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19-08-19 RASSEGNA STAMPA 19-08-19 MAROCCO, PROGETTO LEGGE FINANZIARIA 2020: +3,7% CRESCITA ECONOMICA; 70MLN DI QUINTALI DI CEREALI; +3.6% DELLE ATTIVITÀ NON AGRICOLE Tribuna Economica 19-08-19 CIBO, L’ETICHETTA DELLA DISCORDIA. LE MULTINAZIONALI ASSEDIANO L’ITALIA Affari&Finanza 19-08-19 CLIMA, LA RICETTA DI MR. SYNGENTA ‘AGRICOLTURA 4.0 SALVERA’ IL PIANETA’ Affari&Finanza 19-08-19 LA FATTORIA ‘COLTIVA’ CARBURANTE E RISCALDA ANCHE L’OSPEDALE La Repubblica 19-08-19 POLLO E UOVA A KM ZERO. LONDRA SPOSA LA DIETA BIO, MA E’ UN LUSSO PER RICCHI La Stampa

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19-08-19RASSEGNASTAMPA 19-08-19MAROCCO,PROGETTOLEGGEFINANZIARIA2020:+3,7%CRESCITAECONOMICA;70MLNDIQUINTALIDICEREALI;+3.6%DELLEATTIVITÀNONAGRICOLETribunaEconomica19-08-19CIBO,L’ETICHETTADELLADISCORDIA.LEMULTINAZIONALIASSEDIANOL’ITALIAAffari&Finanza19-08-19CLIMA,LARICETTADIMR.SYNGENTA‘AGRICOLTURA4.0SALVERA’ILPIANETA’Affari&Finanza19-08-19LAFATTORIA‘COLTIVA’CARBURANTEERISCALDAANCHEL’OSPEDALELaRepubblica19-08-19POLLOEUOVAAKMZERO.LONDRASPOSALADIETABIO,MAE’UNLUSSOPERRICCHILaStampa

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Data 19/08/2019

Pagina 1

Foglio 1

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19-08-19

Marocco, progetto legge finanziaria 2020: +3,7% crescita economica; 70mln di quintali di cereali; +3.6% delle attività non agricole

Queste le previsioni del PLF ( Progetto Legge Finanziaria ) 2020: 3.7% crescita economica; una raccolta attesa di 70 milioni di quintali di cereali; miglioramento del 3.6% delle attività non agricole; gas butano a 350 dollari/tonn;

bilancio di compensazione a 13.6 miliardi di Dirham.

Gli obiettivi assegnati dal capo del Governo comprendono l'attuazione dei termini dell'accordo sociale sottoscritto lo scorso aprile, il dispiegamento di una regionalizzazione avanzata, l'accelerazione della crescita economica, prosecuzione dello sviluppo dei settori cruciali come la distribuzione idrica, le energie rinnovabili, il trasporto... La sfida del finanziamento necessario contempla la diversificazione delle fonti di finanziamento del Tesoro e una serie di misure, quali l'efficace raccolta delle imposte, il rafforzamento della lotta alla frode ed evasione fiscale, le disposizioni atte a favorire l'integrazione del settore informale e a rafforzare i sistemi di controllo fiscale e doganale. E la battaglia contro l'economia sommersa comprende la lotta a tutte le forme di concorrenza sleale come il contrabbando, la contraffazione, il rispetto delle norme di qualità e sicurezza.

La realizzazione di una buona crescita suppone inoltre l'efficacia dell'investimento, il cui livello di spesa raggiunge un terzo del PIL, livello fra i più elevati al mondo. Ma il Re ha chiesto anche al Governo di riconsiderare il modello di sviluppo seguito finora, prevedendo una specifica attenzione alla crescita inclusiva. (ICE CASABLANCA - L'Economiste)

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Data 19/08/2019

Pagina 4

Foglio 1/2

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n Europa è entrata nel vivo, con toni accessi e senza esclusioni di col-pi, la battaglia sulle eti-

chette nutrizionali dei prodotti alimentari. In gioco, ci sono la sa-lute di 500 milioni di consumato-ri europei e interessi economici che Eurostat quantifica in oltre 1 trilione di euro. Tanto vale il mercato comunitario del food&beverage, un macro-setto-re che genera un valore aggiun-to di 230 miliardi di euro e dà la-voro a quasi 5 milioni di perso-ne. Numeri che lo rendono la più grande industria manifattu-riera della Ue.

La disputa parte da lontano, cioè da quando è entrato in vigo-re l’obbligo di dichiarazione nu-trizionale sui prodotti pre-confe-zionati alimentari in commercio nei supermercati del vecchio continente (Reg. Ue n. 1169/2011, art. 35). Il provvedimento nasce-va con l’obiettivo di aumentare la consapevolezza dei consuma-tori sui contenuti nutrizionali di ogni singolo prodotto: compo-nente energetica, grassi saturi, zuccheri, sale o calorie. A distan-za di 8 anni però, per colpa dell’i-nerzia politica della Commissio-ne europea e di approcci nazio-nali più o meno distanti sul te-ma, la confusione sulle etichette nutrizionali è paradossalmente aumentata, perché alcuni paesi europei nel frattempo hanno ini-ziato a sperimentare differenti modelli “volontari” di etichetta-tura.

Modelli in campo

La Svezia e i paesi scandinavi, ad esempio, hanno scelto di segna-lare con l’etichetta semplificata “Keyhole”, la serratura colorata, i cibi migliori nelle rispettive ca-tegorie in termini di contenuto di fibre, sale, zuccheri, grassi e grassi saturi. Diversa è la propo-sta inglese: qui, da 5 anni, si usa-no i 3 colori dei semafori per mi-surare la qualità nutrizionale di un alimento, calcolato su una porzione da 100 grammi. Il colo-re rosso segnala i cibi con un al-to contenuto di sale, zuccheri e grassi. C’è poi l’etichetta Nu-tri-score, adottata lo scorso an-no in Francia, e in seguito in Bel-gio e Svizzera, che classifica i va-lori nutrizionali, sempre calcola-ti su una porzione da 100 gram-mi, per colori e lettere: la scala va dalla A alle E. I colori verde scuro, verde chiaro, arancio,

giallo e rosso variano in base al contenuto di ingredienti buoni (fibre, frutta) o cattivi (grassi sa-turi, zuccheri, sale, sodio, calo-rie).

Nutri-score

Nonostante l’etichetta a semafo-ro inglese sia in vigore da qual-che anno e abbia pure ricevuto una bocciatura dalla commissio-ne di Strasburgo, nel Regno Uni-to continua ad esistere. Con il ta-cito assenso di Bruxelles. A riac-cendere il fuoco sotto le ceneri è stato il nuovo sistema di etichet-tatura made in Francia, elabora-to da un team di scienziati, che di fatto rappresenta un’evoluzio-ne del modello inglese. Sistema condiviso peraltro dall’Organiz-zazione mondiale della sanità (Oms) e da 7 associazioni dei con-sumatori europei, capeggiate dalla francese Ufc-Que Choisir, che valutano il Nutri-score uno strumento utile a comprendere con un colpo d’occhio il valore nutrizionale degli alimenti. In che modo? Paragonando tra lo-ro le referenze per categoria e ti-pologia di prodotti. Ad esempio, le insalate in busta avranno sem-pre un Nutriscore verde, mentre i biscotti saranno sul giallo/aran-cione. In questo caso, i consuma-tori potranno anche verificare quali sono i biscotti più buoni (gialli) e quelli meno (arancioni) per la salute.

Italia

Non la pensa così l’Italia che con-sidera invece il modello france-se, alla pari di quello inglese, “fuorviante e ingannevole” per-ché non informa i consumatori in modo adeguato visto che la sua valutazione continua ad es-sere calcolata su porzioni da 100

grammi. «È evidente che il Nu-tri-score, così com’è concepito, penalizza le eccellenze agro-ali-mentari italiane come i prodotti Dop, Igp e Stg che hanno una ri-cetta bloccata, tutelata e certifi-cata dall’Italia e dall’Europa. È impensabile valutare olio extra vergine o parmigiano su una por-zione da 100 grammi, quando tutti sanno che in una dieta sana ed equilibrata ne bastano poche quantità», premette il ministro delle Politiche agricole, Gian Marco Centinaio. Che rilancia: «Stiamo procedendo spedita-mente con la sperimentazione della nostra proposta di etichet-tatura nutrizionale, che consen-tirà di visualizzare le componen-ti nutrizionali a ‘batteria’ e ga-rantirà trasparenza di informa-zioni e capacità di educazione».

Fatto sta che il Nutri-score va avanti. «Entro l’anno adottere-mo questo sistema volontario di etichettatura in Francia, Belgio e Svizzera: cioè, in quei paesi che hanno già deciso di accettar-lo. Implementeremo gradual-mente questo sistema su tutte le categorie di prodotti che lo con-sentono», annuncia Marco Set-tembri, ceo per l’Europa, Medio Oriente e Nord Africa di Nestlé, multinazionale svizzera del

food&beverage con oltre 82 mi-liardi di euro di fatturato nel 2018, di cui 1,7 miliardi realizzati nel nostro Paese. Al momento, solo Danone ha già adottato il Nutri-score in Francia. «Se il go-verno italiano e l’intero sistema agro-alimentare non vogliono utilizzarlo, prendiamo atto della decisione e ci adeguiamo», rassi-cura il ceo. Settembri, però, è convinto che il Nutri-score sia un buon sistema su cui lavorare a livello europeo. «Può essere mi-gliorato e adeguato alle diverse tipologie di prodotto del largo consumo, dal confezionato al fresco. A patto che Italia e Fran-cia inizino a dialogare per arriva-re ad uno schema di etichettatu-ra uniforme», puntualizza il ceo. Il problema è che in questa parti-ta l’Italia rischia di finire in un angolo perché altri paesi come Spagna, Portogallo e Germania stanno discutendo sul Nutri-sco-re e potrebbero ad adottarlo. «Emblematico è il caso della Spa-gna che sull’olio di oliva ha aper-to un confronto serrato con la Francia facendo notare che quel tipo di prodotto non può essere valutato su una porzione di 100

ml», dice il ceo. Lo stesso sta accadendo an-

che in terra francese, con i pro-duttori locali che hanno chiesto (e ottenuto) dal governo l’esclu-sione dei prodotti Dop e Igp dal paniere del Nutri-score. «Una de-cisione che rappresenta un’ulte-riore penalizzazione per le no-stre eccellenze agroalimentari», dice Ettore Prandini, presidente di Coldiretti. Che contesta il mo-dello a semaforo: «È fuorviante perché non dà informazioni cor-rette sulla qualità del singolo prodotto, ma sulla quantità. Nel Regno Unito, l’olio extra vergine e il parmigiano reggiano vengo-no contrassegnati ancora oggi con il bollino rosso, la diet coke con quello verde». Il Nutri-sco-re? «È la più grande minaccia per il made in Italy, è in atto una guerra commerciale contro il no-stro Paese», rincara Ivano Vacon-dio, presidente di Federalimen-tare. «Il modello francese è l’evo-luzione di quello inglese, ma re-sta semplicistico perché non in-forma in modo corretto sulla qualità dei prodotti e sulla dose. In questa direzione, si muove la proposta italiana a batteria, con-clude Marco Pedroni, presiden-te di Coop Italia.1©RIPRODUZIONE RISERVATA

I numeri

alla conquista dei mercatila crescita dell’export negli anni

l’alimentare, un tesoro in casa

essun colore a indicare cibi “buoni” o “cattivi”, ma un’icona a forma di batte-ria come quella degli smartphone per vi-sualizzare la presenza di calorie, grassi,

grassi saturi, zuccheri e sale negli alimenti. La parte carica della batteria rappresenta grafica-mente la percentuale di energia o di nutrienti contenuta nella singola porzione, permettendo di quantificarla anche visivamente. Per una dieta equilibrata, la somma di ciò che si mangia duran-te il giorno non deve superare il 100% dell’impor-to quotidiano raccomandato.

È la via italiana all’etichetta nutrizionale sempli-ficata da stampare sulle confezioni degli alimenti che altrove in Europa prende la forma del famige-rato “semaforo” o Nutriscore. Il modello italiano di etichettatura - illustrato poco più di mese fa dal mi-

nistro Gian Marco Centinaio al com-missario al commis-sario europeo per la Salute e la Sicu-rezza alimentare, Vytenis Andriukai-tis – è stato realizza-to da un gruppo di lavoro formato da nutrizionisti ed esperti di marke-ting, coinvolgendo tutte le associazio-ni di categoria e quattro ministeri (Sviluppo economi-co, Salute, Politi-che agricole, Affari esteri e cooperazio-ne internazionale).

Da un’indagine su un campione rappresentati-vo dei consumatori italiani, condotta dalla socie-tà Iri su mandato del governo, risulta che il 67% degli intervistati preferisce la proposta italiana di etichettatura. Di parere opposto sembrano es-sere invece 7 associazioni europee di consumato-ri che lo scorso maggio hanno lanciato un’iniziati-va per imporre l’obbligo dell’etichettatura sem-plificata “Nutri-score” sui prodotti alimentari per tutelare la salute dei consumatori e garantire che vengano loro fornite informazioni nutrizio-nali di qualità.

A oggi si contano circa 60 mila firme. Ne servo-no un milione, da raccogliere entro l’8 maggio 2020. A leggere gli obiettivi, è evidente che l’im-pulso è anche quello di fare pressione, con que-sta forma di etichettatura, sulle aziende produt-trici perché mettano sul mercato prodotti miglio-ri dal punto di vista nutrizionale. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

Cibo, l’etichetta della discordiale multinazionali assediano l’Italia

N

La stessa icona usata negli smartphone: “Dà il giustomessaggio sulla quantità di energia ai consumatori”

L’opinione

Il modello a semaforo è fuorviante perchè non dà informazioni corrette sulla qualità del prodotto, ma esprime un giudizio basato solo sulla quantità

ETTORE PRANDINIPRESIDENTE COLDIRETTI

230MILIARDI DI EURO

Il valore aggiunto generato in Europa dal settore agroalimentare

E Roma si smarca“Useremo la batteria”

L’inchiesta

V.D.C.

Marco SettembriNestlè

Marco PedroniCoop Italia 5

MILIONI

L’occupazionein Europa creata dal settore della trasformazione alimentare

Il caso

I numeri

È caos sui valori nutrizionali indicatisui prodotti: ogni paese adotta regole diverse. E le grandi multinazionali del food spingono per sistemi che penalizzano le nostre eccellenze agroalimentari

I

vito De Ceglia, roma

Primo Piano L’Europa e l’alimentarePrimo Piano L’Europa e l’alimentare

Gian Marco CentinaioPoliticheagricole

Ettore PrandiniColdiretti

GET

TY I

MA

GES

PHANIE/ALAMY

67%LA QUOTA

di italiani favorevoli ad una proposta di etichettatura che abbandon oil “semaforo”

100%LA QUANTITÀ

di prodotto che non deve essere superata nel consumo “a batteria”, in base al sistema

Ivano VacondioFederalimen-tare

pagina 4 Lunedì, 19 agosto 2019.

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Data 19/08/2019

Pagina 5

Foglio 2/2

Ritaglio stampa ad uso esclusivo del destinatario, non riproducibile.

n Europa è entrata nel vivo, con toni accessi e senza esclusioni di col-pi, la battaglia sulle eti-

chette nutrizionali dei prodotti alimentari. In gioco, ci sono la sa-lute di 500 milioni di consumato-ri europei e interessi economici che Eurostat quantifica in oltre 1 trilione di euro. Tanto vale il mercato comunitario del food&beverage, un macro-setto-re che genera un valore aggiun-to di 230 miliardi di euro e dà la-voro a quasi 5 milioni di perso-ne. Numeri che lo rendono la più grande industria manifattu-riera della Ue.

La disputa parte da lontano, cioè da quando è entrato in vigo-re l’obbligo di dichiarazione nu-trizionale sui prodotti pre-confe-zionati alimentari in commercio nei supermercati del vecchio continente (Reg. Ue n. 1169/2011, art. 35). Il provvedimento nasce-va con l’obiettivo di aumentare la consapevolezza dei consuma-tori sui contenuti nutrizionali di ogni singolo prodotto: compo-nente energetica, grassi saturi, zuccheri, sale o calorie. A distan-za di 8 anni però, per colpa dell’i-nerzia politica della Commissio-ne europea e di approcci nazio-nali più o meno distanti sul te-ma, la confusione sulle etichette nutrizionali è paradossalmente aumentata, perché alcuni paesi europei nel frattempo hanno ini-ziato a sperimentare differenti modelli “volontari” di etichetta-tura.

Modelli in campo

La Svezia e i paesi scandinavi, ad esempio, hanno scelto di segna-lare con l’etichetta semplificata “Keyhole”, la serratura colorata, i cibi migliori nelle rispettive ca-tegorie in termini di contenuto di fibre, sale, zuccheri, grassi e grassi saturi. Diversa è la propo-sta inglese: qui, da 5 anni, si usa-no i 3 colori dei semafori per mi-surare la qualità nutrizionale di un alimento, calcolato su una porzione da 100 grammi. Il colo-re rosso segnala i cibi con un al-to contenuto di sale, zuccheri e grassi. C’è poi l’etichetta Nu-tri-score, adottata lo scorso an-no in Francia, e in seguito in Bel-gio e Svizzera, che classifica i va-lori nutrizionali, sempre calcola-ti su una porzione da 100 gram-mi, per colori e lettere: la scala va dalla A alle E. I colori verde scuro, verde chiaro, arancio,

giallo e rosso variano in base al contenuto di ingredienti buoni (fibre, frutta) o cattivi (grassi sa-turi, zuccheri, sale, sodio, calo-rie).

Nutri-score

Nonostante l’etichetta a semafo-ro inglese sia in vigore da qual-che anno e abbia pure ricevuto una bocciatura dalla commissio-ne di Strasburgo, nel Regno Uni-to continua ad esistere. Con il ta-cito assenso di Bruxelles. A riac-cendere il fuoco sotto le ceneri è stato il nuovo sistema di etichet-tatura made in Francia, elabora-to da un team di scienziati, che di fatto rappresenta un’evoluzio-ne del modello inglese. Sistema condiviso peraltro dall’Organiz-zazione mondiale della sanità (Oms) e da 7 associazioni dei con-sumatori europei, capeggiate dalla francese Ufc-Que Choisir, che valutano il Nutri-score uno strumento utile a comprendere con un colpo d’occhio il valore nutrizionale degli alimenti. In che modo? Paragonando tra lo-ro le referenze per categoria e ti-pologia di prodotti. Ad esempio, le insalate in busta avranno sem-pre un Nutriscore verde, mentre i biscotti saranno sul giallo/aran-cione. In questo caso, i consuma-tori potranno anche verificare quali sono i biscotti più buoni (gialli) e quelli meno (arancioni) per la salute.

Italia

Non la pensa così l’Italia che con-sidera invece il modello france-se, alla pari di quello inglese, “fuorviante e ingannevole” per-ché non informa i consumatori in modo adeguato visto che la sua valutazione continua ad es-sere calcolata su porzioni da 100

grammi. «È evidente che il Nu-tri-score, così com’è concepito, penalizza le eccellenze agro-ali-mentari italiane come i prodotti Dop, Igp e Stg che hanno una ri-cetta bloccata, tutelata e certifi-cata dall’Italia e dall’Europa. È impensabile valutare olio extra vergine o parmigiano su una por-zione da 100 grammi, quando tutti sanno che in una dieta sana ed equilibrata ne bastano poche quantità», premette il ministro delle Politiche agricole, Gian Marco Centinaio. Che rilancia: «Stiamo procedendo spedita-mente con la sperimentazione della nostra proposta di etichet-tatura nutrizionale, che consen-tirà di visualizzare le componen-ti nutrizionali a ‘batteria’ e ga-rantirà trasparenza di informa-zioni e capacità di educazione».

Fatto sta che il Nutri-score va avanti. «Entro l’anno adottere-mo questo sistema volontario di etichettatura in Francia, Belgio e Svizzera: cioè, in quei paesi che hanno già deciso di accettar-lo. Implementeremo gradual-mente questo sistema su tutte le categorie di prodotti che lo con-sentono», annuncia Marco Set-tembri, ceo per l’Europa, Medio Oriente e Nord Africa di Nestlé, multinazionale svizzera del

food&beverage con oltre 82 mi-liardi di euro di fatturato nel 2018, di cui 1,7 miliardi realizzati nel nostro Paese. Al momento, solo Danone ha già adottato il Nutri-score in Francia. «Se il go-verno italiano e l’intero sistema agro-alimentare non vogliono utilizzarlo, prendiamo atto della decisione e ci adeguiamo», rassi-cura il ceo. Settembri, però, è convinto che il Nutri-score sia un buon sistema su cui lavorare a livello europeo. «Può essere mi-gliorato e adeguato alle diverse tipologie di prodotto del largo consumo, dal confezionato al fresco. A patto che Italia e Fran-cia inizino a dialogare per arriva-re ad uno schema di etichettatu-ra uniforme», puntualizza il ceo. Il problema è che in questa parti-ta l’Italia rischia di finire in un angolo perché altri paesi come Spagna, Portogallo e Germania stanno discutendo sul Nutri-sco-re e potrebbero ad adottarlo. «Emblematico è il caso della Spa-gna che sull’olio di oliva ha aper-to un confronto serrato con la Francia facendo notare che quel tipo di prodotto non può essere valutato su una porzione di 100

ml», dice il ceo. Lo stesso sta accadendo an-

che in terra francese, con i pro-duttori locali che hanno chiesto (e ottenuto) dal governo l’esclu-sione dei prodotti Dop e Igp dal paniere del Nutri-score. «Una de-cisione che rappresenta un’ulte-riore penalizzazione per le no-stre eccellenze agroalimentari», dice Ettore Prandini, presidente di Coldiretti. Che contesta il mo-dello a semaforo: «È fuorviante perché non dà informazioni cor-rette sulla qualità del singolo prodotto, ma sulla quantità. Nel Regno Unito, l’olio extra vergine e il parmigiano reggiano vengo-no contrassegnati ancora oggi con il bollino rosso, la diet coke con quello verde». Il Nutri-sco-re? «È la più grande minaccia per il made in Italy, è in atto una guerra commerciale contro il no-stro Paese», rincara Ivano Vacon-dio, presidente di Federalimen-tare. «Il modello francese è l’evo-luzione di quello inglese, ma re-sta semplicistico perché non in-forma in modo corretto sulla qualità dei prodotti e sulla dose. In questa direzione, si muove la proposta italiana a batteria, con-clude Marco Pedroni, presiden-te di Coop Italia.1©RIPRODUZIONE RISERVATA

I numeri

alla conquista dei mercatila crescita dell’export negli anni

l’alimentare, un tesoro in casa

essun colore a indicare cibi “buoni” o “cattivi”, ma un’icona a forma di batte-ria come quella degli smartphone per vi-sualizzare la presenza di calorie, grassi,

grassi saturi, zuccheri e sale negli alimenti. La parte carica della batteria rappresenta grafica-mente la percentuale di energia o di nutrienti contenuta nella singola porzione, permettendo di quantificarla anche visivamente. Per una dieta equilibrata, la somma di ciò che si mangia duran-te il giorno non deve superare il 100% dell’impor-to quotidiano raccomandato.

È la via italiana all’etichetta nutrizionale sempli-ficata da stampare sulle confezioni degli alimenti che altrove in Europa prende la forma del famige-rato “semaforo” o Nutriscore. Il modello italiano di etichettatura - illustrato poco più di mese fa dal mi-

nistro Gian Marco Centinaio al com-missario al commis-sario europeo per la Salute e la Sicu-rezza alimentare, Vytenis Andriukai-tis – è stato realizza-to da un gruppo di lavoro formato da nutrizionisti ed esperti di marke-ting, coinvolgendo tutte le associazio-ni di categoria e quattro ministeri (Sviluppo economi-co, Salute, Politi-che agricole, Affari esteri e cooperazio-ne internazionale).

Da un’indagine su un campione rappresentati-vo dei consumatori italiani, condotta dalla socie-tà Iri su mandato del governo, risulta che il 67% degli intervistati preferisce la proposta italiana di etichettatura. Di parere opposto sembrano es-sere invece 7 associazioni europee di consumato-ri che lo scorso maggio hanno lanciato un’iniziati-va per imporre l’obbligo dell’etichettatura sem-plificata “Nutri-score” sui prodotti alimentari per tutelare la salute dei consumatori e garantire che vengano loro fornite informazioni nutrizio-nali di qualità.

A oggi si contano circa 60 mila firme. Ne servo-no un milione, da raccogliere entro l’8 maggio 2020. A leggere gli obiettivi, è evidente che l’im-pulso è anche quello di fare pressione, con que-sta forma di etichettatura, sulle aziende produt-trici perché mettano sul mercato prodotti miglio-ri dal punto di vista nutrizionale. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

Cibo, l’etichetta della discordiale multinazionali assediano l’Italia

N

La stessa icona usata negli smartphone: “Dà il giustomessaggio sulla quantità di energia ai consumatori”

L’opinione

Il modello a semaforo è fuorviante perchè non dà informazioni corrette sulla qualità del prodotto, ma esprime un giudizio basato solo sulla quantità

ETTORE PRANDINIPRESIDENTE COLDIRETTI

230MILIARDI DI EURO

Il valore aggiunto generato in Europa dal settore agroalimentare

E Roma si smarca“Useremo la batteria”

L’inchiesta

V.D.C.

Marco SettembriNestlè

Marco PedroniCoop Italia 5

MILIONI

L’occupazionein Europa creata dal settore della trasformazione alimentare

Il caso

I numeri

È caos sui valori nutrizionali indicatisui prodotti: ogni paese adotta regole diverse. E le grandi multinazionali del food spingono per sistemi che penalizzano le nostre eccellenze agroalimentari

I

vito De Ceglia, roma

Primo Piano L’Europa e l’alimentarePrimo Piano L’Europa e l’alimentare

Gian Marco CentinaioPoliticheagricole

Ettore PrandiniColdiretti

GET

TY I

MA

GES

PHANIE/ALAMY

67%LA QUOTA

di italiani favorevoli ad una proposta di etichettatura che abbandon oil “semaforo”

100%LA QUANTITÀ

di prodotto che non deve essere superata nel consumo “a batteria”, in base al sistema

Ivano VacondioFederalimen-tare

Lunedì, 19 agosto 2019 pagina 5.

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Page 5: 19-08-19 RASSEGNA STAMPA · 19-08-19 rassegna stampa 19-08-19 marocco, progetto legge finanziaria 2020: +3,7% crescita economica; 70mln di quintali di cereali; +3.6% delle attivitÀ

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Data 19/08/2019

Pagina 6

Foglio 1

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l cambiamento climatico “è la vera emergenza globale”. E visto che agricoltura e settore

alimentare “sono responsabili del 25% delle emissioni di CO2”, le industrie del settore “hanno l’obbligo imperativo di lavorare nell’interesse di tutti per bloccare e invertire il trend di crescita dell’effetto serra”. Dialogando “senza prevenzioni reciproche” con contadini, politica e organizzazioni ambientalistiche. Questo 2019 meteorologicamente pazzo (se mai ce ne fosse stato bisogno) ha convinto Erik Fyrwald, amministratore delegato del colosso agrochimico elvetico - a controllo cinese - Syngenta, che non c’è tempo da perdere. “Ci sono stati alluvioni in Usa che hanno ritardato o reso impossibile la semina di mais e soia. Nell’ovest del Canada c’è siccità, come in Indonesia e Francia, tutta l’Europa sta battendo i suoi record di calore”. I prezzi delle materie prime “sono destinati ad aumentare e per il bene delle generazioni future bisogna fare subito qualcosa di concreto”.

Come? Ognuno deve fare la sua parte. La sostenibilità ambientale deve diventare una nostra priorità. Contadini, politica, organizzazioni ambientalistiche devono provare a parlarsi senza prevenzioni. Noi abbiamo aiutato a ridurre del 95% l’uso dei pesticidi negli ultimi 50 anni ma chiaramente non basta. Puntare solo su un approccio “organico” non è la soluzione. Molte di queste idee sono valide, noi stessi consigliamo a chi lavora con noi di fare la rotazione delle coltivazioni. Problema è che la resa dei campi è inferiore del 35% in meno. E spesso ti tocca passare più spesso sul terreno con le macchine per i trattamenti.

Facile, detto da chi vende prodotti agrochimici…La mia idea è che vale la pena usare un approccio biologico dove serve, ma non demonizzare la chimica e la tecnologia per migliorare i semi e aumentare la produttività dei campi. Indietro non si può tornare. L’obiettivo è salvare il gusto, i valori nutritivi e la sicurezza di quello che produci riducendo al minimo le emissioni di CO2 e soprattutto tagliando il consumo di terra e di energia per unità di cibo prodotto. E’ così che si ferma la deforestazione. E l’arma migliore che abbiamo contro il cambiamento climatico è l’uso di nuovi prodotti e nuove tecnologie per avere qualità giusta, migliorando la salute del terreno e usando meno pesticidi

In che modo? “Bisogna trattarli come medicine che si prendono per prevenire e combattere patologie e basta. Per ridurre il loro uso ci sono due modi: grazie a nuovi prodotti con migliore composizione chimica per cui ne servono meno in quantità oppure attraverso l’agricoltura di precisione. Satelliti, sistemi di controllo dei campi che ti dicono dove quando e quando devi usare fertilizzanti, acqua e fitofarmaci. Durante gli ultimi alluvioni negli Usa, per dire,

con i satelliti abbiamo individuato appena possibile le aree dove si poteva riprendere a seminare e dove no.

L’Italia è un paese dove gli agricoltori sono realtà piccole e piccolissime. Dove non esistono economie di scala e disponibilità per affrontare trasformazioni come queste…Invece si può. Noi abbiamo già agricoltori che sono carbon neutral. E anche i piccoli agricoltori possono essere “ecologici” usando strumenti semplici: semi piantati al momento giusto, chimica sfruttata solo quando serve. Microbi naturali, vermi per arricchire il suolo e mantenere il giusto livello di umidità. La salute del terreno è fondamentale e poi devi raccogliere al momento giusto. Tutti i contadini tengono al loro campo. Il problema è che i governi e lo stato dovrebbero

incentivarli. Questo accelererebbe molto la transizione verso un’agricoltura ambientalmente più sostenibile.La Ue spende miliardi ogni anno per l’agricoltura. Sono soldi spesi bene a suo parere? [/DOMANDA]No. I sussidi come li distribuisce ora la Ue, per dire, non funzionano perché Bruxelles non collega i problemi dell’agricoltura con quelli del cambiamento climatico. Un errore grave. La mia idea è che bisognerebbe garantire aiuti proporzionali alla capacità di ridurre le emissioni di CO2 in proporzione al cibo prodotto. Oppure consegnare crediti da trattare sul mercato per chi riduce impatto ambientale. Poi c’è una terza opzione che per me è la più efficace e importante: etichette sui prodotti alimentari che misurino la loro sostenibilità ambientale. Le imprese

del settore devono esigerla dagli agricoltori da cui comprano, obbligandoli a provare qualità e tracciabilità.

Non ci sarebbe un rischio di truffe sulle etichette come sul biologico capita talvolta?E’ difficile, oggi ci sono le tecnologie per evitare truffe. Già ora i consumatori pagano di più per organico che in realtà non è una forma di produzione più sostenibile. Con etichette chiare il sovrapprezzo incentiverebbe gli agricoltori a produrre meglio per aumentare le entrate.

Il movimento ecologista critica il processo di consolidamento del vostro settore. Dicono che tutti i semi e i fitofarmaci in poche mani distrugge la biodivertsità. Che risponde?Non esiste un monopolio dei semi. Anche se ci sono pochi protagonisti,

nel nostro mercato c’è molta competizione. Le grandi fusioni però sono finite. Ora prevedo più collaborazioni con start up biotech. In Italia come state andando?In Italia cresciamo bene, investiremo di più in tecnologia e ricerca. Alimentazione e agricoltura fondamentali in Italia. Qualità è così importante per cibo italiano che aziende alimentari del settore vogliono comprare più materia prima in Italia e per questo noi investiremo di più. Vale per mercato dell’uva, delle nocciole, del grano duro per la pasta.

Gli ogm sono un pericolo o un’opportunità?Sono usati in Usa, Brasile Argentina, Vietnam Australia, Canada, Sud Africa, per dire solo alcuni paesi, dove aiutano a rendere meno impattante l’agricoltura. L’Europa non li vuole e penso non cambierà idea. Però ha fatto aperture importanti al genoma editing, metodo che tocca composizione genetica senza inserimento di nuovi geni ma solo accelerando il processo naturale di adattamento. Un metodo che funziona perché allunga la vita del cibo riducendo le sprechi, migliora gusto e insegna alle piante a difendersi da sole senza uso pesticidi. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

Clima, la ricetta di Mr. Syngenta“Agricoltura 4.0 salverà il pianeta”

La scheda

ettore livini, milano

Un mercato da 13 miliardiLe vendite di Syngenta nel mondo

I

L’intervista/ Erik Fyrwald

L’amministratore delegato del colosso svizzero, controllato dalla Cina, chiede più dialogo tra ambientalisti, politica e industria, perché “indietro non si torna”. E le nuove tecnologie possono migliorare terreno e prodotti, senza rischi

Primo Piano Il personaggio

RITRATTO DI MARTA SIGNORI

pagina 6 Lunedì, 19 agosto 2019.

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Page 6: 19-08-19 RASSEGNA STAMPA · 19-08-19 rassegna stampa 19-08-19 marocco, progetto legge finanziaria 2020: +3,7% crescita economica; 70mln di quintali di cereali; +3.6% delle attivitÀ

Ritaglio stampa ad uso esclusivo del destinatario, non riproducibile.

Data 19/08/2019

Pagina 9

Foglio 1

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di Massimiliano Sciullo

Dai diamanti non nasce niente. Ma quello che Fabrizio De André non aveva immaginato è che dal letame (ma anche da colture dedicate, da scarti di pulitura di cereali e dalla coltivazione del mais e non solo) po-tesse nascere, oltre ai fiori, anche energia rinnovabile. Biometano li-quido, in particolare, che può esse-re usato per alimentare motori.

L’intuizione è quella della Coope-rativa agricola Speranza, di Candio-lo, che vuole realizzare alle porte di Torino un impianto per la produzio-ne di biometano derivante dalla la-vorazione di biogas ottenuto dalla fermentazione proprio dei materia-li di scarto nel mondo dell’agricoltu-ra e dell’allevamento. Un progetto che ha ottenuto anche 8,7 milioni di euro di finanziamento da parte del gruppo bancario Iccrea (al debutto in questo settore) e da Banca d’Alba. A beneficiare dei risultati dell’inizia-tiva che sta nascendo a pochi passi dal capoluogo piemontese sarà il gruppo Maganetti Spedizioni, pro-motore del progetto “Lng Valtellina Logistica Sostenibile”, in collabora-zione con il Gruppo San Pellegrino, che punta proprio all’uso del gas na-turale liquefatto al posto del diesel e della benzina e che sarà il destinata-rio della vendita del biometano per far muovere le 40 automotrici a me-tano liquefatto che già possiede, ol-tre al distributore che si trova a Gera Lario, in provincia di Como.

In tempi di economia circolare, il progetto della cooperativa Speran-za — da sempre attiva nel settore del-la produzione di energia elettrica da biomasse — vuole dare il proprio contributo in termini di valorizza-zione di prodotti che altrimenti sa-rebbero destinati allo scarto e che così invece possono diventare una preziosa fonte di energia. La “mate-ria prima” viene ottenuta da coltiva-zioni e da allevamenti bovini di soci della cooperativa, che così danno av-via al meccanismo per ottenere il biometano. Una volta immesso sul mercato dei carburanti, si va così a chiudere il cerchio che genera un beneficio dal punto di vista ambien-tale, ma anche economico, visto che il gas naturale liquefatto garantisce costi minori. E tanto impegno ha fruttato a Speranza anche il ricono-scimento internazionale “Ad & Bio-gas Industry Awards” di Birmin-gham (Gran Bretagna), come mi-glior impianto a biogas agricolo. In particolare, è stata premiata la rete di teleriscaldamento verso il Centro Tumori di Candiolo (completata nel 2010), che oggi garantisce 9 milioni di kilowatt termici annui e ha per-messo al Centro di ridurre di due ter-

zi la dipendenza da metano, abbas-sando inoltre di 2.500 tonnellate le emissioni di anidride carbonica.

«Questo tipo di attività — spiega Carlo Vanzetti, rappresentante del-la cooperativa Speranza — prosegue quello che da dieci anni già portia-

mo avanti, producendo energia rin-novabile oltre a carne, latte e cereali e scaldando il Centro di Candiolo. Abbiamo trovato un modo per dare nuova vita a materiali di scarto che altrimenti non avrebbero utilizzi, li-mitando anche l’impatto ambienta-

le». A contribuire, in un certo senso, sono 1300 animali distribuiti in un raggio di 3-4 chilometri. «Dal 2018 abbiamo iniziato a ragionare sul bio-metano e avendo trovato un acqui-rente importante, siamo riusciti a realizzare l’incastro giusto. Inoltre

abbiamo utilizzato per la liquefazio-ne una tecnologia tutta torinese, grazie alla Criotec di Chivasso, gene-rando una vera filiera, e puntiamo a completare l’impianto tra fine 2019 e primi mesi del 2020».

La fattoria “coltiva” carburantee riscalda anche l’ospedale

La cooperativa Speranza di Candiolo produce biometano liquido da letame e scarti di coltivazioneche serve a muovere 40 automotrici. Dal suo biogas, invece, nasce il calore per il Centro Tumori

kA tutto “bio”La coop Speranza di Candiolo (in alto) produce biometano liquido e biogas da scarti agricoli

Torino Cronaca

www.p3q. it

Via dei Colli (Strada Panoramica) � Pino Torinese (TO) Tel: Cesare 327.6141003 � Alberto 334.2403568

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Aperti tutti i giorni h 10-19 escluso il lunedì

COMUNE DI CUNEOESITO DI GARA DESERTA

Procedura aperta per la riqualificazione urbana e

sicurezza delle periferie intervento n. 15 – Piazza

Europa concessione per la progettazione, costruzione

e gestione del nuovo parcheggio interrato e

riqualificazione dell’area – finanza di progetto.

[C.I.G. 7890302331 – C.U.P. B21B17000100003]

nell’ambito del «DPCM 25.05.2016». Informo che

entro il termine perentorio fissato dal bando di gara

[ore 12,00 del 4 luglio 2019] non sono pervenute

offerte. Con determinazione dirigenziale n. 1164 del

29 luglio 2019 la gara in oggetto è stata quindi dichiarata

deserta. Responsabile del procedimento: Martinetto

Walter Giuseppe – Esito integrale sul sito internet:

www.comune.cuneo.it – Data invio esito alla GUUE:

05/08/2019.

Il dirigente Rinaldi Giorgio

Lunedì, 19 agosto 2019 pagina 9.

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Data 19/08/2019

Pagina 12

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Bandite cannucce e buste, solo imballaggi di cartone e vetro. Spopolano le “fattorie sul tetto”

Acqua sostenibile a tre dollariLa svolta verde delle Nazioni Unite

FRANCESCO SEMPRININEW YORK

Negli ultimi due mesi sugli scaffali di men-se e caffetterie del Palazzo di Vetro si è

assistito a una rivoluzione commerciale non indifferen-te, a partire dalla vendita di ac-qua e bibite. Le bottiglie di pla-stica sono scomparse del tutto lasciando il posto a confezioni di cartone ecologico, vetro o alluminio. La rivoluzione in questione rientra nell’iniziati-va «Greening the Blue», ovve-ro rendere verde il blu, il colo-

re delle Nazioni Unite, e quin-di rendere ecosostenibile tut-to ciò che viene commercializ-zato all’interno del quartier ge-nerale dell’Onu di New York. Nell’ambito di questa iniziati-va la prima azione concreta è stata quella «remove all sin-gle-use plastic», cioè mettere al bando tutto ciò che è realiz-zato con plastica usa e getta, non riciclabile. Ecco quindi bandite le cannucce, le buste e, ovviamente, le bottiglie, so-stituite con un’accattivante confezione bianca di cartone simile a quelle usate per il lat-te con scritto «Boxed water is better», l’acqua in cartone è migliore.

L’obiettivo al 2030Il punto è che se prima per una bottiglia da mezzo litro di acqua bastavano 1,5 o al mas-simo due dollari, ora per quel-la in cartone ne servono tre di dollari. É questo l’elemento di dibattito emerso da alcuni me-si, da quando ha avuto inizio l’attuazione delle direttive contenute in un documento firmato da quasi 200 ministri nell’ambito dell’Assemblea Onu per l'ambiente (Unea). Un’iniziativa volta ad «affron-tare il danno ai nostri ecosiste-mi anche riducendo significa-tivamente i prodotti di plasti-ca monouso entro il 2030». Accertata la bontà dell’inizia-

tiva volta a garantire la soste-nibilità ambientale del Piane-ta, rimane aperta però la que-stione della sua sostenibilità economica. Christine Lu, una delle più attive investitrici in innovazione a «impatto ze-ro», riconosce che non è con-veniente per l’americano me-dio essere un consumatore so-stenibile in questo momento. «La disuguaglianza rende co-stoso soddisfare i bisogni di base per un elevato numero di persone che rimangono di-pendenti dal consumo di mas-sa perché conveniente». E con-ferma che «l'impatto sociale deve essere abbattuto, sebbe-ne non sia facile».

Lo sforzo delle istituzioniIl rischio pertanto è che lo sfor-zo delle grandi istituzioni pub-bliche e private alieni una par-te significativa della popola-zione, non solo delle fasce più deboli ma anche le classe me-dia, perché l’impatto sulle eco-nomie domestiche è pronun-

ciato. Col rischio da una parte di fallire, dall’altra di diventa-re agli occhi della gente come un movimento elitario e radi-cal chic facile preda di mani-polazioni politiche. Accanto a questo però c’è negli Stati Uni-ti, e in particolare nelle gran-di città, un movimento Green

meno massificato, ma senza dubbio più sostenibile econo-micamente che è quello dell’a-gricoltura urbana e delle «rooftop farm», le fattorie in quota. Si trattati di veri e pro-pri orti e appezzamenti agrico-li realizzati sui tetti di palazzi e grattacieli che da una deci-na di anni a questa parte sta-no colorando di verde gli «sky-line» come quello newyorke-se. Nella Grande Mela ve ne sono alcuni di straordinari co-me il Brooklyn Grange o il Go-tham Greens, e molti altri ne stanno sorgendo grazie an-che agli incentivi in termini di sgravi fiscali concessi per rea-lizzarli. Realtà ecosostenibili che restituiscono verde e ossi-geno ai grandi centri urbani, consentono di avere sulla ta-vola prodotti a km zero anche se si vive in città e, soprattut-to, sono socialmente equi, ov-vero accessibili a chiunque ama l’ambiente ma anche la sostenibilità della propria eco-nomia domestica. —

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Rumenta in Piemonte significa spazzatura. Quella che Irene Ameglio, 32 anni, e

Beatrice Surano, 29, hanno de-ciso di eliminare dalla loro vi-ta e dal cestino della loro cuci-na. Sono due amiche di Tori-no, sorelle maggiori della ge-nerazione Greta Thunberg e seriamente preoccupate dall’inquinamento che minac-cia di soffocare il Pianeta. Si so-

no date il soprannome di «Ru-menta girls» e hanno deciso di affrontare una sfida radicale: «Vediamo se è possibile un me-se senza plastica», si sono det-te. Lavoratrici (Irene è project manager in un’agenzia di co-municazione, Bea è videoma-ker) ed ecologiste, hanno pro-vato a cambiare giorno dopo giorno il loro stile di vita per produrre il minimo di indiffe-renziato. Ci sono riuscite? Sì, ma non al 100%. Eppure, il gioco, lanciato su Instagram, è andato avanti ben oltre il li-

mite stabilito dalla sfida, con migliaia di follower che han-no iniziato a seguire il loro esempio. «Si comincia con l’eli-minare il più possibile i prodot-ti confezionati, sostituendoli con quelli sfusi: pasta, pane, le-gumi, frutta secca, detersivi, shampoo e bevande». Zero ri-fiuti, non solo a casa, anche in giro. «Alla coppetta gelato si preferisce il cono, addio caffè alle macchinette». Ma la radi-calità delle due torinesi è anda-ta oltre: «Le buste di plastica non le vogliamo più vedere, so-lo sacca di tela. Dal formaggia-io andiamo col tupperware e ce lo facciamo riempire». Rea-zione? «All’inizio ti guardano strano, poi capiscono». La fati-ca della rivoluzione si è fatta sentire quando hanno iniziato a preparare in casa molti pro-dotti che prima acquistavano: yogurt, marmellate, biscotti, pane e piadine. «Vivere senza plastica si può, anche se qual-che rifiuto resta sempre nell’immondizia, come lattine e bottiglie», ammette Irene. E i filtri delle sigarette. «Ma quel-li, rigorosamente biodegrada-bili». L. TOR. —

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ALESSANDRA RIZZOLONDRA

Quando il Principe Carlo ha co-minciato a dedicarsi all’agri-coltura biologica decine di an-ni fa, molti lo prendevano in gi-ro, ridicolizzando quello che sembrava il passatempo di un aristocratico annoiato in atte-sa di salire al trono. Oggi gli vie-ne riconosciuta la lungimiran-za di un pioniere. E se Carlo de-ve ancora conquistare il trono, i prodotti biologici stanno con-quistando, se non il Paese, al-meno gli scaffali dei supermer-cati e i menu dei ristoranti alla moda. Il settore è in crescita,

anche se è ancora lontano dal diventare la norma. Resta un’opzione di nicchia, che solo consumatori benestanti si pos-sono permettere, con una quo-ta di mercato esigua e prezzi che molti giudicano troppo esosi. «In un mondo ideale il bio non costerebbe così tanto di più», spiega la Soil Associa-tion, gruppo che certifica le aziende bio nel Paese e monito-ra il settore. «Ma è importante ricordare che spendere un po’ di più per il bio è come votare con il portafoglio per un siste-ma che promuove la biodiver-sità e crea ecosistemi sostenibi-li per le generazioni future».

Nel 1990, quando Carlo ha messo su la linea di prodotti da

agricoltura al 100% biologica, cominciando con la produzio-ne di biscotti d’avena, non lo fa-ceva quasi nessuno. Oggi il mercato del bio in Gran Breta-gna vale 2,3 miliardi di sterli-ne e arriverà a 2 miliardi e mez-zo entro la fine dell’anno pros-simo, secondo le stime della Soil Association. Il 2018 ha re-gistrato un incremento di più del 5% sulle vendite di prodot-ti bio rispetto all’anno prece-dente. Gli acquisti sono cre-sciuti sia nei supermercati, do-ve uova, pomodori e pollo bio siedono in bella vista accanto agli omologhi classici, sia nei piccoli negozi indipendenti. E non è solo il cibo: la vendita di tessuti organici è aumentata del 18% rispetto al 2017, quel-la dei cosmetici del 14%. «Ci sono sempre più consumatori che cercano prodotti sostenibi-li per ridurre l’impatto sul pia-neta», spiega Clare McDer-mott di Soil Association.

È una svolta importante in un Paese di modesta tradizio-ne gastronomica, dove fino agli Anni 70 l’olio d’oliva si ac-quistava solo in farmacia. Il Paese si è da tempo aperto a specialità da ogni parte del mondo, soprattutto nelle gran-di città come Londra, mentre i «gastropub» rivalutano la cuci-na tradizionale con attenzio-ne ai prodotti naturali e a chilo-metro zero.

Per abbassare i prezziMa è un successo con molti li-miti. Secondo un recente son-daggio, il 72% dei consumato-ri ritiene il bio troppo caro, e la stragrande maggioranza

(81%) di quanti optano per prodotti bio lo fanno in piccole quantità, spendendo appena 40 sterline l’anno. Per molti, è ancora un lusso dei ricchi. Una cassetta di frutta o verdura bio costa secondo alcune stime il 30% in più rispetto ai prodotti classici. Nei supermercati Sain-sbury, un chilo di pollo viene 5 sterline e 60 centesimi, ma il prezzo sale a 17 sterline se è da allevamento a terra e ad oltre 20 sterline se organico. Da Te-sco, la catena di supermercati più grande del Paese, che se-

condo alcune stime ha la diffe-renza di prezzo più bassa tra prodotti bio e non-bio, un litro di latte costa 75 centesimi, se organico 88 centesimi.

Per abbassare i prezzi biso-gna aumentare i consumi, ma per ora è un obiettivo lonta-no. La quota di mercato del bio, sebbene in aumento, è an-cora l’1,5% del totale delle vendite di cibo e bevande. Se-condo il «Financial Times», la proporzione di cibo bio ven-duta in Francia è tre volte maggiore rispetto all’Inghil-

terra, in Danimarca addirittu-ra sei volte di più.

In attesa di migliorare le ci-fre, la Soil Association ha pub-blicato un decalogo con i consi-gli per tenere a bada i costi: comprare prodotti stagionali, coltivare piccoli orti personali, surgelare i prodotti. E il Princi-pe Carlo continua a vendere la sua linea di prodotti Duchy Ori-ginals: l’anno scorso ha dato in beneficenza tre milioni di ster-line dai proventi delle vendite. In attesa di salire al trono. —

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IL DECALOG O

Cos’è organico?La Soil Associationstila la lista “green”

CONSUMI E SOCIETÀ

Pollo e uova a km zero Londra sposa la dieta bioma è un lusso per ricchiBoom di prodotti a coltivazione naturale nei negozi del Regno UnitoUn business da 2,3 miliardi di sterline. L’ispiratore? Il principe Carlo

72%Dei consumatori ritiene che il

biologico sia troppo caro, l’81% di coloro che comprano questi prodotti non spende più di 40 sterline l’anno

Una ragazza riempie il carrello in un supermarket di Londra

LA STORIA

Irene Ameglio e Beatrice Surano

LETIZIA TORTELLO

Purissima, antirughe, ric-ca di vitamine. La bava della lumaca è una mi-niera d’oro, un elisir

eco-bio, ma non certo economi-co, che sta spingendo un buon numero di giovani agricoltori a farsi trascinare nel mercato dei prodotti di bellezza. La nuova moda ecologica nei consumi è la cosmesi, un settore che dal 2015 cresce a ritmo forsennato, +15% di anno in anno. «Lom-bardia, Umbria e Basilicata gui-dano la rivoluzione. Sono picco-le aziende che già allevavano chiocciole», per l’alimentazione e non solo, «si sono messe in con-tatto con noi per aprire una pro-duzione certificata di creme alla bava di lumaca», spiega Fabio Bianciardi, esperto nel settore delle certificazioni ecocompati-bili. I prezzi di queste soluzioni tutte naturali veleggiano sui 50 euro, ma anche di più. Sono so-lo uno dei nuovi beni, che incar-nano il «boom» del bio in Italia, un business arrivato a toccare 1,3 miliardi di fatturato negli ul-timi dodici mesi e che nel 2018 ha modificato la spesa di 11 mi-lioni di persone. Che, però, cari-cano su di sé buona parte dei co-sti di una scelta amica della salu-te e dell’ambiente.

Se non si può dire che il «bio» sia un settore di nicchia, gli italia-ni non gli dedicano comunque molti soldi. Spendiamo 52 euro l’anno in prodotti eco-compatibi-li (più o meno come in Belgio, la Spagna ne spende 42, la Svezia

237). Ci siamo innamorati di una vita come «bio» comanda nel 2000, «ma solo nel 2016 la tendenza si è fatta sentire, occu-pando il 3% del mercato», spiega Paolo Carnemolla, segretario di Federbio. Oggi, siamo al 3,6%, la crescita è inarrestabile, «i prodot-ti dell’agricoltura biologica sono entrati in modo massiccio nei su-permercati, non c’è grande mar-chio che non abbia aperto la sua linea bio». Sono state Svezia e Da-nimarca a convincere i big italia-ni della pasta, ad esempio, o il set-tore del vino a cambiare i cicli pro-duttivi e usare tecniche naturali di coltivazione e lavorazione: «Senza il bio, hanno minacciato, non avrebbero più importato nul-la dall’Italia», continua. Oggi, il vino biologico e biodinamico nel nostro Paese sono la vera tenden-za, le cantine più famose si stan-no adeguando a gran velocità.

L’Italia è tra i leader della produzione biologica a livello globale, è il primo Paese per numero di aziende, il secondo maggior esportatore di prodot-ti biologici nel mondo, dopo gli Usa, per un valore di 2 mi-liardi di euro, e in cima alla li-sta degli alimenti ci sono cerea-

li (siamo subito dietro la Ci-na), agrumi, olio, frutta e or-taggi, coltivati senza l’uso di antibiotici e pesticidi.

I costiMa se una vita all’insegna del-la biodiversità e a basso impat-to ambientale è una boccata d’ossigeno per il consumatore, i terreni agricoli e le comunità che attorno a quei territori abi-tano, a pagare la maggior par-te delle spese del prodotto bio che finisce nel carrello è il clien-te. «Mediamente, la differen-za tra il biologico e il conven-zionale si aggira attorno al 20-30% - spiega Carnemolla -, anche se ci sono prodotti come la pasta che toccano punte del 40% in più, e va detto che non è sempre giustificata la mag-giorazione nel prezzo, a fronte del tipo di grano lavorato». Il bio-rincaro può arrivare fino al 200-300%, per altre tipolo-gie di prodotto. Il Censis ha in-trodotto i beni di consumo bio-logici nel paniere. Stima che 20 milioni di italiani sarebbe-ro disposti a comprare alimen-ti «free from», se questi costas-sero solo fino a un terzo in più, ma questo tetto ideale non sempre è rispettato. É bene sa-pere che, nella psicologia del consumatore, la molla che fa scattare l’acquisto è, sì, la quali-tà, ma soprattutto la pubblici-tà. Assobio spiega: «Quando una catena della grande distri-buzione sconta del 25% per un mese la linea bio di prodotti di bellezza, a parità di venduto, i suoi ricavi scendono solo del 2%». Se non cambiano le politi-che, insomma, i prezzi del bio scenderanno solo se si moltipli-cheranno i consumatori. —

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Vino e cosmesi le ultime tendenze. Assobio: “Svezia e Danimarca hanno spinto le nostre grandi aziende a cambiare”

L’Italia è il secondo esportatore ecologicoIn casa spendiamo solo 52 euro l’anno

IL CASO

Le bottiglie «Boxed water is better»

La Soil Association, l’organiz-zazione che certifica le impre-se bio nel Regno Unito, ha sti-lato un decalogo per chi vuole iniziare una vita «green». Ecco alcuni dettami: fai acquisti in negozi indipendenti o in fatto-

ria, per sostenere l'economia locale; per prodotti di bellez-za e detersivi, scegli i marchi certificati (non tutto il dichia-rato è davvero bio); l’indu-stria della moda è il secondo consumatore d’acqua del mondo, responsabile del 10% delle emissioni, compra meno e vestiti con «fibre sostenibi-li»; scegli frutta e verdura sen-za pesticidi, carne non alleva-ta con antibiotici; prediligi ri-storanti con un menu fresco e ricco di prodotti di stagione.

CONSUMI E SOCIETÀ

75Centesimi è il costo medio di un

litro di latte nella catena di supermercati più grande del Paese, quello organico viene 88 centesimi

REUTERS

18%L’aumento delle vendite di tessuti

organici nel Paese nel 2018, mentre la vendita dei cosmetici “green” è

cresciuta del 14 per cento

Il settore è in crescita, anche se rappresenta

solo l’1,5% delle vendite totali

Due torinesi hanno provato a vivere un mese senza produrre rifiuti“Dal formaggiaio con la schiscetta, ci hanno motivato i nostri follower”

La sfida delle Rumenta Girls “Un mese senza plastica si puòserve solo tanta faccia tosta”

IL CASO/2

LA STAMPA

Fonte: dati Nomisma per osservatorio Sana, Nielsen, Assobio, IspraI numeri di una vita ecologica

I PRODOTTI DEL BIO-BOOM IN ITALIA(trend sul 2018)

Uovabio

+11%Frutta bio

in composta+1,7%

Verdura frescaconfezionata

+7%Caffè tostato

macinato+34%

Vino Doce Docg

+27,5%

20%del mercato

85%del mercato

4,6%del mercato

RACCOLTADIFFERENZIATAPER MACRO AREEITALIANE(anno 2017)

55,51%

ITALIA

66,19%

51,87%CENTRO

41,9%SUD

NORD

2000 2012 2016 2017 2018 2019

I MAGGIORI ESPORTATORIDI PRODOTTI BIOLOGICI NEL MONDO(in euro)

Stati Uniti

ITALIA

Olanda

Cina

Spagna

Francia

India

3 miliardi2 miliardi

1,2 miliardi1 miliardo

900 milioni700 milioni

600 milioni

0,65%

1,8%2,97%

3,31%3,49%

3,6%LA QUOTA DI PRODOTTI BIOVENDUTA IN ITALIA

1,3 miliardiil fatturato del biologiconell’ultimo anno in Italia(al 30 giugno)

+4,6%rispetto al 2018(settore ciboin generale +1,5%)

15%quota di coltivazionebiologica sulla superficieagricola totale

Entro il 2030nella Ue tutti gli imballaggidi plastica dovrannoessere riciclabili

52 euro all’annoè la spesa pro capite in Italia per i prodotti bio(288 in Svizzera, 237 in Svezia,42 in Spagna, 35 in Gran Bretagna)

271 kgdi rifiuti pro capite prodottiogni anno in Italia

17,7 kg di plasticapro capite raccolti e differenziatiogni anno in Italia(Sardegna, Valle d’Aostae Veneto guidano la classifica;ultime Sicilia, Molise, Basilicata)

Riciclato Milionidi tonnellate

Carta

Vetro

Plastica

80%

71%

41%

4,7

2,4

2,2

La differenza di prezzo tra biologico

e convenzionale va dal 30 al 300%

12 LASTAMPA LUNEDÌ 19 AGOSTO 2019

PRIMO PIANO

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