1) introduzione del percorso sul mito attraverso il “brain ... · questo, secondo gli antichi,...

14
1) Introduzione del percorso sul mito attraverso il “brain storming” per evidenziare ciò che gli alunni conoscono a riguardo e progettare attività adeguate alle conoscenze pregresse. IL MITO (Cosa sappiamo?) Cos’è? Com’è? A cosa serve?

Upload: trananh

Post on 16-Feb-2019

216 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

1) Introduzione del percorso sul mito attraverso il “brain storming” per evidenziare ciò che gli alunni conoscono a riguardo e progettare attività adeguate alle conoscenze pregresse.

IL MITO (Cosa sappiamo?)

Cos’è? Com’è? A cosa serve?

(A scopo esemplificativo, di seguito si riporta la mappa ottenuta tramite “brain storming”)

2) Definizione di mito

3) Lettura e comprensione di un mito.

IL RAPIMENTO DI PROSERPINA(mito greco)

Una volta sulla terra c’era sempre il sole, i prati erano sempre verdi, pieni di fiori e nei campi cresceva ogni ben di Dio.Era la Dea Cerere che seminava, innaffiava le piante e faceva sì che gli alberi fiorissero mettendo sempre frutti. La figlia Proserpina giocava, invece, nei boschi e la sera tornavano a casa insieme intonando canzoni.Tra gli Dei, però, c’era Plutone, Dio dei morti, il quale regnava sotto terra, al freddo e al buio.Plutone viveva solo: nessuna donna ,infatti, avrebbe voluto diventare regina delle oscurità.Un bel dì Plutone scorse Proserpina nei boschi. Se ne innamorò e decise di rapirla.Plutone volle lusingarla chiamandola regina, mentre sulla terra era sceso il tramonto. Cerere ,per il dolore ,lasciò appassire i fiori e tutto smise di crescere.Proserpina cedette per la fame davanti a rossi e succosi chicchi di melograno, che Plutone, furbamente, le aveva messo nella mano. Mangiandoli non sarebbe più ritornata sulla terra.Proserpina, vista la trappola, fu presa dalla rabbia e Plutone , che ne era innamorato, le confessò il movente. Così Giove, per compassione, decise che Proserpina avrebbe vissuto nel regno dei morti per sei mesi all'anno e per gli altri sei mesi sarebbe ritornata sulla terra insieme alla madre Cerere, facendo ritornare i fiori ed i frutti. Questo, secondo gli antichi, spiegava l’alternarsi delle stagioni.

4) Analisi del testo

4)Lettura e comprensione di un mito

IL MITO DI CLIZIA(mito greco)

Clizia, una giovane Ninfa, innamorata di Apollo, lo seguiva ininterrottamente mentre lui guidava il suo carro infuocato in tutto l’arco del cielo. Inizialmente il Sole fu lusingato ed anche intenerito da così tanta devozione e contraccambiò il sentimento, tanto che finì per sedurre la giovane Ninfa.Ma ben presto rivolse il suo amore alla bella Leucotoe divenendone l’amante.Clizia, gelosissima per vendicarsi dell’affronto, rivelò l’unione segreta al padre della ragazza, che la sotterrò viva.Apollo, disperato per la perdita del suo amore, non volle mai più vedere la Ninfa. Tentò invano di riportare in vita la sua Leucotoe scaldandola con i suoi raggi, ma non riuscendo nel suo intento, cosparse il tumulo dove giaceva, con nettare profumato e da lì sgorgò l’incenso.

Clizia, ripudiata dal Sole, non seppe darsi pace. Trascorse le giornate sdraiata sulla terra, nutrendosi solamente di brina e delle sue lacrime, osservando ininterrottamente il Dio che attraversava il cielo col suo carro infuocato, mai le rivolgeva uno sguardo.Lentamente consumata da quel rifiuto e da quell’amore per il Dio del Sole, s’irrigidì, i suoi piedi si conficcarono nel terreno, i suoi capelli divennero gialla corolla. Tale atteggiamento contemplativo e nello stesso tempo addolorato per il rifiuto da parte del dio, come la noncuranza per la propria persona, nel mito provocano la morte della fanciulla, o meglio il suo annullarsi come essere umano, diventando un fiore, il girasole, che come la Ninfa in vita, segue, cambiando inclinazione secondo l’andamento del Sole, il grande perduto amore di Clizia, nel cielo.

.

4) Analisi del testo

6) Proposte agli alunni di altri miti, conversazione e analisi collettiva.( Testi reperiti in rete)

“I MITI DEL FUOCO”

"IL FUOCO RUBATO ALLE SCIMMIE"Mito dei Pigmei (Africa)

In tempi lontanissimi, un Pigmeo, girando per la foresta, incontrò un branco di scimmie che mangiavano delle banane cotte al fuoco. Non aveva mai visto il fuoco e pensò subito di rubarlo. Fu un attimo: subito il suo gonnellino di foglie secche si incendiò. Ma non ebbe paura. Avvolto dalle fiamme fuggì, inseguito dalle scimmie, e portò quel magnifico dono alla gente della sua tribù.

"COME CONIGLIO PORTO' IL FUOCO AGLI UOMINI"Mito dei Pellerossa (Nordamerica)

In principio non c’era il fuoco e la terra era fredda. Poi gli Uccelli del Tuono mandarono il loro fulmine a un sicomoro su un’isola dove vivevano le Donnole. Le Donnole furono le uniche ad avere il fuoco e non volevano darne a nessuno. Gli Uomini sapevano che c’era fuoco sull’isola perché vedevano il fumo uscire dal sicomoro, ma l’acqua era troppo profonda da attraversare. Quando giunse l’inverno, gli Uomini soffrirono tanto per il freddo che si riunirono a concilio, al fine di trovare un modo per ottenere il fuoco dalle Donnole. Tutti gli animali che sapevano nuotare erano stati invitati. «Come potremo ottenere il fuoco? » si chiesero gli Uomini. La maggior parte degli animali temeva le Donnole perché erano sanguinarie e mangiavano topi e talpe e pesci e uccelli. Coniglio fu l’unico abbastanza coraggioso da tentare di rubar loro il fuoco. « So correre e nuotare più veloce delle Donnole »disse. «E sono anche un buon danzatore. Ogni notte le Donnole fanno un grande fuoco e vi danzano intorno. Stasera attraverserò l’acqua a nuoto e mi unirò alle danze. Poi scapperò con un po’ di fuoco». Considerò un po’ la faccenda, poi decise come si sarebbe comportato. Prima che il sole tramontasse, si strofinò la testa con resina di pino in

modo da fare star dritti i peli. Poi al cadere delle tenebre, attraversò l’acqua a nuoto e raggiunse l’isola. Le Donnole accolsero Coniglio con gioia, poiché avevano sentito parlare della sua bravura come danzatore. Presto un grande fuoco brillò e tutte cominciarono a danzarvi attorno. Mentre danzavano, le Donnole si avvicinavano sempre più al fuoco, al centro del cerchio. Vi si inchinavano davanti e poi, sempre danzando, se ne allontanavano.Quando Coniglio entrò nel cerchio delle danzatrici, le donnole gli gridarono: «Guidaci tu, Coniglio! » Egli danzò in testa a tutte, facendosi sempre più vicino al fuoco. Si inchinò ad esso, abbassando sempre più la testa, come se avesse l’intenzione di prenderlo. Mentre le Donnole danzavano sempre più veloci tentando di stare al passo con lui, Coniglio all’improvviso si chinò cosi profondamente che la resina di pino sui suoi peli prese fuoco con un guizzò. Scappò con la testa in fiamme e le Donnole furiose lo inseguirono gridando: « Prendetelo! Prendetelo! Ha rubato il nostro fuoco sacro! Prendetelo e buttatelo a terra! » Ma Coniglio corse molto più svelto di loro e si tuffò in acqua, lasciando le Donnole a riva. Nuotò attraverso l’acqua con le fiamme ancora vive sul capo. Le Donnole allora chiamarono gli Uccelli del Tuono perché facessero piovere in modo da spegnere il fuoco rubato da Coniglio. Per tre giorni la pioggia cadde violenta sulla terra e le Donnole erano sicure che non fosse rimasto alcun fuoco acceso oltre a quello nel loro sicomoro. Coniglio, invece, aveva fatto un fuoco in un albero; quando la pioggia fu cessata e tornò il sole, egli uscì e diede il fuoco a tutti gli Uomini. Da allora in poi, ogni volta che piove, gli Uomini tennero il fuoco nei loro rifugi, e fu così che Coniglio portò il fuoco agli Uomini.

"LA VECCHIA DEL FUOCO"Mito dei Melanesiani (Asia)

Molto tempo fa, prima che gli uomini avessero il fuoco, viveva a Maivara, in fondo alla baia, Milne, una vecchia che tutti i ragazzi e i giovani

chiamavano Goga. A quel tempo c’era l’uso di tagliare in fettine sottili i tuberi e il taro facendoli seccare al sole. In questo modo la vecchia preparò da mangiare per dieci giovani, ma mentre essi erano fuori nella foresta a caccia di porci selvatici, mise a cuocere il pasto per sé. Fece ciò con del fuoco preso dal suo corpo, ma prima che tornassero i ragazzi spazzò via le ceneri e i rimasugli perché non sapessero in che modo aveva cotto il suo taro e i suoi tuberi. Un giorno, un pezzo di taro bollito si mescolò col cibo dei ragazzi e, inavvertitamente, essa lo mise sul loro piatto. Quando tutti i ragazzi cominciarono a mangiare il loro pasto serale, quello più giovane, avendo preso quel pezzo di taro bollito, l’assaggiò e rimase sorpreso di trovarlo così buono. Lo fece assaggiare ai suoi compagni e piacque a tutti perché era tenero, e non duro ed asciutto come il loro taro, ed essi non sapevano comprendere come il taro potesse essere così buono. Quando il giorno dopo i ragazzi si recarono nella macchia a cacciare, il più giovane rimase indietro e si nascose nella casa. Vide che la vecchia faceva seccare al sole il suo cibo e quello dei compagni, ma prima di cuocere il suo, ella prese del fuoco dal proprio corpo. La sera, quando i ragazzi tornarono dalla caccia e mentre stavano tutti cenando, il più giovane narrò la sua scoperta. I ragazzi videro quant’era stato utile quel fuoco e decisero di rubarne un po’ alla vecchia. Per far questo, stabilirono un piano. La mattina dopo, tutti affilarono le loro accette ed abbatterono un albero grande come una casa. Poi cercarono di saltarci sopra, ma soltanto il più giovane ci riuscì, così egli fu scelto per rubare il fuoco alla vecchia. Il giorno dopo ancora, tutti i ragazzi si recarono come al solito a cacciare nella macchia, ma dopo essersi inoltrati alquanto, tornarono tutti indietro e nove di loro si nascosero. Il più giovane pian piano tornò alla casa della vecchia e, quand’ella stette per cuocere il suo taro, scivolò dietro di lei e le strappò un tizzone. Corse più velocemente che poté all’albero abbattuto e ci saltò sopra, e la vecchia non poté inseguirlo di là dall’albero. Ma nel saltare, il tizzone gli bruciò la mano ed egli lo lasciò cadere; quello appiccò il fuoco all’erba e un pandano s’incendiò. In una cavità di questo pandano viveva un serpente chiamato Garubuiye la cui coda prese fuoco e si mise a bruciare come una torcia. Allora la

vecchia fece piovere a torrenti e il fuoco si spense, ma il serpente rimase entro il buco nel pandano e la sua coda seguitò a bruciare. Cessata la pioggia, i ragazzi uscirono in cerca del fuoco, ma non lo trovarono. Finché finalmente, videro il buco nel pandano e ne trassero fuori il serpente spezzandogli la coda che ancora ardeva. Indi, fecero una gran catasta di legna e appiccarono tanti tizzoni accesi alla coda del serpente. Da tutti i villaggi venne gente a prendere di quel fuoco usando come tizzoni varie specie di legno (gli alberi da cui li presero diventarono i loro TOTEM.)

-Goga: persona anziana. -tuberi e taro: le radici e il fusto sotterraneo, ricco di amido, di una pianta erbacea. -pandano: pianta tropicale dalle foglie appuntite e dai frutti commestibili simili ad ananas.

"L'ORIGINE DEL FUOCO"(Mito africano)

Una volta, un uomo prese in prestito da un suo vicino una lancia per uccidere un porcospino che gli rovinava le messi. Si appostò nel campo e riuscì a colpirne uno, ma non l’uccise e l’animale corse via con la lancia confitta nel corpo, scomparendo dentro a una buca. L’uomo andò dal vicino e gli disse che la lancia era perduta, ma quello insistette per riaverla. Allora l’uomo comperò una lancia nuova e gliela offerse in luogo di quella perduta; ma il vicino la rifiutò e di nuovo insistette perché gli fosse restituita proprio la sua lancia. Allora l’uomo s’introdusse carponi nella tana del porcospino e, dopo avere strisciato così per un pezzo, si trovò alla fine, con sua grande sorpresa, in un luogo dove molte persone stavano sedute cuocendo da mangiare vicino al fuoco. Gli chiesero che cosa cercasse ed egli raccontò la sua avventura. Lo invitarono a fermarsi e a mangiare con loro; ma egli ebbe paura e disse che non poteva trattenersi, perché doveva tornare a casa con la lancia, ch’egli aveva visto lì per terra. Essi non cercarono di trattenerlo e gli dissero di arrampicarsi su per le

radici di un albero di mugumu, che arrivavano sino al fondo della caverna, assicurandolo che sarebbe ben presto sbucato nel mondo di sopra. Inoltre gli diedero un po’ di fuoco da portar via con sé. Egli prese il fuoco e la lancia e si arrampicò come gli avevano detto. Così fu che il fuoco fu portato fra gli uomini; prima essi avevano sempre mangiato cibi crudi. Tornato fra i suoi amici, l’uomo restituì la lancia al suo proprietario e gli disse: «Tu mi hai messo in un bell’imbarazzo per recuperare la tua lancia; ora, se vuoi avere un po’ di questo fuoco che vedi disperdersi in fumo, dovrai arrampicarti su per il fumo e riportarmelo». Il padrone della lancia si provò più volte ad arrampicarsi su pel fumo, ma non ci riuscì. Allora gli anziani intervennero e dissero: « Sistemeremo questa faccenda così il fuoco sarà di uso comune, e siccome lo hai portato tu, tu sarai il nostro capo».

"IL FUOCO COMPARE SULLA TERRA"

(Mito africano)

Una volta non c’era fuoco sulla terra ed un uomo si mise in cammino per cercarne. Giunto al primo paese si imbatté in una quantità di esseri che camminavano sulle ginocchia. Si mise a ridere. Essi gli chiesero: «Ridi di noi?». E lui rispose: «Sì, al mio paese non esistono esseri simili». Poi riprese il suo viaggio ed arrivò in un altro paese e ci trovò degli uomini che camminavano sulle stampelle. Poiché egli rideva, essi gli chiesero: «Ridi di noi?». E lui: «Sì, certo». Non avendo ancora trovato il fuoco, proseguì nella sua ricerca finché giunse al terzo paese, dove vide gente che aveva la pelle di colori diversi. Ancora una volta egli si mise a ridere e quelli gli chiesero: «Ci deridi?» ed egli: «Sì, certo, al mio paese non ci sono uomini così!». «Cerchi il fuoco? Sei quasi arrivato. Vai sempre in quella direzione, fin quando arriverai alla casa di Mulungu, il Dio. Lo troverai lì, davanti alla casa, perché lì è solito trattenersi». Egli si rimise dunque in cammino e seguendo le loro istruzioni non tardò ad arrivare alla casa di Mulungu. Là una vista bellissima si apriva da ogni parte. L’uomo si avvicinò: «Salve a te, Mulungu». «Salve a te. Perché sei venuto?».

«Sono venuto in cerca di fuoco perché al mio paese non ce n’é». «Riposati su quel giaciglio. Domani troverai il fuoco». La mattina Mulungu venne a chiamarlo e gli portò degli splendidi vasi, tutti chiusi col loro coperchio, ma insieme a questi ce n’erano due in disparte di qualità molto inferiore. Mulungu gli disse: «Scegli il vaso che più ti piace». E se ne andò. L’uomo ne scelse uno magnifico; poi venne fuori e trovò Mulungu, il quale gli disse: «Leva il coperchio». L’uomo così fece e ci trovò dentro ceneri e carboni. Allora chiese a Mulungu: «Signore, dov’ è il fuoco?». E Mulungu rispose: «Perché durante tutto il viaggio non hai fatto che ridere dei miei figlioli? Non ci manca proprio nulla al tuo paese? E allora perché sei venuto?>> E gli ordinò di tornarsene a casa. Dopo un po’ di tempo andò un altro uomo e fece la stessa esperienza. Finalmente fu la volta di una donna. Quando arrivò nel primo paese gli uomini sulle ginocchia vennero a salutarla, ed ella cantò e anch’essi cantarono, e quando fu stanca di cantare le indicarono la strada senza farle alcuna domanda. Poi giunse al secondo e al terzo paese, e di nuovo cantò, e gli abitanti danzarono. Poi le chiesero: «Di’, ma al tuo paese ci sono delle persone in qualche modo “diverse”?». Ed ella rispose: « Molti hanno delle “diversità”: ci sono quelli che camminano sulle orecchie, altri sulle dita dei piedi... ci sono pure dei ciechi...». La donna, dopo essersi riposata, si rimise in cammino e non tardò a raggiungere la casa di Mulungu. Mulungu le chiese lo scopo del suo viaggio e quando gliel’ebbe detto, le mostrò un giaciglio dove passare la notte. La mattina dopo la chiamò e le fece vedere quei magnifici vasi che già aveva mostrato agli uomini e le disse: «Scegline uno». Ma ella si schermì, avendo scrupolo di toccare degli oggetti così preziosi. Finalmente, avendo adocchiato i due meno belli, si fece coraggio e ne prese uno. Poi uscì fuori e trovò Mulungu, il quale le disse: «Apri il vaso!» ed ecco che dentro c’era il fuoco tanto desiderato. Mulungu le disse: «Tu ti sei comportata saggiamente con i miei figli incontrati durante il viaggio e in riconoscenza della tua bontà ti dono un bue». La donna si trattenne per due giorni banchettando con le carni del bue e il terzo giorno Mulungu la congedò dicendole: «Prendi con te il fuoco, che basterà per tutto il mondo».

Quand’ella tornò sulla terra, ci fu una grande festa. Vennero genti da ogni parte a informarsi della cosa e a prendere il fuoco dal prezioso vaso. Gli uomini furono d’accordo nel lodarla e dichiararono che le donne hanno più giudizio degli uomini.

"HEIMDALL NEL MIDGARD"(Mito dei Vichinghi)

Agli inizi della creazione, quando nell’Asgard tutto era bello e piacevole e nessuno credeva sul serio che i giganti potessero attaccare la cittadella, Heimdall, la sentinella degli dèi, a volte si annoiava molto e fu quindi ben lieto quando Odino gli diede il permesso di allontanarsi dal suo posto di guardia presso il Bifrost. Era un pezzo che Heimdall voleva visitare il Midgard e intervenire nelle faccende degli uomini che vi abitavano. Ripose pertanto nel suo castello il corno Giallarhorn e la spada, lasciò il cavallo alle cure degli stallieri, si travestì in. modo da non essere riconosciuto come dio e, a piedi, scese lungo il ponte-arcobaleno. Vagò senza meta per il Midgard fino a giungere ad una spiaggia deserta. Qui, in una grotta sopra le acque, vivevano due vecchi canuti. Ai, cioè «bisnonno», ed Edda, cioè «bisnonna». Erano poverissimi: non avevano mobili, per sedersi si servivano di pietre e il loro letto era un mucchio di alghe; si vestivano con le pelli di animali selvatici e ignoravano l’uso del fuoco. Nonostante fossero cosi poveri, Ai ed Edda accolsero ben volentieri lo straniero e gli offrirono del cibo, null’altro che telline strappate dagli scogli e lumache raccolte sotto i cespugli dei dintorni; da bere, non c’ era altro che acqua fresca attinta a una vicina fonte. .Heimdall restò molto commosso da quell’ingenua gentilezza, e chiese ai due vecchi se erano disposti a ospitarlo per tre giorni. Ai disse subito di sì, ma Edda era piuttosto perplessa perché nella grotta c’era un unico letto di alghe. Comunque sia, si stabilì che lo straniero avrebbe dormito tra loro due, vale a dire nella zona del letto che, disse Edda, era la più morbida. Dopo aver dormito così per tre notti, Heimdall dalla grotta chiamò Ai ed Edda che erano usciti, come ogni mattina, per dedicarsi alla raccolta di

cibo. Di fronte a sé, sul pavimento della grotta, aveva un pezzo di legno piatto e in mano teneva una bacchetta appuntita, che infilò in una cavità dell’assicella, attorno alla quale aveva accumulato erbe secche. Poi fece ruotare la bacchetta tra i palmi delle mani: ben presto si sprigionò del fumo, al quale seguì quel fiore magico che gli uomini chiamano fuoco. Ai ed Edda restarono spaventati e meravigliati, ma ben presto si resero conto dei benefici del dono fatto loro da Heimdall.

Midgard: il Recinto di mezzo, la terra destinata agli uomini Asgard: la sede celeste degli dèi. Odino: il padre degli dèi e di tutte le potenze divine. Bifrost: la via tremula, l’arcobaleno, il ponte che unisce la terra (Midgard) al cielo (Asgard).