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33APRILE 2010

IN COPERTINA: Buddha in marmo,Marble Hill Vietnam tratto dahttp://aradsch.wordpress.com/2009/12/15/chiang-mai-and-vietnam-part-1.

SOMMARIOEDITORIALE3 Laboratorio in divenire

TESTI CANONICI4 Il discorso del fuoricasta

TRATTO DAL SUTTANIPATA

LA VIA DELLA PRATICA8 Che cosa è il buddhismo

DI SAYAGYI U BA KHIN

20 La pace interiore è la via della compassioneDI TENZIN GYATSO, XIV DALAI LAMA

28 Altre vie da percorrereDI ENGAKU TAINO

DOSSIER34 La terra, la nostra casa37 L’ecologia che guarisce

DI DAVID LOY

45 Un nuovo approccio per un’etica ambientaleDI SIMON P. JAMES

54 Difendere la terra, salvare la vitaA CURA DI WWW.SOTOZEN-NET.OR.JP

58 Il momento di agire è oraDichiarazione buddhista sui cambiamenti climaticiA CURA DI WWW.ECOBUDDHISM.ORG

LA VIA DEL DIALOGO64 Buddhismo e cristianesimo: un confronto

DI MAURICIO YUSHIN MARASSI

82 Mutamenti e trasformazioniUna traccia per un proficuo confronto dialogicoDI TARCISIO ALESSANDRINI

99 Aprire la mente a nuovi orizzontiDI MANUEL KATZ E GRAZIA SACCHI

RECENSIONI106 Letti e riletti per voi

LA POESIA112 Una buona stagione

DI WU MEN

COLOPHONDharmaAnno IXnumero33 -aprile2010

� Redazione:Via Euripide n.13700125 Roma� Direttore responsabile:Maria Angela Falà� In redazione:Flavio [email protected] [email protected]� Progetto grafico:Daniela [email protected]� Stampa:Poligrafica Laziale srl� Registrazione:presso il tribunale di Roman. 436/99 del 19/10/1999� Questo numero è statochiuso in tipografiaa fine aprile 2010.� Tutti gli articoli firmatirispecchiano le idee e leopinioni personali degli autori.

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� E D I T O R I A L E D I M A R I A A N G E L A F A L À �

Laboratorio in divenireVenticinque anni nella

storia di un’associazionesono sicuramente unmomento importante in cuifare un bilancio delle proprieattività e del camminopercorso dalle origini dellasua costituzione.1985-2010 Venticinque annidi UBI - Unione BuddhistaItaliana sono un segno dellapresenza del Dharma nelnostro paese, che ci rendeconsapevoli del suoradicamento nella società enello stesso tempo delle sfideche questa presenza ci ponedi fronte agli scenari sociali,politici ed economici che oggici troviamo di fronte.

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L ’UBI nacque dalla spintadi alcuni pionieri del

buddhismo in Italia, tra cuifondamentale fu VincenzoPiga all’origine anche dellaFondazione Maitreya e dellanostra rivista, che nelloslancio della recente scopertadegli insegnamenti, sulmodello dell’allora vivacedialogo europeo tra le nazionipensarono di organizzare icentri italiani in modounitario per dare loro unavoce istituzionale che potesseinterloquire con le altreistituzioni, in primis lo stato.

Da questo input iniziale,che vedeva nella acquisizionedell’Intesa il suo scopoprimario – per incisoa causa del clima politico delnostro paese non ancoraraggiunto! -, con la crescitadel numero degli associatie il loro intervento a livellolocale e le richieste a livellonazionale, si sono man manopresentate ulteriori possibilitàdi lavoro e di nuovi rapportitra UBIe centri.

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In un mondo che dopol’11 settembre 2002 ha

visto riemergere con forzail tema religioso anchenell’elaborazione di strategiepolitiche e di governo deisistemi, l’apporto delDharma risulta importantenell’incontro/scontrotra le religioni abramitiche,che radicalizza spessoin un dualismo difficilmenterisolvibile l’incontrointerreligioso.La presenza di altre voci,come la nostra, può essereun plus fondamentaleper evitare che chiusuree fondamentalismi limitinogli spazi e creino fossatidifficili da valicare. E inquesto contesto assume

maggior evidenza l’UnioneBuddhista a cui si richiedonointerventi e risposte su temireligiosi ed etici.L’UBI, seppur con tuttii distinguo necessari, si trovaquindi sempre più spessoa dover rappresentarela «voce» del buddhismoe diventa punto diriferimento per i mass mediae le istituzioni. Un ruolonuovo che vede l’UBI attricecome realtà in sé eche dovrà essere oggetto diriflessione da parte di tuttii centri associati per darecorpo a questo ruoloemergente non creandoné una sovra-istituzionené una eccessiva riduzionedell’autonomia del’Unione.

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Venticinque anni sonoil momento buono per

porsi questi interrogativiche non potevano nascere alleorigini e che oggirappresentano un momentodi crescita del movimentobuddhista e di riflessione susé stesso, su comestrutturarsi in Occidente,su come rispondere alleistituzioni statali e alle altrereligioni: un laboratoriofondamentale per il Dharmadel tempo che verrà.

PROGRAMMAGIOVEDÌ 13 MAGGIO� Conferenza introduttiva aperta al pubblicoVen. Olaboduwe Dhammika TheroVen. Tenzin Khenrab RimpoceVen. Fausto Taiten GuareschiLibreria Azalai – Via G.G.Mora, 15 Milano

GIOVEDÌ 27 MAGGIO - dalle ore 20 alle ore 22� “InsieMI” - Dialogo e condivisione in uno spirito dipace Incontro interreligioso e multietnico.Presso Centro Studi Tibetani MandalaVia Martinetti 7 – Milano Tel. 340 0852285

SABATO 29 MAGGIO� Tibet: cultura e spiritualità nel Paese delle Nevimostra fotografica

� Percorsi di integrazione e conoscenza fra leculture Convegno con rappresentanti delle istituzioni edel volontariato� Interdipendenza e integrazione Discorsi diDharma delle Tradizioni buddhiste� Meditazione camminata� esposizione delle Reliquie di BuddhaSala dei Congressi della ProvinciaVia Corridoni 16 Milano

DOMENICA 30 MAGGIO� Celebrazione del Vesak con le cerimonie religiosedelle varie tradizioni buddiste.Sala dei Congressi della ProvinciaVia Corridoni 16 Milano

www.vesak.it

“Interdipendenza degli esseri e corresponsabilità delle culture”

Il Vesak è la più importante festività buddhista, nella quale si commemorano la nascita, l’illuminazionee il parinirvana (dipartita) di Buddha Sakyamuni. Quest’anno l’UBI, che celebra i suoi venticinque anni

dalla fondazione, ha stabilito di organizzare il Vesak a Milano in collaborazione con il TempioBuddhista Lankaramaya. Per tutto il Vesak a Piazza Cordusio sarà eretto uno stupa.

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1. «Chi è pieno di ira, pieno di astio, eparla male degli altri, con false visioni,ipocrita — costui è un fuoricasta;

2. «Chi in questo mondo uccide esseriviventi, siano essi nati una volta o nati duevolte, [dvija, uccelli. Nati due volte in quantonascono prima come uova e poi come uccelli]senza compassione per ogni essere vivente— costui è un fuoricasta.

3. «Chi distrugge e assedia villaggi e cittàed è noto come oppressore — costui è unfuoricasta.

4. «Sia in un villaggio, o nella foresta, chiruba ciò che non gli appartiene, ciò che nongli è dato — costui è un fuoricasta.

5. «Chi, avendo contratto un debito,allorché gli viene richiesto di pagarlo,dichiara, “Non ho nessun debito con te” —costui è un fuoricasta.

6. «Chi bramando qualcosa, uccide unapersona per strada e ruba ciò che desidera— costui è un fuoricasta.

7. «Chi per salvare se stesso o per salvarealtri o per salvare i propri beni, testimoni ilfalso— costui è un fuoricasta.

8. «Chi con la forza o con il consensoinstauri rapporti sconvenienti con mogli diamici o parenti— costui è un fuoricasta.

9. «Chi non si prende cura dei proprigenitori anziani pur avendone la possibilità

— costui è un fuoricasta.10. «Chi picchia o inveisce con parole

aspre contro la madre, il padre, il fratello, lasorella o la suocera o il suocero — costui èun fuoricasta.

11. «Chi, interrogato sul bene, illustra ciòche è dannoso e si esprime in manieraevasiva — costui è un fuoricasta.

12. «Chi, avendo commesso un’azionemalvagia, la nasconde agli altri,commettendo il male di nascosto — costui èun fuoricasta.

13. «Chi, essendo ospite a casa di un altroe avendo consumato un buon pasto, nonricambia l’ospitalità ricevuta — costui è unfuoricasta.

14. «Chi, essendo brāhmaṇa o asceta, oaltro mendicante, inganna con false parole— costui è un fuoricasta.

15. «Chi, quando un brāhmaṇa o unasceta si presenta all’ora dei pasti, lo insultasenza offrigli niente— costui è un fuoricasta.

16. «Chi in questo mondo, avvoltodall’ignoranza, pronuncia parole aspre omenzognere a scopo di lucro — costui è unfuoricasta.

17. «Chi, avvilito dal suo orgoglio, esaltase stesso e disprezza gli altri — costui è unfuoricasta.

18. «Chi, preso dalla rabbia, è gretto, ha

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Un aspetto della tradizione indianache, di fatto, è ancora moltoradicato è sicuramente quello dellecaste. Il Buddha non accettò questosistema di appartenenza esuddivisione sociale e spesso locontrastò apertamente. In questosutra (tratto dal Suttanipāta 1, 7) aun brāhmaṇa che, dopo averlomale apostrofato scacciandolo comese fosse un fuoricasta, il più bassogradino sociale, gli chiede dispiegare che cosa siano le caste; ilBuddha, impiegando lo stessotermine negativo con cui era statoapostrofato (vasala), indica che«fuoricasta» sono tutti coloro checommettono cattive azioni e hannocomportamenti nocivi verso glialtri. Non si è «fuoricasta» pernascita, ma lo si diviene per come cisi comporta e per come si vive lapropria vita. Ognuno è responsabiledelle sue azioni e acquisisce merito odemerito a seconda di come agisce.

T E S T IC A N O N I C I

Ildiscorsodelfuoricasta

VASALA SUTTA

Così ho sentito:Un tempo il Beato soggiornava pressoSavatthi, nel boschetto di Jeta, nelmonastero di Anāthapiṇḍika. Quindi, primadi mezzogiorno, il Beato, dopo essersivestito, prese mantello e scodella ed entrònella città di Savatthi per la questua. Inquell’occasione un fuoco stava bruciando eun’offerta era stata preparata nella casa delbrāhmaṇa Aggikabhāradvāja. Allora ilBeato, mentre era in giro per la questua,giunse alla casa del brāhmaṇa. Il brāhmaṇanotando il Beato venire da lontano, gli disse:«Fermati lì, testa rapata, fermati lì monacomiserabile, fermati lì infimo fuoricasta».Sentendo queste parole, il Beato disse albrāhmaṇa: «Sai tu brāhmaṇa, chi sia unfuoricasta e quali siano le condizioni chedeterminano un fuoricasta?» «No, in verità,Venerabile Gotama, io non so chi sia unfuoricasta e quali siano le condizioni che lodeterminano. Voglia il Venerabile Gotamaspiegarmi il Dhamma in modo che io possasapere chi è un fuoricasta e quali sono lecondizioni che lo determinano».«Ascolta dunque, brāhmaṇa, fai moltaattenzione, vado a parlare».«Va bene, Venerabile» rispose il brāhmaṇa.

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T E S T IC A N O N I C I

desideri malsani, è egoista, falso, senzavergogna e paura (di commettere il male) —costui è un fuoricasta .

19. «Chi diffama l’Illuminato (il Buddha),o un suo discepolo, un asceta o un laico —costui è un fuoricasta.

20. «Chi, non essendo un arahant, unPerfetto, pretende di esserlo, è un ladrodell’intero universo — egli è il più vile fra ifuoricasta.

21. «Non per nascita si è fuoricasta; nonper nascita si è brāhmaṇa. Si diventabrāhmaṇa con le proprie azioni.

22. «Comprendilo attraverso questoesempio (il fatto che non per nascita si è unfuoricasta). C’era un figlio di un fuoricasta,Sopāka, di nome Mātanga.

23. «Questo Mātanga ottenne una cosìgrande fama, molto difficile da ottenere.Molti guerrieri (kṣatriya) e brāhmaṇaandavano a riverirlo.

24. «Guidando i carri celesti (il NobileOttuplice Sentiero) sulla strada del distaccodai desideri (Sopāka, ora un monaco),raggiunse il regno di Brahmā avendoabbandonato i desideri dei sensi.

25. «La sua inferiore nascita non gliimpedì di rinascere nel regno di Brahmā. Visono brāhmaṇa nati in famiglie di sapienti,conoscitori delle sacre scritture (Veda).

26. «Essi spesso hanno commesso azionimalvagie. Sono stati disprezzati in vita esono rinati in reami infernali. La loro altanascita non ha impedito loro di rinascere inun regno doloroso e durante la vita di esserebiasimati.

27. «Non per nascita si è fuoricasta; nonper nascita si è brāhmaṇa. Si diventabrāhmaṇa tramite le proprie azioni».Quando il Buddha terminò di parlare, ilbrāhmaṇa Aggikabhāradvāja disse al Beato:«Magnifico, Venerabile Gotama!Straordinario! Proprio come se si rivoltasseciò che era capovolto, si rivelasse ciò che eranascosto, si mostrasse la via a chi si erasmarrito, o si recasse una luce nell’oscurità inmodo che chi ha occhi possa vedere le forme,nello stesso modo il Venerabile Gotama —con vari metodi — ha reso chiaro il Dhamma.Io prendo rifugio nel Maestro Gotama, nelDhamma e nella comunità dei monaci.Possa il Venerabile Gotama accettarmi comeseguace laico che ha preso in lui rifugio, daquesto giorno e per tutta la vita».

Traduzione in inglese dalla versione pāli diPiyadassi Thera da The Book of Protection, byPiyadassi Thera (Kandy, Buddhist PublicationSociety, 1999), tradotto in italiano da EnzoAlfano. www.canonepali.net

Ildiscorsodelfuoricasta

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(la realtà ultima), con la sua completa padronanza della legge di patthā-na (la legge delle relazioni), in cui sono trattati gli infiniti modi di rela-zione tra momenti diversi di pensiero. Emersero allora dal suo corpobrillanti raggi di sei colori che, alla fine, si stabilizzarono come un’aureo-la di sei raggi colorati attorno al suo capo. Trascorse questo periodo dimeditazione di sette volte sette giorni senza cibo. È una cosa al di là del-la portata di tutti noi stare per 49 giorni senza cibo. Resta il fatto che luistette per tutto questo periodo su un piano mentale separato dal pianofisico in cui l’umanità vive normalmente. Nei mondi materiali sottili deiBrāhma non è il cibo materiale a sostentare l’esistenza materiale sottile eil continuum vitale degli esseri, ma piuttosto la pīti [1], che è già un nutri-mento di per sé. Questo era il caso anche del Buddha, la cui esistenzadurante questo lungo periodo si svolse più sul piano mentale che suquello fisico. I nostri esperimenti in questa linea di ricerca ci hanno fer-mamente convinto che per un uomo con lo sviluppo intellettuale e men-tale di un Buddha questo è possibile.

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Domenica scorsa vi ho tracciato un breve schizzo ― davvero bre-ve in realtà ― della vita del nostro Signore Buddha fino al con-seguimento della buddità. Oggi vi dirò quali sono i suoi insegna-

menti. Gli insegnamenti buddhisti sono conservati in ciò che noi chiamia-mo Tipiṭaka, una raccolta di testi che si suddivide nei Sutta (i discorsi), nelVinaya (le regole di disciplina per i Sangha dei monaci e delle monache) enell’Abhidhamma (gli insegnamenti filosofici). Il Tipiṭaka in pāli consistedi molti volumi che richiederebbero a un eminente studioso alcuni mesisolo per una lettura da cima a fondo. Perciò mi propongo, per oggi, di li-mitarmi solo all’essenziale, ossia alle fondamentali verità del buddhismo.

Prima che il Signore Buddha si assumesse il compito di diffondere ilDhamma (gli insegnamenti), rimase in silente meditazione per un perio-do continuativo di 49 giorni, ossia sette giorni sotto l’albero della bodhie sette giorni ciascuno in sei altri luoghi nelle vicinanze, a volte godendodella pace del supremo Nibbāna e a volte in meditazione, andando a in-vestigare in profondità i più delicati problemi del Paramattha Dhamma

Tratto dallaconferenza n.2

del 30 settembre1951.

[1] Pīti in Pali(Sanscrito: Prīti) è unfattore mentale (Pali:cetasika, Sanscrito:chaitasika) associatoalla trance meditativaderivante dallaconcentrazione(Sanscrito: dhyana;Pali: jhana) nellameditazionebuddhista. Pīti è unagioia molto specifica,associata allo statodi profonda quiete.Viene spessotradotta con «gioia»o «rapimento» e sidistingue dal piùduraturo «piacere» o«felicità» (Pali,Sanscrito: sukha) chesorge insieme a pīti.

Checosaè ilBUDDHISMOdi Sayagyi U Ba Khin

SECONDAPARTEProseguiamo a proporre gli insegnamentiche questo grande maestro laicobirmano ha offerto in una serie di conferenzeintroduttive al pensiero del Buddhache continuiamo pubblicare integralmente.Per la prima parte della conferenza consultateil n. 32 di Dharma.

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ogle.com

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canti di Ukkala che ebbero il privilegio di essere i primi di-scepoli laici del Buddha, furono discepoli solo per fede,cioè senza esperienza alcuna del Buddha Dhamma comepratica effettiva, la sola cosa che avrebbe potuto dare lorola liberazione dalla sofferenza e dalla morte. La fede è sen-za dubbio un requisito preliminare, ma ciò che conta dav-vero è la pratica. Il Buddha perciò disse: «Ognuno devepercorrere da sé la via; i Buddha la indicano soltanto» [3].

GLI INSEGNAMENTI DEL BUDDHAIl buddismo non è una religione secondo l’accezione

che il termine ha nel dizionario [4], perché non ha il fon-damento in un Dio causa di tutto come tutte le altre reli-gioni. Parlando strettamente, il buddismo è un sistema difilosofia coordinato con un codice di moralità fisica e men-tale, che ha come obiettivo l’estinzione della sofferenza edella morte.

Le quattro nobili verità insegnate dal Buddha nel suoprimo sermone, noto col nome di Dhammacakkapavattana-sutta (discorso della messa in moto della ruota delDhamma), formano la base su cui si fonda questo sistemafilosofico. E infatti le prime tre delle quattro nobili veritàespongono la filosofia del Buddha, mentre la quarta (il no-bile ottuplice sentiero che è un codice di moralità con filosofia) serve co-me un mezzo per un fine. Questo primo sermone fu rivolto ai cinqueasceti guidati da Kondañña, i quali erano stati suoi compagni nella ricercadella verità. Kondañña fu il primo discepolo a diventare in pratica unArahat (un essere nobile andato oltre i limiti di ogni contaminazione).Veniamo ora alle Quattro Nobili Verità. Esse sono:

1. Dukkha-sacca la verità della sofferenza;2. Samudaya-sacca la verità dell’origine della sofferenza;3. Nirodha-sacca la verità dell’estinzione della sofferenza;4. Magga-sacca la verità della via che mena all’estinzione

della sofferenza.Per raggiungere la completa comprensione dei concetti fondamentali,

nella filosofia del Buddha si sottolinea la necessità di comprendere la veri-tà della sofferenza. Per portare a casa questo punto il Signore Buddha af-frontò il problema da due differenti angolazioni.

In primo luogo, con un processo di ragionamento, fece capire ai disce-

� L A V I A D E L L A P R A T I C A �

[3] Dhammapada,v. 276

[4] L’Oxford EnglishDictionary dà, comedefinizione direligione: «Azioneo condotta cheindica la credenza,venerazione edesiderio dicompiacere unpotere divinoche sovrintendea tutto; esercizioo pratica di riti oosservanze che loimplicano;riconoscimentoda parte dell’uomodi qualche invisibilepotere che hail controllo degliumani destini e

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Che cosa è ilBUDDHISMO

Fu all’alba del 50º giorno della sua buddità che emerse dal lungo in-cantesimo meditativo. Non che fosse stanco o sfinito ma, poiché non sitrovava più sul piano mentale, avvertì desiderio di cibo. A quel tempo,due mercanti provenienti da una terra straniera, viaggiavano con molticarri carichi di mercanzie attraverso la foresta Uruvelā. Un deva della fore-sta, che era stato loro parente in un’esistenza precedente, li consigliò dicogliere l’opportunità di rendere omaggio al Buddha pienamente illumi-nato, che era proprio allora emerso dalla meditazione. Essi andarono cosìal luogo dove il Buddha stava seduto, illuminato dall’aureola compostadi sei raggi colorati. A questa vista non poterono resistere e si prostraronoal Buddha in omaggio e adorazione; poi gli offrirono come primo pastoalcune torte di riso al miele che portavano con sé. Fu così che vennero ac-cettati come discepoli laici. Alla richiesta di avere un segno in ricordo del-la loro adorazione, il Buddha diede loro otto capelli. Sarete sorpresi di ap-prendere che questi due mercanti, di nome Tapassu e Bhallika, erano diUkkhala [2], oggi conosciuta come Yangon, ossia la città in cui vi trovate inquesto momento. E la rinomata Shwe Da Gon, che voi tutti probabilmen-te avete visitato, è la pagoda in cui furono riposti tutti e otto questi capelli-reliquia, sotto la personale direzione del governatore di Ukkala del tem-po, 2540 anni fa. Essi sono sono stati conservati fino ad oggi dai successivire buddisti e devoti laici. Sfortunatamente, comunque, questi due mer-

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Sayagyi U Ba Khin nacque a Rangoon, in Birmania il 6 marzo 1899. Sebbenefosse un giovane dotato, le necessità familiari lo costrinsero ad abbandonaregli studi per andare a lavorare. Fu così che entrò nella pubblica amministrazione.Nel 1937 apprese la meditazione da Saya Thetgyi e - sebbene Webu Sayadaw,ritenuto dalla voce di popolo un arahant, lo avesse invitato fin dal 1941 aconsiderare la possibilità di insegnare la meditazione - fu solo dieci anni dopoche accettò formalmente questo ruolo.Nel 1950 fondò l’Associazione Vipassana della Ragioneria di Stato dove molticivili, per lo più pubblici funzionari, poterono apprendere la meditazione.Nel 1950 fu co-fondatore di due organizzazioni che in seguito si fusero perdiventare l’Unione Birmana per il Concilio del Buddha Sasana, istituzione chefu la principale organizzatrice del Sesto Concilio buddhista. Nel 1952 fondò ilCentro Internazionale di Meditazione a Rangoon.Dopo una carriera eccezionale nella pubblica amministrazione andò inpensione nel 1967. Da allora fino alla morte avvenuta il 19 gennaio 1971insegnò la meditazione vipassana all’IMC di Rangoon.

Il buddismo è un sistemadi filosofia coordinatocon un codice di moralitàfisica e mentale, il cuiobiettivo è l’estinzionedella sofferenza edella morte. Il discorsodella messa in motodella ruota del Dhamma,forma la base su cuisi fonda questo sistemafilosofico.

[2] Più comunementescritta Okkala, oggiYangon (Rangoon),in Birmania.

segue >>

� L A V I A D E L L A P R A T I C A �

A un osservatore qualunque un pezzo di ferro appare immobile. Loscienziato sa però che è composto di elettroni, tutti quanti in uno stato diperpetuo cambiamento o flusso. Se così è per un pezzo di ferro, quale sa-rà il caso di un organismo vivente, diciamo di un essere umano? I cam-biamenti che avvengono dentro il corpo umano devono essere ancora piùviolenti. L’uomo avverte le scosse e le vibrazioni dentro di sé? E lo scien-ziato che sa che tutto è in uno stato di cambiamento o flusso si accorgemai che il suo stesso corpo non è che energia e vibrazione? Quali sarebbe-ro le ripercussioni sull’atteggiamento mentale dell’uomo che introspetti-vamente vedesse che il suo stesso corpo non è altro che energia e vibra-zione? Per placare la sete una persona può facilmente bere un bicchiered’acqua presa dal pozzo di un villaggio; ma supponiamoche i suoi occhi siano potenti come microscopi: sicuramen-te esiterebbe a bere quella stessa acqua in cui vedrebbe imicrobi ingranditi. Nello stesso modo, quando una perso-na giunge alla realizzazione del perpetuo cambiamento cheavviene in lui (ossia anicca o impermanenza), bisogna chegiunga necessariamente alla successiva comprensione dellaverità della sofferenza come conseguenza dell’acuta sensa-zione prodotta dalla radiazione, vibrazione e frizione delleentità subatomiche percepite all’interno. In verità la vita èsofferenza dentro come fuori sotto ogni apparenza e comerealtà ultima.

Quando dico che la vita è sofferenza, come insegnò ilBuddha, siate così gentili da non andarvene con l’idea chese le cose stanno così la vita è miserabile, indegna d’esservissuta e che la concezione buddhista della sofferenza èun’idea terribile che non dà alcuna possibilità di una vitaragionevolmente felice.

Che cos’è la felicità? In seguito a tutte le conquiste mate-riali della scienza la gente del mondo è più felice? Può ve-dere i piaceri dei sensi andare e venire, ma nel profondodel cuore non è felice di ciò che è accaduto, di ciò che acca-de e di ciò che accadrà. Perché? Perché sebbene l’uomo do-mini la materia, difetta ancora di padronanza sulla sua pro-pria mente.

Il piacere derivante dalla sensualità non è nulla parago-nato alla pīti, ossia al rapimento estatico derivante dalla pa-ce interiore della mente, che si può ottenere tramite un pro-

Che cosa è ilBUDDHISMO

poli che la vita è una lotta, la vita è sofferenza; la nascita è sofferenza; lavecchiaia è sofferenza; la malattia è sofferenza; la morte è sofferenza. Mal’influenza della sensualità è tanto forte nell’umanità che la gente è nor-malmente disposta a dimenticare tutto ciò, a dimenticare il prezzo che de-ve pagare. Pensate solo un istante a come sia la vita nel periodo prenatale;a come, dal momento della nascita, il bambino debba lottare perl’esistenza; a quale e quanta preparazione ci voglia per affrontare la vita; acome, una volta divenuto uomo, debba lottare fino all’ultimo respiro.Potete molto ben immaginare che cosa sia la vita. La vita è, in verità, sof-ferenza. Più ci si aggrappa al sé, maggiore è la sofferenza. Nei fatti, però, idolori e i dispiaceri che un uomo deve sostenere sono rimossi a favore dimomentanei piaceri sensuali che altro non sono se non lampi di luce nelletenebre. Se non fosse per via di moha, ossia dell’illusione che lo tiene lon-tano dalla verità, l’uomo sicuramente si darebbe da fare per trovare unavia di emancipazione dai cicli di nascita, sofferenza e morte.

In secondo luogo, il Buddha spiegò ai suoi discepoli che il corpo uma-no è composto di kalāpa (microentità subatomiche), ciascuna delle qualicollassa simultaneamente col suo venire all’essere. Ogni kalāpa è unamassa composta dei seguenti elementi naturali:

1. Paṭhavī Estensione (letteralmente, terra);2. Āpo Coesione (lett. acqua);3. Tejo Radiazione (lett. caldo e freddo);4. Vāyo Moto (lett. aria);5. Vaṇṇa Colore;6. Gandha Odore;7. Rasa Gusto;8. Oja Nutrimento.

I primi quattro sono detti mahā-bhūta, ossia qualità materiali essenzialipredominanti in un kalāpa. Gli altri quattro sono meri sussidiari che di-pendono e nascono dai primi quattro. Un kalāpa è la più piccola parti-cella individuabile sul piano fisico. È solo allorché gli otto elementi na-turali, che hanno soltanto la caratteristica del comportamento, si radu-nano che si forma l’entità kalāpa. In altre parole, la coesistenza di questiotto elementi naturali di comportamento dà forma a una massa che nelbuddhismo è nota come kalāpa. Questi kalāpa, secondo il Buddha, Sonoin uno stato di perpetuo cambiamento o flusso. Non sono altro che unacorrente di energia, proprio come la luce di una candela o di una lampa-dina. Il corpo, come noi lo chiamiamo, non è un’entità solida come sem-bra, ma un continuum di materia coesistente con la forza vitale.

richiede obbedienza,venerazione eadorazione». Peressere applicabile albuddhismo sidovrebbe parlare di«devozione aqualche principio»,ma anche così èimportante escludereogni idea di un dio (oprincipio) creatore esignore dell’universo.Il buddhismoriconosce solo che ilfunzionamento dellamente e dellamateria possonoessere compresicome conseguenzadella legge di causaed effetto. IlDhamma, nel suosenso più elevato èquesta verità, cheogni Budhhariscopre e insegna.

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Grazie alla scienzala gente del mondoè più felice?Può vedere i piaceridei sensi andare evenire, ma nelprofondo del cuorenon è felice di ciòche è accaduto, di ciòche accade e di ciòche accadrà. Perché?Perché, sebbenedomini la materia,l’uomo difetta ancoradi padronanza sullasua propria mente.

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� L A V I A D E L L A P R A T I C A �

Samādhi (tranquillità della mente)retto impegnoretta attenzioneretta concentrazione

Paññā (saggezza introspettiva)retta aspirazioneretta comprensione

A) Sīla. I tre aspetti caratteristici di sīla sono:Sammā-Vaca retta parola;Sammā-Kammanta retta azione;Sammā-ājīva retti mezzi di sostentamento.Per retta parola s’intende una parola sincera, benefica e

mai cattiva né maliziosa. Per retta azione s’intendono i fon-damenti della moralità, che sono opposti all’uccidere, al ru-bare, all’errata condotta sessuale e all’ubriachezza. Per rettimezzi di sostentamento si intendono fonti di guadagno chenon incrementino la sofferenza degli esseri, come il com-mercio di schiavi, la fabbricazione di armi e il traffico didroghe e sostanze inebrianti. Questi tre rappresentano ingenerale il codice morale inizialmente esposto dal Buddhanel suo primo sermone. Più tardi, comunque, egli esposepiù ampiamente i concetti e introdusse codici di condottaseparati per i monaci e per i laici. Non vi tedierò con ciò che è stato pre-scritto ai monaci; vi farò semplicemente conoscere il codice morale, ovve-ro i precetti, che un laico buddhista è tenuto a rispettare. Questo è dettopañcasīla ossia cinque precetti, che sono:

1. Pānātipātā astenersi dall’uccidere qualunque essere senziente (la vitaè la cosa più preziosa per tutti gli esseri e nel prescrivere per questo pre-cetto la compassione del Buddha si estende a tutti gli esseri viventi).

2. Adinnādānā astenersi dal prendere ciò che non è dato (ciò serve comefreno a desideri impropri di possesso).

3. Kāmesu micchācāra astenersi da un’errata condotta sessuale (il de-siderio settore sessuale è latente nell’essere umano ed è irresistibile perquasi tutti, perciò la sregolata indulgenza sessuale è cosa che ilBuddha proibì).

4. Musāvāda astenersi dal mentire (questo precetto è incluso per adem-piere con la parola all’essenza della verità).

5. Surā-meraya astenersi dall’ebbrezza (l’ebbrezza fa sì che l’uomo

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Che cosa è ilBUDDHISMO

cesso di meditazione buddhista. I piaceri dei sensi sono preceduti e se-guiti da guai e dolori, come nel caso di un rustico che provi piacere nelgrattarsi le piaghe del corpo, mentre pīti è libera da guai e problemi,prima e dopo. Sarà difficile per voi, guardando dal punto di vista dellasensualità, comprendere a che cosa questa pīti assomigli, ma io so chevoi potete goderne e averne un assaggio per fare una valutazione com-parativa. Perciò non c’è nulla che giustifichi la supposizione che ilbuddhismo insegni qualcosa che vi farà sentire miserabili, soggetti al-l’incubo della sofferenza.

Date retta a me: il buddhismo vi fornirà una via d’uscita dalle nor-mali condizioni di vita, come un fior di loto in una pozza d’acqua cri-stallina immune dalle infocate circostanze. Vi darà quella pace interio-re che vi soddisferà e che otterrete, non solo al di là delle quotidianeturbolenze della vita, ma lentamente e sicuramente, oltre i limiti dellavita della sofferenza e della morte.

Qual è, quindi, l’origine della sofferenza? L’origine disse il Buddhaè taṇhā, ovvero la sete di sensazioni. Una volta seminato, il seme deldesiderio cresce in avidità e si moltiplica in libidine o brama di piace-re, di potere e di guadagni materiali. L’uomo in cui questo seme è se-minato diviene schiavo delle brame ed è automaticamente spinto a fa-re un’incessante fatica mentale e corporale per tenere il passo con esse,finché non viene la fine. Il risultato finale è sicuramentel’accumulazione di forze mentali negative generate dalle sue stesseazioni, parole e pensieri, motivati da lobha, il desiderio, e dosa, la rab-bia che agiscono in lui. Ancora, filosoficamente parlando, ad essere re-sponsabili di questa corrente di mente e materia che è l’origine dellasofferenza interiore, sono le forze mentali delle azioni, saṅkhāra, chenel corso del tempo reagiscono nella persona che le ha create.

LA VIA CHE PORTA ALL’ESTINZIONEDELLA SOFFERENZA

Qual è la via che porta all’estinzione della sofferenza? La via non èaltro che il Nobile Ottuplice Sentiero che il Buddha insegnò fin dalsuo primo discorso. Questo ottuplice sentiero si divide in tre parti princi-pali, ossia Sīla, Samādhi e Paññā.Sīla (i precetti morali):

retta parolaretta azioneretti mezzi di sostentamento

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Qual è, quindi, l’originedella sofferenza?L’origine disseil Buddha è la setedi sensazioni. Una voltaseminato, il semedel desiderio crescein avidità e simoltiplica in libidineo brama di piacere,di potere e di guadagnimateriali.

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rende pura e forte in modo di riuscire a godere della pace jhānica interiore?Allorché la pace interiore comincia a permeare la mente, di sicuro pro-

gredirete nella conoscenza della verità.Che lo crediate oppure no, è nostra esperienza che, con la guida adatta,

questa pace interiore e purezza di mente, unitamente all’esperienza dellaluce interiore, possa essere raggiunta da chiunque, non importa quale siail credo o la religione professata, a patto che abbia sincerità di intenti e siadisposto a sottomettersi alla guida per un periodo di prova.

Quando, con la pratica continuata, si sarà giunti alla completa pa-dronanza della mente, si potrà entrare negli stati jhānici (statid’assorbimento) e gradualmente evolversi per acquisire gli ottenimenti(samāpatti), che doteranno la persona di poteri sopranna-turale come quelli di Kāladevala, l’eremita che fu mae-stro del re Suddhodana. Ciò, naturalmente va fatto os-servando una moralità molto stretta e dimorando lonta-no dalle abitazioni umane ed è piuttosto pericoloso percoloro che portano ancora in sé tracce di passione.

In ogni modo, una pratica del genere, che dà poteri so-prannaturali nel campo mondano, non era incoraggiata dalBuddha il cui unico obiettivo per lo sviluppo del samādhiera di raggiungere la purezza e la forza della mente neces-sarie per la realizzazione della verità.

Nel buddhismo ci sono 40 metodi di concentrazione, ilpiù famoso dei quali è ānāpāna, ossia la concentrazione sulfiato che viene che va, il metodo seguito da tutti i Buddha.

C. Paññā. Signore signori ora affronteremo l’aspettofilosofico del buddhismo, col terzo stadio del nobile ot-tuplice sentiero, Paññā o saggezza introspettiva. Dueaspetti caratteristici di Paññā sono:

Sammā Saṅkappa retta aspirazione o retto pensiero;Sammā Diṭṭhi retta comprensione.

La retta comprensione della verità è lo scopo e l’obiettivodel buddhismo; la retta aspirazione o retto pensiero è lostudio analitico della mente della materia tanto dall’inter-no quanto dall’esterno, allo scopo di giungere alla realiz-zazione della verità. Avrete sentito parlare di nāma e rūpa,la mente e la materia, tante volte, ma ora io vi darò un’al-tra spiegazione.

Che cosa è ilBUDDHISMO

perda la equilibrio mentale e la lucidità che sono essenziali per la rea-lizzazione della verità).

Il pañcasīla perciò tende a controllare le azioni e le parole e a servirecome base per il samādhi, (l’equanimità della mente).

B. Samādhi. Signore e signori perveniamo ora all’aspetto mentaledel buddhismo che sono sicuro sarà di grande interesse per voi. Il se-condo stadio del nobile ottuplice sentiero, samādhi, comprende:

Sammā-Vāyāma retto sforzoSammā-Sati retta attenzioneSammā-Samādhi retta concentrazioneIl retto sforzo naturalmente è un prerequisito della retta attenzione per-

ché fino a quando non si fa uno sforzo deliberato per ridurre il raggio deipensieri generati dalla propria ondeggiante mente instabile, non ci si puòattendere di padroneggiare l’attenzione che a sua volta è essenziale perportare la mente, con la retta concentrazione, a uno stato di focalizzazionesu un punto solo e di equanimità (samādhi).

È a questo punto che la mente si libera dalle interferenze divenendopura, tranquilla, illuminata dentro e fuori. La mente in questo stato, dettosamādhi, diviene potente, brillante; interiormente si manifesta una luceche non è altro che un riflesso della mente, una luce che varia di grado, apartire dalla luce di una stella fino a quella del sole. Per essere espliciti,questa luce interiore che appare all’occhio della mente in completa oscuri-tà è una manifestazione della purezza, tranquillità e serenità della mente.

Gli indù praticano per raggiungerla: andare dalla luce nel vuoto e tor-nare indietro alla luce è lo scopo dei brahmani; nel nuovo testamento,Matteo parla di un «corpo pieno di luce» [5]. Sappiamo che anche i preticattolici meditano regolarmente per vedere questa stessa luce miracolosa.Anche il Corano dà molto risalto alla manifestazione della luce divina.

Questo riflesso mentale di luce è un segno della purità interiore dellamente e la purità della mente costituisce l’essenza della vita religiosa, perbuddhisti, indù, cristiani e musulmani. L’amore, che è il solo mezzo perunire il genere umano, dev’essere supremo, ma non potrà esser tale fin-ché la mente non sarà trascendentalmente pura. Ci vuole una mente equi-librata per riequilibrare le menti squilibrate degli altri. «Come un arciereraddrizza l’arco, così saggio raddrizza il pensiero, tremante e instabile dif-ficile da custodire, difficile da trattenere». [6]

Così disse il Buddha. L’esercizio della mente è necessario quantol’esercizio del corpo. Perché allora non dare alla mente quell’esercizio che la

[5] Mt VI, 23

[6] Dhammapada,v. 33.

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Che lo crediate o no,è nostra esperienzache, con la guidaadatta, questa paceinteriore e purezzadi mente, unitamenteall’esperienza dellaluce interiore, possaessere raggiuntada chiunque, a pattoche abbia sinceritàdi intenti e sia dispostoa sottomettersialla guida perun periodo di prova.

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Le passioni cessano del tutto solo quando si consegueil terzo grado di illuminazione (anāgāmi, ossia «uno chenon ritorna»).

Il grado supremo di arahat è la meta finale.A ogni grado dell’illuminazione il nobile può sentire co-

m’è il nibbāna, anche nella condizione umana, nella misurain cui può decidere di entrare nello stato di fruizione di so-tāpanna, in cui si sperimenta la pace nibbānica interiore.

Questa pace interiore, che si identifica con il nibbāna,non ha uguali, perché è ultramondana. Paragonata aquesta, la pace jhānica interiore che ho menzionato pri-ma esponendo il samādhi è cosa trascurabile, perché,mentre la pace nibbānica interiore porta oltre i limiti dei31 piani di esistenza, la pace jhānica è ancora all’internodi questi piani, e più precisamente, entro i piani di mate-ria sottili degli dèi raggianti, i Brāhma.

Signore e signori ancora una parola: ciò che ho dettocomprende solo alcuni degli aspetti fondamentali delbuddhismo. Con il tempo a mia disposizione spero diaver fatto del mio meglio per spiegarvi come:

raggiungere uno stato di purità mentale con la perce-zione della luce interiore,

entrare in uno stato jhānico a volontà,sperimentare di prima mano la pace nibbānica interiore.

Tutte queste cose sono alla vostra portata. Perché allora non tentare diraggiungere almeno i primi due di questi obiettivi che non sono incontrasto con la vostra religione? Io sono pronto a darvi tutto l’aiuto dicui possiate aver bisogno.

Voglio ancora esprimere la mia gratitudine a tutti voi per il pazienteascolto. I miei ringraziamenti vanno anche al clero della chiesa per laloro gentile ospitalità.

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Che cosa è ilBUDDHISMO

Nāma si chiama così a causa della sua tendenza a inclinarsi verso glioggetti dei sensi. Rūpa si chiama così per via dell’impermanenza do-vuta al perpetuo intrinseco cambiamento. I termini corrispondenti piùprossimi in italiano, perciò, sono mente e materia. Dico «prossimi» per-ché il significato non è esattamente lo stesso. Nāma, per la precisione, èil termine che si applica ai seguenti:

1. coscienza, viññāna2. sensazione, vedanā3. percezione, saññā4. energie volitive o forze mentali, saṅkhāraQuesti, insieme con rūpa (lo stato materiale) formano ciò che noi

chiamiamo pañcakkhandhā o cinque aggregati. È in questi cinque ag-gregati che il Buddha ha riassunto tutti i fenomeni mentali e fisici del-l’esistenza, la quale è, in realtà, un continuum di mente e materia co-esistenti, ma che la persona ordinaria crede sia la sua personalità oego.

In sammā sankappa (retta aspirazione) il discepolo, che a questo pun-to ha sviluppato la potente lente di samādhi, focalizza l’attenzione den-tro di sé e, con la meditazione introspettiva, procede a uno studio ana-litico della natura; prima di rūpa, la materia e quindi di nāma, la men-te e delle proprietà mentali. Egli sente ― e a volte anche vede ― ikalāpa nel loro vero stato e comincia a rendersi conto che sia rūpa sianāma sono in uno stato perenne di cambiamento, impermanenti e flut-tuanti. A mano a mano che il potere di concentrazione aumenta, la na-tura delle forze diviene sempre più evidente e non potrà più liberarsidall’impressione che i pañca-kkhandā o cinque aggregati sono sofferen-za, entro la legge di causa ed effetto. Egli ora si convince che in realtàtutto è sofferenza, dentro e fuori, e che una tal cosa come un ego nonesiste. A questo punto anela a uno stato oltre la sofferenza.

Ed è così che, infine, andando oltre i lacci della sofferenza, si spostadallo stato mondano a quello sopramondano ed «entra nella corrente»di sotāpanna, il primo dei quattro gradi degli ariya (nobili, o illumina-ti). Diviene così libero:

1) dall’ego2) dal tentennamento e3) dall’attaccamento a riti e rituali.Il secondo grado di illuminazione è lo stato di sakadāgāmī, ossia colui

che «ritorna una volta sola». Pervenendo a questo grado, la brama el’avversione si attenuano.

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A mano a mano cheil potere diconcentrazioneaumenta, il discepolosi convince chein realtà tuttoè sofferenza, dentroe fuori, e che unatal cosa come un egonon esiste. A questopunto anela a uno statooltre la sofferenza.

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benché timido rintocco a festa delle campane dell’imponente cattedrale goticadi Saint-Pierre e Saint-Paul che custodisce la tomba di Francesco II diFrancia, ma trovando, sul far del mezzogiorno, la città semivuota. Tutti almare? No. Qui all’estrema periferia di Saint Erblain, fuori e dentrol’immenso catino dello Zenith Metropole, tra migliaia e migliaia di giovani enon più giovani, si respira l’aria dei grandi festeggiamenti. Quelli delle grandioccasioni, dei grandi incontri. Oggi è il giorno di Sua Santità il Dalai Lama.Su invito dei Centri di Dharma Dashang Vajradhara Ling(www.vajradharaling.org) , Pel Drukpay Tcheutsok (www.drukpa.eu),e il Centro Studi di Chanteloube (www.chanteloube.asso.fr), Sua Santitàil Dalai Lama ha accettato d’insegnare dal 15 al 20 agosto 2008 a Nantes,nella Francia Occidentale (www.oceandesagesse.org/). Nell’immensa saladello Zenith Metropole, oltre diecimila persone hanno dato il sorridentebenvenuto a Sua Santità. Vi proponiamo alcuni passi della conferenzapubblica e dei suoi insegnamenti.

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D opo aver attraversato tutta la Svizzera e la Francia col nostro camperdi vecchia data ma ancora in forma e aver preso tant’acqua a catinelleda pensare d’essere entrati in una specie di stagione delle piogge della

Vecchia Europa, dopo essere stati flagellati da tanto ma tanto vento e benpoco sole (quasi mai, e sempre per sbaglio) ed essere passati dalla piena estatemediterranea all’autunno continentale, oggi, giorno di Ferragosto inBretagna, finalmente il sole s’è fatto coraggio e brilla e il vento del vicinissimoAtlantico, pur non smettendo di soffiare, sembra finalmente sorridere allemigliaia e migliaia di francesi qui convenuti in festa. Ma non sono venuti perla ricorrenza dell’Assunta, bensì per Sua Santità il XIV Dalai Lama.A metà mattina abbiamo attraversato in camper Nantes, senza udire il

Realizziamo la pace esteriore a partire da quella interioresenza innalzare delle barriere, perchè ciascuno di noidesidera le stesse cose che desiderano tutti. Conferenza pubblica

e insegnamenti15-20 agosto 2008Zenith Metropole(Nantes).Trascrizione a curadi Luciano Villa,Graziella Romaniaed AlessandroTenzin Villa, delCentro StudiTibetani Sangye

di Tenzin Gyatso, XIV Dalai Lama

LA PACE interiore è la viadella COMPASSIONE

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Tutti gli esseri senzienti han-no le medesime caratteristi-che; oggi parliamo di comerealizzare la pace esteriore apartire da quella interioresenza innalzare barriere tranoi. Ciascuno desidera ciòche desiderano tutti, questoè l’argomento del giorno.Tutti noi abbiamo il sentimento dell’io, anche se non lo abbiamo sem-pre presente, o non lo possiamo sempre comprendere, o non possiamosempre rendercene conto. Dal sentimento dell’io si sprigiona il deside-rio che genera la sofferenza. Tutti nutrono il diritto di desiderare unavita felice e priva di sofferenza, ma nello stesso tempo vanno incontroa enormi difficoltà.In linea di massima possiamo distinguere due categorie di sofferenza:la prima di tipo fisico, come la malattia, la vecchiaia; per esempio quan-do si ha difficoltà a udire, a muoversi… tutto ciò genera sofferenza.La seconda categoria, la più importante, è la sofferenza mentale.Per esempio, possiamo non avere alcun problema di tipo fisico, possia-mo possedere ogni ricchezza, o, quantomeno, non avere problemi diordine finanziario, ma, mentalmente, essere afflitti da dubbi, incertez-ze, preoccupazioni; il che genera stress ed è fonte di solitudine e di de-pressione. Di qui nascono la paura, l’invidia; da qui si genera la rab-bia. Perciò, a livello mentale, possiamo riconoscere che esiste un’infeli-cità molto più profonda, molto più radicata.La disponibilità materiale, anche attraverso i farmaci, può vincere lasofferenza di ordine fisico, ma il potere della ricchezza, connesso allostress, non potrà mai di per sé portare alla pace interiore. Talvolta unamaggiore ricchezza è sinonimo di maggiori preoccupazioni ed è gene-ratrice di alterigia da cui scaturiscono ancora più stress e depressione.Pertanto la soddisfazione mentale non dipende tanto dalla disponibili-tà di beni materiali, ma dalla nostra pace interiore. Talvolta possiamoosservare persone che possiedono davvero poche cose, ma che tuttaviasono felici. Il comfort, la vita agiata, sono in grado di soddisfare i no-stri desideri contingenti, ma lo sviluppo dell’attitudine interiore deveguidare il comportamento esteriore. Non dimentichiamo che siamo ingrado di ottenere grossi successi nei confronti della sofferenza fisica:siamo in grado di sopportare, anzi di vincere il dolore fisico, ma non

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LA PACE interiore è la viadellaCOMPASSIONE

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A lcune persone sono venute per curiosità o solo per dare un oc-chiata, mentre altre sono giunte qui nutrendo aspettative. Ilche non è realistico. Perché non ho nulla di speciale da offrire.

Semplicemente offro la mia esperienza.Qualcuno pensa, infatti, che il Dalai Lama detenga poteri miracolosi.Si sbaglia; io non ho alcun potere miracoloso né dal punto di vista fisi-co, né mentale, né emozionale. Per gli stessi motivi, siamo tutti esserisenzienti. E, quando penso a me stesso, non mi considero altro che unessere umano, non un buddista o un tibetano. Sono semplicemente unessere umano.Ognuno di noi dovrebbe considerare se stesso semplicemente come unessere umano. Sento dire, certe volte, «Io sono buddhista, io sono tibe-tano», in questo modo creiamo fra noi barriere artificiali. Che siatebuddhisti o tibetani, cristiani o musulmani, credenti o non credenti, diqualsiasi religione, intendo rivolgermi a tutti, e intendo dire che occor-re porre le condizioni per una vera pace.Sono venuto qui anche per rispondere alle vostre domande, perché do-mande e risposte possono rivelarsi molto utili come fonte di nuove idee.

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Tenzin Ghiatso, XIV Dalai Lama nato nel 1935 in un piccolo villaggiodell'Amdo a due anni fu riconosciuto come XIV Dalai Lama,Capo Temporale del Tibet. A sedici anni assunse il pieno potere, cercando pernove anni un compromesso con il governo cinese. Nel marzo del 1959,in seguito all'invasione del Tibet, fu costretto a fuggire da Lhasa,seguito da più di 100.000 profughi. Dopo un drammatico viaggio arrivòin India dove ottenne asilo politico. Dal 1960, Tenzin Gyatso vive a Dharamsala,nell'India settentrionale, dove svolge un'instancabile attività in difesadel suo popolo e della preservazione della sua cultura. S.S. il Dalai Lamaha praticato la politica della non-violenza, un'attitudine che lo ha portatoad essere insignito del Premio Nobel per la Pace, nel dicembre 1989,primo cittadino asiatico a ricevere tale riconoscimento.Da decenni instancabilmente viaggia per il mondo per trasmettereil Dharma e per sostenere la causa del popolo tibetano. Nonostante la famache lo circonda e i suoi grandi meriti ama definirsi e firmarsi moltosemplicemente: Tenzin Gyatso, monaco buddhista.

La disponibilità materiale,anche attraverso i farmaci,può vincere la sofferenzadi ordine fisico, ma il poteredella ricchezza, connessoallo stress, non potràmai di per sé portare allapace interiore.

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Un amico mi ha riferito che èarrivato al punto di conside-rare la famiglia come zona dipace. Così quando c’eranodifficoltà si rivolgeva all’altrodicendogli: «Se vuoi litigaredobbiamo andare fuori, usciredalla zona di pace». In questomodo i litigi cessavano.Dire che la pace interiore è la via della compassione significa trovareun modo pacifico di risolvere i conflitti. La vita degli altri è preziosaquanto la nostra, sviluppare comprensione e altruismo significa trova-re una soluzione ragionevole ai problemi. Se osserviamo la realtà inmodo globale ci rendiamo conto che siamo tutti interdipendenti e chele cose cambiano.Un amico tedesco mi confidò che da giovane gli avevano messo in te-sta che ogni francese era suo nemico, il che dipendeva da tre gravissi-me guerre. Ora Germania e Francia sono praticamente unificate. Le co-se cambiano: siamo di fronte a una nuova realtà. La realtà collettiva èmolto più importante di quella individuale ed è molto più importantepensare a sei miliardi di persone come ad un’unica, enorme famiglia.

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LA COMPASSIONE È UN FATTO BIOLOGICOOra parliamo di compassione; la compassione è un fatto biologico.È necessaria per sopravvivere. Se le madri non si prendessero curadei figli questi non sopravvivrebbero. Gli esseri umani, prima anco-ra di nascere, sono completamente dipendenti dagli altri, dall’amore edalle cure dei genitori fin dalle prime ore di vita. Esperimenti scientifi-ci condotti sulle scimmie, separandole dalle madri, hanno mostratoche i piccoli cresciute senza l’affetto della madre diventavano isterici eavevano paura di tutto. Viceversa, quelli cresciute con la madre eranosempre giocosi e creativi. Il bisogno di cure parentali e da parte deglialtri è un bisogno che contraddistingue tutti, è il bisogno dell’altro.Il primo aspetto della compassione è la cura; la compassione è un emo-zione fisica oltre che un fatto biologico, che aiuta la mente a rimanerepiù salda, con meno paure. Pensiamo al rapporto fra infermieri, medi-ci e pazienti. I primi mostrano vera dedizione e preoccupazione, men-

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LA PACE interiore è la viadellaCOMPASSIONE

quello mentale. Viceversa, le persone vengono colpite di più a livellomentale; la sofferenza mentale può abbattere le capacità intellettuali,precipitando la persona in una spirale di preoccupazioni, stress e de-pressione.Dobbiamo renderci conto che tutto ciò è fondamentalmente creato dal-la mente umana. Principalmente esistono due tipi di emozioni: negati-ve e positive. Le seconde, se sorrette dalla calma e dalla tranquillitàfanno scaturire la pace interiore. Sono le emozioni della compassione edel perdono. Perché anche le persone che vi hanno creato problemipotranno trovare pace dalla compassione e dal perdono. Viceversa, leemozioni negative sono molto nocive per la pace mentale. Sono leemozioni distruttive come la rabbia e l’odio. Queste creano conseguen-ze dal punto di vista fisico e sono all’origine di azioni nocive; per que-sto motivo le chiamiamo emozioni distruttive.

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ALLA RICERCA DELLA COMPASSIONEL’intelligenza è un’arma a doppio taglio, che può originare stress edepressione. La maggior parte dei problemi di cui soffriamo sonoprodotti dalla nostra intelligenza. Non dimentichiamo le due catego-rie di emozioni: quelle distruttive (la collera e l’ira) e quelle positive (lacompassione e il perdono). Il dolore interiore deriva dall’incapacità digestire le emozioni negative, ma la pace interiore non equivale all’as-senza di violenza. È pace che non deriva dalla paura, altrimenti nonsarebbe pace vera. È l’abitudine a trovare soluzioni positive alle con-traddizioni. È un senso di comprensione dei problemi altrui e di ri-spetto dei diritti delle altre persone.Ricordiamoci come siamo felici quando qualcuno viene a darci unamano. Se cerchiamo di risolvere i problemi esteriori con la pace, con lacalma interiore, che deriva dalla conoscenza profonda, allora saremoin grado di risolvere qualsiasi conflitto. Ora dobbiamo considerare chetutto è interdipendente, i problemi globali dell’ambiente o dell’econo-mia. Quindi mettiamo in pratica il massimo rispetto per gli altri, consi-derandoli come parte di noi stessi; a questo punto, dal riconoscimentodegli stessi diritti e delle stesse esigenze per tutti gli esseri senzientinasce la compassione. Cominciando dalla famiglia, dalla comunità checi è più vicina, dalla nostra città, dal nostro Paese, la compassione siespande in dimensioni più ampie.

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Anche le persone che vihanno creato problemipotranno trovare pace dallacompassione e dal perdono.Viceversa, le emozionidistruttive come la rabbiae l’odio, sono moltonocive per la pace mentale.

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in via di sviluppo otterrebbe-ro benefici grazie alla realiz-zazione di processi di unifi-cazione. Siamo tutti sullostesso pianeta, questo lo dob-biamo sempre tenere presen-te. E dobbiamo pensare il no-stro pianeta come una solafamiglia, perciò dobbiamo cercare la pace nella pace.Domanda: «È sicuro che la non violenza sia l’arma più adatta per di-fendere il buddhismo tibetano dall’intolleranza cinese?».Risposta del Dalai Lama:«Certo. Lo penso al 100%. La violenza non è il modo di risolvere i con-flitti, solo il dialogo porta frutti. La forza non risolve i problemi, portasolo sofferenza, e la forza militare in special modo non risolve certo iproblemi. Il secolo scorso è stato un secolo di guerra e di violenza conmilioni di persone morte per la guerra. Invece, molti cambiamenti, pen-siamo all’Unione Europea, sono venuti non per la violenza,ma per lacomprensione, per il dialogo, per la caduta delle barriere. Questo deveessere il secolo del dialogo per trovare delle soluzioni ragionevoli.Domanda: Anche lei qualche volta si arrabbia?Risposta: «Sì certo! Per questo dobbiamo stare attenti! Un’osservazione:ricordiamoci dei due punti che abbiamo menzionato in precedenza: leemozioni costruttive (compassione e perdono) e distruttive (odio erabbia). Chi trova d’interesse questi due punti, ci pensi e li realizzi nel-la propria vita quotidiana. Viceversa, chi non li dovesse trovare moltoimportanti, li dimentichi pure».

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LA PACE interiore è la viadellaCOMPASSIONE

tre i medici talvolta possono rivelarsi grandi esperti nelle loro discipli-ne scientifiche, ma talvolta finiscono per preoccuparsi troppo dell’a-spetto scientifico a discapito di quello affettivo.Finora abbiamo analizzato vari problemi, ma se ci rendessimo contoche alcuni problemi sono fuori dal nostro controllo e non potessimofarci niente, perché allora dovremmo preoccuparcene?I problemi sorgono quando, invece di sentirsi avvolti della compassio-ne, le persone hanno la sensazione di essere sfruttate dagli altri. Quinascono i problemi.Un famoso scienziato mi disse che, quando un soggetto prova rabbia,inevitabilmente tutto ciò che percepisce gli appare in modo negativo, eil 90% delle sensazioni negative che avverte dipendono unicamentedalle sue proiezioni mentali. E, viceversa, succede così per tutto ciòche oltre modo ci aggrada. Allora, dov’è la realtà? Se ci rendiamo con-to di essere avviluppati dall’ignoranza, ci rendiamo conto anche che ilnostro approccio è illusorio, perché non conosce la realtà, perché pervia della rabbia non possiamo vedere la realtà vera. Per investigare og-gettivamente la nostra mente dobbiamo essere calmi.Abbiamo visto che la compassione e l’altruismo sono il carburante delnostro benessere interiore e la scienza ci conferma che questo compor-tamento irrobustisce anche il sistema immunitario.Crescendo, con gli anni il fattore biologico della compassione, che ciha circondato nei primi anni di vita, diminuisce. A quel punto, dobbia-mo far uso della compassione utilizzando la ragione, dobbiamo alle-narci tramite l’educazione alla saggezza. Per questo motivo occorronopiù formazione, più istruzione come fattori-chiave dello sviluppomentale, ma sempre uniti alla compassione.

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PACE ESTERIORE E DISARMO INTERIOREPer sviluppare la pace mondiale occorre il disarmo esterno: per lomeno non dobbiamo entrare in conflitto con gli altri. Ma, per rea-lizzare la pace esteriore, dobbiamo realizzare il disarmo interiore.Come hanno fatto la Francia e la Germania che hanno unificato le forzearmate. E l’Unione Europea dovrebbe spostare i propri confini più adEst, comprendendo i territori dell’ ex Unione Sovietica, facendo diven-tare Mosca una delle sue capitali, così non scoppierebbero conflitti co-me quello della Georgia. Ma anche l’Africa e la maggior parte dei Paesi

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Siamo tutti sullo stessopianeta, questo lo dobbiamosempre tenere presente.E dobbiamo pensareil nostro pianeta come unasola famiglia, perciòdobbiamo cercare la pacenella pace.

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«Per molti giapponesi, Zen è una delle vie che conducono alla cono-scenza, all’armonia suprema, ad una meta che affiora nella profonda vitainteriore, quando la “personalità», considerata come effimera illusione,non offre più alcuna presa alla mutabilità dei fenomeni. Ciò per noi, usisovente a considerare la religione come una specie di abito ed a ritenerel’ascesi una possibilità esclusiva degli asceti apparirà oscuro e incom-prensibile...». (Valentino di San Marzano).

Ma io credo che anche per noi sia venuto il tempo di un nuovo tipo diasceta e non è più possibile restare isolati sulle montagne o nei conventi.Si può e si deve stare soli per un po’, per guardare bene nel profondo disé, questo è vero, ma poi si torna fra gli altri. La vita non è isolamento,ma è anche salire sul tram e sull’aereo con gli altri, fermare l’auto al se-maforo rosso per fare passare quelli che hanno il verde, dormire in stan-ze di alberghi su letti ove migliaia di altri corpi hanno riposato prima dinoi. La vita è sposarsi e vivere con la stessa persona fino alla morte, èavere lo stesso lavoro, gli stessi colleghi superiori o inferiori. Noi stessi, enon i nostri padri e antenati, ma noi, ci siamo organizzati attraverso leetà per arrivare al punto in cui siamo ora, ad una società massificata do-ve l’individualismo deve essere messo da parte. Non l’individualismosterile, affiorante nelle numerose manifestazioni di pappagallesca strava-ganza, ma tutto ciò che c’è di spirituale nell’uomo e che non riesce ad af-fiorare completamente perché viene soffocato dalla massa, la quale èmaggiore produzione, maggiore confort, benessere, forza, sicurezza.

«Nonostante tutte le prodigiose e mirabolanti invenzioni e scopertescientifiche in tutti i campi e una tecnica che va sempre più perfezionan-dosi, frutto di una civilizzazione in continuo sviluppo, il dolore esiste

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I l giapponese è un popolo che generalmente non si interessa dellareligione come invece avviene per l’occidentale, ebraico, cristiano oper il mussulmano. A parte qualche moderna associazione religiosa a

carattere nazionalistico e proselitistico, la religione è forse l’unico prodot-to che i giapponesi non hanno provato ad esportare.

Ciò non significa che, non interessandosi della religione nel modo oc-cidentale, non sia religioso in un’altra maniera. I giapponesi sono moltopratici e questo viene loro da tutto l’insieme che comprende il culto dellanatura shintoista, osservanza delle regole del confucianesimo e contem-plazione dell’universo come vuoto del buddhismo.

Anche in Giappone ci sono stati e ci sono tutt’ora, molti di quelli che sisono ritirati sulle montagne o nei monasteri per realizzare il fine ultimo;ma, per i giapponesi, l’esperienza spirituale della religione (non solo ilculto della religione) ovvero ciò che la rende valida, doveva essere allaportata di tutti. Così sono state ideate le numerose Arti o Dō per mezzodelle quali, e perfezionandosi nella loro pratica, si potesse averel’esperienza, seppure limitata nel tempo, del risveglio alla Verità Dō, so-no state così il mezzo di ascesi di tutti, perché anche nei tempi più oscurie difficili c’era sempre la possibilità di immettersi nella Natura anche be-vendo una tazza di the, componendo un ikebana o lasciandosi trascinaredal pennello nello scrivere un haiku (breve, o Satori.

Queste Dō, sono state così il mezzo di ascesi di tutti, perché anche neitempi più oscuri e difficili c’era sempre la possibilità di immettersi nellaNatura anche bevendo una tazza di tè, componendo un ikebana o la-sciandosi trascinare dal pennello nello scrivere un haiku (breve, o Satori.poesi poesia di cinque-sette-cinque sillabe).

Tratto daLE MANI E I PIEDI

DEL BUDDHAEd. ScaramucciaMonastero Chan

di Engaku Taino

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ALTRE VIEdaPERCORRERE

Utilizzare lo sport, sci o arrampicata,come mezzo spirituale è una proposta che rompegli schemi comuni che legano la spiritualitàall’ascesi e allo stare seduti. Ma è unavia che ci immette nella Natura e ci apre a nuoviorizzonti fuori e dentro di noi.

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non so il suo nomesforzandomi la chiamo Tao e sforzandomi la chiamo Taoe sforzandomi la chiamo grande…»L’importante è arrivarci anche per un solo momento, attingere ad esso

è capire che esso è in tutte le nostre attività. Allora si potrà tornare allanostra attività di tutti i giorni rinnovati e essere capaci di sorridere e disoffrire, di mangiare e di digiunare, di amare e non essere amati, mante-nendo in noi una calma duratura superiore a tutto...

E andando in mezzo alla gente non si sarà notati per le vesti strane, lelunghe capigliature o la testa rasata e gli atteggiamenti stravaganti, per-ché si sarà come tutti gli altri. Ma se qualcuno osserverà con più attenzio-ne noterà la calma, il viso disteso, quel camminare come si fosse fra cieloe terra, quel sedere, parlare e ascoltare con una perfetta naturalezza pro-pagante un senso di bellezza, di forza e di sicurezza.

«Il Maestro perfetto dimostra all’evidenza, non con parole, ma col suocomportamento, ad ogni passo, la sua mancanza di timore; lo si vedeguardandolo e se ne resta colpiti profondamente». (E. Herrigel).

Lo sci è divertimento, respirare aria buona, trovarsi in comitiva, misu-rarsi con gli altri, con i pali da slalom, con i pendii ripidi, col vento e congli alberi dei boschi, diranno tanti. Ed è vero! E io pure dico che bello ècontinuare a sciare così, usando questo sport come una gioiosa valvola discarico dei fardelli della vita cittadina. E per tutti questi, spero vivamenteche valgano gli insegnamenti puramente tecnici del libro.

Ma ci può essere qualcuno il quale, come il Buddha ai suoi tempi e co-sì tanti, tantissimi altri dopo di Lui, oltre a tutto quello che ha già e cheforse lo soddisfa pienamente, vuole qualche altra cosa anche se non saancora che cosa sia esattamente.

A questi, il Buddha dice che esiste una via alla perfezione e che essa èlunga ed ardua, è stato già detto. Ma c‘è un momento della propria vitain cui si capisce che, malgrado questa via sia piena di difficoltà, essa èl‘unica che valga veramente la pena di essere percorsa.

MAESTRO E ALLIEVOLo sci alpino è iniziato sulle Alpi circa settanta anni fa e fu pratica-

to inizialmente da quei cittadini benestanti che erano gli stessi cheavevano praticato l‘alpinismo. Essi andavano nelle alte valli e si valeva-no dell‘opera dei montanari, i quali, per amore verso la montagna e allaricerca di una fonte di guadagno più redditizia, impararono dei nuovi

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ALTRE VIEdaPERCORRERE

sempre e ovunque. L‘angoscia esistenziale, che colpisce l‘uomo modernoin forma ancora più acuta che nel passato, sta a dimostrare che il benes-sere non è sufficiente a sciogliere i suoi problemi più profondi e, anzi, chela civilizzazione, creatrice di sempre nuovi bisogni, non fa che esacerbaree accrescere la sua infelicità». (Yamada Mumon)

Quanti sono quelli che riescono a essere felici nel salire sullo stesso au-tobus ogni giorno e dire lo stesso buon giorno, col sorriso, come se fossesempre il primo giorno di lavoro e lavorare con lo scatto e l’interesse chec’era all’inizio? Non molti, ne sono certo, e sono veramente rari quelli chetraggono da questo tran tran giornaliero la gioia che si trae invece daigiorni di festa, quando si può andare liberi a fare ciò che piace. Ah, i visitristi, del lunedì! ...

Poi c’è il tempo dedicato al riposo e allo svago, quando leggiamo libri,vediamo film, ascoltiamo musiche, pratichiamo sport, beviamo alcool eora abbiamo anche le meravigliose droghe che si dice offrano paradisimai raggiunti prima. Il tutto, quasi sempre, per un bisogno di nuovo, diricerca di felicità e di evasione. Di tanto in tanto, di questi tempi, moltospesso, si hanno nuove musiche, nuove tecniche, nuove mode, e, anchese all’inizio, possiamo essere spaesati siamo anche attratti per un deside-rio di nuovo e di diverso. Poi, però, con la ripetizione e così con la finedella novità c’è di nuovo la noia. Tutti quanti ci siamo chiesti se non ci siaqualcosa che si possa fare sempre e non annoi mai, che ci dia «sempre»la gioia, che sia «sempre» nuova.

Il Signore Gesù Cristo disse alla donna samaritana che gli tirò sul’acqua dal pozzo: «Io ho un’acqua che bevuta non si ha più bisogno dibere le altre». Ed anche io dico che c’è quell’acqua e si può cercarla comin-ciando a lavorare da ciò che piace, dallo sci, per esempio, ed applicarsi adesso con quella costanza e quella forza che ci facciano superare la soffe-renza che viene dall’ascesi e dalla ricerca della perfezione in sé stessi. Perentrare così in quel serbatoio che è al di là del Bello e del Brutto, del Benee del Male, del Noioso e dell’Interessante, quel serbatoio immenso chepuò essere chiamato con tanti nomi: Natura di Buddha, Tao, Dio, Vuoto,Assoluto, il nome non è importante. Lao Tse dice nel Dao Te King:

«Vi è qualcosa di indefinibileNata prima del Cielo e della TerraTanto silenziosa e senza forma,assoluta e immutabilegira e non fa dannipuò essere la madre del Cielo e della Terra;

Credo cheanche per noisia venutoil tempo diun nuovo tipodi asceta e nonè più possibilerestare isolatisulle montagneo nei conventi.Si può e sideve stare soliper un po’,per guardarebene nelprofondodi sé, questoè vero, mapoi si torna fragli altri.

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Luigi Mario,Engaku TainoNasce a Roma nel1938. Appassionatodella montagnafin dagli annigiovanili, GuidaAlpina nel 1959,maestro qualificatodi sci nel 1965,e di arrampicatanel 1985. Neglianni sessantava in Giapponee viene accettato,nel Monastero diShofuku-ji di Kobedivenendo servitorepersonale del RoshiYamada Mumon,da cui l’8 aprile del1971 viene ordinatomonaco conil nome di EngakuTaino. In Giapponesposa Kiyoka nel1973 e, nellostesso anno, tornadefinitivamentein Italia. Restauraun vecchio casalenella campagnaorvietana:è il primo semedi Scaramuccia.Nel 1985 si laureain Filosofia aPadova con unatesi su Lin Chi.

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mente diversi da noi. Essi sono in cielo. Questo è semplicistico, è vero,ma è l‘idea cristiana che si ricava dalle parole dette e la persona normalene ha una visione simile. Dio può fare cose che nessun altro può fare ecosì il suo Figliolo. Essi sono soprannaturali. Essi sono nati «imparati».

Nel buddhismo, che come ho detto è un termine inventato, c‘è ilBuddha Shakyamuni, il quale da uomo come tutti gli altri ha ottenutoper mezzo dei suoi propri sforzi l‘illuminazione suprema e ha realizzatola non differenza fra lui e ogni altra cosa o Dio nell‘Universo intero. Edinsegna che non esiste nessun principio assoluto. Tutto è divenire:l‘uomo, l‘Io, la vita, e il karma. Tutto è soggetto al divenire, muore e rina-sce, si trasforma come una fiamma che arde in profondità ed è sempreeguale o diversa secondo il combustibile. Poi ha spiegato a noi come si faad ottenere ciò che egli ha ottenuto. Egli non è nato «imparato», ma haimparato a poco a poco.

Così noi occidentali, allevati in una civiltà ebraico-cristiana con in-fluenze più o meno pagane e passando per qualche medio evo abbiamoassorbito, inconsciamente, l‘idea che ci sia qualcosa riservata agli dei ecui l‘uomo non potrà mai arrivare. Tra gli allievi che ho avuto in Italia ein Canada, non c‘è stato quasi nessuno che pensasse veramente di poterarrivare al livello sciistico del maestro. I maestri sono i maestri, ossia glidei; gli allievi, ovvero i clienti, sono destinati in genere a essere il più alungo possibile clienti.

In Giappone, anche se nello sci c‘è un rapporto maestro-cliente al cin-quanta per cento e un rapporto maestro-allievo per l‘altro cinquanta percento, il solo fatto di divenire discepoli di un‘arte significa che, se si con-tinuerà su quella strada, si diventerà maestro, perché è la stessa stradapercorsa dal proprio maestro e da tutti i maestri prima di lui.

Si può capire allora l‘importanza sostanziale di un maestro, perché permezzo dei libri, di qualsiasi genere siano, è impossibile arrivare alla mae-stria. I libri sono utili per darci indicazioni e per farci sapere a chi rivol-gerci, ma poi, quando vogliamo veramente incamminarci per la stradache porta lontano dovremo essere guidati dal nostro maestro.

Egli ha già percorso quella strada e conosce anche il cuore dei suoi al-lievi. E non si può ricevere il sigillo della maestria se non da chi la mae-stria l‘ha conquistata già. Essa viene trasmessa da cuore a cuore, così co-me una candela ne accende un‘altra.

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ALTRE VIEdaPERCORRERE

mestieri e divennero automaticamente le guide delle loro montagne e imaestri di sci sui loro campi coperti di neve.

Il rapporto fu quasi sempre impiantato su una base economica e, aparte particolari simpatie, fu sempre soltanto uno scambio fra maestro ecliente e non una comunione fra maestro e allievo. Il cliente era in genereil «signore», e, soprattutto nei primi tempi, di levatura culturale superio-re al maestro. I maestri hanno poi lavorato molto per migliorare la pro-pria cultura riuscendo a porsi in molti casi sullo stesso piano del cliente,ma malgrado ciò il rapporto è rimasto ancora uno scambio.

Inoltre, fatto anche molto importante, i montanari iniziano in genere asciare molto presto (si può anche scherzare dicendo che alcuni imparanoa sciare ancora prima di imparare a parlare) e si può dire che siano nati«imparati». Essi non hanno «imparato» a sciare e di conseguenza nonhanno neanche «imparato» a insegnare. Così, difficilmente si riesce a sta-bilire con loro la comunione che viene tra quello che ha già percorso undifficile cammino e l‘altro che si appresta a compierlo.

Nelle Dō giapponesi il Maestro è il depositario dell‘arte che si vuoleapprendere e in lui si ripone completamente la propria fiducia. Egli ha ri-cevuto dal proprio maestro la trasmissione dell‘arte e al suo maestro hapromesso di trasmetterla con sincera fede ai discepoli che avrà. Un mae-stro deve ricevere denaro e doni dagli allievi per vivere, ma insegna inonore della Dō, della Via, e non potrà mai tradire i propri discepoli, per-ché sarebbe un tradire la Via. Così come per i discepoli tradire il maestroè commettere un gravissimo delitto, perché il maestro può anche esseresuperiore al proprio padre, che è generalmente l‘autorità spirituale piùalta per un giapponese.

«L‘allievo giapponese porta con sé tre cose: buona educazione, appas-sionato amore per l‘arte da lui scelta, e venerazione incondizionata per ilmaestro. Il rapporto fra insegnante e allievo fa parte, ab antiquo, dei lega-mi fondamentali della vita e investe perciò il Maestro di una grande re-sponsabilità, molto al di là dei limiti del suo insegnamento. Dapprimanon si pretende dall‘allievo altro che una coscienziosa imitazione di quan-to il maestro gli insegna. Alieno da lunghe spiegazioni e motivazioni,questi si limita a brevi cenni e non si aspetta che l‘allievo ponga delle do-mande. Egli assiste calmo ai tentativi, senza sperare nell‘indipendenza enell‘iniziativa ed aspetta con pazienza la crescita e la maturità» (Herrigel).

La differenza che esiste fra noi occidentali e i giapponesi, in genere èanche un riflesso della differenza fra cristianesimo e buddhismo.

Nel cristianesimo esiste un Dio e un figlio di Dio che sono completa-

Noi occidentali,allevati in unaciviltà ebraico-cristiana coninfluenze piùo meno paganee passando perqualche medioevo abbiamoassorbito,inconsciamente,l‘idea checi sia qualcosariservata aglidei e cui l‘uomonon potràmai arrivare.

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l’apporto che all’interno diquesta visione può dare ilbuddhismo? All’originedella sua predicazione, peril buddhismo così come perle altre confessionireligiose, il rapporto uomo-ambiente aveva accezionidiverse da quelle con cuioggi ci dobbiamoconfrontare. Sicuramenteera più equilibrato, maanche allora non per tutti,come viene descritto neitesti antichi: «Deliziosesono le selve, ma l’uomocomune non se ne

compiace, se necompiacciono i liberi dallepassioni, non coloro checorrono dietro ai desideri»(Dhammapada v. 99) .Anche ai tempi del Buddhaera presente una visione disfruttamento della naturada parte degli uomini nonattenti e legati ai propridesideri egoistici. Lacontemplazione distaccatadella natura, la capacità divederla nella sua interezza,nella sua interdipendenza,ieri come oggi, sonoproprie di chi, dice il

Buddha, si è liberato.L’uomo comune non riescead avere una visioneolistica della natura , nonriesce a cogliere la suainterdipendenza, quanto,piuttosto, tende a scinderlain parti singole, dissociatetra loro.In altre parole, dal punto divista buddhista, il rapportoche l’uomo ha conl’ambiente è lo specchio delrapporto che ha con lapropria concezione di sé.L’approccio aggressivo eviolento al mondo

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Inostri figli non hannoscelta, erediteranno laterra. Ma riusciremo aconsegnargliela inbuone condizioni?

È un interrogativo che tuttici dobbiamo porreconfrontandoci con ilnostro recente passato, chein poco tempo ha portato ilsistema-terra sull’orlo dellacrisi e del collasso. L’aiuto ela riflessione che lecomunità religiose possonoproporre a sostegno di unamigliore qualità della vitasul pianeta e di un rapporto

«sano» con l’ambiente è difondamentale importanza,per dar corpo a un’etica ea una mentalità nuove chepotranno assumersil’impegno di proporresoluzioni diverseai problemi legati al velocesviluppo delle societàindustrializzate, allosfruttamento e allasperequazione tra lediverse aree del pianeta perstabilire un nuovo rapportocon la natura oltreche con tutti gli altri uomini.Quale può essere allora

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D O S S I E R

La terra,la nostra casa

Il buddhismo offreuna prospettiva

speciale della crisiecologica? I suoi

insegnamentiimplicano un

modo diverso dicomprendere la

biosfera e la nostrarelazione con essa,

in questo tempocritico della storiain cui sembra che

non facciamonient’altro che

correre verso lasua distruzione?

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Queste note sonomotivate dal fattoche secondo

il buddhismo ci sonoparalleli importanti eprecisi tra la nostradifficile situazioneindividuale e la situazioneattuale della civiltàumana. Ciò significa forseche c’è un parallelo anche

tra le soluzioni perentrambe? La rispostabuddhista alla nostradifficile situazionepersonale indica anche lavia per risolvere lasituazione collettiva?Se così fosse, la crisiecologica sarebbe unasfida spirituale più cheuna sfida tecnologica.

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D O S S I E R

materiale trae nutrimentodal desiderio che improntail nostro io ad appropriarsile cose, a riferire tuttoa se stesso, a violentare lanatura per il propriotornaconto personale.Chi spreca vieneparagonato a un uomo che,volendo mangiare unamela, scuote un ramofacendone cadere tutti ifrutti, siano maturi o acerbi.Poi ne prende uno e lasciagli altri a marcire per terra.In un altro sūtra il Buddhadisse a Sigala, un giovaneche gli aveva chiestosuggerimenti per potervivere in modo corretto, dicomportarsi come un’ape:l’ape raccoglie il pollinepassando di fiore in fioresenza recare danno né allafragranza né alla bellezzadel fiore; ne prende ilpolline per trasformarlo inmiele. Similmente l’uomodeve fare legittimo uso dellanatura, rispettandola eammirandola, per potersielevare al di sopra di essae realizzare la suapotenzialità di liberazione.L’ottica sistemica propriadel buddismo sottolineacome l’uomo con ilsuo comportamento incidacompletamente

sull’ambiente, per cui ne hapiena responsabilità equesta visione offrecertamente il suo apportoper la ridefinizione dicomportamenti sostenibilicome si intravede negliinterventi di David Loy e diSimon James proposti alVesak 2009 delle NazioniUnite a Bangkok nellasessione Buddhist Approachto Environmental Crisis, chepresentiamo nel dossier.Ma oltre alle parole bisognaavere indicazione pratiche,suggerimenti: ben venganoquelli offerti dalla scuolaZen Soto che è stata sempre

attenta a questi temi.Il problema oggi non stanel mediare nuovi valoridi generica riprovazioneper chi distrugge, inquina,manipola la natura a suopiacimento in nome dellascienza, quanto nellaridefinizione dei bisogni,in un diverso uso dellatecnologia con unapiù spiccata attenzioneai problemi del mondoin cui viviamo, espressionedi un’attitudine mentaleche ha superatoattaccamento ed egoismoe che è in grado dipromuovere la convergenzatra il progresso spiritualeindividuale e le esigenzecollettive di nuovi assettiambientali e politici.Così suona anchela dichiarazionesui cambiamenti climatici:Il momento di agire è ora,che chiude il nostro dossier,preparata da DavidTetsuun Loy (zen)e dal Ven. Bhikkhu Bodhi(Theravāda) con l’ausilioscientifico del Dott. JohnStanley e che ha avuto comeprimo firmatarioS.S. il Dalai Lama.Chi la condivide può unirsie sottoscriverla nel sitoecobuddhism.org

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«Un poeta, guardandoquesta pagina,si accorge subito

che dentro c’è una nuvola.Senza la nuvolanon c’è pioggia;

senza la pioggia gli alberinon crescono

e senza gli alberi nonpossiamo fare la carta.

Se c’è questo foglio di cartaè perché c’è anche

la nuvola.Possiamo allora dire che lanuvola e la carta inter-sono.

Ogni cosa coesistein questo foglio: essere

è in realtà interdipendenza»

Thich Nhat Hanh,monaco buddhista vietnamita

Prendersi curadella naturaè il primo passoper prendersi curadi sé stessi.� di David Loy *

L’ECOLOGIACHE GUARISCE

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Qual è la soluzionebuddhista per questadrammatica situazione?Non certo liberarsi del sé.Questo non si può fare enon è neanche necessariofarlo perché non c’è maistato un sé. Abbiamo solobisogno di svegliarci e divedere attraversol’illusione di un séseparato. Il sentimento disé deve essere decostruito.Quando lo lasciamoandare ci svegliamo ecomprendiamo la nostravera natura: non c’è un iodentro che guarda unmondo oggettivo che stafuori. Piuttosto «io» sonotutto quel mondo che stavivendo qui e ora, inquesto particolare luogo etempo. E ognuno èanch’esso unamanifestazione di tuttoquesto mondo. Prendersicura di tutto quantodiventa un fatto naturale,come prendersi cura dellapropria gamba.Questa realizzazione nonrisolve istantaneamentetutti i nostri problemipersonali, ma rivela comeil sentimento di sé possadiventare più permeabilee come noi possiamorelazionarci con gli altri in

un modo meno dualistico,comprendendo che ilnostro benessere, inultima analisi, non si puòdistinguere dal benesseredegli altri.La via del bodhisattva delbuddhismo mahayanaè spesso presentata comeun sacrificio personale:un bodhisattva potrebbescegliere di lasciareil mondo e diventareun illuminato, ma decidedi rimanere per aiutaretutti gli altri esseri.Ma c’è un altro mododi comprendere questo.Seguire il sentiero delbodhisattva èsemplicemente uno statopiù avanzato della praticaspirituale: sefondamentalmente nonsono separato dagli altri,come posso esserecompletamente illuminatosenza che non lo sianoanche loro?

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Per riassumere: ilsentimento di sé non èqualcosa che esiste di persé ed è reale, ma è unacostruzione psicologica,che implica un senso diseparazione dagli altri. La

nostra sofferenza piùprofonda è che ci sentiamoseparati dal resto delmondo e questa sensazioneè sempre spiacevoleperché insicura. Facciamomolte cose che speriamo cipermettano di sentirci piùreali, ma che spesso hannol’effetto opposto:rafforzano quel senso diseparazione. Non importaciò che abbiamo ofacciamo, non è maiabbastanza. Mentre nonpossiamo liberarci di unsé che non esiste, abbiamobisogno di svegliarci e direalizzare la suaillusorietà. Ciò risolvela questione esistenzialedel significato della nostravita: realizzare la non-dualità con il mondomi libera per vivere comescelgo, ma in un modoche naturalmentecontribuisce al benessere

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D O S S I E R

La difficile situazionepersonaleLe quattro nobili veritàparlano tutte del dukkhae il Buddha sottolinea cheil suo unico interesseè di far finire il dukkha,di solito tradotto consofferenza. Per estinguereil dukkha, comunque, iodevo sperimentare anattaovvero la mancanza di unsé, che, visto dall’altraparte, significa anche lamia interdipendenza contutte le altre cose.Gli insegnamenti buddistispiegano l’anatta in variomodo: fondamentalmentenegano la nostraseparazione dagli altri eanche dal resto del mondonaturale. Sicuramenteognuno di noi ha unsentimento di sé ma, perdirlo in terminicontemporanei, questosentimento di sé è unacostruzione psicologica esociale senza alcunaesistenza in sé (svabhava) orealtà di per sé.Il problema di base diquesto sé è che ci dà unsenso illusorio di dualità.La costruzione di un séseparato dentro di noicorrisponde allacostruzione di un altro sé

fuori di noi — un mondooggettivo che è diverso dame. Ciò che è peculiaredell’insegnamento e dellaprospettiva buddhisti èl’enfasi sulla sofferenzache si crea in questasituazione.Fondamentalmente, un sédi questo tipo è dukkha.

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Un modo per descriverequesto problema è che,dal momento che ilsentimento di sé è solouna costruzione mentale,è sempre insicuro. Non sipuò mai rassicurareperché non c’è nulla direale che possa essererassicurato. Si comprendemeglio questo sé costruitose lo consideriamo comeun processo, nei fatti unwork in progress, perchénon si completa mai.I processi sono sempretemporanei,necessariamenteimpermanenti, ma noi nonvogliamo essere qualcosache cambia in ognimomento, qualcosa divulnerabile alla malattia,alla vecchiaia , alla morte.Noi vogliamo essere reali!Così cerchiamo di

rassicurarci in un modoche generalmente rende lanostra situazione ancorapeggiore. Questo è ilcuore dell’ignoranza cheil buddhismo enfatizza.Spendiamo tanto delnostro tempo e dellanostra energia cercandodi stabilizzare qualcosache non può esserestabilizzato, il nostrosentimento illusoriodi un sé. Cerchiamo di farquesto principalmenteidentificandoci conqualcosa fuori di noi chepensiamo possa offrirciil terreno solido chedesideriamo: denaro, benimateriali, reputazione,potere, un bell’aspettoe così via. La tragedia, dalpunto di vista spirituale,è che questo tentativodi risolvere il problemageneralmente finiscecol rafforzare di fattoil problema stesso— nel senso che c’è unio separato dagli altri, cheha bisogno di diventarepiù reale.Ciò significa che nonimporta quanto denaro,potere, fama ecc. si possaaccumulare, sembreràsempre di non averneabbastanza.

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L’ECOLOGIACHE GUARISCE

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«Sono arrivato acomprendere chiaramente

che la mente nonè nient’altro

che le montagne e i fiumie la grande terra,

il sole e la luna e le stelle»

Dōgen Zenji,caposcuola dello Zen Sōtō

greche in due dei suoidialoghi, La Repubblica eLe Leggi.Oggi per noi è difficilecomprendere che lesocietà tradizionali nonconsideravano questadistinzione tra natura econvenzioni sociali. Senzail nostro senso dellosviluppo storico e quindidel possibile futurodiverso, la maggior partedei popoli premoderniaccettava le convenzionisociali come inevitabili,perché erano una cosanaturale come i loroecosistemi locali.I governanti potevanoessere spodestati, manuovi governantiprendevano il loro postoin cima alla piramidesociale, che spesso era unapiramide religiosa: i reerano dei o simili agli dei,perché avevano un ruolospeciale da svolgere nelplacare i poteritrascendenti chesovrintendevano almondo creato. Spesso gliesseri umani svolgevanoun’importante funzione:consentivano al cosmo diandare avanti. GliAztechi, per esempio,richiedevano sacrifici

umani di massa perchéera necessario il sangueper mantenere il dio Solein cielo nel suo corsocorretto.

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Considerare la propriasocietà come qualcosa dinaturale giustificavaordinamenti sociali cheper noi oggi sonoinaccettabili. Macionondimeno c’era unbeneficio psicologico nelpensare in questo modo:queste culturecondividevano un sensocollettivo di significato,che oggi noi abbiamoperduto. Il significatodelle loro vite si costruivanel cosmo ed era rivelatodalla religione, cosa chedavano per scontato. Pernoi, invece, il significatodelle nostre vite nellanostra società è diventatoqualcosa che dobbiamodeterminare da noi in ununiverso il cui significato,se ce n’è uno, non è cosìovvio. Anche se scegliamodi essere religiosi,dobbiamo decidere travarie possibilità, il chediminuisce la sicurezzaspirituale che

un’affiliazione religiosatradizionale esclusivaoffriva. Mentre godiamodella libertà che le societàpremoderne nonoffrivano, il prezzo diquesta libertà sta nellaperdita di un certo tipo disicurezza sociale: quelconforto psicologico dibase che deriva dal fattoche ciascuno sappia qualè il suo posto, il suo ruolonella società e nel mondo.

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In altre parole, parte dellaricca eredità culturale chei greci hanno lasciatoall’Occidente — nel benee nel male — è un’ansiacrescente riguardo a ciòche siamo e a ciò chesignifica essere uomini.La perdita della fede inDio ci ha lasciato senzaguida, sia collettivamentesia individualmente.Grazie alle sempre piùpotenti tecnologie sembraquasi che possiamorealizzare quasi tutto ciòche vogliamo, ma nonsappiamo quale siail nostro ruolo, ciò chedobbiamo fare. In che tipodi mondo vogliamovivere? Che tipo di società

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D O S S I E R

di tutti, dal momentoche io sono unamanifestazione del tutto.Sorprendentementequesto insegnamentobuddhista sulla difficoltàpersonale corrisponde inmodo preciso alladifficoltà ecologicapresente oggi nel mondo.

La situazione collettivaLa questione è se «il séseparato-dukkha»funziona anche per la piùgrande collettività umana:la dualità tra noi comespecie homo sapiens sapiense il resto della biosfera.Oltre a un sensoindividuale di sé, abbiamoanche un sentimento di sécome gruppo. Io non sonosoltanto David Loy, sonoun uomo, americano,caucasico e così via.Il senso individuale disé tende ad essereproblematico così comeil senso collettivo disé è spesso problematicoperché distingue tra chista all’interno del gruppo— noi rispetto a quelli chestanno fuori: gli uominidalle donne, gli americanidai russi (o forse oggi daicinesi?) —. E, certo, quelli

di noi che stanno dentro ilgruppo sono migliori diquelli che stanno fuori.Se c’è un parallelo tra ilsenso individuale del sé eil senso collettivo del sédell’umanità, ci sonoalcuni punti dasottolineare:1. la civiltà umana è unacostruzione;2. questa costruzione haportato a un sensocollettivo di alienazionedal mondo naturale checausa dukkha;3. dukkha comportaun’ansia collettiva su ciòche significa essere umani,cioè una confusionefondamentale su ciò chedovremmo fare comespecie;4. la nostra risposta all’alienazione e all’ansia— il tentativo collettivo dirassicurarci o di fondare inostri sé in modotecnologico ed economico— sta persinopeggiorando le cose;5. non possiamo «tornarealla natura» perché nonl’abbiamo mai lasciata, maabbiamo bisogno dicomprendere la nostranon-dualità con il restodella biosfera e tutto ciòche questo implica;

6. questo risolverà i nostriproblemi esistenzialicollettivi su ciò chesignifica essere umani;con noi la biosfera diventaconscia di sé; il nostroruolo oggi è di guarirla equindi di guarire noistessi.

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La prima affermazione —che la civiltà umana è unacosa che abbiamocostruito — oggi ci sembrachiaramente vera, ma nonera così presso le societàpremoderne tradizionali.L’Occidente deve questavisione alla Grecia classicache distingueva il nomos,le convenzioni dellasocietà umana, inclusecultura, tecnologie ecc.,dalla physis, gli scheminaturali del mondo fisico.I greci osservarono che,diversamente dal mondonaturale, qualsiasiconvenzione sociale puòessere cambiata: possiamoriorganizzare le nostresocietà e in un certo modocercare di determinare ilnostro destino. Platone,per esempio, espose pianidettagliati perristrutturare le città-stato

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L’ECOLOGIACHE GUARISCE

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Ironicamente, però, ciò nonci ha dato la sicurezza e ilsignificato che cercavamo.Siamo diventati piùansiosi, non meno.

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Se questi parallelismi sonovalidi — una descrizioneaccurata della nostrasituazione collettiva— la crisi ecologica èinevitabile. Prima o poiandremo a sbattere controi limiti del nostro progettocompulsivo condannato auna crescita senza fine emai abbastanzacontrollata. Ma se lacrescente fiducia nellatecnologia come soluzionea questo problema è essastessa un sintomo di unpiù grande problema, lacrisi ecologica richiedeben più che una rispostatecnologica (sebbene icambiamenti tecnologicisiano indubbiamentenecessari). La dipendenzacrescente da tecnologiesofisticate e sempre piùpotenti tende adaggravare il nostro sensodi separazione dal mondonaturale, mentre ognisoluzione di successo(se il parallelismo tiene

ancora) deve coinvolgereil riconoscimento chesiamo una parteintegrante del mondonaturale. Ciò significaabbracciare laresponsabilità per ilbenessere della biosfera,perché il suo benessere inultima analisi non puòessere distinto dal nostro.Parlando chiaramente:prendersi cura, da partedell’umanità, delle forestepluviali della terra è comeprendersi cura delleproprie gambe. Ci suonafamiliare? Questasoluzione comporta un«ritorno alla natura»?Sarebbe come liberarsi delsé: cosa che non èpossibile né desiderabile.Non possiamo ritornarealla natura perché nonabbiamo mai lasciata.L’ambiente non è solo un«ambiente», ovvero ilposto in cui ci capita divivere. Piuttosto labiosfera è il terreno da cuie con cui nasciamo. In noie come noi, la naturadiventa autocosciente. Laterra non è solo la nostracasa, la nostra madre. Lanostra relazione è ancorapiù intima, perché nonpossiamo mai tagliare il

cordone ombelicale.Individualmente, l’aria neinostri polmoni, comel’acqua e il cibo chepassano dalla nostra boccaed entrano nel nostrosistema digestivo, sonoparte di un sistema piùgrande che circolaattraverso di noi.La nostra vita è unprocesso dissipativo chedipende da alcunielementi e contribuiscea una circolazione senzafine. Lo stesso è verocollettivamente: i nostriprodotti di rifiuto nonscompaiono quandotroviamo un altro posto incui metterli. Il mondo ètanto grande che per uncerto periodo di tempopossiamo ignorare questiproblemi, ma tutti i nodivengono al pettine. Seinquiniamo il nostro nido,non c’è nessun altro luogoin cui andare.

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Secondo questo modo dipresentare le cose, ilnostro problema non è latecnologia in sé, ma ilmodo ossessivo con cui cisiamo motivati persfruttarla. Senza queste

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dovremmo avere? Se nonpossiamo dipendere daDio o da un governosimile a un Dio che ci dicaquel che dobbiamo fare,siamo messi di fronte anoi stessi e la mancanza diun fondamento piùgrande di noi su cuipoggiare è una fonteprofonda di dukkha.

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Per riassumere, il nostrosenso collettivo diseparazione dal mondonaturale è diventato unacontinua fonte difrustrazione: maggiore èla nostra alienazione dallanatura, maggiore è lanostra ansia. Qual è statala nostra rispostacollettiva a questa difficilesituazione?Ricordate come si reagiscegeneralmente allesituazioni personalidifficili? Cerchiamo direndere il nostro ansiososentimento di sé interiorepiù reale aggrappandocialle cose del mondoesterno, come denaro,fama e potere. Ma nonimporta quanto siaccumuli di tutto ciò, nonci sembra mai di averne

abbastanza perché questecose non possono placarela nostra ansia di base, cheaffonda le radicinell’insicurezza inerenteallo stesso sentimento disé. Questa soluzionerafforza il problema,ovvero quel senso diseparazione o distanza trame e gli altri... C’è forseun parallelo collettivo perquesto tipo di coazione?Se poniamo così ladomanda, la rispostadiventa ovvia. Che cosamotiva il nostroatteggiamento verso lacrescita economica e losviluppo tecnologico?Quando consumeremoabbastanza? Quando lenostre megacorporazioniavranno abbastanzaprofitti? Il nostro prodottointerno lordo aumenteràabbastanza? Quandoavremo tutta la tecnologiache desideriamo?Perché il «sempre di più»non è mai abbastanza?Il fatto è che la crescitatecnologica ed economicain se stessa non puòrisolvere i problemi umanidi base sul significatodella vita. Dal momentoche non siamo sicurisu come risolvere questo

problema, la crescita èdiventata un sostitutocollettivo, una forma disalvezza secolare checerchiamo, ma che nonabbiamo mai raggiunto,perché i mezzi sonodiventati fini.Dal momento che in realtànon sappiamo dovevogliamo andareo che cosa abbia valoreper noi, siamo ossessionatida un crescente bisognodi controllo.Mancando della sicurezzache proviene dalconoscere il proprio postoe ruolo nel cosmo,abbiamo cercato di crearela nostra sicurezza.

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Le moderne tecnologie,in particolare, sonodiventate il tentativocollettivo di dominarele condizioni della nostraesistenza. In effettiabbiamo cercato dirimodellare la terra inmodo che si adattassecompletamente a servirei nostri scopi, in modo taleche ogni cosa diventassesoggetta alla nostravolontà, una «risorsa» chepossiamo usare.

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accordo con gli sforzicompiuti per proteggere ilmondo naturale. Lo scopodi questa riflessione non èdi vedere se questaaffermazione sia corretta

— come, pur con alcuniaggiustamenti, io credoche sia — ma piuttostochiedersi perché ècorretta. In breve, vorreidire che gli insegnamenti

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motivazioni, saremocapaci di valutare megliole nostre tecnologie allaluce dei problemiecologici cui esse hannocontribuito, così come lesoluzioni ecologiche cuipotrebbero contribuire.Dati i rischi a lungotermine associatiall’energia nucleare, peresempio, io non la possovedere che come unamiope soluzione al nostrofabbisogno di energia.Al posto dei combustibilifossili, la rispostadovrebbe essere quella dirisorse rinnovabili comel’energia solare, l’energiaeolica insieme a unariduzione radicale delnostro fabbisogno dienergia. Finchéconsidereremo importanteil bisogno di una crescitaeconomica continua e diuna sempre crescenteespansione tecnologica,l’idea di una drasticariduzione del nostro

fabbisogno energetico èassurda. Una nuovacomprensione della nostrasituazione reale apreinvece ad altre possibilità.

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Come risolvere l’ansia dibase che oggi ci colpisceperché dobbiamo dare unsenso a un mondo in cuiDio è morto?L’autocoscienzaindividuale e collettiva ciallontana dalla visione delmondo premoderno e daquel significato«naturale» della vita cheoffriva. Neanche sepotessimo, vorremmotornare ad una visione delmondo così costrittiva,spesso mantenuta con laforza. Ma quali alternativesono possibili?Ricordate che seguire ilsentiero buddhista cilibera dalla compulsioneindividuale di trovaresicurezza «dentro» ilmondo. Non si ha ilbisogno di diventare piùreali diventando ricchi,famosi o potenti o belli.Questo non perché ci siidentifica con un altroregno spirituale, piuttosto,allorché riusciamo a

liberarci dagli attaccamenti,comprendiamo la nostranon dualità con il mondo.Questo come influisce sulsignificato della nostravita? Il voto delbodhisattva: «Anche se gliesseri viventi sonoinnumerevoli, mi votoa salvarli tutti», fa sìche chi lo proferisceassuma il ruolo piùgrande possibile, che nonpuò mai arrivare a unafine. Un tale impegno nonè obbligatorio, ma fluiscenaturalmente quando sicomprende che nessunessere è separato da noi.Questo suggerisce unparallelo finale tra la sferapersonale e quellacollettiva. Dato che la crisiecologica è già iniziata,la nostra specie habisogno di diventare unbodhisattva collettivodella biosfera.L’umanità scopriràil significato che cercain compiti a lungo termineper riparare la fratturatra noi e la madre terra.Questa guarigione citrasformerà così cometrasformerà la biosfera.* Scrittore e docente presso ilDipartimento di filosofia,Xavier University di Cincinnati.

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SA UNNUOVOAPPROCCIOPERUN’ETICAAMBIENTALEApplicare le virtùdell’amore edella compassionenon solo neirapporti umanima anche conla nostra “MadreTerra” ci aprea vivere nelrispetto di tuttociò checi circonda senzaprendere nullaoltre il necessario.� di Simon P. James *

«Ora qui ci svegliamodall’illusione della nostra

separatezza»

Thich Nhat Hanh,monaco buddhista vietnamita

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pellicani e supponga varierelazioni causali tra diloro; ma questo non è ilcaso. Infatti i testi raccoltinel Canone Pāli diconoben poco sulla natura chegli ambientalisti cercanodi proteggere. È vero chei sutra includono diverseaffermazioni sulla vitanon umana. Si dice, peresempio, che gli animalisono soggetti allarinascita, che non è sicuroche le piante siano esseriviventi e che, mentre glianimali sono divisi indiverse specie, gli esseriumani invece no. (SN607). Ci si può ancheimbattere in alcuniracconti mitologici sulleorigini del mondo vivente:la visione, per esempio,che il mondo emergecome risultato di essericelesti che mangiano«il sapore della terra»(D 27). Una cosa è certa:non si trova alcuna teoriadella natura simile aquello che noi intendiamoin senso moderno,cioè una teoria che facciail pari con la modernasintesi neodarwinianao con la teleologia diAristotele.Questa mancanza di

interesse si può pensaresia il risultato dell’enfasipragmatica del Buddhasulla sofferenza umanae su come vincerla. Si puòanche sospettare cheEgli abbia voluto mettereda parte queste domandesulla natura; domandedi un tipo che unoscienziato ecologistamoderno potrebbedefinire non utili da fare,non perché non si possadar loro risposta, maperché non sono di alcunaiuto pratico peraffrontare e vincere ildukkha. Alle domandesulla composizione delmondo naturale e sulleleggi che lo governano sipuò pensare che il Buddhaavrebbe opposto un nobilesilenzio.Certo, quest’affermazionepotrebbe sembrare nonpiacevole, ma possiamoesserne sicuri, il Buddhaha detto molto poco sulmondo naturale. Perquanto ne so, non avevaalcunché di sostanzialeda dire su ciò che oggi noichiamiamo biologia.Tuttavia certamente avevamolto da dire sul mondoin generale, incluso ilmondo naturale. Diceva

che tutte le cose, naturalio fatte dall’uomo, sonovuote di consistenzasoggettiva e simanifestano per lacoincidenza di certecondizioni, inoltreaggiungeva che nonè soltanto una questionedi interessi intellettuali:rendersi conto che tuttele cose sono vuote di sée originate in dipendenzal’una dall’altra èessenziale per ilconseguimento delnirvāṇa.

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Detto questo, il pensatoreecologico è, io penso, inerrore quando supponeche gli insegnamentibuddhisti di anattae la paticcasamuppāda nonsiano altro che una visioneecologica della natura,una visione del tipo chepotremmo trovare inun testo contemporaneodi scienze ecologiche.Per una cosa — eccettoche nella loro applicazionealla vita umana —entrambi questiinsegnamenti rimangonoaltamente astratti egenerali. È vero che si dice

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buddhisti sono «verdi» oamici della natura non perciò che dicono sulmondo« naturale, ma perciò che dicono sulla naturaumana.Per prima cosa devo darequalche chiarimento.Con «natura» o «mondonaturale» voglio indicareil mondo vivente, labiosfera, ossia quella partedel mondo che un amantedella natura o unambientalista pensa sianecessario proteggere.Con «insegnamentibuddhisti» io, invece,voglio indicare quegliinsegnamenti che sonoall’interno del Canone Pālie con «buddhismo» ciòche talvolta è definitoanche «buddhismoantico», cioè la tradizioneche oggigiorno èpreservata nel Theravāda.Perché secondo gliinsegnamenti delbuddhismo dovremoprenderci cura del mondonaturale? Per risponderea questa domandadobbiamo cominciareidentificando ciò che gliinsegnamenti buddhistidicono sulla natura,perché solo se prima siidentifica ciò che i

buddhisti pensano che lanatura sia, si può trovareuna risposta sul perchéi buddhisti ritengono chesi debba proteggerla.Pertanto, qual è la teoriabuddhista della natura?In breve, i buddhisticonsiderano che nientenella natura ècompletamenteindipendente daqualcos’altro, ma che tuttele cose sono intimamentein relazione. Questa è lalezione centraledell’insegnamentodell’anatta e dell’origineinterdipendente,paticcasamuppāda.Con questi insegnamentiil Buddha ha di fattoanticipato le conclusionidella moderna scienzaecologica: la sua era unavisione ecologica (oalmeno protoecologica)del mondo.

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La visione ecologicadel buddhismo haun’importanteimplicazione etica. Infatticomprendere che tuttele cose sono in relazionesignifica comprendereche gli esseri umani

e tutto ciò che fanno èintimamente in relazionecon il mondo non umano,con la natura. Significacomprendere che gli esseriumani non sono animetemporaneamente abitantiin corpi materiali, ma chenoi siamo tutt’uno contutte le cose, tutt’uno conla natura. Risvegliarsi aquesta relazione ecologicacon tutte le cose significaprendersi cura dellanatura, perché ciòsignifica comprendere cheil destino della naturaè il nostro destino,il destino di noi esseriumani.Questa linea diragionamento, implicitain molte discussioni sulbuddhismo e sul pensieroambientalista, moltospesso è stataespressamentesottolineata, ma sottoalcuni aspetti ha puntideboli. Per prima cosa,un pensatore ecologistasuppone che esistauna cosa simile a ciò chepotremmo definireuna teoria buddhistadella natura, una teoriache metta in relazionetutti i componenti dellanatura, dalle pulci ai

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convinzione che noiumani siamo uno con unintero metafisico che tuttoracchiude, «Dio ossiala Natura», egli conservòl’idea che siamomoralmente giustificatia disporre degli animalinon umani a nostropiacimento e a trattarli nelmodo che più ci conviene.

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Ho affermato che lavisione del mondo delbuddhismo antico nonè «ecologica», ovvero nonassomiglia alla visione delmondo suggerita dairisultati della modernascienza ecologica, e hosuggerito inoltre che,anche se fosse stataecologica, ciò non sarebbesufficiente per provareche il buddhismo è unareligione amica dellanatura perché nonc’è alcuna contraddizonenell’intrattenere unavisione ecologica e nellostesso tempo vederela natura come vuotadi valore.Per queste ragioni sonoscettico sul tentativo difondare una visione eticabuddhista sull’ambiente

su ciò che il buddhismo,almeno quello antico,ha detto circa la natura.Ma come detto inapertura, credofermamente che gliinsegnamenti buddhistisiano per certi aspetti inlinea con ciò che oggichiamiamo interessiambientali, quindi credoche quegli insegnamentipossano essere presi comebase per un’etica specificabuddhista sull’ambiente.Avendo questo in mente,riconsideriamo gliinsegnamenti buddhisti.Dove nel loro insiemetroviamo i fondamentidi un’etica buddhistaambientale? Siamo giàpassati per un punto benpreciso. Prima hosuggerito che il Buddhanon aveva alcun interessea sviluppare una teoriadella natura, perchésviluppare una tale teorianon era un motivoimportante per il suoscopo fondamentale:affrontare e vincereil dukkha. L’interesseprimario del Buddha nonera di sviluppare unateoria sulla natura, il suointeresse primario era lavita umana e più

precisamente come sidebba vivere.Sotto questo aspetto,il buddhismo antico puòoffrire ciò che i filosofimorali chiamano un’etica,una definizione di ciò chesignifica vivere una buonavita, una vita che siesprime al meglio e che cidia il senso di che cosasignifichi essere umani.E la conclusione delBuddha è certo ben nota.Per vivere bene, vivereuna vita risvegliata, non siha bisogno di grandiricchezze, non c’è bisognodi esser nati in una certaclasse sociale, bisognainvece sviluppare sestessi. Come Aristotele, glistoici o Epicuro, il Buddhaafferma che per vivereuna buona vita si devesviluppare un certo tipo di«carattere» o, per esserepiù precisi, afferma che sidevono sviluppare certevirtù del carattere:la compassione,l’amorevolezza, lasaggezza, l’equanimità,l’attenzione e così via.Se ciò che ho detto ègiusto e il buddhismoè in fondo un tipo di etica,allora, forse, cercando disviluppare un’etica

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che tutte le cose sonoprive di un sé, maquest’affermazionegenerale è discussacriticamente in riferimentoagli esseri umani. Il focusnelle scritture èsull’assenza di un sé degliesseri , come voi o me,non sulla mancanza di unsé degli alberi odell’ambiente o dellespecie. Inoltre, anche se sidice che tutte le cose sonosoggette all’originedipendente, la definizionepiù dettagliata delprocesso dei dodici anellidell’origine dipendentesi riferisce alla genesi deldukkha e non può essereapplicata alla natura nonsenziente, si veda, peresempio, il secondo librodel Samyutta Nikāya.

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Ragion per cui ci sonomotivi per mettere indubbio l’affermazione delpensatore ecologico chegli insegnamentibuddhisti sul non sé esull’origine dipendenteportano a una visioneecologica della natura.Essi certamente nonimplicano che gli umani e

la natura siano «una cosasola». Parlare dell’unità diesseri umani e naturatende a incoraggiare lanozione che gli umanisiano parte di un interometafisicoonnicomprensivo, unaNatura con la ennemaiuscola. Questa visionericorda alcuni sistemimetafisici (la metafisicaspinoziana per esempio)ma è completamente fuoriluogo nella metafisicabuddhista. Parlare di ungrande assoluto metafisicosignifica parlare di unacosa che esiste — o chealmeno potrebbe esistere— in modocompletamente isolato daogni altra cosa; ma, se leaffermazioni buddhistesul non sé e l’originedipendente sono corrette,un tal tipo di entità nonesiste.Infatti anche se gliinsegnamenti buddhistipotessero suggerire unmondo simile a quellodescritto dalla modernascienza ecologica e anchese potessero suggerireche gli umani siano in unqualche senso «uno con lanatura», ciò non sarebbesufficiente a provare

che il buddhismo sia unareligione amicadell’ecologia.Si può sostenere ognivisione ecologica dellanatura, si può ancheinsistere sull’unità ounicità degli umanie della natura e nellostesso tempo, con perfettacoerenza, si può guardarela natura come vuota divalore. Consideriamo untale che proponga ilmaterialismo, peresempio, uno chesottoscriva l’idea chetutto, esseri umani inclusi,è fatto di materia.Un individuo simile credechiaramente che noi siamo«uno con la natura»,ma non c’è alcuna buonaragione per pensare chedebba essere mosso da uninteresse morale positivonei confronti del mondonaturale. Potrebbe esserlo.Ma potrebbe anche essereun terribile flagelloper il mondo naturale,indossando pellicce,distruggendo le ricchezzeminerarie, facendo stragedi pesci. O consideriamoil caso di Baruch Spinoza,il filosofo razionalistadel XVII secolo.Nonostante la sua

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il buddhismo. Ed è veroche, per quanto nesappiamo, tutti i buddhistisono esseri umani. Ma ciònon significa chel’individuocompassionevole saràmotivato dal desiderio dialleviare la sofferenzadegli esseri umanipiuttosto che quella degliesseri non umani. Alcontrario, vedràsemplicemente unasofferenza che vaalleviata. La questione sesi tratta della sofferenza diun cane o di una scimmiao di un uomo non haalcuna importanza, sonotutte uguali.Ho suggerito che ilBuddha era interessato atutto ciò che conduce auna buona vita, una vitache sia la miglioreespressione di ciò chesignifica essere uomini.Inoltre ho aggiunto cheera particolarmenteinteressato a identificare levirtù del carattere cheesemplifichino una vita diquesto tipo. Secondo ilBuddha il miglior tipo divita che possiamo vivere ècontraddistinta dallacompassione, dallaconsapevolezza, dalla

saggezza, dall’equanimitàe così via.Ho anche sottolineato chequesto modo etico che ilbuddhismo interpreta nonè egocentrico néantropocentrico. Quindinon è in contrasto conl’insegnamento buddhistané con gli interessiambientali. Al contrarioun’etica buddhista haimportanti implicazioniper quanto riguarda ilmodo in cui dobbiamotrattare la natura. In altreparole un’etica buddhistaè un’etica ambientale.

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Ricordiamo la virtù dellacompassione. Se ilBuddha è nel giusto, lacompassione è parteintegrante di una buonavita, ragion per cui, sequalcuno mancasse diquesta virtù, non potrebbevivere in modo tale daesprimere pienamente ilproprio potenziale diessere umano. Comeabbiamo visto, lacompassione va estesa atutti coloro che soffrono,siano umani o meno.L’uomo che sente lasofferenza di suo fratello

ma non quella di un caneo di un cavallo non è,dal punto di vistabuddhista, un uomogenuinamentecompassionevole. In talsenso la compassioneè una virtù ambientale,che prende inconsiderazione il modoin cui trattiamo il mondonaturale.Qualcosa di simile puòessere detto delle altrevirtù buddhiste.L’amorevolezza (mettā),è l’aspirazione ideale allafelicità di tutti gli esserisenzienti, senza alcunaeccezione. Nello stessomodo la gioia altruistica(mudita) è descritta comefelicità per la felicità deglialtri, ancorché sianoesseri umani o non umani.Idealmente si suppone chesi debba esercitare laconsapevolezza (sati) nonsolo nelle relazioni con glialtri amici umani, maanche con gli amici nonumani, in realtà in tutte lerelazioni con l’ambiente,inteso come un tutto.Ragion per cui, sel’individuo virtuoso èconsapevole degli effettiche hanno il suocomportamento e le sue

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ambientale buddhista sidovrebbe cominciareconsiderando ciò che ilBuddha disse sulle virtùche una vita risvegliataesemplifica. Forse sidovrebbe considerare lapossibilità che l’eticabuddhista sia qualcosa cuitalvolta ci si riferisce come«virtù etica ambientale»(vedi Sandler e Cafaro2005) .Certo, a prima vista ciòpotrebbe sembrare unsuggerimento pocopromettente. Sulla basedi questo breve discorso,infatti, potrebbe sembrareche ogni tentativo difondare un’eticaambientale sull’eticabuddhista sia destinatoal fallimento: interessarsia modificare per il meglioil proprio carattere econdurre una buona vitapotrebbe apparire incontrasto conl’insegnamento buddhistadel non sé. Se tutte le cosesono vuote di sé, comepuò un individuo virtuosoavere come scopo ilmiglioramento di sestesso? Lo sviluppo nonpresuppone l’esistenza diun sé che dev’esseresviluppato, migliorato? In

secondo luogo, il discorsosul carattere, su unabuona vita e così via puòapparire centratosull’uomo,antropocentrico in modoquasi disturbante.Dopotutto, quando siparla di carattere, ci siriferisce al carattere degliesseri umani, quando siparla di una buona vita siparla di come gli esseriumani dovrebbero vivere.Se siamo in cerca diun’etica ambientalebuddhista dovremmopensare a ciò che è buonoper noi umani o a ciò che èbuono per la natura, per ilmondo non umano?

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Queste obiezioni sonoinfondate perchépresuppongono una falsaconcezione della relazionetra l’etica e la motivazionemorale. Dire che ilbuddhismo prende laforma di un’etica significadire che secondo ilbuddhismo agire in modovirtuoso è bene per noi nelsenso che migliora lanostra vita (ci aiuta arealizzare la vera naturadella realtà, superare il

dukkha ecc. ), ma nonsignifica che lamotivazionedell’individuo virtuoso siail desiderio di migliorarela propria vita. Peresempio, potrebbe andarbene per un individuoessere compassionevole,dal momento che sentirecompassione e agire inmodo compassionevole èparte di ciò che si affermaconduca a una buona vita.Ma ciò non significa chel’individuocompassionevole siamotivato dal desiderio dialleviare la propriasofferenza. Se hacompletamente realizzatola verità dell’anatta, nonvedrà la propriasofferenza comecontrapposta a quella diqualcun altro né vedrà lasofferenza degli altri comecontrapposta alla propria,invece vedràsemplicemente «unasofferenza» che vaalleviata.Non c’è alcunantropocentrismo inquesto. Dire che lacompassione è una virtù,significa dire che è parteintegrante di una vitabuona, così come la vede

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ricchi. Perché questepersone non cambiano? Larisposta, sospetto, non èche queste persone sonoignoranti, che nonconoscono i problemiambientali e le loro cause.La maggior parte dellagente sa qualcosa deicambiamenti climaticiglobali per esempio, sache è una cosa cattiva,anche se non conosce lachimica, sa cheviaggiando si rovina l’ariache respiriamo. Ma essi —e io includo anche mestesso in questo — sirifiutano di cambiare.Sospetto che parte delproblema sia un tipo diresistenza apatica al fattoche siano gli altri a dirciche cosa dobbiamo fare.Gli ambientalisti sipongono spesso come deiguastafeste verdi:propongono lunghe listedi ciò che si deve o non sideve fare: non gettare viale cose in questo modo,non mettere l’ariacondizionata così alta, nonviaggiare in aereo e cosìvia. Per contrastare tuttoquesto è necessarioincentivare ilcambiamento degli stili divita, una carota e non un

bastone. Alcuni degliincentivi migliori sonoofferti da alcune persone acui si può guardare comemodelli. E questaraccomandazione ècoerente con tutto ciò cheho detto prima. Per cui sequesta argomentazione ècorretta allora laconnessione tra gliinsegnamenti buddhisti e iproblemi ambientali èmolto evidente, non è unaspeculazione astrattasull’origine dipendente,ma nelle vite deibuddhisti impegnati leazioni a favoredell’ambiente sonoqualcosa di pratico:buddhisti come il DalaiLama, Thich Nhat Hanh,Buddhadasa.Se sono nel giusto

quando affermo che ilbuddhismo offre unaforma di etica ambientale,allora una chiara rispostabuddhista alla crisiambientale — almeno unaparte di questa — si puòtrovare se osserviamo levite di questi modelliumani e cerchiamo diessere come loro.* Docente presso ilDipartimento di filosofia,Durham University, UK.

BIBLIOGRAFIA� Badiner, A.H. (ed.) 1990Dharma Gaia: a harvestof essays in Buddhismand ecology , Berkeley, Ca,Parallas� Cooper, David andJames, Simon P 2005Buddhism, Virtue andEnvironment. Aldershot,Ashgate� Cooper, David 2003World Philosophies: anhistorical introduction,Oxford, Blackwell� Ganeri, Jonardon 2001,Philosophy in classicalIndia: the proper workof reason, LondonRoutledge� James, Simon 2004 ZenBuddhism andenvironmental Ethics,Aldershot, Ashgate� Sandler, Ronald andCafaro, Philip (eds) 2006Environmental VirtueEthics, Lanham, MD,Rowman and Littlefield� Spinoza, Baruch, 1996Ethics, E. Curley (trad.)London, Penguin.

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parole sugli altri, è ancheconsapevole mentrespegne la luce quandonon serve, quandocammina invece diutilizzare una macchina,quando ricicla ciò che puòe così via. Infine,considerando ciò a cuipossiamo riferirci comeumiltà, la virtù che neconsegue è consideratacorrispondere alladistruzione dell’orgoglio,mana (D 31,34). Liberarsida questo tipo di orgogliosignifica essere liberi dallatendenza inveterata aguardare il mondoattraverso le lentideformanti del propriointeresse, ma significaanche essersi liberati dallatendenza a vedere tutte lecose attraverso il prismadegli interessi umani. Cosìnel Sutta Nipāta si dice chesiamo felici di guardare lemucche non solo comeproduttrici di latte e dimedicinali, ma anchecome grandi amiche ecome esseri che hanno unaloro bellezza e salute.Alcuni versi seguentidicono che coloro cheuccidono e sacrificano lemucche sono criticatiperché le considerano solo

come se fossero appendicidelle loro vite (SN 296, 307e ss.). Ucciderle èmoralmente sbagliatoperché usarle per isacrifici o per altri scopiriflette una percezione diesse indebitamentecentrata sull’uomo. Lacompassione,l’amorevolezza, la gioiaaltruistica e laconsapevolezza sono lachiave della virtùbuddhista, che nellostesso tempo è la chiaveper la virtù ambientale.

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Ho suggerito che coloroche si interessano di eticaambientale dovrebberolasciar da parte leaffermazioni cheriguardano la concezionebuddhista della natura einteressarsi invece allevisioni buddhiste sullavita umana. Sonoconsapevole che abbiamobisogno anche diconsiderare ciò che unapproccio buddhistaall’ambiente in crisi puòoffrire, ovvero proporrealcune raccomandazionipratiche. Ragion per cuivorrei terminare con

alcune parole sulleimplicazioni pratiche dellavisione che ho appenadelineato.In un certo senso, la miavisione dei fondamentidell’etica buddhistaambientale sono piuttostoteorici e non pratici. Nonho delineato una rispostabuddhista precisa apratiche questioniambientali. E non hosviluppato una rispostaspecifica buddhista permezzo della quale queiproblemi potrebberoricevere delle indicazioni.Per esempio, non hosviluppato una proceduradecisionale ispirata albuddhismo che potrebbeessere usata per generarerisposte ai problemimorali del mondo reale,che riguardano il mondonaturale.

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Ma nonostante ciò iopenso di non esserecompletamente staccatodai problemi del mondoreale. Molti di questiproblemi ambientali sonoil risultato di modi divivere legati allo spreco dichi vive nei Paesi più

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Un esempio dellenostre attività a difesadell’ambiente è la

campagna «Proteggiamol’ecosistema locale», volta atutelare le zone satoyamaovvero le aree boschiveche, insieme alle risaie,caratterizzano l’ambientenaturale dei villaggi

agricoli tradizionaligiapponesi. I boschi dipiante decidue tipici diquesto tipo di ecosistemasono una risorsa preziosaed essenziale sia per la vitadei residenti sia per lasopravvivenza della flora edella fauna. Con la nostracampagna sensibilizziamo

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le amministrazioni locali divarie regioni e raccogliamofondi da destinareall’acquisto di terreni datutelare, difendendo cosìgli ecosistemi localidall’incombente ondata disviluppo.Che cosa possiamo fare,come seguaci dello zenSōtō, per difendere il verdedella Terra? Innanzituttopossiamo visitare il tempioo la chiesa più vicini eosservare le condizioni delverde e dell’ambiente nellezone circostanti; in alcunearee si troveranno fittiboschi e in altre solo edificiin cemento. Cominciamoquindi riflettendoprofondamente su comeagire concretamente perdifendere il verde quandoc’è e, quando non c’è, sucome incrementarlo,piantando nuovi alberi.L’associazione«Organizzazione per unavita e una culturaall’insegna dell’ecologia»ha condotto una ricerca tragli studenti delle scuole

superiori per scoprire checosa pensano riguardo aiboschi e alle foreste. Lerisposte più frequenti sonostate «Sono un luogo chedà calma e pace interiore»,«Sono un serbatoionaturale che raccogliel’acqua piovana», «Sonoun dono», «Ci mostrano ladifficoltà, l’importanza e ilpiacere di fare crescere lavita».Per difendere il verdeintorno a noi dobbiamoabituarci a prestareattenzione e a prendercicura della terra, dellepiante e dell’acqua. Se, inuna società come la nostrain cui il riscaldamentoglobale continua adaumentare, lasciamo che lecose vadano come stannoandando, perderemo glialberi. Di certo le rispostedegli studenti esaminatepoco fa sarannoampiamente condivise;come indicato nel primoprincipio, infatti, la Terra è,con il suo verde, la culla diogni forma di vita.

Non sprecare l’acqua,sorgente della vitaNell’ambito dell’iniziativa«Progetto verde»,l’Associazione femminileSōtō si dedica a diverseattività tra cui unacampagna disensibilizzazionesull’importanza deiproblemi dell’ambiente econtro gli sprechi idrici. Lacampagna è stata condottanelle regioni del Kantodistribuendo ai passantinelle principali stazioniferroviarie adesivi conconsigli pratici da seguirein casa, filtri per i lavandiniper impedire che siotturino e spazzole di fibraacrilica fatte a mano.Questa campagnaprosegue tuttora con ilcontinuo impegno deimembri dell’associazione apreparare altre spazzole amano e a distribuirle nelvicinato.Ecco alcuni modi perridurre gli sprechi diacqua:� Inserire nel rubinetto una

DIFENDERELATERRASALVARE LA VITAChe cosa possiamofare in quantopraticanti diDharma perprenderci curadella Terra su cuiviviamo? InGiapponela scuola Sōtō Zenha elaborato varieproposte per unprogetto di vitasostenibile -Progetto Verde -indicandoalcuni principi epratiche di vitache possonoessere unsuggerimentoper tutti.� Tratto dal sito ufficialedella Sōtōsōmōchūwww.Sotozen-net.or.jp

questa Unione, adesempio, utilizzano borseper la spesa evitando cosìdi usare i comuni sacchettidi nylon. In questo modonel 1996 si sono risparmiati250 milioni di sacchetti eciò significa 1075,77tonnellate di carbonio inmeno rilasciatonell’atmosfera.Successi straordinari comequesto si possono ottenerequando la partecipazione ècollettiva. Nella scuola zenSōtō, sia i monaci che i laicisono impegnati a ridurrel’inquinamento dell’1% etutti sono incoraggiati atenere un «registro deiconsumi domestici» dimodo che i risultati sianopiù facilmente riscontrabili.Ecco alcuni esempi:� Ridotti i rifiuti organicidomestici� Abbassata/alzata di ungrado la temperatura delcondizionatore d’aria� Ridotto il numero dibagni da uno al giorno auno ogni due giorni� Eliminati 10 minuti diconsumi a vuotoPrendere nota in questomodo delle iniziativeintraprese consente diverificarne i risultati e ilfatto stesso di annotare

ogni azione è importanteper abituarsi ad uno stile divita improntato alrisparmio energetico.Keizan Zenji ci hainsegnato che «lo spiritodel quotidiano è la via».Queste parole ci fannocapire che ogni volta che siscopre una verità e la simette in pratica nella vitadi tutti i giorni, quella è lavia del buddhismo. L’aria el’atmosfera conservano ildelicato equilibrio chepermette alla vita diesistere ma l’uomo èarrivato al punto disconvolgere questoequilibrio. L’unicasoluzione è difenderel’ambiente partendo dallavita quotidiana di ognunodi noi.

Vivi con la natura,manifestazionedi BuddhaDōgen Zenji amava lemontagne e la natura.Riguardo alla vita inarmonia con la naturaDōgen disse che«Se io mi prendo cura dellemontagne, queste siprenderanno cura di me».Affermò anche che «i coloridei monti e il suono deiruscelli sono il corpo e la

voce di ShakyamuniBuddha». Predicò che lanatura e il Buddha sonouna cosa sola. Queste lesue parole: «ShakyamuniBuddha non deve esserevisto se non nella natura ein ogni forma di vita.Monti, fiumi e tutto ciò cheesiste in natura possonopresentarsi sotto diversiaspetti, ma sono sempreuna manifestazione diShakyamuni Buddha.»Dōgen inoltre ordinò chenon un solo ramo o fiorevenisse spezzato se non peressere usato durante lecerimonie religiose e vietòseveramentel’abbattimento di alberi senon in casi strettamentenecessari. Keizan Zenjivisse in armonia con lanatura e si adoperò in ognimodo per proteggerlariducendo al minimoindispensabile il consumodelle risorse naturali.Dalle parole e dalle vite diquesti due fondatori dellozen Sōtō impariamo nonsolo che la natura è unamanifestazione diShakyamuni Buddha, maanche che dobbiamorispettarla, ascoltarla,goderne e vivere inarmonia con essa.

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guarnizione per ridurre ilgetto d’acqua� Chiudere il rubinettomentre ci si lava il visoUsare filtri a maglia fittaper impedire che pezzi dicibo finiscano nello scaricodel lavandino� Non buttare olio nellavandino; usare carta digiornale per assorbirlo epoi procedere allosmaltimento� Usare spazzole acriliche esapone per ridurre l’uso didetersivi chimiciNella vita di tutti i giorni cisono moltissimi altri modiper risparmiare e noninquinare l’acqua e non sitratta di idee nate in questiultimi anni; l’importanzadell’acqua, infatti, fa dasempre parte della«saggezza degli anziani» eun tempo era ben radicatanelle abitudini quotidianedi ognuno. Il «Progettoverde» tiene nella massimaconsiderazione questaantica saggezza che ciinsegna come ridurre iconsumi e vivereserenamente, comefacevano i nostri nonni.Si dice che una volta, perdissetarsi, Dōgen Zenjiabbia raccolto dell’acquada un ruscello di montagna

e che, dopo avere riversatoquella rimasta nel mestolo,abbia detto: «Possaquest’acqua essere unabenedizione per i centomiliardi di persone cheverranno dopo di me». Ciòci insegna quanto Dōgenconsiderasse preziosal’acqua e noi, da partenostra, prendiamol’abitudine di non sprecarlae di mantenerla pulita.

Non sprecare l’energia,sostegno della vitaNell’ambito delle attivitàdel «Progetto verde» lascuola zen Sōtō stalanciando un appello a tuttii suoi templi e ai suoiseguaci affinché riducanodell’1% i propri consumi dienergia. Ci sono tantisemplici accorgimenti chepossono essere adottatiogni giorno e che possonofare risparmiare ad ognifamiglia anche fino a 320euro circa all’anno:� Spegnere luce eapparecchi elettrici quandonon vengono utilizzati� Regolare la temperaturadel condizionatore d’ariaabbassandola di un gradoin inverno e alzandola diun grado in estate� Fare il bagno riducendo

la quantità di acqua calda,bagnoschiuma e detergenti� Ridurre di un’ora iltempo trascorsoguardando la televisioneSe tutte le famiglie seguacidello zen Sōtō, 1,7 milioni,seguissero questi consigli sirisparmierebbero circa 60milioni di litri di petroliogrezzo (equivalenti alconsumo annuo di 7500famiglie). Secondo unachiave di lettura diversa,questi dati mettono inevidenza gli enormisprechi di questa nostrasocietà a rapido tasso dicrescita.Con il passo «Le offertetengono lontana l’avidità»,il sutra dello zen Sōtōintitolato Shushogi illustra imeriti del fare offerte.Questo insegnamento puòessere riferito anche alleiniziative di cui si è parlatofinora e che corrispondonoal piantare i semi dellafelicità per le generazionifuture.

Non inquinare l’aria,centro della vitaL’Unione delle cooperativedi consumatori giapponesiè impegnata in alcuneiniziative degne di esserericordate. Tutti i membri di

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sui CambiamentiClimatici (IPCC)prevedeva che entro il2100 l’Artico sarebbe statoprivo di ghiaccio marinodurante l’estate; è oraevidente che questoaccadrà entro un decennioo due. Allo stesso modo,anche l’ampia coperturadi ghiacci dellaGroenlandia si stasciogliendo piùrapidamente di quanto sipensasse. L’innalzamentodel livello del mare inquesto secolo sarà dialmeno un metro –sufficiente per allagaremolte città costiere e areevitali per la coltivazione

del riso, come il Delta delMekong in Vietnam.In tutto il mondo, ighiacciai stannorapidamente regredendo.Se le politiche economicheattuali verrannomantenute, i ghiacciaidell’Altopiano del Tibet,sorgenti di grandi fiumiche riforniscono di acquamiliardi di persone inAsia, spariranno entrotrent’anni. Gravi siccità ecarenze di raccolti stannogià interessandol’Australia e la Cinasettentrionale. I principalirapporti – stilati da IPCC,Nazioni Unite, UnioneEuropea e l’Unione

Internazionale per laConservazione dellaNatura- concordano sulfatto che senza uncambiamento collettivo didirezione, la diminuzionedelle riserve di acqua, ciboe altre risorse, potrebbecreare entro la metà diquesto secolo condizioni

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Oggi viviamo inun’epoca di grandicrisi, in cui

dobbiamo affrontare lapiù seria sfida chel’umanità abbia maifronteggiato: leconseguenze ecologichedel nostro karmacollettivo. Il consenso

scientifico è schiacciante:l’attività umana stascatenando un disastroambientale su scalaplanetaria. In particolare,il riscaldamento globale sista verificando molto piùvelocemente di quantofosse previsto inprecedenza, in maniera

molto più evidente al PoloNord. Per centinaia dimigliaia di anni, l’OceanoArtico è stato coperto daun’area di ghiacciomarino grande quantol’Australia, ma ora questasi sta rapidamentesciogliendo. Nel 2007 ilGruppo Intergovernativo

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La dichiarazioneche qui riportiamo,redatta daDavid TetsuunLoy (zen)e dal Ven.Bhikkhu Bodhi(Theravāda)con l’ausilioscientificodel Dott. JohnStanley, ha avutocome primofirmatarioS.S. il Dalai Lama.Chi desideracondividerlapuò sottoscriverlanel sitoecobuddhism.org� � �

IL MOMENTODI AGIRE È ORADICHIARAZIONEBUDDHISTASUICAMBIAMENTICLIMATICI

economiche e tecnologichecon il resto della biosferasono insostenibili. Persopravvivere ai turbolenticambiamenti che abbiamodavanti, i nostri stili divita e le nostre aspettativedevono cambiare.

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Questo implica nuoveabitudini e anche nuovivalori. L’insegnamentobuddhista che la salutecomplessivadell’individuo e dellasocietà dipende dalbenessere interiore, e nonmeramente dagliindicatori economici, ciaiuta a determinare icambiamenti personali esociali che dobbiamo fare.Individualmentedobbiamo adottarecomportamenti cheaumentino la quotidianaconsapevolezza ecologicae riducano la nostra”impronta del carbonio.”Quelli di noi che vivononelle economie avanzatehanno bisogno diristrutturare e isolare lecase e i luoghi di lavoroper avere maggioreefficienza energetica,abbassare i termostati in

inverno e alzarli in estate,usare lampadine eapparecchi ad altaefficienza, spegnendoliquando non li usano,guidare auto checonsumino il menopossibile e ridurre ilconsumo di carne a favoredi una salutare dieta abase di vegetali, amicadell’ambiente.Queste attività personalinon saranno di per sésufficienti ad evitarefuture calamità.Dobbiamo ancheapportare deicambiamenti istituzionali,sia tecnologici, siaeconomici. Dobbiamo“decarbonizzare” i nostrisistemi energetici nelmodo più veloce efattibile, sostituendo icombustibili fossili confonti d’energiarinnovabili, che sonoillimitate, benevole e inarmonia con la natura.In particolare, abbiamobisogno di fermare lacostruzione di nuovecentrali a carbone, di granlunga la più inquinante epericolosa fonte dicarbonio atmosferico. Seutilizzati avvedutamente,l’energia eolica, solare,

delle maree e geotermicapossono fornire tuttal’elettricità di cuinecessitiamo senzadanneggiare la biosfera.Poiché fino a un quartodelle emissioni carbonicherisulta dalladeforestazione, dobbiamoinvertire la distruzionedelle foreste, specialmentela fascia vitale delleforeste pluviali dove vivela maggior parte dellespecie animali e vegetali.Recentemente è diventatopiuttosto ovvio che sononecessari anchesignificativi cambiamentinel modo in cui il nostrosistema economico èstrutturato.

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Il riscaldamento globale èintimamente correlato allapantagruelica quantità dienergia che le nostreindustrie divorano persostenere i livelli diconsumo che molti di noihanno imparato adesigere. Da un punto divista buddhista,un’economia sana esostenibile dovrebbeessere governata dalprincipio della sufficienza:

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di carestia, innescareconflitti per accaparrarsi lerisorse e migrazioni dimassa - forse entro il 2030,secondo il capoconsigliere scientifico delRegno Unito.Il riscaldamento globalegioca un ruolo principalein altre crisi ecologiche,inclusa la perdita di moltepiante e specie animali checondividono questa Terracon noi.Gli oceanografidenunciano che metà delcarbonio rilasciatobruciando combustibilifossili è stato assorbitodagli oceani, aumentandola loro acidità del 30percento. L’acidificazionesta distruggendo lacalcificazione delleconchiglie e delle barrierecoralline, così come staminacciando lo sviluppodel plankton, origine dellacatena alimentare per lamaggior parte della vitamarina.Eminenti biologi erapporti delle NazioniUnite concordano che“andare avanti come senulla fosse” porteràall’estinzione la metà dellespecie viventi sulla Terraentro questo secolo.

Collettivamente, stiamoviolando il primo precetto–“non danneggiare gliesseri viventi”- nella piùampia scala possibile e,inoltre, non possiamoprevedere le conseguenzebiologiche per la vitaumana, una volta chesaranno scomparse cosìtante specie checontribuiscono in manierainvisibile al nostrobenessere.

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Molti scienziati sonogiunti alla conclusione cheè in gioco lasopravvivenza stessa dellaciviltà umana. Abbiamoraggiunto un punto criticodella nostra evoluzionebiologica e sociale.Non c’è mai stato unmomento più importantenella storia per mettere lerisorse del Buddhismo adisposizione di tutti gliesseri viventi. Le quattronobili verità fornisconouna struttura perdiagnosticare la situazioneattuale e formulareappropriate linee guida –perché le minacce e idisastri che abbiamodavanti derivano, in

definitiva, dalla menteumana, e pertantorichiedono profondicambiamenti nelle nostrementi. Se la sofferenzapersonale derivadall’attaccamento edall’ignoranza- dai treveleni di avidità,intenzione malevola eillusione - lo stessoprincipio si applica allasofferenza che ci affliggesu scala collettiva.La nostra emergenzaecologica è una versionepiù ampia delle perennidifficoltà umane. Sia comeindividui, sia come specie,soffriamo di un senso delsé che si sente scollegatonon solo dalle altrepersone, ma dalla Terrastessa. Come ha dettoThich Nhat Hahn, “noisiamo qui per risvegliarcidall’illusione della nostraseparazione.” Abbiamobisogno di svegliarci ecapire che la terra è lanostra madre e anche lanostra casa – e in questocaso il cordone ombelicaleche ci lega ad essa nonpuò essere reciso. Quantola terra si ammala, anchenoi ci ammaliamo, perchésiamo parte di essa.Le nostre attuali relazioni

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la chiave per la felicità è lasoddisfazione, piuttostoche una sempre crescenteabbondanza di merci. Ildesiderio irresistibile diconsumare sempre di piùè un’espressionedell’attaccamento, che èproprio quella cosa cheBuddha indicò come lacausa radice dellasofferenza.

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Invece di un’economia cheenfatizza il profitto erichiede una perpetuacrescita per evitare ilcrollo, dobbiamomuoverci insieme versoun’economia che procuriun soddisfacente standarddi vita per tutti,permettendoci disviluppare pienamente le nostre potenzialità(incluse quelle spirituali)in armonia con la biosferache sostiene e alimentatutti gli esseri, comprese le generazioni future. Se i leader politici nonsono in grado diriconoscere l’urgenzadella crisi globale, oriluttanti a mettere ilbenessere a lungo terminedell’umanità al di sopra

del beneficio a brevetermine delle aziende deicombustibili fossili,potremmo aver bisogno disfidarli con prolungatecampagne di azione civile.Il Dott. James Hansendella NASA e altriclimatologi hannorecentemente definitol’obiettivo preciso,necessario per evitare cheil riscaldamento globaleraggiunga picchicatastrofici. Affinché laciviltà umana siasostenibile, il livello disicurezza di anidridecarbonica nell’atmosferanon deve essere superiorealle 350 parti per milione(ppm). Questo obiettivo èstato sottoscritto dal DalaiLama, insieme ad altripremi Nobel e notiscienziati. La situazioneattuale è particolarmentepreoccupante in quanto illivello attuale è già di 387ppm, e cresce ogni annodi 2 ppm. Siamo chiamatinon solo a ridurre leemissioni carboniche, maanche a rimuovere legrandi quantità di gascarbonico presentinell’atmosfera.Come firmatari di questadichiarazione di principi

buddhisti, riconosciamol’urgenza della sfida delcambiamento climatico. Ci uniamo al Dalai Lamasottoscrivendo l’obiettivodi 350 ppm. In accordoagli insegnamentibuddhisti, accettiamo la nostra responsabilitàindividuale e collettivaper fare qualsiasi cosa innostro potere al fine disoddisfare questoobiettivo, incluse (ma nonsolo) le risposte personalie sociali delineate piùsopra.

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Abbiamo una brevefinestra di opportunità per agire, per preservarel’umanità dal disastroimminente e per essere di aiuto per lasopravvivenza dellemolte, diverse emeravigliose forme di vitasulla Terra. Le generazionifuture e le altre specie, checondividono la biosferacon noi, non hanno voceper chiedercicompassione, saggezza e autorità. Dobbiamoascoltare il loro silenzio,dobbiamo essere la lorovoce e agire per loro.

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Le religioni non sono uguali: sonoprofondamente e irrimediabilmente

diverse perché diverse sonole istanze spirituali e religiose che le

sostengono; ma per questo possonodialogare, come uomini

e donne diversi possono parlaretra loro e comprendersi.

di Mauricio Yushin Marassi

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scuola Zen appartiene al Mahāyāna e ne costituisce la parte più raffinata.È normale quindi, che, da quando ho lasciato il monastero, la mia realtàsia dare corpo con la mia vita alla proposta centrale del buddhismo ma-hāyāna, ovvero vivere pienamente da religioso buddhista all’interno del-la realtà sociale. Nel buddhismo mahāyāna l’indicazione di tornare nelmondo non è marginale, bensì è data come la conclusione inevitabile delpercorso. In ogni cultura in cui si sia manifestata questa famiglia buddhi-sta — e perciò anche oggi qui in Occidente — questa indicazione di collo-cazione nello svolgimento della propria vita dà origine a una figura reli-giosa nuova rispetto alla realtà circostante: una persona che ha vissutocome monaco/a un lungo periodo di trasformazione e che, lasciato lostatus di monaco, ne mantiene però l’appartenenza, ossia con una collo-cazione interiore che è «nel mondo ma non del mondo». Quando dicoche questa figura religiosa necessariamente deve aver vissuto da «mona-co/a», per brevità semplifico con questa formula il senso di ogni sceltaradicale che comporti il «lasciare la casa» in ogni sua accezione per dedi-carsi unicamente allo sviluppo, all’approfondimento della propria via in-teriore secondo l’insegnamento del Buddha. La comparsa di questa figu-ra — come dicevo ancora senza nome nelle lingue occidentali — genera

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Inizialmente vorrei dedicare qualche parola alla definizione «mona-co buddhista Zen» che nel programma di questo incontro è stata as-sociata al mio nome. In particolare il termine «monaco» ha un senso

che in questo caso potrebbe essere fuorviante perché nel mio caso indicauna figura umana ben diversa da quella normalmente attribuitagli. Inrealtà il termine «monaco» associato al mio nome sopperisce, abbastanzainadeguatamente, all’assenza — nella nostra e nelle altre lingue occiden-tali — di un termine specifico atto alla bisogna. È per questo che, quandoho visto che venivo definito così sul programma dell’incontro, ho lasciatole cose come stavano: perché non ho un termine più adeguato da propor-re. Tuttavia sono consapevole che in un luogo come questo, ovvero unacomunità monastica autentica, è particolarmente stonato che io venga in-dicato con questo titolo.

Ho vissuto parecchi anni in un monastero e in quella sede ho ricevutole ordinazioni proprie al percorso della tradizione zen. Tuttavia non vivoin monastero, né tanto meno vivo come un monaco, ovvero da single inuna comunità. Infatti sono sposato e ho una figlia di cui mi prendo curacome padre. In termini molto generali, il fenomeno buddhista mondialesi compone oggi di due grandi famiglie: il Theravāda e il Mahāyāna. La

Incontro presso laComunità di Bose,15 Novembre 2009

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MauricioYushin Marassi,ordinato monacozen nel 1980nel monasterogiapponese diAntaiji, è tornatoin Italia cometestimonemissionario dellascuola Soto.Si occupaattivamente didialogo interreligiosoe partecipa dallafondazione allaComunità Stelladel Mattino.Tra i suoi scritti:Piccola guidaal buddismo zennei paesi deltramonto(Marietti 2000),Intelligenza volsea settentrione,umorismoe meditazionibuddiste(Marietti 2002).

BUDDHISMOeCRISTIAN ESIMO:unconfronto

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sarà evidente per molti, la parafrasi di una frase di Eckhart [2].Un amico, fratello cristiano, monaco camaldolese, dopo un periodo di

pratica comune, mi ha donato una splendida rappresentazione dello za-zen, la pratica-base del buddhismo zen; mi ha detto «È un perdere e nontrovare». Questo è molto azzeccato; infatti è una scelta di campo che nonimplica un risultato. Da questa breve introduzione sembrerebbe che daun lato la parte più sottile, rarefatta del buddhismo, ossia lo zen e dall’al-tro lato il solco profondo della ricerca mistica cristiana siano un punto diincontro tra queste due religioni universali. Invece le cose non stanno co-si. Buddhismo e cristianesimo restano distinti come due persone che pos-sono anche trovarsi nello stesso luogo nello stesso momento, ma poi ri-prendono la loro strada evidenziando ancora il loro essere due. Se cosìnon fosse, ovvero se le parti profonde di buddhismo e cristianesimo po-tessero sovrapporsi, non avrebbe senso il mio dirmi buddhista e il dirsicristiano di chi tra voi si sente tale. L’identità religiosa, la forma intimadella religiosità di ciascuno di noi non è diversa solo perché siamo perso-ne uniche e irripetibili, ma è diversa perché attingiamo a fonti diverse. Eattingiamo a fonti diverse perché la domanda iniziale, la motivazione ovocazione religiosa è diversa fin dall’inizio.

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P er rappresentare questa diversità approfitto del trovarmi aBose per raccontare un momento molto importante della miavita in cui Bose — in particolare nella persona del priore Enzo

Bianchi — rivestì un ruolo fondamentale. Quando, alla fine degliAnni Sessanta inizio dei Settanta del secolo scorso si diradarono lenebbie e i sogni di quel periodo detto Sessantotto, mi trovavo a Torino,dove con la lettura dei Vangeli avevo iniziato a tentare di soddisfare lasete di verità, di giustizia e di conoscenza che il fallimento di queglianni aveva lasciato in persone come me, mosse da un’istanza tral’esistenziale e il religioso. Fu allora che, apparentemente per caso, in-contrai il priore di questa comunità, il quale, con mio stupore, riconob-be in me praticamente al primo sguardo, una persona alla ricerca di sestesso e del suo superamento. Una persona portatrice di una vocazio-ne religiosa. Presi a frequentare lui, il gruppo di cinque sei persone cheera allora la Comunità e a indagare. Mettere alla prova quegli uominie donne, per romperne la certezza che li animava e cercare di vederlisenza schermi, in modo da capire come e perché Gesù potesse essereper loro la fonte che, forse, cercavo anch’io.

Dopo due anni di frequentazioni, l’Ecclesiaste fu il muro che ci divise.

[1] «Retta visione,retta intenzione, rettoparlare, rettacondotta, retti mezzidi sussistenza, rettosforzo, retta presenteattenzione e rettaconcentrazione», cfr.Dhammacakkapavattanasutta, Discorsodella messa in motodella ruota delDhamma, SamyuttaNikāya (56.11)

[2] La frase diEckhart è: «La cosapiù elevata edestrema cui l’uomopossa rinunciare, èrinunciare a Dio perDio», Sermoni: Quiaudit me. Nellaversione dellePaoline è a p. 170.

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BUDDHISMOeCRISTIANESIMO:unconfronto

una serie di novità che riguardano tutte le attività umane, nelle relazionisociali ma anche nel rapporto con il denaro, con il lavoro e con la fami-glia e perciò anche un diverso modello di matrimonio. Infatti, per chi sce-glie la via del matrimonio, la famiglia diviene l’alveo del processo di svi-luppo spirituale e acquisisce una funzione che non si esaurisce nel classi-co «amatevi e moltiplicatevi» ma è prima di tutto cantiere sperimentaledi costruzione di salvezza e insieme motore, volano di conversione, an-che se non necessariamente all’interno delle mura domestiche. Ovvero,sebbene in questo caso la famiglia diventi l’alveo primario della propriapratica — e chi tra di voi è o è stato sposato può confermarmi, penso,quale splendida via di santità sia il rapporto quotidiano, per decenni, conuna moglie — questo non significa che moglie e figli debbano essere o di-ventare buddhisti.

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I precetti e le altre indicazioni dell’etica buddhista quali il NobileOttuplice Sentiero [1] non sono più rivolti solamente ai monaci,come nell’altra corrente buddhista detta Theravāda, ma divengo-

no passo normale della persona della via che tenta di realizzare conla propria vita la difficile alchimia in cui consiste l’edificazione delrisveglio nella vita dell’uomo. Cioè trasformare la vita di ogni giornoda luogo di produzione e fruizione di angustie e sofferenza in unacontinua emersione alla luce della liberta e della pienezza, una pienez-za priva di cause mondane, perciò vuota secondo il mondo. Volendoutilizzare un’«espressione zen» per esprimere questa visuale, possia-mo dire che la difficoltà sta nel vivere nel mondo, ovvero nel regnodella quantità, pur condividendo la visuale per cui «perdita è guada-gno, guadagno è perdita».

Chiarito per grandi linee il senso dell’espressione «monaco buddhi-sta zen», possiamo entrare più specificatamente in argomento.Inizialmente questa conversazione si sarebbe dovuta intitolare «ilparadiso perduto» con riferimento a un’espressione cara a MirceaEliade per rappresentare le cause trainanti di quel processo, di quel-l’immersione che nella nostra cultura è oramai comunemente definita«mistica». Poi, prendendo accordi con la comunità di Bose, abbiamoconvenuto che sarebbe stato più adatto il titolo che avete trovato sulprogramma. I titoli sono evocativi di contenuti immaginati o auspicatie un altro titolo che si potrebbe usare per avvicinarci un poco di più al-l’argomento di oggi è: «Il distacco finale, più alto, di cui è capacel’uomo è liberarsi di Dio senza sostituirlo con alcunché». Che è, come

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Scelsi di impostare lo sviluppo della mia vita spirituale secondo ilbuddhismo zen. Il motivo di questa scelta fu che, vedendo le differenzetra le due possibilità, vidi chiaramente quale delle due era più aderentealla mia esigenza profonda. E posso dire ora, alcuni decenni più tardi,che non mi ero ingannato: buddhismo e cristianesimo sono irrimediabil-mente, profondamente diversi, pur non negandosi a vicenda. Anzi, pos-sono sostenersi a vicenda.

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Un caso molto noto è quello del padre gesuita Hugo MakibiEnomiya-Lassalle che nel secolo scorso fu tra i primi occidentali— e certamente il primo tra gli appartenenti in modo strutturale

alla chiesa cattolica — a tentare una piena immersione nella praticazen. Lassalle scrisse: «La verità è che se un cristiano […] pratica intensa-mente lo zazen, dopo qualche tempo vede letteralmente accendersi al-l’improvviso le verità cristiane e le parole delle scritture» [3].

Questa è un’esperienza non rara tra i cristiani che si avvicinano allapratica dello zen. Diverso, anche se altrettanto interessante, è il caso dibuddhisti che, pur restando tali, tentano di penetrare il mistero passandoattraverso la fede cristiana. La cosa è particolarmente interessante, in spe-cial modo quando si tratta di Cinesi, Coreani o Giapponesi, ma questoper ora lo lasciamo da parte. Il dato che invece voglio sottolineare è che citroviamo di fronte a due religioni profondamente diverse e non in con-correnza. Detto ciò, possiamo provare a vedere in che cosa si estrinsechio dove risieda questa diversità.

Tenendo conto che non stiamo paragonando arance e ciliegie, mapercorsi sottili cui la parte più sottile dell’uomo è chiamata ad aderire,ragion per cui le differenze non sempre sono palesi, anzi, più spessosono celate dalla nostra tendenza all’omologazione, dal tentativo dileggere diversi paradigmi con le categorie della nostra cultura. A par-tire proprio da ciò che a noi (quando dico «noi» mi faccio occidentale ecristiano) può sembrare talmente univoco e indubitabile da non costi-tuire alcun dubbio concettuale. Ci sono differenze abissali proprio ladove non ce lo aspettiamo. So che tra i monaci di Bose ci sono diversecompetenze, perciò, se mi addentro in un discorso sui nomi di Dio, ri-schio di fare una brutta figura, ma non so se qualcuno di voi sa comesi dica o si chiami il «dio» dei monoteismi in cinese o in giapponese.Come ho anticipato all’inizio, parlando in termini molto generali pos-siamo dire che il buddhismo è suddiviso in due grandi famiglie: detteMahāyāna e Theravāda. Quest’ultimo solo marginalmente è penetrato

[3] Cfr. H. E. Lassalle,Zen e spiritualitacristiana, EdizioniMediterranee, Roma1995, p. 34.

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Il senso del non senso, la gratuità di «tutto questo» mi era evidente, manon mostrava al mio cuore l’ingresso, la chiave che apre le porte dell’infi-nito. La Parola che salva rimase parola e... non mi salvò. Un giorno, dinuovo «apparentemente per caso», su una bancarella di libri usati mi ap-parve il Buddha. Un libretto semplice, la sua vita iconografica con la scel-ta, un destino voluto, di salvare se stesso e il mondo dalle sue miserie.Cominciai a paragonare confusamente la proposta buddhista di costruireuna vita che sia essa stessa salvezza con l’apparato salvifico che sino allo-ra avevo conosciuto. Nel frattempo accade un fatto nuovo e importante.In modo del tutto inaspettato, Enzo, un giorno, fece spontaneamente lacosa per cui gli sono più grato: mi liberò da lui e dal suo mondo, serio eaffascinante, ma a me interiormente precluso, e mi indicò l’Oriente comepatria di quelle melodie dalle quali le mie orecchie avrebbero potuto co-gliere la vera musica.

Tralascio le vicissitudini che mi portarono prima in India, poi in Tibet,poi in una comunità sui monti di Genova e, infine, per dieci anni in uneremo zen in Giappone. Ciò che intendo dire è che, nel momento in cuila mia istanza, quella domanda di spiritualità che ho prima definito voca-zione, incontrò una modalità d’accoglienza armonica, la riconobbe inmodo pressoché immediato. Le religioni non sono uguali, sono profon-damente e irrimediabilmente diverse proprio perché diverse sono leistanze spirituali, religiose degli uomini. Questo mi fu evidente in un se-condo tempo, quando compresi il cristianesimo, ovvero, più modesta-mente, compresi l’importanza e la piena validità liberante dell’ingressoper la porta stretta. Fu un momento di vera gioia, sia perché era una pie-na riconciliazione con la parte di me nata e formata, plasmata direi, se-condo una modalità italiana, cattolica, cristiana: nel riconoscimento dellapiena validità, bontà e capacità liberatoria di questo lato della mia animac’era la sua piena accettazione.

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Quindi — e questo fu motivo di una grande pace — potevo esse-re tutt’e due, non avevo bisogno di scegliere eliminando, cen-surando una parte di me, fatto che sarebbe stato certamente

traumatico, un vulnus che non si sarebbe mai sanato. Essendo italia-no, di famiglia cattolica, il mio primitivo essere cristiano non era statauna scelta cosciente: mi ero trovato ad essere cristiano. In quel mo-mento, invece, avevo la libera possibilità di scegliere se tornare a esse-re cristiano, ma questa volta da adulto protagonista, oppure se avven-turarmi in una nuova cultura religiosa.

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tata di una religione sciamanica, divinatoria che comunicava con un po-polatissimo aldilà.

Lo stesso ideogramma, però, era già in uso anche per indicare sia i 5grandi sovrani della mitologia, sia il Primo Imperatore [5], Qin ShiHuang Di, che si autodefinì appunto Di per legare il proprio nome nonsolo ma anche a quella mitologia. Quindi per dire «dio» in cinese, siusò un ideogramma che è, o è stato, un titolo imperiale (che per meto-nimia il dizionario attuale traduce con «imperatore») e prima ancoraindicava lo spirito più potente, più alto, tra quelli con cui gli sciamanisi ponevano in contatto.

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In Giappone invece, sempre tra il XVI e il XVII secolo, fu un altroideogramma ad essere scelto. Questo ideogramma, letto«shin», a imitazione della pronuncia cinese «shen», lo troviamo

nel nome Shinto, , solitamente tradotto con «via degli dei» o«via degli spiriti superiori» con cui dall’ottavo secolo in poi si autode-finisce la religione autoctona giapponese. Sempre lo stesso ideogram-ma, anche se con la lettura giapponesizzata in «kami», nel XIII secolocompare nella parola kamikaze, letteralmente «vento divino», no-me che venne attribuito al tifone che distrusse la flotta di Kubilai Kan im-pedendo l’invasione del Giappone. Tra il XVI e il XVII secolo i missionaricristiani usarono questo ideogramma nella sua lettura giapponese, kami,unendolo all’onorifico sama e formando , «kamisama», letteral-mente «molto onorevole dio», termine con cui viene chiamato anche og-gi il dio delle religioni monoteiste.

Tuttavia, l’ideogramma letto «shin» o «kami» (per un giapponese fapoca differenza essendo parte della cultura religiosa shinto) indica ancoroggi la parte sottile o spirituale delle cose, in particolare la forza misterio-sa che da esse promana o che le costituisce. Attualmente lo stesso ideo-gramma, letto «shen», viene utilizzato anche in Cina per dire «Dio»,soppiantando l’ideogramma di cui ho parlato prima. Sia nel caso cinesesia in quello giapponese, certamente il senso pregresso si mischia, sicombina col senso cristiano sovrapposto e questo senso sovrapposto nonriesce praticamente mai a scacciare o sostituire il senso pregresso. Per cuiil modo con cui gli orientali intendono il dio cristiano è quasi interamentecomposto dalla concezione di partenza nella loro cultura. Come apparechiaramente per esempio nei libri, pubblicati anche in italiano, della cam-bogiana Claire Ly [6] e del giapponese Endo Shusaku, ambedue cristianicattolici. Quest’ultimo, in un suo testo non pubblicato in Italia dice:

[4] Shang in cinese.

[5] 260-210 a.C.

[6] In particolareRitorno in Cambogia,pubblicato dallePaoline nel 2008.

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nei Paesi dell’Estremo Oriente sviluppandosi soprattutto nello SriLanka, in Birmania, Thailandia, Cambogia, Laos, Bali, mentre il bud-dhismo di famiglia mahāyāna nei secoli ha attraversato la Cina da cuisi è espanso verso la Corea, il Giappone e il Vietnam.

Anagraficamente il buddhismo nasce in India, ragion per cuil’elaborazione del rapporto col divino da parte di questa religiosità che,occorre notare, sfugge al nostro concetto di religione, è certamente legataa quella cultura ed all’evoluzione che tale rapporto ha avuto in quellacultura. Tuttavia, il buddhismo che attualmente giunge in Europa e, piùgeneralmente, in Occidente è soprattutto buddhismo di scuola sino-giap-ponese oppure tibetana, per cui l’ulteriore evoluzione avvenuta all’inter-no di quelle culture è quasi altrettanto importante per capirne megliol’impasto e il codice semantico. Per non complicare troppo le cose, per ilmomento lasciamo fuori dal discorso, oltre che il buddhismo theravāda,anche il buddhismo tibetano più propriamente detto vajrayāna e diamouna rapida occhiata ad alcuni aspetti del Mahāyāna cinese. Il modo concui si può dire «dio» in cinese, o per esempio in giapponese, pare unproblema dalla soluzione molto semplice, in realtà è un problema di qua-si impossibile soluzione, per il semplice motivo che, al di làdell’Himalaya, a partire dalle origini della loro storia, ovvero attorno al3000 avanti Cristo, non hanno mai pensato dio, oppure non lo hanno maipensato nei termini in cui lo abbiamo pensato noi.

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Per quanto possa apparirci strano, vi è e vi è stato un disinteressequasi totale per tutta quell’area che —pur oggetto di umana cu-riosità — è fuori dalla portata del conoscibile; soprattutto rimane

fuori come oggetto di studio, in quanto impensabile, quell’area disenso che in Occidente è stata riempita con «Dio» e perciò, conse-guentemente, anche la morale che ne deriva: il peccato, la redenzio-ne, il castigo. Questo notevole stato di fatto avrà un’enorme importanzanello sviluppo del buddhismo all’interno della cultura estremo-orientalee, notiamo marginalmente, nella quasi totale estraneità con cui vi è perce-pito il cristianesimo.

Per la cronaca, il modo di dire «dio» in cinese e giapponese è stato ri-solto in modo abbastanza curioso in ambedue i casi: i gesuiti, nel XVII se-colo, in Cina scelsero come nome di Dio, da solo o unito a un altro segno

, che significa alto [4], un certo ideogramma , ora traslitterato«di», perché era il nome della divinità suprema della dinastia Shang, laprima dinastia storica (regnante tra il 1700 e il 1000 a.C.), che però era do-

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praticanti nell’arco di molte centinaia di anni. Fu in questo modo che permolto tempo venne trasmesso l’insegnamento scritto, ovvero come fontedi una verità asseverata e affidabile.

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Oggi come ieri, leggendo il Sutra del Loto oppure altre opere bud-diste indiane, il nostro sforzo sta nel coglierne il senso religiosonelle sue profondità stratificate, non certo nel credere che si tratti

di resoconti storici o da intendersi come tali. La letteratura buddhistacinese, invece, almeno per ciò che riguarda la scuola del Chán (o Zen sepronunciamo lo stesso ideogramma in giapponese) e in misura minore lealtre scuole, forte della convinzione di poter plasmare la realtà attraversola rappresentazione simbolica fornita dalla potenza degli ideogrammi, hautilizzato come veicolo del significato elenchi per lo più fittizi, costruiti aposteriori di nomi di persone che, viene affermato, si sono trasmesse l’unl’altra, generazione dopo generazione, l’insegnamento del Buddha Śāk-yamuni. Elenchi accompagnati da biografie che riportano episodi, frasi,gesti di quelle stesse persone; sono invece di numero limitato le opere ditipo «indiano», a carattere dottrinale, teoretico. In questo modo ciascunodei personaggi in quegli elenchi rappresenta una «parte in commedia»:ha il compito di far vivere un aspetto o l’altro dell’insegnamento del li-gnaggio che si vuole trasmettere. Perciò se noi, dopo accurate indagini,riuscissimo a riscrivere, ammesso che sia possibile, la vera storia dei varilignaggi, non faremmo altro che costruire una nuova versione, forse an-che vicina ad alcuni avvenimenti confermati come reali, ma certamentenel processo da noi attivato scomparirebbe l’unico valore per il qualequelle finzioni sono state assemblate con tanta cura nell’arco di secoli.

La storia del buddhismo cinese in quanto religione è in quelle finzioni,non nei pretesi fatti, così come la storia del buddhismo indiano è nei sū-tra e non nelle ricostruzioni storiche, peraltro in India del tutto inesistentisino a tempi recenti. Potrebbe sembrare che questa posizione renda tuttopiù difficile: per chi non è avvezzo a considerare la letteratura religiosauna traccia dalla quale trarre ispirazione e pensa invece che essa trasmet-ta verità storiche, sapere che occorre fare riferimento ad una storia com-pletamente, irrimediabilmente, sfacciatamente inventata può essere unimpedimento a prendere sul serio l’argomento.

Diversamente, sappiamo tutti che una delle peculiarità della Pasquacristiana, a partire da san Paolo, quando nel capitolo 15 della prima lette-ra ai Corinzi porta la testimonianza dei 500 che videro Gesù risorto, èquella di porre il credente di fronte al discrimine rappresentato dalla ri-

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«Caratteristica dei giapponesi è una triplice insensibilità, a Dio, al pecca-to, alla morte». Il punto è che la spiritualità orientale, al di là come al diqua dell’Himalaya, ha pensato «Dio» in modo radicalmente diverso dacome è stato pensato dalla spiritualità monoteista occidentale.

Ovvero un mondo spirituale dove a partire dal VI secolo a.C., che ve-de la fine della monarchia dell’antico Israele e che segna l’inizio del mo-noteismo che, per concisione, definiamo abramitico, almeno a livello ge-nerale è scontato che tutto deriva da un Dio Creatore, che è la Persona e ilFondamento per eccellenza. Il buddhismo, per tornare all’altra parte deldiscorso, nega qualità ontiche a ogni fenomeno e non colloca alcun dionel suo cielo, anzi, fa ogni sforzo affinché quel cielo, che possiamo defini-re il cielo dello spirito, resti libero e vuoto, privo di idoli. E, laddove qual-che divinità sia stata ammessa nel suo pantheon, essa è del tutto priva diqualità ontica: oggi, forse, c’è, domani chissà.

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La specificità strutturale del buddhismo, ciò che gli garantisce unposto separato e unico tra le religioni universali, è proprio quelnon occuparsi delle cose di Dio. Continuando a esaminare le dif-

ferenze strutturali tra il buddhismo e le religioni del libro, cristiane-simo in particolare, vediamo un altro aspetto che si riverbera, seppu-re in forme differenti, nella cultura indiana e in quella cinese.Durante il periodo del buddhismo indiano, sono state soprattutto operechiamate sutta in pāli e sūtra in sanscrito ad assolvere il compito di forni-re una versione (quasi) perfettamente coerente dell’insegnamento delBuddha. Opere la cui autorità era asseverata dall’attribuzione formaledei contenuti al Buddha stesso e che perciò fornivano una traccia sicuradi «com’è l’insegnamento buddhista».

Tuttavia, ritengo che fuori dall’ambito popolare ben pochi abbianomai creduto che tutti quei discorsi e parole fossero certamente opera del-lo Śākyamuni, il Buddha di questa era: il fatto davvero dirimente è cheerano stati verificati per molto tempo da un numero sufficiente di perso-ne attendibili e tanto bastava e basta per prenderli sul serio.Successivamente, all’interno della famiglia Mahāyāna del buddhismo, vifu il periodo della letteratura della Prajñāpāramitā, i cui autori rimaseroanonimi e poi, a seguire, le opere di Nāgārjuna, il primo buddhista inIndia ad avere l’onore del nome legato a un testo e infine le opere del-l’ambito detto «scuola Yogācāra»: ciascuna tendenza conquistò credibili-tà anche grazie al suo legarsi con miti e leggende, ma mantenne questacredibilità solo per la verifica dei contenuti da parte di migliaia di seri

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so per cui, per esempio, sul Picco dell’Avvoltoio il Buddha eMahākāśyapa si siano scambiati uno sguardo d’intesa al cospetto di unfiore, non se quell’episodio sia «storico» oppure no: la certificazione diautenticità di ogni insegnamento buddhista non è dato dalle certezze sto-riche bensì dalla verifica all’interno della propria esperienza del sensodell’episodio narrato. Tali racconti sono da valutare quali insegnamentireligiosi, secondo la reale efficacia che un certo impianto ha nel raggiun-gere l’obiettivo o scopo, che costituisce la ragion d’essere di quel movi-mento religioso.

Per concludere questa parte, quello che intendo dire, quindi, è che lereligioni universali nate da ceppi differenti non sono diverse per il lorodifferente approccio nei confronti di Dio: quella è, piuttosto, la diversitàtra religioni concorrenti — che infatti di solito si fanno la guerra... —, ladiversità più preziosa sta nel fatto che rispondono a diverse esigenze, odiverse problematiche religiose.

E così come il cristianesimo e le sue due concorrenti nate dalla medesi-ma radice «si occupano» del problema della creazione, del Signore delmondo, della sua imitazione e obbedienza e poi del peccato e della suaoblazione, della morale e della sacralità della persona... il buddhismo na-sce per soddisfare altre istanze che abitano il cuore dell’uomo: il proble-ma della sofferenza in una vita non richiesta e la via di realizzazione del-la «vera letizia»; la misteriosa profondità dell’esistenza ovvero la visionedella vera natura delle cose che a sua volta conduce ad una scelta opera-tiva orientata al bene... il tutto senza chiamare in causa né Dio né dei. Sesi mischiano le cose, se si annacqua la specificità di una religione, questaperde in tutto, o in parte, la sua ragion d’essere ed entra nel novero deiconcorrenti di altre religioni generando conflitti. Allo stesso tempo, anco-ra più importante, finisce per lasciare scoperta quell’area di senso persoddisfare la quale era nata.

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M a il tempo stringe, ovvero il tempo della nostra morte nonsmette di correrci incontro, per cui passiamo senza indugi aun altro piano del discorso, ovvero a una rappresentazione

funzionale del buddhismo nella forma in cui viene offerto dallascuola zen. Scuola che, per brevità, oggi non presentiamo né nelle suefattezze storiche, né in quelle geografiche né in quelle dottrinali. Ci li-mitiamo a collocarla all’interno della corrente centrale del buddhismomahāyāna identificandola con la tradizione che dal Buddha scorre inIndia attraverso Nāgārjuna nel secondo secolo, Asanga e Vasubandhu

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surrezione di Cristo in anima e corpo. In pratica, al fedele viene chiesto(almeno a livello generale), oltre alla comprensione simbolica e del signi-ficato profondamente e personalmente rivoluzionario della resurrezione,di credere alla resurrezione del corpo e dell’anima di Cristo in quantofatto storico. E certamente un aut aut che qualifica il cristianesimo comeuna religione completamente diversa da quelle che sono nate a est delKyber Pass, la naturale porta d’accesso che dall’Afghanistan introducealla valle dell’Indo. Nell’immenso pantheon religioso indiano, di qualsia-si tradizione si tratti, non si contano gli avvenimenti miracolosi, i raccontidi resuscitati, di rinascite, di trasformazioni da uomo ad animale e vice-versa, sino a giungere, in quell’ambito che un po’ infantilmente definia-mo induismo, ad una personificazione di Dio (Dio con la D maiuscola)chiamata Ganesha che, a cavallo di un topo, si presenta con corpod’uomo dal ventre prominente e la testa d’elefante perché, essendo statodecapitato da giovane, aveva usato, come sostituto della sua, la testa diun elefante dormiente.

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In India, il culto di Ganesh è stato (ed è ancora) uno dei più popola-ri, la sua immagine compare agli angoli delle strade, in templi ap-positi come pure in altri dedicati a diversi aspetti di Dio, il numero

dei suoi devoti è certamente nell’ordine delle centinaia di milioni perogni generazione. Tuttavia, a parte stranezze sempre possibili trattan-dosi di grandi numeri, nessuno crede o ha mai creduto che le avventuredi Ganesh siano un fatto storico. E questo non lede per nulla il rispetto, ladevozione e la riflessione teologica che la sua figura suscita. Se guardia-mo da una prospettiva orientale, ancorare una fede ad un fatto storico èrischioso per la religione stessa: rischia di far la fine della storia la quale equesto è un dato di fatto in tutta la cultura orientale cambia continua-mente al mutare delle informazioni predominanti e degli interessi in gio-co. Perciò, secondo questa visuale, una fede che pone al suo centro unoggetto così pesante (o così leggero, a seconda dei punti di vista) come èun fatto storico nei vari modi in cui lo intendiamo, rasenta o rischia di ra-sentare da presso l’idolatria.

Ragion per cui, riassumendo, abbiamo in India una costruzione fanta-stica dei fatti che dice esplicitamente che non deve essere creduta e inCina una storia apparentemente coerente che è invece una storia comple-tamente inventata. E il fatto che la storia di tutte le scuole cinesi sia statacomposta a posteriori, in un’economia di fede buddhista non crea alcunproblema particolare. Ciò che conta è il significato di quei racconti, il sen-

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Quella lasciataci da Siddhartha è una promessa che può essere conferma-ta nella nostra vita con la messa in opera di tre elementi, intimamentecollegati: 1) la pratica detta in giapponese zazen, 2) una chiara visionedella vera natura delle cose e 3) un tipo di atteggiamento che sia di basecomune a tutte le nostre azioni, un atteggiamento che possiamo descrive-re con le parole: innocenza, amicalità, sollecitudine. Questi tre elementipratica, gnosi ed etica morale forniscono le indicazioni attinenti a tutti gliaspetti attivi e passivi della vita dell’uomo.

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V ediamo rapidamente, uno per uno, questi tre poli almeno perciò che è possibile tramite il racconto, iniziando dalla praticache il buddhismo zen ci propone come base quotidiana della

via di salvezza: si tratta di una pratica che ha nomi diversi e alcunedifferenze a seconda delle varie scuole, variamente sacralizzata espesso avvolta nel mistero perché richiede una relazione continua eprofonda con chi ne è depositario. Tuttavia, in sintesi, si tratta di se-dersi a gambe incrociate davanti ad un muro con la schiena eretta, inun posto tranquillo, e rimanere immobili in silenzio.

Raimon Panikkar ha coniato un’espressione a cavallo tra la culturacristiana e quella indiana, ovvero le due culture per lui fondanti: quel-lo star seduti, dice, è una sorta di offerta sacrificale dell’umano. Inquello star seduti gli occhi sono aperti, ma non vi è nulla da vedere, leorecchie possono udire, ma nel silenzio non vi è nulla da udire, la lin-gua riposa contro il palato per cui sapori e parole sono esclusi, il nasosi occupa della respirazione e non ha odore da annusare, le mani ripo-sano in grembo perciò non vi è tatto né oggetti da afferrare, le gambeincrociate e i piedi, con le piante verso l’alto, rinunciano alla loro qua-lità costitutiva: la mobilità. La mente è desta e pronta ad afferrare e ri-vangare ogni pensiero, ma non vi è nulla da pensare; il cuore è prontoad odiare ed amare con intensità ma non vi è nulla e nessuno sul qualeriversare il nostro odio o il nostro amore.

La persona che si siede nello zazen è un essere vivente pienamentevivo e sveglio che rinuncia ad ogni produzione. Per cui, riprendendoin altro modo l’espressione di Panikkar, possiamo dire che quello starseduti è un donarsi integrale. Il modo corretto di fare zazen è non occu-parsi dei pensieri che sorgono, rimanere tranquillamente seduti man-tenendo la posizione. Facile da dire, ma molto difficile da realizzaresoprattutto perché siamo quasi sempre, automaticamente, al serviziodei nostri pensieri. Quindi al servizio dei loro contenuti, buoni o catti-

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nel quarto, poi in Cina si manifesta tramite Niútóu Fǎróng nel settimosecolo, scorre tramite Mazu Daoyi nell’ottavo sino a HongzhiZhengjue nel dodicesimo quindi vi è il passaggio in Giappone grazie aDōgen nel tredicesimo secolo, poi troviamo Menzan Zuiho nel diciot-tesimo, ed infine Kōdō Sawaki e Uchiyama Kōshō nel ventesimo.

Una delle definizioni comuni della scuola zen è «scuola diretta»; unmodo altrettanto efficace per rappresentarla plasticamente con una defi-nizione moderna è dire che rappresenta il free climbing del buddhismo,questo perché — almeno nelle intenzioni e in buona parte anche nellarealtà — la sua proposta è priva di addobbi o di concessioni alle parti ac-cessorie dell’espressività religiosa e mira direttamente al risultato: sicco-me il buddhismo è la via che conduce e mantiene nella libertà dalla soffe-renza al punto che possiamo dire che il buddhismo esiste per quello e senon c’è quello non c’è buddhismo, ecco che la scuola zen concentral’attenzione solo sulla realizzazione di questa promessa. Il percorso di li-berazione che Siddhartha percorre e testimonia scioglie dalla sofferenzaineluttabile, radicata nell’essere donne, uomini di questo mondo: il pian-to della nascita, la menomazione della malattia, il declino della vecchiaia,il patire della morte, la lacerazione del venir separati da ciò che amiamo,il dolore del non riuscire ad avere, possedere ciò che desideriamo, il dis-agio per tutto ciò che detestiamo e non possiamo evitare. E proprio per-ché il percorso da lui testimoniato è libertà da qualche cosa intimamentelegato alla vita, la logica conclusione è che si tratti di una soluzione tra-scendente: altrimenti dovrebbe negare la vita.

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Questo è il punto filosoficamente difficile del buddhismo, da cuinascono fraintendimenti e degenerazioni: se la sofferenza fa par-te dell’impasto con cui è plasmata la vita, come posso dissolvere

l’una senza rifiutare l’altra? Nel cristianesimo un problema equivalente,seppure orientato secondo la direzione, il senso della religione cristiana,viene affrontato e almeno nell’enunciato risolto con la frase che forsecompare più volte nel Nuovo Testamento dal momento che la troviamouna volta in Marco, due volte in Matteo e due volte in Luca, ovvero(Luca 17, 33): «Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà; chi inve-ce la perderà la salverà». Il buddhismo è una via pragmatica, per cui lasoluzione proposta è una prassi quotidiana, che possiamo illustrare, rap-presentare come un lavoro dall’interno che si traduce in uno svuotamen-to rigenerativo della vita, secondo un ben preciso «come».

Di quale «come» si tratti lo analizziamo subito in modo dettagliato.

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vita di ogni essere, di ogni cosa è garantita da una serie elevatissima dimutevoli relazioni e non da un nocciolo permanente. Attenzione però,questa non è una teoria metafisica ma un dato dell’esperienza. Il pratīt-yasamutpāda descrive la modalità nella quale vengono ad essere le cosenell’unirsi degli aggregati, e il modo della morte, che è il loro disgregarsi.La parte importante, in senso meramente buddhista, di questa consape-volezza è che questa modalità è anche il modo e il motivo per cui c’e sof-ferenza, dal momento che ignari di tutto ciò ci aggrappiamo col desiderioa un mondo impermanente. Quindi anche questa visuale offre soluzionealla sofferenza, dal momento che la sua causa diviene chiara.

Il terzo elemento è di fatto la ripetizione dei primi due in un altro am-bito vitale: quello delle intenzioni, ovvero nel campo dell’etica. È quelloche ho definito un tipo di atteggiamento che sia di base comune a tuttele nostre azioni, un atteggiamento che possiamo descrivere con le paro-le: innocenza, amicalità, sollecitudine. Per descrivere questo aspetto miservo di due esempi presi dal cristianesimo, mettendovi in guardia peròdal ritenere che la sovrapposizione sia sempre automaticamente com-pleta: il perché dei comportamenti qui esemplificati è infatti radicato nelprogramma di lavoro secondo il buddhismo e non secondo i riferimenticristiani. Si tratta di due poli, il primo riguarda il fare e il secondo il nonfare. Per quanto riguarda il primo polo possiamo assumere in toto laparabola del Samaritano (Lc 10; 30 s.), e poi la parte della prima letteradi Giovanni nel punto dove troviamo: «Ma se uno ha ricchezze di que-sto mondo e vedendo il suo fratello in necessità gli chiude il propriocuore, come dimora in lui l’amore di Dio? Figlioli, non amiamo a parolené con la lingua ma nei fatti e in verità» (1 Gv 3, 1718). È l’affermazioneche la vita religiosa non può prescindere da una risposta accogliente neiconfronti della realtà: un’apertura del cuore, gratuita, cui fa seguitoazione o non azione.

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Per illustrare questo secondo polo, quello della non azione, pren-diamo un brano dai fioretti di San Francesco, il più orientale deisanti italiani, cosi orientale che, in questo caso, con ogni proba-

bilità possiamo sovrapporre sia la proposta di conduzione del nostrocuore sia la sua motivazione: «Un giorno il beato Francesco, pressoSanta Maria degli Angeli, chiamò frate Leone e gli disse: “Frate Leone,scrivi». Questi rispose: “Eccomi, sono pronto”. “Scrivi cosa è la vera leti-zia”. “Viene un messo e dice che tutti i maestri di Parigi sono entratinell’Ordine; scrivi: non è vera letizia. Così pure che sono entrati

[7] Solitamentetradotto con «genesiinterdipendente»,«coproduzionecondizionata».Letteralmentepratītya significa«andando verso»,«nella funzione di»,e samutpāda«originazionemutuale»,«germogliareassieme».

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vi, indotti dall’esterno o costruiti da noi. Invece, star seduti in zazen ècompletamente un’altra storia: la vicenda si svolge nello sgusciare dalpensiero, tornando qui dove ci aspetta la schiena che tende ad incur-varsi e le gambe fanno così male che sembra impossibile poter stare unaltro minuto. Poi un pensiero si espande con il ricordo di quando noiabbiamo detto a quella persona che... e senza accorgercene sono tra-scorsi dieci, anche venti minuti senza che ci occupassimo delle gambe,ma appena il pensiero è sfumato eccole qui.

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V i lascio una domanda: dov’era il dolore mentre eravamo distrat-ti? I pensieri sorgono sempre, ma se impariamo a vivere a van-taggio dello zazen anche le discussioni dentro di noi diminuisco-

no. I pensieri più ricorrenti e appiccicosi sono legati alle emozioni cheessi suscitano in noi e queste emozioni a loro volta suscitano altripensieri. Per questo non ha, in definitiva, molta importanza se sianomolti o pochi i pensieri che si presentano: basta seguirne pervicace-mente uno e un intero periodo di zazen se ne va nel chiacchiericcio in-teriore. Il punto veramente importante è che avere fiducia nella possi-bilità intrinseca dell’essere umano di poter «dimorare liberi» non ècredere in un nuovo idolo.

La letizia di quel vuoto senza limiti non sorge dal fare una cosa, o dal-l’averne ottenuta un’altra, ma dall’averle abbandonate tutte, anche le ap-partenenze. Ovviamente bisogna dar modo, nel tempo, a tutto questo disuccedere. Dipende da noi se fare zazen per qualche anno, così, per vede-re l’effetto che fa, oppure realizzare l’identità tra vita e quel modo di es-sere vivi che chiamiamo zazen. Cioè se far sì che zazen diventi il nostromodo di vivere. Senza zazen siamo sì vivi, ma molto di meno, come ad-dormentati, in sogno. Oppure in un sogno più profondo, più torbido,meno luminoso di quando percorriamo la via del risveglio, la via checonduce all’estinzione di ogni dolore.

Dicevo prima che sono tre gli elementi guida che lo zen offre a chi in-tenda percorrere il sentiero religioso. Il secondo, che sopra ho definitouna chiara visione della vera natura delle cose, consiste nella serena con-sapevolezza che ogni essere, ogni cosa, ogni fenomeno di questo mondonon ha una vita sua, individuale, non vive di per sè ma è un assemblag-gio di parti, a loro volta composte da parti. E questa situazione, dettapratītyasamutpāda [7] in sanscrito, è la caratteristica di tutta la realtà fe-nomenica. Per cui ogni ente in quanto privo di fondamento è imperma-nente ed essenzialmente vuoto. Oppure, da un altro punto di vista, che la

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Notiamo che il riconoscimento che la soluzione della sofferenza, ovverola perfetta letizia, non è tra le cose di questo mondo, conduce a non ag-grapparsi ad esse. Ovvero la stessa direzione nel cui alveo già abbiamovisto trovarsi sia la visione profonda sia la pratica del corpo. Per cui ilsenso di «lasciare», «non aggrapparsi» unisce i tre elementi trasforman-doli in tre parti di un unico processo. Al punto che non si può rinunciaread alcuno di questi tre elementi senza snaturare completamente il fun-zionamento dello spirito secondo la proposta offerta dal buddhismo:senza etica morale, la pratica del corpo e la visuale del vuoto conduconoal cinismo, al nichilismo ed alle illusioni di potenza. Senza pratica delcorpo, l’etica e la visuale dell’impermanenza sono pensieri vani, privi diefficacia nella nostra vita, non hanno una direzione profonda. Senza lavisuale dell’impermanenza e del vuoto, etica e pratica del corpo non han-no senso: perché dovremmo donare comprensione e amicalità? Perchédovremmo praticare il non aggrapparsi? Se gli oggetti del desiderio han-no veramente sostanza, ciò significa che la soluzione è nel possederli;viene a mancare qualsiasi motivo per la pratica e per l’agire nel bene evi-tando il male come base delle nostre relazioni.

In termini più generali, la condizione di vuoto che sottostà all’imper-manenza è la peculiarità che rende riconoscibili e perciò affidabili bud-dhismi, tutti i buddhismi, che si manifestano pur in assenza di una strut-tura fissa: in qualche modo il buddhismo è obbligato ad usare le struttu-re culturali che incontra perché il vuoto intrinseco ad ogni ente è anche lasua condizione. Così, se il buddhismo non è mai la struttura in cui appa-re, essendo questa contingente, per viverlo occorre non confonderlo conla forma, con tutto ciò che riempie il vuoto che lo costituisce. Tuttaviaquesto significa solo che la forma non è fissa o decisa a priori, non chenon abbia importanza, anzi, è proprio nella forma interiore ed esterioredella nostra vita che costruiamo quel mistero invisibile che chiamiamocammino religioso. Per dire una cosa analoga con le parole di Eckhart:«Colui che cerca Dio secondo un modo, prende il modo e lascia Dio, cheè nascosto nel modo». [8]

[8] Sermoni: In hocapparuit caritasdei in nobis.Nell’edizione dellePaoline è a p.126.

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BUDDHISMOeCRISTIANESIMO:unconfronto

nell’Ordine tutti i prelati d’Oltr’Alpe, arcivescovi e vescovi, non solo, maperfino il Re di Francia e il Re d’Inghilterra; scrivi: non è vera letizia. E seti giunge ancora notizia che i miei frati sono andati tra gli infedeli e lihanno convertiti tutti alla fede, oppure che io abbia ricevuto da Dio tantagrazia da sanar gli infermi e da far molti miracoli; ebbene io ti dico: nep-pure qui è vera letizia”. “Ma cosa è la vera letizia?”. “Ecco, tornando ioda Perugia nel mezzo della notte, giungo qui, ed è un inverno fangoso ecosì rigido che, all’estremità della tonaca, si formano dei ghiacciolid’acqua congelata, che mi percuotono continuamente le gambe fino a faruscire il sangue da siffatte ferite. E io tutto nel fango, nel freddo e nelghiaccio, giungo alla porta e dopo aver a lungo picchiato e chiamato, vie-ne un frate e chiede: “Chi sei?”, io rispondo: “Frate Francesco”. E queglidice: “Vattene, non è ora decente questa di arrivare, non entrerai”. Ementre io insisto, l’altro risponde: “Vattene, tu sei un semplice ed unidiota, qui non ci puoi venire ormai; noi siamo tanti e tali che non abbia-mo bisogno di te”. E io sempre resto davanti alla porta e dico: “Per amordi Dio, accoglietemi per questa notte”. E quegli risponde: “Non lo farò.Vattene dai Crociferi e chiedi là”. Ebbene, se io avrò avuto pazienza enon mi sarò conturbato, io ti dico che qui è la vera letizia e qui è la veravirtù e la salvezza dell’anima».

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Per non lasciarvi con la semplice conclusione di questa storia comefosse un colpo di teatro, vi invito a considerare quello che ci staindicando san Francesco: prima nega che la «vera letizia» si trovi

nell’aver acquisito qualche cosa, sia essa la conversione degli infedeli,il favore del re con le conseguenti prebende o addirittura la capacitadi compiere miracoli: «non è qui la vera letizia» dice, non è quindinell’ottenimento di qualche cosa, qualunque essa sia. Poi ci presentauna situazione che è una vera e propria sfida a se stesso e a ciascuno dinoi, in cui il freddo, la fame, la stanchezza, anche l’orgoglio ferito dall’es-sere cacciato dal monastero da lui fondato lo porterebbero ad afferrarepensieri di chiusura, di rivalsa, di rancore, in una parola: di inimicizia.Interessante, in questo apologo, il fatto che Francesco non nomini maiDio (se non nell’invocazione «per l’amor di Dio»), non facendo così rife-rimento in alcun modo a una motivazione teista della vera letizia.Laddove si riesca ad aprire, lasciare andare, non afferrare anche in unasituazione come quella descritta da Francesco, ecco allora non solo «lavera letizia» ma si dischiudono «la vera virtù e la salvezza dell’anima».

Perché in realtà la meta non è il vuoto ma il continuo lasciar svuotare.

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[1] Tullio Tentori,AntropologiaCulturale (Percorsidella conoscenzadella cultura) EdizioniStudium, Roma

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MUTAMENTI e

Unatracciaperunproficuo

confrontodialogico

TRASFOR

MAZIONI

di Tarcisio Alessandrini

Èa tutti noto il processo di mutamento che si avverte in ognicampo del vivere umano. Mutamento assai veloce. Si puòcertamente parlare di qualcosa che, sottostando inesorabil-

mente alle leggi dell’attimo fuggente, subisce un’evoluzione insenso generale, per non parlare del perpetuo divenire o del di-venire in atto sempre dinamico. Attirano la nostra attenzione leincessanti trasformazioni che avvengono nei vari campi delle vi-cende umane.

Nel campo antropologicoSi conoscono le trasformazioni culturali avvenute attraverso

le varie epoche della storia dell’umanità dalle origini fino a oggi.Ce lo ricorda il compianto Tullio Tentori, noto antropologo, ilquale si sofferma sulla «natura dinamica dei fenomeni culturaliche impone agli antropologi di studiare i fatti umani non soltan-to nella loro fissità apparente o convenzionale, ma di dedicareanche notevole attenzione alla documentazione di quelle tra-sformazioni che si verificano continuamente, in modo più o me-no sensibile, in tutte le società e ne moltiplicano incessantemen-te le strutture e la cultura…». Nelle sue approfondite ricerche,Tentori afferma che queste trasformazioni possono attuarsi: a)per l’effetto dell’evoluzione dell’ideologia culturale all’interno diuna società (per esempio, l’affermazione dell’illuminismo nellacultura europea); b) per effetto delle influenze esercitate dall’e-sterno su un gruppo umano (da ricordare le conseguenze delleinvasioni barbariche da una parte e dall’altra la latinizzazionedei territori conquistati dai Romani o la colonizzazione dei terri-tori extra-europei) [1].

Fra le molteplici trasformazioni culturali registrate, Tentori ri-

La legge dell’impermanenza ci ricorda che tutto è in divenire:L’intero universo è impegnato in un movimento e in un’attivitàsenza fine, in un’incessante danza cosmica di energia.

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pre impellente l’istanza di popoli per una legislazione equa adampio respiro con diritti e doveri e scevra da ogni discrimina-zione. È l’aspirazione di ogni Paese che vuole applicati i dirittidell’uomo e del cittadino sanciti dal 1789 con la rivoluzionefrancese in cui spicca il motto: libertà, uguaglianza, fratellanza.

Di qui scaturisce l’impegno vincolante di chi governa la cosapubblica affinché non venga soffocato il desiderio di instaurarenella libertà un contesto sociale in cui sia possibile intraprenderenuove strade nell’impostare la propria vita personale in seno aduna società in continua evoluzione.

Negli organismi viventi e nella fisica«Guardo una foto di quando avevo sedici anni — dichiara

Luciano De Crescenzo — e ne guardo una d’oggi, Dio, come so-no cambiato! Poi mi chiedo: ma quando è successo? Di notte?Mentre dormivo? E come mai il mattino dopo non me ne sonoaccorto? La verità è che cambiamo al rallentatore, attimo dopoattimo, cellula dopo cellula, come le lancette dell’orologio che simuovono anche se nessuno le vede muoversi» [5].

Chi propende, inoltre, ad ammettere la teoria evoluzionistadarwiniana in contrapposizione alla teoria creazionista, non tar-da ad affermare che «il subdolo propulsore dell’evoluzione, lacui presenza si avverte appena come un ronzio nello scantinato,ma che pervade ogni evento biologico, è la continua comparsadi nuove mutazioni genetiche, in ogni istante, in ogni individuo,in ogni specie […]. A questa azione di filtro, o se si preferisce dicollimatore, si da il nome di selezione naturale […]. Non solonon c’è nessuno che mette in atto consapevolmente una selezio-ne, ma non c’è nessuna forza unitaria alla base di questa impre-sa» [6]. Lo stesso Paolo di Tarso dichiara la sua avvenuta trasfor-mazione da bambino ad adulto: «Quando ero bambino parlavoda bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma,divenuto uomo, ciò che era da bambino l’ho abbandonato» (1Cor. 13, 11).

Anche il fisico Fritjof Capra ci fa sapere che «negli ultimi de-cenni, gli esperimenti di diffusione ad alta energia ci hanno rive-lato nel modo più straordinario la natura dinamica e continua-mente mutevole del mondo delle particelle; la materia si è dimo-strata capace di trasformazione totale. Tutte le particelle posso-

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corda gli studi intrapresi da vari esperti della materia comeVittorio Lanternari, il quale «ha preso in esame i processi di tra-sformazione culturale dei popoli che dalla soggezione colonialeo semicoloniale passano all’indipendenza nazionale, sofferman-dosi soprattutto sugli aspetti religiosi della fenomenologia delriscatto liberatorio di tali genti». Vengono anche accennati dueproblemi ampiamente trattati dagli studiosi.

Il primo è quello della trasformazione delle aree depresse osottosviluppate. Nell’opera The Progress of UnderdeveloppedAreas edito dall’Hoeselitz, sono raccolti i contributi di vari an-tropologi che studiano i fattori culturali nel processo di svilup-po tecnico di un popolo.

Il secondo problema è quello della posizione della donna nel-l’evoluzione delle strutture del mondo moderno. In riferimentoal Montague e la Mead, si evidenzia il fatto che lo stato di sotto-missione della donna non è una conseguenza della sua obiettivainferiorità fisica, intellettuale o psicologica, ma di una superiori-tà sociale che l’uomo è riuscito occasionalmente a raggiungere ea mantenere sino ad oggi. Il mondo moderno — osserva Tentori— comincia a rendersi conto che tale superiorità non ha un fon-damento in fattori obiettivi, ma si giustifica in base a pregiudiziche l’antropologo si sente impegnato a distruggere, giovandosidella sua esperienza interculturale [2].

In merito al fenomeno dell’emigrazione legato all’inserimentonel nuovo ambiente e all’altro fenomeno dei mezzi di comunica-zione di massa, si constata che in entrambi i casi gli antropologipongono l’attenzione nello studio dell’acculturazione [3].

Nel campo socio-politicoÈ sotto gli occhi di tutti il mutamento socio-politico, oggi as-

sai rapido, che si registra nei vari Paesi del pianeta. Basterebbericordare il filosofo e letterato Giambattista Vico (1668-1744) conla sua teoria dei corsi e ricorsi, secondo cui si avvera un perpetuoavvicendarsi dei cicli storici nell’esclusione di ogni fatalità [4].

Gli sconvolgimenti politici, sempre in atto, stanno ad indicarequegli aspetti dinamici che le varie popolazioni, nella loro pro-gressiva maturità, tendono ad alimentare allo scopo di raggiun-gere cambiamenti sempre migliori che possano offrire un tenoredi vita più consono alla propria dignità umana. Di fatto, è sem-

[2] ibid. pp.213-214

[3] Ibidem, p.209 ss.

[4] EnciclopediaUniversale Garzanti,1994, p.1585

[5] Luciano DeCrescenzo, PantaRei, tutto scorre,Oscar Mondatori,Milano 1994, p.9

[6] EdoardoBoncinelli in Darwin,Bimestrale diScienze, anno1-N°3,p.61

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TarcisioAlessandrinimissionarioin Giapponedal 1954 al 1977,dottoratosi inmissiologia pressol’Universitàgregoriana di Romasi è dedicato adesplorarei movimentireligiosigiapponesicontemporanei.E’ autore di studisu questo temae nel 2001 ha vintocon una tesi sullaRisso Koseikaiil premio di laureaMaitreya.

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afferma Fritjof Capra — ha portato l’uomo occidentale a identi-ficarsi con la propria mente invece che con l’intero organismo.Come conseguenza della separazione cartesiana, l’uomo moder-no è consapevole di se stesso, nella maggior parte dei casi, comeun io isolato che vive «all’interno» del proprio corpo. La menteè stata divisa dal corpo… È affascinante osservare come la scien-za del ventesimo secolo, nata dalla separazione introdotta daCartesio e dalla concezione meccanicistica del mondo…superioggi questa frammentazione e ritorni nuovamente all’idea diunità espressa nelle prime filosofie greche e orientali [11].

Peraltro, lo stesso Eraclito (550ca – 480ca a.C.), nei frammentirimasti della sua opera Sulla natura, riconosce la realtà come uni-tà di contrari in quanto si realizza nel divenire che è l’essenzastessa del reale: pánta rhêi = tutto scorre. [12]

L. De Crescenzo, su citato, ci ricorda che l’argomento preferi-to da Eraclito non era tanto la ricerca dell’archè (elemento pri-mordiale dal quale tutto avrebbe avuto inizio) quanto il pantarei, cioè il divenire, inteso come lotta continua tra gli oppostiestremismi, dove non è previsto un vincitore e si assiste a unmatch pari, dove ciascun concorrente non avrebbe neppure laconvenienza a prevalere sull’altro, pena la sua stessa sopravvi-venza. E io — dichiara L.De Crescenzo — tanto per prendereposizione, mi schiero fra coloro che vedono in Eraclito il filosofodel panta rei […]. La natura non sta ferma un attimo: fluisce dicontinuo sotto la spinta dei contrasti. Non c’è al mondo oggetto,animato o inanimato che sia, che non subisca modifiche col pas-sare del tempo. Anche quelle cose che a prima vista sembranoimmobili, a un esame più attento si rivelano in movimento: unacampana di ferro si arrugginisce, uno scoglio si corrode, un al-bero cresce, un corpo invecchia e così via. «Panta rei», tuttoscorre [13] .

Non sembri impertinente richiamare ora anche la prospettivaavanzata, in seno alla chiesa cattolica nell’enciclica fides et ratio,in cui si afferma la non impossibilità di mutare i concetti filosofi-ci ellenistici adottati fin dalle origini dal cristianesimo nel for-mulare la sua dottrina tuttora vigente (come sopra accennato inmerito, p.e., al concetto di sostanza e accidente, come pure a quel-lo di persona ecc.) [14]. È ovvio il riferimento alla possibilità diapertura verso altri approcci diversi dagli attuali, anche se allo

[7] Fritjof Capra,Il Dao della fisica,Adelphi Edizioni,Milano 1982, pp.96-98,

[8] Cfr. Comunitàcristiana di base diS. Paolo diRoma,«Fate questoin memoria di me» —Condividere il panenell’Eucarestia e nellavita.- contributo alSinodo dei vescovidel 2005., NuovaAnterem, pp.15-18.

[9] EnciclopediaUniversale Garzanti’95, p. 1147

[10] ibid. p.297

[11] F.Capra, cit.,pp.24-25

[12] EnciclopediaUniversale Garzanti,p.499

[13] L.De Crescenzo,cit. pp.68-70

[14] «Il fatto che lamissioneevangelizzatriceabbia incontrato perprima la filosofiagreca, noncostituisceindicazione in alcunmodo preclusiva peraltri approcci»,v. Fides et ratio(1998), n. 72

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no essere trasformate in altre particelle, possono essere createdall’energia e possono scomparire in energia. In questo senso,concetti classici come “particella elementare”, “sostanza mate-riale” o “oggetto isolato”, hanno perso il loro significato: l’interouniverso appare come una rete dinamica di configurazioni dienergia non separabili» [7]

Nel campo filosoficoSe ci addentriamo nel campo del pensiero filosofico sembre-

rebbe che il concetto, p.e., di sostanza e di accidente di stampoaristotelico tomista, che sta alla base del dogma della transustan-zazione del pane e del vino nella celebrazione della messa catto-lica, abbia un sostegno fisso ed immutabile in modo esclusivo.

Tuttavia, costituisce tuttora un tema di discussioni ed argo-mento di riflessioni da parte di studiosi anche cristiani nell’in-tento di giungere ad una rilettura di tale concetto per essere piùconsono al pensiero moderno e più accettabile dagli stessi cre-denti chiamati a calare nella vita quotidiana la pratica della con-divisione.

D’altronde è nota, al riguardo, la concezione luterana che, fa-cendo riferimento alla teoria della consustanzazione o compana-zione, è basata sul segno simbolico-spirituale e non sulla presenzareale [8].

È pur giusto richiamare qui i concetti, cari a Platone, dell’esi-stenza oggettiva delle idee in quanto essenze o forme invariantidelle cose e delle loro relazioni ed in quanto entità permanenti euniversali gerarchicamente dominate dall’idea del bene, chehanno sede in un mondo iperuranio (oltre i cieli) [9].

Analogo è il discorso sul concetto di persona (rationalis naturaeindividua substantia) in quanto individuo irripetibile riferito all’iocosciente di se stesso e del proprio mondo. Qui si colloca il carte-siano cogito ergo sum, come principio supremo del sapere, in cuiviene ribadita la certezza del proprio pensiero e della propria esi-stenza; in base a ciò è giustificato l’essere del mondo attraverso ilriconoscimento dell’esistenza di Dio mediante la prova ontologi-ca. Se ne ricava altresì il suo criterio di verità (l’evidenza delleidee chiare e distinte) e l’innatismo delle idee [10].

È noto tuttavia che simili concetti non trovano un’omogeneitàuniversalmente diffusa o accettata. La famosa frase cartesiana —

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opposti. Gli opposti infatti – osserva J. C. Cooper — non si escludo-no a vicenda e non sono in reciproco conflitto, quanto in tensionecomplementare… La forza vitale (indicata col termine Ch’i) sicondensa e si dissolve in un mutamento continuo, alternandositra yin e yang, i due poteri in costante rapporto, interazione e ar-monia, in un interminabile flusso di energia che, attraverso diloro, fluisce nel mondo [16].

Inoltre, non è affatto irrilevante che un fisico occidentale co-me Fritjof Capra si ponga sulla stessa scia ponendo in grande ri-salto le concezioni filosofiche religiose orientali che scopre esse-re di tipo «organicistico» in cui tutte le cose e tutti gli eventipercepiti dai sensi sono interconnessi, collegati tra loro, e sonosoltanto differenti aspetti o manifestazioni della stessa realtà ul-tima… La concezione orientale del mondo è perciò intrinseca-mente dinamica; e il tempo e il mutamento ne sono elementi es-senziali… I due temi fondamentali di questa concezione sonol’unità e l’interdipendenza di tutti i fenomeni e la natura intrin-secamente dinamica dell’universo [17].

Ritiene inoltre che gli aspetti essenziali di questa visione daoi-sta furono insegnati anche in Grecia da un uomo […] ancoramolto spesso frainteso. Questo «daoista» greco era Eraclito diEfeso. Il suo pensiero ha in comune con quello di Laozi non solol’importanza data al mutamento continuo, espresso nel famoso«tutto scorre», ma anche l’idea che tutti i mutamenti sono cicli-ci. Egli paragonò l’ordine del mondo a «fuoco sempre vivente,che divampa secondo misure e si spegne secondo misure»,un’immagine che in realtà è molto simile all’idea cinese del Dao,il quale si manifesta nell’interazione ciclica tra yin e yang». […]Come i Daoisti, egli (Eraclito) vedeva ogni coppia di opposti co-me un’unità ed era ben consapevole della relatività di tutti que-sti concetti. Ancora una volta le parole di Eraclito: «Le cosefredde si riscaldano, il caldo si raffredda, l’umido si dissecca, ilriarso si inumidisce» ci ricordano quelle di Laozi: «Il difficile e ilfacile si completano l’un l’altro… i suoni e la voce si armonizza-no l’un l’altro; il prima e il dopo si seguono l’un l’altro» [18]

Assai affascinato dai mistici orientali che percepirono la tra-sformazione e il mutamento come caratteristiche essenziali dellanatura, il fisico F. Capra pone in risalto un passo dello Zhuangzi:«Nel trasformarsi e sorgere delle creature, i germogli hanno una

[15] L.De Crescenzo,cit., pp.71-72

[16] J.C.Cooper, YINe YANG, UbaldiniEditore, Roma 1982,p.58, 60 ss.

[17] F.Capra, cit.,pp.24-27

[18] ibid., p.134-135

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stato attuale non sembra esserci apertura alcuna, come dimostrail severissimo richiamo (con scomunica, poi revocata) da partedelle autorità vaticane nei riguardi del teologo cattolicoBalasurya, dello Sri Lanka, il quale, riferendosi a una possibiledifferente impostazione propriamente orientale relativa alleazioni degli esseri viventi, metteva in discussione il peccato ori-ginale in merito a Maria preservata da tale macchia per cui èchiamata l’Immacolata Concezione. Bisognerà aspettare certa-mente tempi migliori.

NELLE CULTURE ORIENTALIInterdipendenza nell’armonia

In Cina, osserva ancora L. De Crescenzo, il taoismo di Laozi eZhuangzi interpretò i mutamenti naturali come le conseguenzedi una guerra quotidiana tra due forze equivalenti, chiamate Yine Yang.

Se Zarathustra schierava l’uomo tra le forze del Bene e la don-na tra quelle del Male, il taoismo pone uomo e donna sullo stes-so piano: considera yang tutto ciò che è dominante, quindi lamascolinità, il sole, il fuoco, lo splendore, la durezza, il caldo el’intraprendenza, e yin tutto quello che è cedevole, ovvero lafemminilità, la luna, l’acqua, l’opacità, la morbidezza, il freddoe la timidezza. Alcune massime di Laozi e di Eraclito sembranopartorite dalla stessa mente, anche se è certo che i due personag-gi non si sono mai incontrati.

Laozi: «Intanto possiamo dire che una cosa è bella, in quantoabbiamo l’idea di cosa sia una cosa brutta, e lo stesso dicasi peril bene e per il male» (Daodejing, II).

Eraclito: «Non è forse la malattia che rende buona la salute?Non è forse la fame che gratifica la sazietà? Non è forse il trava-glio che rende desiderabile il riposo?».

Laozi: «Ciò che è tortuoso diventa diritto, ciò che è vuoto di-venta pieno, ciò che è consumato diventa nuovo». (Daodejing,XXXVI).

Eraclito: «La strada in su e in giù è una sola, ed è sempre la stes-sa» [15].

Più che di guerra quotidiana, come si esprime L. De Crescenzo,sarebbe forse meglio parlare di confronto armonico dei cosiddetti

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non può mai essere separato dal tempo, anche il tempo è influen-zato dalla presenza della materia e scorre dunque con ritmi diffe-renti in punti diversi dell’universo. La teoria della relatività gene-rale di Einstein abolisce quindi completamente i concetti di spa-zio e di tempo assoluti. Non solo tutte le misure riguardanti lospazio e il tempo sono relative, ma l’intera struttura dello spazio-tempo dipende dalla distribuzione della materia nell’universo e ilconcetto di «spazio vuoto» perde significato [21].

Danza cosmicaAssai pertinente, oltre che suggestiva, è l’immagine della

«Danza Cosmica» che il Capra ci offre quando ci parla di«esplorazione del mondo subatomico che ha rivelato la naturaintrinsecamente dinamica della materia e ha mostrato che i co-stituenti dell’atomo, le particelle subatomiche, sono configura-zioni dinamiche che non esistono in quanto entità isolate, ma inquanto parti integranti di una inestricabile rete di interazioni.Queste interazioni comportano un flusso incessante di energiache si manifesta come scambio di particelle; un’azione reciprocadinamica in cui le particelle sono create e distrutte in un proces-so senza fine, in una continua variazione di configurazioni dienergia. Le interazioni tra particelle danno origine alle strutture“stabili” che formano il mondo materiale, il quale a sua voltanon rimane statico, ma oscilla in movimenti ritmici. L’interouniverso — rileva ancora Capra — è quindi impegnato in unmovimento e in un’attività senza fine, in una incessante danzacosmica di energia» [22].

L’idea di ritmo e di danza — ribadisce Capra — viene sponta-nea alla mente quando si cerca di immaginare il flusso di ener-gia che si trasmette attraverso le configurazioni che costituisco-no il mondo delle particelle. La fisica moderna ci ha mostratoche movimento e ritmo sono proprietà essenziali della materia;che tutta la materia, sia qui sulla Terra sia nello spazio eterno, ècoinvolta in una continua danza cosmica.

Tale danza è accostata a quella che esegue Śiva, il re dei dan-zatori. Secondo la dottrina indù, tutta la vita è parte di un gran-de processo ritmico di creazione e distruzione, di morte e rina-scita, e la danza di Śiva simboleggia questo ritmo eterno di vitae morte che continua in cicli infiniti… Al tempo stesso, Śiva ci

[19] ibid. p.223

[20] ibid. p.236

[21] ibid. p.76

[22] ibid. p.259

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forma secondo la specie, una gradualità di rigoglio e di deca-denza, un flusso di cambiamenti e di trasformazioni». I Daoisti— prosegue Capra – interpretarono tutti i mutamenti della na-tura come manifestazioni dell’interazione dinamica tra i poli op-posti yin e yang, e giunsero a ritenere che ogni coppia di opposticostituisce una relazione polare in cui ciascuno dei due poli è le-gato dinamicamente all’altro. Per la mente occidentale, questaidea dell’implicita unità di tutti gli opposti è estremamente diffi-cile da accettare. Ci sembra del tutto paradossale l’idea cheesperienze e valori che avevamo sempre creduto contrari siano,in definitiva, aspetti differenti della medesima cosa (corsivo mio).In Oriente, tuttavia, si è sempre considerato essenziale, per arri-vare all’illuminazione, il consiglio dato ad Arjuna nellaBhagavad Gītā di andare «al di là delle opposizioni terrene», e inCina la relazione polare tra tutti gli opposti è la base del pensie-ro daoista.

Zhuangzi per esempio afferma:«L’“io” è anche l’“altro”, l’“altro” è anche l’“io”… Che l’“io” e

l’“altro” non siano più in contrapposizione è la vera essenza delDao. Solo questa essenza, che appariva come un asse, è il centrodel cerchio che risponde ai mutamenti perenni».

F. Capra insiste ancora sul misticismo orientale affermandoche più si studiano i testi religiosi e filosofici degli Indù, deiBuddhisti e dei Daoisti, il mondo è concepito in termini di movi-mento, di flusso e di mutamento. I mistici orientali vedonol’universo come una rete inestricabile, le cui interconnessioni so-no dinamiche e non statiche.[…]. Anche la fisica moderna ègiunta a concepire l’universo come una siffatta rete di relazionie, come il misticismo orientale, ha riconosciuto che questa rete èintrinsecamente dinamica [19]. […]. I fisici devono tener contodell’unificazione di spazio e tempo quando studiano il mondosubatomico e, di conseguenza, essi vedono gli oggetti di quelmondo — le particelle – non staticamente, ma dinamicamente,in termini di energia, attività e processi» [20].

Quello che vi è più di stimolante in F. Capra è il fatto che egliriesce a cogliere, nelle convinzioni filosofiche religiose dei misticiorientali, forti similitudini con l’universo dinamico basato sullateoria della relatività scoperta da Albert Einstein secondo il quale— spiega F.Capra — «poiché nella teoria della relatività lo spazio

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tà degli oggetti, sostanza o anima) quanto lo scetticismo delNichilismo (negazione della continuità ucchedavāda, il rifiuto deglioggetti e della coscienza in quanto entrambi irreali). Il sentiero dimezzo è la non-accettazione dei due estremi [27].

Anche nella prospettiva filosofica — afferma Fuss —Nāgārjuna cerca di mantenere una posizione intermedia tra ilmonismo di un’unica sostanza divina, insegnata dalle Upanişad,e la dottrina di un pluralismo di elementi separati e indipenden-ti, con l’assunzione di una pluralità di dharma (gli elementi ma-teriali più sottili; paragonabili agli «atomi» della filosofia gre-ca») fugaci che si formano e dissolvono in mutua relazione:

«Tutto è unità», dice una saggezza del mondo; «tutto è plurali-tà», dice un’altra. Evitando tali posizioni estreme, Il Tathāgataproclama la dottrina di mezzo, cioè:

nell’ignoranza è il perdurare delle attività,nelle attività è il perdurare della coscienza,nella coscienza è il perdurare di nome-e-forma,in nome-e-forma è il perdurare dei sensi,nei sensi il perdurare del contatto.nel contatto il perdurare della sensazione,nella sensazione il perdurare della sete,nella sete il perdurare dell’attaccamento,nell’attaccamento il perdurare dell’esistenza,nell’esistenza il perdurare della nascita,nella nascita il perdurare di vecchiaia e morte,dell’intero complesso di dolore (Samyutta Nikāya 12,48) [28].

È qui che il discorso può allacciarsi alla negazione della sostan-za e dell’io. L’Autore T. R. Murti su menzionato, infatti, convintodella «correttezza» della propria «interpretazione nairātmya (as-senza di anima, negazione della sostanza) del Buddismo», ribadi-sce che «non vi è scuola di pensiero buddhista che non abbia ne-gato l’ātman (anima o spirito o….sostanza in generale) ed è ugual-mente vero che non vi è sistema brāhmanico o jainista che non ab-bia accettato l’ātman […]. Per il Buddismo, che non accettò mai larealtà dell’ātman, di un’entità sostanziale permanente e resistenteal mutamento, il reale è il Divenire […]. Le scuole buddiste diver-gono in grande misura una dall’altra; ma hanno una cosa in co-mune, la negazione della sostanza (ātman) [29].

rappresentazionigrafiche dellecombinazioniottenute con gli stelidi millefoglio…Il titolo Libro delleMutazioni siriferirebbe alla variemutevolicombinazioni».

[25] Prefazioneal «Libro dellaMutazione» ( I Ching)del Lama AnagarikaGovinda,A. Mondatori, Milano1975, p.10

[26] M. Fuss inLe grandi figure delBuddismo, CittadellaEditrice, Assisi 1995,p.141-142

[27] T. R.V. Murti,La filosofia centraledel Buddismo,Ubaldini Editore,Roma 1983, p.16

[28] M. Fuss,cit., p.142

[29] T.R.V. Murti,cit., p.31

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ricorda che le molteplici forme del mondo sono māyā — nonfondamentali, ma illusorie e sempre mutevoli — creandole edissolvendole nel flusso incessante della sua danza [23].

I CHING (LIBRO DELLE MUTAZIONI)Onde approfondire ulteriormente l’argomento che stiamo trat-

tando, di seguito a quanto sopra detto, non appaia fuori luogo fa-re qui un accenno a quel testo cinese divinatorio, tra i più antichi,che va sotto il nome di I Ching (Libro delle mutazioni) [24].

Esattamente come l’invenzione del sistema decimale con isuoi valori di posizione e l’introduzione del concetto «zero» fuuno dei passi più importanti nello sviluppo delle matematiche,portando alla scoperta di nuove dimensioni spirituali, così gliesagrammi (formati da linee spezzate yin e da linee intere yang)creano un sistema di simboli capace di esprimere una grandevarietà di permutazioni e combinazioni, che indicano i movi-menti e le trasformazioni a essi inerenti, e che praticamente co-prono tutte le situazioni nella vita umana [25]. Una tale concezio-ne della realtà sembra avvicinarsi molto al pensiero orientalecollegato al Buddhismo o al Dao, che merita tutta la nostra at-tenzione per un pacifico raffronto dialogico.

Relazionalità InterdipendenteAlla luce del pensiero buddista, nella sua evoluzione storica,

un riferimento corre al Cammino di Mezzo (scuolaMādhyamaka) con l’opera Mādhyamaka Kārikā («le stanze delcammino di mezzo», di 48 versi in 27 capitoli) attribuita aNāgārjuna (III sec.d.C.) venerato come un secondo Buddha perla profondità delle sue riflessioni e l’importanza dei suoi testi.Egli ricorda «il cammino di mezzo» annunciato da Buddha alParco delle Gazzelle di Benares nel suo primo discorso [26].

Il suo intero sistema — afferma T.R.V. Murti — è una reinter-pretazione del Pratītya-samutpāda (orig ine interdipendente) chenon è il principio della sequenza temporale, ma della dipendenzaessenziale delle cose una dall’altra, ossia dell’irrealtà degli elementiseparati. Tale sentiero viene così equiparato al Sūnyatā, la relativitàdelle cose, la loro irrealtà ultima […]. Il sentiero di mezzo consistenell’evitare tanto il dogmatismo del realismo o Eternalismo (la real-

[23] ibid. pp. 279-280

[24] Riguardo alleorigini delle figure delLibro delle Mutazioni,lo studioso Fung Yu-lan (Storia dellafilosofia cinese,Oscar Mondatori1975, pp.110-111) cifa sapere che«durante la dinastiaShang (1766?-1123? a.C.) sipraticava ladivinazioneproducendo, conuna canna di metallorovente, incrinature inun osso o in unguscio di tartaruga epoi interpretandol’insieme delle linee;poiché le incrinaturepotevano presentareun numero indefinitodi figure, non cipotevano essereregole fissed’interpretazione equesta era difficile eincerta. Durante lasuccessiva dinastiaChou ,ai vecchimetodi di divinazionesi aggiunse quellomediante steli dimillefoglio. L’indovinogettava gli steli eotteneva unadisposizione di pari edisparicorrispondente a unadelle figure del Librodelle Mutazioni (il paricorrispondendo allalinea continua, ildispari alla lineaspezzata); la figuraveniva poiinterpretata mediantei commenti dellostesso Libro delleMutazioni. Quindi,secondo l’ipotesimoderna, i trigrammie gli esagrammi inorigine nonsarebbero stati che

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Il quinto è l’Aggregato della coscienza (viññānakkhanda), laquale non è altro che una reazione o una risposta in uno dei seiorgani facoltà (occhio, orecchio, naso, lingua, corpo e mente). Sifa qui notare che la coscienza non è una sorta di Sé o di Animapermanente per tutta la vita. La coscienza viene definita in basealla condizione per mezzo della quale nasce. A causa dell’occhioe di una forma visibile nasce una coscienza visiva; a causa dell’o-recchio nasce una coscienza uditiva e così via. Così dicasi, p.e.,del fuoco che è detto «fuoco di paglia» se il combustibile è pa-glia.

Si può quindi concludere che ciò che chiamiamo «essere» o«individuo» o «io» è solo una combinazione di aggregati fisici ementali che agiscono insieme in modo interdipendente, in unflusso di cambiamenti momentanei soggetti alla legge di causa edeffetto e che non c’è nulla di permanente, di eterno e immutabilenella totalità dell’esistenza.

In accordo con W. Rahula è anche Christmas Humphreys [38]

che, riferendosi al perenne fluire delle onde del mare, affermache tutti i fenomeni esistono soltanto in virtù dei loro rapportireciproci, perché tutto è movimento, tutto è illusione, tutto, inultima analisi, è Anatta, ossia privo di una individualità perma-nente. E trova pertinente il richiamo a Shakespeare (LaTempesta, Atto IV, Sc. I) con i seguenti versi:

Le torri di nubi coronate, i sontuosi palazziI templi solenni, questa stessa terra,E tutti quanti l’erediteranno, svaniranno.E, come questo incorporeo corteo or ora sparito,Non lasceranno traccia dietro a sé.Siamo fatti della sostanza dei sogni, e laNostra breve vita termina con un sonno…

Vacuità, [śūnyatā]A voler approfondire il concetto di vacuità, non possiamo

non riallacciarci a quanto sopra accennato in merito alla «via dimezzo». Ancora una volta, M. Fuss ci ricorda che Nāgārjunaidentifica la coproduzione condizionata, composta di dodicianelli, al śūnyatā: «La coproduzione condizionata, questa e nonaltra noi chiamiamo la vacuità. La vacuità è una designazionemetaforica. Questa e non altro la via di Mezzo». Visto che non

[33] Qualche autorela esprime con«produzionedipendente» o«generazionedipendente» inquanto dottrinafondamentale chespiega l’origineconcatenata di tuttociò che esiste. Cfr.Y.Takeuchi, Il cuoredel Buddismo, Emi1999, p.229.

[34] W.Rahula, cit.p.83

[35] ibidem, pp.40-44.

[36] pali: anatta,giapp.: mu-ga

[37] G.Pasqualotto,Estetica del vuoto,MarsilioEditori,Venezia 1992,pp.47,48,49 ss.

[38] ChristmasHumphreys, IlBuddismo, UbaldiniEditore, Roma 1964,pp.149-150

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Dunque, nulla di assoluto o di immutabile. In tale contesto,quindi, sarebbe fuori luogo parlare di relativismo dittatoriale poi-ché si tiene conto dell’interdipendenza basata sulla GenesiCondizionata che è, come afferma anche W. Rahula [30], il metodosintetico secondo il quale niente nel mondo è assoluto. Ogni co-sa è condizionata, relativa e interdipendente. Questa è la dottri-na buddista della relatività [31] .

Qui di seguito la sua formula dettagliata che va sotto il nomedi pāticca-samuppāda costituita da dodici elementi [32 ].Sostanzialmente è analoga a quanto sopra riportato sulla dottri-na di mezzo.

Impropriamente chiamata «catena dei dodici anelli», laGenesi Condizionata [33] è piuttosto — precisa W. Rahula — un«cerchio» in cui non v’è nulla di assoluto o indipendente edogni fattore è allo stesso tempo condizionato (paticcasamuppan-na) e condizionante (paticcasamuppāda). È così che la vita nasce,esiste e continua [34].

A ciò si aggiunge la legge dei cinque skhandha che, secondo ilpensiero di Rahula [35], conducono alla formazione della dottri-na del «non-sé» [36]. Il cosiddetto «essere» è costituito infatti dacinque «aggregati» i quali sono vuoti. Se ci domandiamo in chesenso siano vuoti, ci risponde Giangiorgio Pasqualotto il qualeosserva che nel Sūtra del Cuore si dice che ogni essere ha un’es-senza vuota nel senso che ciascun aggregato (skhandha) non puòné porsi, né sussistere, né essere conosciuto se non in rapportoagli altri [37].

Il primo è l’Aggregato della materia (rūpakkhanda) che com-prende i quattro grandi elementi tradizionali: solidità, fluidità,calore e movimento ed i suoi derivati come i cinque organi disenso: occhio, orecchio, naso, lingua, corpo.

Il secondo è l’Aggregato delle sensazioni (vedanākkhandha) fisi-che e mentali.

Il terzo è l’Aggregato delle percezioni (saññākkhanda) che rico-nosce sia l’oggetto fisico che mentale.

Il quarto è l’Aggregato delle formazioni mentali (samkhārak-khanda); vi sono comprese

tutte le attività che dipendono dalla volontà nel bene e nelmale. Anche ciò che si chiama karma è compreso in questo ag-gregato; è la «volizione».

[30] W.Rahula,L’insegnamento delBuddha, EdizioniPalamita 1984, p.81

[31] giapp.: en-gi

[32] 1. Dall’ignoranzasono condizionatele azioni volontarieo le azioni karmiche.2. Dalle azionivolontarie ècondizionata lacoscienza.3. Dalla coscienzasono condizionati ifenomeni mentali efisici.4. Dai fenomenimentali e fisici sonocondizionate le seifacoltà (i cinqueorgani di senso piùla mente).5. Dalle sei facoltàè condizionato ilcontatto (sensibilee mentale).6. Dal contatto ècondizionata lasensazione.7. Dalla sensazioneè condizionatoil desiderio-sete.8. Dal desiderio(‘sete’) ècondizionatol’attaccamento.9. Dall’attaccamentoè condizionato ildivenire.10. Dal divenire ècondizionata lanascita.11. Dalla nascitasono condizionati(12) la vecchiaia,la morte, i lamenti,il dolore ecc.(Cfr. W.Rahula,cit. p.82-83)

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Hokusai il Gakyōjin (il vecchio pazzo per la pittura), emerge comeuno dei rappresentanti più celebri mediante la sue innumerevoliopere (stampe, dipinti, disegni, incisioni, xilografie ecc.) dovepone il massimo sforzo nel cogliere la vita in ciò che essa ha dipiù fugace. Il momento di massimo splendore della nuova ma-niera è rappresentato dalle serie paesaggistiche delle Trentaseivedute del Fuji, tra cui la Grande Onda divenuta vero e propriosimbolo dell’arte giapponese.

«Disegniamo quel che si muove di fuori» soleva dire Hokusaidisperatamente in cerca di quel tratto essenziale, fulmineo comeil lampo, che afferra il movimento… Diceva ancora: «Vorrei chei miei personaggi e i miei animali dessero l’impressione di fug-gire dalla carta e che nella mia arte tutto fosse vivo, una lineacome un punto» [44]. Il mondo fluttuante — osserva Gian CarloCalza — corrisponde al senso che ne dava Asai Ryōi (?-1691) neisuoi Racconti del mondo fluttuante (Uki-yo monogatari):

«Vivere momento per momento, volgersi interamente alla lu-na, alla neve, ai fiori di ciliegio e alle foglie rosse degli aceri,cantare canzoni, bere sake, consolarsi dimenticando la realtà,non preoccuparsi della miseria che ci sta di fronte, non farsi sco-raggiare, essere come una zucca vuota che galleggia sulla cor-rente dell’acqua: questo, io chiamo uki-yo» [45] .

Mondo fluttuante che oggi — osserva ancora il Calza — è as-sorbito nella nostra società contemporanea come una realtà suapropria… Ma, più forte di ogni altro, è penetrato nella nostracultura e nella nostra società il senso dell’impermanenza, deltrascorrere delle cose e dello struggimento che la consapevolez-za di tale condizione porta con sé. Eppure proprio la coscienzadi questa impermanenza e l’accettazione dello struggimento chene deriva possono, attraverso l’arte, trasformarsi in veicolo diuna più intensa, pregnante capacità di percezione della realtà edell’esistenza stessa [46].Possiamo pertanto cantare con Kobayashi ISSA (1763-1828) [47]:

Tsuyu no yo wa Mondo di rugiadaTsuyu no yo nagara solo un mondo di rugiadaSari-nagara che svapora.A conclusione di queste righe, possiamo senz’altro applicare

quanto sopra descritto al mondo delle religioni. A mio avviso,tutte le religioni, con i loro testi cosiddetti sacri, sono il frutto di

[45] Gian Carlo Calzain Ukiyo-e, il mondofluttuante, MondatoriElecta, Milano 2004,p.23, citazione innota: Ueda Akinari,Raconti di pioggia edi luna, a cura diMaria Teresa Orsi,Marsilio, Venezia1988, p.10

[46] G.C.Calza, cit.:p.23

[47] l Muschio e laRugiada (Antologia dipoesia giapponese,a cura di MarioRicco’ e PaoloLagazzi), BibliotecaUniversale Rizzoli,Milano 1996, p.41

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MUTAMENTI eTRASFORMAZIONI

esiste alcuna cosa non coprodotta condizionatamente, non esisteneppure alcuna cosa non vuota…» [39]. Inoltre il MādhyamakaKārikā, nel suo esordio, si presenta come un perfetto commenta-rio alla legge della coproduzione condizionata: «La coproduzio-ne condizionata, pacificazione di ogni spiegamento del pensierodiscorsivo, benigna, senza arresto, senza nascita, senza annien-tamento, senza andata, colui che, Svegliato, l’ha insegnata, io losaluto, Lui, il migliore dei parlatori! [40].

Si fa osservare pertanto che il termine śūnyatā (sanscr.), deri-vato dalla radice śvi (gonfiarsi, cavo) ed etimologicamente relatoal greco «koilía» (cavità addominale), viene paragonato alla cifrazero che nel sistema matematico non ha valore proprio, ma èfattore indispensabile. Contiene inoltre una nozione dinamica,perché esprime il processo del gonfiarsi pur rimanendo interna-mente vuoto. Bisogna ancora precisare che il termine, nell’usoche ne fa il buddhismo, ha un significato non puramente ontolo-gico (vuoto assoluto) né epistemologico, ma soteriologico. Unatraduzione più adatta di «vacuità» sarebbe pura relazionalità, vi-brazione non-sostanziale tra una infinità di elementi che nellaloro relazione aperta si sottraggono a qualsiasi oggettivazione. Èchiamata da F. J. Strong «purezza, cioè non-attaccamento» [41].

Sulla medesima scia si muove anche Nikkyō Niwano (1916-1999) fondatore del Movimento buddista laico Risshō Kōsei-Kai,dove prevale la logica del dialogo interreligioso operativo, daparte di ogni credente Bodhisattva, sulla base di una parità-uguaglianza fra tutti gli esseri senzienti in relazione fra loro.

Il concetto di vacuità (giapp.: ku) viene ben espresso daNiwano quando tratta il tema dell’impermanenza (delle cose) [42],osservando che il termine è abbastanza familiare ai giapponesiin quanto ricorre nell’introduzione alla famosa opera Heike mo-nogatari [43] dove, da lui riportati, si leggono i versi seguenti:

Gion Shōja no kane no koe Ai rintocchi della campana delTempio GionShogyō-mujō no hibiki ari. Fa eco l’impermanenza di ogni cosa.

A conforto del tema che stiamo trattando, è d’obbligo un ac-cenno a quel movimento artistico culturale nipponico che vasotto il nome di Uki-yo Mondo fluttuante, sviluppatosi nell’epocadi Edo (1615-1868). Kawamura Tokitarō (1760-1849), chiamatosi

[39] M.Fuss, cit.,p.150

[40] ibidem, p.148

[41] ibidem, pp.149-150

[42] Shogyō Mujō,Tutto è provvisorio,non permanente. Cfr.Tarcisio Alessandrini,Giappone, Antico eNuovo, EditricePont. UniversitàGregoriana, Roma2007, p.252 ss.

[43] Lett. Storia-racconto dellafamiglia-clanHei,dove sirappresenta la lotta(inizio sec.XIII) tra idue clan Taira(Hei) eMinamoto con lasconfitta di Taira. Sifa notare che iracconti di battaglie(gunki monogatari)sono prodotti dallasocietà bushi, laclasse dei guerrieri(samurai) conmessaggi didattici diispirazione buddista.Tra questi racconti,quello HeikeMonogatari è uno deipiù famosi. (Cfr.Whitney Hall,L’ImperoGiapponese,Feltrinelli, Milano1969, p.110)

[44] Cfr. Note dipresentazione dellaMostra su Hokusaitenutasi a Milanodall’ottobre 1999 algennaio 2000 (150°anniversario dallamorte dell’artista).Cfr. anche M.Lelong,Giappone, cittànuova editrice 1972,p.128 ss

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MUTAMENTI eTRASFORMAZIONI

un’encomiabile ed appassionata ricerca della verità in merito al-le vicissitudini della vita con le sue gioie e sofferenze fino al suotermine. Di qui il bisogno di simboli, di celebrazioni rituali confestività commemorative ricorrenti associate a stili di vita quoti-diana, ecc., pur sempre sul piano umano a fronte di tutti i condi-zionamenti della relazionalità, come sopra descritto.

Infatti «le religioni hanno oggi il compito di comprendere chela verità non è mai posseduta, ma sempre cercata, ricevuta, invo-cata, e sempre veduta solo parzialmente e imperfettamente… Inostri diversi approcci e interpretazioni della verità devono esse-re intesi come in relazione tra loro, pur nelle differenze dialetti-che, e non solo in opposizione escludente. Soprattutto, le religionioggi hanno il compito di comprendere che la verità che possiamoconoscere non ci può armare mai gli uni contro gli altri (come nel-la storia ha fatto chi con arroganza ha pensato di tenerla in pugnoe di imporla ad altri come verità armata), ma proprio ci “disar-ma”, nel senso che ci rende più miti ed umili, impegnati conti-nuamente ad imparare dall’ascolto reciproco… La «forza dellaverità» (Gandhi) non è offensiva, ma consiste nell’agire profonda-mente su di noi in quanto la cerchiamo…» [48].

Pertanto, tutti gli aderenti alle religioni, in spirito di reciprocoe rispettoso dialogo che suppone posizioni paritarie, dovrebbe-ro impegnarsi ad una permanente e sincera autocritica lavoran-do insieme per la pace nel mondo.

Possiamo inoltre dire con M. Fuss [49] che «considerando i sin-goli sistemi religiosi che presentano una visione del mondo co-erente e completa in se stessa, si rende necessario riscoprire ipunti focali della propria tradizione per essere in grado di valu-tare un’altra scelta di fede, senza ovviamente alterare il patrimo-nio della propria. Una tale spiritualità dell’attuale momento èxenotica (in greco xenos significa contemporaneamente stranieroe ospite) in quanto cerca di giungere ad un genuino scambio didoni in un clima di mutua ospitalità e di condivisione delle pro-prie esperienze interiori».

[48] Enrico Peyretti,in Confronti, Laviolenza del «sacro»,9, Settembre 2009,p.67

[49] Michael Fuss,Buddhism andChristianity,in «Dharma World»,Kosei, TokyoJan./Feb 1999,vol.26, p.27

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È cominciato un po’ per caso nel2002: ero appena arrivato inItalia dopo oltre 20 anni di

permanenza all’estero arricchitodall’esperienza fatta in Israele contanti psicologi entusiasti dell’in-contro con il Dharma. Nanni DeAmbrogio, che stava finendo il suoMaster Program, mi propose di la-vorare sull’interfaccia tra psicologiae buddismo. Vincenzo Tallarico sidisse subito entusiasta di avere col-

leghi in quella che era da sempre la sua passione. Paolo Testa, incon-trato ad un ritiro di vipassanā, sognava di svilupparsi nella stessa dire-zione. Poi c’erano Silvia Bianchi ed Elena Mazzoleni cui si aggiunseronegli anni Grazia Sacchi, Federica Sagretti Francesca Del Cima eMassimo Gusmano. Alcuni col tempo hanno preso altre strade. L’idea

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LABORATORI DI DIALOGOORIENTE/OCCIDENTEL'affermarsi di nuovi modi di vita, il veloceprocesso di scambio e di globalizzazionestanno facendo nascere a livelli sempre piùcomplessi la necessità di creare un nuovomodello di cultura «interculturale». Esperienze/laboratorio in tal senso sono sorte in Italiadal dialogo tra scienza, psicologia e Dharma.Iniziamo a presentare Mindfulness Project.

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APRIRELA MENTEaNUOVI ORIZZONTIdi Manuel Katz e Grazia Sacchi

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l’aderenza alla verità dell’esperienza interiore. Gli insegnamenti fanno ilresto… e come un miracolo anno dopo anno vediamo le persone cresce-re, la gratitudine reciproca è palpabile, la puja di fine anno un momentodi commozione profonda. Il livello di drop out è bassissimo.

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Oltre alla scuola, fin dal 2003, abbiamo aperto lo spazio convegni:momenti di riflessione annuali sulle potenzialità della mente e su co-me farle emergere guidati da studiosi dall’italia e dall’estero. Tra gliargomenti trattati «il vuoto nella relazione d’aiuto», «la pratica meditati-va nella psicoterapia», «far emergere le risorse interiori», «clinica e for-mazione nella terapia psicospirituale», «gli stati di coscienza non ordi-nari», «Quando i neuroni si specchiano: Neuroscienze e Buddhismo». Inmedia sono un centinaio le persone che, ogni anno, partecipano ai conve-gni. Il programma è disegnato in maniera interattiva con conferenze, me-ditazioni e workshop finalizzati a dare un’esperienza diretta, per quantopossibile, degli argomenti trattati.

Col passare degli anni, nel gruppo siamo cresciuti culturalmente e nel-l’estate del 2007 abbiamo maturato la convinzione che non stavamo piùcercando un’integrazione tra psicologia occidentale e insegnamenti diDharma, ma che la base epistemologica che ci guida è esclusivamentequella degli Insegnamenti, mentre dalla psicologia occidentale prendia-mo i mezzi abili per facilitare iprocessi evolutivi. Non è stato unsalto concettualmente facile e illavoro di ricerca continua, sia a li-vello individuale che di gruppo.Ricerca culturale che si sovrappo-ne con le inevitabili dinamiche in-terpersonali che ogni gruppo diquesto genere deve affrontare. Suquesto è stata fatta una scelta:cercare di usarle come farina peril pane della nostra pratica quoti-diana. L’obiettivo è di formare eformarci come facilitatori della consapevolezza meditativa nelle relazio-ni. Metodologicamente la base è nella familiarizzazione del corpo e dellamente con la consapevolezza come insegnato nel Satipatthana Sutta, con iquattro incommensurabili e con la dimensione esistenziale cui gli inse-gnamenti fanno riferimento: preziosa rinascita, vita e morte, legge di

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APRIRE LA MENTEa NUOVI ORIZZONTI

che ci accomunava era di contribuire in Italia all’approfondimento deldialogo tra pensiero occidentale e Dharma, con particolare attenzioneal campo della relazione d’aiuto.

Eravamo quasi tutti psicoterapeuti con diversi anni di esperienza oltreche studiosi e praticanti di Dharma. L’entusiasmo era alle stelle.Eravamo, e siamo a tutt’oggi, rigorosamente non settari come approccioal Buddismo. Alcuni di noi vengono da un esperienza Theravāda, altriMahayana. Pur essendoci costituiti in maniera completamente autonomada Pomaia, l’Istituto Lama Tsong Khapa divenne naturalmente il nostrocontenitore e trascorremmo ore e ore nella biblioteca dell’Istituto a discu-tere, sognare, disegnare grafici, interrogarci: qual è il rapporto tra lemappe psicoterapeutiche della mente e gli insegnamenti sulla sofferen-za? Quale, tra le tante scuole psicologiche, meglio si interfaccia con ilDharma? Come la dimensione ultima si incontra con quella relativa?Come evitare il rischio del bypass spirituale? Cosa caratterizza una spiri-tualità psicologicamente matura?

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L’atmosfera era un po’ da movimento degli anni ‘70. Inizialmentepensavamo a una scuola di specializzazione in psicoterapia ispirata alDharma, poi, forse spaventati dalla burocrazia che imponeva il Miur,abbiamo optato per un percorso di formazione per counsellor. Nel2003, con la benedizione di gheshe Ciampa Ghiatzo creammol’associazione. Ci sentivamo i fratelli italiani di iniziative analoghe nelmondo anglosassone e in Israele. Contattammo il Naropa Institute inColorado e il Karuna Institute in Inghilterra per imparare dalla loro espe-rienza. Eravamo supportati dal professor Kulka, eminente psicoanalistadi Gerusalemme. C’era aria di pionierismo. Dopo oltre un anno di prepa-rativi, nel 2004, provammo ad aprire un primo anno della scuola di co-unselling Mindfulnes Project: la risposta fu superiore alle nostre aspetta-tive. Oltre 30 persone chiesero di iscriversi. Aprimmo due gruppi:Mandala e Fior di Loto. Poi anno dopo anno partirono altre classi, Dorje,Anam, Namaste, Aleph, Sati. La scuola è così diventata uno spazio pro-tetto dove, per un weekend al mese, durante tre anni, gli studenti si met-tono in gioco per crescere personalmente e professionalmente. Per alcunila possibilità di ricevere un diploma di counsellor professionalmente ri-conosciuto è uno stimolo a cambiare o allargare la propria professionali-tà. Per molti altri invece il diploma è una sorta di scusa interiore per fareun percorso di crescita personale in un contesto nutriente. L’energia diPomaia ci fa da base. La professionalità psicologica dei docenti garantisce

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Sul piano teorico, i professio-nisti hanno in comune la ricercasulla mente e sulle emozioni nelcampo dell’integrazione tra psi-cologia clinica e meditazione, trale scienze psicologiche della tra-dizione occidentale e lo studiodella mente secondo l’antica tra-dizione orientale, con particola-re riferimento al pensiero bud-dhista.

Le fonti del buddismo a cui cisi riferisce riguardano principalmente gli insegnamenti del Dalai Lamae la sua collaborazione con scienziati e studiosi occidentali rappresen-tata dal gruppo di «Mind and Life» (www.mindandlife.org), gli insegna-menti di Thich Nhat Hanh (www.plumvillage.org) e quelli dei maestrioccidentali di Vipassanā (www.dharma.org).

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APRIRE LA MENTEa NUOVI ORIZZONTI

causa e effetto, quattro nobili verità. L’obiettivo è lo sviluppo di qualitànon egoiche di saggezza, autenticità e amorevolezza nella relazione. Ed èl’energia del gruppo, dei maestri, e degli studenti quella che ci sostienenei momenti difficili.

PSICOTERAPIA E BUDDHISMONel 2007 abbiamo aperto il centro di Milano: l’idea era di creare in

città uno spazio dedicato sia alla clinica, ossia psicoterapia ispirata albuddhismo, sia alla formazione, alla meditazione e agli insegnamen-ti. Un luogo dove offrire un processo di trasformazione, dove svilupparee sostenere una crescita psicologica per giungere, laddove possibile, alladimensione spirituale, scoprendosi all’interno di un processo dinamicodove attuare mutamenti, trasformando in risorse ciò che appare imme-diatamente confuso, fonte di paura ed insicurezza.

Sembrava all’inizio un’impresa un po’ eccessiva, non esisteva ancorain Italia un centro di questo genere e il pionierismo porta con sé una certadose di timore e la paura di essere maniacali. Però il supporto el’incoraggiamento del nostro Maestro ghesce Ciampa Ghiatso ci ha con-vinto di essere nel giusto e nel buono, che potevamo provare.

La convinzione di base che ci ha guidati è quella di offrire alla personaesperienze di terapia e di formazione focalizzate sullo sviluppo delle po-tenzialità dell’essere umano, comunque sempre presenti, anche laddovecompaiono disagi e sofferenze. Uno sviluppo che avviene riconoscendoin ognuno l’ esistenza di una zona di sanità e di saggezza costituita da ri-sorse, dal sapere intuitivo e dalla spiritualità, dimensioni frequentementeoscurate dal flusso degli eventi esistenziali.

Quindi, un luogo dove rispondere a disagi psichici con differentiforme di psicoterapia (individuale o familiare), di mindfulness counse-ling (gestito da allievi diplomati presso la nostra scuola) in un contestodove sia possibile accedere anche ad altri percorsi, in relazione ai diffe-renti bisogni: consultazioni di psicofarmacologia e psichiatria anche inun’ottica di medicina naturale, consultazioni omeopatiche, lavoro cor-poreo (yoga e Tai Ji), sessioni di meditazione individuali e di gruppo.Il tutto nella stessa casa. È la dimensione cha abbiamo cercato di attua-re, l’energia trasversale, non un luogo sanitario, clinico, ma una casache offre persone e stanze differenti, in relazione ai bisogni dell’ospite;è un’energia sentita, che ci viene riportata da coloro che frequentano ilCentro, il trovarsi bene ed essere accolti.

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L’attività formativa del Centro si struttura secondo diverse modalità: seminari di una o due giornate,corsi a più moduli con differente durata, gruppi a cadenza periodica.Le proposte formative sono diversificate nel target e nel contenuto: si rivolgono a counselor,ad operatori nella relazione di aiuto in differenti contesti (sociale, sanitario, ecc), e a tutti coloro chesono interessati a formarsi o ad approfondire l’approccio transpersonale centrato sullaconsapevolezza. Un’area specifica del settore è quella della formazione continua per psicoterapeuti.ATTIVITÀ DI CONSULENZA Gli operatori del Centro ricevono persone che presentano disturbi d’ansia,attacchi di panico, stati depressivi, disturbi della personalità, difficoltà nella relazione, disturbi dellasfera alimentare, conflitti presenti nel corso di separazioni coniugali tali da richiedere un percorsodi mediazione familiare. Le terapie si rivolgono anche ad individui che vivono varie forme di disagioesistenziale reattivi ad eventi traumatici di varia natura (malattie, lutti, incidenti, ecc), ademergenze spirituali, a cambiamenti connessi al ciclo della vita, con particolare attenzione alleproblematiche relative alla gravidanza, alla relazione primaria madre-bambino e alla genitorialità.I percorsi psicoterapici sono integrati con i seguenti ambiti specialistici:� Consulenze medico-psichiatriche, farmacoterapia, fito e floriterapia� Incontri di yoga (individuali e di gruppo)� Percorsi di meditazionePER INFORMAZIONI: Centro Mindfulness Project - Via Cenisio, 5 - 20154 MILANOSegreteria: Adriana Pedrazzini - cell. +39 346 8461065 - e-mail: [email protected]

I L C E N T R O M I N D F U L N E S S P R O J E C T A M I L A N O

Nel campo della psicologia occidentale, la cornice di riferimento è co-stituita dalla psicologia umanistica-integrata che riunisce aspetti comunia più scuole di pensiero, quali la fenomenologia esistenziale, la Gestalt, ilmodello rogersiano e della psicologia dei valori, la scuola sistemica, iprincipi della psicologia positiva e alcune fra le teorie psicodinamiche re-lazionali (H.Kohut, D.Stern).

Il cuore del Centro è il Dharma, aspetto fondante attivato dalla pre-senza di Maestri che conducono insegnamenti di Buddhismo. IlMaestro radice è stato ghesce Ciampa Ghiatso, che ha lasciato il corponel 2007, Lama residente presso l’Istituto Lama Tzong Khapa aPomaia, luogo di partenza e di riferimento dell’AssociazioneMindfulness Project. Pur essendo il Buddhismo tibetano Mahāyāna alcuore del Centro, si è scelto di ospitare Lama e Maestri di differenti li-gnaggi e scuole, anche occidentali; si sono avvicendati ghesce TenzinTenphel (Lama residente a Pomaia ed ora Maestro presente in modocontinuativo), Lama Monlam, Chamtrul Rimpoche, Geshe GelekJinpa, Bhante Olaboduwe Dhammika Thero, Alan Wallace, JamesLow, Nida Chenastang con corsi di medicina tibetana.

Stiamo pensando di creare un settore di Buddhismo impegnato incampo sociale, per ora ancora in gestazione. Vengono ospitati durante ilweekend corsi organizzati da altri colleghi che riguardano il tema dellacrescita personale, o corsi di meditazione; in particolare, si è creata unasignificativa sinergia di incontro con il gruppo milanese dellaFondazione Maitreya che ha trovato nel Centro un luogo dove condivi-dere una pratica meditativa ed invitare Maestri.

L’auspicio è di trovare sempre più sinergie operative, al fine di crearepercorsi di benessere e stabilità nella mente e nel cuore; l’auspicio è diaumentare la presenza dei Maestri, da cui ricavare la spinta per prose-guire e con cui aggiustare sempre meglio la motivazione portante, il be-neficio degli esseri senzienti.

«… Proprio come lo spazio, la terra e gli altri grandi elementi,possa io sempre essere un sostegno per la vita delle innumerevoli creature.E fino a quando non andranno al di là del dolorepossa anche essere fonte di vita e di sostentamentoper i molteplici esseri di tutti i reamiche si stendono ai confini dello spazio»(Shantideva)

2010ABBONAMENTO ANNUALE ALLA RIVISTA DHARMA(quattro numeri)� Abbonamento ordinario: 35 euro� Per centri e biblioteche: 30 euro� Abbonamento sostenitore: 60 euro� Abbonamento benemerito: 70 euro

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fondamentalidottrine, comequella del karma edella rinascita,quella della falsacredenza in un séseparato edell’originedipendente di tutti ifenomeni. Powersaffronta poi il ruolodella meditazionenel buddhismoindiano e tibetano ei vari tipi diaddestramento che,attraverso losviluppo di unamente calma edisciplinata,portano allacomprensione dellanatura transitoriadei fenomeni e allavisione superiore.Nella seconda partedel libro Powers siaddentra nelcampo, assaicomplesso earticolato, delbuddhismoVajrayana otantrico, diffusosoprattutto in Tibet.Gli insegnamenti

tantricicominciarono acomparire in Indianel VII secolo equindi in Tibet nelIX e X secolo: essiincorporavanoelementi ditradizionibuddhiste piùantiche eaddiritturaanteriori albuddhismo stesso,come il vajra (loscettro a cinquepunte), i mantrae i diagrammisimbolici, come imandala.Le pratichetantriche vengonoviste come ilsupremoinsegnamentobuddhista e ilsentiero più breveed efficace perpervenire allabuddhità. Powersdescrive ilcomplesso dirituali, preghiere,visualizzazioni emudra, checaratterizzano

questa tradizione,in genere moltoostici per glioccidentali. Ilsentiero del Vajraviene presentatocome un sentierosegreto che richiedeil conferimentodell’iniziazione cheforma un legamespeciale tral’allievo, il lama e ladivinità evocatanella meditazione:«Durantel’iniziazione il lamaintroduce glistudenti alla naturadella loro mente. Ilrapporto idealemaestro-studentenon è però quello dipadrone e schiavo,ma un realeincontro fra duementi. Il maestro èla persona che hacoltivato consuccesso gliinsegnamentiesoterici del tantrarealizzando così ilpotenziale latentedella natura diBuddha, e gli

studentipossiedono ilmedesimopotenziale e siaffidano alleistruzioni del lamaper conseguireanche loro ilmedesimo livello direalizzazione»(p. 76). In questatradizione è quindidi particolareimportanza lafigura del maestro edel lignaggio,garanzia diautenticità degliinsegnamenti edella lorotrasmissioneininterrotta.Dal momento chemolti testi tantricisonodeliberatamentecriptici è essenzialela trasmissioneorale da guru ediscepolo: «Il guruideale è unapersona saldamenteradicata nellatradizione, che hastudiatoestesamente i testi e

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Ecco un utile testo,destinato ancheai lettori nonspecialisti, in cuivengono presentatiin maniera chiarae accessibilei fondamenti e levarie scuoledel buddhismotibetano.Ne è autore JohnPowers, studioso difilosofia indo-tibetana e docentepresso la NationalUniversity diCanberra. Nel 1995

Powers avevapubblicato unacorposa edettagliataIntroduction toTibetan Buddhismda cui, nel 2007, hatratto una versionepiù concisa, di cuiviene orapresentata latraduzione italiana.Al di là dell’ambitodegli studiosi, laconoscenza delTibet in Occidente èstata in generemolto limitata ed èdal XIX secolo chequesto paesemisterioso e remotocomincia ad esserevisto come ilcustode diun’antica saggezza,grazie soprattuttoagli scritti diHelena Blavatsky,fondatrice dellaSocietà Teosofica. Arendere piùpopolare il Tibetcontribuironoanche alcune opereletterarie, tra cuiOrizzonte perduto

(1933), il famosoromanzo di JamesHilton, cherielaborava il mitodi Shangri-la e cheoffrì anche lamateria per delleversionicinematografiche.Naturalmente,accanto a questiinteressi piùpopolari, sono statesvolte anchericerche da parte distudiosi, tra cuiquelle degli italianiGiuseppe Tucci eFosco Maraini, dacui si è sviluppatauna vastapubblicisticarelativa al Tibet ealle sue tradizioniculturali espirituali.Inoltrel’occupazionecinese del Tibetnegli anni ‘50 hacondotto, da unaparte, allarepressione e a una«normalizzazione»che continua ancoraoggi, e, dall’altra, a

una diaspora– a cominciaredall’esilio del DalaiLama, capospirituale e politicodel «Paese delleNevi» – che hacontribuito adiffondere lacultura tibetanae i suoiinsegnamenti inOccidente.È in questo solcoche si situa il librodi John Powers, ilquale è molto abilenel presentare inmaniera chiara ecomprensibile unatradizione moltocomplessa tanto dalpunto di vista dellafilosofia quanto daquello della pratica.La prima parte dellibro ha uncarattereeminentementeintroduttivo albuddhismo ingenerale, al Buddhastorico e ai suoiinsegnamenti.Inoltre vi siriassumono alcune

JOHN POWERSIl Buddhismotibetano.Una breveintroduzioneUbaldini Editore, Roma2009, pp. 171 - Euro 16,50

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da lui realizzatain alcuni decennidi attività comemissionariosaveriano.Come dice il titolo,il volumeapprofondiscealcuni aspetti dellastoria religiosa eculturale delGiappone, antica emoderna, dandociuna serie diapprofondimenti sutemi chesolitamente sonolasciati ai marginidalla storiografiasul Paese del Sollevante. Risalire alleorigini della realtàreligiosagiapponese, fatta diadorazione deifenomeni naturali,allo shintoismo epoi all’insediarsidel buddhismo eall’emergere dellenumerosepersonalitàcarismatiche nel XIIe XIII secolo è cosarara nellapubblicistica del

settore, eparticolarmentelodevole risulta lacura del significatodei termini,accompagnata dallascrittura deicaratteri,indispensabile peruna comprensionecorretta di essi.La parte più ampiadel volume èdedicata alle«nuove religioni»buddhiste (Reiyu-kai, Soka-gakkai,Risshō Kōsei-Kai)delle qualiAlessandrinidelinea la storia(dalle origini neglianni Trenta alsuccessivo svilupponel dopoguerra finoa oggi).Caratteristicacomune di questimovimenti, che —come ebbi giàoccasione dirilevare altrove —hanno prodotto unaforterivitalizzazione delmessaggio

buddhista, è quelladi presentare nontanto nuovicontenuti religiosi,quanto piuttostonuove forme diorganizzazione, conbase laica e dimassa, capacità diaffrontare problemipersonali e socialiattraverso forme dicounseling psico-spirituale, largo usodi mass-media,costruzione divistose strutture ascopo di culto,formativo,assistenziale, a lorovolta stimolo allapartecipazione e alreclutamento dinuovi membri.È soprattutto almovimento dellaRisshō Kōsei-Kaiche Alessandrinidedica l’analisi piùapprofondita,avendo avuto conessa l’opportunitàdi frequentazioni,scambi e amicizie.Le vicendedell’organizzazione

vengono seguiteattraverso losvolgersi della vitadel fondatoreNikkyo Niwano,personalitàcarismatica,animata da unainvincibiledeterminazionead affermaree propagare gliinsegnamenti delSutra del loto, chehanno portato allacostruzione delmovimento RKKnon solo, ma anchealla creazione dellaConferenzamondiale dellereligioni per lapace, delMovimento per unasocietà migliore,etc.La RKK, come glialtri più rilevantinuovi movimentireligiosi buddhisti,si richiama allatradizione diNichiren, fatto cherichiederebbe unapiù attentavalutazione. A mio

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Il fenomeno delle«nuove religioni»o, piùpropriamente, dei«nuovi movimentireligiosi»sviluppatisi inGiappone neldopoguerra epropagatisi anchein Occidente, hadestato, specie neglianni passati, un

largo interesse daparte degli studiosidi sociologia dellareligione, dellaChiesa e deiricercatori spiritualidesiderosi di«nuovi» messaggi.Le distanzeculturali(linguistiche, dicostume e di storia)non hanno resofacile la conoscenzadiretta di questimovimenti,necessaria peruscire da unaacquisizione solo diesterioritàfolkloristiche e diuna collocazioneall’interno dellagenericaprospettiva NewAge. Per questimotivi, il volumeche TarcisioAlessandrini cioffre risultaparticolarmenteinteressante in virtùdella suaconoscenza diprima mano dellarealtà giapponese,

i commenti, hainteriorizzatoprofondamente leistruzioni oraliricevute da maestririsvegliati e hamesso in praticanella meditazionegli insegnamentiricevuti» (p.97).Molte pagine sonoinoltre dedicate allameditazione sullamorte e al processodel progressivodistacco dellacoscienza dalcorpo, contenutonel Libro tibetanodei morti.Particolarmenteutile è l’ultimocapitolo in cuil’autore descrive, inmaniera chiara econcisa, un aspettomoltocomplessodel buddhismotibetano, vale a direi quattro ordiniprincipali –Nyingma, Kagyu,Sakya e Gelug –sottolineandonesoprattutto gliaspetti comuni.

Il testo di Powers,corredato tra l’altroda un utile lessicodei terminibuddhisti, da unbreve glossarioitaliano-tibetano-sanscrito e da unaconcisabibliografia, potràcostituire unaproficua einteressante letturasia per il lettoremedio sia per ilpraticante. Vacomunque tenutosempre presenteche il valore e lapreziosità degliinsegnamentivanno compresinon semplicementesul pianointellettuale,ma con la pratica,che miradirettamente allavera Conoscenzae quindi allaliberazione.Giuliana Mariniello

TARCISIOALESSANDRINIGiapponenuovo e anticoStudio fenomenologicosul Movimentobuddhista RisshoKosei-kaiPrefazione di M. A. Falà,Roma, Editrice PontificiaUniversità Gregoriana,2007, pp. 439.

in Occidenteverrebbero definitidi «culto dellapersonalità».Alessandrini«sorvola» su questiaspetti e viene diconseguenzamantenuto un(forse troppo)«rispettoso»silenzio sul periododell’invasionedella Cina neglianni Trenta e dellaseconda guerramondiale.Sempre seguendola biografia delfondatore,Alessandriniricorda come ilperiodo iniziale,quello dellacollaborazione conla co-fondatriceNaganuma Myoko,sia stato ricco dipratichesciamaniche(guarigionimiracolose,rivelazioni da partedi «voci divine»,premonizioni) sullequali si

richiederebbe unavalutazione dicongruenza conl’insegnamentobuddhista, per nondire dellosconcertantegiudizio sulcomunismosovietico dato daNiwano, inoccasione di unviaggio in Russia,che A. riporta(«il partitocomunista imponea sé stesso perfettadedizione allospirito di servizio,all’amore delpartito e in ognicosa a porre ilpartitoal primo posto persoddisfare i bisognidi molta gente»).Altro problema èquello della figura«professionale»di chi nella RKKe in altri movimentisimili si dedica atempo pienoall’organizzazione:se il monachesimomahayana porta

in sé una sortadi contraddizioneanche movimentiche si vogliono dilaici finiscono pergenerare lanecessità difunzionari, simili ai«quadri» di partitie sindacati,producendo unafigura di unopseudo-monaco,separato daicomuni membridell’organizzazione:l’abbandono perdieci anni dellafamiglia, riccadi numerosi figlipiccoli, da partedi Niwano, spintoda «voci divine»che esigevanola sua totalededizioneal movimento,apre interrogativiche non trovanorisposta.Molto ricca è, infine,la documentazioneche il libro ci offresulla vitadell’organizzazione,le cerimonie

religiose, il cultodegli antenati,l’Hoza (sedutiinsieme per ilDharma), chedocumentano lafunzione di grandecontenitore sociale(per milioni dimembri) svolto daquesto o altrimovimenti: tuttielementi attraversoi quali possiamorenderci conto deilimiti cui vainevitabilmenteincontrol’importazione diessi in Occidente,della distanza dallanostra culturacomplessa e dalleesigenze spiritualidell’uomo europeoalle quali talimovimenti, pur conla loro «novità»,sembranodifficilmente poteroffrire rispostesignificative.

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parere, infatti,questimovimenti nasconoe si affermano in unperiodo storicoproblematico, in cuiil Giappone si senteobbligato ariesaminare eridefinire la propriaidentità nazionale eil suo ruolointernazionale.La diagnosi deimali del Giapponedel suo tempo fattada Nichiren (ilrischiodell’invasionemongolainterpretato comeconseguenzadell’allontanamentodall’insegnamentodel Sutra delLoto...) e i suoiobiettivi dellasalvezza dellanazione e dellarealizzazione diuna terra diBuddha nel mondopresente (v., trai vari scritti, quellointitolato RisshoAnkoku Ron,

Assicurare la pacenel Paese attraversol’adozione del verobuddhismo) hannopotuto fornire ainuovi movimenti lebasi sia diatteggiamentinazionalistici sia,nel secondodopoguerra, diimpegni pacifisti eper la difesa deidiritti umani. Forsenessuna delle altrescuole buddhistetradizionali avevamostrato, comequella di Nichiren,preoccupazionipolitico-socialitanto spiccatee la figura stessa diNichiren, pocorilevantefuori del Giapponema fortementeconnotatada elementi dellacultura nazionale(mai andatoin Cina come moltialtri maestri enutrito quasiesclusivamentedegli insegnamenti

della scuolaTendai), hacertamentecostituito unelemento di forteattrazione permovimenti sortisenza grandiaspirazioniuniversalistiche.Il tempo in cuiè vissuto Nichirenha visto, per unaesigenza di«democrazia»,la tendenza a unadiffusione delbuddhismodall’alto verso ilbassoe dal centro versola periferiae i movimentineobuddhisti,con il loro caratteredi movimentidi massa, hannotrovato in Nichirenuna figura diriferimento moltopiù popolare ebattagliera dellealtre per realizzareun analogo tipodi espansione.Nichiren ha, infatti,

operato unadrasticasemplificazionedegli insegnamentie della pratica,semplificazionequanto mai adatta(a fronte dielaborazionicritiche complessee di pratiche chenecessitano dilunga formazionee tempi più estesi)a movimenti che sivogliono popolari edi massa . L’ostilitàmanifestata daNichren per lescuole tradizionali(il buddhismo deitempli)«autorizzava» unadistanza da esse(anche il legameorganico della SGKcon la componentemonastica è statosciolto negli anniNovanta),favorendol’affermarsi dellefigure indipendentidi fondatori eleader, anche conaspetti di ciò che

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Una buonastagione

Centinaia di fiori in primavera,

la luna in autunno,

la brezza fresca d'estate,

la neve in inverno.

Se non occupi la tua mente in inutili cose,

ogni stagione è per te una buona stagione.

Wu men

LA POESIA