1037 interno - aracne · isbn 978–88–548–1037-2 i diritti di traduzione, di memorizzazione...
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A08126
SISTEMI ABITATIVIDI PERMANENZA TEMPORANEA
Tiziana Firrone
Copyright © MMVIIARACNE editrice S.r.l.
via Raffaele Garofalo, 133 A/B00173 Roma
(06) 93781065
ISBN 978–88–548–1037-2
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: febbraio 2007I ristampa aggiornata: dicembre 2010
Indice
Introduzione.............................................................................................................................................7
1. Campi di applicazione........................................................................................................................17
2. Tipologie............................................................................................................................................37
2.1. Sistemi ad involucro flessibile.....................................................................................................41
2.1.1.La tenda..................................................................................................................................41
2.1.2. Strutture pneumatiche............................................................................................................45
2.1.3. Sistemi a pantografo e tensostrutture.....................................................................................50
2.2. Sistemi ad involucro rigido.........................................................................................................54
2.2.1. La roulotte.............................................................................................................................54
2.2.2. La mobile home.....................................................................................................................61
2.2.3. Il container.............................................................................................................................70
2.2.4. Il prefabbricato......................................................................................................................77
2.3. Sistemi misti...............................................................................................................................84
3. La memoria........................................................................................................................................89
4. Lo stato dell’arte..............................................................................................................................125
5. La sostenibilità delle scelte tecnologiche e costruttive nell’impatto con le risorse ambientali:
l’esperienza di Shigeru Ban nella progettazione di sistemi abitativi transitori................................143
6. Sistemi abitativi trasferibili e criteri di progettazione per nuovi insediamenti temporanei..............153
6.1. Insediamenti temporanei per l’emergenza.................................................................................164
7. Il benessere ambientale nell’architettura temporanea......................................................................177
7.1. Il contributo delle fonti rinnovabili allo sviluppo urbano sostenibile.......................................179
7.2. Energia e materie prime nell'edilizia.........................................................................................180
7.3. Integrazione involucro edilizio-impianto..............................................................181
7.4. Metodologia di Energy Audit....................................................................................................183
7.5. Dati necessari all'esecuzione di un energy audit.......................................................................184
7.6. Comfort termoigrometrico nello spazio confinato....................................................................184
7.7. L'edificio come collettore solare................................................................................................187
7.8. Il contributo del solare fotovoltaico...........................................................................................190
Riferimenti bibliografici..................................................................................................................... 193
Introduzione
La costruzione a carattere tempo-
raneo ha origini remote e segue un per-
corso parallelo all’evoluzione del genere
umano ed al suo modo di vivere ed inte-
ragire con l’ambiente. Il concetto di
transitorietà abitativa si pone in antitesi
con quello di permanenza che invece
definisce, generalmente, la naturale ten-
denza di ogni individuo a fissare la pro-
pria dimora e la sede delle proprie attivi-
tà lavorative, culturali, religiose, di
svago, in insediamenti stabili ed organiz-
zati. C’è un etimo del verbo abitare (dal
latino habitare), che rinvia alla continui-
Le piramidi di Ghiza in Egitto.
Il Partenone in Grecia, 448 a.C., (da Storia dell’arteItaliana, G. C. Argan).
La casa come la cometa progettata da Hideo Mori nel 1980. La tenda è stata piantata nell’erba a 1600 m s.l.m.,sotto la montagna Kirigamine, poco distante da Tokyo, (Abitare n.230, 1984).
7
tà: trovarsi, stare, avere stabilmente una
presenza in un luogo1.
La transitorietà di un’opera con-
trasta anche con il tradizionale concetto
di architettura, vincolata ai canoni classi-
ci dell’oggetto ed espressione della dure-
volezza e della permanenza, nel tempo e
nel luogo, del costruito, inteso sia nella
sua essenza materiale, sia in quella stori-
ca, culturale e simbolica. La tradizione
dell’architettura, come viene comune-
mente intesa, prende infatti le mosse da
contesti sociali e culturali le cui esigenze
sono quelle di avere un riparo permanen-
te e durevole, resistente a tempeste e ter-
remoti2, a fuoco e alluvioni. Viene così
affidata l’organizzazione dello spazio a
soluzioni strutturali solide e massicce,
realizzate con materiali da costruzione
resistenti e durevoli nel tempo.
In Italia viviamo in contesti dove
la monumentalità rappresenta il simbolo
della stabilità. L’architettura “classica” è
firmitas e soliditas e l’abitazione è consi-
derata, ancora oggi, nei cosiddetti paesi
industrializzati, uno status symbol, un
bene in grado di determinare emozioni e
di conferire prestigio all’individuo, un
valore socio-culturale di grande impor-
tanza. È per tale motivo che il passare del
tempo non ha determinato, nell’ambito
della cultura occidentale, mutamenti
sostanziali nella struttura architettonica
delle forme dell’abitare, rimanendo quasi
1- Vocabolario della lingua italiana Zingarelli.
La Ca’ D’Oro a Venezia.
8
2 - Oggi sappiamo che le azioni sismiche sonopiù facilmente contrastate da strutture leggere eflessibili.
del tutto inalterata da secoli, ad eccezione
dell’involucro esterno e dei materiali
impiegati. Questo tipo di architettura,
però, può essere soggetta a tutta una serie
di critiche: culturalmente può essere trop-
po enfatica, economicamente troppo
costosa, funzionalmente priva di flessibi-
lità e, dal punto di vista ambientale, inca-
pace di fornire le prestazioni che la socie-
tà contemporanea si attende; e benchè la
casa, in genere, rappresenti un bene pre-
zioso, spesso realtà culturali e antropolo-
giche, caratterizzanti particolari situazio-
ni locali, privilegiano valori che vanno
oltre l’attaccamento o l’esigenza di pos-
sedere un’abitazione, come nel caso di
molti Paesi emergenti, in via di sviluppo,
9
Palazzo Medici Riccardi a Firenze.
La reggia di Versailles in Francia, XIII secolo.
Andromeda Tower di Wilhelm Holzbauer, Vienna1998.
o di popoli nomadi per i quali l’abitazio-
ne rappresenta un bene temporaneo,
mutevole e legato ai cicli stagionali, agli
spostamenti o al ripetersi di calamità che
si possono manifestare periodicamente in
alcuni territori del nostro pianeta. Per cul-
ture come queste la casa può essere anche
una tenda, una capanna, una baracca
costruita con i materiali reperibili sul
luogo.
Queste abitazioni traggono le loro
origini dalle prime forme di riparo
costruite sin dall’età paleolitica, quando
l’uomo era costretto a spostarsi continua-
mente da un territorio all’altro, per procu-
rarsi il sostentamento. A questo periodo
risalgono alcuni rifugi temporanei, come
la cosiddetta capanna aurignaciana
(dalla grotta di Aurignac, in Francia), for-
mata da un’intelaiatura autoportante di
10
Capanne di un villaggio in Etiopia.
Capanna a pianta rettangolare, comune a molte regionidell’Asia (Thailandia, Cambogia, India), ma anche inAfrica, America Latina e Oceania.
Villaggio Masai in Tanzania.
Costruzione di una capanna di un villaggio in Kenia.
rami saldamente infissi nel terreno,
secondo una pianta circolare, con le cime
curvate verso il centro, intrecciate e lega-
te insieme in modo da ottenere una strut-
tura continua a cupola che veniva coperta
con pelli cucite. A questa segue la capan-
na maddaleniana (dalla grotta di La
Madeline a Tursac, Dordogna, Francia),
la prima vera costruzione leggera di
capanna abitata temporaneamente duran-
te il periodo estivo.
Le culture nomadi, ancora oggi
presenti in tutti i continenti e spesso mal
tollerate dagli attuali governi, sono in
continuo movimento, alla ricerca di
nuove risorse per far fronte ai più ele-
mentari bisogni. Queste comunità, ognu-
na con la propria storia, le proprie tradi-
zioni, le proprie pratiche di vita quotidia-
na, sono tutte testimonianza di una per-
fetta armonia tra uomo e ambiente e por-
tatrici di un immenso patrimonio cultura-
le. Le loro costruzioni presentano diver-
se tipologie che vanno dalle semplici
strutture trasportabili, a quelle in parte o
interamente ricostruibili.
I pastori nomadi Kinghisi si spo-
stano da un punto all’altro del territorio
mongolo dell’Asia Centrale, trasportando
sui loro cammelli gli elementi che com-
pongono lo yurt3: tradizionale riparo, uti-
lizzato da migliaia di anni e la cui tecnica
costruttiva è stata tramandata sino ai
nostri giorni. Lo yurt è forse la “tenda”
più ingegnosa che sia mai stata concepi-
ta: una piccola struttura circolare, del dia-
metro di circa 4 m (ma può arrivare anche
a 10 m), alta circa 3 m, composta di pare-
Ricostruzione di una capanna estiva aurignaciana, (daArchitettura del legno, M. Collura).
Tipo di capanna maddaleniana del periodo 14.000-10.000 a.C., (da Architettura del legno, M. Collura).
11
3 - “yurt” in russo; “ger” in mongolo.
ti allungabili, ottenute da un reticolo di
bastoncini di legno incrociati, legati da
cerniere di cuoio ed estensibili a panto-
grafo.
La copertura, anche questa in
legno, termina in sommità con una ruota
in legno forata, con raggi convessi verso
l’alto, alla quale si innestano le pertiche
inclinate. La corona permette l’uscita del
fumo prodotto dal focolare, posto al cen-
tro della tenda. Il pavimento è coperto
con pellicce o tappeti di lana. Tutta la
struttura è isolata termicamente con un
rivestimento in feltro di lana e pelli.
I materiali naturali, impiegati tra-
dizionalmente per la realizzazione di que-
sti ripari, sono oggi sostituiti con altri che
pur avendo caratteristiche di leggerezza,
ai fini del trasporto, non differiscono
sostanzialmente, nelle peculiarità, da
quelli originari.
Negli Stati Uniti sono oggi in
commercio versioni hi-tech dello yurt,
destinate ai cosiddetti “nuovi nomadi”
che, per scelta, per casualità o per neces-
sità, sono sottoposti a continui sposta-
Esploso della proposta statunitense di un’abitazionetransitoria realizzata sul modello dello yurt mongolo.
12
Yurt mongolo.
Schema degli elementi costruttivi che compongonouno yurt.
menti da un capo all’altro del globo. Si
tratta di abitazioni in legno e lattice o in
materiale sintetico, dotate di ogni com-
fort e facilmente trasportabili e montabili.
La pelle di bisonte che in passato
rivestiva il Teepe4 indiano viene oggi
sostituita dalla tela di canapa, materiale
utilizzato anche per realizzare le tende
nere al posto dei tradizionali teli in lana
di capra; entrambi i materiali consentono
di ottenere una buona ombreggiatura ed
una soddisfacente ventilazione, anche se
la tela di canapa ha costi più elevati
rispetto a quella ottenuta con la lana di
capra.
La pelle di foca del Tupiq, capan-
na usata dal popolo degli Inuit, è oggi
sostituita da un tessuto di natura sinteti-
ca, utilizzato in campo nautico per la rea-
lizzazione delle vele.
13
Pelli di bisonte dipinte a mano, utilizzate in passatoper la costruzione delle tende indiane.
Moderna tenda indiana cheyenne.
Tenda nera dei beduini del deserto.
4 - Struttura conica costruita con un numerovariabile di pali e ricoperta con pelli di bisonte.
Ancora oggi, per le comunità abo-
rigene australiane, la capanna è preferita
alla tenda perchè è una struttura elastica
ma resistente, capace di contrastare la
violenza dei cicloni che spesso si abbat-
tono su questi territori. L’architetto Peter
Myers, nel 1973, ha cominciato a lavora-
re con le comunità dell’ovest e del nord
del continente australiano.
Nella sua opera, volta al recupero
della cultura di una popolazione origi-
naria, tendenzialmente nomade ed oggi
14
Famiglia di Inuit davanti la loro tenda. Okak, Labrador, 1896.
La capanna progettata da Peter Myers per gli aborigeni australiani, (Domus n. 605).
15
in via di estinzione,
rientra lo studio di
una casa-capanna
in legno e corteccia
di eucalipto. Questa
abitazione non è
trasportabile ma è
facilmente rico-
struibile, in qualsia-
si punto del terri-
torio di caccia,
perchè il materiale
con cui è realizzata
è facilmente reperi-
bile e la costruzio-
ne è razionale ed
elementare: tronchi per la struttura, lastre
di corteccia grosse e sottili, rispettiva-
mente, per l’involucro e per i giacigli,
sabbia per il pavimento.
Nei Paesi tecnologicamente avan-
zati le problematiche generate dal concet-
to di temporaneità e di flessibilità del
costruito hanno rappresentato, nella sto-
ria della ricerca scientifica, alcuni tra gli
aspetti più interessanti della tecnologia,
dell’industria e dei processi di industria-
lizzazione. Ne sono prova le strutture leg-
gerissime, facilmente montabili, traspor-
tabili e riconvertibili ed il loro impiego
per ottenere ambienti che nei tempi pas-
sati venivano costruiti soltanto in durevo-
le muratura. Oggi, il concetto di transito-
rietà, quindi, si può considerare come un
allontanamento dalla firmitas vitruviana,
intesa come valore della permanenza
temporale piuttosto che come stabilità
Disegni della capanna di Peter Myers, (Domus n. 605).
Tradizionali capanne aborigene.
fisica. Diversi sono gli esempi di architet-
tura transitoria, progettata per l’uso tem-
poraneo: la tenda; le costruzioni leggere,
in materiale riciclabile o riciclato come,
ad esempio, il cartone o l’alluminio; i
sistemi intelaiati in legno; le strutture
gonfiabili ad aria compressa o estensibili
attraverso sistemi a pantografo, a com-
passo e, ancora, sistemi telescopici e ten-
sostrutture metalliche. Meccanismi
essenzialmente semplici che possono
essere alla base di soluzioni molto inno-
vative e per certi versi avvenieristiche.
16
1. Campi di applicazione
Sistemi abitativi di permanenza temporanea
Il concetto di transitorietà rac-
chiude oggi temi di estrema attualità che
pongono in luce problemi impellenti ed
urgenti.
Il mondo occidentale contempo-
raneo è caratterizzato da una condizione
di instabilità sociale dovuta ai cambia-
menti che in particolare, nel corso degli
ultimi decenni, hanno sconvolto la vita
dell’umanità ed hanno determinato
nuove esigenze di mobilità sul territorio,
espressione di vitalità e progresso econo-
mico, ma anche risultato di migrazioni di
massa di popolazioni in fuga dai loro
paesi d’origine ed in cerca di situazioni di
maggiore solidità economica e di sicurez-
za sociale.
Questi popoli abbandonano la
loro casa, le loro radici, la loro storia,
affrontando viaggi al limite della soprav-
vivenza e disagi indescrivibili, pur di rag-
giungere un Paese che possa offrire loro
un lavoro ed una vita più sicura.
Ma i pochi centri di accoglienza,
allestiti per ospitare i sopravvissuti
durante i primi giorni dal loro arrivo nel
nostro Paese, sono insufficienti a far fron-
te all’emergenza che in alcuni periodi
dell’anno raggiunge dimensioni straordi-
narie.
A tutto ciò si aggiunge il perpe-
tuarsi di eventi eccezionali e calamità
naturali che si manifestano con sempre
maggiore frequenza sul nostro pianeta e
che ci obbligano a considerare il concetto
stesso di straordinarietà del fenomeno
emergenziale in un contesto più ampio e
articolato.
Le ripetute crisi locali, i conflitti
civili e militari, le emergenze umanitarie
di sempre più grandi proporzioni ed i
19
Profughi africani del Burundi in fuga dal loro Paesedilaniato dalla guerra civile.
Profughi provenienti dal Sudan.
continui disastri1 ambientali, provocati
spesso da superficiali gestioni politiche e
territoriali, ci dimostrano con sempre
maggiore evidenza che l’emergenza non
è più un fenomeno eccezionale ma piut-
tosto un evento che rientra nella normali-
tà della vita quotidiana. Ma nonostante i
fenomeni naturali siano una delle cause
più evidenti degli eventi imprevedibili ed
incontrollabili che possono abbattersi sul
nostro pianeta, spesso la natura è la meno
responsabile delle dimensioni che può
assumere una catastrofe provocata dagli
errori e dalle omissioni di chi opera nelle
trasformazioni e nello sfruttamento delle
risorse dell’ambiente2.
2 - I disastri vengono distinti, in base alle lorocause primarie in:- disastri causati da fenomeni naturali (calamitànaturali);- disastri causati da attività dell’uomo (man-made disaster). I primi vengono attribuiti ad eventi imprevedibilied incontrollabili ed includono: i disastri meteo-rologici (cicloni, uragani, grandinate, tornadi,tifoni, bufere, gelate, siccità); i disastri topologicied idrogeologici (valanghe, frane, smottamenti,alluvioni, erosione, bradisismi, ecc.); i disastritellurici e tettonici (terremoti, maremoti, eruzionivulcaniche, ecc.); i disastri biologici (sciami d’in-setti, epidemie di malattie infettive, ecc.). Tra idisastri prodotti dall’uomo vi sono: i sommovi-menti civili (rivolte, dimostrazioni di massa vio-lente, scontri fra fazioni, ecc.); le guerre conven-zionali (bombardamenti, assedi, ecc.); le guerrenon convenzionali (nucleari, chimiche, biologi-che); gli atti di terrorismo; i movimenti forzati diprofughi da un Paese ad un altro; gli incidenti(con mezzi di trasporto, per cedimento di struttu-re, ad impianti nucleari, per inquinamenti di indu-strie chimiche, per incuria o uso improprio); eco-nomico-politici (crisi economiche, carestie, ecc).Tratto da “La vulnerabilità dell’ambiente costrui-to agli eventi eccezionali: genesi analisi e proble-matiche dei disastri”, di Corrado Latina inAmbiente costruito e calamità, ed. Ente Fiere diBologna, 1982.
20
Lo tznunami che ha colpito le coste indonesiane nel2004.
1 - Secondo Philip O’ Keefe, economistadell’Unità di Ricerca sui Disastri dell’Universitàdi Bradford, il termine disastro può essere defini-to come:”interfaccia tra un azzardo naturale ocausato dall’uomo (es. un terremoto) ed una con-dizione di vulnerabilità (es. edifici mal costruiticon una cattiva dislocazione)”.La letteratura sociologica internazionale di fonteanglosassone, definisce il disastro come un“mutamento distruttivo dell’ambiente fisico esociale che determina la rottura del contestosociale in cui individui e gruppi si muovono”.
Negli ultimi decenni le cause di
potenziale calamità annoverano nuovi
fattori di rischio che, pur non provocando
la distruzione delle abitazioni, sono all’o-
rigine di emergenze che a volte impongo-
no l’abbandono, da parte dei residenti, di
Conseguenze dell’alluvione del 1996 nella zona di Cardoso, in Versilia.
Fotografia di un tornado.Effetti di cicloni, piogge ed inondazioni abbattutisi inMozambico nel marzo del 2000.
21
intere aree urbanizzate, per periodi più o
meno lunghi o definitivamente, come nel
caso di inquinamenti da gas tossici o
radioattivi che si verificano puntualmente
in ogni parte del mondo.
Ma accanto a queste esigenze di
natura emergenziale, vi è anche una ten-
denza, sempre più forte, di dare all’abi-
tazione un’interpretazione dinamica e in
divenire. Secondo D. Chenut la casa va
intesa come “machine à habiter”, uno
spazio indipendente dalla struttura e
regolabile in pianta e in alzato, in base
alle necessità dell’utenza, al trascorrere
del tempo ed alle modificazioni del
nucleo familiare. Uno spazio che, al di là
della flessibilità interna, può essere
ampliato in più direzioni, crescendo
anche verso l’esterno, attraverso l’aggre-
gazione di ulteriori moduli strutturali o
elementi estensibili già presenti nel
nucleo originario.
Alla luce di quanto fin qui espo-
sto, costruire secondo il paradigma della
transitorietà è dunque quasi una necessi-
tà, a causa del crescente bisogno di solu-
zioni edilizie flessibili, a carattere tempo-
raneo, atte a rispondere a tutte le esigen-
ze dettate dalle nuove forme e dai nuovi
modi di abitare.
Il campo delle possibilità di appli-
cazione diventa sempre più ampio: lo stu-
dio e la realizzazione di costruzioni tem-
poranee, con particolari requisiti, può
costituire la soluzione del problema delle
abitazioni ad ampia destinazione funzio-
nale, così come nel caso delle emergenze
abitative, che rappresentano l’esempio
più evidente attraverso cui si manifesta la
transitorietà, ma anche per le abitazioni
destinate a profughi, esuli, migranti,
nomadi, ai “senza tetto”, ecc.; ed ancora,
per le case-parcheggio, impiegate duran-
te i cicli di riconversione e recupero urba-
no o per edifici destinati ad ospitare tem-
poraneamente le funzioni normalmente
svolte in costruzioni permanenti, in attesa
di essere ricostruite o ristrutturate: edifici
per civile abitazione, ospedali, scuole,
ecc. come, ad esempio, le residenze tem-
poranee CON.TE.IN.E.R., progettate nel
22
Crollo di un edificio in c.a. per effetto sismico. Kobe,1995. (da Kimiro Meguro - INCEDE).
1977, in occasione di un concorso di idee
indetto dal consorzio I.A.C.P. dell’Emilia
Romagna.
Si tratta di containers industriali
attrezzati, atti ad ospitare provvisoria-
mente gli inquilini delle abitazioni da
ristrutturare; facilmente trasportabili ed
impiantabili nelle aree attigue agli edifici
oggetto dell’intervento.
La modularità dei containers con-
sente l’aggregazione degli alloggi in un
elevato numero di combinazioni e varian-
ti, in funzione delle esigenze degli utenti
e delle dimensioni e geometrie delle aree.
Gli alloggi si ottengono dall’accostamen-Progetto CON.TE.IN.E.R.: assonometria dello schemadi assemblaggio. (Domus 580).
23
Progetto CON.TE.IN.E.R.: sezioni e particolari costruttivi. (Domus 580).
to di due o più containers, sovrapposti su
due piani e disposti su due file parallele,
divise da un corridoio centrale, con
copertura trasparente. I corridoi costitui-
scono le vie di comunicazione interne che
collegano tra loro gli alloggi ed i servizi
collettivi, anche questi ottenuti dall’acco-
stamento di containers attrezzati.
La stessa tecnologia viene oggi
impiegata per la cantieristica e per i
campi di lavoro all’estero, dove è diffici-
le trovare un alloggio per la manodopera
di provvisoria immigrazione.
Agli anni settanta risalgono anche
le proposte di survival kits per homeless
presentate da Krzystof Wodjczko e
Michael Rakowitz.
L’Homeless Vehicle di Wodjczko
è una sorta di carrello della spesa, dove
riporre oggetti trovati per strada o dormi-
re al riparo.
Il paraSITE di Michael Rakowitz,
è un rifugio metropolitano gonfiabile; un
igloo realizzato con sacchi di plastica per
la spazzatura, che si collega agli sfiatatoi
dei sistemi di ventilazione degli edifici di
New York, sfruttandone il calore emesso
e altrimenti sprecato.
Anche le strutture ricettive per il
turismo itinerante, come stabilimenti bal-
neari con configurazioni variabili ed
adattabili alle esigenze stagionali, sono
state oggetto di interesse da parte di pro-
gettisti come l’architetto Arturo Lopez
Fernandez che propone, nel 1977, una
struttura turistica mobile costituita da cel-
lule attrezzate, prodotte industrialmente e
facilmente trasportabili perchè compatte
e autonome. Le cellule trovano alloggia-
mento all’interno di uno scheletro struttu-
rale prefabbricato, anche questo traspor-
24
Homeless Vehicle di Krzystof Wodjczko.
Il paraSITE progettato da Michael Rakowits nel 1973.
tabile, che accoglie i moduli abitativi
inseriti come cassetti, su più elevazioni.
Il progetto si è fermato alla fase di
studio preliminare in quanto, pur posse-
dendo caratteristiche di temporaneità e
trasportabilità, determinava un forte
impatto ambientale sia per le dimensioni
sia per i materiali adottati.
Prima di lui, Jean Prouvè proget-
ta, nel 1935, la casa per il week-end e per
le vacanze BLPS.
La proposta di A. L. Fernandez per la realizzazione diun impianto turistico mobile. (Domus n.576/77).
Piante e sezioni delle cabine mobili. A. L. Fernandez.(Domus n.576/77).
25
Particolare delle cabine attrezzate. (Domus n.576/77).
Un’unità abitativa di 10 mq, con-
cepita “per liberare dalle dipendenze
dell’Hotel”, trasportabile e montabile
rapidamente, per semplice incastro dei
componenti.
Negli anni cinquanta Andrew
Geller comincia a progettare le sue Beach
Houses: si tratta di piccole abitazioni per
vacanze, di minimo impatto ambientale e
dall’architettura avvenieristica. Facili da
montare ed altrettanto facili da smontare
alla fine della stagione. Il prototipo di
queste case è la A-Frame house, cono-
sciuta anche come Reese House.
A questa seguono le case-palafitta
Pearlroth House e Hunt House, quest’ul-
tima progettata in collaborazione con
Irving Hunt; la Lynn House, la Jossel
House e la Eileen Hunt House.
Uno studio sui modelli insediativi
26
Abitazione per vacanze BLPS di J. Prouvè, 1935. Reese House di A. Geller, 1957.
Pearlroth House, Dune Road, Westampton, NY 1958.
Hunt House.
temporanei per vacanze, è stato portato
avanti da Claude Galliard, in collabora-
zione con J. M. Françoise e M. Donne. Il
progetto è stato condotto nell’ambito di
una ricerca su sistemi temporanei, con
particolare riferimento alla tutela del-
l’ambiente naturale. Unità abitative auto-
nome, liberamente aggregabili ed adatta-
bili a qualsiasi configurazione orografica,
sono ottenute dall’integrazione di gabbie
strutturali metalliche che costituiscono i
componenti di base, con sistemi flessibili
di chiusura che ne consentono l’ampliabi-
lità. Ogni unità abitativa è completa di
impianti di captazione e accumulo di
energia solare ed eolica che ne permette
una parziale autonomia funzionale.
La destinazione turistica della
maggior parte delle coste italiane ed il
sempre crescente interesse per la fruizio-
ne diretta del mare, hanno indotto nel
passato verso politiche speculative di
forte impatto ambientale, con la realizza-
zione di strutture ricettive balneari a
carattere permanente, che hanno determi-
nato profonde alterazioni del paesaggio
costiero, con stravolgimenti della morfo-
logia del luogo, danneggiamento della
macchia mediterranea, inquinamento
ambientale. Oggi, la sempre crescente
domanda di sviluppo turistico si accom-
pagna, fortunatamente, ad una nuova
27
Lynn House.
Jossel House, Davis Park, Fire Island, NY 1959.
Eileen Hunt House.
coscienza ambientale che pone in eviden-
za l’esigenza di operare in termini di
“turismo sostenibile”, così come è defini-
to dalla Carta di Lanzarote del 1995, nel
rispetto delle risorse naturali, culturali e
sociali.
La situazione attuale delle coste
siciliane è un chiaro esempio di quanto
poco sia stato ancora fatto in questo
ambito sia nell’aspetto della riqualifica-
zione del territorio, sia in tema di valoriz-
zazione delle risorse e sviluppo qualitati-
vo del turismo balneare.
Una soluzione al problema della
riqualificazione delle coste e della pro-
gettazione di attrezzature balneari è,
senza dubbio, l’applicazione dei criteri
legati al concetto di architettura tempora-
nea che permette di realizzare strutture
per attività turistiche a basso impatto ed
in equilibrio con l’ambiente. Ad un
modello pesante e permanente, che carat-
terizza la quasi totalità delle attrezzature
per la balneazione presenti nelle zone
costiere, è necessario sostituire un model-
lo improntato ai principi della tempora-
neità e della reversibilità.
Strutture transitorie vengono
impiegate anche come sistemi di suppor-
to alle manifestazioni di massa, come nel
caso degli alloggi temporanei, a bassissi-
mo grado di impatto ambientale, proget-
tati da Kenzo Tange per i pellegrini della
Mecca che, periodicamente, si recano sul
luogo sacro.
In prossimità della città di Muna,
sede della Mecca, si trova una vasta pia-
nura di 3 km2, nella quale i pellegrini si
accampano con tende e mezzi di fortuna.
Tange propone un sistema composto da
tre moduli di cui due destinati ad alloggi
ed il terzo a servizi. I moduli-alloggio
sono costituiti da una parte fissa, ad invo-
lucro rigido, e da una o due parti mobili,
ad involucro flessibile, ampliabili a sof-
fietto o a ventaglio, in funzione della
diversa fruizione. I moduli ampliabili a
soffietto sono destinati a dormitorio
comune; quelli ampliabili a ventaglio
costituiscono alloggi mono o bi-familiari.
28
Alloggi transitori per i pellegrini della Mecca: moduli-dormitorio a soffietto.
Il progetto prevede l’impiego di
queste abitazioni temporanee anche in
caso di recupero o adeguamento del
patrimonio edilizio dei centri urbani.
A questo scopo è stato progettato
anche il Blue Box: un sistema studiato
per offrire uno spazio provvisorio e fles-
sibile atto a garantire, anche per un breve
periodo, benessere e comfort ai clienti ed
agli impiegati di una banca a
Norimberga, nell’attesa della ristruttura-
zione della sede originaria. Il sistema è
composto dall’aggregazione di moduli, di
3x9 mq, realizzati con un’intelaiatura
lignea. Strutture simili vengono impiega-
te per attività culturali temporanee, centri
d’informazione mobili e per stands com-
Il modulo Blue Box, con caratteristiche di reversibilità,impiegato come sede temporanea di una banca aNorimberga. (Detail 04.2001).
29
Alloggi transitori per i pellegrini della Mecca: modu-li-alloggio a ventaglio.
Il Transportable Space One.
merciali. Il Transportable Space One è
un prodotto australiano che può essere
utilizzato singolarmente, come stand
commerciale, o assemblato ad altri
moduli per ottenere una varietà di confi-
gurazioni e dimensioni.
Non mancano proposte per alber-
ghi, come nel caso del Mobile Hotel, pro-
gettato dall’architetto viennese Gernot
Nalbach nel 1972 e presentato alla ITB
(Internationale Tourismus Borse) di Berlino.
L’albergo può essere montato e
smontato in un solo giorno ed impiegato
in occasione di fiere, congressi, gare
sportive, festivals, ecc. Viene trasportato
su un camion speciale, fornito di gru che,
sollevata, costituisce la struttura portante
dell’edificio, alla quale vengono aggan-
ciati i moduli prefabbricati, trasportati da
un secondo camion.
L’impiego di moduli prefabbricati
per la realizzazione di alberghi è stato
riproposto nel 2001, in occasione del-
l’ampliamento di un hotel a Bezau per il
30
Fasi di realizzazione del nuovo corpo di fabbrica di unhotel a Bezau. (Detail 04/2001).
Trasporto di una camera-cellula. (Detail 04/2001).
Il Mobile Hotel di Gernot Nalbach. (Domusn.514/1972).
quale era necessario realizzare un ulterio-
re volume con camere e sala congressi.
Camere-cellule di 7,5x4 mq, con impian-
ti preinstallati, sono state trasportate ed
accorpate alla struttura preesistente.
Questo è solo un esempio della
nuova tendenza, particolare ed innovati-
va, che si sta affermando negli ultimi anni
e che prevede l’inserimento di unità abi-
tative modulari in edifici già esistenti,
creando delle appendici che consentono
l’ampliamento degli spazi.
All’interno dello storico sito della
scuola delle Belle Arti di Parigi, sono
stati installati alcuni edifici provvisori,
costituiti da moduli prefabbricati, tra-
sportati e sistemati per creare uno spazio
utilizzabile, nell’arco di tempo di sei
anni, dagli studenti della scuola. Questi
locali provvisori, ideati da Nicolas
Michelin e posti a servizio dello storico
edificio della scuola, rispondono ad un’e-
sigenza semplice ed urgente, senza vel-
leità stilistiche particolari.
Attenzione particolare allo styling
è invece testimoniata dagli architetti
Exilhauser, progettisti del sistema
Zusatzraum (letteralmente il nome signi-
fica “camera extra”), presentato alla
biennale di Arte Contemporanea di
Anghien-les-Bains. Si tratta di un ele-
mento mobile, in vetro e tessuto, che può
essere aggiunto a qualsiasi edificio già
esistente ed adattabile a diverse situazio-
ni, permettendo di ottenere nuovi
ambienti polifunzionali.
31
Edifici provvisori per la scuola di Belle Arti, Paris-Malaquais. (LABFAC).
32
Anche il designer tedesco Stefan
Eberstadt con la sua Rucksack House
(ovvero Casa Zaino) propone una cabina
di 9 mq, in acciaio, legno e plexiglas, che
può essere appesa alla facciata di ogni
edificio residenziale, al fine di aumentare
la superficie disponibile di un normale
appartamento. Questo piccolo vano addi-
zionale può quindi essere smontato,
quando i proprietari decidono di trasferir-
si e rimontato sul prospetto di un altro
edificio, sempre che i regolamenti edilizi
locali lo consentano. La scatola viene
appesa, attraverso cavi in acciaio, al
solaio di copertura.
La crescente richiesta di apparta-
menti in aree metropolitane come
Londra, Tokyo o New York, ed il conse-
guente aumento dei prezzi degli immobi-
li, ha indotto l’architetto tedesco Tobias
Huber a progettare delle unità abitative
La Rucksack House di Stefan Eberstadt in due diffe-renti installazioni. Germania, 2004.
La Rucksack House di Stefan Eberstadt. Monaco 2004.
Sistema Zusatzraum (Materia n.40/ 2003).
che, alloggiate come cassetti all’interno
di uno scheletro strutturale, possono esse-
re accorpate a costruzioni esistenti,
installandole sia sui tetti, sia sui fianchi
degli edifici.
Sono previste unità abitative con
cucina e bagno o con camera da letto e
bagno ma possono essere realizzate
anche in altre configurazioni, in base alle
esigenze dei fruitori.
Nell’autunno del 2004, l’architet-
to giapponese Shigeru Ban realizza,
insieme ai suoi studenti, uno studio tem-
poraneo al sesto piano del Centro
Pompidou a Parigi, per ospitare il team
di progettazione del nuovo Centro
Pompidou a Metz.
La struttura è formata da 29 archi
realizzati con tubi in cartone, tecnica già
impiegata dall’architetto in altre occasio-
33
Unità abitative Polis di Tobias Huber.
Spaccato delle unità abitative Polis di Tobias Hubercon diverse destinazioni d’uso.
ni, quali la realizzazione del Padiglione
giapponese all’ expo di Hannover nel
2000. Gli archi scandiscono lo spazio
interno della costruzione e sono rivestiti
esternamente con pannelli in legno su cui
è stesa una membrana impermeabile in
politetrafluoroetilene.
Cocobello è il nome dato da Peter
Haimerl per il progetto di un atelier
mobile che in fase di trasporto è contenu-
to in un volume di 3x6x3,5 mc. Giunto a
destinazione, il modulo base si espande
orizzontalmente e verticalmente, attra-
verso un sistema di guide e pistoni tele-
scopici, fino ad ottenere una struttura che
si sviluppa su due elevazioni, pronta ad
ospitare uno show room, una galleria,
uno studio.
34
Paper Temporary studio di Shigeru Ban. Parigi, 2004.Vista laterale.
Cocobello mobile Atelier di Peter Haimerl, 2001. (Fotodi Daria Fleige).
Paper Temporary studio di Shigeru Ban. Parigi, 2004.Vista frontale.
Cocobello mobile Atelier di Peter Haimerl, 2001. (Fotodi Daria Fleige).
Cocobello mobile Atelier: fasi di apertura del modulo.(Peter Haimerl, 2001).
35
2. Tipologie
Sistemi abitativi di permanenza temporanea
Nel campo dei sistemi abitativi
per uso temporaneo non esiste oggi una
soluzione idonea a tutte le esigenze; non
esiste un modello di abitazione adattabile
indifferentemente a diverse tipologie di
utenze. Di contro, la risposta scientifica,
tecnologicamente avanzata ed innovativa
in un settore di questo genere, deve offri-
re prestazioni adeguate all’ampia casisti-
ca di richieste, al fine di potere interpre-
tare i bisogni della società attuale e di
fare architettura compatibilmente con le
risorse materiali, tecnologiche e produtti-
ve oggi disponibili. Tutto ciò è estrema-
mente complesso in quanto emergono
molteplici aspetti con implicazioni meto-
dologiche e disciplinari talmente vaste da
apparire spesso conflittuali e di non faci-
le armonizzazione. Si spazia, infatti, dalla
sociologia dei disastri al design, dalla
pianificazione del territorio alla gestione
delle risorse ambientali.
Le soluzioni finora adottate, nel
caso particolare delle emergenze abitati-
ve, evidenziano, in gran maggioranza,
una prolungata stasi evolutiva e la loro
inadeguatezza sotto molteplici aspetti; e
nonostante esistano numerose proposte
alternative, con logiche strategiche molto
differenti tra loro, sia in forma di prodot-
to già in commercio, sia di studio proget-
tuale, pochi sono i modelli abitativi che
rispondono ai principali requisiti necessa-
ri per un intervento a carattere tempora-
neo e sono quasi inesistenti quelli che li
soddisfano simultaneamente tutti.
Le tipologie dei sistemi di abita-
zione temporanea, fino ad oggi proposti,
si possono ricondurre a due sistemi strut-
turali fondamentali: il sistema ad involu-
cro flessibile ed il sistema ad involucro
rigido. Da questi deriva poi un sistema
misto in cui elementi flessibili si integra-
no ad elementi rigidi, generando soluzio-
ni particolarmente interessanti sia dal
punto di vista tecnologico, sia formale.
Ai sistemi flessibili appartiene la
tenda, espressione delle culture nomadi,
insieme a tutte quelle strutture leggere,
estensibili e/o gonfiabili, quali strutture a
pantografo, pneumatiche o, ancora, ten-
sostrutture. Ai sistemi rigidi si fa risalire
la casa, simbolo di culture stanziali, da
cui derivano il container ed il prefabbri-
cato, ma anche la roulotte ed il camper.
Da queste matrici della tradizione
architettonica ha origine la vasta e varie-
gata produzione oggi presente sul merca-
to. In particolare, i ricoveri, tuttora preva-
lentemente utilizzati durante le fasi di
intervento in caso di calamità, sono clas-
sificabili in quattro tipologie: la tenda, la
roulotte, il container e la casa prefabbri-
cata, alla quale segue l’edificio definitivo.
39
La tenda resta insostituibile come
primo riparo di emergenza, ma la roulot-
te, il container ed il prefabbricato, hanno
subito evidenziato tutte le loro incon-
gruenze a causa della totale assenza dei
parametri fondamentali per una adeguata
fruibilità. E questo perchè si tratta, quasi
sempre, di unità abitative progettate per
usi specifici e che vengono adattate ad
esigenze diverse da quelle per le quali
sono state concepite. Queste tipologie
fanno capo ad una classificazione, elabo-
rata dalle Agenzie Internazionali di
Soccorso, che prevede tre categorie di
intervento in caso di calamità: emergen-
za, provvisorio, permanente. Questa
distinzione si basa sulla durata dell’abita-
zione e sul periodo del suo utilizzo.
L’intervento di emergenza preve-
de l’adozione di unità abitative di pronto
intervento e pronto impiego, atte cioè a
rispondere ad esigenze determinate da
quelle situazioni che si presentano subito
dopo il manifestarsi di un evento calami-
toso. Si tratta quindi di rifugi di emergen-
za quali tende e roulottes, fruibili teorica-
mente per un periodo di tempo brevissimo.
L’intervento a carattere provviso-
rio prevede invece l’impiego di sistemi
abitativi destinati ad un utilizzo tempora-
neo, volto ad ospitare le popolazioni nel-
Roulottes e tende in un campo sportivo.
Tendopoli allestita nella piazza di un paese dell’Irpiniadopo il sisma del 1980.
Una delle numerose baraccopoli costruite nella Valledel Belice dopo il sisma del 1968.
40
l’attesa della ricostruzione. Le abitazioni
impiegate in questa fase sono i contai-
ners, le baracche o i prefabbricati.
L’intervento permanente è, infine,
quello corrispondente alla fase di rico-
struzione e quindi alla realizzazione di
abitazioni a carattere definitivo.
2.1. Sistemi ad involucro flessibile
2.1.1. La tenda
Con il termine tenda si definisce:
“Riparo trasportabile costituito da un
telo impermeabile sorretto da pali e fis-
sato al terreno con picchetti, usato da
campeggiatori, militari o nomadi”1 o,
ancora: ”Padiglione trasportabile costi-
tuito da teli di vario materiale impermea-
bile, montati su apposite armature facil-
mente smontabili, utilizzato come abita-
zione da popolazioni nomadi, come rico-
vero dei soldati negli accampamenti, o
dai turisti nei campeggi”2.
41
Una recente fotografia della cittadina di Salaparuta,nella Valle del Belice, dopo la ricostruzione a seguitodel sisma del 1968.
Abitazioni provvisorie a struttura metallica. (da Lecase dell’emargenza di Corrado Latina, Modulon.120/1986.).
Campo di tende militari.
1 - Vocabolario della lingua italiana Zingarelli.2 - Dizionario della lingua italiana G. Devoto-G.C. Oli.
La tenda ha rappresentato, sin
dalla seconda metà dell’ottocento, un
componente essenziale dell’equipaggia-
mento militare avendo assunto già a quel-
l’epoca, in America, caratteristiche di
modularità, riproducibilità seriale, pluri-
funzionalità e componibilità.
Fino agli anni cinquanta del seco-
lo scorso, la tenda militare ha costituito
l’unico riferimento anche per gli usi civi-
li, in quanto rappresentava un prodotto
tradizionalmente ad alto grado di trasferi-
bilità. In seguito, cominciano a farsi stra-
da, negli Stati Uniti, alcune proposte
innovative finalizzate alla sperimentazio-
ne di morfologie e tipologie strutturali
più organiche, in grado di conciliare i
requisiti della resistenza e della stabilità
con quelli della leggerezza e della mobi-
lità. Lo scopo era quello di pervenire ad
un prodotto in grado di sostituire la tenda,
considerata una soluzione non sufficien-
temente confortevole, specialmente nei
casi di emergenza. Un prodotto morfolo-
gicamente e tecnologicamente innovati-
vo, ottenuto operando all’interno del suo
stesso principio tipologico, attraverso
opportune integrazioni e reinterpretazioni
atte a potenziarne e qualificarne i livelli
prestazionali. Tra le proposte più interes-
santi vi è quella di Bill Moss: si tratta di
una tenda-rifugio per l’emergenza, realiz-
zata con una membrana in nylon e fiber-
glass, sostenuta da una struttura ad
ombrello. Questa è ottenuta dall’unione
di aste flessibili che, in fase di esercizio,
mettono in tensione l’involucro su uno
La tenda-rifugio di B. Moss. Fasi di trasporto, montag-gio ed esercizio.
42
schema planimetrico di base ottagonale
componibile.
Una grande struttura ad ombrello,
in alluminio estruso e teli in poliestere
rivestito con PVC, viene proposta dalla
londinese Future System, come ricovero
di emergenza, in grado di accogliere 200
persone, come centro medico o centro di
raccolta e distribuzione di viveri e medi-
cinali. A questa seguono numerosi studi
portati avanti sia in Europa sia negli Stati
Uniti, con lo scopo di sperimentare ele-
menti preconfezionati in grado di sosti-
tuire la tenda non soltanto in caso di
emergenza ma anche in altre situazioni
d’uso temporaneo, come la realizzazione
di strutture mobili per spazi polifunziona-
li destinati ad eventi culturali, esposizio-
ni, sport e turismo.
Negli anni settanta, in Germania
vengono proposte soluzioni tipologiche
innovative sul tema dell’architettura tem-
poranea per il turismo. Le proposte, pre-
sentate dagli studenti della Scuola di
Architettura di Rosenheim, si basano sul-
l’impiego di strutture ed involucri legge-
ri, facilmente smontabili e trasportabili,
da impiegare in sostituzione delle tradi-
zionali tende.
Tra il 1973 ed il 1974, il gruppo
francese Aerolande presenta lo studio di
un sistema per spazi polifunzionali otte-
nuti mediante una nervatura metallica ad
archi, passante all’interno di un doppio
telo in tessuto sintetico, armato con polie-
stere e rivestito in PVC; la struttura veni-
va quindi messa in tensione dando vita ad
un sistema a membrana flessibile, alta-
mente resistente alle azioni del vento. La
geometria dei moduli generatori è quella
del triangolo, del quadrato e del poligo-
no; queste possono essere variamenteRicovero d’emergenza della Future System.
43
combinate tra loro permettendo la realiz-
zazione di aggregazioni di varia dimen-
sione e molteplici soluzioni planimetriche.
Nel 1975 viene progettata, a
Londra, una grande tenda provvisoria per
festeggiare una nuova attività della
British Petroleum. Il principio strutturale
adottato è quello di una membrana a dop-
pia curvatura, ottenuta attraverso partico-
lari strutture metalliche ad ombrello,
sostenute da fusti di diversa altezza. Le
strutture metalliche sono composte da
una raggiera di otto pale in legno com-
pensato che, spingendo da sotto o da
sopra, determinano il profilo del telone
rettangolare in cotone rinforzato con fibre
di poliestere.
Ancora, nel 1975, a Madrid, in
occasione del XII Congresso dell’UIA,
viene presentato il risultato di una ricerca
sull’habitat di emergenza, condotta da J.
De Giacinto e A. Loisier, nell’ambito
della Scuola di Architettura di Bordeaux.
Lo studio prevede tre fasi di intervento e
l’impiego di due tipologie di riparo prov-
44
Prospetto, pianta e sezione della Grande Tenda.(Domus n.557/1976).
La struttura ad ombrello della Grande Tenda, progetta-ta dal Design Research Unit di Londra, in collabora-zione con Ove Arup e Frei Otto. (Domus n.557/ 1976).
visorio: “tende-comunitarie”, con servizi
collettivi da allestire entro 24 ore dall’e-
vento calamitoso; e “tende individuali”,
per singole famiglie, da montare entro
trenta giorni dal disastro.
Le due tipologie presentano strut-
ture di supporto differenti, che prevedono
l’impiego di materiali e tecnologie diver-
sificate, in funzione delle prestazioni
offerte. La tenda comunitaria prevede una
struttura di supporto gonfiabile, realizza-
ta con sfere pneumatiche in PVC che
sostengono il telone di copertura. La
tenda individuale presenta invece una
struttura tradizionale, con scheletro
metallico e copertura in tela che può esse-
re sostituita, nella terza fase, con un rive-
stimento realizzato con materiali locali.
2.1.2. Strutture pneumatiche
Si tratta di strutture gonfiabili ad
aria compressa, il cui principio statico
utilizza l’aria quale mezzo resistente3.
Questi sistemi, detti anche pressostatici,
sono facilmente immagazzinabili, tra-
sportabili e realizzabili.
A partire dagli anni sessanta una
nuova generazione di architetti, come gli
Archigram o i cosiddetti “architetti radi-
cali” si fanno interpreti di una rivoluzio-
ne ideologica che coinvolge la società di
quel periodo e che promuove un nuovo
stile di vita rilanciando la tradizione
nomadica americana. Michael Webb pro-
getta il Cushicle, un’abitazione da porta-
re addosso, composta da un’ossatura
metallica che costituisce il telaio e da un
45
3 - I sistemi pneumatici rappresentano ancora unatecnologia in via di sviluppo anche se le peculia-rità che li caratterizzano, prima fra tutti la possi-bilità di ottenere involucri di differente grandezzae facilmente adattabili all’orografia del terreno,fanno ipotizzare per il futuro un’applicazione diquesta tecnologia in larga scala.
Disegno del Cushicle in fase di trasporto.
Disegno del Cushicle in fase di esercizio.
involucro gonfiabile. La struttura portan-
te serve anche da supporto agli accessori
che completano il modulo abitativo,
come cibo, riserva di acqua, sistema di
riscaldamento per un’autonomia di quat-
tro ore. Il casco contiene la radio e la TV.
Jean Louis Lotiron e Pernette
Martin-Perriaud, nel 1968 presentano
un’unità abitativa che in viaggio si riduce
al puro volume del kit dei servizi. Questo,
montato su ruote, può essere facilmente
trasportabile e, giunti sul luogo della
sosta, la cellula si sviluppa in una cupola
abitabile, di circa 25 mq, realizzata con
una tenda che viene velocemente gonfia-
ta con un semplice compressore collega-
to al motore del mezzo di trasporto.
46
Trasporto della cupola abitabile di J. L. Lotiron e P.Martin-Perriaud, (Architecture d’Aujourd’hui, aprile-maggio 1968).
Modello del Cushicle in fase di esercizio.
La cupola abitabileideata da J. L.Lotiron e P. Martin-Perriaud. Le paretidel kit dei servizi siribaltano, forman-do il pavimento apianta esagonale,mentre la coperturatraslucida si solle-va, liberando latenda gonfiabile.( A r c h i t e c t u r ed ’ A u j o u r d ’ h u i ,a p r i l e - m a g g i o1968).
Sempre nell’ambito del concetto
di involucro flessibile rientra la “Cellula
pneumatica abitabile”, ideata da Bernard
Quentin, in collaborazione con P. Vernier.
Lo scopo è, ancora una volta, quello di
superare il tradizionale concetto di tenda
ed in questo caso l’intento viene raggiun-
to impiegando un’ossatura portante gon-
fiabile, costituita da tre cerchi tubolari
pneumatici a tutto sesto raccordati, in
sommità, da un anello pneumatico tubo-
lare. I tubolari sono in nylon mentre gli
elementi di chiusura sono in vinile. La
pianta è triangolare, con lato di 7 m e pre-
senta un’altezza massima, al colmo, di
3,50 m. Il peso, di appena due quintali, ne
permette un facile trasporto.
Una delle proposte più interessan-
ti è la struttura pneumatica progettata nel
1974 da J. J. Montero, uno studente della
California State University. Montero
propone un sistema di spazi interconnes-
si a più livelli, all’interno di una stessa
membrana continua pressurizzata, realiz-
zata in PVC trasparente dello spessore di
2 cm. In fase di trasporto, il modulo abi-
tativo si riduce ad un cubo di 2,75 m di
lato che, una volta gonfiato, riesce a
coprire una superficie di 185 mq, ottenu-
ta dall’intersezione di quattro cupole
intorno ad un nucleo centrale a doppia
altezza.
Strutture pneumatiche vengono
oggi impiegate per allestimenti tempora-
nei, spazi fieristici e sale congressi ma
anche la Protezione Civile e la Croce
Rossa Italiana fanno largo uso di questi
sistemi anche per la realizzazione di
ospedali da campo da allestire in aree di
emergenza.
L’architetto Cameron McNall e il
designer Damon Seely, sono gli ideatori
del sistema pneumatico Urban Nomad
Shelter, un ricovero temporaneo per gli
47
Sezione e pianta della cupola abitabile di Lotiron eMartin-Perriaud. (Architecture d’Aujourd’hui, aprile-maggio 1968).
homeless, pensato “sia come atto umani-
tario sia come provocazione sociale”.
Atto umanitario in quanto sistema legge-
ro, facilmente trasportabile ed economi-
co, concepito per proteggere dal freddo e
dalla pioggia; provocazione sociale per-
chè realizzato con l’intento di distribuire
migliaia di questi ripari allo scopo di
avviare un dialogo sull’invisibilità e la
marginalizzazione degli homeless.
48
Sala congressi in struttura pneumatica, realizzata inGermania. Gli elementi a Y esterni sono dei puntoniche raccolgono le forze vertcali trasmesse dai cavi disostegno della copertura.
Ospedale da campo della C.R.I.
Sala operatoria allestita all’interno di una strutturapneumatica per l’emergenza.
Urban Nomad Shelter di Cameron McNall e DamonSeely.
Igloo gonfiabile temporaneo realizzato per ospitaremostre o celebrazioni.
All’interno di questi ripari in PVC
dai colori brillanti ed esteticamente gra-
devoli sia per gli occupanti sia per i pas-
santi, è impossibile passare inosservati.
La forma ricorda la larva di un insetto che
rappresenta un momento transitorio della
vita dell’animale, così come transitoria è
la funzione di questo riparo. Il prototipo è
stato presentato al Museum of Modern
Art di New York in occasione della
mostra “SAFE: Design takes on risk”.
Una proposta molto originale nel-
l’ambito dei sistemi gonfiabili è quella
del giovane designer basco Martin Ruiz
de Azua che presenta la “Casa Basica”,
realizzata in poliestere metallico e ripie-
gata al punto da potere essere portata in
tasca. Viene gonfiata con l’aria o con il
calore del corpo e si trasforma in un pic-
colo rifugio di 2x2x2 m. È reversibile nel-
l’uso delle due superfici in quanto una
superficie è argentata e protegge dal caldo,
l’altra è dorata e protegge dal freddo.
Nel 2005 due studenti di ingegne-
ria del Royal College of Art di Londra,
hanno presentato una tenda composta da
una superficie interna gonfiabile, impre-
gnata esternamente con cemento. La
“casa portatile” è ripiegata dentro un
involucro di plastica del peso di 230 kg.
Aperto l’involucro, si procede con l’in-
sufflaggio di una miscela di aria e di
acqua che, reagendo con il cemento
forma un guscio solido e resistente, uti-
49
Urban Nomad Shelter di Cameron McNall e DamonSeely, lungo i marciapiedi di New York.
La Casa Basica di M. Ruiz de Azua.
lizzabile dopo dodici ore dalla presa del
legante.
Il rifugio, di circa 16 mq, può
essere impiegato in situazioni di emer-
genza, laddove le tende non garantiscono
una sufficiente protezione dal freddo.
2.1.3. Sistemi a pantografo e tensostrut-
ture
I sistemi costruttivi a pantografo
utilizzano il dispositivo dei parallelo-
grammi articolati, attraverso i quali è
possibile variare le dimensioni di un
oggetto. Le cupole estensibili di C.
Hoberman adottano questo antico princi-
pio, richiudendosi su se stesse per ridurre
il volume, in fase di trasporto, ed espan-
dendosi fino a raggiungere la configura-
zione definitiva, attraverso il movimento
dei giunti.
Il principio del pantografo è stato
utilizzato anche per rendere mobile e
modificabile la copertura di strutture
come l’Iris Dome, il cui modello è stato
esposto, nel 1994, al Museo di Arte
Moderna di New York.
50
La Concrete Canvas proposta da Crawford e Brewin èun sistema sterile e può essere impiegata anche comesala chirurgica per piccoli interventi di emergenza.
Studio delle possibili configurazioni dell’Iris Dome.
Sistemi a pantografo possono
essere impiegati anche nell’ambito del-
l’architettura transitoria in quanto presen-
tano alcuni dei requisiti fondamentali per
questo tipo di progettazione, quali legge-
rezza, facilità di trasporto con minimi
ingombri, facilità di montaggio e di
estensione della superficie abitabile.
Ed infine, le tensostrutture4
metalliche, smontabili, a volte molto
complesse ma capaci di creare spazi a
carattere temporaneo o semipermanente,
anche se non è esclusa la possibilità di
realizzare opere permanenti e durevoli
come la grandiosa “Cupola del
Millennio”, progettata da Richard Rogers
e realizzata a Greenwich, per ospitare le
celebrazioni dell’anno 2000.
51
Sistema di copertura temporanea realizzata con unastruttura a pantografo protetta da una membrana inPVC.
Le fasi di apertura dell’Expanding dome di C. Hoberman.
4 - “Struttura, quale una membrana o una rete difuni, capace di resistere solo a sollecitazioni ditrazione e usata, per es., per coprire stadi e audi-tori o per sorreggere l’impalcato dei ponti sospe-si”. Da Vocabolario della lingua italianaZingarelli.
Si tratta di una delle più grandi
tensostrutture realizzate al mondo, con
uno sviluppo in circonferenza di 1 km ed
80.000 mq di superficie coperta.
Si potrebbe continuare a lungo
nella descrizione di strutture a carattere
temporaneo con involucro flessibile, tutte
proposte originali, sia dal punto di vista
morfologico sia tecnologico, caratterizza-
te da migliori standards di climatizzazio-
ne, resistenza e risparmio economico ma
che, di contro, rendono più complesse le
operazioni di immagazzinamento, tra-
sporto e fruizione. È per questo motivo
che in Italia e nel resto del mondo, anco-
ra oggi così come nel passato, in caso di
emergenza, si continuano ad impiegare le
tradizionali tende militari con le quali
vengono allestite le cosiddette tendopoli5
di pronto intervento, così come testimo-
niato anche in occasione dei recenti even-
ti calamitosi che continuano a manifestar-
si un pò ovunque.
52
5 - Il vocabolario della lingua italiana Zingarellidefinisce con il termine tendopoli: ”campeggiomolto esteso e affollato”, oppure, in senso lato:“agglomerato di tende di grandi dimensioniinstallate, insieme a servizi igienici, centri sani-tari e simili, per accogliere un gran numero dipersone che abbiano dovuto abbandonare le lorocase in seguito a calamità o ad altra situazione diemergenza”.
Veduta aerea del Millenium Dome di R. Rogers.
Allestimento di una tendopoli in Umbria, 1997.
Tende in Irpinia, 1980.
Un esempio di quanto la tenda sia
la soluzione più immediata in caso di
emergenza è la proposta di una tenda-
rifugio da inviare in aiuto ai due milioni
di profughi del Ruanda, scampati al
genocidio e rifugiati in Tanzania e in
Congo. La proposta presentata da
Shigheru Ban, manifesta la grande sensi-
bilità dell’architetto giapponese nei con-
fronti delle situazioni di emergenza; sen-
sibilità che è anche testimoniata dalla sua
attiva collaborazione con l’Alta
Commissione delle Nazioni Unite per i
rifugiati, per la quale opera attivamente.
La tenda si sviluppa su una super-
ficie di 16 mq ed è composta da un telo
di plastica di 4 x 6 m, con struttura in tubi
di cartone. La scelta del cartone, anche in
questo caso è dettata da numerosi fattori
tra cui: limitare il taglio degli alberi che,
generalmente in questi casi, vengono
impiegati per realizzare i ripari; impiega-
53
Fotografia di uno dei tanti campi profughi allestiti insituazioni di emergenza. (foto tratta da Shigeru Ban diMatilda McQuaid, Phaidon Press Limited 2003).
I bambini di San Giuliano di Puglia si recano a scuolanella tendopoli allestita dopo il terremoto del 2002.
Fasi di montaggio delle tende al campo profughiByumba, in Ruanda. (foto tratte da Shigeru Ban diMatilda McQuaid, Phaidon Press Limited 2003).
re un materiale economico, leggero, facil-
mente reperibile. Furono realizzati tre
prototipi, tra il 1995 e il 1996, di diffe-
renti dimensioni e forme, che vennero
sottoposti a prove di durabilità e resisten-
za, anche alle termiti. Il modello prescel-
to fu quindi inviato ai campi, provvisto di
un manuale per il montaggio, redatto
dallo stesso progettista.
2.2. Sistemi ad involucro rigido
2.2.1. La roulotte
La roulotte
fa parte delle
cosiddette unità
abitative semo-
venti, composte
cioè di un con-
tainer adattato ad abitazione e trasportato
da un vettore trainante, che può essere
incorporato nel veicolo (camper) o esser-
ne separato (roulotte e carrello trainabile
attrezzato).
In queste abitazioni semoventi lo
spazio interno è suddiviso secondo i cri-
teri del minimo ingombro ed in alcuni
casi, può essere ampliato mediante il
ribaltamento delle pareti, dando luogo a
configurazioni diverse.
In particolare, con il termine fran-
cese roulotte si indica un: “rimorchio per
autovetture, attrezzato come un’abitazio-
ne per campeggio o per viaggiare; è
usato talvolta anche come abitazione d’e-
mergenza oppure come ambulatorio
medico, mostra di libri, bar e simili”6.
54
6 - Vocabolario della lingua italiana Zingarelli.
Camper e roulotte di nuova generazione.
Negli Stati Uniti la roulotte o
trailer, viene considerata un “recreatio-
nal vehicle”, cioè un veicolo dotato di
mobilità e destinato essenzialmente a
scopo turistico.
Durante gli anni della depressio-
ne, le drammatiche esigenze derivanti
dalla crisi economica che si abbattè sulla
popolazione americana, comportarono
continui spostamenti di interi nuclei
familiari, costretti ad abbandonare la pro-
pria casa in cerca di lavoro. La roulotte
sostituì in quell’occasione la dimora per-
manente, trasformandosi in abitazione
transitoria, anche se ancora priva di
accessori quali il servizio igienico. A
quell’epoca la roulotte veniva costruita
prevalentemente in compensato e maso-
nite e poteva essere acquistata ad un
costo variabile tra i 1000 e i 2000 dollari.
Allo scoppio della seconda guerra mon-
diale il governo americano comprò
migliaia di roulottes per ospitare le fami-
glie degli operai occupati nell’industria
bellica. Con il passare del tempo gli stan-
dards dei trailers si elevarono e con essi
anche i costi. Verso gli anni cinquanta si
Roulotte di emigranti. Issy-les-Moulineaux, Francia1934.
Roulotte d’epoca negli Stati Uniti.
55
Airfloat del 1937.
producevano roulottes accessoriate con
blocco bagno.
Oggi è presente sul mercato una grande
quantità e varietà di prodotti di alta quali-
tà sia tecnologica sia estetica, accessibili
ad ogni tipologia di utenza, dai più esi-
genti dal punto di vista prestazionale, a
quelli più legati alle tradizioni o all’origi-
nalità del prodotto.
56
La Sairauto Roller 300: proposta italiana di roulotte trainata da una Seicento. (da Prefabbricazione. Case unifa-miliari prefabbricate di tutto il mondo. V. Chiaia, Bari 1963).
Silver Streak 1953.
Fiera di Boston 1948.
Modelli di roulottes attualmente presenti sul mercato.
Nel 2004 lo studio di progettazio-
ne GmbH (Knaus Tabbert Groups) ha
vinto il Red Dot Design award con la rou-
lotte YAT (Young Activity Trailer). È un
trailer compatto, multifunzionale, realiz-
zato con materiali leggeri e resistenti. I
due letti possono essere ribaltati lungo le
pareti laterali, mentre il tavolo è aggan-
ciato al retro della porta. Questo permet-
57
Modelli di roulottes attualmente presenti sul mercato.
Interni del Young activity trailer del gruppo GmbH.
Young activity trailer del gruppo GmbH.
te la fruizione dello spazio disponibile in
funzione delle esigenze del momento.
In Inghilterra una compagnia lon-
dinese, la Double Decker, sta comprando
i famosi autobus a due piani messi in dis-
uso per trasformarli in abitazioni mobili
autosufficienti, fornite anche di impianto
ad energia solare.
Le roulottes sono state spesso
impiegate in tutto il mondo per far fronte
a situazioni di emergenza ma, nella mag-
gior parte dei casi, si sono rivelate inade-
guate, mostrando incoerenze simili a
quelle delle baracche, con l’aggravante di
costringere interi nuclei familiari a vivere
troppo a lungo in spazi angusti, creati per
brevi vacanze.
L’unico vantaggio che forse le
roulottes offrono è dato dalla presenza
dell’arredamento, che permette una
prima razionale utilizzazione degli spazi;
ma i particolari materiali impiegati, scelti
in funzione della loro leggerezza, al fine
di agevolare il trasporto del rimorchio,
pongono sovente in evidenza la loro fra-
gilità.
In molti casi si è constatato che i
costi per le riparazioni da eseguire per
rendere nuovamente fruibile la roulotte,
superano notevolmente il suo valore di
mercato, con inutile spreco di materiale e
di mano d’opera, includendo così anche
queste, come le baracche, tra i vuoti a
perdere. Ma, nonostante tutto, ancora
58
Trasporto di una roulotte con l’elicottero.
Autobus londinesi adattati ad abitazioni mobili.
oggi si continua a fronteggiare le emer-
genze anche con l’impiego di queste abi-
tazioni mobili, così come è avvenuto
recentemente, in occasione del disastro
provocato dall’uragano Katrina abbatuto-
si nel 2005 sugli Stati Uniti.
Il Dipartimento per la Sicurezza
della Nazione, (FEMA - Federal
Emergency Management Agency), ha
inviato centinaia di roulottes e mobile
homes nelle aree colpite dall’uragano e
sono stati installati numerosi insediamen-
ti temporanei che ospitano ancora oggi, a
distanza di più di un anno dall’evento
calamitoso, coloro che hanno perso la
loro casa.
Anche in questo caso sono sorti
numerosi problemi, primo fra tutti quello
della tossicità di queste unità abitative, a
causa dell’alta concentrazione di formal-
deide riscontrata all’interno delle roulot-
tes. Si tratta di una sostanza che agisce in
sinergia con la temperatura e l’umidità
relativa dell’ambiente.
L’accensione di impianti di riscal-
damento, insieme all’umidità relativa
provocata dalla presenza di persone in
ambienti chiusi, favorisce il passaggio
della formaldeide presente nelle resine,
dallo stato solido allo stato gassoso.
Questo gas dall’odore pungente, può
essere assorbito per via respiratoria ed in
Insediamento di trailer del FEMA a Biloxi, Mississipi,ottobre 2005.
59
Campo di roulottes in Irpinia.
minima quantità anche per via cutanea;
può determinare irritazioni a carico delle
mucose, dermatiti da contatto e asma
bronchiale, nausea, senso di soffocamen-
to, cefalee, ecc.
La formaldeide è classificata
come Cmr3, ossia “cancerogena, muta-
gena e tossica per la riproduzione”
dall’International Agency for research on
Cancer.
Oggi la formaldeide è usata nella
produzione di una vastissima gamma di
prodotti per l’edilizia: essa si trova infat-
ti in alcuni materiali impiegati per l’isola-
mento termico delle abitazioni, nei col-
lanti utilizzati per la realizzazione dei
cosiddetti derivati del legno quali trucio-
lari, compensati, listellati, nelle vernici,
nelle pitture, nei rivestimenti plastici,
ecc., tutti ampiamente usati soprattutto
per la realizzazione di componenti pre-
fabbricati leggeri, facilmente trasportabi-
li e quindi utilizzabili nella realizzazione
di abitazioni flessibili e temporanee.
L’esposizione continua a tale
sostanza determina nel tempo conseguen-
ze negative, specialmente se in sinergia
con altre sostanze nocive presenti nel-
l’ambiente quali polveri, particelle e fibre
minerali, PVC, PCB, benzeni e così via:
un cocktail di veleni che sembra essere
confezionato su misura. E poichè, com’è
noto, il livello di concentrazione delle
sostanze nocive è tanto maggiore quanto
minore è lo spazio di un ambiente
costruito questo problema assume carat-
tere di grande pericolosità nel caso delle
abitazioni temporanee che, per la loro
precipua caratteristica, presentano
dimensioni particolarmente contenute.
60
Interno di una roulotte del 1953.
Interno di una roulotte di nuova generazione.
2.2.2. La mobile home
Dal 1956 comincia a formalizzar-
si la distinzione tra recreational vehicles
(roulottes) e mobile homes7, queste ulti-
me molto più vaste di dimensioni e desti-
nate, di fatto, alla residenza permanente,
una volta uscite (sia pure con le proprie
ruote) dalla fabbrica.
Si affermano negli Stati Uniti
come una reale alternativa alla tradizio-
nale casa unifamiliare e già, nel 1975,
oltre sette milioni di americani vivono in
case mobili che costituiscono il 50%
delle case unifamiliari costruite negli
Stati Uniti.
Questo notevolissimo incremento
nell’uso di case trasportabili su ruote, ha
determinato la nascita di un nuovo tipo di
insediamento residenziale, profondamen-
te differente rispetto al camping per rou-
lottes; si tratta di aree perfettamente
attrezzate di servizi in cui i lotti, di
dimensioni e sistemazione del tutto simi-
li a quelli della tradizionale edilizia per
ville unifamiliari, sono venduti o affittati
a lungo termine ai proprietari delle mobi-
le homes.
Definita da Paul Rudolph il “mat-
tone del XX secolo”, la mobile home può
essere considerata contemporaneamente
sia un veicolo, nel momento del trasporto
dalla fabbrica al luogo di impiego, sia
un’abitazione nel momento dell’uso.
7 - La mobile home è stata definita in vari modi,sia dal punto di vista costruttivo, sia da quello giu-ridico e dell’uso. Si riportano di seguito, integral-mente, alcune delle definizioni più autorevoli deltermine:1. “La mobilehome è un veicolo progettato eattrezzato per uso residenziale, rimorchiabile conun veicolo a motore”.2. “Le mobile homes sono case costruite intera-mente in fabbrica su telai con ruote. Esse sonomobili nel senso che possono essere trasportate sustrada, ma solo una piccola percentuale traslocauna volta installata. Esse non devono conformar-si ai normali regolamenti edilizi e sono finanziatee tassate come beni mobili”.3. “Una mobile home è una casa senza fondazionidefinitive e che può essere spostata. Essa è pro-gettata per essere rimorchiata sul suo telaio edessere collegata ai servizi come un’abitazionepermanente. La mobile home può avere partiripiegabili, ribaltabili o orientabili telescopica-mente durante il trasporto per aumentare la cuba-tura. Essa può consistere in due o più parti tra-sportate separatamente per essere poi collegate inuna unica unità pronta per essere nuovamenteseparata in vista di successivi traslochi”.4. “La mobile home è una casa industrializzatadotata di cucina, gabinetto e altri servizi, che puòessere rimorchiata da un’auto o da un camion.(...). Le mobile homes possono essere usate comeunica abitazione o come seconda casa. Esse sonoanche state usate come abitazioni provvisoriedurante operazioni di rinnovamento urbano perospitare temporaneamente famiglie senza casa”. Villaggio di mobile homes negli Stati Uniti.
61
Per le particolari caratteristiche
che la contraddistinguono (flessibilità di
pianta, componibilità orizzontale e verti-
cale, addizionabilità), Charles Abrams,
alla fine degli anni sessanta, ne propone
una utilizzazione come elemento fonda-
mentale nei programmi di edilizia “self-
help” nei Paesi in via di sviluppo.
L’idea di Abrams consiste nel-
l’impiegare la mobile home come “nucleo
centrale attrezzato”, attorno a cui svilup-
pare l’ambiente adatto al proprio habitat,
in funzione delle esigenze di ogni singo-
lo caso.
Dal punto di vista costruttivo, la
mobile home, nonostante il suo aspetto
veicolare, è del tutto simile alla struttura
di una casa unifamiliare o al dingbat, cioè
una costruzione a balloon frame, realiz-
zata prevalentemente in compensato, con
telaio e struttura volvente8 in acciaio e
rivestimenti esterni in alluminio.
Esploso di una mobile home: 1. Basamento isolante; 2. Travature di pavimentazione; 3. Rivestimento del pavi-mento; 4. Condotti per canalizzazioni; 5. Pannelli di pavimentazione; 6. Pannelli smontabili; 7. Prese per elettri-cità e idraulica; 8. Pannelli-parete modulari; 9. Rivestimento isolante del tetto; 10. Pannelli di rivestimento ester-no in alluminio. (Casabella n. 403/1975).
8 - Il telaio costituisce la struttura portante della mobi-le home, mentre la struttura volvente, composta dagliassiali, dalle balestre e dalle ruote, è quella che ne con-sente la mobilità.
62
Come sopra detto, le mobile
homes possono essere singole o combina-
te orizzontalmente e verticalmente.
Quelle doppie sono generalmente accosta-
te in modo da raddoppiare la larghezza,
lasciando costante la lunghezza, anche se
in certi modelli l’accostamento può essere
sfalsato, aumentando così la lunghezza
totale del manufatto.
Dal punto di vista distributivo, la
mobile home singola ha una pianta del
tutto simile a quella di una roulotte: ad
un’estremità è sistemato il soggiorno con
la cucina, all’altra trova alloggiamento la
zona notte con il bagno. Un corridoio di
collegamento laterale unisce le due zone.
Un ampliamento dello spazio
interno può essere ottenuto anche con
l’impiego di appendici (additions) che
vengono aggiunte in testata o lateralmen-
te. Le due additions più comuni sono il
garage ed il covered patio, cioè una pensi-
63
Blutrolly del 1962.
Distribuzione planimetrica di una mobile home singo-la. (Casabella n. 403/1975).
Accostamento sfalsato di due mobile homes. (Casabellan. 403/1975).
64
lina coperta che funge da portico, molto
comune nei mobile home parks califor-
niani. L’impiego di questi accessori tende
a far perdere il carattere veicolare della
mobile home originaria, conferendole
l’aspetto di una casa “permanente”. Il
problema della standardizzazione legata
alla produzione seriale, è stato risolto
dalle case produttrici americane attraver-
so il cosiddetto “adornment”9, adoperato
come mezzo di persuasione per convince-
re l’acquirente a comperare mobile
homes disegnate secondo gli stili più
vari, dal classico all’esotico.
Spaccato assonometrico di una mobile home. (da Prefabbricazione. Case unifamiliari prefabbricate di tutto ilmondo, V. Chiaia, Bari 1963).
Esempio di covered patio laterale.
Trasporto di una mobile home. (Living 2002).
9 - Termine coniato da Morris Lapidus, massimoteorico dell’analisi delle tecniche di persuasionetipiche dell’architettura nell’ambiente consumi-stico.
Dal punto di vista del trasporto,
che si limita al trasferimento del manu-
fatto dalla fabbrica al luogo d’impiego,
tutta la legislazione è concorde a conside-
rarlo come un veicolo e pertanto, sogget-
to alla normale regolamentazione fissata
dal codice stradale.
Negli Stati Uniti le mobile homes
vengono impiegate anche in situazioni di
crisi, come nel caso del già accennato
uragano Katrina. In quell’occasione il
FEMA ha inviato anche un gran numero
di mobile homes per fronteggiare l’emer-
genza che si è subito rivelata di enormi
proporzioni.
Il tema della “Casa in viaggio”,
diventa, tra la fine degli anni sessanta e
gli inizi degli anni settanta, oggetto di
interesse di numerosi progettisti, anche
europei, i quali propongono una serie di
idee molto interessanti, nate come evolu-
zione del concetto di mobile home, come
quella di Wilfried Lubiz, a quei tempi
ancora studente alla Werkkunstschule di
Krefeld, in Germania. Lubiz presenta un
modulo abitativo completamente attrez-
zato, le cui pareti, in parte ripiegate,
fanno da contenitore per il trasporto.
L’abitazione è composta di due unità con-
tenenti tutte le attrezzature ed i mobili.
La casa viaggiante di Lubiz. (Domus 467/68).
Un convoglio di mobile homes in viaggio per raggiun-gere le aree devastate dall’uragano Katrina, negli StatiUniti.
Mobile homes fornite dal FEMA alle famiglie rimastesenza tetto dopo l’uragano.
65
66
Queste, a differenza delle tradizionali
mobile homes, non sono fornite di ruote,
ma possono essere trasportate su qualsia-
si mezzo, per via terrestre, marittima,
aerea.
La mobile home progettata da J.
Vredevoogt è, invece, una casa completa-
mente attrezzata che, trasportata su
camion, si ancora al terreno e si espande
telescopicamente attraverso semplici
traslazioni, longitudinali e trasversali, su
una piattaforma incorporata, anche que-
sta ampliabile. L’abitazione è composta
di otto unità scatolari, infilabili l’una nel-
l’altra, per una lunghezza totale di 10,30
m in fase di trasporto e 19,50 m in eserci-
zio. Le unità scatolari sono realizzate con
pannelli sandwich in lamiera di alluminio
sulla faccia esterna, materiale plastico
sulla faccia interna ed isolamento in
schiuma di poliuretano.
Un’alternativa ai tradizionali vil-
laggi per mobile homes viene proposta,
nei primi anni settanta, dal designer
inglese Alan Boutwell il quale prevede la
realizzazione di grandi incastellature
entro cui inserire le case trasportabili su
ruote che, giunte sul luogo, vengono sol-
Casa mobile progettata da Vredevoogt: sezioni e pian-ta.
La casa viaggiante di Lubiz: spaccato assonometrico.(Domus 467/68).
levate ed alloggiate per mezzo di gru. Le
cellule sono formate da un nucleo di ser-
vizi (bagno, cucina e lavanderia) e da
contenitori che racchiudono sia l’involu-
cro pneumatico, da gonfiarsi in situ e che
costituirà il soggiorno e la zona notte, sia
l’arredamento, anche questo pneumatico.
Sul tema delle case mobili
Helmuth Schulitz propone una formula di
abitazione modulare su ruote, scomponi-
bile in parti fisse ed in parti mobili. Il
sistema comprende un grande contenitore
centrale fisso, inserito in una struttura di
servizio a più piani e collegato agli
impianti. A questo contenitore vengono
agganciati i contenitori mobili, attrezzati
per funzioni specifiche (cellula letto, cel-
lula bagno, cellula cucina), e variamente
combinabili tra loro in base alle diverse
esigenze. Tra le cellule mobili è prevista
anche la cellula automobile che funge
anche da motrice al rimorchio, costituito
dagli altri contenitori mobili.
In Italia, Gino Gamberini propone
nel 1976, la mobile home Amplia. È una
casa prefabbricata unifamiliare dotata di
ruote che ne permettono il trasporto.
L’unità abitativa è completa di servizi e
arredamento e viene installata su fonda-
zioni regolabili che ne consentono l’adat-
tabilità a qualsiasi tipo di terreno di posa.
Lo spazio, di 8,50x2,50 m, può essere
ampliato attraverso il ribaltamento di
parte di una parete, che diventa pavimen-
to di un vano di circa 12 mq. La versatili-
tà del modulo ne permette anche l’impie-
go come ambulatorio medico, mensa,
negozio, abitazione per villaggi turistici o
per cantieri.
Nel 1991, Vito Acconci progetta
la Mobil Linear City, un sistema telesco-
pico, facilmente trasportabile con un
rimorchio, composto di sei unità abitative
che si possono aprire fino a raggiungere
la lunghezza di cinquanta metri. Ciascuna
Trasporto della Mobile Linear City di Vito Acconci edinstallazione a Vienna.
67
68
unità viene fatta scorrere lungo un bina-
rio fino ad ancorarsi al modulo preceden-
te. L’ultimo modulo, il più piccolo, è adi-
bito a centro servizi per la comunità.
Oggi, le problematiche legate alla
sostenibilità ambientale ed al risparmio
energetico sono dei temi molto ricorrenti
anche nell’ambito dell’architettura trans-
itoria e, fortunatamente, non tutti i pro-
gettisti che studiano e sperimentano
nuove soluzioni in questo campo ricorro-
no a materiali e tecnologie che non ten-
gono nella giusta considerazione la tutela
dell’ambiente.
Un’azienda britannica, produttri-
ce di abitazioni mobili, ha recentemente
realizzato il progetto di Buckley Gray
Yeoman per un nuova mobile home dal-
l’aspetto molto elegante e minimalista.
Materiali ecosostenibili, impiego limitato
di materie plastiche ed altre sostanze arti-
ficiali, caratterizzano le Retreat Homes,
per le quali è previsto anche l’impiego di
impianti ad energia solare per la fornitu-
ra dell’energia elettrica, per la climatiz-
zazione e la dotazione di acqua calda
sanitaria.
Sempre sul tema del risparmio
energetico e della sostenibilità ambienta-
le, Andy R. Thomson e Daniel Hall pre-
sentano in Canada il mini-home SOLO:
un trailer “ecologico”, completamente
autosufficiente ed adattabile a qualsiasi
clima. Come le tradizionali mobile
homes, anche il mini-home SOLO è clas-
sificato come “travel trailer” e quindi,
Retreat Homes di Buckley Gray Yeoman. Mini-home SOLO di Andy R. Thomson e Daniel Hall.
secondo la legge canadese, non richiede
la scorta della polizia per il trasporto stra-
dale.
Il vantaggio offerto dalle abitazio-
ni trasportabili su ruote non è passato
inosservato a Jennifer Siegal, fondatrice
dell’Office of Mobile Design (OMD), che
affronta le problematiche inerenti la pro-
gettazione di sistemi trasportabili monta-
bili e reversibili.
Fin dal 1998, anno della fonda-
zione dell’OMD, Jennifer Siegal ed i suoi
collaboratori hanno progettato numerose
strutture mobili molto interessanti, tra le
quali il Mobile Eco Lab, prodotto in col-
laborazione con l’Hollywood Beautification
Team. Utilizzando in gran parte materiali
riciclati, incluso un rimorchio per roulot-
te, hanno realizzato una classe itinerante
che visita le scuole del distretto di Los
Angeles ospitando di volta in volta i gio-
vani studenti per insegnare loro l’impor-
tanza del recupero e della protezione del-
l’ambiente.
Per conto della Venice Community
Housing Corporation, Jennifer Siegal ha
realizzato il Portable Construction
Training Center, un laboratorio itinerante
dove ragazzi disadattati e con problemi di
inserimento nella società, possono impa-
rare attività manuali come la carpenteria,
la pittura o lavori da elettricista e idrauli-
co. Il modulo è composto di un ambiente
comune per gli incontri collettivi e di
69
Mobile Eco Lab.
Mobile Eco Lab.
Portable Construction Training Center.
70
postazioni di lavoro dove gli apprendisti
possono svolgere le loro attività. Anche il
Training Center, come l’Eco Lab, si può
espandere con pensiline e passerelle dalle
quali gli istruttori possono osservare il
lavoro dei loro allievi.
2.2.3. Il container
Con il termine container (conteni-
tore), si definisce un: “grande cassone
metallico di misure unificate, adatto al
trasporto di merci in mezzi di trasporto
terrestri, aerei e marittimi”10.
Fino a pochi anni fa, il maggior
numero dei containers impiegati nel set-
tore dell’habitat provvisorio proveniva da
altre destinazioni d’uso ed è per tale
motivo che questo prodotto mal si adatta-
va ad essere utilizzato a fini residenziali.
Containers pronti per l’imbarco.
10 - Vocabolario della lingua italiana Zingarelli.
Interni del Portable Construction Training Center.
Portable Construction Training Center.
Il trasferimento delle tecnologie
del container al settore dell’edilizia ha
determinato la rinuncia al soddisfacimen-
to dei più elementari requisiti ambienta-
li, primo tra tutti il benessere psico-fisico
dell’utenza.
Il blocco container viene preas-
semblato in fabbrica e quindi le sue
dimensioni sono vincolate alla sagoma
massima di trasporto internazionale; que-
sto ha determinato la produzione di tipo-
logie spesso ai limiti dell’abitabilità, con
prestazioni ridotte all’essenziale. Gli
standard dimensionali bloccati, spesso
eccessivamente contenuti, impongono
una destinazione d’uso per nuclei di 4-6
persone, l’eliminazione di ambienti filtro
verso l’esterno e la rinuncia a spazi come
ripostigli e depositi. Le funzioni cucina-
pranzo-soggiorno vengono concentrate in
un unico spazio e la zona notte viene
ridotta alle dimensioni minime essenziali,
così come la dotazione dei servizi sanita-
ri che si compone di lavabo, doccia e
vaso. In molti casi, per motivi di spazio,
l’apertura dei serramenti è verso l’ester-
no. Di contro, la tecnologia dei containers
industriali attrezzati garantisce un nume-
ro di reimpieghi illimitato ed il trasporto
degli elementi senza l’ausilio di mezzi
speciali.
Un altro vantaggio offerto dal
container è quello di non necessitare di
opere di fondazione ma soltanto di un ter-
71
Insediamento di emergenza a Gualdo, allestito con con-tainer.
Container adattato ad alloggio provvisorio. (da Le casedell’emergenza di Corrado Latina, Modulon.120/1986.).
Container monoblocco.
72
reno pianeggiante e compatto; questo
agevola enormemente la fase di impianto,
laddove l’orografia del terreno lo consen-
ta o l’area destinata all’insediamento sia
stata preliminarmente preparata con
appositi massetti in calcestruzzo armato.
Anche il costo risulta vantaggioso, se si
considera un tempo di utilizzo minimo di
due anni, ma che solitamente raggiunge i
cinque anni.
La tipologia base, impiegata fin
dagli anni settnta ed ancora oggi in pro-
duzione, con le opportune modifiche con-
sentite dall’evoluzione delle tecnologie
nel settore, deriva dalla riconversione
degli alloggiamenti provvisori destinati a
cantieri di lavoro ed è fondata su unità
modulari ad involucro standardizzato,
variamente aggregabili, al fine di ottene-
re alloggi unifamiliari o collettivi, mense,
unità sanitarie, servizi sociali, ecc.
Queste unità vengono imballate in invo-
lucri costituenti la stessa struttura del
container e contengono tutti gli elementi
necessari per il montaggio.
La struttura è composta di un
telaio in acciaio e pannelli sandwich
Vecchio container impiegato nella cantieristica.
Tipologie insediative di abitazioni-container.
autoportanti, con copertura generalmente
piana. Materiali e tecniche di montaggio
sono coerenti alla tipologia ed alle neces-
sità di riutilizzo. I materiali impiegati
sono infatti dotati sia di resistenza mec-
canica intrinseca, sia di resistenza all’u-
sura, per consentire lo smontaggio degli
elementi ed il loro reimpiego con la mini-
ma manutenzione. I pannelli sono in
vetroresina, materiali sintetici o in lamie-
ra zincata preverniciata, in genere nerva-
ta o grecata. Gli impianti di climatizza-
zione sono, generalmente, ad alimenta-
zione elettrica.
L’impianto idrico è incorporato
nelle pareti attrezzate e l’impianto elettri-
co è canalizzato in guaine inserite all’in-
terno dei pannelli o in canaline esterne.
Oggi, però, la ricerca e le speri-
mentazioni sull’edilizia modulare basata
sull’elemento container hanno raggiunto
risultati interessanti grazie all’attenzione
mostrata nell’ultimo decennio, da parte di
una nuova generazione di progettisti che
porta avanti un interessante discorso sul-
l’architettura mobile multifunzionale.
Tra i primi a proporre il container
come oggetto di una ricerca architettoni-
ca va ricordato Wes Jones ed i suoi pro-
getti di originali moduli abitativi a carat-
tere temporaneo.
73
Progetto di un modulo abitativo containerizzato, propo-sto da Wes Jones.
Telaio portante di un container. Modello di un modulo abitativo containerizzato, propo-sto da Wes Jones.
74
Dopo di lui, architetti come
Giuseppe Lignano e Ada Tolla, conosciu-
ti professionalmente come LOT-EK, pro-
gettano nel 1999 il modulo MDU (Mobile
Dwelling Unit), il cui prototipo è stato
esposto alla mostra organizzata dalla
University Art Museum, nell’Università
della California, a Santa Barbara. I due
progettisti integrano l’economia dell’abi-
tazione modulare alla mobilità del contai-
ner, ottenendo volumi trasportabili di ele-
vata funzionalità. Il container (largo 8
piedi, alto 9,6 e lungo 40), racchiude al
suo interno ulteriori volumi, contenenti il
bagno, la cucina e le camere da letto.
Questi, dopo il posizionamento del con-
tainer, vengono estratti dal volume prin-
cipale ampliando così lo spazio fruibile.
Il gruppo Foba propone nel 2003
il sistema Containment che prevede l’im-
piego di containers per la realizzazione di
abitazioni per studenti o homeless e l’e-
ventuale inserimento dei moduli abitativi
in una struttura articolata come un albero,
i cui rami ospitano i containers che costi-
tuiscono le stanze dell’abitazione. Gli
ambienti possono così essere modificati
smontando i moduli, riposizionandoli
secondo un nuovo schema o integrandoli
con altri elementi.
A questi esempi seguono molte
altre realizzazioni di sistemi abitativi
containerizzati come, ad esempio, lo
Space Box di Mart de Jong. Si tratta di
unità modulari, equipaggiate con cucina e
bagno e adibite a studi residenziali.
Il sistema può essere installato e
rimosso in brevissimo tempo in quanto le
unità abitative vengono posizionate una
sull’altra con l’ausilio di una semplice
gru che ne garantisce un facile e veloce
posizionamento. Si ottengono così abita-
Il Mobile Dwelling Unit progettato dal gruppo LOT-EKnel 1999.
Progetto Containment. Gruppo Foba (Materia n.40/2003).
zioni di elevata flessibilità compositiva,
facilmente inseribili in qualsiasi contesto
urbano. Attualmente questo sistema è
impiegato in Olanda per la realizzazione
di campus universitari.
Idea simile è quella della società
anglo-americana Urban Space
Management che, per fronteggiare il pro-
blema delle abitazioni sempre più care,
propone un sistema costruttivo modulare,
chiamato Container City, che si basa sul riciclo di container utilizzati per il tra-
sporto marittimo e opportunamente
modificati.
Sono stati realizzati a Londra tre
complessi destinati a centro culturale,
con studi per artisti e spazi espositivi.
Un’altra proposta di Container
City è quella del famoso studio olandese
di architettura e urbanistica MVRDV (ini-
ziali dei nomi degli associati Maas, Van
Rijs e de Vries). Gli architetti propongo-
no una container city fatta di 3500 ele-
75
Sistema Space box,Utrecht, 2004.
Sistema Space box, Amersfoort, 2004.
Container City della Urban Space Management.
Container City proposto dallo studio MVRDV.
76
menti, da realizzare nel porto di
Rotterdam, come sede delle attività cen-
trali della prima biennale di architettura
olandese. Le unità abitative sono inserite
entro percorsi che comprendono spazi
comuni utilizzati come piccoli belvedere.
Una rivisitazione del progetto
MDU di LOT-EK è stata proposta al con-
corso internazionale di idee “Living box -
l’unità abitativa del futuro”, bandito nel
2005 e dedicato alla “progettazione di
una unità abitativa prefabbricata tra-
sportabile su strada o per via aerea,
capace di interpretare lo stile di vita con-
temporaneo”.
La tipologia del container vince
anche il primo premio, ex-aequo, con il
Progetto Mokka di Alessandro Baldo. BOX2 unità abitativa prefabbricata presentata al con-corso Living box.
progetto Mokka del giovane designer di
Bassano del Grappa, Alessandro Baldo:
una versione modificata del container in
cui porzione delle pareti longitudinali
ruotano verso l’esterno, ampliando lo
spazio centrale del modulo abitativo.
Sempre nel 2005 l’architetto giap-
ponese Shigeru Ban, presenta a New
York il Nomadic Museum, una costruzio-
ne temporanea realizzata per ospitare la
mostra itinerante del fotografo canadese
Gregory Colbert. La struttura itinerante è
ottenuta dalla composizione di 148 con-
tainer che ne definiscono il perimetro; 37
container contengono tutti gli elementi
che compongono il museo, durante il tra-
sporto; i restanti 111 sono affittati nel
luogo di destinazione. Gli elementi di
sostegno del soffitto ed i pilastri sono rea-
lizzati con tubi di carta riciclata del dia-
metro di 30 e 76 cm.
2.2.4. Il prefabbricato
Il prefabbricato leggero segna un
passo avanti nella storia dei sistemi abita-
tivi per l’emergenza, ma si tratta soltanto
di un container “migliorato” nella forma
e nelle dimensioni, in quanto presenta
una maggiore flessibilità del volume utile
disponibile, rispetto ai condizionamenti
dimensionali e morfologici di un involu-
cro bloccato quale quello di un container.
Una via di mezzo tra il container a
dimensioni vincolate ed il prefabbricato,
è la cosiddetta baracca11, da cui deriva il
termine “baraccopoli”, tristemente noto
in diverse regioni del nostro Paese, colpi-
te da eventi calamitosi. Questa tipologia
presenta scarse possibilità di riutilizza-
zione in quanto gli alloggi vengono mon-
tati in loco ed il recupero degli elementi,
per successivi impieghi, è reso pertanto
più problematico.
Le baracche si distinguono in due
tipologie: a capanna e tipo canadese. Le
baracche a capanna hanno la forma di una
77
11 - “Costruzione di legno o metallo per ricoveroprovvisorio di persone, animali, materiali e attrez-zi.”. (Vocabolario della lingua italiana Zingarelli).O, ancora, “Costruzione provvisoria di pronta efacile esecuzione, generalmente in legname, abi-tata in condizioni di emergenza.”. (Dizionariodella lingua italiana G. Devoto-G. C. Oli).
Nomadic Museum di Shigeru Ban al Park’s Pier 54 delfiume Hudson, New York.
78
casetta a pianta rettangolare o quadrata,
di dimensioni variabili, atte ad ospitare
anche più famiglie. Possono essere rea-
lizzate in legno, ma più spesso viene uti-
lizzata una struttura metallica portante e
pannelli sandwich costituiti da due strati
Tipologia di baracca a capanna allesti-ta per il ricovero della popolazionedella valle del Belice, colpita dal sismadel 1968.
Baracca con lastre di copertura in cemento-amianto.Santa Margherita Belice, 2004.
Suggestiva immagine delle baracche di Gibellina realiz-zate dopo il terremoto del 1968.
di lamiera zincata o laminato metallico,
con intercapedine in lana di vetro. La
copertura è spesso realizzata con lastre
ondulate di cemento-amianto12, fissate su
un’orditura lignea. La posa in opera di
queste baracche richiede la realizzazione
di un massetto livellante in calcestruzzo
di cemento armato. Lo spazio disponibile
per una famiglia di quattro persone è di
circa 25-35 mq.
Le baracche canadesi, che fino a
qualche anno fa si potevano ancora
incontrare sul territorio della valle del
Belice, sono costruzioni a profilo semici-
lindrico, in lamiera ondulata opportuna-
mente sagomata ai fini della rigidezza.
La posa in opera di queste abita-
zioni è estremamente veloce, grazie
all’impiego di viti o chiodi di fissaggio
all’orditura portante metallica, che viene
posizionata su elementi di appoggio iso-
lati, generalmente costituiti da blocchi
sovrapposti di pietra squadrata.
Le baracche, essendo realizzabili
in loco, non presentano i limiti dimensio-
nali del container monoblocco ma, non-
ostante ciò, consentono la fruizione di
spazi molto contenuti, dipendenti dalla
modularità dei fabbricati.
Il basso livello di comfort igro-
termico, la scarsa qualità fruitiva, l’im-
patto di tipo psicologico sulle popolazio-
ni, alle quali viene imposto un oggetto
impersonale e con scarse possibilità di
79
Pianta, prospetto e sezione di una baracca tipo canade-se.
12 - Il cemento-amianto, conosciuto con il nomecommerciale di Eternit, è oggi bandito dalla listadei materiali da costruzione in quanto, com’ènoto, le particelle di amianto che si distaccanodagli elementi, a causa dell’azione erosiva degliagenti atmosferici, sono altamente dannoseall’organismo umano.
80
variazione tipologica, costituiscono solo
alcune delle problematiche legate a que-
sto tipo di progettazione che spesso, pur-
troppo, non tiene conto delle reali diffi-
coltà di fronte le quali ci si può trovare in
situazioni di emergenza. E questo perché,
molto spesso, si considera il “provviso-
rio” come una condizione momentanea,
senza pensare che a questa situazione si
vanno ad aggiungere precarie condizioni
di vita e forti stress psico-emotivi e fisici,
come avviene, per esempio, nel caso
delle popolazioni rimaste senza dimora in
conseguenza di eventi calamitosi, quali
terremoti, alluvioni, frane e costretti a
vivere in unità abitative di pronto inter-
vento.
È significativo a tale proposito il
film di Francesca Archibugi, “Domani”,
ambientato in un insediamento provviso-
rio in Umbria, dove viene descritta la vita
degli abitanti di un paesino che, costretti
ad abbandonare le proprie case dopo il
terremoto, convivono nella precarietà e
nella promiscuità dettata dall’emergenza.
La mancanza dei normali punti di riferi-
mento come la propria casa, la comunità,
la piazza, il luogo di lavoro, sconvolgono
totalmente la vita di ogni persona che
molto spesso viene colta da una forma di
fatalismo dettato dal convincimento del-
l’impossibilità di reagire ad un evento
così drammatico. Sono questi i segni di
una condizione ormai nota come “sindro-
me da disastro”.
Interno di una baracca.
Baracche a struttura metallica, tipo canadese, fornitedagli Stati Uniti per la realizzazione di un quartieredella baraccopoli di Salaparuta.
La sensazione di provvisorietà
diventa sinonimo di precarietà anche nel
caso di situazioni che non sono determi-
nate necessariamente dall’emergenza,
come avviene, ad esempio, per le popola-
zioni nomadi ed i loro insediamenti costi-
tuiti, nella maggior parte dei casi, da ripa-
ri di fortuna realizzati con tavole di legno,
fogli di compensato, cartone o quanto
altro raccattato tra i rifiuti.
Accanto alle baracche si può
identificare un’altra tipologia di prefab-
bricato a pianta libera, con materiali e
morfologia molto più vicini all’immagine
tradizionale delle abitazioni civili. Ma
anche questa soluzione, come per le
baracche, non si è mostrata soddisfacente
non solo per l’impatto che questi sistemi
provocano sul territorio (reti infrastruttu-
rali, materiali non ecocompatibili), ma
anche per la irreversibilità dei processi
realizzativi impiegati.
A prestazioni e costi più elevati, a
finiture più curate, ad una maggiore fles-
sibilità e ricchezza tipologica, si contrap-
pone una minore attenzione ai problemi
relativi alla trasportabilità, al montaggio,
smontaggio e stoccaggio, in vista di un
successivo reimpiego.
Questi prefabbricati, concepiti per
altre finalità, quali case per vacanze, cha-
let, ecc., richiedono pesanti strutture di
fondazione, con vespaio, isolamento e
impermeabilizzazione, che negano il con-
cetto stesso di provvisorietà, tanto quanto
le opere di urbanizzazione che questi
sistemi abitativi necessitano e le installa-
81
Campo nomadi a Milano.
Baracche del campo nomadi a Palermo.
82
zioni elettriche ed idrosanitarie che inci-
dono notevolmente sui tempi di realizza-
zione e sui costi.
La struttura è generalmente sepa-
rata dagli elementi di tompagnamento ed
è costituita da un’intelaiatura in legno o
metallica. Le pareti sono realizzate con
pannelli sandwich, con strato esterno
generalmente in legno (soprattutto trucio-
lare nobilitato, perlinato, compensato,
ecc.), trattato con antiparassitari e ignifu-
ghi. Molto usato è stato per anni anche il
cemento-amianto, preferito addirittura al
legno per i migliori requisiti meccanici e
di resistenza al fuoco. Le lastre di cemen-
to-amianto venivano impiegate sia per la
copertura degli alloggi, sia per i pannelli
di tamponamento che presentavano un
rivestimento interno con lastre di carton-
gesso. I pannelli con lastre esterne in
legno, hanno invece un rivestimento
interno, anche questo in legno, ma con
spessori più sottili.
Gli elementi prefabbricati sono
isolati con poliuretano espanso o polisti-
rene, mentre per quelli da assemblare in
opera si impiegano materassini in lana
minerale.
Le partiture interne sono dello
stesso materiale dello strato interno dei
tamponamenti e gli infissi sono in legno o
in profilati metallici. L’impianto di riscal-
Tre tipologie di prefabbricato tra le più diffuse neglianni ottanta: a) della Valentina (base in travi in abete;pareti esterne in perlinato di legno; manto di copeturain lamiera preverniciata; b) Industrie Carniche (struttu-ra in legno, tetto a falde, copertura in onduline); c)Sicel (struttura portante in acciaio, manto di coperturain fibro-cemento ondulato, pareti perimetrali in pannel-li sandwich). (da Le case dell’emergenza, di CorradoLatina, Modulo n.120/1986).
damento è realizzato con stufe a legna o a
cherosene.
Infine, l’esperienza ci mostra
come i prefabbricati, a parte gli alti costi
legati alla durata media di dieci anni, e la
lentezza di reperimento, invio ed installa-
zione, creano seri problemi di riciclaggio.
Alcuni materiali impiegati richiedono,
infatti, la posa in opera di rivestimenti o
particolari finiture dei giunti che rendono
difficoltoso un eventuale recupero degli
elementi.
La maggior parte dei manufatti
prefabbricati sono dei vuoti a perdere,
spesso inservibili a causa della mancanza
di manutenzione. Intere città prefabbrica-
te vengono rese inutilizzabili o recupera-
bili solamente a costi elevatissimi.
Spesso, inoltre, si verifica una
situazione di rigetto nei confronti di que-
ste sistemazioni provvisorie; non sempre
gli utenti accettano una condizione abita-
tiva provvisoria, come nel caso della
Casa Istantanea impiegata dalla Croce
Rossa tedesca dopo il terremoto che nel
1972 colpì il Nicaragua. In quell’occasio-
ne furono realizzati migliaia di igloo in
poliuretano espanso, donati dalla Bayer a
gran parte dei senza tetto. Le abitazioni
misuravano 5 m di diametro, 3 m di altez-
za e comprendevano un unico locale con
una superficie di circa 20 mq. Nessuno li
utilizzò mai come abitazioni, bensì come
luoghi di ricovero per attrezzi, animali o
scorte alimentari.
I difetti maggiori riscontrati in
questi alloggi furono: di carattere
ambientale, perchè soffocanti in quanto le
cupole si surriscaldavano al sole ed il
poliuretano espanso, noto isolante termi-
co, impediva la traspirabilità delle parti-
ture; culturali, perchè completamente
estranei alle tradizioni abitative locali;
economici, perchè dieci volte più cari
delle tende e non recuperabili. La popola-
zione locale si rifiutò di restituirli, inte-
grandoli alle case ricostruite ed utilizzan-
doli come depositi.
Fenomeni analoghi si sono verifi-
cati in Irpinia, dopo il terremoto del 1980:
in alcuni casi l’installazione dei prefab-
bricati su terreni scoscesi aveva imposto
83
Casa prefabbricata unifamiliare in legno. (da Le casedell’emergenza, di Corrado Latina, Modulon.120/1986).
84
la creazione di scantinati in calcestruzzo
armato; molta gente preferì vivere in que-
sti seminterrati, usando il soprastante pre-
fabbricato come deposito.
Il difficile adattamento all’allog-
gio di emergenza appare evidente anche
dall’esame delle numerose modifiche
apportate dagli utenti, nel corso degli
anni, alle strutture originarie. Molti
hanno modificato sensibilmente standard
e dotazioni delle abitazioni, poichè risul-
tavano estremamente limitati per una
fruizione a lungo termine; sono innume-
revoli le trasformazioni funzionali e dis-
tributive, gli ampliamenti e le sostituzio-
ni di parti, effettuati secondo criteri ed
esigenze soggettive ed al di fuori da ogni
controllo da parte delle amministrazioni
locali. Fino a qualche anno fa le tendenze
di sviluppo della produzione di costruzio-
ni a carattere temporaneo erano essen-
zialmente due: una è quella che ricalca il
modello tradizionale di edilizia abitativa
residenziale; l’altra si basa, invece, sul-
l’impiego di tecnologie più evolute e pro-
cessi produttivi di tipo industriale. Oggi
si è affermata la seconda tendenza che
privilegia lo studio di sistemi abitativi
profondamente innovativi sul piano tec-
nologico, garantendo anche una migliore
qualità abitativa. Il tentativo è quello di
unificare le fasi roulotte, container e casa
prefabbricata in una tipologia edilizia di
tipo mobile home, realizzata con tecnolo-
gie avanzate e che consenta una perma-
nenza provvisoria anche per periodi
medio-lunghi, nell’attesa della ricostru-
zione edilizia.
La condizione di provvisorietà del
manufatto si riferisce fondamentalmente
al suo insediamento sul territorio, preve-
dendone anche un possibile trasferimento
altrove. Le proposte progettuali oggi dis-
ponibili sono riconducibili principalmen-
te a questa logica che aggiunge ai para-
digmi tradizionali della progettazione,
nuovi parametri come, appunto, la trans-
itorietà e la reversibilità.
2.3. Sistemi mistiIl sistema misto è una particolare
tipologia ibrida che integra la compattez-
za e la resistenza strutturale di un sistema
rigido, in fase di trasporto, alla flessibili-
tà ed alla leggerezza di un sistema flessi-
bile, in fase di esercizio. Anche in questo
ambito le proposte progettuali sono
numerose e molto interessanti, a partire
dalla casa flessibile, elaborata da un
gruppo di studenti giapponesi, guidati da
Masayuki Kurokawa.
L’abitazione è concepita come
unità indipendente, costituita da due sca-
tole rigide raccordate da un elemento
flessibile che si espande a fisarmonica. Il
progetto è destinato a single o a studenti,
ma può essere organizzato anche per la
fruizione di famiglie o comunità.
Le due scatole contengono tutte le
attrezzature necessarie all’abitazione e si
possono chiudere l’una sull’altra durante
la fase di trasporto.
85
Casa flessibile di M. Kurokawa. Ipotesi aggregative dei moduli base. (Domus 514, 1972).
Casa flessibile di M.Kurokawa. Alcune ipotesidi utilizzazione dello spa-zio interno. (Domus 514,1972).
Nel 1972, al Museum of Modern
Art di New York viene organizzata la
prima e più importante mostra che contri-
buì a far conoscere al mondo il design ita-
liano. La mostra, intitolata “Italy: the new
domestic landscape” comprendeva, tra
l’altro, una sezione dedicata all’abitazio-
ne temporanea, intesa come possibile
soluzione al problema della fuga da una
città inabitabile. Furono presentate solu-
zioni particolarmente dettagliate dal
punto di vista tecnologico; tra queste la
Mobile House di Alberto Rosselli compo-
sta da un nucleo centrale rigido, di
dimensioni minime ai fini del trasporto
che, una volta giunti sul sito, amplia il
suo volume attraverso un sistema a sof-
fietto che scorre lungo opportune guide
telescopiche.
Il Compasso d’Oro 1979 è andato
invece agli studenti dell’Istituto
Superiore per le Industrie Artistiche di
Roma, che si sono cimentati nell’elabora-
zione di un progetto che prevede la rea-
Alloggio di emergenza progettato dagli studentidell’Istituto Superiore per le Industrie Artistiche diRoma.
86
Le fasi di apertura dellacellula spaziale ampliabiledi A. Rosselli, al Museumof Modern Art di NewYork.,1972. (Technique &Architecture n. 299/77).
lizzazione di moduli abitativi di dimensio-
ni variabili e facilmente ampliabili, attra-
verso il dispiegamento di una struttura
flessibile a cappotta, collegata all’unità
centrale rigida in vetroresina. Le peculia-
rità di questo sistema di emergenza sono:
la possibilità di riutilizzazione per diverse
situazioni, la possibilità di recupero, la
containerizzazione e la riducibilità.
87
3. La memoria
Sistemi abitativi di permanenza temporanea
Nel passato, soprattutto a livello
teorico, personalità e movimenti dell’a-
vanguardia architettonica si sono interes-
sati ed appassionati alle grandi potenzia-
lità che offre un’architettura leggera e
mobile. Basti pensare alle glorificazioni
delle macchine delle avanguardie futuri-
ste e costruttiviste o ai sistemi urbani di
Cedric Price dall’obsolescenza breve e
programmata, fino alle deliranti macro-
strutture del gruppo inglese degli
Archigram, autori di proposte altamente
innovative di unità di abitazione semo-
venti o interi edifici, simili a giganteschi
ragni che si aggirano per le città concepi-
te, anche queste, su principi di totale
mobilità, modificabilità, smontabilità e
trasformabilità, come la nota Città che
cammina del 1964.
L’interesse per un’architettura
caratterizzata dalla temporaneità delle
opere progettate risale a molto tempo fa,
quando particolari strutture, anche di
notevole dimensione, venivano concepite
secondo i criteri della leggerezza, econo-
micità, facilità di montaggio e smontag-
gio. I ponti a struttura reticolare in legno,
illustrati da Palladio nel suo trattato I
quattro libri dell’architettura, sono
esempi molto significativi a riguardo,
così come il Palazzo di Cristallo di
Joseph Paxton, realizzato nel 1851 in
occasione dell’Esposizione Universale di
Londra. Di questa costruzione viene
generalmente sottolineata: la produzione
seriale in scala industriale di parti archi-
tettoniche, la funzionalità della struttura
con gli elementi costruttivi facilmente
riconoscibili, la superficie trasparente,
l’economia del sistema data dai brevissi-
mi tempi di progettazione e di esecuzione
(sette mesi). È stato però messo poco in
evidenza il fatto che l’edificio avesse un
91
Walking city. Archigram 1964.
carattere prettamente temporaneo;
Paxton prevedeva infatti, per la leggerez-
za degli elementi e per le tecniche di
montaggio e smontaggio, la possibilità di
ricostruire in altro luogo lo stesso edifi-
cio. Lungo 600 metri ed alto in alcuni
punti anche 30 metri, dimostrò di posse-
dere una flessibilità ed una mobilità rivo-
luzionarie rispetto alle teorie architetto-
niche dell’eterno in pietra e della sua rigi-
dità.
Una proposta di casa mobile
appare per la prima volta nella manuali-
stica italiana nelle edizioni Hoepli del
1910. Si tratta di una riproduzione in pic-
cola scala di un’abitazione unifamiliare,
ad una elevazione, opportunamente
sezionata in un numero di parti aventi
dimensioni tali da poter essere trasportate
su ruote, compatibilmente con la viabilità
92
Crystal Palace: prospetto e sezione trasversale.
Crystal Palace: interno. Stampa del 1851, MuseoStorico di Berlino, Germania.
Crystal Palace: veduta panoramica.
dell’epoca. Bisognerà attendere gli anni
trenta per dare avvio, nel nostro Paese,
alle prime ricerche su strutture smontabi-
li e trasportabili; ricerche condotte nel-
l’ambito del programma di intervento per
il ripopolamento delle colonie fasciste,
durante l’occupazione etiopica.
Intanto, negli anni venti, in
Francia, Le Corbusier profetizzava la dif-
fusione della “casa macchina” e ideava la
Maison Voisin, prototipo di una nuova
tipologia di unità abitativa, frutto dell’in-
tegrazione del concetto di alloggio mini-
mo e quello di automobile.
Negli Stati Uniti, sin dai primi
decenni del ‘900, vengono portate avanti
innumerevoli sperimentazioni sul tema
della casa concepita come insieme di più
parti assemblate, tra queste si ricordano
le cosiddette “case portatili Hodgson”,
prodotte negli Stati Uniti a partire dal
1892: erano costruzioni a struttura lignea,
eseguite con un particolare sistema
costruttivo che ne consentiva la costru-
zione in fabbrica a sezioni.
Ogni sezione, larga 1,80 m era
composta di cinque parti separate (due
pannelli parete, due pannelli copertura,
un pannello pavimento). Le diverse
sezioni, affiancate, venivano successiva-
mente collegate per mezzo di un partico-
lare sistema a cunei.
Simili a queste sono le abitazioni
in legno prodotte dall’agenzia Aladdin
nel Michigan, articolate come veri e pro-
pri kits abitativi da ordinare su cataloghi;
o i modelli abitativi realizzati negli anni
trenta dalla General
Houses Corporation,
fino ai prototipi
House of tomorrow
e Crystal house,
presentati alla
Century of Progress
Exihibition di
Chicago del 1933.
La prima, proposta
dai fratelli Keck, era realizzata con telai
metallici e pareti vetrate e dotata di un
sistema di riscaldamento e condiziona-
mento dell’aria autonomo. La seconda
unità abitativa era invece caratterizzata
da un particolare sistema strutturale che
93
Cataloghi di agenziespecializzate per la ven-dita di case già pronte.(Materia n.40/2003).
ne permetteva un facile e veloce montag-
gio. Grande importanza hanno assunto,
dal punto di vista culturale e dell’innova-
zione tecnica, le prime esperienze della
Casa a Spicchi che nel 1923 anticiparono
gli studi di Richard Buckminster Fuller e
la realizzazione della famosa Dymaxion
House, proposta per la prima volta nel
1928.
La Dymaxion House si può consi-
derare l’evoluzione in chiave unifamilia-
re della Multiple Deck 4D: una torre con
un pilastro centrale al quale sono ancora-
ti dieci solai reticolari. Il sistema, dotato
di climatizzazione autonoma, poteva
essere trasportato con un dirigibile e
piantato al suolo come un albero.
Le case Dymaxion sono la testi-
94
Fasi di costruzione di una casa prefabbricata realizzata per gli operai della società di impianti idroelettriciTennessee Valley Authority. La casa veniva trasportata sul luogo del montaggio a sezioni che venivano poi assem-blate facendole scorrere su rulli. (da Prefabbricazione. Case unifamiliari prefabbricate di tutto il mondo, V.Chiaia,Bari 1963).
monianza di una nuova cultura dell’abita-
re che si estrinseca nella ricerca di origi-
nali sistemi e procedure di prefabbrica-
zione rapidi e a basso costo, sfruttando le
potenzialità connesse alla produzione
industriale automobilistica ed aeronauti-
ca. Lo studio di Fuller prevedeva anche il
contenimento energetico, la facilità di tra-
sporto e di montaggio e l’impiego di
materiali tecnologicamente avanzati.
Fuller elaborò varie versioni della
Dymaxion House ma tutte fondate sugli
stessi principi che danno origine alla
parola Dymaxion: DY-dinamico, MAX-
massimo, ION-tensione.
La prima Dymaxion House nasce
nel 1927 e dopo una versione duplex,
articolata secondo una pianta rettangola-
re, la successiva proposta si sviluppa su
una base esagonale i cui elementi vengo-
no ripartiti secondo una griglia triangola-
re. La forma scaturisce dall’osservazione
del meccanismo dell’ombrello: così come
in esso vi è un’asta centrale dalla quale si
genera l’intero meccanismo di apertura,
così nella Dymaxion un albero centrale
funge da principio generatore.
La costruzione è sollevata da terra
di circa tre metri e si compone di due ele-
vazioni: la prima costituisce il piano di
95
Multiple Deck 4D.
La Dymaxion House.
Studio della struttura della Dymaxion House.
abitazione, la seconda la terrazza, pensa-
ta come tetto-giardino. I due solai piani,
con struttura in acciaio a pianta esagona-
le, sono sospesi ad una serie di cavi
agganciati ad un pilone centrale in dural-
luminio.
Il pilone, ancorato al suolo, assi-
cura l’equilibrio statico dell’edificio e
costituisce il fulcro della casa in quanto
contiene un ascensore per il collegamen-
to verticale e tutti gli impianti tecnici, tra
cui un sistema di raccolta dell’acqua pio-
vana, un generatore di energia ed i cavi di
alimentazione e distribuzione dell’aria,
della luce e del calore. All’estremità
superiore del pilastro centrale è posizio-
nato un sistema di lenti per catturare la
luce ed il calore del sole. Alla base del
pilastro sono localizzati la fossa biologi-
ca ed il serbatoio per il carburante.
La cappa protettiva a padiglione,
anche questa sospesa al pilone centrale
con un sistema indipendente di cavi, deli-
mita superiormente la copertura.
L’involucro esterno è costituito da
una doppia parete vetrata con struttura a
piastre triangolari leggerissime ed infran-
gibili. Le partizioni interne sono definite
da un sistema di pannellature mobili
attrezzate con porte pneumatiche con
apertura regolata da cellule fotoelettriche.
Le pareti attrezzate suddividono
l’abitazione, di circa 150 mq, in cinque
ambienti: due camere da letto con bagni
annessi, uno studio con libreria e scaffali
girevoli, una lavanderia, un soggiorno
con divani pneumatici ed un tavolo
sospeso. Il blocco dei servizi è completa-
mente prefabbricato, funziona a secco ed
è concepito come sistema di raccolta dei
rifiuti che vengono impacchettati mecca-
nicamente e trasportati alle industrie chi-
miche.
Il pavimento è formato da pia-
strelle triangolari in bakelite, posizionate
su una base pneumatica che funge da iso-
lante; questa è posta su un tavolato
ligneo che costituisce l’orditura seconda-
ria del solaio.
Tutto il materiale necessario alla
costruzione pesava circa tre tonnellate e,
secondo Fuller, il montaggio, compreso
96
Prospetto della Dymaxion House.
l’arredo principale, doveva poter essere
realizzato in una giornata.
La Dymaxion House, chiamata
anche 4-D per l’introduzione del concet-
to di tempo come dimensione in architet-
tura, sembrava aver tradotto in realtà il
sogno di Fuller di sfruttare le capacità
produttive dell’industria aeronautica
americana per risolvere la questione del-
l’abitazione. Ma il progetto fallì e la
causa dell’insuccesso non è soltanto attri-
buibile all’impossibilità di provare e per-
fezionare, con fondi insufficienti e con
pochissimi collaboratori, tutte le novità
inventate e tutte le parti mobili del pro-
getto: per la prima volta si parlava di
sistemi di controllo automatico di apertu-
ra e chiusura delle porte, di aspirazione
delle polveri per mantenere pulito l’am-
biente domestico, dell’impiego dell’ener-
gia naturale che veniva tramutata diretta-
mente in luce elettrica o in condiziona-
mento d’aria o accumulata in batterie per
eventuali altri usi, ecc. In realtà la
Dymaxion House non avrebbe mai potuto
essere qualcosa di più di una novità di
breve durata e, a quel tempo, fu forse
azzardato da parte di Fuller pensare che
avrebbe potuto cambiare la tradizione del
costruire. In tutta la sua opera infatti
emerge la realizzazione di proposte archi-
tettoniche futuriste ed una continua ricer-
ca di soluzioni abitative improntate sul-
l’utopismo tecnologico. La concezione
della tecnologia da parte di Fuller è però
molto diversa da quella dei futuristi; que-
sti, infatti, si possono definire fautori di
un’estetica della macchina, della “tecno-
logia per la tecnologia”; Fuller pone
invece la tecnologia al servizio dell’uo-
mo, come strumento per il benessere del-
l’umanità, nel rispetto per l’ambiente.
Egli cerca soluzioni che non alterino peri-
colosamente il sistema ambientale in cui
l’uomo è inserito.
Fuller sostituisce il termine
“architettura” con “design ambientale”,
inteso come la ricerca dell’integrazione
dell’uomo con l’energia e le risorse natu-
rali. Il suo principale obiettivo non consi-
ste soltanto nel razionale impiego del
patrimonio mondiale, ma nel considerare
97
Fuller con il modello della Dymaxion House in unafoto d’epoca.
questo impiego anche come fonte di rige-
nerazione in quanto deve permettere sia il
riciclo dei materiali, sia la possibilità di
un’utilizzazione ridotta del materiale al
ciclo successivo, nel senso che il consu-
mo non deve essere soltanto fine a se
stesso.
All’affermazione futurista della
caducità e transitorietà dell’architettura,
contenuta nel Manifesto di Sant’Elia: “La
case dureranno meno di noi. Ogni gene-
razione dovrà fabbricarsi la sua città”,
Fuller risponde con le Paperboard
domes, cupole di cartone facilmente
installabili come ricovero di uomini e
mezzi.
Nel 1940 Fuller progetta la
Mechanical Wing, una piccola unità tra-
sportabile con bagno e cucina, paragona-
bile alla roulotte e fornita di unità energe-
tica a motore diesel, generatore elettrico e
scaldabagno. Questa soluzione realizza il
sogno del “nomadismo meccanico”
descritto dal Manifesto dell’architettura
futurista di Volt del 1919: “Gli uomini del
futuro disdegneranno di abitare in case
radicate al suolo (...). La casa futurista
sarà a) indipendente, b) mobile, c) smon-
tabile, d) meccanica, e) esilarante (...).
Le nuove case saranno libere di spostar-
si in tutte le direzioni, scorrendo sulle
gigantesche rotaie che solcheranno il
suolo delle città future (...). Le case più
grandi saranno munite di camere sposta-
bili da una facciata all’altra, come vago-
ni o che si elevino dal pianterreno al
tetto, come vasti ascensori. Queste came-
re potranno all’uopo essere staccate dal-
l’abitazione, per essere caricate su appo-
siti convogli ferroviari, o agganciate alla
navicella di un dirigibile.”.
Nel 1948 Fuller propone
l’Autonomous package, un contenitore
composto di sei pannelli incernierati, con
equipaggiamento domestico standard per
sei persone, completo di servizio igieni-
co, cucina, arredo per il letto ed il sog-
giorno.
La ricerca di Fuller continua nella
direzione della prefabbricazione, seguen-
do l’idea della casa mobile, facilmente
trasportabile, completa di arredi e com-
pletamente autosufficiente. Nasce così la
Whicita House, concepita come abitazio-
ne operaia per i dipendenti dell’industria
aeronautica ed il cui prototipo viene rea-
98
Autonomous package.
lizzato nel 1949 dalla Beach Aircraft
Company.
La versione definitiva riprende
l’esperienza della Dymaxion House affi-
dando la portanza di tutta la struttura ad
un nucleo centrale costituito da sette tubi
in acciaio inossidabile. Dall’albero cen-
trale si irradiano i cavi di acciaio che
sostengono gli anelli metallici di suppor-
to ai pannelli dell’involucro. I cavi sono
fissati al bordo di una piattaforma di allu-
minio, anche questa ancorata al nucleo
centrale. Lo schema distributivo si svi-
luppa secondo una pianta circolare di
circa 100 mq. I vani sono separati da
gusci di servizio che si dipartono dal
nucleo centrale e contengono appendi
abiti rotanti e ripiani girevoli. Una fine-
stra a nastro, in lastre di plexiglass, si svi-
luppa lungo tutta la circonferenza garan-
99
La Wichita House in una foto d’epoca.
Interni della Wichita House.
tendo una illuminazione naturale unifor-
memente diffusa. Il nucleo centrale ospi-
ta gli impianti tecnici a servizio dell’abi-
tazione, tra cui un generatore di energia
ed i condotti per la distribuzione di aria,
luce e calore.
La copertura è dotata di un aspira-
tore-ventilatore rotante che, attraverso le
intercapedini del solaio consente il tratta-
mento e la distribuzione uniforme di aria
climatizzata con ricambio orario di 10
volumi. La forma circolare scelta da
Fuller è considerata dal progettista la più
idonea per il raggiungimento della perfe-
zione dal punto di vista biotecnologico.
Infatti, com’è noto, il consumo di energia
di una casa cubica è approssimativamen-
te quattro volte maggiore di quello di una
casa emisferica dello stesso volume.
L’accordo con la Beach Aircraft
Company prevedeva la produzione di 200
abitazioni al giorno; Fuller pensava così
di risolvere la grave crisi degli alloggi e
rinnovare radicalmente il settore dell’edi-
lizia, ma il progetto non ebbe l’esito spe-
rato e delle 60.000 unità previste furono
realizzati solamente due prototipi, acqui-
stati da un collezionista e inglobati in una
Prairie House. Uno di questi, recente-
mente restaurato, è conservato nel museo
Henry Ford nel Michigan.
Le opere, di restauro, iniziate nel
marzo del 1999 e concluse nell’ottobre
del 2001, hanno richiesto l’intervento di
un gran numero di tecnici ed operai spe-
cializzati, impegnati nel recupero di tutte
le parti ammalorate, costituenti l’unità
abitativa, nonchè nel rifacimento di alcu-
100
La Wichita House inglobata nella costruzione di unaPrairie House.
La Wichita House dopo il restauro.
ni elementi che presentavano danni irre-
versibili, come gli elementi lignei non più
recuperabili. Molti elementi in alluminio
erano corrosi a causa del tempo e dell’i-
nefficace trattamento di protezione anti-
ruggine imposto sul materiale metallico.
Le ricerche e le sperimentazioni
che si susseguirono negli anni trenta e
quaranta, basate sul principio della trans-
itorietà, mobilità, flessibilità, smontabili-
tà e dell’interazione con il territorio e con
l’ambiente,
sono state
e f f e t t u a t e
soprat tut to
per conto
delle forze
armate o di
enti di prote-
zione civile
interessati ad
edifici per
utilizzazioni
temporanee,
in relazione
alle calamità
naturali o a
situazioni di
emergenza,
come quella
verificatasi
in occasione
dello scoppio della seconda guerra mon-
diale. Il conflitto mondiale lasciò infatti,
tra le altre conseguenze, una grave crisi di
alloggi dovuta all’inattività edilizia del
periodo bellico, al ritorno dei veterani e
all’incremento di matrimoni e natalità.
Wilson Wyatt, nel 1946, propone il
Veterans’ Emergency Housing Act, che
prevedeva notevoli agevolazioni per i
produttori di case prefabbricate ad uso
temporaneo, ma nonostante ciò il pro-
101
Abitazione pieghevole impiegatadurante il periodo bellico. (daPrefabbricazione. Case prefab-bricate da tutto il mondo. V.Chiaia, Bari 1963).
Abitazione mobile prodotta dalla Terrapin nel 1949.(Daily Herald Archive).
gramma non ebbe il successo sperato e la
produzione di queste abitazioni non supe-
rò il 9%. Il pubblico era diffidente nei
confronti di queste nuove tipologie abita-
tive anche a causa del cattivo ricordo
delle case prefabbricate realizzate duran-
te la guerra, molto spesso con mezzi di
fortuna e quindi inaffidabili.
Un esempio significativo dell’im-
pegno di progettisti e costruttori europei
del dopoguerra in merito al problema
delle abitazioni è, senza dubbio, l’opera
del francese Jean Prouvè. In seguito a
ricerche progettuali e sperimentazioni
produttive, iniziate già negli anni trenta
su costruzioni industrializzate con preva-
lente impie-
go di lamie-
ra di acciaio,
Prouvè era
in grado di
seguire tutte
le fasi relati-
ve al proces-
so edilizio:
progetto, pro-
duzione, tra-
sporto, mon-
taggio e
smontaggio. Jean Prouvè è uno di quegli
architetti che hanno basato le loro elabo-
razioni progettuali su un approccio spic-
catamente tecnologico, imperniando il
loro lavoro sulla ricerca dei sistemi e dei
processi più idonei a soddisfare le richie-
ste e le esigenze di un’utenza proiettata
verso modelli di vita e di comportamento
non statici e cristallizzati ma dinamici e
flessibili.
Gran parte dell’esperienza di Jean
Prouvè ruota attorno al concetto di tem-
poraneità; in particolare, egli propone
soluzioni progettuali innovative proget-
tando e sperimentando l’impiego di com-
ponenti e di semilavorati industriali per la
produzione di costruzioni per l’emergen-
za. Il modulo abitativo, conosciuto come
il Pavillon 6x6, è realizzato con una strut-
tura in lamiera d’acciaio piegata, compo-
sta di due mezzi portali collegati ad una
trave reticolare di colmo. La copertura
metallica si appoggia su puntoni in lamie-
ra piegata ed è completata con una con-
102
Jean Prouvè.
Pavillon 6x6 di J. Prouvè, 1944.
trosoffittatura. Il pavimento in legno, sol-
levato da terra, è sostenuto da una inte-
laiatura metallica. Gli elementi di chiusu-
ra verticale sono costituiti da pannelli in
legno con anima in alluminio. Anche se
in alcune soluzioni sono proposti anche
pannelli metallici.
L’unità abitativa è stata concepita
per rispondere alla richiesta di 450 abita-
zioni provvisorie, avanzata dal Ministero
della Ricostruzione francese.
Il Pavillon, oggi restaurato, viene
presentato come mostra itinerante con lo
scopo di offrire un’occasione di confron-
to con un manufatto edilizio concepito
per essere reimpiegabile ed adattabile a
situazioni diverse e con i conseguenti
aspetti progettuali, produttivi e costruttivi
ad esso connessi.
Transitorio-durevole, montabile-
smontabile, adattabilità abitativa: sono i
parametri guida della sua attività proget-
tuale, volta al soddisfacimento delle esi-
genze che ancora oggi costituiscono i
temi fondamentali dell’abitabilità trans-
itoria contemporanea. Le tipologie a cas-
settiera, la copertura ad ombrello o il
tetto-tenda, caratteristico delle abitazioni
progettate per i climi tropicali, sono sol-
tanto alcune delle proposte mirate al
benessere ed alla adattabilità funzionale.
Nel 1937 la Maison du Peuple di
Clichy, in Francia, segna una data storica:
l’edificio, progettato con gli architetti
Beaudouin e Lods, è un meccano tecno-
logico ad assetto variabile, interamente
realizzato in officina, con lamiera d’ac-
ciaio pressopiegata e montato a secco in
cantiere. Una Casa del Popolo ed un mer-
cato coperto in cui un sistema di pareti e
solai mobili possono scorrere, traslare, com-
porsi, per mezzo di un raffinatissimo ma
economico apparato tecnico, trasformando
la disposizione spaziale e funzionale.
Al 1939 risale la Casa 3 x 3 m,
progettata per l’esercito, montabile da tre
uomini e con componenti trasportabili da
un solo uomo. Fu prodotta in serie in
ottocento unità, su commessa del
Ministro della Ricostruzione Dautry.
Nel 1945, progetta, insieme a P.
Jeanneret, un alloggio di emergenza
semovente. Nel 1947 De Gaulle bandisce
un concorso per nuove soluzioni abitative
103
Montaggio del Pavillon 6x6 di J. Prouvè.
per le colonie francesi. Prouvè propone la
Casa Tropicale: un sistema interamente
prefabbricato, con componenti in allumi-
nio, facilmente realizzabili, trasportabili e
montabili. Il padiglione poggia su quindi-
ci plinti in calcestruzzo che lo sollevano
da terra di circa un metro. Le pareti sono
realizzate in alluminio forato, delle
dimensioni di un metro di larghezza per
tre di altezza. I fori, del diametro di 15
cm, sono in parte protetti da vetri colora-
ti, per attenuare la luce del sole equato-
riale. L’abitazione fu aviotrasportata in
Africa a scopo dimostrativo.
La Casa Sahariana risale, invece,
al 1958: è un prototipo di abitazione per i
climi caldi che inaugura la tipologia del-
104
Alloggio di emergenza semovente progettato da P.Jeanneret e J. Prouvè nel 1945. Modulo base nella fasedi trasporto e ampliato nella fase di esercizio, (inModulo n.121, 1986).
Casa Tropicale. J. Prouvè.
Casa Sahariana. J. Prouvè.
l’edificio-involucro, facilmente trasporta-
bile e montabile. Pensata per i lavoratori
addetti ai campi petroliferi del Sahara,
l’alloggio si può considerare come una
trasposizione in metallo delle tradizionali
tende tuareg.
Una delle figure più interessanti
tra i progettisti che si sono occupati dello
studio di idonee soluzioni per i problemi
legati all’edilizia provvisoria è Karl
Koch, autore, tra l’altro, di un interessante
libro dal titolo At Home With Tomorrow, in
cui narra le sue esperienze operando nel-
l’ambito della prefabbricazione.
Nel 1945 Koch progetta, in colla-
borazione con gli architetti Callender e
Jackson, la casa pieghevole Acorn, con-
cepita per una produzione di serie da rea-
lizzare completamente in officina.
Il progetto, di concezione rivolu-
zionaria per i tempi, partiva dall’idea di
realizzare una casa pronta all’uso e che
costasse meno di una casa analoga
costruita con metodi tradizionali.
105
La casa pieghevole Acorn di K. Koch. (inPrefabbricazione. Case prefabbricate da tutto il mondo,V. Chiaia, Bari 1963.).
Fasi di montaggio della Acorn House. (inPrefabbricazione. Case prefabbricate da tutto ilmondo, V. Chiaia, Bari 1963.).
L’originalità consisteva nel fatto
che la casa, completa e ripiegata su se
stessa, caricata su un rimorchio e traspor-
tata sul luogo prefissato, doveva essere
soltanto dispiegata, facendo ruotare le
pareti ed il tetto su apposite cerniere e
avvitando i punti di contatto. Si evitavano
così gli imballaggi dei vari componenti,
riducendo anche al minimo il lavoro da
eseguire sul posto, che consisteva soltan-
to nella preparazione di otto piccoli scavi
per la posa dei plinti di fondazione in cal-
cestruzzo.
Ripiegata, la casa misurava 2,40
metri di larghezza, 6,90 di lunghezza e
2,70 di altezza. Il prototipo fu montato
nel 1948 e destò grandissimo interesse
ma non ebbe il successo che meritava,
forse a causa dell’immaturità dei tempi.
Nel ventennio compreso tra la
metà degli anni sessanta ed i primi anni
ottanta si manifesta, sia in Europa sia
negli Stati Uniti, una notevole fioritura di
idee, progetti e prototipi sperimentali ela-
borati sotto la spinta di un particolare
entusiasmo che coinvolge i progettisti del
periodo, sempre più interessati ad una
architettura svincolata dai canoni classici
dell’oggetto di architettura solido, confic-
cato nel terreno e destinato ai posteri
immutato ed immutabile. Alla base di
questa nuova tendenza non vi è soltanto
una motivazione di tipo funzionale, lega-
ta al problema delle emergenze abitative,
ma una vera e propria rivoluzione ideolo-
gica che coinvolge la società occidentale
agli inizi degli anni sessanta.
Si fa sempre più forte l’esigenza
di un nuovo stile di vita, svincolato dai
tradizionali canoni comportamentali e dai
modi di vita consueti. Un bisogno inno-
vativo profondo, portatore di istanze di
libertà, autodeterminazione, mobilità, che
rilanciano la tradizione nomadica ameri-
cana. Tutto ciò ha un’incidenza non indif-
ferente sul pensiero architettonico del
periodo, influenzando le produzioni di
106
Disegni tecnici della Acorn House. (inPrefabbricazione. Case prefabbricate da tutto ilmondo, V. Chiaia, Bari 1963.).
numerosi progettisti, interpreti di queste
nuove tendenze ed artefici di opere forte-
mente innovative, concepite sui principi
di totale mobilità, modificabilità, smonta-
bilità, trasformabilità.
Agli inizi degli anni sessanta un
gruppo di giovani archittetti fonda, insie-
me ad alcuni studenti universitari, una
nuova rivista con l’intento di liberare
l’architettura dalla tradizione moderna.
Nel 1964 esce il primo numero della rivi-
sta Archigram che rappresenta il manife-
sto ideologico del gruppo che propone,
attraverso il linguaggio degli artisti pop,
un nuovo concetto di abitare e di persare
la città. Peter Cook è l’animatore del
gruppo inglese, del quale fanno parte
anche Warren Chalk, Ron Herran e David
Greene. Quest’ultimo, nel 1966, progetta
il Living Pod, una capsula abitativa tra-
sportabile, composta di due parti: la scoc-
ca e le attrezzature. La scocca è in vetro-
resina e si sviluppa su due livelli, con
quattro aperture chiudibili ermeticamen-
te.
Le attrezzature si compongono di
due bagni con sistema di pulizia automa-
tica del corpo, un distributore di oggetti
per toilette e di vestiti usa e getta, un dis-
pensatore programmabile di cibo precon-
fezionato ed un sistema per la distruzione
elettrostatica dei rifiuti. A questo si
aggiungono supporti audiovisivi mobili
ed un sistema di climatizzazione.
L’abitazione è dotata di parti gon-
fiabili ed estensibili e prevede la possibi-
lità di connessione ad altre unità analo-
ghe.
Le esperienze condotte in questo
periodo nell’ambito delle case ad assetto
variabile diedero una forte spinta all’in-
novazione dei processi costruttivi e delle
tecnologie della modificabilità. Al 1967
risale il progetto di Alloggi mobili per
studenti sposati, di Paul Rudolph,
107
Living Pod: sezione longitudinale della capsula abitati-va. David Greene.
Modello di studio del Living Pod di David Greene.
dell’Università della Virginia, sull’idea
della Palace Mobile Home del 1945, uno
dei primi archetipi di container ampliabi-
le. Entrambi i moduli possono triplicare il
volume iniziale attraverso un sistema di
cerniere che permette il ribaltamento dei
pannelli di copertura, pavimento e chiu-
sura verticale.
Tra gli anni sessanta e settanta
Richard Rogers si fa portavoce di una
nuova tendenza nell’ambito dello studio
di moduli abitativi concepiti come abita-
zioni autonome, dotate di tecnologie
attente al risparmio energetico ed in
grado di riciclare acqua e rifiuti. Rogers
mise a punto, nel 1968, il programma Zip
Up che prevedeva la produzione di abita-
zioni sostenibili, ottenute dall’assemblag-
gio di componenti prefabbricati che,
attraverso l’impiego di pannelli scorrevo-
108
Alloggio per studenti sposati: modulo base in fase ditrasporto e modulo triplicato, in esercizio, poggiato suuna struttura lignea.
Palace Mobile Home statunitense. (Modulon.121,1986).
Zip Up House di Richard Rogers.
li e retrattili, offrivano la possibilità di
ottenere spazi differenziati e personaliz-
zati.
A questi concetti si rifanno anche
gli studenti della Scuola d’Arte di
Hornsey, in Gran Bretagna che, nella
seconda metà degli anni sessanta, pro-
pongono lo studio di un casa ampliabile,
basata sulla flessibilità degli elementi
costitutivi, ottenuta dall’integrazione di
un nucleo centrale rigido con struttura
ribaltabile in acciaio ed un sistema di
chiusure flessibile, in cloruro di vinile,
rivestito con tessuto in nylon.
Nei primi anni settanta vengono
presentate: la Casa pieghevole in plastica
di K. A. Rohe, la Casa mobile di M.
Shieldhelm e il Tilted box di Masayuki
Kurokawa, con la collaborazione di
Kisho Kurokawa e Tateo Kagaya.
La proposta di Manfred
Shieldhelm consiste in un modulo di tra-
sporto di modeste dimensioni, dotato di
una propria motrice o facilmente traspor-
tabile da un qualsiasi mezzo. In fase di
esercizio, il modulo base viene ampliato
meccanicamente ed integrato con unità
funzionali supplementari a struttura
109
Casa Mobile di M. Shieldhelm: modello in fase di eser-cizio.
La casa ampliabile progettata dagli studenti dellaScuola d’Arte di Hornsey: prospetto e vista assonome-trica.
Pianta e sezione del modulo estensibile di Shieldhelm,con struttura pneumatica integrata.
pneumatica. Tre dei pannelli di chiusura
verticale vengono ribaltati ed impiegati
come piattaforme praticabili. Un sistema
meccanico, a pistone telescopico, consen-
te l’estrazione dal volume principale di
altri volumi, con elementi di chiusura in
parte rigidi (parete esterna di fondo,
copertura e pavimento), ed in parte flessi-
bili (pareti laterali).
Il blocco cucina, rigido, ed il
blocco bagno, di tipo flessibile, vengono
estratti dai lati corti. Una struttura pneu-
matica, termicamente isolata con poliure-
tano, può essere integrata al sistema per
la creazione di spazi complementari.
La Tilted box (casa a ribalta) di
M. Kurokawa e T. Kagaya ha vinto il
primo premio al concorso internazionale
Misawa per case prefabbricate, nel 1972.
La proposta degli architetti giap-
ponesi consiste in un sistema abitativo
facilmente trasportabile e altrettanto
facilmente variabile nel proprio assetto
La Tilted Box: le configurazioni volumetriche dallafase di trasporto a quella di esercizio. (Domus514/1972).
110
Restyling della Casa Mobile di M. Shieldhelm, propo-sto dagli allievi della Facoltà di Architetturadell’Università degli Studi di Palermo. Lo studio preve-de l’impiego di materiali a basso impatto ambientale el’adozione di sistemi ad energia solare per l’approvvi-gionamento elettrico, la climatizzazione e l’uso di acquacalda sanitaria. (Corso di Progettazione Ambientale, a.a.2003-2004, docente Arch. Tiziana Firrone, Turor Arch.Carmelo Bustinto, consulenza impianti Prof. FrancescoCampione, Allievi E. Cammarata, S. Cimilluca).
spaziale e prestazionale. Il modulo base è
concepito secondo il concetto di architet-
tura containerizzata che, mediante un
adeguato sistema di cerniere, consente
una serie di ribaltamenti a catena, svilup-
pando, in fase di esercizio, un volume di
circa 75 mc, quasi doppio di quello tra-
sportato. Questo consente diverse possi-
bilità di distribuzione dello spazio abitati-
vo, in funzione delle esigenze d’uso.
L’abitazione si sviluppa su due
livelli e contiene i servizi e gli spazi
necessari ad un nucleo di 2-3 persone,
anche se è possibile l’aggregazione di più
unità, per consentire la fruizione di un
numero maggiore di utenti.
All’edizione del concorso di
Misawa del 1973 viene invece presentato
l’Equipaggiamento mobile di Hesse
Richter. Tra le proposte
dell’International Design Study on
Disaster Relief del 1974-77 dell’ICSID,
emergono il Containerized relief system
del Conestoga College of Applied Arts &
Technology in Canada e la First aid emer-
gency unit dello jugoslavo Victor
Popovic.
Nell’ambito della produzione
industriale di serie gli Stati Uniti hanno
dato un notevole contributo nello studio
di modelli derivanti dalle tradizionali
mobile-home a volume rigido. Tra questi,
di particolare interesse sono la Expando
Mobile Home della Fleetwood
111
Tilted Box: ipotesi aggregative di più unità. (Domus514/1972).
Alcune ipotesi distributive della Tilted Box. (Domus514/1972).
Expandable Mobile Homes della Guerdon Industries.
Enterprises, l’Expandable Mobile Homes
della Guerdon Industries ed alcune tipo-
logie per impieghi militari come la USA
Home dell’US-Air Force ed i containers
espandibili della Goodyear Aerospace
Corporation.
In Italia, il cresciuto interesse da
parte degli organi istituzionali, dei centri
di ricerca e del mondo della produzione,
si concretizza con lo studio, la sperimen-
tazione e la realizzazione di nuovi sistemi
abitativi, basati su tecnologie avanzate. Si
tratta di modelli di edilizia trasferibili e di
pronto impiego come la già citata propo-
sta di Rosselli, presente al Museum of
Modern Art di New York, o quella di
Marco Zanuso e R. Sapper, presentata in
occasione della Triennale.
I moduli ad ampliamento telesco-
pico, di Zanuso e Sapper, consistono in
unità abitative costruite interamente in
officina. Le dimensioni contenute e le
caratteristiche strutturali ne consentono
facile trasportabilità e stoccaggio.
Effettuata la collocazione sul terreno,
mediante sistemi di appoggio regolabili,
si ribaltano le pareti laterali, sulle quali
scivolano i due volumi, contenuti all’in-
terno del modulo base in fase di traspor-
to, consentendo così l’ampliamento dello
spazio. Il prototipo, progettato per due
persone, può essere facilmente integrato
con altre unità, fino ad ottenere alloggi
per sei persone. Ogni unità è autonoma
rispetto alle reti fisse di distribuzione e di
scarico, in quanto è dotata di riserva d’ac-
qua, serbatoio di scarico e impianto elet-
trico.
Nel 1979, sempre in Italia, vengo-
no presentati i risultati della nota indagi-
ne condotta dalla Tecnocasa (Società di
ricerche per l’edilizia industrializzata),
allora diretta da Ettore Zambelli, docente
presso il Politecnico di Milano ed ancora
oggi impegnato nella ricerca e nella spe-
rimentazione di sistemi abitativi a rapido
insediamento e ad integrale recuperabili-
tà, non strettamente vincolati alla sola
fase di emergenza. La ricerca, commis-
sionata da aziende industriali e gruppi
finanziari, costituisce uno degli studi più
approfonditi del periodo su abitazioni con
requisiti di flessibilità e trasformabilità
nel tempo; ma il Progetto Ca.Pro. (Case
112
Prototipo sperimentale dei moduli ad ampliamento tele-scopico di Zanuso e Sapper (1972).
Provvisorie), che proponeva la realizza-
zione di un sistema residenziale trasferi-
bile, non ebbe il successo sperato anche
se gran parte degli studi condotti si pos-
sono considerare sostanzialmente validi.
La stessa sorte toccò al Progetto
M.U.R.I. (Moduli Urbani a Rapido
Insediamento), della I.A.S.M., concepito
al fine di stimolare iniziative imprendito-
riali nel Mezzogiorno, per la realizzazio-
ne di sistemi costruttivi per habitat trasfe-
ribili.
Un rinnovato interesse per le abi-
tazioni provvisorie si verifica a seguito
del terremoto che colpì l’Irpinia nel
Novembre del 1980, in concomitanza con
alcuni avvenimenti su scala internaziona-
le. Non è raro infatti che, in tema di sicu-
rezza e prevenzione, l’interesse della
comunità scientifica ed il sostegno da
parte degli organi istituzionali si riattivi
solo a seguito di eventi drammatici, così
come affermava Ian Davis: ”Disasters
are agent of change” cioè “I disastri sono
il motore dei cambiamenti”. Ma, l’alto
numero di vittime, il livello dei danni
causati dal terremoto in Campania e
Basilicata ed il susseguirsi di eventi cala-
mitosi in tutto il mondo, hanno reso più
che mai evidente l’urgenza e l’importan-
za di affrontare il problema dell’emer-
genza come questione globale di rilevan-
113
Progetto Ca. Pro. (in Architetture ad assettovariabile- Modelli abitativi per l’habitat provviso-rio, di C. C. Falasca, Ed. Alinea, Firenze 2000).
te interesse e non più come fatto episodi-
co, legato al verificarsi di un singolo dis-
astro; e questo perchè gli eventi catastro-
fici non vengono più considerati un feno-
meno eccezionale ma fatti consueti.
La situazione di emergenza, crea-
tasi in occasione del sisma del 1980,
richiamò l’attenzione di progettisti e pro-
duttori di prefabbricati leggeri e di siste-
mi abitativi speciali. Mostre mercato,
convegni sul tema ed iniziative imprendi-
toriali rivolte agli operatori del settore, si
diffusero non solo in ambito nazionale
ma soprattutto sul piano internazionale.
Negli stessi anni si registra un
accresciuto interesse per i temi legati alla
qualità della vita e alla tutela dell’am-
biente.
Uno degli aspetti più interessanti
e significativi in questo periodo è, infatti,
l’affermarsi dell’idea di una concezione
più evoluta dei sistemi abitativi per inse-
diamenti provvisori, considerati fino ad
allora alla stregua di edilizia precaria,
scadente e a basso costo. Questa tenden-
za si traduce nel tentativo di migliorare le
caratteristiche tecnologiche di questi pro-
dotti edilizi, affinchè forniscano livelli
prestazionali più elevati.
Inghilterra, Svezia e Stati Uniti
rilanciano la ricerca nel settore, con parti-
colare riguardo verso le “tecnologie leg-
gere”, insostituibili non solo per far fron-
te alle esigenze di domanda abitativa,
caratterizzate dall’emergenza o da parti-
colari requisiti come la mobilità insedia-
tiva, la trasportabilità, la recuperabilità,
ma anche per la loro versatilità riguardo
le riconversioni e le razionalizzazioni
produttive.
Alla fine degli anni settanta l’ar-
chitetto americano Ray Kappe propone la
Advanced Technology House: un sistema
di moduli abitativi autosufficienti, facil-
mente trasportabili, adattabili a diverse
configurazioni spaziali e a differenti con-
testi ambientali. Sempre negli anni set-
tanta viene affrontata la problematica
delle politiche di intervento e dell’edilizia
di emergenza nel “terzo mondo”, al fine
di instaurare una cooperazione interna-
zionale per promuovere tecnologie
appropriate per i Paesi in via di sviluppo.
Il contributo più significativo è la ricerca
condotta dal 1975 al 1982 dall’agenzia
Undro (United Nation Disaster Relief
Organization), di Ginevra. L’agenzia
ginevrina per il coordinamento dei soc-
corsi in caso di catastrofe, ha il ruolo di
consulente ed informatore dei governi
delle Nazioni Unite.
I risultati della ricerca sono stati
pubblicati nel 1982 e riguardano 50 casi
di studio in tutto il mondo, dai quali
114
emerge la scarsa conoscenza, da parte dei
soccorritori, delle reali esigenze e condi-
zioni socio-culturali delle popolazioni
colpite da calamità. La critica principale
è stata quella di privilegiare la fornitura
dell’alloggio di emergenza piuttosto che
promuovere l’attivazione di un processo
edilizio che consentisse la ripresa econo-
mica del Paese.
Nel 1982, a Ginevra si inaugura
Emergency, un’importante manifestazio-
ne patrocinata dall’Undro, dall’Unicef,
dalla Inresa (International Relief Supply
Agency), dall’Icdo (International Civil
Defence Organization), dalla lega delle
Croci Rosse e delle Mezzelune Rosse1.
Tra le proposte riguardanti l’edili-
zia di emergenza, particolarmente inte-
ressante è apparso il Sistema Isoshelter,
sviluppato per un concorso organizzato
nel 1981 dalla Protezione Civile
Svizzera. Il sistema permette di realizza-
re unità abitative con una superficie utile
di 30 mq, trasportabili in una cassa della
capacità volumica di 4 mc e montabili in
pochissimo tempo. Su una piattaforma
rigida viene montata una serie di archi
metallici che fungono da struttura portan-
te, sulla quale si stendono dei pannelli
sandwich flessibili, in teli di PVC e polie-
stere, che realizzano un involucro conti-
nuo impermeabile ed isolante.
Nel 1986 Washington ospita il X
congresso del C.I.B. (Conseil
International du Batiment), con una
sezione di lavoro dedicata alla ricerca dal
titolo: Shelter for the Homelesses in
Developing Countries.
115
1 - La mostra-convegno ebbe una successiva edi-zione nel 1984 e l’anno seguente fu trasferita negliStati Uniti, al Convention Center di Washington.
Unità abitativa Isoshelter della Avithea Frutiger.(Modulo 12/’82).
Abitazione provvisoria presentata dalla torinese SpeedHouse a Ginevra nel 1982. (Modulo 12/’82).
In Italia spiccano le esperienze di
Marco Zanuso, con il sistema Spazio e
quelle di Pierluigi Spadolini sul Sistema
Abitativo di Pronto Intervento (SAPI),
cioè su sistemi che potessero dare una
risposta idonea alle necessità di interven-
ti di emergenza; o, ancora, la Istant
House di Tamino Gaudenti e Associati,
presentata alla XII mostra del Compasso
d’Oro nel 1982.
Il modulo abitativo Spazio, ripie-
gabile su se stesso, prende spunto dalle
tradizionali abitazioni indonesiane e dal
principio costruttivo a pannelli-parete
mobili che, ruotando attraverso un siste-
ma di cerniere, permettono di triplicare lo
spazio del modulo base in pochi minuti.
Il progetto SAPI del 1984, svilup-
pato e realizzato dal gruppo IRI-ITAL-
STAT, è il risultato di uno studio volto
alla qualificazione tecnologica dell’unità
abitativa, in funzione della trasportabilità
e delle variabilità di assetto, al fine di
semplificare la lunga e complessa orga-
nizzazione delle fasi di realizzazione di
insediamenti provvisori che fino ad allo-
ra aveva caratterizzato gli interventi di
emergenza.
Il progetto prevedeva la messa a
punto di un sistema abitativo in grado di
unificare in un solo tipo di unità edilizia
tutte le fasi dell’emergenza (roulotte,
container, prefabbricato), successive alla
tenda. L’unità abitativa era concepita
come modulo pluriuso (MPL) di pronto
intervento, recuperabile, opportunamente
116
Il modulo abitativo Spazio di M. Zanuso, realizzatodalla Volani. (1986).
Tipica capannai n d o n e s i a n a .(Industria dellecostruzioni n.335settembre 1999).
Progetto Sapi: trasporto di un modulo.
attrezzato, agevolmente trasportabile e
collocabile in sito senza alcuna opera di
fondazione. Facilmente montabile ed
ampliabile attraverso pareti che, ruotando
intorno ad un sistema di cerniere, triplica-
no la superficie ed il volume iniziali del
container.
I moduli, attrezzati in funzione
delle destinazioni d’uso, possono essere
impiegati come alloggi, scuole, inferme-
rie, mense o altro.
Oltre ai moduli pluriuso, il siste-
ma comprende moduli di connessione
(MCO) e moduli di servizio semoventi
(MSS), per il contenimento di generatori
117
Schema delle fasidi apertura delmodulo MPL: 1) posizionamentodel modulo chiusosul terreno tramiteslitte;2) rotazione deibracci metallici disupporto;3) ribaltamentodel piano di calpe-stio;4) ribaltamentodelle pareti longi-tudinali;5) sollevamentodei pannelli dicopertura;6) rotazione dellepareti frontali.
Elementi di connessione del sistema.
elettrici, serbatoi, centraline, potabilizza-
tori, ecc. Nonostante ciò, il sistema evi-
denzia un limitato grado di aggregabilità
dei moduli base, che non consente di
ottenere configurazioni complesse conti-
nue ma una composizione di unità abita-
tive distinte ed identiche nel loro aspetto
esteriore.
I moduli abitativi, previsti in tre
modelli dimensionali, hanno in dotazione
blocco bagno, blocco cucina, armadio
tecnico. L’impianto di climatizzazione e
l’impianto elettrico, alloggiati nel nucleo
fisso del modulo, sono a distribuzione
centralizzata.
I materiali impiegati sono: estrusi
di alluminio e acciai speciali rullati a
freddo, per la struttura portante; polieste-
118
Le tre tipologie previste per i moduli pluriuso del progetto SAPI di P. Spadolini. I moduli sono concepiti secondotre modelli dimensionali che corrispondono ad uno sviluppo in superficie di circa 44, 55 e 66 mq. (Modulo n.121,1986).
Elementi di arredo del modulo Sapi.
re rinforzato con fibre di vetro, per la rea-
lizzazione di pannelli sandwich con
anima in polisocianurato espanso, per le
pareti di chiusura esterna; laminato pla-
stico per i divisori interni con nucleo cen-
trale in sughero trattato; profilati in PVC
pigmentati con ossatura in acciaio per gli
infissi; lamiera microforata per le contro-
soffittature.
Il programma che seguì mise in
produzione ben 2000 di questi moduli, di
concezione industriale molto avanzata,
destinati a creare una dotazione fissa di
unità abitative per i centri operativi di
Protezione Civile. Furono poi prodotti in
appena 200 esemplari che sono rimasti
per anni inutilizzati nell’area di Fiano
Romano, stoccati proprio accanto all’au-
tostrada. Nel 1989 furono per la maggior
parte inviati a Spitak, in Armenia, per
creare il Villaggio Italia, realizzato per
soccorrere le popolazioni colpite dal ter-
remoto.
L’insediamento è ancora oggi pre-
sente sul territorio armeno ed i moduli
abitativi non presentano particolari segni
di degrado provocati dall’usura o dal
tempo. Soltanto l’argano, impiegato per
l’apertura dei pannelli, ha risentito qual-
che problema a causa delle basse tempe-
rature che a volte facevano bloccare gli
ingranaggi.
Sono innumerevoli gli esempi che
testimoniano l’interesse di famosi proget-
tisti di tutto il mondo per queste proble-
matiche: dalle abitazioni transitorie ad
igloo ai moduli spaziali, il mercato è oggi
ricco di proposte e soluzioni più o meno
convincenti.
Jan Kaplicky e David Nixon uti-
lizzano le tecnologie del settore aeronau-
119
Progetto Sapi: prelievo di un modulo dall’area di stoc-caggio.
Il Villaggio Italia in Armenia.
tico e spaziale per mettere a punto un pro-
getto di Casa spaziale.
Nel 1985 viene presentata la Casa
Benthem ad Almere (Olanda). Si tratta di
una struttura completamente smontabile e
rimontabile altrove, frutto di un concorso
di idee. Benthem e Crouwel progettarono
un piccolo padiglione, in acciaio e vetro,
a pianta quadrata, su una superficie di 64
mq, realizzato con elementi prefabbricati
leggeri, assemblabili a secco.
Il pavimento, sollevato da terra, poggia
su un basamento a traliccio metallico con
struttura spaziale, alto circa due metri e
collegato, tramite martinetti idraulici, a
quattro piastre in calcestruzzo, prive di
fondazioni. I pannelli sono realizzati con
una struttura a sandwich, mentre cavi in
acciaio rendono solidali il pavimento e la
copertura, irrigidita da una griglia di
travi.
Si chiama Ape Regina la cellula
abitativa a sezione ellissoidale, proposta
dallo studio CB-CR di Milano e presenta-
ta nel 1990 al Salone Internazionale
dell’Architettura di Parigi. La capsula è
studiata come un modulo abitativo di un
120
Casa Benthem. (L’Industria delle Costruzionin.168/1985).
La casa mobile di J. Kaplicky e di D. Nixon.(L’Industria delle Costruzioni n.133/1982).
prossimo futuro metropolitano, sempre
più dinamico, in cui l’uomo può muover-
si non “da casa a casa” ma “con la casa”
e questo grazie alle caratteristiche di mas-
sima mobilità della cellula, super attrez-
zata e dotata di tutte le strumentazioni
atte a garantire un microclima ideale.
La capsula è contenuta all’interno
di una macrostruttura architettonica che
ingloba altre unità, ma dalla quale ognu-
na di esse può facilmente sganciarsi per
essere trasportata altrove ed inserita in un
altro blocco madre. I moduli, alloggiati
nel corpo dell’alveare, possono avere
anche funzioni diverse di quelle abitative;
possono infatti ospitare spazi per il lavo-
ro, lo studio, il tempo libero. L’Ape regi-
na fa ritornare alla mente le utopie degli
anni sessanta, le idee rivoluzionarie degli
Archigram secondo i quali le costruzioni
dell’uomo devono essere svincolate dal
luogo, potendosi collocare in qualunque
121
La capsula del progetto Ape Regina in una simulazionedella fase di trasporto. (L’Arca n.50).
Ape Regina: accorpamento delle capsule all’interno delblocco madre. (L’Arca n.50).
territorio. Si ripropone il mito dell’archi-
tettura industrializzata, concepita con tec-
niche, materiali e sistemi tratti dalla pro-
duzione automobilistica; il mito della
casa-macchina, in cui la tecnologia pren-
de il sopravvento sull’ambiente, inseren-
do l’uomo all’interno di un alveare mec-
canico fatto di spazi abitativi studiati nei
più piccoli dettagli e di sistemi di servizio
con prestazioni sempre più sofisticate,
efficientissime e perfette ma che non ten-
gono conto delle più elementari esigenze
dell’uomo, tra cui la qualità ambientale di
spazi sempre più personalizzati e a misu-
ra d’uomo.
Lo studio trae spunto dalla propo-
sta di Luigi Pellegrin che, agli inizi degli
anni settanta, progettò per la SIR un
modulo abitativo completamente attrez-
zato, il cui prototipo fu realizzato adot-
tando le tecnologie impiegate per la
costruzione di grandi condotte in vetrore-
sina.
Anche Ettore Sottsass si è occu-
pato in passato di progettazione transito-
ria e, nel 1995, il suo team ha presentato
122
Ape Regina: sezione prospettica trasversale. (L’Arca n.50).
alcuni studi di abitazioni di tipo prefab-
bricato, con struttura prevalentemente
metallica e con caratteristiche di flessibi-
lità e versatilità.
123
Proposte di alloggi transitori, E. Sottsass Associati,1995.
4. Lo stato dell’arte
Sistemi abitativi di permanenza temporanea
Tra la fine degli anni novanta e
l’inizio del nuovo millennio il tema del-
l’architettura temporanea ha catturato lo
spirito e l’immaginazione di una nuova
generazione di architetti e designer che si
sono appassionati nella ricerca e nella
sperimentazione di nuove proposte di
sistemi mobili da assemblare e poi smon-
tare, modulare, allargare, personalizzare
secondo le più disparate esigenze.
Accanto allo studio di sistemi abi-
tativi trasferibili destinati a far fronte alle
situazioni di emergenza, oggi si riscontra
un enorme interesse per un nuovo stile di
abitare, flessibile ed in continua evolu-
zione, che riflette i mutamenti del nostro
tempo, i cambiamenti sociali e culturali,
gli spostamenti da un luogo all’altro del
pianeta, dettati dalle esigenze della new
economy, dalla precarietà della vista stessa.
Il desiderio di distinguersi in que-
sta società sempre più complessa, che
segue il flusso dei nostri tempi, si mani-
festa anche nella scelta dell’abitazione,
considerata ancora oggi uno status
symbol ma che acquisisce nuove connota-
zioni: un rifugio accogliente ma privo di
solide mura, elegante, minimalista ma
nomade e temporaneo come temporaneo
ed in continuo movimento è il nostro
nuovo stile di vita.
Secondo recenti statistiche circa il
3% delle nuove abitazioni costruite ogni
anno negli Stati Uniti sono unità modula-
ri trasferibili. In Gran Bretagna la produ-
zione di abitazioni transitorie produce un
giro di affari di circa 2,5 miliardi di euro,
con un aumento annuo progressivo del
30%.
Attualmente la progettazione di
architetture temporanee segue due ten-
denze principali: quella dei sistemi abita-
tivi a carattere umanitario e quella delle
unità modulari a carattere residenziale e
ricreativo. I sistemi abitativi per l’emer-
genza si attengono ancora oggi ai para-
metri progettuali tradizionali, legati ai
temi della leggerezza, della compattabili-
tà, della facilità di stoccaggio, trasporto e
montaggio, della reversibilità e soprattut-
to dell’economicità. Alla seconda tipolo-
gia appartengono le unità abitative che
pur rispondenti, anche queste, ai requisiti
di leggerezza, facilità di trasporto e posa
in opera, sono improntate al lusso e all’e-
leganza che si manifesta anche con l’im-
piego di materiali pregiati e tecnologica-
mente avanzati, spesso ottenuti con pro-
cessi produttivi che fanno ricorso a fonti
di energia non rinnovabili ed altamente
inquinanti. Il paradosso è che spesso si
commette l’errore di credere che basti
dotare queste abitazioni hi-tech di
impianti ad energia solare per poterle
127
definire eco-sostenibili, senza pensare
che spesso, per la loro produzione sono
state necessarie quantità enormi di ener-
gia con altrettanti quantità enormi di pro-
dotti di scarto che vengono sistematica-
mente dispersi nell’ambiente.
Parallelamente a questo tipo di
produzione esiste fortunatamente una
nicchia della quale fanno parte tutti quei
progettisti che sentono l’esigenza di fare
un passo avanti, promuovendo anche in
questo ambito un approccio ecologico per
la salvaguardia del nostro pianeta.
Impiego di materiali eco-compatibili,
riciclati e/o riciclabili, cicli produttivi a
basso consumo di energia, utilizzo di
fonti di energia altenative, sono alla base
della loro progettazione, con risultati più
che soddisfacenti.
Si riportano di seguito alcuni
esempi di sistemi abitativi a carattere
temporaneo, progettati negli ultimi anni,
seguendo le diverse tendenze sopra dette
e lasciando che ognuno di noi tragga le
proprie conclusioni.
Il giovane architetto austriaco
Oscar Leo Kaufmann si dedica da anni
allo studio sperimentale di abitazioni
flessibili ed economiche. Al 1997 risale
lo studio di sistemi modulari per unità
abitative di piccole dimensioni, realizzate
in legno e acciaio, con caratteristiche di
flessibilità, leggerezza e velocità di mon-
taggio. Il sistema FRED, elaborato insie-
me al cugino Johannes Kaufmann, è un
modulo compatto, composto di due volu-
mi inseriti l’uno dentro l’altro e che,
giunto sul luogo prefissato si espande
attraverso lo slittamento del corpo più
piccolo lungo apposite guide.
Il modulo può essere posizionato
direttamente sul terreno o può essere sol-
levato da terra per mezzo di pilotis fissa-
ti al suolo.
128
Sistema abitativo mobile FRED: sollevamento e posa inopera del modulo abitativo.
Il sistema SU-SI è invece una
struttura trasportabile e montabile in situ
in sole cinque ore. Può essere adibita a
casa unifamiliare, home addiction, uffi-
cio, spazio espositivo. Occupa un volume
di 100 mc e si sviluppa su una superficie
abitabile di 30 mq. La struttura portante è
in legno, i tamponamenti sono realizzati
con pannelli sandwich, mentre le parti-
zioni interne sono costituite dagli arredi.
129
Sistema abitativo mobile SU-SI: prospetto del modulomontato.(Materia n. 40/2003).
Sistema abitativo mobile SU-SI: interni.
Trasporto del Sistema abitativo mobile SU-SI.
Sistema abitativo mobile FRED di O. L. Kaufmann.
Sistema abitativo mobile FRED su pilotis.
Si chiama Urban Addiction la
soluzione abitativa presentata da
Kaufmann a Milano, in occasione del
Salone del Mobile. È un’abitazione di
nuova concezione per l’ambiente urbano,
costruibile ovunque e, soprattutto, monta-
bile in un solo giorno.
La casa, realizzata in legno, è alta
dodici metri e si sviluppa su una superfi-
cie di 117 mq, che può essere ampliata o
ridotta in funzione della collocazione
specifica. In collaborazione con l’archi-
tetto Johannes Norlander ha progettato
piccole abitazioni prefabbricate, confe-
zionate in kits e pronte per l’uso. Queste
abitazioni, ordinabili via internet dal
cliente, vengono consegnate in poche set-
timane e montate in poche ore.
I prototipi delle Houses A & B
sono stati presentati a Milano nel 2002.
Ancora dall’Austria arriva la pro-
posta degli architetti Rummele Simon e
Strohle Gerharduguale che hanno messo a
punto un Sistema costruttivo flessibile
ispirato ai concetti di ottimizzazione ed
efficienza, adeguabile sia alla realizza-
zione di abitazioni isolate, sia di case a
schiera e di edifici multipiano. Il sistema
prevede la realizzazione di nuclei abitati-
130
Le Houses A & B di Kaufmann e Norlander: l’ingom-bro di un modulo è pari a quello di un posto macchinadi un comune parcheggio cittadino.
Le Houses A & B di Kaufmann e Norlander esposte aMilano.
Le Houses A & B di Kaufmann e Norlander esposte aMilano.
vi ottenuti dalla composizione di elemen-
ti prefabbricati e standardizzati, inseriti
all’interno di una struttura base sempre
uguale.
Le unità prefabbricate contengo-
no l’intero sistema tecnologico di funzio-
namento dell’abitazione; le tecnologie
passive sono integrate da un impianto ad
aria, con recupero di calore regolato da
un termostato computerizzato, da uno
scaldacqua e da un sistema di accumulo
dell’energia solare. Le pareti di tampona-
mento, opportunamente isolate e comple-
te di finestre e rifiniture interne, sono rea-
lizzate con pannelli in legno, nella parte
interna mentre, esternamente, sono rive-
stite con lastre di resina fenolica antiurto
e antigraffio. I blocchi scala, anche questi
prefabbricati così come i balconi, sono
realizzati in vetroresina.
131
Sistema costruttivo flessibile: posa in opera delle pare-ti di tamponamento. (Detail 4/2001).
Sistema costruttivo flessibile: fasi di montaggio deimoduli. (Materia n.40/2003).
Il Sistema costruttivo flessibile applicato alla realizza-zione di un’abitazione familiare. (Materia n.40/2003).
Sistema costruttivo flessibile: trasporto degli elementiprefabbricati. (Detail 4/2001).
Il 2002 è un anno molto proficuo
in fatto di ricerca e sperimentazione nel-
l’ambito dell’architettura temporanea e
non poteva mancare la proposta del noto
architetto Michael Jantzen, direttore ese-
cutivo del HSII (Human Shelter
Innovation Institute). Si tratta di un istitu-
to no-profit, che ha lo scopo di individua-
re soluzioni alternative al problema delle
abitazioni temporanee, con particolare
riferimento all’impiego di materiali e tec-
nologie innovative, per la realizzazione
di unità abitative a basso costo, autosuffi-
cienti dal punto di vista energetico ed
eco-compatibili.
Il progetto di Jantzen si chiama
Hide Away House ed è composto da gusci
realizzati con pannelli che, ruotando
attraverso un sistema di cerniere, genera-
no spazi con differenti volumetrie in fun-
132
Hide Away House di Michael Jantzen.
Abitazione unifamiliare Ott, realizzata a Voralberg, in Austria, con il Sistema costruttivo flessibile. (Materian.40/2003).
zione delle necessità dell’utenza. I gusci
contengono anche i sistemi per l’imma-
gazzinamento dell’energia ottenuta attra-
verso l’uso di fonti rinnovabili quali il
sole ed il vento. Sono compresi anche
sistemi per il trattamento dei rifiuti e la
depurazione dell’acqua.
Sempre nel 2002, il Vitra Design
Museum di Berlino organizza la mostra
itinerante Living in Motion: Design and
Architecture for Flexible Dwelling. La
mostra ripercorre, ad ampio raggio, le
tematiche della flessibilità e della mobili-
tà e propone disegni, progetti, prototipi,
ma anche minicase, camper, abitazioni
galleggianti. Il risultato di un secolo di
ricerche sul tema del design e dell’archi-
tettura flessibile.
Il camper Markies di Eduardo
Bohtlingk è solo una delle tante opere
presentate alla mostra; è un sistema misto
in cui la parte rigida, che costituisce il
nucleo centrale trasportabile, si integra
con un sistema flessibile con apertura a
ventaglio che permette l’ampliamento
dello spazio fruibile.
Il progetto ricorda molto il già
citato alloggio di emergenza proposto
dagli allievi dell’Istituto Superiore per le
industrie Artistiche di Roma, vincitore
del Compasso d’oro nel 1979.
Al nomadismo contemporaneo è
dedicato il NeEW PAD: Norhsouth east
west - personal adaptable dwelling, nato
nel 1998 dalla collaborazione di
OPENoffice/cOPENhagen Office e pre-
sente, anche questo, alla mostra Living in
Motion. Nasce da una ricerca sulle regio-
ni del Nord Greenland, abitate dal popo-
lo nomade degli Inuit. Il modulo abitati-
vo è, infatti, il prototipo di un’abitazione
nomade, realizzata con materiali leggeri
e facilmente assemblabili, adatti a diver-
se condizioni climatiche e di ampia fles-
133
Camper Markies di Eduard Botlingk.
Camper Markies di Eduard Botlingk.
sibilità funzionale. Lo spazio viene con-
fezionato su ordinazione, come se si trat-
tasse di un capo di abbigliamento, secon-
do le esigenze del committente che fa le
proprie scelte attraverso un sito internet e
riceve la sua abitazione racchiusa in una
cassa di 83x143x203 cm. Un sistema di
pannelli in alluminio a nido d’ape, incer-
nierati, costiuisce il kit per il montaggio
che avviene in un solo giorno.
L’ambiente si sviluppa su una superficie
di 3,00x1,80 mq, con un’altezza di 2,00 m.
Sembra una navicella spaziale
posatasi sul tetto di una casa la micro
architettura progettata dal giovane desi-
gner tedesco Werner Aisslinger. Ispirato
ai progetti delle case del futuro degli anni
sessanta-settanta, quando si pensava che
lo sviluppo tecnologico potesse risolvere
tutti i problemi dell’umanità, il LOFT-
CUBE è un’unità abitativa mobile del
peso di 2,5 tonnellate con uno sviluppo
planimetrico di 36 mq di superficie abita-
bilie. Il modulo si può trasportare con l’e-
licottero o sollevare con una gru ed
installare sui tetti degli edifici cittadini,
collegandosi agli impianti tecnici dell’e-
134
LOFT-CUBE di Werner Aisslinger. Berlino, 2003.
NeEW PAD.
Le fasi di montaggio del NeEW PAD.
dificio che lo ospita. I materiali impiega-
ti sono acciaio, legno, laminati plastici e
nuovi prodotti con elevatissime caratteri-
stiche prestazionali come il corian, bre-
vettato dalla DuPont. Le grandi pareti
vetrate sono in PMMA (polimetilmetacri-
lato), trasparente o opaco e possono esse-
re schermate con frangisole in legno. La
suddivisione delle partiture interne ed
esterne può essere personalizzata dall’u-
tente, anche in funzione della diversa
destinazione d’uso del modulo, previsto
in due versioni: abitazione ed ufficio. In
entrambe le versioni l’unità abitativa pre-
senta un aspetto molto elegante e lussuo-
so. Si prevede anche la possibilità di col-
locare una piccola piscina in copertura. Il
prototipo è stato presentato a Berlino nel
2003.
L’idea di trasportare un’abitazio-
ne con l’elicottero non è affatto nuova se
pensiamo all’architetto finlandese Matti
Suuronen che, nel 1968, presenta il pro-
totipo di una casa per vacanze in polie-
stere, a forma di “UFO”, di 8 metri di dia-
metro e 4 di altezza, sorretta da appoggi
regolabili e trasportabile in elicottero
ovunque.
Circa 50 esemplari furono acqui-
stati e spediti in tutto il mondo.
135
LOFT-CUBE di Werner Aisslinger. Berlino, 2003. (ren-der realizzato dallo studio Aisslinger).
Interni del LOFT-CUBE di Werner Aisslinger. Berlino,2003.
Anche Marcin Panpuch propone
un modulo abitativo da collocare sui tetti
degli edifici ma questa volta il modello
ispiratore è la Dymaxion House di
Richard Buckminster Fuller. Si chiama
Advanced Portable Spherical Dwelling
ed è un modulo sferico realizzato con tec-
nologie sofisticate che lo rendono anche
galleggiabile. Anche qui, come nella
136
Esploso dell’Advanced Portable Spherical Dwelling diMarcin Panpuch.
Interni della Casa del Futuro di Matti Suuronen, 1968.
Esploso dell’Advanced Portable Spherical Dwelling diMarcin Panpuch.
Casa del Futuro di Matti Suuronen, 1968.
Dymaxion House, un nucleo centrale fa
da fulcro a tutto il sistema abitativo che si
sviluppa su tre livelli. Le scale, la cucina,
la camera da letto e il bagno sono inseriti
all’interno del nucleo centrale, mentre il
resto dell’abitazione è organizzata come
un open space ad ampia flessibilità distri-
butiva, in funzione delle diverse esigenze.
Il gruppo degli Alchemy
Architects, fondato da Geoffrey Warner,
propone invece un sistema di prefabbri-
cazione che permette di realizzare una
linea di moduli abitativi compatti, facil-
mente trasportabili e pronti per essere uti-
lizzati secondo le necessità. Queste unità
abitative, chiamate Wee-Houses, possono
essere impiegate come uffici, abitazioni,
bueaurou, ecc. e possono essere collocate
137
Fase costruttiva e trasporto di un modulo Wee-House.
Arado Wee-House (Alchemy Architects).
Assemblaggio di due unità Wee-House.
su qualsiasi tipo di terreno ed anche sui
tetti delle abitazioni.
La struttura è realizzata in acciaio
e legno e molti materiali utilizzati sono
naturali e riciclabili. Una particolare
attenzione è anche rivolta al risparmio
enegetico.
Porta la data del 2004 il prototipo
della Rotor Hause, progettata da Luigi
Colani per la casa tedesca Hanse Hause.
All’interno dell’abitazione, di 36 mq, è
inserito un cilindro in vetroresina che
ingloba gli ambienti per la cucina, il ripo-
so e la cura del corpo; attraverso la rota-
zone del cilindro è possibile utilizzare
uno dei tre ambienti, accessibili dal
living.
Continuando la nostra indagine
sulla storia e sull’evoluzione nel tempo
dei sistemi di abitazione temporanea,
arriviamo al 2005, con il progetto di
Jeffrey Warren, denominato SHRIMP
ovvero, Sustainable Housing for Refuges
via Mass Production. L’intento del pro-
gettista è quello di trovare una soluzione
idonea alla produzione seriale e massiva
di unità abitative compattabili in un volu-
me molto contenuto al fine di aumentare
il più possibile il numero dei moduli da
138
Il modulo SHRIMP di Jeffrey Warren.
Il cilindro contenente i trespazi funzionali è realiz-zato in vetroresina.
Rotor House di Luigi Colani.
trasportare. L’unità abitativa SHRIMP
occupa infatti, nella sua configurazione
compattata, solo un quarto del volume di
un container per il trasporto marittimo.
Ancora nel 2005 Richard Horden
progetta il Micro Compact Home m-ch,
un modulo leggero e compatto, adattabile
a differenti tipologie di siti e di circostan-
ze. Il progettista si è avvalso delle tecno-
logie dell’industria aeronautica ed auto-
mobilistica, ottenendo un prodotto di alto
livello tecnologico che è stato sperimen-
tato alla Technical University di Monaco
dove, per l’occasione, è stato allestito un
piccolo villaggio per gli studenti del cam-
pus universitario i quali hanno potuto
testare personalmente le caratteristiche
dei moduli.
Ogni unità abitativa può ospitare
uno o due persone e si sviluppa su due
livelli con un volume complessivo di
2,65 mc. Al primo livello la zona giorno
è composta da un tavolo, un angolo cot-
tura ed un bagno; il secondo livello è
invece occupato da un letto a due piazze.
Sistemi telematici e schermi al plasma
139
Il modulo m-ch di Richard Horden.
La zona notte del modulo m-ch.
Il piccolo campus realizzato alla Technical University diMonaco.
Trasporto del modulo m-ch di Richard Horden.
completano la dotazione del modulo. Il
progetto è stato presentato anche al
Grand Designs Live 2006 in Inghilterra.
Sempre ispirato al piccolo cubo è
il Golden Cube che Horden vorrebbe far
galleggiare sulla laguna di Venezia. Il
modulo, anche questo di 2,6 mc, è pensa-
to in alluminio anodizzato dorato ed è
fornito di pannelli solari per l’approvvi-
gionamento elettrico.
L’architetto canadese Todd
Sanders ha presentato a Toronto, nel
2005, il Blue Sky Mod, realizzato con
materiali locali e riciclati e con tecnolo-
gie costruttive basate sul concetto del
risparmio energetico.
Il PAC (Padiglione dell’Arte
Contemporanea) di Milano ha ospitato,
nella primavera del 2006, la mostra
LESS-Strategie alternative dell’abitare,
in cui sono state raccolte alcune delle
proposte più interessanti sul tema dell’a-
bitare contemporaneo. Spazi flessibili, ad
assetto variabile, adatti a situazioni di
mobilità, eventualmente di crisi o di
emergenza, esprimono l’opera di diciotto
artisti su un tema che, negli ultimi decen-
ni ha occupato un grande spazio nell’am-
bito della ricerca e della sperimentazione.
Dallo storico, già citato,
Homeless Vehicle di Krzystof Wodjczko
allo Smail Shell System dei danesi N55,
che riunisce casa e mezzo di trasporto in
un modulo a forma di bobina che rotola e
Smail Shell System. N55. (Catalogo LESS-Strategiedell’abitare, 5 continent edition, Milano 2006).
Il Golden cube di Richard Horden.
140
Il Blue Sky Mod di Todd Sanders.
galleggia, adattandosi a diverse situazioni.
Tra le sperimentazioni artistiche
sul tema dell’abitare si inseriscono anche
le poetiche gocce dell’olandese Dree
Wapenaar, piccole tensostrutture sospese
sugli alberi come nidi.
Nel 2006 è stato realizzato il pro-
totipo della Vivienda de Emergencia Para
Casos Catastroficos, progettata nel 2005
dagli architetti cileni dello studio Cubo
Arquitectos. È un modulo abitativo di
emergenza da impiegare in caso di cala-
mità naturali.
L’idea dei progettisti nasce dall’e-
sigenza di ottenere un sistema abitativo
realizzabile attraverso l’adozione di pro-
dotti standardizzati, già esistenti sul mer-
cato, che vengono inviati sul posto diret-
tamente dai produttori e quindi assembla-
ti in brevissimo tempo.
Sempre dal Cile arriva la proposta
di un modulo trasportabile, adattabile a
Treent, le piccole unità abitative proposte da DreeWapenaar nel 1998. (Catalogo LESS-Strategie dell’abi-tare, 5 continent edition, Milano 2006).
Il Doors Prototype montato a Santiago del Cile nel2006. (Studio Cubo Arquitectos).
Esploso dei componenti del Doors Prototype. (StudioCubo Arquitectos).
141
Tavole di progetto del Doors Prototype. (Studio CuboArquitectos).
qualsiasi tipo di terreno e pronto per esse-
re abitato. Si chiama Casa Minga ed è
stato progettato dagli architetti Francisco
Vergara e Alejandro Dumay, dello studio
F3 Arquitectos. Il modulo è stato conce-
pito in sette configurazioni diverse che
possono essere scelte dagli acquirenti
insieme ad i materiali da utilizzare per la
realizzazione dell’unità abitativa.
Posizionamento del modulo abitativo Minga. (F3Arquitectos).
Modulo abitativo Minga. (F3 Arquitectos).
142
5. La sostenibilità delle scelte tecnologiche e costruttive nell’impatto con le risorse ambientali:
l’esperienza di Shigeru Ban nella progettazione di sistemi abitativi transitori
di Carmelo Bustinto*
Paper Log House, Kobe 1995.
Sistemi abitativi di permanenza temporanea
* Carmelo BustintoArchitetto, è dirigente all’Assessorato al
Turismo, Comunicazioni e Trasporti dellaRegione Siciliana.
Cultore della materia di ProgettazioneAmbientale presso la Facoltà di Architettura diPalermo, ha scritto numerose pubblicazioniscientifiche in ambito nazionale ed internazionalesu temi di ricerca relativi all’architettura tempo-ranea e alle problematiche connesse alla soste-nibilità ambientale.
Attualmente collabora al corso diProgettazione Ambientale, tenuto dalla Prof.ssaT. Firrone, nell’ambito del corso di laurea inArchitettura a ciclo unico 4S, presso la Facoltà diArchitettura di Palermo.
Il concetto di sviluppo sostenibi-
le professa un corretto ed oculato utilizzo
delle risorse disponibili nel rispetto del-
l’ambiente. È ormai noto a tutti che, nel
settore della produzione industriale, quel-
la edilizia è tra le attività che comportano
i più elevati consumi energetici, in parti-
colare nella fase di produzione dei mate-
riali e delle energie necessarie alla realiz-
zazione di componenti e sistemi per l’e-
dilizia in genere.
Per produrre una parete perime-
trale in legno sono sufficienti 6 kWh/mc,
per ottenere lo stesso comfort col lateri-
zio ne servono 150 e se scegliamo invece
il calcestruzzo arriviamo a 225. Per le
finestre in legno la differenza è ancora
più macroscopica, passando dagli 8 ai
250 kWh/mq per le finestre in materiale
sintetico e 800 per quelle in alluminio. E
ancora, per realizzare la copertura di un
tetto con paglia o canne, bastano 3
kWh/mq, contro i 70 se si utilizza la
lamiera zincata, 100 per il rame, 250 per
il piombo, 350 per l’alluminio. A tutto
questo viene aggiunta l’energia necessa-
ria per il trasporto dal luogo di produzio-
ne a quello di realizzazione. Il processo
produttivo, inoltre, provoca inquinamento
che, nel caso di materie plastiche, lane
minerali, cemento, alluminio, ferro, rame,
piombo, ecc., risulta piuttosto consistente.
La bio-architettura promuove da
tempo la ricerca e la sperimentazione di
criteri operativi ed ipotesi progettuali per
un “costruire ed abitare secondo i para-
metri della qualità ecologica”. Questo
comporta l’impiego di materiali e prodot-
ti a basso dispendio energetico, sia in fase
di produzione sia in fase di collocazione,
privi di emissione di sostanze nocive nel
tempo, di facile manutenibilità e con
caratteristiche di riutilizzo e di riciclag-
gio; e non solo: è indispensabile anche
fare riferimento alle materie prime rinno-
vabili o il più possibile di derivazione
naturale.
Questi criteri operativi coinvolgo-
no, ovviamente, anche la progettazione di
sistemi abitativi transitori per i quali
molto spesso, nel passato, sono stati
impiegati materiali che hanno dimostrato
una nocività diretta sull’utenza. Molte
tipologie abitative, ancora oggi in produ-
zione ed in uso, sono realizzate con mate-
riali plastici scarsamente controllati o che
prevedono trattamenti superficiali che
possono risultare dannosi a causa della
nocività delle polveri emesse o delle esa-
lazioni o, ancora, per il rischio di infiam-
mabilità e tossicità in caso di incendio. I
pavimenti vinilici, ad esempio, presenti
in alcuni prefabbricati, hanno provocato
ripetute irritazioni e arrossamenti agli
145
occhi, in coincidenza con il riscaldamen-
to degli ambienti nella stagione invernale.
Abitazioni provvisorie di partico-
lare interesse, sia per la scelta di alcuni
materiali, sia per la tecnica impiegata per
la loro realizzazione, sono le Paper Log
Houses progettate dall’architetto giappo-
nese Shigeru Ban. Si tratta di unità abita-
tive di emergenza, messe a punto in occa-
sione di tre grandi terremoti che hanno
colpito il Giappone, la Turchia e l’India.
Le Paper Log Houses, si sono rivelate
un’ottima soluzione per rispondere alle
esigenze abitative di centinaia di famiglie
rimaste senza tetto.
Nel gennaio del 1995 un violento
sisma si è abbattuto sulla città di Kobe, in
Giappone, provocando la morte di più di
5.000 abitanti e la quasi totale distruzione
della città. I requisiti principali presi in
considerazione da Ban per le abitazioni
progettate in quell’occasione prevedeva-
no la scelta di materiali economici, la
semplicità del sistema costruttivo, un
buon isolamento termico e la gradevolez-
za estetica. Furono quindi realizzate pic-
cole case con materiali per lo più reperi-
bili in loco, quasi completamente ricicla-
bili ed al costo di appena 250 mila yen
(poco più di 2.200 euro).
Insediamento di emergenza realizzato con le Log Houses di Shigeru Ban. Kobe 1995.
146
L’abitazione si sviluppa su una
superficie di 16 mq, occupata da un unico
ambiente e delimitata da pareti realizzate
con tubi di cartone riciclato, del diametro
di 108 mm, con spessore di 4 mm.
I tubi, resi impermeabili con un
bagno di resina, sono stati incollati a
pressione, l’uno all’altro, con un nastro di
spugna adesiva impermeabile che assicu-
ra la resistenza alle infiltrazioni d’acqua.
Le fondazioni sono realizzate con
casse di bottiglie di birra riempite con
sabbia. La copertura ed il controsoffitto
sono ottenuti con tende in PVC, con
intercapedine vuota ed opportune apertu-
re, predisposte in corrispondenza dei tim-
Esploso assonometrico.
147
Fasi costruttive della paper log house. (foto tratta daShigeru Ban di Matilda McQuaid, Phaidon PressLimited 2003).
pani, che consentono la circolazione del-
l’aria ed il raffrescamento dell’ambiente
interno in estate e l’immagazzinamento
dell’aria calda in inverno.
Per nuclei familiari più grandi, o
per esigenze di diversa natura, è possibi-
le collegare due unità abitative attraverso
un modulo di due metri di larghezza, che
costituisce un disimpegno tra i due
ambienti, mediante il quale collegare le
coperture.
Ecco come il progettista parla
della sua opera: ”Ho immaginato delle
case esteticamente accettabili a basso
costo, di facile e rapida costruzione, rea-
lizzate con materiali termoisolanti, sem-
plici da smontare e riciclabili...Credo che
148
Le paper log houses allestite a Kobe.
Fotografia dell’interno (foto tratta da Shigeru Ban diMatilda McQuaid, Phaidon Press Limited 2003).
la “log house” potrà risolvere i numero-
si problemi che ogni ente locale ha fino-
ra incontrato nelle situazioni di emergenza.”.
La prima unità venne costruita, da
un team di volontari, nel Minamikomae
Park a Kobe; l’abitazione risultò vera-
mente economica e molto più facilmente
assemblabile di altri sistemi a carattere
temporaneo; inoltre, il fatto di possedere
buone caratteristiche di riciclabilità, ha
contribuito enormemente al successo del
progetto, tanto che l’architetto ricevette
l’incarico di realizzarne circa trenta per il
Giappone ed il Vietnam.
L’unico aspetto forse poco tenuto
in considerazione dal progettista è stato
l’impiego del PVC per la realizzazione
delle tende di copertura, essendo questo
un prodotto che non risponde affatto ai
requisiti che caratterizzano un materiale
cosiddetto “ecologico”, sia per la sua
natura sintetica (e quindi non biodegrada-
bile), sia per l’enorme consumo energeti-
co richiesto per la sua produzione; inol-
tre, il PVC, come quasi tutte le materie
plastiche oggi in commercio, è un pro-
dotto ottenuto dalla lavorazione del
petrolio che, com’è noto, costituisce una
fonte di energia in esaurimento. Esso,
infine è difficilmente riciclabile e, se sot-
toposto a riscaldamento può emettere
sostanze nocive all’organismo umano.
Quattro anni dopo Ban partecipò
ai soccorsi nella Turchia occidentale,
dove un catastrofico terremoto causò più
di 20.000 morti e 200.000 senza tetto. In
quell’occasione vennero realizzate abita-
zioni di emergenza, con la collaborazione
dell’organizzazione volontaria locale e
con il supporto economico dei privati.
Sebbene basate sulla tipologia
impiegata a Kobe, le condizioni climati-
che e lo stile di vita locali, imposero alcu-
149
Volontari impegnati nella realizzazione delle fondazio-ni di alcuni alloggi di emergenza in Turchia. (foto trat-ta da Shigeru Ban di Matilda McQuaid, Phaidon PressLimited 2003).
Costruzione della copertura. (foto tratta da ShigeruBan di Matilda McQuaid, Phaidon Press Limited2003).
ne modifiche: la tipologia, infatti, presen-
tava una configurazione un pò più grande
(con una superficie di 3,00 x 6,00 m), in
funzione del maggior numero di compo-
nenti il nucleo familiare. Era necessario,
inoltre, un maggiore isolamento termico
rispetto a quello previsto per le abitazioni
di Kobe; i tubi di cartone delle pareti
furono pertanto riempiti con carta ricicla-
ta e la copertura venne protetta con uno
strato di vetroresina; oltre alla sigillatura
del telaio delle finestre, furono impiegati
fogli di cartone e di plastica per aumenta-
re l’isolamento termico, in funzione delle
esigenze dei fruitori. In un mese dal tra-
gico evento furono realizzate circa settan-
150
Insediamento di emergenza a Kaynasli, Turchia 1999. (foto tratta da Shigeru Ban di Matilda McQuaid, PhaidonPress Limited 2003).
Interno di una paper log house realizzata in Turchia.
ta abitazioni, con l’aiuto dei volontari del
luogo e degli allievi architetti dello stesso
progettista.
Il 26 gennaio del 2001 l’India
subì il più grave terremoto della sua sto-
ria. Oltre 20.000 persone morirono e più
di 600.000 furono i senza tetto a causa di
una scossa, di magnituto 7.9, con epicen-
tro a Bhuj, nell’ovest dell’India.
Anche in questo caso Ban adope-
rò tubi di cartone per le pareti di una
struttura di 3,20 x 4,90 mq, ma incontrò
alcune difficoltà per trovare i materiali
adatti per le fondazioni e la copertura. Le
casse di bottiglie di birra furono utilizza-
te con successo in Giappone e in Turchia
ma era impossibile trovarle a Bhuij. Alla
fine si decise di utilizzare, per le fonda-
zioni, le macerie delle abitazioni distrut-
te, sulle quali imporre il tradizionale
pavimento in terra cruda battuta.
Per l’orditura della volta di coper-
tura furono utilizzate canne di bambù:
intere per le travi di colmo e tagliate a
metà, in senso longitudinale, per le costo-
lonature trasversali; su queste è stata
151
Piante e sezioni della paper log house realizzata in Turchia. (foto tratta da Shigeru Ban di Matilda McQuaid,Phaidon Press Limited 2003).
posta una stuoia intessuta realizzata con
canne locali, seguita da un telo di plastica
trasparente, a protezione dalla pioggia e
da una successiva stuoia di canne.
La ventilazione avviene attraver-
so i timpani, dove piccoli fori realizzati
sulle stuoie permettono all’aria di circola-
re. Questa ventilazione consente inoltre
di cucinare all’interno dell’abitazione,
con il vantaggio di ridurre la presenza di
mosche e zanzare.
Riferimenti Bibliografici
Falconieri V., “Una drammatica testimonianza
sul terremoto di Kobe del ‘95”, in I Quaderni
Lifeventuno. Per un dialogo sulla qualità della
vita. Ambiente, risparmio, emergenza. Anno I,
n.2, agosto/novembre 2003.
McQuaid M., Shigeru Ban., Phaidon Press
Limited 2003.
Terzi G., “La città di cartone”, in I Quaderni
Lifeventuno. Per un dialogo sulla qualità della
vita. Ambiente, risparmio, emergenza. Anno I,
n.2, agosto/novembre 2003.
Siti web
http://www.shigerubanarchitects.com
http://www.keio.ac.jp
152
Le paper log houses in India. (foto tratta da Shigeru Ban di Matilda McQuaid, Phaidon Press Limited 2003).
6. Sistemi abitativi trasferibili e criteri di progettazione per nuovi insediamenti temporanei
di Giuliana Leone*
Sistema SAPI
Sistemi abitativi di permanenza temporanea
* Guliana LeoneLaureata in Architettura presso l’Università
degli Studi di Palermo, ha discusso una tesi daltitolo L’architettura temporanea nell’ottica dellasostenibilità e della reversibilità ambientale.
Ha svolto attività di tirocinio presso l’AgenziaRegionale Protezione Ambientale - RegioneSicilia, avente come oggetto lo studio sui mate-riali e tecniche costruttive riferite alla realizzazio-ne di edilizia eco-sostenibile. Attualmente è cul-tore della materia di Laboratorio I di Costruzionedell’Architettura e collabora al corso diProgettazione Ambientale tenuto dalla Prof.ssa T.Firrone, nell’ambito del corso di laurea inArchitettura a ciclo unico 4S, presso la Facoltà diArchitettura di Palermo.
Con il termine “insediamento” si
indica “l’insieme dei fatti e degli aspetti
connessi alla distribuzione e al raggrup-
pamento delle dimore dell’uomo sulla
Terra”1. La modalità di occupazione di
un territorio da parte di una collettività è
frutto sia di fattori di natura geografico-
ambientale, sia di fattori di natura etnico
-culturale. Il fine è quello di consentire lo
svolgimento delle funzioni necessarie
alla vita e alla nascita di relazioni socio-
politiche più o meno complesse, che nel
tempo determinano lo sviluppo di un
società.
Tradizionalmente si distinguono
due differenti forme di insediamento: una
permanente che si sviluppa a partire dal
Neolitico quando l’uomo, divenuto agri-
coltore, si stanzia in un luogo e inizia ad
organizzarsi in strutture socio-politiche
complesse; l’altra temporanea, la più
antica, che è tipica delle popolazioni
nomadi e affonda le sue radici nell’orga-
nizzazione sociale e produttiva delle
comunità del Paleolitico e del Mesolitico.
L’uomo primitivo, infatti, organizzato in
comunità di cacciatori-raccoglitori, è
costretto, per la propria sopravvivenza, a
spostarsi periodicamente alla ricerca di
terreni ospitali ricchi di vegetazione e di
selvaggina. I suoi insediamenti sono
costituiti, inizialmente, da ingressi di
grotte o da luoghi riparati e, successiva-
mente, da stazioni all’aperto realizzate
con costruzioni leggere, a volte trasporta-
bili. Il nomadismo della fine dell’epoca
glaciale ha continuato il suo cammino nel
tempo, ed ancora oggi, in alcuni casi, i
discendenti di queste comunità continua-
no a vivere in insediamenti temporanei
realizzati con le più svariate forme di
riparo. La tradizione nomade, anche se
spesso tenuta ai margini della società, è
sempre stata una presenza incisiva nella
storia dell’uomo. Si tratta di pastori
(mongoli, beduini, ecc.) o di cacciatori
(boscimani, tribù africane e amazzoniche,
ecc.), nomadi per necessità derivante da
esigenze di sopravvivenza; ovvero di
comunità di rom e sinti, nomadi per
retaggio culturale.
La civiltà europea, fortemente
legata all’idea di stabilità nel luogo e nel
tempo, ne ha sempre preso le distanze,
restando insensibile a stili di vita differenti.
In Italia si comincia a parlare di “campi
nomadi” all’inizio degli anni settanta
quando, con alcune disposizioni ministe-
riali, si invitano i comuni “ad esaminare
la possibilità di realizzare, in appositi
terreni, campeggi attrezzati con i servizi
155
1- Dizionario della lingua italiana Devoto Oli.
essenziali, al fine di consentire che la
sosta dei nomadi si svolga nelle migliori
condizioni igieniche possibili”. Si comin-
cia così a concentrare tutti gli zingari del
territorio in un’area che, almeno inizial-
mente, non è affatto attrezzata, ma è solo
l’unico posto dove è loro permesso stare.
Si tratta in genere di ritagli di terreno di
nessun valore, alle estreme periferie delle
città, talvolta addirittura di discariche, nei
cui pressi è frequente trovare accampa-
menti zingari.
La maggior parte delle Leggi
Regionali, approvate negli ultimi dieci
anni, si proclama a “tutela dell’etnia
rom” e prevede la costruzione di campi
attrezzati e regolamentati. Il concetto
stesso di campo, in realtà, contrasta aper-
tamente il proponimento di base, in quan-
to sconvolge l’elemento fondamentale
della cultura rom, che si basa sulla flessi-
bilità delle relazioni e delle strutture.
Nel contesto europeo del XX
secolo, invece, la presenza di insedia-
menti temporanei si riferisce essenzial-
mente a situazioni di emergenza abitativa
legata al verificarsi di eventi calamitosi.
Oggi, però, è sempre più diffusa l’idea
che tali insediamenti possano costituire
una rapida ed adeguata risposta alla con-
tinua e frequente domanda di spazi, desti-
nati a impieghi non permanenti e mute-
voli nel tempo. La società moderna è,
infatti, caratterizzata da una crescente
instabilità sociale e da una continua evo-
luzione economica. Ciò comporta nuove
esigenze di mobilità nel territorio, sia in
termini di necessità abitativa, sia in ter-
mini di localizzazione di strutture turisti-
che, commerciali o edonistiche.
I continui cambiamenti delle esi-
genze e delle mode, i flussi di migrazione
di popolazioni in fuga dai loro paesi di
origine, gli spostamenti stagionali di stu-
denti universitari, le manifestazioni di
massa, l’allestimento di mercati, di fiere
espositive e di eventi sportivi, ecc., sono
realtà con le quali, ormai, è uso comune
confrontarsi. Uno degli elementi chiave
di queste nuove tendenze è il dato tempo-
rale: le esigenze cambiano velocemente e
di conseguenza anche le risposte devono
essere date in tempi brevi. Se prima, nel-
l’ottica della stabilità della domanda di
servizi e funzioni, si preferiva costruire
strutture e insediamenti permanenti, oggi,
essendo tale richiesta variabile nello spa-
zio e nel tempo, si è più propensi a rea-
lizzare opere che, in un futuro, possano
essere facilmente e in breve tempo adat-
tate a nuove funzioni o dismesse. Il
nuovo orientamento è ancor più giustifi-
cato dalla continua saturazione dello spa-
zio costruito. Infatti, la realizzazione di
156
nuove opere localizzabili in maniera
duratura nel territorio, comporta un’alte-
razione dell’assetto di quest’ultimo diffi-
cilmente reversibile, se non a costo di
notevoli oneri economici.
Se lo spazio disponibile è limitato
e la domanda è instabile, una valida solu-
zione al problema potrebbe essere,
appunto, quella di realizzare dei sistemi
insediativi temporanei, caratterizzati da
un dato costante e da un insieme di varia-
bili. Tale tipologia di insediamento sarà
quindi composta da una matrice, costitui-
ta dalle necessarie opere infrastrutturali,
su cui collocare i moduli abitativi (varia-
bile del sistema), con destinazione d’uso
modificabile in funzione della domanda.
L’insediamento potrà così essere facil-
mente dismesso o convertito a nuova
destinazione d’uso, sostituendo i moduli
transitori o modificandone l’organizza-
zione spaziale.
I containers, in particolare, posso-
no essere utilizzati con successo nella
realizzazione di insediamenti provvisori,
grazie alla loro modularità che consente
diverse soluzioni aggregative, alla versa-
tilità di adattamento a differenti utilizzi e
alla trasportabilità che li rende, in breve
tempo, disponibili in tutti i luoghi.
Anche i sistemi insediativi prov-
visori comportano degli impatti sull’am-
biente generati dalle interazioni fra l’in-
sediamento, le singole unità abitative e
l’ambiente stesso nel suo complesso. È
importante quindi considerare, in tutti i
suoi aspetti, l’intero ciclo di vita dell’in-
sediamento, valutando le alterazioni del
territorio, le emissioni di sostanze inqui-
nanti, il consumo di risorse necessarie
alla sua costruzione e gestione, ecc.
Per quanto riguarda le alterazioni
del territorio, è evidente che la realizza-
zione delle opere necessarie a predispor-
re i lotti è un’operazione difficilmente
reversibile. Essa ha conseguenze negati-
ve sul suo assetto, soprattutto se dette
opere sono, in parte o del tutto, da
costruire ex-novo. L’obiettivo da porsi è,
dunque, quello di individuare delle aree
in cui sistema artificiale e sistema natura-
le entrino in equilibrio fra loro, armoniz-
zando aspetti ambientali e tecnologici.
Bisognerebbe, quindi, optare per luoghi
ben integrati nel territorio antropizzato,
in modo che sia garantita a priori l’acces-
sibilità all’area, l’esistenza di impianti di
rifornimento-produzione di energia elet-
trica, la presenza di reti per l’approvvi-
gionamento-smaltimento delle acque,
ecc. L’ideale sarebbe, comunque, riuscire
a rendere tali insediamenti quanto più
possibile autonomi dal punto di vista
impiantistico ed energetico, considerando
157
globalmente il problema e agendo con-
temporaneamente sui criteri di scelta
delle aree e dei moduli. A livello di piani-
ficazione dell’intervento è, quindi, auspi-
cabile prevedere sistemi di produzione
energetica autonomi (preferibilmente
alternativi), sistemi di depurazione delle
acque e sistemi tecnologici innovativi che
consentono di ridurre la necessità di
opere di urbanizzazione primaria, renden-
do l’intervento maggiormente reversibile.
Anche la scelta delle unità transito-
rie influisce sulla stima degli impatti
ambientali complessivi dell’insediamen-
to. È necessario, infatti, considerare sia
quelli derivanti dalla realizzazione dei
moduli, che si concretizzano nel consu-
mo di risorse naturali e nell’emissione di
sostanze inquinanti; sia quelli dovuti alla
fase di esercizio e sia, infine, quelli che
riguardano la dismissione delle unità
insediative, da valutare in funzione dei
diversi scenari ipotizzabili. Durante la
fase di esercizio, data la sua prolungata
durata nel tempo, si hanno gli impatti di
maggiore entità soprattutto a causa delle
emissioni di sostanze inquinanti derivan-
ti dall’utilizzo degli impianti di climatiz-
zazione.
L’ottimizzazione delle relazioni
energetiche fra i singoli moduli e l’am-
biente naturale dovrebbe essere, quindi,
una delle priorità della progettazione del-
l’insediamento. Bisognerebbe preferire
moduli transitori realizzati con materiali
a bassa conducibilità termica, in modo da
ridurre le dispersioni di calore e, conse-
guentemente, il consumo di energia
assorbita dall’impianto di condiziona-
mento, con tutti i vantaggi che ne deriva-
no (primo fa tutti la riduzione delle emis-
sioni di sostanze inquinanti nell’aria).
Allo stesso tempo, bisognerebbe anche
porre la dovuta attenzione, in fase di pia-
nificazione dell’intervento, alla modalità
di aggregazione dei moduli di base in
funzione di un’opportuna esposizione ai
raggi solari. Infatti, il corretto orienta-
mento, soprattutto delle superfici vetrate,
e la valutazione delle ostruzioni, dovute
alla reciproca interazione fra i moduli e
fra questi e il contesto territoriale nel suo
insieme, permettono di controllare la
quantità di energia termica dovuta all’ir-
raggiamento solare, influendo quindi
sulla stima dei carichi termici estivi e
invernali.
È opportuno sottolineare come
un’unità abitativa “culturalmente” evolu-
ta e dotata di accorgimenti tecnologici,
tali da consentire una diminuzione del
fabbisogno energetico, oltre a ridurre l’e-
missione di sostanze inquinanti nell’aria,
permette anche di ridimensionare il siste-
158
ma di allacciamento alle reti infrastruttu-
rali. Queste ultime potranno quindi esse-
re coadiuvate o, eventualmente, sostituite
da un sistema di produzione energetica
alternativa, rendendo la singola unità e,
quindi, l’intero insediamento più autonomi.
Infine, la scelta di materiali eco-
compatibili contribuisce alla riduzione
degli impatti relativi alla realizzazione e
alla dismissione dei moduli di cui si com-
pone l’insediamento.
Un esempio recente di queste
nuove tendenze riguarda la realizzazione
ad Amsterdam di un complesso da desti-
nare a residenze universitarie (Keetwonen).
Il progetto, redatto da Quinten de
Gooijer, si compone di 1050 container
aggregati in maniera da formare 12 ele-
menti a stecca, destinati a unità abitative,
ristorante, supermarket, uffici e sporting-
area. Questi elementi, in relazione allo
sviluppo del lotto, posto nelle vicinanze
del centro della città, si dispongono
parallelamente l’uno all’altro e possiedo-
no lunghezza variabile in funzione della
profondità disponibile. Ciascuna stecca si
articola, a sua volta, su cinque piani ed è
composta da container incastrati fra loro
orizzontalmente e verticalmente. Una
struttura di copertura a se stante, posta ad
una certa distanza dall’ultimo livello,
permette di risolvere il problema dello
smaltimento delle acque piovane e con-
159
Modello del progetto Keetwonen.
Residenze universitarie ad Amsterdam.Assemblaggio dei moduli abitativi del progettoKeetwonen.
sente una buona ventilazione che mitiga
gli effetti dell’irraggiamento solare sulla
superficie orizzontale. Il sistema di colle-
gamento verticale, realizzato in una
costruzione separata, è posto trasversal-
mente ai blocchi abitativi, di cui ne costi-
tuisce l’ingresso, e collega fra loro i balla-
toi di ciascun piano di due stecche conse-
cutive.
Di particolare interesse sono i
tempi di costruzione dell’intero insedia-
mento: la prima stecca è stata ultimata
nel settembre del 2005, mentre l’ultima
nell’aprile 2006. La velocità di installa-
zione è stata resa possibile grazie alla
presenza sul territorio di aziende specia-
lizzate nella produzione di container,
adattati a sistemi abitativi modulari. Allo
stato attuale, il complesso ospita con suc-
cesso 1000 studenti, ma se la richiesta di
alloggi dovesse ridursi o aumentare l’in-
tero insediamento, in breve tempo, potrà
essere ridimensionato o riadattato a
nuova funzione, modificando la tipologia
delle unità transitorie o la loro modalità
di aggregazione.
Un altro insediamento provviso-
rio di particolare interesse è stato realiz-
zato a Londra, nell’ambito del progetto
Container City condotto dalla Urban
Space Management Ltd., in accordo con
il più vasto intento di riqualificazione
dell’area dei Docks. I progettisti,
Nicholas Lacey and Partners, hanno pre-
visto la costruzione di tre differenti com-
plessi destinati a centro culturale, dove
localizzare studi per artisti, uffici, spazi
per workshop e ambienti espositivi. I tre
progetti denominati Container City I,
Container City II, The Riverside Building
e realizzati rispettivamente nel 2000,
2001 e 2005, si collocano al centro dei
Dockland londinesi, nella Trinity Buoy
Wharf, in prossimità della famosa Cupola
del Millennio di Rogers.
In relazione alla volontà del
Governo Inglese di diminuire gli impatti
delle nuove costruzioni e di ridurre del
27% le emissioni di CO2, il progetto ha
tenuto nella dovuta considerazione la
problematica ambientale nel suo com-
plesso. La scelta di utilizzare come
moduli costruttivi i container ha permes-
160
Container City II.
so, infatti, di realizzare un insediamento
che non ha comportato delle alterazioni
permanenti nel sito, non essendosi resa
necessaria la realizzazione di opere di
fondazione rilevanti. Ciascun container è,
infatti, in grado di sopportare 10 volte il
proprio peso, consentendo una sovrappo-
sizione che garantisce, grazie all’elevato
carico raggiunto, l’ancoraggio al suolo
delle singole strutture. Il fatto poi che si
sia scelto di utilizzare moduli riciclati,
con ulteriore riduzione dei già contenuti
costi di esecuzione, è stato un valore
aggiunto nella valutazione dell’impatto
ambientale complessivo dell’intervento.
Gli architetti hanno inoltre intro-
dotto degli accorgimenti progettuali e
tecnologici tali da ridurre il consumo
energetico. Un sistema di ventilazione
naturale consente, infatti, di abolire la
necessità di un impianto di condiziona-
mento estivo; mentre, la presenza di un
doppio strato di isolante nell’involucro e
la scelta di ubicare a sud le pareti vetrate,
161
Progetto Container City II.
Passerelle aeree di collegamento tra i due edifici.
Interni degli edifici del progetto Container City.
permettono di ridurre il fabbisogno ener-
getico invernale. Anche le aperture sono
state studiate in modo da consentire l’in-
gresso della maggior quantità di luce
naturale, diminuendo l’utilizzo di sistemi
di illuminazione artificiale. La presenza,
in ciascun ambiente, di cellule fotoelettri-
che e di termostati permette, infine, di
ridurre gli sprechi energetici dovuti ad un
non corretto uso degli impianti di riscalda-
mento e di illuminazione.
L’intero insediamento prevede
inoltre la realizzazione di sistemi per la
depurazione delle acque piovane, impian-
ti eolici per la produzione autonoma di
energia elettrica, oltre che sistemi a verde.
La scelta di utilizzare i container
ha reso possibile ultimare ciascuna instal-
lazione in circa una settimana e di ottene-
re, nell’aggregazione delle singole unità,
spazi morfologicamente differenziati, in
accordo con le diverse destinazioni
d’uso. I primi due progetti, destinati agli
studi per gli artisti e realizzati a distanza
di un anno, sono collegati fra loro attra-
verso un sistema di passerelle aeree e si
compongono rispettivamente di 20 e 30
unità di base. Si ottengono, così, com-
plessivamente 15 e 22 ambienti disposti
su 4 e 5 livelli. I container, aggregati
come fossero dei blocchi di Lego, sono
stati colorati con tinte vivaci e caratteriz-
zati dalla presenza di aperture ad oblò.
L’ultimo progetto realizzato, The
Riverside Building, è stato, invece, desti-
nato a uffici. Ciò ha comportato una
diversa modalità di organizzazione spa-
ziale dei moduli di base che vengono
affiancati e sovrapposti per un totale di 5
livelli. Anche il trattamento della superfi-
cie è meno articolato: i container, colora-
ti di giallo, presentano il prospetto rivolto
verso il fiume interamente vetrato, in
modo da creare un rapporto privilegiato
con il paesaggio.
162
Il Riverside Building, realizzato nel 2005.
In tutti i casi, per integrare i per-
corsi in elevazione, alcuni moduli di base
sono stati utilizzati per costruire i sistemi
di collegamento verticale (scale, ma
anche ascensori adeguati per consentire
l’accesso ai disabili). Le porte dismesse
dei container sono, invece, servite per
realizzare i balconi.
Dopo il successo riscosso dall’in-
tervento londinese, la Urban Space
Management è stata chiamata a progetta-
re altri insediamenti di dimensioni ridot-
te, utilizzando gli stessi principi. Ne sono
esempi: l’ampliamento del Tower
Hamlets College, realizzato nel 2001; gli
studi per artista a Peaton Hill in Scozia
per il Cove Park (2002); e, sempre a
Londra, gli Youth Centres realizzati a
Mile End Park (2003), in Fawood avenue
e a Meath Garden (2005).
Il secondo fra questi, concernente
la realizzazione degli studi per artista a
Peaton Hill, risulta essere di particolare
interesse in relazione alla tematica di
integrazione fra il progetto e il sito.
Cove Park è un centro internazio-
nale per le arti e le industrie creative che
si occupa di promuovere annualmente
programmi di ritiro per gli artisti.
Nell’ambito di quest’attività si colloca il
progetto della Urban Space Management
Ltd., che prevede la realizzazione di tre
unità residenziali, composte ciascuna da
due container affiancati, nei pressi del
lago di Loch Long. Il sito, di particolare
valore paesaggistico, è stato scelto per
assicurare agli artisti un luogo ideale per
163
Studi per artista a Peaton Hill.
il loro lavoro. La necessità di non com-
promettere l’aspetto naturalistico del
luogo ha quindi indirizzato il progetto
verso la scelta di un insediamento provvi-
sorio che si integrasse in maniera oppor-
tuna con il paesaggio. Le tre residenze,
accostate l’una all’altra sul lato lungo,
formano una piccola schiera che si collo-
ca, sospesa su una piattaforma, lungo la
riva del lago. Sul lato corto dei container
si sono ricavate ampie vetrate d’ingresso
e un affaccio sullo specchio d’acqua che
assicura la relazione spaziale-visiva fra le
abitazioni e il contesto. Sempre per inte-
grare il progetto nel paesaggio, si è scelto
di colorare di verde i container e di
coprirli con un sistema a verde. Anche
questo progetto ha riscosso un grande
successo, cosicché altre tre unità sono
state aggiunte al nucleo originario.
6.1. Insediamenti temporanei per l’emer-
genza
Gli insediamenti provvisori si
sono sempre dimostrati insostituibili al
verificarsi di eventi calamitosi conse-
guenti a fenomeni naturali o all’azione
dell’uomo (disastri idrogeologici, guerre,
ecc.). Questi eventi comportano, oltre ad
un elevato rischio per la vita umana, per-
dita di parte del patrimonio edilizio con
immediata necessità di dar dimora prov-
visoria, sia alla popolazione rimasta priva
dell’abitazione, sia alle funzioni produtti-
ve, sanitarie, ecc. che assicurano il nor-
male svolgimento della vita.
Un esempio emblematico riguar-
da la costruzione di undici insediamenti
temporanei realizzati a San Francisco nel
1907, a seguito di un disastroso terremo-
to che rase al suolo la città americana.
L’evento, seguito da un incendio, oltre ad
aver causato numerosi morti, aveva
lasciato sedicimila persone senza casa.
Vennero quindi realizzati, ad opera del
Department of Landsand Buildings of the
Relief Corporation, undici insediamenti
distribuiti nei parchi e nelle piazze pub-
bliche della città distrutta. Per tutto il
periodo della ricostruzione, circa cinque-
milaseicento abitazioni provvisorie furo-
no affittate ai senzatetto per 2$ al mese.
Si realizzarono, in funzione delle
dimensioni dei nuclei familiari, tre tipo-
164
Mission Park, San Francisco 1907. (foto d’epoca).
logie principali di cottage. Questi ultimi,
una volta abbandonati dalla popolazione
che rientrava nelle proprie dimore, ven-
nero trasferiti in altre località e riutilizza-
ti come abitazioni, garage, depositi o
negozi. Alcuni dei cottage sono stati
restaurati ed esposti, nell’aprile del 2006,
lungo una strada di San Francisco dove
oltre tredicimila visitatori hanno potuto
conoscere la storia di questi insediamenti.
A circa un anno di distanza un
altro disastroso terremoto (X grado della
scala Mercalli) colpiva le città di Messina
e Reggio Calabria, causando numerosi
morti e ingenti danni. Anche in questa
occasione, le forze armate intervenute
(italiane e straniere) si prodigarono nelle
operazioni di soccorso e nella realizza-
zione di campi di prima accoglienza (ten-
dopoli). Questi furono poi sostituiti da
baracche in legno che diedero vita al
“Villaggio Svizzero” ed al “Villaggio
Norvegese”, la cui costruzione venne
finanziata anche grazie agli aiuti econo-
mici inviati da altri Paesi europei. Le
oltre trentamila baracche messinesi, dis-
poste secondo tracciati geometrici ripro-
posti dal piano regolatore dell’Ing. Borzì,
furono abitati per un lungo periodo e nel
1983 se ne contavano ancora quattromila
regolarmente occupate. Il processo di
ricostruzione, infatti, si protrasse per
molti anni tanto che, la cosiddetta “città
165
Camp Richmond, San Francisco 1907. (foto d’epoca).
Trasporto di un cottage alla fine dell’emergenza. (fotod’epoca).
Villaggio di baracche costruite per ospitare la popola-zione messinese dopo il sisma del 1908.
di legno” fu abitata ancora per alcuni
decenni.
Altri terremoti si sono succeduti
nel corso del XX secolo in Italia, fra i più
disastrosi si ricordano quello che, nel
gennaio del 1968, distrusse in una notte
sei paesi della valle del Belice, in Sicilia;
il terremoto in Irpinia del 1980, noto
soprattutto per la cattiva gestione dei soc-
corsi e dei fondi stanziati per la ricostru-
zione; quello del Friuli del 1976 e, infine,
quello delle Marche e dell’Umbria del 1997.
In tutte le situazioni di emergen-
za, verificatesi nel nostro Paese, sono
sempre stati allestiti insediamenti tempo-
ranei per ospitare la popolazione nell’at-
tesa della ricostruzione. Ma le residenze,
che avrebbero dovuto essere provvisorie,
sono invece rimaste abitate per un lungo
periodo.
Nel caso specifico della ricostru-
zione edilizia in zone colpite da eventi
calamitosi, l’esperienza storica dimostra
l’enorme difficoltà nell’attivare un pro-
cesso di rapida ricostituzione delle condi-
zioni abitative iniziali. Nonostante l’ema-
nazione di provvedimenti urgenti e di
finanziamenti destinati alle aree colpite,
la ripresa dell’attività edilizia e quindi, la
ricostruzione degli edifici distrutti e la
riparazione di quelli danneggiati, è quan-
to mai lunga e complessa.
Al dicembre del 1981, cinque
anni dopo il terremoto che colpì il Friuli,
le persone alloggiate in case prefabbrica-
te provvisorie erano ancora circa venti-
duemila: un terzo del totale dei senza
tetto. E questo dato si riferisce ad un’e-
sperienza giudicata di notevole efficienza
e capacità organizzativa, tecnica e ammi-
nistrativa. A otto anni dal terremoto del
Belice, i settantamila senza tetto viveva-
no ancora tutti nelle baracche. Ancora
oggi, dopo decenni dagli eventi che cam-
biarono la vita di tanta gente, le baracche
166
Foto d’epoca del Villaggio Svizzero a Messina.
si mescolano tra i nuovi edifici realizzati
negli anni della ricostruzione. Ed esiste
già una generazione di giovani nati e cre-
sciuti nei container.
Gli insediamenti provvisori per
ospitare popolazioni colpite da eventi
calamitosi hanno, in realtà, una lunga tra-
dizione che percorre la storia delle cata-
strofi ambientali di tutto il pianeta, ma
nonostante ciò, fino a qualche anno fa,
non si era ancora riscontrata alcuna evo-
luzione nei criteri organizzativi e realiz-
zativi di queste strutture ricettive. Le pro-
cedure e le tecniche di realizzazione di
questi insediamenti erano improntate sul-
l’improvvisazione, a causa della totale
mancanza di una normativa in materia e
di una pianificazione preventiva dei crite-
ri di intervento. In conseguenza di quanto
detto, gli organi istituzionali preposti alla
gestione dei programmi di emergenza
(Dipartimenti e strutture locali di
Protezione Civile, Comuni, ecc.), poco
potevano fare se non affidarsi all’espe-
Baraccopoli Vigna Grande nella Valle del Belice.
Insediamento temporaneo nel paese di Santa Rita, inIrpinia, in una recente fotografia.
167
Insediamento temporaneo a San Giuliano di Puglia.
Campo Parma realizzato nel comprensorio del Comunedi Nocera Umbra (PG).
rienza acquisita nel corso degli anni.
Oggi, in Italia, la progettazione
degli insediamenti provvisori per l’emer-
genza è affidata alla Protezione Civile,
nei cui compiti rientrano le attività di pre-
visione e prevenzione dell’evento e le
attività di soccorso e di superamento del-
l’emergenza che vengono tutte quante
sintetizzate in un Piano. Quest’ultimo
definisce una serie di linee d’intervento,
semplici e flessibili, che servono ad indi-
rizzare le procedure operative, nel caso si
verifichi l’emergenza.
I piani stabiliscono le competenze
dei vari soggetti attuatori e prevedono il
censimento, il reperimento, l’immagazzi-
namento e la manutenzione dell’attrezza-
tura necessaria ad affrontare la crisi e la
successiva ricostruzione.
L’obiettivo finale di tali strumenti
normativi è quello di permettere alla
popolazione di ritornare, nel più breve
tempo possibile, al normale svolgimento
della vita di tutti i giorni. Ciò è attuabile
solo quando si riesce ad assicurare, anche
alle famiglie rimaste senza casa, una con-
dizione abitativa adeguata. In tal senso
uno dei punti cardine del Piano di
Emergenza riguarda la pianificazione di
insediamenti abitativi temporanei da
destinare ai senza tetto.
A seguito delle analisi condotte
sul territorio è possibile individuare l’ubi-
cazione delle “aree di emergenza” (aree
di attesa, di ammassamento e di ricovero)
che diventeranno i nuovi punti di riferi-
mento per la popolazione, al verificarsi
dell’evento e nel periodo della ricostru-
zione. Così come previsto dal Piano,
durante l’emergenza, nelle aree di attesa
confluirà la popolazione; nelle aree di
ammassamento si organizzeranno i soc-
corsi, le risorse e i mezzi e nelle aree di
ricovero si realizzeranno gli insediamenti
abitativi provvisori. In questo modo la
popolazione potrà tornare quanto prima
alle attività consuete e diventare soggetto
attivo del processo di ritorno alla normalità.
La scelta di tali aree, che attiene alle
amministrazioni locali, è condotta prima
del verificarsi dell’evento e deve tener
conto di fattori di natura funzionale, ma
168
Area di ammassamento nel territorio di Catania.
anche di fattori di natura qualitativa e
ambientale.
Le aree di emergenza devono
essere, innanzitutto, sicure e raggiungibi-
li. Esse, quindi, devono ricadere all’inter-
no di zone non soggette a rischio2 ed
essere poste in posizione baricentrica
rispetto alle aree potenzialmente interes-
sate dall’evento. In particolare, saranno
assolutamente da evitare le aree ricadenti
in zone con fattore di rischio elevato o
molto elevato e, a meno di mancanza di
disponibilità di altre aree e con le dovute
precauzioni, quelle ricadenti in zone con
fattore di rischio di tipo R1 e R2.
Stabilite le aree raggiungibili e
sicure da destinare all’attesa, all’ammas-
samento e al ricovero, è necessario fare
una loro ulteriore cernita, in funzione di
altri importanti requisiti. Bisogna consi-
derare che, in caso di emergenza, il fatto-
re tempo è fondamentale. I soccorsi
devono essere celeri, in modo da poter
mettere al sicuro la maggior parte dei
sinistrati. È quindi necessario che le aree
di ammassamento dei soccorritori e le
2 - La determinazione del livello di rischio di undeterminato territorio è essenziale per la redazio-ne dei Piani di Emergenza. Tale valutazione vienecondotta facendo riferimento a tre parametri fon-damentali: la pericolosità, l’esposizione e la vul-nerabilità. Infatti, il solo verificarsi dell’eventonon rappresenta di per sé condizione di pericolo,se non sono presenti elementi vulnerabili all’in-terno dell’ambito territoriale analizzato. Le con-seguenze risultano perciò variabili. Per poteredeterminare il livello di rischio è opportuno chegli elementi censiti siano catalogati in base alvalore etico e sociale loro attribuito, e in funzio-ne della loro incidenza nel funzionamento delsistema sociale. Uno stesso livello di danno, asso-ciato a categorie differenti, comporta un differen-te impatto in termini di perdite attese all’internodel sistema. Il D.L. 180/98 individua a questoproposito quattro classi di rischio in base allequali il territorio viene zonizzato:
- rischio moderato, caratterizzato da dannipotenzialmente marginali agli edifici, alle struttu-re e al patrimonio ambientale (zona R1);- rischio medio, caratterizzato dalla possi-bile presenza di danni di lieve entità agli edifici,alle infrastrutture e al patrimonio ambientale talicomunque da non comportare rischi per le perso-ne (zona R2);- rischio elevato, caratterizzato da possi-bili danni funzionali agli edifici, alle infrastruttu-re e al patrimonio ambientale, con elevate proba-bilità di pregiudicare l’incolumità delle persone edi interrompere le attività socio-economiche(zona R3);- rischio molto elevato, caratterizzatodalla ipotizzabile presenza di lesioni gravi a per-sone, con possibile perdita di vite umane, dannigravi ad edifici, infrastrutture e patrimonioambientale e, infine, distruzione delle attivitàsocio-economiche (zona R4).
169
Area di ricovero nel territorio di Catania.
aree di ricovero della popolazione siano
presto pronte all’uso. Queste dovranno,
quindi, essere localizzate in prossimità
delle vie di comunicazione e, allo stesso
tempo, dovranno essere predisposte ad
accogliere i mezzi di soccorso e i moduli
abitativi di emergenza.
Per facilitare il montaggio dei
sistemi di soccorso e delle abitazioni
provvisorie, le aree dovranno essere
regolari, pianeggianti e dotate dei neces-
sari allacciamenti alle reti infrastrutturali
(elettriche, idriche, fognarie, ecc.). È utile
redigere preliminarmente delle linee
guida che sovrintendano alla realizzazio-
ne degli insediamenti temporanei, preoc-
cupandosi anche di individuare aree
abbastanza ampie, tanto da ospitare dalle
100 alle 500 persone, per evitare il fra-
zionamento degli interventi di soccorso e
per ottimizzare i tempi di realizzazione
del campo.
La scelta delle aree, e di conse-
guenza la scelta del tipo di insediamento,
deve inoltre rispondere ad altri requisiti
che riguardano la qualità della vita e il
soddisfacimento delle esigenze psicolo-
giche degli individui, aspetti questi forte-
mente interdipendenti fra di loro. Le linee
guida per gli insediamenti provvisori
dovrebbero prendere in considerazione,
già a priori, la necessità di creare degli
spazi che tendano a riprodurre un
ambiente urbano di qualità. In esso deve
essere possibile ricreare i rapporti sociali
propri del contesto culturale in cui si
opera, in modo da simulare quanto più
possibile una condizione di normalità.
Bisogna, infatti, considerare lo stato psi-
cologico della popolazione colpita che
risulta soggetta allo stress causato dall’e-
vento. A questo si aggiunge, una volta
superata la fase di emergenza, lo stress
psicologico dovuto al venire meno dei
riferimenti della vita di tutti i giorni,
all’interruzione delle attività socio-eco-
nomiche, all’eventuale perdita della pro-
pria casa, luogo della memoria e della
vita familiare.
In questo contesto ridurre la dura-
ta nel tempo della condizione abitativa
anomala è di fondamentale importanza.
In un primo momento, a seguito dell’e-
vento, la popolazione viene alloggiata in
tende o roulotte (o ancora in sistemazioni
autonome presso alberghi o residence).
Queste soluzioni, se da un lato permetto-
no di soddisfare i bisogni più elementari,
dall’altro costituiscono una condizione
abitativa assolutamente precaria, che non
potrà protrarsi oltre qualche settimana.
Dopo il primo periodo si provvede, quin-
di, alla realizzazione degli insediamenti
provvisori, costituiti dall’aggregazione di
170
moduli abitativi. In questo modo si con-
sente la ripresa delle attività economiche
e uno svolgimento più normale delle atti-
vità di tutti i giorni, mitigando la perce-
zione di una condizione anomala.
Anche per quanto riguarda questa
tipologia di insediamenti provvisori, è
necessario porre l’opportuna attenzione
alle problematiche ambientali, così come
esposte precedentemente. Numerosi pos-
sono essere gli interventi progettuali,
attuabili nell’ambito della progettazione
delle aree in oggetto, che permetterebbe-
ro di diminuire, direttamente o indiretta-
mente, gli impatti ambientali, agendo sia
sulla scelta delle tecnologie impiantisti-
che e infrastrutturali più appropriate, sia
sulla scelta delle singole unità abitative.
È necessario però sottolineare che la scel-
ta di moduli abitativi di alto profilo tec-
nologico e la realizzazione, nelle aree, di
sistemi di produzione energetica alterna-
tivi o di sistemi di depurazione delle
acque ecc., comportano degli oneri eco-
nomici maggiori, non giustificabili se le
opere realizzate rimangono dimenticate
sino al momento dell’emergenza (che
potrebbe anche non verificarsi). Sarebbe
quindi opportuno individuare, in sede di
redazione dei piani regolatori, funzioni
alternative che tali aree possano accoglie-
re in condizione di normalità, contempe-
rando sia i requisiti necessari per ospitare
le funzioni ordinarie, sia quelli per ospi-
tare, in caso di emergenza, le unità abita-
tive temporanee. Anche da un punto di
vista psicologico, bisognerebbe integrare
queste aree nella vita di tutti i giorni, pro-
ponendole come centralità urbane, in
modo da indurre la popolazione a sentirle
come proprie e quindi a viverle meglio
nel momento dell’emergenza.
È necessario, inoltre, considerare
che è inconcepibile dal punto di vista
economico dotarsi di costosi, seppure
efficienti, moduli abitativi destinati ai
magazzini, sino al verificarsi della cala-
mità. Viste le loro caratteristiche di leg-
gerezza, adattabilità, flessibilità e reversi-
bilità, essi potrebbero, infatti, essere uti-
lizzati anche in altri settori, così come
avviene più frequentemente nel resto
d’Europa. In questo modo, nell’immagi-
nario collettivo, il container, da oggetto di
basso profilo, utilizzato per trasportare le
merci o per creare alloggi di dubbia qua-
lità, assumerebbe nuove connotazioni. Si
otterrebbe così una migliore accettazione
tecnico-culturale dello stesso come abita-
zione durante l’emergenza.
Al fine di realizzare dei moduli
abitativi transitori con elevati standard
qualitativi, sono state avviate negli anni
ottanta delle ricerche progettuali, inqua-
171
drate nell’ambito delle iniziative dello
Stato per lo sviluppo tecnologico e per
quello dell’industrializzazione edilizia.
Tra queste ricerche, gestite dall’Istituto
Mobiliare Italiano (IMI) e dalla società
per azioni Tecnocasa, si ricordano il pro-
getto S.A.P.I., coordinato da P. Spadolini,
e il progetto Ca.Pro., coordinato da F.
Donato.
Lo studio delle soluzioni tecnolo-
giche si affiancava ad una parallela anali-
si riguardante le necessità dell’utenza,
intese non solo a livello funzionale e spa-
ziale, ma anche a livello percettivo-psico-
logico. Le ricerche svolte hanno, quindi,
messo in evidenza l’interdipendenza esi-
stente fra il progetto delle unità transito-
rie e la pianificazione dell’insediamento
nella sua complessità. Anche in questo
caso, non potendosi finanziare una costo-
sa realizzazione di moduli abitativi da
stoccare in attesa di un loro utilizzo, si
pensò a sistemi flessibili che potessero
essere impiegati per altri usi; come ad
esempio nel caso di servizi itineranti, di
residenze turistiche, di alloggi parcheg-
gio, di alloggi di supporto alle forze
armate o ai cantieri extra-urbani, ecc.
172
Sistema Ca.Pro.: unità abitativa ad involucro rigido,(da Architetture ad assetto variabile- Modelli abitativiper l’habitat provvisorio, di Falasca C. C., Ed. Alinea,Firenze 2000).
Sistema S.A.P.I., aggregazione di due unità attraverso ilmodulo di connessione.
Sistema S.A.P.I.
Spadolini propose un sistema
modulare trasportabile e adattabile ad una
pluralità d’usi, grazie alla differente orga-
nizzazione delle partizioni interne e alla
possibilità di comporre le singole unità
fra loro, attraverso elementi modulari di
connessione. Si permetteva così di creare
un insediamento che, utilizzando una sola
tipologia di unità transitoria, rispondeva
alle diverse necessità della popolazione
colpita, creando unità residenziali ma
anche scuole, luoghi di culto, ecc. Del
progetto S.A.P.I. è stata realizzata una
serie limitata di esemplari, oggi utilizzati nel-
l’insediamento Villaggio Italia in Armenia.
Anche il sistema Ca.Pro. rispon-
de all’esigenza fondamentale di ottenere
il maggior numero di configurazioni e
funzioni possibili, sia a livello della sin-
gola unità, sia a livello dell’intero inse-
diamento. Ciò avviene non tanto in fase
progettuale, ma quanto al momento del-
l’assemblaggio, consentendo così di
variare i modi di utilizzo dello spazio al
variare del tempo. A partire dalla distin-
zione fra spazi serviti e spazi serventi, il
progetto di base si compone di una strut-
tura modulare trasportabile e ampliabile
in fase di esercizio, intesa sia come ele-
mento portante, sia come contenitore
degli elementi necessari al completamen-
to della singola unità. I moduli di traspor-
173
Sistema Ca.Pro.: ipotesi aggregative, (da Emergenzadel progetto - Progetto dell’emergenza. Architetturecon-temporanee, di Bologna R., Terpolilli C. (a curadi), Ed. F. Motta, Milano 2005.).
Sistema Ca.Pro., proposta di insediamento, (daArchitetture ad assetto variabile - Modelli abitativi perl’habitat provvisorio, di Falasca C. C., Ed. Alinea,Firenze 2000).
to si distinguono, quindi, in unità-arma-
dio (che contengono gli elementi di chiu-
sura e di arredo) e unità-ombrello (al cui
interno si trovano le attrezzature per gli
spazi collettivi). Il modulo è, quindi,
inteso come:
1. modulo strutturale che permette di tra-
sferire i carichi al terreno, attraverso i plin-
ti, disposti secondo un tracciato scozzese;
2. modulo d’uso che diventa lo spazio
servente della cellula, dotato dei necessa-
ri elementi impiantistici, a seguito delle
operazioni di apertura della struttura;
3. elemento generatore dello spazio che,
dopo la posa in opera delle chiusure oriz-
zontali e verticali, genera lo spazio abita-
tivo vero e proprio. Il sistema modulare
Ca.Pro. diviene poi generatore dell’inte-
ro insediamento a partire dall’aggrega-
zione di due o più strutture-armadio che,
seguendo il tracciato modulare di base,
permettono di realizzare differenti confi-
gurazioni funzionali, coordinate fra loro
spazialmente. Ciò permette, a sua volta,
di generare differenti tipologie insediati-
ve, dalla semplice disposizione in linea ai
sistemi più complessi, come ad esempio
quello a corte, ecc.
Un sistema insediativo paragona-
bile al Ca.Pro. è quello proposto da R.
Mango e E. Guida. Anche in questo caso
moduli serventi e moduli serviti possono
aggregarsi secondo un tracciato di base, in
modo da realizzare, in fase di esercizio, sva-
riate tipologie abitative, a seconda delle esi-
genze psico-fisiche dei fruitori. Le unità
174
Tipologie di insediamenti secondo lo schema in linea,a corte e a pettine: le frecce rosse indicano gli attraver-samenti veicolari, le frecce verdi i percorsi pedonali.
residenziali così ottenute si organizzano
in unità d’insediamento, secondo uno
schema che potrà essere in linea, a corte
o a pettine. Il primo consiste in una dispo-
sizione in sequenza degli alloggi, caratteriz-
zata da un rapporto diretto con il sistema
viario e una riduzione al minimo delle aree
esterne comuni. In questo caso la man-
canza di punti focali e luoghi di sosta col-
lettivi genera uno spazio indifferenziato e
poco socializzante. Lo schema a corte,
invece, comporta una separazione gerar-
chica tra i percorsi pedonali, gli spazi
comunitari, gli attraversamenti veicolari
e i luoghi di parcheggio. Si crea così un
sistema insediativo, caratterizzato da spa-
zialità centrali (le corti), su cui prospettano
le abitazioni; sistema che favorisce i rappor-
ti sociali e di vicinato. Nella disposizione a
pettine, le corti aperte sono disposte tan-
genzialmente alle vie interne di percor-
renza veicolare. Ne consegue, da una
parte, un rapporto di territorialità indiffe-
renziata, tipica dello schema in linea, e
dall’altra uno spazio di uso pubblico,
luogo dei rapporti sociali.
In sintesi, è possibile distinguere
due differenti forme di insediamento tem-
poraneo che derivano da due diversi
retaggi culturali. Si tratta degli insedia-
menti realizzati dalle popolazioni tradi-
zionalmente nomadi e di quelli che, inve-
ce, si sviluppano nell’ambito della cultu-
ra europea.
Nel primo caso alla base vi è un
particolare stile di vita, tradizionalmente
inconciliabile con l’idea di stabile dimo-
ra, che dà luogo a insediamenti definibili
transitori sia in termini spaziali che tem-
porali. Questi ultimi, infatti, vengono
spostati, nel corso delle stagioni da un
luogo all’altro, in funzione delle necessi-
tà della comunità.
Nel contesto europeo, invece, gli
insediamenti temporanei nascono per
dare risposta a esigenze sociali contin-
genti, all’interno di comunità fortemente
radicate nel luogo. Essi vengono allestiti
lì dove la comunità è insediata per un
periodo di tempo limitato e pertanto pos-
sono definirsi transitori in termini esclu-
sivamente temporali.
Nell’ambito europeo si distinguo-
no poi insediamenti temporanei realizzati
per i casi di emergenza di più lunga tradi-
zione e ancora oggi usati a seguito del
verificarsi di eventi calamitosi; da quelli
recentemente costruiti o, semplicemente,
progettati per rispondere ad una richiesta
di tipo sociale ed economica diversifica-
ta, che comporta una domanda da spazi
destinati ad impieghi non permanenti.
Entrambe queste tipologie di insediamen-
to transitorio, assolta la funzione cui sono
175
temporaneamente destinati, vengono
convertiti a nuove destinazioni d’uso o
dismessi.
Riferimenti bibliografici
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del progetto - Progetto dell’emergenza.
Architetture con-temporanee, Ed. F. Motta,
Milano 2005.
Mango R., Guida E., Abitare l’emergenza: studi
e sperimentazioni progettuali, Napoli 1988.
Wienke U., Manuale di bioedilizia. Tipografia
del genio civile, Roma 2004.
Falasca C. C., Architetture ad assetto variabile-
Modelli abitativi per l’habitat provvisorio, Ed.
Alinea, Firenze 2000.
Siti Web
www.fabprefab.com
www.containercity.com
www.urbanspace.com
www.keetwonen.nl
www.tempohousing.com
www.rinamed.net/docs/result/lg_It.pdf
www.regione.umbria.it/ricostruzione
www.repubblica.it/speciale/irpinia/portante.html
www.wikipedia.it
www.cronologia.leonardo.it/storia/a1908b.htm
176
7. Il benessere ambientale nell’architettura temporanea
di Francesco Claudio Campione*
Sistemi abitativi di permanenza temporanea
Verso un modello di sviluppo sostenibile
* Francesco Claudio CampioneLaureato in Architettura presso l'Università
degli Studi di Palermo, ha conseguito il Dottoratodi Ricerca in Fisica Tecnica Ambientale presso ilmedesimo ateneo. Autore e coautore di numerosepubblicazioni scientifiche in ambito nazionale edinternazionale su temi di ricerca sul risparmio esull’efficienza energetica di vari sistemi di produ-zione e conversione dell’energia, attualmente èdocente a contratto della materia “Fisica TecnicaAmbientale”, presso la Facoltà di Architettura diPalermo.
7.1. Il contributo delle fonti rinnovabili
allo sviluppo urbano sostenibile
L’energia è il fattore guida dell’e-
conomia, di qualsiasi azione si compia
nella nostra vita, purtroppo se ne consu-
ma sempre di più e ci sono forti preoccu-
pazioni per la sicurezza degli approvvi-
gionamenti oggi e in futuro, soprattutto in
Europa. Senza interventi, nel 2030
l’Unione Europea dipenderà dalle impor-
tazioni per il 70% del fabbisogno energe-
tico. Il greggio acquistato fuori sarà il
90% con prezzi in continua fluttuazione.
Bisogna quindi saper gestire il delicato
equilibrio tra la crescente domanda ener-
getica, lo sviluppo economico e l’impatto
ambientale. Nel contesto nazionale attua-
le, emerge una crescente sensibilità verso
la problematica energetica, affiancata
però a conflittualità locali che
impediscono l’accettabilità di
nuove realizzazioni di
impianti alimentati anche da
fonti energetiche rinnovabili.
Una simile situazione deriva
spesso da una scarsa cono-
scenza delle tecnologie utiliz-
zate e dei benefici derivanti
rispetto alle fonti energetiche
convenzionali, nonché dei
progressi in campo tecnico e
gestionale.
Se teniamo presente che oggi il
75% delle risorse mondiali viene utilizza-
to solo dal 25% della popolazione (paesi
industrializzati) e che l’attuale modello di
crescita tende ad esportare anche ai Paesi
terzi il modello di sviluppo dei Paesi più
avanzati, ci si rende immediatamente
conto della insostenibilità di questo
modello e la necessità di individuare e di
percorrere un altro modello.
Relativamente al cattivo uso di
risorse ambientali primarie, si prenderà
ad esempio l’attuale uso e tipologie di
risorse energetiche, oggi essenzialmente
utilizzate e basate sulla produzione di
energia da combustibili fossili. Tale scel-
ta evidenzia non solo la precarietà di un
modello di crescita basato sull’uso di una
risorsa limitata e destinata ad esaurirsi,
179
Modello di sviluppo sostenibile.
ma anche gli effetti ambientali che la
combustione induce e quasi del tutto
legati alla produzione di CO2 (biossido di
carbonio).
7.2. Energia e materie prime nell’edilizia
Dopo anni in cui le costruzioni
hanno proliferato senza prestare partico-
lare attenzione alla salubrità dell’ambien-
te interno e all’impatto che il costruito
genera sull’ambiente esterno, il settore
sta finalmente prendendo coscienza delle
ingenti risorse energetiche, territoriali e
di materie prime, convogliate nel proces-
so edilizio e di come sia necessario modi-
ficare l’approccio globale da mantenere
nel progettare nuovi edifici.
È utile sottolineare come il consu-
mo di energia è tra i fattori responsabili
del degrado ambientale sia in fase di pro-
duzione che di approvvigionamento di
materie prime. Relativamente all’approv-
vigionamento, basti pensare che i princi-
pali combustibili oggi utilizzati, sono
quelli fossili (petrolio, metano) ed il
legno.
Analogamente a quanto detto
relativamente ai consumi energetici rela-
tivi alle abitazioni, percentuali variabili
tra il 15 % e il 50% di altre risorse pri-
marie, quali: acqua, suolo, materie prime,
etc. vengono utilizzate dal mercato del-
l’edilizia, per cui pensare ad una “proget-
tazione consapevole” degli edifici, all’at-
tuazione del risparmio energetico e delle
materie prime, è divenuto obiettivo pri-
mario di sostenibilità ambientale e quali-
tà abitativa.
La sostenibilità di un materiale si
definisce in relazione alla riduzione ai
minimi termini del suo impatto ambienta-
le riferito all’intero ciclo della sua vita.
Un materiale è tanto più sostenibile quan-
to minore è l’embody energy, da un lato,
e la produzione di rifiuti dall’altro, neces-
sarie per l’estrazione delle materie prime
di cui è fatto, per i cicli intermedi di lavo-
razione, per l’imballaggio, il trasporto e
la distribuzione, per l’applicazione, l’uso
e il consumo e per l’eventuale riutilizzo o
riciclo, ed infine per la sua dismissione o
smaltimento finale. La sostenibilità di un
materiale va valutata quindi “from cradd-
le to grave” (dalla culla alla tomba) attra-
verso un’attenta analisi della sua “biogra-
fia”.
Principi guida per al selezione dei
materiali in edilizia secondo i criteri della
sostenibilità:
1. impiegare materie prime rinnovabili;
2. risparmiare energia nelle fasi di: estra-
zione, produzione e distribuzione;
3. risparmiare risorse (valutare le materie
prime);
180
4. favorire materiali locali (prodotti nello
stesso luogo di utilizzo).
7.3. Integrazione involucro edilizio-
impianto
L’ambiente confinato all’interno
del quale l’uomo vive e lavora, spesso,
non corrisponde alle sue aspettative non
garantendo affatto quei requisiti di sicu-
rezza, benessere e protezione che sono il
presupposto iniziale. Esiste quindi la
necessaria opportunità di considerare una
vera e propria integrazione tra impianti
ed architettura.
Il concetto di qualità di un edifi-
cio, le esigenze di economizzarne la
gestione ed il benessere degli utenti, sono
tutti aspetti che nel processo edilizio,
hanno assunto una rilevanza particolare.
In effetti, trovano origine da un lato nel-
l’affermarsi dell’industrializzazione e
dall’altra nella crisi del rapporto tra la
società e le risorse di cui disponiamo.
Fare riferimento al comfort termi-
co, al risparmio energetico, al corretto
rapporto con le risorse è un atteggiamen-
to coerente per la sostenibilità ambientale
del processo edilizio.
In un approccio tecnologico atten-
to ai problemi dell’architettura, si presen-
ta oggi l’urgenza di una sempre maggio-
re aderenza delle tecniche costruttive, dei
materiali, dei consumi energetici a quelle
che sono le esigenze di un bilancio
ambientale positivo. Il bilancio ambienta-
le misura l’impatto ambientale al fine di
ridurlo, controllandone i costi.
Il dibattito sulle nuove tecnologie
per la produzione di energia alternativa
da fonti rinnovabili e la definizione di
tecnologie costruttive innovative, impe-
gna in ricerche che vengono orientate al
fine di individuare pratiche, materiali ed
elementi costruttivi che presentino carat-
teristiche di eco-compatibilità. Tutto ciò
in funzione di una visione ecologica ma,
soprattutto “integrale” dell’architettura e
delle tecniche di climatizzazione degli
spazi che concorrono alla formazione di
una più completa metodologia di proget-
tazione edilizia.
L’approccio “ecologico” all’ar-
chitettura è diventato, in questi ultimi
anni, un passaggio fondamentale, un per-
corso di conoscenza ed esperienza obbli-
gatorio.
La progettazione compatibile con
l’ambiente costruito, è connotato dal rap-
porto con il contesto inteso come sistema
fisico ed antropizzato, tale da garantire
condizioni di benessere sia in spazi chiu-
si che aperti, con un ridotto consumo di
risorse ambientali ed un basso livello di
inquinamento atmosferico.
181
Anche le abitazioni transitorie
sinora realizzate non hanno tenuto nella
dovuta considerazione la problematica
ambientale utilizzando materiali plastici,
la cui produzione necessita di un elevato
consumo energetico e che al tempo stes-
so, non essendo traspiranti, contribuisco-
no a creare un ambiente domestico carat-
terizzato da cattive condizioni termoigro-
metriche. L’architettura ecologica si pone
quindi l’obiettivo di progettare e costrui-
re edifici che limitino gli impatti diretti
ed indiretti sull’ambiente.
Per potere valutare le conseguen-
ze sull’ambiente di una costruzione, è
necessario considerare l’intero ciclo di
vita dell’edificio, valutando gli impatti
dovuti alla produzione dei materiali edili-
zi e alla costruzione del fabbricato, gli
impatti che riguardano la sua fase di eser-
cizio e quelli, infine, che concernono l’i-
nevitabile demolizione o, nel caso di ele-
menti assemblabili, lo smontaggio delle
unità tecnologiche.
In quest’ottica, la scelta dei mate-
riali da impiegare nella costruzione,
essendo intimamente connessa al ciclo di
vita dell’edificio, diventa uno degli aspet-
ti fondamentali della progettazione ecolo-
gica. Tale scelta, infatti, influisce non sol-
tanto nella valutazione dell’inquinamento
dovuto alla produzione industriale dei
materiali edilizi e alla loro messa in
opera, ma anche durante la fase di eserci-
zio e dismissione della costruzione, nella
quantificazione degli impatti relativi
all’eventuale necessità di un impianto di
climatizzazione e al consumo energetico
necessario al riciclaggio del materiale e
alla sua dismissione. In generale, quindi,
la scelta dei materiali da impiegare nella
costruzione, deve seguire dei criteri che
riguardano non soltanto le loro prestazio-
ni fisico-meccaniche, ma anche il loro
impatto sull’ambiente.
È evidente, innanzitutto come per
una prolungata durata nel tempo, le con-
seguenze di un cattivo isolamento termi-
co, incidono in maniera determinante sul-
l’impatto ambientale complessivo della
costruzione. Alla scelta dei materiali
caratterizzati da un’alta conducibilità ter-
mica, infatti, corrisponde un innalzamen-
to dei consumi energetici dell’involucro
edilizio; questi si traducono in un mag-
gior carico ambientale, oltre che in un
aumento dei costi di gestione dell’edifi-
cio. Bisogna quindi valutare l’intero pro-
cesso produttivo dall’estrazione e dal tra-
sporto delle materie prime, alla lavora-
zione delle stesse e quindi al trasporto del
prodotto finito, alla sua permanenza nel-
l’edificio e infine al suo smaltimento e
riciclaggio.
182
7.4. Metodologia di Energy Audit
Con Energy Audit si intende, let-
teralmente diagnosi o indagine energeti-
ca. Nell’ambito di un discorso di pianifi-
cazione energetica, un Energy Audit si
colloca, nella fase di monitoraggio previa
ad un intervento, ovvero nella fase di
individuazione di una ripartizione in usi
finali dei consumi.
Parlando dell’involucro edilizio,
un Energy Audit ha lo scopo, dunque, di
riconoscere tipologie e prestazioni ener-
getiche di impianti-involucro-unità tec-
nologiche che costituiscono quell’edifi-
cio, nonché riconoscere quali sono le
modalità di utilizzo delle tecnologie stes-
se, al fine di ricostruire un bilancio in usi
finali (termici ed elettrici) dell’involucro
edilizio. In verità, la procedura
dell’Energy Audit di un edifico non è fine
a se stessa, nel senso che va seguita da
una valutazione dei possibili interventi di
risparmio da eseguire sull’edificio stesso
e anzi, spesso, col termine di Energy
Audit si identifica, oltre alla fase di moni-
toraggio, anche quella di individuazione
e verifica di possibili interventi. Pertanto,
un Energy Audit integra dati raccolti sul
campo con strumenti di calcolo attraver-
so cui individuare ed analizzare interven-
ti di riqualificazione energetica dell’edifi-
cio. È necessario avere disponibili dei
metodi che consentano di rappresentare
chiaramente le caratteristiche termiche
delle superfici che delimitano l’involucro
Ripartizione dei consumi energetici per usi civili. Consumi energetici dei singoli elettrodomestici.
183
edilizio e degli impianti, così da poter
conoscere nella maniera più realistica
possibile, i consumi attuali dell’edificio e
poter scegliere quegli interventi di
miglioramento delle prestazioni energeti-
che che consentano un maggiore rispar-
mio di energia. Parliamo, cioè, di quello
che molto sinteticamente viene descritto
come un intervento di Energy Audit e che
più semplicemente potremmo definire
come diagnostica energetica.
7.5. Dati necessari all’esecuzione di un
energy audit
L’esecuzione di un Energy Audit
prevede la raccolta e l’elaborazione di
diversi dati riguardanti:
- il clima (serie orarie annuali di tempe-
ratura esterna, umidità dell’aria, vento,
radiazione solare, piovosità;
- il contesto urbano (microclima,
ombreggiamento dovuto ad ostacoli
esterni, scambi radiativi con l’ambiente
esterno);
- l’involucro dell’edificio (geometria e
materiali);
- gli usi energetici previsti;
- gli impianti per la climatizzazione
invernale ed estiva;
A queste informazioni, vanno
aggiunte indicazioni sugli usi elettrici e
sulla utilizzazione dell’edificio stesso.
Profili di occupazione, carichi e guadagni
legati all’uso di apparecchi elettrici: la
presenza di persone, l’uso di apparec-
chiature elettriche e in generale la presen-
za di fonti di calore interne, influenzano
sensibilmente il fabbisogno energetico di
un edificio (numero di persone presenti
per determinare la produzione di calore
sensibile e latente), la potenza elettrica
installata per illuminazione artificiale, la
potenza termica installata per vari servizi
(produzione di acqua calda, stufette, etc).
7.6. Comfort termoigrometrico nello spa-
zio confinato
L’organismo edilizio rappresenta
l’elemento mediatore tra l’ambiente
interno e quello esterno; entrambi dal
punto di vista fenomenico, possono esse-
re interpretati come un insieme di segni
che, singolarmente o congiuntamente,
forniscono stimoli fisici e percettivi
all'uomo ed hanno complesse rifluenze
sulla sua attività. L’organismo edilizio,
attraverso la sua funzione di traduttore di
questi segnali, ne può accentuare o limi-
tare gli effetti contribuendo, cioè a deter-
minare il comfort o il discomfort nello
spazio. Il concetto di benessere, tradizio-
nalmente riferito prevalentemente all’a-
spetto termoigrometrico, è il risultato di
un insieme molto complesso e molto
184
intrecciato di relazioni tra l’uomo e l’am-
biente confinato che lo ospita. Entrano in
gioco in modo manifesto i rapporti che
attengono alla fisiologia (ottimizzare i
parametri microclimatici al livello del
metabolismo, relativo alla particolare
attività svolta, garantire un’aria sufficien-
temente “pura”, assicurare attraverso la
vista e l’udito, una regolare comunicazio-
ne con l’ambiente e con gli altri suoi
occupanti, consentire l’igiene ed una sana
alimentazione). Ne consegue che l’edifi-
cio assuma un compito di “filtro”; poiché
essendo un insieme di unità tecnologiche,
è ovvio come le caratteristiche fisico-tec-
niche di ciascun elemento componente,
influenzano il comportamento dell’intero
organismo: alle relazioni di tipo tecnolo-
gico, tra i componenti si associano quelle
di tipo fisico-tecnico, con il risultato di
rendere ancora più complesse ed incerte
le scelte progettuali. Tale complessità
relazionale può definirsi soddisfatta
quando riesce a prevenire i conflitti che
possano verificarsi all’interno del sistema
edificio-ambiente. La determinazione ed
il controllo dei fenomeni fisici che
influenzano il benessere ambientale, nel-
l’ottica della percezione sensoriale, con-
tribuiscono fortemente alla definizione
della qualità ambientale nella progetta-
zione edilizia.
Le condizioni ambientali hanno
una notevole influenza sulle sensazioni di
maggiore o minore benessere fisico sulle
persone che soggiornano nei locali del
manufatto. Essi, infatti, sono l’oggetto di
diversi studi di carattere sperimentale,
per determinare i fattori del cosiddetto
“malessere fisiologico”.
L’organismo umano, com’è noto,
produce una certa quantità di calore, che
varia in funzione di diversi fattori, il più
importante tra i quali è il grado di attività
svolta. Ad esempio, un uomo a riposo
produrrà una quantità di calore totale di
110,46 Watt a differenza di un individuo
in attività motoria, il quale produrrà una
quantità di calore di 139,53 Watt.
Qualunque sia la quantità di calore pro-
dotta, sarà necessario, affinché l’uomo
non avverta sensazione di malessere
fisiologico, mantenere costante la tempe-
ratura corporea che per un individuo è di
36,5°C (condizione indispensabile di
vita). Ciò sarà possibile facendo in modo
che il calore prodotto dall’organismo
umano sia ceduto dal corpo all’ambiente
stesso. Infatti l’organismo umano, dotato
di un esatto sistema di termoregolazione,
avvertirà una sensazione di freddo quan-
do il calore smaltito sarà maggiore delle
quantità prodotte dall’organismo stesso.
Al contrario, quando il calore smaltito
185
sarà minore delle quantità prodotte avver-
tirà una sensazione di caldo. Notevole
importanza riveste quindi lo scambio ter-
mico tra l’individuo e l’ambiente in cui
esso soggiorna.
L’organismo umano si troverà in
condizione di comfort solo quando si
determineranno i seguenti requisiti:
- quando per potere mantenere costante la
temperatura corporea sarà capace di dis-
sipare una quantità adeguata di calore;
- quando tra le diverse modalità di scam-
bio termico sarà capace di raggiungere i
seguenti valori di:
- 15 - 40 % per convezione (scam-
bio di calore grazie al movimento del
fluido nel quale i corpi sono immersi);
- 40-45 % per irraggiamento
(scambio diretto d’energia termica per
mezzo di onde elettromagnetiche da un
corpo più caldo ad uno più freddo);
- 2-5 % per conduzione (scambio
termico per contatto diretto tra corpi
aventi temperature diverse);
- 30-35 % per evaporazione (un
liquido presente sulla superficie corporea
evapora assorbendo calore);
Un uomo quindi la cui temperatu-
ra è di 36,5°C, richiederà un valore di
temperatura effettiva (valore massimo
che si può dare all’aria per ottenere una
sensazione di benessere) di 20°C per otte-
Scambio termico tra individuo e ambiente.
186
nere una condizione di massimo benesse-
re invernale e un valore di 22°C per otte-
nere una condizione di massimo benesse-
re estivo. Considerando un diagramma in
cui sull’asse delle ascisse riportiamo la
temperatura ambiente [°C], mentre sul-
l’asse delle ordinate la potenza scambiata
[Watt], tale diagramma ci mostra l’anda-
mento degli scambi latenti e sensibili per
una persona seduta con attività leggera
(potenza totale scambiata 100 Kcal/h).
Secondo tale diagramma, all’aumentare
della temperatura ambiente, l’organismo
umano aumenta la dispersione di calore
latente che si manifesterà con la sudora-
zione. Si nota che se partiamo da un valo-
re di 21°C di temperatura ambiente, l’or-
ganismo umano disperderà circa 34,88
Watt, se aumentiamo ancora la tempera-
tura ambiente fino a 27°C, il corpo dissi-
perà 50 Kcal/h. Viceversa, se un corpo
disperde 70 Kcal/h, la temperatura
ambiente sarà di 21°C, se il corpo umano
disperde 40 Kcal/h, la temperatura
ambiente sarà di circa 27°C.
Nel progetto di edilizia tempora-
nea per ottenere condizioni di benessere e
quindi di comfort, si considerano cinque
grandezze fisiche:
- il grado idrometrico;
- la temperatura media radiante;
- la velocità dell’aria;
- l’attività svolta all’interno dei locali;
- la resistenza termica degli indumenti
indossati.
7.7. L’edificio come collettore solare
Il migliore modo di utilizzare l’e-
nergia solare è quello di progettare l’edi-
ficio come un collettore solare naturale,
per raggiungere questo scopo l’edificio deve
soddisfare tre condizioni fondamentali:
- l’involucro edilizio deve essere proget-
tato e realizzato tenendo presente che
deve comportarsi come un collettore
solare; ossia deve assorbire radiazione
solare quando si ha bisogno di caldo e
deve proteggere da essa quando si ha
bisogno di raffrescare gli ambienti. Ciò si
ottiene principalmente orientando e pro-
gettando l’edificio in modo da lasciar
entrare il sole attraverso pareti e finestre
durante l’inverno e di escluderlo durante
l’estate mediante dispositivi schermanti;
187
- deve essere un accumulatore di calore,
ossia deve accumulare calore nei periodi
freddi e freddo nei periodi caldi. Gli edi-
fici costruiti con materiali pesanti ad ele-
vata capacità termica assolvono bene
questa funzione;
- deve essere ben coibentato al fine di
minimizzare le dispersioni termiche;
Poiché la radiazione solare colpi-
sce le superfici orientate in modo diver-
so con diversa intensità, l’involucro edili-
zio ne guadagnerebbe se le unità tecnolo-
giche che lo delimitano fossero orientate
in modo tale da ricevere questo calore
durante l’inverno e da non lasciarlo entra-
re durante l’estate. Le scelte architettoni-
che e tecnologiche sono quindi finalizza-
te alla realizzazione di un habitat sponta-
neo e coerente con il suo contorno ecolo-
gico, l’accurato studio dell’orientamento
in relazione all’orografia del luogo ed
alle ombre dei volumi circostanti, per-
mette all’edificio di raccogliere il massi-
mo flusso di energia solare d’inverno ed
il minimo d’estate. L’esposizione privile-
giata dell’irraggiamento solare è quella a
sud per l’emisfero settentrionale. Il sole
si sposta durante l’anno tra due traiettorie
estreme relative ai giorni 21 giugno e 21
dicembre, ed a ogni esposizione corri-
spondono diverse situazione di irraggia-
mento delle superfici verticali.
La quantità di energia che ricade
su una parete verticale, dipende dall’in-
tensità della radiazione solare e dagli
angoli d’incidenza con cui i raggi colpi-
scono la parete, tanto più questi sono per-
pendicolari, tanto maggiore è il flusso di
energia, tanto più essi sono radenti, tanto
minore è il loro flusso. Di conseguenza
ampie superfici vetrate esposte a sud rice-
veranno in inverno un’irraggiamento
solare di debole intensità per via del note-
vole strato d’aria attraversato, ma con
angolo d’incidenza molto piccolo data la
modesta altezza del sole sull’orizzonte, i
due effetti si compensano e ne risulta un
flusso energetico piuttosto elevato.
Viceversa in estate, la notevole intensità
dell’irraggiamento, avrà effetti modestiIncidenza della radiazione solare sull’involucro edili-zio.
188
dato l’ampio angolo d’incidenza dei raggi
solari quasi radenti sulla parete.
Sebbene il colore, la forma, l’o-
rientamento dell’edificio siano fattori
importanti, la componente più importante
è la finestratura. Nelle abitazioni speri-
mentali la maggior parte delle pareti
rivolte a sud sono fatte di vetro, il rispar-
mio di combustibile che si può ottenere
varia tra il 18 e il 30 % in condizioni otti-
mali. Una grande superficie vetrata
richiede un maggiore costo iniziale per il
costo dell’impianto di riscaldamento ed
un maggiore costo di gestione, inoltre per
una determinata latitudine, l’intensità di
radiazione solare non varia mentre il flus-
so termico varia a secondo della tempera-
tura esterna.
Componente essenziale di un
sistema che utilizza l’energia solare per il
riscaldamento è l’accumulo del calore.
Quando un edificio funziona come un
collettore solare, ha bisogno di un siste-
ma per assorbire ed accumulare il calore.
Il mezzo termo-accumulatore più effi-
ciente è probabilmente il materiale con
cui sono realizzati i muri, il tetto, le pare-
ti divisorie dell'involucro edilizio.
Gli oggetti, le cose accumulano
calore quando vengono riscaldati.
Quando la temperatura circostante si
abbassa, il calore accumulato viene cedu-
to all’ambiente circostante ed i materiali
si raffreddano. Durante il giorno i muri, i
pavimenti, gli arredi assorbono radiazio-
ne solare riscaldandosi. L’aria all’interno
dell’edificio è l’elemento che si riscalda
per primo e contribuisce a distribuire il
calore agli altri elementi. Se però i mate-
riali dell’edificio sono già stati riscaldati
fino alla temperatura dell’aria o non
riescono ad assorbire il calore, l’aria con-
tinua a riscaldarsi provocando una condi-
zione di disagio per le persone. Maggiore
è la capacità di accumulo termico degli
oggetti e dei materiali all'interno dell’edi-
ficio, più tempo ci vorrà prima che l’aria
raggiunga una temperatura elevata.
Quando il sole tramonta ed all’esterno
dell’edificio la temperatura è bassa, que-
st’ultimo comincia a perdere calore, ma
se esso ha una elevata inerzia termica, si
avranno ancora per molto tempo dei valo-
ri elevati di temperatura. Invece negli
edifici realizzati con materiali a bassa
inerzia termica (legno), la temperatura si
abbassa rapidamente, anche se l’involu-
cro è ben coibentato.
I materiali pesanti che possono
accumulare molto calore sono scarsa-
mente coibenti e per utilizzare la loro
capacità di accumulo termico, devono
essere posti all’interno di uno strato iso-
lante che separa l’interno dell’involucro
189
dall’ambiente esterno. La capacità di
accumulare calore varia da sostanza a
sostanza. Si riportano qui di seguito i
valori della capacità termica di alcuni
materiali:
Il calcestruzzo accumula appena
un quarto del calore accumulato da ugua-
le massa d’acqua, moltiplicando la massa
volumetrica per il calore specifico, si
ottiene la capacità termica per m3 della
sostanza.
Per avere un aumento dell’inerzia
termica dell’involucro, si dovrebbero rea-
lizzare edifici massicci con materiali
pesanti come il calcestruzzo. Però ciò è in
contrasto con altre esigenze quali la leg-
gerezza degli edifici, al fine di diminuire
le sezioni della struttura e di impiegare
minore quantità di materiali con costi più
bassi.
Una finalità della progettazione
sostenibile deve essere quella di ridurre al
minimo gli scambi termici fra l’edificio e
l’ambiente esterno, riducendo in tal modo
le dimensioni dell’impianto di climatiz-
zazione con conseguente minor costo ini-
ziale e minor costo energetico a lungo
termine.
7.8. Il contributo del solare fotovoltaico
Il fotovoltaico è una delle varie
fonti di energia alternativa verso le quali
si dovrà indirizzare la civiltà moderna per
centrare l’obiettivo del vivere in modo
sostenibile. Il fenomeno, detto di conver-
sione fotovoltaica, consiste nella trasfor-
mazione diretta dell’energia solare in
energia elettrica mediante dispositivi a
stato solido (le celle fotovoltaiche) basati
su semiconduttori in silicio. La ragione di
questa scelta, è principalmente dovuta al
fatto che il silicio, a differenza di altri ele-
Valori della capacità termica di alcuni materiali.
190
menti semiconduttori, è disponibile sul
nostro pianeta in quantità pressoché illi-
mitata e, oltretutto, è largamente utilizza-
to nell’industria elettronica che, con la
rapidissima espansione degli ultimi
decenni, ha agevolato lo sviluppo degli
attuali metodi di lavorazione. Inoltre, gli
scarti della lavorazione dei componenti
elettronici, possono essere riciclati dal-
l’industria fotovoltaica.
In linea di massima, gli impianti
fotovoltaici possono essere raggruppabili
in due macrocategorie gli impianti isolati
dalla rete (detti stand-alone o off-grid) e
gli impianti collegati alla rete elettrica
(detti grid-connected);
Gli impianti isolati (o stand
alone) si impiegano normalmente per ali-
mentare delle utenze difficilmente colle-
gabili alla rete pubblica perché di ubica-
zione particolare e per quelle con bassis-
simi consumi di energia, tali da non ren-
dere conveniente il costo d’allacciamen-
to. In questi sistemi è necessario imma-
gazzinare l’energia elettrica per garantire
la continuità dell’erogazione anche nei
momenti in cui non viene prodotta. Gli
impianti isolati, possono servire anche
per edifici utilizzati solo periodicamente,
come alloggi temporanei, case di campa-
gna o edifici per la villeggiatura.
Gli impianti collegati alla rete (o
grid-connected) consentono ad ogni ope-
ratore che intenda produrre energia elet-
trica da fonti rinnovabili di vendere l’e-
nergia prodotta in eccesso alla Società
elettrica distributrice. L’applicazione di
impianti collegati alla rete è di più recen-
te sviluppo ed è rappresentata dai tetti
fotovoltaici. Questa tipologia di impianti,
si dimostra la più idonea ad una diffusio-
ne di larga scala nei contesti urbanizzati,
essendo adatta all’integrazione dei modu-
li nelle facciate, nelle coperture o in altri
elementi d’involucro degli edifici esisten-
ti e di nuova realizzazione (pensiline,
frangisole, etc.) e, comunque, sfruttando
tutte quelle superfici definite marginali.
Sono impianti generalmente di potenza
contenuta (qualche KW), che immettono
l’energia prodotta in rete e pertanto non
richiedono l’accumulo di energia in
quanto la presenza della rete elettrica
garantisce l’alimentazione delle utenze in
ogni condizione di produzione e carico.Impianto isolato per singoli edifici.
191
La rete, in questo caso, è vista come un
accumulo che assorbe energia nei perio-
di di maggiore irraggiamento solare e la
restituisce in quelli meno favorevoli (tipica-
mente notturni).
L’inclinazione ideale dei pannelli
solari rispetto al piano orizzontale è di
30°. Per le altre pendenze la perdita va
dal 10% per inclinazioni orizzontali (tetto
piano) al 35% per inclinazioni completa-
mente verticali (pareti esterne), inoltre
rispetto la sole, i pannelli devono essere
esposti a sud per ricevere il massimo
irraggiamento solare.
La durata di vita di un impianto
fotovoltaico è stimata intorno a 30 anni,
con un decadimento della produttività
negli anni piuttosto limitata. Mediamente
un impianto fotovoltaico da 1 KWp(circa 8 m2) produce: 1.100 KWh nel
nord italia, 1.300 KWh al centro italia e
1.600 KWh nel sud italia.
Durante la vita dell’impianto (30
anni), ogni KW di potenza solare fotovol-
taica (ossia ogni 8 m2 di superficie)
installata consente di risparmiare:
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Tecnique &Architecture n.299/77.
Siti Web
http://www.chilearq.com
http://www.concretecanvas.org.uk
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http://www.retreathomes.co.uk
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http://www.urbanspace.com
http://www.weehouses.com
http://www.wikipedia.it
http://www.vestaldesign.com
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AREE SCIENTIFICO–DISCIPLINARI
Area 01 – Scienze matematiche e informatiche
Area 02 – Scienze fisiche
Area 03 – Scienze chimiche
Area 04 – Scienze della terra
Area 05 – Scienze biologiche
Area 06 – Scienze mediche
Area 07 – Scienze agrarie e veterinarie
Area 08 – Ingegneria civile e Architettura
Area 09 – Ingegneria industriale e dell’informazione
Area 10 – Scienze dell’antichità, filologico–letterarie e storico–artistiche
Area 11 – Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche
Area 12 – Scienze giuridiche
Area 13 – Scienze economiche e statistiche
Area 14 – Scienze politiche e sociali
Le pubblicazioni di Aracne editrice sono su
www.aracneeditrice.it
Finito di stampare nel mese di dicembre del 2010dalla «ERMES. Servizi Editoriali Integrati S.r.l.»00040 Ariccia (RM) – via Quarto Negroni, 15
per conto della «Aracne editrice S.r.l.» di Roma