1961-1989. gli anni del muro

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1961-1989 Gli anni del Muro a cura di Evio Hermas Ercoli

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Catalogo della mostra fotografica «1961-1989. Gli anni del muro» curata da Evio Hermas Ercoli.

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1961-1989Gli anni del Muro

a cura di Evio Hermas Ercoli

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Mostra fotografica a cura diEvio Hermas Ercoli

Responsabile organizzazione mostre Alinari 24 ORE SpaPaola de Polo

Ideazione e coordinamento mostraAndrea CompagnucciValentina Tofani

Progetto graficoSansai Zappini

AllestimentoSara Francia

© per le immagini2009 by Alinari 24 ORE SpaLargo Alinari, 1550123 [email protected]

Archivi FotograficiArchivi AlinariRaccolte Museali Fratelli Alinari (RMFA)Süddeutsche Zeitung Photo Ullstein Bild

Si ringrazia la Fondazione Carima per gli spazi espositivi

in copertinaGruszkaLe finestre di un palazzo in Bernauer Strasse, accanto al Muro, murate per impedire la fuga degli abitanti della Germania dell’Est, dicembre 1961.Gruszka / Ullstein Bild / Archivi Alinari

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sotto e a pagina seguenteErnst Voller

Soldati sovietici issano la Bandiera Rossa accanto alla Quadriga della Porta di Brandeburgo, 2 maggio 1945.

Voller Ernst / Ullstein Bild / Archivi Alinari

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Mai più “La Repubblica italiana, con legge n. 61 del 2005, dichiara il 9 novembre Giorno della Libertà, quale ricorrenza dell’abbattimento del Muro di Berlino, evento simbolo per la liberazione di Paesi oppressi e auspicio di democrazia per le popolazioni tuttora soggette al totalitarismo”.In adesione allo spirito della legge, la Provincia di Macerata ha voluto ricordare il ventesimo anniversario dall’abbattimento del Muro con un’iniziativa, “oltre il Muro”, che coinvolge Comuni, Istituzioni e, soprattutto, scuole di ogni ordine e grado, con un concorso, sul tema, dedicato agli studenti.Tre diversi momenti, nell’iniziativa “oltre il Muro”, permettono un’approfondita riflessione: un ciclo di conferenze itineranti curato dalla dottoressa Serena Sileoni, una serie di film presentati dalla professoressa Maria Paola Scialdone ed una mostra realizzata con la cura del professor Evio Hermas Ercoli, la collaborazione dell’archivio Alinari-24ore e il coordinamento di Andrea Compagnucci. Venti anni sono trascorsi dall’abbattimento di quel Muro: lungo più di 155 km, alto 3 metri e 60, con 302 torrette di osservazione per impedire la continua fuga dei residenti di Berlino Est verso l’Ovest; diaspora iniziata dopo la divisione della città in quattro zone di influenza, l’est all’Unione Sovietica e l’ovest agli Stati Uniti, all’Inghilterra e alla Francia. Il Muro ha tagliato in due non solo Berlino e la Germania ma il mondo intero. La Cortina di ferro ha separato l’Europa, la guerra fredda ha contrapposto due blocchi politico-economico-militari con a capo l’Unione Sovietica da un lato e gli Stati Uniti dall’altro.Il Muro oltre che divisione politica, fu straziante lacerazione di famiglie, amicizie, affetti, fu disperazione e sconforto, teatro di fughe disperate e tragedie di centinaia di cittadini tedeschi che, alla ricerca della libertà, lo sfidarono e trovarono la morte. Il Muro ha rappresentato la linea di demarcazione tra libertà e oppressione, una limitazione non solo degli spostamenti, dei viaggi, ma anche dello sguardo: vietato era anche solo vedere cosa ci fosse al di là. “La caduta del Muro di Berlino e dei regimi comunisti dell’Europa Orientale ha segnato uno spartiacque nella storia mondiale e tuttavia non si deve sottovalutare il costo di quarant’anni di repressione politica con la quale sono stati contrastati la libera circolazione di idee ed i movimenti culturali e vi è stato anche il tentativo da parte di quei regimi di mettere a tacere la voce della Chiesa”, così si è pronunciato nel mese di settembre Papa Benedetto XVI in occasione della sua visita a Praga.Nulla più della perdita di libertà pone a rischio la dignità dell’individuo.Noi cittadini di un’Europa finalmente libera e unita, sopravvissuta ai vergognosi totalitarismi del secolo scorso, dobbiamo avere il coraggio di dire ‘mai più’, mai più ad ogni forma di totalitarismo che elude le coscienze e limita le libertà ed il valore dell’uomo.Buona visita.

Umberto MarcucciPresidente del Consiglio Provinciale

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sotto e a p. 18Gruszka

Le finestre di un palazzo in Bernauer Strasse, accanto al Muro, murate per impedire la fuga degli abitanti della Germania dell’Est, dicembre

1961.Gruszka / Ullstein Bild / Archivi Alinari

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9 novembre 1989, la data segna la fine del ventesimo secolo.Cade il simbolo della guerra fredda, della cortina di ferro che attraversa l’Europa.Cade il lungo baluardo in cemento precompresso di quaranta chilometri, incessantemente accresciuto, protetto, fortificato, sorvegliato senza sosta.Cade il crinale fra il socialismo reale e il capitalismo consumista, tra l’Occidente e l’Oriente.Cede il Muro di Berlino e si schiantano al suolo trent’anni di freddo.A 20 anni dalla caduta questa mostra promossa dalla Presidenza del Consiglio Provinciale e da Alinari 24 Ore rifà la storia attraverso 40 immagini dell’Ullstein Bild, l’importante agenzia di fotografia e di fotogiornalismo news della Germania di prima e dopo il conflitto.Alcune fotografie invece vengono direttamente dall’archivio del quotidiano Süddeutsche Zeitung. Semplici materiali di fotografia documentaria, di quell’attività fotogiornalistica che si propone di riprodurre oggettivamente le cose attraverso la cronaca per immagini.La selezione rimanda ad un ambiente urbano assediato. Le grezze espressioni delle istantanee giornalistiche ci restituiscono l’estensione tangibile del Muro.Eloquenza della divisione, della recinzione. Evocazione della reclusione in cui è stata costretta metà Europa; compendio dell’oppressione della guerra fredda.Le fotografie di grandi reporter (Hiss B., Harmann, Jung, Hilde, Leibning, Lehnartz, Becke, Stiebing H-P, Rohrbein e Wende) hanno messo a disposizione di lettori increduli il dolore, la vita e la morte ai margini del muro.Testimonianze, dove il fotografo sfida la realtà fatale e cerca di rendere immortali momenti dominati dalla ‘morte’. Frazioni di tempo di forte impatto emotivo, più precise di una qualsiasi descrizione, senza la mediazione logica del linguaggio verbale.Fotografie che apparentemente nascono per completare l’informazione fornita dal linguaggio giornalistico, legate a testi scritti, ad articoli di stampa, a ‘ricordi’ fissati intorno a supporti cartacei, intorno a parole che da sole non potevano vivere.

1961-1989Gli anni del Murodi Evio Hermas Ercoli

“L’uomo non è del tutto colpevole, poiché non ha cominciato la storia;né del tutto innocente, poiché la continua”.

Albert Camus

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Le immagini però non vivranno più solo per le didascalie. Oggi esistono indipendentemente da esse. Hanno un potere di riconoscimento che supera il potere della descrizione perché si presenta come prova completa senza la necessità di aggiungervi nulla. L’atto stesso di fotografare è una presa di possesso, che rende inutile ogni spiegazione correndo verso dolorose collisioni emozionali. I testi fornirebbero una chiave interpretativa riduttiva.Qui le fotografie intercettano persone non molto disposte alla lettura.Informazioni che non sono solamente testimonianze, ma anche tracce che consentono al grande pubblico di effettuare l’esegesi critica della realtà. La narrazione letteraria di quegli anni non può più essere scissa dalla narrazione iconografica, poiché ciò che poteva essere raccontato dalla realtà dell’esperienza, non rappresenta più la stessa realtà.Nessuna ricerca di perfezione! Il seducente avrebbe sottratto interesse al tema fondamentale. Un’aspirazione alla bellezza negata e non più fine a se stessa. Immagini che si basano su forma, sostanza e contenuto come ogni manifestazione dell’uomo. Le fotografie non sono belle o brutte, ma segni della continuità iconica della storia, frutto dell’esperienza tragica. Strumenti utilissimi per decodificare le coscienze. Immagini che creano una morale e la rafforzano. Il loro contenuto etico ha superato la fragilità dell’attualità e si è irrobustito col passare del tempo. Sono meglio di ogni filmato, perché fermano il tempo e non scivolano nel flusso dello scorrimento. Soddisfano il bisogno di vedere confermata la realtà e intensificata l’esperienza. Popolano le fantasie del pubblico che osserva di sogni o di incubi.Sono i mezzi di una divulgazione partigiana dell’epoca e oggi documenti attendibili. Le informazioni tratte da queste istantanee superano quelle della realtà, di mondi che non avevamo percepito al momento. L’oggettività assume una funzione nelle fotografie e non viceversa. “Tutto esiste per finire in fotografia”, è la forma contemporanea di ‘consumismo estetico’ della tragedia. La fotografia non è solo copia del reale ma l’emanazione del soggetto tragico che ha centrato la pellicola e che ora ferisce l’osservatore. Ciò che uno vede della realtà esterna lo vede all’interno di se stesso. Ancora oggi percepiamo in quegli scatti quell’impossibilità di fare dei contemporanei. La grande doppiezza in cui rischia di cadere sempre la fotografia di reportage, che, parlando un nuovo linguaggio visivo, altera il concetto d’engagement. Diluisce ed esaurisce il tragico nella sua riproduzione. La parola “immagine” acquista, riferita alle nostre fotografie, il suo integrale valore semantico (“yem” = doppio); ogni immagine rende doppio ciò che raffigura: il fatto rappresentato e la nostra coscienza di spettatori.Se l’immagine fotografica non è sempre adeguata in quanto ambigua, la sua lettura paradossalmente dev’essere accompagnata da elementi interpretativi. La didascalia rientra in gioco a distanza di anni. Le immagini che assumono funzione di documenti devono essere spiegate mediante annotazioni da cui raramente potranno essere separate senza deterioramenti alla loro originale integrità.Le fotografie selezionate per 1961-1989 sono ancora un buon mezzo per sviluppare noi stessi, scatti che ci fanno crescere, che ci costringono ad identificarci con le

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manifestazioni delle forze basilari della vita e della morte.‘Gli anni del Muro’ non sono lo specchio passivo del mondo di allora. Indispettiscono la sonnacchiosa contemporaneità. Scrollano l’immaginazione intima dello spettatore attraverso l’urticante ‘bellezza’ dell’orrore.Il contatto con l’altra realtà: la persistenza della guerra, la presenza del passato nel presente, la realtà come indicatore di assenza.La rappresentazione della città divisa ha costruito nella nostra memoria la premonitrice verità di un affranto Winston Churchill: “una cortina di ferro è scesa attraverso il continente” (5 marzo 1946).Rappresentazione del dolore della separazione. Il filo spinato che spartisce la vita delle persone; un filo spinato che ci

ha attraversato tutti. È entrato nelle nostre discussioni, nelle nostre scelte, nelle nostre teste.La mostra inizia proprio dal ‘45. Dai soldati russi che innalzano la bandiera rossa accanto alla quadriga della Porta di Brandeburgo.Quando la seconda guerra mondiale nel maggio del ‘45 finisce, la Germania è ridotta a un enorme campo di macerie. La guerra, fortemente voluta e cercata da Hitler, ha portato al bilancio agghiacciante di 55 milioni di morti e 35 milioni di feriti. Le città tedesche assomigliano a dei paesaggi lunari.Nel febbraio 1945, Winston Churchill, Franklin Delano Roosevelt e Stalin, capi dei governi del Regno Unito, degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica, come rappresentanti dei paesi vincitori della seconda guerra

Gert HildeIl saluto fra un gruppo di madri con i propri figli, separate dal filo spinato in Treptower Strasse, 1961.Hilde / Ullstein Bild / Archivi Alinari

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mondiale hanno tenuto la famosa conferenza di Yalta. Gran parte delle decisioni di quell’incontro ebbero profonde ripercussioni sulla storia mondiale, perlomeno fino alla caduta dell’Unione Sovietica del 1991. I tre leader mondiali si spartirono l’Europa in sfere d’influenza. Molti vedono nella conferenza di Yalta il preludio della guerra f redda, che portò alla divisione della Germania.Sono gli anni del grande esodo. La gente che scappa dai territori occupati dai russi. Milioni di persone che hanno perso la casa per i terribili bombardamenti a tappeto delle grandi città sono alla fame. Allen Dulles nel dicembre 1945, riferendosi alla Germania: “È difficile dire cosa stia accadendo, ma in generale i russi stanno agendo appena meglio degli assassini. Hanno spazzato via tutta la liquidità. Le tessere per il cibo

non vengono rilasciate ai tedeschi, che sono costretti a viaggiare a piedi nella zona russa, spesso più morti che vivi. Una cortina di ferro è discesa sul destino di queste genti ed è molto probabile che le loro condizioni siano veramente terribili. Le promesse di Yalta al contrario, probabilmente da 8 a 10 milioni di persone stanno venendo ridotte in schiavitù”.Berlino è divisa in quattro zone di occupazione sotto il diretto controllo militare degli eserciti dei paesi vincitori della guerra. La zona occidentale di Berlino è assegnata al controllo dell’esercito francese, inglese e americano. La zona orientale e il resto dei territori della Germania Est sono sotto il controllo diretto dell’esercito sovietico. 12 milioni di profughi tedeschi, soprattutto dalle regioni dell’Europa dell’Est, si

Fotografo non identificatoGruppo di persone in fuga con i bagagli dalla zona di occupazione sovietica, 8 febbraio 1953.Ullstein Bild / Archivi Alinari

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trovano per strada, tra un campo di accoglimento sovraffollato e l’altro, tra la fame e la disperazione.Nel 1949 nasce un nuovo stato socialista, la Repubblica Democratica Tedesca (in tedesco Deutsche Demokratische Republik, abbreviato in DDR), nota anche come Germania Est. Il suo territorio corrisponde alla zona di occupazione assegnata all’Unione Sovietica.Il confine non è ancora insuperabile e per tutti gli anni ‘50 centinaia di migliaia di persone fuggivano ogni anno dall’Est all’Ovest. Per la maggior parte erano giovani con meno di 30 anni e spesso persone con una buona formazione professionale, laureati, operai specializzati e artigiani, che all’Ovest si aspettano un futuro più redditizio e più libero. Decine di migliaia di tedeschi della Germania Democratica varcano quotidianamente il confine per recarsi al lavoro a Berlino Ovest, dove la retribuzione è più alta. Migliaia di famiglie di profughi restano in attesa di entrare nella zona di Berlino controllata dagli occidentali. Amara e dolce l’immagine in mostra di quella coppia sposata di Postdam che incontra la madre dello sposo di Berlino Ovest ad un posto confine.La foto di Checkpoint Charlie è molto evocativa. Vi era ammesso il passaggio solo di militari delle forze alleate, di diplomatici e di cittadini stranieri. Qui ebbero luogo le fughe più spettacolari dalla DDR.Il flusso costante di tedeschi dell’Est che fuggivano ad Ovest, mette molta tensione nelle relazioni tra RFT e DDR. Nel 1952 la DDR sigilla i confini con la Germania Ovest, ma la gente continua a scappare.Sul piano economico-sociale la Germania occidentale ha vissuto negli anni ‘50 un fortissimo boom economico; sono gli anni del cosiddetto Wirtschaftswunder (miracolo economico). Aiutata all’inizio dai soldi americani, la Germania Federale riesce in breve tempo a diventare una nazione rispettata per la sua forza economica.Contro l’irresistibile richiamo dell’Ovest vengono messe in campo nuove politiche restrittive.Nel 1961 la situazione precipita. Nella notte del 12 agosto l’esercito della Germania Democratica dispone un reticolato di filo spinato, intervallato da blocchi di cemento, nei principali varchi di transito tra i quartieri dell’Est e quelli dell’Ovest della città. Alle ore 1:11 del 13 agosto 1961 la radio di Berlino Est interrompe la trasmissione Melodien zur Nacht per una comunicazione straordinaria: “I governi degli stati del Patto di Varsavia si rivolgono al Parlamento e al governo della DDR affinché alla frontiera con Berlino Ovest entri in vigore un nuovo ordinamento in grado di impedire efficacemente ogni attività sovversiva nei confronti dei paesi del Blocco socialista, garantendo nel contempo una sorveglianza affidabile in tutta l’area che circonda la parte occidentale della città”.Nelle prime ore di quello stesso giorno le unità armate della Germania dell’Est hanno interrotto tutti i collegamenti tra Berlino Est e Ovest.Ogni passaggio è vietato ai cittadini. I varchi sono presidiati dagli eserciti in assetto di guerra, contrapposti l’uno contro l’altro. I soldati hanno ricevuto l’ordine di sparare su tutti quelli che cercano di attraversare la zona di confine che con gli anni fu attrezzata con dei macchinari sempre più terrificanti, con mine anti-uomo, filo spinato alimentato con corrente ad alta tensione e, addirittura, con degli impianti che sparavano automaticamente

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su tutto quello che si muoveva nella cosiddetta ‘striscia della morte’. Il confine verrà presidiato dalla Volkspolizei ossia la Polizia Popolare, forza di polizia nazionale della Repubblica Democratica Tedesca. I suoi appartenenti venivano soprannominati Vopos. Gli appartenenti ricevevano un addestramento militare. La Polizia Popolare era come una sorta di secondo esercito e svolgeva fondamentalmente compiti di polizia civile.Le foto della fuga di una giovane donna attraverso una recinzione di filo spinato e quelle di Peter Fechter, una delle prime vittime morte a causa del Muro di Berlino, fanno il giro del mondo. “Se dovete sparare, fate in modo che la persona in questione non vada via ma rimanga con noi”, raccomanda Erich Mielke, Ministro per la Sicurezza della DDR. Gli incontri lungo il filo spinato nella Treptower Straße sono struggenti e i due neonati alzati sul filo spinato immortalati dal reporter della Suddeutsche Zeitung non hanno bisogno di commenti. I quartieri Est e Ovest della città vengono completamente isolati e tali resteranno per quasi trent’anni. Nei giorni seguenti le prime barriere di separazione saranno progressivamente sostituite dalla costruzione di un lungo muro.In pochi giorni i militari della Germania dell’Est costruiscono, davanti agli occhi esterrefatti degli abitanti di tutte e due le parti, un muro insuperabile che avrebbe attraversato tutta la città, che avrebbe diviso le famiglie in due e tagliato la strada tra casa e posto di lavoro, scuola e università. Immediatamente dopo il Muro è situata la ‘striscia della morte’, una zona off-limits posta tra il Muro e il reticolato di filo spinato, con un fossato anticarro nel mezzo.Il filo spinato e il Muro intorno alla Porta di Brandeburgo sono i simboli più eloquenti della tragedia. È il monumento più conosciuto della città, e simbolo dell´unità tedesca. La Porta di Brandeburgo (in tedesco Brandenburger Tor) è una delle antiche porte urbane di Berlino. Si trova fra i quartieri di Mitte e Tiergarten. La Porta viene chiusa il 13 agosto 1961 dai sistemi di sbarramento della DDR, rimanendo nella parte orientale della città. La quadriga viene girata (originariamente guardava ad Ovest e quindi contro il Muro). La recinzione intorno alla Porta di Brandeburgo viene definita dal governo dell’Est con il nome di ‘roccaforte di protezione antifascista’. La costruzione del Muro spacca a metà i quartieri berlinesi, intere famiglie e persino alcune case si trovano ad avere una facciata sulla zona sovietica e l’altra su quella americana.Durante la costruzione del Muro molti fuggitivi riescono a passare nella zona Ovest passando dalle finestre dei palazzi spaccati a metà dal confine. Finché il Muro non è completamente edificato e fortificato, i tentativi di fuga vengono messi in atto da principio con tecniche casalinghe, gettandosi dalla finestra di un appartamento prospiciente il confine sperando di ‘atterrare’ dalla parte giusta. Successivamente anche questi varchi delle finestre sono murati e fortificati. I palazzi intorno al Muro saranno evacuati con l’intento di frenare la continua fuga dei cittadini tedeschi dell’Est verso la parte occidentale-capitalista della città.Impiegati, studenti, casalinghe si trasformano in ingegneri: scavano tunnel con attrezzi di fortuna, progettano stratagemmi, modificano i bagagliai delle automobili di nascosto dal

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vicino di casa. Tutto per sfuggire ai Vopos, le guardie del regime, e scappare al di là del Muro.Le finestre murate negli anni ‘60 raccontano tutto del grande ‘reclusorio’. Abbiamo ingrandito la fotografia di una casa murata, amplificato la sua immobilità al fine di scoprire la verità. Per avvicinarci a ciò che sta alla base delle cose occorre esaminare l’immagine in profondità e pervenire così alla sua espressione non

visibile (e per questo più vera). A questa verità abbiamo affidato la rappresentanza della mostra e forse anche qualcosa di più.Secondo alcune stime, circa 75.000 persone furono condannate per i tentativi di fuga. Ogni tentativo, vero o presunto, veniva punito con pene detentive da uno a tre anni. Tutti finivano sotto sorveglianza del Ministero per la sicurezza dello Stato (Stasi).Il Muro verrà ricostruito più volte. Il ‘Muro

Eschen FritzMuro e barriera di filo spinato davanti alla Porta di Brandeburgo, 1961.Eschen Fritz / Ullstein Bild / Archivi Alinari

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Fotografo non identificatoGruppo di persone con i bagagli, negli anni del secondo dopoguerra,

seduti sotto il cartello con la scritta “State entrando nel settore britannico”, 1949.

Ullstein Bild / Archivi Alinari

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di quarta generazione’, iniziato nel 1975, era in cemento armato rinforzato, alto 3,6 metri e composto di 45.000 sezioni separate, di 1,5 metri di larghezza, più semplici da assemblare rispetto ai blocchi in muratura tradizionali. Sarà alto 4 metri, con una parete liscia e una sommità ricurva per impedire alle persone di aggrapparsi con le mani e scavalcarlo.Il presidente tedesco-orientale Erich Honecker dichiara agli inizi del 1989 che il Muro avrebbe diviso Berlino per altri 100 anni.Ma la “realtà si ride di noi”. Il crollo dell’economia sovietica e il clima di distensione globale rendono insostenibili le divisioni.L’Ungheria decide di aprire le frontiere con l’Austria e questo permette ai cittadini della Germania dell’Est di raggiungere la RFT, passando per Cecoslovacchia, Ungheria e Austria. Così la DDR si vede costretta ad abrogare il temuto divieto di espatrio.“Per accontentare i nostri alleati, è stata presa la decisione di aprire i posti di blocco. Se sono stato informato correttamente quest’ordine diventa efficace immediatamente”. È la famosa circolare del 9 novembre 1989 di Günter Schabowski, membro del Politburo del Partito Comunista.La stessa sera i cittadini di Berlino Est si affacciano speranzosi dall’alto del Muro. La sofferenza di tanti anni scoppia in un’improvvisa gioia collettiva ed in pochi giorni, o forse ore, il lungo Muro di Berlino viene distrutto a colpi di piccone o di martello dagli stessi cittadini. Le due zone della città torneranno a riunirsi. La Porta di Brandeburgo viene ufficialmente riaperta il 22 dicembre dello stesso anno, ma i cavalli continuano a guardare tuttora verso Est. I resti del Muro di Berlino e dei vari sbarramenti nelle vicinanze della Porta vengono a mano a mano completamente demoliti.Oggi resta in piedi soltanto un chilometro del Muro ed è conservato nella East Side Gallery come monumento alla memoria di quei giorni bui. Un altro breve tratto del Muro è visibile nella Bernauer Strasse.Dopo venti anni ci torniamo sopra, perché “l’uomo non è del tutto colpevole, poiché non ha cominciato la storia; né del tutto innocente, poiché la continua” (Albert Camus).L’ultimo cittadino ad essere ucciso mentre tenta la fuga, cercando di scavalcare il Muro presso Nobelstrasse, fu Chris Gueffroy il 5 febbraio 1989. Aveva poco più di vent’anni; era nato il 21 giugno 1968. Una croce lo ricorda, insieme a tante altre, in Piazza 14 marzo alle spalle della Porta di Brandeburgo.A lui e agli altri sono dedicate le immagini di questo amaro racconto fotografico.

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sotto e a p. 26Gert Hilde

Una donna si affaccia all’unica finestra non ancora murata, di un palazzo situato sulla linea di confine fra Ovest ed Est, 1961.

Hilde / Ullstein Bild / Archivi Alinari

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Parlare del Muro, della sua costruzione e della sua caduta significa avventurarsi in un weites Feld, direbbe Günter Grass, ‘un campo vasto’ e complesso, anche se il curriculum vitae del Muro, dall’ordine di erigerlo nell’estate del 1961, fino all’inizio del suo smantellamento all’indomani del 9 novembre 1989, abbraccia un trentennio scarso. Volerlo riesumare potrebbe poi apparire vieppiù obsoleto, se si pensa che quella ‘cortina di ferro’ che ha diviso al suo interno la Germania e la città di Berlino - che di quella divisione è l’incontestabile emblema - di fatto non esiste più, salvo alcuni tratti nascosti qua e là dalla boscaglia e sfuggiti allo smantellamento sistematico imposto dall’alto e alla furia demolitrice individuale di quanti, animati dal desiderio di liberarsi una volta per tutte di quello scandalo, l’hanno abbattuto a tempo di record. Scarsa lungimiranza - la loro - che oggi crea non poco imbarazzo a chi si batte per un memoriale del Muro a monito delle generazioni future.E tuttavia il fantasma del Muro divide ancora la Germania, sopravvive nella memoria collettiva di coloro che hanno vissuto nella sua ombra. E forse è proprio l’elemento umano, ciò che i singoli individui hanno proiettato su questa immensa superficie, la cifra di questa mostra, curata dal prof. Evio Hermas Ercoli, con cui la Provincia di Macerata partecipa alle commemorazioni della Caduta del Muro che si svolgono contemporaneamente in tutt’Europa. E forse non è neppure un caso che per farlo Macerata scelga un percorso fotografico. Il mezzo fotografico conduce prima di tutto alla dimensione della memoria, al ricordo e all’elaborazione di quello che è stato e quello che è oggi il Muro, oggetto altamente significante e polimorfo, esso stesso simbolo e sismografo dell’anima tedesca e delle sue molteplici contraddizioni. Le istantanee Alinari in mostra presso la Galleria Galeotti restituiscono dunque diversi sguardi e suggeriscono altrettante chiavi ermeneutiche per avvicinarci al Muro, oggetto non univoco già a partire dalle sue molteplici denominazioni possibili.Nell’immaginario occidentale alimentato dalla politica dell’epoca il Muro è soprattutto quello che potremmo definire ‘Muro della segregazione’, con cui i russi tengono un popolo - i tedeschi orientali - ‘chiuso dentro’. Non è certo un caso se nella stampa dell’Ovest alla parola Muro vengono spesso associati termini come ‘prigione’ (gefängnis), ‘carcere’ (Kerker)

Tutti i nostri Muridi Maria Paola Scialdone

“Da sempre fortificar ci piace / marcare il vallo, tirar su muri” Günter Grass, Novemberland (1996)

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e persino ‘campo di concentramento’ (KZ). La stessa parola ‘Muro’ di sovente è usata dai giornalisti come pars pro toto, quale sinonimo metonimico di Unfreiheit (assenza di libertà), di comunismo, di RDT. Di fatto il Muro è quello che da un giorno all’altro divide tragicamente intere famiglie dell’Est e dell’Ovest, limita la libertà di circolazione e di viaggio di quanti vivono nella Germania orientale, ostacola o persino cancella storie d’amore, impedisce ai congiunti di frequentarsi per anni e letteralmente ‘ghettizza’ - isolandola - l’altra metà del cielo tedesco. Il carattere aggressivo e provocatorio dell’innalzamento del Muro in una Germania ancora fresca di nazismo evoca subito altri muri di hitleriana memoria, paventati nella storia tedesca ed europea. Non da ultimo lo spettro della linea Siegfried, meglio noto come ‘Vallo occidentale’ (Westwall) e del ‘Muro della vergogna’, la cinta nazista del ghetto di Varsavia. Se inizialmente il Muro viene costruito in modo abborracciato per arginare, seppur in maniera maldestra, la fuga dei cittadini dalla zona sovietica, a Est subisce ben presto un considerevole rafforzamento e viene come dilatato da un apparato di controllo sofisticatissimo che dispiega un numero impressionante di trappole mortali su una larga fascia di ‘terra di nessuno’, accessibile solo ai così detti Vopos, i ‘poliziotti del popolo’ addetti al suo continuo pattugliamento. In questo modo la sua dimensione carceraria si amplifica a dismisura e ai cittadini della RDT, diversamente da quelli della RFT, non è concesso nemmeno lontanamente avvicinarsi al Muro.Nella propaganda orientale invece il Muro viene presentato come barriera a tutti gli effetti difensiva. Il ‘Muro della segregazione’ al tedesco dell’Est viene proposto come inevitabile “cinta di protezione antifascista” (antifaschistischer Schutzwall), questa la denominazione ufficiale coniata nel 1961 da Horst Sindermann che fa evidentemente leva sulla paura di un possibile ritorno al nazionalsocialismo e dell’avanzare nel blocco sovietico del capitalismo occidentale, preoccupazione di tutti coloro che, per motivi ideologici, dopo la guerra avevano scelto liberamente di vivere nella RDT. Nella retorica tedesco-orientale si evita così accuratamente di fare ricorso al termine ‘Muro’, o a tutti quelli che ricordano in qualche modo una misura repressiva, e ci si serve piuttosto di denominazioni tipicamente burocratizzate, descrittive o neutre, come ‘questo oggetto di cemento’ (dieses Betonartige), ‘il provvedimento’ (Maßnahme) oppure ‘la salvaguardia del nostro confine’ (Sicherung unserer Staatsgrenze). La necessità di tutelare i propri confini, anche con la forza, di fatto era percepita dagli stessi cittadini della RDT come un diritto inalienabile di uno Stato sovrano e soprattutto come una misura dolorosa, ma necessaria, per tutelare la propria indipendenza economica e difendere la causa comunista dopo il riarmo della Germania occidentale favorito dall’America. In questo clima di tensione tuttavia era facile perdere di vista che i Vopos non orientavano le loro armi verso il blocco occidentale, ma volgevano le spalle a Ovest pronti a sparare verso i cittadini orientali, qualora questi avessero tentato di attraversare il Muro, e che in ultima analisi l’apparato militare era addestrato a evitare fughe da Est, più che a sventare aggressioni occidentali.La politica difensiva della RDT, che con la costruzione del Muro ricorre a una delle soluzioni senza dubbio più grottesche della Storia, si traduce anche in una “mentalità da fortezza” (Burg-Mentalität). In un mondo circoscritto come un utero, tutelato dall’invasione dei ‘barbari’ come all’epoca della Muraglia cinese, la RDT concepisce una forte identità di appartenenza in cui la dittatura del proletariato è percepita come una misura comunque molto più democratica del modello di vita proposto aggressivamente dall’Ovest, dal quale occorreva proteggersi in ogni modo.È così che il Muro comincia ad acquisire da entrambe le parti una coloritura di inevitabilità, nel momento in cui viene a simboleggiare un funambolico, quanto mai precario, quasi

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impossibile equilibrio tra due visioni del mondo fra loro inconciliabili che, proprio grazie all’esistenza di questo ‘confine bifronte’, stringono una specie di patto di non belligeranza.Nato e reso più che mai forte da questa divisione, il Muro entra così nella sua dimensione che potremmo definire più simbolica e si trasforma nel ‘Muro dell’Utopia’, un’enorme superficie sulla quale i tedeschi orientali ed occidentali proiettano una tensione produttiva. Il Muro, che a Ovest si srotola come un’interminabile tela offerta alla libera creatività dei graffiti degli artisti, diviene esso stesso soggetto e oggetto poetico. Se gli intellettuali della Germania dell’Ovest raccolgono la provocazione del Muro confrontandosi con il tema del superamento dei confini e interrogandosi sul proprio bisogno di identità nazionale all’indomani della seconda guerra

mondiale e sulla necessità di elaborare il tragico lutto della colpa tedesca, l’Est si richiama a questa cinta difensiva, a questo confine artificiale, per vagheggiare un mondo venato di idealismo. Si batte per finalità anti-capitalistiche e per progettare un sentimento di patria alternativo che, con esiti molto spesso sentiti e non solo propagandistici, combatte contro le seduzioni messe in atto dall’Occidente e dalla sua vetrina più luccicante: la Berlino dell’Ovest. Quella che György Ligeti definisce la “gabbia surrealista” in territorio sovietico “in cui chi vi è chiuso dentro è libero” si offre infatti alla vista dei tedeschi orientali come una fata morgana quanto mai allettante. Ma questo miraggio ha gioco facile là dove uno stile di vita troppo spartano, un regime di terrore messo in atto dal governo della RDT con i suoi strumenti repressivi come la Stasi, le troppe

Bernd ThieleCostruzione del Muro: folla riunita da una parte e dall’altra della barriera per seguirne le fasi costruttive, agosto 1961.Thiele Bernd / Ullstein Bild / Archivi Alinari

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Klaus LehnartzGiovani sposi davanti al Muro mentre salutano parenti e amici

dall’altra parte della barriera, 1961.Lehnartz / Ullstein Bild / Archivi Alinari

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restrizioni della libertà individuale e la sensazione serpeggiante di essere tedeschi di ‘serie B’ in mano a una “nomenklatura” (номенклату́ра) corrotta, alimentano un dissenso interno che, pur non traducendosi necessariamente in un desiderio di riunificazione con l’Ovest - sempre guardato in qualche modo con disprezzo o con sospetto - o per forza in una rinuncia a valori di stampo comunista, crea parallelamente anche una mitizzazione di quell’Ovest così osteggiato. Assistiamo così a una deriva di quel ‘Muro dell’Utopia’ che questa volta si colora di tratti inevitabilmente consumistici. La seduzione del consumo si insinua a Est attraverso la visione clandestina della televisione occidentale e, non da ultimo, anche attraverso quei tanto agognati pacchetti (Westpakete) spediti alle famiglie della Germania orientale dai parenti ‘ricchi’ dell’Ovest che hanno libero accesso a banane, collant di seta e gelato Mövenpick, beni di lusso modesto a cui i cittadini della RDT più o meno palesemente aspirano e che non a caso alimenteranno l’entusiasmo iniziale subito dopo la caduta del Muro, quando si crede per un attimo di aver attraversato, come Alice nel paese delle meraviglie, quel confine che separava dal paese dei balocchi.La riunificazione delle due Germanie è stata molto acutamente definita una Zweckgemeinschaft, una “unione per interesse” reciproco alimentata dalla politica monetaria dell’ 1:1 voluta da Helmut Kohl per allettare i tedeschi dell’Est, frustrati da un antico senso di inferiorità. All’indomani di questo accadimento epocale sono forse due le domande che sembrano degne di essere rilanciate. Alla questione posta da Peter Schneider subito a ridosso del 1989: “possiamo vivere senza il Muro?”, fa eco la famosa domanda di Christa Wolf: “che cosa resta?” (was bleibt?), assurta ormai a motto della resa dei conti con il passato della RDT. A entrambe potremmo provare a rispondere ricorrendo a due ennesime forme di metamorfosi del Muro. Il ‘Muro mercificato’, ma anche il ‘Muro del rimpianto’. L’abbattimento del Muro e la sua conseguente messa in vendita in miriadi di folkloristici frammenti mercificati che richiamano un passato recente, svuotato ormai del suo significato e ridotto a mero souvenir, a reliquia del nulla, ha provocato per reazione la nascita di un nuovo fenomeno sociale e letterario che si identifica con la cosiddetta Ostalgie, la nostalgia della RDT con il suo mondo di valori e di riti quotidiani. “Non avevamo neppure fatto in tempo ad afferrare l’Occidente che già l’Occidente aveva afferrato noi”, scrive Thomas Rosenlöcher constatando la repentina perdita di un mondo di ieri. Non privo per certi versi anch’esso di risvolti commerciali vintage e modaioli, questo fenomeno della Ostalgie nella sua accezione più positiva equivale, ancora una volta con Christa Wolf, a ‘riaffermare la propria biografia’, a riappropriarsi di quei tratti di un’identità maturata che il compromesso culturale con l’Ovest tende spietatamente ad assorbire o a cancellare. Il pendant di questo rigurgito di ‘n-ostalgia’ per la RDT, non da ultimo causato anche dalla perdita di posti di lavoro garantiti e dal venir meno di quell’apparato assistenzialista che caratterizzava la ‘comoda dittatura’ dell’Est, è una certa insofferenza dell’Ovest nei confronti di quanti, con la loro integrazione, hanno sottoposto i tedeschi occidentali a pesanti sacrifici economici, in un crescendo di insoddisfazione e di insofferenza reciproca.All’orizzonte oggi si staglia la sagoma di un altro Muro, quello della divisione culturale che per anni era stato camuffato da divisione meramente politica ma che allo stato attuale si manifesta in due mentalità, due stili di vita, persino due diverse identità linguistiche, caratterizzate nella variante tedesca occidentale da una evidente anglicizzazione e nella variante tedesca orientale da burocratizzazione e slavizzazione.Solo un rigoroso e coscienzioso lavoro di memoria imparziale potrà porre un freno alla vergognosa rimozione collettiva a cui si sta sottoponendo una pagina importante della storia delle due Germanie e contribuire a costruire un’adeguata dialettica intraculturale utile ad armonizzare quelle differenze che si sono create all’interno di una medesima nazione divisa per quarant’anni in due popoli. Questa mostra non è che un piccolo, seppur importante contributo a questo compito.

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sotto e a p. 30Ingo Röhrbein

Folla di persone sopra il Muro, dopo la sua caduta, davanti alla Porta di Brandeburgo, 10 novembre 1989.

Röhrbein / Ullstein Bild / Archivi Alinari

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Gli anni del Muro1945 - Fine della seconda guerra mondiale;1949 - Divisione della Germania;1961 - Erezione del Muro di Berlino, fortificazione del confine tra le due Germanie;1989 - Caduta del Muro;1990 - Riunificazione della Germania.

I numeri del Muro2,6 milioni sono le persone fuggite dall’Est all’Ovest prima della costruzione del muro su una popolazione totale della ex-DDR di 17 milioni;12.000 gli abitanti di Berlino Ovest che, fino al 1961, lavoravano ogni giorno all’Est; ca. 53.000 gli abitanti di Berlino Est che, fino al 1961, lavoravano ogni giorno all’Ovest; 106 km la lunghezza del muro di calcestruzzo; 3,60 m l’altezza media del muro di calcestruzzo; 127,5 km la lunghezza di altri impianti con recinti fortificati e filo spinato; 2,90 m l’altezza media dei recinti fortificati;302 le torri di osservazione al confine intorno a Berlino; da 40 m a 1,5 km la larghezza della striscia di territorio all’Est (vicino al Muro o vicino al confine tra le due Germania) al quale si poteva accedere solo con un permesso speciale;600 persone fuggite da Berlino Est a Ovest a piedi, nei primi due mesi nei punti non ancora completamente fortificati;85 soldati dell’Est fuggiti a piedi nei primi due mesi;137 persone fuggite attraverso dei tunnel scavati sotto il muro (1962-63);2.000 persone fuggite con automobili preparate per nascondere passeggeri;Altri metodi usati: passaporti diplomatici falsi, mezzi militari pesanti, camion rafforzati, navi e locomotive per rompere i punti di passaggi e molti altri modi, anche i più inverosimili;230 persone uccise lungo il Muro e 650 lungo il confine tra le due Germanie nel tentativo di attraversare il confine da Est a Ovest;850 persone ferite nel tentativo di attraversare il confine; Migliaia le persone arrestate nel tentativo di attraversare il confine;27 soldati dell’Est uccisi in scontri a fuoco con persone fuggite, soldati americani o polizia dell’Ovest.

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Finito di stampare nel mese di novembre 2009presso la Tipografia San Giuseppe, Pollenza (MC)