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Difesa dal dissesto di erosione ed interventi di riqualificazione e valorizzazione della costa e degli arenili del Comune di Maiori

 1.3_Relazione sulle scelte delle tipologie d'intervento

 

1  

INDICE

1. INTRODUZIONE 2. ASPETTI GENERALI DELLA DIFESA LITORANEA 3. DATI E RILIEVI NECESSARI Batimetria

Indagine geologica e geotecnica Regime del moto ondoso

4. INSERIMENTO DELLE OPERE LUNGO COSTA 5. TIPOLOGIA DEGLI INTERVENTI PER LA COSTA BASSA 5.1 BARRIERE LONGITUDINALI EMERSE

5.2 BARRIERE LONGITUDINALI SOMMERSE 5.3 PENNELLI EMERSI O SEMI-SOMMERSI 5.4 PENNELLI A “T” EMERSI O SEMI SOMMERSI 5.5 OPERE RADENTI RIGIDE 5.6 RIPASCIMENTO ARTIFICIALE 5.6.1 Risorse di materiale per il ripascimento

Le Cave Il riciclo ed i dragaggi portuali Altre fonti

5.7 SISTEMI DI DRENAGGIO

6. CONSIDERAZIONI SULLE TIPOLOGIE DI INTERVENTO PER LA COSTA BASSA PRECEDENTEMENTE INDIVIDUATE

7. TIPOLOGIE DI INTERVENTI PER LA COSTA ALTA

7.1 GENERALITÀ 7.2 CRITERI DI STABILIZZAZIONE E CLASSIFICAZIONE DEI

DISSESTI FRANOSI 7.3 STRATEGIA E CLASSIFICAZIONE DELLE OPERE DI

STABILIZZAZIONE 7.4 TECNICHE DI STABILIZZAZIONE

7.4.1 Disgaggio di massi 7.4.2 Canalizzazione delle acque superficiali 7.4.3 Sigillatura delle fessure, impermeabilizzazione superficiale dei terreni 7.4.4 Opere di sostegno

Muri di controripa Scogliere Reti di protezione Paramassi

7.4.5 Opere di miglioramento della resistenza del terreno

Ancoraggi Palificazioni Iniezioni di miscele consolidanti

7.5 CONSIDERAZIONI SULLE TIPOLOGIE DI INTERVENTO PER LA COSTA ALTA

PRECEDENTEMENTE INDIVIDUATE

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1. INTRODUZIONE La linea di costa – anche in condizioni perfettamente naturali – non è un dato statico, bensì una realtà dinamica con tempi caratteristici abbastanza brevi da essere percepibili nel corso di pochi anni. Le azioni dell’uomo spesso anche quelle lontane nel tempo e nello spazio – hanno ripercussioni che spesso modificano ed accelerano questo processo. Molto spesso il principale apporto di materiale ai litorali è il trasporto solido fluviale; in seguito ai massicci disboscamenti del 1700 e del 1800 le spiagge hanno subito un forte incremento ed il ricordo familiare e storico che molti hanno dei litorali è legato probabilmente a quel particolare momento. Successivamente, la costruzione di invasi artificiali e di opere di sistemazione fluviale hanno invertito la tendenza. Inoltre negli anni del dopoguerra l’eccezionale attività estrattiva di materiale da costruzione ha ulteriormente aggravato la situazione di generale arretramento che stiamo adesso scontando. Secondo alcune valutazioni, nei fiumi italiani sono stati estratti, fra gli anni ’50 e gli anni ’70, volumi di gran lunga maggiori del trasporto solido dei fiumi stessi nello stesso periodo; anche dopo il generale divieto di estrazione i fiumi non hanno ristabilito la situazione precedente, dovendo prima riportare i loro alvei alle condizioni preesistenti. Ulteriore causa di aggravamento dei processi erosivi dei litorali sono spesso le opere realizzate lungo costa: oltre ai porti, le stesse strutture destinate alla difesa di una spiaggia danno origine all’erosione dei tratti di litorale limitrofi causando una diversa distribuzione della sabbia fra i vari settori di una unità fisiografica. Va infine ricordato che la conformazione della linee di costa è comunque un processo casuale e non deterministico, anche quando la situazione di una determinata unità fisiografica è di generale equilibrio, a causa delle naturali oscillazioni del clima ed in particolare del moto ondoso. Le variazioni spaziali e temporali del fenomeno provocano accrescimento in alcune zone ed erosione in altre; mentre l’ampliamento delle spiagge esistenti generalmente passa inosservato, l’erosione, specialmente in una zona caratterizzata da uno sviluppo intensivo delle coste come la Campania, causa spesso danni economici ed allarme tra le popolazioni. Si distinguono solitamente due tipi principali di azioni di modellamento della spiaggia da parte del mare: trasporto trasversale verso il largo associato alle mareggiate, e trasporto longitudinale “lungo costa”. Con il primo meccanismo, per effetto del trasporto di sabbia in sospensione e sul fondo causato dalle onde, si verifica una temporanea ridistribuzione dei sedimenti che migrano dalla fascia emersa e dalla duna verso la fascia sommersa causando un’erosione temporanea e solitamente reversibile. Il volume eroso può essere di varie decine di m3/m in una singola mareggiata. Il recupero delle condizioni originarie avviene in tempi più lunghi, ma risulta completo se la costa è stabile. La principale causa dell’erosione a lungo termine è il gradiente spaziale del trasporto longitudinale, causato sia dalla curvatura della linea di costa, sia dalle discontinuità provocata da moli, porti, pennelli ed opere varie aggettanti sul litorale. Da solo, questo meccanismo provocherebbe solo la ridistribuzione del materiale; indirettamente esso provoca però anche la riduzione globale di sabbia in un’unità fisiografica poiché promontori, punte rocciose ed opere artificiali possono spostare il flusso verso profondità tali da intrappolarlo. Esiste in realtà anche una perdita continua di sedimenti associata al trasporto trasversale, ma normalmente questo riguarda solo il materiale più sottile. Il trasporto solido longitudinale agente in acqua più profonda resta quindi il meccanismo primario responsabile dell'erosione “strutturale” o cronica. 2. ASPETTI GENERALI DELLA DIFESA LITORANEA Come si è detto prima, l’analisi dei fenomeni sui litorali evidenzia che i processi dinamico - evolutivi in atto lungo la fascia costiera sono imputabili sia al deficit di input sedimentario (accresciutosi negli ultimi decenni), sia all’intervento antropico lungo le coste sia infine, a fluttuazioni naturali. Risultando praticamente impossibile ripristinare il normale trasporto solido dei corsi d’acqua, qualunque ipotesi di intervento a difesa e salvaguardia del tratto costiero in erosione non può che passare attraverso

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una delle seguenti tipologie di opere, finalizzate alla riduzione dell’energia delle onde incidenti sulla costa, alla stabilizzazione della linea di riva e alla ricostituzione dell’arenile In generale gli interventi devono volgere:

alla riduzione dei contenuti energetici delle onde e alla stabilizzazione/protezione artificiale diretta, nella realizzazione, a profondità medie di 5\6 m., di barriere longitudinali parzialmente emerse o, preferibilmente, sommerse (soffolte).

alla stabilizzazione della linea di riva e alla ricostituzione dell’arenile nella realizzazione di “ripascimenti artificiali” (versamento sugli arenili di materiali di idonea granulometria, generalmente “protetti”, e cioè contenuti da barriere ed eventualmente accoppiati con serie di pennelli stabilizzatori semisommersi atti ad intercettare i sedimenti trasportati dalle correnti);

all’utilizzo di sistemi di drenaggio artificiale della spiaggia in corrispondenza della battigia e basati sul principio di ridurre la possibilità di liquefazione della sabbia

Naturalmente un sistema integrato di protezione può consistere anche in una combinazione di due o di tutti e tre i metodi. Ad essi va aggiunta la riqualificazione della zona dunale (dove esistente) attraverso il suo consolidamento mediante l’impianto di specie vegetali psammofile stabilizzatrici; questa tecnica, pur nell’assenza di precisi riscontri e verifiche sperimentali può già da oggi essere considerata un’utile metodo sussidiario, ovviamente nei soli casi in cui la larghezza della spiaggia lo consenta. E’ estremamente importante notare che qualunque intervento su un litorale non può prescindere dalla considerazione che si opera su una realtà fisica in ogni caso dinamica e spesso già compromessa dall’intervento umano. All’idea tradizionale di una difesa costituita da un intervento o da una serie di interventi definitivi e finali occorre sostituire il concetto del controllo dinamico dei processi litoranei, di cui le opere sono solo il primo aspetto.

3. DATI E RILIEVI NECESSARI Requisito fondamentale per la progettazione di una qualunque opera a mare volta alla difesa dall’erosione costiera è l’identificazione della realtà fisica in cui essa si inserisce. Mentre, però, è cognizione comune che le azioni del mare devono essere ben note e quantificate, la considerazione altrettanto ovvia che un'opera marina è basata comunque sulla terra, sia pure sommersa, viene spesso sottovalutata. Non è possibile eseguire nessun progetto realistico, neanche di massima, in assenza di una serie di rilievi batimetrici recenti e precisi.

Batimetria

La risoluzione e l’estensione dell’indagine batimetrica vanno scelte in relazione allo scopo del rilievo: occorre, dunque, distinguere il caso della progettazione di massima da quello del progetto esecutivo. Nel primo caso (progetto di massima) occorre raggiungere la profondità di 10 metri e la distanza tra i transetti deve essere compresa tra 50 e 100 metri; nel secondo caso (progetto esecutivo ) il rilievo si dovrà estendere solo fino alla profondità di realizzazione dell’opera, mentre la distanza tra i transetti deve consentire di produrre carte batimetriche in scala inferiore a 1:2000. I rilievi batimetrici devono essere riferiti planimetricamente ed altimetricamente alla rete geodetica nazionale e comunque a capisaldi a terra locali ben definiti e rintracciabili. I profili vanno scelti in relazione alle finalità del rilievo; se il fine è di determinare, come d’uso, le linee batimetriche il più esattamente possibile, la direzione dei profili deve risultare ortogonale alla direzione presunta della linea di costa.

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Indagine geologica e geotecnica Lo scopo di questa indagine è quello di raccogliere tutti i dati qualitativi e quantitativi occorrenti per la fondazione, la costruzione ed il controllo dell’opera nel suo insieme ed in rapporto al terreno. Essa comprende la raccolta dei dati geologici, geofisici e geotecnici esistenti, nonché – per le opere più importanti – l’esecuzione di sondaggi, prove in situ e prove di laboratorio per determinare la natura e la stratificazione dei terreni del sottosuolo (profilo litostratigrafico) e le loro proprietà fisico-meccaniche. Le indagini geotecniche per le opere marittime vanno comunque condotte seguendo – dove applicabili – le norme generali per la progettazione, l’esecuzione ed il collaudo delle opere di sostegno delle terre e delle opere di fondazione Regime del moto ondoso All’atto del progetto si dovrà accertare l’idoneità dei dati già disponibili e provvedere alla raccolta delle informazioni necessarie per consentire una adeguata valutazione dei parametri di progetto e per valutare il comportamento e l’impatto dell’opera sull’ambiente circostante. Interessa a tal fine valutare sia i valori estremi di moto ondoso al largo per determinati tempi di ritorno, ai fini del corretto dimensionamento statico dell’opera, sia i valori di energia e la loro distribuzione nel corso degli anni e lungo le direzioni di provenienza ai fini della comprensione dei meccanismi di trasporto solido litoraneo. La complessa configurazione delle coste della Provincia di Napoli rende impossibile il calcolo di parametri unici di progettazione; per ciascun sito, quindi, è necessaria l’analisi del clima meteomarino, pur tenendo conto della possibilità di accorpamento dell’intera costa in sub-unità omogenee. Le sorgenti di dati disponibili sono costitute da: registrazioni della boa ondametrica RON di Ponza, per un periodo di oltre un decennio; una stazione di misura posta su una profondità di 9m al largo della foce del Fiume Sele nel Golfo di Salerno e, infine, registrazioni delle boe ondametriche dell’IMO (Istituto di Meteorologia ed Oceanografia, Università Parthenope, ex Istituto Universitario Navale di Napoli), che pur non essendo di tipo direzionale costituiscono un importante riferimento per le coste interne del Golfo di Salerno. Per quel che riguarda il vento vanno considerati oltre agli anemometri dell’Aeronautica Militare e dell’ENAV, anche quelli dell’IMO e del CUGRI (Consorzio interuniversitario Grandi Rischi). 4. INSERIMENTO DELLE OPERE LUNGO COSTA

Qualsiasi opera realizzata lungo la costa costituisce un ostacolo al libero propagarsi del moto ondoso e del trasporto solido, e pertanto interagendo con essi può dar luogo ad effetti di vario genere, causando alterazioni del litorale in zone limitrofe a quella di intervento; per cui è necessario pensare agli interventi non come opere singole ma come parte integrante di un sistema di difesa, che consenta di assicurare l’integrità dell’intera fascia litoranea. La spiaggia è un’entità essenzialmente dinamica, in continua evoluzione e movimento sotto l’azione del moto ondoso. La base fondamentale del meccanismo naturale della formazione e, dunque, della conservazione delle spiagge è costituita dai continui spostamenti; per una spiaggia in equilibrio, i materiali che si allontanano vengono immediatamente rimpiazzati con altri analoghi che sopraggiungono. In altre parole la “conservazione” di una zona litoranea richiede l’intervento umano quando esiste un forte squilibrio nel bilancio tra i materiali ‘allontanati’ e quelli ‘apportati’. Altra osservazione sull’intervento umano è che, spesso, gli interventi artificiali operati nel tempo, contrastanti il libero estrinsecarsi dei fenomeni naturali, difficilmente costituiscono soluzioni convenienti al problema della difesa litoranea, contribuendo, al più, al mero spostamento tra zone contigue delle situazioni di squilibrio. E’ dunque necessario tener presente che, in materia di difesa litoranea, valgono i seguenti principi generali:

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1. l’intervento ‘umano’ teso ad ‘aiutare’ le forze naturali di ripascimento di un ambito non va

mai spinto nel senso del totale assorbimento dei “rifornimenti” di materiali diretti a zone contigue (che ne rimarrebbero conseguentemente danneggiate);

2. l’individuazione dell’intervento ottimale deve essere raggiunto attraverso una gradualità esecutiva ed una elasticità di progettazione che consenta di valutare praticamente le soluzioni di maggiore efficacia.

Lo studio della linea di costa in assenza dell’opera da realizzare, con particolare riguardo alla

determinazione dell’evoluzione morfologica, rappresenta una condizione essenziale per la corretta realizzazione di un’opera. A tale scopo un valido aiuto è oggi rappresentato da codici di calcolo largamente disponibili sul mercato. Per ogni opera prevista si dovranno effettuare le seguenti analisi:

i) assegnate le caratteristiche dell’onda al largo, calcolo dell’evoluzione della stessa fino a determinarne le caratteristiche in prossimità della riva e cioè, al frangimento, sulla base, ad esempio, di un modello per la rifrazione;

ii) studiare il comportamento trasversale della spiaggia, sia considerandone le possibili configurazioni di equilibrio sia, per gli interventi più importanti, analizzando i mutamenti del profilo di fondo attraverso modelli del tipo SBEACH o similari

iii) nota la posizione della linea di frangimento, valutazione del trasporto solido litoraneo sulla base di considerazioni inerenti al flusso direzionale dell’energia del moto ondoso incidente e, di conseguenza, l’evoluzione della linea di costa impiegando, ad esempio, uno dei modelli noti in letteratura come “ad una linea”.

5. TIPOLOGIA DEGLI INTERVENTI PER LA COSTA BASSA

Tenuto conto di tutto quanto premesso, i tipi di difesa maggiormente sperimentati e rispondenti alle esigenze riscontrabili nella realtà possono farsi rientrare nelle seguenti quattro tipologie (vedi figura 1): opere di difesa longitudinali (parallele alla riva); opere di difesa trasversali (perpendicolari alla riva); ripascimenti artificiali; drenaggio;

è naturalmente possibile una combinazione di due o più tipologie. Un’ulteriore possibile classificazione è quella della suddivisione in difese passive e attive. Le prime assicurano una semplice protezione del territorio costiero, le seconde producono anche un incremento localizzato della spiaggia. Le difese possono ancora suddividersi in rigide, morbide e miste in relazione alla deformabilità offerta all’azione del mare. Alla categoria dei sistemi passivi-rigidi appartengono le opere cosiddette aderenti (vedi figura 2), di difesa longitudinale (parallele alla riva) disposte nella parte emersa della spiaggia a diretta difesa di abitazioni, strade e ferrovie lungomare. Sono realizzate con semplici rivestimenti a scogliera, con massi a volte cementati con bitume o con piastre di calcestruzzo interconnesse, con gabbioni o materassi articolati ovvero con muri e pareti verticali a palancola, a paratia o a gravità. Queste strutture sono adatte per lo più a interventi di emergenza e di breve durata data la loro economicità, rapidità di esecuzione e immediata protezione garantita dall’opera, di contro, però non garantiscono alcuna protezione alla spiaggia antistante addirittura accelerando, in alcuni casi, il processo di erosione al piede dell’opera causandone il crollo. Tra le opere di difesa attive-rigide sono comprese sia quelle parallele alla riva, dette barriere frangiflutti distaccate (vedi figura 3), sia quelle ad essa ortogonali, dette pennelli. Le barriere frangiflutti distaccate vengono realizzate parallelamente ai fronti d’onda incidenti. Possono essere realizzate con una serie di scogliere poco emergenti o completamente sommerse (barriere soffolte).

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La profondità di imbasamento (in genere 3 -4 m) coincide - dove è presente - con quella della barra naturale. Il coronamento può arrivare a quota +1,5 m s.l.m. ed avere una larghezza di 4-5 m. Le barriere distaccate causano spesso la formazione di un’estroflessione della spiaggia che talvolta si può congiungere alla barriera (tombolo). Le barriere emergenti possono inoltre causare problemi igienico-ambientali legati al ristagnare delle acque, in particolare durante i mesi estivi. Tale inconveniente è ridotto o risolto nel caso di barriere soffolte. I pennelli vengono utilizzati per ridurre gli effetti del trasporto solido longitudinale trattenendo parte del materiale in transito e creando in genere un avanzamento della spiaggia soprafflutto e un arretramento sottoflutto. I pennelli sono in genere posti ad una distanza fra di loro pari a 23 volte la loro lunghezza e si dovrebbero estendere dal retrospiaggia fino alla linea dei frangenti corrispondente all’altezza dell’onda significativa. Sia le opere di difesa longitudinali sia quelle trasversali vengono realizzate di solito in massi di pietra naturale o di blocchi di calcestruzzo. I ripascimenti artificiali (vedi figura 4) sono costituiti da versamenti di sabbia di opportuna granulometria estratta da cave di prestito in mare o a terra. La granulometria deve - dove possibile - essere superiore a quella presente sulla spiaggia, in caso contrario si verifica un incremento della capacità di trasporto del moto ondoso, con necessità di interventi manutentivi frequenti e costosi. Ciò è un elemento contrario all’uso delle sabbie derivanti dal dragaggio dei porti. Esistono pur tuttavia concrete possibilità di ritrovamento al largo di giacimenti di sabbia di adeguata granulometria. Per limitare gli interventi periodici di manutenzione di una spiaggia artificiale limitando le perdite di sedimenti si possono combinare i versamenti di materiali con opere di contenimento, sia aderenti che distaccate, sia trasversali che longitudinali, realizzando i ripascimenti protetti o controllati. Una tecnologia di recente sviluppo infine, prevede l’impiego di drenaggio della fascia di battigia mediante un sistema di condotte, pozzetti di raccolta e pompe di deflusso in modo da favorire la sedimentazione nella fascia di battigia del solido sospeso portato dal moto ondoso durante le mareggiate. 5.1 BARRIERE LONGITUDINALI EMERSE Meccanismo di protezione della costa Questo sistema di opere viene adottato quando si è in presenza di spiagge sottili per cui i fronti d’onda si presentano al frangimento con disposizione pressoché parallela alla linea di riva. Tale sistema è costituito da una serie di elementi continui, distaccati dalla linea di riva e distanziati tra loro di una quantità di norma pari ad una lunghezza d’onda. Tali opere vengono ubicate al largo della zona dei frangenti in modo da assolvere una duplice funzione: frangimento dell’onda sul paramento esterno della diga onde evitare che la dissipazione del

contenuto energetico dell’onda avvenga sul fondale con conseguente messa in sospensione e trasporto dei sedimenti;

diffrazione alle testate con conseguente ripascimento a tergo e formazione di tomboli. Caratteristiche dell’opera Queste opere possono essere realizzate con una serie di scogliere poco emergenti o completamente sommerse (barriere soffolte). La profondità di imbasamento (in genere dell’ordine dei 5 m) coincide,

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dove esiste, con quella della barra naturale. Il coronamento, di solito tracimabile, può arrivare fino a quota +1,5 m s.l.m. ed avere larghezza variabile in funzione dell’energia da dissipare. In relazione all’attacco del moto ondoso queste opere possono essere realizzate con massi naturali o artificiali in calcestruzzo di adeguate dimensioni.

Vantaggi Efficace difesa del litorale in relazione alla riduzione delle onde in occasione di eventi estremi

e di media entità; Riduzione delle perdite di sedimenti per effetto del trasporto solido trasversale verso il largo; Accrescimento indotto della spiaggia a tergo dell’opera, sebbene con materiale molto sottile.

Svantaggi Possibile erosione a valle dei “tomboli”, che si formano a tergo delle opere, a causa

dell’interruzione del trasporto solido longitudinale; Possibili erosioni al piede lato mare dell’opera (ed in particolare in corrispondenza delle

testate); Ristagno delle acque a tergo delle opere che causa problemi igienico-ambientali, in particolare

durante i mesi estivi e conseguenti problemi per la fruizione turistico-balneare; Elevato impatto ambientale in relazione agli effetti negativi sul paesaggio.

Esigenze di gestione e mantenimento Esigenze molto ridotte, che si limitano al “rifiorimento” delle mantellate e del piede

dell’opera, dopo eventi di moto ondoso estremi. 5.2 BARRIERE LONGITUDINALI SOMMERSE Meccanismo di protezione della costa Nell’ambito delle barriere longitudinali possono essere individuate anche quelle completamente sommerse, che consentono di perseguire obiettivi di difesa e nel contempo limitare l’impatto ambientale. La difesa della costa dall’azione diretta delle onde si esplica inducendo le onde al frangimento e pertanto a dissipare sulla barriera la gran parte dell’energia; la mancata formazione dei tomboli garantisce il transito dei sedimenti parallelamente alla costa, impedendo erosioni localizzate in corrispondenza delle zone sottoflutto, che sono tipiche delle barriere longitudinali emerse. Spesso vengono realizzate per sostenere al piede una nuova spiaggia (ripascimenti artificiali) e pertanto ridurre le perdite di materiale verso il largo.

Caratteristiche dell’opera Quest’ opera, considerato il modesto impatto, viene realizzata di norma in modo continuo lungo un tratto di litorale da proteggere. Possono essere costituite di massi naturali od artificiali in calcestruzzo.

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I parametri più significativi per il dimensionamento sono rappresentati dalla sommergenza (rapporto tra la quota in sommità ed il fondale d’imbasamento) e dalla larghezza della barriera. In particolare, gli effetti della riduzione dell’energia ondosa prodotti dalle barriere sommerse diminuiscono rapidamente all’aumentare della sommergenza: valori superiori a 0,4 non risultano adeguatamente efficaci per una singola barriera. Vantaggi

Efficace difesa del litorale in relazione alla riduzione delle onde per eventi estremi ed in

presenza di oscillazioni di marea modesti; Mantiene il transito dei sedimenti lungo costa e pertanto, rispetto alle barriere emerse, evita

processi erosivi localizzati; Consente una limitazione delle perdite di sedimenti per effetto del trasporto solido

trasversale verso il largo; Preserva la fruizione balneare in quanto viene mantenuto un buon ricambio idrico nelle zone

a tergo dell’opera; Impatto ambientale modesto in relazione agli effetti sul paesaggio costiero.

Svantaggi Questa tipologia di opera non ha effetti apprezzabili sulle onde in presenza di oscillazioni di

marea significative; Pericoli per la navigazione costiera ed la balneazione, a causa della limitata visibilità dell’opera:

sono previste di norma adeguate segnalazioni mediante boe della posizione dell’opera. Esigenze di gestione e mantenimento Esigenze molto ridotte, che si limitano alla “rifioritura” eventuale delle mantellate e del piede

dell’opera, dopo eventi di moto ondoso estremi.

5.3 PENNELLI EMERSI O SEMI-SOMMERSI Meccanismo di protezione della costa Questa tipologia di opere viene adottata di solito sui litorali interessati da un trasporto solido longitudinale di significativa entità e con un trasporto netto caratterizzato da un evidente orientamento. La funzione di un pennello, che può essere più o meno permeabile, è quella di intercettare una parte o la totalità del trasporto solido lungo riva, determinando così un avanzamento della spiaggia sopraflutto ed il corrispondente arretramento di quella sottoflutto. Vengono di norma realizzati sistemi di più pennelli di lunghezza ed interasse tale da proteggere il litorale e nel contempo evitare erosioni sottoflutto. Questa tipologia di opera può essere associata ai ripascimenti artificiali in relazione alla loro peculiarità di contenere i sedimenti e limitare le perdite per trasporto longitudinale.

I pennelli, di norma emersi, possono anche presentare il tratto terminale sommerso, al fine di consentire un maggior transito di sedimenti longitudinale ed evitare processi erosivi localizzati.

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Caratteristiche dell’opera I pennelli in genere si estendono dal retrospiaggia (a partire da un punto sufficientemente radicato a terra perché non si verifichino aggiramenti dell’opera) fino alla linea dei frangenti (oltre la quale il trasporto litoraneo diventa modesto), o comunque ad una profondità tale da consentire il desiderato tasso di transito dei sedimenti. Tali opere possono assumere le forme più svariate, come pure di diversa natura è il materiale di cui sono composti: massi naturali od artificiali (calcestruzzo), palizzate in legno, gabbionate, ecc. Nel caso di sistemi di pennelli multipli è importante stabilire l’interasse: in genere si assume un’interdistanza pari a 2-3 volte la loro lunghezza per pennelli impermeabili, mentre per strutture più permeabili, come pontili su pali o pennelli con setti sommersi, si assume un interasse pari alla lunghezza. Vantaggi Accrescimento della spiaggia nel lato sopraflutto dei pennelli se sono disponibili apporti di

sedimenti; Buon ricambio idrico all’interno delle zone comprese tra un pennello e l’altro; Impatto ambientale in relazione al paesaggio, di norma, non rilevante e conservazione di

buone condizioni per la fruizione turistico-balneare. Svantaggi Modesta protezione del territorio costiero per condizioni di moto ondoso estreme; Erosione nel lato sottoflutto di un sistema di pennelli: occorre valutare con cautela la chiusura

a valle dell’intervento. Esigenze di gestione e mantenimento Esigenze molto ridotte, che si limitano alla “rifioritura” eventuale degli strati più esterni delle

opere in blocchi naturali od artificiali disposti alla rinfusa. 5.4 PENNELLI A “T” EMERSI O SEMI-SOMMERSI Meccanismo di protezione della costa

Questa tipologia di opere presenta evidentemente, in termini di meccanismi di protezione della costa, le peculiarità delle opere trasversali e di quelle longitudinali, e viene applicata normalmente in litorali molto esposti e in presenza di condizioni erosive di particolare entità.

La difesa della costa è ottenuta sia nei confronti di mareggiate trasversali che inclinate rispetto alla costa, anche per eventi di particolare entità.

La combinazione della tipologia pennello con la tipologia barriera longitudinale forma delle celle lungo il litorale dove i sedimenti presenti tendono ad essere “imprigionati” e pertanto tende a limitare il trasporto solido sia longitudinale che trasversale. Caratteristiche dell’opera

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Anche per questa tipologia di pennelli possono essere impiegati materiali di diversa natura:

massi naturali od artificiali in calcestruzzo, palizzate in legno. Il pennello può essere dotato di setti sommersi e la barriera longitudinale può essere emersa

o sommersa ed inoltre continua o con varchi. A seconda della particolare tipologia e pertanto delle quote delle opere sommerse e della lunghezza delle opere emerse si ottiene un transito più o meno sensibile di materiale sabbioso da una cella all’altra.

Vantaggi Efficace protezione della costa per mareggiate di significativa entità; Accrescimento della spiaggia nel lato sopraflutto dei pennelli se sono disponibili apporti di

sedimenti e viene consentito con opere sommerse il transito di sedimenti. Svantaggi Erosione nel lato sottoflutto: occorre valutare con cautela la chiusura a valle dell’intervento. Ricambio idrico all’interno delle celle poco significativo: pericoli di ristagni d’acqua; Elevato impatto ambientale sul territorio in relazione agli effetti sul paesaggio.

Esigenze di gestione e mantenimento Esigenze molto ridotte, che si limitano al “rifiorimento” delle mantellate e del piede delle

opere in blocchi naturali od artificiali, dopo eventi di moto ondoso estremi. 5.5 OPERE RADENTI RIGIDE Meccanismo di protezione della costa Alla categoria dei sistemi “passivi-rigidi” appartengono le opere radenti, disposte parallelamente alla riva nella parte emersa della spiaggia (spesso sulla duna). Il meccanismo di protezione della costa si esplica nella difesa diretta del territorio dall’azione delle mareggiate.

Caratteristiche dell’opera Sono realizzate con semplici rivestimenti a scogliera, con massi a volte cementati con bitume o con piastre di calcestruzzo interconnesse, con gabbioni o materassi articolati o con muri e pareti verticali a palancola, a paratia o a gravità, eventualmente concavi o a gradoni per una migliore dissipazione dell'energia ondosa. È importante limitarne l'uso a situazioni di particolare emergenza, curando comunque la protezione (es. con. pietrame al piede della parete) al fine di limitare i processi erosivi al piede dell’opera stessa. Molto diffusi tra i nuovi tipi di rivestimento, caratterizzati da capacità assorbenti ed antiriflettenti del moto ondoso, sono i blocchi forati monostrato accostati o gradonati.

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Vantaggi

Queste opere normalmente sono economiche, possono essere eseguite in tempi brevi e pertanto consentono l’immediata protezione del territorio soprattutto in casi di emergenza.

Svantaggi Questa tipologia di opera ha normalmente il carattere di opera di urgenza e che non consente

di risolvere i problemi legati a processi erosivi importanti; Non forniscono alcuna protezione alla spiaggia antistante, la quale viene anzi danneggiata

dalla maggior riflessione del moto ondoso che può accelerare l'escavazione al piede dell'opera causandone il crollo;

Impatto ambientale non trascurabile in relazione agli effetti negativi sul paesaggio costiero. Esigenze di gestione e mantenimento Esigenze ridotte, che si limitano al “rifiorimento” degli elementi che costituiscono l’opera,

dopo eventi di moto ondoso estremi; Nel caso in cui la protezione al piede non venisse realizzata in modo adeguato gli interventi

di manutenzione potrebbero diventare di maggior rilievo nel senso di un eventuale ricostruzione dell’opera a seguito di crolli.

5.6 RIPASCIMENTO ARTIFICIALE Meccanismo di protezione della costa Alla categoria degli interventi attivi di tipo morbido appartengono i ripascimenti artificiali, il cui meccanismo di protezione della costa è evidentemente quello di ampliare una spiaggia esistente o di realizzare una nuova spiaggia di dimensioni, in relazione alla quota e alla larghezza, adeguate al fine di assicurare la protezione delle infrastrutture costiere.

Caratteristiche dell’opera I ripascimenti artificiali consistono in versamenti diretti di sabbia di opportuna granulometria estratta da cave di prestito in mare o a terra. A volte può essere utilizzato il materiale dragato dai porti (purché di qualità accettabile) sia in fase di costruzione che di esercizio. In questo secondo caso si risolve contemporaneamente il problema dell'interrimento portuale realizzando un sistema di by-pass delle sabbie, che vengono pompate attraverso tubazioni a valle del porto (sottoflutto) da draghe e/o da impianti fissi a terra ripristinando la naturale deriva litoranea. La granulometria del materiale di riporto è un parametro importante: il diametro medio deve essere in generale uguale o maggiore di quello originario e con assortimento possibilmente minore pur dovendo comunque prevedere perdite dei sedimenti più fini con le prime mareggiate. Di recente, sono stati realizzati ripascimenti utilizzando materiali di differente granulometria (come nel tratto di litorale Paola - S.Lucido) che hanno previsto materiale più grossolano nella parte sottostante e materiale più fino, per la fruizione balneare, nella parte soprastante.

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Vantaggi Viene creato un immediato avanzamento del litorale senza dannose conseguenze per quelli

vicini; Tale opera è efficace nel caso in cui il trasporto solido longitudinale sia di bassa entità e il

tratto di costa d’interesse non sia interessato da rilevanti condizioni erosive (altrimenti aumenterebbero eccessivamente gli oneri di manutenzione);

Effetti positivi in termini di impatto sulle attività socio-economiche turistiche in quanto viene favorita l’attività di fruizione balneare;

Impatto positivo in termini paesaggistici, in quanto viene ricreata, seppure in parte, la morfologia del litorale tipica delle coste basse.

Svantaggi La disponibilità a costi accettabili, di materiali idonei (in termini di granulometrie, di

caratteristiche mineralogiche, chimiche e microbiologiche) per il ripascimento normalmente necessari in elevate quantità;

La disponibilità a più riprese di materiali idonei al fine di consentire la manutenzione dell’intervento che dipenderà strettamente dalle caratteristiche granulometriche del materiale versato e dalle condizioni di moto ondoso che si verificano a seguito dell’intervento;

Impatto ambientale, sebbene temporaneo, in relazione all’aumento locale della torbidità delle acque costiere e alla riduzione della popolazione bentonica.

Esigenze di gestione e mantenimento Esiste l’esigenza di monitorare l’intervento in modo sistematico per controllarne l’evoluzione,

in particolare a seguito di mareggiate, e intervenire tempestivamente per ripristinare le dimensioni di spiaggia necessarie per la difesa.

Per limitare gli interventi periodici di manutenzione, si possono combinare i versamenti di materiale con opere di contenimento, sia trasversali che longitudinali (ripascimenti protetti), combinati anche in modo da formare celle semichiuse.

5.6.1 Risorse di materiale per il ripascimento

Le Cave

Nel caso del ripascimento delle spiagge il materiale di base prelevato da cave dell’entroterra oltre a rappresentare una diseconomia in termini commerciali è una grave diseconomia in termini eco-ambientali. Le cave a mare a profondità maggiore di quella dove termina il trasporto attivo dovuto alle onde (dell’ordine dei 10 metri) risultano essere il luogo migliore di prelievo; queste cave sono dovute - nella maggior parte dei casi - alla presenza di paleo-spiagge, cioè di spiagge che sono state sommerse dall’innalzamento del livello del mare. L’utilizzo del materiale da cave marine comporta un notevole risparmio in termini di costo del materiale di ripascimento (valutabile nell’ordine di 10-15.000 £/mc contro le 30.000 £/mc della sabbia di cava) nonché un ridottissimo impatto costruttivo (eliminazione trasporto da terra, solo trasporto via mare). Questo tipo di intervento presenta molti vantaggi dal punto di vista ambientale: non deturpa il paesaggio costiero, non altera le condizioni idrogeologiche delle aree di cava e non ha sfavorevoli ripercussioni sul regime dei litorali adiacenti;

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vanno tuttavia valutati con cura i danni alla vita sottomarina che potrebbero essere causati dal prelievo. Per quanto riguarda i sistemi di dragaggio e di messa in opera, questo tipo di applicazione dispone di una tecnologia collaudata ed affidabile basata sull’uso di draghe aspiranti-refluenti installate su navi particolarmente attrezzate. La mobilitazione di tali mezzi tuttavia ha costi molto elevati ed il loro uso si giustifica solo per progetti che coinvolgano grandi quantità di materiali e notevoli risorse economiche. Il problema principale è comunque costituito dalla necessità di reperire materiale sabbioso con granulometria accettabile ed a profondità sicuramente non interessate da fenomeni di trasporto da parte del moto ondoso (oltre -15 mt s.l.m.m.). Lo strumento principale per individuare, mappare e quantificare i possibili giacimenti di inerti sul fondo e sottofondo marino è rappresentato dalle prospezioni sismiche a riflessione ad alta risoluzione che forniscono informazioni sulla stratigrafia del fondo che sarà poi possibile verificare e dettagliare con campionamenti diretti e altre analisi. Le zone più interessanti per caratteristiche di posizionamento (battente d’acqua limitato a 50-60 mt e copertura pelitica tra 0 e 3 mt), qualità (caratteristiche granulometriche delle sabbie adatte al ripascimento, e relativa vicinanza rispetto alla costa, rappresentano le possibili cave di approvvigionamento di materiale sabbioso. Tuttavia le continue innovazioni in materia di mezzi draganti, consentono di poter spingere il campo di indagine anche su fondali di 100 mt. Si deve poi verificare tramite campionamenti diretti sul fondo, la qualità, consistenza e posizione effettiva dei giacimenti.

Il riciclo ed i dragaggi portuali

La perdita globale di materiale sabbioso delle spiagge è dovuta al trasportato causato dalle correnti dalla terraferma verso il fondo marino. Sembra naturale immaginare un riciclo del materiale sottratto dal mare. Poiché, come è stato descritto sopra, le correnti longitudinali spostano lungo i litorali il materiale sabbioso, mentre le correnti trasversali lo sottraggono in maniera definitiva, il migliore posto per captazione del materiale sabbioso sembrerebbe essere quello situato all’inizio del suo tragitto verso il fondo, in particolare nelle zone dove esso viene accumulato dalle correnti trasversali. In realtà questa procedura di semplice riciclo - pure talvolta praticata in maniera più o meno lecita - trova una serie di ostacoli, sia di carattere normativo, sia di carattere tecnico, poiché solo una dettagliatissima conoscenza dei processi di trasporto in una determinata area permetterebbe di effettuare questo riciclo senza conseguenze negative. Una forma di riutilizzo più semplice e sicura è quella che si limita al riutilizzo del materiale accumulato sopraflutto ai moli ed alle altre opere artificiali; in questo caso l'impatto ambientale è nullo - si tratta semplicemente di ridurre l'effetto di un'opera artificiale-ed anche le necessità di indagini preliminari sono ridotte poiché il materiale è nella maggior parte dei casi emerso e facilmente accessibile. Caso limite di questo riciclo è l'impiego della sabbia che si deposita all'interno e dalle imboccature dei porti. La metodologia impiegata per la ricostruzione degli arenili con sabbia prelevata dai porti presenta le stesse caratteristiche dei ripascimenti effettuati con sabbia proveniente da cave marine, senza tuttavia l’onere di particolari verifiche di convenienza economica sul costo delle operazioni in quanto gli escavi sono comunque considerati interventi dovuti; il principale limite di tale pratica è però nella granulometria delle sabbie che normalmente è troppo bassa e che quindi è maggiormente soggetta ad erosione e può causare effetti sgradevoli dal punto di vista ambientale e balneare.

Altre fonti Il ripascimento delle spiagge richiede quantitativi così ingenti di materiale sabbioso da far risultare spesso sconveniente l’uso di cave terrestri sia per i prezzi, sia per tempi di lavorazione, sia infine per il notevole impatto ambientale del trasporto gommato.

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Tuttavia, si profilano occasionalmente opportunità che vanno colte in quanto sinergiche ed in definitiva economiche. E’ il caso, per esempio, di importanti lavori di escavo presso cantieri limitrofi alla costa che possono consentire attività di ripascimento ad ottime condizioni. Questo genere di fonti per il materiale sabbioso non può presentare carattere di sistematicità e quindi, non si presta ad una pianificazione. Un’altra possibilità potrebbe essere l’impiego del materiale accumulato nei bacini artificiali sottesi dalle dighe; tale materiale però, oltre ad essere ricco di sostanze fini, non si presta al trasporto con mezzi se non ad alti costi. 5.7 SISTEMI DI DRENAGGIO I sistemi di drenaggio sono basati sul principio di drenare la fascia di battigia, in modo da favorire i processi di sedimentazione del solido sospeso trasportato dal moto ondoso nella zona di run-up e inibire il trasporto verso il largo di sedimento nella fase di deflusso dell’onda dalla battigia. Essi sembrano presentare significativi vantaggi rispetto ai metodi tradizionali di protezione costiera: ridotto impatto ambientale, in quanto, una volta installato, il sistema non ha elementi visibili sulla

costa; Flessibilità di impiego;

Tali sistemi sembrano al momento essere protetti da vari brevetti: col none di BMS sono stati sviluppati negli anni ’80 dal Danish Geotechnical Institute, ed installati in vari paesi del mondo (Danimarca, Svezia, Gran Bretagna, Giappone, Stati Uniti, Germania, Malesia, Spagna, Francia etc.). In Italia esiste un unico impianto commissionato dalla Regione Lazio che copre una lunghezza totale di c.a. 500 sul Lido di Ostia (RM), che è attualmente in corso di studio da parte del Politecnico di Bari con la collaborazione delle Università di Salerno e della Calabria. Il sistema BMS prevede per l’installazione sulla linea di battigia, di condotte di drenaggio ricoperte di materiale filtrante, collocate ad una profondità definita nella fascia di battigia, longitudinalmente alla linea di costa; di un pozzetto di raccolta a gravità dell’acqua drenata; e di un sistema di pompe di aspirazione per il deflusso dell’acqua drenata. Nella fase della progettazione di dettaglio devono essere definiti i seguenti aspetti: definizione delle dimensioni e collocazione della condotta drenante; le caratteristiche del materiale filtrante; caratteristiche delle pompe di aspirazione;

Mancano tuttavia al momento metodi di progetto verificati e attendibili; anche questa tipologia, dunque, deve essere al momento considerata come possibile candidata per siti di prova e di verifica. 6. SCELTA DELLA TIPOLOGIA DI INTERVENTO

Il punto di partenza nella scelta della tipologia di intervento è l’identificazione del tipo di erosione a cui è soggetto il litorale. Prima di arrivare a una decisione sulla necessità dell’intervento e sulla tipologia dello stesso bisogna percorrere alcuni passi. Essi consistono: da un lato nella valutazione dei processi morfologici che interessano la zona tramite l’analisi dei dati disponibili e la predizione degli sviluppi futuri (con tecniche di estrapolazione e modelli matematici); dall’altro nella individuazione dei diversi interessi coinvolti nell’intervento: la conservazione dell’ambiente, del paesaggio, la convenienza socio-economica dell’operazione. Il confronto tra questi interessi e i provvedimenti per ridurre il tasso di erosione della spiaggia porterà alla decisione sull’intervento.

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I fattori determinanti per effettuare tale confronto possono essere così riassunti:

la salvaguardia immediata del territorio ove sono messe in crisi lo svolgimento di attività produttive;

il regime dei trasporti di sedimenti; il livello della marea e del set-up dinamico e meteorologico; la morfologia del paraggio; la finalità dell’intervento protettivo.

Il quadro seguente, prodotto originariamente da Kobayashi et al, può essere utile per fornire una prima indicazione sul grado di idoneità di ciascun tipo di intervento. Il significato delle lettere è il seguente.

Urgenza: a) emergenza. Il pericolo per le persone e le cose è tale che l’intervento deve essere iniziato

subito (entro 15 giorni), in assenza di un formale progetto; b) urgenza. La situazione comporta che vi sia il tempo per eseguire una programmazione ed

eseguire parte delle indagini necessarie alla corretta progettazione; c) tempestività. Tale da avere il tempo per eseguire tutte le indagini necessarie, senza correre

il rischio di giungere troppo tardi.

Regime del trasporto litoraneo: d) trasporto litoraneo longitudinale di piccola entità rispetto ai movimenti trasversali alla

spiaggia; e) deriva litoranea (trasporto netto) assente o insignificante rispetto ai trasporti lordi; f) deriva litoranea modesta ma ben definita; g) trasporti litoranei importanti ma con deriva mal definita; h) trasporti litoranei importanti e deriva ben definita.

Livelli marini:

Per quanto riguarda l'importanza della marea e del set-up non vi è dubbio che essa per il basso Tirreno sia modesta.

Morfologia del paraggio: Per quanto riguarda l’instabilità morfologica del paraggio, legata alle dimensioni spaziali delle grandi forme caratterizzanti la riva ed alla altezza della spiaggia attiva, ed alla erodibilità della costa, si distinguono le seguenti classi:

i) instabilità insignificante; ad es. falesie; j) instabilità modesta; ad es. spiagge sottili di grande estensione e spiagge a tasca (poket

beach); k) instabilità importante; ad esempio cuspidi fociali e piccole unità fisiografiche con forti

trasporti.

Grado di idoneità: L’idoneità è indicata nel modo seguente:

3 soluzione consigliabile; 2 soluzione idonea; 1 soluzione accettabile;

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+ soluzione idonea o accettabile per qualche forma del tipo, inefficiente per altre; 0 soluzione inefficiente; *soluzione sconsigliabile.

Tabella 1 Quadro schematico per la scelta del tipo di opera per difese di spiaggia Il quadro riassume quindi le indicazioni seguenti:

i pennelli sono consigliabili dove la deriva litoranea è ben definita per ridistribuire lungo il litorale gli apporti fluviali in ragione diversa da quella derivante dal regime ondoso e dalla configurazione attuale del litorale; ad es. per la stabilizzazione di apparati fociali in erosione per il ridursi, senza annullarsi, degli apporti solidi sabbiosi. Essi debbono essere ben radicati a terra ed impiegati con prudenza in litorali morfologicamente labili;

le scogliere parallele sono da consigliare dove l’escursione di marea ed il trasporto litoraneo sono modesti;

rivestimenti e soprattutto muri di sponda sono in genere da sconsigliare per la stabilità della spiaggia, ad eccezione di opere di modesto rilievo, che vengono interessate dall’onda solo in condizione di acqua alta eccezionale o quasi;

le difese parallele, le scogliere foranee e le difese radenti, non sembrano consigliabili dove la conformazione della costa è rapidamente variabile;

i ripascimenti artificiali sono da consigliare su piccola scala dove il trasporto è modesto.

Dove il trasporto litoraneo è consistente, i ripascimenti potranno essere abbinati ad opere di contenimento al fine di ridurne gli oneri di manutenzione.

La suddivisione delle opere per tipi è in larga misura schematica. Esistono infatti sistemi di difesa che hanno caratteristiche proprie di tipi diversi, o risultano dalla combinazione di tipi diversi.

E’ il caso, per esempio, di pennelli, consigliati da taluni, aventi la testa rivolta sottoflutto e formante un angolo non grande rispetto alla riva, o frangiflutti disposti obliqui e non distanti da riva, sì che una delle teste viene di fatto a radicarsi a terra. Un altro caso è quello dell’unione di una barriera parallela con un pennello che forma una figura a “T”, oppure il caso di ripascimenti contenuti fra pennelli e/o barriere foranee.

Un’ulteriore procedura di selezione della tipologia di intervento è quella riportata in fig. 1 da

Kobayashi et al. (1985).

Caratteristiche del paraggio Tipo di intervento

Urgenza Trasporto litoraneo Marea Instabilità morfologica

A b c d E F G h i j k L m Pennelli * 1 2 0 1 3 2 2 1 2 2 1 * Scogliere * 0 2 2 3 + 2 + 2 1 2 1 0 Difese aderenti 2 + * 1 0 0 * * 1 2 2 1 * Ripascimenti 3 3 2 3 2 2 1 1 2 2 1 2 3

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Figura 1 - Procedura di selezione della tipologia di intervento derivata da Kobayashi et al. (1985).

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7. TIPOLOGIE D'INTERVENTO PER LA COSTA ALTA

7.1. GENERALITÀ I fenomeni franosi, quando non determinati da cause antropiche, rappresentano uno stadio del processo di evoluzione naturale dei versanti determinato sia da condizioni locali, sia da fattori che esplicano la propria influenza anche a notevoli distanze dall'area in dissesto. L’erosione rappresenta una delle cause principali di dissesto e può essere causata dall’azione del vento, delle acque (meteoriche e non), e dall’azione del moto ondoso. In merito a tale ultima causa, le forme classiche legate all’attività erosiva del mare sono le spiagge emerse (alcune tipologie) e le falesie. Le spiagge emerse, infatti, oltre che per apporti marini, possono essersi formate o rifornite da apporti terrigeni, la cui genesi è legata in alcuni casi ad eventi franosi. Per effetto di una frana interessante un settore di litorale, i detriti che si accumulano al piede delle zone in dissesto, sono modellati dalle correnti indotte dal moto ondoso e distribuiti dallo stesso lungo il litorale. Spesso la spiaggia emersa al piede delle scarpate ne costituisce una valida protezione dall’erosione del moto ondoso. Le falesie (ovviamente quelle non strutturali) devono la loro genesi all’erosione chimico-meccanica operata dal moto ondoso incidente al piede delle scarpate (di consistenza non necessariamente lapidea). In genere la genesi delle falesie è determinata dallo scalzamento al piede della scarpata con graduale formazione di concavità; si formano in tal modo nella parte superiore delle masse aggettanti che, ulteriormente esposte all’erosione eolica e meteorica ed ovviamente all’azione della gravità (o dei sismi), franano quando attingono condizioni di instabilità. Il processo determina l’arretramento della linea di costa con formazione di scarpate a forte pendenza (sub verticali) nella parte emersa e nella parte sommersa di una piattaforma a lieve pendenza.

7.2. CRITERI DI STABILIZZAZIONE E CLASSIFICAZIONE DEI DISSESTI FRANOSI

Gli interventi di stabilizzazione della aree in frana sono progettati in funzione del tipo di movimento, delle caratteristiche delle rocce interessate dal dissesto, della velocità del fenomeno e della tipologia dei beni esposti. Un movimento franoso (e in generale la perdita di stabilità di un pendio) ha luogo quando la risultante delle forze che tendono a provocarlo (forze destabilizzanti) attinge valori maggiori della risultante delle forze che tendono a opporvisi (forze resistenti). I movimenti franosi avvengono generalmente lungo “superfici di scorrimento”, piane oppure curve. Il criterio normalmente usato per definire la stabilità di un pendio o di una scarpata consiste nel verificare, lungo una superficie di scorrimento, il coefficiente (o fattore o grado) di sicurezza (F), cioè il rapporto tra le forze resistenti e le forze agenti. Se il coefficiente di sicurezza si avvicina all’unità vuol dire che il pendio si trova in condizioni di equilibrio limite e bisogna quindi intervenire per incrementare tale coefficiente (secondo la normativa tecnica italiana, tale coefficiente deve essere maggiore di 1,3). Ai fini della sua determinazione è necessario conoscere:

a) la superficie di scorrimento (profondità, forma ecc.); b) le forze che su questa agiscono; c) il peso della massa di terreno franante; d) la resistenza del terreno.

Poiché il coefficiente di sicurezza di un pendio interessato da movimenti in atto o potenziali è il rapporto fra forze resistenti e forze agenti, la stabilizzazione dello stesso può essere realizzata facendo variare a nostro favore tale rapporto. Ciò può essere ottenuto attraverso le tecniche di intervento nel seguito esposte. In linea generale i movimenti franosi possono classificarsi in 5 gruppi principali:

- Crolli

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Ribaltamenti Scorrimenti o scivolamenti Espansioni (o espandimenti) laterali Colamenti

Ovviamente, un evento può essere caratterizzato da più di una delle suddette tipologie.

Fig.2 - Schemi semplificativi di alcuni tipi di movimenti franosi.: 1 Crolli; 2-Ribaltamenti;

3-Scorrimenti 4-scivolamenti; 5-Espansioni (o espandimenti) laterali; 6-Colamenti.

7.3. STRATEGIA E CLASSIFICAZIONE DELLE OPERE DI TABILIZZAZIONE

Le procedure normalmente impiegate per la sistemazione o l’utilizzo delle aree potenzialmente instabili sono tese a:

a) eliminare o evitare il problema, con scelte di natura programmatica; b) ridurre le forze che favoriscono il movimento; c) incrementare le forze che vi si oppongono.

Eliminazione del problema: consiste nella rimozione delle masse instabili (metodo utilizzato generalmente nel disgaggio di porzioni di roccia passibili di crollo), oppure, senza intervenire sul fenomeno franoso, nell’eseguire opere di protezione dell’infrastruttura da realizzare (per esempio, gallerie parietali, reti di protezione, paramassi ecc., per proteggere sedi stradali e ferroviarie). Queste vengono anche chiamate opere di presidio.

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Riduzione delle forze favorevoli al movimento. Le forze che innescano il movimento sono di tipo gravitativo e/o inerziale (sismi) e pertanto legate al peso delle masse (materiale ed acqua). Uno dei metodi generalmente più semplici per ridurre tali forze, quando ciò non comporti grosse spese, consiste nella variazione della forma e nella pendenza del versante (ad esempio gradonatura) e con opere di drenaggio, che si traducono in una riduzione complessiva dei pesi a monte (“scarico” della frana). Fra queste, la realizzazione di opere di drenaggio (superficiali e profonde) delle acque di ruscellamento e di infiltrazione nel versante rappresenta generalmente l’intervento più efficace. L’eliminazione, anche se parziale, dell’acqua dal versante riduce, infatti, il peso della massa coinvolta, inoltre fa aumentare la resistenza del materiale che compone il pendio, in quanto provoca la riduzione della pressione interstiziale. I drenaggi superficiali devono controllare sia le acque che si infiltrano sia quelle superficiali, che determinano condizioni di erosione sul versante. Questa azione può essere ottenuta per mezzo di collettori e trincee drenanti, intervenendo sulla capacità della copertura vegetale di svolgere un ruolo positivo (attività di traspirazione dell’acqua da parte delle piante) e con opere specifiche di protezione dall’azione erosiva. I drenaggi sotterranei delle acque vengono attuati per mezzo di dreni orizzontali, pozzi verticali e gallerie drenanti, interventi, questi, di solito di notevole impegno economico e che richiedono una esatta conoscenza della geometria del movimento franoso. Incremento delle forze resistenti. Questo metodo di stabilizzazione può essere attuato sia con l’applicazione di forze esterne che annullano o bilanciano le forze che favoriscono il movimento (opere di contenimento), sia incrementando la resistenza interna del materiale. Le tecniche impiegate possono essere di vario tipo. Fra quelli che incrementano le condizioni di equilibrano aumentando le forze stabilizzanti, i più utilizzati sono la messa in opera di gabbionate e muri di sostegno, palificate e sistemi di ancoraggio. Fra i metodi che permettono il miglioramento delle qualità di resistenza al taglio del materiale, oltre al drenaggio delle acque sotterranee, vengono impiegati i trattamenti chimici e termici, e l’elettrosmosi. Questi ultimi tre metodi sono pochissimo utilizzati. Un discorso a parte merita l'azione della copertura vegetale, che a seconda delle situazioni può svolgere un ruolo di contenimento, ad esempio mediante l’azione di aggrappamento e trattenuta del suolo da parte degli apparati radicali, o, come si è accennato, può contribuire con la traspirazione a svolgere una sorta di drenaggio del terreno. Gli interventi mirati a costituire o a migliorare la copertura vegetale sono utili come provvedimenti a lungo termine, e pur non essendo vere e proprie opere di consolidamento dei terreni, svolgono una funzione protettiva, evitando o prevenendo peggioramenti nelle condizioni di stabilità dei pendii.

7.4 TECNICHE DI STABILIZZAZIONE

Nel seguito si descrivono le principali tecniche di stabilizzazione delle aree in frana. Le opere di scavo, riduzione e sistemazione dei pendii naturali e artificiali. Le opere in esame sono finalizzate alla modifica della geometria del pendio, ossia alla sua rettifica e rimodellamento, principalmente mediante la diminuzione dell’inclinazione del pendio instabile e l’alleggerimento della sua parte superiore in modo da ridurre le “forze agenti”. Possono essere interventi preventivi oppure riparatori. Sia dopo che si è verificato un movimento franoso, sia in fase preventiva, ad esempio, durante la costruzione di fabbricati o strade a mezza costa per ridurre l’altezza del muro di controripa (e quindi dimensioni e costo), si eseguono lavori aventi lo scopo di diminuire l’altezza della scarpata oppure di abbassarne la pendenza, mediante scoronamenti, sbancamenti e gradonature. Il pendio va regolato con pendenza adeguata alle caratteristiche geotecniche del terreno.

7.4.1 Disgaggio di massi

L’intervento consiste nel fare precipitare le masse instabili di una parete o di una scarpata, con cadute, per quanto possibile, controllate e contenute.

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7.4.3. Canalizzazione delle acque superficiali La canalizzazione delle acque superficiali (o drenaggio superficiale, o drenaggio aperto, o drenaggio scoperto, o fossa, o affossatura) è destinata a raccogliere le acque che scorrono disordinatamente alla superficie del terreno e quindi serve per combattere i fenomeni erosivi superficiali; avendo anche lo scopo di allontanare da un’area franosa o in pericolo di frana le acque superficiali (piovane, stagnanti, sorgive ecc.), queste opere evitano che tali acque penetrino nel sottosuolo e quindi servono per combattere anche i movimenti di massa. Gli interventi consistono in canalette o cunette, generalmente di sezione trapezoidale o semicircolare, con fondo per quanto possibile impermeabile, e resistente all’erosione. I drenaggi (o drenaggi profondi) sono condotti sotterranei che hanno lo scopo di raccogliere e allontanare le acque sotterranee; essi esplicano la massima efficacia se spinti fino alla superficie di contatto fra la massa in movimento e il substrato stabile, così da drenare le acque che su detta superficie scorrono e anche quelle che impregnando il terreno ne riducono la resistenza al taglio. Il fondo di questi drenaggi viene posto a una profondità da 0,50 a 1,00 m al di sotto della superficie di scorrimento della frana; la pendenza del fondo non è inferiore all’1 %, per assicurare una discreta velocità dell’acqua, e il fondo viene possibilmente rivestito. I drenaggi vengono realizzati secondo le linee di massima pendenza per evitare che la loro esecuzione inneschi nuovi movimenti franosi e perché siano meno sensibili a movimenti che si potrebbero innescare dopo la loro esecuzione, prima ancora di aver fatto sentire la loro efficacia. Attualmente si tende a sostituire la sabbia con il "tessuto non tessuto": questo materiale sintetico, usato come filtro al posto della sabbia o di altri inerti naturali, presenta alcuni vantaggi, come elevata efficacia e durata, rapidità di applicazione, imputrescibilità. Verso l’alto il riempimento viene suggellato da uno strato di sabbia e quindi di argilla costipata (per evitare l’infiltrazione delle acque superficiali) e infine con terreno vegetale. Nei casi meno impegnativi il condotto sotterraneo viene riempito con pietre a secco o ghiaia alla rinfusa.

7.4.3 Sigillatura delle fessure, impermeabilizzazione superficiale dei terreni

In varie situazioni, le fratture di trazione o di essiccamento che si verificano a monte di alcuni ammassi franosi vengono riempite dalle acque di scorrimento superficiale con conseguente sovraccarico idrostatico che contribuisce ad aumentare l'instabilità del pendio. Lo stesso danno si verifica laddove rilievi tabulari costituiti da rocce lapidee (calcareniti, calcari, arenarie, tufi litoidi ecc.) sono interessati da profonde fessure che provocano frane di crollo ai bordi delle pareti. In generale, le acque superficiali che si infiltrano nel terreno attraverso soluzioni di continuità naturali e artificiali rappresentano un fattore di instabilità per il terreno stesso. Per evitare l’infiltrazione di tali acque si ricorre alla sigillatura delle fenditure mediante materiali impermeabilizzanti quali miscele cementizie ed emulsioni di bitume. Agli stessi materiali si può ricorrere per l’impermeabilizzazione di tratti più o meno ampi di terreni situati a monte di aree instabili. Le opere di contenimento sono tese ad aumentare le “forze resistenti” per mezzo di elementi strutturali fondati o ancorati ad un terreno sottostante non interessato dal dissesto. Nella scelta degli interventi che verranno descritti, si deve tenere conto anche del loro costo; ciò vale in particolare per quelli più complessi e impegnativi, quali gli ancoraggi, il cui costo è sempre elevato.

7.4.4 Opere di sostegno

In linea generale, qualunque sia l'opera di sostegno essa deve essere attestata in un substrato stabile, quindi al di sotto della superficie di scorrimento in atto o potenziale. E’ questa condizione che rende spesso irrealizzabili i muri di sostegno, cioè il tipo di opera di solito più economica, costringendo ad adottare soluzioni molto più onerose. Altro requisito che devono necessariamente avere le strutture di sostegno è quello di essere autodrenanti: l'instabilità cui potrebbero essere soggette deriva dalle spinte idrostatiche che possono instaurarsi al loro tergo.

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Muri di controripa Possono costruirsi in muratura ordinaria con malta o in calcestruzzo semplice o armato (strutture rigide), o in muratura a secco (strutture semirigide), o in gabbioni (strutture che sopportano moderate deformazioni). E’ necessario che le murature siano drenate a monte allo scopo di diminuire la pressione idrostatica delle acque che impregnano il terreno spingente. E’ utile anche realizzare, nelle strutture rigide, “asole” o “feritoie drenanti” che le attraversino per l’intero spessore, in modo da scaricare le acque presenti a tergo del muro nella cunetta a valle del muro stesso.

Scogliere Le scogliere sono accumuli di massi lapidei (o di elementi in conglomerato cementizio) di dimensioni tali da non essere asportati dal moto ondoso o dalla corrente fluviale. Esse sono opere di sostegno costruite al piede di un pendio instabile. Costituiscono un valido mezzo contro lo scalzamento di fondazioni causato dall’acqua corrente, contro l’erosione di sponde.

Rete di protezione Le reti di protezione servono a proteggere dalla caduta di massi e pur non potendosi considerare vere e proprie opere di stabilizzazione di pendii (al pari cioè del disgaggio di massi, dei paramassi, delle gallerie artificiali, considerate tutte opere di presidio), possono essere comprese fra le opere di sostegno. Sono formate da fili in acciaio di 3 mm di diametro incrociati a maglie romboidi di 4-5 cm. Esse sono poggiate sul pendio o sulla parete rocciosa, da cui i massi possono staccarsi, in strisce lungo i bordi delle quali corrono cavetti di acciaio. Sono legate lateralmente l’una all’altra e sono ancorate, oltre che alla sommità, anche alla base, così che aderiscano fortemente al pendio. In ambiente marino, a causa della presenza di salsedine s’impiegano reti di fili di nylon o di altro materiale sintetico. Questo tipo di difesa si incontra spesso lungo le scarpate stradali.

Paramassi Il paramassi o parapetto arresta-massi si realizza infiggendo nel terreno tronconi metallici o di altro materiale ad alta resistenza e collegandoli trasversalmente con tronchi di albero o con traverse metalliche; in quest'ultimo caso si parla di bin-walls.

7.4.5. Opere di miglioramento della resistenza del terreno

Ancoraggi La stabilizzazione di pendii costituiti da rocce lapidee sconnesse, disarticolate o delle falesie in pericolo di crollo, può essere ottenuta mediante bullonatura della roccia, che ha lo scopo di rendere solidali con strati più profondi gli strati superficiali di roccia. La bullonatura consiste nell’inserire in un foro praticato nella roccia un’asta o un tondino metallico (bullone), che viene ancorato all’estremità inferiore del foro, nella roccia stessa. Mediante una piastra e un dado applicato alla testa filettata del bullone che sporge dal foro, si opera il serraggio dello spessore interessato dal bullone stesso. L’ancoraggio alla base può essere realizzato mediante dispositivo di espansione che entra in funzione durante la fase di avvitamento dei dado (bulloni ad espansione), oppure mediante cementazione dell’intercapedine foro-bullone che può interessare un tratto dell’estremità inferiore o l'intera lunghezza del foro (bulloni cementati). Queste aste metalliche o di cemento armato possono essere sollecitate in esercizio prevalentemente per resistere a sforzi di taglio, in tal caso, esse vengono chiamate chiodi e l'intervento chiodatura (o cucitura). Si usa, invece, il termine tirante (e l’intervento tirantatura) allorquando gli stessi elementi sono chiamati a fornire la resistenza a trazione degli ammassi rocciosi. Infine, si parla di ancoraggi pre-tesi quando gli elementi di acciaio o di cemento armato sono sollecitati in esercizio da sforzi di trazione impressi all'atto dell'esecuzione.

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Da quanto detto risulta che la chiodatura è il rimedio classico contro lo scivolamento lungo un determinato piano e che i tiranti servono soprattutto ad armare masse rocciose lapidee per renderle idonee a sopportare sforzi di trazione. In quest’ultimo caso le soluzioni più comuni sono quelle che prevedono tiranti con estremità superiore terminante con una semplice piastra o collegata con travi disposte in una sola direzione o in più direzioni incrociate a maglia.

Palificazioni Sono costituite da pali in serie o spaziati. I pali utilizzati per contenere i frammenti superficiali sono semplicemente infissi nel terreno (e in ogni caso devono attestarsi nel terreno stabile). Nei frammenti profondi si può ancorare la testa dei pali con tiranti oppure, se necessario, si possono usare pali (o pozzi) di fondazione di grande diametro, con possibilità di drenaggio alla base. Posti in serie costituiscono una struttura di contenimento efficacissima. Negli ultimi anni si è sempre più diffuso l’uso di micro-pali. I reticoli di micropali consistono in gruppi di fori armati e iniettati di malta cementizia, variamente orientati e collegati in superficie mediante un cordolo. Il risultato è la costruzione di un traliccio o maglia che ha la funzione di realizzare un consolidamento generalizzato di un terreno instabile o presunto tale (specialmente quando si tratti di materiali sciolti o di rocce lapidee fratturate e fessurate), laddove questo costituisce la base di appoggio di importanti manufatti. L’efficacia di questo reticolo risiede nel numero degli elementi su cui esso si articola e sul raggio d’influenza del micro-palo che è maggiore del diametro del foro (il cemento permea le fratture per un certo tratto all’intorno della parete del foro). I micro-pali possono anche farsi rientrare nella categoria degli ancoraggi. Una categoria particolare sono i pali radice, che sono micro-pali non iniettati o iniettati a bassissima pressione. Allo scopo di incrementare la resistenza di taglio di terreni molto fratturati o alterati o sciolti, si può ricorrere al miglioramento delle loro caratteristiche fisiche e meccaniche.

Iniezioni di miscele consolidanti Per la stabilizzazione di pendii naturali e artificiali (e di terreni d’appoggio di importanti manufatti) si ricorre spesso alle iniezioni di miscele consolidanti, che migliorano le caratteristiche meccaniche del terreno. L’impiego delle iniezioni in terreni non rocciosi deve essere praticato con la massima cura e con appropriata modalità. Le tecniche di iniezione di possibile impiego possono classificarsi nel seguente modo: permeazione: infiltrazione di miscele, iniettate a bassa pressione, avendo cura di non provocare

rotture o dislocazioni nella massa ed adottando miscele di viscosità e composizione compatibili con la permeabilità e la porosità del terreno da trattare;

fratturazione: immissione forzata di miscele con formazione di vene o lenti che, permeando e impregnando il terreno, producono un serraggio intergranulare; - compattazione: immissione forzata di miscele molto viscose; essa dà luogo a forme

giobulari di espansione, con effetti di consolidamento; - rimescolamento: impiego di alesatori meccanici in rotazione/traslazione, associato alla

contemporanea iniezione di miscele consolidanti. Tali tecniche, applicabili ad una gamma di terreni che vanno dalle ghiaie e sabbie fino ai limi, hanno due limiti: il primo consiste nella permeabilità dei terreni da iniettare, infatti, già per valori di 10-3 – 10-4 cm/s, i costi e i tempi dell’intervento diventano assai elevati; il secondo consiste nella difficoltà del controllo della geometria e dell’assetto del terreno iniettato e delle relative proprietà meccaniche. Rispetto alle tecniche tradizionali come l’iniezione per permeazione o il rimescolamento meccanico, viene in alcuni casi utilizzata la tecnica del jet-grouting. Il carattere essenziale di tale tecnica nelle diverse versioni che vanno dalla gettiniezione con un solo fluido a quella con tre fluidi, è quello di disgregare un volume

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prestabilito di terreno per poi costituirlo in sito, dopo averlo rimpastato con opportune miscele cementizie. 7.5 INTERVENTI DI STABILIZZAZIONE DEI TRATTI DI COSTA ALTA

SOGGETTI A FENOMENI FRANOSI

Le frane sui tratti di litorale morfologicamente caratterizzati da costa alta sono in generale determinate dall’erosione combinata del moto ondoso (nella parte inferiore delle scarpate), del vento e delle acque superficiali (in quella superiore). Gli interventi di stabilizzazione si programmano secondo due assi paralleli, di cui uno teso a limitare l’azione erosiva del moto ondoso al piede della scarpata che rientra negli ambiti dell’ingegneria delle coste, l’altro finalizzato alla stabilizzazione della parte superiore, da realizzare secondo le tecniche precedentemente sintetizzate. I provvedimenti per stabilizzare l’erosione indotta dal moto ondoso incidente al piede di una scarpata sono essenzialmente tesi a:

1. Rendere inerodibile il piede della scarpata; 2. Ridurre l’esposizione agli agenti erosivi; 3. Migliorare le caratteristiche fisico-meccaniche delle masse rocciose esposte.

Nel primo caso si tratta di realizzare opere che eliminano del tutto l’esposizione all’azione erosiva dei flutti, tramite manufatti che essenzialmente consistono in tradizionali strutture di difesa aderenti, sagomate con berma superiore, caratterizzata da quota di coronamento e larghezza opportunamente dimensionate. Tale strutture, tra l’altro, nel caso in cui si debbano consolidare le superfici superiori di alti costoni sub-verticali, offrono un’area utilizzabile sia per le attività di cantiere, sia come piano di appoggio per i ponteggi. Il secondo tipo di interventi consiste nella realizzazione di strutture di difesa longitudinali disposte in posizione staccata dalla costa, del tipo emergenti o soffolte. A queste ultime si ricorre quando, per le particolari peculiarità ambientali e paesaggistiche dei luoghi, si tende a privilegiare interventi “invisibili”. Essenzialmente le strutture di difesa distaccate limitano l’azione erosiva, ma non la eliminano completamente. In particolare, nel caso di strutture emergenti, il moto ondoso viene trasmesso a tergo delle stesse per diffrazione e, quindi, risulta smorzato rispetto a quello direttamente incidente. Le strutture soffolte sono invece meno efficienti allo scopo, in quanto, l’onda trasmessa a tergo delle stesse è laminata rispetto a quella incidente. Pertanto, per garantire una protezione significativa le strutture soffolte devono presentare coronamento prossimo alla superficie e berma di dimensioni adeguatamente larga. Per entrambe le tipologie, la componente di velocità parallela alla scarpata da proteggere deve avere un ordine di grandezza non superiore a 1,0-1,5 m/s. Il terzo tipo di interventi consiste essenzialmente nel rivestire le superfici di scarpata esposte ad erosione con strati superficiali di maggiore resistenza. Ad esempio si possono applicare strati di spriz-beton, eventualmente armato, ed opportunamente additivato con pigmenti simili al colore della roccia in sito, che mimetizzano l’intervento. Il consolidamento delle superfici superiori della parte di scarpata a forte pendenza e non esposte al moto ondoso, viene perseguito tramite le tecniche tradizionali, già esposte. In particolare, nel caso specifico di scarpate costiere, gli interventi in genere eseguiti consistono in disgaggi dei massi e chiodature per la parte lapidea della scarpata; nel caso di scarpata a consistenza “sciolta”, gli interventi consistono, nella sagomatura, nell’inserimento di opere di sostegno. Sulle superfici in sommità della scarpata, caratterizzate da minori pendenze e che presentano coltri in materiale sciolto, per limitare l’erosione delle acque si possono prevedere interventi di impermeabilizzazione e regimentazione.

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Figura 1 Schema generale della classificazione delle tipologie d'intervento

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Figura 3 Barriere Frangiflutti Distaccate

 

 

Figura 2 Barriere Frangiflutti Radenti

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10 m

Volume ripascimento = 143.49 mc/m

lunghezza trasversale ripascimento L= 140.22m

Ripascimento 40m

nuovo profilo spiaggia dopo ripascimento

profilo spiaggia rilevato

livello d'acqua calma

Sezione 1

scala lunghezze 1:500scala profondità 1:50

1 m

Figura 4 Schema di ripascimento artificiale 

Maiori, agosto 2017. Il Progettista

Arch. Roberto Di Martino

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