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I furti d’arte. Napoleone e la nascita del Louvre di Paul Wescher Storia dell’arte Einaudi 1

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i furti d'arte

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I furti d’arte. Napoleone e lanascita del Louvre

di Paul Wescher

Storia dell’arte Einaudi 1

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Edizione di riferimento:Paul Wescher, I furti d’arte. Napoleone e la nascita del

Louvre, trad. it. di Flavio Cuniberto, Einaudi, Torino1988Titolo originale:Kunstraub unter Napoleon© 1976 Gebr. Mann Urlag, Berlin

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Indice

I furti d’arte

Introduzione—Arte e campagne militariIntroduzione—Un profilo storico 4

I. La Rivoluzione francese (1972-95)Distruzione e conservazioneIl Louvre come museo della Nazione 23

II. Il contributo dei Paesi Bassi (1794-95) 38III. Furti su commissione: Napoleone

in Italia (1796-98) e in Egitto 61IV. Il saccheggio di Torino, Napoli

e Firenze (1799-1800) 92V. Il «Musée Napoléon» e il riordino

del bottino (1802-806)La politica museale di Vivant Denon 102

VI. È la volta del «contributo tedesco»(1806-807) 117

VII. Per arrotondare: le requisizioni in Spagna(1808-14) e la conquista di Vienna (1809) 131

VIII. L’ultima missione di Denonin Italia (1811-12)«Una enorme massa di quadri...» 148

IX. La fine del «Musée Napoléon» (1814-15)Restituzioni e riconquiste 159

Indicazioni bibliografiche 178Elenco delle opere trafugate 190

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Introduzione

Arte e campagne militari. Un profilo storico

La conquista di opere d’arte come bottino di guerraè una pratica che risale ai primordi della civiltà e che siè perpetuata fino ai nostri giorni. Ancora oggi si senteparlare spesso del ritrovamento di importanti opered’arte sottratte nell’ultima guerra ai paesi occupati. Sedurante la visita di un museo viene spontaneo doman-darsi «come avranno fatto a mettere insieme tuttequelle opere», per dare una risposta bisogna appuntorisalire, in non pochi casi, a episodi di guerra. Oltre al-le grandi migrazioni di popoli di cui parla la storia, vifurono infatti periodi in cui tesori d’arte e biblioteche– i documenti piú tangibili delle grandi civiltà – furonoallontanati con la forza dal loro luogo d’origine. Inconfronto ad altri episodi, non meno frequenti, di purae semplice distruzione, si tratta di casi piú fortunati, acui dobbiamo la conservazione di importanti capolavo-ri. E poiché la storia tende, almeno fino a un certopunto, a ripetersi e a modellarsi sul già accaduto, nonsarà inutile dare uno sguardo ai tratti essenziali di que-sta lunga vicenda, in cui l’opera d’arte compare comebottino di guerra. Sarà allora chiaro in che misura iprecedenti storici abbiano influenzato le razzie com-piute durante la Rivoluzione francese e l’era napoleo-nica, offrendo a queste una parvenza di giustificazionemorale: il diritto di guerra appariva a Napoleone nonmeno indiscutibile che agli imperatori romani.

Nei tempi piú antichi la razzia di opere d’arte ebbe

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anzitutto moventi di carattere religioso, poiché rimuo-vere i monumenti religiosi del nemico significava impa-dronirsi delle sue divinità e sottometterle alle proprie.E poiché i vincitori prendevano abitualmente il postodei vinti, spesso uccidendoli, il mondo figurativo diquesti ultimi e delle loro dinastie passava al serviziodel nuovo signore, che sostituiva il proprio nome suimonumenti già consacrati al vecchio potere. Piú tardi,quando le arti figurative incominciarono a utilizzaremateriali preziosi come l’oro e l’avorio – per esempiotra i sumeri, gli accadi e i babilonesi, o nelle statue co-lossali di Atene e dello Zeus Olimpico di Fidia – entròin gioco anche l’avidità dei vincitori. Racconta Erodo-to che il re di Persia Serse I, dopo la conquista di Babi-lonia portò via dal tempio della città la statua del dioBaal in trono, interamente d’oro e valutata 800 talenti,insieme a un’altra statua d’oro alta dodici piedi. Inepoca piú recente si arrivò infine a trafugare opered’arte, come in Grecia e a Roma, per il loro puro valo-re artistico o per la fama di cui l’artista godeva.

Che i babilonesi, gli assiri e i persiani fossero solitiimpadronirsi delle opere d’arte del nemico è dimostra-to per esempio dai numerosi monumenti di originestraniera rinvenuti nelle loro capitali. Di questi sac-cheggi possediamo anche documenti figurativi, come irilievi di Khorsabad, e letterari, come le tavole cu-neiformi e le incisioni su pietra. Tra i tesori di cui Sar-gon II fece bottino durante la campagna contro il re diUrartu (Armenia) nella città di Urzana, si trovava, ol-tre a una quantità di oro e di pietre preziose, la statuadel dio Haldia trafugata dal tempio, come anche unastatua di bronzo proveniente dall’ingresso del tempio eraffigurante una vacca nell’atto di allattare il suo vitel-lino. Cosí riferisce lo stesso Sargon in una iscrizionevotiva al dio Assur.

Anche Assurbanipal, che grazie alla sua bibliotecadi tavole cuneiformi interamente conservata e ai basso-

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rilievi del palazzo di Ninive è il meglio conosciuto tra ire assiri, compose un dettagliato resoconto della suacampagna contro gli elamiti nell’anno 714 a. C., de-scrivendo la presa di Susa, loro capitale, e le opered’arte di lí trafugate. I rilievi assiri conservati al Lou-vre documentano in immagini il trasporto del bottino.

Quando l’archeologo francese Claude Schaeferportò alla luce tra le rovine di Susa la stele di basaltonero del diciottesimo secolo a. C. col celebre codice diHammurabi, insieme al ritratto del re, alla stele com-memorativa di Naramsin, nipote di Sargon I, e ad altreopere babilonesi, fu chiaro che era stato un conquista-tore elamita, probabilmente il re Shutruknahhunte, aportarvele intorno al 1200 a. C.

Quando Susa era ormai capitale dell’Impero Persia-no, vi si trovava come bottino di guerra un’altra cele-bre scultura, una anzi delle prime di cui si sia traman-dato il nome dell’autore. Pausania (I 8,5) e Plinio(XXIV) riferiscono che gli ateniesi affidarono allo scul-tore Antenore il compito di immortalare con una sta-tua di bronzo in grandezza naturale Armodio e Aristo-gitone, i due eroici giovinetti che nel 514 a. C.avevano ucciso il tiranno Ipparco, venendo a loro voltauccisi. Il monumento fu eretto tra l’Agorà e l’Acropolicome simbolo delle virtú civili. Ma nell’anno 480 Ate-ne fu conquistata e saccheggiata dal generale persianoMardonio, e tra le opere d’arte trafugate da Mardoniovi era appunto il gruppo dei tirannicidi, che fu portatoa Susa per ordine del re di Persia. Gli ateniesi la sosti-tuirono piú tardi con un’opera di Crizio e Nesiotes, sucui si basano le diverse copie a noi note.

Tuttavia il furto di opere d’arte come pratica siste-matica e su vasta scala risale alla conquista romana del-la Sicilia e dell’Oriente. Non possiamo fare di meglio,a questo punto, che citare un passo dal saggio di Geor-ge Hanfmann, Roman Art: «Il desiderio di possedere icapolavori dell’arte greca, subentrando all’antica con-

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suetudine di impadronirsi delle divinità nemiche, fecesí che la conquista di Siracusa nel 212 a. C., il saccheg-gio di Corinto nel 146 e quello di Atene nell’86 diven-tassero altrettante pietre miliari nella storia dell’arteromana. Se in un primo tempo i romani desideravanosemplicemente possedere quelle opere, in un secondotempo cercarono infatti di emularle. I conquistatoridell’Oriente vollero non solo che Roma fosse degnadelle capitali orientali, ma che le superasse [...] Comeanche Livio fa osservare, l’arte era la manifestazioneesterna del dominio romano: anche l’atteggiamento deiromani verso l’arte fu perciò condizionato dallo spiritodi conquista». Parole, queste, che si potrebbero riferi-re letteralmente anche all’epoca dell’espansione france-se durante la Rivoluzione e il governo napoleonico.

Il console Marco Marcello fu il primo a ornare lepiazze romane con le statue provenienti dal saccheggiodi Siracusa del 212 a. C. A partire da questo momen-to, come racconta Livio nella sua Storia di Roma (XXV31,2), l’entusiasmo per le opere dell’arte greca inco-minciò a diffondersi e il saccheggio di statue in edificisacri o profani venne considerato un diritto non solodei generali vittoriosi ma anche dei governatori e deimagistrati al loro seguito.

Il console Marco Fulvio, conquistatore dell’Etolia edell’Acarnania, portò a Roma 285 statue di bronzo e230 di marmo, che furono consacrate nella Aedes Her-culis Musarum di recente fondazione. Le divinità tute-lari vi erano rappresentate da un gruppo dedicato alleMuse, proveniente da Ambracia, di cui possediamo al-cune copie, e da un Ercole di Lisippo, trafugato neltempio di Ercole ad Alizia. Un altro generale romano,Lucio Emilio Paolo, che nella battaglia di Pidna del168 a. C. sconfisse Perseo re di Macedonia, portò nelsuo corteo trionfale ben 250 carri pieni dei tesori rac-colti in tutta la Grecia come «ricompensa» per la libe-razione dal dominio macedone. Tra le sculture consa-

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crate da Emilio Paolo nel tempio della Fortuna figura-va anche, secondo la testimonianza di Plinio, una sta-tua bronzea di Fidia raffigurante Atena. Lo storico Po-libio, che riferisce questi avvenimenti come anchePlutarco e Strabone, faceva parte dei mille ostaggi dirango sociale elevato portati a Roma al seguito del vin-citore.

Circa vent’anni piú tardi, tra il 148 e il 146 a. C., icittadini assiepati lungo le strade per assistere altrionfo di Quinto Cecilio Metello poterono ammirareun altro grandioso bottino: erano le sculture di bronzo,d’avorio e di marmo requisite dal generale dopo la con-quista definitiva della Macedonia e consacrate nel tem-pio di Giunone e di Giove sul Campo di Marte. Dalletestimonianze dettagliate degli scrittori antichi appren-diamo che del bottino facevano parte non solo due sta-tue originali di Prassitele, una Diana e un Esculapio,ma anche un Giove e una Giunone di Policleto, men-tre il tempio di Giove si arricchí in quell’occasione diuno Zeus eburneo di Pasitele, di un gruppo di figurecon Pan di Eliodoro e di una Venere al bagno di Poli-carmo.

Lo stesso spettacolo si ripeté quando il successore diMetello, il console Lucio Mummio, conquistò, saccheg-giò e distrusse dopo la vittoria sulla lega achea la riccacittà commerciale di Corinto. I ricercati vasi di Corin-to diventarono da allora cosí rari da acquistare a Romaun prezzo elevatissimo. Dice Aurelio Vittore (De virisillustribus LXI) che Mummio «riempí l’Italia di statuee di quadri conquistati nel saccheggio di Corinto, sen-za portarsene uno solo a casa propria». Fino all’epocaimperiale infatti la legge prescriveva che le opere d’ar-te conquistate in guerra appartenessero allo Stato e do-vessero servire unicamente ad abbellire Roma. La prin-cipale accusa mossa da Cicerone a Verre nella secondadelle sue orazioni fu quella di essersi arricchito perso-nalmente: come vicegovernatore dell’Asia Minore Ver-

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re aveva non solo depredato delle sue statue l’anticotempio di Giunone (Era) sull’isola di Samo, ma anchequelli di Tenedo, di Chio, Alicarnasso ed Eretria.

Il dittatore Silla fece trasportare a Roma colonnecorinzie del tempio ateneise di Zeus (troveremo unesempio analogo durante le guerre rivoluzionarie), persostituire quelle del tempio di Giove sul Campidoglio,distrutte durante la guerra civile. Nell’anno ’86 Silla siimpadroní della statua di avorio, di grandezza superio-re al naturale, di Atena Alkamene in Boezia, e inviò inItalia, secondo la testimonianza di Pausania e di Plu-tarco, migliaia di altre opere greche provenienti dallecittà sottomesse.

Nella loro ammirazione per l’arte greca i romaninon si limitarono all’età classica, ma svilupparono ver-so la fine della Repubblica un gusto particolare perl’arte prepericlea e arcaica. Ne sono una prova le nu-merose copie romane arcaicizzanti. Nel 1959 alcunimuratori al lavoro in una strada del Pireo si imbattero-no in un gruppo di statue di bronzo di varia epoca (og-gi al museo del Pireo), tra cui la figura arcaica in gran-dezza naturale di un giovinetto o kouros. Poiché lestatue si trovavano sulle rovine di un antico magazzinoportuale distrutto da un incendio, se ne trasse la con-clusione che era stato Silla a portarvele nell’86 dopo ilsaccheggio di Atene, con l’intenzione di imbarcarle perRoma.

Dopo il saccheggio del tempio di Era a Samo daparte di Verre, Marco Antonio, governatore dell’O-riente, trafugò una scultura del celebre Mirone raffigu-rante Zeus, Atena ed Eracle. Dopo la battaglia diAzio, in cui Antonio fu sconfitto da Ottaviano, que-st’ultimo fece restituire l’opera agli abitanti di Samo,priva però della figura di Zeus che lo stesso Ottavianoaveva fatto sistemare in bella mostra sul Campidoglio.Per punire quindi gli abitanti di Mantinea che eranostati costretti ad allearsi con Antonio, Ottaviano sot-

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trasse al tempio di Atena a Tegea la famosa statua del-la dea e la fece sistemare sul Campidoglio all’ingressodel nuovo foro. Secondo Pausania (I 430), si trattavadi un’opera di Endoios tutta intagliata nell’avorio.Pausania enumera nell’ottavo libro altre opere d’arteche furono vittime dei saccheggi romani in questa e inaltre occasioni. A testimoniare la conquista del regnodei faraoni da parte di Ottaviano stanno ancora oggi itre giganteschi obelischi che dànno un’impronta in-confondibile a Piazza San Giovanni in Laterano, aPiazza del Popolo e alla Piazza di Montecitorio. In ori-gine i tre obelischi svettavano nel Circo Massimo e sulCampo di Marte, e il loro trasporto via mare sulle tri-remi, navi non grandissime, rappresenta un’impresache desta tuttora meraviglia.

Ottavia, sorella di Augusto, era, come piú tardil’imperatrice Giuseppina, moglie di Napoleone, unagrande appassionata di arte antica. Poiché il suo palaz-zo, il portico e il giardino sorgevano su quella che erastata la proprietà di Metello, comprendente anche duetempli, il luogo era diventato un vero museo di capola-vori dell’arte greca. In effetti, pare che il portico diOttavia fosse una specie di museo pubblico, dove i cu-stodi, secondo la testimonianza di Plinio, rispondeva-no con la propria vita delle opere esposte. Il colonnatodi Metello davanti ai due templi era stato abbattutoper fare spazio a una enorme quantità di statue, che, agiudicare dalle descrizioni dell’epoca, anticipavano glisplendori di Bisanzio: c’erano fra l’altro 75 statueequestri in bronzo, raffiguranti i compagni caduti diAlessandro Magno, opera dello scultore di corte Lisip-po e della sua bottega.

Tra i successori di Augusto fu soprattutto Nerone aprocurarsi la fama di insaziabile cacciatore di tesorid’arte. Tra le rovine della Domus Aurea sul Foro, comeanche della villa estiva di Anzio, furono ritrovate scul-ture celeberrime, tra cui la mirabile Fanciulla di Anzio

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di età ellenistica, una Sibilla intenta a leggere una iscri-zione (oggi al Museo romano delle Terme), il Galatamorente della scuola di Pergamo e l’Apollo del Belvede-re del Vaticano. Nerone possedeva inoltre un Apollo diScopas, che si trova riprodotto su una delle sue mone-te. Una figuretta di amazzone in bronzo del quinto se-colo dell’ateniese Strongylion, era cosí cara a Neroneche l’imperatore, secondo la testimonianza di Plinio,non se ne separava mai: per la bellezza delle sue gambeera detta enkuynos. Nerone fece addirittura dorare unastatua di bronzo raffigurante Alessandro fanciullo, mal’oro venne piú tardi rimosso per riportare la statua al-la condizione originale. Molte tra le opere piú famosedella Domus Aurea trovarono posto piú tardi, secondoPlinio (XXXIV 84), nel tempio della Pace dell’impera-tore Vespasiano.

Quando Plinio scrisse nella sua Naturalis Historia ilibri sull’arte greca (XXXIV-XXXVI) – era l’epoca diVespasiano e di Tito – decine di sculture di bronzo edi marmo dei piú celebri maestri greci, da Fidia a Mi-rone, da Policleto a Scopas, da Eufranore a Prassitele aLisippo e cosí via, erano ancora visibili in diversi luo-ghi di Roma, e in particolare nei due templi della For-tuna sulla Via Trionfale (la Aedes Fortunae e la AedesFelicitatis huiusce diei). All’epoca di Cesare, inoltre,nelle case dei romani ricchi o influenti era consuetudi-ne circondare di sculture i cortili interni, com’è possi-bile vedere a Pompei, a Ostia e a Villa Adriana.

Alcune tra le opere piú celebri della Grecia furonorubate piú di una volta, come ad esempio, secondo il rac-conto di Pausania, la statua di Eros a Tespi, opera diPrassitele o di Lisippo. Il primo che la portò a Roma fuCaligola (37-41 d. C.): la statua fu piú tardi restituita daClaudio per essere nuovamente trafugata da Nerone efinire poi distrutta nel grande incendio di Roma del-l’anno 64 d. C. Durante l’incendio tre quarti della cittàandarono distrutti coi loro templi e i loro forzieri, e

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numerosissime opere di valore giunte a Roma come bot-tino di guerra scomparvero per sempre. Ma subito dopo,per sostituire le opere perdute, Nerone mandò in Gre-cia e in Asia Minore i suoi agenti, che non si fermaro-no davanti a nulla pur di eseguire gli ordini ricevuti.

Tra gli imperatori successivi, specialmente a partireda Vespasiano, la razzia di opere d’arte incominciò asegnare il passo, e si verificò un’inversione di tenden-za. Adriano, che fu probabilmente il piú sottile inten-ditore d’arte fra gli imperatori romani, e straordinarioammiratore della cultura greca in genere, arricchí tuttele province e in particolare la Grecia di monumenti eopere d’arte. E quando l’imperatore Costantino fondò,nel 330 d. C., Costantinopoli, capitale orientale del-l’Impero, volle fondare non solo una seconda Roma,ma una città che potesse competere con l’Urbe in bel-lezza e grandezza. Per arricchire di opere d’arte gli edi-fici, le chiese e le pubbliche piazze della nuova città,Costantino fece ricorso al vecchio sistema, depredandodei loro monumenti piú insigni le città e le campagnedella Grecia sulle due sponde dell’Egeo, l’Asia Minoree l’Egitto. Fu cosí che Costantinopoli divenne l’ultimoforziere del mondo antico.

Sebbene Costantino avesse abbracciato, verso la fi-ne della sua vita, la religione cristiana, facendo dellaChiesa il suo principale strumento di potere, le statuedegli dèi pagani adornavano ancora la città come quelledegli imperatori, e l’Anonimo Banduri nomina nel set-timo secolo alcune delle opere greche piú celebri alloravisibili per le strade di Costantinopoli: le statue diZeus di Olimpia e di Dodona, la Era di Samo, l’ApolloPizio, la Pallade Atena di Lindo sull’isola di Rodi, leMuse dell’Elicona e quattro statue di ninfe provenientidal tempio di Atena a Efeso. Lo Zeus di Dodona, leMuse e la statua di Atena sorgevano davanti all’edificiodel Senato, mentre 427 statue circondavano la Chiesadi Hagia Sophia. La vista di tante opere di stile ed

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epoca cosí diversi ci apparirebbe oggi piú confusa chebella, e tuttavia doveva riuscire senz’altro congenialeal gusto sovraccarico ed eterogeneo della corte bizanti-na. Un gran numero di statue si trovavano raccolte an-che nel foro di Costantino, tra cui dodici sirene, unelefante di provenienza probabilmente egiziana e altrianimali. Nell’ippodromo fatto costruire da Costantinofu collocato il gigantesco tripode di bronzo usato dallaPizia nel tempio di Delfi insieme a una statua di Apol-lo, e uno dei templi all’ingresso della piazza del merca-to fu collocata la statua di Rea, consacrata secondo laleggenda da Giasone sulla montagna di Didima. Secon-do il racconto di Zosimo, Costantino avrebbe fattomodificare le mani della dea, che in origine tenevanodei leoni, in un gesto di preghiera.

In seguito alle misure di cristianizzazione decisedall’imperatore Giustiniano, tutti i templi pagani dellaGrecia e dell’Oriente furono chiusi. Ma se è fuori dub-bio che in questo periodo molte opere d’arte furonovittima del fanatismo religioso, altri monumenti giun-sero a Costantinopoli anche da località molto lontane,come il tempio di Iside a File, vicino alla prima cata-ratta del Nilo. Sappiamo inoltre che proprio in queglianni fu trasportato nella capitale uno dei piú insignicapolavori dell’arte classica, anche a causa delle sue di-mensioni monumentali che, fin dall’epoca di Costanti-no, rispondevano al gusto della corte d’Oriente. Sitrattava dell’Atena Promachos, la statua di bronzo scol-pita da Fidia che gli ateniesi avevano eretto sull’Acro-poli dopo la vittoria sui persiani in onore della dea ecome simbolo glorioso della città: la statua, alta trentapiedi, svettava tra il Partenone e l’Eretteo, ben visibileanche dalle navi lontane. Trasportata a Costantinopolivi rimase per ben otto secoli, fino a quando venne di-strutta dai crociati nel 1204: anno che per la tradizioneclassica in Oriente ha un significato non meno fataledella presa di Roma da parte dei barbari in Occidente.

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Per una delle tante ironie della storia, dovevano es-sere proprio i crociati cristiani a saccheggiare e incen-diare la città che per tanto tempo aveva rappresentatoil baluardo contro i Sasanidi e l’Islam. I motivi per cuila quarta crociata si diresse a Costantinopoli anziché inTerra Santa sono troppo complessi per essere ricordatiin questa sede. Steven Runciman nella sua Storia delleCrociate e altri autori ne hanno discusso ampiamente.Basti qui ricordare che i cavalieri francesi e tedeschi, opiú semplicemente «franchi», guidati dal conte Bonifa-cio di Monferrato e da Baldovino di Fiandra, si uniro-no ai veneziani, i quali misero a disposizione la propriaflotta, e che col loro impero coloniale sulle isole grecheavevano buoni motivi per imbarcarsi nell’impresa.Inoltre, il doge Enrico Dandolo, che comandava perso-nalmente la flotta, era stato accecato durante la suaprigionia a Bisanzio, e aveva quindi un preciso contoda saldare anche al di là degli interessi politico-com-merciali della Repubblica.

Testimoni oculari come il cavaliere francese Goffre-do di Villehardouin o il cronista Niceta Coniate de-scrissero le distruzioni e i saccheggi compiuti dopo laconquista della città: si decise di comune accordo che ilbottino venisse ammassato in tre chiese e spartitoquindi tra i franchi e i veneziani. Viene ricordato inparticolare l’altar maggiore di Santa Sofia fatto co-struire da Giustiniano: il piano dell’altare e le colonni-ne, lavorati a «cloisonné» e oro, furono asportati esmembrati dai saccheggiatori, come anche i rilievi inbronzo sul piedestallo della colonna marmorea dell’im-peratore Teodosio. Ma gli autori di questi resocontinon sono particolarmente interessati alle cose d’arte edimenticano innumerevoli altre opere di cui la maggiorparte finí senza dubbio ai piú accorti veneziani. Il Te-soro e la Biblioteca di San Marco a Venezia possiedonoancora oggi capolavori dell’oreficeria bizantina: vasi li-turgici d’oro e d’argento, rilegature di corali, scrigni,

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grandi reliquiari a «cloisonné» e cosí via. Ed è notol’influsso che queste opere esercitarono sull’arte vene-ziana posteriore.

Gli oggetti piú ambiti dai crociati erano però le reli-quie cristiane nei loro preziosi reliquiari: l’abate Gün-ter di Pairis racconta che un certo abate Martinoavrebbe trafugato di nascosto un’intera collezione direliquiari dal Mausoleo della madre dell’imperatoreManuele. Grandi cammei intagliati furono staccati eportati via, come quello della collezione Rotschild aParigi, che secondo l’iscrizione greca sarebbe un’imma-gine dei santi Sergio e Bacco, ma che piú probabilmen-te raffigura l’imperatore Costantino II e consorte. Fi-lippo di Svevia, genero del deposto imperatore Isacco euno fra i principali promotori della crociata, riportò asua volta due cammei di straordinario valore, prove-nienti da un pettorale.

Numerosi pezzi del bottino crociato si trovano tut-tora nelle chiese cristiane d’Occidente. Cosí ad esem-pio il duomo tardoromanico di Limburg sulla Lahnpossiede tuttora un reliquiario d’oro donatogli nel1208 dal crociato Hochmar di Ulma, ed eseguito se-condo l’iscrizione a Bisanzio tra il 919 e il 944. Ancheil tesoro vescovile del Duomo di Halberstadt custodi-sce numerosi esempi di oreficeria bizantina, che secon-do la tradizione il vescovo Corrado di Krosigk avrebbeereditato dal patrimonio dei crociati. Uno dei piú fa-mosi altari portatili lavorati in oro, la «chasse», checonteneva un frammento della Croce e un mosaico raf-figurante l’imperatore Costantino con la moglie Elenae l’Arcangelo Michele, si trovava una volta alla Sainte-Chapelle di Parigi prima di essere trafugato e distruttodurante la Rivoluzione.

Mentre i cavalieri crociati si accontentarono in so-stanza di portar via i pezzi materialmente piú preziosidell’oreficeria bizantina, i veneziani imbarcarono sulleloro navi anche sculture di grandi dimensioni. Tra que-

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ste i quattro cavalli di bronzo dell’ippodromo, risalentiall’epoca classica della scultura greca: secondo una tra-dizione sarebbero giunti a Bisanzio dall’isola di Chiosotto Teodosio II, secondo un’altra li avrebbe portatidapprima Nerone a Roma e quindi Giustiniano a Co-stantinopoli. I veneziani li collocarono come trofei sul-la facciata della Basilica di San Marco, dove, come ve-dremo, susciteranno in futuro altre cupidigie.

Un’altra opera di bronzo di grande valore artisticosi è conservata come per miracolo nella città pugliesedi Barletta: rappresenta in grandezza superiore al natu-rale un imperatore bizantino del quinto secolo. La na-ve che trasportava la statua fece naufragio nei pressi diBarletta e la statua fu ritrovata sulla spiaggia dai mona-ci di Manfredonia, che le staccarono le braccia e legambe per fonderle e ricavarne una campana. Il papaPio IV, col suo vivo interesse per l’arte antica, la fecerestaurare e collocare davanti alla Chiesa di Barlettadove si trova tuttora. Le gambe troppo corte e le manitroppo grosse, di cui la destra sorregge la Croce, tradi-scono al primo sguardo il maldestro restauro di quellache rimane comunque un’opera straordinaria.

Ancora a Venezia si possono vedere altri esempi discultura bizantina giunta fin qui come bottino di guer-ra: cosí il rilievo lapideo raffigurante san Demetrio nel-l’atto di estrarre la spada, incorporato nella facciata diSan Marco, consumato dal tempo ma sempre magnifi-co, e all’ingresso del Palazzo Ducale il gruppo dei Te-trarchi bizantini in porfido, nell’atto di abbracciarsi adue a due. Secondo le ultime ricerche il gruppo appar-teneva a una colonna gigantesca eretta sul Forum Tau-ri, il punto piú alto della città, e simboleggiava la divi-sione del potere tra i quattro reggenti dell’Impero.

Dopo il saccheggio di Costantinopoli, che segna inun certo senso la fine del mondo antico, non sentiamopiú parlare per oltre quattro secoli di razzie paragona-bili a queste. Il motivo principale va ricercato nel po-

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tente influsso della Chiesa cattolica: essa infatti avreb-be considerato i furti di opere d’arte come una profa-nazione, dal momento che l’arte era solo arte sacra enon c’era interesse per altre forme artistiche. Quando,nel quindicesimo secolo, nacquero le prime forme dicollezionismo in senso moderno, il codice morale eracosí mutato (anche per l’influsso dell’Umanesimo) cheperfino tra i principi e i signori delle città italiane eragiudicato sconveniente impadronirsi delle raccolte diun rivale sconfitto. Il saccheggio e la distruzione delleraccolte medicee a Firenze nel 1496 va inteso comeuna pura esplosione di rabbia popolare contro il potereautocratico.

Anche durante le campagne militari di Carlo VIII edi Luigi XII, che per qualche tempo ridussero vastezone dell’Italia in potere della monarchia francese, nonsi verificarono razzie significative, sebbene l’arte delRinascimento italiano e l’arte classica godessero ormaiin Francia di alta considerazione. Soltanto le bibliote-che dei Visconti a Pavia e degli Aragonesi a Napoli fu-rono trasportate a Parigi dove si trovano tuttora: i1145 manoscritti aragonesi giunti in Francia al seguitodel re Ferrante in esilio formano ancora uno dei fondipiú cospicui clella Bibliothèque Nationale. Nel sedice-simo secolo l’intolleranza degli iconoclasti protestanti ele guerre di religione nell’Europa del Nord provocaro-no nel complesso piú distruzioni che razzie. L’onnipo-tente Filippo II di Spagna, ad esempio, non si impa-droní dell’altare dei fratelli Van Eyck a Gand, chepure avrebbe desiderato possedere, ma si accontentò diuna copia di Michael Coexie.

Tutti i grandi collezionisti del ’600, come il re Car-lo I d’Inghilterra e i suoi favoriti, i duchi di Arundel edi Buckingham, l’arciduca Rodolfo II d’Asburgo e il reFilippo IV di Spagna, i cardinali Richelieu e Mazzari-no in Francia, il re Augusto II, detto il Forte, di Sasso-nia, acquistarono o ricevettero in dono i loro tesori,

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sebbene le continue guerre offrissero in quel secolo ric-che possibilità di conquista. Le uniche eccezioni furo-no i saccheggi compiuti dagli svedesi in Baviera e aPraga e il sequestro della biblioteca di corte del Palati-nato ad Heidelberg durante la guerra dei Trent’anni.Com’è noto, il re si Svezia Gustavo Adolfo scese inGermania per venire in aiuto alle forze protestanticontro quelle cattolico-imperiali, e le alterne vicendedella guerra portarono piú volte gli svedesi a raggiun-gere la Baviera e la Boemia.

Nell’anno 1612 toccò alle preziose raccolte del prin-cipe elettore di Baviera Massimiliano II, e nel 1648,poco prima della Pace di Vestfalia, fu la volta delle col-lezioni asburgiche che Rodolfo II aveva trasferito nelsuo castello di Praga. Il movente di questi saccheggi,per quell’epoca piuttosto eccezionali, va ricercato nelfatto che la Svezia, povera di opere d’arte e impegnataa diventare una grande potenza continentale, desidera-va avere la sua parte anche nelle ricchezze dell’arte eu-ropea: solo cosí è possibile spiegare la scelta delle operetrafugate. Da Monaco e da altre residenze di corte glisvedesi portarono via alcuni dipinti del rinascimentobavarese, del tutto estranei alla loro cultura, che appar-tenevano a un ciclo di quadri storici sull’antica Romacommissionati dal duca Guglielmo IV tra il 1528 e il1537. Il Museo Reale di Stoccolma possiede tuttoradue tavole di Ludwig Refinger e Abraham Schöpfer euna scena di battaglia di Ruprecht Heller. Dalle chiesedi Monaco furono trafugate fra l’altro una grande palad’altare con una Deposizione e un Cristo deriso del pit-tore di corte Hans Muelich, attualmente nella Chiesadi Solna.

Dalle residenze arcivescovili di Magonza e di Würz-burg gli svedesi portarono via gran parte delle rispetti-ve biblioteche, mentre sul fronte opposto il principeelettore di Baviera Massimiliano II fece dono al papaGregorio XIV, per ottenerne alcuni favori, di un’altra

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biblioteca assai piú importante: la biblioteca palatinadi Heidelberg, di cui si era impadronito il generale Til-ly a capo delle truppe imperiali. Tra i manoscritti con-servati ad Heidelberg si trovavano il cosiddetto Codexaureus, redatto all’epoca di Carlo Magno nel conventodi Lorsch, il Codice Manesse con le sue splendide mi-niature, contenente una raccolta di liriche d’amore me-dievali del tredicesimo secolo, e oltre un migliaio dipreziosi manoscritti e antiche opere a stampa.

Ma il «colpo» piú sensazionale riuscí agli svedesi nel1648, quando il conte Königsmarck conquistò il castel-lo imperiale di Hradschin e il quartiere praghese di MalàStrana. L’impresa poteva suscitare l’invidia dei mag-giori collezionisti europei, dal momento che Rodolfo II,collezionista appassionato, aveva fatto sistemare nel suocastello una parte cospicua delle collezioni pittorichedella casa d’Austria e delle proprie raccolte private.Appena la giovane regina Cristina, figlia del re Gusta-vo Adolfo caduto a Lützen, venne a sapere della presadella città, scrisse al cugino Gustavus Adolphus di assi-curarle la biblioteca e le rarità della galleria d’arte diRodolfo: il comandante in capo delle truppe svedesiconte Königsmarck fece in modo che la pinacoteca impe-riale e le raccolte di oggetti preziosi gli venissero con-segnate immediatamente e senza danni, e le fece subitoinventariare. Siamo cosí in grado di stabilire con unacerta precisione quali opere caddero allora nelle manidegli svedesi, benché naturalmente alcuni alti ufficialiprovvedessero anche a requisizioni per conto proprio.Solo una piccola parte delle raccolte fu messa in salvo,prima dell’attacco svedese, dal conservatore imperialeMiseroni.

A parte la ricchissima raccolta di medaglie e mone-te, che contava da sola 33000 pezzi, nel mese di no-vembre, quando la pace di Vestfalia era già stata firma-ta, furono imbarcati sull’Elba e spediti a Stoccolma470 quadri e un numero molto maggiore di sculture e

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di oggetti d’arte. Oltre a oggetti provenienti dalle dueIndie (le Indie Orientali e l’America), immancabili neigabinetti d’arte dell’epoca, la spedizione comprendeva170 statue di marmo, 76 bronzi (tra cui opere delGiambologna e di Adriaen de Vries, i manieristi prefe-riti dall’imperatore), 197 oggetti di avorio intarsiato divaria epoca, 147 porcellane di Faenza e la raccolta de-gli strumenti matematico-astrologici costruiti da Ke-plero e da Tycho Brahe per Rodolfo II. Cristina diSvezia, «bas bleu» fin dagli anni della giovinezza, con-divideva infatti la loro passione per le scienze occulte.

Tra i preziosissimi manoscritti antichi della biblio-teca di Praga, giunti in parte piú tardi alla bibliotecadell’Università di Uppsala, si trovavano il Codex argen-teus, un evangeliario scritto in caratteri d’oro e d’ar-gento e artisticamente decorato, realizzato a Ravennanel sesto secolo probabilmente per il re dei VisigotiTeodorico, una copia di Rabano Mauro redatta nel no-no secolo nell’abbazia di Fulda, un erbario tardoanticoriccamente miniato, una «Bibbia del diavolo» poemadel tredicesimo secolo e altri manoscritti che Cristinadonò piú tardi alla biblioteca di Leida e al Vaticano.

Poiché, come si è detto, la casa reale dei Vasa nonpossedeva raccolte d’arte degne delle sue ambizioni edel suo prestigio, i dipinti che la giovane regina fecevenire da Praga non solo formavano di per sé un’im-portante galleria d’arte, ma suscitarono in lei una talepassione per la pittura italiana che alla sua morte(1689) ella lasciò una delle piú grandi e rinomate rac-colte dell’epoca. Lasciando da parte i tardi manieristiolandesi e tedeschi, per cui Rodolfo II nutriva una par-ticolare predilezione – come Bartholomäus Spranger,Hans von Aachen, Joseph Heintz e altri – il bottinodella spedizione praghese comprendeva fra gli altri i se-guenti capolavori della pittura europea: la Danae e laLeda del Correggio (oggi rispettivamente alla GalleriaBorghese di Roma, e al Museo di Berlino); l’intera se-

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rie delle dieci scene erotico-mitologiche di Paolo Vero-nese, oggi distribuite tra la National Gallery di Lon-dra, il Fitzwilliam Museum di Cambridge, il Metropo-litan Museum di New York, il Museo Reale diStoccolma, il Museo di Seattle (collezione Kress) e al-tre località; le due figure in grandezza naturale di Ada-mo ed Eva di Albrecht Dürer oggi al Prado; la Sacra fa-miglia di Hans Holbein il Vecchio, al Museo diLisbona; lo splendido Ritratto di Tommaso Moro, diHolbein il Giovane, oggi alla collezione Frick di NewYork; due dei piú famosi quadri satirici di Pieter Brue-ghel il Vecchio, ossia Greta la pazza del Museo Mayervan den Bergh di Anversa e il Paese di Cuccagna dellaPinacoteca di Monaco. Tra i quaranta dipinti della rac-colta di Praga attribuiti a Tiziano riconosciamo oggicome autentici Venere e Adone della Galleria Nazionaledi Roma, il ritratto di Laura Dianti detto La Schiavo-na, della collezione Kisters di Kreuzlingen, e una ver-sione della Vanitas, probabilmente quella oggi possedu-ta dal conte di Normanton.

Quando Cristina abdicò nel 1654 per passare al cat-tolicesimo e lasciò definitivamente la Svezia, portò consé in esilio i piú preziosi dei suoi dipinti italiani. Il suointeresse per le scuole nordiche era scarso: questi di-pinti rimasero perciò dov’erano, per esempio al castellodi Skokloster, o furono donati dalla regina ai suoi fa-voriti come il conte Magnus de la Gardie, il quale ebbefra l’altro il grande Mercurio di Hans Baldung (Stoccol-ma, Museo Nazionale) e la Danae di Jan Gossaert (Mo-naco, Pinacoteca). Le tavole di Adamo ed Eva di Dü-rer, oggi di valore inestimabile, andarono al re diSpagna, e la Sacra famiglia di Holbein al re del Porto-gallo. Volendo guadagnarsi il favore del cardinale Maz-zarino per i suoi futuri progetti, Cristina si recò anzi-tutto a Parigi passando per l’Olanda, e fece avere alcardinale, noto collezionista e cancelliere di Luigi XIV,preziosi bronzi (de Vries), medaglie e libri. Tenne con

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sé il solo Ritratto di Tommaso Moro di Holbein il Gio-vane, ma certamente piú per il suo soggetto che per ilsuo autore.

A Roma, dove la figlia fedifraga di Gustavo Adolfofu accolta a braccia aperte – il papa per accoglierla feceaddirittura rinnovare dal Bernini la Porta del Popolo ele donò il Palazzo Barberini – Cristina di Svezia conti-nuò, nonostante le difficoltà economiche, ad ampliarela sua raccolta in grande stile. Ma poiché queste vicen-de esulano dal nostro campo d’indagine, ci limitiamo aricordare che pochi decenni dopo la sua morte la partepiú cospicua e preziosa della sua collezione fu acquista-ta nel 1721 dal conte d’Orléans, reggente di Francia, esistemata nel Palais Royal a Parigi, dove avremo anco-ra occasione di sentirne parlare.

Come la grande raccolta del conte d’Orléans, tuttele collezioni principesche formatesi per lo piú nel corsodel ’700 – quella del re di Sassonia a Dresda, quelle deire di Prussia a Berlino e Potsdam e dell’imperatriceCaterina di Russia, le gallerie di Düsseldorf, Kassel el’Aia e alcune altre – furono il risultato di una serie diacquisti. Nonostante le numerose guerre nessun princi-pe pensava piú ad arricchire le sue raccolte d’arte colbottino di guerra. Questo stato di cose durò immutatofino alla cacciata dei gesuiti e alla confisca dei loro be-ni, alla successiva chiusura dei conventi olandesi ordi-nata dall’imperatore Giuseppe II e all’inizio della Ri-voluzione francese, con la quale entriamo nel vivo delnostro argomento.

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Capitolo primo

La Rivoluzione francese (1792-95).Distruzione e conservazione.Il Louvre come Museo della Nazione

Se nel ’600 e nel ’700, ossia in un’epoca che videnascere molte raccolte principesche, l’acquisizione diopere d’arte per via militare fu un fenomeno inconsue-to, le grandi razzie compiute durante le guerre rivolu-zionarie e napoleoniche nei vent’anni compresi tra il1794 e il 1814 implicano un preciso retroterra ideolo-gico: quella ideologia rivoluzionaria di cui gli eventidel 1792-94 rappresentano per cosí dire la conseguenzaautomatica.

La confisca e la statalizzazione dell’intero patrimo-nio reale, dei beni del clero e degli emigrati, ossia degliaristocratici e degli esattori generali delle imposte nellecui mani si trovavano le maggiori raccolte d’arte, apríla strada alle imprese degli anni successivi. Nel 1793un decreto della Convenzione liberava le arti e gli arti-sti dai vincoli dell’Ancien Régime, accademie e corpo-razioni, e di qui alla «liberazione delle opere d’arte» ilpasso fu breve. Poiché inoltre i beni artistici eranopossesso esclusivo dei ceti privilegiati, la gran massadel popolo non aveva alcuna sensibilità per l’arte, il cuisignificato le era estraneo, e questo spiega le distruzio-ni e i saccheggi avvenuti agli inizi della Rivoluzione.Dalla Francia il fenomeno si estese a tutti i territoriconquistati, e l’espropriazione dei patrimoni artistici siverificò con una tale regolarità che i movimenti dellearmate francesi si potrebbero quasi ricostruire parten-do dai tesori d’arte inviati a Parigi.

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Anche altri aspetti dell’ideologia rivoluzionaria con-tribuirono a mettere in moto quello che fu il piú gran-de spostamento di opere d’arte della storia. È noto chei rivoluzionari francesi furono profondamente influen-zati dal modello dell’antica Roma repubblicana, e chetale influsso si manifestò non solo nel culto di Graccoe di Bruto, ma anche nelle feste rivoluzionarie nellacultura artistica e nella moda del tempo. Ma – ironiadella storia – erano stati proprio i romani, dall’antire-pubblicano Silla agli imperatori, a depredare sistemati-camente la Grecia e l’Asia Minore delle loro opered’arte, fornendo cosí un modello e una giustificazioneai rivoluzionari e a Napoleone, che certo non avevamancato di leggere il suo Plutarco.

Sarebbe tuttavia un errore far cadere la responsabi-lità degli espropri soltanto sulla Rivoluzione. Già nel-l’ottobre del 1790 dunque ancora sotto la monarchia,l’Assemblea Nazionale aveva decretato con un drasticoprovvedimento la nazionalizzazione dei beni del clero,misura a cui la cacciata dei gesuiti dall’Europa avevagià aperto la strada. La nuova carta moneta degli asse-gnati era garantita dai latifondi e dalle rendite dellechiese e dei conventi e, successivamente, della corona.Non fu dunque solo l’ideologia antireligiosa, ma ancheun cronico bisogno di denaro a provocare queste misu-re, come risulta con estrema evidenza dal trattamentoriservato ai beni del clero.

I quadri provenienti dalle chiese e dai conventichiusi e abbandonati furono messi in deposito, e ilprincipale punto di raccolta a Parigi fu il convento ab-bandonato dei Petits Augustins sul luogo dell’odiernaÉcole des Beaux-Arts. Ma i candelabri d’oro e d’argen-to, gli ostensori, i reliquiari e gli altari portatili d epoca– oggetti preziosi e ricchi in gran parte di valore arti-stico – finirono alla Zecca per essere fusi in monete. Edopo la dichiarazione di guerra agli alleati, Austria ePrussia, anche i fonti battesimali in bronzo, risalenti

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perlopiú all’alto Medioevo, vennero fusi coi loro rilieviper soddisfare l’urgente bisogno di cannoni. Perfino ilreliquiario della patrona di Parigi santa Geneviève, futrafugato dall’omonima chiesa (dove sorse poi ilPantheon di Soufflot) e fatto a pezzi per ricavarne l’o-ro e le pietre preziose.

A Parigi come in tutta la Francia era cosí aperta lastrada alle requisizioni degli anni successivi, che rag-giunsero il culmine nelle distruzioni di massa e nei sac-cheggi della Rivoluzione propriamente detta. Quellache era stata in un primo tempo una misura ben calco-lata si trasformò sotto l’influsso rivoluzionario in unapratica irrazionale dettata dalla passione e dal dogmati-smo. Nello stesso anno 1793 in cui la chiesa millenariadi Saint-Denis, con la tomba del santo, fu vittima deirivoluzionari, la cappella sepolcrale dei duchi di Borgo-gna fu venduta insieme alla certosa di Champmol pres-so Digione per essere abbattuta; le mirabili tombe scol-pite di Filippo il Temerario e di Giovanni senza paura,il cui aspetto originario ci è noto dagli acquerelli diJean-Baptiste Lallemand, furono trasferite dapprima aSaint-Bénigne, e piú tardi parzialmente mutilate e di-sperse. Le intense figure laterali dei «pleurants» furo-no in buona parte acquistate da amatori d’arte, come ilfuturo direttore generale Denon, per poi finire, in epo-ca piú recente, in vari musei. Dalla pura e sempliceconfisca delle chiese lo zelo rivoluzionario si rivolsequindi contro lo stesso passato feudale.

Quando, nel 1792, la Rivoluzione esplose in tutta lasua violenza, il suo atteggiamento verso il passato erapreciso: si trattava di cancellare tutte le tracce dell’An-cien Régime, ossia della monarchia, dell’aristocrazia e delpotere feudale della Chiesa. Da un punto di vista moder-no, puramente estetico, è difficile capire perché l’arteaveva servito il potere, e con esso veniva identificata.

Il giorno dopo il saccheggio delle Tuileries – era il10 agosto del 1792 – il «Moniteur» riferisce che il de-

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putato Sers prese la parola alla Convenzione dicendo:«Il popolo sta per abbattere tutte le statue che si tro-vano sulle pubbliche piazze. Questa azione, condottada mani inesperte, può provocare gravissimi danni.Avanzo la proposta che ingegneri e architetti venganoincaricati di guidare l’operazione». Quando un altrodeputato obiettò che non si poteva legalizzare l’abbat-timento delle statue, gli fu risposto che bisognava darprova di carattere e non avere scrupoli davanti alla di-struzione di monumenti che rappresentavano il dispo-tismo, il pregiudizio e l’arroganza. Su proposta di Thu-riot e Lacroix si decise pertanto di rimuovere, a Parigie in tutta la Francia, i monumenti dedicati alla Chiesa,alla monarchia e alla nobiltà.

Tra i primi a cadere vittima della rabbia popolarefurono le statue equestri di Luigi XIV e di Luigi XVdi Edme Bouchardon, rispettivamente sulla PlaceRoyale e sull’allora Place Louis XV (poi Place de laConcorde), come anche il monumento equestre di Lui-gi XV in Place Vendôme, di Girardon, e la statua,sempre di Luigi XV, in Place Victoire. La famosa sta-tua equestre di Enrico IV, opera di Tacca e Francavil-la, che sorgeva in posizione eminente sul Pont Neuf,godeva fin dai tempi della Henriade di Voltaire di unalarga popolarità come immagine di un monarca illumi-nato: ciò non impedí al fanatismo rivoluzionario diabbatterla – le quattro figure allegoriche di schiaviagli angoli del basamento ebbero senz’altro la loroparte nella decisione – e di portare il bronzo in fonde-ria per ricavarne cannoni. Quando il monumentoequestre di Bouchardon venne fatto a pezzi sulla PlaceRoyale, Sebastian Mercier, cronista del «Nouveau Pa-ris», si limitò a osservare che la statua «era vuota co-me il potere». È vero che l’articolo 4 del decreto del14 agosto raccomandava ai rappresentanti del popolodi provvedere alla tutela delle opere d’arte, ma poichéil decreto non specificava l’antichità e la provenienza

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delle opere da conservare il margine lasciato all’arbi-trio era in realtà vastissimo.

Che i simboli dell’odiata monarchia esposti nellepubbliche piazze venissero distrutti malgrado il lorovalore artistico è comprensibile; disgraziatamente peròanche i re biblici che ornavano i portali delle cattedraligotiche furono scambiati per precursori della monar-chia francese. Accadde cosí che numerose e preziosissi-me sculture romanico-gotiche cadessero sotto il picco-ne o il martello degli iconoclasti. Possiamo dire oggiche si trattò della piú grave perdita di opere d’arte maipatita dalla Francia, perdita di cui Notre-Dame eSaint-Germain-des-Prés a Parigi, Saint-Denis, Sémur-en-Auxerrois, Sens, Vézelay e numerose altre cattedra-li conservano i segni indelebili.

Nella Cattedrale di Sens la sola statua che soprav-visse alla distruzione fu quella del patrono della città,santo Stefano. L’Abbazia dei Celestini a Parigi, co-struita con grande sfarzo all’epoca di Carlo V e se-conda, per numero di monumenti, solo a Saint-De-nis, perdette tre figure di re che adornavano ilportale e le tombe scolpite di Giovanna di Borbone,sposa di Carlo V, e di suo figlio Luigi d’Orléans. Nel-la venerabile Chiesa di Saint-Germain-des-Prés, chepoco piú tardi sarebbe stata adibita ad arsenale, furo-no distrutte le tombe dei re merovingi e le sculturedel portale principale, mentre il timpano con rilievoromaníco dell’Ultima Cena subí varie mutilazioni. Lestatue del re Salomone e della regina di Saba, oggi alLouvre, esempi perfettamente conservati della mira-bile scultura del dodicesimo secolo, provenienti dalportale della Cattedrale di Corbeil, si salvarono perun caso fortunato: il pittore Sergeant-Marceau, mem-bro della Commissione per le opere d’arte, era lí dipassaggio proprio nel momento in cui un certo Nagelstava portandole via per distruggerle, e le comprò persei lire.

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A Notre-Dame furono staccate e gettate nel vuotole 28 statue gotiche dei re biblici sui tre portali princi-pali. Dodici sculture mutile provenienti dal portale me-ridionale di Santo Stefano, oggi al Museo di Cluny, so-no lí a testimoniare il vandalismo di quei giorni.Questo era però soltanto il preludio di quello che sa-rebbe accaduto piú tardi, quando l’architetto Varin fuincaricato, negli anni 1793-94, di «ripulire» Notre-Da-me da tutte le tracce del dispotismo. Oltre agli otto an-geli di bronzo in grandezza naturale dei pilastri furonoallora rimosse 78 sculture di grandi dimensioni e dodi-ci piú piccole, e di 25 monumenti sepolcrali uno solorimase intatto.

Per commemorare l’anniversario della presa dellaBastiglia, la Convenzione stabilí, su proposta di Barère(1° agosto 1793), che tutti i monumenti sepolcrali ocomunque legati alla monarchia dell’Abbazia di Saint-Denis («ces effrayants souvenirs des ci-devant rois»)venissero distrutti. Nel settembre del 1792 i monaci diSaint-Denis avevano celebrato la loro ultima Messa, epoco dopo gli iconoclasti incominciarono a fare a pezzile statue dei re sui portali dell’abbazia: sei teste conser-vate nei musei americani (una al Fogg Art Museum diHarvard, due al Duke University Museum, North Ca-rolina, tre alla Walters Art Gallery di Baltimora) ne so-no una testimonianza eloquente. Il tesoro dell’Abbaziadi Saint-Denis fu portato alla Convenzione l’11 no-vembre 1793 su diciassette carri pieni. La distruzionedelle statue sepolcrali rappresentò una perdita gravissi-ma che possiamo oggi valutare solo parzialmente, peresempio dalle tre piccole statue marmoree provenientidalla tomba di Filippo IV, conservate al MetropolitanMuseum di Liegi, al Victoria and Albert Museum diLondra, e dai frammenti superstiti messi in salvo daAlexandre Lenoir nel suo deposito al Museo dei PetitsAugustins. Ma molte altre statue di bronzo, come imonumenti sepolcrali di Carlo IV, di Luigi XII o di

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Francesco I, andarono irrimediabilmente perdute.L’altar maggiore di Saint-Denis fu spogliato dei suoiantichi ornamenti e trasformato, con quanto rimanevadelle statue dei re, in un monumento per i martiri del-la Rivoluzione.

Lasciamo ora le chiese per dare uno sguardo agliespropri che presero l’avvio con la nazionalizzazionedel patrimonio reale e che diedero un contributo deci-sivo alla nascita delle future collezioni d’arte. Nono-stante i molti quadri di soggetto religioso dati allefiamme durante le prime esplosioni di violenza anticle-ricale, la maggior parte dei dipinti, a differenza dellesculture, furono trasportati in depositi e quindi al Lou-vre o in altri musei francesi. Dopo i segnali minacciosidel ’91 gli aristocratici incominciarono a lasciare laFrancia in misura crescente, guidati dal principe eredi-tario il duca di Provenza e dall’odiato conte di Anjou:erano i cosiddetti «émigrés». Molti dei loro castelli inprovincia e attorno a Parigi vennero saccheggiati primaancora della destituzione del re, ma solo il 2 settembre1793 la Convenzione decise l’esproprio in massa deibeni degli emigrati. La legge fu integrata poco dopo daun decreto che si riferiva alla conservazione dei monu-menti di interesse scientifico e artistico e sul quale tor-neremo piú avanti. Poiché gli aristocratici emigratiavevano numerosi creditori che reclamavano i propridiritti, i loro beni mobili e di valore furono raccolti inuno speciale deposito all’Hôtel de Nesle.

È difficile farsi un’idea dei tesori d’arte confiscatinei castelli, nelle palazzine di caccia, nei palazzi citta-dini, nelle chiese e nei conventi, tesori che comprende-vano non solo quadri e sculture ma anche oggetti pre-ziosi di ogni tipo, manoscritti miniati e soprattuttomobili di lusso, allora splendidi e assai ricercati. Poichéi nuovi gusti dell’epoca e l’astio repubblicano controogni traccia di aristocrazia portavano a disprezzarel’arte del diciottesimo secolo, che era anche la piú rap-

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presentata, innumerevoli capolavori andarono distrut-ti. Le sculture, gli arazzi, i mobili preziosi, i candelabrie i terminali di bronzo provenienti dai castelli requisitialla nobiltà e alla famiglia reale vennero portati a Pari-gi insieme ad altri oggetti di minor valore e messi all’a-sta. Molti quadri e gobelins del Settecento francese,capolavori di Watteau e della sua scuola, di Pater, Lan-cret, Boucher, Nattier, Jean-François de Troy, Frago-nard e altri, di cui vanno orgogliosi i maggiori museiodierni, vennero staccati dalle pannellature in cui era-no inseriti.

Per un anno intero, dall’agosto 1793 al 1794, i mo-bili d’arte piú preziosi, confezionati da mobilieri di fa-ma internazionale come Boulle, Crescent, Oeben, Rie-sener, Lacroix, Carlin e cosí via, e provenienti daipalazzi di Versailles e di Chantilly, Marly, Fontaine-bleau, Louveciennes e Meudon, come anche dal GardeMeuble Royal, vennero offerti al pubblico in aste per-manenti sulla Place de la Concorde per riempire levuote casse della Repubblica. Allo scopo di attrarrecompratori stranieri e soddisfare cosí il pressante biso-gno di valuta, queste vendite all’incanto furono pub-blicizzate perfino sui giornali olandesi, inglesi e italia-ni, puntando sul favorevole corso dei cambi esull’eccezionalità dell’occasione.

Fu appunto in questa circostanza che il principe diGalles, il futuro Giorgio IV, spedí a Parigi il suo mag-giordomo francese, e i mobili acquistati allora adorna-no ancora oggi i castelli di Windsor e di BuckinghamPalace. L’ambasciatore inglese Sir William Hamilton eWilliam Beckford di Fonthill Abbey, due tra i piú im-portanti collezionisti dell’epoca, non si lasciarono sfug-gire l’occasione e acquistarono, insieme ad altri rappre-sentanti dell’aristocrazia inglese e russa, numeroseopere dell’arte francese di corte, soprattutto Boucher eil «bureau» del re Stanislao di Oeben-Riesener, unodei piú straordinari mobili artistici del ’700, oggi alla

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Wallace Collection di Londra. Insieme ai principi po-lacchi Lubomirski e Czartoritzki, fu soprattutto il mi-nistro degli Esteri dello Zar, il principe AlessandroBezborodko, a riempire di quadri francesi i saloni delsuo palazzo di San Pietroburgo: ce ne informa nel suodiario la famosa pittrice Madame Vigée-Lebrun, che lipoté osservare durante il suo esilio pietroburghese.

Minor fortuna ebbero purtroppo le tappezzerie, emolte tra le migliori manifatture Gobelin di Parigi e diBeauvais furono distrutte o bruciate per ricavarne i filid’oro e d’argento.

Un paio di esempi caratteristici basteranno a mo-strare come fosse soprattutto l’arte piú antica a fare lespese della situazione. Il mercante d’arte Birmann diBasilea, uno dei numerosi mercanti attivi sulla piazzaparigina, acquistò non solo le due tavole provenientidall’altare della Chiesa di Loches, realizzato da Etien-ne Chevalier, tesoriere di Carlo VII (ai musei di Berli-no e di Anversa), dipinte dal piú grande maestro delquindicesimo secolo, Jean Fouquet, ma anche il suosplendido Libro d’ore miniato, oggi al Museo di Chan-tilly. Dopo che il Convento e la Chiesa di Saint-Ger-main-des-Près a Parigi furono espropriati e trasformatiin un deposito di salnitro, scoppiò un incendio che di-strusse la biblioteca e il gabinetto di antichità fondatoda Montfaucon. Dei manoscritti salvati dall’incendio,alcuni tra i piú preziosi furono acquistati dal funziona-rio della legazione russa Pierre Dubrowski: la grandeCronaca di Saint-Denis, decorata con le miniature del«maître illumineur» Simon Marmion, l’Histoire deTroy con le miniature di Jean Colombe e le copie dellelettere di san Gerolamo preparate per la reggente Annadi Bretagna, con le ricchissime miniature del pittore dicorte Jean Bourdichon (oggi tutte alla Biblioteca Na-zionale di Leningrado). Dal tesoro della Cattedrale diAutun altri due ammirati capolavori finirono per fortu-na nelle collezioni nazionali, e cioè la Madonna Rolin

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di Jan van Eyck e il mistico Sposalizio di santa Caterinadi fra Bartolomeo della Porta, donazioni del cancelliereborgognone Jean Carondolet (entrambi al Louvre).

Com’era da aspettarsi, le distruzioni e i saccheggi diopere d’arte dettati dal fanatismo provocarono l’inter-vento degli intellettuali piú ragionevoli, e dopo la ca-duta di Robespierre le voci di protesta si fecero ancorapiú forti e pressanti. Ancora nel novembre del ’93 era-no stati distrutti 434 dipinti nel deposito del MuseoCentrale, e solo il coraggioso intervento del conserva-tore Lenoir permise di salvarne altri dalla distruzione.Ma nell’aprile del ’94, al culmine del Terrore, alcuniincaricati del Comitato di Salute Pubblica vennero aincendiare tutti i dipinti che per il loro contenuto ri-cordassero in qualche modo l’epoca feudale.

Nell’agosto dello stesso anno tuttavia il deputatoabate Henri Grégoire osò discutere pubblicamenteall’Assemblea Nazionale i suoi tre «Rapporti sulledistruzioni operate dal vandalismo e sui mezzi per impe-dirle». Nella politica dello Stato francese verso i beniartistici ebbe cosí inizio una nuova fase. Grégoiredichiarò che l’apprezzamento per l’arte era tutt’uno conle virtú repubblicane, sostenendo (con qualche licenzaretorica) che «les Barbares et les esclaves détestent lesmonuments des arts, les hommes libres les aiment etconservent». Si diffuse l’idea che era assurdo distrug-gere opere d’arte appartenenti al patrimonio nazionale,ossia, in altre parole, che la nazionalizzazione delle opered’arte richiedeva altresí la loro conservazione per il benedella comunità. La Convenzione emanò un’ordinanzarivolta alle amministrazioni regionali in cui si diceva:«Voi siete soltanto i depositari di beni di cui la grandefamiglia del popolo potrà chiedervi conto».

Già l’anno prima l’Assemblea popolare avevaespresso il desiderio che le opere di interesse artistico ostorico venissero conservate e che ne fosse anzituttopreparato un inventario: «Lorsque les inventaires de

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toutes les collections seront terminés, des agents re-sponsables en seront nommés et toute dilapidation endeviendra dès ce moment impossible». La cosa era piúfacile a dirsi che a farsi, anche perché non vi erano ab-bastanza esperti in grado di vagliare l’enorme quantitàdi oggetti confiscati: manoscritti, libri, sculture, qua-dri, strumenti scientifici, documenti storici, raccoltemineralogiche e zoologiche, monete, lavori di orefice-ria e altri tesori, e lo zelo patriottico non poteva sosti-tuire l’esperienza. Inoltre, come si è detto, i comitatirivoluzionari di provincia godettero a lungo di una re-lativa autonomia, e coloro che dovevano provvedere altrasporto delle opere d’arte a Parigi anteposero non dirado il proprio vantaggio personale al bene comune.Solo col Direttorio si giunse a un controllo piú severo esistematico delle opere d’arte, e la nuova Commissioneper i monumenti ebbe la possibilità di inviare a questoscopo una «colonna volante» in giro per la Francia.

Della commissione facevano parte il pittore Doyen,l’esperto d’arte abate Le Blond e il loro protetto, l’ar-chitetto Alexandre Lenoir, ai quali si deve l’apertura deldeposito nel Convento dei Petits Augustins. In parti-colare Lenoir, il «guardiano» o conservatore del Depo-sito, aveva fatto miracoli, negli anni caldi della Rivolu-zione, per salvare opere di ogni epoca e soprattutto lesculture medievali. Correndo non pochi rischi avevaprovveduto a trasportare nel suo deposito le tombe realidi Saint-Denis, come anche la Ninfa dormiente di Ben-venuto Cellini, rilievo in bronzo proveniente dal castel-lo di Anet di Diana di Poitiers, la famosa Diana concervo di Jean Goujon, gruppo marmoreo proveniente daFontainebleau (Parigi, Louvre), oltre a innumerevolialtre opere senza le quali la storia dell’arte francesesarebbe assai piú povera. È in effetti difficile sopravva-lutare l’importanza dell’opera svolta da Lenoir per laconservazione e la comprensione di questo patrimonio,tanto piú se la confrontiamo col miope giudizio dei con-

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temporanei. Albert Louis Mille, direttore dellaBibliothèque Nationale e autore di un’opera sulle Anti-quités nationales aveva definito «indecenti e ridicole» lefigure delle cattedrali medievali.

Un ruolo simile a quello di Lenoir fu quello svoltoin Champagne dall’abate Bergeat, il quale si adoperòaffinché le opere d’arte delle chiese di Saint-Rémy,Saint-Nicaise e Saint-Pierre-des-Dames venissero rac-colte nel nuovo Museo di Reims, fondato nel 1793.Dall’Hôtel Dieu fu messo allora in salvo un importanteciclo di raffigurazioni dedicate alla vita e alla morte diPilato, realizzate tra il 1450 e il 1490 per la «Confrériede la Passion» che intendeva utilizzarle nelle sue sacrerappresentazioni. In Piccardia, un pronipote di Antoi-ne Watteau, Louis Watteau de Lille, che era presiden-te della Commissione per le opere d’arte di Lilla, con-fiscò 380 dipinti provenienti dai castelli, dalle chiese edai conventi della zona per consegnarli intatti allacommissione centrale.

Un’altra commissione per la tutela delle opere d’ar-te fu istituita nell’anno II (1794) su idea di Jean-LouisDavid; oltre a David, che ne era presidente, ne faceva-no parte i pittori Fràgonard, Wicar, Lesueur e Bonvoi-sin, un certo architetto Varin e il miglior restauratoredel tempo, Picault. La Commissione per i monumentie la Commissione per le opere d’arte diedero vita, nel-l’ambito del Ministero dell’educazione, al primo pro-gramma politico per la difesa dei beni culturali delnuovo governo francese, sebbene in un primo tempogli interessi delle due commissioni fossero contrastanti.Il pomo della discordia era la creazione di un unicogrande museo nazionale.

La nazionalizzazione delle collezioni reali e l’accu-mularsi di opere d’arte provenienti dalle chiese e dalleraccolte dell’aristocrazia rendeva sempre piú urgentel’istituzione, a Parigi, di un museo centrale aperto alpubblico. Già l’ultimo intendente del re, il conte

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d’Angeviller, aveva progettato una pinacoteca che rac-cogliesse il patrimonio reale, e quando i beni ecclesia-stici furono confiscati e ammassati nel deposito dei Pe-tits Augustins, Lenoir concepí l’ambizioso proposito ditrasformarlo in un «Musée des monuments français»: atale scopo Lenoir compilò il primo catalogo delle operemesse in salvo, e in particolare delle sculture piú anti-che. Il museo divenne realtà nel 1795, ma nello stessoanno anche la raccolta di quadri del Louvre fu trasfor-mata in museo nazionale.

Dopo il trasferimento della corte a Versailles sottoLuigi XIV il palazzo del Louvre aveva perso via via lasua importanza ed era stato usato per gli scopi piú di-sparati, che nulla avevano a che fare con la sua destina-zione originaria. Vi era installata la stamperia reale,nell’ala sotto la Grande Galleria si trovavano alloggiper gli invalidi di guerra e per gli artisti favoriti dal re,e con le botteghe che riempivano i suoi cortili il Lou-vre assomigliava piú a un grande magazzino che a unpalazzo. Quando la monarchia fu abbattuta e il mini-stro degli Interni Roland ritornò in carica, ordinò losgombero del Louvre e la sua trasformazione in un mu-seo nazionale aperto al pubblico, nominando a tale sco-po un’apposita commissione.

Nel 1792 la commissione scelse i quadri che doveva-no far parte della raccolta: dallo scrupoloso inventariopubblicato per l’occasione da Furcy-Raymond, in cuisono registrate le opere trasferite al Louvre dall’Hôtelde Nesle, si può vedere in che misura le opere confisca-te abbiano arricchito le collezioni del museo. Cosí, adesempio, veniamo a sapere che I viandanti di Emmaus el’Evangelista Matteo di Rembrandt, come pure il Cristonel sepolcro di Jacopo Tintoretto provenivano dalla rac-colta del conte d’Angeviller, l’ultimo intendente reale.Altri preziosi quadri di Rembrandt e numerosi quadridi genere del ’600 olandese, allora di moda, venivanodall’importante raccolta della marchesa di Noailles-de-

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Cossé-Brissac, morta sotto la ghigliottina: tra questiVenere e Amore in grandezza naturale e il Ritratto diuna coppia di Rembrandt, un grande Pastore e pastorelladi Albert Cuyp, un doppio ritratto di Frans Hals, unaPastorella, opera di Govert Flinck e altri.

Vari altri dipinti di scuola olandese si aggiunsero dal-le collezioni del duca di Brissac (Rembrandt, Terborch,Metsu, Potter, Dou, Ostade), del barone di Breteuil edell’esattore generale delle imposte Jean-Baptiste deBoulogne. Il castello di Vignerot presso Agen, di pro-prietà del conte di Richelieu, discendente del famosocardinale e collezionista, fu saccheggiato nel 1792 e unaparte dei suoi dipinti fu data alle fiamme, mentre lapreziosa serie dei Vizi e Virtú di Mantegna, Costa e Pe-rugino, proveniente dallo Studiolo della contessa Isa-bella d’Este fu messa in salvo e trasportata piú tardi alLouvre.

Il castello di Anet, di proprietà del duca di Penthiè-vre fuggito in esilio, contribuí con una preziosa sceltadi capolavori italiani del sedicesimo e diciassettesimosecolo (Paolo Veronese, Jacopo Tintoretto, AgostinoCarracci, Michelangelo da Caravaggio, Barbieri-Guer-cino, Pietro da Cortona, Guido Reni e altri). Natural-mente anche la scuola francese si arricchí di opere no-tevoli; dalla raccolta de Brissac giunsero i due quadridi Claude Lorrain Il mattino e Il mezzogiorno, dalleproprietà della marchesa di Vintimille il Diluvio univer-sale e il Ringraziamento di Noè di Nicolas Poussin, e daquelle del duca di La Vrilliére il Camillo e le Ninfe dan-zanti, sempre di Poussin. Insieme ad altri dipinti, comela squisita Famiglia di contadini di Louis le Nain (Lou-vre) o i due ritratti della famiglia Condé eseguiti daNattier, Madame d’Orléans come naiade e Madame Vin-timille con ninfe al bagno (entrambi al castello di Chan-tilly), vennero ad arricchire le raccolte nazionali anchenumerose sculture francesi di Pigalle, Bouchardon,Houdon e i mobili sontuosamente decorati di Boulle.

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Nel primo catalogo a stampa del Museo del Louvre,uscito nel 1793, Jean-Baptiste le Brun, in qualità di re-sponsabile della commissione per il museo, registrava537 quadri, dei quali circa tre quarti dalle raccolte rea-li e il resto da fondi ecclesiastici e altre proprietà. Mala maggior parte dei dipinti provenienti dalle raccoltedegli emigrati, come pure dall’Accademia, a quel tem-po soppressa, dovevano ancora aggiungersi al bottino.

All’inizio i principali spazi espositivi furono la co-siddetta Galérie d’Apollon e le sale attigue, ma il luogoideale per esporvi una grande raccolta di quadri in se-rie continua era naturalmente il corridoio, lungo diver-se centinaia di metri, che collegava il Pavillon de Mar-san con l’edificio del Louvre vero e proprio, corridoionoto come Grande Galleria. Il suo unico difetto risultòessere la scarsa illuminazione: lo stesso David fece no-tare che le finestre laterali, molto distanziate, forniva-no una luce insufficiente. Come si presentasse allora lagalleria ci è noto da un quadro di Hubert Robert, chene fu anche il primo curatore. Lo stesso Robert ci halasciato, in un bozzetto a olio del 1796, il primo pro-getto in cui la galleria veniva illuminata dall’alto e sud-divisa da archi. Come vedremo, questo progetto verràrealizzato piú tardi senza sostanziali modifiche. Il fattopiú importante è però un altro: il Louvre diventava, daallora, il museo della Nazione. Appena un anno piútardi altri capolavori dovevano aggiungersi in seguitoalla conquista dei Paesi Bassi da parte delle armate ri-voluzionarie, proseguendo cosí in terra straniera unprocesso iniziato in Francia durante gli anni della Ri-voluzione.

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Capitolo secondo

Il contributo dei Paesi Bassi (1794-95)

Il 20 settembre 1794 il deputato e noto chimicoGuyton-Morveau prese la parola all’Assemblea Nazio-nale di Parigi per annunciare la prima spedizione diquadri dai Paesi Bassi appena conquistati. Subito dopofece entrare nella sala il pittore e sottotenente dell’ar-mata rivoluzionaria del Nord Jean-Luc Barbier, cheaveva personalmente provveduto alla raccolta e allaspedizione delle opere, e a cui fu concesso, per l’occa-sione, il privilegio di parlare all’Assemblea. Per dareun’idea dello stile retorico e dello spirito che animavaqueste campagne parallele condotte in nome dell’artevale la pena di citare una parte del discorso: «Rappre-sentanti del Popolo! I frutti del genio rappresentanol’eredità della libertà, e questa eredità sarà sempre ri-spettata dall’esercito del popolo. L’armata del Nord siè fatta strada col ferro e col fuoco tra i tiranni e i loroalleati, ma ha custodito con cura le numerose opered’arte abbandonate dai despoti nella fretta della fuga.Per troppo tempo questi capolavori sono stati insudi-ciati dalla vista della schiavitú: nel cuore dei popoli li-beri ora troveranno pace. Le lacrime degli schiavi sonoindegne della loro grandezza, e gli onori resi ai sovraninon fanno che disturbare il loro sonno di morte. Maadesso queste opere immortali non sono piú in terrastraniera; oggi esse sono giunte nella patria delle arti edel genio, della libertà e dell’uguaglianza, nella Repub-blica francese. Io stesso ho raccolto e accompagnato

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questi quadri preziosi, e altri ne seguiranno. Vi prego,rappresentanti dei cittadini, di provvedere alla loro si-stemazione, affinché io possa ritenere la mia missionecompiuta e tornare a combattere il dispotismo. Lungavita alla Repubblica».

Un mese dopo, il prode sottotenente degli ussariBarbier era di nuovo ad Anversa, con l’incarico di re-quisire tutto ciò che gli sembrasse meritevole, come giàaveva fatto dopo la seconda conquista del paese da par-te dell’armata rivoluzionaria, avvenuta tra luglio e ago-sto. La guerra contro gli eserciti della coalizione (Au-stria, Prussia, Inghilterra) aveva preso in effetti unandamento sfavorevole per la giovane repubblica, e al-le vittorie di Valmy (20 settembre) e di Jemappes (6novembre 1792) avevano fatto seguito le dure sconfit-te della primavera successiva. La sconfitta decisiva diNeerwinden e il tradimento del comandante in capogenerale Dumouriez portarono al potere il partito gia-cobino, inaugurando cosí la fase del «Terrore». Soltan-to dopo la vittoria del generale Jourdan sugli Alleatipresso Fleurus (26 giugno 1794) e dopo il colpo di Sta-to del Termidoro (27 luglio 1794), che pose fine alladittatura rivoluzionaria di Robespierre, l’AssembleaNazionale riottenne i propri poteri, per essere quindisostituita dal Direttorio.

Può sembrare strano che in tempi cosí calamitosi ungoverno rivoluzionario sull’orlo dell’abisso coltivi an-cora l’ambizione di conquistare opere d’arte per la suacapitale, ma la cosa fa parte delle contraddizioni e in-congruenze proprie di questo periodo anomalo. Né po-tremo meravigliarci abbastanza dell’entusiasmo e del-l’abilità con cui gli agenti francesi delle commissioniper le opere d’arte svolsero il loro compito, spesso incondizioni proibitive. D’altronde, solo una parte di es-si erano artisti o esperti d’arte: altri erano scienziati,architetti e via discorrendo, e furono assistiti nella loromissione da «specialisti» come il pittore Jean-Baptiste

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Wicar e il mercante d’arte Lebrun, membri pariginidella «Commission temporaire des Arts». I commissaripotevano naturalmente disporre di guide e manuali,come la Galerie des peintres flamands di Lebrun (1792),il Voyage pittoresque de la Flandre et du Brabant di Jean-Baptiste Decamps (ultima edizione 1792, ma uscito nel1769), Le peintre amateur et curieux di Louis Men-saerts, uscito a Bruxelles nel 1763 e cosí via, che facili-tarono il reperimento delle opere da requisire.

Le requisizioni furono inoltre agevolate dal fattoche nei territori conquistati dei Paesi Bassi gli eventiavevano preso, sotto il dominio austriaco, un corsomolto simile a quello francese. Le idee rivoluzionarie sierano diffuse rapidamente qui come in altre partid’Europa, e le riforme introdotte dall’imperatore Giu-seppe II dopo il colpo di Stato del 1787 avevano irrita-to vari strati della popolazione. Sopprimendo privilegie libertà costituzionali antiche di secoli allo scopo direalizzare un sistema centralizzato e subordinato al-l’autorità imperiale, l’imperatore si inimicò i sentimen-ti della Nazione. La notizia della presa della Bastigliainfiammò l’opposizione, e quando, nell’ottobre del1789, gli austriaci furono sconfitti presso Turnhoutdai volontari brabantini, tutto il paese si sollevò. Solola morte dell’imperatore nel febbraio 1790 serví a pla-care le acque, finché nel mese di dicembre l’esercitoaustriaco riconquistò Bruxelles senza incontrare gran-de resistenza. Sebbene le riforme non fossero state rea-lizzate il dominio austriaco rimase estremamente impo-polare, e all’arrivo del primo esercito rivoluzionariofrancese nel 1792 le scene viste a Parigi si ripeterono,comprese le distruzioni di monumenti, anche nellecittà fiamminghe.

Le statue principesche sulla facciata del Municipiodi Bruges, opera di Claus Sluter o di Jean de Valen-ciennes, furono divelte, mentre nella Cattedrale di An-versa fu distrutta la tomba di Isabella di Borbone, spo-

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sa di Carlo il Savio. I tesori delle confraternite di Ma-lines, Lovanio e altre località furono sequestrati e spe-diti a Lilla, l’ultimo baluardo della resistenza contro leforze alleate. Naturalmente i monaci in fuga cercaronodi mettere in salvo tutto il possibile: il tesoro dellaChiesa di San Pietro a Lüttich, ad esempio, fu scoper-to piú tardi dal commissario Vaillant nel Convento diMaastricht in Olanda. I monaci di Stavelot, riparandoin Germania, portarono con sé un famoso scrigno d’ar-gento che fu poi fatto fondere per provvedere al so-stentamento della comunità.

Durante la prima occupazione del 1792 i francesi siinteressarono soprattutto agli oggetti preziosi d’oro ed’argento, come i calici liturgici, le croci, i reliquiari, icandelabri, e una parte del bottino, come il tesoro del-la Chiesa di Santa Gudula a Bruxelles, fu messa in sal-vo nella precipitosa ritirata di Lilla. Quando poi i fran-cesi incominciarono a secolarizzare e a confiscare ipatrimoni delle chiese e dei conventi la reazione popo-lare fu modesta poiché quelle misure erano già stateanticipate dai tentativi di riforma di Giuseppe II. Apartire dal 1783 (anzi dal 1773, anno della cacciata deigesuiti) Giuseppe II aveva decretato la soppressione di163 comunità e confraternite religiose «inutili», col ri-sultato che i loro beni andarono dispersi e le opered’arte furono ammassate nei municipi, mentre le piúpreziose tra queste furono acquistate dal governo diBruxelles a titolo di contributo fiscale oppure vendutea privati e a mercanti d’arte.

Fu in questa occasione che Vienna entrò in possessodi alcuni capolavori, come il gigantesco altare di Sant’I-delfonso di Rubens, proveniente dal Coudemberg diBruxelles, o la Madonna del Rosario di Michelangelo daCaravaggio, dalla Chiesa di San Paolo ad Anversa.Come apprendiamo dal Piot, a partire dagli anni 1785-88 innumerevoli capolavori della pittura fiammingafurono messi all’asta a Bruxelles: un collezionista avve-

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duto poteva acquistare una preziosa tavola d’altare delquindicesimo o del sedicesimo secolo per una cifra irri-soria. La Madonna con santi di Gérard David (1509),proveniente dal Convento delle Carmelitane Scalze, fuvenduta come un «Memling» per il prezzo ridicolo di 15fiorini. Prima del ritorno dei francesi nel 1794 il gover-no austriaco si affrettò a spedire le opere piú prezioseancora invendute a Vienna, da cui non fecero piú ritor-no, malgrado le successive richieste di restituzione.

La maggior parte delle grandi raccolte conservatenei palazzi e nei castelli della nobiltà erano scomparseda tempo, con poche eccezioni come quella del duca diArenberg. Ma nelle grandi chiese e nei municipi si era-no accumulati nei secoli tesori d’arte che nemmeno ilgoverno imperiale aveva toccato. Col disprezzo per leistituzioni religiose insegnato dalla Rivoluzione i con-quistatori francesi non ebbero alcuno scrupolo a impa-dronirsene. Rubens, Van Dyck, Jacob Jordaens, Cor-nelis de Vos, Gaspard de Crayer, insomma l’interacerchia di Rubens, apriva l’elenco delle opere piú am-bite, secondo una gerarchia di valori immutata fin dal-l’età barocca.

Tra i commissari che accompagnavano l’armata delNord – nominati da rappresentanti del popolo, comeGouyton-Morveau e Charles Delacroix, o dalla «Com-mission temporaire des Arts» – vi erano, oltre al già ci-tato Luc Barbier, l’architetto de Wailly, costruttoredel teatro dell’Odeon, l’archeologo, geologo e profes-sore al Musée d’Histoire Naturelle Faujas de Saint-Font, l’antiquario Le Blond, il botanico Thouin e ilpittore Tinet, che avremo ancora occasione di incon-trare piú volte.

Il primo agosto 1794, Barbier e Léger, un ufficialedell’aiutante di campo, accompagnati da diversi soldatie operai, si recarono alla Chiesa di Sankt Walburg adAnversa e staccarono dall’altar maggiore il trittico dellaCrocifissione: al parroco fu rilasciata in cambio una rego-

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lare ricevuta. Si trattava del primo dei grandi altari affi-dati a Rubens subito dopo il suo ritorno dall’Italia, neglianni 1610-12. L’opera, per la quale il pittore ricevetteun compenso di ben duemila fiorini, è una prepotentedimostrazione del nuovo genio di Rubens, e segna, coldinamismo delle figure e l’audacia delle soluzioni lumi-nistiche, l’arrivo del barocco nei paesi nordici.

Barbier si era informato bene: tre giorni piú tardi sipresentò col suo seguito nel Duomo di Notre-Dameprima della messa di mezzogiorno e chiese che gli ve-nissero consegnate le chiavi. Per tre giorni le porte delduomo rimasero chiuse, e con l’aiuto di corde, scale,ponti mobili, gli uomini di Barbier si impossessaronodei quadri esposti nelle cappelle, nel coro e sugli altari.Dall’altar maggiore di Colyn de Nole staccarono la Re-surrezione di Cristo dipinta da Rubens nel 1618 per JanMoretus. Dall’ala destra presero l’opera piú celebre,oggi esposta sull’altar maggiore: il trittico della Deposi-zione dalla Croce, dipinto piú o meno negli stessi annidella Crocifissione per la gilda degli archibugieri di An-versa. Seguivano altre opere dello stesso Rubens: iltrittico della Vergine della famiglia Goubau (Tours, mu-seo), il trittico della Deposizione eseguito in memoriadi Jan Michielsen, morto nel 1617 (Anversa, museo),l’altare di San Giovanni sulla tomba della famiglia Mo-retus col ritratto del famoso stampatore ed editore JanMoretus, per il quale Rubens aveva lavorato piú volte(Anversa, Notre-Dame).

Come la maggior parte dei contemporanei, Barbiernon aveva alcun interesse per l’antica pittura fiammin-ga, perché in caso contrario non avrebbe rinunciato alcapolavoro assoluto del rinascimento di Anversa, cioèall’altare dipinto da Quentin Massys per la gilda dei fa-legnami, per il quale il re Filippo II di Spagna avevaofferto invano una forte somma nel 1577. Il quadrofiní alla città di Anversa e nel 1798 il pittore Herrevnslo mise in salvo da ulteriori requisizioni nella scuola

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dei due Nethes. In compenso, Barbier portò via la par-te centrale dell’altare di San Michele raffigurante Lacaduta degli angeli, dipinto nel 1554 dal piú famoso deipittori italianeggianti, Frans Floris, per la gilda deglischermitori (Anversa, museo) e un altare della Resurre-zione di Cristo di Cornelis de Vos (Lilla e Nantes), po-sto sulla tomba della famiglia Van der Aa. Nell’edificiodell’Accademia di Belle Arti, che ospitava l’ereditàdell’antica gilda di San Luca, Barbier trovò un autori-tratto attribuito a Quentin Massys (andato disperso), ilforte ritratto del vecchio maestro della corporazioneCornelius Graphäus, dipinto da Cornelis de Vos (An-versa, museo), e soprattutto la splendida Sacra famigliadonata da Rubens alla gilda intorno al 1614-15.

Alla Zecca e al Municipio era conservata una partedei bozzetti a olio e delle grandi tele che il maestroaveva progettato per l’ingresso trionfale del cardinale-infante Ferdinando, e realizzato con la sua bottega. Al-meno tre di queste furono destinate a Parigi.

La grande chiesa dell’abbazia medievale di San Mi-chele, che rivaleggiava per ricchezza e importanza conla cattedrale e il cui campanile era un simbolo dellacittà, custodiva il quadro votivo donato da Rubens perla tomba della madre e della prima moglie IsabellaBrant: esso raffigurava la glorificazione di santa Domi-tilla e san Gregorio insieme alla Vergine Maria e nu-merosi altri santi (Grenoble, museo) ed era stato com-missionato al maestro per la Chiesa di Santa Maria inVallicella a Roma. Durante il suo soggiorno romanodel 1607 Rubens dovette però sostituirlo con una se-conda versione in marmo, mentre la tela, di cui era or-goglioso come di tutte le sue opere italiane, fu riporta-ta ad Anversa. Oltre a questa opera giovanile diRubens, la chiesa ospitava sull’altar maggiore una dellepiú grandiose composizioni della sua maturità, l’Adora-zione dei Magi terminata nel 1624 (Anversa, museo),per la quale l’abate Yrsselius aveva pagato 1500 fiorini

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fiamminghi. Insieme a un altare di Cornelis de Vos,donato dalla famiglia Snoeck nel 1630 (Anversa, mu-seo) e a un ritratto del fratello di Rubens, Filippo (De-troit, museo), entrambe le opere si aggiunsero al caricodestinato a Parigi.

Un’altra chiesa di Anversa ricca di opere d’arte eraquella dei Recolletti francescani, dalla quale Barbiersequestrò quattro importanti opere di Rubens e due diVan Dyck: tra le prime, la notevole pala d’altare dipin-ta da Rubens negli anni 1613-14 in memoria del suoprotettore, il borgomastro Nicolas Rockox, e che eraesposta sulla tomba di quest’ultimo. Nel riquadro cen-trale raffigurava Tommaso, l’apostolo incredulo, e inquelli laterali la famiglia donatrice. Sempre per Rockoxil maestro aveva creato nel 1620 il quadro destinato al-l’altar maggiore della chiesa, raffigurante la Crocifissio-ne di Cristo, e noto (a partire dal ’700) come Il colpo dilancia (entrambe le opere sono al Museo di Anversa).Quanto a Van Dyck, si trattava del Ritratto dell’abateScaglia, appeso sopra la sua tomba, e del Compianto diCristo con due angeli lasciato dallo stesso abate Scagliaal convento in cui morí.

Alle Domenicane di Anversa Van Dyck aveva fattodono di una grande Crocifissione coi santi Domenico eCaterina, in memoria del padre, che le monache aveva-no assistito durante la sua ultima malattia. Quando,nel 1785, il convento fu soppresso, anche questo qua-dro fu venduto, per essere poi riacquistato ed espostonella Chiesa dei Domenicani di San Paolo. Fu appuntoqui che il quadro cadde nelle mani dei commissari fran-cesi (oggi è al Museo di Anversa), come pure la grandetela di Rubens Madonna con santi come portavoce del-l’umanità, dal soggetto vicino allo spirito della Contro-riforma, e un ciclo di dipinti dedicati ai Quindici miste-ri del Rosario e del Nome di Gesú, che decoravano lepareti della sacrestia. Il ciclo era stato commissionato aRubens e ai suoi collaboratori nel 1617 da Louis Cla-

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risse, e Barbier ne scelse cinque esemplari: la Nativitàdi Cristo di Cornelis de Vos, la Flagellazione di Cristo diRubens, la Salita al Calvario di Van Dyck e il Compian-to di Cristo di Gaspard de Crayer .

Allo stesso modo, dopo la consacrazione della chiesaabbaziale degli agostiniani nel 1618 Rubens era statoincaricato con la sua bottega di decorare i tre altariprincipali: Barbier se li portò via tutti e tre. Si trattavadella tela di Rubens Madonna e santi in adorazione, altaben cinque metri, della Visione di sant’Agostino di VanDyck (entrambi nella chiesa degli agostiniani) e delMartirio di santa Apollonia di Jacob Jordaens .

Anche in questo caso, come in altri, colpisce l’atteg-giamento contraddittorio dei rivoluzionari repubblica-ni: mentre a Parigi l’ondata anticlericale continuava aimperversare spingendo alla distruzione delle opered’arte, nelle Fiandre i dipinti di soggetto religioso fu-rono accolti «en masse» con l’approvazione delle auto-rità parigine per essere trasportati nella capitale.

L’assidua frequentazione delle opere di Rubens edella sua scuola permise a Barbier e ai commissari«olandesi» di affinare le proprie capacità critiche, chel’intenso lavoro «di bottega» e i numerosi imitatori diepoca piú tarda rendevano particolarmente necessarie.È proprio questo acume critico a spiegare, almeno inparte, il numero sorprendente di capolavori che lacommissione riuscí a mettere insieme, e che formanotuttora la base delle nostre conoscenze sulla pitturatardofiamminga. C’era però un’altra circostanza chefavorí le scelte dei commissari, anche se privi delle no-stre attuali cognizioni storico-artistiche: essi ebbero lafortuna di trovare la maggior parte di queste opere nelluogo al quale erano state destinate, e la tradizione nonsi era, perlopiú, ancora interrotta.

Nel Convento delle Beghine di Anversa, ad esem-pio, avevano passato i loro giorni le tre sorelle di VanDyck, e quando l’artista, prima del suo ultimo viaggio

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in Inghilterra, fece testamento, stabilí di essere sepoltoin quella chiesa, e donò alla chiesa, in memoria dellesorelle e di se stesso, la Deposizione dalla Croce, oggi alMuseo di Anversa. Naturalmente Barbier non si lasciòsfuggire la Cappella Rubens nella chiesa patrizia di SanGiacomo, sontuosamente adorna di opere d’arte. Lacappella conteneva del resto anche la straordinaria palad’altare della Adorazione della Madonna, che il maestroaveva realizzato da solo negli ultimi anni della sua vitaper la Chiesa di San Giacomo, nonostante le mani im-pedite dalla gotta. L’audacia del disegno, la fusione deivalori cromatici e pittorici (luci e ombre) nella pasto-sità della loro orchestrazione rappresenta qui un testa-mento definitivo della maestria critica di Rubens. Trasan Giorgio, santa Caterina e san Francesco, il san Gi-rolamo inginocchiato col putto in primo piano ricordala figura di Crono, il dio del tempo, ed è assai probabi-le che Rubens, dipingendo la pala poco prima della suamorte, abbia giocato intenzionalmente con questa am-bivalenza tra cristiano e pagano, caducità ed eternità.

Dalle due chiese delle Carmelitane Scalze e delleGrandi Carmelitane scomparvero allora quattro dipintidi Rubens che si trovano oggi nei musei di Anversa eBruxelles: L’educazione della Vergine Maria, Santa Tere-sa libera Bernardo di Mendoza dall’antinferno, la Santissi-ma Trinità e l’Assunzione della Vergine. Ma sarebbetroppo lungo enumerare tutte le chiese che furono de-predate in quegli anni: secondo gli elenchi ufficiali lacommissione Barbier spedí a Parigi ben quaranta operedi Rubens, e il resoconto copriva solo una parte dellerequisizioni eseguite negli interi Paesi Bassi.

Lasciata Anversa, Barbier proseguí le sue ricerchenel circondario, in direzione di Malines, Lovanio eBruxelles. Come antica residenza dei duchi di Borgo-gna e come sede dei vescovi di Fiandra Malines avevachiese particolarmente ricche di opere d’arte. All’epo-ca di Rubens e di Van Dyck si erano arricchite di alcu-

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ne superbe pale d’altare che erano l’orgoglio dellacittà. Per la Chiesa di Notre-Dame a Malines, la corpo-razione dei pescivendoli aveva commissionato a Ru-bens, negli anni 1618-19, il celebrato trittico con Lapesca miracolosa nel riquadro centrale, il Ritrovamentodella moneta d’oro e Tobia e il pesce in quelli laterali.Delle tre predelle rispettive, due sono conservate alMuseo di Nancy, mentre la terza è andata perduta.Dalla Chiesa di San Romualdo a Malines, Barbier sot-trasse l’altare dell’Ultima Cena di Rubens, donato nel1630 dalla famiglia Lescuyer per la Cappella del Sacra-mento. Il riquadro di mezzo, di cui la chiesa pariginadi Saint-Eustache conserva una versione migliore, fudato piú tardi come cambio alla Pinacoteca di Brera, ele predelle con l’Ingresso di Cristo e la Lavanda dei piedifurono assegnate al Museo di Digione. Due predellecon la Natività e la Resurrezione di Cristo, oggi al Mu-seo di Marsiglia, appartenevano anch’esse in origine aun grande altare sottratto da Barbier alla Chiesa deiGiovanniti di Malines; il riquadro intermedio, raffigu-rante l’Adorazione dei Magi, rimase a Parigi e fu resti-tuito nel 1815. Quattro opere di Van Dyck furono se-questrate da Barbier nelle chiese dei Recolletti e deiMinnebroer sempre a Malines, e precisamente: unaCrocifissione (oggi a San Romualdo), una Comunione disan Bonaventura (Caen, museo), il Miracolo dell’asino disant’Antonio (Tolosa, museo) e una Salita al Monte Cal-vario. Dalla Chiesa dei Cappuccini furono inoltre pre-levate una Sacra famiglia di Jacob Jordaens (Strasburgo,museo) e due opere di Gaspard de Crayer, l’Educazio-ne della Vergine Maria e la Madonna con san Francesco(Nantes, museo).

La Chiesa di Notre-Dame a Thermonde, costruitanel 1628, possedeva un altare di Anton van Dyck euna Natività portata a termine nel 1631 (ora alla Chie-sa di Notre-Dame), che è una delle piú leggiadre tra lesue composizioni di soggetto religioso. Entrambe le

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opere furono aggiunte al bottino che si ingrandiva dilocalità in località: la Chiesa di Saint-Gommaire aLierre contribuí con altri due quadri d’altare di Ru-bens, la Madonna con san Francesco (Digione, museo) eil Martirio di san Giorgio (Bordeaux, museo) e con dueopere di Jacob Jordaens che finirono alla Chiesa diSaint-André a Bordeaux. La maggior parte delle nume-rose opere di Jordaens visibili oggi nei musei francesifurono sottratte ai Paesi Bassi in quegli anni: cosí laVisitazione del Museo di Lione (dalla Chiesa di Rup-pelmonde) e le due grandi opere tarde del Museo diMagonza, l’Adorazione dei Magi (dal convento, oggi di-strutto, degli Agostiniani di Courtrai), e Gesú tra iDottori (dalla Chiesa di Sankt Walburg a Furnes). UnaDeposizione dalla Croce di Rubens, che i Cappuccinierano riusciti in un primo tempo a tenere nascosta nel-la loro chiesa, trovò piú tardi, negli anni dell’occupa-zione, la via di Parigi, e rimase al castello di Malmai-son fino a quando venne acquistata dall’Ermitage diSan Pietroburgo.

A un’opera giovanile di Van Dyck, conservata nellachiesa della cittadina di Saventhem vicino a Bruxelles,era legata una leggenda romantica ancora molto vivafino all’Ottocento. Poco prima del suo viaggio in Italiadel 1621 il giovane pittore si sarebbe innamorato dellafiglia di Ferdinando di Boischot, signore di Sa-venthem, e avrebbe dipinto il quadro San Martino divi-de il mantello per propiziarsene il favore in vista delmatrimonio. In realtà, la pala d’altare, di cui il castellodi Windsor possiede oggi una versione piú grande, fuun lavoro su commissione come tutti gli altri, ma la suafama leggendaria contribuí a far sí che il quadro venis-se spedito a Parigi nel 1794 e chiesto in restituzionenel 1815. Nell’Abbazia di Afflighem, anch’essa nellevicinanze di Bruxelles, furono sequestrate la tempesto-sa Salita al monte Calvario, opera tarda di Rubens(1636-37) oggi al Museo di Bruxelles, e una serie di

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opere di Gaspard de Crayer, allievo di Rubens, che do-po la morte del maestro e il trasferimento di Van Dyckin Inghilterra assunse un ruolo di rilievo tra i pittorifiamminghi, in qualità di pittore ufficiale della città diBruxelles e pittore di corte dei governatori arciducali.Le sue opere erano esposte soprattutto nelle chiese diBruxelles e nelle sedi delle corporazioni: il quadro del-l’altar maggiore della Chiesa di Santa Caterina, il Mar-tirio di diversi santi eseguito nel 1642 per la gilda dei fa-legnami (Lilla, museo), La pesca miracolosa (Bruxelles,museo), dipinta nel 1639 per la gilda del pescatori e unaltro quadro d’altare con lo stesso soggetto furono in-viati via Ostenda a Parigi. L’incendio del municipio diBruxelles, avvenuto durante il bombardamento france-se del 1695, aveva distrutto alcuni capolavori come laGiustizia di Traiano di Rogier van der Weyden, Cambi-se e Sisamne di Rubens e il ritratto di gruppo dei consi-glieri brussellesi dipinto da Van Dyck. Le opere rina-scimentali conservate nelle chiese di Sablon e di SantaGudula, come l’altare di Giobbe dipinto da Bernardvan Orleys per la gilda dei falegnami (Bruxelles e Vien-na), l’altare di Sant’Anna dipinto dallo stesso Van Or-leys nel 1528 o l’altare della famiglia Thurn und Taxisdi Jan Vermeyen, rimasero invece estranee al gusto deicommissari. In confronto alle requisizioni di Anversa ilbottino di Bruxelles fu piuttosto povero: dal Conventodelle Carmelitane fu trafugata una Assunzione di Mariain cielo di Rubens, una delle molte variazioni sul tema,oggi al museo di Bruxelles, come anche un’altra Salitaal Calvario dalla Chiesa dei Cappuccini.

Era inevitabile che, approfittando della confusionedel momento, anche privati collezionisti cercassero diunirsi alla battuta di caccia spacciandosi per agentifrancesi: si presentavano nelle chiese e nei conventi,apponevano falsi sigilli sulle opere da sequestrare sottogli occhi dei religiosi intimoriti, e qualche giorno dopopassavano a ritirarle senza difficoltà, come fece a

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Bruxelles un certo Cobus. Nella Chiesa di San Bavonea Gand un altro impostore di nome Mersonne o Mer-resonne si impadroní della predella dell’altare dellaCrocifissione di Giusto di Gand con la Conquista di Ge-rusalemme, riscoperta solo di recente in una collezioneprivata di Gand (vedi l’«Exposition des collectionsgantoises», 1967, Musée des Beaux Arts, cat. n. 1). Èvero che fin dal 1794 i commissari dovevano tenere unregistro delle opere sequestrate e rilasciare in cambiouna regolare ricevuta, ma non sempre la prassi venivarispettata. In molti casi le requisizioni venivano affida-te a soldati incompetenti con danni a volte irreparabili,come risulta dalla relazione che il prefetto di Herbon-ville inviò all’amministrazione dei musei di Parigi nel1801: «L’église de Tongerloo, riche abbaye aux envi-rons d’Anvers, renfermait, il y a quelques années,beaucoup de tableaux parmi lesquels il y avait plu-sieurs grands maîtres. Lorsque le gouvernement donnal’ordre que l’on transportât ces chefs-d’œuvres à Paris,on chargea plusieurs personnes de descendre les ta-bleaux avec précaution pour les emballer. Ces barbarestrouvent qu’il prendrait trop de temps de décrocher lestableaux avec leurs cadres, appuyèrent une échelle etdécoupèrent avec leurs sabres les toiles, qui tombaientsur le pavé humide de l’église et restaient là jusqu’aunouvel ordre. Lorsqu’on ensuite venait les chercher, ilsétaient pourris, ruinés comme entre plusieurs de Ru-bens» (Piot, Rapport, pp. 6 sg.).

Herbonville fa poi osservare che dei 39 quadri diRubens e della sua scuola che si trovavano una voltanel suo dipartimento solo undici erano stati messi insalvo. Le statue ricevettero in generale un trattamentopeggiore dei quadri, e venivano «tirate giú con dellecorde intorno al collo come degli alberi». In anticiposu quanto diremo in seguito, è doveroso osservare chedopo il 1801-802 i prefetti francesi dei dipartimentibelgi di nuova istituzione si sforzarono di tutelare le

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opere d’arte sottoposte al loro controllo. Già nel 1795,su proposta del prefetto francese Gobel fu fondato ilMuseo di Bruxelles, in cui le numerose opere seque-strate trovarono riparo, e il cui primo curatore Bo-schaert si rivelò un direttore sensibile e previdente ca-pace di farsi restituire dopo ripetuti tentativi ben 40opere di autori fiamminghi inviate a Parigi. E cosí adAnversa, su proposta del prefetto Dargonne e del pit-tore Herreyns, 328 dipinti sequestrati nei conventi nel1797 furonò utilizzati piú tardi per la fondazione delmuseo locale.

Tra le opere portate via dalla citata chiesa abbazialedi Tongerloo si trovava anche un altare del GiudizioUniversale di Dierick Bouts; il riquadro di mezzo è og-gi scomparso, mentre le tavole laterali, raffigurantil’Ascesa dei beati e la Caduta dei dannati all’inferno sisono fortunatamente conservate nel Museo di Lilla e alLouvre. Si tratta di un caso inconsueto poiché gli anti-chi maestri fiamminghi, i «tableaux antiques», comeallora venivano chiamati, non erano tenuti in grandeconsiderazione: gran parte di essi, proveniente dai con-venti soppressi, rimase accatastata per decenni nei de-positi (quando non venivano semplicemente buttativia). Ciononostante alcuni capolavori dell’antica pittu-ra olandese giunsero allora a Parigi. Il fatto curioso èche il merito non va agli agenti della Commissione perle opere d’arte ma a quelli della «Commission de com-merce et d’approvisionnement», insediata a Bruges e aGand negli stessi anni. Liberi dai pregiudizi della com-missione artistica, i commissari per il commercio si la-sciarono guidare dai libri di storia dell’arte e non pote-rono fare a meno di mettere le mani su capolavorifamosi come l’altare di Gand.

A Bruges, tra l’agosto e il settembre del 1794 furo-no consegnate ai commissari la grande tavola della Ma-donna van der Paele di Van Eyck, dalla Chiesa di SanDonaziano (Bruges, museo), e una Adorazione dei Magi

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di autore anonimo ma allora attribuita a Van Eyck,dalla Chiesa di Notre-Dame. Di Hans Memling il trit-tico di Guillaume Morel del 1484 (Bruges, museo), unaltare della Passione e un altare a portelle con San Cri-stoforo, Santa Barbara e le figure dei donatori (alcuneparti dell’opera si trovano oggi nella Collezione RobertLehmann del Metropolitan Museum); sempre dallaChiesa di Notre-Dame proveniva infine la Madonna colbambino di Michelangelo, del 1504. Nel municipio diBruges i commissari presero le cosiddette «tavole digiustizia», raffiguranti la storia erodotea di Cambise eSisamne, dipinte da Gérard David nel 1498 per la saladegli scabini. Dello stesso David fu inoltre sequestratoil trittico col Battesimo di Cristo (Bruges, museo), che sitrovava nella Chiesa di San Basilio sopra l’altare deicancellieri.

Per l’opera monumentale e oggi celeberrima dei fra-telli Hubert e Jan van Eyck, il polittico dell’Agnellomistico della Chiesa di San Bavone a Gand eseguitonel 1431-32 per il borgomastro Jodocus Vydt, ebbe ini-zio un lungo periodo di peregrinazioni. A causa dellesue dimensioni l’altare fu smembrato, e la scarsa com-petenza artistica dei commissari fece sí che la parte de-stinata a Parigi non fosse la tavola laterale, storicamen-te importantissima, di Jan van Eyck con le figure diAdamo ed Eva, ma quella centrale, di aspetto piú arcai-co, raffigurante l’Adorazione dell’Agnello. Le tavolestraordinarie di Jan van Eyck, ai lati e alla sommità delpolittico, non rimasero tuttavia per molto tempo aGand: un sagace collezionista e mercante d’arte, il ca-valier Nieuwenhuis, le acquistò alcuni anni piú tardiper poi venderle al collezionista inglese Solly, e insie-me alla collezione di quest’ultimo giunsero infine alKaiser-Friedrich-Museum di Berlino. Dopo la primaguerra mondiale furono restituite a titolo di risarci-mento e riunite al resto del polittico; durante l’ultimaguerra tornarono nuovamente in Germania per essere

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poi definitivamente restituite. Può sembrare un mira-colo che l’altare sia sopravvissuto a tutte queste traver-sie e che si trovi oggi, integro, a San Bavone.

Nella stessa chiesa possiamo vedere oggi la grandio-sa tela con la Conversione di san Bavone, dipinta da Ru-bens nel 1623 e aggiunta come pezzo forte al bagaglioin partenza per Parigi, bagaglio che comprendeva an-che altre opere sequestrate a Gand: dal municipio l’Er-cole e Onfale di Gaspard de Crayer (Marsiglia, museo);dalla cattedrale, dalla Chiesa di San Gregorio e daquella dei Recolletti cinque altre opere di Rubens, laMorte di Maria Maddalena (Lilla, museo), Cristo minac-cia col fulmine i miscredenti (Bruxelles, museo), il Ri-tratto del vescovo Antoine di Triest, il Miracolo di santaRosalia (Digione, museo) e la Madonna con san France-sco. Infine, una Crocifissione dalla Chiesa di San Mi-chele, dipinta da Van Dyck nel 1630 per la confrater-nita della Santa Croce.

A Lovanio i commissari ignorarono completamentei capolavori di Dierick Bouts, i «quadri di giustizia»conservati al municipio e l’altare dell’Ultima Cena nellaChiesa di San Pietro. Nella stessa Chiesa di San Pietropresero però il grande trittico della Sacra famiglia, di-pinto da Quentin Massys nel 1508-509 per la confra-ternita di Sant’Anna e che segna una pietra miliarenello sviluppo della pittura olandese del Rinascimento.Poiché uno dei compiti della commissione era di arric-chire la Bibliothèque Nationale di Parigi, furono subi-to sequestrati 5000 volumi rari della Biblioteca Uni-versitaria di Lovanio. Lo stesso accadde alla bibliotecadel Municipio di Bruges, piú piccola ma anche piú pre-ziosa con i suoi manoscritti e le sue stampe antiche: bi-blioteca che risaliva, come anche il suo edificio, all’e-poca dei duchi di Borgogna. Dobbiamo considerare delresto che non tutti i tesori d’arte furono inviati a Pari-gi durante l’occupazione, e che il processo continuònegli anni successivi, perlopiú in concomitanza con la

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chiusura e l’espropriazione di altre chiese e conventi.Cosí ad esempio il tesoro della Chiesa di San Pietro aLovanio fu venduto nel 1798, cioè quattro anni piútardi, per rimpinguare le casse francesi. Tra le operepiú preziose, esso conteneva un leggio di bronzo dora-to oggi al Metropolitan Museum di New York.

Nella parte meridionale dei Paesi Bassi, soprattuttonelle città medievali di Tournai e Courtrai, il pittoreTinet aveva fatto incetta di dipinti, limitandosi peròesclusivamente ai maestri barocchi. Nella Chiesa deiCappuccini di Tournai, Tinet trovò una altra Adorazio-ne dei Magi di Rubens, non inferiore a quelle di Malinese di Anversa. Alcune parti di un altro polittico diRubens furono sottratte da Tinet alla cattedrale di Tour-nai insieme al Martirio di Giuda Maccabeo (Nantes,museo) e Cristo all’antinferno (restituito), mentre nellaChiesa di San Martino requisí la Guarigione di un osses-so, un capolavoro di Jacob Jordaens dipinto nel 1630,oggi al Museo di Bruxelles. Nello stesso periodo l’inca-ricato del popolo Laurent scelse nell’Abbazia di SanMartino numerosi manoscritti e stampe antiche da invia-re alla Bibliothèque Nationale. Nella Chiesa di Notre-Dame di Courtrai i commissari scoprirono una insolitaCrocifissione degli stessi anni, vicina, per il suo stiledrammaticamente mosso, all’Adorazione dei pastori diVan Dyck di Thermonde. Questa pala d’altare (oggi dinuovo a Notre-Dame) fu realizzata nel 1631 per contodel canonico Rogier Braye in uno stile molto lontanodalla Crocifissione di Rubens. E con questi ultimi dipin-ti la nostra ricognizione del bottino artistico della cam-pagna francese nei Paesi Bassi può dirsi conclusa.

In seguito all’avanzata vittoriosa e inarrestabile del-le armate francesi verso il Nord, il Reno divenne il pri-mo obiettivo dei generali Moreau e Pichegru in quantolinea difensiva ideale. I confini dell’Olanda non rap-presentavano un ostacolo, dal momento che la dichia-razione di guerra del ’93 all’Inghilterra e alla Prussia

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aveva coinvolto anche il governatore d’Olanda princi-pe Federico Guglielmo V, imparentato con entrambele case reali (sua madre era inglese, mentre la moglieera una principessa prussiana). Nei primi giorni del1795 il paese fu occupato e il 18 gennaio il principed’Orange fuggí in tutta fretta in Inghilterra. Nel mesedi marzo il nuovo governo provvisorio lo espropriò deisuoi beni, e poiché le chiese olandesi erano state spo-gliate delle loro opere d’arte già all’epoca della Rifor-ma; l’unica preda ancora accessibile ai commissari fran-cesi erano le raccolte della casa d’Orange. L’anticopatrimonio della città di Amsterdam, che comprendevaun tempo capolavori come la Ronda di notte di Rem-brandt, rimase curiosamente (o in ossequio ai principîrivoluzionari) intatto, e formò piú tardi, sotto LuigiNapoleone, il primo nucleo del Rijksmuseum.

Distribuite in vari castelli, le collezioni della casad’Orange comprendevano, oltre ai consueti arredi dilusso subito messi all’asta, un gabinetto numismatico,uno di storia naturale e una delle piú notevoli pinaco-teche principesche del tempo, frutto della passioneamatoriale dell’ultimo governatore. Fondata all’epocadei grandi pittori seicenteschi dal principe FedericoEnrico di Nassau e dalla consorte Amalia di Solms – aiquali si deve anche la decorazione della sala d’Orangeal Buitenhof dell’Aia, eseguita da Jacob Jordaens e daaltri maestri olandesi – la galleria assunse la sua fisio-nomia definitiva con Federico Guglielmo V. Sotto laguida dell’esperto di pittura Terwesten, il principe die-de vita, tra il 1750 e il 1770, a una delle piú importan-ti collezioni private di pittura «alto-olandese», cherappresentò insieme un notevole incremento del suopatrimonio personale.

Alla fine di maggio i commissari avevano terminatoil loro lavoro di selezione, e il 7 giugno 191 dipinti furo-no spediti a Parigi. Poiché la raccolta era formata in granparte da maestri olandesi del Seicento, che i collezioni-

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sti francesi dell’epoca tenevano in grande stima, si offri-va per il Louvre la preziosa opportunità di un grossoarricchimento settoriale. Il catalogo delle opere requisi-te elenca fra l’altro: alcuni quadri di Rembrandt, e pre-cisamente Susanna al bagno, Simeone al Tempio, i ritrat-ti dei genitori e due autoritratti; tre di Rubens, Adamoed Eva nel Paradiso Terrestre (gli animali sono di JanBrueghel), un paesaggio (Parigi, Louvre) e il bozzettoAlessandro spezza il nodo di Gordio; sei di Van Dyck,Rinaldo e Armida (Parigi, Louvre), i ritratti del pittoreQuinten Simons e di sua moglie, quelli dei principi pala-tini, dei nipoti del re Carlo I d’Inghilterra in armaturae dei figli giovinetti di Carlo I d’Inghilterra; La letteradi Gérard Terborch; Marte, Venere e Amore di Jan-Lie-vens; la Giovane madre e la Cuoca di Gerard Dou; duepaesaggi di Willem van de Velde; due quadri di anima-li di Paulus Potter tra cui il Giovane toro; quattro operedi Jan Steen, Il banchetto delle ostriche, Cosí cantavano ivecchi e due visite mediche; la Bevuta del cacciatore e unaCompagnia di musicanti di Gabriel Metsu; il Ritratto digruppo degli scabini di Amsterdam dipinto da Thomas deKeyser nel 1638 per la visita di Maria de’ Medici; laveduta dello Huys ten Bosch all’Aia e la Chiesa deigesuiti di Düsseldorf di Jan van der Heyden; Il suona-tore di violino di Adriaen van Ostade e Pietro guarisce gliinfermi di Karel Dujardin.

Per quanto riguarda la pittura «altotedesca» e italia-na, la galleria ospitava già i due celebri ritratti di HansHolbein il Giovane, quelli di Robert Chessman e di unaltro falconiere anonimo di Enrico VIII; un ritratto diorefice di Antonis Mor; i ritratti di un architetto e diun musicista di Pietro di Cosimo, attribuiti allora aDürer; la Sacra famiglia di Palma il Vecchio, il Sacrificiodi Abramo di Andrea del Sarto (Lione, museo) e Cristoe l’adultera di Paolo Veronese.

Quali fossero i gusti dell’epoca può dirlo il fatto cu-rioso che fra i tesori riportati dall’Aia il Giovane toro

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di Paulus Potter era considerato il piú pregiato. Nel-l’introduzione al suo catalogo del 1828, il baroneSteengracht, che diventò piú tardi direttore del Mau-ritshuis, riferisce: «Quando il quadro fu a Parigi si feceuna classificazione dei dipinti del Louvre. La Trasfigu-razione di Raffaello [oggi al Vaticano] occupò il primoposto, il Giovane toro il sesto».

Dopo aver destinato a Parigi i migliori pezzi del gabi-netto di storia naturale e della raccolta numismaticadella famiglia d’Orange, Faujas de Saint-Font e Thouinaccompagnarono l’armata della Sombre-et-Meuse nelsuo cammino verso il Reno, passando per Spa e Acqui-sgrana. Ne nacque un variopinto e disordinato bottinodi vecchi cannoni, oggetti sacri, antichi monumenti,rarità naturali, medaglie, incisioni, disegni e manoscrit-ti, preziose e antiche opere a stampa, provenienti dailuoghi piú diversi. Il 2 frimaio dell’Anno III i due com-missari scrivono a Parigi: «Les différentes visites nousont produit un ccnvoi de plus de vingt chariots. Notrerécolte à Cologne en bibliophiles et antiquités a étébeaucoup plus variée que les précédentes».

Il 5 novembre fu la volta dell’unica collezione pub-blica esistente allora a Colonia, quella dell’ex collegiodei gesuiti. Oltre a una preziosa biblioteca e a un gabi-netto numismatico, essa ospitava una vasta raccolta diincisioni e disegni; secondo un catalogo del 1778 le in-cisioni erano piú di 26000 e i disegni 6113, raccolti in208 volumi complessivi. Vennero confiscati in massa espediti a Parigi insieme ai libri di maggior valore.

Il bottino fu invece povero di dipinti, e proprio aColonia, una delle capitali del Gotico, riaffiorarono ivecchi pregiudizi contro l’arte «primitiva». L’altare diSanta Colomba di Rogier van der Weyden, i due gran-di altari della famiglia Hackenay di Joos van Cleve, ele opere di Stephan Lochner (come il quadro del Duo-mo ammirato da Dürer) rimasero nelle chiese dellacittà. L’unico dipinto requisito fu ancora una volta un

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Rubens, e precisamente l’ultima grande pala d’altarecon la Crocifissione dell’Apostolo Pietro, opera donatanel 1638 dal banchiere parigino Jabach alla Chiesa diSan Pietro (oggi al Wallraf-Richartz-Museum, prestitopermanente).

Nel centro di Acquisgrana, la prima grande città te-desca toccata dall’armata rivoluzionaria, c’era la Cap-pella Palatina col mausoleo di Carlo Magno, il cui si-gnificato storico e simbolico non era inferiore per ifrancesi che per i tedeschi. I commissari sapevano cheil Duomo di Acquisgrana, come eredità dell’imperatoredei franchi, incarnava la superiorità della loro razza, eche d’altra parte, essendo la chiesa in cui venivano in-coronati gli imperatori tedeschi, simboleggiava le am-bizioni di questi ultimi. Si comportarono perciò diconseguenza, e spedirono a Parigi non solo il sarcofagoromano detto «di Proserpina», adorno di rilievi e con-siderato la tomba di Carlo Magno, ma anche il reli-quiario d’oro a forma di braccio commissionato da Ot-tone III. Non rinunciarono neppure al cosiddettoEvangeliario dell’incoronazione, su cui per secoli gliimperatori tedeschi avevano prestato giuramento, econ un gesto singolarmente trionfale fecero portare inFrancia anche dodici delle colonne di porfido italianeche sorreggevano il muro della Cappella.

Piú tardi, quando Napoleone appena incoronato vi-sitò l’antica città imperiale e il tesoro del duomo, ilmagistrato di Acquisgrana fece dono all’imperatricedel ciondolo di steatite, montato in oro e argento, cheCarlo Magno portava al collo quando Ottone III feceaprire la tomba nell’anno 1000 (Cleveland, museo). Lecolonne marmoree provenienti da Acquisgrana venne-ro invece collocate sotto la Galérie d’Apollon per l’a-pertura della sezione antica del Louvre.

I quadri riportati dalla spedizione furono esposti alpubblico per la prima volta nell’anno 1799, dopo il re-stauro parziale della Grande Galleria, insieme alle ope-

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re provenienti dalla Lombardia e dall’Italia del Nord.Il catalogo stampato per l’occasione citava 55 grandiopere di Rubens, 18 di Rembrandt, la tavola centraledell’altare di Gand di Van Eyck, i «quadri di giusti-zia» con la Giustizia di Cambise di Gérard David pro-venienti da Bruges, tre altari di Quentin Massys e do-dici ritratti di Hans Holbein il Giovane (tra cui quellidella collezione reale). La campagna d’Olanda inau-gurò dunque la politica delle grandi requisizioni, a cuisi deve il piú massiccio spostamento di opere d’arteche si fosse mai visto in Europa.

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Capitolo terzo

Furti su commissione: Napoleone in Italia(1796-98) e in Egitto

Le massicce requisizioni della campagna d’Olandafurono spesso condotte senza un criterio preciso: nonsempre i commissari erano all’altezza del compito, e in-sieme a capolavori come quelli di Rubens poteva succe-dere che venissero spediti a Parigi anche oggetti di se-condaria importanza, come la sedia su cui si diceva cheil maestro avesse dipinto i suoi quadri. In Italia le coseandarono fin dall’inizio assai diversamente. Anzitutto,le esperienze degli anni precedenti e il nuovo corso del-la politica parigina suggerivano di procedere in modopiú sistematico. I bibliotecari della Bibliothèque Na-tionale arrivarono al punto di compilare elenchi dei li-bri italiani desiderati, elenchi che dovevano guidare lescelte dei commissari nelle varie tappe dell’occupazio-ne. L’esperto d’arte del Musée Central, il già citatopittore Lebrun, impartí a sua volta direttive analoghe,che il rapido svolgersi degli eventi permise tuttavia dirispettare solo di rado. Ma la differenza fondamentaleva ricercata nella personalità del «leader» che impresseil suo sigillo sull’intera campagna d’Italia, cioè in Na-poleone stesso.

È stato detto piú volte che nonostante le grandi vit-torie successive la campagna d’Italia fu l’impresa piúfelice di Napoleone. Se leggiamo la sua corrispondenzadegli anni 1796-98, e in particolare le sue assidue rela-zioni al Direttorio, si rimane colpiti dal piglio autorita-rio, dalla perspicacia geniale e dalla presenza di spirito

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del giovane generale non meno che dal suo talento or-ganizzativo. Da solo creò una nuova Italia, i cui effettisul periodo della Restaurazione durarono fino al Risor-gimento. Nato in Corsica da una famiglia di origineitaliana – la sua madrelingua fu l’italiano prima delfrancese – Napoleone era vicino a questo paese piú diqualunque altro conquistatore straniero, e gli italianicomprendevano i suoi gesti e la sua lingua. Nello stessotempo fu proprio la campagna d’Italia con le sue vitto-rie «romane» a suscitare in lui l’idea dell’Impero, ideache sull’esempio di Augusto doveva tradurre in realtànel 1804.

Da questo punto di vista è abbastanza facile capirein che modo lo stile rivoluzionario, improntato alla Ro-ma repubblicana, abbia potuto trasformarsi senza diffi-coltà in una politica di potenza di stampo imperiale.Piú ancora che in Olanda, all’inizio della campagnad’Italia i francesi furono salutati dalla popolazione, ein particolare dagli intellettuali, come liberatori dal di-spotismo e dalle forze della reazione. Se Napoleone di-sprezzava l’Italia decaduta del diciottesimo secolo,aveva letto però troppo bene il suo Plutarco per non ri-cordare la grandezza del passato romano e non vederein essa uno sfondo ideale alle gesta eroiche delle suetruppe e sue personali.

Questo singolare stato d’animo si comunicò non so-lo all’esercito conquistatore, ma anche ai conquistati, epermette di comprendere quel clima di romanticismoeroico che trova espressione negli scritti di un Ugo Fo-scolo (A Napoleone liberatore) o in pittori come David,Gros e Géricault.

Pur non avendo, com’è noto, una grande cultura ar-tistica, Napoleone capí subito quale valore, in terminidi prestigio e di propaganda, potevano avere le arti e lescienze per un regime politico, e in particolare per unregime «illegittimo» in quanto rivoluzionario. L’anti-chità del patrimonio artistico italiano conferiva poi a

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eventuali confische un significato che in Olanda essenon avevano, e con un gesto di grande valore politico esimbolico Napoleone volle che le requisizioni di opered’arte rientrassero fra le clausole degli armistizi e deitrattati di pace. Il significato di questa innovazione ri-sulterà piú evidente in seguito.

Da buon seguace degli ideali rivoluzionari, Napoleo-ne perseguiva in questa fase della sua carriera un dupli-ce obiettivo liberare gli Stati italiani dai vecchi regimiassolutistici e legarli strettamente alla Francia, magarifacendone delle province francesi. La campagna d’O-landa, che aveva preparato questi obiettivi, era servitaanzitutto ad assicurare i confini della Repubblica con-tro le potenze alleate. In Italia, i successi di Napoleonefecero da volano agli ideali espansionistici della rivolu-zione. (Non va dimenticato però che i forti risarcimen-ti di guerra imposti da Napoleone agli sconfitti contri-buirono in modo decisivo a risanare le finanze francesisull’orlo della bancarotta). I paesi liberati dovetteropagare un prezzo molto alto, provvedendo al sostenta-mento materiale delle truppe francesi, versando lesomme richieste a titolo di risarcimento e contribuen-do ad arricchire i tesori culturali della comune capitale,Parigi. Napoleone desiderava, come ebbe a dire piútardi, fare di Parigi la piú bella città del mondo, e que-sto desiderio nacque in Italia.

Poiché in Italia, piú ancora che in Olanda, i beni ar-tistici erano da sempre nelle mani dei principi, dell’ari-stocrazia e della Chiesa, sussistevano ampie possibilitàdi esproprio. Le «conquiste» artistiche seguirono cosídi pari passo quelle militari. E per dare a questi espro-pri una parvenza di legalità, Napoleone escogitò comesi è detto il sistema geniale di includere le opere d’artetra le clausole dei trattati di pace e di farle rientrareaddirittura tra i contributi di guerra.

Già il primo maggio 1796, dopo la firma dell’armi-stizio di Cherasco con il re di Sardegna e durante i pre-

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parativi per la successiva campagna contro gli austriaci,Napoleone scrisse dal suo quartier generale di Acqui alplenipotenziario Faypoult, di stanza a Genova, di pro-curargli un elenco dei principali gabinetti artistici edelle principali gallerie dell’Italia del Nord. Nello stes-so tempo emanò disposizioni volte ad assicurargli il pa-trimonio artistico e scientifico dei territori ancora daconquistare. Jacques-Pierre Tinet, di cui abbiamo giàfatto la conoscenza in Olanda, e ora presso la delega-zione francese a Firenze, fu nominato nuovamentecommissario con pieni poteri, col compito di provvede-re alla requisizione delle opere d’arte e al loro traspor-to. Ma Tinet non era l’unico agente: nelle varie com-missioni troviamo nomi famosi, non solo di artisti maanche di architetti, studiosi e scienziati. Cosí il botani-co Thouin, già attivo in Olanda, e con lui tre dei piúimportanti scienziati dell’epoca, Claude-Louis Berthol-let, Pierre-Claude-François Daunou e Gaspard Monge.

Il chimico Berthollet, che aveva tra l’altro perfezio-nato il metodo di Stahl e contribuito quindi a rafforza-re il potenziale bellico francese, fece parte di numerosicomitati scientifici. Daunou, uomo dal sapere enciclo-pedico, era archivista e bibliotecario della Sainte-Ge-neviève, pubblicò una storia della letteratura francesedall’epoca merovingia in 16 volumi e fu per qualchetempo presidente del Consiglio dei Cinquecento, comeanche socio fondatore dell’«Institut». Monge, mate-matico e fisico, scopritore della geometria descrittiva eprofessore all’Accademia Militare, fu ministro dellaMarina negli anni 1792-93 e stretto collaboratore diNapoleone.

Tra i membri delle commissioni italiane si trovava-no inoltre gli artisti Jean-Baptiste Wicar, Andrea Ap-piani, Jean-Baptiste Moitte, Marin e Berthélemy. Inuna lettera del 18 febbraio 1797 al generale Berthier,Napoleone dispone di versare uno stipendio mensile di250 lire ai commissari sopra nominati e inoltre ai pitto-

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ri Gros e Gerli, al musicista Kreutzer (immortalatodall’omonima sonata di Beethoven), all’incisore Duter-tre e al segretario della commissione Couturier.

Il pittore Wicar di Lilla, già membro della commis-sione centrale parigina, era vissuto dal 1786 a Roma ea Firenze, dove preparò fra l’altro le incisioni dei capo-lavori di Palazzo Pitti per un importante catalogo e mi-se assieme una delle piú straordinarie raccolte privatedi disegni di Raffaello e Michelangelo. Era consideratouno dei migliori conoscitori dell’arte italiana, e le sueraccolte, oggi disperse tra Lilla, il Louvre, l’AshmoleanMuseum di Oxford e il British Museum, ne dànno unabrillante conferma.

Gros, che ricevette piú tardi il titolo di barone edivenne il pittore preferito di Napoleone, soggiornò inItalia dalla fine del 1796 alla primavera del 1797, dedi-candosi però soprattutto al suo quadro Napoleone sulponte di Arcole. Andrea Appiani, patriota milanese con-quistato alla causa della rivoluzione, dipinse il primoquadro allegorico del generale vittorioso dopo la batta-glia di Lodi e fu piú tardi il vero fondatore della Pina-coteca di Brera. Il pittore Berthélemy, che vinse nel1789 il Prix de Rome, dipinse a imitazione di David unManlio Torquato condanna i propri figli, il ritratto dellosfortunato generale Custine e un ritratto di Napoleone,che accompagnò piú tardi nella campagna d’Egitto. Loscultore Moitte è noto per i suoi rilievi del Louvre e delPanthéon, mentre l’altro scultore Marin tradusse in lin-guaggio classicistico le briose figure rococò del suo mae-stro Clodion, e fu apprezzato soprattutto dopo il Ter-midoro. La maggior parte di questi commissari aveva giàavuto in precedenza contatti con l’Italia e il suo patri-monio artistico, e potevano disporre inoltre di guide eraccolte di incisioni, come il Voyage d’Italie di Charles-Nicolas Cochin (edito a Parigi nel 1759 e nel 1773) o iresoconti di viaggio di Lalande e d’Argenville (M. Lalan-de, Voyage d’un Français en Italie, Parigi 1769), che enu-

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meravano le principali opere d’arte conservate nellechiese, nei palazzi e nei municipi. Inoltre, lo stesso Lou-vre possedeva una raccolta di calchi in gesso e bronzi deipiú celebri artisti antichi, risalenti in parte all’epoca diFrancesco I.

Tra il maggio e il giugno del 1796 Napoleone oc-cupò in rapida successione Milano, Modena, Parma eBologna, capoluoghi di altrettanti principati. Due mesipiú tardi scrisse al Direttorio che 110 quadri erano sul-la strada per Parigi, e precisamente 25 da Milano, 15da Parma, 30 da Modena e 40 da Bologna, per nonparlare dei numerosi oggetti grandi e piccoli – sculture,manoscritti, reliquiari, medaglie e monete, e cosí via –sequestrati nello stesso periodo.

Mentre il presidio militare del Castello Sforzescoopponeva ancora resistenza, il commissario Tinet eragià all’Ambrosiana, dove fece requisire un lungo elencodi opere: il disegno preparatorio di Raffaello per laScuola di Atene al Vaticano, dodici manoscritti con di-segni di Leonardo, come il Codice Atlantico e due ri-tratti a lui attribuiti, il preziosissimo manoscritto delleBucoliche di Virgilio, illustrato con miniature di Simo-ne Martini (secolo XIV), e un altro raro manoscrittopapiraceo del sesto secolo, una delle prime copie dellaStoria della guerra giudaica di Giuseppe Flavio. Perquanto riguarda i quadri, Tinet scelse cinque dei venti-cinque paesaggi dipinti da Jan Brueghel per il suo me-cenate, il cardinale Carlo Borromeo, fondatore dellaBiblioteca Ambrosiana, due opere dello scolaro di Leo-nardo Bernardino Luini, una Madonna e un GiovanniBattista (entrambi all’Ambrosiana), come pure nume-rosi vasi antichi dipinti, noti allora sotto la denomina-zione generica di vasi «etruschi».

Anche le chiese di Milano non furono dimenticateda Tinet, e la grande Incoronazione di spine di Tiziano,proveniente da Santa Maria delle Grazie, testimoniaancora oggi al Louvre l’importanza di quel bottino, in-

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sieme a due portelle d’altare di fra 52 Bartolomeo alMuseo di Ginevra e altre opere di Gaudenzio Ferrari eSalvator Rosa conservate in vari musei francesi di pro-vincia. La ricca Cattedrale di Monza, non lontana daMilano, si vide imporre un risarcimento di guerra cheammontava a due terzi degli oggetti liturgici d’oro e al-la metà di quelli d’argento: una volta fusi, il peso ri-spettivo risultò di 11300 e di 184000 chilogrammi.Assai piú di quella d’Olanda, la campagna d’Italia siautofinanziava e riempiva le casse della Repubblica.

L’armistizio col duca di Modena Ercole III d’Este,firmato il 17 maggio, specificava all’articolo 3 che oltrea un risarcimento di due milioni di lire il ducato avreb-be dovuto consegnare venti dipinti della galleria ducalee di altre collezioni, a scelta dei commissari francesi.Tuttavia, poiché già nel 1745 un centinaio tra i capola-vori piú importanti della raccolta estense erano stativenduti al re Augusto il Forte di Sassonia (con l’ecce-zione di un Cristo e l’adultera attribuito a Tiziano), leopere di prim’ordine non erano molte. Ben rappresen-tati erano solo i pittori locali del ’600, come Bartolo-meo Schedoni e Francesco Barbieri detto il Guercino.Nato nella vicina Cento, il Guercino godeva ancora nel’700 di una fama notevole, come risulta dai diari italia-ni di Goethe (1786). Da varie chiese e palazzi di Mo-dena e Ferrara il commissario incaricato prelevò ventidipinti del Guercino, tra cui il giovanile altar maggioredella Cattedrale di Cento con la Madonna con santi(Bruxelles, museo), e alcune opere di soggetto mitolo-gico, come Marte e Venere del 1634 (Modena, GalleriaEstense). Dal Palazzo dei Diamanti di Ferrara furonoportati via quattro dipinti a soffitto di Agostino e Lu-dovico Carracci con le raffigurazioni dei Quattro ele-menti (Modena, Galleria Estense), mentre alla GalleriaDucale di Modena la scelta cadde sull’Adorazione deiMagi di Agostino Carracci, già alla Cattedrale, e su dueSacre conversazioni, rispettivamente di Dosso Dossi e

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del Garofalo, entrambi pittori di corte della duchessaIsabella d’Este, amante delle arti. Insieme a quattrodipinti di Guido Reni, l’ideale degli accademici, fu in-viata a Parigi anche una copia della celebre MadonnaLa notte del Correggio, eseguita da Giovanni Nogariprima che l’originale fosse trasferito a Dresda: scelta,questa, che fu oggetto delle comprensibili critiche del-l’esperto Lebrun (come anche altre decisioni dei com-missari).

Se fino a questo momento il bottino era ancora abba-stanza modesto, esso si arricchí non appena le truppefrancesi misero piede nel principato di Parma e a Bolo-gna, città dello Stato Pontificio. A Parma si trovavanoancora alcune grandi pale d’altare, capolavori del piúgrande pittore parmigiano, il Correggio. La sua Madon-na con san Gerolamo era un quadro ammiratissimo, ed’altronde la venerazione per il Correggio quasi egua-gliava quella per Michelangelo e Raffaello. Si raccontache il duca di Parma avrebbe offerto a Napoleone unmilione di franchi perché rinunciasse alla Madonnacustodita nella raccolta ducale: cosí almeno riferisceNapoleone in una lettera al Direttorio, aggiungendoperò di avere rifiutato la proposta. Il principe fu cosíamareggiato da quella perdita che non volle piú mette-re piede nella sala in cui la Madonna era appesa.

Oltre alla Madonna con san Gerolamo furono seque-strati tre altri capolavori del Correggio: la non menofamosa Madonna della scodella, dalla Chiesa del SantoSepolcro, la Deposizione della Croce e il Martirio deisanti Flavia e Placido da San Giovanni Evangelista.Nella Chiesa di San Paolo si trovavano la grande palad’altare del Cristo salvatore del mondo con quattro santi,attribuita a Raffaello ma opera, in realtà, del suo colla-boratore Giulio Romano, e una Madonna di AgostinoCarracci; nella Chiesa di San Rocco una tela di PaoloVeronese raffigurante i santi Rocco e Sebastiano. Ilbottino fu completato da vari dipinti della scuola del

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Correggio – Anselmi, Bedoli, Mazzola e il Parmigiani-no – e da altri di Ribera, Schedoni, Guercino e Ludo-vico Carracci, raccolti all’epoca dei Farnese.

Con quale rapidità procedessero le requisizioni èdimostrato dal fatto che Napoleone entrò a Bologna il19 giugno, e già il 21 riferiva al Direttorio: «Lestableaux de Modena sont partis. Le citoyen Berthélemys’occupe en ce moment à choisir les tableaux de Bolo-gna. Il compte en prendre une cinquantaine, parmilesquels se trouve la “Sainte Cécile” qu’on dit le chef-d’œuvre de Raphael. Monge, Berthollet, Thouin sont àPavie où ils s’occupent à enrichir notre Jardin des Plan-tes et Cabinet de l’Histoire naturelle» (Correspondan-ce, vol. I, p. 418).

La monumentale tela della Glorificazione di santaCecilia, dipinta da Raffaello nel 1616 per l’omonimacappella nella Chiesa di San Giovanni al Monte sullacollina di Bologna, rappresentò in effetti un colpogrosso nella lotteria delle requisizioni, anche se è diffi-cile farci oggi un’idea dell’ammirazione, per non direvenerazione, che circondava all’epoca la personalità diRaffaello. In ogni caso, anche le opere della celebrescuola bolognese (tardo Cinquecento e primo Seicento)con i nomi dei tre Carracci, del Domenichino e di Gui-do Reni godevano di un credito notevole tra i collezio-nisti e gli amatori d’arte. Berthélemy poté fare tran-quillamente un’ottima scelta. Oltre alla santa Cecilia,questa comprendeva la Resurrezione di Cristo di Anni-bale Carracci (Parigi, Louvre), già celebrata da Cochine d’Argenville e dipinta nel 1593 per il Convento delCorpus Domini, come anche La Madonna appare a sanGiacinto di Ludovico Carracci, dalla Chiesa di San Do-menico, e la movimentatissima Strage degli innocenti diGuido Reni (entrambe alla Pinacoteca di Bologna). Intotale, alle chiese e ai conventi (ancora aperti) di Bolo-gna furono sottratte sette opere dei Carracci, due delDomenichino, tre di Guido Reni e quattro del Guerci-

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no. E per concludere con una rarità, un quadro di Pie-tro Perugino in San Giovanni al Monte.

Poiché a Bologna, come in tutti i territori occupatidalle armate francesi, chiese e conventi venivano seco-larizzati, chiusi o distrutti, là dove non arrivavano icommissari ci pensavano i soldati o le stesse autoritàcittadine: si impadronivano delle opere d’arte per poivenderle a collezionisti privati, locali o stranieri, cheseguivano gli spostamenti delle forze di occupazione.

Bologna apparteneva allo Stato della Chiesa, il cuigoverno era per giudizio unanime uno dei peggiori fra iprincipati italiani. Divisi tra «un’aristocrazia avvilian-te e un popolo mendicante», arretrati e invecchiati, glistati italiani conoscevano, dal 1794, continue solleva-zioni. Non c’è dunque da stupirsi se a Bologna i fran-cesi furono accolti dalla maggioranza della popolazionecon entusiasmo ancora maggiore che a Milano. Uno deiprimi provvedimenti di Napoleone fu quello di resti-tuire alla città gli antichi privilegi, che Roma avevagradualmente ridotto, con risultato di guadagnare ulte-riormente la città alla propria causa. L’arresto dei lega-ti pontifici a Bologna e a Ferrara indusse il Vaticano,preoccupato, a firmare un precipitoso armistizio perimpedire un’ulteriore avanzata nei suoi territori.

Consapevole della propria forza, Napoleone pretesenon solo la rinuncia a Bologna e Ferrara e 21 milioni dilire di risarcimento, ma anche (articolo 9) un centinaiodi opere d’arte tra quadri, sculture, mosaici, vasi ecc., ecinquecento manoscritti che appositi commissari avreb-bero scelto tra le collezioni pontificie. Prima che la clau-sola diventasse operativa trascorse molto tempo, ma l’ac-cordo di Bologna segnò comunque un passo decisivo neirapporti tra Napoleone e il Vaticano. Tra le opere espres-samente indicate da Napoleone c’erano i due busti diMarco e Giunio Bruto, l’uno in bronzo, l’altro in mar-mo, e può sembrare un’ironia della sorte il fatto che ilfuturo imperatore desiderasse possedere i ritratti di un

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austero repubblicano e dell’uccisore di Cesare. Ma nonbisogna dimenticare che erano, all’epoca, tra gli eroi piúvenerati della Rivoluzione francese.

Da Bologna Napoleone fece una breve visita algranduca di Toscana, Ferdinando II d’Austria, che findall’inizio aveva dichiarato la propria neutralità. Du-rante il ricevimento a Palazzo Pitti non poté fare a me-no di gettare uno sguardo avido alla celebre raccoltache rappresentava l’eredità di Casa Medici. Il 2 giugnoscrive a Parigi: «Ho visto a Firenze la famosa VenereMedici, che manca al nostro museo, e un gabinetto dimodelli anatomici di cera che sarebbe non meno im-portante possedere». E poiché, come dicono i francesi«l’appetito vien mangiando», le nuove conquiste ac-crebbero la sua cupidigia, in un paese che era una mi-niera inesauribile di opere d’arte.

Se in principio le requisizioni si erano mantenuteentro limiti modesti, col progredire dell’occupazione simoltiplicarono, con o senza clausole che le prevedesse-ro. I venti dipinti di Modena diventarono cinquanta, enell’ottobre 1796 la Biblioteca Estense fu costretta aspedire a Parigi 86 disegni di antichi maestri. La Cat-tedrale di Monza custodiva intatto lo straordinario teso-ro donatole nel sesto secolo dalla regina Teodolinda.Tesoro che comprendeva, oltre alla Corona ferrea delRegno longobardo – cosí chiamata perché secondo unatradizione conteneva un chiodo di ferro della Croce –le corone, le croci, le armature e i reliquiari d’oro ed’argento della regina e del suo sposo Agilulfo, vari dit-tici in avorio di grande valore, in stile tardoclassico opaleocristiano, e infine un esempio molto raro di orefi-ceria alto medievale: il gruppo in argento dorato di unagallina coi suoi pulcini in grandezza naturale, simbolidella Chiesa di Cristo. Tutti questi oggetti furono spe-diti a Parigi nel gennaio 1797 insieme a 134 manoscrit-ti e a 84 incunaboli della Biblioteca Capitolare. Le chie-se di Cremona diedero un altro Perugino, la Madonna tra

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i santi Giacomo e Agostino (Cremona, Sant’Agostino),oltre a opere di Palma il Vecchio e Bernardo Strozzi.

Quando i francesi entrarono a Verona, città che ap-parteneva alla Repubblica di Venezia, pretesero diecitra rilievi e busti di bronzo, 70 medaglie, 46 incunabo-li e 23 prime edizioni del famoso tipografo venezianoAldo Manuzio, come pure 13 dipinti. I rilievi in bron-zo erano gli otto comparti laterali del sarcofago di mar-mo sul sepolcro Della Torre nella Chiesa di San Zeno,ed erano opera dello scultore veneziano Andrea Rizzo.Si trattava, per l’epoca, di un’eccezione, poiché la scul-tura del primo Rinascimento non era quasi considera-ta, e perfino maestri come Donatello o Verrocchio nonsuscitavano alcun interesse.

Sempre a San Zeno il commissario napoleonico misele mani su un’altra opera di raro pregio e d’importanzaancora maggiore, ossia la pala dell’altar maggiore diAndrea Mantegna raffigurante nella tavola centrale laMadonna in trono circondata da angeli in forma di put-ti, quattro santi a figura intera nelle tavole laterali escene della Passione nella predella. Per facilitare il tra-sporto della grande pala e renderlo piú sicuro, l’operafu suddivisa nelle sue varie parti, e ciascuna di queste,perfino le piccole tavole della predella, fu trattata co-me un’opera a sé. Il risultato dell’operazione, già at-tuata nei Paesi Bassi, fu che al loro arrivo a Parigi levarie tavole non vennero piú riunite (cosa che sarebbestata in contrasto col sentimento antireligioso della po-polazione), ma si dispersero in vari luoghi. Soltanto illavoro di varie generazioni di studiosi ha permesso diricostruire il polittico nella sua interezza.

A Mantova i commissari francesi si impadronironodi un altro capolavoro di Mantegna, la cosiddetta Ma-donna della Vittoria, oggi al Louvre. L’opera deve peròquesto nome non alla vittoria di Napoleone, ma allecircostanze della sua origine. Francesco Gonzaga, ducadi Mantova e capo della resistenza contro l’esercito in-

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vasore di Carlo VIII, messo alle strette alla battaglia diFornovo nel 1495, fece voto che in caso di vittoriaavrebbe eretto una cappella con un altare in onore del-la Vergine. L’incarico di dipingere la pala d’altare, incui lo stesso duca è raffigurato in preghiera, inginoc-chiato davanti alla Vergine, fu affidato a Mantegna.Sequestrata dai francesi, l’opera andò a raggiungere glialtri dipinti del maestro che con l’eredità di Richelieuerano giunti al Louvre dal castello di Mantova, e cheappartenevano al ciclo poetico-allegorico commissiona-to a Mantegna, Perugino e Lorenzo Costa per lo Stu-diolo di Isabella d’Este, la piú raffinata intenditriced’arte fra le principesse del suo tempo.

Nel gennaio 1797, quando la fortezza di Mantova siarrese dopo un assedio durato dieci mesi, i commissarifrancesi la trovarono praticamente vuota dei capolavo-ri che aveva un tempo ospitato, e che erano stati ven-duti nel diciassettesimo secolo al re Carlo I d’Inghilter-ra e al cardinale Richelieu. Essi dovettero perciòaccontentarsi di quel poco che era rimasto nelle chiesedella città. Nella Cattedrale trovarono un’opera giova-nile di Paolo Veronese, le Tentazioni di sant’Antonio,oggi al Museo di Caen. La grande chiesa gesuitica dellaSanta Trinità fu trasformata in un deposito militare, ele tre tele monumentali dipinte da Rubens nel 1604per la cappella del duca Vincenzo Gonzaga, il suo pri-mo protettore italiano, furono rimosse. In questo suocapolavoro italiano Rubens aveva raffigurato la fami-glia Gonzaga in adorazione della Santissima Trinità: lafamiglia vi appare raccolta sotto una tenda sorretta daangeli. Per via delle sue dimensioni la tavola centralefu tagliata in maniera vandalica, e nel castello di Man-tova se ne conservano solo alcuni resti, non destinati altrasporto. Solo la tavola laterale con la Trasfigurazionedi Cristo fu inviata a Parigi, e piú tardi, per i forti dan-ni subiti, trasferita a Nancy dove si trova tuttora nelmuseo locale. La tavola gemella col Battesimo di Cristo

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fu invece venduta a un mercante italiano e giunse piútardi al Museo di Anversa.

Finito l’assedio di Mantova, e ottenuti nuovi rinfor-zi dall’armata del Nord per il controllo dell’Italia set-tentrionale, Napoleone si sentí abbastanza forte dafronteggiare il pericolo e l’ostilità crescente di Roma.È vero che il plenipotenziario francese Cacault duemesi dopo l’armistizio di Bologna aveva riferito da Ro-ma che la scelta delle opere d’arte procedeva ed era ingrado di spedire l’elenco. Ma le trattative di pace chedovevano seguire l’armistizio segnavano il passo, e nel-lo stesso tempo Napoleone fu informato che il Vatica-no stava preparando un nuovo esercito con l’aiuto diufficiali austriaci e sotto la guida del generale austriacoColli. D’altra parte il papa non aveva osservato le clau-sole dell’armistizio, che prevedevano il pagamento diben 46 milioni di scudi (venti milioni di lire), e ritarda-va la spedizione delle opere d’arte e dei manoscritti.Quando il governo francese mandò a Roma un ultima-tum – era l’8 settembre – il papa, seguendo il consigliodei cardinali e segretari di Stato Mattei, Braschi e Al-bani, ruppe le trattative e dichiarò nullo l’armistizio diBologna.

Cosí agli inizi del febbraio 1797 un corpo di spedi-zione sotto la guida del generale Victor si mise in mar-cia lungo la costa adriatica attraverso gli stati pontificidella Romagna e delle Marche, dopo avere sconfitto ilColli e i suoi tremila soldati pontifici nella battagliadecisiva di Faenza, e occupò le città da Forlí ad Anco-na. Poi attraversò l’Appennino, si ricongiunse con unsecondo esercito proveniente da Nord e prese possessodell’Umbria occupando Foligno, Cortona e Perugia. Il12 febbraio gli emissari pontifici firmarono il trattato dipace di Tolentino nel quartier generale di Napoleone,che aveva seguito la facile avanzata delle sue truppe.

Alcuni giorni piú tardi Napoleone stesso scrive alDirettorio riferendo gli ultimi avvenimenti: «La com-

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missione degli esperti [cioè la commissione per le opered’arte] ha fatto un buon raccolto a Ravenna, Rimini,Pesaro, Ancona e Perugia. Queste opere verranno su-bito spedite a Parigi. Con queste, e con quelle che spe-diremo da Roma, tutto quello che c’è di bello in Italiasarà nostro, a eccezioni di alcuni pezzi che si trovano aTorino e a Napoli». Queste frasi spavalde mettono inluce l’idea approssimativa che Napoleone aveva del pa-trimonio artistico italiano, ma contengono pure unfondo di verità: le opere d’arte assicurate dagli accordidi Tolentino furono, per numero e importanza, unapietra miliare nella storia del Louvre, e lo stesso tratta-to di Tolentino serví da modello per le conquiste suc-cessive. Esso infatti stabiliva espressamente che la na-zione francese diventava proprietaria a tutti gli effettidelle opere in questione.

Mentre nell’Italia del Nord la scultura classica grecae romana, cioè l’unica che rispondesse ai gusti dell’epo-ca, era assai poco rappresentata (per esempio nelle gal-lerie di Modena e di Parma), giungendo a Roma i com-missari si trovarono improvvisamente di fronte a unaquantità di opere celeberrime, opere che, come il Lao-coonte tanto venerato da Winckelmann, erano ben notea tutti gli intenditori d’arte del ’700. Per i commissarinapoleonici si trattava dunque di scegliere il meglio dallasecolare abbondanza delle raccolte pontificie.

Ma prima che i commissari Berthélemy, Daunou,Picault e Dutertre giungessero a Roma, Monge e Tineterano già all’opera nelle Marche e nell’Umbria. Il 18 feb-braio, con un’ordinanza scritta del generale Victor,Tinet presentò ai magistrati di Perugia un elenco diopere da confiscare nel loro territorio. Le autorità loca-li si piegarono alla richiesta, ma scrissero nello stessotempo a Napoleone facendogli presente che già l’annoprima, a seguito degli accordi di Bologna, un Raffaelloe un Perugino avevano lasciato la città alla volta diRoma. Come suole accadere in questi casi, il passo fu

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senza esito, e Tinet poté svolgere tranquillamente il suolavoro incominciando a mettere sotto sequestro alcunepale d’altare di Raffaello provenienti dalle chiese di SanFrancesco e di Santa Maria di Monteluce. Si trattavadella Incoronazione della Vergine e dell’Assunzione oggiai Musei Vaticani (quest’ultima portata a termine daGiulio Romano), e infine della Deposizione con la pre-della delle Virtú teologali (Roma, Galleria Borghese).

Sebbene la pittura italiana del Quattrocento con lesue varie scuole fosse allora pressoché ignorata o co-munque tenuta in scarsa considerazione, il Perugino,come maestro del «divino» Raffaello, faceva eccezionealla regola. Opere del Perugino erano già state confi-scate a Cremona e a Bologna, ma a Perugia quasi ognichiesa ne conteneva una o piú di una, e poiché la mag-gior parte di esse è rimasta in Francia è facile ricostrui-re il bottino di allora. Tra i capolavori del maestro ilVasari cita lo Sposalizio della Vergine (Caen, museo),dipinto dal Perugino nel 1502 per la Cattedrale di Pe-rugia e precisamente per la Cappella del Sacro Anello,che vi era custodito e venerato come reliquia. Già allo-ra si riconosceva l’influsso che l’opera del Peruginoaveva esercitato sullo Sposalizio della Vergine di Raf-faello, dipinto due anni piú tardi e oggi a Brera. In to-tale furono sequestrate nove pale d’altare, intere o par-ziali, dalle chiese di Sant’Agostino, San Francesco,San Pietro, della Misericordia, e dalla Cappella del Pa-lazzo Comunale di Perugia: opere oggi disperse tra imusei di Caen, Grenoble, Lione, Bordeaux, Rouen,Tolosa e Nantes. Anche in questo caso si vide conchiarezza quali effetti nefasti poteva avere lo smem-bramento delle pale d’altare. La tavola centrale dell’al-tar maggiore di Sant’Agostino, raffigurante l’Ascensio-ne (altro motivo ripreso da Raffaello), si trova oggi alMuseo di Lione, la parte superiore con Dio benedicentenella Chiesa di Saint-Gervais a Parigi, i Profeti delleparti laterali a Nantes, Perugia e Roma (Vaticano), e la

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predella al Museo di Rouen. Da Foligno e Loreto giun-sero due opere tra le piú famose della maturità di Raf-faello, due Madonne conosciute entrambe coi nomi deiluoghi di provenienza. Mentre però la Madonna di Foli-gno è ben familiare ai milioni di visitatori della Pinaco-teca Vaticana, quella di Loreto scomparve misteriosa-mente. Quando la cassa che la conteneva fu aperta aParigi se ne trovò, cosí almeno si racconta, soltantouna copia (scomparsa a sua volta), benché alcuni stu-diosi vogliano vedere l’originale in una tela, molto ridi-pinta, della collezione Paul Getty. Entrando a Città diCastello, il generale francese Lechi indusse l’ammini-strazione comunale a «donargli» un altro originale diRaffaello, il già citato Sposalizio della Vergine, che lostesso Lechi vendette piú tardi per 50000 lire alla Pi-nacoteca di Brera.

L’avanzata fruttò anche numerose opere di Federi-co Barocci, che fu com’è noto, insieme al Correggio,uno dei precursori del Barocco ed esercitò un grandeinflusso su Rubens nel suo periodo italiano. Nella suaregione d’origine, le Marche, la Cattedrale di Pesaro eil Palazzo Apostolico di Loreto dovettero cedere dueAnnunciazioni quasi gemelle (oggi al Museo di Nancy ealla Pinacoteca Vaticana), il Convento della Confrater-nita del Sacro Nome una Circoncisione di Cristo del1580 (Parigi, Louvre) e la Confraternita di Sant’An-drea una Vocazione degli apostoli Pietro e Andrea(Bruxelles, museo).

Come risulta dalla corrispondenza col Direttorio, glielenchi delle opere da sequestrare erano già pronti, aRoma, sin dalla fine di marzo, e il 10 aprile a Parigi lalista dei tesori già requisiti (Corr., vol. 16, pp. 511 e525 sgg.). Poiché le opere dovevano essere imbarcate aLivorno, in territorio toscano, Napoleone incaricò il le-gato francese a Firenze, Manfredini, di chiedere algranduca una sorveglianza particolare. Almeno unaparte dei quadri vaticani lasciò dunque Roma in questo

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periodo, mentre diversa fu, come vedremo, la sortedelle sculture.

In un’altra lettera al Direttorio, spedita da Mestre il21 maggio, Napoleone esprime la sua soddisfazione peril fatto che una parte delle opere romane era già in viag-gio, e aggiunge: «Berthollet e Appiani sono a Verona ea Venezia, dove stanno raccogliendo vari oggetti d’ar-te». Questo accenno e lo stesso soggiorno di Napoleo-ne a Mestre avevano un significato particolare: prima diseguire gli sviluppi della spedizione romana torneremodunque a occuparci del Nord, dove intanto la situazio-ne politica aveva subito un improvviso mutamento, nonprivo di conseguenze sulla campagna delle requisizioni.

Subito dopo l’armistizio di Tolentino Napoleone furichiamato verso Nord da nuove azioni militari austria-che nell’alta Val d’Adige e nel Tirolo. Il secondo gior-no della Settimana Santa del 1797 le città dell’entro-terra veneziano con Verona in testa si ribellaronocontemporaneamente all’occupazione francese, allespalle delle truppe che erano ormai penetrate in Friuli.Sobillata dalla Chiesa e dall’aristocrazia e con l’appog-gio segreto di Venezia che auspicava una vittoria au-striaca nel Tirolo, la popolazione diede la caccia aifrancesi, compresi i civili e i feriti negli ospedali. Na-poleone ordinò al generale Augerau di reprimere lasommossa, e la sua vendetta contro Verona e Veneziafu drastica. Anche la Serenissima che, in quanto neu-trale, era stata risparmiata dalle azioni militari, dovet-te subire la sorte delle altre città conquistate.

Se Verona si era limitata in precedenza a modesticontributi di guerra, questa volta il prezzo fu moltoalto: 170000 zecchini di risarcimento per le perditesubite insieme a tutte le argenterie delle chiese e degliedifici pubblici e gli oggetti di valore della pubblicacassa di risparmio, il Monte di Pietà, tutti i quadri eopere d’arte, appartenenti a privati, a chiese e comunitàreligiose (Corr., vol. 3, p. 22). La Cattedrale di Verona

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dovette consegnare la pala d’altare dell’Assunzione diMaria di Tiziano, le chiese di San Giorgio di Braida e diSanta Maria della Vittoria tre grandi quadri di PaoloVeronese, rispettivamente il Martirio di san Giorgio, Bar-naba risana gli infermi (entrambi al Museo di Rouen), ela Deposizione (Verona, Pinacoteca). Due ritratti delVeronese, come pure la Sacra famiglia con sant’Orsola(Parigi, Louvre) furono sequestrati nel palazzo dei nobi-li Bevilacqua insieme al notevole bozzetto a olio di Jaco-po Tintoretto per il grandioso Giudizio universale delPalazzo Ducale di Venezia (Parigi, Louvre), e a una rac-colta di 2250 monete d’oro e d’argento di varia epoca,dall’antichità al barocco.

Napoleone stesso dettò a Mestre le condizioni perVenezia, il cui governo e i cui Inquisitori erano consi-derati i principali responsabili della rivolta. Gli inquisi-tori furono arrestati, il doge e il governo deposti, laflotta requisita; la città si vide imporre inoltre un risar-cimento di sei milioni di sesterzi tra denaro contante eoggetti di valore, tra cui venti quadri e 500 manoscrit-ti di proprietà dello Stato. Il generale Baraguay-d’Hil-liers occupò con le sue truppe la città lagunare, e i com-missari napoleonici poterono mettersi all’opera. Comegià in precedenza, Napoleone aveva stabilito il numerodelle opere da requisire senza conoscere l’entità effetti-va del patrimonio artistico veneziano, col risultato chei commissari si trovarono ancora una volta di fronte aun compito quasi impossibile. Benché le clausole par-lassero solo di quadri, sotto il controllo delle truppefrancesi venne rimosso anche il leone di bronzo, simbolodella città, che fin dal Medioevo dominava piazza SanMarco, e cosí pure i quattro cavalli di bronzo sulla fac-ciata della basilica, che i veneziani avevano portato daCostantinopoli nel 1204 e di cui sentiremo ancora par-lare. Per dare alla cosa una parvenza di legalità furonotolti dall’elenco due quadri, anche se poi, all’atto prati-co, il numero rimase invariato.

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Allo scopo di umiliare il governo della Serenissimafurono sottratti cinque dipinti dai soffitti del PalazzoDucale, opere del resto poco significative: si trattavadell’Allegoria del doge Antonio Grimani, attribuita a Ti-ziano ma dipinta dal suo aiuto Contarini, della Allego-ria della Fede di Tiziano e di tre quadri di Paolo Vero-nese dal soffitto della Sala dei Dieci, Giove fulmina ivizi, San Marco incorona le virtú religiose e Giunone di-stribuisce doni a Venezia (Parigi, Louvre). Infine, dal-l’anticollegio del Palazzo Ducale fu sottratta la grandetela di Paolo Veronese col Ratto d’Europa (oggi nuova-mente al Palazzo Ducale), una delle molte versioni ese-guite dal maestro.

Come in Olanda Rubens e Van Dyck, i pittori piúricercati della scuola veneziana erano Tiziano, Verone-se e, in misura minore, Jacopo Tintoretto. Due tra ipiú grossi dipinti del Veronese – le Nozze di Cana (Pa-rigi, Louvre) e la Cena in casa di Levi (Venezia, Accade-mia) furono prelevati rispettivamente dal Convento diSan Giorgio Maggiore, sull’isola omonima di fronte alPalazzo Ducale, e dalla Chiesa di San Giovanni e Pao-lo. È un mistero come queste tele gigantesche, sia purearrotolate, abbiano potuto raggiungere senza danni ilporto di Livorno, percorrendo le strette strade appen-niniche su carri trainati da buoi. Ma bisogna dire che ifrancesi fecero, in questo senso, veri miracoli.

Sempre da San Giovanni e Paolo, uno dei luoghid’arte piú ricchi della città, andò ad arricchire il botti-no un dipinto di Tiziano allora tra i piú venerati, ilMartirio di san Pietro, che sarà distrutto piú tardi da unincendio. Delle altre grandi pale d’altare di Tiziano, dicui Venezia abbondava, i commissari francesi ignoraro-no curiosamente la magnifica Madonna di Ca’ Pesaro,opera giovanile conservata nella Chiesa dei Frari, comeanche l’Annunciazione e la Trasfigurazione della Chiesadi San Salvatore e i quadri dedicati a soggetti dell’An-tico Testamento della Sacrestia della Chiesa della Salu-

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te, per soffermarsi su una tela piuttosto infelice, siaper le tonalità piuttosto scure che per il soggetto, comeil Martirio di san Lorenzo della Chiesa dei Gesuiti. Unascelta a cui non fu probabilmente estraneo il giudiziodel Vasari, che ne loda gli effetti di luce.

Dalla Chiesa della Madonna dell’Orto, nota per dueopere di Jacopo Tintoretto, a tutta parete, il Giudiziofinale e l’Adorazione del vitello d’oro, fu sottratto soloun dipinto piú piccolo, sempre del Tintoretto, Sant’A-gnese che resuscita Licinio. I commissari francesi non silasciarono però sfuggire un’opera rivoluzionaria delmaestro, il Miracolo di san Marco, dipinto nel 1548.Dallo stesso edificio, contiguo alla Chiesa di San Gio-vanni e Paolo, arriverà piú tardi La consegna dell’anelloal Doge, di Paris Bordone.

Una delle tre versioni del monumentale Cena a casadi Simone Fariseo di Paolo Veronese (a Brera), fu se-questrata nel refettorio del Convento di San Sebastia-no, mentre la Chiesa di San Zaccaria dovette conse-gnare la Madonna in trono con santi, sempre delVeronese. E sempre a San Zaccaria fu prelevata l’unicapala d’altare del piú grande maestro veneziano anterio-re a Tiziano, la Vergine in trono con santi di GiovanniBellini, dipinta nel 1506: era la sua prima opera, e do-veva dirigersi verso l’Europa del Nord. Poiché il Mira-colo di san Marco del Tintoretto e il Paris Bordone fu-rono scelti da un certo «cittadino Erdewardo», uninglese residente a Venezia che lavorava per i francesicome plenipotenziario della commissione artistica, eche lavorò piú tardi come esperto per la Pinacoteca diBrera, è probabile che anche l’inconsueta scelta delBellini si debba a lui.

Benché Napoleone, in una lettera spedita il 13 set-tembre da Montebello, dichiarasse che i commissariper le opere d’arte avevano concluso la loro missionein Italia, le requisizioni e i trasferimenti di opere d’ar-te erano ancora ben lontani dalla fine. Le trattative di

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pace con gli austriaci andavano a rilento, poiché que-sti ultimi speravano, dopo l’armistizio di Leoben (18aprile 1797), in un colpo di Stato contro il governo diParigi, e Napoleone, aspettando di ratificare il tratta-to, tenne Venezia in ostaggio. Insieme ai quattro ca-valli di bronzo furono sequestrate altre sculture dal-l’antica raccolta conservata alla Biblioteca Marciana,tra cui un busto di bronzo dell’imperatore Adriano, digrandezza superiore al naturale, e un rilievo ellenisticoraffigurante un sacrificio. Quando finalmente, il 3 ot-tobre 1797, fu firmata la pace di Campoformio cheriuniva i vecchi principati dell’Italia settentrionalenella Repubblica Cisalpina, lasciando però Veneziaagli austriaci, Napoleone incaricò il suo rappresentan-te generale Berthier, nuovo comandante in capo delletruppe in Italia, di assicurarsi «che i quattro cavalli dibronzo e il leone, insieme alle altre opere d’arte, ve-nissero evacuati» (Corr., vol. 3, p. 466). Berthier glirispose affermativamente: «Les fregates la Diane et laJune sont ici, j’ai vu à bord de la Diane les quatre che-vaux de Venise». Tuttavia, a eccezione di diciassettequadri già spediti, la maggior parte delle opere d’artevaticane, già scelte e in parte imballate, si trovavanoancora a Roma.

Quando Napoleone, vincitore non incoronato dellacampagna d’Italia ed eroe popolarissimo della Repub-blica, fece ritorno a Parigi, il Direttorio organizzò insuo onore un banchetto con settecento invitati. Comecornice adeguata all’avvenimento fu scelta la GrandeGalleria del Louvre, dove per l’occasione furono espo-sti per la prima volta in pubblico gran parte dei quadrifiamminghi e italiani conquistati «sul campo». L’esper-to Lebrun compilò un catalogo a stampa che serví damodello per le esposizioni successive. Purtroppo, lecentinaia di candelabri che illuminarono la serata ebbe-ro l’effetto di annerire le pareti di fumo e di renderenecessaria la chiusura della Galleria.

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Mentre Napoleone veniva festeggiato a Parigi e pro-gettava un’invasione dell’Inghilterra destinata a rima-nere sulla carta, i rapporti con Roma peggiorarono alpunto di richiedere un intervento immediato. Una par-te del Direttorio auspicava che il papa venisse depostoe lo Stato della Chiesa trasformato in una repubblica,cosa che Napoleone aveva evitato per rispetto verso isentimenti religiosi degli italiani. Dopo che già nel1796 un legato francese a Roma era stato assassinato,un altro incidente portò la tensione al punto di rottura.Ai primi di settembre il fratello maggiore di Napoleo-ne Giuseppe Bonaparte aveva preso il posto del pleni-potenziario Cacault, portando con sé come aiutanti ilfigliastro di Napoleone Eugenio Beauharnais e il giova-ne generale Duphot, fidanzato con la cognata DesiréeClary. L’ambasciata si trovava a Palazzo Corsini inTrastevere, e i «patrioti» locali, che si immaginavanopiú sicuri sotto la protezione dei francesi, organizzaro-no il 27 dicembre una dimostrazione a favore della re-pubblica davanti all’ambasciata francese: tra loro il fa-natico scultore Caracchi che verrà poi impiccato aParigi come sovversivo. Nel momento in cui Duphotusciva dall’ambasciata per calmare la folla, la poliziapapalina aprí il fuoco e Duphot venne ucciso. Lo scia-gurato episodio, sommandosi a vessazioni di ogni gene-re, fece traboccare il vaso. L’11 gennaio Napoleone or-dinò al comandante in capo Berthier di entrare nelloStato della Chiesa con 20000 uomini e di occupare Ro-ma «dans le plus grand secret». Il 9 febbraio Berthierbivaccava a Monte Mario, con i cannoni puntati con-tro Castel Sant’Angelo, e pretese la resa e la consegnadelle armi aa parte delle truppe papaline. Il giorno do-po i francesi entrarono nella città, e da allora Roma fuconsiderata a tutti gli effetti territorio occupato, e trat-tata di conseguenza.

Berthier pretese un risarcimento straordinario diquattro milioni di piastre, pagabili in tre rate. Il papa e

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il governo papalino furono deposti e venne insediatauna repubblica romana, gli innumerevoli ordini religio-si furono soppressi e i loro beni confiscati, come eragià successo dappertutto.

Mentre Berthier dichiarava nel suo appello alla po-polazione che la guarnigione francese si sarebbe recataal Campidoglio per rendere omaggio ai grandi uominidella repubblica, in un altro documento si legge: «Il se-ra enlevé de la ville de Rome des tableaux, livres etmanuscripts, statues et objets d’art qui seront dignesd’être transportés en France d’après l’ordre du généra-len-chef sur l’avis d’une commission ad hoc».

Benché un pubblico avviso assicurasse ai romani chenessuno avrebbe toccato i loro antichi monumenti, ilgenerale Pommereuil propose di rimuovere le colossalistatue di Castore e Polluce sui loro destrieri da MonteCavallo, e lo stesso Daunou valutò la possibilità dismontare la colonna Traiana. Per fortuna entrambi ipiani fallirono di fronte alle insormontabili difficoltàdel trasporto. In compenso, fu spedito a Parigi l’obeli-sco egizio destinato alla Place Vendôme.

Per provvedere alla scelta e al trasporto delle opered’arte e dei libri, Napoleone raccomandò al ministrodegli Interni di inviare a Roma una nuova commissio-ne, proponendo in particolare i nomi di Berthélemy,Picault (il restauratore del Musée Central) e Dutertre.Dopo l’abdicazione e la partenza del papa i commissarifurono incaricati di compilare un inventario dei tesoriraccolti al Vaticano e al Quirinale. Una volta messi daparte i pezzi destinati a Parigi, gli antiquari al seguitodell’esercito di occupazione poterono fare le proprieofferte per le opere rimanenti delle collezioni pontifi-cie. La celebre serie degli arazzi di Raffaello tessuti aBruxelles con le storie degli Apostoli fu aggiudicata alprezzo di 1250 piastre per ogni arazzo.

Resoconti di testimoni oculari, biografie, diari, let-tere e cataloghi dànno un’idea abbastanza completa di

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questo sistematico saccheggio della città. Cosí il gene-rale Thibaut: «Dès l’arrivée des troupes à Rome, c’est-à-dire le dix février, le commandant militaire laisse en-lever sans bordereaux ou reçus les diamantes,tableaux, statues, objets d’art appartenant au Gouver-nement, aux Anglais, à la maison Albani, aux émigréset proscrits». Lo scultore svizzero Heinrich Keller, cheteneva a Roma una scuola d’arte, scrive in una letteraa un amico: «La distruzione è spaventosa. I quadri piúbelli vengono venduti per prezzi ridicoli [...] Quantopiú sacro è l’oggetto, tanto piú basso è il prezzo. Ierisono andato al Campidoglio, dove lo spettacolo è di-sperante. Antonio [la statua di Marco Antonio] è inuna cucina, con un collare di legno e guanti di paglia.Il Galata morente è completamente imballato nella pa-glia, la splendida Venere è sepolta nel fieno fino al pet-to, mentre Flora aspetta in un sotterraneo dentro unacassa di legno».

Un catalogo sommario, stampato col titolo «Spec-chio generale di tutti gli oggetti d’arte che partono daRoma a Parigi», elenca sei statue colossali, 170 figuresingole e gruppi di marmo, 36 busti, 180 erme e bustipiú piccoli, oltre a una quantità di rilievi, mosaici,bronzi, vasi e terrecotte. Le antichità piú ammiratedelle gallerie vaticane e capitoline e del Museo Pio-Cle-mentino erano il Laocoonte, l’Apollo e il Torso del Bel-vedere, la Venus pudicitia del Campidoglio, l’Apollosauroctono appoggiato al tronco di un albero e il Fan-ciullo che strozza l’oca, copia romana di un bronzo diBoeto di Calcedonia descritto da Plinio. A questi van-no aggiunti il celebre Spinario di bronzo, l’Amazzone diVilla Mattei, una delle molte copie della Amazzone fe-rita da Fidia, il gruppo ellenistico di Amore e Psiche gio-vinetti nell’atto di abbracciarsi, dell’Aventino, laArianna dormiente, il cosiddetto sarcofago della Nerei-de, il Discobolo di Mirone, ritrovato pochi anni prima,nel 1792, il Galata morente, la Flora della Villa Adria-

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na, il Meleagro, rilievo con le Muse e Apollo provenien-te dalla villa di Cassio, le statue colossali del Nilo e delTevere ecc.

Le biblioteche, e in particolare quella vaticana, die-dero un bottino anch’esso incalcolabile di stampe anti-che e di manoscritti in parte miniati, che furono spedi-ti alla Bibliothèque Nationale di Parigi in 350 casse.L’erudito francese La Porte du Theil propose addirit-tura di trasferire a Parigi l’intero «fondo Regina», os-sia la biblioteca che Cristina di Svezia aveva lasciato alpapa in eredità, col pretesto che buona parte di queivolumi le erano stati venduti dal collezionista Peteaudurante il suo soggiorno parigino.

Daunou, che governava la città in qualità di pleni-potenziario, riferí nel mese di maggio che le sculture diVilla Albani riempivano da sole 280 casse, e che in tut-to le casse sarebbero state da 450 a 500. I cardinali Al-bani e Braschi, i quali, come si è detto, erano conside-rati i principali responsabili della politica antifrancesedel Vaticano, dovettero pagare col sacrificio delle lorocollezioni. Si trattava, anche a giudicare con un metroromano, di due tra le collezioni piú ricche del paese,frutto dell’instancabile passione archeologica dei ri-spettivi proprietari: i piú illustri conoscitori di sculturaantica del ’700. In particolare, il cardinale AlessandroAlbani, grande rivale di papa Clemente XII, fondatoredel Museo Pio-Clementino, non solo inaugurò a pro-prie spese gli scavi di Villa Adriana e del Foro (per ci-tarne solo alcuni), ma era in stretto contatto anche coni mercanti inglesi di Roma, Gavin Hamilton e ThomasJenkins, i quali, in cambio del permesso di esportazio-ne, gli lasciavano spesso i pezzi migliori.

Nell’elenco delle opere sequestrate a Villa Braschi sitrovano registrati, oltre alle innumerevoli sculture, an-che alcuni dipinti, tra cui soprattutto il grande ritrattoequestre di Francisco Moncada, eseguito da Anton vanDyck, tuttora al Louvre. Inoltre due Profeti di Ribera,

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un Caravaggio noto come Il venditore, una Cena di Em-maus di Bernardo Strozzi (Grenoble, museo), e unaMadonna attribuita a Raffaello. Quest’ultimo dipintoracchiude un enigma: potrebbe infatti trattarsi di unquadro attribuito a Giulio Romano e oggi al Louvre(1419; anch’esso proveniente da Villa Braschi), ma po-trebbe anche essere la Madonna di Loreto, di cui si tra-manda che per metterla in salvo nel 1797 dalle manidei francesi fu nascosta proprio a Villa Braschi.

È difficile stabilire con esattezza quante opere d’ar-te di valore unico andarono distrutte o disperse in queigiorni. Tra i lavori di oreficeria sequestrati nelle chiesedi Roma su ordine di Berthier figuravano le due effigidegli apostoli Pietro e Paolo di San Giovanni in Late-rano, commissionate nel 1369 da papa Urbano V al se-nese Giovanni di Bartoldo. Furono spogliate delle pie-tre preziose che le rivestivano e l’oro venne fuso. Lostesso Pio VII, per pagare i contributi di guerra previ-sti dagli accordi di Tolentino, aveva fatto fondere inprecedenza la fibbia di oro lavorato del paramento li-turgico di Giulio II, opera del Caradosso, e una spilladi Benvenuto Cellini. Per compiacere la moglie di Na-poleone Giuseppina, di cui era noto l’amore per i pre-ziosi, Berthier le inviò il celebre cammeo di onice con iritratti di Cesare Augusto e della moglie Livia.

Per quanto riguarda la pittura, Roma era, allora co-me oggi, una miniera di opere del tanto ammirato ba-rocco seicentesco, e già l’anno prima i commissari ave-vano destinato a Parigi le piú importanti tra quelleconservate al Vaticano e al Quirinale: il Martirio disant’Erasmo, insieme alla Crocifissione di san Pietro diGuido Reni e alla monumentale tela del Guercino Se-poltura e ascensione di santa Petronilla, del 1613 (tutteal Museo Capitolino di Roma); una tela del Domeni-chino di dimensioni analoghe, la Comunione di san Ge-rolamo del 1614 (sempre a Roma al Museo Capitolino)proveniente dalla Chiesa di San Gerolamo della Ca-

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rità, una Pietà di Annibale Carracci da San Francesco aRipa, la Sacra famiglia di Giulio Romano dalla Chiesadi Santa Maria dell’Anima, e dalla Chiesa Nuova la ce-lebre Deposizione di Michelangelo da Caravaggio, a cuiRubens si ispirò direttamente per un quadro di sogget-to analogo. Curiosamente i commissari francesi lascia-rono al loro posto i tre grandi quadri del Caravaggiodella vicina Chiesa di San Luigi dei Fraricesi.

Nessuna di queste opere poteva naturalmente com-petere con l’Ascensione o Trasfigurazione di Raffaello,proveniente dalla Chiesa di San Pietro in Montorio:l’ultima opera del maestro, portata a termine dopo lasua morte da Giulio Romano. Ancora Fuseli e ThomasLawrence, rivedendolo a Parigi nel 1802, lo considera-vano un capolavoro insuperabile. L’Incoronazione dellaVergine di Monteluce, vicino a Perugia, attribuita allo-ra a Raffaello ma probabilmente opera in buona partedi Giulio Romano, raggiunse piú tardi la PinacotecaVaticana, dove si trova tuttora.

I commissari Thouin e Moitte insieme al pittoreGros scortarono i tesori romani lungo la via oggi con-sueta fino a Livorno e poi a Marsiglia via mare, per ri-salire quindi il Rodano, la Saône e i suoi canali fino al-la Senna e a Parigi. Del trasporto da Marsiglia a Parigisi occupò un certo Vidal, fornitore militare, per la cifradi 17400 franchi. Mentre le altre spedizioni di opered’arte erano state accolte a Parigi senza particolare so-lennità, il loro arrivo si trasformò questa volta, su sug-gerimento di Thouin, in una grande festa popolare chericordava insieme le feste rivoluzionarie e i trionfi ro-mani. Il regista dell’avvenimento fu lo stesso Thouin,che aveva già assistito Jean-Louis David nell’organizza-zione delle grandi solennità rivoluzionarie, e che inuna lettera al Direttorio propose un piano dettagliatoper l’ingresso trionfale delle opere d’arte italiane e delrimanente bottino di guerra.

Nei giorni 27 e 28 luglio 1798 i parigini poterono

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cosí assistere, a bocca aperta, all’ingresso dei «Monu-ments des Sciences et Arts». Era un corteo intermina-bile: guidata dalle due statue colossali del Nilo e del Te-vere, provenienti dal Vaticano, la processione si mossedal Jardin des Plantes costeggiando la Senna fino alChamps de Mars e di qui al Louvre. Il contenuto dellecasse era indicato da grosse scritte all’esterno, e tra lestatue greche e quelle romane sfilava un manifesto conle parole. «la Grèce les céda, Rome les a perdu | leursort changea deux fois | il ne changera plus». I quattrocavalli di bronzo di San Marco non erano imballati, macome si vede in una stampa dell’epoca, vennero traspor-tati con un sistema di piattaforme e di rulli. Con unascenografia decisamente incongrua, i cavalli erano scor-tati dalle giraffe, dai cammelli e dagli altri animali esoti-ci destinati al giardino zoologico. Furono quindi collo-cati su piedestalli marmorei all’estremità orientale delleTuileries e infine, nel 1808, sull’Arc de Triomphe delCaroussel insieme a un carro della vittoria e ad altri ac-cessori moderni. Il leone di bronzo di San Marco fu si-stemato su una fontana agli Invalides.

La grande Trasfigurazione di Raffaello aveva supera-to il lungo trasporto senza gravi danni, malgrado l’a-zione invisibile dei tarli, ma altri capolavori famosi, co-me la Glorificazione di santa Cecilia di Raffaello,proveniente da Bologna, il Martirio di san Pietro di Ti-ziano e la Vergine in trono con santi di Giovanni Bellini,dalla chiesa veneziana di San Zaccaria, furono trasferi-ti dal supporto di legno alla tela per opera dell’insignerestauratore del Louvre, Picault. Anche gli altri quadrifurono in gran parte restaurati e liberati da secoli divernici, di sporcizia e di ridipinture: una pratica allorainconsueta, che privava i quadri della loro patina anti-cheggiante, e che suscitò vivaci critiche fra gli artisti,abituati al loro aspetto tradizionale.

L’artefice del trionfo, Napoleone, non poté vederele dimensioni effettive del bottino romano, essendosi

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imbarcato il 19 maggio a Tolone per la Campagna d’E-gitto. Tuttavia, l’esperienza italiana lo indusse a for-mulare progetti altrettanto grandiosi anche per il Vici-no Oriente: per aprirsi la strada in quei paesi, e conl’idea di fondare un Istituto Orientale sul modello pa-rigino, portò con sé 75 studiosi di vari campi, astrono-mi, geologi, economisti, agronomi e archeologi. Oltreal già citato Gaspard Monge, che fu eletto presidente,e ad alcuni dei commissari di cui abbiamo già fatto co-noscenza, come Berthollet, faceva parte del gruppo an-che Vivant Denon, allora sconosciuto, che dovevasvolgere un ruolo di primo piano in tutte le imprese ar-tistiche dell’Impero. Insieme all’architetto Lepère, al-l’incisore Dutertre e alcuni altri, Denon fu incaricatodi studiare i monumenti archeologici dell’Egitto, difarne il rilievo e di disegnarli.

Mentre l’esercito francese sotto la guida dei genera-li Desaix e Belliar, dopo la vittoriosa battaglia di Gi-zeh avanzava verso Tabe, Karnak e Luxor nell’AltoEgitto, Denon e i suoi collaboratori erano impegnati astudiare piramidi, templi, statue colossali e altri monu-menti faraonici. L’aiutante di campo Savary riferí piútardi nelle sue memorie: «[Denon] ci incaricava di mi-surare i monumenti, lui invece li disegnava, e di questischizzi mandò al Cairo un intero carico di cammello».Uno di questi studi ritrae il tempio di Amenofi III, vi-cino ad Assuan: il tempio venne distrutto nel 1822 edè merito di Denon se almeno il suo aspetto non ci èignoto. Sia Denon che Lepère pubblicarono infatti i ri-sultati del loro lavoro in grandi volumi di incisioni(1802 e 1809-23), che diedero all’Europa le prime im-magini di una civiltà cancellata per secoli dalla storia.Ma fu soprattuto il Voyage dans la Haute et Basse Égyp-te di Denon a esercitare un influsso decisivo sulla na-scita dello stile impero con i suoi motivi egizi e pseu-doegizi. Quanto alle numerose opere d’arte raccoltedurante i due anni di occupazione e custodite all’Isti-

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tuto Orientale del Cairo, passarono nelle mani degli in-glesi dopo la capitolazione del corpo di spedizione na-poleonico, e furono spedite a Londra anziché a Parigi.Con molta previdenza l’Istituto aveva fatto prepararedei calchi di gesso dei pezzi piú importanti, tra cui lacosiddetta stele di Rosetta, che i francesi avevano tro-vato nelle vicinanze di Alessandria e che con la suaiscrizione trilingue permise a Champollion di decifrarela scrittura geroglifica.

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Capitolo quarto

Il saccheggio di Torino, Napoli e Firenze(1799-1800)

Ci sembra opportuno, a questo punto, iniziare unnuovo capitolo, benché gli avvenimenti successivi, finoal ritorno di Napoleone e alla pace di Lunéville, costi-tuiscono un puro seguito di quelli finora descritti. Se ilDirettorio nutriva il segreto desiderio di vedere Napo-leone lontano dall’Europa, e proprio a tale scopo fi-nanziava la sua piú che avventurosa spedizione in Egit-to, non poteva però fare a meno, per ragioni dipopolarità, di proseguire e rafforzare la sua brillantepolitica di conquista in terra italiana. Dopo che i terri-tori austriaci e pontifici si erano trasformati in repub-bliche sotto il controllo francese, gli unici principatiancora indipendenti erano il granducato di Toscana e idue regni di Savoia e di Napoli. Il Direttorio aspettavadunque l’occasione per modificare questo stato di cosee assicurarsi il controllo dell’intera penisola: soltanto,gli mancava l’intelligenza politica di Napoleone.

Sia la Savoia che la Toscana avevano firmato nel1796 un patto di neutralità e di amicizia con la Repub-blica francese, e Napoleone non aveva ritenuto oppor-tuno violarlo o mettere le mani sui patrimoni artistici deidue paesi. Ma l’8 dicembre il governo francese costrin-se il giovane re Carlo Emanuele V di Savoia ad abdica-re. Il padre Vittorio Amedeo I era morto da poco, e giàda tempo si era ritirato in Sardegna, lasciando Torino,la sua capitale piemontese, nelle mani dei francesi.

Il generale francese Clauzel, inviato per accogliere

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l’atto formale di abdicazione, pretese e ottenne a titolodi «omaggio» un quadro allora ammiratissimo dellacollezione reale la Donna idropica di Gerard Dou, dicui fece dono alla nazione francese, e dunque al Lou-vre. Ebbe cosí inizio il saccheggio della collezione sa-bauda, che solo 47 anni prima si era arricchita in mododecisivo, quando il re Carlo Emanuele III aveva acqui-sito dall’erede del principe Eugenio di Savoia la sua ce-lebre raccolta di quadri conservata al Belvedere diVienna.

I francesi insediarono a Torino un governo repubbli-cano provvisorio, e il 19 aprile 1799 una commissioneartistica scelse a Palazzo Reale 40 quadri, che furonoinviati a Parigi in due tornate successive. Il governatorefrancese, generale Fiorillo, si impadroní a titolo perso-nale di 27 dipinti.

Tra le opere destinate al Louvre, e che vi furonoesposte lo stesso anno, occupava il primo posto la pic-cola Annunciazione di Rogier van der Weyden, tuttoraal Louvre, e appartenente a un trittico la cui portella didestra con la Visitazione fu lasciata stranamente a Tori-no. Attribuito in precedenza, come molti primitivi, auna generica «école allemande», l’Annunciazione fuesposta per la prima volta al Louvre col nome del suovero autore, e catalogata già nel 1814 come opera di«Rogier de Bruges».

Dalla raccolta reale furono inoltre sottratti due im-portanti quadri di Anton van Dyck, e precisamente ifigli di Carlo I d’Inghilterra e un Baccanale ripreso da unoriginale tizianesco (entrambi a Torino); un piccoloquadro di Rembrandt attribuito a Jan Lievens (Tori-no); tre tele attribuite a Nicolas Poussin, di cui soltan-to una, la Santa Margherita è riconosciuta oggi comeopera sua (Torino); tre quadri di Guido Reni, l’Apolloe Marsia (Tolosa, museo), Adamo ed Eva e Giovanni neldeserto (entrambi a Torino); due ritratti di Bartholo-maeus Bruyn attribuiti allora ad Hans Holbein (Tori-

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no), piú altre opere di Dou e svariati quadri di genereolandesi, dei due Mieris, Schalken, Slingeland e cosívia, provenienti quasi tutti dal Belvedere.

Questa prima spedizione precedette di poco l’arrivodegli austriaci, che in assenza di Napoleone erano tor-nati alla vittoria e nel luglio 1799 occupavano anche lacapitale piemontese. Ma quando, dopo la battaglia diMarengo, il regno di Savoia cadde nuovamente in manofrancese, i generali Dupont e Jourdan, ministri straor-dinari presso il governo provvisorio di Torino, si impa-dronirono di altri 84 dipinti delle collezioni sabaude, trai quali il giovanile Ritorno del figliuol prodigo del Guer-cino e una Annunciazione di Orazio Gentileschi (entram-bi a Torino). Piú fortunato e piú intelligente fu però ilgenerale Soult, che prima di partire per Genova si impa-droní di dodici quadri tra cui la Visitazione di Rem-brandt: quadri che passeranno poi al duca di Westmin-ster e, in tempi, piú recenti, all’Art Institute di Detroit.Ritroveremo Soult in Spagna, dove poté dare liberosfogo alla sua passione per i capolavori.

L’occupazione della Toscana, avvenuta nel marzo1799, fu un atto arbitrario, privo di qualsiasi giustifi-cazione, dato il comportamento rigorosamente neutra-le mantenuto dal granduca Ferdinando III durante tut-to il periodo della campagna d’Italia. Ma il granducaera un principe di sangue asburgico, ostacolava la libe-razione dell’Italia e il pericolo di uno sbarco alleatosulle coste toscane poteva offrire un buon pretesto. Il9 aprile 1799 fu innalzato davanti a Palazzo Vecchiol’albero della libertà. Ferdinando era fuggito, portandocon sé la Madonna del Granduca di Raffaello e l’ambitaVenere Medici.

Tra le poche collezioni principesche ancora intatte,quella medicea era di gran lunga la piú importante,specie dopo l’acquisizione, avvenuta nel 1631, di buo-na parte della Pinacoteca di Urbino. La raccolta era si-stemata, allora come oggi, parte a Palazzo Pitti e parte

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agli Uffizi, e la cosiddetta «tribuna» di questi ultimi,riprodotta con fedeltà fotografica dal pittore ingleseZoffany, era un fondamentale punto di attrazione pertutti i viaggiatori e gli amatori d’arte del ’700. Si tro-vavano qui il Giovanni nel deserto di Raffaello, la Vene-re di Urbino di Tiziano, la Natività del Correggio el’ammiratissima collezione di sculture ellenistiche tracui il gruppo dei Lottatori, il Fauno danzante, l’Arrotinoe cosí via. Questa parte della collezione medicea però –e fu l’argomento usato dal direttore Tommaso Puccini– era stata donata dall’ultima principessa Medici, An-na Maria, nel 1793, alla città e alla municipalità di Fi-renze. Con un gesto di singolare discrezione i francesirinunciarono a sequestrarla.

Accanto ai commissari di nuova nomina, i pittoriitaliani Benvenuti e Fadi, c’era il pittore Jean-BaptisteWicar, da noi già incontrato, ottimo conoscitore delleraccolte fiorentine, sulle quali aveva già pubblicato unprimo volume in-folio corredato da incisioni. Fu pro-babilmente lo stesso Wicar a scegliere le opere piú pre-ziose di Palazzo Pitti, opere del resto cosí famose chela scelta si imponeva da sé. Non meno di otto opere diRaffaello, tra cui i due ritratti di Leone X e di GiulioII, i ritrattí dei cardinali Bibbiena e Inghirami, la Ma-donna della sedia e la Madonna del Baldacchino, comepure la Sacra famiglia della Impannata partirono alla vol-ta di Parigi. A questi vanno aggiunte cinque opere diTiziano, la cosiddetta Bella del 1536, che ritrae l’a-mante del duca di Urbino Francesco Maria della Rove-re, Cristo salvatore dell’universo e La Maddalena, il Con-certo e la Maddalena penitente. Quanto agli altri maestridel Rinascimento italiano furono scelti Le tre età del-l’uomo attribuite a Giorgione, la Resurrezione di Cristoe il San Marco di fra Bartolomeo, l’autoritratto di An-drea del Sarto, la Deposizione dalla Croce e le Scene dal-la storia di Giuseppe, sempre di Andrea del Sarto, ilcruento Martirio di sant’Agata di Sebastiano del Piom-

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bo, la Danza delle Muse e la Sacra famiglia di Giulio Ro-mano. La collezione Pitti era però ricca anche di operedi Rubens, e qui la scelta cadde sui due notevoli pae-saggi, sui cosiddetti Quattro filosofi, opera giovanileche raffigura in realtà lo stesso Rubens col fratello Fi-lippo e i dotti di Anversa Lipsio e Grozio, le Conse-guenze della guerra e la grande Sacra famiglia, oltre al ri-tratto del cardinale Bentivoglio di Van Dyck.

In totale furono portati via da Firenze 63 quadri e25 «pietre dure» (tavole intarsiate): queste ultime era-no anzi tenute in tale considerazione che nel 1815, perriaverle, il commissario fiorentino Alessandri rinunciòai primitivi italiani oggi cosí ammirati al Louvre.

L’ultimo Stato indipendente della penisola era or-mai il Regno di Napoli. La sua linea politica era oscil-lante. Nel 1796 il marchese del Vasco aveva deciso unaccordo militare con Roma, ma quando, dopo l’armi-stizio di Bologna, la superiorità di Napoleone fu evi-dente, il governo di Napoli si affrettò a ritirare le suetruppe per riavvicinarsi ai francesi, e dichiarò guerraallo Stato Pontificio. Quando poi giunse la notizia del-la disfatta francese ad Aboukir, nell’agosto 1798, la re-gina Carolina, che era una principessa austriaca e ami-ca dell’ambasciatore inglese Lord Hamilton e di suamoglie Emma (di cui sono celebri i ritratti), indusse ilgoverno borbonico a un riavvicinamento con gli alleati.

L’indipendenza fu di breve durata, e come nell’Ita-lia del Nord anche qui i francesi fecero pagare il tradi-mento a caro prezzo. Il generale Championnet ebbel’ordine di mettersi in marcia da Roma verso Napoli; lacittà fu occupata il 20 gennaio 1799 senza opporre par-ticolare resistenza, e i rivoluzionari locali furono inco-raggiati a proclamare la repubblica. Il re Ferdinando IVfuggì a Palermo, prendendo con sé alcuni dei miglioriquadri della sua collezione. Il nucleo piú ricco era peròconservato nella Galleria di Capodimonte, sulla collinadi Napoli, galleria che nel 1734 aveva incorporato per

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lascito ereditario la collezione Farnese di Parma. Ilcomandante in capo generale Championnet era egli stes-so un appassionato di opere d’arte – gli dobbiamo unimportante libro di memorie – e ordinò senza indugiodi requisire 30 quadri che furono inviati a Roma, dovericevettero una sistemazione provvisoria nella Chiesa diSan Luigi dei Francesi, utilizzata come deposito di opered’arte, e a Palazzo Farnese. È curioso che nessuna dellecelebri sculture antiche della collezione Farnese – tra-sferita da poco a Napoli e comprendente opere famo-sissime come il Toro farnese o l’Ercole farnese – abbiatrovato allora strada per Parigi.

Anche i quadri requisiti a Napoli raggiunsero la Fran-cia molto piu tardi, e poco mancò che non ci arrivasse-ro affatto. Mentre le opere di Firenze e di Torino giun-sero in territorio francese prima della controffensivaaustriaca del ’99, le cose a Napoli andarono infatti diver-samente. Entro il giugno di quell’anno le forze austria-che avevano nuovamente occupato tutti i territori con-quistati da Napoleone e ripristinato l’«Ancien Régime».Nello stesso tempo, il governo delle Due Sicilie sotto laguida del conte Ruffo di Calabria aveva organizzato laresistenza: il 13 giugno riconquistò Napoli con l’appog-gio della flotta inglese, e il 30 settembre fu la volta diRoma. Un certo cavalier Venuti di Napoli fu incarica-to, nello stesso mese, di recuperare le opere sequestra-te, e poiché i francesi avevano lasciato Roma in granfretta, nella Chiesa di San Luigi si trovavano ancoranumerose casse coi dipinti imballati e la scritta «Pour laRépublique Française». La maggior parte dei quadri diCapodimonte fu recuperata cosí, ma a un certo numerodi essi si trovava, come sostenne Venuti, nelle mani diprivati che li avevano comprati dai commissari francesio da ufficiali e che egli riacquistò. Per compensare le per-dite il Venuti sequestrò poi altre opere nella stessa Chie-sa di San Luigi, tra cui la grande tavola con l’Adorazio-ne del Bambino di Jacob Cornelisz di Amsterdam, ma

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allora attribuita a Dürer (Napoli, museo), e altre di anti-ca scuola italiana: Perugino, Ghirlandaio, Luini ecc. Inquell’occasione anche Wicar perdette la sua prima rac-colta di disegni di Raffaello e Michelangelo. I francesiaccusarono i napoletani di avere rubato e distrutto pre-ziose opere d’arte durante la loro occupazione di Roma,e nel 1801 il re di Napoli si impegnò, come vedremo, arestituire le opere rimpatriate, che ora cambiavano nuo-vamente proprietario.

Quando Napoleone tornò dall’Egitto dopo un’as-senza di 19 mesi, trovò una Francia inquieta e preoc-cupata. Correvano voci di un possibile colpo di Stato,e la sconfitta egiziana aveva scosso gli animi piú dellaperdita dell’Italia e delle minacce che accerchiavano ilpaese. Colpa evidente del Direttorio, della sua debo-lezza e corruzione. Al suo arrivo nel novembre del ’99,Napoleone conservava la sua popolarità quasi intatta,ed era sempre considerato il salvatore della Repubbli-ca. Sfruttando il momento favorevole Napoleone desti-tuí il Direttorio col colpo di Stato del 18 brumaio e siproclamò Primo Console di un triumvirato. Il grandetraguardo era raggiunto, il potere politico e quello mili-tare erano ora entrambi nelle sue mani.

Il seguito è noto. Nel maggio del 1800 Napoleoneattraversò con un esercito di coscritti il valico del GranSan Bernardo e sorprese gli austriaci alle spalle. La vit-toria di Marengo, benché in se stessa modesta, rappre-sentò una nuova svolta e riaprí ai francesi le porte del-l’Italia settentrionale e centrale. Basandosi suun’interpretazione molto personale del diritto di guer-ra Napoleone sostenne che le opere d’arte di Capodi-monte, già sequestrate e poi riprese dai napoletani,erano proprietà della Francia. Il nuovo trattato di pa-ce, firmato il 28 marzo 1801 col re delle Due Sicilie,prevedeva espressamente la loro cessione, e Dufourny,segretario del Musée Central, fu inviato in Italia per-ché la clausola diventasse operativa.

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Una lettera di Dufourny, pubblicata da Sylvie Bé-guin insieme ad altro materiale documentario, e glielenchi dello stesso Dufourny, riferiscono di 41 quadriritrovati nella chiesa romana di San Luigi dei Francesie di nove altri che furono spediti a Napoli in cambio dialtrettante opere scomparse. Paragonato all’effettivaricchezza delle collezioni Farnese e Capodimonte ilbottino sembra però inferiore alle energie profuse. Ilpezzo piú pregiato è forse l’incantevole Madonna dellaColomba, attribuita allora a Domenico Ghirlandaio maopera in realtà di Piero di Cosimo, oggi al Louvre(Fondo Farnese). Tra le opere del Cinquecento e delSeicento ricorderemo la Resurrezione di Lazzaro di Bo-nifacio Veronese (Parigi, Louvre), l’Adorazione dei pa-stori e l’Annunciazione del pittore spagnolo napoleta-nizzato Giuseppe Ribera, una Sacra famiglia del pittorecaravaggesco napoletano Bartolomeo Schedoni, un ri-tratto virile di Bartolomeo Strozzi e una Sofonisba diMattia Preti (Lione, museo). A seguito del nuovo trat-tato di pace il re di Napoli finí per cedere anche la Ve-nere Medici, messa in salvo da Firenze e tanto ambitada Napoleone. Prima del 1803, altre opere, come la ta-vola della Sacra conversazione di Cima da Conegliano,fecero ancora in tempo a raggiungere Parigi e il Lou-vre. La campagna d’Italia si chiudeva con un bilanciolargamente attivo: non solo permise di risanare le fi-nanze dello Stato francese e di restituire alla Franciaquel ruolo di grande potenza che aveva avuto ai tempidi Luigi XIV, ma aveva anche messo in movimentol’intero patrimonio artistico italiano, convogliandoneverso la Francia una parte preziosa, se non addiritturala piú preziosa. Inoltre essa favorí una diffusione noneffimera dell’arte italiana, diffusione che forse avrebbeavuto luogo comunque, ma che ricevette allora un im-pulso decisivo.

Il ritorno a Roma del governo pontificio, che rap-presentava, un fatto doloroso per i patrioti locali, ebbe

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tuttavia un risvolto positivo per il futuro del Louvre:l’arrivo a Parigi di uno dei piú importanti studiosi vati-cani, Ennio Quirino Visconti. Il nome dei Visconti,grande conoscitore del mondo classico e tra i fondatoridella moderna archeologia, è citato ancora oggi con ve-nerazione. Nato nel 1751, nel 1771 era già biblioteca-rio in Vaticano, e nel 1784 fu nominato conservatoredel Museo Capitolino. Fautore delle idee illuministe,egli salutò come molti intellettuali la liberazione dell’Ita-lia, e al momento della proclamazione della repubblicafu nominato ministro degli Interni. Ormai compromessocol vecchio regime, quando la città fu riconquistata dainapoletani fu costretto alla fuga e si diresse naturalmen-te a Parigi, dove fu subito nominato conservatore dellasezione antica del Louvre, ed esercitò questa carica finoalla fine dell’età napoleonica. A lui si devono i primivolumi della Iconographie grecque et romaine, una pietramiliare della moderna scienza archeologica, proseguitapoi dal suo successore Clarac.

Nello stesso anno in cui Napoleone otteneva i suoi ra-pidi successi sul fronte meridionale e fondava la Repub-blica Cisalpina, il generale Moreau, comandante in capodell’armata del Reno, stornava la minaccia austriaca aiconfini orientali infliggendo una sconfitta decisiva pres-so Hohenlinden all’arciduca Johann. La sua avanzata at-traverso la Baviera fino a Salisburgo mise quindi alla por-tata dei francesi le grandi ricchezze artistiche della Ba-viera e della Franconia. Non solo c’era Monaco, la cittàdi Albrecht Dürer, il cui nome aveva un significato em-blematico per la pittura rinascimentale tedesca e ancheolandese, ma c’erano anche le collezioni riunite di CasaWittelsbach, di Pfalz Zweibrüchen e Düsseldorf, cheformavano una delle piú ricche raccolte pittoriche in as-soluto. Il direttore del Museo di Monaco Christian vonMannlich, che aveva già fatto esperienza di una inva-sione francese, cercò di nascondere i quadri piú prezio-si nel castello di Ansbach, non lontano da Norimberga.

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Quando il plenipotenziario francese per le opered’arte Neveu, professore all’École Polytechnique diParigi, giunse a Monaco, scelse 72 dipinti dalle Resi-denze di Monaco e Schleissheim, e poi ad Augsburg ea Norimberga. Non erano tutte opere di prim’ordine,ma comprendevano fra le altre alcuni capolavori, comel’Incoronazione di spine, opera tarda di Tiziano (Mona-co, Pinacoteca), che Neveu volle per la propria tombae che andò ad affiancare al Louvre la versione giovani-le dello stesso dipinto. Tra le numerose opere di Ru-bens acquistate dal duca Massimiliano I, Neveu de-stinò a Parigi la giovanile Adorazione dei Magi (Lione,museo), Meleagro e Atalanta (Monaco), come anche lescene di caccia ai verri e alle tigri (Marsiglia e Rennes)che il maestro aveva dipinto nel 1616 per il duca con lacollaborazione dei pittori di animali e di paesaggioSnyders e Wildens. Con La battaglia di Alessandro diAlbrecht Altdorfer, con due tavole di Hans Burgk-mair, tre tavole di Hans Baldung Grien e, non in ulti-mo, coll’autoritratto giovanile di Dürer (Louvre), giun-sero al Louvre anche i «primitivi» tedeschi, dopo iritratti di Holbein dell’Aia. Nel 1815 La battaglia diAlessandro si trovava nella stanza da bagno di Napoleo-ne a Saint-Cloud: l’imperatore voleva averla ogni gior-no davanti agli occhi, probabilmente piú per il sogget-to che per il suo valore artistico. Tra le opere diseconda scelta citeremo soltanto il quadro di Maertenvan Heemskerck San Luca che dipinge la Madonna, oggia Rennes, e l’Assunta di Piazzetta, che fu ceduta piútardi al Museo di Lilla, mentre il bozzetto rimase aSchleissheim.

Conformemente agli ordini ricevuti, Neveu conse-gnò al governo bavarese un elenco scritto delle operesequestrate, elenco che permetterà al ministro Thier-sch, nel 1815, di ottenere la restituzione di alcune frale piú importanti, mentre quelle non restituite furonorimpiazzate da altri quadri di proprietà francese. Va

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detto però fin d’ora che pochi anni piú tardi la Bavieradiventerà il piú stretto alleato di Napoleone e nemicodell’Austria. Il giovane principe elettore MassimilianoIV, che prima della Rivoluzione aveva militato nell’e-sercito francese, non aveva perduto le sue simpatie perla Francia: nel 1803 la Baviera fu risarcita a spese del-l’Austria per la perdita dei territori a ovest del Reno, enel 1805 fu innalzata al rango di Regno. Le nozze delfigliastro di Napoleone Eugenio Beauharnais con laprincipessa bavarese Augusta rafforzarono ulterior-mente i legami fra i due paesi, e la Baviera rimase cosíal riparo dal pericolo di altre requisizioni.

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Capitolo quinto

Il «Musée Napoléon» e il riordino del bottino(1802-806)La politica museale di Vivant Denon

Col trattato di pace di Amiens tra Francia e Inghil-terra, firmato nel marzo 1802, i lunghi anni di guerrasembravano dare i primi frutti. Fu, per tutta la Fran-cia, un momento di generale sollievo, mentre i nuoviconfini e i territori conquistati alimentavano la fiduciae l’ottimismo nel futuro. Sotto la guida di Napoleone,nominato nel frattempo console a vita, si fece il possi-bile per recuperare, in campo industriale, economico eculturale, il tempo perduto negli anni della guerra.

Monge, Berthollet e il chimico Chaptal fondaronola «Société d’encouragement pour l’Industrie nationa-le», furono aperte 21 camere di commercio e, nel mesedi settembre, fu inaugurata nel cortile del Louvre laprima esposizione europea dell’industria. Le vecchiemanifatture artigiane, per cui la Francia andava cele-bre sotto l’Ancien Régime e che la Rivoluzione avevafermato per mancanza di clientela, furono richiamatein vita dal nuovo lusso della società parigina, pronta aseguire l’esempio dell’imperatrice Giuseppina e deisuoi gusti stravaganti.

Dal classicismo della scuola di David, arrivato inFrancia con la campagna d’Egitto, nacque lo stile im-pero, in anticipo sull’Impero propriamente detto. Cisembra difficile caratterizzare il clima di quegli annimeglio dello storico inglese Denis Sutton: «Fu l’illegit-timità del potere napoleonico che conferí allo stile im-pero il suo carattere specifico. Gli uomini nuovi, i ge-

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nerali, i fornitori militari, i banchieri, gente del cetomedio, aspiravano a uno stile che confermasse la loronuova posizione sociale e si trovavano a loro agio in unambiente che esprimeva un ideale di sfarzo». Napoleo-ne aveva dichiarato di voler fare di Parigi la piú bellacittà del mondo, e il momento sembrava propizio a unasimile impresa.

Piú ancora che nel cosmopolita secolo diciottesimo,Parigi, la capitale d’Europa, diventò la meta di un flus-so incessante di visitatori, curiosi di vedere le novitàsopraggiunte nei lunghi anni dopo la Rivoluzione. No-vità che ormai si imponevano in tutti i campi: nellamoda, nell’aspetto urbano, nella vita privata e sociale.Probabilmente, furono soprattutto i viaggiatori e gliintellettuali inglesi a patire le conseguenze dell’isola-mento che aveva posto fine agli intensi scambi cultura-li della seconda metà del secolo. Nei primi sei mesi del1802 non meno di 16000 visitatori inglesi approdaro-no in Francia: fra gli altri, membri della Casa Reale co-me il gran cancelliere duca di Argyll, politici come Ja-mes Fox, leader del partito Whig, scrittori comeFanny Burny e Mary Berry, l’attore James Kemble e,non ultimo, numerosi artisti inglesi, curiosi di conosce-re la nuova arte francese nata dalla Rivoluzione e i ca-polavori provenienti dai territori conquistati. Anchedalla Germania e dalla Svizzera giunsero a Parigi scrit-tori e studiosi, come i due Humboldt, Friedrich vonSchlegel, Kotzebue, Ulrich Hegner e Karl von Bon-stetten.

Nell’agosto del 1802 si incontrarono a Parigi diversiartisti inglesi di fama, alcuni dei quali avevano intra-preso il viaggio insieme: Benjamin West e Henry Fuse-li, direttore e professore della Royal Academy, i ritrat-tisti John Hoppner e James Opie, la pittrice MariaCosway, il paesaggista Turner e lo scultore classicheg-giante William Flaxman, insieme ad altri pittori e ar-chitetti come Shee, Smirke, Hall e William Farington,

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che ci ha lasciato nei suoi diari un limpido resocontodel proprio soggiorno parigino. Il giovane Turner copiòsul suo taccuino da disegno numerosi quadri del Lou-vre, soprattutto paesaggi; Fuseli prese appunti e coniòi giudizi apodittici che troviamo nelle sue Lectures onPainting, e Flaxman discusse con gli altri sull’origina-lità delle sculture antiche.

Maria Cosway era impegnata a realizzare le incisio-ni per una grossa opera in-folio sulla galleria del Lou-vre, il cui primo volume, dedicato a una parte dei qua-dri di scuola italiana, fu stampato nello stesso anno1802. Su queste tavole possiamo farci un’idea dicom’erano esposti i quadri nella Grande Galleria. Dal1801 la Grande Galleria era di nuovo accessibile alpubblico in tutta la sua lunghezza, ma benché i proget-ti volti a migliorarne l’illuminazione e la struttura in-terna risalissero al 1796 e gli architetti Percier e Fon-taine fossero al lavoro, essa si trovava praticamentenello stesso stato in cui la commissione per i musei l’a-veva trovata allora. In altre parole, la galleria prendevaluce dalle finestre laterali, col risultato di lasciare inombra molti quadri appesi da quella parte. Le scultureerano disposte nelle nicchie delle finestre o nel mezzodella galleria che, essendo priva di interruzioni, appari-va come un lungo corridoio. Poiché non si parlava an-cora di ordinare i quadri secondo un criterio sistemati-co e cronologico, per paesi e scuole di provenienza(come oggi sarebbe naturale), ma la posizione dei qua-dri che riempivano le pareti dal pavimento al soffittoera decisa in base alla grandezza e al formato, questaprocessione interminabile di capolavori delle scuole piúdiverse doveva avere sui visitatori un effetto grandiosoma anche frastornante. Per fare solo un esempio: Raf-faello, i cui quadri di cavalletto erano rappresentatiquasi al completo, vide i suoi quadri di formato piúpiccolo raccolti intorno alla tela colossale dei Mendi-canti, posteriore di un secolo, e soltanto due opere, la

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giovanile Incoronazione della Vergine e la tarda Trasfigu-razione, furono accostate intenzionalmente a opere disoggetto analogo del suo maestro Pietro Perugino, inmodo che il pubblico potesse effettuare il confronto.

Per i visitatori piú esperti c’era poi un altro proble-ma non secondario, lo stato di conservazione dei dipin-ti, su cui per esempio Fuseli, che conosceva alcune diquelle opere dai suoi viaggi italiani, espresse un giudi-zio fortemente negativo. Erano quadri che per la pri-ma volta venivano portati dal buio delle chiese alla lu-ce del sole: dopo le difficoltà del lungo viaggio gli abilirestauratori del Louvre, Picault, Hacquin e il loro staffli pulirono e in alcuni casi particolarmente gravi, comela danneggiatissima Madonna di Foligno e la Glorifica-zione di santa Cecilia di Raffaello, o il Martirio di sanPietro, di Tiziano, li trasportarono addirittura su tela.Questo modo di procedere non corrispondeva però algusto dei conoscitori. Dobbiamo infatti ricordare cheancora per buona parte dell’800 gli antichi maestri do-vevano avere un aspetto «antico», prodotto dalla pol-vere e dalla vernice ingiallita, e che non esistevano al-tri mezzi all’infuori dell’occhio e della lented’ingrandimento per distinguere il quadro originaledalle ridipinture. Capitava spesso, in passato, che arti-sti-restauratori «migliorassero» secondo il proprio gu-sto quadri lievemente danneggiati, aggiungendo magariintere parti al dipinto. I nuovi specialisti come Picaultnon solo misero fine a questa pratica, ma eliminaronotutte le aggiunte per riportare i quadri al loro aspettooriginario. Per mostrare al pubblico il significato delnuovo metodo e mettere a tacere le critiche, già nel1798 la direzione del Louvre aveva esposto due operedi Carracci e Perugino restaurate per metà.

Analoghe controversie furono provocate anche dallesculture antiche, sistemate fin dal 1800 al pianterreno,in quello che era stato l’appartamento della regina An-na. Qui però il problema era soprattutto un altro: ori-

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ginale greco o copia romana? Visconti, il direttore del-la collezione, aveva pubblicato per l’apertura del Mu-seo di Antichità il suo primo catalogo: una descrizioneesemplare delle fonti antiche su cui le attribuzioni sibasavano. Ma poiché gli originali greci erano ancorapoco conosciuti (fu proprio in quell’anno che l’amba-sciatore inglese lord Elgin portò a Londra le sculturedel Partenone), e quasi tutte le statue provenivano dalterritorio italiano, le possibilità di un raffronto stilisti-co erano molto scarse. L’Apollo del Belvedere, cheFlaxman dichiarò essere una copia romana, fu colloca-to nella sala che prese da allora il nome di «Salle d’A-pollon» (insieme al cartone di Raffaello per la Scuolad’Atene), mentre l’Amazzone ferita (o Amazzone di Vil-la Mattei) del Vaticano e l’Antinoo si trovavano all’in-gresso del museo. In un quadro, di qualche anno poste-riore, di Hubert Robert, vediamo appunto l’ingressocon la scritta «Musée Napoléon» (cosí fu ribattezzatoil Louvre nel 1803), e in fondo a una fuga di sale il fa-moso gruppo del Laocoonte dentro una nicchia.

Per orientarsi nel museo i visitatori stranieri poteva-no comprare, per la prima volta, delle guide, che furo-no stampate per l’apertura della sezione antica e per laprima esposizione dei quadri fiamminghi e italiani tra-fugati. Alle Notices des tableaux des écoles de Lombardieet de Bologne, uscite nel 1801, fece seguito due annipiú tardi una guida dedicata ai quadri di Venezia, Fi-renze, Napoli, Torino e Bologna, guida che contenevafra l’altro un lungo resoconto del restauro della Madon-na di Foligno di Raffaello.

Il 2 settembre 1802, Benjamin West, presidentedella Royal Academy di Londra, invitò gli artisti fran-cesi per una cena. Si voleva ricambiare in questo modole molte cortesie ricevute dagli artisti inglesi a Parigi, efu anche un’occasione per conoscere i due uomini chepiú avevano contribuito a organizzare le nuove colle-zioni parigine: Alexandre Lenoir e Vivant Denon. Del

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ruolo svolto da Lenoir come conservatore del Muséedes Petits Augustins si è già parlato. Denon, la cui pri-ma pubblicazione sulle antichità egizie usciva proprioquell’anno, era certo sconosciuto agli inglesi nonostan-te la sua attività di incisore, e dovette suscitare nonpoca ammirazione, questo brillante signore non piúgiovane, le cui conoscenze abbracciavano l’arte anticanon meno di quella europea. Malgrado il suo passatovivace e i suoi 53 anni, la vera carriera di Denon ebbeinizio solo il 19 novembre di quell’anno, quando Na-poleone lo nominò direttore generale unico dei museifrancesi, assegnandogli, con la scomparsa delle vecchiecommissioni, un incarico simile a quello degli inten-denti regi, ma con poteri ancora piú ampi.

Chi era dunque quest’uomo, che per tredici anni, fi-no alla caduta dell’Impero, guidò la politica francesenel settore dei musei e dei beni artistici? L’importanzastraordinaria di Denon nella storia del Louvre giustifi-ca un breve sguardo all’indietro, per seguire le varietappe del suo complesso curriculum intellettuale. Do-minique Vivant Denon nacque nel 1747 a Givry pressoChâlons, nel cuore della regione vinicola della Borgo-gna. La sua famiglia doveva i propri beni e la propriaposizione sociale privilegiata a un prozio, Vivant Jol-liot, che produceva nelle sue cantine il celebre Cha-teau-Mouton. In qualità di «commissaire du vin» efornitore di corte, Jolliot diventò un assiduo compagnodi bevute dell’erede al trono, il Grand Dauphin: circo-stanza che non solo lo rese ricco, ma, per le consuetu-dini feudali di allora, gli valse anche numerosi feudinelle vicinanze di Givry e di Châlons.

Lo stesso Denon era solito raccontare questa storianella sua maniera spiritosa: «Per mia fortuna il mio pro-zio si distinse soprattutto come cortigiano; se oggi ho damangiare, lo devo al suo talento di bevitore e alle sue fre-quenti bevute col Grand Dauphin, che gli procuraronola ricchezza». Ai legami di un altro zio con la Corte

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Denon dovette il suo ingresso nella carriera, che gli per-mise di acquistare vaste conoscenze in campo artisticoe di coltivare il proprio talento diplomatico. Avendomostrato fin da ragazzo inclinazioni letterarie e artisti-che, frequentò a Parigi i corsi di disegno e incisione diNoël Hallé. E poiché quest’ultimo dirigeva la collezio-ne di medaglie e gioielli della marchesa Pompadour,anche Denon si avvicinò alla Corte di Versailles. Fu inquel periodo che Denon scrisse la novella Point de len-demain, un tipico prodotto, come le Liaisons dangereu-ses di Cholderlos de Laclos, del clima frivolo di queglianni. Un lavoro destinato a cadere nell’oblio fino a unasua recente ripresa cinematografica.

Appena venticinquenne, il favore del conte di Ver-gennes lo avviò alla carriera diplomatica. Fu dapprimaaddetto alla ambasciata di San Pietroburgo (1772), esuccessivamente a Stoccolma, dove Vergennes era am-basciatore. Con la nomina di Vergennes a ministro de-gli Esteri Denon fece ritorno per breve tempo a Parigi;nel 1775 fu inviato in Svizzera e nel 1778 a Napoli. Icinque anni passati a Napoli come consigliere d’amba-sciata furono per lui, sotto molti aspetti, gli anni deci-sivi. Entrò allora in contatto con tutti gli artisti e gliamatori d’arte che visitavano allora il Regno di Napoliper via degli scavi di Pompei ed Ercolano, e acquisíuna tale esperienza da accompagnare egli stesso in ve-ste di guida gli ospiti piú illustri dell’ambasciata. Co-piò, per ricavarne incisioni, numerose opere di scuolanapoletana nelle chiese della città e aiutò l’abate diSaint-Non a illustrare i suoi resoconti di viaggio nelRegno delle due Sicilie. Nel 1780 la sua fama come co-noscitore dell’arte italiana era tale che il sovrainten-dente alle belle arti di Parigi, conte d’Angeviller lo in-caricò di acquistare vasi greco-etruschi per lamanifattura di Sèvres e quadri per la collezione reale,come la Resurrezione di Lazzaro del Guercino. (Da que-sto quadro ricavò un’incisione che gli serví come prova

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d’esame per l’Accademia di Firenze). D’Angeviller loraccomandò inoltre come esperto al direttore dell’Ac-cademia di Francia a Roma, il pittore Vien, e nel 1787Denon fu eletto, sempre su proposta del D’Angeviller,membro dell’Accademia dellè Arti e delle Scienze diParigi. Quando Vergennes lasciò il suo incarico nel1790, anche Denon abbandonò il servizio diplomaticoper dedicarsi interamente alla sua attività artistica.

Negli anni seguenti visse a Firenze, a Bologna e aVenezia, dove abitò presso il Ponte Baratteri. Dopo loscoppio della Rivoluzione tutti i francesi a Venezia fu-rono considerati sospetti dal maestro di lingua e didanza fino al portiere d’albergo, e anche Denon fuconvocato il 12 agosto dalla polizia, che rimase peròsoddisfatta delle sue spiegazioni. Nel 1793, fu nuova-mente denunciato per via dei rapporti che le sue pro-prietà in Borgogna lo portavano a intrattenere conl’ambasciatore francese Henin. Diffidato, Denon la-sciò Venezia e riparò nei territori del granduca di To-scana, dove prese l’ardita decisione di fare ritorno inFrancia per non venire registrato fra gli emigranti eperdere cosí tutti i suoi beni.

Per sua fortuna, Denon conosceva il pittore Jean-Louis David, amico di Robespierre, che lo protesse ne-gli anni del Terrore e ottenne che il suo nome venissecancellato dalle liste di proscrizione. David lo incaricòinoltre di ricavare un’incisione dal suo quadro di sog-getto rivoluzionario il Giuramento della Pallacorda e glisottopose i suoi progetti per le feste repubblicane. Isuoi ritratti caricaturali delle vittime della rivoluzione,tuttora conservati, dimostrano che Denon sapeva adat-tarsi senza troppi scrupoli ai nuovi potenti e alla nuovasituazione.

L’incontro di Denon con Napoleone avvenne nel1795 nelle seguenti circostanze. Il miniaturista EugèneIsabey lo pregò di prestargli il suo studio per esporvi ilquadro Belisario mendicante dell’amico François Ge-

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rard. Isabey era un protetto di Giuseppina Beauhar-nais. Quando Giuseppina venne a vedere il quadro diGerard le fu presentato anche Denon, che coi suoi mo-di brillanti seppe conquistarsene la simpatia, al puntoda diventare ospite assiduo del suo salotto in Rue deVictoire, dove naturalmente poteva incontrare ancheNapoleone. Abbiamo già visto che Denon faceva partedel gruppo di artisti e scienziati scelti da Napoleoneper la spedizione in Egitto, e già in questa circostanzail futuro imperatore restò sicuramente impressionatodal sapere e dall’energia dello studioso. La pubblicazio-ne della grande opera sulle antichità egizie illustratacon le incisioni di Denon (Descriptions des Monumentsde la Haute et Basse Égypte), iniziata nel 1802, contri-buí poi a rafforzare la sua stima, tanto piú che l’operasottolineava il valore culturale e scientifico di una mis-sione per il resto fallita. Denon disegnò fra l’altro an-che una medaglia commemorativa, che fu realizzatadagli orafi Brenet e Janouin e che portava la scritta«L’Égypte Conquise».

Quando Napoleone, nell’autunno di quell’anno,riorganizzò l’amministrazione del Louvre, abolendo lecommissioni artistiche e l’ufficio dell’esperto Lebrun,offrí la direzione generale prima al pittore Jean-LouisDavid e poi allo scultore Canova, i quali, bisogna direper fortuna, rifiutarono entrambi. La scelta cadde allo-ra su Denon, e ancora una volta Napoleone dimostròdi avere buon istinto nella scelta dei suoi collaboratori:non poteva scegliere infatti una persona piú adatta perun incarico cosí impegnativo, vario e complesso. Men-tre nel ’700 i responsabili delle gallerie venivano anco-ra scelti di regola tra i pittori, la nomina di Denon rap-presentò anche sotto questo aspetto una novità: in luipossiamo vedere il prototipo del moderno direttore dimuseo di formazione storico-artistica.

I compiti di Denon non si limitavano all’ammini-strazione del Museo del Louvre. Dipendevano da lui

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anche i musei di Versailles, quello dei Petits Augustinse i castelli reali, un gabinetto numismatico particolar-mente caro a Napoleone che conteneva anche piccolibronzi ed era sistemato (come ancora in tempi recenti)nel Palais Mazarin vicino alla Bibliothèque Nationale,e infine la direzione delle ex-regie manifatture di Sè-vres, Beauvais e dei Gobelins. Per queste ultime, comeanche per l’abbellimento di Parigi, era lui la persona dacui si attendevano le nuove proposte. Le commissioniper gli infiniti quadri di soggetto militare e dei ritrattiufficiali partivano dalla sua scrivania, come anchequelle relative alle opere scultoree del Louvre, ai nuovimonumenti e alla colonna di Place Vendôme, erettaper celebrare la vittoria di Austerlitz a imitazione dellacolonna Traiana e il cui rilievo era stato realizzato colbronzo dei cannoni nemici. Dal 1805 aveva inoltre ilcompito di seguire e portare avanti i rilievi topograficie i progetti per una colossale raccolta di incisioni: iDessins des Campagnes de l’Empereur. Denon seguí que-sti lavori con energia instancabile e con l’obiettivo co-stante di arricchire le collezioni nazionali e di dareun’espressione artistica alla grandezza della Francia.Non poteva soddisfare meglio le aspettative di Napo-leone, che gli concesse, a dimostrazione del suo favore,poteri pressoché illimitati: quei poteri appunto di cuiDenon aveva bisogno per realizzare le sue idee piú am-biziose.

Il rinnovamento del Museo del Louvre, che andavadai continui lavori di ristrutturazione alla sistemazionescientifica delle raccolte, era però il primo dei suoicompiti, e anche qui come negli altri vastissimi settoridi sua competenza, Denon disponeva di un’équipe dicollaboratori che, misurata con criteri moderni, apparemolto esigua: il segretario generale già in carica Athe-nase Lavallée; tre conservatori tra i quali i già menzio-nati Lenoir per le antichità nazionali ed Ennio QuirinoVisconti per l’arte antica, il restauratore Picault e il

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suo staff. Nei lavori di ammodernamento del Louvrecollaborò con gli architetti Percier e Fontaine, che in-fluenzarono in modo decisivo il nuovo stile non soloper quel che riguarda il Louvre, ma anche negli edificipubblici e nei monumenti della città. Napoleone ama-va concentrare la responsabilità in poche mani, e que-sto ne fu un esempio.

L’anno di pace 1802-803 vide poi due fatti che sisarebbero rivelati importanti per la politica francese inmateria di opere d’arte. Con la firma del nuovo con-cordato col Vaticano le chiese ottennero la parziale re-stituzione dei beni artistici confiscati, a eccezione diopere come la Madonna Rolin di Van Eyck, considera-te ormai patrimonio nazionale. Ma in questo caso essefurono risarcite con altre opere trafugate all’estero eprovenienti dai ricchi depositi del Musée Central. Cosíad esempio la Grande pala dell’altar maggiore delGuercino si trasferí dal suo paese natale di Cento nellachiesa parigina di San Tommaso d’Aquino. L’UltimaCena di Rubens andò a finire nella Chiesa di Saint-Eu-stache, la Circoncisione di Cristo del Barocci provenien-te da Pesaro (Parigi, Louvre) e l’Assunzione della Vergi-ne di Salvator Rosa, come pure il San Bernardo salva lacittà di Carpi di Ludovico Carracci passarono da Mode-na a Notre-Dame, solo per citarne alcune. La scelta diqueste opere fu affidata al solito Denon, come anchequella, storicamente assai piú importante, dei quadrida assegnare ai musei di provincia.

Su proposte dell’allora ministro degli Interni Chap-tal, già nel settembre del 1800 Napoleone aveva firma-to un decreto per la creazione di 15 musei (portati poia 22) nelle città della provincia francese. Alcune di es-se, come Lilla, Douai, Angers, Tours, Tolosa, Le Manse altre, avevano già iniziato durante la Rivoluzione adallestire proprie raccolte con i beni confiscati, e neiprimi anni dopo il decreto di Napoleone oltre 800 qua-dri delle eccedenze di Parigi e Versailles furono spediti

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in provincia. Il sopraggiungere della guerra impedí tut-tavia che il piano venisse portato a termine. Poiché ilnuovo territorio francese comprendeva anche il Belgio,i Paesi Bassi e la riva sinistra del Reno, anche Bruxel-les e Magonza, oltre a Lione, Bordeaux, Montpellier,Caen, Angers, Rouen, Digione, Aix-en-Provence eMarsiglia, rientravano fra le città di provincia in cuiaffluirono i quadri provenienti da Parigi: quadri che ingran parte vi si trovano tuttora. Nell’autunno del 1802furono distribuiti tra questi musei altri 846 dipinti, trai quali numerose opere di altissima qualità. I Perugino,i Veronese, i Rubens, i Jordaens, i Van Dyck riempiva-no i depositi parigini, al punto che cederli fu piú unsollievo che una perdita per il Louvre. Lione, città ditraffici commerciali, ebbe lo splendido Ritrovamento diMosè di Paolo Veronese, Caen le Tentazioni di sant’An-tonio dello stesso Veronese, provenienti da Mantova, eRouen Barnaba risana gli infermi, sempre di Veronese,proveniente da Verona. Tra le molte opere di Rubensconservate nei musei di provincia merita un cenno par-ticolare la Trasfigurazione di Cristo, opera giovanile,sottratta al grandioso altare di Francesco Gonzaga nel-la Chiesa dei Gesuiti a Mantova. A causa probabil-mente del suo cattivo stato di conservazione l’opera fuassegnata a Nancy, una piccola Versailles allora resi-denza del re di Polonia Stanislao. Nancy ebbe inoltrela collezione del principe in esilio Salm-Salm, formatada opere altotedesche e altoolandesi di notevole valore.

Su ordine di Napoleone, la città di Amiens, doveera stata firmata la pace, ricevette una serie di bozzettie lavori preparatori di Boucher, Jean-François de Troye altri maestri del Settecento, conservati nelle manifat-ture tessili di Beauvais e dei Gobelins, dove erano ser-viti per tutto il secolo da modello per i tessitori. Lespedizioni ai musei di provincia proseguirono, sia purein misura ridotta, di mano in mano che le nuove con-quiste militari portavano a Parigi altri quadri. Per otte-

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nere opere particolarmente ambite, al Louvre o neimusei di provincia, Denon era solito praticare scambicon altri musei, simile in questo a Wilhelm von Bode,che sarà alla fine dell’800 direttore generale dei museidi Berlino.

Quando, nel 1803, il Louvre fu ribattezzato «Mu-sée Napoléon» su proposta del secondo console Cam-bacères, non si trattò di un puro gesto formale. La lo-gica sistematica che contrassegnava il nuovoorientamento della burocrazia francese si impose anchenello sviluppo del Louvre, dove la mano ferma di De-non, la sua intelligenza critica e i suoi piani di ampiorespiro crearono le basi per quella continuità che è re-quisito indispensabile di ogni museo. Mentre in mate-ria di opere d’arte Denon poteva lavorare in piena au-tonomia (con la sola eccezione delle opere destinate aicastelli, per le quali doveva consultare il futuro impera-tore e l’imperatrice), per i progetti architettonici, e inparticolare per i lavori di ristrutturazione del Louvre,Denon dipendeva dagli architetti Percier e Fontaine,con i quali era talvolta in disaccordo. Cosí, ad esem-pio, essi seguirono il progetto di Hubert Robert per laGrande Galleria solo in parte: invece di una illumina-zione continua dall’alto praticarono delle aperture late-rali sulla volta, mantenendo, del progetto originale, so-lo le due serie di statue su piedestalli con la funzione diarticolare lo spazio. Inoltre, a partire dal 1804, quandoebbero inizio i lavori, alcune parti della galleria venne-ro chiuse al pubblico, e Denon si lamentò a ragione didoverne chiudere una metà per usare l’altra come de-posito. In compenso, il trasloco dell’«Institut de Fran-ce» dalla vecchia Salle des Cariatides al pian terrenogli permise di sistemare le statue colossali del Nilo edel Tevere in quella che si chiamò da allora Salle desfleuves.

Nel complesso, gli anni tra il 1803 e il 1806 furonoper Denon un periodo fruttuoso, in cui la necessità di

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vagliare un materiale ricchissimo, quale nessun diretto-re di museo prima di lui aveva avuto sotto mano, glipermise di estendere enormemente le sue conoscenzestorico-artistiche. E se in questi anni egli si limitò adacquisire poche opere significative, le nuove guerre e lenuove conquiste gli consentiranno in seguito di arric-chire il museo su vasta scala e a suo piacimento.

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Capitolo sesto

È la volta del «contributo tedesco» (1806-807)

Nel febbraio del 1806 Denon scrive all’architettoFontaine: «La prego di farmi sapere se mi sarà possibi-le sistemare i quadri in quella parte della Galleria che èstata provvista recentemente di una illuminazione dal-l’alto. È probabile che Sua Maestà desideri vederli, emi è stato comunicato che ha intenzione di aprirla amaggio, in occasione della festa della pace»

Si trattava della pace di Pressburgo, firmata il 15dicembre 1805: le vittorie sulle armate austro-russe diUlma, Wagram e Austerlitz avevano posto fine all’ege-monia austriaca sulla Germania sottomettendo la Ger-mania meridionale e occidentale all’autorità di Napo-leone. La nuova dichiarazione di guerra da parte degliinglesi nel 1803 non aveva sostanzialmente modificatola situazione in Europa, e le spedizioni di opere d’artea Parigi si erano quasi del tutto interrotte già nel 1803,con l’arrivo da Napoli dell’ambitissima Venere Medici edelle ultime opere romane. Anche durante la breve oc-cupazione di Vienna nel novembre 1803, prima dellabattaglia decisiva di Austerlitz, i francesi lasciaronocuriosamente intatte le ricche collezioni imperiali.

Dal momento della sua entrata in carica, l’attivitàdi Denon si era limitata in sostanza a un vaglio siste-matico delle opere già raccolte e al lavoro di organizza-zione e conservazione. Solo nel 1806 le nuove folgo-ranti vittorie di Napoleone gli offrirono la sospirataopportunità di arricchire il Louvre in grande stile. Il

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Regno di Prussia era, fino a quel momento, l’unica po-tenza militare dell Europa centrale non ancora sconfit-ta, benché si fosse schierata contro la Francia fin dal-l’inizio delle ostilità, nel 1796. Con la sua tatticaattendista il re di Prussia si era abilmente tenuto fuoridal conflitto con l’Austria. Tuttavia, Napoleone nonaveva dimenticato il doppiogioco dei prussiani primadi Austerlitz, e c’erano anche altri motivi politici peruno scontro, come ad esempio la questione del ducatodi Hannover, l’istituzione della Lega del Reno e cosívia, motivi che prima o poi dovevano portare a unaguerra aperta.

Se la conquista della Germania settentrionale davainizio a una nuova fase dell’ambiziosa politica di Na-poleone, le collezioni principesche della Germania delNord rappresentavano per Denon un bottino non me-no allettante delle raccolte italiane. In questa occasio-ne, e in tutte quelle che seguirono, Denon dimostrò ilsuo istinto di conoscitore e di collezionista, una insa-ziabile curiosità e sete di sapere, la sua indipendenzadai pregiudizi accademici. Insieme al sovrintendentegenerale Pierre Daru seguí l’avanzata delle truppefrancesi nell’immediata cerchia di Napoleone, cosí dasfruttare al meglio l’effetto psicologico della vittoria.Per quanto riguarda le requisizioni, Napoleone gli ave-va concesso poteri illimitati.

Dopo la doppia vittoria di Jena e Auerstädt (14 ot-tobre 1806), l’imperatore e il suo seguito raggiunseroalla fine di ottobre la capitale prussiana, Berlino, doveregnava una confusione totale. E mentre Napoleonesecondo il «Bulletin Officiel» visitava la tomba di Fe-derico II e pronunciava la celebre quanto banale frase«se tu fossi ancora in vita non sarei qui», Denon inco-minciava a vagliare i tesori delle raccolte regie. Il diret-tore del gabinetto numismatico Henry era riuscito amettere in salvo nelle fortezze di Küstrin e Memel unaparte della collezione, ma il nucleo piú cospicuo della

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ricchissima raccolta di monete, 12363 pezzi in tutto(tra cui le 4000 monete greche e romane acquistate nel1791 dal margravio di Ansbach) finirono nelle mani diDenon. Le collezioni pittoriche, distribuite fra i castel-li di Potsdam, Berlino, Charlottenburg e Sanssouci, ri-salivano nel loro nucleo originario all’eredità degliOrange, che era toccata al principe elettore in quantogenero di Federico Enrico di Orange, e contenevanogià allora importanti quadri olandesi e fiamminghi, trai quali una serie di opere di Rembrandt, dalle piú gio-vanili alle piú tarde. La guida di Berlino e di Potsdampubblicata da Nicolai nel 1786 e piú ancora il catalogodei quadri conservati nei castelli reali, redatto daMatthias Oesterreich e ristampato ancora nel 1773,come pure le incisioni di Schmidt, facilitarono il com-pito di Denon.

Pur sapendo, naturalmente, che Federico il Grandeera stato un appassionato collezionista di Watteau edella sua scuola, e nonostante l’acquisto del Gilles peril Louvre, Denon lasciò intatta, per motivi ignoti, que-sta straordinaria raccolta del ’700 francese. Invece difar cadere la sua scelta sull’Insegna di Gersaint o sul-l’Imbarco a Citera si limitò alla Lettura da Molière, unpiccolo quadro di Jean-François de Troy (Marquess ofCholmondely, Houghton Hall), il cui gemello La di-chiarazione d’amore si trova ancora a Charlottenburg.Entrambi si trovavano nella sala delle udienze di Fede-rico il Grande a Sanssouci, e poiché la Lettura si trovapiú tardi registrata nella collezione privata di Denon,se ne può dedurre che il quadro gli fu regalato allora daNapoleone insieme allo scrittoio da viaggio in «vernisMartin», già donato da Voltaire al re di Prussia.

In totale, i castelli di Berlino, Charlottenburg eSanssouci fruttarono a Denon 123 dipinti, 28 statue,56 busti e rilievi, oltre 500 gemme e 25 lavori in avo-rio. Per cominciare dai pezzi antichi, il piú preziosoera un bronzo, il Giovane orante (Berlino), amatissimo

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da Federico II che lo fece esporre a Sanssouci. Ritrova-to nel Tevere da Clemente XI, era stato donato dal pa-pa al principe Eugenio di Savoia, vincitore dei turchi.L’erede del principe Eugenio lo vendette poi al princi-pe di Liechtenstein, che lo vendette a sua volta al re diPrussia. Già Winckelmann aveva celebrato questa fi-gura greca del quarto secolo a. C., raffigurante un gio-vinetto con le braccia sollevate in preghiera. Un’operaestremamente affascinante di epoca ellenistica era unafigura in marmo di fanciulla inginocchiata nell’atto digiocare ai dadi (Berlino, museo), ritrovata anch’essa aRoma nel 1730 e acquistata dal cardinale Polignac. Fupoi destinato a Parigi anche un cammeo romano distraordinario valore, il Trionfo di Settimio Severo.

Per quanto riguarda i dipinti trafugati, solo una par-te relativamente modesta – un quarto all’incirca – sipossono definire capolavori, e tutti di scuola nordica.Le tre opere attribuite a Raffaello non erano di suamano, e delle otto attribuite al Correggio soltanto unaera un originale, precisamente la Leda della collezioneOrléans. Che la critica stilistica del tempo lasciassemolto a desiderare lo dimostra, solo per fare un esem-pio, il fatto che il Giudizio di Mida della galleria di Ber-lino, oggi attribuito a Leonbruno, era ancora conside-rato opera del Correggio. In ordine di importanzaseguivano la Leda del Correggio, un ritratto di giovanegià noto come ritratto dell’Aretino, un’opera firmatadi Tiziano, una Sacra famiglia di Andrea del Sarto, unVertumno e Pomona attribuito a Leonardo ma opera inrealtà del suo allievo Francesco Melzi, e infine le con-suete opere di Annibale Carracci, Domenichino, Gui-do Reni ecc., conservate nei musei berlinesi (ma di-strutte in parte durante l’ultima guerra).

Tra i dipinti catalogati come Rubens e Van Dyck (piúdi mezza dozzina), due si trovano oggi alla Pinacoteca diBrera, ossia il ritratto di Amalia di Solm, sposa del prin-cipe d’Orange Federico Enrico (Van Dyck) e il Sacrifi-

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cio di Isacco (oggi attribuito a Jacob Jordaens). Il Mira-colo dei serpenti, nato negli anni 1618-19 dalla collabo-razione di Van Dyck nella bottega di Rubens, finí nellafamosa collezione Cook di Richmond. L’Incoronazionedella Vergine e la Resurrezione di Lazzaro della galleria diBerlino (andati perduti nell’ultima guerra) e la Nascita diVenere di Sanssouci sono riconosciute tuttora come ope-re autentiche di Rubens. Col Cristo deriso, le figure deidue Giovanni e La discesa dello Spirito Santo (Berlino,museo; gli ultimi due perduti), Denon entrò in possessodi un importante altare di Van Dyck, appartenente inorigine all’Abbazia di Dunes a Bruges e acquistato daFederico II al considerevole prezzo di 20000 fiorini.

Tra le opere originali di Rembrandt, provenienti inparte dall’eredità degli Orange, Denon optò per unasingolare composizione del 1635, Sansone minaccia ilsuocero, nota nel ’700 come «Un episodio nella vita diun principe von Geldern», ed esposta piú tardi a Pari-gi col titolo Le prisonnier en colère; poi un Sansone eDalila del 1628, che nonostante la firma di Rembrandtpassava allora per opera di Lievens, e infine la Benedi-zione di Giacobbe (Berlino, museo), attribuita piú tardia un altro allievo di Rembrandt, G. Horst.

Accanto a queste opere significative per i gusti del-l’epoca incomincia però a delinearsi anche un altro aspet-to dell’attività collezionistica di Denon, ossia l’interes-se per il primo Rinascimento nordico. Oltre a 16 quadridi Lucas Cranach il Vecchio, tra i quali soprattutto la vi-vace e aneddotica Fontana della giovinezza, il ritratto delcardinale Alberto di Brandeburgo, Venere e Amore, Ilgiudizio di Paride, Davide e Betsabea (tutti al Museo diBerlino), Denon destinò a Parigi anche una Caritas diHans Baldung Grien, il Gerolamo penitente di Lucas vanLeyden, un ritratto di Jan Mostaert (attribuito ad Alt-dorfer) e, probabilmente per i suoi tratti italianeggianti,la grande scena mitologica di Maerten van Heemskerck,Momo biasima le opere degli dèi, firmata e datata 1561.

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Poiché oltre alle gemme anche alcuni quadri eranoemigrati nella fortezza di Küstrin, Denon si spinse finlà subito dopo l’occupazione della Prussia orientale, edi qui passò probabilmente a Danzica. Non si spieghe-rebbe altrimenti come abbia potuto raggiungere Parigila tavola centrale del grande altare di Hans Memlingproveniente dalla locale Marienkirche. Prima di arri-vare a Danzica, l’altare di Memling, che raffigura ilGiudizio Universale, aveva già alle spalle una storia av-venturosa. Commissionata a Bruges intorno al 1470dal rappresentante della famiglia Medici Jacopo Taniper la città di Firenze, l’opera fu catturata durante iltrasporto davanti alle coste fiamminghe dal capitanoanseatico Paul Benneke, che la portò a Danzica, suacittà natale, dove sarebbe rimasta per secoli. SoltantoDenon, con la sua profonda conoscenza dei maestrifiamminghi del Louvre, poteva apprezzare adeguata-mente quest’opera, non ancora attribuita a Memlingma conosciuta sotto il nome generico e mistico di VanEyck.

Ancora piú ricche delle collezioni prussiane erano,per molti aspetti, quelle dei principati autonomi del-l’Assia-Kassel e di Braunschweig, che Denon incomin-ciò a setacciare nel gennaio del 1807. La galleria diDresda, di gran lunga la piú importante della Germa-nia, sfuggí alla sua cupidigia per motivi politici. Subitodopo le vittorie di Jena e Auerstädt il re di Sassonia siera infatti schierato dalla parte di Napoleone, stringen-do un accordo con la Francia. Meno fortunato fu ilprincipe elettore dell’Assia, che pure aveva mantenutoun atteggiamento neutrale fin da prima della guerra.Poco fidandosi, e non a torto, di Napoleone, dopo lanotizia della vittoria si diede alla fuga, col risultato cheall’arrivo dei francesi le Residenze di Kassel e Berlinoerano sguarnite. Il principe elettore aveva appena fattoin tempo a imballare 48 quadri tra i piú preziosi e afarli nascondere in una vicina palazzina di caccia.

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Malauguratamente per Denon il nome di questa lo-calità segreta fu rivelato al generale Lagrange, che gui-dava le forze di occupazione, e questi spedí le cassepiene di quadri all’imperatrice, che attendeva a Ma-gonza gli sviluppi della campagna militare. Ne sentire-mo ancora parlare. Ci accontentiamo per il momentodi elencare i pezzi piú notevoli, oggi ospitati, con po-che eccezioni, all’Ermitage di Leningrado. Di Rem-brandt: la Deposizione dalla Croce del 1634, dipinta,insieme a cinque scene della Passione, per il principeEnrico d’Orange, come pure il Cristo appare alla Mad-dalena (oggi a Buckingham Palace) e due Ritratti virilidel 1634 e del 1661; di Rubens la spedizione compren-deva una Deposizione dalla Croce, proveniente in origi-ne dal convento dei Cappuccini di Lierre; di Terborchla Bevuta del cacciatore; di Gerard Dou la Venditrice diaringhe e l’Eremita al lume di candela (alla Wallace Col-lection di Londra); di Jan van der Heyden un Canale diAmsterdam; di David Teniers il grande Trasloco dellagilda degli arcieri di Anversa; e infine di Paulus Potteruna Fattoria del 1649. Le casse contenevano inoltre al-cuni dipinti di scuola francese e italiana, tra i qualil’Andata a Emmaus e del ciclo Le quattro ore del giorno:Il mattino e Il mezzogiorno di Claude Lorrain, e due Sa-cre famiglie, una di Piero di Cosimo, l’altra di Andreadel Sarto.

Subito dopo il suo arrivo Denon si mise in contattocol celebre pittore e ispettore delle gallerie principe-sche J. H. Tischbein, cercando di mitigare con le pro-prie doti umane la penosità dell’operazione. Il castellodi Kassel possedeva già nel ’700 una propria galleria incui erano raccolti tutti i quadri piú importanti e che incerte ore era perfino aperta al pubblico. Il vero arteficedella pinacoteca fu il landgravio Guglielmo VIII, cheverso la metà del secolo aveva acquistato varie operedalle collezioni olandesi – quadri di Six, Van Wasse-naer, Looten, Lormier, Van Schijlenburg e Van der

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Zwieten – avvalendosi dei consigli e della mediazionedel mercante d’arte olandese Gerard Hoet. Per la stes-sa via era àrrivato a Kassel nel 1749 anche l’intero ga-binetto Valerius van Reuver, che conteneva da solo ot-to importanti opere di Rembrandt.

Dopo avere esaminato i quadri Denon dichiarò a Ti-schbein: «Ce sont tous des perles et des bijoux et ilm’est difficile de choisir». Non era pura adulazione:Denon sapeva che dopo l’arrivo dei quadri appartenutialla galleria degli Orange all’Aia, non si era piú presen-tata un’occasione cosí favorevole per arricchire la se-zione olandese del Louvre. Dei circa trecento quadriscelti da Denon la grande maggioranza apparteneva al’600 olandese e fiammingo. Tra le poche eccezioni,una Leda attribuita allora a Leonardo, e ritenuta oggiuna copia di Joos van Cleve da un originale leonarde-sco, una Mater dolorosa di Ribera, un Baccanale di Ni-colas Poussin e il ritratto in grandezza naturale del co-siddetto Duca di Atri (già Acquaviva) di Tiziano(Kassel, museo).

La parte piú preziosa del bottino erano le sediciopere originali di Rembrandt, rimaste nella collezionedopo il furto compiuto dal Lagrange. La serie com-prendeva tre autoritratti degli anni 1634-55, un ritrat-to del padre e della moglie Saskia, le figure a mezzobusto del maestro di scrittura Coppenol, del poeta JanHermansz Krul e di Nicolas Bruyningh, dipinto nel1652, oltre a cinque ritratti di personaggi sconosciuti;e poi ancora l’incantevole quadretto della Piccola sacrafamiglia dietro la tenda del 1646, un Paesaggio inverna-le dello stesso anno, che ricorda Jan van de Velde, unPaesaggio con rovine piú tardo e di maggiori dimensio-ni, e il grande quadro La benedizione di Giacobbe del1656.

Dei sette quadri di Frans Hals Denon ne scelsequattro, e precisamente i Due fanciulli che cantano, dueritratti virili a mezzo busto e il tardo ritratto di un uo-

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mo appoggiato a una sedia col berretto da notte. Cin-que dei dieci ritratti di Van Dyck furono destinati alLouvre, e tra questi i ritratti dei pittori Jan Wildens eFrans Snyders con la moglie e i ritratti, a mezzo bustoe a figura intera, del sindaco di Bruxelles Van Meer-straeten e dell’ambasciatore Joost te Hertoghe. Sebbe-ne Parigi possedesse già una quantità di opere di Ru-bens, Denon non poté fare a meno di scegliernealmeno quattro, tra cui il Trionfo del vincitore, destina-to in origine alla grande sala della gilda di San Giorgioad Anversa, la romantica e notturna Fuga in Egitto,opera giovanile e la composizione di soggetto sacroAbramo e Melchisedech (Caen, museo).

La celebre Festa dei fagioli di Jan Steen, l’antica ve-duta del castello di Bruxelles di Jan van der Heyden, ipopolarissimi quadri di genere come la Venditrice di pol-lame, la Suonatrice di liuto e l’Elemosina di GabrielMetsu, gli intrattenimenti musicali di Gerard Terborche Caspar Netscher, le scene popolaresche dei fratelliOstade e i paesaggi di Ruysdael, Wouwerman, Van deVelde, Berchem ecc., erano scelte obbligate. Dei nume-rosi dipinti di Jacob Jordaens, il quadro raffigurante lafamiglia del suocero Adam van Noort meritava di esse-re prescelto, e il piú antico tra i quadri olandesi, il Cri-sto appare alla Maddalena di Jacob Cornelisz non potevanon attirare l’attenzione di Denon, desideroso di ap-profondire la conoscenza di un maestro praticamentesconosciuto e non rappresentato al Louvre. Parigi pos-sedeva già opere di Anthonis Mor, pittore di corte altempo di Filippo II, provenienti dal fondo reale e dallacollezione degli Orange. A queste Denon aggiunse orail ritratto firmato di Jan Lecocq e di sua moglie.

Sotto il governo di Girolamo Bonaparte – Kasselera diventata la capitale del Regno di Westfalia – lagalleria di Kassel patí ancora numerose perdite. Primadell’arrivo di Girolamo Bonaparte il generale Lagrangesi appropriò di cinquanta dipinti in qualita di governa-

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tore, e quando, nel 1808, l’edificio che ospitava la gal-leria venne utilizzato per alloggiare la guarnigione, leautorità francesi decisero senz’altro di mettere all’astao di dar via oltre cento quadri della collezione princi-pesca. Il Bevitore allegro di Frans Hals sfuggí a questodestino in extremis e per miracolo. Per sostituire leopere perdute e abbellire la propria residenza, Girola-mo fece trasportare da Braunschweig a Kassel 252 di-pinti che, al momento di fuggire, avrebbe in gran parteportato con sé per poi affidarli allo zio, il cardinale Fe-sch. Qualunque giudizio si voglia darè delle requisizio-ni, l’operato di Denon ebbe comunque il risultato pra-tico di preservare per la posterità la parte piú preziosadi queste collezioni. A differenza da quanto accadevain passato, Denon era solito lasciare una ricevuta delleopere spedite a Parigi, ricevuta che nel 1815 serviràcome base per le restituzioni. Ma fu proprio alla fine, esenza colpa di Denon, che la galleria di Kassel patí leperdite più gravi.

Benché il duca Carlo Guglielmo Ferdinando diBraunschweig comandante in capo dell’esercito prus-siano, fosse caduto nella battaglia di Auerstädt, i fran-cesi non avevano dimenticato il suo odio per la Repub-blica e il manifesto che nel 1794 aveva scatenato leprime ostilità nei Paesi Bassi. Si offriva a questo puntola possibilità di una rappresaglia, e le ricchezze artisti-che del ducato di Braunschweig furono messe al sacco.La corte era fuggita e il sovrintendente Martial Daru,giunto per primo, fece subito occupare i castelli diBraunschweig, Wolfenbüttel e Salzdahlum, facendonesequestrare i beni.

2000 preziosi volumi dell’antica biblioteca di Wol-fenbüttel furono messi da parte per Parigi insieme alcatalogo compilato da Gotthold Ephraim Lessing.Stendhal, che era un nipote di Daru, prese parte al la-voro di cernita, e, curiosamente, la scelta cadde anzi-tutto sui 500 volumi che il cardinale Mazzarino aveva

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venduto al duca Augusto prima del 1660, benché la Bi-bliothèque Nationale di Parigi ne possedesse già varidoppioni.

Il direttore delle collezioni ducali, il consigliere re-gio Emperius, era riuscito a spedire in Danimarca ipezzi piú preziosi del gabinetto di antichità e di quellonumismatico, che di qui raggiunsero poi l’Inghilterra.Tuttavia, due sezioni del gabinetto di antichità, com-prendenti 980 maioliche e 174 smalti, molti dei qualidi Limoges, caddero nelle mani dei francesi, come pureuna parte degli antichi avori. Il gabinetto delle stampedi Braunschweig dovette consegnare 230 disegni di an-tichi maestri, tre quarti dei quali di scuola tedesca.

Per quanto riguarda la pinacoteca, fondata nel Sei-cento dal duca Anton Ulrich, era annoverata tra le piúricche della Germania e particolarmente ben provvista,come Kassel, di grandi maestri olandesi, grazie ancheagli acquisti fatti nel Settecento dal duca Carlo. L’i-spettore artistico Weitsch di Salzdahlum, dove c’era lapinacoteca vera e propria, aveva tentato di mettere insalvo 91 casse di quadri, che però raggiunsero Braun-schweig proprio all’arrivo dei francesi. Denon dedicòsei giorni alla visita del museo, fece catalogare tutti iquadri in francese e registrare le requisizioni nell’in-ventario del museo: cosa che non fu di grande utilitàperché l’assistente di Denon li portò via entrambi, ca-talogo e inventario, al momento di lasciare Braun-schweig.

Nel frattempo Denon era diventato piú esigente,come dimostra il fatto che su un totale di 1400 operepoco piú di un settimo, ossia 271 quadri, furono desti-nati a Parigi. Non pago di quanto gli veniva mostratoegli volle esaminare personalmente i vecchi inventari,in cui scoprí un’importante acquisizione del 1788, l’A-damo ed Eva di Palma il Vecchio, attribuito a Giorgio-ne e già menzionato nel 1512 a Venezia nella casa diFrancesco Zio, e il cosiddetto Autoritratto di Giorgio-

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ne, questa volta autentico. Una Coppia di amanti regi-strata come opera di «Tiziano» fu già messa in dubbioal Louvre e riconosciuta piú tardi come opera di Anni-bale Carracci, mentre un’Ultima Cena di Jacopo Tinto-retto risultò essere un lavoro preparatorio per il grandequadro veneziano di San Paolo.

Il consigliere di corte Emperius rimase cosí colpitodal talento di Denon da dichiarare piú tardi: «Se il fattodi lavorare con lui non mi fosse stato cosí odioso, nonmi sarebbe dispiaciuto approfondire la sua conoscenza».Come a Berlino e a Kassel, anche qui Denon non rinun-ciò ai maestri del primo Rinascimento nordico: il Ritrat-to di Cyriacus Kale di Hans Holbein il Giovane, il pre-coce Autoritratto di Lucas van Leyden attribuito anch’es-so a Holbein e il quadro di soggetto mitologico Ercole eOnfale di Lucas Cranach il Vecchio.

I pezzi di maggior richiamo erano anche qui cinqueopere originali di Rembrandt, in particolare il grandequadro della famiglia Rembrandt della fine degli anni’60: un lavoro della vecchiaia dell’artista che con il suocaratteristico stile a pennellata libera farà parlare i cri-tici parigini di «un tableau fait en esquisse». Il Cristoappare alla Maddalena di Kassel sfuggito a Denon furimpiazzato a Braunschweig da un quadro di soggettoanalogo del 1651, mentre il Paesaggio tempestoso del1638 offrí un degno «pendant» al Paesaggio invernaledi Kassel. Tra le opere di scuola Denon scelse due qua-dri di storia romana, realizzati da Ferdinand Bol comelavori preparatori per i monumentali dipinti del Muni-cipio di Amsterdam: Il trionfo del console Decio Mure eIl re Pirro cerca invano di spaventare l’ambasciatore ro-mano coi suoi elefanti. A questi vanno ancora aggiuntiun Sacrificio di Isacco di Jan Lievens, Tobia risana il pa-dre cieco di G. van Eeckhout, di Barent («Carel») Fa-britius un quadro firmato dal titolo Pietro nella casa delconsole Cornelio, del 1653, tre Gerard Dou e un Bagnodi Diana di Jacob van Loo.

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Una delle opere piú preziose della galleria di Braun-schweig, la cosiddetta Ragazza col bicchiere di vino, oLa visita del cavaliere di Jan Vermeer, sarà apprezzatain tutto il suo valore storico-artistico soltanto piú tar-di, ma fu comunque spedita a Parigi insieme all’Auroradi Adam Elsheimer, il cui influsso sulla pittura europeaera allora pressoché ignorato.

Tra i quadri fiamminghi del ’600 Denon scelse fral’altro la Giuditta con la testa di Oloferne e il Ritrattodel marchese Ambrogio Spinola di Rubens, l’Allegoriadella ricchezza e della povertà, di Cornelis de Vos, leNozze di Tobia, già noto come il Contratto di matrimo-nio, capolavoro di Jan Steen proveniente dalla collezio-ne del famoso scrittore d’arte Houbraken (tutti resti-tuiti). Insieme ai dipinti arrivò in Francia un fondoresiduo di 74 bronzi, 70 sculture in legno e 83 avori, equando tutta la Germania del Nord fu occupata segui-rono altre opere da Oldenburg e da Schwerin (209 di-pinti). Se il Metropolitan Museum di New York pos-siede oggi la Madonna di Andrea Solario, lo deve inpratica al fatto che il quadro fu trafugato allora dallagalleria di Oldenburg.

Nell’esaminare il suo bottino a Parigi, Denon pote-va essere nell’insieme soddisfatto. Dei circa mille di-pinti raccolti da Denon, 368 furono presentati ai pari-gini per volere dell’imperatore in una parte dellaGrande Galleria ormai ultimata: era il 14 ottobre1807, anniversario della battaglia di Jena (una di quelleoccasioni simboliche cui Napoleone era molto attento).Il catalogo dell’esposizione, preparato e stampato ingran fretta, è un documento del gusto e dell’intelligen-za critica di Denon. Portava il titolo: Livret des statues,bustes, basreliefs, peintures, dessins etc. conquis par laGrande Armée dans les années 1806-1807. Comprende-va in totale 710 numeri, inclusi 33 disegni, sculture inmarmo e in bronzo, lavori in avorio, vasi e smalti. Inuno dei quadri di Hubert Robert dedicati al Louvre

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vediamo il bronzo berlinese del giovinetto orante alcentro della lunga sala e in primo piano, tra i quadriitaliani appesi alle pareti. Il quadro preferito da Napo-leone era, c’era da aspettarselo, il Trionfo del vincitoredi Rubens, proveniente da Kassel, che fu poi appesonello studio dell’imperatore al castello di Saint-Cloud,proprio davanti allo scrittoio.

Denon tentò inoltre, ma inutilmente, di portare alLouvre i quadri migliori tra quelli che Lagrange avevainviato da Kassel all’imperatrice. Giuseppina li avevaormai accolti nella sua galleria privata al castello diMalmaison ed era fiera di poter mostrare agli ospiti isuoi Claude Lorrain e i suoi Rembrandt. Quattro ve-dute di Varsavia del veneziano Bellotto, trafugate ap-punto a Varsavia ed esposte alla mostra del Louvre,davano ai parigini un’eloquente testimonianza visivadell’ampiezza delle vittorie napoleoniche.

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Capitolo settimo

Per arrotondare: le requisizioni in Spagna(1808-14) e la conquista di Vienna (1809)

Il trattato di pace firmato a Tilsit il 7 luglio del1807 tra Napoleone e l’imperatore di Russia diede allaFrancia solo un breve attimo di respiro, e le speranzeche la propaganda ufficiale cercava di alimentare con laben nota fanfara erano accolte con scetticismo dal pub-blico politicamente piú avveduto. Mentre Parigi, indi-scussa capitale del continente, si rinnovava e si abbelli-va, mentre lo splendore e la pompa della Cortesembravano promettere una nuova Età Augustea, Na-poleone incominciò a preparare in segreto nuovi piani.

L’occupazione della penisola iberica era un passoobbligato per realizzare in pieno il blocco continentaleproclamato a Berlino e chiudere definitivamente l’Eu-ropa al commercio britannico. A tale scopo Napoleonestrinse col governo spagnolo un’alleanza ai danni delPortogallo, alleanza che gli serví solo da pretesto perpoter intervenire sul territorio spagnolo. Seguirono inoti intrighi che portarono alla caduta dei Borboni, al-l’invasione delle truppe francesi guidate dai generaliJunot e Murat e alla rivolta del popolo spagnolo. Giu-seppe Bonaparte fu chiamato da Napoli per sedere sultrono di Spagna e tentò di adottare una linea politicamoderata. Ma la guerra continuava, e dopo ripetutesconfitte – tra cui in particolare quella di Junot controil generale inglese sir Arthur Wellesley a Vimeiro il 21agosto 1808, che ebbe come conseguenza la perdita delPortogallo – Napoleone decise di assumere personal-

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mente la guida delle operazioni. Con un’armata multi-nazionale di 200000 uomini, tra i quali si trovavanounità tedesche, polacche e italiane, travolse ogni resi-stenza e ai primi di dicembre raggiunse Madrid, checapitolò subito dopo. Vivant Denon, che come ormaid’abitudine si trovava al seguito dell’imperatore, eraben consapevole delle possibilità quasi illimitate che lericchezze artistiche della Spagna rappresentavano peril Louvre e i musei francesi. Le collezioni reali ospita-vano, dai tempi di Filippo II e Filippo IV, tesori di pit-tura antica, tra i quali la lunga serie delle ultime operedi Tiziano e di Rubens e i capolavori mantovani acqui-siti con la messa all’asta della collezione del re Carlo Id’Inghilterra; inoltre, le chiese e i conventi spagnolierano i piú ricchi d’Europa e si erano riempiti nei seco-li di opere d’arte. Guide artistiche come quelle sette-centesche di Palomino e Ponz ne davano un adeguatoresoconto. D’altra parte l’antica nobiltà spagnola, lega-ta al regno di Napoli, aveva sempre dimostrato interes-se per l’arte italiana, e i palazzi dell’aristocrazia borbo-nica fuggita verso sud rappresentavano un bottinomagnifico per i mercanti francesi. Negli anni 1808-10il già citato Lebrun riuscí a portare in Francia 163 qua-dri, non pochi dei quali appartenevano certamente aibeni confiscati dalle autorità francesi.

In un certo senso l’interesse dell’Europa per la pit-tura spagnola era già iniziato nel 1801, quando il fra-tello di Napoleone Luciano Bonaparte era giunto aMadrid in veste di ambasciatore. Del suo staff facevaparte infatti anche il pittore Letiers, il cui compito eradi acquistare dipinti di antichi maestri spagnoli. Yriar-te se ne lamentò in una lettera al ministro, menzionan-do il fatto che tra i 70 quadri comprati per conto diLuciano Bonaparte si trovavano fra l’altro il Ricevi-mento di Aranjuez di Bartolomeo Esteban Murillo (Pra-do), il Riposo durante la fuga in Egitto dello stesso Mu-rillo, una Deposizione dalla Croce di Pedro Campagna

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dal Convento Domenicano di Siviglia (Montpellier) ela Dama col ventaglio di Velázquez (Londra, WallaceCollection) .

Ben sapendo che i grandi maestri del Seicento spa-gnolo erano, con l’eccezione di Ribera, poco o nullarappresentati al Louvre, Denon cercò soprattutto diavere nelle sue mani le opere migliori di Zurbarán,Velázquez, Murillo, lasciando da parte quelle di Tizia-no e di Rubens che possedeva già in gran numero. DiRibera, che per il suo lungo soggiorno a Napoli era an-noverato fra gli italiani, erano giunte a Parigi numero-se opere col bottino di Parma, di Napoli e perfino diKassel: non solo al Louvre, ma anche nei musei diAmiens, Grenoble, Montpellier, Nancy, Rouen, Ribe-ra è ancor oggi un pittore ben rappresentato. Per il re-sto, il nome di Murillo era l’unico che avesse avuto nel’700 qualche risonanza fuori di Spagna, tant’è veroche il Louvre possedeva cinque suoi quadri già appar-tenuti alla collezione di Luigi XVI.

Appena Giuseppe vide il suo trono consolidato, or-dinò il trasferimento dei quadri reali dai diversi castel-li a Madrid. Come già a Napoli, anche qui Giuseppecercò di difendere le ricchezze che gli erano toccate insorte, e le sue pretese causarono a Denon le prime dif-ficoltà. Giuseppe proibí espressamente di portar via unsolo quadro dai palazzi e dall’Accademia Reale di Ma-drid. Ci volle in effetti il permesso di Napoleone per-ché Denon potesse farsi assegnare un certo numero diquadri dalla collezione reale. In ogni caso, come la po-tenza militare francese conobbe in Spagna i primi osta-coli e poi la sua sconfitta definitiva, anche la politica diDenon incontrò qui le prime delusioni. Se ne attribuíla colpa alla brevità del suo soggiorno a Madrid, ma èvero che in Germania, e in un periodo altrettanto bre-ve, Denon aveva fatto miracoli. Quanto gli sia costatopiegarsi all’autorità di Giuseppe Bonaparte si può ve-dere da una lettera scritta all’imperatore da Valladolid

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il 18 gennaio 1809: «Se sul trono di Madrid non ci fos-se il fratello di Sua Maestà, lo avrei pregato su Vostroordine di aggiungere venti quadri di scuola spagnolaper il museo [il Louvre], dove mancano del tutto».Tutto quello che Denon riuscí a ottenere fu una sceltadi cinquanta quadri provenienti dalle collezioni reali eda quelle dell aristocrazia in fuga, numero fissato pri-ma della sua partenza. Ma la scelta non era definitiva.Una commissione apposita creata da Giuseppe Bona-parte, e di cui era membro anche Francisco Goya, mo-dificò piú volte l’elenco negli anni successivi con prete-sti piú o meno validi (ne riferí a Parigi l’ambasciatorefrancese La Forest), finché dei tre Velázquez previstiin origine ne rimase uno solo, un’opera giovanile disoggetto religioso, La veste insanguinata di Giuseppe vie-ne mostrata a Giacobbe. Oltre a questi cinquanta qua-dri, provenienti in gran parte dalla collezione reale, nefurono confiscati.per conto di Denon altri 250 da rac-colte private e da edifici ecclesiastici, che giunseroperò a Parigi solo quattro anni dopo la sua missionespagnola, e proprio in coincidenza con la fine dell’ege-monia napoleonica sulla Spagna.

Che l’insuccesso della missione di Denon sia damettere in relazione con la brevità del suo soggiorno(appena due mesi) è comunque probabile: ne sono unacontroprova le vicende di alcuni generali francesi ap-passionati di opere d’arte e rimasti in Spagna vari an-ni. L’anarchia politica della Spagna offriva in effettiun terreno ideale per operazioni di questo tipo, e lostesso maresciallo Soult, che già a Torino aveva datoprova dei suoi gusti raffinati trafugando la Visitazionedi Rembrandt (Soult era già proprietario del Tributo diTiziano, oggi alla National Gallery di Londra), mise as-sieme in quegli anni una raccolta di quadri spagnoli de-stinata a rimanere esemplare per tutto l’800.

Oltre a Soult, anche i generali Sebastiani e Arma-gnac erano appassionati collezionisti di arte spagnola.

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Nel poderoso palazzo dell’Escorial fatto costruire daFilippo II, che ospitava allora la parte di gran lunga piúcospicua della quadreria reale poi trasferita al Prado,Sebastiani si impadroní della Morte della Vergine diMurillo, della Liberazione di Genova di Antonio Pereda(Madrid, Prado), della Madonna col san Giovannino diRaffaello e di una Madonna di Leonardo (?) citata daBuchanan come «pendant» della prima. Ma la piú im-portante tra le opere trafugate da Sebastiani era la Ma-donna con paesaggio, una delle opere piú notevoli dellavecchiaia di Tiziano, che sarà poi acquisita nel 1815dalla Pinacoteca di Monaco. Dalla chiesa del Monaste-ro dell’Escorial il maresciallo Soult fece prelevare l’af-fresco con Abramo e i tre angeli (Dublino, NationalGallery), dipinto da Juan Fernandez de Navarete(1526-79) insieme ad altre sette scene bibliche.

Il generale Armagnac mostrò invece un’insolita pre-dilezione per gli antichi maestri olandesi: nel conventodi Miraflores vicino a Burgos riuscí a mettere le manisulla pala della Vergine di Rogier van der Weyden, og-gi al Museo di Berlino, poco prima che il convento ve-nisse distrutto da un incendio. E in un’altra località anoi ignota si impadroní della pala di Jacques Floreinsdi Hans Memling, giunta in Spagna probabilmente giàagli inizi del ’500 con la vedova del donatore. Il qua-dro fu comunque venduto nel 1855 dal lascito di Ar-magnac e donato al Louvre.

La conquista dell’Andalusia nell’anno 1810 offrí almaresciallo Soult la rara opportunità di espropriare asuo vantaggio opere di cui Denon avrebbe voluto im-padronirsi. Oltre a essere comandante in capo delletruppe francesi in Andalusia fu infatti governatore del-la provincia fino al 1813, e con poteri illimitati. La ca-pitale Siviglia aveva visto nascere la piú importantescuola pittorica del ’600 spagnolo, ed era ricca di opereche ne documentavano i momenti piú alti: Herera, Ri-balta, Zurbarán, Murillo e infine Velázquez. Zur-

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barán, praticamente sconosciuto, fu riscoperto proprioda Soult, un «dilettante», che ebbe il merito indiscuti-bile di comprendere il ruolo decisivo e pionieristicodell’artista andaluso nella pittura spagnola dell’epoca.

Uno dei maggiori cicli della pittura spagnola, para-gonabile a quelli veneziani di Jacopo Tintoretto, si tro-vava a Siviglia e raffigurava la vita di san Bonaventurain otto grandi quadri dipinti intorno al 1629 da Franci-sco de Zurbarán per la chiesa del seminario francesca-no. Soult si impadroní di cinque episodi della serie, an-dati poi dispersi in vari musei: quelli di Berlino(distrutto), di Dresda, di Genova e del Louvre (dueepisodi, tra cui la Sepoltura di san Bonaventura). Un al-tro capolavoro giovanile di Zurbarán, l’Apoteosi di sanTommaso d’Aquino, dipinto nel 1631 per l’altar mag-giore della Chiesa del Colegio Mayor de Santo Tomás,fu esposto a Parigi nel 1813 per essere poi restituito etrasferito al Museo di Siviglia. Nel 1810 Soult fece riu-nire all’Alcazar di Siviglia numerosi quadri provenientida chiese e monasteri, quadri che furono visti e de-scritti in quell’occasione da osservatori contemporaneiinteressati alle cose d’arte, come Céan. La scelta com-prendeva in primo luogo numerosi santi a figura inte-ra, caratteristici di Zurbarán, e i pezzi migliori finiro-no nelle mani di Soult e di altri generali. Il solo Soultne possedeva circa una dozzina, tra i quali un San Pie-tro, un San Tommaso, un San Francesco e un San Cirillodi Costantinopoli provenienti dal Collegio Carmelitanodi Sant’Alberto (ai musei di Boston e Saint-Louis);quattro sante martiri dal Convento di Sant’Orsola, tracui appunto la Sant’Orsola oggi al Palazzo Bianco diGenova, e le Sante Elisabetta e Rufina, rispettivamenteal Museo di Montreal e alla Hispanic Society di NewYork e Santa Eufemia (Madrid, Collezione privata). IlSan Lorenzo del 1636 proveniva dal Convento delleMercedarie Scalze ed emigrò dalla collezione Soult al-l’Ermitage di Leningrado, la Santa Apollonia finí inve-

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ce al Louvre e i Santi Gabriele e Agata, provenienti dalCollegio Carmelitano di Sant’Alberto al Museo diMontpellier.

Ma l’obiettivo principale di Soult in Andalusia era-no le opere, sempre molto ammirate, di BartolomeoEsteban Murillo, e qui il suo successo fu smagliante:Soult riuscí infatti ad assicurarsi opere di prim’ordineper ogni periodo della vita del maestro. Dal ciclo di un-dici dipinti con cui il giovane Murillo decorò negli anni1645-46 la crociera del convento francescano di Sivi-glia e raffiguranti la vita di alcuni santi francescani,Soult ne volle tre per sé, tra cui la nota Cucina dell’an-gelo o Il miracolo di san Diego de Alcalá (Louvre), e l’E-stasi di san Diego davanti alla Croce (Tolosa, museo).Nel Convento dei Mercedari Scalzi, Colzada prese laFuga in Egitto in grandezza naturale, capolavoro giova-nile di Murillo realizzato in piú versioni (oggi rispetti-vamente a Budapest, Detroit, Genova, Leningrado).Per l’Hospital de la Caridad, della cui confraternita eramembro, Murillo creò tra il 1665 e la sua morte un ci-clo di otto dipinti con scene della Passione. Anche daquesto ciclo Soult sottrasse quattro opere: Cristo guari-sce il paralitico (Londra, National Gallery), L’angelo li-bera Pietro dal carcere (Leningrado, Ermitage), Abramoriceve i tre angeli (Saint Louis, Art Museum) e Giacob-be e Labano (alla Stafford House). Dalla Chiesa del-l’Hospital de Venerables Sacerdotes di Siviglia arrivòl’Immacolata Concezione, già nota come «ConcezioneSoult» (Madrid, Prado), versione tarda (1679) di unmotivo piú volte ripreso da Murillo, e dal Palazzo Ar-civescovile di Siviglia una simile Madonna in gloria. Leragioni di quest’ultima scelta da parte di un conoscito-re come Soult non sono chiare: prima ancora dell’inva-sione francese la parte superiore della figura era stataritagliata e venduta in Inghilterra, mentre al suo postoera stata inserita una copia. Solo nel 1862, quando l’e-rede di Soult, la marchesa de Morny, vendette il qua-

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dro a Lord Overstolz, già proprietario della parte man-cante, l’opera fu restituita alla sua integrità originaria,cosí come possiamo vederla oggi al Walker Art Centerdi Minneapolis.

Possiamo anticipare che nel 1813, quando la finedell’egemonia napoleonica era nell’aria, Soult ritenneopportuno fare dono al Louvre di alcuni dei suoi qua-dri, di cui era probabile che sarebbe stata richiesta larestituzione. In questo modo il museo riuscí ancora avenire in possesso di alcuni tra i capolavori piú ambitida Denon, come quelli provenienti dal ciclo di san Bo-naventura di Zurbarán, due Murillo della Chiesa diSanta Maria la Blanca di Siviglia, il cui soggetto si rife-risce alla fondazione di Santa Maria Maggiore, e lafantasiosa Allegoria della caducità dipinta da Peredaper l’Hospital de la Caridad. Nel 1826 Soult entrò incontatto col mercante d’arte inglese William Buchanan– alle cui Memorie dobbiamo alcune informazioni pre-ziose – il quale vendette fra l’altro numerose opere diZurbarán e Murillo al duca di Sutherland. Alla mortedi Soult, che curiosamente aveva continuato a guidarela politica francese fino all’ultimo, la sua collezione eraperò ancora cosí ricca che il re Luigi Filippo la utilizzòper dar vita alla celebre «Galleria spagnola» del Lou-vre. La Galleria, aperta al pubblico nel 1838, contribuíin modo decisivo al crescente interesse per la pitturaspagnola nella seconda metà dell’800.

L’esempio del maresciallo Soult fu imitato da altriufficiali francesi di stanza in Spagna; cosí il sovrinten-dente generale dell’armata, barone Mathieu de Fa-vriers, requisí di sua mano altri quattro quadri del ciclodi Murillo dal convento francescano di Siviglia. Diquesti, i due grandi quadri La morte di santa Chiara eSant’Egidio davanti a papa Gregorio IX si trovano oggirispettivamente nei musei di Dresda e di Raleigh, inNorth Carolina, e mostrano, soprattutto il secondo,l’evidente influsso di Zurbarán. Dalla Chiesa di Santa

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Maria la Blanca Soult e Favriers prelevarono i quattroquadri di soggetto eucaristico dipinti da Murillo nel1655 per Don Justino de Neve, ossia La Fede e l’Imma-colata concezione, oggi rispettivamente nella collezionedi Lord Farington e al Louvre, Il sogno del senatore ro-mano e la comparsa dello stesso davanti al papa per lafondazione di Santa Maria Maggiore (oggi al Prado;esposti a Parigi nel 1814 e poi restituiti).

Per quanto riguarda re Giuseppe di Spagna, permolti aspetti il piú onesto e liberale tra i fratelli di Na-poleone, non è possibile stabilire in che momento ab-bia deciso di appropriarsi delle opere d’arte della coro-na borbonica, stante il fatto che, fin quando fu sultrono, egli si considerò legittimo proprietario dei beniborbonici. È chiaro che fin dall’agosto 1812, quando,dopo la vittoria di Wellington a Salamanca, fu cacciatoper la prima volta da Madrid, dovette riconoscere l’in-sostenibilità della propria posizione e prendere adegua-te contromisure. Già nel 1809 aveva progettato per de-creto la fondazione di un museo che, anni piú tardi,dopo la Restaurazione, sarebbe diventato il Prado. Maper un simile progetto non c’era piú tempo GiuseppeBonaparte poté solo mettere in salvo e portare in Fran-cia un certo numero di opere del patrimonio reale, pri-ma di doversi ritirare definitivamente da Madrid e dal-la Spagna ormai perduta, nella primavera dell’annosuccessivo. Il bottino comprendeva fra l’altro una Ve-nere di Tiziano e un’opera della vecchiaia, Tarquinio eLucrezia (Cambridge, Fitzwilliam Museum), oltre acinque dipinti attribuiti a Raffaello; per quanto riguar-da la pittura spagnola, la Madonna col Pappagallo diMurillo (Madrid, Prado), la Riconquista di Bahia diJuan Bautista del Maino (Madrid, Prado), una Cacciaal cinghiale nel parco del Buen Retiro, dipinta da Franci-sco del Mazo per l’omonima palazzina di caccia e altriquadri di Velázquez di soggetto analogo (Londra, Wal-lace Collection), un Ritratto di Filippo II di Spagna di

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Coello e l’Ultima Cena dell’allora apprezzatissimo Juande Juanez (Madrid, Prado). Tra i quadri attribuiti aRaffaello sono considerati tuttora di sua mano la Ma-donna del pesce (Madrid, Prado) e la Salita al Calvarioconosciuta anche come Spasimo di Sicilia, mentre lagrande Sacra famiglia sotto la quercia e la Madonna conla Perla (entrambi a Madrid, Prado) vengono oggi attri-buiti agli allievi e collaboratori di Raffaello Perino delVaga e Giulio Romano.

La maggior parte dei quadri, dei disegni e delle inci-sioni sottratti in fretta e furia ai castelli reali primadella partenza, accompagnarono Giuseppe Bonapartenel suo viaggio di ritorno. Un paio di quadri erano nel-le mani di generali fidati, ossia il ritratto giovanile diFilippo IV di Velázquez, consegnato al generale Desel-le (Londra, National Gallery), e lo Sposalizio della Ver-gine di Murillo (Londra, Wallace Collection), affidatoal generale Victor, duca di Belluno. Ma con l’ultimasconfitta, riportata presso la cittadina di Vittoria vici-no ai Pirenei il 21 giugno 1813, anche il grosso del ca-rico cadde in mano inglese. Giuseppe aveva dovuto ab-bandonare il suo bagaglio di viaggio per mettersi insalvo con la cavalleria: gli inglesi vi trovarono, oltre acinque milioni di reali sottratti alle casse dello Stato,quasi duecentocinquanta dipinti arrotolati e bauli pienidi disegni e incisioni. Quando il duca di Wellington,comandante in capo delle truppe inglesi, venne a sape-re del ritrovamento, fece spedire subito il bagaglio inInghilterra, dove il fratello Henry lo prese sotto la suavigilanza. All’inizio del 1814 egli poté rendere pubbli-co un elenco dei 165 quadri piú preziosi, già espostinel frattempo da un esperto, il futuro direttore dellaNational Gallery, William Seguier. Tra gli altri cono-scitori che ebbero occasione di vedere i quadri, il giàcitato presidente della Royal Academy Benjamin Westammirò soprattutto un Cristo sul Monte degli Ulivi delCorreggio, del quale conosceva un’altra versione nella

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collezione del noto banchiere Angerstein. Che i quadriprovenissero dalla raccolta dei reali di Spagna era or-mai cosa nota, poiché la serie conteneva quattro opereabbastanza conosciute di Velázquez: i ritratti del papaInnocenzo X e del poeta Francisco Quevedo, oltre alledue opere giovanili già citate dal Palomino nel Palazzodel Buen Retiro, ossia il Portatore d’acqua di Siviglia eil «bodegone» dei due fanciulli bevitori. Vi erano poiun paesaggio tiberino presso il Ponte Molle a Roma diClaude Lorrain, Isacco benedice Giacobbe di Murillo(Dallas, Virginia Meadows Museum), due quadri gio-vanili di Ribera col curioso Sabba, ispirato a un’incisio-ne di Musi ripresa a sua volta da Raffaello, un GiulioRomano, due ritratti di Rubens tra cui l’arciduchessaClara Eugenia vestita da monaca, oltre a numerosi altrifiamminghi e olandesi del Seicento in variopinta me-scolanza.

Lo stesso duca di Wellington non aveva evidente-mente una chiara idea del valore di quelle opere, tant’èvero che nel marzo 1814 scrive al fratello, nominatonel frattempo ambasciatore a Madrid: «Da un rapidosguardo mi è sembrato che non ci fosse nulla di ecce-zionale. Non ci sono in ogni caso i dipinti migliori diRaffaello e altri che avevo visto a Madrid, e preferiscole incisioni e i disegni di scuola italiana. Questo mi fapensare che l’intera collezione sia stata trafugata inItalia e non in Spagna».

Accanto alle opere «piú preziose» degli antichi mae-stri, nell’elenco di Seguier si trovano citate oltre unacinquantina di opere di pittori «moderni», sistematenella residenza di campagna del duca, Stratfield-SayeHouse. Solo in tempi recenti è stata riscoperta tra que-ste ultime un’importante opera di Goya, raffigurantela marchesa di Santa Cruz, figlia del protettore diGoya duca di Ossuna, in veste di Musa che suona la li-ra, seduta su un divano. Benché lo stesso duca di Wel-lington fosse stato ritratto due volte da Goya, nel ri-

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tratto a mezzo busto della National Gallery e un’altravolta a cavallo, quest’ultimo ritratto rimase nascostonella sua residenza di campagna fino al 1958, quandofu acquistato dal Los Angeles County Museum.

Una volta appurata l’origine dei quadri, il duca diWellington si rivolse ripetutamente al governo spagno-lo per avviare le pratiche di restituzione. Nel novem-bre del 1816 si vide però rispondere che Wellington neera venuto in possesso in modo «retto e onesto», e cheil re Ferdinando VII gliene faceva dono come ricom-pensa per il ruolo svolto nella liberazione della Spagna.I quadri si trovano tuttora alla Apsley House, residen-za londinese del duca.

Gli ultimi avvenimenti descritti seguono di alcunianni il periodo piú felice delle conquiste napoleoniche.Torniamo dunque in Spagna, e vedremo che il brevesoggiorno di Vivant Denon e i suoi non eccellenti risul-tati si spiegano con la situazione politica di quei mesi.Nell’inverno 1808-809, mentre Napoleone ristabilivacon un grande sforzo militare l’egemonia francese inSpagna, giunse la notizia che gli austriaci si preparava-no con un massiccio arruolamento di truppe a una nuo-va offensiva militare. Come il conte di Metternich,ambasciatore a Parigi, aveva lasciato capire abbastanzachiaramente, la corte austriaca non aveva mai ricono-sciuto la legittimità del trono di Giuseppe Bonaparte,e questo fatto, insieme a un vecchio desiderio di rivin-cita e al blocco continentale, forní un buon pretestoper riaprire le ostilità con Napoleone, che gli austriacicredevano impegnato sul fronte spagnolo.

Con una di quelle decisioni fulminee a lui peculiari,al sopraggiungere di queste notizie allarmanti Napoleo-ne affidò il comando nelle mani del maresciallo Soult esi diresse in tutta fretta verso Parigi, dove giunse il 22gennaio. Il 6 aprile l’Austria dichiarò guerra alla Fran-cia e l’arciduca Carlo invase la Baviera, alleata dei fran-cesi. Dopo le vittorie di Landshut e di Eckmühl e la con-

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quista di Ratisbona gli austriaci si ritirarono in Boemia,e il grosso delle truppe francesi poté marciare senzagravi ostacoli su Vienna, che capitolò il 10 maggio.

Il giorno successivo un ufficiale francese occupava ilcastello del Belvedere, dove fin dal 1785 era stata si-stemata la pinacoteca imperiale, che fu subito messasotto sequestro. Il 7 giugno arrivò Denon accompagna-to dal sovrintendente Daru, e si presentò al direttoredel museo, il pittore Füger, esibendogli le proprie cre-denziali. Il giorno dopo, mentre Füger era a pranzo dalgovernatore generale (nonché esperto d’arte) Andréos-sy, Denon incominciò il suo lavoro d’ispezione, basan-dosi sui ricchi cataloghi di Mechel e Rosa, predecessoridi Füger.

Il direttore del Belvedere era però riuscito, ai primidi aprile, a mettere in salvo 45 casse con 624 quadriimbarcandole su un battello danubiano diretto a Pres-sburgo: le casse contenevano tutti i famosi capolavoridella collezione asburgica, compresi i quadri di sogget-to religioso acquistati nei Paesi Bassi durante il regnodi Giuseppe II. La parte rimanente era comunque ab-bastanza ricca da riempire un intero museo. Per motiviignoti Füger non aveva messo al sicuro tutti i grandiquadri di Pieter Brueghel il Vecchio, e Denon si af-frettò a requisire per Parigi le quattro tele rimaste aVienna, ossia l’Estate (New York, Metropolitan Mu-seum) e l’Autunno (Vienna) dal ciclo delle Stagioni, ilLadro di uccelli e le Nozze contadine (entrambi a Vien-na). Né si lasciò sfuggire il Ritratto dell’orefice Jan deLeeuwe (Vienna) di Jan van Eyck, attenendosi ancorauna volta al principio per cui un direttore di museo de-ve tener conto di tutte le epoche della storia dell’arte,non solo di quelle alla moda.

Tra le altre opere del primo Rinascimento olandesescelse poi il San Girolamo a mezza figura di QuentinMassys, due Tentazioni di sant’Antonio di HieronymusBosch, San Luca che dipinge la Madonna di Jan Gos-

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saert del 1537 e la grande Vocazione di san Matteo diJan van Hemessen, come pure il ritratto di Margheritadi Parma, governatrice dei Paesi Bassi, di AnthonisMor e quello di re Carlo IX di Francia di FrançoisClouet. Poiché le celebri opere di Dürer appartenentialla collezione dell’imperatore Rodolfo II non eranopiú a Vienna, Denon dovette accontentarsi di un dise-gno del maestro per la Cappella Fugger di Augsburg(Sansone rimuove le porte di Gaza) e di alcuni quadridella sua cerchia o coevi: un ritratto di giovinetto diHans Baldung Grien del 1515, l’Erezione della Croce diBarthel Beham, una Natività di Hans von Kulmbach el’incantevole Notte Santa di Altdorfer (tutti a Vienna).Evidentemente piú per interesse personale che per ilmuseo fece aggiungere infine un paio di quadri piú an-tichi, ossia due Padri della Chiesa da un ciclo realizzatointorno al 1370 da Teodorico di Praga e provenientedal castello di Carlstein e una tavola della Crocifissioneattribuita a Nicolas Wurmser. Il classicista Füger, evi-dentemente non molto interessato a questi quadri, siscusò per la povertà del bottino.

La migliore tra le opere di Tiziano rimaste a Viennaera la cosiddetta Violante, che era però registrata nelcatalogo Mechel come opera di Palma il Vecchio, e cheprobabilmente per questo motivo fu lasciata da parte.Due altre opere di Tiziano erano state scartate inquanto repliche: l’una, probabilmente di mano delmaestro, riprende la versione Bridgewater della Dianae Atteone dipinta per Filippo II (alla collezione PaulGetty di Sutton Place, Essex), l’altra è invece una Ma-donna coi santi Gerolamo, Stefano e Maurizio, eseguitacon aiuti di bottega, di cui esisteva già una versione alLouvre. I due quadri furono però ugualmente selezio-nati da Denon insieme a un ritratto di cortigiana diPalma il Vecchio (Marsiglia). Facevano parte della se-rie anche il Fanciullo con la freccia, attribuito a Gior-gione, due scene allegorico-mitologiche di Andrea

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Schiavone (Amore e Psiche e Allegoria della musica, en-trambe a Vienna), e due di Paris Bordone, Marte disar-ma Amore e Marte, Venere e Amore nelle sembianze diuna coppia di amanti (Vienna), oltre ad altri seicentistie settecentisti come il ritratto di Salviati di Francescodi Santacroce e una Madonna di fra Bartolomeo (en-trambi a Vienna). A differenza di queste ultime opere,la maggior parte dei quadri viennesi non fecero piú ri-torno e fanno tuttora bella mostra nei musei della pro-vincia francese. Cosí ad esempio Digione, Caen e Gre-noble possiedono tre opere di Andrea del Sarto; Lione,Bordeaux e Bruxelles quattro Tintoretto e Veronese;Tolosa la Madonna di Loreto di Agostino Carracci, ol-tre a opere del Parmigianino, di Bernardino Luini ecc.Il Museo di Grenoble custodisce, accanto a una Ma-donna di Solario, una delle perle allora misconosciutedel bottino viennese, ossia l’Ebbrezza di Noè, operatarda di Giovanni Bellini, che fino all’attribuzione diRoberto Longhi portava il nome di Lorenzo Lotto.

Tra le moltissime opere di Rubens conservate nellacollezione imperiale, l’Assunzione della Vergine prove-niente dalla Chiesa dei Gesuiti di Anversa era rimastaa Vienna a causa delle sue dimensioni colossali. Denondecise senz’altro di tagliarla in tre parti e di trasportar-la a Parigi, insieme alla tavola dei Santi Pipino e Bega,a mezza figura. La lista delle requisizioni non cita nem-meno una delle numerosissime opere di Van Dyck pre-senti nella galleria: Füger si era preoccupato di sottrar-le alle mani dei francesi, come anche le rare sculture dimarmo e di bronzo e gli innumerevoli oggetti d’artepreziosi appartenenti al tesoro di famiglia degli Asbur-go. Per quanto riguarda le armi e le armature di gala,Napoleone era particolarmente interessato a quella diFrancesco I, che nella battaglia di Pavia era stata ruba-ta dai lanzichenecchi imperiali. L’antico sarcofago del-le Amazzoni della raccolta viennese fu usato al Louvrecome supporto per il Galata morente del Campidoglio.

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Il fatto che Denon abbia assegnato ai musei di pro-vincia la maggior parte delle opere requisite a Vienna,dimostra che egli non sopravvalutava il suo bottino.Persino i grandi quadri di Pieter Bruegel il Vecchio,oggi cosí amati, testimoniano certo il gusto personaledi Denon, ma erano allora ben lontani dall’incontrareil favore generale del pubblico: non ci risulta che sianomai stati esposti al Louvre, e anche le altre opere vien-nesi non ebbero al Louvre vita facile. Quando giunseroa Parigi, la Grande Galleria era stata chiusa da un an-no per grandi lavori di ristrutturazione, e fu riapertasolo il 2 aprile 1810, in occasione dei festeggiamentiper le nozze dell’imperatore con la principessa MariaLuisa d’Austria. Ma non era certo quello il momentopiú adatto per esporre i dipinti della Casa d’Austria,dato che proprio il Louvre, la Grande Galleria e il Sa-lon d’Apollon fecero da cornice alla cerimonia nuziale.Lo sfarzo di quell’avvenimento superò se possibile an-che quello della vecchia corte di Versailles. Fu il puntoculminante della carriera di Napoleone, il cui astro do-veva andare incontro, negli anni successivi, a un sem-pre piú rapido declino.

Il disegnatore Benjamin Zix, alle cui doti di minu-zioso cronista Denon amava ricorrere in queste occa-sioni, raffigurò in un foglio lungo un metro la proces-sione solenne della corte e degli alti dignitari mentresfilano per la Grande Galleria tra due ali di ospiti illu-stri, sotto gli sguardi, per cosí dire, dei grandi maestriantichi. La passione di Napoleone per i gesti simboliciera altrettanto spiccata quanto la sua incompetenzanelle cose d’arte. Racconta un aneddoto che durante ipreparativi per i festeggiamenti Denon cercò di spiega-re all’imperatore com’era difficile spostare una tela digrande formato come le Nozze di Cana di Paolo Vero-nese per fare posto a una seconda tribuna. Napoleonegli avrebbe risposto: «Alors brûlez-les». Anche se labattuta, riferita dal prefetto di palazzo de Bausset, non

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va presa del tutto sul serio, può dare un’idea della scar-sa considerazione in cui erano tenuti a quell’epoca ca-polavori oggi inestimabili. Quasi vent’anni di ruberie,confische, svendite all’asta, avevano determinato uneccesso di offerta con effetti negativi sulle quotazionidi mercato, effetti destinati a protrarsi anche dopo lafine dell’età napoleonica. Nello stesso tempo, tuttaviaproprio il ribasso dei valori di mercato favorí un au-mento della domanda, che grazie anche all’opera diabili mercanti d’arte come Lebrun, Buchanan,Nieuwenhuis, creò le condizioni per un nuovo tipo dicollezionismo.

Nonostante le approfondite ricerche degli ultimicinquant’anni, i percorsi seguiti da questo nuovo colle-zionismo sono ancora spesso in gran parte oscuri. Sead esempio sappiamo che la celebre Venere davanti allospecchio di Velázquez, confiscata all’ex-ministro spa-gnolo Godoy, passò prima nelle mani del generale Mu-rat, cognato di Napoleone, e poi in quelle di LordRockeby, approdando infine alla National Gallery diLondra nelle vicissitudini dell’Estate di Brueghel (giàregistrata con questo titolo nel catalogo viennese diMechel) manca un anello intermedio: quello che do-vrebbe congiungere il deposito del Louvre al Metropo-litan Museum di New York. È un problema su cui ri-torneremo nel capitolo delle restituzioni.

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Capitolo ottavo

L’ultima missione di Denon in Italia (1811-12).«Una enorme massa di quadri...»

Per seguire l’ultimo viaggio intrapreso da VivantDenon come direttore generale dei musei francesi,dobbiamo tornare ancora una volta in Italia. Denonaveva in mente un obiettivo preciso. Col suo straordi-nario istinto di conoscitore era ben consapevole del re-lativo insuccesso delle sue ultime due missioni, e d’al-tra parte la lunga frequentazione dei vari periodi edelle varie forme artistiche aveva modificato i suoi cri-teri di giudizio. Come si legge nella prefazione del suoultimo catalogo, Denon si rendeva conto ormai che so-lo una prospettiva storica poteva consentire uno sguar-do libero e imparziale sull’arte antica e che un gustoprevenuto non poteva fare a meno di limitarne la com-prensione. In altre parole, che l’imperante gusto classi-cistico impediva di comprendere la perfezione dei co-siddetti primitivi. Aveva letto gli autori antichi delleVite del Vasari fino all’opera del Borghini e del Lanzi,e col suo modo di procedere sistematico sentiva venutoil momento di colmare quella grave lacuna.

Nel suo studio fondamentale sulla missione di De-non, Marie-Louise Blumer ha sottolineato l’importan-za del lavoro svolto da Denon nella riscoperta dell’arteitaliana primitiva, trascurata per secoli, e nell’ambitopiú generale della storia dell’arte. Da questo punto divista le acquisizioni di Denon nel corso del suo ultimoviaggio furono le piú ricche di conseguenze per il colle-zionismo ottocentesco e moderno. Come vedremo piú

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tardi, a partire dal 1814-15, quando incominciarono aformarsi i primi musei nazionali sul modello del Lou-vre, i loro acquisti appaiono segnati dall’esempio diDenon. Ha inizio praticamente con lui quell’assalto aifiorentini e agli altri primitivi italiani che caratterizzal’epoca postnapoleonica.

L’ultima spedizione di opere italiane, del resto pococonosciute, era giunta al Louvre nel 1803. Nel 1808furono acquisite per via pacifica duecento opere dellafamosa Galleria Borghese, cedute dal principe CamilloBorghese, marito della bella Paolina Bonaparte, peruna somma di otto milioni di franchi versati in partesotto forma di possedimenti nel Piemonte e nella Sle-sia. Si trattava però quasi esclusivamente di sculture,perlopiú antiche, e di alcune moderne come il monu-mento marmoreo con statua equestre di SigismondoMalatesta.

Denon era però al corrente da tempo della brillanteattività collezionistica del pittore Andrea Appiani, di-rettore del museo milanese di Brera, fondato nel 1806.Appoggiato e incoraggiato dal viceré e figliastro di Na-poleone Eugenio Beauharnais, Appiani aveva iniziatonel 1805 col suo assistente Edwards una ricognizionesistematica dell’Italia settentrionale da Venezia adAlessandria, cercando opere d’arte nei conventi secola-rizzati, nelle chiese e nei municipi. Le ricerche di Ap-piani fruttarono circa settecento dipinti, che vennerovagliati criticamente e contribuirono a creare il primonucleo di una galleria destinata a occupare una posizio-ne di primo piano tra gli Uffizi e le raccolte vaticane.

I successi di Appiani suscitarono, com’è comprensi-bile, l’invidia di Denon. Ma l’occasione per una nuovaspedizione artistica in Italia gli fu data dalla secolariz-zazione dei beni ecclesiastici nei nuovi dipartimenti diGenova, dell’Arno-Toscana e del Mediterraneo-Ap-pennino: secolarizzazione disposta da Napoleone dopoil passaggio dell’ex-granducato di Toscana a diparti-

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mento francese. La nuova ordinanza dell’imperatorespecificava inoltre che tutte le opere d’arte conservatenei conventi soppressi dovevano essere inventariate eraccolte dai prefetti in appositi magazzini. I prefettichiesero al Ministero degli interni direttive piú preci-se, e nell’estate del 1811 Denon ottenne di essere in-viato ancora una volta in Italia a selezionare opere peril Louvre. Malgrado i suoi 56 anni Denon intraprese ilviaggio, che era il suo settimo e ultimo, con fervoregiovanile: questa volta non era piú al seguito di unesercito invasore e non c’erano piani politico-militari aintralciare i suoi movimenti. Denon poteva dedicarsicon la massima libertà e con tutta calma a un compitoche egli stesso si era assegnato.

Partí da Parigi ai primi di agosto del 1811 e fece ri-torno solo nel gennaio 1812. Lo accompagnava, colcompito di rilevare i campi di battaglia italiani per lasua grande raccolta di incisioni il disegnatore BenjaminZix, che però morí durante il viaggio. Dopo aver toc-cato Lione Denon proseguí lungo la valle del Rodanoin direzione della Riviera, dove percorse la nuova stra-da della Grande Corniche tra Nizza e Livorno. Duran-te una sosta a Savona scelse sei dipinti, tra cui l’Assun-zione della Vergine di Luigi Brea e un Noli me tangere,unica opera firmata di Giovanni Massone, singolarepittore alessandrino (oggi al Museo di Torino). Dellostesso Massone acquistò piú tardi per la somma di3000 franchi la pala d’altare della cappella fatta co-struire da papa Sisto IV per la sua famiglia nella Chie-sa di Savona: pala raffigurante, oltre allo stesso papa eal cardinale Giuliano della Rovere in veste di donatori,la Nascita di Cristo nella tavola centrale. Una Madonnain trono con santi datata 1487 e registrata nell’inventa-rio come opera di Andrea da Tuccio, proveniente dallachiesa di San Giacomo, è andata perduta.

Arrivando a Genova pochi giorni dopo, Denon vitrovò già raccolte numerose opere provenienti dalle

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chiese della città e dai conventi dei dintorni. Tra que-ste furono scelti l’imponente altare tripartito con laDeposizione o il Compianto di Cristo nella parte centra-le, l’Ultima Cena nella predella e le Stigmate di san Fran-cesco nella lunetta, dalla Chiesa di Santa Maria dellaPace, capolavoro di Joos van Cleve oggi al Louvre; unaMadonna con angeli adoranti di Filippino Lippi (oggi alPalazzo Bianco di Genova), proveniente dalla Chiesadi San Teodoro, una Ascensione oggi perduta del ma-nierista senese Domenico Beccafumi e una Natività diLuca Cambiaso. Durante il viaggio di ritorno aggiunseancora l’altar maggiore della Chiesa di Santo Stefanocol martirio del santo di Giulio Romano (oggi al Lou-vre, Parigi): «le plus beau Jules Romain qui existe»,come Denon stesso ebbe a esprimersi.

Proseguendo il viaggio lungo la costa ligure, Denontrovò a Carrara, dove intendeva anche procurarsi delmarmo per i monumenti parigini, un rilievo di terra-cotta di Luca della Robbia, che volle prendere con sé,e verso la metà di ottobre raggiunse la prima grandecittà d’arte toscana, Pisa. Un incisore di nome Lasinioaveva già riunito e inventariato alcuni quadri nella cap-pella del Camposanto, tra cui la grande Madonna in tro-no di Cimabue, fiancheggiata da tre coppie di angeli eproveniente dalla Chiesa di San Francesco, «invento-rié pour être vendu la somme de cinq francs», comeannotò Denon nel suo diario di viaggio. Le quotazionidei capolavori del Trecento erano allora decisamentebasse! Dallo stesso convento della Maestà di Cimabueproveniva la tavola di Giotto San Francesco riceve lestimmate: le due opere si fanno oggi ammirare nella pri-ma sala della sezione italiana del Louvre.

Dalla chiesa sconsacrata di Santa Croce presso PisaDenon prese l’Incoronazione della Vergine di ZenobiMachiavelli, firmata e datata 1473, oggi al Museo diDigione, dalla Chiesa di San Paolo il trittico di Taddeodi Bartolo anch’esso firmato e datato 1390, oggi a

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Grenoble, e dal Convento di San Silvestro la Madonnadel raro pittore pisano Turino Vanni, che porta la suafirma (Parigi, Louvre). Com’è facile vedere, Denon mi-rava a un obiettivo piuttosto inconsueto per quegli an-ni: mettere le mani su opere antiche e firmate dell’artepisana, allora in gran parte sconosciuta. Benché il Duo-mo di Pisa non fosse stato secolarizzato, Denon non sifece scrupolo di trafugare anche la tavola di BenozzoGozzoli col Trionfo di Tommaso d’Aquino celebrata dalVasari. La tavola risaliva all’epoca del ciclo di affreschiper il Camposanto di Pisa, che impegnò Benozzo Goz-zoli per vari anni, ed era appesa in origine dietro il tro-no dell’arcivescovo. Un altro quadro conservato alDuomo, ma di epoca piú tarda, il Sacrificio di Isacco diGiovanni Bazzi detto il Sodoma, fu destinato anch’es-so a Parigi perché il Louvre non possedeva ancora nes-suna opera dell’importante pittore senese. Infine, sottol’impressione suscitata dal grande pulpito del Duomo eda altre opere di Nicola e Giovanni Pisano, Denon or-dinò prima di partire per Firenze di trasportare ancheun rilievo raffigurante una Madonna, che fu il primoesempio di antica scultura pisana a raggiungere un mu-seo nordico.

Come si ricorderà, agli inizi della Rivoluzione fran-cese Denon aveva vissuto a lungo a Firenze e conosce-va bene le sue chiese e i suoi monumenti antichi. Lalunga esperienza accumulata gli permetteva ora di ve-dere le cose con altri occhi: in particolare tutte le ope-re del primo Rinascimento, che allora, prima del gran-de fervore collezionistico ottocentesco, dovevanopresentare un quadro di una ricchezza per noi inimma-ginabile.

Tra i numerosi artisti che soggiornavano in Italia,solo i tedeschi della Confraternita di San Luca a Romae i loro seguaci avevano incominciato a rivalutare e aimitare i pittori primitivi o «gotici» della Toscana, enella cerchia dei conoscitori Denon costituiva un’ecce-

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zione rarissima. Ecco quanto riferisce verso la metà diottobre al ministro degli Interni: «A Pisa e a Firenzeho trovato quadri assai preziosi: conformemente allevostre disposizioni i quadri di Firenze erano già statiassegnati all’Accademia. Ho avuto un colloquio col si-gnor Alessandri, direttore di questo istituto e delle al-tre gallerie, e gli ho trasmesso un memorandum di cuiallego una copia, pregandolo di mettere a nostra dispo-sizione un’opera per ciascun maestro indicato nell’e-lenco, e suggerendogli soprattutto opere che per qua-lità e stato di conservazione siano degne dellacollezione di Sua Maestà. Ho l’onore di informarla chel’elenco non contiene nessuna delle opere insigni con-servate nella Galleria [ossia agli Uffizi]. Sono tutti qua-dri prelevati dai conventi e dalle loro chiese. Il signorAlessandri mi ha consentito di esaminare il deposito diSan Marco, che contiene un migliaio di quadri: opereperlopiú di scuola e non abbastanza significative da ar-ricchire le nostre raccolte». In un’altra lettera, poste-riore, Denon dirà di aver preso un solo quadro per ognimaestro, per non privare la città dei suoi tesori piúpreziosi.

Se si considerano le straordinarie ricchezze artisti-che di Firenze, Denon agí in effetti con una discrezio-ne insolita. Ecco nei suoi punti essenziali l’elenco delleopere requisite, quasi tutte ben note ai visitatori delLouvre: l’Incoronazione della Vergine del Beato Angeli-co proveniente dalla Chiesa di San Domenico a Fieso-le, il convento in cui l’artista visse e operò per diciottoanni; una predella di Agnolo Gaddi con la Crocifissionee scene della Vita di san Giovanni Battista e san Giaco-mo dalla Chiesa di Santa Maria degli Angeli a Firenzee una parte della predella dello splendido altare dell’A-dorazione dei Magi, dipinto da Gentile da Fabriano po-co prima di morire per la Chiesa della Santa Trinità:raffigura la Presentazione al Tempio, e anche in questocaso, come in tanti altri, non si capisce perché le altre

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due parti della predella (raffiguranti la Natività e la Fu-ga in Egitto) siano state scartate e la tavola smembrata.

L’opera piú ragguardevole di cui Denon, non senzadifficolta, riuscí a impadronirsi è la grande pala d’alta-re a tre archi realizzata da Filippo Lippi tra il 1437 e il1443 per la cappella dei Barbadori nella Chiesa di San-to Spirito; possiamo ammirarla ancora oggi al Louvre.La Madonna in piedi tra due colonne è circondata daangeli, davanti a lei sono inginocchiati in adorazione isanti Frediano e Agostino. Ma anche in questo caso latavola centrale fu separata dalla predella, che ne è inqualche modo la continuazione narrativa tripartita, e sitrova tuttora agli Uffizi. Invece della tavola scelta daDenon fu però inviata a Parigi, piú o meno intenzio-nalmente, un’altra Madonna di Filippo Lippi, che cer-to non corrispondeva alle aspettative di Denon, e solodopo ripetute insistenze l’errore fu rettificato.

Di un’altra pala d’altare di Filippo Lippi, dipintaper il monumento funebre del suo protettore Cosimode’ Medici e la sua cappella in Santa Croce, giunsero aParigi solo due parti della predella con scene della vitadei santi Francesco, Damiano e Cosimo: scene dipinte,oltretutto, non dallo stesso Lippi ma dal migliore deisuoi collaboratori, Francesco Pesellino. Con la grandetavola della Visitazione della Vergine di DomenicoGhirlandaio e la Madonna in trono tra i santi Giuliano eNicola di Lorenzo di Credi, il Louvre venne in posses-so di altre due opere di sicura autenticità e del periodopiú fulgido del primo Rinascimento fiorentino, realiz-zate entrambe negli anni 1490-91 per il ricco commer-ciante Lorenzo Tornabuoni e la sua cappella nellaChiesa di Santa Maria, Maddalena de’ Pazzi. Benchétagliata ai lati, la Visitazione di Domenico Ghirlandaioappare di gran lunga piú vivace e artisticamente riusci-ta dell’arido Lorenzo di Credi, scolaro del Verrocchio.E non si capisce per quale motivo Denon non abbia ri-chiesto in quell’occasione nessuna delle molte e impor-

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tanti opere di Sandro Botticelli, il piú geniale, dopoLippi, dei maestri fiorentini, mentre poco piú tardi lostesso Denon inviò allo zar Alessandro I di Russia l’A-dorazione dei Magi della collezione Giustiniani (già aPietroburgo, ora alla National Gallery di Washington).La colpa non fu però, evidentemente, del solo Denon,il quale aveva scelto – probabilmente all’Accademia –una Madonna a mezza figura di forma quadrata, e sivide invece spedire un anno piú tardi un tondo che ri-sultò essere una replica di bottega della nota Madonnabotticelliana.

Mentre Denon continuava in tutta calma a selezio-nare altri quadri fiorentini, come la Madonna con santidatata 1504 di Mariotto Albertinelli (da Santa Tri-nità), una Salita al Monte Calvario di Benedetto Ghir-landaio e il Cristo appare alla Maddalena di AngeloBronzino, entrambi da Santo Spirito, o la Sacra fami-glia del Pontormo, dal Convento di Sant’Anna vicino aSan Frediano (tutti al Louvre, Parigi), lo raggiunsel’ordine inatteso di recarsi a Roma passando dall’Um-bria. Il motivo era il seguente: da quando i dipartimen-ti del Tevere e del Trasimeno (Roma, Umbria, Peru-gia), prima sottoposti al Ministero degli interni, eranodiventati «biens de la couronne», il decreto sulla confi-sca dei beni conventuali aveva perso la sua efficacia.L’imperatore aveva perciò firmato un nuovo decretoesteso anche a questi territori e dichiarava senz’altroproprietà della corona tutte le opere d’arte degli istitu-ti messi sotto sequestro.

L’incarico di Denon consisteva dunque nell’ispezio-nare queste opere e nel decidere del loro destino. Sa-pendo inoltre che l’imperatore, per motivi politici, in-tendeva ridurre l’enorme numero di chiese e conventiesistenti a Roma, Denon era preoccupato di metternein salvo le opere d’arte e pensava addirittura di farnestaccare gli affreschi dalle pareti. Arrivò cosí a propor-re seriamente di trasferire su tela i 48 affreschi di Do-

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menico Zampieri, detto il Domenichino, dal conventodi Grottaferrata e di usarli per la decorazione dellaGalérie d’Apollon al Louvre. Denon sapeva però che iconventi e le chiese di Roma non erano ricchi di altarie pale di quel primo Rinascimento che era allora al cen-tro dei suoi interessi. Si limitò perciò a scrivere a Pari-gi: «J’ai trouvé une immense quantité de peintures qui,si elles vous étaient adressées, vous embarasseraientplus qu’elles ne pouvaient vous servir», e diede dispo-sizioni al prefetto e all’intendente, barone Roederer econte di Tournon, su come conservarli in futuro.

Accompagnato dal segretario generale del diparti-mento del Trasimeno che aveva diretto l’inventario deiconventi soppressi, Denon si mise quindi sulla via del ri-torno, che lo portò a Milano passando per Spoleto, As-sisi, Foligno, Perugia, Arezzo, Bologna e Parma. A Fo-ligno scoprí la singolare forza espressiva del pittore lo-cale Niccolò Alunno e scelse una Madonna con santi; aCittà di Castello riconobbe la Madonna del dimenticatoLuca Signorelli in una Natività citata dal Vasari. A Toditrovò invece tre Spagna attribuiti al Perugino e a Peru-gia dieci quadri, tra cui una Visitazione oggi perduta diRosso da Sant’Agostino, due scene da una predella conla Vita di san Nicola di Bari del Beato Angelico (oggi alVaticano; la pala corrispondente è invece alla Pinacote-ca di Perugia) provenienti dalla Chiesa di San Domeni-co, due Miracoli di san Bernardo attribuiti al Pisanellodalla Chiesa di San Francesco (Perugia, Pinacoteca; po-littico oggi attribuito a Francesco di Lorenzo). Comeomaggio a Giorgio Vasari, padre della storiografia arti-stica italiana, scelse ad Arezzo la sua Annunciazione, edurante un breve pernottamento a Parma fece in tempoa «pizzicare» una Madonna con santi di Cima da Cone-gliano allo scopo di completare l’altare della Vergine pro-veniente dalla Cattedrale, che era a Parigi già dal 1803.

A Milano fu ricevuto in udienza dal viceré Eugeniodi Beauharnais, e dopo una visita minuziosa della galle-

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ria di Brera sollecitò uno scambio di dipinti tra i duemusei, sostenendo che il Louvre aveva fiamminghi eolandesi in soprannumero (che invece mancavano aBrera), e presentava lacune che la «sovrabbondanza»milanese avrebbe permesso di colmare facilmente. Trale opere piú ambite da Denon vi era la Madonna dellafamiglia Casio di Giovanni Boltraffio (con l’eccezionedello stesso Leonardo, la scuola leonardesca era al Lou-vre poco rappresentata), come anche la grande tavolacon la Predica di santo Stefano di Vittore Carpaccio, ap-partenente a una serie di quattro quadri (a Brera, alLouvre, a Berlino e a Stoccarda) che fin dal 1518 ador-navano la chiesa del santo a Venezia; e infine due qua-dri di Marco d’Oggiono, altro pittore di scuola leonar-desca. Nello stesso anno 1811 il direttore di BreraAndrea Appiani entrò in possesso dell’opera forse piúimportante della galleria, la Madonna in trono del ducaFederico di Montefeltro, un capolavoro di Piero dellaFrancesca che evidentemente non fu mostrato a De-non. Benché Denon avesse offerto in cambio tre opereche oggi giudicheremmo piú che degne, ossia l’UltimaCena di Rubens proveniente da Malines, la Madonnacon sant’Antonio di Van Dyck da Anversa e il Sacrificiodi Isacco di Jordaens, che lo stesso Denon aveva porta-to da Berlino (attribuendolo a Rubens), Appiani nonne fu soddisfatto, e soprattutto non volle separarsi dal-la Madonna della famiglia Casio. Alla fine Denon fu co-stretto ad aggiungere due ritratti di Rembrandt, tra cuiquello della sorella, e un altro Van Dyck: cosa che, nondel tutto a torto, provocò la sua indignazione. In unalettera del marzo 1812 al sovrintendente imperiale, ilduca di Cadore, scrive infatti Denon nello stile che gliè caratteristico: «Di che si tratta in realtà? L’impera-tore prende dal suo museo di Brera cinque quadri per ilsuo museo di Parigi, dove cerca di completare la piústraordinaria raccolta che sia mai esistita, e che deve infondo la sua esistenza proprio alle vittorie dell’impera-

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tore. Sua Maestà avrebbe potuto prendere questi qua-dri senza dover mandare in cambio quelle tre belleopere di scuola fiamminga».

Sentiamo parlare qui il diplomatico e il cortigiano,che non solo sfrutta il monarca per i propri scopi, masa nasconderli dietro la facciata dell’adulazione. Que-st’ultimo bottino di «primitivi» italiani, che arricchí ilLouvre di alcuni dei suoi piú importanti capolavori, sideve quasi esclusivamente ai meriti di Denon. Col suoarrivo il Louvre aveva raggiunto in effetti il culminedel suo splendore.

Come spesso accade nella storia, questo punto cul-minante coincide col graduale declino dell’egemoniafrancese sull’Europa. Mentre Denon si dedicava spen-sieratamente alla propria missione italiana, si svolgevala disastrosa campagna di Russia: i quadri italiani giun-sero a Parigi poco dopo il ritorno della «grandearmée», ridotta all’ombra di se stessa.

Nel tentativo di far dimenticare la disfatta, che videimpegnato il governo per tutto il 1812, anche Denon siaffrettò a mostrare ai parigini i nuovi tesori provenien-ti dall’Italia. L’esposizione e l’accurato catalogo com-prendevano 124 quadri, 82 dei quali appartenevano alleprime scuole italiane, mentre gli altri erano «primitivi»tedeschi e fiamminghi non ancora esposti in pubblico,oltre a 16 spagnoli già consegnati. A differenza dei vec-chi cataloghi, Denon non si limitò a registrare i quadricon la semplice indicazione dell’autore e del soggetto edeventuali cenni alla località di provenienza, ma aggiun-se brevi biografie degli artisti, accompagnate dall’indi-cazione sistematica del luogo d’origine e da accenni allefonti piú antiche, dal Vasari al Borghini, al Lanzi, alMilizia ecc. Il catalogo di Denon del 1812 si presentadunque come il prototipo di tutti i successivi cataloghidi museo, preceduto su questa strada solo da alcuniarcheologi come Ennio Quirino Visconti.

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Capitolo nono

La fine del «Musée Napoléon» (1814-15).Restituzioni e riconquiste

La fine del «Musée Napoléon», il piú grande museod’arte d’Europa, coincise logicamente con la cadutadell’Impero. La dispersione delle ricchezze raccolte nelMuseo non fu però immediata, e in quest’ultimo capi-tolo cercheremo di vedere come si giunse, dopo l’abdi-cazione dell’imperatore e il ritorno di Luigi XVIII nelmaggio 1814, alla graduale restituzione dei «trofei diguerra». Come quasi sempre accade nelle dittature indeclino, anche in Francia la poderosa macchina statalecontinuò a funzionare per qualche tempo, nonostantela disfatta politico-militare e l’occupazione del paeseda parte degli Alleati: la Francia aveva vissuto troppo alungo sotto il potere di Napoleone perché la sua ere-dità potesse essere eliminata in un batter d’occhio.

Sebbene la Restaurazione borbonica mirasse a sba-razzarsi per quanto possibile di questa eredità, c’eranoalcune innovazioni, specie in campo amministrativo eculturale, di cui essa per puro orgoglio nazionale nonpoteva fare a meno. Le parole che Luigi XVIII pro-nunciò davanti al Parlamento il 4 giugno 1814 dopo lafirma dell’armistizio potrebbero essere dello stesso Na-poleone: «La gloria dell’esercito francese non è statamacchiata; i monumenti del suo valore rimangono, e icapolavori delle arti ci appartengono da questo mo-mento con un diritto piú forte del diritto di guerra».In effetti, se Napoleone non fosse tornato dall’Elba, èprobabile che la maggior parte delle opere d’arte con-

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quistate sarebbero rimaste in Francia. Gli uomini poli-tici riuniti al Congresso di Vienna pensavano al futuropolitico dell’Europa piú che alle sue opere d’arte. I ti-midi tentativi fatti da alcuni rappresentanti per discu-tere anche questo problema caddero nel vuoto, in par-te perché le grandi potenze, Austria, Russia eInghilterra, non intendevano scuotere ulteriormente lagià debole popolarità della monarchia borbonica. Cosíper circa un anno il Museo del Louvre rimase pratica-mente intatto, e Denon proseguí indisturbato la sua at-tività, come se nulla fosse accaduto e come se il suo re-gno personale fosse del tutto indipendente dal corsodella storia.

Quando il grosso dei dipinti spagnoli giunse final-mente a Parigi nel settembre 1813, e la Spagna a quel-l’epoca era già perduta, Denon si lamentò del fatto chesolo sei dei cinquanta quadri della collezione reale diMadrid selezionati a loro tempo per Parigi fossero degnidi venire accolti nel Louvre. Quanto poi ai 250 quadriconfiscati all’aristocrazia e al clero, soltanto due furonogiudicati di prima qualità, mentre gli altri gli sembraro-no appena degni di abbellire le residenze imperiali. Traquesti ultimi c’erano i bozzetti dipinti da Rubens per gliarazzi dei Carmelitani Scalzi di Madrid e due dei qualisi trovano tuttora al Louvre. Tra i primi, che al Louvrenon furono mai esposti, c’era probabilmente La vesteinsanguinata di Giuseppe di Velázquez.

Le ultime spedizioni di opere, successive ai viaggi diDenon in Italia del 1811, giunsero a Parigi solo nelfebbraio del 1814 quando cioè, dopo la sconfitta deci-siva di Lipsia, il destino di Napoleone era ormai segna-to. Questi segni premonitori non impedirono a Denondi progettare e di preparare una nuova esposizione chefu inaugurata nel Gran Salon del Louvre il 25 luglio1814, tre mesi dopo che gli Alleati avevano occupatoParigi. La novità assoluta della mostra erano i maestriitaliani del Trecento e del Quattrocento, frutto dell’ul-

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tima missione di Denon, oltre ai primitivi olandesi, te-deschi e spagnoli, e l’iniziativa ebbe un grande succes-so. Come nel 1802 dopo la pace di Amiens, anche inquesta circostanza affluirono al Louvre masse di visita-tori stranieri, militari e civili, e, ironia della sorte, De-non ricevette perfino i complimenti dell’imperatore diRussia e del re di Prussia Federico Guglielmo III.

Non c’è dunque da stupirsi se Denon pensava che ilsuo Museo fosse al sicuro, convinto com’era che i varitrattati di pace conferissero una piena legalità alle sueacquisizioni, e ben sapendo che né lo zar, né il governoinglese, né lo stesso Metternich si interessavano al pro-blema delle restituzioni. Su pressione dell’ambasciato-re prussiano von der Goltz, che in una lettera al mini-stro Blacas esaltava il contributo della Germania allarestaurazione della monarchia borbonica, Luigi XVIIIdiede comunque ordine di restituire 39 dei quadriprussiani e 85 tra quelli di Braunschweig. Avuta assi-curazione che anche il resto delle raccolte prussiane sa-rebbe stato restituito, von der Goltz fece sapere a Bla-cas che la Prussia poteva anche rinunciare allarestituzione delle opere ancora esposte al Louvre e alleTuileries – tra cui il bronzo greco del giovinetto in pre-ghiera e altri oggetti antichi – purché queste venisserosostituite da altre, e la cosa avvenisse in tutta segretez-za. Insieme ai quadri furono restituiti anche i cammei,i vasi, gli avori, i bronzetti appartenenti alle due colle-zioni e i 174 smalti di Limoges provenienti da Braun-schweig, come pure la maschera funebre e il busto diFederico il Grande trafugati da Potsdam e la raccoltadi minerali preziosi e di oggetti d’arte orientali.

Nel settembre del 1814 l’imperatore Giuseppe IId’Austria si fece presentare l’elenco dei quadri trafuga-ti, mentre da Parigi giungeva la proposta di scambiareuna parte dei quadri con altri di uguale valore presidalle raccolte di Francia. Il direttore Füger preparòuna lista di desiderata, soprattutto maestri francesi del

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Seicento, poco rappresentati al Museo di Vienna, comeNicolas Poussin, Claude Lorrain, Gaspard Dughet,Philippe des Champaigne, Lebrun, Lesueur ecc. In unalettera all’ambasciatore d’Austria a Parigi Metternichdiceva di approvare l’idea dello scambio. Ma poichél’Austria era tornata in possesso dei suoi territori ita-liani, la corte viennese non fece altri passi in questa di-rezione, a parte uno scambio di opere tra Vienna e Ve-nezia, Firenze e Milano. Quanto al Vaticano, che pureaveva inviato a Vienna il direttore dei suoi musei, il ce-lebre scultore Canova, il governo di Roma era troppofelice per il ritorno dei Borboni, e non intendeva certoalterare il nuovo equilibrio.

Questo clima piuttosto conciliante mutò col ritornodi Napoleone dall’Elba, il governo dei Cento Giorni ela sanguinosa battaglia finale di Waterloo. Tra gli Al-leati vittoriosi si impose a questo punto uno spirito dirivalsa, per non dire una volontà di vendetta. Quandogli eserciti alleati entrarono a Parigi fu sottoscritto unaccordo militare in cui i tre rappresentanti del governofrancese cercarono di garantire, oltre alla sicurezza deibeni privati, anche quella del patrimonio pubblico, equindi dei musei. Ma il principe Blücher si oppose nelmodo piú energico, sostenendo che al Louvre si trova-vano ancora quadri di cui Luigi XVIII aveva promessola restituzione, cosa che però non era mai avvenuta. Lavecchia obiezione di Denon, secondo la quale il Louvreera proprietà della corona, e perciò inalienabile, di-ventò insostenibile.

Il giorno dopo l’ingresso delle truppe prussiane, l’8luglio, il capo di stato maggiore von Ribbentropmandò da Denon il suo rappresentante per le questioniartistiche Jacobi per sollecitare la restituzione delleopere d’arte prussiane ancora a Parigi e farsi indicare illuogo dove erano custodite. Essendosi Denon rifiutatodi obbedire a ordini che non fossero quelli dei suoi di-retti superiori, fu minacciato di arresto, e il governato-

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re militare di Parigi von Müffling dispose che unacompagnia di granatieri occupasse il Louvre. Le anti-chità berlinesi furono riunite, ma i quadri piú impor-tanti non si trovavano piú al Louvre, che già l’annoprima ne aveva spediti sei, bensí al castello di Saint-Cloud, che i prussiani scelsero come loro quartier gene-rale. Qui vennero sequestrati fra gli altri il cosiddettoPrisonnier en colère (Sansone minaccia il suocero) diRembrandt, Vertumno e Pomona attribuita a Leonardo(Berlino, museo), il Contratto di matrimonio di JanSteen e il ritratto di Guglielmo di Nassau di Jan Ter-borch. Sempre a Saint-Cloud, e precisamente nel ba-gno di Napoleone, i prussiani trovarono La battaglia diAlessandro di Albrecht Altdorfer, trafugata come si ri-corderà a Monaco. A Saint-Cloud la commissione prus-siana prese inoltre un autoritratto di Ribera, che inrealtà apparteneva all’Austria e il famoso quadro diJean-Louis David Napoleone a cavallo al valico del GranSan Bernardo; un gesto di rappresaglia che intendevavendicare il sequestro del busto di Federico il Grandea Sanssouci.

Entro la fine di agosto le richieste degli stati tede-schi erano grosso modo soddisfatte. Fin dal 1814 l’am-basciatore austriaco von Thiersch aveva insistito so-prattutto sulla promessa scritta fattagli da Neveu diuno scambio con le opere trafugate, mentre la Baviera,alleata di Napoleone, aveva ottenuto già prima alcuneopere di proprietà francese. Fu quindi raggiunto un ac-cordo per cui i capolavori della collezione Wittelsbach,28 quadri in tutto, dovevano fare ritorno, e il direttoredel Museo di Monaco, il pittore paesaggista Dillis, di-chiarò che non era il caso di andare a cercare anche glialtri, la maggior parte dei quali si trovavano nei museidella provincia francese. È comprensibile che Dillisnon attribuisse molto valore a quadri come, ad esem-pio, il San Luca che dipinge la Madonna di Maerten vanHeemskerck (Rennes, museo) trafugato a Norimberga,

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ma è vero che in questo modo rimase in Francia anchel’autoritratto giovanile di Dürer, anch’esso provenien-te da Norimberga (Parigi, Louvre). Tra quelli restituitisi trovavano, oltre alla Battaglia di Alessandro di Alt-dorfer, la tarda Incoronazione di spine di Tiziano, Me-leagro e Atalanta di Rubens, ma non la sua grande Ado-razione dei Magi (Lione, museo).

Il piú danneggiato tra i principi tedeschi restava illandgravio dell’Assia-Kassel. Mentre i dipinti requisitida Denon al Museo di Kassel furono interamente resti-tuiti, quelli trovati dal generale Lagrange prima dell’ar-rivo di Denon ebbero una sorte assai diversa. In tuttiquegli anni avevano abbellito la residenza dell’impera-trice, a Malmaison, e qui furono visti dallo zar Ales-sandro I di Russia, che rimase colpito dalla qualità deiquadri non meno che dal fascino di Giuseppina. Allamorte di quest’ultima, sopraggiunta poco dopo (maggio1814), lo zar acquistò per l’Ermitage 22 dipinti dellagalleria, di varia provenienza, versando a EugenioBeauharnais una somma di 400000 franchi. Inutili fu-rono gli sforzi del landgravio per riottenere i quadri oper avere quelli ancora in possesso degli eredi Beauhar-nais, che piú tardi finirono ugualmente in Russia. Eu-genio, che aveva assunto il titolo di duca di Leuchten-berg, aveva trovato rifugio presso il suocero, il re diBaviera.

Entro l’agosto 1815 anche i commissari artistici de-gli altri paesi interessati si riunirono a Parigi per solle-citare la restituzione delle proprie opere: ebbe cosí ini-zio l’ultima battaglia per il possesso dei quadriconquistati dai francesi. La maggior difficoltà che icommissari stranieri incontravano nel far valere i pro-pri diritti nasceva dal fatto che né i ministri degli este-ri, che si incontravano quotidianamente a Parigi, né imonarchi avevano preso misure che riguardassero tuttii paesi interessati e le loro opere d’arte. Ciò permise aDenon e al suo segretario generale Lavallée di opporsi,

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col beneplacito dei loro superiori, a ogni nuova richie-sta o di bloccarla con pretesti piú o meno validi. Poi-ché inoltre essi erano i soli ad avere una visione com-pleta delle migliaia di opere ancora in Francia, la lorocollaborazione si rivelò indispensabile. Gli argomentiescogitati da Denon per salvare le sue opere dalla resti-tuzione appaiono spesso cosí tirati per i capelli da sfio-rare il ridicolo, tanto piú se si considera la mutata si-tuazione politica di quei giorni. Per esempio, se iquadri dell’Aia andavano restituiti agli Orange – cosache, dopo il trattato di pace di Amiens, Denon ritene-va del tutto ingiustificata – quelli affluiti sotto LuigiNapoleone nel nuovo Rijkmuseum di Amsterdam e pa-gati con denaro francese (in realtà, con le tasse degliolandesi) dovevano appartenere alla Francia. Con lastessa ingenua giustificazione Lavallée pretese la resti-tuzione dei 70 quadri assegnati da Parigi al Museo diBruxelles, dimenticando che in gran parte erano statitrafugati in Italia o nello stesso Belgio. Per la Santa Eli-sabetta risana gli infermi di Murillo (proveniente dal-l’Hospital de la Caridad di Siviglia), Denon sostennedi fronte all’ambasciatore spagnolo che il quadro ap-parteneva al Louvre in quanto dono di Soult, il qualelo aveva a sua volta ricevuto in dono dalla città di Sivi-glia. Quando il commissario del re di Sardegna LuigiCosta sequestrò, oltre ai quadri torinesi, anche il Mar-tirio di santo Stefano di Giulio Romano, scelto dallostesso Denon nel 1811, questi affermò che si trattavadi un omaggio della municipalità a Napoleone.

La varietà delle richieste complicava, com’è ovvio,le pratiche di restituzione, e rendeva tanto piú necessa-rio un provvedimento di carattere generale, soprattut-to per quei paesi, come gli stati italiani, che non aveva-no a Parigi una rappresentanza militare. Ma leopinioni dei ministri degli esteri impegnati nelle sedutequotidiane del Congresso di Parigi erano divise comequelle dei rispettivi sovrani. Il conte Pozzo di Borgo,

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rappresentante dell’imperatore di Russia, si oppose aogni restituzione, e anche il comportamento di Metter-nich fu piuttosto tiepido una volta sistemata la posizio-ne dell’Austria. In confronto all’intransigenza dimo-strata dai prussiani, i commissari artistici dell’Austria,ossia il direttore dei musei di Vienna Joseph Rosa e isuoi assistenti Adriani e Pozzi, come pure i rappresen-tanti degli Stati italiani legati all’Austria, i fiorentiniDegli Alessandri e Benvenuti e il ministro Karcher simostrarono estremamente disponibili, malgrado la per-sistente ostilità di Denon. La proposta di scambio conVienna diventò operativa e le piú importanti tra leopere d’arte viennesi furono consegnate. Diversi qua-dri del Belvedere (vedi sopra), di cui esiste un elenconell’ottimo studio di Lhotzky, rimasero in compensonei musei francesi di provincia.

I quadri celeberrimi di Palazzo Pitti a Firenze, sullacui identità non potevano sussistere dubbi, tornaronotutti indietro, come anche la celebrata Venere Medici,che secondo le pretese di Denon era stata ceduta conregolare contratto da Ferdinando IV di Napoli. Ma peravere una serie di tavole intarsiate con «pietre dure», acui la corte toscana teneva in modo particolare, il com-missario Alessandri rinunciò, con una scelta per noi in-concepibile, ai maestri del Trecento e del Quattrocen-to raccolti da Denon nel 1811, ossia alle grandi operedi Cimabue, Giotto, Beato Angelico, Gozzoli, FilippoLippi, Ghirlandaio ecc., che formano ancora oggi il nu-cleo storico della prima sala italiana del Louvre. Colpretesto che la tela con le Nozze di Cana di Paolo Vero-nese era troppo grande per poter sopportare un altroviaggio fino a Venezia, Lavallée riuscí a convincere ilcommissario Adriani a prendere al suo posto la MariaMaddalena ai piedi di Gesú, di analoghe dimensioni: og-gi lo giudicheremmo senz’altro un buon affare. L’in-viato di Parma arrivò al punto di restituire al Louvrealcuni dipinti della Galleria Ducale di Parma già pronti

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per partire, convinto da Lavallée che i BartolomeoSchedoni (Compianto, Parigi, Louvre), i MichelangeloAnselmi (Madonna con Angeli, Parigi, Louvre), i Cimada Conegliano e i Guercino presenti nella galleria diParma erano anche troppi.

Nella seconda metà di settembre si fece strada final-mente la convinzione, a Parigi come a Vienna, che eraormai necessario un provvedimento di carattere gene-rale sulle opere d’arte. Furono soprattutto gli inglesi,lord Liverpool, presidente del Consiglio, il ministrodegli Esteri visconte di Castlereagh e il capo di statomaggiore duca di Wellington a insistere in modo deci-sivo, nell’intento di appoggiare i Paesi Bassi e gli Statipontifici. Il vecchio Stato della Chiesa, ossia il Vatica-no, e i Paesi Bassi ora unificati erano, dal punto di vi-sta della Francia, i piú legati agli accordi di Tolentino edi Amiens, e fu necessaria da parte alleata una esplicitadichiarazione sulla nullità di questi accordi, che d’al-tronde lo stesso Napoleone aveva piú volte violato.

In una lunga lettera al visconte di Castlereagh – ri-prodotta per intero nel libro di Piot e Gould – il ducadi Wellington descrive gli avvenimenti che portarono aquesta iniziativa a lungo differita. Il motivo piú o me-no immediato che indusse gli inglesi a intervenire furo-no le richieste dei Paesi Bassi che, col Vaticano, aveva-no subito le perdite piú gravi. Non avendo essiottenuto soddisfazione per l’intransigenza dimostratadall’amministrazione del Louvre e dal ministero, il 19settembre Wellington mandò le sue truppe a raggiun-gere quelle prussiane che presidiavano il Louvre, e fecesapere al ministro Talleyrand e a Denon che egli, comerappresentante del re dei Paesi Bassi, aveva dato ordi-ne ai suoi uomini di staccare dalle pareti i quadri fiam-minghi e olandesi. Per non lasciare il pubblico franceseall’oscuro, il contenuto della lettera fu pubblicato nel«Journal des débats», come anche sull’ufficiale «Moni-teur».

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Accadde cosí quello che Denon aveva giudicatoimpossibile: i grandi maestri della galleria degli Oran-ge, gli Holbein, i Rembrandt, gli Jan Steen, gli Osta-de, i Van Dyck, i Terborch e il Giovane toro di Pau-lus Potter che lo stesso Denon aveva riprodotto inuna incisione, tornarono tutti all’Aia (con l’eccezionedi 68 quadri minori o introvabili). Le gigantesche pa-le d’altare e tele di Rubens, che per vent’anni eranostate il vanto della Grande Galleria, furono staccatedalle pareti senza tante cerimonie. La posizione deicommissari belgi, i pittori Ommeganck, Odevaere eVan Regemorter, non era facile, nonostante la prote-zione militare di cui godevano. Mentre Regemorter,salito su una scala, cercava di staccare uno dei grandiquadri di Rubens, Denon, in un accesso di collera,diede una spinta alla scala e il malcapitato commissa-rio dovette aggrapparsi al cornicione per non cadere.Se le confrontiamo però con l’enorme bottino mietu-to dai francesi durante la campagna d’Olanda, le re-stituzioni si mantennero entro limiti modesti, comedimostrano le molte opere di Rubens, Jordaens, VanDyck e della loro cerchia tuttora visibili nei museifrancesi di provincia. Poiché tre dei cinque commissa-ri venivano da Anversa, e nessuno conosceva quelleopere meglio di loro, il Museo di Belle Arti di Anver-sa, appena fondato, vide formarsi proprio allora il suonucleo storico.

Restavano le opere d’arte del Vaticano, per le qualiil papa aveva inviato a Parigi il suo ispettore generaleCanova. Pio VII, che vedeva ristabilita in Francia lavecchia egemonia cattolica, avrebbe probabilmente la-sciato perdere, ma fu convinto ad agire dal segretariodi Stato cardinal Consalvi: la colonia artistica interna-zionale di Roma fu mobilitata a favore del ritorno eanche il popolo romano fu coinvolto. Poiché le cassepontificie erano vuote, il governo inglese si assunse lespese di trasporto e respinse la proposta vaticana di ac-

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cettare alcuni oggetti antichi a titolo di indennizzo. Lostesso Canova donò piú tardi ai principali interessatialcune delle sue apprezzatissime opere, per ringraziarlidell’appoggio ricevuto nella sua difficile missione.Giunto a Parigi verso la fine di agosto, Canova avevasubito fatto visita al ministro e ambasciatore prussianoWilhelm von Humboldt, già incontrato a Roma, otte-nendone però scarsi incoraggiamenti. Come apprendia-mo dalla corrispondenza di Denon fu il suo amico Ri-chard William Hamilton, noto mercante d’arte edesperto di antichità, e ora sottosegretario attaché al vi-sconte di Castlereagh, a influenzare i politici inglesi insenso favorevole alla causa pontificia. Per due mesi,dalla metà di settembre alla metà di novembre, nonpassò quasi giorno senza che l’una o l’altra delegazionesi presentasse all’amministrazione del Louvre con isuoi elenchi di opere da restituire. Data l’intransigenzadi Denon, il compito di trattare con i rappresentantistranieri ricadde in questo periodo sul segretario gene-rale Athenase Lavallée.

Dopo che il direttore dei musei viennesi Rosa avevatentato inutilmente di vedere Denon, il 23 settembresi presentò un aiutante del principe di Schwarzenberg,comandante in capo delle truppe austriache, con l’ordi-ne di consegnare gli oggetti d’arte trafugati a Venezia,Parma, Firenze e Piacenza. Nonostante la promessafatta dagli Alleati di rispettare i monumenti parigini,gli austriaci non poterono fare a meno di mettere lemani sui quattro cavalli di San Marco, che coronavanol’Arco di Trionfo sulla Place du Caroussel in direzionedelle Tuileries. Comunque il gesto possa essere giudi-cato, i cavalli e il leone di bronzo di San Marco, collo-cati nel giardino del Dom des Invalides, erano troppolegati al ricordo della grandezza napoleonica per poterrimanere al loro posto. Per evitare attriti con la popo-lazione parigina, i quattro cavalli furono staccati notte-tempo dal carro di trionfo e quando, il giorno successi-

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vo, furono portati via, le vie d’accesso alla piazza furo-no bloccate per lungo tratto dai militari.

Curiosamente, delle pitture dei soffitti del PalazzoDucale di Venezia non fu chiesta la restituzione, mentreil ritorno dell’ammiratissima tela di Tiziano, Il martiriodi san Pietro, si rivelò a posteriori un episodio infelicepoiché il quadro andò distrutto in un incendio verso lafine dell’800 nella Cappella del Rosario della Chiesa diSan Giovanni e Paolo. E mentre l’Assunzione di Maria,sempre di Tiziano, ritornò nella sua sede originaria allaCattedrale di Verona, l’Incoronazione di spine provenien-te dalla chiesa milanese di Santa Maria delle Grazie ri-mase a Parigi (Louvre). Evidentemente i commissari au-striaci per l’Italia del Nord, Adriani e Pozzi, non eranoabbastanza informati, o, se lo erano, preferivano permotivi politici adottare una linea piú conciliante.

Della partenza della Venere Medici abbiamo un reso-conto drammatico in una cronaca londinese: «Lunedíscorso la Venere fu caricata su un carro [nel cortile delLouvre] alla presenza di sir Lawrence [Thomas Law-rence, il famoso ritrattista inglese] e dei signori Chan-try e Canova. Questi ultimi scoppiarono in lacrime, maun ufficiale tedesco si mise a ridere e a schernirli, men-tre la folla radunata scagliava ingiurie all’indirizzo deisoldati inglesi di guardia». Le opere d’arte erano di-ventate una passione nazionale.

Verso la fine di settembre tre o quattro commissionierano impegnate contemporaneamente a staccare i loroquadri dalle pareti del Louvre: Lavallée era indaffara-tissimo a controllare e registrare, mentre Denon stilavainutili resoconti ai ministri. Oltre agli austriaci c’eraanche il plenipotenziario del re di Sardegna Luigi Co-sta, impegnato a recuperare i quadri della Galleria Sa-bauda di Torino e a rivendicare, come si è già visto, ilsuo Giulio Romano genovese. Costa si dimenticò tut-tavia della piccola Annunciazione dal dittico di Rogiervan der Weyden, che oggi non esiteremmo a giudicare

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piú importante del Giulio Romano. Anche l’ambascia-tore del re di Spagna, marchese d’Alava, chiese infinela restituzione dei dipinti giunti al Louvre attraversoGiuseppe Bonaparte e il maresciallo Soult e non inclu-si nella precedente spedizione del 1814.

Il 2 ottobre anche Canova poté finalmente incomin-ciare a esaminare le opere d’arte trafugate a Roma enegli Stati vaticani; operazione che, per la grandequantità di dipinti, sculture, vasi, oggetti d’arte, ma-noscritti e stampe preziose durò fino alla fine del mese.Per dimostrare la propria buona volontà, l’amabilescultore rinunciò fin dall’inizio a 23 dei quadri vaticaniche furono distribuiti fra castelli, chiese e musei diprovincia. Nella cernita delle sculture antiche Canovalasciò da parte anche altre opere che per le loro dimen-sioni, come il Tevere, Melpomene o i colossi di tre im-peratori romani, erano troppo ingombranti per il tra-sporto. Quanto la situazione fosse confusa risulta dauna lettera in cui Denon comunica al conte Pradel cheil cavaliere d’Este, accompagnatore di Canova, volevariavere a Roma alcune statue antiche per la famigliaBraschi (Denon scrive «Draschi»). E poiché il governofrancese nel 1802 – ossia alla firma del Concordato –aveva versato al principe Braschi alcune centinaia dimigliaia di franchi a titolo di risarcimento, Denon dicedi non poter accettare la richiesta. La stessa letteraspiega inoltre per quale motivo il ritratto equestre diFrancisco Moncada, dipinto da Anton van Dyck, comepure una Madonna di Giulio Romano proveniente dal-la collezione Braschi non abbiano mai lasciato il Lou-vre. Attraverso un ambasciatore, il cardinale Albanipropose invece al Louvre di riscattare la sua collezionedi 28 statue, 19 busti piú un certo numero di pezzi va-ri per la somma complessiva di 300000 franchi. Vi-sconti preferí scegliere alcune delle opere migliori, chefurono acquistate per il museo; le altre furono venduteal re Luigi I di Baviera per la Pinacoteca di Monaco.

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A prescindere dal fatto che l’enorme numero e lavarietà dei dipinti e delle sculture trafugati negli Statidella Chiesa, da Bologna a Pesaro, a Perugia, a Roma,avrebbero richiesto comunque l’intervento di piúesperti, Canova era troppo legato al classicismo di que-gli anni per valutare in modo obiettivo opere d’arteestranee al gusto neoclassico e accademico. Canova e isuoi collaboratori non si preoccuparono di rintracciaretutte le opere trafugate nei conventi e nelle chiese se-colarizzate: secondo i dati forniti da Marie-Louise Blu-mer, su 506 dipinti di provenienza italiana, ben 248,ossia circa la metà, rimasero in Francia, e buona partedi questi provenivano dagli Stati della Chiesa.

Ancora piú sorprendente è però un altro fatto, a cuidel resto abbiamo già accennato: i commissari italianinon si preoccuparono di ricomporre gli altari smembra-ti. Non solo restarono in Francia parti di predelle co-me quelle dell’altare Strozzi di Gentile da Fabriano(Firenze, Uffizi) o dell’altare di San Zeno a Verona delMantegna, ma anche le numerose tavole isolate del Pe-rugino e di altri maestri, che troviamo oggi nei museifrancesi, testimoniano questa curiosa dimenticanza.

Dopo lunghi indugi le opere d’arte italiane furonofinalmente pronte per il rientro, e il 24 ottobre un con-voglio di 41 carri con 200 cavalli da tiro partí da Parigiper Milano con una scorta di soldati tedeschi. A Mila-no il carico fu distribuito e proseguí per le diverse loca-lità d’origine: 16 carri si diressero verso i vecchi Statiaustriaci, 12 verso Roma, otto verso Torino e cosí via.Il Museo Vaticano ne trasse i maggiori vantaggi, poichénumerose tavole d’altare e quadri devozionali già appar-tenuti a chiese e conventi non furono restituiti alla lorosede d’origine ma rimasero nelle collezioni pontificiedel Belvedere, del Campidoglio o del Quirinale.

Il 15 novembre il segretario generale Lavallée potéinformare il ministro conte Pradel che le operazioni direstituzione erano ultimate, e trasmettergli i relativi

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inventari. Dei 5233 complessivi, almeno 2000 tra di-pinti e sculture antiche potevano annoverarsi, secondoLavallée, tra le opere di prima qualità. L’inventario diLavallée permette inoltre di dare un ultimo sguardod’insieme alla massa dei tesori requisiti: la Spagna el’Austria riottennero rispettivamente 248 e 325 dipin-ti, Berlino 258 bronzi (oltre a pezzi di altra natura),Braunschweig 243 disegni (quelli di Modena rimaseroa Parigi), come pure 1154 smalti e maioliche, sebbeneil commissario di Braunschweig Schütz dichiarasse an-cora il 6 ottobre che dei 538 cammei conservati alla Bi-bliothèque Nationale di Parigi ne mancavano ben 240.Poco prima dell’arrivo degli Alleati a Parigi, Napoleo-ne aveva inviato al Louvre il suo aiutante Flahaut conl’ordine di nascondere i pezzi piú preziosi, e non c’èdubbio che l’ordine sia stato eseguito. Del resto, leenormi proporzioni del bottino, la varietà dei luoghi incui era conservato e la passione collezionistica dell’im-peratrice Giuseppina ma anche dei generali e dei suoifavoriti impedivano allo stesso Denon di tenere la si-tuazione sotto controllo.

Oltre a questo fatto e alla confusione generale, lascomparsa di alcuni pezzi fu poi facilitata anche daun’altra circostanza: l’identificazione delle singole ope-re non avveniva come oggi attraverso il rapido mezzofotografico, ma si avvaleva di descrizioni o piú rara-mente di riproduzioni a stampa. Anche con gli elenchisottomano i commissari incontravano spesso serie dif-ficoltà a stabilire la raccolta di provenienza di questa oquella Adorazione dei Magi attribuita a Rubens, di que-sta o quella Crocifissione di Van Dyck, dei molti Ada-mo ed Eva sotto il nome di Cranach o degli interniolandesi cosí difficili da descrivere. Non c’è dunque dastupirsi se una Salomè di Andrea Solario, appartenutain origine alla galleria granducale di Oldenburg, sia fi-nita al Metropolitan Museum di New York passandoda Malmaison, come anche la Mietitura di Pieter Brue-

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ghel il Vecchio, appartenuta in origine agli Asburgo, eprecisamente a quella serie di quadri a cui Füger avevagenerosamente rinunciato in cambio di alcune operedel Seicento francese.

Il grande Museo di Napoleone non finí tuttavia conla dispersione materiale dei suoi capolavori. Il suoesempio stimolante gli sopravvisse a lungo, contribuen-do in modo decisivo alla formazione di tutti i museieuropei. Il Louvre, museo nazionale di Francia, avevadimostrato per la prima volta che le opere d’arte delpassato, anche se raccolte dai principi, appartenevanoin realtà ai loro popoli, e fu questo principio (con l’ec-cezione della collezione reale britannica) a ispirare igrandi musei pubblici dell’800. Persino i Borboni, dicui si diceva che non avessero dimenticato nulla e im-parato nulla, non ebbero il coraggio di ripristinare laloro vecchia raccolta privata. Il re di Prussia, la Corteviennese, il re di Spagna e i re di Baviera e di Sassoniaaprirono tutti, prima o poi, le loro raccolte al pubblico.L’esempio del Louvre non contribuí solo, del resto, al-la nascita di nuovi musei, ma diede anche impulso a unnuovo spirito critico (per esempio attraverso la pubbli-cazione di cataloghi) e a quella nuova forma di culturastorico-artistica che troverà espressione verso la metàdel secolo in figure come quella di Waagen, direttoredel Museo di Berlino.

Mentre nel Settecento il dilettantismo amatoriale eil gusto dell’epoca avevano determinato in larga misural’attività collezionistica, il movimento massiccio diopere d’arte provocato dalla politica di conquista rivo-luzionaria e napoleonica imposero nell’Ottocento lanecessità di una classificazione storica e di una elabora-zione critica del patrimonio artistico. Nomi genericicome quelli di «Van Dyck» o di «Dürer» cedettero ilpasso ad attribuzioni piú precise, come nel caso dellapiccola Annunciazione del Museo di Dresda, registrataancora nel 1835 come opera di Dürer o di «scuola te-

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desca», è indicata nel catalogo del 1840 come opera diHubert van Eyck, che è un’attribuzione molto piú vi-cina alla verità.

Il ritorno delle opere d’arte trafugate ebbe poi, diper se stesso, un effetto notevole e inatteso. Confon-dendosi col clima di entusiasmo patriottico suscitatodalla vittoria e dalla liberazione, esso contribuí a crea-re la coscienza di un patrimonio artistico nazionale, co-scienza che nel ’700 non esisteva. Quasi dovunque,nelle Fiandre e in Olanda, a Berlino e a Roma, l’avve-nimento fu festeggiato con mostre pubbliche e articolidi giornale. A Berlino, nel palazzo dell’Accademia, fuallestita una mostra a favore dei veterani feriti, il cuicatalogo elencava 59 dipinti e portava il titolo signifi-cativo: Elenco dei quadri e delle opere d’arte riconquista-te dal valore delle patrie truppe. Al centro dell’esposizio-ne si trovava l’altare di Danzica col Giudizio Universaledi Hans Memling.

Nel novembre 1817, dopo essersi prodigato a lungoe non del tutto inutilmente, Denon sentí che era venu-to il momento di ritirarsi: la sua missione era finita e ilnuovo clima della Restaurazione non era piú favorevo-le ai personaggi di spicco del periodo napoleonico comelui o come Talleyrand. Fu sostituito da un uomo dicorte, il conte Forbin, e il re lo ringraziò per il servizioprestato. Il suo piú fedele collaboratore Lavallée andòin pensione nel giugno dell’anno successivo e morí pocodopo, come anche l’archeologo Ennio Quirino Viscon-ti, direttore da lunga data del Museo di Antichità.Visconti trovò in Clarac un successore in grado di pro-seguire la sua Iconografia dell’antichità classica, operache dopo quasi due secoli conserva ancora la sua utilità.L’ultimo servizio che Denon poté prestare al suo vecchiosignore, Napoleone, fu un elenco dei libri che l’ex-impe-ratore desiderava portare con sé in esilio. Tra questi, l’o-pera dello stesso Denon sulla conquista dell’Egitto e leincisioni delle battaglie napoleoniche preparate per una

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raccolta che non fu mai portata a termine. Il giovane pit-tore inglese Charles Eastlake, che nel 1815 si trovava aParigi come Sir Thomas Lawrence e che fu nominato piútardi direttore della Royal Academy, ci ha lasciato datestimone oculare l’ultima immagine dell’imperatoredeposto dal trono: sulla nave «Bellerofonte», ormai mas-siccio nella persona, mentre guarda nella sua posa abi-tuale verso remote lontananze.

Denon sopravvisse all’era napoleonica di dieci anni,e il grande romanziere Anatole France, che abitò nellastessa casa di Denon sul Quai Malaquais, ha lasciatouna descrizione, per la verità piuttosto fantasiosa, deisuoi ultimi anni di vita. Era conosciuto in tutta Euro-pa come il maggior conoscitore di arte antica, e lo zardi Russia, che aveva già fatto ricorso al suo aiuto nel1811 per l’acquisto di un Botticelli (Adorazione dei Ma-gi) da destinare all’Ermitage, lo consultava sempre pri-ma dei suoi acquisti. Tra i visitatori che passavano arendergli omaggi ricorderemo Lady Morgan, che nelsuo libro di memorie La France (1817, p. 307) riferiscele impressioni riportate durante la visita.

Ma l’occupazione principale della sua vecchiaia fucomunque l’inventario delle numerose opere d’arte cheDenon aveva in parte raccolto coi propri mezzi, in par-te ricevuto a titolo di dono. Come suole accadere per igrandi collezionisti, furono queste opere la gioia e lacompagnia dei suoi ultimi anni. Pur avendo avuto unavita molto ricca Denon non lasciò, a differenza del suomaestro Napoleone, libri di memorie. Il suo ricordopiú personale è affidato invece al catalogo delle sueopere d’arte e a un saggio di storia dell’arte, anchetroppo ambizioso per la sua epoca, pubblicato dal nipo-te Amoury-Duval subito dopo la sua morte, nel 1829,col titolo Monuments des Arts du dessin chez les peuplestant anciens que modernes, pour servir l’histoire de l’art.Le tavole che illustrano il volume riproducono perlopiúopere della sua collezione privata. Sulla collezione di

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Denon uscí nel 1826 un volume dal titolo Objets d’Artqui composent l’une des parties du Cabinet du feu M. lebaron Denon (editore L.-J. Dubois), che testimonia an-cora una volta la versatilità e l’ampiezza dei suoi inte-ressi artistici. La raccolta abbracciava in effetti quasitutti i periodi di cui Denon si era occupato al Louvre,dall’antichità al gotico, dalla pittura egizia al Settecen-to, dagli oggetti dell’arte orientale all’arte europea diogni epoca. Possedeva il Ritratto dell’orefice GiovanniCandida di Memling (oggi al Museo di Anversa), unafigura femminile inginocchiata di marmo e due «pleu-rants» dalle pareti laterali del monumento funebre diLouis de Male a Digione (oggi al Museo di Cleveland),un dittico consolare paleocristiano in avorio, con la fi-gura di Adamo seduto e circondato da animali (Firen-ze, Museo del Bargello), sarcofagi e ritratti di mummiee papiri dipinti, sculture egizie in pietra e in bronzo,pietre mesopotamiche intagliate e vasi greci ed etru-schi dipinti, e circa trecento opere greche e romane deigeneri piú diversi. E per finire, pezzi di arte precolom-biana dal Perú e dal Messico.

Se cerchiamo di abbracciare con lo sguardo l’interoarco di quegli anni, nessuno meglio di Jean-Louis Da-vid – il vecchio rivoluzionario e il grande pittore del-l’era napoleonica – poteva tenere la sua orazione fune-bre: l’orazione funebre dell’età eroica in cui crebberoGéricault e Délacroix. La morte di David, avvenuta inquello stesso anno 1825, segnava la fine di un’epoca.

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Capitolo quarto

F. Beaucamp, Le peintre lillois Jean-Baptiste Wicar(1762-1834) cit.

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M. de Madrazo, Historia del Museo del Prado 1818-68,Madrid 1945.

A. L. Mayer, Die Sevillaner Malerschule, Leipzig 1911.Martin J. Soria, The paintings of Francisco Zurbarán,

New York 1954.Evelyn Wellington, A descriptive catalogue of the collec-

tion of pictures and sculptures at Apsley House, Lon-don 1901.

A. A. Palomino de Castro y Velasco, El museo pictori-co y escala optica, Madrid 1715-24 (1795-97).

A. Ponz, Viaje de España, Madrid 1772.Catalogo della Collezione Soult, duca di Dalmazia,

pubblicato da Christie’s, London 1852.Catalogo della mostra «Spanish Old Masters», alle

Grafton Galleries, London 1913-14.

Capitolo ottavo

M.-L. Blumer, La Mission de Denon en Italie (1811), in«Revue des Études Napoléoniennes», novembre 1934.

Id., Catalogue des peintures transportées d’Italie en Fran-ce de 1796 à 1814 cit.

F. Lelièvre, Vivant Denon cit.

Paul Wescher - I furti d’arte. Napoleone e la nascita del Louvre

Storia dell’arte Einaudi 187

Page 188: 100744211 Paul Wescher I Furti d Arte Napoleone e La Nascita Del Louvre

W. e E. Paatz, Die Kirchen von Florenz, 5 voll., Frank-furt am Main 1940-54.

Capitolo nono

S. Béguin, Tableaux provenants de Naples et Rome en1802 restés en France cit.

M.-L. Blumer, Histoire sommaire du Musée du Louvrecit.

A. Campani, Sull’opera di Antonio Canova nel ricuperodei monumenti d’arte italiani a Parigi, in «Archiviostorico dell’Arte», 1892, pp. 189-216.

J. F. F. Emperius, Über die Wegführung undZurückkunft der braunschweigischen Kunstund Bü-cherschätze cit.

A. Gotti, Le gallerie di Firenze cit.C. Gould, Trophy of Victory cit.S. Grandjean, Les collections de l’Impératrice Joséphine

à Malmaison et leur dispersion, in «Revue des Arts»,vol. 9, 1959, pp. 193-98.

A. Lhotsky, Festschrift des Kunsthistorischen Museumscit.

E. Muentz, Les Invasions de 1814-15 et la Spoliation denos Musées, in «Nouvelle Revue», 1897.

C. Saunier, Les Conquêtes artistiques de la Révolutionetde l’Empire cit.

W. von Schadow, Verzeichnis der Gemalde, welche dur-ch die vaterländischen Tnuppen wieder erobert wurdencit.

A. Vesme, La regia Pinacoteca di Torino cit.H Vlieghe, Het verslag over de toestand ven de in 1815

uit Frankrijk naar Antwerpen terruggekeerde schilde-rijen, in «Jaarboek van het Koninklijk Museum voorschone Kunsten Antwerpen», 1971, pp. 273-83.

Paul Wescher - I furti d’arte. Napoleone e la nascita del Louvre

Storia dell’arte Einaudi 188

Page 189: 100744211 Paul Wescher I Furti d Arte Napoleone e La Nascita Del Louvre

Elenco delle opere trafugate

L’elenco non ha pretese di completezza. Per ogni operasono indicati il luogo d’origine e tra parentesi, il luogodov’è attualmente conservata. I nomi di città senz’altraindicazione si riferiscono al museo locale o comunque alprincipale museo. Ad esempio: Londra, National Gallery;Berlino, Staatliche Museen; Anversa, Musée Royal desBeaux-Arts; Braunschweig, Herzog Anton Ulrich-Mu-seum ecc.Per maggior completezza, l’elenco comprende anche alcu-ne opere non citate nel testo. Gli autori sono citati in or-dine alfabetico, utilizzando il nome piú diffuso e corrente(Correggio anziché Allegri, Orazio Gentileschi anzichéOrazio Lomi ecc.). Le opere sono registrate secondo le at-tuali attribuzioni, mentre quelle scomparse non sono com-prese nell’elenco (salvo eccezioni).L’asterisco rimanda all’illustrazione; le cifre si riferisconoai numeri di pagina.

Storia dell’arte Einaudi 189

Page 190: 100744211 Paul Wescher I Furti d Arte Napoleone e La Nascita Del Louvre

ALTDORFER, ALBRECHT

MonacoLa battaglia di Alessandro (restituita), 94, 144,145.

AMBERGER, CHRISTOPH

ViennaTrittico di san Sebastiano (restituito).

ANGELICO, BEATO (Giovanni da Fiesole)Fiesole, Chiesa di San Domenico

Incoronazione della Vergine (Parigi, Louvre), 136.Perugia

Due scene della Vita di san Nicola di Bari, dallapredella dell’altare di San Domenico (Roma, Va-ticano), 138.

BALDUNG, HANS

BerlinoCaritas (restituito), 18.

Praga, CastelloMercurio (Stoccolma), 18.

BAROCCI, FEDERICO

Perugia, DuomoDeposizione dalla Croce (restituito).

Pesaro, Confraternita del Sacro Nome

Storia dell’arte Einaudi 190

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Circoncisione di Cristo (Parigi, Louvre), 69, 101.– Cattedrale e Loreto, Palazzo ApostolicoDue annunciazioni (Nancy, Musée des Beaux-Arts e Roma, Vaticano), 69.– Confraternita di Sant’AndreaVocazione degli Apostoli Pietro e Andrea (Bruxel-les, Musées Royaux des Beaux-Arts), 69.

BARTOLO, TADDEO DI

Pisa, San Paolo all’OrtoAltare della Vergine (Grenoble, Museé de pein-ture et de sculpture), 134.

BARTOLOMEO, FRA E ALBERTINELLI

Autun, CattedraleSposalizio di santa Caterina (Parigi, Louvre), 29.

Firenze, Palazzo PittiSan Marco e Resurrezione di Cristo (entrambi re-stituiti), 85.

MilanoAnnunciazione (in due parti, completata da Ma-riotto Albertinelli; Ginevra, Museé d’Art), 60.

ViennaMadonna (restituita), 128.

BEHAM, BARTHEL

ViennaErezione della Croce (restituita), 127.

BELLINI, GIOVANNI

Pesaro, San FrancescoPietà (Roma, Vaticano)

Venezia, San ZaccariaVergine in trono con santi (restituito), 73, 80.

ViennaEbbrezza di Noè (Grenoble, Museé de peinture etde sculpture, attribuita a Lorenzo Lotto), 128.

Storia dell’arte Einaudi 191

Page 192: 100744211 Paul Wescher I Furti d Arte Napoleone e La Nascita Del Louvre

BOETO DI CALCEDONIA (copia romana da)Roma, Museo Capitolino

Fanciullo che strozza l’oca (restituito), 77.

BOL, FERDINAND

BraunschweigDue bozzetti a olio per il Municipio di Amster-dam, Il trionfo del console Decio Mure e Gige eCandaule (restituiti), 114.

L’AiaIl profeta Elia (restituito)

MonacoUn filosofo (Bruxelles, Museés Royaux desBeaux-Arts).

TorinoRitratto di una coppia (restituito; attribuito aRembrandt).

BOLTRAFFIO, GIOVANNI ANTONIO

Milano, Pinacoteca di BreraMadonna della famiglia Casio (Parigi, Louvre), 139.

BORDONE, PARIS

Firenze, Palazzo PittiRitratto di donna (restituito).

Venezia, Scuola di San MarcoLa consegna dell’anello al Doge (Venezia, Galleriedell’Accademia), 73.

ViennaMarte, Venere e Amore e Marte disarma Amore (re-stituiti), 128.

BOUCHARDON, EDME

ParigiMonumenti equestri dei re Luigi XIV e LuigiXV (distrutti), 24.

Paul Wescher - I furti d’arte. Napoleone e la nascita del Louvre

Storia dell’arte Einaudi 192

Page 193: 100744211 Paul Wescher I Furti d Arte Napoleone e La Nascita Del Louvre

BOURDICHON, JEAN

Parigi, Saint-Germain-des-PrèsManoscritto miniato delle Lettere di san Gerola-mo per Anna di Bretagna(Leningrado, Biblioteca Nazionale), 28.

BOUTS, DIERICK

Abbazia di TongerlooTavole laterali di un trittico della Crocifissionecon l’Ascesa dei Beati(Lilla, Musée des Beaux-Arts) e la Caduta deidannati all’inferno (Parigi, Louvre), 47.

BRONZINO, AGNOLO DI COSIMO

Firenze, Santo SpiritoCristo appare alla Maddalena (Parigi, Louvre),137.

BRUEGHEL, PIETER IL VECCHIO

Praga, CastelloGreta la Pazza (Anversa, Museo Mayer van denBergh), 18.Il paese di Cuccagna (Monaco, Alte Pinakothek),18.

ViennaNozze contadine, Ladro di Uccelli, Autunno e In-verno (Vienna, Kunsthistorisches Museum), 127.L’estate (New York, Metropolitan Museum),127, 130.

BRUYN, BARTHOLOMAEUS IL VECCHIO

TorinoPalazzo RealeRitratto di una coppia (attribuito ad Hans Hol-bein, restituito), 83.

Paul Wescher - I furti d’arte. Napoleone e la nascita del Louvre

Storia dell’arte Einaudi 193

Page 194: 100744211 Paul Wescher I Furti d Arte Napoleone e La Nascita Del Louvre

BURGKMAIR, HANS

ViennaI santi Sigismondo e Sebastiano (Norimberga,Stadt Nürnberg Museen), 90.

CAMPAGNA, PEDRO

Siviglia, Convento dei DomenicaniDeposizione dalla Croce (Montpellier), 117.

CANO, ALONSO

Siviglia, Santa PaulaDue Visioni dell’Apostolo Giovanni (da un ciclodi cui due pezzi al Ringling Museum di Sarasota,gli altri alla Wallace Collection di Londra).

CARAVAGGIO, MICHELANGELO DA

Anversa, San PaoloMadonna del Rosario (Vienna, KunsthistorischesMuseum), 38.

Roma, Chiesa NuovaDeposizione (Roma, Vaticano, Pinacoteca), 79.

CARPACCIO, VITTORE

Milano, Pinacoteca di Brera (cambio)Predica di santo Stefano (da un ciclo destinato inorigine alla Scuola di Santo Stefano a Venezia;ora a Parigi, Louvre), 139.

CARRACCI, AGOSTINO

Bologna, San SalvatoreResurrezione di Cristo (Bologna, Pinacoteca Na-zionale).

– CertosaComunione di san Gerolamo (Bologna, PinacotecaNazionale).

Paul Wescher - I furti d’arte. Napoleone e la nascita del Louvre

Storia dell’arte Einaudi 194

Page 195: 100744211 Paul Wescher I Furti d Arte Napoleone e La Nascita Del Louvre

CARRACCI, ANNIBALE

BerlinoErcole tra il Vizio e la Virtú (restituito), 107.

Bologna, Corpus DominiResurrezione di Cristo (Parigi, Maison Laffitte),62.

BraunschweigCoppia di amanti (restituito con attribuzione aTiziano), 113.

Modena, Palazzo DucaleI quattro elementi (Modena, Galleria Estense),59.La Madonna appare a santa Caterina e a san Luca(Parigi, Louvre).

Parma, Chiesa dei CappucciniPietà (Parma, Galleria Nazionale).

CARRACCI, LUDOVICO

Bologna, San DomenicoLa Madonna appare a san Giacinto (Parigi, Lou-vre), 62.

Modena, Galleria EstenseMartirio degli apostoli Pietro e Paolo (Rennes, Mu-sée des Beaux-Arts).

Piacenza, DuomoLa sepoltura di Maria e Gli apostoli trovano rosenella sua tomba (Parma, Galleria Nazionale).

CIMA DA CONEGLIANO

Parma, CattedraleMadonna con santi (Parma, Galleria Nazionale),138.

CIMABUE

Pisa, San FrancescoMadonna in trono (Parigi, Louvre), 133.

Paul Wescher - I furti d’arte. Napoleone e la nascita del Louvre

Storia dell’arte Einaudi 195

Page 196: 100744211 Paul Wescher I Furti d Arte Napoleone e La Nascita Del Louvre

CLEVE, JOOS VAN

Genova, Santa Maria della PaceDeposizione dalla Croce (Pala d’altare, Parigi,Louvre), 133.

CLOUET, FRANCOIS

ViennaRitratto del re Carlo IX di Francia (Parigi, Lou-vre), 127.

COELLO, ALONSO

MadridRitratto del re Filippo II di Spagna (restituito),123.

COLOMBE, JEAN

Parigi, Saint-Germain-des-PrèsManoscritto miniato della Histoire de Troy (Le-ningrado, Biblioteca Nazionale), 28.

CORNELISZ, JACOB

Kassel, CastelloCristo appare alla Maddalena (Kassel, StaatlicheKunstsammlungen), 111.

L’Aia, MauritshuisSalomè (attribuito a Lucas van Leiden, restitui-to).

Napoli (dalla Chiesa di San Luigi dei Francesi, Ro-ma)Adorazione del Bambino (attribuito a Dürer; Na-poli, Museo di Capodimonte), 87.

CORREGGIO, ANTONIO ALLEGRI detto ilMadrid, Collezione Reale

Cristo sul Monte degli Ulivi (Londra, Apsley Hou-se), 124.

Parma, Reggia

Paul Wescher - I furti d’arte. Napoleone e la nascita del Louvre

Storia dell’arte Einaudi 196

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Madonna con san Gerolamo (Parma, Galleria Na-zionale), 61.

– Chiesa del Santo SepolcroMadonna della scodella (Parma, Galleria Naziona-le), 61.

– Chiesa di San Giovanni EvangelistaMartirio dei santi Flavia e Placido (Parma, GalleriaNazionale), 61.

Praga, CastelloDanae (Roma, Galleria Borghese), 18.Leda (Berlino, Staatliche Museen), 18, 107.

CRANACH, LUCAS IL VECCHIO

Berlino, Collezione d’OrangeAdamo ed Eva Il giudizio di Paride, Venere e Amo-re, David e Betsabea, Ritratto del Cardinale Alber-to di Brandeburgo, La fontana della giovinezza(Berlino, museo), 108.

Braunschweig, Collezione DucaleErcole e Onfale (Braunschweig, Herzog AntonUlrich Museum), 114.

CRAYER, GASPARD DE

Anversa, Chiesa dei Domenicani di San PaoloCompianto di Cristo (restituito), 42.

Bruxelles, Corporazione dei pescatoriLa pesca miracolosa (Bruxelles, Musées Royauxdes Beaux-Arts), 45.

– Chiesa di SablonMadonna (Bruxelles, Musées Royaux des Beaux-Arts).

– Chiesa di Santa CaterinaMartirio di diversi santi (Lilla, Musée des Beaux-Arts), 45.Santa Caterina (Lilla, Musée des Beaux-Arts), 45.

– Convento degli Alessiani

Paul Wescher - I furti d’arte. Napoleone e la nascita del Louvre

Storia dell’arte Einaudi 197

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Gli eremiti Paolo e Antonio (Bruxelles, MuséesRoyaux des Beaux-Arts).

Gand, MunicipioErcole e Onfale (Marsiglia, Musée des Beaux-Arts), 49.

– St. PeterIncoronazione della Vergine con santa Rosalia e an-geli (Museo).Madonna con santa Caterina (Grenoble, Musée dePeinture).

Lovanio, San PietroSan Carlo Borromeo (Nancy, Musée des Beaux-Arts).

Malines, Chiesa dei CappucciniEducazione della Vergine Maria (Nantes, Muséedes Beaux-Arts), 44.

Malines, Chiesa dei CapucciniMadonna con san Francesco (Nantes, Musée desBeaux-Arts), 44.

CRIZIO e NESIOTES

AteneGruppo dei Tirannicidi (ubicazione ignota), 5.

CUYP, ALBERT

Parigi, Collezione della marchesa di Noailles-de-Cossé-BrissacPastore e pastorella (Parigi, Louvre), 32.

DAVID, GÉRARD

Bruges, San BasilioAltare dei cancellieri col Battesimo di Cristo (Mu-

seo), 48.– Municipio

Giustizia di Cambise (Bruges, Groeningemu-seum), 48, 54.

Paul Wescher - I furti d’arte. Napoleone e la nascita del Louvre

Storia dell’arte Einaudi 198

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DOMENICHINO, FRANCESCO ZAMPIERI detto ilBologna, San Giovanni al Monte

Madonna del Rosario (Bologna, Pinacoteca Nazio-nale).

– Sant’AgneseMartirio di sant’Agnese (Bologna, Pinacoteca Na-zionale)

Roma, San Gerolamo della CaritàComunione di san Gerolamo (Roma, Museo Capi-tolino), 79

DOSSI, DOSSO

Modena, Galleria DucaleSacra conversazione (restituito), 61.

DOU, GERARD

Braunschweig, Galleria DucaleAutoritratto, Vecchio che legge (Il padre di Rem-brandt) e Astronomo (restituiti), 114.

Kasselll padre e la madre di Rembrandt (restituito).Venditrice di aringhe (due versioni, entrambe aLeningrado, Ermitage), 109.La trappola per topi (Montpellier).

L’AiaGiovane madre (1658), e Cuoca (restituiti),Ragazza alla finestra (Torino), 52.

OldenburgRitratto virile (restituito).

SchwerinCinque tele, tra cui Il dentista (restituito).

Torino, Palazzo RealeDonna idropica (Parigi, Louvre), 82.Ragazza col grappolo d’uva e Geografo (restituiti),83.

Paul Wescher - I furti d’arte. Napoleone e la nascita del Louvre

Storia dell’arte Einaudi 199

Page 200: 100744211 Paul Wescher I Furti d Arte Napoleone e La Nascita Del Louvre

DÜRER,ALBRECHT

ViennaSalita al Calvario, disegno (restituito).

DYCK, ANTON VAN

Anversa– Chiesa dei Domenicani di San PaoloCrocifissione coi santi Domenico e Caterina (resti-tuito), 41.Salita al Calvario (Anversa, Museo Meyer vanden Bergh), 42.– Chiesa dei RecollettiRitratto dell’abate Scaglia (Parigi, Louvre).– Chiesa di Sant’AgostinoVisione di sant’Agostino (restituito), 42.Compianto di Cristo con due angeli (Pala d’altare,restituito), 41.

BraunschweigRitratto del pittore Van Uffel (restituito).

BrugesPala d’altare col Cristo deriso (Berlino), La discesadello Spirito Santo e i due Giovanni (in origine al-l’Abbazia di Dunes, perduti), 107.Miracolo dei serpenti (già alla Collezione Cook diRichmond), 107.

Courtrai, Notre-DameErezione della Croce (restituito), 50.

Firenze, Palazzo PittiRitratto del cardinale Guido Bentivoglio (restitui-to), 85.

Gand, San MicheleTrittico della Crocifissione (restituito), 49.

L’Aia, Palazzo RealeRinaldo e Armida (Parigi, Louvre), 52.Ritratti del pittore Quinten Simons e di sua mo-glie, dei due principi palatini in armatura, dei figligiovinetti di Carlo I d’Inghilterra (restituiti), 52.

Paul Wescher - I furti d’arte. Napoleone e la nascita del Louvre

Storia dell’arte Einaudi 200

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Madrid, Palazzo RealeSan Gerolamo e angeli (Stoccolma, museo).

Malines Chiesa dei Recolletti e Chiesa dei Minne-broerCrocifissione di Cristo (Malines, San Romualdo),44.Comunione di san Bonaventura (Caen, MuséeRoyaux des Beaux-Arts), 44.Miracolo dell’asino (Tolosa, museo), 44.Salita al Monte Calvano (Bruxelles, MuséesRoyaux des Beaux-Arts), 44.

Roma, Collezione BraschiRitratto equestre di Francisco Moncada (Parigi,Louvre), 152.

Saventhem, ChiesaSan Martino divide il suo mantello (restituito), 45.

Thermonde, Notre-DameNatività (1631) e Altare di san Francesco (resti-tuiti), 44, 50.

Torino, Palazzo RealeAmarilli e Mirtilo (da Tiziano) (Torino).I figli di Carlo I d’Inghilterra (Torino, Galleria Sa-bauda), 83.

EECKHOUT, JAN VAN

BraunschweigSette quadri, tra i quali Tobia risana il padre ciecoe Il fiorino della vedova (restituiti), 114.

ELSHEIMER, ADAM

BraunschweigAurora (restituito), 114.

ENDOIOS

Statua eburnea di Atena Alea di Tegea (colloca-zione sconosciuta), 8.

Paul Wescher - I furti d’arte. Napoleone e la nascita del Louvre

Storia dell’arte Einaudi 201

Page 202: 100744211 Paul Wescher I Furti d Arte Napoleone e La Nascita Del Louvre

EYCK, HUBERT E JAN VAN

Autun, CattedraleMadonna Rolin (Parigi, Louvre), 28, 101.

Bruges, San DonazianoAltare della Madonna van der Paele (restituito),48.

Gand, San BavoneTavola centrale dell’altare di Jodocus Vydt (resti-tuita), 48, 54.

ViennaRitratto dell’orefice Jan de Leeuwe (restituito),127.

FABRITIUS, BARENT («Carel»)Braunschweig

Pietro nella casa del console Cornelio (restituito),114.

FIDIA

Atene, AcropoliAtena Promachos (Costantinopoli, distrutta), 11.

Roma, Portico di OttaviaVenere (scomparsa).

FLINCK, GOVERT

Parigi, Collezione della marchesa di Noailles-de-Cossé-BrissacPastorella (Parigi, Louvre), 32.

FLORIS, FRANS

Anversa, Notre-DameLa caduta degli angeli (Anversa), 40.

FOUQUET, JEAN

Loches, ChiesaAltare della Vergine di Etienne Chevalier (An-versa e Berlino).

Paul Wescher - I furti d’arte. Napoleone e la nascita del Louvre

Storia dell’arte Einaudi 202

Page 203: 100744211 Paul Wescher I Furti d Arte Napoleone e La Nascita Del Louvre

Libro d’ore di Etienne Chevalier (Chantilly, Mu-sée Condé), 28.

GAROFALO, FRANCESCO

Modena, Galleria EstenseSacra conversazione (restituito), 61.

GENTILE DA FABRIANO

Firenze, Santa TrinitaPresentazione al Tempio, predella dell’Adorazionedei Magi degli Uffizi (Parigi, Louvre), 136, 152.

GENTILESCHI, ORAZIO

TorinoAnnunciazione (restituito), 84.

GHIRLANDAIO, BENEDETTO

Firenze, Santo SpiritoSalita al Monte Calvario (Parigi, Louvre), 137.

GHIRLANDAIO, DOMENICO

Firenze, Santa Maria Maddalena de’ PazziVisitazione della Vergine (Parigi, Louvre), 136,137.

GHIRLANDAIO, RIDOLFO

Firenze, Convento delle monache di RipoliIncoronazione della Vergine (Parigi, Louvre).

GIORDANO, LUCA

ViennaRipudio di Agar (restituito).

GIORGIONE, GIORGIO BARSARELLI DA CASTELFRANCO

dettoBraunschweig, Castello

Paul Wescher - I furti d’arte. Napoleone e la nascita del Louvre

Storia dell’arte Einaudi 203

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Autoritratto (Braunschweig, Herzog Anton Ulri-ch-Museum), 113.

Firenze, Palazzo PittiLe tre età dell’uomo e Il concerto (restituiti), 85.

GIOTTO DA BONDONE

Firenze, San FrancescoSan Francesco riceve le stimmate (Parigi, Louvre),

134.

GOSSAERT, JAN MABUSE

Praga, CastelloDanae (Monaco, Pinacoteca), 18.

ViennaSan Luca che dipinge la Madonna (restituito), 127.

GOYA, FRANCISCO

MadridRitratto della marchesa de Santa Cnuz come «mu-sa» (Los Angeles, County Museum), 125.

GOZZOLI, BENOZZO

Pisa, DuomoTrionfo di Tommaso d’Aquino (Parigi, Louvre), 134.

GUERCINO, GIOVANNI FRANCESCO BARBIERI detto ilBologna, San Gregorio

San Guglielmo di Aquitania prende l’abito mona-cale (Bologna, Pinacoteca Nazionale).

Cento, Chiesa di Santo SpiritoPietro riceve le chiavi della Chiesa (Cento, Pinaco-teca Civica).Madonna con santi (Bruxelles, Musées Royauxdes Beaux-Arts), 61.

Modena, Galleria EstenseMarte e Venere, Amnone e Tamara (restituiti), 61.

Paul Wescher - I furti d’arte. Napoleone e la nascita del Louvre

Storia dell’arte Einaudi 204

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RomaSepoltura e ascensione di santa Petronilla (1631)(Roma, Museo Capitolino), 78.

– VaticanoL’incredulità di Tommaso (restituito).

TorinoIl Ritorno del figliol prodigo (1618, dipinto per ilcardinale Ludovisi, restituito), 84.

HEEMSKERCK, MAERTEN VAN

BerlinoMomo biasima le opere degli dèi (restituito), 108.

Norimberga, MunicipioSan Luca che dipinge la Madonna (Rennes, Muséesdes Beaux-Arts), 90, 145.

HEYDEN, JAN VAN DER

KasselIl vecchio parco di Bruxelles e Veduta della Piazzadel Duomo a Colonia (restituiti), 111.Canale di Amsterdam (Leningrado, Ermitage),109.

L’AiaHuys ten Bosch e la Chiesa dei gesuiti di Düssel-dorf (restituiti), 52.

HOLBEIN, HANS IL GIOVANE

BraunschweigRitratto di Cyriacus Kale (restituito), 114.

L’AiaRitratto del falconiere Chessman, Ritratto di un fal-coniere (restituiti), 52.

PragaRitratto di Tommaso Moro (New York, Frick Col-lection), 18.

Paul Wescher - I furti d’arte. Napoleone e la nascita del Louvre

Storia dell’arte Einaudi 205

Page 206: 100744211 Paul Wescher I Furti d Arte Napoleone e La Nascita Del Louvre

HOLBEIN, HANS IL VECCHIO

Praga, CastelloAltare della Sacra famiglia (Lisbona, museo), 18.

JOOS VAN WASSENHOVE (Giusto di Gand)Gand, San Bavone

Crocifissione (restituito; Gand, proprietà pri-vata).

JORDAENS, JACOB

Alost, San MartinoTre scene dalla vita di san Rocco (restituite).

Anversa, Chiesa di Sant’AgostinoMartirio di santa Apollonia (restituito), 42.

Courtrai, Convento degli AgostinianiAdorazione dei Magi (Magonza, museo), 45.

Furnes, Sanckt WalburgGesú tra i Dottori (Magonza, museo), 45.

KasselLa famiglia del pittore Van Noort, Contadino colSatiro (restituiti), 111.

Lierre, Saint-GommaireCrocifissione (Bordeaux, Saint-André, insieme aun’altra versione dello stesso tema), 44.Natività (Lione, Musée des Beaux-Arts), 44.

Malines, Chiesa dei CappucciniSacra famiglia (Strasburgo, museo), 44.

Ruppelmonde, ChiesaVisitazione (Lione, Musée des Beaux-Arts), 44.

Tournai, San MartinoGuarigione di un ossesso (Bruxelles, MuséesRoyaux des Beaux-Arts), 50.

JUAN DE FLANDES

MadridUltima Cena (Londra, Apsley House).

Paul Wescher - I furti d’arte. Napoleone e la nascita del Louvre

Storia dell’arte Einaudi 206

Page 207: 100744211 Paul Wescher I Furti d Arte Napoleone e La Nascita Del Louvre

JUANEZ, JUAN DE

MadridUltima Cena (Madrid, Museo del Prado), 123.

KEYSER, THOMAS DE

L’AiaRitratto di gruppo degli scabini di Amsterdam (re-stituito), 52.

KULMBACH, HANS VON

ViennaNatività (restituito), 127.

LEONARDO DA VINCI

BerlinoVertumno e Pomona (attribuito allora a Leonar-do, ora a Melzi, restituito), 107, 144.

Milano Pinacoteca AmbrosianaCodice Atlantico (un volume alla BibliothèqueNationale di Parigi, gli altri restituiti), 59.

LIEVENS, JAN

BraunschweigSacrificio di Isacco (restituito), 114.

L’AiaMarte, Venere e Amore (restituito), 52.

LIPPI, FILIPPINO

Genova, San TeodoroMadonna con angeli adoranti (Genova, Museo diPalazzo Bianco), 133.

LIPPI, FILIPPO

Firenze, Santo SpiritoSacra Conversazione (Parigi, Louvre), 136.

Paul Wescher - I furti d’arte. Napoleone e la nascita del Louvre

Storia dell’arte Einaudi 207

Page 208: 100744211 Paul Wescher I Furti d Arte Napoleone e La Nascita Del Louvre

LISIPPO (e scuola)Macedonia

75 statue equestri dei compagni caduti di Ales-sandro Magno (Roma, Portico di Ottavia, di-strutte), 6.

LOO, JACOB VAN

BraunschweigBagno di Diana (restituito), 114.

LORRAIN, CLAUDE

El Escorial (Madrid)Paesaggio tiberino presso il Ponte Molle (Londra,Apsley House), 125.

Kassel, CastelloLe quattro ore del giorno; Il mattino, Il mezzogior-no (Leningrado, Ermitage), 33.

Parigi, Collezione de BrissacIl mattino e Il mezzogiorno (Parigi, Louvre), 33.

LUCAS VAN LEYDEN

BerlinoSan Gerolamo (restituito), 108.

BraunschweigAutonitratto (restituito), 144.

LUINI, BERNARDINO

Milano, Pinacoteca AmbrosianaMadonna e san Giovannino (Milano, PinacotecaAmbrosiana), 60.

MAINO, JUAN BAPTISTA DEL

MadridRiconquista di Bahia (Madrid, Museo del Prado),123.

Paul Wescher - I furti d’arte. Napoleone e la nascita del Louvre

Storia dell’arte Einaudi 208

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MANTEGNA, ANDREA

Mantova, Santa Maria della VittoriaMadonna della Vittoria (Parigi, Louvre), 65.

Verona, San ZenoAltare della Vergine con santi (restituito, le partidella predella sono a Parigi, Louvre e a Tours,Musée des Beaux-Arts), 65, 152.

MARTINI, SIMONE

Milano, Pinacoteca AmbrosianaManoscritto miniato delle Bucoliche di Virgilio(restituito), 59.

MASSONE, GIOVANNI

Savona, Chiesa dei RecollettiTavola d’altare (non ritrovata), 133.

MASSYS, QUENTIN

Lovanio, San PietroAltare della Sacra famiglia (1500), (Anversa), 49,54.

MAZO, JUAN BAPTISTA (da Velázquez)Madrid

Caccia al cinghiale nel parco del Buen Retiro (Lon-dra, Wallace Collection), 123

MELZI, FRANCESCO

BerlinoVertumno e Pomona (restituito con attribuzione aLeonardo), 107.

MEMLING, HANS

Bruges, Notre-DameScene della Passione e trittico della Vergine diGuillaume Morel (restituiti, Bruges, StedelükeMuseo), 48.

Paul Wescher - I furti d’arte. Napoleone e la nascita del Louvre

Storia dell’arte Einaudi 209

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Altare a portelle coi santi Cristoforo e Barbara(New York, Metropolitan Museum, LehmannCollection), 48.

Danzica, MarienkircheAltare con il Giudizio Universale di Jacopo Tani(restituito), 108, 155.

Parigi, Collezione DenonRitratto dell’orefice Giovanni Candida (Anversa),157.

Spagna, trafugato dal generale ArmagnacAltare di Jacques Floreins (Parigi, Louvre), 120.

METSU, JAN

L’AiaBevuta del cacciatore e Compagnia di musicanti (re-stituiti), 52.

MICHELANGELO BUONARROTI

Bruges, Notre-DameMadonna col bambino (restituita), 48.

Firenze, Palazzo PittiLe tre Parche (ora attribuite a Rosso Fiorentino,restituite).

MIRONE

Roma, Vaticano, Museo ChiorimontiCopia del Discobolo (restituita), 77.

Samo, Tempio di EraGruppo di Zeus, Atena ed Ercole (distrutto), 8.

MOR, ANTHONIS

KasselRitratti di Jan Lecocq e di sua moglie (restituiti),111.

L’AiaRitratto virile (restituito), 111.

Paul Wescher - I furti d’arte. Napoleone e la nascita del Louvre

Storia dell’arte Einaudi 210

Page 211: 100744211 Paul Wescher I Furti d Arte Napoleone e La Nascita Del Louvre

MOSTAERT, JAN

BerlinoRitratto virile (restituito con attribuzione ad Alt-dofer), 108.

MUELICH, HANS

MonacoCristo deriso e Deposizione (Svezia, Chiesa di Sol-na), 16.

MURILLO, BARTOLOMEO ESTEBAN

El Escorial, MadridMorte della Vergine (ignoto), 119.

– Collezione RealeIsacco benedice Giacobbe (Dallas, Virginia Mea-dows Museum), 125.Sposalizio della Vergine (Londra, Wallace Collec-tion), 124.Madonna col Pappagallo (Madrid, Museo del Pra-do), 123.Due ragazzi che mangiano per la strada (Parigi, col-lezione privata).

Siviglia, Palazzo ArcivescovileMadonna in gloria (Minneapolis, Walker Art Cen-ter), 122.

– Convento di San FranciscoCucina dell’angelo (Parigi, Louvre), 121.Estasi di san Diego davanti alla Croce (Tolosa, Mu-sée des Beaux-Arts), 121.Morte di santa Chiara (Dresda), 122.Sant’Egidio davanti al papa Gregorio IX (Raleigh,North Caroline Museum of Art), 122.

– Chiesa del Convento dei Mercedari ScalziFuga in Egitto (Detroit, Institute of Art), 121.

Siviglia, Palazzo Arcivescovile– Chiesa di Santa Maria la Blanca

Paul Wescher - I furti d’arte. Napoleone e la nascita del Louvre

Storia dell’arte Einaudi 211

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Quattro quadri di soggetto eucaristico (1665)(Parigi, Louvre), 123.Due quadri sulla Leggenda della fondazione di San-ta Maria Maggiore (Collezione di Lord Farington,in parte restituiti), 122, 123.

– Chiesa dell’Hospital de Venerables SacerdotesImmacolata Concezione (Madrid, Museo del Pra-do), 121, 123.

– Hospital de la CaridadCinque quadri con le Opere di misericordia.Cristo guarisce il paralitico (Londra, National Gal-lery), 121.L’angelo libera Pietro dal carcere (Leningrado, Er-mitage), 121.Abramo riceve i tre angeli (Saint Louis, Art Mu-seum), 121.Giacobbe e Labano (Stafford House), 121.Santa Elisabetta risana gli infermi (Madrid, Museodel Prado), 146.

NAVARETE, JUAN FERNANDEZ DE

El Escorial, MadridAbramo e i tre angeli (Dublino, museo), 119.

OSTADE, ADRIAEN VAN

L’AiaIl suonatore di violino (restituito), 52.

PALMA IL VECCHIO

BraunschweigAdamo ed Eva (restituito come «Dürer»), 113.

ViennaCortigiana (Marsiglia, Musée des Beaux-Arts),128.

PARMIGIANINO, FRANCESCO MAZZOLA detto ilBologna, Santa Margherita

Paul Wescher - I furti d’arte. Napoleone e la nascita del Louvre

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Madonna con santa Margherita (Bologna, Pinacote-ca Nazionale).

Firenze, Palazzo PittiMadonna con Angeli (Madonna dal collo lungo)(restituito).

PASITELE

GreciaStatua di Zeus nel tempio di Metello, Roma(ignoto), 7.

PEREDA, ANTONIO DE

MadridLa liberazione di Genova (Madrid, Museo delPrado), 119.

Siviglia, Hospital de la CaridadAllegoria della caducità (Parigi, Louvre), 122.

PERUGINO, PIETRO VANNUCCI detto ilBologna, San Giovanni al MonteMadonna con diversi santi (restituito; Bologna, Pina-

coteca Nazionale), 63.Cremona, Sant’Agostino

Madonna tra i santi Giacomo e Agostino (restitui-to), 64.

Firenze, Palazzo PittiPietà (restituito).

Perugia, CattedraleLo sposalizio della Vergine (Caen, Musée desBeaux-Arts), 68.

– Cappella del MunicipioMadonna con i santi della città (1496; Roma, Vati-cano).

– Chiesa di San PietroTavola d’altare con l’Ascensione (1496; Lione,Musée des Beaux-Arts), 69.Predelle della stessa tavola col Battesimo, l’Ado-

Paul Wescher - I furti d’arte. Napoleone e la nascita del Louvre

Storia dell’arte Einaudi 213

Page 214: 100744211 Paul Wescher I Furti d Arte Napoleone e La Nascita Del Louvre

razione dei Magi, e la Resurrezione (Rouen, Muséedes Beaux-Arts), 69.

– Chiesa di Sant’AgostinoMadonna con i santi Gerolamo e Agostino (Bor-deaux, Muséedes Beaux-Arts), 69.

– Chiesa della MisericordiaSant’Anna Selbdritt Metterra (Marsiglia, Muséedes Beaux-Arts), 69.

PESELLINO, FRANCESCO

FirenzeDue parti della predella della pala di Filippo Lip-pi agli Uffizi coi santi Cosima e Damiano e leStimmate di san Francesco (Parigi, Louvre), 136.

PIERO DI COSIMO

KasselSacra famiglia (Leningrado, Ermitage), 109.

L’AiaDue ritratti virili (restituiti con attribuzione aDürer), 52.

Napoli, Galleria FarneseMadonna della Colomba (Parigi, Louvre, già aStrasburgo come opera di Ghirlandaio), 88.

PIOMBO, SEBASTIANO DEL

Firenze, Palazzo PittiMartinio di sant’Agata (restituito), 85.

POLICARMO

RomaVenere al bagno, dono di Metello per la consacra-zione del Tempio di Giove (ubicazione ignota), 7.

POLICLETO

Roma, Tempio di GiunoneStatue di Giove e Giunone (ubicazione ignota), 7.

Paul Wescher - I furti d’arte. Napoleone e la nascita del Louvre

Storia dell’arte Einaudi 214

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PONTORMO

Firenze, Convento di Sant’Anna presso San FredianoSacra famiglia (1543; Parigi, Louvre), 137.

POTTER, PAULUS

KasselFattoria (Leningrado, Ermitage), 109.

L’AiaGiovane toro (restituito), 52, 149.

TorinoQuattro toni (restituito).

POUSSIN, NICOLAS

KasselBaccanale (restituito), 110.

Parigi, Collezione della marchesa di VintimilleRingraziamento di Noè (Parigi, Louvre), 33.

– Collezione del duca di La VrilliéreCamillo e Ninfe danzanti (Parigi, Louvre), 33.

Roma, VaticanoMartirio di sant’Erasmo (restituito), 78.

RAFFAELLO SANZIO

Bologna, Chiesa di San Giovanni al MonteGlorificazione di santa Cecilia (Bologna, Pinacote-ca Nazionale), 62, 80, 94.

Firenze, Palazzo PittiMadonna della sedia; Sacra famigliadell’impannata; Ritratti di papa Leone X, del car-dinale Bibbiena e del cardinale Inghirami; Ma-donna del Baldacchino; Visione di Ezechiele (resti-tuiti), 85.

Foligno, ChiesaMadonna di Foligno (Roma, Vaticano, Pinacote-ca), 69, 96.

MadridMadonna del pesce; Madonna sotto la quercia (di

Paul Wescher - I furti d’arte. Napoleone e la nascita del Louvre

Storia dell’arte Einaudi 215

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Giulio Romano su progetto di Raffaello) (resti-tuiti), 123.

MadridSacra famiglia «La perla» (in collaborazione conFrancesco Penni o addirittura di quest’ultimo).Salita al Calvario o Spasimo di Sicilia; Visitazionedella Vergine (scuola) (tutti restituiti), 124.

Milano, Pinacoteca AmbrosianaCartone per la Scuola di Atene (restituito), 59, 95.

Perugia, San FrancescoIncoronazione della Vergine, altare e tavole dellapredella con l’Annunciazione, l’Adorazione deiMagi e la Presentazione al Tempio (Roma, Vatica-no, Pinacoteca), 68.Deposizione dalla Croce (Roma, Galleria Borghe-se) e relativa predella con le quattro Virtú teolo-gali (Roma, Vaticano, Pinacoteca), 68.

– Chiesa di Monteluce Assunzione e incoronazione della Vergine (in granparte di Giulio Romano; Roma, Vaticano, Pina-coteca), 68, 79, 94.

Roma, San Pietro in MontorioTrasfigurazione (Roma, Vaticano, Pinacoteca),79, 80.

– Collezione Braschi Madonna di Loreto, 78.

REFINGER, LUDWIG

MonacoManlio Torquato e Orazio Coclite (Stoccolma),16.

REMBRANDT VAN RIJN

BerlinoSansone minaccia il suocero; Sansone e Dalila (Ber-lino, Staatliche Museen), 107, 108, 144.

Braunschweig

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Cristo con Maria Maddalena (1651); Ritratto dellafamiglia Rembrandt;Paesaggio tempestoso, 114.

Firenze, Palazzo PittiRitratto di vecchio (restituito).

KasselPiccola sacra famiglia detta «Famiglia Holz-hacker»; (1646); Autoritratto con elmo; Ritratto diSaskia Van Uylenburgh; Ritratto di Van Coppenol;Ritratto del poeta Krul; Ritratto di Nicolas Bruy-ningh; Ritratto di giovane donna con garofano; Pae-saggio invernale; Paesaggio con rovine (Kassel,Staatliche Kunstsammlungen), 110, 114.

Deposizione dalla Croce (1634); e due Ritratti virilidel 1634 e del 1661 (Leningrado, Ermitage); Cri-sto appare alla Maddalena (Londra, BuckinghamPalace), 109.

L’AiaSusanna al bagno; Simeone al Tempio; Auto-ritratto; ritratti dei genitori (restituiti), 51, 52.Ritratto di un vecchio.

Parigi, Collezione del conte d’AngevillerI viandanti di Emmaus e l’Evangelista Matteo (Pa-rigi, Louvre), 32.

– Collezione della marchesa di Noailles-de-Cossé-BrissacVenere e Amore e Ritratto di una coppia (Parigi,Louvre), 32.

TorinoVisitazione (Detroit, Institute of Art), 84, 119.Ritratto di vecchio (restituito; ora attribuito a Sa-muel van Hoogstraeten, 84.

RENI, GUIDO

Bologna, San DomenicoLa strage degli innocenti, 62

– Chiesa dei Mendicanti

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Storia dell’arte Einaudi 217

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Pietà con santi (entrambi alla Pinacoteca Nazio-nale di Bologna), 62.

FanoGesú consegna a Pietro le chiavi della Chiesa (Per-pignano).

Firenze, Palazzo PittiLa morte di Cleopatra (restituito).

ModenaSan Rocco in carcere (Modena, Galleria Estense).

Roma, QuirinaleCrocifissione di san Pietro (Roma, Museo Capitoli-no), 78.

TorinoApollo e Marsia (Tolosa, Musée des Beaux-Arts);Adamo ed Eva (restituito), 83.

RIBERA, GIUSEPPE

MadridSabba, da un’incisione di Antonio Musi (Londra,Apsley House), 125.

Napoli, CapodimonteAdorazione dei pastoni (1650; Parigi, Louvre), 88.

SivigliaSacra famiglia e Santissima Trinità; San Sebastianoguarito da sant’Irene (Bilbao, museo).

ViennaAutoritratto (già a Berlino, proprietà privata),144.

ROMANO, GIULIO

Firenze, Palazzo PittiDanza delle Muse (restituito), 85.

Genova, Santo StefanoMartirio di santo Stefano (restituito), 133, 146.

MadridSacra famiglia sotto la quercia (Madrid, Museo delPrado), 124.

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Storia dell’arte Einaudi 218

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Spasimo di Sicilia (Madrid, Museo del Prado),124.

Perugia, Chiesa di MonteluceIncoronazione di Maria, in collaborazione conRaffaello (Roma, Vaticano), 68.

Roma, San Pietro in MontorioTrasfigurazione di Cristo (Roma, Vaticano, Pina-coteca), 79, 80.

– Collezione BraschiMadonna con san Giovannino (Parigi, Louvre), 152.

RUBENS, PETER PAUL

Afflighem, AbbaziaSalita al Calvario (Bruxelles, Musées Royaux desBeaux-Arts), 45.

Alost, San RoccoI Santi Rocco e Martino (restituito).

Anversa, Notre-DameDeposizione dalla Croce (restituito), 39.Trittico della Deposizione di Jan Michielsen (An-versa, Musée des Beaux-Arts), 39.Trittico della Vergine della famiglia Goubau(Tours, Musée des Beaux-Arts), 39.San Giovanni della famiglia Moretus (restituito), 40.

– Chiesa dell’AnnunziataMorte di san Giusto (Bordeaux, Musée des Beaux-Arts).

– Chiesa di Sant’AgostinoMadonna e santi in adorazione (restituito), 42.

– Chiesa dei Domenicani di San PaoloFlagellazione di Cristo (restituito), 42.

– Chiesa delle Carmelitane ScalzeSantissima Trinità (Gand, museo), 43.

– Abbazia di San MicheleGlorificazione dei santi Gregonio e Domitilla (Gre-noble, Musée de Peinture), 40.Adorazione dei Magi (1624) (Anversa), 41, 145.

Paul Wescher - I furti d’arte. Napoleone e la nascita del Louvre

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Anversa– Chiesa dei Recolletti

Crocifissione di Cristo dall’altar maggiore di Nico-las Rockox, detta «Il colpo di lancia» (Anversa,Musée Royal des Beaux-Arts), 41.Trittico di Nicolas Rockox (Anversa, MuséeRoyal des Beaux-Arts), 41.Incoronazione della Vergine (Bruxelles, MuséesRoyaux des Beaux-Arts), 43.Comunione di san Francesco (1619; Gand, mu-seo), 43.

– Chiesa di Sankt WalburgAltar maggiore con la Crocifissione (Anversa, No-tre-Dame), 39.

– Convento delle Carmelitane ScalzeEducazione della Vergine (Gand, museo), 43.Santa Teresa libera Bernardo di Mendoza dall’an-tinferno (Gand, museo), 43.

– Chiesa di San GiacomoMadonna con santi sulla tomba di Rubens (restitui-to), 43.

Berlino-PotsdamNascita di Venere; Incoronazione della Vergine;Resurrezione di Lazzaro (restituiti), 107.

BraunschweigRitratto del marchese Ambrogio Spinola (restitui-to), 114.

Bruxelles, Convento delle Carmelitane ScalzeAssunzione della Vergine (Gand, museo).

– Chiesa dei CappucciniSalita al Calvario e Pietà con san Francesco (1620;Bruxelles, Musées Royaux des Beaux-Arts), 46.

Colonia, San PietroCrocifissione dell’Apostolo Pietro (in prestito alWallraf-Richartz- Museum), 53.

Firenze, Palazzo PittiSacra famiglia; Venere e Marte; I quattro filosofi (Ru-

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bens col fratello e i dotti Lipsio e Grozio); Paesag-gio con Ulisse; Ritorno dai campi (restituiti), 85.

Gand, San BavoneConversione di san Bavone (restituito), 49.

– Chiesa dei GesuitiMartirio di san Livino (Bruxelles, Musées Royauxdes Beaux-Arts).

– Chiesa dei RecollettiRitratto del vescovo Antoine di Triest (Digione,Musée des Beaux-Arts), 49.Morte di Maria Maddalena (Lilla, Musée desBeaux-Arts), 49.Miracolo di santa Rosalia (Digione, Musée desBeaux-Arts), 49.Cristo minaccia col fulmine i miscredenti (Bruxel-les, Musées Royaux Beaux-Arts), 49.

KasselAbramo e Melchisedech (Caen, Musée des Beaux-Arts), 111.Fuga in Egitto e Trionfo del vincitore (Kassel,Staatliche Kunstsammlungen), 111, 115.

L’AiaAdamo ed Eva nel Paradiso Terrestre (paesaggio diJan Brueghel, Parigi, Louvre), 52.Bozzetto ad olio per Alessandro spezza il nodo diGordio, 52.

Lierre, Saint-GommaireTrittico della Madonna con san Francesco (Digio-ne, Musée des Beaux-Arts), 44.Martirio di san Giorgio (Bordeaux, Musée desBeaux-Arts), 44.

– Convento dei Cappuccini Deposizione dalla Croce (Leningrado, Ermitage),45, 109.

Madrid, Convento dei Carmelitani Scalzi di Loe-ches

Sei bozzetti a olio di soggetto eucaristico per arazzi

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(due a Parigi, Louvre, quattro al Museo di Sara-sota, gli altri restituiti), 142.

Malines, Notre-DameAltare dei mercanti di pesce con La pesca miraco-losa (restituito); parti della predella a Nancy,Musée des Beaux-Arts), 43.

– San RomualdoAltar maggiore con l’Ultima Cena (Milano, Pina-coteca di Brera; due parti della predella con l’In-gresso di Cristo e la Lavanda dei piedi a Digione,Musée des Beaux-Arts), 44, 101, 139.

– Chiesa dei Giovanniti Adorazione dei Magi (tavola centrale restituita,quelle laterali a Lione Musée des Beaux-Arts),44, 90.Natività e Resurrezione di Cristo (Marsiglia, Mu-sée des Beaux-Arts), 44.

Mantova, Chiesa della Santa TrinitàTrasfigurazione di Cristo (Nancy, Musée desBeaux-Arts), 66, 102.

MonacoAdorazione dei Magi (Lione, Musée des Beaux-Arts).Meleagro e Atalanta (restituito), 90, 145.

Tournai, CattedraleMartirio di Giuda Maccabeo (Nantes, Musée desBeaux-Arts), 50.Cristo all’antinferno (restituito), 50.

– Chiesa dei CappucciniAdorazione dei Magi (Bruxelles, Musées Royauxdes Beaux-Arts), 50.

Vienna (già alla Chiesa dei Gesuiti di Anversa)Assunzione di Maria (restituito), 128. San Pipino(restituito), 128.

RUYSDAEL, JACOB VAN

BraunschweigTre paesaggi (restituiti), 111.

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Storia dell’arte Einaudi 222

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SARTO, ANDREA DEL

Firenze, Palazzo PittiAutoritratto; Storia di Giuseppe; Sacra famiglia; De-

posizione dalla Croce e Resurrezione di Cristo; SanMarco (restituiti), 85.

KasselSacra famiglia (Leningrado, Ermitage), 107, 109

ViennaSan Sebastiano (Caen, Musée des Beaux-Arts).San Giovanni il Battista (Digione, Musée desBeaux-Arts).

SCHEDONI, BARTOLOMEO

NapoliSacra famiglia, 88.

Parma, Collezione FarneseDeposizione (Parigi, Louvre), 148.

SCHIAVONE, ANDREA

ViennaAmore e Psiche; Allegoria della musica (restituiti), 128.

SCHÖPFER, ABRAHAM

MonacoMuzio Scevola davanti a Porsenna (Stoccolma), 16.

SKOPAS

Roma, Palazzo di NeroneApollo (sconosciuto), 9.

SODOMA, GIOVANNI BAZZI detto ilPisa, Duomo

Sacrificio di Isacco (restituito), 134.

SOLARIO, ANDREA

OldenburgSalomè (New York, Metropolitan Museum), 154.

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Storia dell’arte Einaudi 223

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STEEN, JAN

BraunschweigNozze di Tobia (il Contratto di matrimonio) (resti-tuito), 115, 144.

KasselLa festa dei fagioli (restituito), 111.

L’AiaIl banchetto delle ostriche; Così cantavano i vecchi;Visita del medico (restituiti), 52.

STRONGYLION

RomaStatua di amazzone nel Palazzo di Nerone (ubi-cazione sconosciuta), 9.

STROZZI, BERNARDO

Cremona, Convento dei DomenicaniCirconcisione di Cristo (Parigi, Saint-Philippe-du-Roule).

Roma, Collezione BraschiCena di Emmaus (Grenoble, Musée des Beaux-Arts).

TEODORICO DI PRAGA

Vienna, Castello di KarlsteinPadri della Chiesa (restituito), 127.

TERBORCH, GERARD

KasselLa suonatrice di liuto (restituito), 111.

L’AiaLa lettera (restituito), 52.

TENIERS, DAVID IL GIOVANE

KasselTrasloco della gilda degli arcieni di Anversa (Lenin-grado, Ermitage), 109.

Paul Wescher - I furti d’arte. Napoleone e la nascita del Louvre

Storia dell’arte Einaudi 224

Page 225: 100744211 Paul Wescher I Furti d Arte Napoleone e La Nascita Del Louvre

TINTORETTO, JACOPO

Parigi, Collezione d’AngevillerCristo nel sepolcro (Parigi, Louvre), 32.

PragaLe Muse (Hampton Court Palace).

Venezia, Scuola di San MarcoMiracolo di san Marco (Venezia, Gallerie dell’Ac-cademia), 73.

– Chiesa della Madonna dell’OrtoSant’Agnese che resuscita Licinio (restituito), 73.

Verona, Palazzo BevilacquaBozzetto a olio per il Giudizio Universale del Pa-lazzo Ducale di Venezia (Parigi, Louvre), 71.

TIZIANO

BraunschweigCoppia di amanti (oggi attribuito ad AnnibaleCarracci; restituito), 113.

El Escorial, MadridMadonna con paesaggio (Monaco), 119.

Firenze, Palazzo PittiIl Concerto; La Bella; Maddalena penitente; Il car-dinale Ippolito de’ Medici in costume ungherese; IlCristo salvatore (restituiti), 85.

KasselRitratto di Giovanni Francesco Acquaviva, detto Ilduca di Atri (restituito), 110.

MadridTarquinio e Lucrezia (Cambridge, FitzwilliamMuseum), 123.Venere col suonatore d’organo (restituito), 123.

Milano, Santa Maria delle GrazieIncoronazione di spine (Parigi, Louvre), 60, 150.

MonacoIncoronazione di spine (restituito), 90, 145.

Venezia, Palazzo Ducale

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Storia dell’arte Einaudi 225

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Allegoria del doge Antonio Grimani (con G. Con-tarini), 72.

– Chiesa di San Giovanni e PaoloIl martirio di san Pietro (distrutto da un incendio),72, 80, 95, 150.

– Chiesa dei GesuitiMartirio di san Lorenzo (restituito), 72.

Verona, CattedraleAssunzione di Maria (restituito), 71, 150.

ViennaViolante; Diana e Atteone (replica della versioneBridgewater); Madonna coi santi Stefano, Gerola-mo e Maurizio (bottega); (restituiti), 127, 128.

TROY, JEAN-FRANCOIS DE

Potsdam, Castello di SanssouciLettura da Molière (Inghilterra, proprietà priva-ta), 106.

VELAZQUEZ, DIEGO

MadridRitratto di Filippo IV di Spagna; Dama col venta-glio (Londra, Wallace Collection), 117.Il Portatore d’acqua di Siviglia; Bodegone e Ri-tratto di Don Francisco Quevedo (Londra,Apsley House), 124.La veste insanguinata di Giuseppe (Madrid, Museodel Prado), 119, 142.

VERMEER, JAN

BraunschweigRagazza col bicchiere di vino (restituito), 114.

VERONESE, BONIFACIO

Roma, San Luigi dei FrancesiResurrezione di Lazzaro (Parigi, Louvre), 88.

Paul Wescher - I furti d’arte. Napoleone e la nascita del Louvre

Storia dell’arte Einaudi 226

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VERONESE, PAOLO CALIARI detto ilMantova, Cattedrale

Tentazioni di sant’Antonio (Caen, Musée desBeaux-Arts), 66, 102.

Parma, San RoccoCristo in gloria coi santi Sebastiano e Rocco(Rouen, Musée des Beaux-Arts), 62.

Pesaro, Oratorio di Sant’Antonio AbateMadonna (Digione, Musée des Beaux-Arts).

Praga, Collezione ImperialeDieci allegorie dalla Vita amorosa degli dèi (inparte a Stoccolma; New York Metropolitan Mu-seum; Seattle, Art Museum), 18.

Venezia, Convento di San Giorgio MaggioreNozze di Cana (Parigi, Louvre), 72, 130, 147.

– Chiesa di San Giovanni e PaoloCena a casa di Levi (Venezia, Gallerie dell’Acca-demia), 72.

– Convento di San SebastianoCena a casa di Simone Fariseo (Milano, Pinacotecadi Brera), 73.

– Palazzo DucaleRatto d’Europa (restituito); Giunone distribuiscedoni a Venezia; 72.Giove fulmina i vizi; San Marco incorona le virtúteologali (Parigi, Louvre), 72.

Verona, San Giorgio in BraidaMartirio di san Giorgio (restituito), 71.Barnaba risana gli infermi (Rouen, Musée desBeaux-Arts), 71, 102.

– Chiesa di Santa Maria della VittoriaDeposizione (Verona, Pinacoteca), 71.

– Palazzo BevilacquaRitratto di giovane donna (Parigi, Louvre), 71.Sacra famiglia con sant’Orsola (ora attribuito alBrusasorci) (Parigi, Louvre), 71.

Paul Wescher - I furti d’arte. Napoleone e la nascita del Louvre

Storia dell’arte Einaudi 227

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ViennaSposalizio di santa Caterina (Bordeaux, Musée desBeaux-Arts), 128.

VOS, CORNELIS DE

Anversa, Notre-DameResurrezione di Cristo (Lilla, Musée des Beaux-Arts); Altare della famiglia Van der Aa (Nantes,Musée des Beaux-Arts), 40.

– Chiesa dei Domenicani di San PaoloNatività (restituito), 42.

– Abbazia di San MicheleSan Norberto recupera i vasi liturgici nascosti, donodella famiglia Snoeck (Anversa), 41.

– Accademia di Belle ArtiRitratto del segretario Graphäus (Anversa, MuseoMayer van den Bergh), 40.

BraunschweigAllegoria della ricchezza e della povertà; Incorona-zione di un eroe (restituiti), 114.

WERVE, CLAUS DE

Parigi, Collezione DenonDue «Pleurants» dalla tomba di Louis de Male allaCertosa di Digione (Cleveland, Museum of Art), 157.

WEYDEN, ROGIER VAN DER

Burgos, Convento di MirafloresAltare della Passione (Berlino, museo), 120.

Torino, Palazzo RealeAnnunciazione (Parigi, Louvre) e Visitazione (re-stituito), 83, 151.

ZURBARÁN, FRANCISCO DE

Siviglia, Colegio Mayor de Santo TomásAltar maggiore con l’*Apoteosi di san Tommaso

Paul Wescher - I furti d’arte. Napoleone e la nascita del Louvre

Storia dell’arte Einaudi 228

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d’Aquino (1631) (Siviglia, Museo Provincial deBellas Artes), 120.

– Collegio FrancescanoCinque scene dalla Vita di san Bonaventura (Berli-no, Dresda, Genova e due a Parigi, tra cui la Se-poltura di san Bonaventura), 120, 122.

– Convento delle Mercedarie ScalzeQuattro figure di santi: Lorenzo e Apollonia (Le-ningrado, Ermitage e Parigi, Louvre), 121.Agata e L’arcangelo Gabriele (Montpellier), 121.

– Collegio Carmelitano di Sant’AlbertoSan Cirillo di Costantinopoli, San Pietro, San Tom-maso e San Francesco (St. Louis, museo) (Boston,museo), 12 1.

– Convento di Sant’OrsolaQuattro sante martiri: Orsola (Genova, PalazzoBianco); Eufemia (Madrid, collezione privata);Elisabetta (Montreal, museo), Rufina (New York,Hispanic Society), 121.

Altre sculture antiche

Venere Medici, copia in marmo da Fidia (Firenze,Uffizi), 84, 88, 104, 147, 151.

Amazzone di Villa Mattei, copia da Fidia (Roma,Vaticano, Museo Pio-Clementino), 77, 95.Apollo sauroctono, copia in marmo da Prassitele(Roma, Vaticano, Museo Pio-Clementino), 77.

Apollo del Belvedere (Roma, Vaticano, Museo Pio-Clementino), 9, 76, 95.

Laocoonte, marmo ellenistico (Roma, Vaticano, Mu-seo Pio-Clementino), 68, 76, 95.

Amore e Psiche, marmo ellenistico (Roma, MuseoCapitolino), 77.

Fanciulla che gioca ai dadi, marmo ellenistico, (Berli-no, Staatliche Museen), 106.

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Ermes, detto Antinoo (Roma, Museo Capitolino),95.

Galata morente, marmo da Pergamo (Roma, MuseoCapitolino), 9, 77, 129.

Quattro cavalli di bronzo, greci, IV-III secolo a. C.(Venezia, San Marco), 150.

Sarcofago romano detto di «Proserpina» (Acqui-sgrana, Duomo), 54.

Giovane orante, bronzo greco, IV-III secolo a. C.(Berlino, Staatliche Museen), 106, 115, 143.

Spinario, bronzo ellenistico (Roma, Museo Capitoli-no), 77.

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