2.1 generalità 2.2 obiettivi della sicurezza antincendio · figura 2.2 tipica evoluzione della...

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2 Sicurezza antincendio negli edifici 2.1 Generalità Il presente capitolo costituisce un’introduzione alla strategia globale per garantire la sicu- rezza antincendio degli edifici, e individua nella resistenza al fuoco e nelle prestazioni strutturali gli elementi fondamentali di tale strategia. 2.2 Obiettivi della sicurezza antincendio Lo scopo principale della protezione antincendio è di limitare, a livelli accettabili, la pro- babilità di morte, lesioni e danni materiali in un incendio fortuito. Il rapporto tra protezione della vita e protezione dei beni materiali varia da paese a pa- ese, in funzione del tipo di edificio e del suo contenuto. Le prime squadre di vigili del fuoco e le prime norme antincendio sorsero per iniziativa delle compagnie di assicurazio- ne, più interessate alla protezione dei beni che a quella delle vite umane, come di sicuro avvenne all’epoca del Grande Incendio di Londra nel 1666 (figura 2.1). Oggi le norme nazionali si stanno orientando verso una maggiore attenzione per la vi- ta umana che non per la difesa dei beni materiali. Molte norme si basano sul presupposto che i danni da incendio a un edificio siano un problema del proprietario o dell’assi- curatore dell’immobile, e che le norme, invece, debbano occuparsi soltanto dell’incolu- mità delle persone e della protezione dei beni altrui. Molti dispositivi di protezione antin- cendio, come gli impianti di nebulizzazione automatici, servono sia a proteggere la vita che i beni materiali. La distinzione tra difesa della vita e protezione dei beni diventa im- portante se la proprietà non è consapevole della probabile portata dei danni da incendio all’edificio e al suo contenuto, anche se la costruzione soddisfa i requisiti minimi specifi- cati dalle norme. 2.2.1 Difesa della vita L’obiettivo più comune per garantire la sopravvivenza è quello di assicurare adeguate vie di fuga. Per far ciò è necessario avvertire le persone della presenza di un incendio e fornire idonei percorsi di evacuazione, garantendo che siano liberi dal fuoco e dal fumo durante il raggiungimento di luoghi sicuri. In alcuni edifici è necessario garantire la sicurezza a per- sone incapaci di fuggire, come è il caso delle carceri, degli ospedali e dei luoghi di rifugio all’interno dell’edificio. Le persone negli edifici adiacenti devono essere anch’esse protet- te, e si devono adottare misure per la sicurezza delle squadre di soccorso, che entrano nell’edificio per prestare aiuto o domare l’incendio. 2.2.2 Protezione dei beni Tra gli obiettivi della protezione dei beni vi è quello della protezione della struttura dell’edificio e del suo contenuto. Tale protezione deve applicarsi anche agli edifici cir- costanti.

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Bozza 28 aprile 2009

2 Sicurezza antincendio negli edifici

2.1 Generalità Il presente capitolo costituisce un’introduzione alla strategia globale per garantire la sicu-rezza antincendio degli edifici, e individua nella resistenza al fuoco e nelle prestazioni strutturali gli elementi fondamentali di tale strategia.

2.2 Obiettivi della sicurezza antincendio Lo scopo principale della protezione antincendio è di limitare, a livelli accettabili, la pro-babilità di morte, lesioni e danni materiali in un incendio fortuito.

Il rapporto tra protezione della vita e protezione dei beni materiali varia da paese a pa-ese, in funzione del tipo di edificio e del suo contenuto. Le prime squadre di vigili del fuoco e le prime norme antincendio sorsero per iniziativa delle compagnie di assicurazio-ne, più interessate alla protezione dei beni che a quella delle vite umane, come di sicuro avvenne all’epoca del Grande Incendio di Londra nel 1666 (figura 2.1).

Oggi le norme nazionali si stanno orientando verso una maggiore attenzione per la vi-ta umana che non per la difesa dei beni materiali. Molte norme si basano sul presupposto che i danni da incendio a un edificio siano un problema del proprietario o dell’assi-curatore dell’immobile, e che le norme, invece, debbano occuparsi soltanto dell’incolu-mità delle persone e della protezione dei beni altrui. Molti dispositivi di protezione antin-cendio, come gli impianti di nebulizzazione automatici, servono sia a proteggere la vita che i beni materiali. La distinzione tra difesa della vita e protezione dei beni diventa im-portante se la proprietà non è consapevole della probabile portata dei danni da incendio all’edificio e al suo contenuto, anche se la costruzione soddisfa i requisiti minimi specifi-cati dalle norme.

2.2.1 Difesa della vita

L’obiettivo più comune per garantire la sopravvivenza è quello di assicurare adeguate vie di fuga. Per far ciò è necessario avvertire le persone della presenza di un incendio e fornire idonei percorsi di evacuazione, garantendo che siano liberi dal fuoco e dal fumo durante il raggiungimento di luoghi sicuri. In alcuni edifici è necessario garantire la sicurezza a per-sone incapaci di fuggire, come è il caso delle carceri, degli ospedali e dei luoghi di rifugio all’interno dell’edificio. Le persone negli edifici adiacenti devono essere anch’esse protet-te, e si devono adottare misure per la sicurezza delle squadre di soccorso, che entrano nell’edificio per prestare aiuto o domare l’incendio.

2.2.2 Protezione dei beni

Tra gli obiettivi della protezione dei beni vi è quello della protezione della struttura dell’edificio e del suo contenuto. Tale protezione deve applicarsi anche agli edifici cir-costanti.

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Figura 2.1 Il Grande Incendio di Londra del 1666 (www.jmccall.demon.co.uk/history/page2.htm).

Un ulteriore livello di protezione può essere necessario se è importante il rapido ripristino ed riutilizzo dell’immobile dopo l’incendio. In molti casi un obiettivo cruciale è quello di evitare la perdita di beni intangibili, quali la possibilità di svolgere un’attività oppure opere d’arte. Una perdita sproporzionata alla dimensione dell’incendio originale può avvenire se si verificano danni gravi a “servizi vitali”, quali la distribuzione di energia o le telecomuni-cazioni.

2.2.3 Protezione dell’ambiente

In molti paesi un ulteriore obiettivo è quello di limitare i danni ambientali in caso di incen-dio grave ed esteso. Le principali preoccupazioni riguardano le emissioni di inquinanti gas-sosi presenti nel fumo e l’inquinamento dell’acqua utilizzata per lo spegnimento dell’in-cendio, entrambi con potenziali effetti importanti sull’ambiente. Il modo migliore per evi-tare queste emissioni è riuscire a spegnere l’incendio nella fase iniziale.

Tutti gli obiettivi sopra descritti possono essere raggiunti se l’incendio è spento prima che si propaghi, il che può essere ottenuto facilmente con impianti automatici di nebuliz-zazione.

2.3 Processo di sviluppo dell’incendio La difesa dall’incendio è un obiettivo di solito raggiungibile attraverso una combinazione di sistemi di protezione dal fuoco, di tipo attivo e passivo. I sistemi attivi tengono sotto controllo gli incendi – o i loro effetti – tramite interventi svolti da persone o da dispositivi automatici. I sistemi passivi tengono sotto controllo gli incendi – o i loro effetti – tramite sistemi integrati nella struttura dell’edificio o nelle sue parti, senza richiedere particolari operazioni al momento dell’incendio. Preliminare alla definizione della tipologia degli im-pianti di protezione antincendio è la conoscenza delle varie fasi dello sviluppo completo di un incendio in un locale chiuso.

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Figura 2.2 Tipica evoluzione della temperatura in funzione del tempo durante lo sviluppo completo di un incendio.

La figura 2.2 mostra un tipico diagramma temperatura-tempo relativo allo sviluppo completo di un incendio all’interno di un ambiente normale, in assenza di dispositivi di estinzione dell’incendio e più in generale di servizi antincendio. Non tutti gli incendi e-volvono in questo modo poiché alcuni si estinguono precocemente e altri non raggiungo-no il flashover, soprattutto se il materiale combustibile è in ridotta quantità ed è isolato, o se non vi è aria sufficiente per permettere la continuità della combustione. Se un locale dispone di finestre molto grandi, la trasmissione del calore all’esterno è tale da non per-mettere il raggiungimento del flashover.

La tabella 2.1 riporta una sintesi delle principali fasi dello sviluppo di un incendio, in-dicate nella figura 2.2. La breve trattazione che segue si riferisce alla figura 2.2 e alla ta-bella 2.1, come introduzione alla presentazione delle strategie antincendio riportate nel seguito di questo capitolo, ed alla descrizione del comportamento dell’incendio del capi-tolo successivo.

Tabella 2.1 Sintesi delle fasi dello sviluppo di un incendio tipico.

Fase iniziale Fase di crescita Fase di combustione stabilizzata

Fase di esau-rimento

Comporta-mento dell’incendio

Riscaldamento del combusti-bile

Combustione controllata dal combustibile

Combustione con-trollata dalla ventila-zione

Combustione controllata dal combustibile

Comporta-mento umano

Prevenzione dell’accensione

Spegnimento a mano, fuga Morte

Rilevamento Rilevatori di fumo

Rilevatori di fumo, rileva-tori di temperatura

Fumo e fiamme all’esterno

Controllo attivo

Prevenzione dell’accensione

Spegnimento ad opera dei nebulizzatori o delle squa-dre antincendio; controllo del fumo

Controllo ad opera delle squadre antincendio

Controllo pas-sivo

Scelta di materiali incom-bustibili ed impervi alla propagazione delle fiamme

Scelta di materiali resistenti all’alta temperatura; adozione di strutture atte a contenere l’incendio; progetta-zione tale da evitare collassi struttu-rali ad alta temperatura

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2.3.1 Evoluzione dell’incendio Nella fase incipiente dello sviluppo di un incendio, ha luogo il riscaldamento del potenzia-le materiale combustibile. L’accensione costituisce l’inizio della combustione con fiamma, che segna la transizione alla fase di propagazione. Durante questa fase, la maggior parte degli incendi si propaga lentamente, dapprima alle superfici combustibili, poi più rapida-mente man mano che la temperatura aumenta, riscaldando i restanti elementi combustibili grazie all’irraggiamento da parte delle fiamme e dei gas caldi. Se le temperature degli strati superficiali raggiungono circa 600°C, la velocità di combustione aumenta rapidamente, portando al flashover (divampamento generalizzato) che costituisce la transizione alla fase di combustione stabilizzata (spesso chiamata “coinvolgimento totale del locale” o “fuoco completamente sviluppato”).

La velocità di combustione durante la fase di crescita è in generale funzione della natura delle superfici combustibili che bruciano, mentre durante la fase di combustione stabilizzata le temperature e il flusso di calore radiante all’interno del locale sono così grandi che tutte le superfici esposte bruciano e la potenza termica emessa è di solito funzione della ventilazio-ne disponibile. In un incendio, è la fase di combustione stabilizzata ad avere il maggior ef-fetto sugli elementi strutturali e sulle parti circostanti il locale. Se il fuoco è lasciato ardere, alla fine i materiali combustibili si esauriscono e le temperature scendono rapidamente du-rante la fase di esaurimento, in cui la velocità di combustione ritorna ad essere più una fun-zione del materiale combustibile residuo che della ventilazione.

2.3.2 Comportamento umano Le persone presenti nel locale dove si origina l’incendio possono vedere o acquisire con l’olfatto i segni del potenziale incendio durante la fase incipiente, quando il materiale combustibile si sta riscaldando per effetto di qualche fonte di calore. Molti incendi sono estinti immediatamente dalle persone presenti nell’edificio, che evitano il verificarsi di fe-nomeni di accensione, rimuovendo il materiale combustibile o eliminando la fonte di un eventuale innesco di fiamme. Dopo l’accensione, l’incendio diventa più evidente, dando agli occupanti, se svegli ed in grado di muoversi, la possibilità di spegnimento delle fiam-me, mentre esse sono ancora contenute. Una volta che l’incendio sia cresciuto fino a coin-volgere – ad esempio - un intero mobile, le fiamme non possono essere spente a mano, ma gli occupanti, se sono in grado di farlo, devono fuggire, a condizione che il fumo non abbia bloccato le vie d’uscita. Nell’incendio di un locale, già durante il periodo di crescita la si-tuazione si fa pericolosa per l’incolumità delle persone ma, dopo il flashover, la sopravvi-venza non è più possibile a causa delle condizioni estreme di calore, temperatura e gas tos-sici. Le persone che si trovano in altre parti dell’edificio possono non venire a conoscenza dell’incendio finché esso non abbia assunto vaste proporzioni, portando a situazioni di ri-schio (figura 2.3). Allo scopo di garantire la sopravvivenza nel caso di un incendio, è es-senziale una tempestiva rilevazione, in modo che gli occupanti siano avvertiti in tempo uti-le per poter usare le vie di fuga e riuscire a raggiungere un luogo sicuro prima che le con-dizioni ambientali diventino intollerabili. Il manuale SFPE (SFPE, 1995) fornisce ulteriori informazioni sul comportamento umano e sui limiti di tollerabilità.

2.3.3 Rilevamento dell’incendio Durante la fase incipiente di un incendio, il rilevamento da parte delle persone è possibile mediante la vista e l’olfatto. Il rilevamento automatico prima che le fiamme diventino evi-denti è possibile se sono installati rilevatori di fumo, il che è previsto di solito solo in parti-

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colari edifici contenenti beni di valore o finalizzati all’accoglimento di grandi masse (al-berghi, grandi magazzini, stazioni aeree e ferroviarie).

Dopo l’accensione, un incendio in crescita può essere rilevato dagli occupanti o da un ri-levatore di fumo o di temperatura, di solito collocato sul soffitto. I rilevatori di fumo sono più sensibili dei rilevatori di temperatura, soprattutto per incendi con molto fumo ma poco fuoco (per es. incendi di materassi). Gli impianti di nebulizzazione automatici sono azionati da di-spositivi di rilevamento della temperatura. Dopo il flashover, i vicini sono in grado di rilevare il fumo e le fiamme che escono dalle finestre o da altre aperture del compartimento sede dell’incendio.

Figura 2.3 Rogo in un albergo ove, a causa del fumo, morirono 84 persone non direttamente espo-ste all’incendio [Hotel MGM di Las Vegas, 1980] (Coakley et al., 1982).

2.3.4 Controllo attivo Con controllo attivo si intende il controllo dell’incendio mediante interventi effettuati da persone o dispositivi automatici. Il tipo migliore di protezione antincendio attiva è costi-tuito dall’impianto di nebulizzazione automatico che spruzzi acqua sulla zona del locale posta sotto il sensore dello spruzzatore. Un impianto di nebulizzazione è in grado di spe-gnere la maggior parte degli incendi e comunque di impedirne la crescita. Per essere utile, un impianto di nebulizzazione deve intervenire tempestivamente in caso d’incendio, poi-ché il sistema di approvvigionamento idrico è progettato per spegnere solo incendi di una certa dimensione e non può spegnere incendi molto estesi e fuori controllo.

Il controllo attivo del fumo richiede il funzionamento di ventilatori o di altri dispositi-vi per eliminare il fumo da alcune zone predeterminate o per pressurizzare i vani-scala. Il controllo attivo del fumo può richiedere anche sistemi sofisticati in grado di garantire che il fumo e i prodotti tossici siano allontanati dall’edificio e non circolino verso zone altri-menti sicure.

Le persone presenti in un immobile possono evitare fenomeni d’accensione o spegne-re incendi molto piccoli. I vigili del fuoco possono attivamente controllare o spegnere un incendio già sviluppato, purché arrivino prima che esso abbia assunto dimensioni ecces-sive. Il tempo è un fattore critico, poiché le operazioni di rilevamento, segnalazione ai vi-gili del fuoco, arrivo di questi sul luogo dell’incendio, localizzazione dell’incendio

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nell’edificio e approntamento dei rifornimenti idrici richiedono tempi tecnici non com-primibili al di sotto di certi limiti. Se, come spesso accade, i vigili del fuoco dispongono di acqua insufficiente per spegnere un grande incendio nella fase di post-flashover, essi possono tuttavia tenere sotto controllo le fiamme, evitandone un’ulteriore propagazione e provvedendo poi al loro spegnimento durante il periodo di esaurimento.

2.3.5 Controllo passivo Con il termine di controllo passivo si intende il controllo di un incendio mediante sistemi integrati nella struttura dell’edificio o nelle sue parti, senza richiedere l’intervento di per-sone o impianti automatici. Per gli incendi nella fase di pre-flashover, il controllo passivo comprende la scelta di materiali adatti per arredamenti e rivestimenti interni, che siano in-combustibili o che comunque non favoriscano una rapida diffusione delle fiamme nel pe-riodo di crescita dell’incendio. Durante la fase di post-flashover, il controllo passivo è for-nito dalle strutture e dagli infissi, che devono presentare resistenza al fuoco tale da evitare sia la propagazione delle fiamme, che il collasso strutturale.

2.4 Concezione del sistema si sicurezza antincendio Le norme antincendio per le costruzioni variano da paese a paese. In presenza di norme di tipo prescrittivo, i progettisti hanno poca libertà di scelta, dovendo seguire una serie di re-gole. Con le più moderne norme di tipo prestazionale, i progettisti hanno una libertà vir-tualmente illimitata di progettare soluzioni innovative per i problemi della sicurezza antin-cendio, a condizione di poterne dimostrare l’efficacia alle autorità preposte alla certifica-zione. Qualsiasi tipo di norma si utilizzi, la progettazione per la sicurezza antincendio do-vrà prevedere la riduzione della probabilità di accensione, il controllo della propagazione delle fiamme e del fumo, la predisposizione delle vie di fuga per gli occupanti e delle vie di accesso per le squadre dei vigili del fuoco, ed infine la prevenzione del collasso struttu-rale. A causa del gran numero di variabili interagenti, risulta difficile dimostrare l’efficacia di un progetto antincendio se non si dispone di uno schema concettuale. Nel seguito è ri-portata brevemente una serie di tali schemi. Anche un semplice elenco delle operazioni ne-cessarie per la sicurezza antincendio e la protezione dal fuoco può essere di notevole aiuto per inquadrare l’intero problema (Buchanan, 2001; ISO, 1998).

2.4.1 Analisi dello scenario di incendio Il primo passo del progetto all’incendio è costituito dall’analisi dello scenario, in cui si analizza un certo numero di situazioni previste nella “peggiore delle ipotesi”. In ogni sce-nario, la probabile crescita e propagazione delle fiamme e del fumo sono correlate alla col-locazione ed agli spostamenti degli occupanti, prendendo in considerazione tutti gli aspetti di protezione antincendio di tipo attivo e passivo, ed il comportamento strutturale, per sta-bilire se siano stati soddisfatti i requisiti prestazionali. Un diagramma di flusso dell’analisi dello scenario è riportato nella figura 2.4. Questo tipo di analisi è spesso utilizzato come base per la progettazione contro il rischio d’incendio (Buchanan, 2001, FCRC, 1996).

Per evidenziare le ipotesi peggiori e ottimizzare il progetto, nell’ambito degli scenari selezionati, occorre porsi domande del tipo “Che succede se …?”. Un altro metodo più sistematico è quello di effettuare l’analisi delle modalità e degli effetti degli eventuali malfunzionamenti (FEMA) dell’intero sistema di sicurezza antincendio o di un suo com-ponente particolare (Custer e Meacham, 1997).

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Figura 2.4 Diagramma di flusso dell’analisi dello scenario (riproduzione da Buchanan, 2001, auto-rizzata dal Centre for Advanced Engineering).

2.4.2 Valutazione quantitativa del rischio

In qualsiasi studio sulla sicurezza, al fine di rispondere alla domanda “Quale è il livello di sicurezza …?” occorre fare delle valutazioni quantitative. La valutazione quantitativa del rischio è una disciplina in rapido sviluppo che si applica sempre più alla sicurezza antin-cendio. Tuttavia, la comune progettazione basata sulle prestazioni non quantifica il livello di sicurezza.

L’analisi del rischio può essere basata su dati storici esistenti per il tipo di edificio in questione, ma tali dati sono in generale estremamente limitati. La sicurezza può essere anche quantificata analizzando la concatenazione dei malfunzionamenti o degli eventi che

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portano allo sviluppo di un incendio (analisi attraverso l’albero dei guasti – fault tree a-nalysis e l’albero degli eventi - event tree analysis), ma tale analisi richiede un notevole numero di dati preliminari. Un elenco dei metodi di valutazione del rischio per la sicurez-za antincendio è fornito da Watts (1997).

Oggi sono in fase di sviluppo programmi di calcolo per la valutazione del rischio d’incendio, in grado di effettuare calcoli probabilistici basati sulle analisi di scenario so-pra descritte, allo scopo di quantificare le perdite complessive dovute all’incendio ed il rischio di perdite umane (Beck e Yung, 1994). Tali programmi sono più utili per la ricer-ca e per la preparazione delle norme che per la progettazione.

In assenza di metodi semplici di progettazione di tipo probabilistico, la maggior parte dei calcoli di progetto viene svolta in maniera deterministica, con l’applicazione di oppor-tuni fattori di sicurezza per garantire il richiesto livello di sicurezza. I progettisti struttura-li hanno notevole familiarità con questo processo, dove le norme di progettazione forni-scono fattori di sicurezza parziali per i carichi applicati e per la resistenza dei materiali. Tali fattori sono tarati in modo tale che il processo deterministico di progettazione forni-sca un sufficiente livello di sicurezza.

La determinazione di idonei fattori di sicurezza per la progettazione antincendio è an-cora ai primi passi, cosicché si possono presentare molti casi in cui è richiesto un notevo-le grado di esperienza professionale da parte del progettista antincendio e di conseguenza dell’autorità di certificazione.

2.4.3 Schema dei principi di sicurezza antincendio

Per la valutazione della sicurezza contro gli incendi, molto utile è lo schema dei principi per la sicurezza antincendio sviluppato dalla National Fire Protection Association (NFPA, 1997). La figura 2.5 mostra una rielaborazione sintetica di questo schema. I paragrafi che seguono forniscono una breve spiegazione dello schema, come guida per stabilire l’importanza relativa delle varie fasi di una strategia per la sicurezza antincendio.

Prevenzione e gestione La seconda riga dello schema di figura 2.5 afferma un’ovvietà: la gestione dell’incendio non è necessaria se si è in grado di prevenire l’accensione, ma - in caso contrario - gli effetti dell’incendio vanno gestiti. Nella realtà, potranno sempre verificarsi accensioni impreviste, ma la loro probabilità può essere ridotta con opportuni piani di prevenzione degli incendi.

Sempre più numerosi sono però gli incendi dolosi, il cui comportamento non è facil-mente prevedibile in fase di progettazione. Se non diversamente indicato, lo schema mo-stra strategie alternative, in cui gli obiettivi su una riga possono essere soddisfatti da uno qualunque degli elementi della riga successiva.

Gestione degli effetti dell’incendio La terza riga indica che la gestione degli effetti di un incendio è possibile intervenendo sull’incendio stesso o sulle persone e i beni a rischio.

Gestione delle persone e dei beni esposti all’incendio La quarta riga indica che le persone e i beni esposti all’incendio possono essere gestiti al-lontanandoli dall’edificio o proteggendoli sul posto. La normale strategia è quella di far allontanare le persone, a meno che esse non si trovino nell’incapacità o impossibilità di far-lo. Una strategia intermedia per gli edifici di grandi dimensioni è quella di spostare le per-sone in un luogo sicuro all’interno dell’edificio stesso. La maggior parte dei beni va invece protetta sul posto.

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Figura 2.5 Schema dei principi di sicurezza antincendio (rielaborato sulla base di

una pubblicazione NFPA, 1997).

Per evacuare le persone, occorre innanzitutto rilevare l’incendio, poi avvertire gli inte-ressati e, infine, garantire idonee vie di fuga (5a riga). La lettera “E” indica che per rag-giungere l’obiettivo è richiesto il successo in entrambe le caselle. Comportamenti umani e

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progettazione delle vie di fuga esulano dallo scopo di questo libro; per ulteriori informa-zioni, si rimanda al manuale SFPE (SFPE, 1995).

Controllo dell’incendio La 6a riga indica tre tipi di azione per la gestione di un incendio. Nel primo caso occorre controllare la fonte combustibile, limitando la geometria o la dimensione dell’incendio. Per esempio, si potrebbe limitare la quantità di materiale combustibile immagazzinato in un ambiente. La seconda opzione è quella di estinguere l’incendio e la terza quella di tenerlo sotto controllo attraverso idonei accorgimenti costruttivi.

L’estinzione dell’incendio è un argomento molto vasto, la cui trattazione esula dallo scopo del presente volume, ma come indicato alla 7a riga l’estinzione può essere automa-tica o manuale. In entrambi i casi, l’estinzione dipende da una precoce rilevazione dell’in-cendio e dall’erogazione di sufficienti quantità di materiale estinguente, di solito acqua.

Controllo attraverso misure costruttive Tenere sotto controllo un incendio attraverso idonee misure costruttive costituisce l’oggetto del presente volume. L’8a riga dello schema indica che, allo scopo di controllare l’incendio attraverso opportune caratteristiche costruttive, è necessario sia controllare la velocità di propagazione dell’incendio sia garantire la stabilità strutturale. La casella di si-nistra sulla 8a riga indica che la crescita dell’incendio e la sua gravità possono essere con-trollate limitando il materiale combustibile presente nei rivestimenti dei locali. Questa ca-sella è collegata con linee tratteggiate poiché, a rigore, dovrebbe essere un sottoassieme del controllo del materiale combustibile della 6a riga, ma è stata posta sulla 8a riga, poiché la selezione e l’installazione dei rivestimenti fanno parte del processo costruttivo, anziché es-sere un problema di gestione dell’edificio.

Garanzia della stabilità strutturale La garanzia della stabilità strutturale è essenziale se l’edificio deve conservarsi durante l’incendio, per uso successivo. La stabilità strutturale è essenziale anche per proteggere persone e beni posti nell’edificio al momento dell’incendio. Alcuni elementi come pareti e solette hanno non solo una funzione portante, ma anche di separazione degli ambienti. Al-tri elementi costruttivi, come travi e colonne, hanno solo una funzione portante. Nei capito-li successivi viene trattata la stabilità strutturale in presenza d’incendio.

Controllo della propagazione dell’incendio Le due strategie per controllare la propagazione di un incendio sono quelle di limitare le fiamme o di farle sfogare all’esterno (9a riga). Far sfogare le fiamme costituisce un’utile strategia per ridurre gli effetti dell’incendio, soprattutto negli edifici a un piano (o all’ultimo piano di edifici più elevati). Lo sfogo può avvenire mediante un sistema attivo di sfiati azionati meccanicamente o un sistema passivo basato sulla fusione dei lucernari di plastica. In entrambi i casi, l’aumentata ventilazione può accrescere la gravità locale dell’incendio, pur riducendo la propagazione delle fiamme all’interno dell’edificio e gli effetti termici globali sulla struttura.

Il contenimento di un incendio per evitarne la propagazione è lo strumento principale di protezione passiva dagli incendi. Le pareti e le solette della maggior parte degli edifici hanno sufficiente resistenza al fuoco, potendo contenere qualsiasi incendio sviluppatosi all’interno di un locale attiguo. Ciò è in accordo con la strategia antincendio, in quanto la prima regola è evitare che l’incendio assuma grandi dimensioni. Occorre inoltre evitare che l’incendio si propaghi per irraggiamento agli edifici circostanti, limitando la dimen-sione delle aperture nelle pareti esterne.

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La propagazione del fumo può essere anch’essa controllata mediante dispositivi di sfiato o contenimento. L’evacuazione del fumo costituisce un’importante strategia in caso di incendi le cui dimensioni siano state limitate dagli impianti di nebulizzazione automa-tici. Per contenere la propagazione dei fumi, si possono utilizzare sia la pressurizzazione che le barriere antifumo (Buchanan, 2001; Klote e Milke, 1992).

2.5 Resistenza al fuoco Come affermato in precedenza, gli obiettivi della sicurezza antincendio sono di solito rag-giunti attraverso una combinazione di sistemi di protezione antincendio attivi e passivi. I sistemi attivi tengono sotto controllo l’incendio o i suoi effetti attraverso l’intervento di persone o di dispositivi automatici. I sistemi passivi tengono sotto controllo l’incendio o i suoi effetti mediante apparati integrati nella struttura o nelle parti dell’edificio, senza ri-chiedere interventi specifici al momento dell’incendio. La componente più importante del-la protezione antincendio di tipo passivo è la resistenza al fuoco delle strutture portanti e portate, che vanno progettate in modo da impedire la propagazione dell’incendio ed il con-seguente collasso strutturale.

2.5.1 Obiettivi della resistenza al fuoco

Gli obiettivi per garantire la resistenza al fuoco devono essere stabiliti prima di effettuare qualsiasi progetto, sapendo che la resistenza al fuoco è solo una componente della strategia globale della sicurezza antincendio. Gli elementi strutturali possono essere dotati di resi-stenza al fuoco per il controllo della propagazione dell’incendio o per la prevenzione del collasso strutturale o per entrambi, in base alla loro funzione (figura 2.6). L’esame dei re-quisiti richiesti da varie norme di tipo prestazionale, in uso o in bozza (BCA, 1996; BIA, 1992; NKB, 1994), indica un approccio metodologico simile per la resistenza al fuoco. Nel seguito sono elencati gli obiettivi da perseguire per garantire la resistenza al fuoco:

– Per evitare la propagazione dell’incendio all’interno di un edificio, occorre divider-lo in “compartimenti d’incendio” o “celle di fuoco”, con pareti tagliafuoco, che evi-tino la diffusione del fuoco per il tempo d’incendio di progetto. Tra le molte ragioni che giustificano la suddivisione in compartimenti vi sono l’aumento del tempo di-sponibile per la fuga, la limitazione dell’area interessata da eventuali perdite umane e di beni, la riduzione degli effetti dell’incendio sulla struttura, la localizzazione dell’incendio (con localizzazione dei rischi, ed isolamento e protezione delle vie di fuga). Le separazioni sono di solito costituite da solette o pareti.

– Per ridurre la probabilità di propagazione dell’incendio ad altri edifici, le pareti con-finarie devono possedere una resistenza al fuoco sufficiente per rimanere in posi-zione e contenere l’incendio per il tempo d’incendio di progetto.

– Per evitare il collasso strutturale, gli elementi portanti devono essere dotati di resi-stenza al fuoco sufficiente per mantenere la propria stabilità per il tempo d’incendio di progetto. La prevenzione del collasso è fondamentale per gli elementi portanti e per quelli che sono contemporaneamente portanti e separatori (cioè destinati a con-tenere l’incendio).

– Per proteggere persone o beni in altre zone dell’edificio, e comunque per garantire la riparabilità dell’edificio dopo l’incendio, è fondamentale la prevenzione del col-lasso strutturale.

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2.5.2 Tempo d’incendio di progetto

Non è possibile definire a priori il termine tempo d’incendio di progetto, in quanto il pro-gettista lo dovrà individuare sulla base di vari, possibili tempi nel seguito indicati, in fun-zione dell’importanza dell’edificio, delle esigenze del proprietario e delle conseguenze sia dell’eventuale collasso strutturale, che della propagazione dell’incendio:

a) tempo richiesto dagli occupanti per allontanarsi dall’edificio, b) tempo richiesto dai vigili del fuoco per svolgere le attività di soccorso, c) tempo richiesto dai vigili del fuoco per circoscrivere e contenere l’incendio, d) tempo di estinzione del fuoco nel compartimento sede dell’incendio senza alcun ti-

po d’intervento.

Figura 2.6(a) Grave incendio in un magazzino di materiali espansi. Si noti che l’incendio non si è

propagato alla zona degli uffici all’estremità sinistra dell’edificio.

Figura 2.6(b) Travi in acciaio collassate e muratura in calcestruzzo danneggiata dopo l’incendio.

Tutto il materiale combustibile e i travetti in legno del tetto sono completamente bruciati.

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Figura 2.6(c) Vista della parete con telaio leggero in legno posta tra il magazzino e la zona uffici. Il cartongesso sul lato incendio è stato tolto dai vigili del fuoco, mentre quello sul lato freddo non è

stato danneggiato. L’incendio non si è propagato agli uffici.

Nei vari paesi, le norme utilizzano questi tempi in modi diversi a seconda del contenu-to degli edifici. Molti edifici ad un piano di piccole dimensioni vanno progettati in modo da proteggere le vie di fuga e da resistere per un tempo sufficiente a consentire la fuga degli occupanti (tempo 1), dopo il quale l’incendio distruggerà l’edificio.

Gli edifici molto alti o quelli in cui le persone non possono fuggire dovrebbero essere progettati in modo da evitare un’estesa propagazione del fuoco ed il collasso strutturale dovuto all’incendio in uno o più compartimenti (tempo 4). I tempi 2 e 3 sono intermedi e vanno considerati per edifici di medie dimensioni, al fine di garantire, rispettivamente, la sopravvivenza delle persone e la protezione dei beni.

Occorre osservare che prevedere un’elevata resistenza strutturale all’incendio può es-sere essenziale o irrilevante oppure di maggiore o minore rilevanza (Almand, 1989). In certi casi (evacuazione lenta od impossibile delle persone; edifici di grande valore o con-tenenti beni di grande valore) la struttura acquista un ruolo preponderante nella sicurezza all’incendio, di modo che il suo collasso non è accettabile anche nel caso del peggior in-cendio prevedibile. In altri casi (possibilità di evacuazione agevole delle persone; edifici di poco valore; impossibilità per l’incendio di propagarsi alle proprietà vicine) la struttura non gioca nessun ruolo in termini di sicurezza all’incendio, ed il collasso è accettabile, perché la sua tempistica non interferisce con quella dell’evacuazione.

La progettazione mirante all’estinzione spontanea in un compartimento d’incendio rappresenta un approccio conservativo adatto a molte situazioni, tant’è che varie norme attuali impongono la progettazione di alcuni tipi di edificio prevedendo l’estinzione spon-tanea di un eventuale incendio. In questo testo si riportano alcuni metodi di progettazione utilizzabili per il calcolo della resistenza strutturale al fuoco in caso di estinzione sponta-nea completa o parziale, ovvero con l’intervento delle squadre antincendio o dei sistemi di spegnimento automatici.

Il tempo d’incendio di progetto deve essere definito con attenzione, poiché non è ne-cessariamente uguale al tempo di resistenza al fuoco specificato dalle norme per le co-struzioni o misurato in prove di resistenza al fuoco. Il tempo d’incendio di progetto com-prende il tempo di accensione, crescita e propagazione del fuoco prima del flashover, e deve includere un fattore di sicurezza che tenga conto del numero delle persone

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nell’edificio, della dimensione dell’edificio stesso e delle possibili conseguenze di una sua perdita. Schleich (1996) propone fattori di sicurezza che vanno da 1,0 per piccoli edi-fici monopiano fino a 2,5 per grandi edifici multipiano.

2.5.3 Provvedimenti di compensazione

Una delle maggiori difficoltà nella valutazione della sicurezza antincendio sta nell’ap-purare fino a che punto la maggiore/minore efficacia di una modalità di protezione antin-cendio possa essere compensata dalla minore/maggiore efficacia di un’altra modalità di protezione (trade-off). Per esempio, alcune norme di tipo prescrittivo permettono la ridu-zione dei valori di resistenza al fuoco oppure l’aumento delle aree dei compartimenti sede di incendio, se è presente un sistema di nebulizzazione automatico; analogamente, sono permesse vie di fuga più lunghe in presenza di rilevatori di fumo o di temperatura, oppure di nebulizzatori. Questi tipi di scambio o di compensazione non si applicano in un ambien-te il cui progetto sia esclusivamente basato sulle prestazioni, poiché in tal caso il progetti-sta fornirà un pacchetto completo di disposizioni antincendio, tale da assicurare il livello richiesto di sicurezza.

Tuttavia, nella pratica la maggior parte dei progetti è almeno in parte basata su norme di tipo prescrittivo, cosicché è spesso necessario ricorrere a questo genere di scambi, che però a volte sono difficili da accettare, soprattutto se riguardano la riduzione della resisten-za al fuoco in presenza di impianti di nebulizzazione automatici. In linea di principio, se fosse possibile affidarsi con assoluta certezza a un impianto di spegnimento automatico per il controllo dell’incendio, non sarebbe necessaria alcuna resistenza al fuoco o protezione antincendio di tipo passivo. In realtà, nessun sistema è efficace al 100%, cosicché il pro-blema è decidere quale resistenza al fuoco debba essere garantita nella remota possibilità che l’impianto di spegnimento non riesca a funzionare o a tenere sotto controllo l’incendio. Per esempio, si potrebbe sostenere che, qualora l’impianto di estinzione non funzionasse per mancanza di acqua (a causa di un terremoto), l’incendio avrebbe la stessa gravità che in caso di mancanza di impianto di estinzione, cosicché non sarebbe ammissibile compen-sare la minor resistenza passiva al fuoco con la presenza dei nebulizzatori.

Nessuna norma nazionale prevede una compensazione totale con i nebulizzatori, ma molte norme permettono una compensazione parziale, in quanto la presenza dei nebuliz-zatori riduce fortemente la probabilità che l’incendio diventi incontrollabile. La giustifi-cazione quantitativa di compensazioni parziali non è facile, ma si possono addurre due argomentazioni di tipo probabilistico:

(1) Molte norme nazionali prevedono una riduzione del 50% della resistenza al fuoco degli elementi strutturali se l’edificio è dotato di impianto di nebulizzazione. Una possibile giustificazione di questa scelta si basa su considerazioni di sicurezza. Se, per esempio, la resistenza al fuoco normalmente indicata per ottenere l’estinzione spontanea dell’incendio nel compartimento di un edificio privo di nebulizzazione ha livello intrin-seco di sicurezza pari a 2,0, nell’improbabile eventualità di un incendio e di un guasto ai nebulizzatori, quel livello di sicurezza potrebbe essere ridotto sino a 1,0, da cui il 50% di riduzione. Tale giustificazione vale però solo se le resistenze al fuoco previste per edifici privi di nebulizzatori sono piuttosto conservative.

(2) Gli Eurocodici (EC1, 1994) prevedono che nel calcolo della resistenza al fuoco in un edificio dotato di nebulizzatori il carico di incendio (= combustibile presente nel com-partimento) sia considerato pari al 60% del carico d’incendio di progetto. Questo modo

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di procedere è giustificabile in quanto il guasto dei nebulizzatori è talmente improbabi-le da far ritenere che il carico di materiale combustibile da prendere in conto debba es-sere quello più probabile nelle normali condizioni d’uso invece del ben maggiore carico corrispondente al frattile 90% della distribuzione stocastica utilizzata per la progetta-zione di edifici privi di nebulizzazione. Schleich (1996, 1999) suggerisce ulteriori mo-dalità di compensazione fra diverse metodologie atte a raggiungere il desiderato livello di sicurezza all’incendio.

2.5.4 Riparabilità e rimessa in servizio La riparazione e la rimessa in servizio possono essere importanti per alcuni di edifici. Un edificio progettato per resistere fino all’estinzione spontanea dell’incendio risulterà grave-mente danneggiato, anche se l’incendio è risultato contenuto e la struttura è intatta. La maggior parte delle norme di tipo prestazionale non richiede l’integrità della struttura a se-guito di un incendio. Tuttavia, l’Eurocodice 1 (ECI, 2002) stabilisce che l’analisi termica degli elementi strutturali venga condotta per l’intera durata di un incendio reale, compresa la fase di raffreddamento, se non indicato diversamente dall’appendice nazionale. Alcune norme prevedono il caso di edifici che debbano essere immuni da danni o presentare danni molto limitati a seguito dell’incendio, ma in tali casi viene chiesto un aumento della prote-zione passiva rispetto a quella necessaria per prevenire il collasso.

Il requisito di rimessa in servizio dopo l’incendio limita i danni, cosicché l’edificio può essere rioccupato subito o dopo il breve lasso di tempo richiesto per le riparazioni. Tale requisito potrebbe essere imposto a edifici di importanza sociale, culturale o econo-mica, e richiederebbe l’utilizzo di impianti di estinzione del fuoco di tipo attivo come i nebulizzatori, per evitare che il fuoco si estenda e diventi incontrollabile.

Un esempio dell’importanza della riparabilità è rappresentato dalla torre di uffici Me-ridian Plaza di 38 piani a Filadelfia, che subì un grave incendio nel 1991, con sensibili danni tra i piani 22 e 30. Dopo l’incendio, l’edificio rimase vuoto per oltre cinque anni a causa di un contenzioso circa la tenuta degli elementi strutturali, danneggiati e deformati dall’incendio (Gilvary e Dexter, 1997).

2.6 Controllo della propagazione dell’incendio Più grave è un incendio, più grande è il suo potenziale distruttivo. Molti aspetti della prote-zione antincendio mirano ad evitare che i piccoli incendi si estendano. Il controllo della propagazione di un incendio è qui trattato introducendo quattro casi: (a) incendio che ri-mane confinato all’interno del locale di origine; (b) incendio che si propaga ad altri locali sullo stesso piano; (c) incendio che si trasmette ad altri piani dello stesso edificio; e (d) in-cendio che si estende ad altri edifici.

2.6.1 Confinamento dell’incendio all’interno del locale d’origine

Un incendio che rimane confinato all’interno del locale d’origine dipende in grande misura dalla potenza termica emessa dall’oggetto che brucia per primo. La propagazione iniziale dell’incendio può avvenire per effetto diretto delle fiamme o a causa della trasmissione di calore per irraggiamento da un oggetto che brucia ad un altro. Man mano che l’incendio si sviluppa, il flusso dei gas caldi lungo il soffitto può favorire la propagazione ad altre parti del locale. La propagazione verticale ed orizzontale dell’incendio è notevolmente facilitata

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se il locale è rivestito di materiali combustibili che favoriscano una rapida diffusione delle fiamme lungo le pareti ed il soffitto. La maggior parte dei paesi dispone di norme di tipo prescrittivo, che pongono limiti alle caratteristiche di combustibilità e di trasmissione delle fiamme dei rivestimenti in determinati edifici.

Proprietà dei materiali di grande interesse ai fini della sicurezza all’incendio sono: la facilità all’accensione, l’emissione di calore, la propagazione delle fiamme e la quantità di fumo prodotto. Queste sono spesso chiamate proprietà del “primo rischio d’incendio” o proprietà di “reazione al fuoco”. Esistono molti e diversi metodi sperimentali per valutare le proprietà di primo rischio d’incendio dei materiali, il che rende molto difficile effettua-re confronti in ambito internazionale. Nel Nord America la prova principale è quella del tunnel di Steiner (ASTM E-84), che utilizza una galleria lunga 7,6 m. Gli altri paesi per lo più prevedono prove che espongono materiali di varie dimensioni al riscaldamento da parte di un pannello radiante. Recenti sviluppi a livello internazionale prevedono la prova con il calorimetro a cono su piccoli campioni (100 x 100 mm) e la prova d’incendio in un compartimento in scala reale per la valutazione delle prestazioni all’incendio dei materiali di rivestimento. Il metodo di prova internazionale più recente è quello del “Singolo cam-pione soggetto a combustione” (Single Burning Item) che diventerà la procedura di prova per la classificazione dei prodotti da costruzione nel futuro sistema europeo armonizzato. Si tratta di una prova in scala intermedia, in cui due lastre sono montate in modo da costi-tuire uno spigolo per essere sottoposte alla fiamma di un bruciatore a gas, fin tanto che si inneschi (o meno) la combustione (EN 13823, 2002). Vengono misurate: la potenza ter-mica emessa e la velocità di emissione dei fumi. Tutte le prove sopra ricordate sono state oggetto di ricerche e norme internazionali molto recenti.

Per quanto riguarda l’innescabilità e la propagazione del fuoco, i materiali lignei non protetti sono più sicuri di molti materiali plastici o sintetici, ma lo sono meno di materiali quali il cartongesso e (naturalmente) il calcestruzzo, che è del tutto incombustibile. È pos-sibile migliorare le proprietà dei materiali lignei in riferimento al primo rischio d’incendio, utilizzando speciali vernici o tecnologie di pressatura durante la fabbricazio-ne.

2.6.2 Propagazione dell’incendio ai locali adiacenti

La propagazione del fuoco e del fumo ai locali adiacenti è in generale destinata a provoca-re vittime, ma molto dipende dalla geometria dell’edificio. Le porte aperte costituiscono un percorso privilegiato per il fumo ed i prodotti tossici della combustione, in quanto fumi e gas tossici si spostano dallo strato superiore caldo del locale sede dell’incendio al locale successivo o al corridoio, preriscaldando le zone contigue e provocando una rapida propa-gazione dell’incendio.

Per evitare la propagazione del fuoco di stanza in stanza, è essenziale tenere le porte chiuse. Le porte attraverso le pareti tagliafuoco devono essere in grado di garantire la funzione di contenimento della parete in cui si trovano, per quanto riguarda sia il passag-gio del fumo che la resistenza al fuoco. I dispositivi di chiusura delle porte, attivati auto-maticamente al momento della rilevazione dell’incendio, riescono ad aumentare di molto la sicurezza antincendio.

Tra le novità più recenti per migliorare le prestazioni delle porte vi sono anche parti-colari strisce di contenimento del fumo, da collocare fra porta e stipite, e strisce di mate-riale intumescente, che – gonfiandosi durante il riscaldamento – evitano la propagazione delle fiamme attraverso gli spiragli attorno alla porta.

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Gli spazi nascosti costituiscono altrettanti percorsi molto pericolosi per la propagazio-ne del fuoco e del fumo, in quanto spesso tali spazi permettono la diffusione del fuoco e del fumo fino a raggiungere non solo i locali adiacenti, ma anche altri locali posti a una certa distanza dall’incendio. La figura 2.7 mostra la diffusione del fumo attraverso un’intercapedine del soffitto. Le intercapedini costituiscono un problema tipico dei vecchi edifici, soprattutto se negli anni sono stati aggiunti controsoffitti o tramezzi.

Il fuoco può anche propagarsi a locali adiacenti penetrando attraverso le pareti circo-stanti (figura 2.14). Le pareti possono essere progettate con una resistenza al fuoco suffi-ciente ad evitare la propagazione di incendi completamente sviluppati, ma devono essere costruite con cura fin nei minimi dettagli, per garantirne le prestazioni antincendio. Le pareti resistenti al fuoco devono attraversare i controsoffitti fino a raggiungere la soletta o il tetto soprastante, in modo che il fuoco non si propaghi grazie allo spazio nascosto al di sopra della parete. Allo scopo di evitare la propagazione lungo il tetto di un incendio che passi al di sopra di una parete resistente al fuoco, è buona norma (a) innalzare la parete al di sopra del filo del tetto, fino a formare una sorta di parapetto, oppure (b) rendere il tetto resistente al fuoco lungo fasce poste a cavallo del filo superiore della parete.

Un incendio grave troverà sempre i punti deboli di una parete tagliafuoco, anche se questi punti sono invisibili durante l’uso normale dell’edificio. Occorre inoltre assicurarsi che le prestazioni delle pareti tagliafuoco non siano compromesse dall’impiego di mano d’opera di scarsa qualità, oppure dalla presenza di asole per il passaggio di utenze o tuba-zioni. Il termine “sigillatura al fuoco” significa l’ermetica chiusura delle asole e delle ca-vità attraverso cui il fuoco potrebbe propagarsi (O’Hara 1994). Esistono molte tecniche per la sigillatura al fuoco di asole e di giunti di costruzione od in funzione antisismica (Abrams e Gustaferro, 1971). Tra i materiali utilizzati per arrestare il fuoco vi sono la la-na di roccia, gli spessori di legno, il cartongesso, i collari metallici e molti ottimi prodotti commerciali, come lo stucco resistente al fuoco ed i materiali cartonati, nonché i materas-sini ed i collari intumescenti.

Le condotte dell’aria passanti attraverso le pareti e le solette resistenti al fuoco posso-no costituire altrettanti percorsi per la propagazione dell’incendio, che vanno neutralizzati utilizzando condotti in materiale isolante resistenti al fuoco e “saracinesche tagliafuoco” interne, progettate per chiudere completamente la condotta in caso d’incendio (vedere se-zione 6.7.9).

Figura 2.7 Propagazione del fumo e del fuoco attraverso un’intercapedine del soffitto.

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2.6.3 Trasmissione dell’incendio ad altri piani

L’incendio può trasmettersi ad altri piani attraverso una serie di percorsi, interni ed esterni all’edificio. Tra i percorsi interni vi sono i vuoti creati dal cedimento locale di solette e sof-fitti, nonché gli spazi nascosti verticali, i condotti per utenze diverse, i pozzi di illumina-zione ed areazione (cavedi) e le trombe delle scale o degli ascensori, attraverso cui il fuoco si può diffondere. Le utenze verticali vanno racchiuse in condotti protetti oppure vanno do-tate di sportelli di chiusura resistenti al fuoco, ad ogni piano, come indicato nelle figure 2.8 e 2.9. I pozzi verticali devono essere a tenuta di incendio, mentre le trombe delle scale de-vono avere porte tagliafuoco in corrispondenza di ogni piano, per evitare di divenire per-corsi privilegiati per la diffusione del fuoco e del fumo, da piano a piano. Una situazione particolarmente pericolosa può crearsi se vi sono spazi nascosti orizzontali e verticali in-tercomunicanti, all’interno dell’edificio o lungo la facciata.

Un altro percorso preferenziale per la diffusione verticale dell’incendio (soprattutto nelle costruzioni con muri non portanti, in cui le tamponature esterne non fanno parte del-la struttura) è rappresentato dalle eventuali sconnessioni presenti lungo le giunzioni fra soletta e parete esterna, appena all’interno della facciata. Una possibile soluzione è mostrata in dettaglio nella figura 2.10. L’installazione va curata fin nei minimi particolari in modo da garantire che tutte le fessure siano sigillate, soprattut-to in corrispondenza degli angoli e dei punti di giunzione, per eliminare qualsiasi possibile percorso favorevole alla propagazione del fuoco (Gustaferro e Martin, 1988).

Figura 2.8 Separazione dal fuoco delle utenze verticali (Centre for Advanced Engineering).

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Figura 2.9 Protezione antincendio di asole attraverso una soletta resistente al fuoco. Sul mercato

sono disponibili molti prodotti commerciali per questo tipo di protezione.

Giunti come questi fra elementi strutturali e non strutturali sono spesso riempiti con sigil-lanti resistenti al fuoco, abbastanza deformabili da consentire i piccoli spostamenti relativi dovuti al sisma od alle variazioni termiche. Il materiale di riempimento deve essere in gra-do di garantire la necessaria resistenza al fuoco sia prima che dopo il verificarsi dei suddet-ti spostamenti relativi, e può essere costituito da materassini in fibra minerale o ceramica, che vanno mantenuti nella posizione prestabilita. I materiali in fibra di vetro non sono adat-ti per la sigillatura al fuoco poiché si ritirano e fondono a temperature superiori ai 300°C. Le staffe o gli angolari metallici che sostengono il materiale di riempimento non devono essere in lega di alluminio poiché questa fonde a temperature superiori a 500°C.

La propagazione verticale dell’incendio può avvenire anche all’esterno dell’edificio, attraverso i materiali di rivestimento combustibili o le finestre esterne come indicato nel-la figura 2.11.

Figura 2.10 Sigillatura al fuoco tra soletta e muro non portante.

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Figura 2.11 Propagazione dell’incendio di piano in piano (Riproduzione da Buchanan, 2001, auto-

rizzata dal Centre for Advanced Engineering).

Figura 2.12 Il fuoco al 12° piano di un edificio di 62 piani dimostra l’importanza di assicurare sia il

contenimento dell’incendio, sia la stabilità strutturale ai fini della sicurezza antincendio degli edifici alti (Grattacielo della First Interstate Bank a Los Angeles, 1988, riproduzione autorizzata da Boris Yaro).

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Sull’esterno degli edifici alti non dovrebbero essere utilizzati rivestimenti combustibi-li che potrebbero favorire la rapida propagazione delle fiamme.

La propagazione verticale del fuoco da finestra a finestra è un grave rischio negli edifici multipiano (figura 2.12). Tale rischio può essere in parte neutralizzato prevedendo finestre di piccole dimensioni e ben separate tra loro, e predisponendo delle mensoline orizzontali, aggettanti al di sopra delle finestre (Oleszkiewicz, 1991). Le fiamme fuoriuscenti da finestre verticali alte e strette, tendendo a proiettarsi più lontano dalla parete dell’edificio che non le fiamme fuoriuscenti da finestre orizzontali larghe e basse, comportano una minore probabi-lità di propagazione dell’incendio di piano in piano (Drysdale, 1998).

2.6.4 Estensione dell’incendio ad altri edifici L’incendio può propagarsi da un edificio in fiamme agli edifici adiacenti mediante il con-tatto con le fiamme, l’irraggiamento dalle finestre o la caduta di tizzoni ardenti. La propa-gazione dell’incendio può essere evitata prevedendo barriere resistenti al fuoco o distanze sufficienti fra edificio ed edificio (figura 2.13). Se vi sono aperture nelle pareti esterne, la probabilità di propagazione dell’incendio dipende fortemente dalle distanze tra gli edifici e dalla dimensione delle aperture. Le pareti esterne resistenti al fuoco devono possedere una sufficiente resistenza strutturale al fuoco per rimanere al loro posto per tutta la durata dell’incendio. Ciò diventa un problema se la struttura che normalmente garantisce il vinco-lo laterale alle pareti è danneggiata o distrutta durante l’incendio.

Figura 2.13 Grave incendio in un supermercato, con l’intero edificio avvolto dalle fiamme e la

struttura del tetto in procinto di collassare. Si deve alle pareti resistenti al fuoco se l’incendio non si è propagato agli edifici vicini.

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Figura 2.14 Pareti in muratura di un grande centro commerciale dopo un grave incendio. Questo incendio è stato simile a quello della fotografia precedente, tranne che in questo caso l’incendio si è propagato all’intera struttura attraverso alcune aperture non protette, presenti lungo le pareti. Tutto il materiale combustibile è bruciato e ci sono state 43 vittime (Grandi magazzini Ballantynes in Nuova

Zelanda, 1947; riproduzione autorizzata da The New Zealand Herald).

Il collasso delle pareti esterne può costituire un forte rischio per i vigili del fuoco e gli astanti e può portare a ulteriore propagazione dell’incendio agli edifici adiacenti (fi-gura 2.14).

La propagazione dell’incendio attraverso il contatto con le fiamme può avvenire soltanto se gli edifici sono abbastanza vicini tra loro, mentre la propagazione mediante irraggiamen-to può avvenire a distanza di molti metri. Il flusso di calore radiante dalle finestre di un edi-ficio soggetto ad incendio può provocare l’accensione del rivestimento combustibile di un edificio vicino o dei prodotti combustibili posti al suo interno, attraverso le finestre.

Il calcolo del flusso di calore radiante da un edificio a un altro è descritto nel Capitolo 3. In presenza di vegetazione combustibile, il fuoco può anche percorrere lunghe distanze tra un edificio e l’altro.

Le scintille trasportate dal vento possono provocare la propagazione dell’incendio tra edifici rivestiti con materiali combustibili, come indicato nella figura 2.15. Tali situazioni possono essere tenute sotto controllo limitando l’uso di materiali combustibili per le co-perture. La propagazione dell’incendio tra edifici adiacenti dipende anche dalle loro al-tezze relative. Un incendio che fuoriesce dal tetto di un edificio basso può propagarsi alle finestre di un edificio alto adiacente come indicato nella figura 2.16, a meno che quest’ultimo non sia adeguatamente resistente al fuoco.

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Figura 2.15 Incendio propagato dalle scintille.

Figura 2.16 Propagazione dell’incendio da un edifico basso ad uno più alto.

2.7 Costruire edifici sicuri contro gli incendi 2.7.1 Incendi a seguito di terremoti La possibilità di un incendio a seguito di un terremoto è una grave minaccia in zona sismi-ca. Vi sono molti esempi di gravi incendi attivati da un terremoto (figure 2.17 e 2.18), co-me quelli di San Francisco (1906 e 1989), di Tokio (1923) e di Napier in Nuova Zelanda (1931), si vedano Botting (1998) e Steinbrugge (1982).

Vi sono tre fattori principali che aggravano il problema di un incendio dopo un ter-remoto. La probabilità di accensione è elevata a causa di mobilio rovesciato, guasti e-lettrici e spostamento di apparecchiature ad alta temperatura. Gli impianti di protezione antincendio attivi e passivi possono essere danneggiati dal terremoto e la probabilità di un pronto intervento da parte dei vigili del fuoco è molto minore che in condizioni normali (Scawthorn, 1992).

I sistemi di estinzione attivi – come i nebulizzatori automatici – sono fonte di partico-lare preoccupazione a causa del crescente affidamento fatto su di essi per la sicurezza an-tincendio dei grandi edifici moderni. Vi è un’elevata probabilità che i nebulizzatori non possano intervenire a causa degli eventuali danni provocati dal terremoto alle condutture interne all’edificio o della messa fuori uso dei rifornimenti idrici cittadini.

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Figura 2.17 Danni da incendio a seguito del terremoto di San Francisco nel 1906 (Riproduzione

da Walker , 1982, su autorizzazione della Bancroft Library).

Per questi motivi, in zona sismica maggiore attenzione dovrebbe essere rivolta al con-tenimento passivo del fuoco ed alla resistenza strutturale all’alta temperatura, soprattutto negli edifici alti o grandi, dove potrebbero esistere notevoli pericoli per la vita o i beni materiali.

2.7.2 Incendi durante la costruzione e le ristrutturazioni

La possibilità che un incendio si verifichi durante il processo di costruzione o durante le ristrutturazioni è spesso trascurata, nonostante le molte perdite dovute a gravi incendi di questo tipo. Il rischio d’incendio è di solito maggiore durante la costruzione di un edificio che non in esercizio, a causa del maggior numero di fonti di accensione e dell’incom-pletezza delle misure di protezione antincendio.

Si sono registrati molti casi di accensione dovuti a lavori di taglio o saldatura durante la costruzione, con conseguenti notevoli danni per incendio. Infatti, in generale durante la costruzione i sistemi antincendio non sono ancora completamente funzionanti e comun-que non sono ancora attivi, in attesa del completamento dei lavori. Inoltre, le protezioni di tipo passivo (come la sigillatura al fuoco e i rivestimenti antincendio) vengono montate solo in una fase piuttosto avanzata del processo costruttivo.

La probabilità di danni da incendio durante la costruzione può essere ridotta mediante la messa a punto di un piano di sicurezza, che quantifichi i rischi, tenga conto delle condi-zioni dell’edificio in ciascuna fase del processo costruttivo, e renda quanto prima operativi i sistemi attivi e passivi di protezione antincendio.

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Figura 2.18 Uno dei grandi incendi che distrussero molti edifici dopo il terremoto di

Hanshin-Awaji (Kobe, Giappone, 1995).

Ristrutturazioni mal eseguite possono ridurre la sicurezza antincendio di un edificio. Esistono molti casi documentati di incendi propagatisi attraverso vani nascosti, creati durante le ristrutturazioni e non protetti dall’incendio. Inoltre, gli addetti alla ristruttura-zione possono danneggiare o rimuovere i dispositivi di sicurezza antincendio passivi, non essendo consapevoli della loro importanza. Per esempio, nuove utenze dell’edificio installate al di sopra delle controsoffittature possono penetrare – senza sigillature – at-traverso importanti paratie tagliafuoco, creando in tal modo percorsi preferenziali per la propagazione nascosta del fuoco e del fumo. Queste criticità possono essere evidenziate solo grazie ad attente ispezioni.

2.7.3 Valutazione e riparazione dei danni da incendio

Gli ingegneri strutturali hanno spesso la responsabilità di esprimersi sulle possibilità di riutilizzo o riparazione degli edifici danneggiati da incendio. Se vi è pericolo di collasso locale, occorre preoccuparsi immediatamente della stabilità di ciò che è rimasto dell’edificio colpito dal fuoco. Spesso il proprietario vuole sapere se l’edificio danneggiato potrà essere ripristinato, nel qual caso occorrerà un’indagine più completa.

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Tabella 2.2 Temperatura di fusione di vari materiali (tratta da Gu-staferro e Martin, 1988).

Materiale Temperatura di fusione (°C) Polietilene Piombo Zinco Leghe d’alluminio Alluminio Vetro Argento Ottone e bronzo Rame Ghisa Acciaio

110-120 330 420 500-650 650 600-750 950 850-1000 1100 1150-1300 >1400

Ispezione È molto importante fare un tempestivo sopralluogo sulla scena dell’incendio, mentre sono ancora visibili le macerie e i danni non strutturali. Questi sopralluoghi possono fornire in-formazioni essenziali sull’estensione dell’incendio, sulle zone dove la combustione è stata più violenta e sulle temperature massime raggiunte. È inoltre importante ripetere la visita quando - rimosse le macerie e gli elementi non strutturali - diviene possibile effettuare i-spezioni più approfondite sugli elementi strutturali e verificare i dettagli dei relativi colle-gamenti, per individuare eventuali fessure nel calcestruzzo, danni nei collegamenti saldati o deformazioni nei bulloni.

Le temperature massime raggiunte localmente dall’incendio possono essere stimate osser-vando i materiali che si sono fusi. Nella tabella 2.2 sono riportate le temperature di fusione di diversi materiali. La durata del periodo di completo sviluppo dell’incendio può essere stimata in maniera approssimativa sulla base della dimensione residua dei grandi elementi in legno che si sono carbonizzati (velocità di carbonizzazione di circa 0,6 mm/min), così come è ri-portato nel Capitolo 10. La maggior parte dei danni significativi provocati dall’incendio è di solito subito visibile. Ad eccezione della perdita di resistenza dei materiali dovuta alla tempe-ratura, i danni più rilevanti si presentano di norma come deformazioni generalizzate o locali, sfaldamento del calcestruzzo o carbonizzazione del legno. La maggior parte degli elementi deformatisi durante l’incendio dovrà essere sostituita, a meno che le deformazioni siano inin-fluenti sul riutilizzo dell’edificio. Le deformazioni possono essere valutate attraverso l’osservazione delle linee di fuga degli elementi rettilinei o utilizzando apposite attrezzature. Occorre anche tenere conto delle eventuali deformazioni preesistenti all’incendio. Se la mag-gioranza degli elementi strutturali presenta significative deformazioni, potrebbe rendersi ne-cessaria la demolizione dell’intera struttura.

Acciaio Gli elementi in acciaio privi di protezione al fuoco subiscono spesso grandi deformazioni durante gli incendi completamente sviluppati, mentre gli elementi ben protetti di solito non mostrano danni, al punto che nella maggior parte dei casi non sono necessarie particolari verifiche, tanto più se è possibile controllare l’assenza di distorsioni (ad esempio di spigoli non più rettilinei) dopo il raffreddamento (Tide, 1998). I tipi più comuni di acciaio struttu-rale non subiscono significative perdite di resistenza a raffreddamento avvenuto, purchè la temperatura massima raggiunta durante l’incendio non abbia superato i 600°C. Il riscalda-

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Bozza 28 aprile 2009

mento a temperature più elevate può portare a riduzioni di resistenza non trascurabili, maggiori per gli acciai ad alta resistenza in lega con altri elementi come il vanadio e il nio-bio, minori per gli acciai al carbonio, maggiori per i prodotti lavorati a freddo o sottoposti a trattamento termico (ad esempio di tempra), minori per quelli lavorati a caldo. La verifica della riduzione di resistenza viene effettuata con prove di durezza o di trazione su piccoli campioni. Molti tipi di bulloni ad alta resistenza – sottoposti a trattamento termico per mi-gliorarne le caratteristiche meccaniche – sono passibili di perdite di resistenza non trascu-rabili dopo il ciclo di riscaldamento e di raffreddamento che accompagna l’incendio; tutta-via, tali bulloni possono essere sostituiti senza difficoltà. Linee guida al riguardo si trovano in Kirby et al. (1993).

Calcestruzzo e muratura In generale le strutture in calcestruzzo si comportano bene in caso d’incendio. Tuttavia, le solette e le travature che presentino eccessive deformazioni vanno sostituite. Analogamen-te, il calcestruzzo di rivestimento - che si sia sfaldato o sia fortemente fessurato - va sosti-tuito con calcestruzzo gettato in opera (in apposite casseforme) o spruzzato; se necessario, si possono inserire ulteriori armature. Gli elementi in calcestruzzo che non mostrano danni visibili possono aver subito riduzioni di resistenza a causa delle temperature elevate rag-giunte dal calcestruzzo e dall’armatura. Le tipiche armature in acciaio al carbonio (“dol-ce”) recuperano durante il raffreddamento pressochè tutta la resistenza perduta a caldo. Vi-ceversa, gli acciai ad alta resistenza, usati soprattutto per trefoli e barre da precompressione (che sono stirati a freddo), risentono molto delle temperature elevate già a partire da 250-300°C, al punto che dopo un ciclo termico a 500°C (600°C) manifestano perdite di resi-stenza dell’ordine del 30% (50%), si veda Gustaferro e Martin (1988).

La perdita di resistenza del calcestruzzo preoccupa solitamente meno di quella dell’armatura. Infatti, la zona influenzata dal calore non è in genere molto profonda grazie alla bassa diffusività termica del calcestruzzo. Negli elementi semplicemente appoggiati ed inflessi, la parte compressa della sezione (spesso collaborante con la soletta) non è di norma sottoposta a elevate temperature. La perdita di resistenza del calcestruzzo in pros-simità della superficie riscaldata può essere valutata mediante sclerometro o altre prove (Purkiss, 1996; Colombo e Felicetti, 2007). Alcuni tipi di calcestruzzo cambiano di colore con la temperatura, ma molto dipende dal tipo di aggregato, come ha osservato Marchant (1972) descrivendo una possibile procedura per il ripristino di edifici in calcestruzzo ar-mato danneggiati dall’incendio. Il calcestruzzo ordinario riscaldato a meno di 300°C non presenta modifiche di colore, ma assume colore rosato oppure grigio-biancastro oppure bruno-giallastro se riscaldato rispettivamente a 300-600°C, a 600-950°C, e oltre 950°C. Il calcestruzzo esposto al fuoco non subisce significative perdite di resistenza residua per temperature inferiori a 300-400°C, mentre per temperature più elevate la perdita di resi-stenza è simile a quella indicata nella figura 9.14. Durante il raffreddamento il calcestruz-zo si danneggia ulteriormente (per l’incompatibilità termica dell’aggregato e della malta cementizia, non più mitigata dalla viscosità termica transitoria, attiva solo in fase di primo riscaldamento), perdendo ulteriormente di resistenza (-15/20% rispetto alla resistenza a caldo), ma successivamente si ha un lento ricupero, che richiede molti mesi e che non permette di raggiungere la resistenza originaria (Lie, 1992; Felicetti e Gambarova, 1998).

I mattoni refrattari subiscono perdite di resistenza molto ridotte dopo il riscaldamento a temperature fino a 1000°C, mentre la malta cementizia subisce danni limitati. La mura-tura in calcestruzzo va valutata allo stesso modo del calcestruzzo.

34 CAPITOLO 2

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Legno Il legno partecipa alla combustione bruciando, e quindi i danni prodotti dall’incendio alle superfici in legno sono immediatamente riconoscibili. Dopo l’incendio, gli elementi strut-turali in legno massiccio, come travi, colonne e solette piene, presentano la superficie car-bonizzata, ma il materiale del nucleo non è danneggiato (si veda il Capitolo 10). Si può quindi ritenere che il legno del nucleo inviluppato dallo strato carbonizzato mantenga intat-ta la sua resistenza. La sezione resistente del nucleo può essere identificata asportando lo strato carbonizzato e ogni parte di legno che abbia cambiato colore in modo significativo. Gli elementi di legno esposti al fuoco tendono a deformarsi meno degli equivalenti ele-menti in acciaio.

Gli elementi in legno danneggiati dall’incendio non debbono essere sostituiti se la se-zione retta residua (= sezione del nucleo non carbonizzato) presenta capacità resistente adeguata rispetto ai carichi di progetto. In tali casi, per garantire – dopo l’incendio - la stessa sicurezza al fuoco della struttura originaria, è bene applicare una protezione sup-plementare, ad esempio in lastre di cartongesso, che assumono lo stesso compito “sacrifi-cale” dello strato superficiale ligneo, carbonizzato e rimosso. Tuttavia, gli elementi for-temente danneggiati vanno sostituiti, mentre gli elementi affetti da danni modesti vanno rinforzati, ad esempio incollando lamine lignee sul nucleo non danneggiato.

Le strutture leggere dei telai in legno sono in genere protette dal fuoco mediante rive-stimenti con materiali quali il cartongesso (si veda il Capitolo 11). Dopo un incendio gra-ve, i rivestimenti applicati all’intradosso del soffitto e lungo le pareti esposte direttamente al fuoco risultano di norma danneggiati, con possibilità di stacchi più o meno generalizza-ti, dovuti all’effetto del fuoco o dello spegnimento. I rivestimenti danneggiati vanno ri-mossi per verificare i danni ai montanti delle pareti e ai travetti dei solai. Comunque, le parti lignee carbonizzate presentano inevitabilmente capacità portante ridotta, ed è quindi necessario ricorrere al calcolo per valutarne la resistenza residua.

L’osservazione dello stato residuale del cartongesso può fornire indicazioni utili sulla durata dell’incendio nella fase di completo sviluppo. Infatti il cartongesso esposto al fuo-co si disidrata uniformemente a partire dalla superficie calda. La profondità di disidrata-zione può essere valutata asportando un pezzetto di cartongesso e spezzandolo, in modo da individuare la transizione tra il gesso morbido anidro e quello compatto del materiale originario. Il normale cartongesso si disidrata a una velocità di circa 0,5 mm/min.