte le condizioni di lavoro e le esperienze condotte: partendo
dalla formulazione del progetto presentato, dalle strutture e dalla conduzione del
laboratorio. Viene fornita una panoramica delle condizioni e del gruppo di lavoro.
(7.6) In questo paragrafo vengono descritte le forme di verifica utilizzate, dalla
presentazione della verifica in itinere alla analisi dei dati raccolti dalla verifica finale
compiendo una riflessione generale sulla esperienza condotta.
(7.7) Qui vengono riportate le conclusioni finali che prevedono una spiegazione della
necessità di compiere un secondo laboratorio, emergente dalle considerazioni finali del
primo e dal desiderio di sperimentarsi nuovamente con nuove proposte e una riflessione
conclusiva riguardo all’operato compiuto in entrambi i laboratori. Viene, così, messo in
evidenza come quest’ultimi debbano essere considerati un punto di partenza e di
riflessione per interventi più radicati e a lungo termine sull’educazione affettiva.
117
CONCLUSIONI
Gli elementi costituenti il complesso campo emotivo sono stati oggetto d’indagine nei
capitoli della presente tesi per rispondere al quesito che mi sono posta all’inizio di
questa ricerca, cioè “Come poter intervenire affinché le persone imparino a gestire al
meglio il loro vissuto interiore, in modo da vivere più serenamente le proprie
emozioni?”.
Il concetto di Emozione, così sfuggente alla razionalità, non rappresenta
un’argomentazione chiara e semplice nemmeno per la letteratura scientifica e
umanistica, infatti, la sua descrizione viene presentata attraverso più sfaccettature,
rifacendosi a più studiosi di diversi filoni di ricerca. Con lo scopo di fornire una visione
il più ampia possibile essa viene presentata attraverso un inquadramento psicologico,
pedagogico, biologico, filosofico e sociologico, che ne approfondiscono aspetti
differenti. Le loro differenti visioni, tuttavia, condividono il voler mettere in luce la
complessità del “fenomeno” Emozione, dovuta all’interazioni di molteplici fattori tra i
quali quelli individuali, quelli sociali e quelli culturali. Queste difficoltà riscontrate nella
presentazione dell’emozione sono state affrontate anche negli studi per determinarne
una completa e chiara classificazione tanto che, ancora attualmente, fra i ricercatori
prosegue il dibattito scientifico sulla classificazione, sul riconoscimento di emozioni
primarie e sull’organizzazione di famiglie emozionali.
Successivamente alla presentazione del “fenomeno” Emozione viene offerta una breve
argomentazione di carattere fisiologico, spiegando come il nostro corpo viene coinvolto
nella risposta emotiva: vengono citate nello specifico le componenti cerebellari e i
sistemi fisiologici coinvolti nel processo emozionale, ponendo una particolare
attenzione alla descrizione del Complesso Amigdaloideo, che nella letteratura
scientifica viene presentato come l’elemento di maggiore rilevanza per il processo
emozionale e per questo definito “sede delle passioni.”. A fronte degli studi effettuati
alla “mente emozionale” è stata riconosciuta una forte interazione con la parte razionale,
influenza finalizzata alla produzione di una risposta agli stimoli ambientali e
situazionali percepiti.
118
Dopo aver definito l’emozione e aver descritto come questa coinvolge le nostre parti
corporee l’indagine prosegue mettendo in evidenza come tale non sia un fenomeno che
si consuma soltanto all’interno della persona, ma viene anche esternata nel processo di
comunicazione con gli altri, considerandola per questo un “fenomeno pubblico”.
Nell’insieme delle modalità espressive che riguardano le componenti sia verbali,
paraverbali che non verbali del canale comunicativo, l’elemento ritenuto di primo
riconoscimento e di maggiore espressività è il volto, facendo così risaltare l’alto
potenziale della comunicazione non verbale. Interessandosi alla manifestazione degli
stati emotivi è doveroso, inoltre, prendere in considerazione la presenza e la rilevanza
dell’ascendente culturale che, attraverso le norme sociali e le regole di esibizione,
definisce come esprimere, quando esprimere, come controllare e regolare ed infine
come interpretare le proprie esperienze emotive.
Un ulteriore passo di questa ricerca ha previsto di indagare sulle competenze emotive a
partire dall’interessante affiancamento del Q.E. (Quoziente Emotivo) al già noto Q.I.
(Quoziente Intellettivo), formulando e sostenendo la necessità dello sviluppo di
entrambi per il raggiungimento di una buona e completa formazione dell’individuo.
All’individuo in formazione devono essere, infatti, forniti tutti gli strumenti e gli input
necessari per il raggiungimento del benessere psicofisico e qui le emozioni
rappresentano un determinante impegno da affrontare. Nello specifico lo sviluppo della
Competenza Emotiva coinvolge l’individuo fin dalla sua infanzia verso la lenta
acquisizione delle capacità di riconoscere e saper esprimere le proprie emozioni provate,
di ascoltare e riconoscere quelle altrui e infine di saper sostenere interazioni
sviluppando strategie efficaci.
Solo dopo aver esplicato nel modo più chiaro possibile i concetti fondamentali del
campo emotivo, quindi presentando che cos’è l’emozione, come e dove nasce, come si
esprime; quali sono i fattori caratterizzanti delle competenze emotive e l’acquisizione
evolutiva di queste, si può giungere infine a denunciare un’ attuale generale incapacità
emotiva. Quest’ultimo passaggio permette di toccare il fulcro di indagine della presente
tesi: l’educazione affettiva. La denuncia di quest’attuale incompetenza nel campo
emotivo, sostenuta tra gli altri da Goleman, viene ribadita da Piatti e Terzi (2008, pag.
7), i quali scrivono: «consapevoli che nella società odierna stanno prendendo piede
119
sentimenti nocivi come il cinismo e l’indifferenza, siamo convinti che questa situazione
si sia acuita grazie a un diffuso analfabetismo emozionale e a una sottovalutazione
crescente nella cura delle relazioni interpersonali e sociali». L’accusa, così cruenta nella
sua veridicità, non mostra una situazione irrecuperabile, ma al contrario invita a cogliere
il possibile spiraglio di luce, come scrive Goleman (2004, pag. 9): «se presteremo
attenzione in modo sistematico all’intelligenza emotiva potremo sperare in un futuro più
sereno».
Tra le figure professionali che operano “con e per” la persona troviamo l’Educatore
Professionale, il quale, interagendo a stretto contatto con l’utenza di ogni area sociale:
accoglie, sperimenta, vive ed è chiamato a gestire quotidianamente le competenze
emotive. Grazie alla formazione di cui dispone è in grado di riconoscere la necessità di
prendersi cura del vissuto interiore per un buon e completo sviluppo dell’individuo. Va
però ricordato che ancora oggi, purtroppo, l’educazione affettiva non è riuscita a
conquistarsi il meritato riconoscimento nelle considerazioni culturali sul mondo della
formazione dell’individuo. Le ipotesi avanzate da numerosi studiosi riguardo alla
tematica dell’educazione affettiva propongono l’Istituzione Scolastica come migliore
luogo per l’affermazione e per l’espansione di questa pratica educativa.
Condivido fermamente il pensiero dei ricercatori sulla necessità di sviluppare al più
presto un progetto educativo nel quale venga prestata maggiore attenzione all’affettività;
la necessità di essere accompagnati a scoprire le proprie emozioni per imparare a
gestirle e a conoscersi non è affatto rimandabile. A questo riguardo la quotidianità ci
invia forti messaggi: sempre più persone faticano a gestire le situazioni emotive, a
reggere i confronti e le relazioni. Nella mia ricerca presento l’Educatore Professionale
come un professionista in grado di rispondere a queste “richieste di intervento”,
ponendosi come operatore e promotore della pratica educativa sull’affettività. La
sensibilità e la formazione multidisciplinare di cui dispone possono permettergli di
interagire in un’équipe di intervento anche nell’Istituzione Scolastica, strutturando
progetti formativi, laboratori ed ovviamente supportando le insegnanti nell’approccio e
nella formazione alla pratica educativa sull’affettività. A questo proposito Albanese et
Al. (2006, pag. 46) sottolineano che: «le varie difficoltà che emergono a scuola
sarebbero da mettersi in relazione con disturbi della comprensione delle emozioni
120
rilevabili attraverso il TEC. L’uso del TEC permetterebbe, quindi, da un lato di
individuarli e dall’altro di porre le basi per la messa a punto di percorsi di educazione
emotiva, che tengano congiuntamente conto dello sviluppo cognitivo ed emotivo -
affettivo del bambino». Integrare l’educazione affettiva nel programma scolastico
aiuterebbe i bambini a raggiungere realmente un buono e completo sviluppo della loro
persona, evitando di focalizzarsi solamente sugli ambiti valutati dal Q.I. e a tale scopo
l’Educatore Professionale rappresenterebbe un operatore in grado di strutturare i
progetti e i percorsi tesi a riportare in luce la fondamentale importanza del lato
emozionale, finora marginalmente affrontato dai programmi scolastici.
Allo scopo di “verificare sul campo” quanto ipotizzato riguardo all’intervento
dell’Educatore Professionale nell’Istituzione Scolastica e per saggiare la possibilità di
sensibilizzare la Scuola all’educazione affettiva, ho realizzato due laboratori in contesti
e condizioni differenti. In entrambe le esperienze i primi destinatari sono stati i bambini,
tuttavia la finalità del laboratorio era una sensibilizzazione generale al tema emotivo,
per cui si è rivolto indirettamente anche al corpo insegnanti, alle famiglie e figure
significative e infine alla comunità.
Nello specifico i laboratori sono stati condotti con il gruppo doposcuola delle classi
quarta e quinta della Scuola Primaria “Galileo Galilei” di Ispra (con cui è stato
realizzato un progetto di sei ore) e con il gruppo classe quinta della Scuola Primaria
“San Benedetto” di Voltorre di Gavirate (dove è stato realizzato un progetto di otto ore).
I progetti realizzati (il cui materiale viene raccolto nelle Appendici 2 e 3) hanno messo
in evidenza un rilevabile interesse verso la tematica e le attività, accompagnando i
bambini verso il raggiungimento dei generali obiettivi di: espansione del lessico
emozionale, riconoscimento e identificazione delle emozioni, comprensione delle
diverse modalità per comunicare l’emozione, oltre all’importante possibilità di dare
voce ai pensieri, agli interessi ed alle esperienze degli alunni, determinata dalla
creazione di uno spazio e di un tempo dedicato a loro, creando un’atmosfera di
sicurezza che invitasse i bambini a esprimersi liberamente. L’osservazione continua, il
brainstorming, la discussione aperta ed infine il lavoro di gruppo sono state le principali
metodologie utilizzate durante il laboratorio ed i risultati riscontrati attraverso la verifica
in itinere e la verifica conclusiva hanno apportato interessanti informazioni, in
121
particolare le riflessioni finali riguardo alla prima sperimentazione hanno costituito un
importante punto di partenza per la realizzazione del progetto per la seconda
sperimentazione.
Vari fattori, fra cui la disponibilità di un tempo limitato; la mancanza di un gruppo
équipe ben radicato; di un mandato e di un riconoscimento istituzionale del progetto
hanno limitato la sperimentazione rendendola un breve intervento di riscontro sui
principali obiettivi e impedendo fortemente il raggiungimento della finalità di una
affermata e sondata sensibilizzazione generale della comunità.
Tuttavia i positivi risultati, ottenuti in così poco tempo, permettono di sperare in
un’ottima integrazione dell’educazione affettiva nella pratica scolastica. Infatti, come
sottolineato da Goleman solo prestando una maggiore attenzione alle emozioni e
attuando l’educazione affettiva possiamo sperare in un futuro migliore. Questa è la
condizione per creare le basi di una realtà dove le persone riescano a vivere serenamente
il proprio vissuto emotivo, gestendo al meglio la propria consapevolezza emotiva e
riscoprendo l’importanza, per noi “animali sociali”, delle relazioni interpersonali.
Le riflessioni finali di entrambi i laboratori suggeriscono come la tematica emotiva sia
un’interessante argomento da sviluppare in modo più approfondito, attraverso interventi
a lungo termine che così possano porgere ai bambini gli strumenti necessari per
imparare a conoscere e quindi gestire il proprio vissuto interiore. I laboratori da me
condotti hanno rappresentato un “assaggio” dell’educazione affettiva, nella speranza di
instillare nei destinatari un maggiore interesse e approfondimento della tematica.
A conclusione della tesi vorrei sottolineare come l’educazione affettiva non sia un
argomento adatto solo alla fascia dei minori, la finalità di questa è di entrare a far parte
degli argomenti educativi, quindi di divenire patrimonio culturale, sensibilizzando tutti
gli individui ad una maggiore attenzione verso lo sviluppo e la gestione delle
competenze emotive.
Per quanto detto fin qui ritengo che avrebbe potuto essere molto interessante prima di
tutto riuscire a compiere una sperimentazione a lungo termine dei laboratori emotivi con
i bambini, ma anche potersi sperimentare in altre fasce di utenza. Scoprendo, così, cosa
sarebbe potuto emergere da interventi di educazione affettiva nell’area geriatrica,
nell’area psichiatrica, nell’area delle dipendenze e marginalità, nell’area delle disabilità,
122
approfondendo inoltre delle riflessioni di confronto dai risultati ottenuti in questi diversi
campi del sociale. Essendo questo elaborato una tesi di laurea, ho dovuto scegliere un
indirizzo specifico per il mio intervento e pensando al futuro migliore, auspicato da
Goleman, ho scelto di concentrarmi sui minori, ma considero queste riflessioni finali
come un buon punto di partenza per possibili futuri interventi ed approfondimenti.
123
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126
_________________________Ringraziamenti________________________
I ringraziamenti in una tesi sono la parte più carica di emozioni. Nascondono l’affetto e l’apprezzamento per l’interesse e il sostegno ricevuto in questo particolare momento in
cui ci si sperimenta nella ricerca, nella rielaborazione e nella creazione di qualcosa che è tuo, “che sa di te”. Sono molto orgogliosa e felice di aver potuto creare un elaborato che parli di una tematica che mi è da sempre molto a cuore e se ci sono
riuscita devo ringraziare molte persone. Nel citarle provo gioia perché averle avute accanto e aver potuto contate sulla loro collaborazione ha per me significato molto.
_____________________________________________________________
Innanzitutto desidero ringraziare la mia relatrice, la Dottoressa Daniela Capitanucci per
aver appoggiato il mio argomento di tesi, per l’infinita cortesia e gentilezza sempre
dimostratami e per il prezioso aiuto che mi ha saputo offrire. Vorrei inoltre ringraziare
Angela Biganzoli, Roberta Smaniotto, Janice Romito, le educatrici Alessia e Piera e la
maestra Daniela Pierri: la loro collaborazione e il loro sostegno sono stati indispensabili
per la realizzazione dei laboratori sull’educazione affettiva. Colgo l’occasione per
rinnovare il mio ringraziamento alle coordinatrici del progetto Scuole Aperte per la
Scuola Primaria “Galileo Galilei” di Ispra e al dirigente e alla docente referente per la
Scuola Primaria "San Benedetto” di Voltorre, sottolineando la loro disponibilità nel
concedermi uno spazio per sperimentare il breve laboratorio educativo.
Inoltre, desidero ringraziare sentitamente il Dottor Cristiano Termine per l’interessante
materiale fornitomi e la Dottoressa Marchini Grazia per la grande disponibilità e la
pazienza nel dirimere i miei dubbi.
Un profondo grazie a mia zia Cristina, ai miei genitori e a Luca che mi sono sempre
stati di grande sostegno e che hanno vissuto con me passo dopo passo la mia esperienza
universitaria e la stesura di questa tesi. Lo stesso caloroso ringraziamento va agli amici,
che considero una seconda famiglia per la forza e la sincerità del legame che ci unisce,
in particolare debbo un grandissimo grazie a Marta che ha sempre saputo darmi
preziosissimi consigli e assistermi per ogni necessità. Infine desidero ringraziare Chiara,
Debora, Ilaria, Veronica, Laura, Daniela (il cui testo di anatomia è stata una salvezza),
Nadia, Marina e Lorenzo che si sono sempre resi disponibili e il cui sostegno morale è
stato importantissimo.