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ECM 33 Novembre 2014 FORMAZIONE A DISTANZA 29 Curare e prendersi cura della persona: prospettive di comunicazione e relazione

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ECM33Novembre 2014 FORMAZIONE A DISTANZA29

Curare e prendersi cura della persona: prospettive

di comunicazione e relazione

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Curare e prendersi cura della persona: prospettive di comunicazione e relazione

ECM33numero 29 - anno VII - novembre 2014Autorizzazione Tribunale di Milano N° 70 del 29 gennaio 2008 - ROC N° 23531

© Edra LSWR Spa 2014Pubblicazione protetta a norma di legge dall’Ufficio pro-prietà letteraria, artistica e scientifica della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dedicata all’aggiornamento professionale. La pubblicazione o ristampa di articoli o immagini della rivista deve essere autorizzata per iscritto dall’editore.

EditoreEdra LSWR SpaVia Spadolini, 720141 Milano - ItaliaTelefono +39 02 88184.1Telefax +39 02 88184.301www.lswr.it

Direttore ResponsabileGiorgio Albonetti

Progetto graficoT&T Studio sas Milano

 

ROC N° 23531(6/05/2013)

Presentazione del corsoTitoloCurare e prendersi cura della persona: prospettive di comunicazione e relazione

Responsabili scientificiProf.ssa Maria Pia Foschino Barbaro - Professore Ordinario di Malattie dell’Apparato Respiratorio; Direttore del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Università degli Studi di FoggiaDott. Michele Cassetta - Odontoiatra – Docente a contratto, Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Bologna

Docenti, TutorDott.ssa Marylou Baccilieri - Psicologa - Psicoterapeuta – Master in Counseling Sanitario, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università di Bologna Dott.ssa Iolanda Incasa - Psicologa - Psicoterapeuta – Master in Counseling Sanitario, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università di Bologna

DestinatariMedici chirurghi specialisti in allergologia ed immunologia clinica, geriatria, malattie dell’apparato respiratorio, medicina del lavoro e sicurezza degli ambienti di lavoro, medicina dello sport, medicina fisica e riabilitazione, medicina generale (medici di famiglia), medicina interna, ortopedia e trauma-tologia, otorinolaringoiatria, pediatria, pediatria (pediatri di scelta libera), reumatologia; odontoiatri; farmacisti territoriali.

Razionale del corsoIl rapporto professionista sanitario-paziente si è evoluto nel tempo passando da una relazione basata sull’offerta di aiuto da parte del sanitario, in qualsiasi ambito questi operi (ambulatorio, struttura ospedaliera, farmacia), ad una relazione volta a soddisfare il bisogno di ricevere risposte esaustive relativamente al proprio stato di salute e al percorso utile alla soluzione dei propri problemi di salute, espresso da parte del paziente che si rivolge a questi professionisti in quanto ritenuti fonti esperte ed autorevoli. Il paziente arriva al consulto avendo già raccolto quante più possibili informazioni da parenti, amici ma anche dalla rete web, con i conseguenti pericoli di informazioni false e tenden-ziose. È quindi fondamentale che tutti i professionisti, a vari livelli, aggiornino le proprie competenze sulla corretta impostazione del rapporto con i propri pazienti, sulla conoscenza delle dinamiche che governano le relazioni interpersonali e sulle tecniche di ascolto attivo, al fine di rapportarsi al paziente e a tutti gli aspetti della sua patologia nel modo più funzionale possibile.

ECM FADIl superamento dei questionari ECM, contenuti in ciascun modulo formativo, consentirà di ottenere 15 crediti formativi.

Durata del corsoIl tempo necessario per completare il percorso formativo è di 10 ore.Il corso sarà attivo dal 25 novembre 2014 al 25 novembre 2015.

Come iscriversi e partecipare al corsoDopo aver letto il materiale didattico contenuto nella presente rivista, collegarsi all’indirizzo internet:

http://fad-cura-persona.ecm33.it

Registrarsi alla comunità Medikey o digitare le proprie credenziali Medikey; solo per il primo ac-cesso digitare il codice di attivazione: cp2014mof. Si accederà ai contenuti didattici on line dei 6 moduli formativi da visionare prima della compilazione dei questionari ECM utili al conseguimento dei crediti ECM.

indiceModulo 1 pag. 3

LA COMUNICAZIONE PROFESSIONISTA SANITARIO-PAZIENTE

Modulo 2 pag. 6

LE DIVERSE TIPOLOGIE DI PAZIENTI E DI PROFESSIONISTI SANITARI

Modulo 3 pag. 9

LA GESTIONE DEI CASI DIFFICILI E IL SUPERAMENTO DELLE BARRIERE ALLA COMUNICAZIONE

Modulo 4 pag. 12

LA COMUNICAZIONE NELLA GESTIONE DEL PAZIENTE AFFETTO DA PARTICOLARI PATOLOGIE:• PAZIENTE CRONICO• PAZIENTE IN ACUTO • PAZIENTE ANZIANO• PAZIENTE PEDIATRICO

Modulo 5 pag. 22

I CODICI DEONTOLOGICI E I PROBLEMI ETICI E BIOETICI APERTI

Modulo 6 pag. 25

LA GESTIONE DEL RAPPORTO CON IL PAZIENTE NELL’ERA WEB 2.0

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modulo 1Curare e prendersi cura della persona: prospettive di comunicazione e relazione

La particolare impostazione delle conoscenze che saranno descritte parte dalla scelta con-sapevole, finalizzata e selettiva di concetti in grado di suggerire una nuova apertura a mo-dalità di azione, non di fornire “la modalità” (ad es., pompe dell’intuizione di Daniel Dennett*). Nella misura in cui ognuno di noi è assoluta-mente unico, è paradossale poter pensare di gestire un processo (comunicazione) che, oltre a essere sostanzialmente dinamico, è anche costruito su premesse totalmente personali, attraverso formule e strumenti rigidi, per quanto icastici, e predefiniti. Nella nostra ottica occorre essere pregnanti, non preparati. Per affrontare il tema della comunicazione pro-fessionista sanitario-paziente occorre innan-zitutto definire la parola comunicazione, la cui etimologia riconduce ai concetti di reciprocità, di mettere in relazione, di stabilire un contatto. Tra le sue derivazioni troviamo:• cum-munus, in cui munus significa dono;• communis, che significa mettere in comune,

essere con.

Comunicare è uno scambio interattivo fra due o più partecipanti, dotato di intenzionalità reciproca e di un certo livello di consapevolezza, in grado di far condividere un determinato significato sulla base di sistemi simbolici e convenzionali di signi-ficazione e di segnalazione secondo la cultura di riferimento; è trasformazione e partecipazione nella costruzione di percorsi di senso fra due o più soggetti. Nello scambio fra due o più persone la comunicazione si configura come discorso, ossia come pratica sociale di produzione di sen-so. La comunicazione presenta caratteristiche

di stabilità, ma allo stesso tempo è un processo dinamico, dotato di intenzionalità, e pertanto soggetto a continue variazioni e cambiamenti (Figura 1).Essendo la comunicazione una conditio sine qua non dell’esistenza umana, esistono diversi modelli teorici a cui possiamo fare riferimento e dai quali possiamo ricavare strumenti operativi. I modelli teorici di riferimento sono: • il modello di G. Bateson, che individua e

definisce i livelli del pensiero;• il modello di P. Watzlawick, che studia e

dà rilevanza alla pragmatica della comuni-cazione;

• il modello di S. Porges, che con la teoria polivagale introduce il concetto di sistema di coinvolgimento sociale.

in pilloleÂÂ Definizione della parola comunicazione,

la cui etimologia riconduce ai concetti di reciprocità, mettere in relazione, stabilire un contatto. Tra le sue derivazioni vi sono cum-munus, in cui munus significa dono, e communis, che significa mettere in comune, essere con.

ÂÂ I livelli logici del pensiero di Bateson: Livello 0, degli automatismi; Livello 1, riflessivo-consapevole; Livello 2, morale-personale; Livello 3, sociale-culturale; Livello 4, creativo (riguarda la creazione di sistemi di comportamento nuovi). Organizzati in maniera gerarchica, ogni livello organizza e dirige le informazioni di quello sottostante. L’ordine gerarchico dei diversi livelli è sempre mantenuto e implica un aumento di complessità.

ÂÂ Watzlawick sostiene che è possibile, studiando la comunicazione, individuare delle “patologie” della comunicazione

stessa e dimostrare che sono esse a produrre interazioni patologiche. Il suo modello teorico si occupa degli effetti comportamentali (pragmatici) della comunicazione umana, da cui il nome “pragmatica della comunicazione umana” (studio che ha portato alla definizione degli assiomi della comunicazione).

ÂÂ I circuiti della teoria polivagale di Porges: vago mielinico (sistema ventro-vagale), vago non mielinizzato (sistema dorso-vagale) e sistema orto-simpatico (gangli paravertebrali del midollo spinale).

ÂÂ Il ruolo del medico viene ampliato con il cambiamento di “paziente” (dal latino patiens, participio presente di pati, soffrire, sopportare) in “persona assistita”, secondo il nuovo codice deontologico.

ÂÂ La comunicazione è scomponibile in verbale, non verbale e paraverbale ed è influenzata da alcuni fattori.

parole chiave

La comunicazione professionista sanitario-paziente

Obiettivi del modulo:descrivere la comunicazione professionista

sanitario-paziente; definire il concetto di comunicazione; descrivere le teorie

di Bateson, Watzlawick e Porges; riflettere sul cambio di paradigma nella relazione

medico-persona assistita.

Comunicare

Comunicazione verbale/non verbale/paraverbale

Fattori della comunicazione

Livelli logici del pensiero

Pragmatica della comunicazione

Teoria polivagale

Sistema di coinvolgimento sociale

Persona assistita

* Le pompe dell’intuizione sono degli esperimenti di pensiero, come la caverna di Platone, il diavoletto di Cartesio, il contratto sociale di Hobbes o gli impe-rativi categorici di Kant. Esercizi d’immaginazione, che indirizzano il modo di affrontare un problema. Il filosofo americano Daniel Dennett ha criticato l’uso di esperimenti mentali: li ritiene scenari troppo fan-tasiosi per produrre intuizioni chiare, e incapaci di dimostrare le loro conclusioni “vere, in altre parole pertinenti ai fatti del mondo reale [...] la filosofia con le pompe dell‘intuizione non è affatto scienza, ma nel suo modo informale è una sua preziosa – persino occasionalmente necessaria – compagna” (Dennett, 1984).

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modulo 1Curare e prendersi cura della persona: prospettive di comunicazione e relazione

I livelli del pensiero secondo G. Bateson

Gregory Bateson (1904-1980), biologo, an-tropologo, sociologo, linguista e studioso di cibernetica, nei suoi studi sul “gioco” (1954), ha introdotto il concetto di livelli logici (tipi di abitudini mentali) di apprendimento e cam-biamento. Bateson sostiene che animali e persone sono in grado di operare una di-stinzione tra i diversi livelli di astrazione di un comportamento grazie ad alcuni messaggi, spesso non verbali, che si trovano appunto a un livello di astrazione superiore al compor-tamento in atto (animali e persone impegnate nel gioco presentano gli stessi comportamenti associati all’aggressività, alla sessualità e ad altri aspetti, ma, nella maggior parte dei casi, sono in grado di capire-riconoscere che tali comportamenti sono riconducibili al gioco in atto e non alla realtà). Egli sostiene inoltre che i confl itti e le incomprensioni spesso originano dalla confusione o dall’interpretazione errata di tali messaggi. I livelli logici del pensiero sono:• livello 0, degli automatismi;• livello 1, rifl essivo-consapevole;• livello 2, morale-personale;• livello 3, sociale-culturale;• livello 4, creativo (riguarda la creazione di

sistemi di comportamento nuovi).

Tali livelli sono organizzati in maniera gerarchica, ossia ogni livello organizza e dirige le informazioni del livello sottostante. L’ordine gerarchico dei diversi livelli è sempre mantenuto e implica un aumento di complessità.

La pragmatica della comunicazione secondo P. Watzlawick

Paul Watzlawick (1921-2007), vicino al pensiero di Gregory Bateson, è stato uno dei maggiori studiosi della comunicazione e uno dei prin-cipali ricercatori del Mental Research Insitute di Palo Alto, California. Watzlawick sostiene che è possibile, studiando la comunicazione, individuare delle “patologie” della comunica-zione stessa e dimostrare che sono esse a produrre interazioni patologiche. Il suo modello teorico si occupa degli effetti comportamentali (pragmatici) della comunicazione umana, da cui il nome “pragmatica della comunicazione umana” (studio che ha portato alla defi nizione degli assiomi della comunicazione). Gli assiomi della comunicazione sono:• non si può non comunicare;• ogni comunicazione ha un aspetto di con-

tenuto e un aspetto di relazione, di modo che il secondo classifi ca il primo ed è quindi metacomunicazione;

• la natura di una relazione dipende dalla pun-teggiatura delle sequenze di comunicazione tra i comunicanti;

• gli esseri umani comunicano sia con il mo-dulo numerico sia con quello analogico. Il linguaggio numerico ha una sintassi logica assai complessa e di estrema effi cacia ma manca di una semantica adeguata nel settore della relazione, mentre il linguaggio analogico ha la semantica ma non ha nessu-na sintassi adeguata per defi nire in un modo che non sia ambiguo la natura delle relazioni;

• l’interazione è classifi cata come simmetri-

ca, caratterizzata dall’uguaglianza e dalla minimizzazione della differenza, e comple-mentare, nella quale il comportamento del partner (differenza) completa quello dell’altro (asimmetrica).

Watzlawick defi nisce inoltre un altro concetto chiave negli studi della comunicazione, ossia quello di immagine del mondo:“Un’immagine del mondo rappresenta la sintesi più globale e complessa delle miriadi di esperienze e influenze esercitate da altri, e di ciò che ne deriva, cioè le interpretazioni, convinzioni, attribuzioni di senso e di valore agli oggetti delle nostre percezioni, di cui un individuo sia capace, nel senso più vero e immediato essa è il risultato della comuni-cazione [...] Essa non è il mondo, bensì un mosaico di immagini singole che oggi sono organizzate così, domani possono essere in un altro modo; un modello di modelli; un’interpretazione di interpretazioni; il risultato di incessanti decisioni situate al di là della co-scienza, su ciò che in questa interpretazione di interpretazioni si può ed è lecito accogliere, e ciò che deve essere rigettato; di decisioni che a loro volta già si fondano sulle conse-guenze di decisioni prese in precedenza” (Watzlawick, 1980).

La teoria polivagale e il sistema di coinvolgimento socialesecondo S. Porges

Stephen W. Porges è Professore presso il Dipartimento di Psichiatria dell’Università della Carolina del Nord, Chapel Hill, Carolina del Nord, Stati Uniti. È un neuroscienziato che ha particolare interesse per lo studio e la comprensione della neurobiologia del com-portamento sociale; ha proposto, nel 1994, la teoria polivagale, che collega l’evoluzione del sistema nervoso autonomo alla nascita di comportamento sociale. La regolazione vagale assicura all’organismo quel necessario equilibrio tra flessibilità e stabilità e assume nella teoria polivagale un ruolo centrale per comprendere come il nostro sistema nervoso risponda alle esigenze di adattamento all’am-biente. Il nervo vago è un nervo sia motore (collega il tronco dell’encefalo alle viscere) sia sensore (all’80%, collega i segnali viscerali al tronco dell’encefalo). Le fibre motorie sono fibre mielinizzate che regolano le aree al di sopra del diaframma, mentre le fibre sensorie sono de-mielinizzate e regolano le funzioni sottostanti al diaframma.La teoria affronta il tema della risonanza fi siolo-gica delle interazioni sociali, dove le interazioni

Figura 1 Rappresentazione schematica del concetto di comunicazione.

A un destinatario(ricevente)

Formalmente è un segnale

(messaggio)

Composto di segni(codice comune, contesto condiviso)

Che passa da un emittente

(trasmittente)

Attraverso un trasmettitore

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modulo 1Curare e prendersi cura della persona: prospettive di comunicazione e relazione

mente-corpo non sono considerate legate da una correlazione, ma sono considerate la stessa cosa vista sotto due profili diversi. Quello che abbiamo bisogno di comprendere, dice Porges, è che qualunque processo di cura, fisica e psicologica, richiede un livello di buona reciprocità relazionale e la sensazione di essere in condizioni di sicurezza perché non si attivi – o disattivi – la risposta vagale al pericolo. Per Porges la consapevolezza che la risposta vagale può modificarsi attraverso i segnali positivi della mimica facciale e attraver-so il lavoro sull’espirazione diventa importante proprio in ordine alla possibilità di uscire dalla risposta di immobilizzazione.Altro elemento importante della teoria è quindi quello relativo al prevalere, per noi come per tutti i mammiferi, di esigenze sociali che non hanno solo funzione relazionale ma anche di regolazione psicofisiologica. I circuiti sono:• vago mielinico (sistema ventro-vagale): co-

municazione sociale, modulazione degli stati affettivi, coinvolto nella mimica e nella modu-lazione della voce. Mediante il contatto con l’altro regola, calmandolo, il sistema nervoso simpatico;

• vago non mielinizzato (sistema dorso-vagale): evitamento passivo fino a immobilità tonica;

• sistema orto-simpatico (gangli paraverte-brali del midollo spinale): mobilizzazione (attacco-fuga).

Relazione medico-paziente: il cambio di paradigma

I cambiamenti sociali hanno favorito la trasfor-mazione del rapporto medico-paziente. Il ruolo del medico viene ampliato con il cambiamento di “paziente” (dal latino patiens, participio pre-sente di pati, soffrire, sopportare) in “persona assistita”, secondo il nuovo codice deontolo-gico. L’intenzione è chiara: il ruolo del medico non è solo quello di intervenire a fronteggiare una patologia, ma di assistere con ampio re-spiro la salute e il benessere delle persone che gli si rivolgono. Gli specifici cambiamenti sociali che hanno permesso questa trasformazione possono essere considerati i seguenti:• il medico ha perso l’autonomia di assumere

decisioni in tutti gli aspetti della cura e della salute della persona assistita;

• per ogni atto medico è necessario un con-senso libero e informato; lo sviluppo tec-nologico in ambito medico-diagnostico ha accresciuto la complessità dei trattamenti e delle scelte da compiere;

• le decisioni sono sempre più condizionate dal fattore economico, in quanto il professio-nista sanitario deve rispondere dell’utilizzo

delle risorse, bilanciando il suo impegno nei confronti dell’individuo con i doveri verso la società.

Di fatto va costituendosi il modello di relazione medico-paziente che riconosce all’individuo il diritto e la capacità di fare scelte, avere personali punti di vista e intraprendere azioni sulla base delle personali credenze. Tale modello non è scevro dalla difficoltà di gestire un equilibrio tra le esigenze ambivalenti del paziente – rispetto alla sua autonomia e ai bisogni di contenimento e di sostegno – e una simile ambivalenza del medico, che da una parte teme la perdita di autorità e dall’altra è orientato a una riduzione della responsabilità.

Fattori che influenzano la comunicazione

• L’ identità, personale, sociale e professiona-le, dei comunicanti: genere, età, presenza, competenza, titoli, mansione, ruolo.

• Relazione tra i comunicanti: collaborativa, competitiva, paritaria, gerarchica, amicale, di interdipendenza, con storia.

• Il contenuto di trattazione: informazioni, ri-chieste, rassicurazione, consigli, ordini, rac-comandazioni, esortazioni.

• Il modo espressivo: la scelta del registro lin-guistico e dell’accompagnamento analogico, non verbale e paraverbale.

• Il contesto: l’ambiente e le circostanze in cui avviene l’interazione.

• Le finalità: gli obiettivi, le intenzioni dei co-municanti.

• Le strategie utilizzate durante il processo e le competenze correlate.

• Gli effetti: i risultati ottenuti, la calibrazione e l’utilizzo del feedback, la flessibilità com-portamentale.

Comunicazione analogica non verbale

Una prima utilità della comunicazione analogi-ca non verbale è quella di fornire informazioni sul proprio stato emotivo e su quello degli interlocutori.• Orientamento e distanza (prossemica): zona

intima, personale, sociale e pubblica. • Atteggiamento di postura e di movimento:

posizione eretta, tesa, protesa, distesa, scomposta; l’andatura.

• Direzione dello sguardo, contatto e movi-menti oculari.

• Mimica: fisiognomica e mimica acquisita, sorriso.

• Gesti (cinetica): emblematici, che sostitu-iscono la parola; descrittivi, che arricchi-scono di senso la parola; di regolazione dei comportamenti dell’interlocutore; di adatta-mento alla situazione, per gestire le proprie emozioni; di manifestazione affettiva (baci, abbracci, carezze).

Comunicazione analogica paraverbale

La comunicazione analogica non verbale con-sente un controllo di qualità poiché, attraverso essa, emerge la sfera inconscia. Conoscere la comunicazione analogica non verbale significa dunque conoscere i nostri reali bisogni emotivi e quelli delle persone con cui comunichiamo, orientando le relazioni verso l’incontro delle reciproche esigenze profonde (e il più delle volte sconosciute), anziché verso conflitti spes-so determinati da incomprensioni e malintesi.• Tono, intonazione, senso, l’intenzione emo-

zionale del dire.• Timbro, colore del suono. • Tempo, velocità assoluta, solita e relativa,

secondo le circostanze; pause per dare enfasi, per sottolineare un concetto.

• Volume, intensità sonora per farsi ascoltare. • Chiarezza, scansione delle parole per farsi

comprendere.• Espressioni sonore intenzionali o automati-

che: sospirare, sbuffare, tossire.

Comunicazione verbale

Comunicare non è trasmettere il proprio pen-siero così com’è, ma cercare di condivide-re le proprie intenzioni tramite strumenti imperfetti, avendo cura di mantenere buoni rapporti, aiutandosi a vicenda fino a un risultato soddisfacente. Le parole usate sono solo una componente del messaggio, e talvolta non la più rilevante. Il processo comunicativo richiede passaggi specifici, convenzioni, correzioni e interazioni tra i comunicanti.La consapevolezza di questi meccanismi può spiegare perché a volte si incorra in frainten-dimenti e aiuta a ridurli. La scelta delle parole e delle frasi deve essere accurata, tenendo conto: • del registro linguistico da adottare: familia-

re, informale, colloquiale, ufficiale, tecnico, ambiguo, generico, specialistico, gergale, burocratico, aulico, ostico;

• della funzione che s’intende assolvere: di contatto, informativa, referenziale, emotiva, strumentale, imperativa, valutativa, metalin-guistica, legata al ruolo.

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Curare e prendersi cura della persona: prospettive di comunicazione e relazione

parole chiave

in pillole

La comunicazione professionista sanitario-paziente avviene all’interno della relazione tra le due parti. Una relazione di cura pre-suppone di:

1. Ascoltare il paziente: (a) non avere fretta di trarre conclusioni; (b) quello che si vede dipende dal proprio punto di vista; (c) le emozioni sono strumenti conoscitivi fon-damentali, in quanto permettono di capire come si guarda (e non che cosa si vede) ed è fondamentale comprenderne il linguaggio (il codice è relazionale e analogico); (d) i segnali più importanti sono quelli che si presentano alla coscienza come fastidiosi, irritanti, apparentemente marginali e quindi trascurabili perché incongruenti con le pro-prie certezze. È possibile immaginare un buon ascoltatore come un esploratore di mondi possibili; (e) se si vuole comprendere quel che un altro sta dicendo, gli si deve chiedere di aiutare a vedere le cose e gli eventi dalla sua prospettiva; (f) è impor-tante affrontare i paradossi del pensiero e della comunicazione come occasioni per esercitarsi nell’appassionante campo della gestione creativa dei conflitti; (g) è impor-tante adottare una metodologia-modalità umoristica per imparare a destreggiare l’arte dell’ascoltare: quando si avrà appreso tale arte l’umorismo verrà da sé.

2. Pensare, per capire ciò che si è ascoltato. Il ragionamento clinico è in parte la struttura-zione delle informazioni fornite dal paziente, e in questo senso richiede il ricorso alla logica e alla conoscenza. In più, però, per essere efficace richiede la capacità di pen-sare nell’ottica di: (a) apertura a esplorare nuove strade; (b) attenzione a individuare problemi così come a trovare soluzioni; (c) disponibilità a ristrutturare la propria com-prensione in base al livello di conoscenza del problema raggiunto in quel momento; (d) consapevolezza del fatto che cono-scenza e comprensione sono il prodotto dei propri processi cognitivi; (e) capacità di accogliere i feedback offerti dal paziente. Le caratteristiche della persona in grado di pensare sono: (a) organizza i pensieri e li articola concisamente e coerentemente; (b)

sospende il giudizio in assenza di sufficienti evidenze che supportino la decisione; (c) conosce la differenza tra ragionare e razio-nalizzare; (d) tenta di anticipare le probabili conseguenze di azioni alternative prima di scegliere tra esse; (e) ha il senso del valore e del costo dell’informazione; sa come repe-rire le informazioni e lo fa quando ha senso; (f) vede similarità e analogie non apparenti; (g) sa utilizzare appropriate tecniche di problem-solving in contesti diversi; (h) rico-nosce che molti problemi hanno più di una soluzione possibile; (i) cerca approcci non comuni a problemi complessi; (l) è capace di sostenere diversi punti di vista senza distorsioni; (m) riconosce la possibilità che le proprie opinioni possano essere errate e la possibilità e il pericolo di dare un peso diverso all’evidenza in base a filie personali; (n) conosce la differenza tra conclusioni, assunti e ipotesi.

3. Decidere, sulla base di ciò che si è pen-sato-elaborato, la diagnosi o le ipotesi di diagnosi e il percorso di cura. L’efficacia (esattezza) della diagnosi è influenzata da diversi fattori, che a scopo esemplificativo possono essere ridotti come segue: (a) una scarsa tolleranza dell’incertezza; (b) la ten-denza a formulare giudizi prematuri (e spes-so, per una tendenza alla autoreferenzialità, a mantenerli); (c) aspettative irrealistiche rispetto alle proprie capacità; (d) desiderio di ottenere rapidamente un risultato. Da una prospettiva “relazionale”, un fattore che in-fluenza la diagnosi può essere considerato la specializzazione (competenza specifica), la quale comporta che il professionista si trovi a confrontarsi quotidianamente con pazienti con patologie simili e che ven-gono quindi (inconsciamente) considerati “uguali”. Questo induce il clinico a utilizzare schemi preformati, che impediscono di discriminare e utilizzare nuovi indicatori. Altro aspetto importante dal punto di vista relazionale è l’integrazione delle informazio-ni. Nella misura in cui il valore da attribuire ai dati raccolti dipende dalla loro rilevanza e dall’attendibilità, risulta evidente l’impor-tanza di una buona capacità di ascolto da parte del clinico.

modulo 2

Le diverse tipologie di pazienti e di professionisti sanitari

Obiettivi del modulo:trattare i concetti chiave della relazione di cura, ossia i suoi presupposti, le premesse relazionali e le diverse tipologie di pazienti e di professionisti sanitari.

Ascoltare, pensare, decidere

Consapevolezza

Spontaneità

Equilibrio/autoregolazione

Attenzione

Curiosità/interesse

Tipologie di pazienti

Tipologie di professionisti sanitari

ÂÂ Una relazione di cura presuppone di: ascoltare il paziente, pensare (per capire ciò che si è ascoltato) e decidere (sulla base di ciò che si è pensato-elaborato) la diagnosi o le ipotesi di diagnosi e il percorso di cura.

ÂÂ Le premesse fondamentali per entrare in relazione (comunicazione) con la persona assistita sono: consapevolezza, spontaneità, equilibrio/autoregolazione, attenzione e curiosità/interesse.

ÂÂ Le sei tipologie caratteriali, secondo la sfera di identificazione dell’io, riscontrabili nei pazienti sono: controllante-giudicante, manipolatorio-seduttivo, dominante-aggressivo, confuso-estraniato, insicuro-dipendente e ansioso-sottomesso.

ÂÂ Premesso che anche il medico rientrerà (come tendenza) in una tipologia secondo la sfera di identificazione dell’io, va considerato che quello del medico è di per sé un “ruolo”, che ha sì un grande impatto-valore sul paziente, ma che condiziona lui stesso. All’interno del proprio ruolo il medico può assumere sostanzialmente due atteggiamenti: interessato o distaccato.

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Curare e prendersi cura della persona: prospettive di comunicazione e relazione modulo 2

Premesse relazionali

Esistono, a livello puramente descrittivo, mo-dalità relazionali nei contesti comunicativi strutturati (quali la relazione medico-paziente) che si concretizzano a fronte dell’adesione a ruoli che circoscrivono implicitamente, ma sostanzialmente, il range di risposta (Figura 1). Nella misura in cui tali modalità rispecchiano un “blocco di cornice”, non possono essere evitate totalmente ma possono essere altresì riconosciute per limitarne gli effetti. Da questi presupposti le premesse fondamentali per en-trare in relazione (comunicazione) con la perso-na assistita, quale fonte e ragione dell’operare ed “essere” professionista sanitario, sono:• consapevolezza; riguarda l’aspetto pragmatico

della comunicazione, che è identifi cabile negli effetti che la comunicazione ha sul comportamento. Implica sapere sempre di avere di fronte un “altro da me”, per non tro-varsi bloccati in ruoli che tolgono autenticità, valore ed effi cacia al rapporto (il medico, il capo, il paziente ecc.). Si compone (gerar-chicamente e funzionalmente) di diversi livelli: (a) il livello concettuale: implica di tenere co-stantemente presente il “perché” della nostra comunicazione; (b) altri livelli, importanti fun-zionalmente, ma meno strutturati gerarchica-mente, possono essere considerati il “come” (il modo: parole, tono, comportamento), il “quando” (sintonizzazione, ritmi, pause) e il “contesto” (quale situazione).

• spontaneità; implica e genera consapevolez-za. Essere in un determinato stato emotivo (ad es., essere in collera con qualcuno) non è una proprietà intrinseca psicologica di un soggetto, ma la proprietà relazionale di un individuo in un dato contesto.

• equilibrio-autoregolazione; mettere nella rela-zione quello che ognuno di noi ha, in modo

dinamico e funzionale. Pribram (1963) ha di-mostrato che il raggiungimento della stabilità contribuisce a formare una nuova sensibilità e che scattano subito nuovi meccanismi per far fronte alla situazione nuova.

• attenzione; nella misura in cui l’esperienza comunicativa è un’esperienza relazionale essa “riguarda” qualcosa, non è esperienza “di” qualcosa, ossia è integrativa e sintetica e quindi richiede attenzione costante per poter unire in un insieme di senso eventi apparentemente scollegati.

• curiosità (interesse).

Tipologie di pazienti

Le tipologie caratteriali umane hanno sempre esercitato un fascino particolare, che deriva dal poter comprendere la natura intima delle persone e prevederne orientamenti e squilibri (Figura 2). Le differenti scuole di pensiero hanno sempre evidenziato come le personalità umane abbiano dei “caratteri” istintivi, emo-zionali e psichici comuni, che determinano i comportamenti (fi no ad arrivare a tendenze patologiche specifi che). La personalità umana

Figura 1 Premesse relazionali.

Figura 2 Tipologie di pazienti.

Curiosità (interesse) • La meraviglia della presenza

• Implica e genera consapevolezza

• Livello concettuale, il “perché”; • Altri livelli: il “come”; il “quando”; il “contesto”

Attenzione

Consapevolezza

Spontaneità

Equilibrio-autoregolazione

• Nella misura in cui l’esperienza comunicativa è un'esperienza relazionale essa “riguarda” qualcosa, non è esperienza “di” qualcosa

• Mettere nella relazione quello che ognuno di noi ha, in modo dinamico e funzionale

• Rigido• Razionale• Calcolatore

Controllante-giudicante

• Presuntuoso• Iroso• Narcisista

Manipolatorio-seduttivo

• Ribelle• Duro

Dominante-aggressivo

• Sognatore• Credulone• Assente

Confuso-estraniato

• Timido• Triste

Insicuro-dipendente

• Pauroso• Rassegnato

Ansioso-sottomesso

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Curare e prendersi cura della persona: prospettive di comunicazione e relazione modulo 2

è il risultato di molteplici cause: il profondo Sé, la genetica, la madre, la famiglia e la società.Il principale riferimento concettuale sono i modelli psicobiologici derivati dai “tre cervelli” del neurofi siologo Paul MacLean e i successivi studi, basati principalmente sulle infl uenze di personalità e psicopatologie generate dagli assi dei neurotrasmettitori e degli ormoni (ca-paci di generare specifi ci comportamenti fi sici, istintivi, emotivi e psichici).

Sulla base di tali premesse possiamo individua-re sei tipologie caratteriali, secondo la sfera di identifi cazione dell’io, riscontrabili nei pazienti:1. il paziente controllante-giudicante, riconosci-

bile in quanto rigido, razionale e calcolatore nella modalità, rispetto al quale possiamo indicare due sottotipi: ruminativo e cere-brale (l’autostima dipende dal pensare, dalle realizzazioni intellettuali) e indaffarato, meti-coloso e perfezionista (l’autostima dipende dal fare, dagli obiettivi pratici).

2. il paziente manipolatorio-seduttivo, riconoscibi-le in quanto presuntuoso, iroso e “narcisista” nella modalità, rispetto al quale possiamo indicare due sottotipi: arrogante, che crede di avere tutti i diritti (si comporta apertamen-te come uno che crede di avere tutti i diritti, svaluta le altre persone, colpisce gli altri per quanto è vanitoso e manipolatorio oppure carismatico e dominante), e depresso e svuotato (si comporta in modo da ingraziarsi gli altri, cerca persone da idealizzare, è facilmente ferito e prova un’invidia cronica per le persone che vede in una posizione di superiorità).

3. il paziente dominante-aggressivo, riconosci-bile in quanto ribelle e duro nella modalità, rispetto al quale possiamo indicare due sot-totipi: passivo e parassitario (è il sottotipo più dipendente, meno aggressivo, manipolatorio in modo relativamente non violento, “l’artista della truffa”) e aggressivo (è il sottotipo più esplosivo o attivamente predatorio e spesso violento).

4. il paziente confuso-estraniato, riconoscibile in quanto sognatore, credulone e assente.

5. il paziente insicuro-dipendente, riconoscibile in quanto timido e triste nella modalità, rispetto al quale possiamo indicare due sottotipi: masochista morale (l’autostima dipende dalla sofferenza; il senso di colpa inconscio porta a non riconoscere e a non dare valore alle esperienze di soddisfazio-

ne e successo) e masochista relazionale (crede inconsciamente che la relazione dipenda dalla propria sofferenza o vittimiz-zazione; vivere senza questa relazione, per quanto abusante possa essere, è inimma-ginabile).

6. il paziente ansioso-sottomesso, riconoscibile in quanto pauroso e rassegnato nella mo-dalità, rispetto al quale possiamo indicare due sottotipi: versioni passivo-aggressive e versioni controdipendenti.

Tipologie di professionisti sanitari

Premesso che anche il medico rientrerà (come tendenza) in una tipologia secondo la sfera di identifi cazione dell’io, va considerato che quello del medico è di per sé un “ruolo”, che ha sì un grande impatto-valore sul paziente, ma che condiziona egli stesso (Figura 3). All’interno

del proprio ruolo il medico può assumere sostanzialmente due atteggiamenti:1. interessato, ossia aperto nei confronti del pa-

ziente e della sua narrazione della malattia. Tale tipologia di professionista sanitario può ulteriormente essere distinta, in relazione alla sfera del sé, in curioso e disponibile. En-trambi presenteranno uno stile comunicativo assertivo e una modalità comportamentale che rispetta la dignità altrui.

2. distaccato, ossia rigido e autonomo rispetto al percorso diagnostico. Tale tipologia di professionista sanitario può ulteriormente essere distinta, in relazione alla sfera del sé, in presuntuoso/arrogante, che presenterà uno stile comunicativo aggressivo e una modalità comportamentale invadente, e concreto (che si rifà all’evidenza clinica), che presenterà uno stile comunicativo passivo e una modalità comportamentale a scarso coinvolgimento emotivo.

Figura 3 Tipologie di professionisti sanitari.

Sfera del sé:

CURIOSO

• Stile comunicativo: ASSERTIVO

• Modalità comportamentale: RISPETTA LA DIGNITÀ ALTRUI

Sfera del sé:

DISPONIBILE

• Stile comunicativo: ASSERTIVO

• Modalità comportamentale: RISPETTA LA DIGNITÀ ALTRUI

Interessato(aperto)

Sfera dell’io:

PRESUNTUOSO/ARROGANTE

• Può diventare: NARCISISTA

• Stile comunicativo: AGGRESSIVO

• Modalità comportamentale: INVADENTE

Sfera dell’io:

“CONCRETO” (che si rifà all’evidenza clinica)

• Può diventare: OSSESSIVO

• Stile comunicativo: PASSIVO

• Modalità comportamentale: A SCARSO COINVOLGIMENTO EMOTIVO

Distaccato(rigido-autonomo)

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Curare e prendersi cura della persona: prospettive di comunicazione e relazione

La relazione con l’altro muove emozioni legate ai rapporti primari di accudimento (Bowlby). Conoscere i meccanismi che regolano gli affetti permette di gestire l’altro attraverso la consapevolezza di sé. La modulazione emozionale risulta essere, spesso, l’unico modo efficace di gestire intensi stati d’animo caratteristici dei “casi difficili”. Bowlby (1972) riconduce il bisogno di relazione a una moti-vazione intrinseca primaria. Egli elabora una teoria dell’attaccamento come sistema moti-vazionale primario per lo sviluppo del bambino e delle sue modalità relazionali. Il concetto di attaccamento può essere definito come un modello di comportamento innato che si caratterizza per un bisogno di sicurezza nei confronti di figure protettive. L’autore introduce il concetto di modello operativo interno (rap-presentazione di sé e degli altri che il bambino costruisce attraverso l’interazione con la figura di attaccamento). Questi modelli diventeranno uno schema cognitivo che fornirà i prototipi per tutte le relazioni successive e faciliterà l’interpretazione delle situazioni attuali.È importante dal nostro punto di vista con-siderare che “modello” rimanda alla struttura della relazione, mentre “operativo” sottolinea la dimensione dinamica della rappresentazione. Le difficoltà nella comunicazione possono essere dovute a un problema intrinseco alla comunicazione stessa, come nel caso della comunicazione di bad news, o nella comuni-cazione con il paziente “insolito”. Diversamente possono dipendere da fattori esterni al pro-cesso comunicativo, come nelle situazioni in cui ci si trovi di fronte a un paziente del quale riconoscere la patologia per entrare in relazio-ne, come il paziente ipocondriaco.

Il paziente ipocondriaco

Per chi ha paura, tutto fruscia.Sofocle

Il dolore e la paura, benché separati, interagi-scono e collaborano con la costruzione della sensazione di pericolo dando vita all’esperienza dell’ipocondria e delle angosce ipocondriache. Il disturbo ipocondriaco è determinato da un’errata interpretazione di alcune sensazioni, sintomi fisici

o comportamenti individuali che questo tipo di ansioso giudica anomali e da cui trae la certezza di soffrire di una malattia più o meno grave, gene-ralmente con un nome noto (cancro, AIDS ecc.).Il rapporto tra l’ipocondriaco e il medico è sicu-ramente basato su processi di idealizzazione e svalutazione. Inizialmente il paziente sembra fidarsi ciecamente del medico, ripone in lui ogni speranza di guarigione, ma quando l’altro non conferma la malattia che si è autodiagno-sticato lo svaluta, ritenendolo incompetente e poco comprensivo del suo malessere (e lo rifugge). “Il rapporto con il medico in genere è conflittuale, e al suo interno il malato si vive in realtà come un medico immaginario in una posizione di perenne rivalità con il sapere e il potere medico [...] in alcuni casi la sfida lanciata alla medicina e l’amara insoddisfazione di non essere curati dai propri mali possono conferire al comportamento dell’ipocondriaco un aspetto di rivendicazione, con la richiesta perentoria di una diagnosi definitiva e di una cura radicale; tutto ciò conduce alla sensazione di essere vittima dell’incompetenza medica e alla pre-tesa di un risarcimento per il danno subito” (Braconnier, 2003).Questo atteggiamento contrastante non fa che suscitare nel medico irritazione, sentendosi offeso nella sua competenza professionale e anche impotente perché non riesce a collocare i sintomi del paziente in una delle malattie da lui conosciute. Il discorso che ne consegue è quindi alquanto paradossale: più il medico cerca di convincere il paziente che sta bene e che le sue preoccupazioni sono infondate, più il paziente vorrà dimostrargli che la sua strada è sbagliata, innescando così un meccanismo senza fine in cui le due parti in causa non arriveranno a un punto di incontro. Come afferma Ivan Illich, scrittore, storico, pedagogista e filosofo austriaco, nel suo Per una storia dei bisogni (1978), la figura dell’i-pocondriaco è cambiata. Il medico degli anni Quaranta definiva con questo termine colui che bussava continuamente alla porta del suo studio, il “malato immaginario”. I medici di oggi invece indicano col medesimo nome la minoranza che li fugge, i sani immaginari, con-cetto che è possibile tradurre sinteticamente in l’ipocondria è l’unica malattia che non ho.Il medico deve porsi di fronte a questo tipo di

modulo 3

parole chiave

in pillole

La gestione dei casi difficili e il superamento delle barriere alla comunicazione

Obiettivi del modulo:mettere il professionista sanitario in condizione

di poter gestire la comunicazione con il paziente anche nei casi difficili, evitando di

instaurare dinamiche che blocchino la stessa.

Livelli minimi di comunicazione

Ipocondria

Bad news

SPIKES

ÂÂ I livelli di comunicazione minimi sono le condizioni necessarie non sufficienti perché si attivi un processo di sintonizzazione. Le condizioni necessarie sufficienti sono: consapevolezza, spontaneità, equilibrio-autoregolazione, attenzione e curiosità (interesse).

ÂÂ Il rapporto tra l’ipocondriaco e il medico è sicuramente basato su processi di idealizzazione e svalutazione. Il medico di fronte a questo tipo di paziente deve aiutarlo a dismettere l’errata interpretazione dei sintomi, comunicandogli da cosa non è affetto. Al contempo deve ricollocare in modo adeguato i sintomi che egli evidenzia.

ÂÂ La comunicazione delle cattive notizie, attualmente, focalizza l’attenzione sul concetto di cura della persona, non della malattia, ossia il “prendersi cura”, dal concetto di cure a quello di care. Da questi presupposti Buckman ha strutturato alcuni passaggi di comunicazione delle notizie (modello SPIKES) che possono supportare il medico e il personale sanitario nella gestione di queste difficili circostanze.

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Curare e prendersi cura della persona: prospettive di comunicazione e relazionemodulo 3

paziente con l’intento di aiutarlo a dismettere l’errata interpretazione dei sintomi, comunican-dogli da che cosa non è affetto (ad es., “lei non ha problemi di cuore”). Al contempo deve ricollocare in modo adeguato i sintomi che egli evidenzia (ad es., “il suo battito cardiaco è aumentato a causa dello stress; lei lo nota maggiormente perché ha una particolare sen-sibilità e attenzione ai segnali del suo corpo”).Abbiamo inserito questa tipologia di paziente nella gestione dei casi difficili in quanto, seb-bene possa considerarsi una presenza relativa-mente frequente nella casistica ambulatoriale, va altresì tenuta concettualmente separata dall’ordinaria gestione del clinico, essendo un paziente che egli deve gestire (una volta accertatane la reale condizione) in quanto tale e non alla luce dei suoi sintomi.

I livelli minimi di comunicazione e relazione

Vorrei lasciarvi un pensiero positivo. Non ce l’ho. Va bene lo stesso se vi lascio due pensieri negativi?

Woody Allen

Consapevoli che il setting medico-paziente è di fatto un’eventualità che manifesta delle costanti e di conseguenza una tendenza ad attuarsi in modo ripetitivo (come dato fisiologico non necessariamente sfavorevole), si deve però te-nere presente che l’interazione medico-paziente richiede per essere efficace livelli di comunica-zione minimi. Per efficace si intende “funzionale alla diagnosi”. I livelli di comunicazione minimi sono le condizioni necessarie non sufficienti perché si attivi un processo di sintonizzazione. Un setting adeguato, concedendo al medico l’attenuante di entrare talvolta in contesti che presentano già, a livello strutturale, delle impo-sizioni (ad es., la disposizione dei mobili), può (e deve) essere predisposto nel modo seguente:• gestire gli spazi in modo che tra professio-

nista e paziente non si creino barriere inac-cessibili (ad es., dare le spalle al paziente o isolarsi totalmente mentre si scrive il referto, nel caso siano entrambi nella stessa stanza);

• accompagnare-accogliere il paziente in ogni passaggio della visita per non lasciarlo in una situazione di disorientamento (ad es., espli-citando il proprio comportamento: “adesso le chiederò qualche informazione poi potrà sdraiarsi sul lettino e procederemo con la visita”);

• allineare o far corrispondere ciò che si dice a ciò che si fa (ci riferiamo all’agire del me-dico, ad es., se il medico si alza e va verso

il lettino farà corrispondere a questo suo movimento la verbalizzazione “venga che adesso la visito”);

• parlare con voce calma ma partecipe e chiara;

• tenere i tempi dell’eloquio in un range che permetta di creare e garantire un’atmosfera narrativa. Il medico deve permettere al pa-ziente di parlare per un tempo sufficiente-mente lungo (al di la del contenuto) affinché entri in questo tipo di situazione;

• essere “pronto” (disposto e disponibile) a incontrare lo sguardo dell’altro. È da rimar-care che questa disponibilità va mantenuta durante tutto l’incontro.

Si ricorda che le condizioni necessarie suffi-cienti (Figura 1) sono consapevolezza, spon-taneità, equilibrio-autoregolazione, attenzione e curiosità (interesse).

Le bad news

Una cattiva notizia è qualunque notizia in grado di modificare gravemente o negativamente la visione del futuro da parte del paziente.

Rob Buckman

Siamo in una situazione in cui dobbiamo co-municare al paziente un qualcosa di definitivo (almeno dal suo punto di vista): essendo la comunicazione di notizie negative un territorio comunque vincolato, il più grande punto di forza che può avere il medico è permettere al paziente

di distinguere tra messaggero e messaggio in modo che, anche se il messaggio è negativo, il messaggero possa essere visto come parte di un sistema supportivo.Il medico dovrebbe riconoscere e tenere pre-sente che l’atteggiamento di sfiducia e dif-fidenza del paziente può essere per lui una necessità, al momento irrinunciabile, di badare a se stesso e di voler essere certo delle sue scelte e soprattutto contrastare il pericolo e forse la propria tendenza ad affidarsi alla cieca. Ciò può anche rappresentare l’indizio della perdita di una pregressa speranza come pure della percezione, fondata o meno, di essere un malato inguaribile. Può capitare, in casi come questi, che il medico utilizzi l’atteggiamento sostanzialmente (ma superficialmente) ostile del paziente per evitare la sintonizzazione emotiva, difendendosi inconsciamente da un doloroso contagio emotivo e giustificando in tal modo a se stesso la sua risposta distaccata. Tale modalità relazionale del clinico può essere considerata una forma di razionalizzazione ed evitamento (“va bene, se lei ha deciso così…!”).La comunicazione delle cattive notizie, at-tualmente, focalizza l’attenzione sul concetto di cura della persona, non della malattia. Si cerca di attuare sempre più una presa in carico puntata al “prendersi cura” (to care) oltre che al curare (to cure). In quest’ottica è un processo, e in quanto tale è caratterizzato da una successione di passaggi che devono essere seguiti secondo una corretta sequen-za, principalmente al fine di stabilire il livello di consapevolezza del paziente, informarlo in accordo con i suoi bisogni, fornirgli supporto

Figura 1 Condizioni necessarie sufficienti.

Consapevolezza

Spontaneità

Equilibrio-autoregolazione

Attenzione

Curiosità(interesse)

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Curare e prendersi cura della persona: prospettive di comunicazione e relazione modulo 3

e sviluppare una strategia condivisa rispetto all’eventuale trattamento.Da questi presupposti Buckman ha strutturato alcuni passaggi di comunicazione delle cattive notizie che possono supportare il medico e il personale sanitario nella gestione di tali diffi cili circostanze. Di seguito si riporta una sintesi di ogni fase che caratterizza il processo di comunicazione di una cattiva notizia, secondo l’acronimo SPIKES, proposto da Buckman nel 1992 (Figura 2, Tabella 1):• S – Setting, iniziare preparando il contesto e

disponendosi all’ascolto;• P – Perception, capire il punto di vista del

paziente circa la propria situazione (che idea si è fatto, che cosa sa riguardo alla malattia);

• I – Invitation, invitare il paziente a esplicitare in che misura vuole essere informato rispetto alla diagnosi, alla prognosi e sui dettagli della malattia;

• K – Knowledge, fornire le informazioni neces-sarie a comprendere la situazione clinica;

• E – Emotions, facilitare l’espressione delle emozioni, in modo tale da comprendere la reazione emotiva e rispondervi in modo empatico;

• S – Strategy summary, negoziare una strategia d’azione che tenga in considerazione le aspettative e i risultati raggiungibili. Lasciare spazio a eventuali domande. Riassumere. Verifi care la comprensione. Concludere.

Il caso “insolito”

Dubitare di tutto o credere a tutto sono due soluzioni ugualmente comode che ci dispensano, l’una come l’altra, dal rifl ettere.

Jules Henri Poincaré

Non siamo così certi che avrete incontrato nella vostra esperienza clinica questo tipo di paziente, ma siamo certi che lo incontrerete! Parliamo di un paziente che ha una discreta esperienza di medici, un discreto “curriculum” di evidenze cli-niche e una buona aderenza a diverse diagnosi, ma nessuna netta corrispondenza! Inoltre è un paziente che ha, di solito ma non sempre, un approccio possibilista alla sua sintomatologia, dovuto alla lunga convivenza con essa, della quale si sente alla fi ne unico rappresentante. Questo paziente smuove nettamente la curio-sità del clinico, in quanto le evidenze cliniche sono nette ma non classifi cate, ma la sua sintomatologia risveglia altrettanto una certa frustrazione, in quanto non rientra mai sino in fondo in nessuna diagnosi specifi ca.La sua patologia non mette in discussione l’abilità del medico, mette alla prova la sua co-

stanza e forse (inconsciamente) la sua fi ducia nella reale possibilità di arrivare a una diagnosi. Ciò nella maggior parte dei casi lo porta a fi n-gere di pensare che una diagnosi in effetti non esista. Però spesso esiste un’alternativa, che in questo caso è premessa alla comunicazio-ne, ed è riassunta e semplifi cata nelle parole

che Francis Darwin ha usato per descrivere suo padre, Charles: “Egli aveva una qualità della mente che sembrava avvantaggiarlo in modo particolare ed estremo nel condurlo a compiere nuove scoperte: era la capacità di non lasciare mai che un’eccezione passasse inosservata.”

Tabella 1. Principali risposte adattive e disadattive dei pazienti di fronte alla cattiva notizia proposte da Buckman (1992)

Risposte adattive Risposte disadattive

Ironia Colpa

Negazione transitoria Negazione persistente

Rabbia senza oggetto/contro la malattia Rabbia contro gli operatori sanitari

Pianto Depressione

Paura Ansia generalizzata/attacchi di panico

Speranza realistica Speranza irrealistica

Pulsione sessuale Disperazione

Negoziazione Manipolazione

Figura 2 Modello SPIKES di Buckman (1992).

S - Setting

iniziare preparando il contesto e disponendosi all’ascolto

P - Perception

capire il punto di vista del paziente circa la propria situazione(che idea si è fatto, che cosa sa riguardo alla malattia)

I - Invitation

invitare il paziente a esplicitare in che misura vuole essere informatorispetto alla diagnosi, alla prognosi e sui dettagli della malattia

K – Knowledge

fornire le informazioni necessarie a comprendere la situazione clinica

E – Emotions

facilitare l’espressione delle emozioni, in modo tale da comprenderela reazione emotiva e rispondervi in modo empatico

S - Strategy summary

negoziare una strategia d’azione che tenga in considerazione le aspettative e i risultati raggiungibili. Lasciare spazio a eventuali domande. Riassumere.

Veri�care la comprensione. Concludere.

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Curare e prendersi cura della persona: prospettive di comunicazione e relazione

parole chiave

in pillole

Il paziente cronico

La malattia cronica è caratterizzata da sintomi che perdurano nel tempo, talvolta con periodi di remissione e successive riacutizzazioni. Secondo l’OMS 38 milioni di persone muoiono ogni anno di NCD (non communicable disea-se, ossia una patologia non infettiva e dunque non trasmissibile), prevalentemente malattie cardiovascolari, pneumopatie croniche, neo-plasie e diabete. Più di 14 milioni dei decessi causati da queste patologie avvengono tra i 30 e i 70 anni; la Figura 1 riporta i dati relativi al nostro Paese.La presa in carico dei pazienti costretti a convivere con una malattia cronica deve pre-vedere non soltanto la cura della patologia e delle relative eventuali complicanze, ma anche l’educazione del paziente, mirata a promuovere stili di vita salutari e a circoscri-vere i fattori responsabili di peggioramento o riacutizzazione. L’educazione del paziente diventa inoltre un elemento indispensabile per migliorare la qualità di vita e per intervenire in modo significativo sulla prognosi. Le abitudini di vita devono essere scelte consapevolmente e occorre motivare i pazienti sia nella scelta iniziale del cambiamento sia nelle fasi succes-sive di mantenimento, attraverso un’opera di responsabilizzazione e di potenziamento delle sue capacità di controllo attivo della propria vita (il cosiddetto empowerment o sviluppo delle potenzialità).Un paziente cronico verosimilmente è un individuo il cui temperamento ha influenzato il suo stile di vita e la sua patologia. È impor-tante quindi che il professionista sanitario consideri la personalità del paziente nel mo-mento in cui vengono comunicate la terapia e le indicazioni funzionali a migliorare le sue condizioni di vita. Il paziente cronico è una persona che è stata costretta a fare propria l’accezione paziente, sia nel suo significato etimologico di patiens (participio presente di pati, soffrire, sopportare) sia in termini di condizione non temporanea, bensì definitiva. La cronicità di un disturbo è da considerarsi come un fattore con cui il paziente deve rap-portarsi costantemente, che lo identifica e lo pone nella condizione di dovere imparare ad

affrontare una condizione che verosimilmen-te lo accompagnerà per un lungo periodo della sua esistenza. È importante, alla luce di queste considerazioni, approfondire alcuni concetti chiave che possono influenzare la qualità di vita del paziente e diventano per lui strumenti di efficacia: resilienza, autostima, autoefficacia e agency.L’American Psychological Association definisce la resilienza come “Il processo di adattamento di fronte alle avversità, ai traumi, alle tragedie e ad altre significative fonti di stress” (2006). In un paziente cronico il locus of control, inteso come attribuzione della causalità di un evento, diventa esterno in quanto la malattia è per lui la causa/giustificazione del suo “essere nel mondo”. Sappiamo che il locus of control è strettamente correlato all’autostima ed è presumibile pensare che una persona che subisce una condizione di malattia cronica si percepisca come poco efficace rispetto alla possibilità di intervenire sulla stessa e che tale condizione riduca inevitabilmente il suo livello di autostima. La persona può però sviluppare un alto livello di efficacia rispetto alla sua capacità di gestione della malattia: proprio perché il disturbo cronico non si risolve ma può soltanto (e deve) stabilizzarsi, il paziente impara a gestire lo stress della malattia (resilienza).La malattia cronica condiziona in grande misura lo stile di vita e per questa ragione l’educazione del paziente occupa una po-sizione di rilievo nell’intervento del medico. Le modalità con cui il medico suggerisce i cambiamenti di stile di vita sono determinanti. “Sorprendere” il paziente dandogli indicazioni terapeutiche note ma con una nuova forma e nuove strategie di approccio può aumentare la motivazione e l’agency – cioè la capacità di azione e partecipazione a un processo – del paziente stesso. Introdurre una nuova pro-spettiva, quando possibile, toglie il paziente dalla “noia” della sua malattia, a cui si deve adeguare in modo totale.

Disturbi cronici respiratoriTra i disturbi cronici le patologie respiratorie, tra cui la broncopneumopatia cronica ostrut-tiva, sono di notevole importanza dal punto di vista comunicativo perché i pazienti affetti presentano una concomitante sintomatologia

modulo 4

La comunicazione nella gestione del paziente affetto da particolari patologie: paziente cronico, in acuto, anziano, pediatrico

Obiettivi del modulo:presentare quattro diversi tipi di paziente (con dolore acuto e cronico, paziente anziano e pediatrico) e i rispettivi suggerimenti relazionali necessari a instaurare una comunicazione efficace.

Dolore acuto

Dolore cronico

Metacomunicazione

Empatia

Comunicazione funzionale orientata alla cura

ÂÂ La presa in carico dei pazienti con dolore cronico deve prevedere la cura della patologia e la promozione di stili di vita salutari, per circoscrivere i fattori responsabili di peggioramento o riacutizzazione. Le modalità con cui il medico suggerisce i cambiamenti di stile di vita sono determinanti.

ÂÂ Il dolore acuto compare all’improvviso ed è quel classico segno di allarme che condiziona il comportamento, aiutando ad agire correttamente. Di solito è in correlazione causale e temporale con un danno tissutale o con una malattia. Il medico deve costantemente tenere presente che il dolore acuto è un sintomo soggettivo.

ÂÂ L’età anagrafica non corrisponde all’età biologica. Con l’invecchiamento compaiono modificazioni morfologiche e funzionali a carico di organi, apparati e tessuti, atrofia e diminuita efficienza funzionale, modificazioni fisiologiche e maggiori rischi di effetti collaterali da farmaci.

ÂÂ Il paziente pediatrico è un paziente “particolare” e “complesso”, nel quale le continue modificazioni fisiche, psichiche, relazionali ed esperienziali correlate allo sviluppo condizionano strategie di intervento e necessitano di strumenti del tutto peculiari.

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Curare e prendersi cura della persona: prospettive di comunicazione e relazione

Il paziente cronico Al di là delle intenzioni

Mario è un uomo di 58 anni, affetto da broncopneumopatia cronica ostruttiva e soggetto a 3-4 riacutizzazioni ogni anno, che si presenta in ambulatorio a seguito di un peggioramento improvviso della tosse.

Medico. Buongiorno Mario, come mai è qui? Non la trovo poi così male! [L’approccio è confi denziale e instaura un buon clima, ma l’a-pertura del discorso è invasiva e può risultare (come in effetti risulta) superfi ciale.]

Mario. È solo apparenza. Ieri è stata una pessima giornata. [Il paziente risponde “a tono”, confi denzialmente, ma smentendo l’affermazione del medico e (implicitamente) sottolineando la sua “inadeguatezza”. Se il medico avesse lasciato a M. il tempo di essere lui a descrivere le proprie condizioni, non avrebbe commesso questo duplice errore, formale e, immancabilmente, sostanziale.]

Medico. Dal suo aspetto non si direbbe, cos’è successo ieri? [Dice il medico con tono poco partecipe. Il medico continua a voler soste-nere la propria posizione e a non sintonizzarsi con M. Così facendo

non può che provocare irritazione, ignorando il fatto che il paziente è l’unico detentore delle sue esperienze. Come abbiamo sottolineato precedentemente, tra le condizioni necessarie e suffi cienti alla comu-nicazione troviamo l’equilibrio, ossia la possibilità (e il dovere) di ogni partecipante alla comunicazione di mettere in essa tutto ciò che è in grado di dare. Il paziente: informazioni, “esperienza”, disponibilità. Il medico può invece offrire alla relazione: competenza, strumenti e soluzioni. Ovviamente il tono è coerente con il suo disappunto per essere stato contraddetto, ma non è altrettanto coerente con la sofferenza di Mario.]

Mario. Ieri mattina mi sono svegliato tossendo e non ho più smesso. Ogni cosa è diventata un incubo e perfi no fare colazione è stato

modulo 4

ansiosa determinata dalle conseguenze di una ridotta capacità funzionale polmonare. La broncopneumopatia cronica ostruttiva è ca-ratterizzata da un’ostruzione irreversibile delle vie aeree, di entità variabile a seconda della gravità. La conseguenza a lungo termine è un vero e proprio rimodellamento dei bronchi, che provoca una riduzione consistente della capacità respiratoria. Benché non esistano trattamenti in grado di modificare il declino nel lungo termine della funzionalità polmonare,

quelli disponibili permettono di ottenere una significativa attenuazione dei sintomi, ridurre la frequenza e la gravità delle riacutizzazioni, migliorare la tolleranza allo sforzo ed evitare pericolose complicanze. Fondamentale è la prevenzione, per ridurre al minimo i fattori di rischio (fumo di sigaretta in primis).Prima della diagnosi, i due sintomi principali della broncopneumopatia cronica ostruttiva sono la tosse e la dispnea, qualche volta accompagnati da respiro sibilante. Spesso

la tosse è cronica, più intensa al mattino e caratterizzata da iperproduzione di muco. La dispnea compare gradualmente nell’arco di diversi anni e nei casi più gravi può arrivare a limitare le normali attività quotidiane. In genere, i pazienti sono soggetti a infezioni croniche dell’apparato respiratorio, che oc-casionalmente provocano ricadute accom-pagnate da una sintomatologia più grave. Con il progredire della malattia questi episodi tendono a divenire sempre più frequenti.

segue Â

Figura 1 Epidemiologia delle patologie non trasmissibili in Italia (OMS, 2014).

250

200

150

100

50

02006200420022000 2008 2010 2012

Tass

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00.0

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ItaliaPopolazione totale: 60.885.000Gruppo di reddito: alto

Tassi di decesso standardizzati per l’età

Popolazione in area urbana: 68,4%Popolazione 30-70 anni: 55,0%

Mortalità proporzionale (% di tutti i decessi, per tutte le età, per entrambi i sessi)

Malattie cardiovascolariMalattie respiratorie croniche

UominiDonne

CancroDiabete

Malattie respiratoriecroniche, 5%

Diabete, 4%

Altre NCD, 17%

Condizioni trasmissibili materne,perinatali e nutrizionali, 4%

Lesioni, 4%

Malattiecardiovascolari, 37%

Cancro, 29%

Decessi totali: 573.000 / Il 92% attribuibile a NCD

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Curare e prendersi cura della persona: prospettive di comunicazione e relazionemodulo 4

faticoso. [Mario risponde infastidito e rassegnato. Forse, al di là del tono, Mario non ha ancora abbandonato del tutto l’idea di poter tro-vare aiuto nel medico, in quanto gli espone che cosa gli è successo e apre anche alla sua emozione affermando “ogni cosa è diventata un incubo”.]

Medico. Rispetto al fumo, mi dica, ieri ha fumato? [Il medico non recepisce in alcun modo l’emozione (forse la evita, come sua difesa) e cambia addirittura argomento. Evidentemente un tale atteggiamento comunicativo indica il non voler prendersi cura di Mario e indurrà probabilmente una risposta di distacco anche se concettualmente coerente.]

Mario. Certo dottore! Avrò fumato un paio di sigarette, quattro al massimo in tutta la giornata, una o due prima di andare a dormire. [Mario risponde in modo provocatorio e stizzito, ma la sua risposta non è sulla domanda bensì sull’abbandono da parte del medico. Bi-sogna tenere assolutamente presente che un paziente con patologia cronica non può sentirsi abbandonato perché questo gli sottrae ogni speranza e fa sgretolare qualsiasi prospettiva.]

Medico. E siamo a sei! Mi sembrava di averle già detto che deve assolutamente smettere di fumare, anche una sola sigaretta nelle sue condizioni è troppa. [Il medico continua a fare ciò che non dovrebbe, ma che spesso capita a chi riveste un ruolo, mantiene coerenza con se stesso. Non coglie la provocazione e la rabbia in Mario e rischia di perdere la sua fiducia e in definitiva la sua compliance.]

Mario. Già infatti me lo aveva detto, ma sa cosa, mi sembra che tanto non serva a niente. [Mario dice questo allontanando la sedia quasi volesse andarsene, e con aria triste. Mario ormai sta abban-donando la comunicazione ed è come se questa situazione gli riproponesse la sua cronicità, ossia una condizione per la quale “c’è poco da fare”].

Medico. [Avvicinando il busto alla scrivania, per accorciare la distanza che M. ha creato allontanandosi.] Mario, mi scuso se le sono sem-brato brusco poco fa. Non si preoccupi, ora le faccio alcuni controlli e vedremo se è il caso di cambiare la terapia. Le chiedo solo di continuare a sforzarsi di non fumare, anche solo questo la farà stare meglio. [Il medico finalmente recupera la relazione dimostrando di essersi reso conto della sua indelicatezza, il che produce sicuramente in M. la sensazione di essere ascoltato e compreso. Nello scusarmi con qualcuno lo sto necessariamente ascoltando, e attraverso la com-prensione del mio errore dimostro di capire la sua sofferenza. Questa modalità può essere usata al di là del contenuto della conversazione, ossia anche solo in risposta alla reazione dell’altro. Nel caso specifico, inoltre, avvicinandosi il medico sottolinea anche a livello corporeo la sua “vicinanza” e la sua richiesta di proseguire la comunicazione (relazione). Va sottolineato che l’affermazione “anche solo questo” riferito al fumo, che notoriamente è un fattore importantissimo nella broncopneumopatia cronica ostruttiva, ha la finalità di diminuire l’ansia del paziente rispetto al suo fallimento di controllo e di suggerire che in realtà è una cosa che può sicuramente affrontare.]

Comunicazione e terapia

Il medico, come abbiamo visto, potrebbe migliorare numerosi aspetti della comunicazione a un paziente che, dal canto suo, sembra tutt’altro che ligio alle indicazioni terapeutiche. Nel caso specifico il medico, oltre a fissare un nuovo controllo a distanza di pochi giorni, per valutare se sarà necessario prendere altri provvedimenti, prescrive carbocisteina sale di lisina (bustine) che, grazie alle sue proprietà mucoregolatrici, ristabilisce la viscosità delle secrezioni mucose e ne favorisce l’espettorazione. Si pone a questo punto il quesito: Mario, che non ha dato finora grande prova di affidabilità, seguirà la terapia? Con buona probabilità sì, grazie alla monosom-ministrazione giornaliera. La comunicazione diventa in questo caso un supporto imprescindibile. Il colloquio con il medico potrebbe essere ineccepibile sotto il profilo tecnico ma soltanto in minima parte efficace nel sostenere il paziente a praticare il trattamento e a modificare le proprie abitudini se non imprime una sufficiente spinta motivazionale. Ovviamente ogni individuo è diverso e richiede un approccio personalizzato. A titolo di esempio, però, in questa situazione il medico potrebbe ricorrere a tre strategie:

1. Riflettere insieme al paziente sull’impatto del fumo, cercando di stabilire un rapporto empatico, stimolare una riflessione su cosa di peggio sarebbe potuto accadere, lodando la tempestività del consulto e lasciando trapelare un’aspettativa per il futuro, che in realtà diventa un implicito patto terapeutico. In altri termini il messaggio è: “Sono certo che si è reso conto di quanto potrebbe costarle una sigaretta, anche se più volte l’avevo messa in guardia. Ho apprezzato però che mi abbia interpellato subito, senza per-dere tempo: risolveremo così la situazione, ma d’ora in poi presti attenzione a non ripetere l’errore”.

2. Scegliere insieme al paziente il nebulizzatore e istruirlo al suo utiliz-zo corretto: la tecnica di inalazione, infatti, è di estrema importanza al fine dell’efficacia del trattamento, e deve essere materialmente dimostrata al paziente, al quale è poi opportuno chiedere, a sua volta, di ripetere le varie operazioni, incluse quelle di pulizia e manutenzione del dispositivo.

3. Utilizzare la comunicazione scritta: al di là della prescrizione, infatti, la consegna di uno stampato che richiami la posologia, le norme basilari su come effettuare la terapia inalatoria e gli eventuali aspetti da non trascurare tranquillizza il paziente e al tempo stesso integra e rinforza la comunicazione verbale. Non bisogna poi dimenticare che la comunicazione scritta può acqui-stare anche un carattere bidirezionale: il paziente, per esempio, potrebbe annotare su una tabella o, meglio ancora, su un diario fornitogli dal medico l’andamento giornaliero dei sintomi e i far-maci assunti. In questo modo il medico può verificare l’aderenza e inserire le proprie annotazioni, per esempio per modificare il regime terapeutico o lasciare al paziente un suggerimento scritto su come affrontare determinate situazioni nel caso in cui doves-sero presentarsi nuovamente.

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Curare e prendersi cura della persona: prospettive di comunicazione e relazione

Il paziente acuto

Il dolore acuto, per defi nizione, compare all’im-provviso ed è quel classico segno di allarme che condiziona il comportamento, aiutando ad agire correttamente: il dolore, per esempio, induce a tenere a riposo un arto traumatizzato, per evitare all’organismo un danno maggiore. Quando però il dolore persiste oltre il tempo fi siologico del processo di guarigione acquisi-sce i caratteri del dolore cronico. Nella maggior parte dei casi, inoltre, il dolore può essere il sintomo che permette al medico di formulare immediatamente un sospetto diagnostico, se non la diagnosi stessa, e di solito è in corre-lazione causale e temporale con un danno tissutale o con una malattia. Qualunque sia l’origine, il dolore acuto produce reazioni di difesa e risposte che comprendono:• riduzione dell’attività fi sica e della vita sociale

con conseguente depressione;• disagio e lamentele continue, che inducono

alla ricerca di aiuto con perdita del senso di “autoeffi cacia”;

• continuo ricorso a cure mediche e conse-guente rinforzo del ruolo di malato;

• paura e ansia;• attivazione fi siologica con alterazione della

frequenza cardiaca e della pressione ar-teriosa e conseguenti stanchezza, disagio fi sico, ipervigilanza e ricorso massiccio alle cure sanitarie.

Il medico deve costantemente tenere presente che il dolore acuto è un sintomo soggettivo: in quest’ottica, rifacendosi a Bruera, è opportuno differenziare tra dolore nuovo, in quanto sco-nosciuto, quindi allarmante, e dolore di nuova insorgenza, ma non allarmante in quanto “rico-noscibile” (ad es., mal di denti).

Defi nizioni di doloreSecondo Bruera, “Il dolore è quello che il pa-ziente descrive e non quello che altri pensano che sia”.La IASP (International Association for the Study of Pain) defi nisce il dolore come “Un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata a un danno tissutale effettivo, potenziale o descritto come tale”. Dal nostro punto di vista è molto importante anche la defi nizione di Melzack: “Un’esperienza personale e soggettiva infl uenzata dalla cultura, dalle varie situazioni, dall’attenzione e da altre variabili psicologiche”.

Neurofi siologia del doloreStimoli meccanici, chimici e termici alterano l’integrità dei tessuti e stimolano i recettori

deputati all’identifi cazione del dolore (noci-cettori). Questi processi di reclutamento e sensibilizzazione sia dei nocicettori sia delle afferenze primarie si confi gurano nel più ampio contesto dell’iperalgesia, defi nita come un’al-terazione della sensibilità, a causa della quale l’intensità della percezione del dolore indotto da uno stimolo è enormemente accentuata. La persistenza dello stimolo doloroso induce la liberazione delle endorfi ne, potenti antidolorifi ci prodotti dall’organismo che, con il protrarsi dello stimolo, si esauriscono: se dunque il dolore non viene trattato entro breve tempo insorgono meccanismi che lo fanno diventare cronico, cioè esso stesso malattia (Figura 2). La necessità di trattare un dolore acuto nasce inoltre dall’osservazione che esso è accompagnato da modifi cazioni a carico di organi e apparati, il cui coinvolgimento può essere estremamente dannoso per il paziente. Dopo una lesione tissutale si manifestano infatti

profonde alterazioni neuro-ormonali dovute al coinvolgimento dell’ipo talamo, direttamente collegato alle vie del dolore, che è in grado di modulare attraverso dinamiche di tipo neuro-endocrino.Attraverso particolari sensori nervosi lo stimolo percorre il midollo spinale situato dentro la colonna vertebrale e raggiunge la corteccia cerebrale. Quest’ultima interviene nell’espe-rienza e nella memoria del dolore, permettendo di avvertire lo stimolo come dolore e di com-prendere che si è instaurata una condizione di malessere (Figura 3).L’iperalgesia può essere inoltre psicologica-mente collegata alla paura: Perry et al. (1994), in uno studio su pazienti con dolore acuto, hanno evidenziato che soggetti con elevata aspettativa di dolore, e quindi con forte paura, riferivano in seguito un dolore di maggiore intensità, dovuto all’ipervigilanza in quanto l’attenzione focalizzata aumenta la sensibilità al

modulo 4

Figura 2 Elaborazione somatica del dolore cronico di Peter Forster.

Sistema nocicettivomediale “disagevolezza”

Sistema nocicettivolaterale “sensoriale”

Fibre attivanti

Ghiandole Muscoli

Fibre A-delta Fibre C

Nocicettori

Sistema nervoso periferico

Sistema nervosocentrale

Corteccia cerebrale

Tronco cerebraletalamo

insula

ippocampo

amigdala

gangli basali

limbico

Sistema ormonale

Dolore cronico

Midollo spinale

Stimoli lesionistici

Somato-sensoriale

Prefrontale

Grigioperiacqueduttale

Anteriorecingolare

Stimoli socio-psichiciingestibili

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Curare e prendersi cura della persona: prospettive di comunicazione e relazione

dolore attraverso un orientamento selettivo dei recettori sensoriali verso un unico stimolo. Fan-no poi rifl ettere alcuni studi condotti su neonati pretermine, maggiormente soggetti a procedu-re diagnostiche e terapeutiche, che dimostrano come esperienze ripetute o protratte di dolore condizionino perfi no i processi maturativi del cervello e alcune risposte neuroendocrine nel lungo termine. Da questo consegue che il do-lore può lasciare una traccia ben più profonda di quanto si possa immaginare.

Sistemi di valutazione

L’indicatore più affi dabile dell’esistenza e dell’intensità del dolore è il report soggettivo del paziente.

National Institutes of Health, 1987 (NIH)

Le principali scale di valutazione sono (Figura 4):• VRS (Visual Rating Scale);• NRS (Numerical Rating Scale);• VAS (Visual Analogue Scale);• McGill Pain Questionnaire: è un questio-

nario di autosomministrazione costituito da alcune serie di parole idonee a descrivere diversi caratteri del dolore. Viene presentato al paziente che deve scegliere i termini meglio corrispondenti al proprio dolore. Le parole inserite nel questionario sono suddivise in 3 classi e 20 sottoclassi, cor-rispondenti a diverse caratteristiche del do-lore: aspetto sensitivo (caratteri “qualitativi”), aspetto valutativo (valutazione dell’intensità del dolore), aspetto affettivo (espressione delle reazioni emotive). Dall’esame delle parole scelte è possibile ricavare uno score globale e uno parziale per le 3 sottoscale. Il questionario comprende anche una scala ordinale verbale per la valutazione dell’in-tensità del dolore.

Altri approcci alla valutazione del dolore sono quello comportamentale e quello fi siologico, che hanno però dimostrato una scarsa valenza: non sono sempre correlati all’auto-valutazione (per esempio nelle persone “stoiche” o in pazienti di diversa cultura), non sono specifi ci per il dolore e, anche se insorgono con il dolore, possono “adattarsi” se il dolore persiste.

Il paziente anziano

Alla domanda: chi è il tipico paziente geriatrico? La risposta è: pensa al più anziano, al più malato, al più complicato e al più fragile dei tuoi pazienti, affetto di

modulo 4

Figura 3 Elaborazione somatica del dolore acuto e di Peter Forster.

Sistema nocicettivomediale “disagevolezza”

Stimoli socio-psichiciingestibili

Sistema nocicettivolaterale “sensoriale”

Fibre attivanti

Ghiandole Muscoli

Fibre A-delta Fibre C

Nocicettori

Sistema nervoso periferico

Sistema nervosocentrale

Corteccia cerebrale

Tronco cerebraletalamo

insula

ippocampo

amigdala

gangli basali

limbico

Sistema ormonale

Dolore acuto

Midollo spinale

Stimoli lesionistici

Somato-sensoriale

Prefrontale

Grigioperiacqueduttale

Anteriorecingolare

Figura 4 Sistemi di valutazione del dolore.

Nessundolore

Scala analogica visiva (VAS)

Scala numerica (NRS)

Scale verbali (VRS)

Il più fortedoloreimmaginabile

Il più fortedoloreimmaginabile

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10Nessun

dolore

1Nessuno

2Molto lieve

3Lieve

4Moderato

5Forte

6Molto forte

0Assente

1Lieve

2Fastidioso

3Forte

4Fortissimo

5Micidiale

0Assente

1Lieve

2Moderato

3Forte

4Fortissimo

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Curare e prendersi cura della persona: prospettive di comunicazione e relazione

solito da multiple malattie, la cui presen-tazione è spesso atipica, e portatore di deficit funzionali. I suoi problemi di salute sono cronici, progressivi, solo in parte reversibili.

Hazzard 1999

Le definizioni di paziente anziano sono fatte coincidere con:• l’inizio della vecchiaia: senescenza graduale,

comprende la fascia dai 65 ai 75 anni; sene-scenza conclamata, comprende i soggetti dai 75 anni ai 90 anni; longevi, oltre i 90 anni;

• il pensionamento (attualmente la maggior parte delle statistiche considera l’esordio della senescenza all’età di 65 anni, in quanto la tendenza è di far coincidere l’inizio medio del pensionamento con l’ingresso nella terza età);

modulo 4

Il paziente acuto Il sorriso in pronto soccorso

Emma è una donna di 61 anni. Giunge in pronto soccorso con evidente gonfiore e un forte dolore al ginocchio destro, che non le permette la flessione dell’arto e ostacola la deambulazione.

Nel paziente con dolore acuto la componente ansiogena è un dato costituente dell’esperienza comunicativa, in quanto, come abbiamo detto, si trova in una situazione nuova e dolorosa. È un paziente nel quale però è più facile e meno rischioso identificarsi, poiché il dolore acuto è un’esperienza comune a chiunque, benché in forme diverse. In generale l’approccio a una persona in questa condizione è più difficoltoso sul piano pragmatico, in quanto essa è immancabilmente concentrata sul dolore, disorientata e può essere spaventata. D’altra parte però riuscendo a distogliere, per quanto possibile, la sua atten-zione dall’acuto e da quello che esso comporta, si riesce a ottenere solitamente un’ottima collaborazione.

Medico. Mi dica signora, cos’è successo? [il medico accompagna la frase con un sorriso affettuoso, e utilizza un tono di voce caldo.]

Emma. Mi si è gonfiato il ginocchio e mi fa un gran male, stavo cam-biando le tende e sono caduta dalla scala sbattendo. Non ricordo altro. [Emma prova dolore ed è allarmata, si sente in dovere di dare al medico tutte le indicazioni riguardo all’accaduto. Emma è agitata ma disponibile, il gonfiore le sembra insolito.]

Medico. Signora, lei porta bene i suoi anni ma si ricordi che non è più una ragazzina! Adesso viene con me, si sdraia sul lettino e mi fa vedere il suo ginocchio: dove le fa male, qui, qui? [Il medico con una battuta instaura un clima confidenziale appropriato ad attirare la sua attenzione, in modo che possa distrarsi un po’ dal dolore e dall’ansia e orienti la sua apprensione verso di lui con fiducia.]

Emma. Dottore ma com’è possibile che si sia gonfiato così? [Emma è ancora in uno stato di allarme, non sa cosa è successo al suo ginocchio, ma comincia a riconoscere in quel medico una figura che può darle delle risposte.]

Medico. C’è un discreto versamento, ossia si è raccolto del liquido infiammatorio che spiega perché sente male. Ora facciamo una radio-grafia per vedere cos’è accaduto al suo ginocchio. [Il medico fornisce le prime indicazioni a Emma, cerca di essere chiaro e rassicurante nel dirle ciò che ha potuto capire dalla visita e le anticipa che per poter fare una diagnosi accurata sarà necessario un esame.]

Emma. Va bene dottore. [Emma si fida e si affida al medico].Dopo la radiografia Emma viene riportata in ambulatorio visite.

Medico. Signora, la radiografia conferma il versamento, ma non sem-bra ci sia niente di rotto, bisognerà approfondire con una risonanza, ma intanto le aspiriamo il liquido, non si preoccupi vedrà che dopo starà meglio. [Il medico conferma la sua prima valutazione a Emma, le comunica i risultati in modo rassicurante e professionale. Mantiene una modalità relazionale personale e accogliente l’ansia di Emma.]

Emma. Ma come, con quella siringa? [Emma dimostra di essere ancora molto preoccupata, il suo livello d’ansia è moderato.]

Medico. Secondo lei?! Vuole che glielo aspiri con la cannuccia? [La scelta comunicativa potrebbe sembrare azzardata, ma in realtà il medico fa una battuta per sorprendere Emma e interrompere l’e-scalation dei livelli di ansia: per assurdo anche se Emma reagisse in modo oppositivo, la sua ansia sarebbe abbassata comunque. Il medico dice questo appoggiandole una mano sul braccio e sor-ridendo. Emma sorride. In questo modo il medico contestualizza “l’azzardo” ed entra meglio in sintonia con Emma, che risponde al sorriso nonostante il dolore. Qui capiamo che il livello d’ansia di Emma ha cominciato ad abbassarsi, il che le permette di entrare in un atteggiamento positivo.]

Emma. Magari dottore, ma faccia piano, mi raccomando! [Le parole sono accompagnate da un po’ di preoccupazione, ma al contempo resta evidente la fiducia riposta nel medico. Ultimata l’artrocentesi il medico immobilizza l’articolazione applicando un bendaggio.]

Medico. Bene signora, vede che è stata bravissima. Deve tenere il bendaggio per 4 giorni e stare a riposo. Quando arriva a casa tenga del ghiaccio. Le prescrivo un ciclo di ketoprofene sale di lisina: è un antinfiammatorio da assumere tre volte al giorno, mi raccomando, durante i pasti. Vedrà che starà subito meglio.

Emma. La ringrazio dottore, lei è stato così gentile.

Riflessioni sulla comunicazione

Per attuare questo tipo di comunicazione funzionale, intendendo per funzionale “orientata alla cura”, è necessario che il professionista sanitario sia molto consapevole delle premesse che potrebbero condurre la comunicazione in un vicolo cieco, quali il dolore, la paura e l’ansia di Emma. Qui, come in quasi tutte le situazioni di dolore acuto, la situazione si complica nella misura in cui queste premes-se condizionano i processi di valutazione del paziente al punto da impedire che la situazione venga vissuta come temporanea e su-perabile. “Anche se potrebbe essere possibile, in linea di principio, interrompere intenzionalmente i processi di valutazione automatica e spostarsi all’interno di una modalità di processamento controllata, in molti casi potrebbe essere più facile contare su de-automatizzatori naturali. Noi crediamo che due di tali de-automatizzatori naturali siano la novità e l’inaspettatezza. […] Infatti, l’inaspettatezza (o forse la risultante sorpresa) potrebbe essere un fattore primario che inter-rompe il processamento automatico e dà l’avvio a strategie controllate d’inferenza” (Ellsworth e Scherer, 2003).

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Curare e prendersi cura della persona: prospettive di comunicazione e relazione

• una riduzione delle riserve funzionali di or-gani e sistemi e della capacità omeostatica con aumento della suscettibilità a diverse patologie (perdita delle riserve funziona-li, riduzione dei meccanismi di difesa nei confronti delle variazioni ambientali, declino delle capacità di adattamento).

È bene ricordare che l’età anagrafi ca non cor-risponde all’età biologica, e che nell’invecchia-mento esiste una naturale variabilità individuale (variabili ambientali, variabili sociali) (Figure 5 e 6). Con l’invecchiamento è possibile riscon-trare modifi cazioni morfologiche e funzionali a carico di organi, apparati e tessuti, una tendenza all’atrofi a e una diminuita effi cienza funzionale, modifi cazioni fi siologiche e maggiori rischi di effetti collaterali da farmaci. Inoltre, molte mani-festazioni cliniche da considerarsi espressione di patologia nel giovane adulto sono di comune riscontro nell’anziano, nel quale non necessaria-mente indicano la presenza di malattia.Tra i defi cit a insorgenza nella cosiddetta “ter-za età” possiamo evidenziare una riduzione della memoria (tra i primi sintomi del processo morboso di demenza, seguita da modifi cazioni della personalità e defi cit delle funzioni cogniti-ve), una riduzione delle capacità dell’apparato uditivo, visivo e del gusto, disturbi dell’equilibrio, una riduzione del valore di temperatura cor-porea e dell’effi cienza della termoregolazione, disturbi della minzione, un diminuito controllo della pressione arteriosa e modifi cazioni farma-cocinetiche e farmacodinamiche.Nel paziente anziano assume inoltre grande rilevanza la necessità di non confondere lo stato di malattia con l’invecchiamento stesso. L’esordio di un processo morboso nell’anziano è atipico (i sintomi di un’affezione mascherano quelli di un’altra) e caratterizzato da ridotta segnalazione dei disturbi (sottovalutazione dei sintomi), modifi cazioni delle caratteristiche della

malattia (modifi cazioni morbose alternate) e alterazione della risposta alla patologia stessa anche a livello di reazione immunitaria (es. infezioni senza febbre).Per intervenire prontamente è necessario sta-bilire quale sia la normalità per l’anziano (è normale ciò che è presente in tutti gli individui di una determinata età), e differenziare dalla norma (ciò che è di comune riscontro, ma non presente in tutti, soggetta a variazioni in rapporto all’epoca storica, al contesto sociale, culturale e ambientale di riferimento). Si può intervenire con la prevenzione o la cura nei confronti di ciò che è nella norma, non invece nella normalità.L’anziano, rispetto al giovane adulto, ha una maggiore probabilità di ammalarsi, soprattutto di malattie croniche, progressive e invalidanti, quando già non presenta dei caratteri di fra-gilità. Il fattore comorbilità indica l’elevato nu-mero di condizioni patologiche associate, che interferiscono e si complicano tra loro (è stato calcolato che circa quattro anziani su cinque sono affetti da almeno una malattia cronica, ma ben il 30% di essi è portatore di tre o più patologie ad andamento cronico-evolutivo), raramente il quadro clinico è riconducibile a un singolo fattore. Pertanto il trattamento di un singolo fattore causale di per sé non è suffi -ciente a correggere il disturbo, quando questo è riconducibile a una molteplicità di condizioni.Nell’anziano i processi morbosi principali ad andamento cronico sono patologie cerebro-vascolari (cardiopatia ischemica, vasculopatia cerebrale), infezioni (broncopolmonari, urinarie). malnutrizione, neoplasie, affezioni osteoartico-lari e malattie del sistema nervoso centrale.Nell’anziano c’è un diverso modo di vivere la malattia sul piano psico-affettivo. La malattia è percepita come parte integrante di sé, connessa alla propria condizione di persona indebolita nel corpo. L’anziano vive il suo tempo

con ansia e depressione, dovute al sentirsi più esposto al rischio di morte, a un’autosuffi cienza ridotta, a una diminuita stima di sé (aumentano l’insicurezza, il senso di solitudine e il senso di isolamento, esclusione, marginalità e perdita del ruolo sociale). La diagnosi e le terapie sono sempre più complesse, ai sintomi della malattia si sommano i sintomi psicofi sici e le condizioni socio-ambientali (es. povertà). I contatti sociali e lo stato socio-affettivo (la solitudine, con chi-dove-come vive l’anziano) infl uenzano lo stato di benessere e di salute. La valutazione delle diverse componenti rappresenta un momento fondamentale dell’attività assistenziale, non soltanto ai fi ni prognostici, ma anche per acqui-sire elementi indispensabili all’inquadramento diagnostico, assistenziale e terapeutico.

Il colloquio con il paziente anzianoLa presa in carico di un anziano è sempre un impegno clinico e relazionale rilevante in cui l’uso di semplici accorgimenti può facilitare un compito di fondamentale importanza (l’espe-rienza, la sensibilità e l’attenzione del medico consentono di migliorare la qualità dei dati raccolti). Per comunicare effi cacemente con l’anziano, il medico deve utilizzare al massimo i canali sensoriali:• la vicinanza;• il tono di voce (il suo buonumore o la sua

scarsa disposizione al colloquio contagiano il malato stesso e quindi il successo della relazione);

• i gesti;• il movimento;• l’espressione del volto.

È utile, inoltre, predisporre per il colloquio un ambiente non disturbante, evitando i rumori e le interferenze che possono distrarre il paziente (condizione molto frequente nelle persone con defi cit cognitivo).

modulo 4

Figura 6 Popolazione anziana in Italia (ISTAT 2005).Figura 5 Durata media della vita in Italia (ISTAT 2005).

20

15

10

5

01960 2000 2030 2050

85

80

75

70

65

60

71

75

77,677

81

83,4

Maschi Femmine

1990 1999 2004

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19 ■

Curare e prendersi cura della persona: prospettive di comunicazione e relazione

Il paziente pediatrico

Il paziente pediatrico è un paziente “parti-colare” e “complesso”, nel quale le continue modificazioni fisiche, psichiche, relazionali ed esperienziali correlate allo sviluppo condizio-nano strategie di intervento e necessitano di strumenti del tutto peculiari. Allarma inoltre la gestione dell’emotività di un soggetto per il quale certamente più grande è la paura in quanto minori sono le opportunità (i mezzi) di controllo. Al contempo la relazione non è mai diretta ma mediata dalle figure genitoriali, che nel contesto specifico entrano nella relazione (con il professionista sanitario) nel loro ruolo di responsabili, ma costretti a delegare ad altri la presa in carico del figlio. Di per sé questo in-treccio di attivazioni può diventare problematico se non viene gestito con grande delicatezza.Il primo passo per poter interagire con un bambino è conoscere in che età si colloca e quali sono le caratteristiche peculiari di ogni singola fascia di età.

Neonato (0-1 mese)Dipende completamente dai genitori. Si rela-ziona con il contesto osservando volti ed og-getti ma senza seguire i movimenti. Ha scarsa capacità di termoregolazione. Va sicuramente lasciato vicino ai genitori e gli si sorride parlan-dogli dolcemente. Importante è tenerlo caldo e scaldare ciò che tocca.

Lattante (1-12 mesi)Sta seduto e gattona. Segue con lo sguardo i

movimenti ed è attirato da suoni e luci. Come il neonato, va lasciato vicino ai genitori e pos-siamo attirarlo con giochi e semplici oggetti.

Bambino (1-3 anni)Il bambino di quest’età è molto più autonomo a livello motorio (cammina) è quindi più a rischio di cadute e traumi. Entra in contatto con le persone che non conosce e solitamente fa riferimento ai genitori dando credito a coloro di cui i genitori sembrano fidarsi, benché ra-ramente si dimostri loquace. Mostra pudore quando deve essere svestito. Ha sicuramente provato dolore quindi ne ha memoria e paura. Non falsifica i sintomi, ma non riesce ad averne padronanza al punto da risultare attendibile alla loro localizzazione. Con un bambino a questa età occorre innanzitutto conquistare la sua fiducia, attraverso la cooperazione dei genitori. Meglio sempre trattarlo con dolcezza e sorri-dendo, per placare la sua paura. Rispettare il suo pudore preoccupandosi di coprirlo dopo averlo visitato. Fondamentale è anche dirgli ciò che si sta facendo perché, come ricordato pre-cedentemente, il bambino ha pochi strumenti per controllare la situazione, troppo nuova e troppo complessa, e il medico può accompa-gnarlo in questa nuova evenienza perché non diventi troppo brutta.

Bambino (3-6 anni)Si muove molto, sperimenta: corre, salta, si arrampica, cade talvolta. Localizza in modo attendibile la sede del dolore, soprattutto verso i 5 anni. Parla ma non è necessariamente in grado di spiegarsi in modo esauriente, e se non

sta bene difficilmente ama farlo con degli estra-nei. Pensa in termini assoluti e in questo caso, quindi, negativi (le cose sono buone o cattive). Mostra pudore alla svestizione. Servirsi sempre della cooperazione dei genitori: stesse moda-lità comunicative di disponibilità e delicatezza. In più, spiegandogli le procedure in modo semplice, incoraggiare il bambino ad aiutare in modo da distoglierlo dal dolore. Esporlo il meno possibile a circostanze cruente.

Bambino (6-12 anni)A questa età le capacità fisiche sono ben sviluppate, si avrà quindi una riduzione degli eventi traumatici, ma un aumento dell’entità delle lesioni. Il bambino ora utilizza corret-tamente il linguaggio per comunicare. Com-prende la differenza tra un dolore forte e la sua paura del dolore, in quanto ha pensieri flessibili. È in grado di ragionare sulla causa e l’effetto (il medico è lì per aiutarlo a stare meglio). Può inventare sintomi ma distraendolo scompaiono. A questo livello la sincerità e la relazione con il medico sono molto importanti, per cui la comunicazione può essere più di-retta e complementare. Si può permettere al bambino di fare delle scelte su cosa sarà fatto, descrivendo le azioni e proponendo degli accordi. Si instaura una relazione amichevole rassicurando il bambino.

Adolescente (12-18 anni)Capacità e coordinamento fisico sono simili a quelli di un adulto, il che comporta una mino-re incidenza di traumi ma di nuovo maggiore entità delle lesioni. La relazione è diretta e si

modulo 4

Il paziente anziano L’uomo che cura

Rosina è una anziana signora di 78 anni, che il medico visita a casa per una bronchite. Ad accoglierlo trova il figlio Franco.

Medico. Buonasera Rosina cosa le è successo, come mai mi ha fatto venire fin qua? Mi racconti un po’. [Il medico parla a voce alta, guarda in faccia Rosina accennando un sorriso e scandendo bene le parole in quanto sa che è un po’ sorda. Il tono è confidenziale e quasi affettuoso, utile per sintonizzarsi con persone anziane in situazioni di malattia, e crea un’atmosfera narrativa che riconferma una certa intimità.]

Rosina. Non c’è male dottore, è la tosse che ‘nfa brisa rèspirer. Ma cosa vuole, coi miei anni non posso mica pensare di andare a ballare. [Esplicita accettazione del limite. Rosina accetta di stare male come dato insito nella sua condizione di anziana.]

Medico. A ballare magari no, ma a stare bene sì. Mi dica, ha la febbre? E la tosse come va, riesce a dormire? [Il dottore risponde restringendo il vincolo che Rosina si è autoimposta: “a ballare magari no, ma star bene si”!]

Rosina. Febbre? Febbre, no. È la tosse che mi dà fastidio. [Rosina si confonde ed è imprecisa. Il medico deve considerare il dato in una

prospettiva multidimensionale, e alla luce della successiva precisa-zione del figlio, collocarlo].

Franco. No mamma, ieri l’avevi la febbre. Poi rivolto al dottore: ieri aveva 37,5, oggi non ce l’ha. [Il figlio partecipa attivamente al dialogo.]

Medico. Bene Rosina adesso la visito. Si metta seduta, tiriamo su la maglia e mi fa dei bei respiri profondi. [Il medico accompagna ed allinea le parole alle azioni. Ultimata la visita, mentre Rosina si siste-ma, il medico si rivolge a Franco]: In effetti i bronchi sono intasati: dobbiamo liberarli sciogliendo il muco! Carbocisteina sale di lisina ci permetterà di liberare sua madre dalla tosse grassa normalizzando il catarro. [Poi rivolgendosi a Rosina]: vedrà che la tosse la sistemiamo. Lei però mi faccia un favore: segua tutto quello che le dirà suo figlio fino al prossimo controllo, che faremo tra 5-6 giorni. Ora la saluto e la lascio riposare. [In questo frangente il medico entra nell’intimità dell’ac-cudimento, il che permette a Rosina di sentirsi rassicurata e seguita.]

Rosina. Grazie dottore [Forse questo grazie riconferma la sua fiducia nel medico].

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Curare e prendersi cura della persona: prospettive di comunicazione e relazionemodulo 4

può creare un’alleanza se l’adulto dimostra rispetto. Il ragazzo apprezza che si tenga in considerazione il suo pensiero dicendogli la verità. È sicuramente in grado di inventare sin-

tomi o può semplicemente male interpretarli. La scelta più efficace entrando in relazione con un ragazzo di questa età è farlo in prima persona (presentandosi) e con rispetto e obiettività.

È utile raccogliere informazioni sull’anamnesi rivolgendosi direttamente a lui. Ovviamente coinvolgere i genitori cercando l’autorizzazione del paziente.

Il paziente pediatrico Il vapore che cura

Filippo è un bambino di 6 anni che viene portato in ambulatorio dalla mamma a metà aprile a seguito di un raffreddore persistente. Ha familia-rità allergica e una storia di dermatite atopica comparsa a 2 mesi. Fino a qualche mese fa ha avuto alcuni episodi di broncospasmo in conco-mitanza di infezioni delle vie aeree superiori anche di minima entità.

Medico. Ciao Filippo: perché quell’aria preoccupata? Ci siamo visti non più di due mesi fa! Come mai di nuovo qui? [Il medico, pur cercando di smorzare l’ansia del bambino, è stato troppo frettoloso e non ha lasciato tempo a Filippo di ambientarsi, dandogli anzi l’impressione opposta, e cioè di non riuscire a dare un senso alla sua presenza. Ha anche igno-rato il fatto che Filippo è stato condotto in ambulatorio dalla madre, che non ha coinvolto nel dialogo, senza perciò instaurare sin dall’inizio una comunicazione a tre.]

Mamma. Sì, dottore, come le ho detto al telefono da vari giorni ha il raffreddore. Inizialmente sembrava andasse migliorando, ma non vuole passare, vero Filippo? Racconta al dottore come stai. [La mamma cerca di intervenire, forse anche per rimediare alla situazione, ma Filippo tace.]

Medico. [Rivolgendosi a Filippo]: Scusa Filippo. Sai, non volevo. Ti va di raccontarmi com’è comparso questo raffreddore e intanto mi racconti un po’ cosa ti è successo?! [Probabilmente a questo punto il medico si accorge della direzione in cui sta andando la comunicazione, recupera con tatto e intelligenza ed empatizza con il disturbo di Filippo chiedendogli di raccontare cosa sente.]

Filippo. [Sembra più partecipe ora e dice]: Andrea mi ha tossito più volte in faccia. [Filippo ora dimostra la sua disponibilità verso il medico.]

Mamma. Racconta bene al dottore. Andrea è il suo compagno di banco con il quale ogni tanto non va d’accordo: è stato a casa influenzato e da quando è tornato a scuola Filippo ha cominciato a stare peggio.

Medico. Dimmi: è venuta la tosse anche a te? Hai avuto febbre? Però, que-sto Andrea non ti ha fatto un bel regalo! Bisognerebbe dirgli che quando si tossisce si deve coprire la bocca, giusto? [Ora il medico è allineato al bambino e con la sua modalità descrittiva conquista la fiducia di Filippo attraverso la complicità e gli trasmette al tempo stesso un piccolo ma importante messaggio di educazione sanitaria.]

Filippo. [Sorride e dice]: Hai ragione, anche la maestra glielo dice spesso! Ma lui invece si diverte e qualche volta finge apposta di tossire, vuole che tutti si ammalino. [Si coglie in questa frase il coinvolgimento di Filippo.]

Medico. Ho capito, è proprio un bel monello questo Andrea! Ma a parte il raffreddore, ci sono stati altri disturbi?

Mamma. Non ha avuto febbre. In realtà, però, come vede, ha gli occhi rossi e se li sfrega spesso. E gli prude il naso. Devo dire però che tutto questo era cominciato prima di quest’ultimo raffreddore: potrebbe essere allergia?

Medico. Stavo pensando proprio a questo. In effetti siamo nel periodo dei pollini. Dovremo fare qualche indagine, ma intanto pensiamo a far migliorare questo raffreddore. Lo sconfiggeremo con un vapore magico, che dici? [Con questa frase il medico si assicura che Filippo non avrà problemi a seguire la terapia: ha stabilito un patto o, se si preferisce, un’alleanza con il piccolo paziente, che, attraverso queste espressioni semplici, scherzose e immediate ha capito che il medico troverà la cura giusta.]

Medico. [Dopo la visita il dottore si rivolge alla mamma]: Il naso è molto congesto, la gola è arrossata e come già aveva osservato le congiuntive sono irritate: ci sono tutti i segni di una rinite allergica. Per ora a Filippo prescriviamo delle gocce per bocca contro il prurito, un collirio e l’aerosol con beclometasone dipropionato: in questo modo sfruttiamo un’azione combinata. Mi raccomando [rivolgendosi a Filippo] tu devi fare bene l’aerosol! Siamo d’accordo?

Filippo. [Annuisce dicendo]: L’ho già fatto altre volte.

Medico. Bene. Signora, allora deve agitare bene il contenitore e versarne metà dose. [Guardando Filippo] E tu ricordati che devi fare l’aerosol mattino e sera, magari intanto guardi un bel cartone animato, che ne dici?

Filippo. Mi hai dato proprio un bel suggerimento! Mi piacciono tanto le guerre spaziali. La mamma mi controlla sempre il tempo che passo a guardare la televisione.

Medico. Tua mamma fa bene, ma in questo caso farà un’eccezione, vedrai!

La presa in carico di un paziente pediatrico è sempre un impegno clinico e relazionale rilevante, in cui l’uso di semplici accorgimenti può facilitare il compito del professionista sanitario. Con un bambino è fondamentale usare sempre molto tatto, senza dare nulla per scontato. Per esempio l’accoglienza, che nel caso illustrato non è stata in un primo momento par-ticolarmente calorosa, lo dispone sin dall’inizio al dialogo. Un atteggiamento distaccato, al contrario, induce il piccolo paziente a chiudersi e quasi a isolarsi dal contesto, concentrandosi per esempio su un gioco, oppure su un oggetto o sullo stesso genitore/accompagnatore. La collaborazione del bambino, d’altra parte, è importante non soltanto per condurre al meglio la visita, ma anche per acquisire da lui il maggior numero di elementi e dunque migliorare la qualità delle informazioni. Naturalmente ogni riscontro deve essere opportunamente vagliato, rilevando con particolare attenzione gli elementi oggettivi oppure ripetendo per esempio una manovra quando si tratta di localizzare o confermare un punto dolente, dopo aver chiesto nuovamente al bambino, in maniera diversa, di indicare dove sente male. La frettolosità nuoce sempre all’instaurarsi di un dialogo produttivo, che deve necessariamente coinvolgere anche il/i genitore/i presente/i. Inoltre un linguaggio scherzoso e il più possibile in sintonia con i gusti e la per-sonalità del paziente (per esempio parlando di calcio, degli amichetti o dei giochi preferiti) è importante per ottenere dal bambino una descrizione il più possibile realistica dei sintomi. Qualsiasi stratagemma utile a far divertire e a distogliere l’attenzione, destando curiosità e trasmettendo fiducia, sarà funzionale a formulare la diagnosi e conquistare la disponibilità del piccolo paziente alla visita e all’accettazione delle eventuali prescrizioni terapeutiche: nel caso specifico l’aerosol è stato trasformato in un momento positivo in cui la prospettiva di un’attività gradita funge da incentivo e al tempo stesso da ricompensa, oltre a garantire naturalmente la compliance e dunque l’efficacia della terapia.

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Curare e prendersi cura della persona: prospettive di comunicazione e relazionemodulo 5

Codici deontologici e bioetica: quali sono i doveri del professionista?

Le parole “cura”, “prendersi cura” e “persona”, che compongono il titolo di questo Corso, non possono essere definite, nel loro significato, in base a trattati tecnici o a manuali di patologia, perché fanno riferimento al soggetto comples-sivo, all’essere umano, che si rivolge a un ope-ratore sanitario, per rimediare ai propri problemi e stare meglio. Occorre quindi una specifica formazione umanistica per intendere questi aspetti, interpretarli e fornire un’assistenza che non sia solo tecnicamente corretta, ma anche moralmente ineccepibile.Bastano a tal fine i codici di deontologia? Sono certamente utili, vengono approvati de-mocraticamente dagli iscritti a un Ordine e periodicamente aggiornati e offrono linee guida per il comportamento nelle situazioni ordinarie o in quelle più complesse. Il loro vantaggio è quello di dichiarare pubblicamente (ai colleghi, ma anche a tutta la società) i compiti e i limiti dell’impegno professionale e le priorità fra i diversi criteri decisionali, specificando quindi la promessa pubblica, che una categoria di “tecnici” esprime nei confronti dei cittadini, i quali apprendono che cosa possono e devono aspettarsi da chi “ne sa” più di loro. Inoltre i co-dici elevano l’auto-scrutinio professionale, cioè sollecitano i pari a confrontarsi con i colleghi circa il comportamento da essi tenuto in condi-zioni di conflitti di interesse, ossia in circostanze in cui un fine primario (in questo caso la vita e la salute dei malati) si scontra con potenziali altri interessi, più o meno nobili, più o meno opportunistici (la ricerca scientifica, il guada-gno, la ricerca di potere, l’obbedienza ad altri soggetti politico-economici, pregiudizi di tipo ideologico). Una commissione deontologica, in seno a un Collegio professionale, è tenuta a individuare e sanzionare comportamenti con-trari alla condotta ritenuta “coerente” (sul piano individuale) e alla “buona” immagine dell’Ordine (sul piano associativo), in base appunto agli articoli del codice.Un codice però non basta. Una volta George Bernard Shaw scrisse con ironia che “tutte le associazioni sono cospirazioni contro i

profani”. Per evitare questa deriva occorre che ciascun medico o infermiere sviluppi una specifica sensibilità etica, per percepire e affrontare in prima persona i dilemmi morali della propria attività e cercare di fornire una risposta argomentata a livello individuale, di équipe o addirittura istituzionale. A questo pro-posito occorre confessare che molte lamentele degli “utenti” (che usufruiscono di un servizio sanitario) riguardano la carenza di specifiche abilità umanistiche del laureato (abilità etiche, comunicative, psicologiche), anche quando quest’ultimo sia apprezzato come specialista (dal punto di vista tecnico) e onori alla lettera i dettami di un codice.I codici, anche quelli ben fatti, hanno in effetti diversi limiti intrinseci:• sono inevitabilmente astratti, dato che le

situazioni cliniche reali sono più complesse, imprevedibili e ricche di variabili (biologiche e umane), rispetto a un articolato normativo;

• sono incompleti, perché le decisioni medi-che vengono prese in contesti molto più vari e sfumati dei capitoli, in cui le regole scritte vengono raggruppate;

• sono effimeri, caduchi, nel senso che la ve-locità del progresso scientifico e del dibattito sociale rende spesso obsolete le regole, che i sanitari si sono dati anche pochi anni o mesi prima, cosicché, prima che ne venga elaborato un aggiornamento sistematico, occorre che ciascun operatore applichi in modo intelligentemente innovativo i princìpi etici, che presiedono alle regole materiali e che sono spesso riassunti in un giuramen-to, che precede e che fonda il codice (pur risentendo anch’esso del contesto storico in cui è stato scritto);

• possono essere accolti e giudicati in modo controverso, nel contesto pluralistico in cui viviamo; gruppi di professionisti o veri e pro-pri Ordini provinciali potrebbero non sentirsi rappresentati nei propri ideali ed esigere pertanto una revisione del testo approvato a maggioranza o addirittura ricorrere sul piano giuridico contro la sua promulgazione ufficiale;

• possono essere palesemente ingiusti mo-ralmente, nella misura in cui introducono discriminazioni inaccettabili verso minoran-ze o soggetti deboli. Il ricorso alla legge

parole chiave

in pillole

I codici deontologici e i problemi etici e bioetici aperti

Obiettivi del modulo: esaminare dal punto di vista bioetico i testi dei codici di deontologia, per approfondire

i problemi morali aperti e per elaborare proposte di soluzione dei dilemmi decisionali

nelle professioni sanitarie.

Deontologia

Etica

Princìpi

Proporzionalità dei trattamenti

Consenso informato alle cure

ÂÂ La bioetica clinica è la giustificazione razionale delle valutazioni morali in ambito biomedico, con particolare riferimento alle criticità al letto del malato.

ÂÂ Le decisioni si fondano su regole (fra cui quelle deontologiche), le quali a loro volta rimandano a princìpi (beneficenza, autonomia, giustizia, integrità), teorie e visioni del mondo.

ÂÂ Il consulente etico aiuta sanitari, staff, istituzioni e associazioni ad approfondire il loro personale punto di vista, attraverso un dialogo non direttivo, fornendo strumenti concettuali che consentano di percepire i pro e i contro di scelte problematiche e di applicare gli enunciati giuridico-deontologici.

ÂÂ Il consenso (rifiuto) di un malato è valido se si realizzano alcune condizioni essenziali. La proporzionalità delle cure implica che i benefici apprezzati o sperati siano maggiori dei rischi e degli svantaggi, considerati dal punto di vista della persona sofferente.

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Curare e prendersi cura della persona: prospettive di comunicazione e relazione

potrebbe risultare inutile qualora (come è stato purtroppo documentato nella storia di alcuni regimi totalitari) anche questa confermi o permetta la violazione di diritti umani fon-damentali: in questi casi non è la coscienza etica dei professionisti a doversi opporre ad aberrazioni clamorose.

La bioetica e il suo metodo

Potremmo affermare quindi che l’etica precede (fornisce i princìpi fondanti, assieme a quelli giuridici), accompagna (offre i criteri interpre-tativi di un articolo codicistico ambiguo, vago, parziale, contraddittorio rispetto ad altri articoli) e segue (invita a ripensare e ad attualizzare) l’uso di un testo, che elenca i precetti compor-tamentali, cui gli operatori di una certa epoca devono attenersi.Che cos’è l’etica, per come l’abbiamo nomina-ta sinora, componendo ad esempio la parola “bioetica” (etica della vita, etica in biomedici-na)? Si propone la seguente definizione: la bioetica clinica è la giustificazione razionale delle valutazioni morali relative a casi, situa-zioni e problemi biomedici, con particolare riferimento alle criticità che sorgono al letto del malato. Si tratta di portare a fondo la do-manda sul perché viene presa una decisione in ambito sanitario. Generalmente infatti i giudizi e le azioni cliniche vengono motivati in base a regole comportamentali (fra cui quelle deontologiche), le quali a loro volta rimandano a princìpi (beneficenza, autonomia, giustizia, integrità), teorie e visioni del mondo. Questo breve contributo, come del resto ogni consu-lenza etica, vorrebbe aiutare chi percepisce un problema (sanitari, staff, istituzioni, associazio-ni) ad approfondire il proprio personale punto di vista (attraverso un dialogo non direttivo), fornendo strumenti concettuali e materiali di letteratura (articoli, riviste, testi di bioetica o narrativi) che consentano di percepire i pro e i contro di scelte problematiche e di inter-pretare, commentare e applicare gli enunciati giuridico-deontologici.I princìpi, che il gergo dell’etica biomedica ha adottato internazionalmente, sono quelli di autonomia (segui le preferenze del malato), be-neficenza (promuovi il suo benessere, rimuovi o previeni la malattia), non maleficenza (non arrecargli danno), giustizia (valuta la ricaduta sociale di una decisione presa al letto del ma-lato) e integrità morale della professione (esigi di essere rispettato nel tuo diritto di decidere in scienza e coscienza). Ove esista un conflitto fra questi princìpi, occorre da un lato prendere in considerazione tutti i fatti eticamente rilevanti che connotano il caso clinico e assegnare un

ordine di importanza ai princìpi, esplicitando le teorie etiche (o le visioni del mondo) di rife-rimento ultimo. Qualsiasi manuale di bioetica presenta le principali tradizioni morali (che si confrontano nella nostra società pluralistica) e specifica i passi da compiere per chiarire una questione interdisciplinare (ad es., metodo “seven steps”).

Due situazioni delicate: il consenso del malato e il giudizio sulla proporzionalità dei trattamenti

Il recente Codice italiano di Deontologia Me-dica (FNOMCeO, 2014) si apre con il Giura-mento (punto 6) “di perseguire con la persona assistita una relazione di cura fondata sulla fiducia e sul rispetto dei valori e dei diritti di ciascuno e su un’informazione, preliminare al consenso, comprensibile e completa”; lo stesso Codice dedica l’intero Titolo IV (gli articoli dal 33 al 39) al tema dell’“Informazione e comunicazione. Consenso e dissenso”. La logica etica sottostante è riassumibile come segue. Un’alleanza terapeutica fondata sulla fiducia si esprime, sostanzia, conferma e documenta in decisioni puntuali condivise. Il soggetto più debole (il malato, il profano) ha il diritto di esprimere il suo consenso o rifiuto a una proposta di cura. Perché tale consenso/dissenso sia valido, esso deve prevedere quattro elementi: un’adeguata offerta di in-formazioni, una comprensione soddisfacente delle stesse, una vera libertà di scelta, una capacità (competence) di assumere in proprio quella specifica decisione. Spetta al medico offrire alla persona assistita (o al suo valido rappresentante) un quadro esauriente su diagnosi, prognosi, alternative terapeutiche, rischi, effetti collaterali previsti ecc. Applicando di volta in volta con prudenza il principio etico dell’autonomia (che sancisce il diritto del malato di sapere e decidere) e quelli di beneficenza e non maleficenza (che invitano a promuovere salute e benessere del paziente), un professionista potrà affrontare alcuni problemi, legati alla doverosa applica-zione delle norme giuridico-deontologiche. Il primo: quanta verità comunicare e come farlo (dato che la completezza dell’informa-zione è per lo più irraggiungibile secondo gli standard conoscitivi propri della comunità medico-scientifica)? Una regola proposta (e che il lettore porrà a confronto con la propria esperienza clinica) invita a comunicare al soggetto tutta la verità che egli può e vuole far sua; il medico porrà cioè le condizioni relazionali affinché l’assistito possa venire a

conoscenza della verità, in un modo adatto a quello specifico malato (dal punto di vista culturale, cognitivo, emotivo), e possa assu-mere in modo maturo le decisioni, che ritiene personalmente significative. Il principio di giustizia va preso anch’esso in considera-zione quando l’offerta di informazioni secon-do vincoli di assoluta riservatezza potrebbe avere gravi conseguenze negative su terze persone (caso classico: il convivente ignaro di un soggetto infetto da HIV che intende celare la propria condizione anche al partner stabile, con cui abbia regolarmente rapporti sessuali non protetti). Gli articoli 10, 12 e 34 del Codice suggeriscono alcune avvertenze nel trattamento dei dati sensibili. Resta aperto il dibattito etico su quali siano le cosiddette “giuste” cause di rivelazione.Altro tema di frontiera è quello delle dichia-razioni anticipate di trattamento (definite in altri contesti “disposizioni” o “direttive” con inevitabili slittamenti di significato). Si tratta del diritto, espresso da malati (attuali o poten-ziali), di orientare anticipatamente le cure (ad es., rifiutando una terapia di sostegno vitale ritenuta eccessiva, “accanita”) in merito a situazioni in cui essi prevedono che potranno perdere coscienza o capacità decisionale. Il Codice ne parla in diversi articoli: 26, 36, 38, 39. “Il medico [afferma l’art 38] tiene conto delle dichiarazioni anticipate di trattamento espresse in forma scritta, sottoscritta e datata da parte di persona capace e successive a un’informazione medica di cui resta traccia documentale”. Sul piano bioetico, è stato e sarà discusso il caso in cui l’autodetermina-zione (anticipata) del paziente confligga con la coscienza di un sanitario, che ritenga (in base al principio di integrità morale della pro-fessione) di non poter aderire, ad esempio, a richieste (da parte del malato) di rinunciare a trattamenti salva-vita, da lui (medico) giudicati utili, non onerosi, o addirittura indispensabili e indifferibili [artt. 37 e 38] (quindi fondati sul principio di beneficenza). Anche a proposito di un altro tema, il Giura-mento chiama esplicitamente in causa la rifles-sione morale: “(giuro) di non intraprendere né insistere in procedure diagnostiche e interventi clinicamente inappropriati ed eticamente non proporzionati, senza mai abbandonare la cura del malato” (punto 5). In effetti agli articoli 16 e 39 del Codice si utilizza la nozione di “propor-zionato”. Ora, sul piano etico la proporzionalità delle cure implica che i benefici sperati siano maggiori dei rischi e degli svantaggi, conside-rati non solo in termini biomedici (l’appropria-tezza clinica e l’effettivo beneficio per la salute, di cui si parla all’art. 16), ma – in ultima analisi – dal punto di vista della persona sofferente,

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Curare e prendersi cura della persona: prospettive di comunicazione e relazione

tanto che (nelle condizioni di compromissione defi nitiva dello stato di coscienza, art. 39) il sostegno delle funzioni vitali risulta doveroso, fi nché “ritenut[o] proporzionat[o], tenendo conto delle dichiarazioni anticipate di trattamento”. È compito dell’analisi etica casistica il discerni-mento dei fattori del giudizio di proporzionalità e del signifi cato che di volta in volta rivestono

nell’itinerario biografi co di chi vive una stagione, magari terminale, di sofferenza.In questo, come in altri temi (l’enhancement, la medicina perfettiva o potenziativa) la bioetica clinica rimanda alle domande generali sugli scopi e sui limiti dell’attività sanitaria, nonché sulla loro coerenza intrinseca.

modulo 5

PER APPROFONDIRE

Beauchamp TL, Childress JF. Princìpi di etica biomedica.

Firenze, Le Lettere, 1999.

Cattorini PM. Bioetica clinica e consulenza fi losofi ca.

Milano, Apogeo, 2008.

Cattorini PM. Bioetica e cinema. Racconti di malattia

e dilemmi morali. Milano, Franco Angeli, 2.a ed. 2006.

Cattorini PM. Bioetica. Metodo ed elementi di base per

affrontare problemi clinici. Milano, Elsevier, 4.a ed.

2011.

Cattorini PM. Il desiderio di salute. Bioetica nella clinica,

nella società, nello sport. Torino, Ed. Camilliane,

2013.

FNOMCeO, Giuramento Professionale e Codice di

Deontologia Medica, Roma, maggio 2014.

Fucci S. Informazione e consenso nel rapporto medico-

paziente. Milano, Masson, 1996.

Santosuosso A. Corpo e libertà. Una storia tra diritto e

scienza. Milano, Cortina, 2001.

Tavani M, Picozzi M, Salvati G. Manuale di Deontologia

Medica. Milano, Giuffrè, 2007.

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Curare e prendersi cura della persona: prospettive di comunicazione e relazione

parole chiave

in pillole

modulo 6

“La fame è la fame, ma la fame che si soddisfa con carne cotta mangiata con coltello e forchetta è una fame diversa da quella che divora carne cruda aiutandosi con mani, unghie e denti. La produzione non produce perciò solo l’oggetto del consumo, ma anche il modo di consumo, essa produce non solo oggettivamente ma anche soggettivamente. La produ-zione crea quindi il consumatore, perché non fornisce solo un materiale al bisogno, ma anche un bisogno al materiale.”

(K. Marx, Per la critica dell’economia politica, 1985, p. 180)

Il web 1.0 era l’internet statico dei contenuti: i siti web erano semplici testi con scopo di con-sulenza e informazione, senza interazione fra utente e contenuto. È innegabile l’avanzare di un cambiamento con il web 2.0, internet dinamico: positivo per alcuni, negativo per altri, ma sempre di cambiamento si tratta. Qualcosa è cambiato sia nel modo di produrre informazioni sia in quello di consultarle; c’è chi parla già di web 3.0 (basato sulla semantica e sull’interpretazione del linguag-gio naturale). Il termine “web 2.0” è stato coniato nell’ottobre del 2004 da Dale Dougherty e Tim O’Reilly, ma la teorizzazione di questa nuova visione del web è ancora aperta e non manca di differenti definizioni e dibattiti. Il web per sua natura non ha mai smesso di crescere e di svilupparsi e il web 2.0 fa parte di questa crescita: può essere visto come il prodotto non finale degli ultimi 15 anni. Nella cosiddetta era web 2.0 è aumentato il nume-ro di persone raggiunte dalla banda larga e internet è uno strumento sempre più diffuso, alla portata delle masse. Nascono soluzioni web che permettono agli utenti un alto grado di libertà nella produzione dei contenuti; la gestione delle informazioni diventa un’opera-zione di pubblico dominio. Cresce la voglia (o il bisogno) di comunicare e di condividere il proprio pensiero e la propria personalità sulla rete attraverso le community.La definizione di web 2.0 data da Tim O’Reilly (nato nel 1954 a Cork, Irlanda, fondatore della O’Reilly Media, casa editrice internazionale specializzata nella divulgazione di testi a carat-tere tecnico/informatico, illustre sostenitore del software gratuito e dell’open source) è la se-guente: “Il Web 2.0 è la rete come piattaforma,

attraverso tutti i dispositivi collegati; le applica-zioni Web 2.0 sono quelle che permettono di ottenere la maggior parte dei vantaggi intrinseci della piattaforma, fornendo il software come un servizio in continuo aggiornamento che tanto più migliora quanto più le persone lo utilizzano, sfruttando e mescolando i dati da sorgenti mul-tiple, tra cui gli utenti, i quali forniscono i propri contenuti e servizi in un modo che permette il riutilizzo da parte di altri utenti, creando una serie di effetti attraverso una architettura della partecipazione e andando oltre la metafora delle pagine Web 1.0 per produrre così user experience più significative” (traduzione da Web 2.0: compact definition; 1 ottobre 2005).Da questa definizione possiamo estrarre alcuni concetti chiave:• la rete come piattaforma:• il software come servizio;• l’utilizzo dei dati da sorgenti multiple;• la produzione di contenuti da parte degli

utenti;• la partecipazione.

Punto cardine è l’acquisita centralità dell’utente nel processo di partecipazione alla crescita del web, attorno al quale ruotano tutti gli elementi innovativi della logica del web 2.0, come la col-laborazione e l’unione delle informazioni. L’utente riveste un ruolo da protagonista.

Strumenti dell’era web 2.0

• Social network: la versione informatica e virtuale di una rete sociale (un gruppo di persone legate tra loro da legami sociali di vario tipo, come conoscenza casuale, rapporti di lavoro, vincoli familiari o altro): Facebook, LinkedIn ecc.

• Blog: contrazione di web log, ovvero “trac-cia su rete”. È un sito web, gestito in modo autonomo, dove si tiene traccia (log) dei pensieri, quasi una sorta di diario personale, in cui però sono possibili la condivisione e l’interazione diretta con gli altri blogger.

• Wiki: sito web (o comunque una collezione di documenti ipertestuali) aggiornato dai suoi utilizzatori e i cui contenuti sono sviluppati in collaborazione da tutti coloro che vi hanno accesso: wikipedia.

• Tag: un tag (cioè etichetta, marcatore, iden-

La gestione del rapporto con il paziente nell’era web 2.0

Obiettivi del modulo:fornire al medico gli strumenti di comunicazione necessari a gestire una tipologia di paziente particolare, quale quello (male) informato dell’era 2.0.

Internet dinamico

Clutter

Paziente psicosomatico

Paziente nosofobo

ÂÂ Il web 2.0 introduce internet dinamico, ossia internet della partecipazione dell’utente.

ÂÂ Il corpo è l’unico linguaggio che il paziente psicosomatico conosce e che il medico deve ascoltare.

ÂÂ La paura di qualcosa che non si conosce rende la stessa più pericolosa e più incombente: al medico il compito di “chiarire”.

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modulo 1Curare e prendersi cura della persona: prospettive di comunicazione e relazione

tificatore) è una parola chiave o un termine associato a un’informazione (un’immagine, una mappa geografica, un post, un video clip ecc.) che descrive l’oggetto rendendo possibile la classificazione e la ricerca di

informazioni basata su parole chiave.• Social bookmarking: è un modo per con-

dividere con chiunque i propri link preferiti. • Widget: in informatica, nell’ambito della pro-

grammazione, è un componente grafico di

un’interfaccia utente di un programma, che ha lo scopo di facilitare all’utente l’interazione con il programma stesso.

• Mashup e webAPI: in informatica un mash-up è un sito o un’applicazione web di tipo

Esse est percipi: il paziente psicosomatico

Carlo è un uomo di 40 anni che lamenta forti dolori alla pancia, che si manifestano ogni sera dopo cena. Il medico ha già provveduto a eseguire uno screening accurato per escludere patologie di rilievo. Si presenta in ambulatorio con la moglie Piera, per l’ennesimo episodio diarroico.

Medico. Buongiorno Carlo, buongiorno signora. Sta ancora poco be-ne? Ha avuto altri episodi? [Il colloquio inizia con cortesia e interesse da parte del medico, che dimostra di ricordare il problema del paziente.]Piera. Ah sì dottore, non riusciamo a risolvere questa cosa, tutte le sere la stessa storia. [La moglie dice questo con tono quasi scocciato più che preoccupato, cercando subito di affidare al medico la soluzione di “questa cosa”, il che fa capire che non la considera un problema di salute, ma che verosimilmente è lì presente per chiedere a sua volta l’aiuto del medico perché la svincoli da questa situazione.] Carlo. In effetti dottore non riesco a capire cosa mi succede: è sicuro che gli esami che ho fatto siano sufficienti? Perché ho letto proprio ieri in un forum di un signore con i miei stessi sintomi che alla fine aveva il morbo di Crohn. [Il paziente inizia dichiarando la sua impotenza, ma recupera immediatamente insinuando il dubbio che l’impotenza sia della medicina o comunque del medico.]Piera. Sì, anche questa, ci mancava solo il morbo di Crohn. [Poi rivolgen-dosi al Dottore]: Due giorni fa era l’helicobacter, va di continuo su internet in cerca di verifiche. [La moglie evidenzia una profonda insofferenza, che in effetti potrebbe essere giustificata dal protrarsi della situazione.] Medico. Carlo lo sa che internet non l’aiuta né a capire quale sia il suo problema né a farlo capire a me. [Poi rivolto alla moglie]: Signora capisco la sua agitazione, ma ora occorre che Carlo mi spieghi nuo-vamente il tipo di dolore che prova e quando compare. Venga Carlo, si sdrai sul lettino che intanto la visito. [Il medico è molto incisivo nel sottolineare al paziente l’effetto confusivo di un’acquisizione disordi-nata di elementi, mentre empatizza con la moglie accogliendo il suo disagio. Contemporaneamente non trascura di dare importanza alle problematiche di Carlo, mettendo in atto un gesto di accudimento proponendogli di visitarlo nuovamente.]Carlo. [Stendendosi sul lettino]: Adesso non ho dolore, mi viene solo la sera dopo cena. [Sembra che il paziente si giustifichi per il fatto di non avere dolore in questo momento.]Medico. Quindi ieri sera ha avuto dolori? Secondo lei, come mai le vengono solo dopo cena, e non dopo pranzo ad esempio? Cosa aveva mangiato? [In modo molto delicato il medico suggerisce che il problema potrebbe non essere il mangiare, ma il contesto serale che scatena il sintomo.]Carlo. Non so dottore, forse perché sono stanco? Comunque le solite cose: un petto di pollo con patate e poi ho sgranocchiato qualche noce, poi quando c’è stato da mettere a letto i bambini sono dovuto correre al bagno. [Dalla risposta di Carlo sembra che il messaggio possa essere implicitamente arrivato. Parla della sua stanchezza e del contesto che la elicita.]Piera. Figurarsi, sta sempre male quando c’è da fare qualcosa. [Forse anche la moglie ha fatto un’associazione tra l’evitamento di Carlo e la richiesta di partecipazione a casa.]Medico. Signora mi sta dicendo che secondo lei i dolori di suo marito

sono una scusa per non aiutarla? Non lo credo. [Rivolgendosi anche a Carlo]: Penso però che l’ansia, che manifesta consultando ripetutamen-te internet, possa essere una modalità che aggrava profondamente la sua stanchezza, e per questo le proporrei di chiedere un parere a un mio collega e amico psicoterapeuta, mentre io continuerò a seguirla. Inoltre vorrei far presente a entrambi che la ricerca disordinata e con-tinuativa di informazioni dalla rete, oltre a essere confusiva in quanto i dati non sono verificati, è certamente improduttiva, poiché lei non può avere gli strumenti per collegarli. Lei si cimenterebbe a costruire la torre Eiffel con il meccano? [Ora il medico cambia il livello di comunicazione e metacomunica sulle affermazioni di Piera con l’intento di sostenerla emotivamente attraverso la sintonizzazione, ma nel contempo rinforza Carlo attraverso la conferma del suo malessere. Non si ferma però alla condivisione, ma propone un nuovo punto di vista rispetto ai sintomi (“…che aggrava profondamente la sua stanchezza…”). Chiude la visita in modo assertivo, sottolineando i danni dell’accumulo eccessivo di informazioni (clutter) attraverso internet e non trascura di concludere con un’acuta analogia, che ha la funzione di produrre consapevolezza.]

Il linguaggio della somatizzazioneIn questo colloquio il paziente comunica, attraverso l’espressione somatica, alcune sue difficoltà nella relazione familiare. La somatizza-zione va considerata non come una malattia, ma come un linguaggio, al pari del pianto del bambino. “I segni somatici ritraggono, ma qui sarebbe meglio dire presentano esattamente la maniera in cui il sofferente si considera malato. Si può quindi dire che, attraverso il simbolismo del proprio sintomo, il paziente presenti la propria autobio-grafia, fortemente concentrata” (Szasz, 1961). Il ricorso all’espressione corporea di queste persone ha, per la sua drammaticità, un forte effetto sugli individui ai quali è indirizzata, siano essi la moglie o il medico. Questo disperato richiamo dell’attenzione è l’unico linguaggio che il paziente ha per avvicinarsi agli altri, risvegliando in loro interesse e pietà (dal latino pietas: sentimento di affettuoso dolore e commossa e intensa partecipazione.).Il medico di fronte a tali richieste deve riconoscere, come avviene in questo dialogo, il bisogno di Carlo di essere visto attraverso i suoi sintomi. Allo stesso tempo deve considerare che tramite le informa-zioni raccolte dal web il paziente offre la prova della veridicità della sua condizione di malato. In tale difficile situazione al medico spetta il compito di ri-collocare le approssimative informazioni che il paziente ha raccolto da internet, facendogli capire attraverso rigorose nozioni scientifiche che lui in quanto medico ha e sa utilizzare, che quello che Carlo troverà in rete può essere verosimilmente il suo sintomo ma non è la sua patologia. In più, visto che il disturbo del paziente in origine serve a richiamare l’attenzione di chi è intorno a lui, il medico per essere efficace deve coinvolgere e sensibilizzare i familiari sul reale disagio che egli esprime attraverso la malattia.

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Curare e prendersi cura della persona: prospettive di comunicazione e relazionemodulo 6

ibrido, cioè tale da includere dinamicamente informazioni o contenuti provenienti da più fonti. Con Application Programming Interfa-ce (API, interfaccia di programmazione di un’applicazione), in informatica si indica ogni insieme di procedure disponibili al program-matore, di solito raggruppate a formare un set di strumenti specifici per l’espletamento di un determinato compito all’interno di un certo programma. Spesso con tale termine

si intendono le librerie software disponibili in un certo linguaggio di programmazione: Google maps, Amazon ecc.

Queste modalità di comunicazione web ampliate (e dinamiche) creano una condizione in cui la li-bera partecipazione degli utenti produce una rete sovraccarica di informazioni, a volte imprecise, alla quale essi possono attingere continuamente, rischiando il cosiddetto clutter, ossia un conge-

stionamento che confonde l’elaborazione dell’in-formazione stessa. L’utente rischia di trovarsi in un disordine di informazioni di scarsa utilità ed entro il quale da solo non può orientarsi. Di fronte a pazienti che si allineano a questa modalità esistenziale il medico deve essere preparato e sicuro e cercare di far comprendere quanto un approccio sommario a problemi così complessi come la salute non possa che essere inefficace quando non fortemente ansiogeno.

Il paziente nosofobo

Gianluigi è uomo di 38 anni che giunge in ambulatorio specialistico cardiologico con la madre Allegra, di 72 anni (la quale attende in sala d’attesa), in allarme perché, attraversando un periodo di stress e superlavoro, afferma di avere delle aritmie.

Gianluigi. Buonasera dottore, Gianluigi Ferzetti.Medico. Prego si accomodi. Mi dica, cosa l’ha portata qui da me?Gianluigi. Guardi dottore è un periodo molto stressante al lavoro, è più di un mese che non sto bene, ogni mattina mi sveglio con le palpi-tazioni, durante la giornata fatico a respirare, ogni tanto mi sembra di avere le gambe gonfie e mi sento spossato. Ho qui l’ecocardio, l’ECG sotto sforzo e gli esami del sangue, che dicono essere nella norma.Medico. Sì mi faccia vedere, mentre guardo mi dica: chi le ha detto che vanno bene? Gianluigi. Bhè, io ho guardato il referto, me ne intendo abbastanza, poi ho consultato internet e in più mia mamma era ostetrica, poi sono anche andato dal Prof. Rossi che è cugino di mia madre, un famoso primario di Milano, lo conoscerà.Medico. Sì, lo conosco. In effetti gli esami vanno bene e sono anche molto recenti, ma mi dica: perché lei è così preoccupato, ha familiarità con le cardiopatie?Gianluigi. No, ma ho letto su internet che le cardiopatie possono essere asintomatiche.Medico. In realtà non è proprio così, ma se anche fosse gli esami lo rileverebbero. Cosa le fa pensare realmente, al di là di internet che non è mai una buona fonte, di rischiare un problema cardiaco?Gianluigi. Le dico la verità dottore: io ho sempre paura di potermi ammalare, e quindi uso tutte le misure possibili per prevenirlo, forse sono ansioso? Mi sa che è colpa di mia madre, che mi ha sempre ossessionato con le malattie, per fortuna che c’è internet, così sono aggiornato. Inoltre il cugino di mia madre non mi ha dato molto affi-damento, perché non mi ha chiesto nulla, ha guardato solo gli esami e secondo me li ha guardati anche male.Medico. Signor Ferzetti, internet non la informa sulle “sue” malattie, ma su tutte le possibili malattie e certamente questo aumenta l’ansia che lei riconosce di avere. Le dispiace farmi vedere le gambe, se in questo momento pensa di averle gonfie?Gianluigi. Sì va bene, grazie.Medico. No vede, le sue gambe in questo momento non sono gonfie, non c’è edema, il calzino lascerebbe l’impronta. Lei in casa o al lavoro si trova a temperature elevate?Gianluigi. Sì dottore, ora che mi ci fa pensare, passo molte ore in ufficio e lì la temperatura è molto elevata. Potrebbe essere quello?!Medico. Bene, ora cerco di spiegarle, vedo che lei è una persona molto attenta e informata: dall’analisi che ho fatto alle sue gambe non c’è segno di ritenzione di liquidi, che potrebbe indicare un’insufficien-za cardiaca acuta, al contrario le sue caviglie sono particolarmente

asciutte. Con tutti i dati clinici che erano già stati analizzati dal mio collega e la visita di oggi, io escluderei una correlazione con problemi cardiaci. Mi verrebbe più facile pensare che la condizione di stress e superlavoro che lei mi ha illustrato precedentemente possa averle provocato da una parte un po’ di ansia, che potrebbe avere causato la sensazione di dispnea e le palpitazioni, dall’altra il senso di spos-satezza: le darò indicazioni per migliorare questa condizione. Come abbiamo precedentemente appurato le gambe non sono gonfie: nei casi in cui le si gonfino, verosimilmente è dovuto alla temperatura elevata in ufficio.Gianluigi. Dottore la ringrazio, ora mi sento più tranquillo. Posso contare su di lei in caso di bisogno?Medico. Certamente, sono qui per questo. Mi fa piacere esserle stato di aiuto.

Analisi di un colloquio ben fatto

Questo esempio di colloquio è evidentemente ben riuscito. Ci tro-viamo di fronte a un paziente che, contrariamente all’ipocondriaco, non teme di essere ammalato, ma di potersi ammalare. È un paziente che si premunisce contro le malattie più in auge del momento, ese-guendo visite a catena e informandosi in tutti i modi possibili; è chiaro che nell’era 2.0 le sue fonti di informazione sono tendenti all’infinito. Parliamo di soggetti che ingigantiscono problemi reali, essendo stati bambini ossessionati dai propri genitori. Essi nell’ingigantire i loro sintomi ingigantiscono anche le conseguenze che ne potrebbero derivare e le loro tecniche di prevenzione. Sono di conseguenza pazienti estremamente attenti all’alimentazione, alla pulizia, a evitare qualsiasi rischio di contagio. Adorano i libri di medicina, le riviste specializzate, studiano attentamente i prontuari dei farmaci.Dal medico si aspettano non di essere curati, ma di essere rassicurati, in quanto la cura confermerebbe la malattia che temono di contrar-re ma che non pensano realmente di avere. Sono però diffidenti sull’efficacia sia della medicina sia dei medici e tendono a curarsi da soli, a volte optando per terapie più dolci (ad es., omeopatia) che loro ritengono avere meno effetti collaterali. In questo caso il medico organizza perfettamente e tecnicamente le indicazioni che offre, dimostrando al paziente che la differenza tra caos (abuso di informazioni da internet) e complessità (gestione della conoscenza) è nella strutturazione delle informazioni, mostrandosi così preparato e attendibile, e permettendo al paziente di convincersi che non ha sviluppato la patologia che temeva.

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