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n ° 2 Rassegna di dottrina e giurisprudenza a cura dell’Ordine degli Avvocati di Roma ANNO LXV APRILE – GIUGNO 2017 ISSN 0495-0658

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n° 2 Rassegna di dottrina e giurisprudenzaa cura dell’Ordine degli Avvocati di Roma

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ANNO LXVAPRILE – GIUGNO 2017

ISSN 0495-0658

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2 INTERVISTE IMMAGINARIE: DioMario Scaffidi Abbate

8 SAGGI8 Galeotte furono le indagini difensive... La difesa penale e le nuove frontiere scientifiche

Serena Gasperini11 Jobs act e regime delle tutele crescenti - Parte II (Termina)

Alessandro Nicodemi18 Sopravvenienze atipiche e rimedi

Francesca Zignani

24 OSSERVATORIO LEGISLATIVO24 La vendita con trasporto: profili processuali. Legittimazione processuale ed oneri probatori

Carlotta Maria Manni26 Spazi per le analisi personologica della vittima e dell’indagato nel procedimento penale

Laura Valentina Mascioli

34 NOTE A SENTENZA34 La irragionevole compensazione delle spese processuali

Antonio Caiafa40 Non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131 bis c.p.): abolitio criminis o retroattività della

norma penale più favorevole al reo?Fabio Coppola

44 Il fallimento delle società in mano pubblicaFrancesco Scarafoni

n° 2 Rassegna di dottrina e giurisprudenzaa cura dell’Ordine degli Avvocati di Roma

Sommario

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Oggi ho voluto tentare il più grande scoop ditutta la mia carriera giornalistica e letterariamai realizzato: intervistare Dio, parlargli, nel

senso di instaurare un dialogo con Lui. È vero, io sonoin contatto continuo e diretto con Dio, senza alcunainterruzione, anche di notte, e Lui in fondo mi parla,attraverso le cose, attraverso l’umanità, attraverso ilibri che leggo, e che scrivo, persino attraverso me stes-so, perché la storia dell’uomo è la storia di Dio, chedalla dimensione assoluta, dove tutte le sue prerogativesono mescolate e confuse, si trasferisce in quella relati-va rendendo chiari e distinti tutti i suoi contenuti, conle limitazioni, le imperfezioni e le contraddizioni chederivano dal fatto che in tale dimensione la suacoscienza è limitata. Lo vedo, dunque, e lo sento sem-pre e comunque, ma un’intervista potrebbe mettere apunto molte cose, rivelarmi delle importanti verità.

Voi direte: ‘Ma cosa c’entra Dio con i giuristi e ilegislatori?’. C’entra. Dio è la Legge per antonomasia,da cui derivano tutte le leggi umane. Ed è anche ilsommo giudice, il magistrato dei magistrati, l’avvoca-to degli avvocati. Coraggio, quindi, mi sono detto,chiamalo, interrogalo, chiedigli come stanno veramen-te le cose, che ti dica la Verità, tutta la Verità, nient’al-tro che la Verità.

Così mi sono accomodato nella mia poltrona, con lemani incrociate nel grembo, e chiusi gli occhi, pensan-do a Dio, ho cominciato a recitare mentalmente il miomantra in attesa e nella speranza che la mia coscienza,andata in trascendenza, potesse in qualche modo veder-lo e parlargli.

C’è voluto più tempo che in tutte le mie meditazio-ni precedenti, ma a un certo punto mi è venuto dentroun calore che mi si è diffuso in tutto il corpo, finché ho

sentito, chiaramente, queste parole: “Io sono il Signore Dio tuo!”.Non ho visto alcuna immagine, e questo è naturale,

perché Dio nella sua dimensione assoluta non ha volto. “Padre nostro che sei nei cieli!”, ho esclamato. E Lui: “Nei cieli, in terra, in mare … Io sono dovun-

que, e dovunque non ci sono che io. L’inizio di quellapreghiera va modificato. Veramente sono tanti i ritoc-chi che deve fare la Chiesa, ma piano piano… Il mondonon è stato fatto in un giorno”.

“Signore, a questo proposito Voi avete detto a Mosè‘In principio Dio creò il cielo e la terra’: troppo pocoper uno come voi”.

“Cos’è questo Voi? Dammi del tu. Dopotutto seifatto della mia stessa sostanza, al suo stato grossolanoma è sempre la mia sostanza, sia pure con una coscien-za diversa, personale, perché limitata. Io, infatti, nonposso avere nella mia dimensione relativa la stessacoscienza che ho in quella assoluta. E questa è la primalegge, fissa, ineluttabile, a cui sono soggetto io stesso.Che tuttavia ho nei singoli uomini, quando lo vogliano,la possibilità di dilatare la loro coscienza individuale”.

“Come accade, per esempio, con la meditazione”. “Esatto. Ma sgombriamo subito il campo da un

equivoco. Io, qui, non sono il Dio degli ebrei, dei cri-stiani, dei musulmani, dei buddisti, Javèh, Allah,Brahma e così via: quelli sono emanazioni o aspettidella mia divinità – come del resto tutti gli esseri e tuttele cose del mondo – perché i vari popoli, lontani fraloro e diversi per cultura e mentalità, non possonovedermi nello stesso modo. Lo dico nel Corano, l’uni-co fra i testi sacri in cui affermo esplicitamente questaverità, che cioè io, unico e solo Dio, ho assegnato adogni popolo una via da seguire e che se avessi volutoavrei fatto degli uomini una sola comunità con una sola

Interviste immaginarie a giuristi e legislatori:DioMario Scaffidi AbbateDocente di Letteratura italiana

“Io sono colui che è”

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Fede. Per questo non dico a tutti i popoli le stesse cose,non detto le stesse leggi e le stesse prescrizioni, perchédevo tener conto delle loro tradizioni, dei loro usi, dellaloro mentalità, del loro tempo. Però nei testi sacri diogni paese ci sono analogie, perché l’autore ne sonosempre io. Così della creazione del cielo e della terraparlano anche il Corano e le Upanisad. Il Corano dice:‘Sia lode a Dio, creatore dei Cieli e della Terra, il qualeha fatto sorgere la luce ed illuminare le Tenebre’. NelleUpanisad si legge: ‘In principio, al posto dell’universo,non c’era altro che una massa confusa. Allora nacque-ro le acque, la cui panna si consolidò e divenne laterra’. A volte, poi, in un testo sacro, sono stato più det-tagliato e preciso che negli altri. Nel Corano, per esem-pio, in cui parlavo ad un popolo diverso da quelloebraico, a proposito della nascita dell’uomo non milimito a dire, come nell’Antico Testamento, di averfatto l’uomo a mia immagine e somiglianza, ma entronei particolari. ‘In verità’, dico, ‘Noi creammo l’uomodall’argilla, indi lo ponemmo, quale goccia di sperma,in un ricettacolo sicuro. Ivi trasformammo lo sperma inun grumo di sangue e il grumo in un pezzo di carneinforme, al quale demmo ossa che lo rivestì’. Inoltre,sempre nel Corano, ci sono riferimenti ad altri testisacri, dove dico di aver fatto scendere su Maometto ilLibro di Verità, a conferma delle mie precedenti rivela-zioni contenute nella Torah e nel Vangelo. Comunque,in questo nostro colloquio io devo pur assumere unaspetto e allora ti parlerò nella veste del Diodell’Antico Testamento, al quale tu sei più vicino. Giàil fatto che io ti parli, per di più nella tua lingua, dimo-stra che io devo necessariamente adeguarmi alla tuacultura e alle conoscenze che tu hai di me”.

“Ma dimmi: il mondo in che senso è una tua crea-zione?”.

“Non devi prendere la Bibbia alla lettera, anche sela Chiesa la definisce ‘Parola di Dio’, e tali sono tutti ilibri, del resto. Compresi i giornali e la SettimanaEnigmistica. Ti dirò io come sono andate esattamentele cose. In principio, cioè prima che nascesse il mondo,altro non c’era che un eterno flusso di energia pura ecosciente, che come una celeste melodia scorreva inuno spazio senza fine. Questo ero io: materia sottilissi-ma, che ancora e sempre intorno a voi permane”.

“È quel che dice Teilhard de Chardin nel suo innoalla materia divina: ‘Benedetta tu sia, materia universa-

le, eterna, etere senza sponde, abisso triplice delle stel-le, degli atomi, degli uomini e di tutti i viventi: Tu chevinci e che dissolvi i nostri angusti spazi riveli a noi lavastità di Dio’”.

“Esiste una sola sostanza: quello che voi chiamatespirito altro non è che la materia allo stato più sottile,purissimo, invisibile e impalpabile, mentre quella chevoi chiamate materia altro non è che lo spirito, visibile,nello stato concreto o grossolano”.

“Dunque sentirti anche col nostro corpo materialenon è una bestemmia, un sacrilegio”.

“Assolutamente no. Con l’estasi, del resto, questoaccade: lo struggimento di Teresa d’Avila era pratica-mente un coito mistico consumato con me”.

“Ma la Chiesa non è di questo parere, non accetta ilpanteismo. Perciò ha condannato Teilhard de Chardin,‘il gesuita proibito’, il ‘fatiscente eretico’, e ancheSpinoza, definendolo ‘pieno di empietà e di ateismo’,un uomo di cui ‘il globo terrestre non ha visto da seco-li nulla di più dannoso’. Non dirmi che anche in questoc’era il tuo zampino”.

“E di chi altro, se no?”.“Anche nel male? Sant’Agostino sostiene che non

vi è uomo né diavolo né spirito infernale, che abbiavirtù di nuocere senza la permissione divina, aggiun-gendo che se tu smettessi di tentarci cesseresti di farcida maestro”.

“Il male risulta tale quando si guardano le cose e ifatti senza criterio, cioè separati fra loro, una cosa qua,un’altra là, un fatto qua, un altro là, come voi fate nonsolo col bene e col male, con lo spirito e la materia, maanche col freddo e il caldo, con l’umido e l’asciutto ecosì via. È all’insieme che si deve guardare. Una cosaper essere perfetta deve racchiudere in sé tanto di benee tanto di male. Il male, poi, non danneggia e nondistrugge la vita, al contrario l’edifica e la rafforza.Dimmi se un albero, che deve elevarsi magnifico nelcielo, possa fare a meno del maltempo e della bufera,se le ostilità e gli ostacoli esterni non costituiscanospesso una circostanza favorevole senza la quale sareb-be impossibile una grande crescita, anche nella virtù. Ilveleno che uccide i deboli tonifica i forti, che non lochiamano veleno. Per non dire che il male è una spintaal progresso, oltre che al raccoglimento interiore, almisticismo, alla santità. Il male spesso fa bene, è utilea certi fini. Il delinquente produce non solo crimini ma

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tutta l’organizzazione poliziesca e la giustizia penale,gli sbirri, i giudici, i boia, i giurati e tutte quelle diffe-renti professioni che formano altrettante categorie nelladivisione sociale del lavoro, sviluppano facoltà dellospirito umano, creano nuovi bisogni e nuove maniere disoddisfarli. Il crimine appare così come uno di quei fat-tori naturali di equilibrio, che stabiliscono un giustolivello e aprono tutta una prospettiva di utili occupazio-ni. Insomma, ti sintetizzo questa verità in una frase: Èstato solo grazie all’olocausto se dopo tanti secoli gliEbrei hanno avuto una patria”.

“È una battuta molto pesante, che può sembrarescandalosa”.

“Oportet ut scandala eveniant. Anche lo scandalorientra nel gioco”.

“La Chiesa dice che tu hai creato il mondo dalnulla”.

“E come avrei potuto se il nulla non esiste, visto cheio sono tutto e dovunque non ci sono che io. Io non usola bacchetta magica, come un prestigiatore, io sono unoscienziato, un chimico e un fisico. La Creazione in real-tà è stata una manipolazione della mia sostanza stessa,una trasformazione, una metamorfosi di me stesso. Delresto Giovanni lo dichiara esplicitamente: ‘In principioera la Parola, la Parola era presso Dio, la Parola eraDio’. E precisa che tutto è stato fatto per mezzo dellaParola. In poche parole il mondo sono io, o io sono ilmondo. Il quale è il risultato di una combinazione innu-merevole di tutti gli elementi e gl’ingredienti, fisici echimici, che sono nella mia sostanza, comprese le paro-le, che sono dei suoni. Pensa che mescolando, cioè ana-grammando fra loro in tutti i modi possibili quattro solelettere, come Roma, vengono fuori quattordici parole(Roma, amor, orma, armo, mora, ramo, arom, oram,mrao, mroa, amro, omra, aorm, oarm): vedi un po’,dunque, quante ne vengono da una parola di ventiseilettere come precipitevolissimevolmente. Tutte le lette-re dell’alfabeto, e non soltanto loro, sono per così direessenziate della mia divinità. Come dico nelleUpanisad, le vocali sono essenziale di Indra, uno deimiei aspetti, il Dio della folgore, del temporale, dellepiogge e della magia, le consonanti sono essenziale diMrtyu, il mio aspetto della Morte. Insomma, io ho trat-to da me stesso, come il ragno trae dalla propria sostan-za la sua tela, tutti gli elementi che hanno dato originea tutti quanti gli esseri e alle cose. Oltre alle lettere del-

l’alfabeto, cioè ai suoni, ho utilizzato anche i numeri egli elementi primordiali, come l’ossigeno, l’idrogeno,l’azoto e così via. Ogni cosa ha avuto origine da me enon c’è fatto, anche il più banale e insignificante, chenon sia riconducibile e attribuibile a me”.

“Dunque il libero arbitrio non esiste!”.“Bisogna vedere come s’intende la libertà. Dante,

come tu m’insegni, nel sedicesimo canto delPurgatorio, fa dire a Marco Lombardo, rivolto agliuomini: ‘A maggior forza ed a miglior natura liberisoggiacete’. Ebbene, non c’è contraddizione in quellafrase, come vogliono i commentatori: ‘liberi’ significache gli uomini ‘soggiacciono’ spontaneamente, inge-nuamente, al mio volere non opponendosi ma assecon-dandolo. D’altra parte la convinzione che l’uomo ha diessere libero non prova necessariamente che lo sia dav-vero. Essendo destinato ad agire, per attuare i miei fini,per forza deve credere di essere lui l’artefice e ilresponsabile delle azioni che compie. Come pure,dovendo pensare, non può non pensare di essere liberonel pensare per la ragione, appunto, che è un esserepensante. Ma poi la convinzione di essere libero all’uo-mo gliel’ho data io, come un espediente per spingerload agire e a realizzare la mia volontà, che non si realiz-zerebbe se l’uomo non avesse quella convinzione per-ché tutti incrocerebbero le braccia e non muoverebberoun dito, oppure, sapendo di non essere loro i responsa-bili, commetterebbero stragi e delitti a non finire”.

“Sembra un gioco”.“E lo è. Il mondo è per l’appunto un gioco dialetti-

co attuato e condotto da me, che essendo tutto, nonpotevo creare nulla che già non fosse in me. E avendoin me, nella mia dimensione assoluta, sotto una formaeterea, sottile, tutte le cose possibili e immaginabili,comprese le guerre, le catastrofi e le malattie, non pote-vo fare altro che esprimerle, manifestarle, come fa l’uo-mo coi suoi pensieri e i suoi sentimenti, mettendo tuttoa confronto, in discussione. O come un artista che tra-sferisce fuori di sé tutto ciò che pensa e che sente,buono o cattivo che sia. Dimmi un po’: si può impedi-re ad un artista, si tratti di un poeta, di un pittore o diuno scultore, di esprimere il suo mondo interiore?”.

“No”.“Si può dunque muovermi un’accusa se nel mondo

c’è il male, quando io necessariamente devo esprimeretutti i miei contenuti? È un gioco, il gioco è la mia vera

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creazione: un gioco dialettico fatto di opposti, di con-trasti, di mosse e contromosse. Come in un’immensapartita a scacchi, della quale io conosco in partenzatutte le mosse, lo svolgersi e la conclusione. E in ciòconsiste il mio divertimento: nel vedere le pedine chevanno di qua e di là, mentre i giocatori si affannano, siarrabbiano e si disperano, ignari di ogni mossa e diogni evento, scambiando per una cosa seria quello cheper l’appunto altro non è che un gioco”.

“E quando ha avuto inizio tutto questo?”.“Con la nascita dell’uomo, e in particolare col mio

divieto imposto ad Adamo di cogliere il frutto dell’al-bero del bene e del male: un divieto che sotto sotto eraun invito, un no che al tempo stesso era un sì, diciamopure una tentazione. Questa è stata la mia grande tro-vata”.

“In definitiva la storia dell’uomo è la tua storia”.“E di chi altro, se no?”.“Non si coglie frutto che Dio non voglia”.“Vuoi che te la racconti tutta?”.“Sì sì”.“Ascolta. Punire l’umanità intera, bollarla tutta per

l’eternità, come la Chiesa ha fatto credere, per un pec-cato di così poco conto (quale padre non vorrebbe cheil proprio figliuolo diventasse come lui, anzi che fossemigliore?) era, onestamente, troppo. Così io decisi divenire sulla Terra in vesti umane e immolarmi comeCapro Espiatorio di un provvedimento che faceva apugni con la mia misericordia infinita. Perché in quelpeccato c’era stato il mio zampino, attraverso Satana,naturalmente: in certe cose io non mi sporco personal-mente le mani, ma sono sempre io che muovo tutti i fili.Ora ascoltami bene e vedrai dove voglio arrivare”.

“Sono tutto orecchi”.“Senza la morte di Cristo – quella morte (col tradi-

mento di Giuda e tutto il resto, perché certo Cristo peril fine che si proponeva non poteva morire di vecchia-ia o per un incidente) – il Cristianesimo sarebbe statoprivo di ogni contenuto. È inutile discutere, non potevaandare che così, ero io che lo volevo (ammesso che sipossa attribuire a me una volontà). Un Dio che si ven-dica di un’offesa incarnandosi Egli stesso per ‘redime-re’ i colpevoli di quell’offesa è il gesto più sublime,ineguagliabile, che si possa concepire, e solo un Diopoteva compierlo”.

“Parlami della tua Legge: tu sei il primo legislatore

della Storia”.“Cinque libri ci sono voluti per raccogliere tutte le

mie leggi, o semplicemente la Legge, come voi dite laBibbia al singolare per indicarne i libri. Sono i cinquelibri del Pentateuco. Tutte le mie leggi sono inserite inuna legge fondamentale, la legge dell’ordine e dell’ar-monia di cui parla Dante per bocca di Beatrice: ‘… lecose tutte quante / hanno ordine fra loro, e questo èforma / che l’universo a Dio fa simigliante’. In que-st’ordine tutte le specie naturali ricevono un’inclinazio-ne che varia a seconda della sorte che è loro riservata,per cui esse si dirigono verso mete diverse, ciascunacon un istinto o una spinta personale che la conduca aquella sua meta determinata e già stabilita. Ogni cosadisposta cade a provveduto fine, dice sempre Dante,che è stato poeta divino nel senso pieno della parola, unilluminato, ispirato più di Mosè e di tutti gli altri profe-ti. Apri bene gli orecchi perché qui il discorso si falungo, difficile e complicato. Dunque. Tutti i fatti e tuttigli esseri viventi sono collegati fra loro, come in unasorta di tela cosmica, e il mondo è governato da unalegge suprema di necessità alla quale io stesso nonposso sottrarmi. Tutte le cose sono interconnesse in unlegame sacro che le unisce, per cui concorrono simul-taneamente all’armonia dell’universo. Ogni cosa con-corre alla nascita e alla vita di tutte le altre in un intrec-cio comune di cause e di effetti, sicché anche il più pic-colo fatto è necessario e utile all’intero universo. Tuttigli uomini, pur con sorti diverse, collaborano a ununico fine, quali con lucida coscienza, quali inconsape-volmente, e persino chi critica gli eventi o cerca di con-trastarli e d’impedirli, poiché il mondo ha bisognoanche di gente simile. Nel mondo tutto occorre e con-corre alla vita di ogni singolo essere, dal più grande alpiù piccolo, dal più nobile al più spregevole, in unainterdipendenza delle più diverse natu re. Anche il mini-mo fatto accade con la partecipazione dell’intero uni-verso, poiché ogni uomo è in castrato nella vita di tutti(come gl’ingranaggi di un meccanismo) ed è artefice eresponsabile di tut te le azioni, così come tutti sono arte-fici e responsabili delle azioni di un solo. Ne consegueche in ciascun uomo c’è l’intera umanità per cui ciò chefa uno è come se lo facessero tutti simultaneamente, inuna susseguente molteplicità e diversità di tempi e diluoghi. Mi segui?”.

“Sì, ti seguo, ti seguo”.

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“La Grande Legge, implicita nella mia dimensioneassoluta, va attuandosi nella dimensione relativa, cioènel mondo, determinando – come nel progressivo scor-rere delle pagine di un libro o nello svolgersi di unapellicola in proie zione – il presente, il passato e il futu-ro. Essa ha quindi due aspetti, uno statico, immutabile,assoluto ed eterno – come un libro chiuso o un filmavvolto nella sua bobina – l’altro dinamico, mutevole,relativo e temporale. Lo schermo riproduce fedelmen-te, fotogramma per fotogramma, tutte le scene impres-se nella pellicola. Tale legge è irrevo cabile e non possomodificarla neppure io perché io stesso sono la Legge,alla quale posso sottrarmi solo sul piano dialettico,nella mia veste umana. E solo in questa veste voi mipotete vedere. Potete vedermi nel volto sorridente di unbambino, nello sbocciare di un fiore, nella gioia, neldolore, nel grido di chi nasce e di chi muore, dovunque,dovunque è la vita, dovunque è la morte io vivo dellamia potenza infinita”.

“Qual è stata la tua prima legge?”.“Quella della Creazione (anch’io dico Creazione nel

senso di formazione dell’universo), che è poi la leggedell’ordine e dell’armonia. E questo è l’argomentoprincipale della Genesi. Ci sono poi i dieciComandamenti, di cui parla l’Esodo, promulgati sulSinai, altre leggi e prescrizioni relative al Tabernacoloe al culto. Quindi, come si legge nel Levitico, vengonole leggi e i doveri che riguardano i sacrifici, la consa-crazione sacerdotale, la purezza della vita sociale, i rap-porti col prossimo e con me, la santità dei sacerdoti, lefeste annuali, la legge contro i bestemmiato ri e la leggedel taglione, le prescrizioni relative ai voti e alle deci-me. Poi, come si legge nel Deuteronomio, che è la‘seconda legge’, ma in realtà è una ripetizione dellaprecedente, vengono le prescrizioni e le ammonizionisulla condotta che il popolo ebraico deve osservare perpoter entrare nella terra promessa”.

“Però molte tue leggi sono cambiate”.“I cambiamenti rientrano nel processo di evoluzio-

ne dell’uomo. Ti faccio un esempio. Se a un certo punto

arriva un’invasione di migranti è chiaro che bisognaprendere dei provvedimenti, e ciò che andava beneprima non va più bene dopo. Ma in ogni caso c’è sem-pre il mio zampino”.

“Anche nella legge che riguarda la fecondazioneartificiale?”.

“Anche. L’evoluzione comporta che l’uomo e ladonna vadano diventando sempre più sterili e ciò a uncerto punto metterà in pericolo la sopravvivenza dellaspecie umana”.

“Mi hai rivelato delle verità straordinarie. Ora, però,se le vado sbandierando ai quattro venti e dico che mele hai dette tu, non solo mi prenderanno per pazzo mami marchieranno come eretico, mi scomunicheranno”.

“Ti risponderò con le parole con cui Cacciaguida siaccomiata da Dante, nel canto XVII del Paradiso:‘Coscienza fusca / o della propria o dell’altrui vergogna/ pur sentirà la tua parola brusca. / Ma nondimen,rimossa ogni menzogna, / tutta tua vision fa manifesta;/ e lascia pur grattar dov’è la rogna’”.

A quel punto, emergendo allo stato di coscienza diveglia, ma sempre con gli occhi chiusi, ho visto formar-si tre cerchi concentrici, luminosi e colorati, di cui unosembrava il riflesso dell’altro (il Padre e il Figlio),mentre il terzo (lo Spirito Santo) era di fuoco. Ho pen-sato alla visione che Dante ha di Dio nell’ultimo cantodel Paradiso. E a un certo momento dentro quei cerchiha preso forma un volto, l’aspetto umano di Dio. Ecome Dante anch’io cercavo di capire in quale modo eperché quell’‘effigie’ si fosse formata. Ma “non eran daciò le proprie penne”, non avevo ali tali da poter com-piere quel volo per scoprire come in Dio siano presen-ti contemporaneamente la natura divina e quellaumana.

“Ma già volgeva il mio disìo e ’l velle, sì come ruota ch’igualmente è mossa, l’amor che move il sole e l’altre stelle”.

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Io sono il Signore Dio tuo: 1. Non avrai altro Dio fuori di me.2. Non nominare il nome di Dio invano.3. Ricordati di santificare le feste.4. Onora il padre e la madre.5. Non uccidere.6. Non commettere atti impuri.7. Non rubare.8. Non dire falsa testimonianza.9. Non desiderare la donna d’altri.10.Non desiderare la roba d’altri. (Esodo)

1. Sia Lode a Dio, Signore dell’Universo,2. il Clemente, il Misericordioso,3. il Padrone del Giorno del Giudizio.4. Te Solo noi adoriamo e a Te solo noi ci rivolgiamo.5. Guidaci sul Retto Sentiero, 6. il sentiero di chi vive nella Tua Grazia.

“Il brahman ha quattro possibilità di manifestazione: la parola, il prana, l’occhio, l’orecchio; ciò dal puntodi vista soggettivo. Dal punto di vi sta oggettivo uno dei suoi quarti è il fuoco, un altro è l’aria, un altro èil sole, un altro sono le regioni celesti. Tali sono i due punti di vista, quello soggettivo e quello oggetti-vo. La parola è, quindi, uno dei quattro quarti del brahman. Quel quarto che, avendo Agni co me fiamma,splende e riscalda”. (Upanisad, Terza lettura, XVIII, 1-2)

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In teoria, l’attività investigativa del difensore, ben-ché avvertita come uno dei temi centrali del nuovosistema processuale, è stata relegata per oltre un

decennio nelle norme d’attuazione del codice di proce-dura penale, in particolare nell’art. 38 (poi abrogatodall’art. 23 legge 397/2000) che si limitava a prevede-re il diritto del difensore di svolgere investigazioni perricercare e individuare elementi di prova a favore delproprio assistito e di conferire con le persone in gradodi dare informazioni.In pratica però la giurisprudenza “puntava il dito” con-tro la mancanza di qualsivoglia protocollo formale nelreperimento e nella raccolta delle informazioni, trava-sando gli effetti dell’imponente lacuna sul momentovalutativo del loro contenuto ovvero sull’attendibilitàdel risultato.L’inadeguatezza dell’art. 38 delle norme di attuazioneal codice di procedura penale emerse chiaramente.Questo non solo per l’oggettiva sinteticità della dispo-sizione, inevitabilmente esposta alle interpretazionigiurisprudenziali, ma anche perché molto spesso “ilcontatto con la persona informata” si trasformava inuna dichiarazione (prova) pregiudizialmente inquinata.Così venne inserito nel corpo del codice di procedurapenale un nuovo ed autonomo titolo VI BIS - LIBRO Vcon l’inserimento degli articoli dal 391 bis al 391decies nonché l’art. 327 bis e art. 334 bis.Venne redatto anche un testo nel 2001 che dettava leregole di comportamento del penalista nelle investiga-zioni difensive.L’art. 327 bis descrive l’attività investigativa del difensore:Fin dal momento dell’incarico professionale, risultanteda atto scritto, il difensore ha la facoltà di svolgereinvestigazioni per ricercare ed individuare elementi diprova a favore del proprio assistito nelle forme e per lafinalità stabilite nel titolo VI BIS.

In ogni stato e grado del procedimento, nell’esecuzionepenale e per promuovere il giudizio di revisione.L’Art. 334 bis stabilisce che il difensore e gli altri sog-getti di cui all’art 391 bis non hanno l’obbligo didenunciare neppure relativamente ai reati dei qualiabbiano avuto notizia nel corso delle attività investiga-tive da essi svolte.L’art. 391 bis disciplina il colloquio, ricezione didichiarazioni e assunzione informazioni da parte deldifensore:I soggetti che possono svolgere le investigazioni:difensore-sostituto-investigatori privati autorizzati.Gli avvisi sulla propria qualità, lo scopo, che tipo diassunzione verrà fatta, l’obbligo di dichiarare se impu-tati o indagati, la facoltà di non rispondere, il divieto dirivelare e infine responsabilità per false dichiarazioni.Nel caso in cui la persona informata sia sottoposta adindagine o imputata nel medesimo procedimento ildifensore, che vorrà acquisire informazioni da quest’ul-timo, dovrà ascoltarlo con assistenza del difensore difiducia.Se privo di quello di fiducia, il giudice, su richiesta deldifensore, ne fa nominare uno d’ufficio. Se la persona informata è detenuta, il difensore dovràmunirsi di autorizzazione specifica da parte del giudicesentito il parere del pubblico ministero e difensore deldetenuto:Il giudice al quale chiedere l’autorizzazione è il Gip(prima dell’esercizio dell’azione penale) o Magistratodi Sorveglianza (se in esecuzione).All’assunzione delle informazioni non può assistere néla persona offesa, né l’indagato né parti private.L’assunzione di informazione della persona non indagatae non imputata viene interrotta qualora essa renda dichia-razioni dalle quali emergano indizi di reità a suo carico.Nel caso in cui la persona informata sui fatti si avvalga

Galeotte furono le indagini difensive...La difesa penale e le nuove frontiere scientificheSerena GasperiniAvvocato

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della facoltà di non rispondere, il pubblico ministero, surichiesta del difensore, convoca davanti a se la personadisponendone l’audizione entro sette giorni dalla richiesta.Se in precedenza la convocazione davanti al PubblicoMinistero era quasi automatica a seguito del rifiuto apresentarsi davanti al difensore, oggi invece questoautomatismo non esiste più in quanto il PubblicoMinistero se ritiene che la dichiarazione da assumerenon sia rilevante ai fine delle indagini non accoglie larichiesta del difensore.Questa nuova interpretazione crea molti danni alleindagini difensive atteso che si concede alla Pubblica“Controparte” un’ingerenza sulle indagini del difenso-re non indifferente. In alternativa il difensore può chiedere che si procedacon incidente probatorio. L’art. 381 ter disciplina come deve essere la documen-tazione delle dichiarazioni e delle informazioni: la sot-toscrizione del dichiarante, l’autentica del difensore, ladata in cui viene rilasciata la dichiarazione, l’attestazio-ne di aver rivolto gli avvisi, la dichiarazione allegata.L’art. 391 quater prevede la possibilità per il difensoredi avanzare la richiesta della documentazione alla P.A.L’istanza è rivolta all’amministrazione che ha formatoil documento; in caso di rifiuto si applicano le disposi-zioni dell’art. 367 e 368 c.p.p..L’art. 391 quinquies stabilisce il potere di segretazionedel PM il quale per specifiche esigenze attinenti l’atti-vità di indagine, può disporre con decreto motivato chele persone sentite non comunichino i fatti e le circo-stanze oggetto dell’indagine di cui hanno conoscenza.Tale divieto non può avere durata superiore a due mesi.L’art. 362 impone al Pubblico Ministero la segretezzasulle dichiarazione precedentemente rilasciate al difen-sore.Gli art. 391 sexies e septies disciplinano gli accessi ailuoghi e documentazione, sopralluoghi-rilievi fotogra-fici-tecnici con redazione di un verbale; accessi a luo-ghi privati e non aperti al pubblico con il consenso dichi ne ha la disponibilità.In caso di diniego, il difensore chiede autorizzazione alGiudice.Presso l’abitazione e pertinenze non è consentito salvovi siano tracce di reato o effetti materiali del reatoL’art. 391 octies istituisce il Fascicolo del difensore.Nella fase delle indagini preliminari o in udienza preli-

minare, quando il Giudice deve adottare una decisionecon l’intervento della parte privata, il difensore puòpresentargli direttamente gli elementi di prova raccolti,depositando i documenti in originale nel fascicolo deldifensore.Il PM può estrarre copia e visionare il fascicolo deldifensore.Dopo la chiusura delle indagini preliminari il fascicolodel difensore è inserito nel fascicolo del PubblicoMinistero.L’Art. 391 nonies disciplina l’Attività Investigativapreventiva: le investigazioni possono essere svolte nonsolo quando vi è un procedimento ma anche per l’even-tualità che si instauri un procedimento penale.L’art. 391 decies stabilisce l’utilizzazione della docu-mentazione delle investigazioni difensive, che servi-ranno per le contestazioni, letture, come documentazio-ne di atti non ripetibili e come accertamenti tecnici nonripetibili.Il difensore può decidere di non depositare tutti gli attidi indagine raccolti scegliendo quelli più idonei; diver-samente il Pubblico Ministero deve presentare ogniatto compiuto, ogni colloquio pro e contro l’indagato.L’introduzione della legge sulle investigazioni difensi-ve oltre ad aver disciplinato le modalità e lo svolgimen-to delle indagini da parte del difensore ha comportatoanche l’introduzione di nuova fattispecie di reato. L’art. 371 ter stabilisce che nelle ipotesi previste dal-l’art. 391 bis commi 1 e 2 del codice di procedura pena-le, chiunque, non essendosi avvalso della facoltà di cuialla lettera d) del comma 3 del medesimo articolo,rende dichiarazioni false è punito con la reclusione finoa quattro anni. Il procedimento penale resta sospesofino a quando nel procedimento nel corso del qualesono state assunte le dichiarazioni non sia stata pronun-ciata sentenza di primo grado o sentenza di non luogoa procedere o definito anteriormente con archiviazione.La disciplina delle indagini difensive non si ferma allesole norme del codice di procedura penale sono disci-plinate anche con le regole di comportamento ovvero lenorme deontologiche.Esse stabiliscono che in caso di procedimento pena legià instaurato è sufficiente la nomina senza specificomandato; in caso di indagine preventiva invece è neces-sario il mandato specifico.Le norme di comportamento prevedono anche un

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Dovere di valutazione da parte del difensore sullo svol-gimento o meno delle indagini difensive. Il difensore ha sempre la direzione delle investigazioni(anche per i sostituti), sceglie e nomina i consulenti conatto scritto indicando loro i doveri di osservare ledisposizioni di legge, tutela dei dati personali, comuni-care i dati acquisiti solo al difensore che ha conferito ilmandato, rifiutare ogni altro incarico connesso allavicenda per il quale sono nominati. Le norme deontologiche stabiliscono altresì il doveredi segretezza fino all’utilizzo degli atti nel procedimen-to imponendo l’utilizzo dei documenti nei soli limiti enei tempi del diritto di difesa.Prescrivono che gli inviti diretti alla persona con laquale intende conferire siano in forma scritta e impon-gono al difensore di assicurare la genuinità delledichiarazioni rese anche tramite la trascrizione e regi-strazione in forma integrale delle informazioni assunte.Il difensore non è tenuto a rilasciare la copia del verba-le alla persona che ha reso le dichiarazioni.Ovviamente se il problema della Privacy non è maiemersa riguardo le indagini svolte dal PubblicoMinistero, con le indagini difensive tale interferenza èstata subito oggetto di studio.Non semplice la risoluzione di tale tema e tutt’altro chechiuso.Il dato incontrovertibile è che sia il diritto alla riserva-tezza che il diritto alla difesa sono diritti entrambigarantiti costituzionalmente.Insomma diritti così detti “di pari rango costituzionale”dunque l’uno non può soccombere all’altro.Una soluzione giuridica si rinviene nell’art. 24 D.Lgs.196/2003, secondo cui il consenso non è richiestoquando il trattamento dei dati con esclusione della dif-fusione, è necessario ai fini dello svolgimento delle

investigazioni difensive di cui alla legge n. 397 del2000 o comunque per far valere o difendere un dirittoin sede giudiziaria, sempre che i dati siano trattatiesclusivamente per tali finalità e per il periodo stretta-mente necessario al loro perseguimento.Quanto ai dati sensibili, ad esempio stato di salute, vitasessuale, opinione politica, convinzione religiosa, pos-sono essere oggetto di trattamento previa autorizzazio-ne del Garante al quale viene avanzata una richiestamotivata.Al di là di tutte le vicende giuridiche afferenti le inda-gini difensive, è certo che queste hanno dato il via adun tipo di processo molto diverso e tecnico rispetto alpassato.Infatti grazie alla possibilità per i difensori di effettua-re indagini parallele a quelle della Pubblica Accusanonchè avvalersi di consulenti tecnici in materie inno-vative estere, abbiamo assistito all’ingresso nel proces-so penale italiano di nuove strumenti tecnico-scientifi-ci di elevata specializzazione che hanno ampliato ilcontesto processuale.Un esempio è rappresentato dalla scienza della “BPA”(Bloodstain Pattern Analysis – Analisi delle tracce disangue) di origine Statunitense che oggi è entrata apieno titolo nelle nostre aule Italiane.Questa materia, in particolare, consente di stabilire ladinamica di un omicidio a partire dalla posizione dellavittima e del suo aggressore o più aggressori fino adarrivare a consentire di contare, in alcuni casi, il nume-ro di colpi inferti e lo strumento utilizzato.Se fino all’avvento delle indagini difensive questamateria era conosciuta a pochissimi addetti ai lavori,oggi, invece, è una scienza che in quasi tutti i processidi omicidio è parte integrante dei fascicoli processuali.E questo è solo l’inizio…!

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2. Il regime delle tutele crescenti e le novità introdot-te dal D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23 Licenziamenti indi-viduali, revoca del licenziamento, offerta di concilia-zione, licenziamenti collettivi, profili processuali.Applicabilità della nuova disciplina al pubblicoimpiegoVolendo dare un giudizio di sintesi sul D.Lgs. 4 marzo2015, n. 23, emanato nel corso di una situazione econo-mica nazionale connotata da una significativa recessivi-tà, può ritenersi che detta norma abbia inteso predispor-re una situazione idonea ad agevolare l’assunzione deilavoratori da parte delle imprese, prefigurando un rap-porto di lavoro suscettibile di essere risolto senza costieccessivi e sancendo una disciplina di riferimento – sulversante, tra l’altro, della revocabilità del licenziamentogià comminato, del meccanismo conciliativo incentiva-to, della mancata fruibilità del rito processuale accelera-to introdotto dalla Riforma Fornero, delle modificheintrodotte in materia di licenziamenti collettivi (ancheesse riduttive dei meccanismi sanzionatori previgenti) –che se da un lato può indurre nuove assunzioni, d’altrolato può apparire eccessivamente riduttiva della tutelaapprestata al lavoratore dipendente1.La normativa in parola, per altro, configurando un rappor-to di lavoro presidiato da meccanismi sanzionatori ridotti,nelle intenzioni del legislatore vuole altresì costituire unelemento che possa attrarre in Italia imprese estere inten-zionate ad aprire nuove sedi, così contribuendo ad unaripresa dell’economia nazionale, evitando al tempo stesso

che imprenditori italiani – allettati da normative straniereforiere di minori costi del lavoro o, comunque, maggior-mente appetibili da parte datoriale – si determinino a spo-stare le proprie strutture in altri Paesi.In particolare, la norma “de qua” prevede un regime ditutele crescenti, secondo cui l’anzianità di servizio noncostituisce criterio di avvicinamento alla tutela reale oreintegratoria, ma semplicemente un fattore incrementaledell’indennità economica nell’ambito di un regime san-zionatorio dei licenziamenti illegittimi, immediatamenteapplicabile per tutti i nuovi assunti con contratto di lavo-ro subordinato a tempo indeterminato (inclusi i casi diconversione, volontaria o “iussu iudicis”, di contratti atempo determinato o di apprendistato che sia successivaall’entrata in vigore del Decreto)2 e 3.Sul punto, occorre porre in evidenza un dato rilevato dapiù parti, vale a dire la coesistenza di un regime giuridi-co differenziato, valevole rispettivamente per i lavorato-ri in servizio e per quelli assunti dopo l’entrata in vigo-re del Decreto, con possibili problemi di equità (e forsedi ragionevolezza) intergenerazionale e di coordina-mento tra le diverse tutele4.In ogni caso, lungi dall’essere un distinto tipo ed ulte-riore “tipo contrattuale”, il regime delle tutele crescen-ti è la sintesi riassuntiva di un nuovo regime sanzio-natorio dei licenziamenti illegittimi, applicabile soloai lavoratori assunti dopo la sua entrata in vigore5,cioè dal 7 marzo 2015. All’interno di questo regime,assume rilievo preminente la tutela economica, essendo

Jobs act e regime delle tutele crescentiParte II (Termina)*

Alessandro NicodemiAvvocato, Dottore di Ricerca

Il contributo, diviso in due parti, dapprima richiama le ragioni poste alla base degli ultimi interventi governativi inmateria di lavoro per poi soffermarsi sulle novità introdotte dal c.d. regime a tutele crescenti. L’esposizione tiene contodell’elaborazione dottrinale e del dato normativo più rilevante, come affermato dalla legislazione di riferimento.

SOMMARIO: ...Segue – 2. Il regime delle tutele crescenti e le novità introdotte dal D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23Licenziamenti individuali, revoca del licenziamento, offerta di conciliazione, licenziamenti collettivi, profili pro-cessuali. Applicabilità della nuova disciplina al pubblico impiego.

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la tutela ripristinatoria/reintegratoria circoscritta ad ipo-tesi eccezionali, per quanto significative6.Inoltre l’importo della compensazione economica èdiminuito rispetto all’art. 18, come riformato nel 2012, ela sua determinazione non è affidata al giudice, bensì, siapure tra un minimo ed un massimo previsti dalla legge,ad un calcolo automatico crescente con l’anzianità diservizio del lavoratore (da qui l’espressione “tutele cre-scenti”)7, senza che vi sia alcuna discrezionalità del giu-dice ai fini della modulazione della sanzione.A ciò si aggiunga che, in virtù di un particolare mecca-nismo di esenzione fiscale previsto dalle norme, il lavo-ratore licenziato può spesso valutare più conveniente unaccordo conciliativo col datore di lavoro, piuttosto cherivolgersi ad un giudice8.Le novità introdotte in materia di licenziamenti dalD.Lgs. 23/2015, nella sostanza, non riguardano i presup-posti giustificativi del recesso datoriale, che come primadeve essere sorretto da una giusta causa o da un giustifica-to motivo, ma alcuni aspetti procedurali, il regime proces-suale applicabile alle impugnazioni giudiziali, gli stru-menti di incentivazione alla composizione consensualedella controversia sulla risoluzione del rapporto di lavoro,nonché, questo certamente l’aspetto più qualificante dellariforma, parte dell’impianto sanzionatorio dei licenzia-menti individuali e collettivi invalidi. Con una restrizionedelle ipotesi di applicazione della sanzione della reintegra-zione nel posto di lavoro ed un nuovo criterio di quantifi-cazione della mensilità di retribuzione utile per la quanti-ficazione delle indennità risarcitorie del cosiddetto perio-do intermedio o sostitutive della tutela reintegratoria9.Fatti salvi i licenziamenti inefficaci perché intimati senzala forma scritta, i licenziamenti nulli ed i licenziamentiintimati per ragioni di disabilità fisica o psichica del lavo-ratore che presentino un vizio di giustificazione, per iquali opera la sanzione della reintegrazione con effettirisarcitori pieni, la reintegrazione ad effetti risarcitorilimitati nell’ammontare massimo di dodici mensilità puòessere disposta dal giudice solo in caso di licenziamentidisciplinari intimati da datori di lavoro che superano lanota soglia occupazionale di cui all’art. 18, commi ottavoe nono, della legge n. 300 del 1970 quando risulti insus-sistente il fatto materiale contestato al lavoratore10.In tutti gli altri casi, il licenziamento (sia individuale checollettivo) invalido produce comunque l’effetto estinti-vo del rapporto di lavoro ed è sanzionato con un’inden-

nità economica rigidamente parametrata all’anzianità diservizio, differenziata in considerazione della naturasostanziale o procedurale del vizio invalidante, il cuiimporto è comunque ridotto in caso di lavoratori occu-pati da datori di lavoro rientranti nel campo di applica-zione della tutela obbligatoria11.In ordine alla disciplina “de qua”, per altro, occorretener conto anche della disciplina predisposta dall’art. 9del ridetto D.Lgs. 23/2015 relativamente alle piccoleimprese; a queste non si applica l’articolo 3, comma 2dello stesso Decreto legislativo e l’ammontare delleindennità e dell’importo previsti dall’articolo 3, comma1, dall’articolo 4, comma 1 e dall’articolo 6, comma 1del Decreto in parola, è dimezzato e non può in ognicaso superare il limite di sei mensilità.

Sulle tematiche che occupano l’interpretazione dottrina-le12 ha rilevato quanto segue.La L. 92/2012, all’art. 1, comma 42, aveva riscritto iprimi sei commi dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratoriche, nella sua precedente formulazione, prevedeva unregime di tutela reintegratoria o reale (a fronte della tute-la obbligatoria residualmente contemplata dall’art. 8, L.604/1966). A seguito della riforma del 2012, si era tran-sitati ad un sistema che contemplava quattro regimi ditutela differenziata, applicabili nei (riscritti) limitidimensionali di quella che era la tutela reale: il regime ditutela reintegratoria piena (art. 18, commi 1 e 2), quellodi tutela reintegratoria attenuata (art. 18, commi 4 e 7),quello di tutela indennitaria ampia (art. 18, commi 5 e 7),ed infine quello di tutela indennitaria ridotta (art. 18,comma 6). Il D.Lgs. 23/2015, al dichiarato fine di incen-tivare l’occupazione, soprattutto giovanile, confermache, anche per i nuovi contratti, ci sono: a un regime di tutela reintegratoria piena (art. 2) in casodi licenziamento discriminatorio, nullo e intimato informa orale;

b un regime di tutela reintegratoria attenuata (art. 3,comma 2) nelle ipotesi di licenziamento per giustifi-cato motivo soggettivo o per giusta causa in cui siadirettamente dimostrata in giudizio l’insussistenzadel fatto materiale contestato al lavoratore;

c un regime di tutela solo indennitaria ordinaria (art. 3,comma 1) negli altri casi di licenziamento per giusti-ficato motivo oggettivo per giustificato motivo sog-gettivo o per giusta causa;

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d un regime di tutela solo indennitaria attenuata (art. 4)in caso di licenziamento illegittimo per vizi formali eprocedurali.

Rispetto alle novità precedentemente apportate dalla L.92/2012, quindi, il D.Lgs. 23/2015 ridisegna i confinidei regimi di tutela, in un’ottica complessiva di minorfavore per il lavoratore licenziato, sempre al dichiaratofine di far ripartire l’occupazione con contratti a tempoindeterminato13.Inoltre, al licenziamento dei lavoratori che rientri nel-l’ambito di operatività del D.Lgs. 23/2015 non trovaapplicazione l’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n.604, come successivamente modificato (art. 3, comma1, D.Lgs. 23/2015).Nell’ipotesi di revoca del licenziamento – invece – ovequesta sia effettuata entro il termine di quindici giornidalla comunicazione al datore di lavoro dell’impugnazio-ne del medesimo, il rapporto di lavoro si intende ripristi-nato senza soluzione di continuità, con diritto del lavora-tore alla retribuzione maturata nel periodo precedente allarevoca, e non trovano applicazione i regimi sanzionatoriprevisti dal D.Lgs. 23/2015 (art. 5, D.Lgs. 23/2015).Il testo dell’art. 5 del decreto legislativo riproduce allalettera il contenuto del comma 10 dell’art. 18 St. lav., contecnica legislativa che in dottrina è stata considerata opi-nabile, ma coerente con l’impianto complessivo deldecreto, che intende regolare in modo nettamente sepa-rato ed autonomo i licenziamenti per i neo assunti14.Si tratta di una disciplina speciale volta a favorire il c.d.ripensamento del datore di lavoro, il quale tardivamentee a seguito dell’impugnazione abbia preso contezza del-l’illegittimità del licenziamento effettuato e quindi inten-da revocarlo senza però incorrere nelle conseguenze del-l’atto dannoso. Come è stato osservato, ciò non gli sareb-be consentito secondo l’ordinaria disciplina della revoca,considerata per diritto comune una mera proposta deldatore di lavoro diretta alla ricostituzione “ex nunc” delrapporto, con la conseguenza che, anche se accettata, illavoratore, che abbia impugnato in termini il licenzia-mento avrà comunque diritto al risarcimento dei danni, inmisura minima e tranne il caso in cui il rapporto non si siainterrotto15. In mancanza di accettazione, anche per fatticoncludenti, permane inoltre il diritto al pagamento, surichiesta del lavoratore, dell’indennità in luogo di reinte-grazione. La tutela del diritto già acquisito dal lavoratoreall’applicazione delle sanzioni, in conseguenza del licen-

ziamento di cui venga accertata successivamente l’illegit-timità, viene meno con la nuova disciplina, che configu-ra la revoca quale diritto potestativo datore di lavoro a cuiil prestatore soggiace. Con la conseguenza che il rifiuto ariprendere il lavoro da parte di questi costituisce inadem-pimento contrattuale con applicazione di sanzioni disci-plinari correlate alla sua gravità.La norma prescrive che la revoca portata a conoscenzadel lavoratore entro quindici giorni dalla comunicazionedell’impugnazione del licenziamento comporta il ripristi-no del rapporto senza soluzione di continuità, con il dirit-to del lavoratore alla sola retribuzione maturata nel perio-do precedente la revoca. Nel silenzio della disposizione sideve ritenere che non sia richiesta la forma scritta, inragione dell’autonomia negoziale dell’atto rispetto allicenziamento16.

Il D.Lgs. 23/2015, inoltre, all’art. 6, disciplina anche lac.d. “offerta di conciliazione”, stabilendo che in caso dilicenziamento dei lavoratori di cui all’articolo 1 dellostesso Decreto, al fine di evitare il giudizio e fermarestando la possibilità per le parti di addivenire a ognialtra modalità di conciliazione prevista dalla legge, ildatore di lavoro può offrire al lavoratore, entro i terminidi impugnazione stragiudiziale del licenziamento, in unadelle sedi di cui all’articolo 2113, quarto comma, delcodice civile, e all’articolo 76 del decreto legislativo 10settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, unimporto che non costituisce reddito imponibile ai fini del-l’imposta sul reddito delle persone fisiche e non è assog-gettato a contribuzione previdenziale, di ammontare paria una mensilità della retribuzione di riferimento per il cal-colo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di ser-vizio, in misura comunque non inferiore a due e nonsuperiore a diciotto mensilità, mediante consegna al lavo-ratore di un assegno circolare. L’accettazione dell’asse-gno in tale sede da parte del lavoratore comporta l’estin-zione del rapporto alla data del licenziamento e la rinun-cia alla impugnazione del licenziamento anche qualora illavoratore l’abbia già proposta. Le eventuali ulteriorisomme pattuite nella stessa sede conciliativa a chiusuradi ogni altra pendenza derivante dal rapporto di lavorosono soggette al regime fiscale ordinario.Il sistema permanente di monitoraggio e valutazione isti-tuito a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 28 giu-gno 2012, n. 92, assicura il monitoraggio sull’attuazione

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dell’art. 6, D.Lgs. 23/2015, per espressa disposizionedello stesso art. 6. A tal fine la comunicazione obbligato-ria telematica di cessazione del rapporto di cui all’articolo4-bis del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, e suc-cessive modificazioni, è integrata da una ulteriore comu-nicazione, da effettuarsi da parte del datore di lavoro entro65 giorni dalla cessazione del rapporto17, nella quale deveessere indicata l’avvenuta ovvero la non avvenuta conci-liazione di cui al comma 1 e la cui omissione è assogget-tata alla medesima sanzione prevista per l’omissione dellacomunicazione di cui al predetto articolo 4 bis. Il modellodi trasmissione della comunicazione obbligatoria – sanci-sce l’art. 6 in parola – è conseguentemente riformulato.La previsione di cui all’art. 6, D.Lgs. 23/2015 è, poi,integrata dall’art. 9, comma 1, D.Lgs. n. 23/2015 chesancisce la dimidiazione dell’importo di cui al predettoart. 6, D.Lgs. 23/2015 e pone, per lo stesso, un tettomassimo di sei mensilità, per i datori di lavoro che nonraggiungano i requisiti dimensionali di cui all’art. 18,commi 8 e 9, Stat. lav.. Lo strumento conciliativo in parola non era contempla-to nella legge delega. Può, tuttavia, ritenersi che la pre-visione rientri nell’obiettivo genericamente indicatonell’art. 1, comma 7, lett. b) della stessa L. 183/2014 direndere “più conveniente il contratto a tempo indetermi-nato rispetto agli altri tipi di contratto in termini di oneridiretti e indiretti”18.La conciliazione “de qua” dà luogo ad una nuova formadi risoluzione alternativa della controversia, disciplina-ta allo scopo di essere preferita, almeno tendenzialmen-te, all’alea, già ridotta, dell’eventuale applicazione giu-diziale del nuovo regime sanzionatorio dei licenziamen-ti viziati, di cui agli artt. 2/4 del D.Lgs. 23/2015.L’innovativo strumento – che persegue anche un inten-to di deflazione del carico giudiziario – richiama, purcon talune importanti divergenze, quello predisposto inGermania con la c.d. “Legge Hartz IV”, modificativadella Legge tedesca del 25 agosto 1969 in materia diprotezione dal licenziamento19.È stato, comunque, ritenuto che l’art. 6, D.Lgs. 23/2015disegni una fattispecie negoziale che si realizza, eviden-temente, mediante una trattativa fra parti private, cioè inuno scambio di proposte finalizzate ad un eventualeaccordo e a cui si applicano le disposizioni generali inmateria di negozi giuridici. L’unica peculiarità sta nelfatto che, dalla sussistenza di determinati requisiti della

transazione sottoscritta in sede conciliativa, deriva, perle parti, la possibilità di giovarsi di rilevanti vantaggicontributivi e fiscali. Al riguardo, esistono anche rico-struzioni parzialmente diverse, secondo cui quella pre-disposta dall’art. 6 rappresenterebbe “una conciliazionesenza trattativa”, in cui le parti dovrebbero accordarsisu un importo i cui fattori di calcolo sono già predispo-sti dal legislatore20.Relativamente alla convenienza di aderire o menoall’offerta di conciliazione di cui al predetto art. 6, soc-corrono le seguenti considerazioni21.È evidente che nell’area della tutela puramente indenni-taria l’offerta di conciliazione è assolutamente conve-niente: rifiutarla, come è stato osservato, sarebbe ungesto pressoché sconsiderato. Già nell’area della tutela reintegratoria attenuata (ex art.3, comma 2, D.Lgs. n. 23/2015), il dubbio si insinua,posto che il lavoratore può ambire al ripristino del postodi lavoro (sostituibile con un’indennità pari a quindicimensilità), a cui si aggiunge un’indennità risarcitoria,che può arrivare fino a dodici mensilità. Ovviamente, l’offerta di conciliazione diviene ancormeno allettante, a confronto dell’apparato rimedialeoperante nell’area della tutela reale forte (art. 2, D.Lgs.n. 23/2015). Viceversa, in presenza di un licenziamento affetto davizi formali e procedurali, è il datore di lavoro scarsa-mente incentivato a formulare l’offerta, posto che, incaso di esito negativo dell’eventuale giudizio, egli ètenuto al pagamento di un’indennità non assoggettata acontribuzione di importo pari a una mensilità dell’ulti-ma retribuzione di riferimento per il calcolo del T.F.R.per ogni anno di servizio in misura comunque non infe-riore a 2 e non superiore a 12 mensilità (art. 4, D.Lgs. n.23/2015). Rispetto alla quantificazione dell’offerta diconciliazione, qui manca la detassazione, ma il tettomassimo è addirittura inferiore (12 anziché 18): dunque,dal tredicesimo anno in poi, al datore di lavoro conver-rebbe la condanna giudiziale, piuttosto che la formula-zione dell’offerta. Si consideri, però, che l’importo dellespese legali potrebbe alterare tale calcolo22.In ordine a queste tematiche, occorre altresì tenereconto del c.d. contributo di licenziamento, previstodall’art. 2, comma 31, L. 92/2012. La norma stabilisceche nei casi di interruzione di un rapporto di lavoro atempo indeterminato per le causali che, indipendente-

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mente dal requisito contributivo, darebbero dirittoall’ASpI, intervenuti a decorrere dal 1° gennaio 2013, èdovuta, da parte del datore di lavoro, una somma pari al41 per cento del massimale mensile di ASpI per ognidodici mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni.Nel computo dell’anzianità aziendale sono compresi iperiodi di lavoro con contratto diverso da quello atempo indeterminato, se il rapporto è proseguito senzasoluzione di continuità o se comunque si è dato luogoalla restituzione del contributo addizionale, prevista allostesso art. 2, comma 30, L. 92/201223.Relativamente ai licenziamenti collettivi, invece, soc-corre il disposto dell’art. 10, D.Lgs. 23/2016.Stabilisce detta norma che in caso di licenziamento col-lettivo ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio1991, n. 223, intimato senza l’osservanza della formascritta, si applica il regime sanzionatorio previsto inmateria di licenziamento discriminatorio, nullo e inti-mato in forma orale dall’art. 2, D.Lgs. 23/2015. In casodi violazione delle procedure richiamate all’articolo 4,comma 12, o dei criteri di scelta di cui all’articolo 5,comma 1, della legge n. 223 del 1991, si applica, inve-ce, il regime di cui all’articolo 3, comma 1 del ridettoD.Lgs. 23/2015, previsto per i casi in cui risulta accer-tato che non ricorrono gli estremi del licenziamento pergiustificato motivo oggettivo o per giustificato motivosoggettivo o giusta causa (eccettuata l’ipotesi di insussi-stenza del fatto contestato, disciplinata al successivocomma 2 dello stesso art. 3).Anche in questa ipotesi, come in quella dei licenzia-menti individuali, il regime sanzionatorio è diverso aseconda che i lavoratori interessati siano stati assuntisino al 6 marzo 2015 o successivamente a tale data.Per la prima categoria di lavoratori le sanzioni sono rin-venibili nell’art. 18, L. 300/70, ai cui diversi regimi rin-via l’art. 5, comma 3, L. 223/91: in sintesi, la violazionedella normativa procedurale importa non il ripristino delrapporto di lavoro, ma l’attribuzione dell’indennità risar-citoria di cui all’art. 18, comma 5 (al quale rinvia il terzoperiodo del comma 7 dello stesso art. 18); in caso didifetto della forma scritta, si applica la tutela ripristina-toria piena di cui all’art. 18, comma 1-3; in caso di vio-lazione dei criteri di scelta, si applica la tutela ripristina-toria attenuata di cui all’art. 18, comma 4, L. 300/7024.Invece, per i lavoratori assunti a decorrere dal 7 marzo2015, sulla scorta dell’art. 10, D.Lgs. 23/2015, sopra

richiamato, tanto la violazione degli obblighi proceduralicome quella dei criteri di scelta comporta l’applicazionedella tutela economica crescente (due mensilità per annodi servizio, entro un minimo di quattro e un massimo diventiquattro mensilità), prevista, come regola sanzionato-ria, dall’art. 3, comma 1, D.Lgs. 23/2015. Soltantoall’ipotesi (considerata in dottrina a dir poco irrealistica)del licenziamento collettivo intimato in forma orale con-tinua ad applicarsi la tutela ripristinatoria piena, in virtùdell’art. 10, che rimanda all’art. 225.Per quanto concerne i profili processuali, ai licenzia-menti di cui al D.Lgs. 23/2015 non si applicano ledisposizioni dei commi da 48 a 68 dell’articolo 1 dellalegge 28 giugno 2012, n. 92.In dottrina26 si è dubitato della legittimità costituzionaledi tale norma, che esclude l’applicazione ai nuoviassunti del rito speciale introdotto dall’art. 1, commi 47e ss. della L. 92/2012.L’“intentio” del legislatore – è stato osservato – è chiara:la spinta verso l’utilizzazione dell’offerta conciliativadeve essere accompagnata dalla disincentivazione delprocesso e, quindi, in tale ottica, tanto meglio se questosi svolgerà in tempi non brevi. Ma tale scopo (non con-siderato commendevole dalla dottrina richiamata) nonpuò essere legittimamente perseguito perché è incostitu-zionale, sia sotto il profilo dell’eccesso di delega, inquanto la L. 183/2014 è priva di disposizioni di caratte-re processuale, sia (soprattutto) per l’irragionevole viola-zione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost.(in correlazione cogli artt. 24 e 111 Cost.).Il nuovo rito,infatti, pur formando oggetto di critiche, ha indiscutibil-mente introdotto un canale accelerato con cui, a compen-sazione della riduzione delle tutele sostanziali per illicenziamento illegittimo, è stata assicurata, nella sferadi applicazione dell’art. 18, L. 300/70, una tutela som-maria ed urgente che prescinde dall’accertamento del“periculum in mora”. La disparità di trattamento introdotta sul piano delle tute-le processuali introdotta dal D.Lgs. 23/2015, in ultimaanalisi, non rimane giustificata, atteso che la disciplinaprocessuale dovrebbe essere omogenea per tutte le con-troversie aventi rapporti contrattuali della stessa natura27.Da ultimo, per quanto concerne l’applicabilità delD.Lgs. 23/2015 al pubblico impiego, in dottrina è statoritenuto che il D.Lgs. 23/2015 non possa legittimamenteapplicarsi al lavoro pubblico28. La tutela esclusivamente

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obbligatoria del dipendente pubblico illegittimamentelicenziato collide certamente – secondo l’ermeneutica inparola – con principi costituzionali, inscritti nel sistemadi norme speciali di cui al D.Lgs. 165/2001. La Costituzione, come noto, attribuisce a tutti i cittadiniil diritto di accedere ai pubblici uffici, indica nel concor-so pubblico l’unico strumento per selezionare quei cit-tadini, dispone che i dipendenti selezionati siano al ser-vizio della Nazione e non delle autorità che ne gestisco-no il rapporto di impiego. Questi principi costituzionali, e i conseguenti svolgimentilegislativi, hanno un comune presupposto: il potere di assu-mere e licenziare i dipendenti pubblici, conferendo e revo-cando la titolarità di uffici pubblici, non è mai libero eincondizionato, perché esso incide su un interesse pubbli-co, costituzionalmente protetto. Probabilmente nessunosarebbe disposto ad ammettere – è stato osservato – chel’Amministrazione possa assumere un perditore di concor-so, indennizzando con denari pubblici i concorrenti che lohanno preceduto in graduatoria. Ma a ben vedere non èdiversa la situazione in caso di licenziamento illegittimo.L’amministrazione mai potrebbe licenziare un dipendenteche ciò non merita, indennizzandolo con i soldi della col-lettività. Vi è un interesse pubblico a che quel soggetto,assunto per concorso, continui ad espletare le sue funzioni,in assenza di giuste cause di licenziamento29.Tutto ciò, del resto, è stato abbondantemente chiaritodalla Corte costituzionale (Corte cost. n. 351 del 2008),

che conviene citare con certa larghezza: «A differenza di quanto accade nel settore privato, nelquale il potere di licenziamento del datore di lavoro èlimitato allo scopo di tutelare il dipendente, nel settorepubblico il potere dell’amministrazione di esonerare undirigente dall’incarico e di risolvere il relativo rappor-to di lavoro, è circondato da garanzie e limiti che sonoposti non solo e non tanto nell’interesse del soggetto darimuovere, ma anche e soprattutto a protezione di piùgenerali interessi collettivi […]. Da tutto ciò deriva, sulpiano degli strumenti di tutela, che forme di riparazio-ne economica, quali, ad esempio, il risarcimento deldanno o le indennità riconosciute dalla disciplina pri-vatistica in favore del lavoratore ingiustificatamentelicenziato, non possono rappresentare, nel settore pub-blico, strumenti efficaci di tutela degli interessi colletti-vi lesi da atti illegittimi di rimozione di dirigenti ammi-nistrativi»”30.Sussiste, tuttavia, anche un’opzione ermeneutica disegno opposto che opta per l’applicabilità della nuovadisciplina dei licenziamenti al rapporto di lavoro deidipendenti delle pubbliche amministrazioni c.d. “priva-tizzati” sulla scorta del generale principio dell’applica-bilità anche al settore pubblico contrattualizzato delleleggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa,enunciato dagli artt. 51 e 2, D.Lgs. 165/2001 e sullabase della mancata esclusione, sia nelle legge delegache nel decreto attuativo, del predetto settore31.

* La precedente parte è stata pubblicata nelnumero 1 del 2017.

1 Ad una riduzione delle tutele fa espressoriferimento anche C. Pisani, Il nuovo regimedi tutele per il licenziamento ingiustificato, inR. Pessi-C. Pisani-G. Proia-A. Vallebona,Jobs act e licenziamento, Torino, 2015, p. 17.

2 A. Tursi, Contratto di lavoro a tutele cre-scenti, in Libro dell’anno del diritto 2016,Roma, 2016, p. 315.

3 Tra le prime pronunce applicative dellanuova disciplina, introdotta dal D.Lgs.23/2015, si segnalano i seguenti, recentissimiprovvedimenti: Trib. Roma, 4517/2016 del24 giugno 2016; Trib. Milano 5 ottobre 2016(Giudice A. Lombardi); Trib. Torino 16 set-tembre 2016 (Giudice L. Mancinelli).

4M. Ricci, cit.; A. Tursi, cit., p. 315; Guida aljobs act a cura di M. Fezzi e F. Scarpelli, inwww.uniba.it; M. De Luca, Legge delega suitipi di contratti di lavoro: interpretazionecostituzionalmente orientata in funzione delleleggi delegate, in Lavoro nella Giur., 4, 2015.Anche U. Romagnoli, nell’intervista resa a Ilfatto quotidiano in data 29 dicembre 2014, rap-presentava la potenziale incostituzionalitàdella diversità di trattamento in parola, comeprevista dal disegno di legge successivamenterefluito nel D.Lgs. 23/2015. Contra R. Pessi,Prime riflessioni sui decreti attuativi del jobsact, in Jobs act e licenziamento, Torino, 2015,di R. Pessi-C. Pisani-G. Proia-A. Vallebona,12. Secondo l’Autore, in particolare, il feno-meno di un trattamento diversificato è consoli-dato nel diritto del lavoro per lo strutturale coe-sistere di diverse tipologie di rapporti a diffor-

mi statuti protettivi e, per altro, la stabilità realenon è stata considerata necessitata da parte delGiudice delle leggi. Secondo altro Autore (G.Amoroso, Quadro d’insieme sul Jobs act, cit.,p. 314), la disparità in parola potrebbe esseregiustificata alla luce del principio affermato daCorte cost. 23 luglio 2015, n. 178 per cui, sullascorta di uno scrutino modulato nel tempo, ciòche è legittimo nella contingenza di un certomomento, potrebbe non esserlo più in seguito.Relativamente ai problemi di costituzionalitàposti dalla disciplina introdotta dalla L. 92/2012e dal D.Lgs. 23/2015, si veda L. Zoppoli, Ilicenziamenti individuali e collettivi oggi, in M.Esposito-L. Gaeta-R. Santucci-A. Zoppoli-L.Zoppoli, Istituzioni di diritto del lavoro e sinda-cale, Torino, 2015, pp. 262 ss.

5 A. Tursi, cit., p. 315; nello stesso senso G.

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Amoroso Quadro d’insieme sul Jobs act, cit.,p. 310.

6 R. Del Punta, Diritto del lavoro, Milano,2015, p. 621.

7 Ivi. Il fatto che la dizione “tutele crescenti”si giustifichi per tale ragione nonché l’auto-matismo del calcolo della compensazioneeconomica (col venir meno, quindi, di valuta-zioni discrezionali da parte del giudice) èaffermato anche da G. Amoroso, Quadrod’insieme sul Jobs act, cit., p. 310; l’automa-tismo del calcolo in parola è evidenziatoanche da A. Garilli, cit., p. 4.

8 R. Del Punta, cit, p. 621.

9 Osservazioni svolte da M. Marazza, Il regi-me sanzionatorio dei licenziamenti nel jobsact, Arg. Dir. Lav., 2015, 2, p. 310.

10 Ivi.

11 Ivi.

12 G. Amoroso, Quadro d’insieme sul Jobsact, cit., pp. 310-311.

13 Le osservazioni che precedono sono statesvolte da G. Amoroso, Quadro d’insieme sulJobs act cit., pp. 310-311.

14 A. Garilli, cit., p. 3.

15 Ivi.

16 Le considerazioni che precedono sonostate svolte da A. Garilli, cit., pp. 6-7.

17 In ordine alla comunicazione menzionata, siveda la nota prot. 2788 del 27 maggio 2015

del Ministero del Lavoro e delle PoliticheSociali, avente ad oggetto «Decreto legislativo4 marzo 2015, n. 23. Disposizioni in materia dicontratto a tempo indeterminato a tutele cre-scenti in attuazione della legge 10 dicembre2014, n. 183. Comunicazione telematicadell’“offerta di conciliazione”. Nota operativa».Alla predetta nota operativa, per altro, ilDicastero ha dato seguito con la successiva notaprot. 3845 del 22 luglio 2015. Entrambe le notesono reperibili su www.dottrinalavoro.it

18 A. Garilli, cit., p. 10.

19 Considerazioni svolte da M. Falsone, Laconciliazione ex art. 6 D.Lgs. 23/2015 tra auto-nomia privata e incentivi statali, in G. ZilioGrandi-M. Biasi (a cura di), Commentariobreve alla Riforma “Jobs act”, cit., pp. 308-309.

20M. Falsone, cit., pp. 311-312. La ricostru-zione parzialmente diversa a cui alludel’Autore fa riferimento a R. Voza, “Gli faròun’offerta che non potrà rifiutare”: l’irresi-stibile forza deflattiva dell’art. 6 d.lgs. n.23/2015, in Lav. Giur., 2015, 8-9, p. 778. Alriguardo, si vedano anche i seguenti contribu-ti: F. Rossi, L’offerta di conciliazione previstadall’art. 6 del D.Lgs. n. 23 del 2015, inLavoro nella Giur., 2015, 8-9, p. 782; P.Rausei, La conciliazione in caso di licenzia-mento tra obbligo e facoltà, in Lavoro nellaGiur., 2015, 6, p. 563.

21 Sul punto si richiamano le riflessioni svol-te da R. Voza “Gli farò un’offerta che non

potrà rifiutare”: l’irresistibile forza deflatti-va dell’art. 6 d.lgs. n. 23/2015 cit.

22 Ivi.

23 Il D.Lgs. 150/2015, art. 32, comma 1, lett.a), ha disposto quanto segue: “A titolo speri-mentale, per le assunzioni con contratto diapprendistato per la qualifica e il diplomaprofessionale, il diploma di istruzione secon-daria superiore e il certificato di specializza-zione tecnica superiore a decorrere dalla datadi entrata in vigore del presente provvedimen-to e fino al 31 dicembre 2016, si applicano iseguenti benefici:a) non trova applicazione il contributo dilicenziamento di cui all’articolo 2, commi 31e 32, della legge n. 92 del 2012”.

24 R. Del Punta, op. cit., p. 681.

25 Ivi.

26 A. Garilli, cit., p. 11.

27 Considerazioni svolte da A. Garilli cit.,pp. 11-12.

28 S. Battini, Jobs act e lavoro pubblico: i“controlimiti” alla privatizzazione, inGiornale Dir. Amm., 2015, 2, p. 145.

29 Le riflessioni che precedono sono statesvolte da S. Battini, Jobs act e lavoro pubbli-co: i “controlimiti” alla privatizzazione, cit.,p. 145.

30 Ivi.

31 Tesi dottrinale riportata da A. Tursi, cit., p.322.

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Icontratti, nel gran parte dei casi, possiedono contenu-ti destinati a proiettarsi nel futuro. Più rari sono quel-li ad esecuzione rigorosamente immediata e istanta-

nea: cioè, che si consumano in sé stessi, poiché la conclu-sione coincide senza residui con l’integrale attuazione delprogramma negoziale. È più frequente che il contrattodispieghi la propria esistenza funzionale oltre la sua con-clusione, per un tempo più o meno lungo. Con la conse-guenza che il programma contrattuale si trova ad essereattuato in un contesto diverso da quello esistente almomento in cui le parti lo hanno concordato. I fatti che,intervenendo dopo la conclusione del contratto e primadella sua completa attuazione, mutano il contesto in cui ilcontratto si attua, usano definirsi “sopravvenienze”.Le sopravvenienze rilevanti sono quelle che pregiudicanol’interesse di una parte, aggravando il sacrificio che ilcontratto le impone o diminuendo l’utilità che il contrattole reca: sono quelle che configurano un rischio, intesoappunto come possibilità di un pregiudizio. Ciò che sitratta di vedere è chi, fra le due parti, deve portare ilrischio della sopravvenienza. In realtà, le parti possono essere previdenti, considerandonel contratto stesso l’eventualità di determinate sopravve-nienze, e da regolarne le conseguenze con apposite clau-sole che redistribuiscono in un certo modo il rischio dellasopravvenienza. La condizione risolutiva sconta ilsopravvenire dell’evento dedotto, e ne ricava lo sciogli-mento del contratto; la clausola d’indicizzazione sconta ilsopravvenire di un più ridotto potere di acquisto dellamoneta, e ne ricava l’aumento della quantità di monetadovuta; e così via. Quando le parti stesse regolano ilrischio della sopravvenienza non si pongono particolareproblemi; se non due: di interpretare la relativa clausola evedere se l’allocazione del rischio, concordata fra loro,contrasti con norme imperative o con l’ordine pubblico.I problemi sorgono con le sopravvenienze non contem-plate da nessuna clausola. In primis, occorre vedere se lasopravvenienza sia contemplata dalla legge e con quali

conseguenze. In effetti, storicamente le resistenze che sisono opposte all’ingresso di rimedi contro le sopravve-nienze si sono legati soprattutto al timore che ciò avrebbeinflitto un colpo mortale al contratto come vincolo, ovve-ro al principio pacta sunt servada. La progressiva apertu-ra a simili rimedi è andata di pari passo con la tendenza aconsiderare il vincolo contrattuale in termini meno rigidi.È un’evoluzione interferente con quella della responsabi-lità contrattuale: passata da standard di estremo rigoreverso il debitore inadempiente ad atteggiamenti più mor-bidi, comprensivi, inclini a riconoscere fattori di libera-zione dal vincolo obbligatorio. Il rilievo delle sopravvenienze entra in dialettica con unaltro principio, complementare a quello del vincolo: ilprincipio d’irrilevanza dei motivi e, più specificamente,d’irrilevanza dell’errore sui motivi. Tant’è che in que-st’area d’irrilevanza ricade l’errore di previsione che nonè altro se non ignoranza o falsa conoscenza, al tempo delcontratto, delle future sopravvenienze. Il più rimarchevole blocco di rimedi contro le sopravve-nienze è previsto dalla legge a proposito dell’eccessivaonerosità sopravvenuto della prestazione (art. 1467 c.c.).Specifiche discipline legali della sopravvenienza sono poidedicate a singoli tipi contrattuale: per esempio nell’ap-palto (art. 1664 c.c.) e nell’assicurazione (artt. 1897-1898c.c.). È opportuno precisare che le clausole di distribuzione delrischio di sopravvenienze possono accordare rimedi infattispecie in cui non è previsto alcun rimedio ma posso-no anche disporre in senso inverso: stabilendo che, a fron-te di una certa sopravvenienza, non si applichi il rimedioche la legge prevede a favore della parte gravata.I rimedi contro l’eccessiva onerosità sopravvenuta scatta-no in presenza di quattro presupposti. Il primo è che alme-no una delle prestazioni sia differita (in tutto o in parte)rispetto al tempo della conclusione del contratto: questodeve essere cioè ad esecuzione continuata o periodicaovvero ad esecuzione differita (art. 1467, 1° co., c.c.). La

Sopravvenienze atipiche e rimediFrancesca ZignaniAvvocato

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ragione è semplice: se la conclusione del contratto coinci-desse con la sua completa attuazione, l’onerosità soprav-venuta dopo la conclusione riguarderebbe una prestazio-ne già esaurita. Per prestazione deve intendersi sia il com-portamento o risultato dedotti in obbligazione, sia la rea-lizzazione di una vicenda giuridica (traslativa, costitutivadi un diritto reale, estintiva).Il secondo presupposto è che la prestazione non sia anco-ra esaurita, nel momento in cui viene colpita dall’onero-sità. La ratio è nel differimento della prestazione. C’è unaspetto problematico: che si verifica se l’onerosità colpi-sce la prestazione in un momento in cui questa non èesaurita ma sarebbe dovuta esserlo perché il termine del-l’adempimento scadeva prima del sopravvenire dell’one-rosità. Occorre distinguere a seconda che il ritardo nel-l’adempimento della prestazione sia giustificato o meno.In caso di ritardo giustificato l’onerosità sopravvenutadopo il termine originario lascia aperta la via al rimedio.Non è così nell’ipotesi di ritardo ingiustificato, che dàluogo a inadempimento imputabile: la parte inadempien-te non po’ invocare rimedi contro l’onerosità sopravvenu-ta durante il suo inadempimento. La regola è costante-mente affermata in giurisprudenza talora con l’attenua-zione di subordinarla alla costituzione in mora del debi-tore inadempiente. Il terzo presupposto è che l’onerosità sopravvenuta siaeccessiva: il relativo parametro è dato dalla nozione dialea normale del contratto (art. 1467, 2° co., c.c.). In que-sto caso ci si riferisce all’onerosità diretta, cioè quellache tocca direttamente la prestazione dovuta da chi invo-ca il rimedio. O facendola diventare più costosa o ren-dendola più preziosa. Ma la giurisprudenza estende ilconcetto di onerosità rilevante anche oltre l’onerositàdiretta, includendovi quella che po’ definirsi indiretta:ovvero l’onerosità determinata, a carico della parte chedeve la prestazione non ancora esaurita, dallo svilimen-to della controprestazione attesa. La rilevanza dell’one-rosità indiretta è subordinata tuttavia alla condizione cheanche la controprestazione svilita non sia ancora esauri-ta al tempo dell’evento che la svilisce: il creditore dellacontroprestazione in moneta non può invocare il rimediose la svalutazione interviene dopo che egli è già statointeramente pagato. In sintesi, per attivare il rimediooccorre sempre che la prestazione della parte che l’invo-ca sia non esaurita al tempo della sopravvenienza.Quanto alla controprestazione bisogna distinguere: nel

caso di onerosità diretta la controprestazione può ancheessere esaurita al tempo della sopravvenienza; invece,nel caso di onerosità indiretta, anche la controprestazio-ne deve essere ancora in itinere.Il quarto presupposto è che l’onerosità dipenda dal verifi-carsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili (art.1467, 1° co., c.c.). L’avvenimento può essere naturale oumano. Può essere tecnico, economico, politico, normati-vo. Nella prassi degli interpreti, la doppia aggettivazionesi contrae: il parametro della straordinarietà non riceveautonomo rilievo, e finisce per esser assorbito in quellodell’imprevedibilità. È prevedibile per la giurisprudenza ciò che un uomomedio potrebbe prevedere al tempo del contratto maaggiunge alla luce della natura del contratto, delle qualitàdei contraenti, delle condizioni del mercato e, in definiti-va, di ogni significativo elemento individualizzante. Sullabase di questi criteri, spetta al giudice identificare, in rela-zione al singolo caso, la soglia della prevedibilità ondeverificare se la sopravvenienza vi rientra oppure no: giu-dizio di fatto, incensurabile in Cassazione. Il giudizio sigioca essenzialmente su due dati: il grado di specificità eil grado di probabilità del fatto sopravvenuto, cui riferirela possibilità di prevederlo. Più alto il grado di specificitàche si assume, più facilmente il fatto dovrà considerarsiimprevedibile.Quando ricorrono tutti i presupposti descritti, il contrattosi risolve o subisce un adeguamento nell’interesse dellaparte gravata. L’indagine sulla ratio del rimedio general-mente oscilla fra una concezione soggettivistica, propen-sa a fondarlo sull’implicita o presunta volontà delle partidi condizionare la stabilità dell’impegno contrattuale allastabilità del contesto in cui questo si attuerà (come se nelcontratto fosse presente una clausola rebus sic stantibus)e l’idea più oggettiva di reagire ad un difetto della causa,perturbata dallo squilibrio che l’onerosità induce nellaragione di scambio fra prestazione e controprestazione.La prima ha l’inconveniente di basarsi su una finzione:finge una volontà delle parti, che non esiste. La secondanon spiega perché la causa sarebbe perturbata dallo squi-librio dovuto a eventi straordinari e imprevedibili, e nonquello risalente a fatti privi di tali caratteristiche. L’indagine sulla ratio è condotta anche sul terreno di unadiversa alternativa: ci si chiede se il rimedio ha di mira ilcontratto o piuttosto l’obbligazione, se cioè vuole proteg-gere direttamente l’equilibrio contrattuale fra le prestazio-

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ni o piuttosto la posizione del debitore gravato, sicchél’incidenza del rimedio sul contratto è un riflesso media-to della tutela accordata al debitore, sia pure qualificatodall’essere debitore da contratto. Come sostenuto da auto-revole dottrina, la disciplina del rimedio oscilla fra le dueispirazioni.La risoluzione è, dunque, il rimedio primario control’onerosità sopravvenuta. La sua attivazione è rimessaalla scelta esclusiva della parte gravata: come è naturale,trattandosi di rimedio dato nel suo interesse. La contro-parte può evitarla offrendo di ridurre il contratto ad equi-tà. La parte gravata, di contro, non ha l’autonomo poteredi provocare la riduzione del contratto a equità. Il rimedio si attiva normalmente proponendo domandagiudiziale di risoluzione, facendo valere l’onerosità in viadi azione: ci si interroga se la si possa far valere anche invia di eccezione. Occorre distinguere aspetti diversi. Se inun contratto di durata una parte conviene l’altra perl’adempimento, quest’ultima può certo difendersi ecce-pendo l’eccessiva onerosità, e allegando che in forza diessa il contratto va risolto; si tratterrà, più propriamente,di un’eccezione riconvenzionale. Altra questione è sel’onerosità dia alla parte gravata una ragione per respin-gere legittimamente, prima e al di fuori di un giudizio, lapretesa di adempimento di controparte; in altri termini, secostituisca giustificazione del suo inadempimento. Sembra preferibile la soluzione negativa. Quando la leggeha voluto sancire che l’inadempimento della parte è giu-stificato da quello di controparte, ha codificato l’eccezio-ne d‘inadempimento (art. 1460 c.c.): non ha invece codi-ficato nessuna eccezione di onerosità, capace di giustifi-care stragiudizialmente l’inadempimento della parte one-rata. L’inadempimento anteriore alla sopravvenienza pre-clude all’inadempiente il rimedio. L’inadempimentoposteriore alla sopravvenienza non preclude il rimedio,ma non è giustificato, poiché non esiste un’eccezionestragiudiziale di onerosità sopravvenuta. Quindi l’ina-dempiente risponde del danno prodotto dall’inadempi-mento fino alla domanda di risoluzione per eccessiva one-rosità che egli abbia tardivamente proposto (e che vengapoi accolta).La risoluzione per eccessiva onerosità consegue alla sen-tenza che la pronuncia, avendone accertato i presupposti:si tratta di sentenza costitutiva. Secondo il modello comu-ne, la risoluzione non retroagisce contro i terzi, ma èretroattiva fra le parti, generando obblighi di restituzione.

Peraltro, la retroattività rimonta al momento del contrattosolo per i contratti a esecuzione differita. Invece, nei con-tratti di durata essa non pregiudica le prestazioni eseguiteprima della sopravvenienza onerosa.La riduzione ad equità, riconosciuta alla parte contro laquale è domandata la risoluzione, è un diritto potestativodel convenuto in risoluzione. Il meccanismo è in largamisura sovrapponibile a quello della riduzione a equitàdel contratto rescindibile. C’è tuttavia una differenzasignificativa che riguarda l’aspetto essenziale del mecca-nismo. Rispetto al contratto rescindibile la riduzione adequità deve recuperare l’intero squilibrio di valori. Per ilcontratto risolubile, invece, può pensarsi che basti dimeno: che occorra non già ripristinare l’equilibrio origi-nario delle prestazioni, ma offrire quanto sufficiente ariportare lo squilibrio entro i limiti dell’alea normale delcontratto. Ciò si ricava non solo dalla diversa formulazione dellenorme, ma soprattutto dalla diversa origine dello squili-brio contro cui si reagisce. La sopravvenuta onerosità chegrava la parte non dipende dall’altra (che è una parte inno-cente) e sarebbe perfettamente fisiologica e tollerata senon eccedesse l’alea normale del contratto. Invece, il con-tratto rescindibile coinvolge una parte non innocente, cheha approfittato del bisogno dell’altra: limitarsi a portare losquilibrio appena sotto la soglia dell’ultra dimidiumlascerebbe al profittatore un premio per il suo illecito.L’art. 1468 c.c. si occupa del caso in cui l’onerosità colpi-sce la prestazione dovuta in base a contratto nel quale unasola delle parti ha assunto obbligazioni. Qui il rimedio perla parte gravata, che ovviamente coincide con quellaobbligata, non è la risoluzione, bensì il diritto di chiedereuna riduzione della sua prestazione ovvero una modifica-zione nelle modalità di esecuzioni, sufficienti per ricon-durla ad equità. La ratio è evidente: se non ci fosse talenorma, l’obbligato chiederebbe la risoluzione, e a frontedi questa prospettiva è certo che controparte offrirebbe lariduzione ad equità: perché offrendola conserva almenoparte del vantaggio che il contratto gli dà, mentre se nonl’offrisse perderebbe quel vantaggio per intero. L’ambito di applicazione è quello dei contratti in cui unasola delle parti ha assunto obbligazioni, formula che rie-cheggia quella dell’art. 1333, relativa ai contratti che siconcludono senza accettazione: sono essenzialmente icontratti gratuiti. In realtà, i fini affatto diversi dell’art.1333 (regolare la formazione del contratto-atto) e dell’art.

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1468 (regolare la formazione del contratto-rapporto) por-tano ad escludere la piena coincidenza fra gli ambiti delledue norme. L’art. 1333 c.c. non copre la donazione, il cuiformalismo richiede un diverso procedimento di conclu-sione; né i contratti reali gratuiti, che esigono la consegna;né forse il mandato gratuito, perché implica obblighi(ancorché non corrispettivi, ma solo strumentali) di prov-vista o di rimborso a carico del mandante, e un’intrusionedel mandatario nella sua sfera, che non paiono compatibi-li con la mancanza di accettazione. Invece tutti questi con-tratti sono aperti al rimedio dell’art. 1468 codice civile.Il più notevole contributo a circoscrivere l’area copertadai rimedi contro l’eccessiva onerosità viene, in negativo,dall’art. 1469: i rimedi non si applicano ai contratti alea-tori per loro natura o per volontà delle parti. Tali contrattisfuggono ai rimedi contro l’onerosità solo in quanto lasopravvenienza realizzi esattamente il rischio che costi-tuisce l’alea di quel determinato contratto; ma se realizzaun rischio maggiore o diverso, i rimedi operano.Talora si affaccia l’idea che, nell’ambito dei contratti one-rosi esisterebbe una zona franca sottratta ai rimedi control’onerosità sopravvenuta: questi coprirebbero i soli con-tratti sinallagmatici; ne resterebbero esclusi i contrattiassociativi, specie quelli di società. L’esclusione seccanon è giustificata, come non lo è la tesi che sottrai contrat-ti associativi alla risoluzione per inadempimento. Si dovràdistinguere: se il rischio imprevedibile colpisce l’insiemedelle prestazioni di tutti i soci in quanto destinate all’orga-nizzazione sociale, allora si tratta di un rischio sociale checiascun socio ha scelto di correre e debba sopportare; mase invece colpisce in modo differenziato la prestazionedel singolo socio, contro questo rischio individuale non viè ragione di negare i rimedi.Si è anche sostenuto che i rimedi siano inapplicabili aicontratti preliminari poiché l’onerosità colpirebbe non laprestazione propria di questi (concludere il definitivo),bensì la prestazione dedotta nel definitivo. La tesi varespinta per l’assurdità delle conseguenze: la parte colpi-ta da sopravvenienza dovrebbe concludere il definitivo,salvo chiederne poi la risoluzione per l’onerosità soprav-venuta già in pendenza del preliminare. Il buon sensoesige che i rimedi scattino già contro il preliminare.La giurisprudenza ha rifiutato di applicare l’art. 1467 c.c.ai mutui in ecu divenuti molto onerosi per i mutuatariitaliani, negli anni a ridosso del 2000, causa lo sfavore-vole andamento del cambio fra la lira e le altre valute

europee. I giudici hanno motivato principalmente con laclausola che accolla al mutuatario il rischio di cambio,presente nei contratti; qualche sentenza vi ha visto unelemento che rende il contratto convenzionalmente alea-torio ex art. 1469; altre un elemento che fa rientrarel’onerosità nell’alea normale del contratto ex art. 1467,3° co., codice civile.Nel campo dell’art. 1467 c.c. restano fuori le prestazioniconformate da norme imperative: sicché di fronte allalegge che proroga imperativamente i contratti di locazio-ne bloccando i canoni, il locatore potrebbe reagire controil contratto divenuto per lui eccessivamente oneroso. Latesi può condividersi, limitatamente ai casi in cui l’onero-sità lamentata colpisca proprio l’interesse che la politicadel legislatore ha voluto sacrificare; non invece se l’one-rosità colpisce un interesse diverso.I rimedi generali contro i contratti difettosi non rispondo-no in modo esauriente agli innumerevoli problemi che ilcontratto può porre. Dicendo contratto s’intende soprat-tutto il rapporto contrattuale nel cui svolgimento gli inte-ressi di una parte possono trovarsi ingiustamente pregiu-dicati, in fattispecie in cui la legge non offre nessun rime-dio tipico o comunque nessun rimedio capace di proteg-gere efficacemente l’interesse leso.L’inadeguatezza del sistema di rimedi codificati puòmanifestarsi sotto un duplice profilo. Può essere inade-guatezza nella descrizione delle fattispecie che dannoluogo a rimedi. Accade qualcosa, nel contratto, che giusti-ficherebbe la liberazione dal vincolo nell’interesse di unaparte: ma il contratto non è nullo, né annullabile, nérescindibile; né risolubile per nessuna delle cause genera-li di risoluzione, né infine soggetto a un recesso remedia-le della parte bisognosa di protezione. Da qui la necessitàdi escogitare qualche rimedio nuovo, non codificato:risponde a questa esigenza la figura della presupposizio-ne, creata praeter legem dalla dottrina e dalla giurispru-denza. Può essere ancora inadeguatezza nel modus operandidegli specifici rimedi che la legge prevede contro il con-tratto difettoso. I rimedi legali sono generalmente ablati-vi: puntano a liberare le parti dai loro impegni contrattua-li, cancellando il contratto e i suoi effetti. Ma spesso que-sta soluzione non è appagante, poiché l’efficace protezio-ne degli interessi meritevoli di tutela, coinvolti nel con-tratto, richiederebbe non la cancellazione di questo bensìil suo mantenimento coi diversi contenuti necessari per

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ovviare al difetto che lo affligge: di qui la ricerca di rime-di manutentivi, che salvino il contratto adeguandolo.La presupposizione fu elaborata dalla pandettistica tede-sca di metà ’800 in un contesto nel quale non esisteva unanorma come il nostro 1467 c.c.: la sua giustificazione teo-rica era la volontà implicita delle parti, giacché si consi-derava che queste, pur senza esprimerlo, avessero condi-zionato il loro consenso al presupposto poi venuto meno.Successivamente fu rielaborata in una prospettiva menosoggettivistica: si discuteva di base del negozio, il cuivenire meno avrebbe distrutto il fondamento del negoziostesso. L’introduzione dell’art. 1467 è un ulteriore passag-gio nello sviluppo della figura e nella sua progressivaoggettivazione: infatti la norma da puntuale risposta amolti problemi che prima di essa si affrontavano con lateoria della presupposizione. A molti, ma non a tutti. Ciòspiega il motivo per cui la teoria continua ad essere anco-ra diffusamente applicata.La giurisprudenza è abbastanza assestata nel definire icaratteri del presupposto, necessari affinché il rimediotrovi applicazione. Può essere un dato di fatto o di diritto.Può essere un fatto presente o futuro. Deve essere obietti-vo ed esterno al contratto: cioè non dipendente dallavolontà e dall’attività dei contraenti, e non dedotto amateria di un’obbligazione contrattuale. Deve essere noncontemplato dal contratto. Condiviso da entrambe leparti; o, se assunto da una sola di esse perché riflettente ilsuo esclusivo interesse, quanto meno noto all’altra. Deveessere inteso dalle parti (o da una parte nella consapevo-lezza dell’altra) come dotato di valore determinante per lacostituzione o la permanenza del vincolo contrattuale.Deve essere percepito come certo: se le parti lo percepis-sero come incerto, tale percezione autorizzerebbe a pen-sare (o almeno a sospettare) che esse hanno accettato ilrischio della sua inesistenza o del suo venir meno, controcui non possono poi insorgere.La giurisprudenza è meno univoca nel fissare le conse-guenze: cioè il rimedio applicabile quando la situazionepresupposta come presente al tempo del contratto risultainvece inesistente; o quando la situazione presuppostocome destinata a crearsi o a permanere in futuro non sicrea o viene meno successivamente. Spesso si discettaindistintamente, d’invalidità o di risoluzione. La prima diregola viene riferita ai casi di difetto originario e la riso-luzione alle ipotesi di difetto sopravvenuto. La risoluzio-ne è facilmente giustificabile col richiamo analogico

all’art. 1467; l’invalidità si situa in un quadro di maggio-re incertezza: annullabilità, in connessione con la discipli-na dell’errore o nullità riconducibile a mancanza di causa.Il fondamento della figura viene comunque pacificamen-te indicato nel principio di buona fede oggettiva. Labuona fede contrattuale (1337) indica come è giustodistribuire fra le parti obblighi di informare e oneri d’in-formarsi su presupposti e rischi dell’operazione: la buonafede ermeneutica (1366) aiuta a trovare il senso del testocontrattuale in ordine al piano di ripartizione dei rischi; seil testo contrattuale resta nondimeno insignificante, labuona fede esecutiva (1375), fonte di integrazione delcontratto, può fondare o bloccare pretese delle parti, inrelazione al venir meno del presupposto. La presupposizione è un tema tipicamente trasversale.Dire che il presupposto è rilevante per la sorte del contrat-to significa dire che appartiene alla causa e non ai motividi questo, la teoria della presupposizione ridefinisce fon-damento e limiti del principio d’irrilevanza dei motivi.I rimedi contrattuali sono tendenzialmente ablativi oestintivi: contro i difetti del contratto, essi per lo più rea-giscono con la cancellazione degli effetti contrattuali. Ciòvale in particolare per i rimedi sinallagmatici: quandosopravvengono ostacoli o disturbi al buon funzionamentodel rapporto contrattuale, il rimedio tipico è la risoluzio-ne. Ma non può dirsi che questo sia il rimedio ideale, perl’interesse della stessa parte legittimata a invocarla. In generale può dirsi che la risoluzione si presenta inido-nea nei casi in cui il contratto serva a realizzare operazio-ni di lunga durata, tecnicamente complesse ed economi-camente impegnative che, una volta avviate, sono difficil-mente reversibili. In questi casi ciò che ragionevolmenteoccorre è che il contratto prosegua; ma con gli aggiusta-menti necessari per superare i problemi e le difficoltà chesi sono presentati. Occorrono rimedi non ablativi e nonrisolutori bensì quelli definitivi manutentivi perché punta-no a mantenere in vita il contratto; o di adeguamento, per-ché salvano il contratto adeguandolo alle circostanze edesigenze sopravvenute.Talora l’adeguamento è un risultato voluto dalla leggecome modalità di buon funzionamento del rapporto, aprescindere dalla prospettiva della sua cancellazione: ilmandatario deve informare il mandante delle sopravve-nienze che possono richiedere modificazione del manda-to (art. 1710, 2° co., c.c.), e il mandante è legittimato aintrodurle.

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Ancor prima della legge è lo stesso contratto che devepreoccuparsi del proprio futuro, dotandosi di elementi diflessibilità: e ciò accogliendo contenuti capaci di realizza-re un adeguamento del rapporto di fronte alle circostanzesopravvenute. Il contratto può fare ciò avvalendosi dischemi legali tipici, già prefigurati dalle norme, e messi adisposizione dell’autonomia privata. Risponde, in generale, all’obiettivo di un rapporto flessibi-le la possibilità di lasciare indeterminato (e determinabilesolo in seguito) l’oggetto del contratto, ovvero l’adozionedello schema del contratto per relazionem, specie quandola relatio guardi a dati futuri: vi corrispondono le clausoledi completamento successivo di contenuti lasciati in bian-co al momento del contratto. Ancora, con la fideiussioneper debiti futuri (1938) si può commisurare l’impegno digaranzia a un’entità di credito che, non nota al tempo delcontatto, lo sarà solo in seguito. Con le clausole di indiciz-zazione si adeguano i corrispettivi al mutato potere d’ac-quisto della moneta. Con le clausole di ius variandi si con-sente alla parte d’introdurre le modifiche del rapporto chele paiono di tempo in tempo convenienti. Diffuse soprattutto nella prassi dei contratti internaziona-li le clausole che in presenza di determinate sopravve-nienze fanno scattare meccanismi di adeguamento sonogeneralmente note come clausole di hardship. Esse sonosignificative nella misura in cui contemplino sopravve-nienze diverse da quelle che danno luogo a rimedi legali;oppure di fronte a sopravvenienza legalmente rilevanti,introducono rimedi diversi da quelli legali. Queste possono essere diverse a seconda del fattore cui siaffida l’operazione di adeguamento. Può essere la deter-minazione di un terzo, cui si affida un arbitraggio even-tuale ex post, di natura modificativa. Può essere la deter-minazione di una delle parti. Infine, e più spesso è, l’ac-cordo delle parti, da cercare rinegoziando sui punti delrapporto investiti dalla sopravvenienza: clausole di rine-goziazione. Se la rinegoziazione ha successo ne esce un contrattomodificativo dell’originario contratto-base, e il rapporto,adeguato prosegue. Ma se una parte rifiuta tout court dirinegoziare questa è violazione della clausola, dunqueinadempimento contrattuale. Oppure pur facendo mostradi rinegoziare porta nella trattativa posizioni e pretese cosìirragionevoli, pretestuose, esorbitanti da esporsi all’inevi-

tabile dissenso dell’altra e, quindi, impedire il raggiungi-mento dell’accordo. Anche questo è inadempimento.Infatti, pur se la clausola non lo precisa, l’obbligo di rine-goziare va inteso come obbligo di rinegoziare secondobuona fede e viola la buona fede una condotta come quel-la descritta. Può darsi che le parti non abbiano pattuito nessuna clau-sola di rinegoziazione, né alcun altro rimedio di adegua-mento alle sopravvenienze. Interviene anche qui il princi-pio di buona fede. Esso può generare a carico delle parti,che pur non lo abbiano previsto, un obbligo di rinegozia-re, per adeguare il loro rapporto alle sopravvenienzesignificative che si siano nel frattempo manifestate.Trattandosi di obbligo non previsto contrattualmente essosi presenta come obbligo legale. Il meccanismo che loinserisce ex lege nel regolamento contrattuale è l’integra-zione. Specifica fonte integratrice è qui la buona fede.Sia che l’obbligo di rinegoziare abbia fonte contrattuale(clausola di rinegoziazione) sia che abbia fonte legale(buona fede integratrice) si apre un problema per il casod’inadempimento dell’obbligo: posto che chi rifiuta dirinegoziare o rinegozia contro buona fede è inadempien-te ci si chiede quale sia il rimedio contro il suo inadempi-mento. Verrebbe da rispondere risoluzione e risarcimento.Ma in tal modo si regredisce al risultato che l’obbligovuole evitare: la distruzione del contratto.Per sfuggire al circolo vizioso qualcuno ha pensato al 2932c.c.: l’obbligo di rinegoziare è obbligo di contrarre le modi-fiche del contratto base suggerite da ragionevolezza ebuona fede, la parte per l’inadempimento dell’altra nonottiene questo contratto modificativo, cui ha diritto, puòchiedere al giudice che lo costituisca con sua sentenza. Certo non basta questo per garantire che di fatto contro-parte adempirà le nuove condizioni contrattuali costitui-te per sentenza, ma almeno consentirà, per il caso cherifiuti di adempierle, di commisurare su esse il dannorisarcibile.Ciò equivale a dare alla parte gravata dalla sopravvenien-za quello stesso potere di invocare la riduzione a equitàdel contratto squilibrato, che già le spetta in relazione aicontratti gratuiti e che nei contratti onerosi spetta a con-troparte. Così più che un nuovo rimedio si configurereb-be un semplice allargamento della legittimazione ad unrimedio già previsto.

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La vendita, sia essa con spedizione che con con-segna, coinvolge diversi soggetti: il compratore,il venditore, il vettore e l’assicuratore. La molte-

plicità dei soggetti coinvolti deriva da una pluralità dicontratti conclusi. In primo luogo, rileva il contratto principale: il contrat-to di compravendita. Mentre gli altri contratti – di tra-sporto e di assicurazione – sono meramente accessoried eventuali rispetto al principale.La pluralità intersoggettiva necessita di una riflessionesotto il profilo processuale. Infatti, laddove il bene tra-sportato subisca un danno, occorre necessariamenteindividuare i soggetti legittimati a proporre l’azione dirisarcimento ed i soggetti legittimati a resistere in giu-dizio.Si è già osservato che, ai sensi dell’art. 1510, co. 2, c.c.,“il venditore si libera dall’obbligo della consegnarimettendo la cosa al vettore o allo spedizioniere”,salvo patto o uso contrario. In tale circostanza il con-tratto di trasporto è un mero strumento esecutivo delcontratto di compravendita e il vettore è l’ausiliario delcompratore; pertanto ne consegue che la proprietà sitrasferisce direttamente dal venditore al compratore almomento della consegna del bene al vettore. Occorre, a questo punto, chiarire se il trasferimentodella proprietà implica anche il trasferimento delrischio in capo al compratore.Ai sensi dell’articolo 1891, comma 3, c.c., rubricato“Assicurazione per conto altrui o per conto di chi spet-ta”, “i diritti derivanti dal contratto spettano all’assi-curato”. La figura dell’assicurato deve essere indivi-duata in colui che, al momento dell’evento dannoso,risulti proprietario o titolare di un diritto reale limitatoo diritto di garanzia su di esso costituito1. Nel caso divendita con trasporto, il compratore diviene proprieta-rio al momento della consegna della merce al vettore.Ne consegue che a partire da tale momento, egli assu-

me anche il rischio che il bene possa subire dei danninelle more del trasporto. Egli è pertanto titolare dell’in-teresse tutelato dalla garanzia assicurativa.Sulla scorta di tale presupposto, la giurisprudenza2 hapiù volte riconosciuto la legittimazione ad agire incapo al compratore, il quale, in caso di mancata conse-gna del bene o di vizi del medesimo occorsi in fase ditrasporto, può agire in giudizio per ottenere il risarci-mento del danno3.Tuttavia, tale principio non trova applicazione overicorra l’ipotesi di vendita con consegna. In tal caso, lavendita si perfeziona al momento della consegna delbene al compratore; questo ultimo diviene proprietariodel bene nel momento in cui riceve la merce dal vetto-re. Ne consegue che per l’intera durata del trasporto ilvenditore è titolare dell’interesse tutelato dalla garanziaassicurativa, con l’effetto per cui in caso di eventualidanneggiamenti, ben potrà agire in giudizio contro ilvettore per ottenerne il risarcimento4. Viceversa, ilcompratore non ha nessun potere di promuovere alcu-na azione giudiziale, non essendo egli titolare del benedanneggiato.Occorre, a questo punto, individuare i soggetti tenuti alrisarcimento del danno cagionato alla merce. Innanzitutto, si deve escludere fermamente la sussi-stenza di una responsabilità in capo al venditore. Questinon risponde mai di un eventuale danneggiamento,salva l’ipotesi in cui abbia provveduto esso stesso altrasporto in maniera negligente, ovvero abbia scelto unvettore secondo criteri non rispondenti al contratto dicompravendita. In questo ultimo caso il venditorerisponde con colpa grave5.Piuttosto, il legislatore prevede in maniera chiara edespressa, una responsabilità ex recepto in capo al vetto-re: questi è responsabile della perdita o dell’avaria dellecose a partire del momento in cui le riceve sino a quan-do le consegna al destinatario6. Colui che intenda agire

La vendita con trasporto: profili processualiLegittimazione processuale ed oneri probatoriCarlotta Maria ManniPraticante Avvocato

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contro il vettore deve allegare il contratto in costanzadel quale è sorto l’evento dannoso e altresì deve allega-re l’evento stesso. Da tale allegazione discende unapresunzione relativa di colpevolezza del vettore, chepuò essere superata dalla prova contraria a carico delvettore stesso convenuto in giudizio. Egli deve dimo-strare la inevitabilità e la imprevedibilità dell’eventocagionante il danno. Tali criteri sussistono ogniqualvol-ta il danno sia stato cagionato dal caso fortuito o dallaforza maggiore, dalla natura o dai vizi delle cose, dalfatto del mittente o dal fatto del destinatario.La S.C. ha enunciato gli anzidetti criteri in riferimentoa fattispecie concrete, indicando in tal modo le lineeguida che consentono di individuare la sussistenza omeno di una responsabilità in capo al vettore.Nel dettaglio, in caso di furto della merce, il vettore cheintenda sollevarsi dalla responsabilità, non può limitar-si ad allegare l’avvenuto furto, ma deve dimostrarel’assoluta inevitabilità dello stesso. L’inevitabilità sus-siste allorquando la sottrazione sia stata compiuta conminaccia, violenza o altra modalità tale da renderlaimprevedibile ed inevitabile. Al di fuori di queste circo-stanze, il furto rientra nel rischio tipico dell’attività ditrasporto. Il vettore in quanto detentore dei beni conse-gnatigli ha l’obbligo specifico di custodia, con l’effetto

che in caso di furto – per così dire “evitabile” – egli nerisponde direttamente7. Ulteriore fattispecie che desta interesse, concerne l’ipo-tesi in cui il vettore consegni la merce a persona diver-sa dal destinatario e ciò in seguito agli artifizi e ai rag-giri posti in essere da soggetti terzi in suo danno, che lohanno indotto in errore circa l’identificazione del realedestinatario. Il vettore, onde evitare una sentenza di condanna, devedimostrare di aver eseguito puntualmente e diligente-mente l’obbligazione dedotta nel contratto di trasporto;sicché l’errore, peraltro indotto dalla condotta truffaldi-na di terzi, non poteva essere evitato8. Altra fattispecie che ormai costituisce ius receptumdella S.C. concerne l’ipotesi in cui la merce sia grava-ta da un vincolo giuridico che la sottrae a favore delcustode giudiziario. In questa ipotesi il vettore ha ilsolo obbligo di informare il mittente dell’impedimentodella consegna9. Egli non può opporsi all’esecuzionedel sequestro, non potendo esercitare diritti che spetta-no invero al proprietario della merce10. La Suprema Corte ha inteso dare rilevanza ai suddetticriteri che insieme concorrono ad escludere la respon-sabilità a carico del vettore; ciò a prescindere dalla par-ticolare fattispecie cagionante l’evento dannoso.

1 Sent. C. Cass., Sez. III, n. 187 del11.1.1993.

2 Ex plurimis si vedano le sentenze dellaSuprema Corte di Cass., Sez. III, n. 187 del11.1.1993; Sez. II, n. 1381 del 11.2.1994;Sez. III, n. 4344 del 26.3.2001; Sez. II, n.10770 del 9.7.2003.

3 Laddove il compratore decida di rinuncia-re all’indennizzo, non può beneficiarne lostipulante. Non trova applicazione, al casodi specie, l’art 1411, comma 3, c.c. ovedispone che “In caso di revoca della stipu-lazione o di rifiuto del terzo di profittarne,la prestazione rimane a beneficio dello sti-pulante, salvo che diversamente risultidalla volontà delle parti o dalla natura delcontratto”. Dalla lettera della norma ben sicomprende che il principio generale è dero-

gato dalla particolare natura del contratto diassicurazione per conto di chi spetta. Infattil’art. 1891, comma 3, c.c. prevede che “Idiritti derivanti dal contratto spettanoall’assicurato, e il contraente, anche se inpossesso della polizza, non può farli valeresenza espresso consenso dell’assicuratomedesimo”. La norma stessa prevede che illimite possa essere superato con il consensodell’assicurato.

4 Cass., Sez. III, n. 19983 del 30.9.2011.

5 Cass., Sez. Civ., n. 1335 del 9.2.1987.

6 Ai sensi dell’art. 1693 c.c. “Il vettore èresponsabile della perdita e dell’avariadelle cose consegnategli per il trasporto,dal momento in cui le riceve a quello in cuile riconsegna al destinatario, se non provache la perdita o l’avaria è derivata dal caso

fortuito, dalla natura o dai vizi delle cosestesse o dal loro imballaggio, o dal fatto delmittente o da quello del destinatario”.

7 Ex plurimis sent. C. Cass. n. 2515 del10.4.1986; n. 317 del 22.1.1990 e n. 11004del 14.7.2003.

8 Sent. C. Cass., Sez. III, n. 11004 del14.7.2003.

9Ai sensi dell’art. 1686, co. 1, c.c “Se l’ini-zio o la continuazione del trasporto sonoimpediti o soverchiamente ritardati percausa non imputabile al vettore, questi devechiedere immediatamente istruzioni al mit-tente, provvedendo alla custodia delle coseconsegnategli”.

10 Sent. C. Cass., Sez. III, n. 11840 del30.10.1992.

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Giova da subito sottolineare come il termine“vittima del reato”, alla stregua di “scena delcrimine”, non sia di matrice processuale pena-

listica ma di natura criminologica.La “vittima del reato” nel procedimento penale divienepersona offesa e poi, in avanzamento, e solo eventual-mente, parte civile qualora si costituisca nel processo;mentre colui che ha commesso il fatto delittuoso puòacquisire, dapprima la veste di indagato, poi, in ipotesi,quella di imputato ed in conclusione, all’esito del pro-cesso stesso, allorquando sarà stata sentenziata la suaresponsabilità con sentenza passata in giudicato, verràchiamato condannato. La vittima rectius persona offesa, costituisce unaminiera di informazioni per le investigazioni e per leindagini nonché per il procedimento penale stesso. Le esemplificazioni pratiche possono essere infinite. Sipensi all’omicidio di una giovane donna realizzatosinel 2010 presso un albergo del frosinate. Fu importante valutare dove il corpo della vittimavenne rinvenuto, come venne rinvenuto, cosa avevascritto nella sua agenda i giorni che precedettero lamorte; fu utile investigare quali erano le sue abitudinidi vita e relazioni sociali, nonché le sue frequentazioni. Fu utile comprendere perché essa venne rinvenuta conla lingua serrata tra i denti, con una frattura in zonasovraoccipitale, non determinante infarcimento emor-ragico, né lesione dell’encefalo; fu altresì importante lavalutazione medico legale inerente la presenza diecchimosi sul collo, infiltrate in laringe.Fu interessante, a livello investigativo aver rinvenutomateriale in zona sub ungleare nonché rivestì partico-lare rilievo aver rinvenuto il portafogli della vittimasulla grondaia esterna dell’albergo con poche lireall’interno.

Tutto quanto sopra detto consente, e ha consentito nelcaso evocato, di comprendere ed adeguatamente inves-tigare la esistenza della vittima oltre che lo svolgimentodel fatto omicidiario ed i rapporti della stessa con ilproprio carnefice.La vittima è in grado di dire molto all’indagine,avuto riguardo agli interessi, alle abitudini, ai com-portamenti, ai legami familiari e sociali della stessa.Si pensi poi alla pregnanza delle indagini medico lega-li sulla vittima, nell’ambito di reati omicidiari, che sindai primi istanti di rinvenimento del cadavere sullascena del crimine possono essere effettuate per indivi-duare gli step causali dell’evento lesivo. Il medico legale potrà condurre una valutazione voltaad affermare l’epoca della morte, il rapporto di causali-tà materiale tra le ferite e le lesioni inferte e l’eventodannoso, nonché potrà offrire delucidazioni rispetto almezzo utilizzato.Il passo ulteriore, ancora basato sull’indagine della vit-tima, potrà essere quello dell’analisi genetica: in pre-senza di imbrattamenti ematici ed organici rinvenuti sulcorpo della vittima, sarà possibile risalire attraversol’estrazione del Dna dalle tracce in questione, all’indi-viduazione degli ultimi soggetti che hanno preso con-tatto con essa.Anche una corretta indagine balistica correlata con leimprescindibili valutazioni medico legali in relazionealle bruciature, ai fori d’entrata e d’uscita di un’armada fuoco riscontrati nel corso dell’esame autoptico, oalle lesioni individuate, presuppongono sempre unostudio della vittima del fatto criminoso e permettono diorientare l’attività di indagine.In vero, prima degli anni ’50, oggetto di interesseinvestigativo era pressoché unicamente l’autore delreato e non si prestava particolare attenzione, sotto

Spazi per l’analisi personologica della vittima e dell’indagato nel procedimento penaleLaura Valentina MascioliAvvocato del Foro di Tivoli, Docente in Criminologia e Cyber Security presso la “Fondazione Universitaria Inuit Tor Vergata” MasterExecutive di 2° livello

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il profilo investigativo, alla vittima del reato.Oggi il percorso è pressoché invertito. Si parte propriodalla analisi della vittima del reato per comprendere lescaturigini del delitto. I primi studi sulla c.d. vittimologia risalgono a H. VonHentig con la sua opera, edita nel 1948, “The criminaland his victim”. L’autore si concentrava, in particolare,sul carattere duale dell’interazione criminale: reo e vit-tima, un binomio inscindibile, una coppia di attorisociali, che, ad avviso dello stesso, sono meritevolidella medesima considerazione. Dopo Von Hentig, anche studiosi quali FrederickWertham e Benjamin Mendelsohn ebbero ad interes-sarsi dello studio del crimine, auspicando l’attribuzio-ne di un nuovo ruolo alla vittima di reato; il primo stu-dioso, in particolare, ebbe a sostenere che “...non si puòcomprendere la psicologia dell’omicidio se non si com-prende la sociologia della vittima”1.Un’analisi del fatto criminoso non può, invero, prescin-dere dall’esame della vittima che lo subisce poiché unacomprensione criminologica dell’azione criminalesenza lo studio della vittima, risulterebbe, in ogni caso,affetta da parzialità2.Occorre anche porre in rilievo come vari studiosiebbero a ritenere, perfino, che esistano delle caratteri-stiche personali, che possano, in determinate circostan-ze, contribuire al precipitare egli eventi. Sarebbero, infatti, alcune variabili individuali e sociali acondizionare il verificarsi dell’episodio criminoso e adattrarre alcuni soggetti alla commissione del reato.Caratteristiche fisiologiche (quali l’età e il genere), psico-logiche (come gli stati depressivi e psicopatologici) esociali (connesse all’attività professionale e alla condizio-ne economica), potrebbero avere – ad avviso di detti stu-diosi – un ruolo predominante nell’eziologia del crimine. È possibile, dunque, sempre secondo detti studiosi, chela vittima partecipi in qualche modo, anche e soprattttoin modo inconscio e inconsapevole, alla realizzazionedella dinamica criminale. Si pensi ad esempio alla c.d. “Sindrome di Stoccolma”o alla “Sindrome da Alienazione Parentale” o, ancora ,alla “Sindrome di Munchausen per Procura”.Nel caso della Sindrome di Stoccolma viene in rilievoun vero e proprio rapporto di dipendenza psicologicatra la vittima ed il proprio carnefice.La Sindrome da Alienazione Parentale, invece, viene

definita da Gardner alla stregua di un disturbo cheinsorge normalmente nel contesto delle controversieper la custodia dei figli. Sempre secondo Gardner, laPAS sarebbe frutto di una supposta «programmazione»dei figli da parte di un genitore patologico (genitorecosiddetto «alienante»), una sorta di lavaggio del cer-vello che porterebbe i figli a perdere il contatto con larealtà degli affetti, e a esibire astio e disprezzo ingiusti-ficato e continuo verso l’altro genitore (genitore cosid-detto «alienato»).Finanche la Sindrome di Munchausen per Procura attie-ne al rapporto della vittima con il proprio carnefice.Il primo che ebbe ad introdurre la dicitura de qua fu ilpediatra inglese Roy Meadow, in una pubblicazione del1977.Il DSM-IV definisce la MSP come Disturbo fittiziocon segni e sintomi fisici predominanti “La caratteri-stica essenziale è la produzione deliberata o simulazio-ne di segni e sintomi fisici o psichici in un’altra perso-na che è affidata alle cure del soggetto. Tipicamente lavittima è un bambino piccolo e il responsabile è lamadre del bambino. La motivazione di tale comporta-mento viene ritenuta essere il bisogno psicologico diassumere, per interposta persona, il ruolo di malato”.Meadow la definisce: “Situazione in cui i genitori, oinventando sintomi e segni che i propri figli non hanno,o procurando loro sintomi e disturbi (per esempio som-ministrando sostanze dannose), li espongono a unaserie di accertamenti, esami, interventi che finisconoper danneggiarli o addirittura ucciderli”.Hans Von Hentig, ancora, ebbe a ritenere che specifi-che condizioni (come l’appartenenza al genere femmi-nile, la giovane età o l’anzianità, la debolezza mentale,l’appartenenza a minoranze etniche o razziali e finan-che la presenza di stati depressivi), attirino il criminaleche potrà individuare in dette caratteristiche la vulnera-bilità della vittima.Si può distinguere al riguardo una predisposizionegenerale, tipica di coloro i quali vengono vittimizzatiripetutamente, ed una predisposizione specifica, con-nessa invece al possesso di determinate caratteristichebiofisiologiche, psicologiche o sociali3.Secondo E. A. Fattah la probabilità di divenire vittimaè da ritenersi dipendente dalla maggiore o minore vul-nerabilità dei soggetti che, in base alle loro caratteristi-che, incorrono in un rischio più alto4.

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B. Mendelsonh, concentrando l’attenzione sul rapportoche intercorre tra la vittima e il carnefice durante l’in-terazione criminale, intravede una partecipazionemorale da parte della persona offesa che può averegradi d’intensità variabili e può anche essere del tuttoassente; l’autore classifica diverse categorie di vittime,ideando una vera e propria scala di partecipazione aldelitto delle stesse. Wolfgang, addirittura, analizzando una seriazione diomicidi commessi a Philadelphia tra il 1948 e il 1952,crea la definizione victime précipitation.Secondo l’autore, sarebbe la vittima stessa, innescandol’interazione violenta, a far precipitare gli eventi e acausare l’azione delittuosa in suo danno. La condizione de qua secondo Wolfgang si realizza lad-dove la vittima abbia dato lei stessa principio ad un’in-terazione contrassegnata dal ricorso alla violenza5.Altri studiosi negli anni ’70, tra cui HindelangeGottfredson, hanno affermato, altresì, che le abitudinilavorative, professionali, eccetera, possono incidere signi-ficatamente sul rischio di vittimizzazione e, dunque, sullapossibilità che un soggetto divenga vittima di un crimine.Sul finire sempre degli anni ’70, Cohen e Felsonebbero infine a tratteggiare la teoria delle attività diroutine, che prevede che la seriazione dei reati sia con-nesso alle interazioni sociali intrattenute dagli individuied alle attività da loro svolte. In ogni caso, secondo gli studiosi de quibus perché ilfatto delittuoso si realizzi è, comunque, necessario chesiano presenti: - un aggressore motivato, - una vittima designata, - e l’assenza di adeguata protezione6.Tutti questi studi sopra fugacemente evocati appar-tengono però ontologicamente alle materie ed agliapprofondimenti di stampo criminologico e noncerto, stricto sensu, al procedimento penale. Giova comunque evidenziare come, nonostante non siastata predisposta nel codice di rito una casella atta aspecificatamente contenere le investigazioni sulla vit-tima del reato anche sotto il profilo psicologico e per-sonologico, ciò non significa affatto che detta analisivittimologica sia vietata.È, in vero, difficile che nel corso di un procedimentopenale si assista alla realizzazione di un c.d. «profiling»di vittime del reato ma qualora ciò risultasse utile a fini

investigativi l’ipotesi non sarebbe astrattamente preclusa.Si pensi alla c.d. violenza di genere, agli atti persecuto-ri, agli infanticidi, agli abusi sessuali sui minori in cuiil profilo vittimologico consente di orientare le investi-gazioni anche verso determinate tipologie di criminali.Ciò che certamente può essere svolta nel corso delprocedimento penale, è una consulenza o periziasulla capacità a rendere testimonianza. E questaappena citata è una finestra attraverso la quale leanalisi vittimologiche, sotto il profilo personologicoe psicologico, possono essere traghettate all’internodel procedimento penale. Tre, dunque, sono le finestre attraverso le qualil’analisi della vittima del reato può trovare utileaccesso all’interno del procedimento penale: 1. Una investigazione volta all’analisi della vittimadel reato, della sua psiche, della sua rete sociale edi ogni altro elemento utile a ricostruire la esegesidel fenomeno delittuoso, alla stregua di quanto inprecedenza evidenziato;

2. Un accertamento sulla capacità della vittima arendere testimonianza nel procedimento penale;

3. Un accertamento sulla credibilità in generale esulla credibilità clinica del testimone-vittima delreato.

Per quanto attiene alla prima analisi, come detto in pre-cedenza non esistono preclusioni nel codice di rito;mentre per la seconda e terza ipotesi, il viatico procedi-mentale è la previsione dell’art. 196 codice procedurapenale.Esso prevede, al fine di valutare le dichiarazioni deltestimone, il vaglio della idoneità fisica o mentale arendere testimonianza che, alla stregua di quanto ripe-tutamente affermato dalla Suprema Corte diCassazione, è concetto diverso e più ampio rispetto aquello della capacità di intendere e di volere, impli-cando non soltanto la capacità di determinarsi libera-mente e coscientemente ma anche quella di discerni-mento critico7.Emerge con tutta evidenza come determinati tipi diaccertamento abbiano un senso particolare in presenzadi sindromi, alla stregua di quelle in precedenza citate(Sindrome di Munchausen per Procura, Sindrome diStoccolma, Sindrome da Alienazione Parentale) laddo-ve al fine di correttamente valutare le dichiarazioni del

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testimone sia essenziale stabilire la evoluzione psichicae mentale del soggetto.Spessissimo, nelle aule di giustizia, tali accertamentivengono effettuati su vittime di reati sessuali ed in par-ticolare su minori soprattutto se in età prescolare al finedi scandagliare la capacità a testimoniare dei soggetti ela loro credibilità clinica, ovvero la resistenza ad indu-zioni interne ed esterne, la capacità di comprendere larealtà e di distinguere verità dal travisamento del fattoe dalla menzogna.Tale spaccato psico-personologico interno al processopenale fa comprendere come l’analisi della personaoffesa del reato entri finanche nel processo vero e pro-prio e quindi all’interno delle aule di giustizia. Ma occorre tenere a mente come detto accertamentonon sia obbligatorio né tanto meno necessariamentepreclusivo della acquisizione della testimonianza stes-sa (art. 196 c.p.p.). Sarà il giudicante a stabilire ciòcaso per caso. Inoltre, le risultanze dell’ascolto e dell’accertamentodella persona offesa da parte del perito/consulentenominato ai fini della valutazione di capacità nonpotranno essere utilizzate dal Giudice come base pro-batoria per la ricostruzione del fatto storico, giusto ildivieto di cui al comma terzo dell’art. 228 c.p.p.,comma terzo, laddove è stabilito che “Qualora ai finidello svolgimento dell’incarico, il perito richieda noti-zie all’imputato, alla persona offesa o ad altre persone,gli elementi in tal modo acquisiti possono essere utiliz-zati solo al fine dell’accertamento peritale”.Tali dati raccolti ai fini dell’accertamento peritale e/oconsulenziale, sono inutilizzabili ad ogni altro scopo e, inparticolare, il giudicante non può avvalersene ai fini dellaricostruzione del fatto storico da accertare, perché ci sitroverebbe dinanzi ad una prova acquisita dal perito e/oconsulente e non dal giudice, fuori dal contraddittorio edin collisione con i principi fondanti il giusto processo. Se questi sono gli spazi ridotti dedicati all’interno delcodice di rito alla investigazione sulla vittima del reatorectius persona offesa, bisogna dire che più ampio sto-ricamente è lo spazio riservato al criminale, a partiredalla fase delle indagini fino a quella della esecuzionedella pena.Tale centralità dell’analisi del reo, sia sotto il profilocriminologico che sotto il profilo strettamente proces-sual penalistico, discende sia dal ruolo che lo stesso ha

avuto in passato ed ha – all’attualità – nella filosofiastessa del procedimento penale che anche dalla centra-lità dello studio prima antropologico, ambientale e poipsicologico dell’individuo che ha commesso un delitto.Lo studio della psicologia del delinquente ha originirisalenti all’antichità. Si pensi all’antica Roma e, ad esempio, agli studi diSeneca sulla colpa in rapporto alla commissione dei reati8. Il medioevo anche in detto settore ha costituito unperiodo buio. Poi a partire dall’800, Scuola Classica eScuola Positiva si sono contrapposte su diversi punti.L’una, come è noto, teorizzò lo studio del reato comeespressione del libero arbitrio, mentre l’altra ebbe afondarsi sulla logica della pericolosità sociale dell’indi-viduo, discendente da motivi personali o sociali. Dualismo questo che si è avuto modo di colmare unica-mente con l’avvento della c.d. Terza Scuola (rectius:Scuola Eclettica) che teorizzerà il doppio binario percui alla responsabilità dell’autore è collegata l’eroga-zione della pena ed alla sua pericolosità sociale rispon-de l’applicazione della misura di sicurezza.Il precursore dell’indagine di personalità del soggettocriminoso è certamente da individuarsi in MarcoEzechia Lombroso.Egli attraversò vari periodi di analisi e tratteggiò nume-rosi studi su soggetti con caratteristiche delinquenziali,dapprima fondando il proprio approccio su un profiloprettamente antropologico per poi passare ad una ana-lisi psicologico-ambientale.I risultati di studi, osservazioni e misurazioni condottedallo studioso de quo, certamente da considerarsi unodei padri della criminologia, sulla popolazione detenu-ta, nel XIX secolo, possono essere considerate il primotentativo volto alla delineazione di profili psicologici. Lo scopo di tale analisi non era però applicata a caso eprocessi pratici ma era quello di formulare delle dedu-zioni predittive. Lombroso, a seguito dei colloqui con 383 carcerati ita-liani, ipotizzò che il comportamento criminale potesseessere compreso, dedotto e predetto attraverso la com-parazione di fattori come razza, età, sesso, caratteristi-che fisiche, educazione e luogo di residenza.Nella sua opera “L’uomo delinquente” lo studioso deli-neò i tratti della personalità del criminale, a suo avviso,corrispondenti e determinati da tare e anomalie somati-che. La sua classificazione dei criminali prevedeva

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varie tipologie: il criminale nato, aggressore di bassaevoluzione fisica e sociale, individuabile sulla basedelle caratteristiche fisiche: “egli ha le caratteristichedi un uomo scimmiesco, primitivo (fronte bassa, cigliafolte, eccessiva peluria nel corpo, braccia e gambeeccessivamente sviluppate) anche nel carattere (lin-guaggio gergale, basso autocontrollo, moralità pocosviluppata)”; il malato criminale, delinquente affettoda disturbi fisici e mentali e il criminaloide, soggettosenza specifiche caratteristiche fisiche e mentali checommette reati perché indotto dalle circostanzeambientali o a causa di situazioni particolari9.Ulteriore distinzione effettuata dallo studioso de quo fuquella volta a distinguere il delinquente pazzo, daldelinquente morale, dall’epilettico, dal delinquented’impeto e occasionale.I tratti somatici erano un ulteriore pregnante elementodi valutazione per la propensione a delinquere secondoil Lombroso. Ad esempio la fossetta occipitale ritenuta,come è noto, tratto caratterizzante il delinquente nato. Ma gli studi del Lombroso come detto non si limitaro-no al tratto fisico e a quello strettamente psicologico.Egli ebbe ad analizzare vari altri aspetti caratterizzantii soggetti delinquenti, ad esempio, le raffigurazioni cheessi si imprimevano sul corpo (rectius tatuaggi). Talisegni impressi sul corpo in modo indelebile e volonta-rio secondo lo studioso avevano una loro cartina torna-sole nella psiche dell’individuo stesso (egli riscontrò innumerosi soggetti carcerati tatuaggi sulle tematicheinerenti le madri e le donne). Interessanti furono finanche gli studi effettuati dallostesso sulle donne con tendenza a delinquere10. Anche l’ambiente sociale era preso in considerazione daLombroso che riteneva che nascere e crescere in determi-nati contesti socio-delinquenziali degradati avesse inevi-tabili conseguenze in termini di prognosi a delinquere.Chi nasce e cresce in zone sociali degradate (es campinomadi) se uomo diviene delinquente se donna spessopraticherà la prostituzione o si dedicherà ad altro tipo diattività immorale. Lombroso accede ad un’unica falsificazione della suateoria sul punto, allorquando fa riferimento alla missio-ne gestita nel centro Italia da Don Giovanni Bosco.Lo scienziato de quo afferma di aver studiato i giovaniindividui viventi in detta comunità e, nonostante lamaggior parte di questi fossero provenienti da realtà

degradate e delinquenziali, essi non tendevano alladelinquenza né in effetti la esercitavano. Lombroso stesso afferma di non avere una spiegazionescientifica a detta circostanza, evidentemente spiegabi-le solo sulla base dell’eradicamento totale ad opera delsacerdote degli stessi dall’ambiente delinquenziale diorigine e di appartenenza. Prendendo le mosse dalla analisi Lombrosiana, altristudiosi europei hanno classificato i criminali secondoi criteri dell’intelligenza, della razza, del ceto sociale edi altre caratteristiche biologiche ed ambientali, tratteg-giando diversi schemi di profili psicologici. Uno dei più importanti è stato senza dubbio il tedescoErnst Kretschmer che riscontrò un rapporto di causali-tà tra biotipo, personalità e potenziale criminale.Kretschmer classificò quattro tipi di criminale: - astenico; - atletico; - picnico; - displastico o misto.

Assieme a Schneider, detto studioso è ritenuto il fonda-tore della c.d. criminologia biologica. Sigmund Froid sarà invece ritenuto il principale prota-gonista della c.d. criminologia psicologia laddovel’analisi della psiche del delinquente è fondata sul pre-conscio, conscio ed inconscio.Durkheim, poi, identificherà il reato come fatto socia-le, superando la logica delle classificazioni sopraaccennate. Molti di questi studiosi in realtà ebbero, più o menoconsapevolmente, a stilare dei profiling in astratto,ovvero dei profili criminali. Con il passare degli anni poi si sono venuti a sussegui-re varie metodologie di profili criminali.

In primis, il modello di Douglas, Ressler, Borgess eHartman di cui costituiscono elementi fondamentali:1. I profiling input ovvero la fase di raccolta di infor-mazioni e di analisi della scena del crimine;

2. La decision process models laddove deve esseredeciso a che tipologia appartenga (omicidio singolo,omicidio seriale, omicidio di massa, omicidio com-pulsavi, stupro, incendio doloso);

3. Il Crime assessment dove il profiler dovrà stabilirese si sia trattato di un crimine organizzato, d’impeto,

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se il soggetto abbia scelto la propria vittima e qualisiano le motivazioni del delinquente;

4. Il Criminal profiling laddove lo studioso stila il pro-filo criminale.

Poi v’e il modello di Ronald e Stephen Holmes basatofinanche su valutazioni socio demografiche e suglistudi di profili geografici di Kim Rossano. Ancora giova segnalare il modello di Donal Turco fon-dato primariamente su un approccio psicologico. Essopresta, in particolare, attenzione alla: 1. analisi della scena del crimine; 2. analisi neurologica dei soggetti;3. analisi psico-dinamica volta a scandagliare l’indivi-duo e le proprie iterazioni;

4. analisi delle caratteristiche demografiche del crimine.

Ancora un modello degno di segnalazione è quello diDavid Canter per cui il profilo criminale può esseretratto da: 1. la condotta del soggetto attivo; 2. le differenze tra criminali; 3. le deduzioni di caratteristiche del soggetto interessato; 4. il collegamento rectius le comparazioni tra crimini.

L’individuazione di un profilo criminale, in via genera-le, prende le mosse, dunque, dall’analisi della scena delcrimine, dalla quale possono emergere elementi fonda-mentali che rivestono massima importanza perché ingrado di fornire informazioni sulla personalità dell’au-tore del fatto criminoso e permettono di caratterizzareuna serie di reati, anche in base al modus operandi del-l’autore. Interessanti sono le considerazioni di Canter eSalfati (1999-2000) che differenziano la scena del cri-mine di omicidio in due distinte tipologie di aggressio-ne alla vittima: un’aggressione espressiva ed un’ag-gressione strumentale. Sono omicidi espressivi quelli in cui l’assassino ha unobiettivo principalmente simbolico, cioè tramite l’azio-ne vuole comunicare qualcosa a qualcuno e/o soddisfa-re le proprie fantasie interne.Gli omicidi strumentali mirano ad ottenere un benefi-cio concreto, che può essere un vantaggio materiale(impadronirsi di un’eredità, un compenso economico,eccetera) o la risoluzione di uno stato emotivo alterato(le uccisioni per gelosia).

Nel nostro ordinamento, studi ed applicazioni pratichein relazione alla individuazione di profili criminalisono decisamente limitati e di carattere introduttivo egenerale. Ma giova evidenziare come essi, alla stregua di validostrumento investigativo, potrebbero avere maggiori eproficui utilizzi. Essi, infatti, contrariamente a quantosi pensi non trovano vantaggioso impiego solo nei reatiseriali e premeditati ma anche in quei reati che rispon-dono a logiche e categorie simboliche, religiose e psi-cologiche. Si pensi agli infanticidi, agli omicidi di mafia, allapedofilia ed in particolare agli abusi collettivi sui mino-ri, agli atti persecutori, agli atti di bullismo laddovescandagliare la componente psichica del criminaleavrebbe un enorme significato investigativo.Traendo adeguate notizie sarà possibile capire se visono in atto tentativi di dissimulazione o di simulazio-ne. Si potrà altresì comprendere se sussistono proble-matiche psicologiche o patologiche, dipendenze dasostanze alcoliche o droganti. Tali condizioni possonoinfatti contribuire al compimento di atti impulsivi(anche disturbi acuti, confusionali, disturbi psicoticipersistenti tra cui paranoie, schizofrenia, disturbo deli-rante del pensiero-depressione, eccetera).Anche la individuazione di segni simbolici e religiosipuò portare alla utile elaborazione di profili.Si pensi ad esempio alla realizzazione di determinatirituali caratterizzanti alcune zone geografiche dove adogni simbolo sulla scena corrisponde un significato(uccisione tramite incapretrattamento, corpo denudatocon scarpe non calzate poste vicino alla salma, eccetera).Un ulteriore spaccato interessante da cui è possibiletrarre elementi rispetto la commissione dei fatti e la psi-che del criminale è l’interrogatorio. Dallo svolgimento di esso, potrà innanzitutto osservar-si il comportamento dell’indagato.L’obiettivo è quello di massimizzare la raccolta delleinformazioni e verificare elementi correlati alla indagine.In particolare l’interrogatorio deve essere condotto inmaniera tale da raccogliere informazioni più accuratepossibili da utilizzare in seguito per orientare le indagi-ni: in prossimità dell’evento reato, i ricordi sono piùvividi e quindi si ricaveranno delle informazioni piùaccurate.Le modalità di intervista sono molteplici; ad esempio,

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la intervista graduale, la intervista cognitiva, la stepwise interview. Ogni tipologia di dette interviste contiene metodicheprecise volte a trarre informazioni utili alle indagini e anon compromettere il narrato dell’interlocutore. Spesso le domande all’inizio delle interviste de quibussono volutamente genetiche proprio perché volte amettere l’interlocutore a proprio agio e a scandagliarela struttura familiare, sociale, le attività svolte, le abitu-dini di vita dello stesso.Anche la suggestione e le c.d. domande suggestive edinduttive per congettura possono avere una ragion d’es-sere in tale contesto soprattutto per vagliare la reazionedell’interlocutore e, quindi, trarre smentite o confermenel percorso di indagine. Gli elementi tratti dall’interrogatorio possono essereutilizzati anche per disegnare un quadro psicologicodell’indagato. Giova ricordare come detta analisi personologica epsicologica non sia preclusa nella fase delle investi-gazioni ed indagini, con l’unico limite riguardantela violazione della libertà morale.Detta indagine sarà, invece, espressamente preclusa nelcorso del processo e ritroverà spazio solo nella fasedella esecuzione della pena.L’art. 220 del codice di rito al secondo comma statui-sce, al riguardo, che “salvo quanto previsto ai fini dellaesecuzione della pena o della misura di sicurezza, nonsono ammesse perizie per stabilire l’abitualità o la pro-fessionalità del reato, la tendenza a delinquere, ilcarattere e la personalità dell’imputato e in genere lequalità psichiche indipendenti da cause patologiche”.La preclusione è quindi per la indagine inerente lequalità psichiche indipendenti da cause patologiche.Qualora, dunque, vengano dedotti disturbi psicologicidella persona idonei ad incidere sulla capacità di inten-dere e di volere ed attinenti a profili di ordine patologi-co, può disporsi perizia per accertarne l’esistenza e larilevanza; in caso contrario se la circostanza dedottaesula da ogni deviazione di tipo patologico non è pos-sibile disporre perizia sugli aspetti psicologici o crimi-nologici dell’imputato. L’accertamento che può certamente svolgersi nel corsodel processo, oltre a quello riguardante la capacità del-l’imputato, per infermità mentale a partecipare coscien-temente al processo (art. 70 c.p.p.), è invece quello ine-

rente la capacità di intendere e di volere dell’imputato.La capacità di intendere e di volere (art. 85 c.p.) valecome requisito essenziale della personalità dell’autoreed è qualificata come presupposto esclusivo della suaimputabilità, dunque punibilità.Con capacità d’intendere si intende il pieno possesso daparte del soggetto della capacità piena di comprenderese l’atto compiuto sia lecito o meno; tale capacitàimplica il discernimento di ciò che è considerabilecome reato e di ciò che non lo è.Per capacità di volere si intende la volontarietà/invo-lontarietà da parte dell’accusato di commettere l’atto,ovvero la volizione e l’autodeterminazione all’azione. L’incapacità in discorso può essere totale o parziale(artt. 88-89 c.p.: vizio totale e parziale di mente), esclu-dendo nel primo caso e attenuando, nel secondo, lapunibilità del soggetto. La perizia finalizzata all’accertamento del vizio totaleo parziale di mente non è bastevole, ex se, ad afferma-re la non imputabilità del soggetto, ma occorre valuta-re come la singola affezione, disturbo o altro, si innesticon l’evento delittuoso.Occorre che il delitto sia espressione della situazionepsichiatrica del soggetto; l’intento del Legislatore èevidentemente quello di evitare che si giustifichi inqualsiasi modo il comportamento criminale alla luce diinclinazioni caratteriali e della personalità. La periziade qua è infatti esclusa, come detto, per accertare ilcarattere e la personalità dell’imputato, la tendenza adelinquere, l’abitualità o la professionalità nel reato, lequalità psichiche indipendenti da cause patologiche. A tal proposito l’art. 220 c.p.p. sopra citato vieta, comedetto, la perizia psicologica nel processo penale ma nonnella fase di esecuzione della pena e delle misure disicurezza, oltre che nel processo minorile.Infatti, quando si è in ambito di esecuzione penale sievidenzia l’essenzialità dell’analisi psicologica: l’os-servazione scientifica della personalità ai fini dell’ese-cuzione della pena e del trattamento rieducativo preve-dono attività di osservazione e modalità di interventocondotte in modo individualizzato, incentrato cioè sulleproblematiche che caratterizzano la personalità di cia-scun soggetto.La pena tende infatti alla riabilitazione del condannatoche presuppone, per essere adeguata, una osservazionedello stesso anche sotto il profilo psicologico.

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L’osservazione de qua è compiuta all’inizio dell’esecu-zione penale e proseguita durante tutta la restrizione.Come detto, essa è finalizzata sia a stabilire in concre-to il trattamento rieducativo, sia alla valutazione dieventuali misure alternative alla detenzione, che posso-no profilarsi nel corso della detenzione.Accanto all’analisi prettamente psicologica, v’e poil’inchiesta sociale, compiuta dagli assai assistentisociali, che svolgono una indagine sull’ambiente di vitadel detenuto attraverso l’assunzione di informazioni,nonché l’esame comportamentale, che descrive ed ana-lizza le modalità di condotta all’interno del carcere11.Dunque, in sede di esecuzione della pena, hannoaccesso tutte quelle attività inerenti alle indaginipsicologiche e criminologiche che nel corso del pro-cesso sono espressamente vietate.Il divieto di accertamento psicologico nel processo ègaranzia dell’imputato stesso ma essendo imperativo cate-gorico del moderno diritto penale quello di avere consape-volezza della personalità dell’autore del reato, la eventua-lità di consentire tale accertamento in determinati casi,magari con il consenso dell’imputato stesso, dovrebbeessere giuridicamente oggetto di considerazione”12. In particolare, ci si intende riferire all’accertamentodella incapacità di intendere e volere in relazione aidisturbi di personalità e agli stati emotivi e passionali.Se, riguardo ai primi, si è assistito13 ad un’apertura diindiscutibile rilievo potendo costituire, i disturbi dellapersonalità, come quelli da nevrosi o psicopatie, causaidonea ad escludere o scemare grandemente, in via auto-noma e specifica, la capacità di intendere e volere di unsoggetto agente, sempre che siano di consistenza, rile-vanza, gravità ed intensità tale da concretamente incide-re sulla stessa, per converso, non assumono rilievo ai fini

dell’imputabilità le altre “anomalie caratteriali” e gli“stati emotivi e passionali”, che non incidano sulla capa-cità di autodeterminazione del soggetto agente. Un secondo problema attiene al disagio mentale, cheprovoca delle alterazioni di interesse psicologico, deri-vante fa fattori ambientali, sociali, familiari, personalio economici. Ci si intende riferire alle ansie, agli esau-rimenti nervosi, alle manie di persecuzione, alle formelievi di schizofrenia, alle paure e fobie non giustificate,all’ ipocondria. Si tratta di situazioni di fatto, reali e fre-quenti, solitamente controllabili, ma che possono sfo-ciare, alle volte, in azioni e reazioni violente. Anche tale aspetto non è preso in adeguata considera-zione dal Legislatore.Ciò su cui conclusivamente deve svolgersi una rifles-sione, è il contenuto dell’art. 133 del codice di rito lad-dove è stabilito che il giudice nell’applicazione dellapena debba tenere conto, tra le altre cose: 1. Dei motivi a delinquere e del carattere del reo;2. Dei precedenti penali e giudiziari e, in generale,della condotta e della vita del reo, antecedenti alreato;

3. Della condotta contemporanea e susseguente al reato;4. Delle condizioni di vita individuale, sociale efamiliare del reo.

Già tale breve cenno ai criteri indicati nell’art. 133 c.p.mostra con lapalissiana evidenza come una valutazionepersonologica e criminologica espressamente vietata nelcorso del processo sia, invece, richiesta al giudicante perstabilire la pena. E non può sottacersi come, di contro,escluso l’accertamento psicologico, non resti di frequen-te altro al giudicante, oltre a quanto contenuto nel casel-lario, al fine di fare effettivo utilizzo di detti parametri.

1M. Strano, Manuale di criminologia clini-ca, See, Firenze, 2003.

2 G. Gulotta, La vittima, Giuffré, Milano,1976.

3 G. Gulotta, La vittima, op. cit.

4 A. Saponaro, Vittimologia, Giuffrè,Milano, 2004.

5 S. Vezzadini, La vittima di reato tra nega-zione e riconoscimento, Clueb, Bologna,2006.

6 L. E. Cohen-M. Felson, Social Change

and CrimeRate Trends: A Routine ActivityApproach, in American SociologicalReview, n. 44, 1979.

7Corte di Cassazione, 28 marzo 1997, n. 2993.

8 Sceleris in silere supplicium est.

9 R. De Luca, Crimine ed investigazionescientifica, in R. De Luca-C. Macrì-B. Zoli,Anatomia del crimine, Giuffrè Editore, 2013.

10 Sul punto si vedano finanche gli studieffettuati da William Isaac Thomas e daOtto Pollak, The Criminality of Women,nonché la teoria del ruolo di Hoffmann-

Baustamante, la Criminologica Femministadi Freda Adler e Rita James Simon e la teo-ria del controllo del potere di Frank E.Hagan.

11 C. Macrì-B. Zoli, Strumenti di valutazio-ne in criminologia, in C. Serra, Manuale dicriminologia applicata, Giuffrè, Milano,2005.

12 C. Taormina, Criminologia e provapenale, Giappichelli, 2016.

13Cass. Pen., Sez. Un., 25 gennaio 2005, n.9163.

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Osservatorio Legislativo

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1. PremessaLa disciplina del procedimento di legittimità è oggetto,ormai da tempo, di una evidente e preoccupante frene-sia legislativa attestata dalla circostanza che, neltempo, si sono susseguite una serie di riforme non tuttecoerenti tra loro, l’ultima delle quali ha peraltro attra-verso l’art.1 bis del D.L. 31 agosto 2016, n.168, con-vertito nella legge 25 ottobre 2016, n.127, ha abrogatoi numeri 2 e 3 dell’art. 375 cod.proc.civ. e, nel secondocomma di tale disposizione, ha previsto che la Cortepronuncia, con ordinanza in Camera di Consiglio, asezione semplice, così che il procedimento camerale èdiventato, in pratica, la regola generale e la discussionein pubblica udienza l’eccezione.

Una ulteriore significativa modifica è stata introdottacon una diversa regolamentazione, ora, del procedi-mento in Camera di Consiglio dal momento che leparti, ancorchè avvisate, possono depositare memorieillustrative, tuttavia private della relazione che non èpiù prevista, con l’ulteriore conseguenza che la Cortegiudica senza l’intervento del Pubblico Ministero edelle parti.

La riforma si applica non solo ai ricorsi depositati suc-cessivamente alla data di entrata in vigore della leggedi conversione (25 ottobre 2016), ma anche a quellidepositati prima di tale data e per i quali non sia stataancora fissata l’udienza ovvero l’adunanza in Cameradi Consiglio.

Sono facilmente intuibili le conseguenze discendentida tale ulteriore riforma che se è stata voluta dal legi-slatore, al fine di accelerare la definizione dei giudizipendenti dinanzi alla Suprema Corte genererà, tuttavia,inevitabili conseguenze atteso che le parti in quantodestinatarie non più della relazione ma, esclusivamen-

te, dell’ipotizzato decisum difficilmente potranno, conla memoria, spiegare le ragioni per le quali esso non ècondivisibile in assenza della conoscenza dell’iterargomentativo che lo ha preceduto.

La relazione, d’altronde, nel procedimento camerale dilegittimità, per come disegnato anteriormente alla rifor-ma, frequentemente costituiva la decisione che sarebbestata poi assunta, riproducendo questa la stessa relazio-ne con la precisazione della piena condivisione del-l’iter argomentativo da parte del collegio, sicchè essacostituiva una anticipata stesura della decisione.

Tuttavia la preventiva comunicazione della stessa,rivolta alle parti processuali confliggenti, consentivaquanto meno di segnalare eventuali omissioni del rela-tore e, comunque, chiarire le questioni maggiormenterilevanti, anche attraverso la partecipazione all’udienzacamerale al fine di veder ribaltato l’esito preannuncia-to con la relazione anticipata.

Seppur raramente era possibile ottenere un siffattorisultato tuttavia la sentenza che si commenta costitui-sce evidente dimostrazione di quanto sin qui affermatoavendo, per l’appunto, la Corte, pur dopo aver riporta-to integralmente la proposta di definizione depositatadal consigliere designato, ai sensi dell’art.380 biscod.proc.civ., ritenuto di non condividere la stessa e didover “…dare riscontro alle osservazioni critiche svol-te dalla parte ricorrente” in ordine alla corretta inter-pretazione dell’art. 92, secondo comma, cod.proc.civ.,come modificato dall’art. 2, primo comma, lett. a),della legge n. 263 del 2005.

2. La fattispecie e la relazioneCon il decreto censurato in sede di legittimità il tribu-nale di Roma pure accogliendo l’opposizione proposta

La irragionevole compensazione delle spese processualiAntonio CaiafaAvvocato del Foro di Roma, Professore di Diritto Fallimentare Università L.U.M. “Jean Monnet” di Bari

SOMMARIO: 1. Premessa – 2. La fattispecie e la relazione – 3. La soluzione

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da un lavoratore, avverso la esclusione dallo stato pas-sivo, e riconosciuto il credito fatto valere, derivantedall’illegittimo licenziamento collettivo comunicatodalla società dichiarata fallita, sulla base della provatestimoniale raccolta e della consulenza tecnica svoltaper l’accertamento del quantum, tuttavia, aveva com-pensato le spese di lite tra le parti sul presupposto chela prova del credito era stata integrata con la testimo-nianza assunta nel procedimento.

Il decreto è stato censurato in sede di legittimità sullabase di un unico motivo, con il quale è stata lamentatala violazione degli artt. 91 e 92 cod.proc.civ..

Il consigliere designato per la trattazione del ricorso haconcluso per la manifesta infondatezza dello stesso,precisando non essere il ragionamento svolto dallaparte ricorrente in armonia con l’orientamento dellaCorte e non integrare esso, comunque, una violazionedi legge chiedendosi, in pratica, con il ricorso unainammissibile censura del provvedimento sotto il pro-filo del vizio di motivazione, oltre i limiti consentitidalla formulazione dell’art. 360, n. 5, cod.proc.civ..

3. La soluzioneL’art. 91 cod.proc.civ. prevede che il giudice, con lasentenza che chiude il processo davanti a lui, condannila parte soccombente al rimborso delle spese a favoredell’altra parte e ne liquidi l’ammontare insieme aglionorari di difesa.

Il successivo art. 92 cod.proc.civ., primo comma, stabi-lisce che il giudice, nel pronunciare la condanna di cuiall’articolo precedente possa, tuttavia, escludere la ripe-tizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice, ovele ritenga eccessive o superflue e possa altresì (art. 92cod.proc.civ., secondo comma) compensare, parzial-mente o per intero, le spese tra le parti se vi sia soccom-benza reciproca o concorrano altri giusti motivi1.

Nel provvedere in merito alle spese il giudice dovrà farobbligatorio riferimento agli importi stabiliti dal decre-to del Ministero della Giustizia 8 aprile 2004 n. 127(Regolamento recante determinazione degli onorari,dei diritti e delle indennità spettanti agli avvocati per leprestazioni giudiziali, in materia civile, amministrativa,

tributaria, penale e stragiudiziali) che, come noto, sonosuddivisi (anche) per scaglioni di valore.

Ben altre, dunque, le conclusioni cui sarebbe dovutopervenire il tribunale prima, giustamente non condivisedal collegio, poi, che ha ritenuto non poter essere dero-gati i principi più volte affermati dalla stessa SupremaCorte nella materia concorsuale, ovvero nei giudizi diopposizione allo stato passivo, anche qualora vi sianooggettive difficoltà di accertamenti in fatto che nonconsentano nella fase sommaria della verifica dellostato passivo di poter pervenire ad uno scrutinio positi-vo della domanda di ammissione, in quanto, diversa-mente, la parte ricorrente creditrice risulterebbe dan-neggiata, ingiustamente, dalla circostanza di aver pre-visto il legislatore che la verifica avvenga attraverso losvolgimento di un procedimento più snello e maggior-mente celere, ma che non può, ovviamente, tradursi inun danno per coloro che, al fine di poter dimostrarel’esistenza delle ragioni per la partecipazione al con-corso, non sono in grado di poter superare la fase som-maria nell’ambito della quale l’attività istruttoria è,ovviamente, limitata proprio in ragione della natura delprocedimento.

Ed infatti, se sotto il profilo allegativo, la fase di accer-tamento si fonda sul rigoroso rispetto del principiodispositivo, analogamente, sul piano istruttorio, vige ilparallelo principio di disponibilità delle prove (art. 115,primo comma cod.proc.civ.), con la conseguenza cheeventuali atti istruttori sono possibili solo su richiestadelle parti, ma nei limiti in cui ne sia consentito il rela-tivo espletamento, dal momento che la norma (art. 95l.f.) non enuncia un “catalogo” delle prove ammissibi-li, ma si limita a prevedere che il mezzo istruttorio deveessere compatibile con l’esigenza di speditezza del pro-cedimento, conseguendone l’esclusione delle prove dic.d. di lunga indagine.

Ed allora, seppure l’accertamento dello stato passivonon circoscrive la prova al solo documento, oltrechè alfatto notorio, consente, tuttavia, nei già detti limiti dicompatibilità, l’accesso anche alle prove costituende,ma a tal riguardo si è posto il problema di individuare ilimiti della compatibilità in relazione ai singoli, molte-plici mezzi istruttori o di prova, onde stabilire se possa

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essere espletata la prova testimoniale, la consulenzatecnica, un esame contabile, la verificazione di unascrittura privata, o essere disposto l’accesso sul luogodi lavoro o formulata una richiesta di informazione alleassociazioni sindacali, ai sensi dell’art. 421cod.proc.civ. o alla Pubblica Amministrazione, ai sensidell’art. 213 cod.proc.civ.2.

La clausola di compatibilità, dunque, più che essereidonea ad escludere, a priori, l’uno o l’altro mezzoistruttorio consente di ritenere esso ammissibile quantevolte ciò non lede il principio di ragionevole durata delprocedimento il che, a sua volta, non vale egualmentein tutti i procedimenti poiché un certo adempimento, dipiù circoscritta durata, potrà dirsi incompatibile men-tre, al contrario, un incombente maggiormente onerosopotrebbe esserlo con un accertamento necessitante ma,comunque, di cui sarebbe possibile il relativo espleta-mento3.

Non può ancora trascurarsi che seppure la rubrica del-l’art. 95 l.f. faccia riferimento all’udienza di discussio-ne di questa non opera, però, alcuna disciplina, se nonper il fugace riferimento al fatto che il giudice delega-to decide su ciascuna domanda, anche in assenza delleparti e delle decisioni assunte viene redatto processoverbale.

È, tuttavia, all’adunanza che il giudice delegato, allapresenza del fallito, prende in esame le domande e con-tezza dei risultati dell’attività espletata dal curatore,che potrà fornire i necessari elementi di valutazione,già espressi in relazione a ciascuna richiesta, con riferi-mento alla quale deve aver formulato, nel previsto pro-getto, le sue conclusive richieste, al fine di consentireal giudice di emettere il provvedimento che accerti ildiritto del creditore concorsuale di concorrere, in tuttoo in parte, la successiva ripartizione dell’attivo.

E se è prevista la possibilità per ciascun creditore, inrelazione alle conclusioni del curatore, di formulare leproprie deduzioni illustrandole, in conseguenza dellamodifica apportata dal correttivo, sino all’udienza, eseppur l’adunanza costituisce il momento centrale perla formazione dello stato passivo, essendo consentitoin questa alle parti istanti di argomentare, non solo, in

ordine alle proprie ragioni ma, anche, di svolgere ulte-riori osservazioni sulle conclusioni del curatore e, altempo stesso, muovere contestazioni avverso le prete-se degli altri creditori, interloquendo in merito a cia-scuna domanda di ammissione, non par dubbio che inrelazione ad alcune domande, così come quella poiesaminata dal tribunale in sede di opposizione, nonessendo possibile la loro delibazione sulla base di ele-menti documentali ed essendo indispensabile, per laindividuazione o meno della sussistenza del diritto,ricorrere a prove costituende non può, all’evidenza,per alcuna ragione giustificarsi, allora, la compensa-zione delle spese tra le parti quante volte il procedi-mento sia stato indispensabile proprio all’accertamen-to del relativo diritto4.

In particolare, poi, deve osservarsi che in tema di com-pensazione delle spese processuali la disposizione esa-minata la ammetteva nell’ipotesi di soccombenza reci-proca o nella ricorrenza di “giusti motivi” ed a talriguardo la Corte aveva ritenuto che la compensazione,costituendo espressione di un potere discrezionale,fosse censurabile in sede di legittimità solo in caso diviolazione del principio per cui le spese fossero stateposte a carico della parte totalmente vittoriosa, oppurequante volte la decisione del giudice di merito fosseaccompagnata dall’indicazione di ragioni palesementeillogiche5.

La legge n. 263/2005, nel tentativo di arginare le com-pensazioni prive di un’effettiva ragione, ha poi dispo-sto che i giusti motivi dovessero essere “esplicitamen-te indicati nella motivazione”.

È stato, ancora, chiarito che tali motivi non potesseroessere tratti “dalla struttura del tipo di procedimentocontenzioso applicato né dalle particolari disposizioniprocessuali che lo regolano, ma devono trovare riferi-mento in particolari e specifiche circostanze o aspettidella controversia decisa”6, tanto da doversi escludereche i detti motivi potessero risiedere nel “valore assaiesiguo della causa”, oppure in ragioni di equità o nellapeculiarità della fattispecie, pur consentendo al giudiced’appello di integrare anche di ufficio la motivazionecon cui il giudice di primo grado abbia compensato lespese7.

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La disposizione, dunque, mirava a rendere assoluta-mente straordinaria la possibilità di compensare lespese di lite.

Si tratta, comunque, di una norma che le Sezioni Unite8hanno definito “elastica”, in quanto il giudice di meri-to è chiamato a integrarne il contenuto per adeguarla adun determinato contesto storico-sociale, ovvero a deter-minate situazioni non esattamente ed efficacementespecificabili a priori.

Non par dubbio che era stato violato nel caso esamina-to l’art. 92 cod.proc.civ. che, al secondo comma,espressamente prevede che il giudice può compensarele spese solo ove vi è soccombenza reciproca, ovveroconcorrano “altre gravi ed eccezionali ragioni”, chevanno esplicitamente indicate nella motivazione.

Come già accennato, difatti, la Corte9 è intervenuta,peraltro, al fine di sottolineare la necessità di un ade-guato supporto motivazionale a sostegno della dispostacompensazione10, per cui la relativa statuizione, qualeespressione di un potere discrezionale attribuito dallalegge, è incensurabile in sede di legittimità, salvo chenon risulti violato il principio secondo cui le spese nonpossono essere poste a carico della parte totalmente vit-toriosa, ovvero qualora la decisione del giudice dimerito sulla sussistenza dei giusti motivi, ai sensi delcitato art. 92 cod.proc.civ., sia accompagnata dall’indi-cazione di ragioni palesemente illogiche e tali da infi-ciare, per la loro inconsistenza o l’evidente erroneità, lostesso processo formativo della volontà decisionaleespressa sul punto11.

Le Sezioni Unite, nella ricordata pronuncia, hannorichiamato una nota ordinanza12, con la quale non èstata avallata, come conforme alla Costituzione, unainterpretazione dell’art. 92 cod.proc.civ. che esoneras-se il giudice da ogni obbligo di motivazione, afferman-do, al contempo, che il giudice rimettente, una voltainterpretata alla luce dei principi costituzionali (e, inparticolare, dell’art. 111 Cost., comma 6), la norma chedisciplina la compensazione delle spese di lite, oveavesse inteso compensare queste ultime, avrebbe dovu-to in tali termini farne applicazione dando quindi conto,con adeguata motivazione, dei “giusti motivi” che lo

inducevano a non porre, in tutto o in parte, le spese dilite a carico dalla parte soccombente.

In sostanza, nell’ordinanza citata, la CorteCostituzionale ha indicato al giudice rimettente la stra-da che avrebbe dovuto seguire, sollecitandolo ad unainterpretazione dell’art. 92 cod.proc.civ. conforme aldettato di cui agli artt. 111 e 24 Cost., interpretazioneche, certamente, ancor più alla luce della riscrittura deiprincipi dell’art. 111 Cost., non potrebbe in alcun modocondurre ad individuare nel potere del giudice di com-pensare le spese un potere sostanzialmente arbitrario, ecioè svincolato dal rispetto della regola che, in pienaaderenza coi principi del giusto processo e dell’effetti-vità del diritto di difesa, impone – in linea di principio –di addossare al soccombente il costo del giudizio.

Ed è proprio statuendo l’illegittimo esercizio delladiscrezionalità processuale dei giudici in materia dispese che la Suprema Corte ha accolto la tesi qui pro-spettata, su un’analoga questione, cassando la sentenzaimpugnata13.

Ancora i giudici di legittimità14, rifacendosi ad un con-solidato orientamento consacrato nella sentenza15,hanno sottolineato che, in presenza di un importomodesto, è imposto un particolare rigore nella motiva-zione addotta a sostegno della compensazione dellespese di lite, non essendo sufficiente la modestia del-l’importo a giustificarla sulla base di meri “motivi diequità”, ciò in quanto la motivazione della compensa-zione deve essere tanto più ricercata nell’ipotesi in cuil’importo delle spese legali sia tale da superare quellodel pregiudizio economico che la parte intende evitareandando in giudizio, non potendo essere frustato ildiritto di agire garantito dall’art. 24 Costituzione.

La soluzione, dunque, dei giudici di legittimità appareessere logica e coerente anche e soprattutto nella partein cui, con adeguata motivazione, hanno chiarito leragioni di non condivisione delle diverse conclusioniraggiunte dal relatore.

La successiva riformulazione dell’art. 92 secondocomma l.f., in conseguenza delle modifiche apportatedall’art. 45 della legge 16 giugno 2009 n. 69 e, infine,

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dall’art. 13 del D.L. 12 settembre 2014, n. 132, conver-tito nella legge 10 novembre 2014, n. 162, evidenzianoancor più la incoerenza, erroneità ed illogicità della sta-tuizione assunta dal tribunale con riferimento alle speseavendo il legislatore previsto, espressamente, che lacompensazione possa essere pronunciata dal giudice

solo qualora vi sia soccombenza reciproca, ovvero nelcaso di assoluta novità della questione trattata e, ancora,di mutamento della giurisprudenza rispetto alle questio-ni trattate essendo, di contro, tenuto ad applicare, rigo-rosamente, la norma che, al primo comma, stabilisceproprio il criterio per la regolamentazione delle spese.

CORTE DI CASSAZIONE21 febbraio 2017 – n. 4521

Pres. RAGONESI – Rel. GENOVESETortorici Alba / Curatela Fallimento

Gemma in Liquidazione S.p.A.

In materia di spese processuali la com-pensazione è subordinata alla presenzadi gravi ed eccezionali ragioni che il giu-dice è tenuto ad indicare esplicitamentenella motivazione della sentenza.

La responsabilità dell’impresa insolventein ordine alla causazione del fatto (illeci-to o di anomala esecuzione del rapportodi lavoro) ove abbia comportato la neces-sità del giudizio e dell’esperimento diprove costituende, non può ridondare indanno della parte che abbia ragioni, inquanto diversamente opinando si finireb-be per penalizzarla doppiamente, anchein ordine alle spese giudiziali necessarieper ottenere il riconoscimento dei propridiritti lesi.

**…***…**omissis

Ritenuto che il consigliere designato hadepositato, in data 20 luglio 2015, laseguente proposta di definizione, aisensi dell’art. 380 bis cod.proc.civ.:

Con decreto in data 24 settembre 2015, ilTribunale di Roma, ha accolto l’opposizio-ne proposta dalla lavoratrice TortoriciAlba, avverso la propria esclusione dallostato passivo fallimentare del FallimentoGemma in liquidazione S.p.A., in quanto il

proprio credito fatto valere, derivante dal-l’illegittimo licenziamento collettivo comu-nicatole dalla società datrice, sulla basedella prova testimoniale raccolta e dellaCTU per l’accertamento del quantum,consentiva l’ammissione del credito nellamisura liquidata dal collegio, ma nonanche delle spese, “atteso che la provadel credito è stata integrata con la testi-monianza assunta nel presente giudizio”.

Avverso il decreto del Giudice circonda-riale ha proposto ricorso in cassazione laTortorici, con atto notificato il 23 ottobre2015, sulla base di un unico motivo, coni quali lamenta la violazione degli artt. 91e 92 cod.proc.civ.. La Curatela non ha svolto difese.

Il ricorso appare manifestamente infon-dato, in quanto contenuto nel decretoimpugnato) non è in armonia con quantogià affermato da questa Corte (Cass.,Sez. L., Ordinanza n. 12893 del 2011),ossia che ‘‘Nei giudizi soggetti alla disci-plina dell’art. 92, secondo comma,cod.proc.civ., come modificato dall’art. 2,primo comma, lett.a), della legge n. 263del 2005, ove non sussista reciprocasoccombenza, è legittima la compensa-zione delle spese processuali se concor-rono ‘giusti motivi, esplicitamente indicatinella motivazione”;

che, infatti, nella specie, la compensazio-ne è stata motivata tenuto conto che la“prova del credito è stata integrata con latestimonianza assunta nel presente giu-dizio”.

Tale ragionamento non integra una viola-zione di legge, sostanzialmente equiva-lendo ad affermare la necessità tecnicadella prova in giudizio, tenuto conto delladifficoltà del thema probatorio, quello delleindennità da licenziamento collettivo, afronte del quale la Curatela non avevasvolto difese, rimanendo contumace.

Del resto ogni censura motivazionale alriguardo sarebbe altresì inammissibileperché, tali censure, ove mirino allasostanziale ripetizione del giudizio di meri-to, attraverso il riesame di atti e documen-ti oggetto di apprezzamento nella fase dimerito, con riferimento alle sentenze(come quella oggetto del presente giudi-zio) pubblicate oltre il termine di trentagiorni successivo all’entrata in vigore dellalegge n. 134 del 2012 (che ha convertito ilD.L. n. 83 del 2012), per le quali è statodettato un diverso tenore della previsioneprocessuale (al di là delle formulazionirecate dal ricorso) sostanzialmente invo-cata (ossia, l’art. 360, n. 5 cod.proc.civ.), siinfrangono sull’interpretazione così chiari-ta dalle S.U. civili (nella sentenza n. 8053del 2014): la riformulazione dell’art. 360,primo comma, n. 5, cod.proc.civ., dispostadall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83,conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deveessere interpretata, alla luce dei canoniermeneutici dettati dall’art. 12 delle pre-leggi, come riduzione al “minimo costitu-zionale” del sindacato di legittimità sullamotivazione. Pertanto, è denunciabile incassazione solo l’anomalia motivazioneche si tramuta in violazione di legge costi-tuzionalmente rilevante, in quanto attinen-

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1 Così il testo della norma prima della rifor-ma attuato attraverso l’art. 45 della legge 18giugno 2009, n. 69, poi sostituito dall’art.13 del D.Lgs. 12 settembre 2014, n. 132,convertito nella legge 10 novembre 2014,n. 162.

2 CAIAFA A.-CONCA, Sub art. 95, inCommentario alla legge fallimentare, acura di CAIAFA A., Roma, 2016, p. 436.

3 DONGIACOMO, in Le procedure con-corsuali, a cura di CAIAFA A., coordinato

da DE MATTEIS-SCARAFONI, Padova,2011, p. 829.

4 VALERIO, Accertamento del passivo, nLe procedure concorsuali tra economia ediritto, a cura di CAIAFA A., Roma, 2015,I, p. 388; Cass., Sez. Un., 15 gennaio 2013,in Il fallimento, 2013, p. 925.

5 Cass., 3 settembre 2005, n. 19161.

6 Cass., ord., 15 dicembre 2011, n. 26987.

7 Cass., n. 26083/2010.

8 Cass., 10 gennaio 2012, n. 2572.

9 Cass., ord., 9 dicembre 2011, n. 26466.

10 Cass., Sez. Un., 30 luglio 2008, n. 20598.

11 Cass., 2 luglio 2007, n. 14964.

12 Corte Cost., n. 395/2004.

13 Cass., 20 ottobre 2008, n. 28130.

14 Cass., ord., 12 dicembre 2011, n. 26580.

15 Cass., Sez.Un., 30 luglio 2008, n. 20598.

te all’esistenza della motivazione in sé,purchè il vizio risulti dal testo della senten-za impugnata, a prescindere dal confron-to con le risultanze processuali. Tale ano-malia si esaurisce nella “mancanza asso-luta di motivazione apparente”, nel “contra-sto irriducibile tra affermazioni inconciliabi-li” e nella “motivazione perplessa ed obiet-tivamente incomprensibile”, esclusa qua-lunque rilevanza del semplice difetto di“sufficienza” della motivazione (anomalie,le uniche ammissibili nel vigente giudizio dicassazione, che non sono riscontrabilinelle ipotesi lamentate dalla ricorrente, inquanto, esse si sostanziano in una conte-stazione della fondatezza delle argomen-tazioni avversarie e nel loro parziale acco-glimento da parte del giudizio di merito).

In conclusione, si deve disporre il giudi-zio camerale ai sensi degli artt. 380 bis e375 n. 5 cod.proc.civ..

Considerato che il Collegio NON condivi-de la proposta di definizione della contro-versia contenuta nella relazione di cuisopra, dovendosi dare riscontro alleosservazioni critiche svolte dalla partericorrente;

che, infatti, in punto di diritto (come ine-

quivocabilmente argomentato con ilmezzo di cassazione della ricorrente),questa Corte, in ordine alla corretta inter-pretazione delle disposizioni di leggerichiamate nel ricorso (in particolare,riguardo all’ermeneusi dell’art. 92cod.proc.civ.) ha, ancora di recente, riba-dito il principio – applicabile anche alcaso in esame – secondo cui “in materiadi spese processuali la compensazione èsubordinata alla presenza di gravi edeccezionali ragioni che il giudice è tenutoad indicare esplicitamente nella motiva-zione della sentenza” (Sez. 6 - 3,Ordinanza n. 15413 del 2011);

che tale orientamento, non può esserederogato nella materia concorsuale e, inparticolare, nei giudizi di opposizione allostato passivo di crediti di lavoro, neppurenel caso “di oggettive difficoltà di accerta-menti in fatto, idonee a incidere sulla esat-ta conoscibilità a priori delle rispettiveragioni delle parti” (Cass. Sez. 6 - 1, sen-tenza n. 13916 del 2016) in quanto laresponsabilità dell’impresa insolvente inordine alla causazione del fatto (illecito odi anomala esecuzione del rapporto dilavoro), che ha comportato la necessitàdel giudizio e dell’esperimento di provecostituende, non può ridondare in danno

della parte che ha ragione e, particolar-mente, di quella debole nel rapporto con-trattuale, finendo per penalizzarla doppia-mente, la seconda volta anche in ordinealle spese giudiziali necessarie per otte-nere il riconoscimento dei propri diritti lesi;

che, pertanto, la mancata specifica moti-vazione in ordine alle gravi ed ecceziona-li ragioni che consentono la compensa-zione comporta un vizio di violazione dilegge al quale consegue la cassazionedella decisione impugnata con rinviodella causa, anche per le spese di que-sta fase, al Tribunale di Roma che, indiversa composizione, nel decidere nuo-vamente della vertenza, si atterrà al prin-cipio di diritto sopra richiamato.

P.Q.M.

La Corte,Accoglie il ricorso, cassa il decretoimpugnato, rinvia la causa, anche per lespese di questa fase, al Tribunale diRoma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera diconsiglio della 6 - 1 Sezione civile dellaCorte di cassazione, il 21 ottobre 2016,dai magistrati sopra indicati.

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Il D.Lgs. n. 28 del 16 marzo 2015 ha introdottoall’interno della parte generale del codice penalel’art. 131 bis c.p., rubricato «esclusione della puni-

bilità per particolare tenuità del fatto». Senza pretesedi completezza in questa sede1, si tratta di una clausolagenerale di non punibilità per tutti i reati con penadetentiva massima non superiore a 5 anni che, sullabase di una stratificazione normativa di diversi indici-requisiti di natura sia oggettiva che soggettiva2, posso-no ritenersi di lieve entità. Per ragioni di deflazione delcarico procedimentale, la non punibilità per particolaretenuità del fatto può essere dichiarata sin dalla fasedelle indagini preliminari, con provvedimento di archi-viazione (ex art. 411, comma 1 c.p.p.), che all’esito delgiudizio. È inoltre possibile una pronuncia predibatti-mentale di non punibilità per particolare tenuità delfatto (ex art. 651bis c.p.p.) e, nel silenzio della legge, siritiene che possa essere dichiarata anche all’esito del-l’udienza preliminare3.A distanza di oltre un anno dall’entrata in vigore, sonoancora molte le problematiche sul tavolo. Tra queste, ilimiti dell’efficacia retroattiva della norma. È oramaiassodato, per espressa previsione legislativa – che harubricato l’art. 131 bis c.p. come causa di esclusionedella punibilità – sia per il conforto ottenuto delle pri-missime pronunce della Suprema Corte4, che si tratti diistituto di natura sostanziale e che quindi, in assenza dinormativa transitoria, soggiaccia alla disciplina del-l’art. 2 c.p. il quale, ispirato a logiche di eguaglianza eal principio del favor rei, regola la «successione di

leggi penali». Per quanto qui d’interesse, occorre segnalare la diversaefficacia dell’abolitio criminis, disciplinata dall’art. 2,comma 2 c.p., rispetto alla retroattività della lex mitiorex art. 2, comma 4 codice penale. Come noto, nel primocaso, la ‘demolizione’ della norma penale travolgeanche gli effetti di eventuali decisioni passate in giudi-cato, mentre la retroattività della norma penale piùfavorevole al reo incontra nel giudicato il proprio limi-te di operatività. Viene quindi da chiedersi se l’introduzione dell’art.131 bis c.p. rappresenti disciplina più favorevole al reo,in quanto tale retroattiva «salvo che sia stata pronun-ciata sentenza irrevocabile» (art. 2, comma 4 c.p.),oppure vada intesa quale abolitio criminis e possa diconseguenza legittimare una richiesta di revoca dellasentenza passata in giudicato ai sensi dell’art. 673c.p.p.5.Il quesito presenta risvolti pratici dirompenti, in gradodi fornire vitalità ulteriore e forse non preventivata allanorma. Si pensi, infatti, che laddove parificata alle ipo-tesi di abolitio criminis, si otterrebbe, da un lato, ulte-riore impulso al processo di decarcerizzazione in atto6,dato che la particolare tenuità del fatto potrebbe essererilevata d’ufficio «in ogni stato e grado del processo»ex art. 129 c.p.p.7 e travalicare, come anticipato, i limi-ti del giudicato; d’altro canto, però, si segnala il perico-lo di un indesiderato effetto ‘moltiplicatore di fascico-li’, a causa della riapertura di procedimenti penali ora-mai chiusi, con ulteriore carico e dispendio di risorse

Non punibilità per particolare tenuità del fatto(art. 131 bis c.p.): abolitio criminis o retroattivitàdella norma penale più favorevole al reo?Riflessioni a margine dell’ordinanza del 19.10.2015 del Tribunale di Palmi, prima sezionedella Corte di Assise – Presidente Dott.ssa Capone, quale giudice dell’esecuzione

Fabio CoppolaDottore di ricerca in Diritto Penale Università degli Studi di Salerno

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per gli Uffici Giudiziari chiamati a valutare le istanzedi revoca, che rischia di contraddire le rationes dellariforma, ispirate a esigenze di sfoltimento del caricogiudiziale. Sulla questione non si registra una solida presa diposizione della giurisprudenza di merito e di legitti-mità, bensì decisioni tra loro contrastanti. In una delleprimissime pronunce la Suprema Corte, sottolineandola «natura sostanziale dell’istituto di nuova introdu-zione», ha ritenuto applicabile l’art. 131 bis c.p. aifatti di reato consumati prima dell’entrata in vigoredella legge «secondo quanto stabilito dall’art. 2,comma 4 cod. pen.»8. Senza esplicitare le ragioni diuna scelta in tal senso, la Corte di Cassazione qualifi-ca la causa di non punibilità per particolare tenuità delfatto quale lex mitior applicabile retroattivamente neilimiti del giudicato. Si tratta di opzione ermeneutica in linea con un datatoorientamento che ravvisa gli estremi della successionedi leggi penali (e non l’abolitio criminis) «sia quandola fattispecie venga modificata, in qualche suo elemen-to, sia – a maggior ragione – quando l’innovazioneconcerna una condizione di punibilità»9. In altre paro-le, l’art. 131 bis c.p., incidendo esclusivamente sulla‘meritevolezza’ della pena nel singolo caso concreto,rientrerebbe tra le ipotesi che mitigano «il trattamentosanzionatorio del reo lato sensu inteso»10, inquadrabilenei confini dell’art. 2, comma 4 codice penale.Permane quindi il disvalore della condotta, costituentepur sempre un fatto tipico di reato, antigiuridico e col-pevole, ma non punibile11. Peraltro, ritenendo «inimmaginabile» l’ipotesi di aboli-tio criminis, autorevole voce in dottrina ha qualificatol’art. 131 bis c.p. come «correttivo di equità» affidatoal giudice, legittimato ad un «atto di clemenza» daicontorni ‘eversivi’, capace di disinnescare – quasi com-pletamente – le conseguenze sanzionatorie del reato,che risulterebbero altrimenti sproporzionate12.Seguendo l’indirizzo interpretativo della SupremaCorte, il Tribunale di Milano13 ha recentemente decre-tato l’inammissibilità della domanda di revoca presen-tata ai sensi dell’art. 673 c.p.p., stante il limite invalica-bile del giudicato.Su posizioni diametralmente opposte, si segnala l’or-dinanza del 19.10.2015 del Tribunale di Palmi, primasezione della Corte di Assise – Presidente Dott.ssa

Capone, quale giudice dell’esecuzione, il quale, purrigettando nel merito – per carenza dei requisiti richie-sti dall’art. 131 bis c.p. – la domanda di revoca ai sensidell’art. 673 c.p.p., ne ha sancito l’ammissibilità con ilseguente ragionamento. «Osserva il giudicante chenon ricorre una ipotesi tipica di abolitio criminis madi una lex mitior, che mitiga gli effetti della normaincriminatrice, limitandone l’ambito di procedibilitàalle ipotesi di gravità della condotta, accertata secon-do i parametri di cui all’art. 133 c.p. e nei limiti trac-ciati dall’art. 131 bis c.p.». Inoltre, continua la Corte,«la fattispecie della revoca della sentenza di condan-na da parte del giudice dell’esecuzione, come afferma-to dal giudice di legittimità, opera non soltanto quan-do una fattispecie legale criminosa nel suo complessosia eliminata dal sistema penale, ma anche quandovenga resa inapplicabile la norma incriminatrice inuno dei casi che, in precedenza, rientravano nell’areadei fatti penalmente sanzionati come reati». Ammessala possibilità di revoca delle decisioni passate in giudi-cato sulla base della particolare tenuità del fatto, laCorte si sofferma sul modus procedendi del giudicedell’esecuzione, offrendo alcune direttive. Quest’ultimo dovrà «verificare la ricorrenza congiun-ta della particolare tenuità dell’offesa e della non abi-tualità del reato. Nell’effettuare tale apprezzamento, ilgiudice dell’esecuzione non potrà che basarsi suquanto emerso nel corso del giudizio di merito tenen-do conto (…) di giudizi già espressi che abbiano paci-ficamente escluso la particolare tenuità»14. In sede di primo commento dell’ordinanza, è statoosservato che l’introduzione dell’art. 131 bis c.p.potrebbe aver comportato una «vera e propria depena-lizzazione»15. Riprendendo le parole dell’autore «…ècome se vi fosse stata, da una parte, l’abrogazione ditutte le norme di diritto penale sostanziale che incrimi-navano varie condotte con la pena detentiva non supe-riore nel massimo a cinque anni e, dall’altra, allo stes-so tempo, la previsione di nuove figure di reato, identi-che alle precedenti ma richiedenti come elementi costi-tutivi una offesa rilevante, non tenue, e l’abitualità delcomportamento»16. Conclude, quindi, per la natura par-zialmente abolitrice dell’art. 131 bis c.p. e consequen-ziale applicazione dell’art. 2, comma 2 codice penale.Portando alle estreme conseguenze tale ragionamento,si potrebbe ravvisare una nuova tipicità ‘complessa’, la

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cui morfologia sembra in parte richiamare quella deldelitto tentato17, derivante dalla combinazione, in posi-tivo, degli elementi strutturali delle singole fattispeciedelittuose con soglia edittale massima non superiore a5 anni di reclusione e, in negativo, dall’assenza degliindici-criteri ‘spia’ della particolare tenuità del fatto. Secondo detta impostazione, andrebbero consideratiatipici, in quanto non più costituenti reato, quei com-portamenti rientranti nella descrizione normativa dellafattispecie criminosa ma al di sotto della ‘soglia dipunibilità’ del fatto, così come descritta dall’art. 131bis codice penale.Seppur suggestiva, la tesi in esame, laddove dovesseessere recepita, appare meno scontata circa i risvolti exart. 2, comma 2 codice penale. In assenza di una preci-sa voluntas legislativa di conferire piena liceità18 aireati con un massimo edittale al di sotto dei 5 anni,resta invero indimostrato che si tratti di abolitio crimi-nis. D’altronde, è proprio l’ipotizzata speculare costru-zione normativa degli illeciti penali, con la sola aggiun-ta degli elementi in negativo prescritti dall’art. 131 bisc.p., a ostacolare il percorso interpretativo verso l’art.2, comma 2, codice penale. Occorrerebbe infatti supe-rare l’insegnamento delle Sezioni Unite, ovvero dimo-strare che le fattispecie di nuovo conio non siano ricon-ducibili da un punto di vista strutturale e teleologico aquelle che si pretendono abrogate19. Risulta francamen-te arduo immaginare che tra i due fenotipi normativi,ossia l’insieme dei reati con sanzione detentiva massi-ma non superiore a 5 anni, considerati prima e dopol’introduzione dell’art. 131 bis c.p., non sussista un rap-porto di genere a specie20 nonostante l’identica struttu-ra delittuosa, la cui rilevanza penale viene semplice-mente illuminata dalla causa di non punibilità. Inoltre, la valutazione della particolare tenuità del fattopresuppone l’accertamento dell’esiguità del danno odel pericolo c.d. criminale21, vale a dire derivante dareato. Elemento che difetterebbe nell’ipotesi di abolitio

criminis, stante l’intervenuta liceità dei fatti di partico-lare tenuità e l’impossibilità di riferirne gli effetti dan-nosi o pericolosi ad alcuna delle fattispecie criminosedell’ordinamento penale. L’obiezione si mostra difficil-mente superabile, a meno di non voler attribuire allariforma una generale efficacia depenalizzante chesvuoterebbe di contenuto gli stessi ‘indici’ di tenuitàstabiliti dalla norma. Infine, relativamente alle conclusioni della Corte diAssise sopra citate, il modus operandi suggerito al giu-dice dell’esecuzione non convince rispetto ai limiti pre-scritti ex art. 673 c.p.p., che ammette la revoca delprovvedimento di condanna quando «il fatto non è pre-visto dalla legge come reato». La norma processualerichiede uno scrutinio limitato alle ipotesi di abrogazio-ne o dichiarazione di illegittimità costituzionale dellanorma, il cui riscontro non esige un vaglio nel merito.Diversamente, l’accertamento valoriale imposto ex art.131 bis c.p. implica un giudizio complesso22 sul fattoche esula dai poteri del giudice dell’esecuzione sancitidall’art. 673 c.p.p.23.Per tali ragioni, risulta maggiormente aderente al casol’ipotesi di retroattività della legge più favorevole alreo ai sensi dell’art. 2, comma 4 c.p.24. L’art. 131 bisc.p. opererebbe, quindi, quale restringimento (e nondemolizione) del raggio di rilevanza penale per tutte lefattispecie sanzionate nel massimo fino a 5 anni direclusione, sia che si opti per una diversa caratterizza-zione del fatto tipico (con l’aggiunta degli ‘elementi innegativo’ ex art. 131 bis c.p.), sia che le si consideri,semplicemente, non più meritevoli di sanzione penalein virtù del bilanciamento di interessi richiesto al giudi-ce del fatto ‘di particolare tenuità’. Salvo diversa lettu-ra, sarebbe così da escludere la riconducibilità dell’art.131 bis c.p. al fenomeno della abolitio criminis e, alnetto di forzature interpretative, da ritenere inammissi-bili le richieste di revoca del giudicato, ai sensi dell’art.673 codice procedura penale.

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1 Per una disamina completa si rimanda, tragli altri, a A. R. CASTALDO, La non punibili-tà per particolare tenuità del fatto: il nuovoarticolo 131bis c.p., in CADOPPI-CANESTRARI-MANNA-PAPA (a cura di),Trattato di Diritto Penale - Parte Generale eSpeciale - Riforme 2008-2015, UtetGiuridica, 2015, pp. 111 e ss.; G. AMATO,Con l’estensione al giudizio ordinario siapre una nuova era, in Guida al Diritto, n.15, 2015, pp. 25 e ss.; D. BRUNELLI, Il fattotenue tra offensività ed equità, in ArchivioPenale (web), n. 1/2016; T. PADOVANI, Unintento deflattivo dal possibile effetto boo-merang, in Guida al Diritto, n. 15, 2015, pp.19 e ss.; A. NISCO, L’esclusione della punibi-lità per la particolare tenuità del fatto.Profili sostanziali, in G.M. BACCARI-K. LAREGINA-E. M. MANCUSO (a cura di), Il nuovovolto della giustizia penale. Autoriciclaggio,difesa d’ufficio, misure di contrasto al terro-rismo, ordine di protezione europeo, partico-lare tenuità del fatto, modifiche in materia dimisure cautelari e ordinamento penitenzia-rio, CEDAM, 2015, pp. 195 e ss.; C. F.GROSSO, La non punibilità per particolaretenuità del fatto, in Diritto Penale eProcesso, n. 5/2015, pp. 517 e ss.

2 Sul punto, cfr. A. R. CASTALDO, op. cit.,p. 118.

3 Così A. CORBO-G. FIDELBO,Problematiche processuali riguardantil’immediata applicazione della “particola-re tenuità del fatto”, Corte di Cassazione –Ufficio del Massimario. Settore Penale,Rel. N. III/02/2015, Roma, 23.04.2015: «Inrelazione all’udienza preliminare, è forsepiù agevole concludere per una soluzionepositiva: la pronuncia della sentenza di nonluogo a procedere avviene comunqueall’esito del contraddittorio con tutte leparti processuali, l’avviso dell’udienza ènotificato a pena di nullità anche alla perso-na offesa, sono previste formule liberatorieper rilevare “che si tratta di persona nonpunibile per qualsiasi causa” o che “sussisteuna causa … per la quale l’azione penalenon doveva essere iniziata o non deve esse-re proseguita”, non risultano specifiche pre-clusioni poste dal legislatore. Può ancheaggiungersi che tale soluzione appare inlinea con le esigenze deflative perseguitecon l’introduzione del nuovo istituto».

4 Cfr. Cass. Pen., Sez. III, 8.04.2015, sen-tenza n. 15449 con nota di L. TAVASSI, Iprimi limiti giurisprudenziali alla “partico-lare tenuità del fatto”, in Diritto PenaleContemporaneo, 16.06.2015; cfr. ancheCass. Pen., Sez. III, 07.05.2015, ordinanzan. 21015 con nota di G. ALBERTI,Particolare tenuità del fatto: le SezioniUnite non si pronunceranno (per ora), inDiritto Penale Contemporaneo,27.05.2015.

5 Il citato articolo del codice di procedurapenale stabilisce: «[1] Nel caso di abroga-zione o di dichiarazione di illegittimitàcostituzionale della norma incriminatrice,il giudice dell’esecuzione revoca la senten-za di condanna o il decreto penale dichia-rando che il fatto non è previsto dalla leggecome reato e adotta i provvedimenti conse-guenti. [2] Allo stesso modo provvedequando è stata emessa sentenza di proscio-glimento o di non luogo a procedere perestinzione del reato o per mancanza diimputabilità».

6 Si veda da ultimo il D.D.L. n. 2067riguardante «Modifiche al codice penale eal codice di procedura penale per il raffor-zamento delle garanzie difensive e la dura-ta ragionevole dei processi nonché all’ordi-namento penitenziario per l’effettività rie-ducativa della pena», attualmente indiscussione al Senato della Repubblica.

7 In tal senso Cass. Pen., Sez. III, 07.05.2015,ordinanza n. 21015, p. 4.

8 Così Cass. Pen., Sez. III, 2015, sentenzan. 15449 (sottolineatura nostra).

9 Così Cass. Pen., Sez. I, 20.06.1972, sen-tenza n. 804.

10 Cfr. G. FIANDACA-E. MUSCO, Manualedi Diritto Penale. Parte Generale, 7^ ed.,Zanichelli Editore, 2014, p. 104.

11 In tal senso, qualificando l’art. 131 bisc.p. come «“mera” circostanza di non puni-bilità», C.F. GROSSO, op. cit., p. 517.

12 In questi termini, D. BRUNELLI, op. cit.

13 Cfr. Tribunale di Milano, Sez. XI, decre-to del 3.11.2015, GM Dott. Corbetta, conNota di G.L. GATTA, La particolare tenuitàdel fatto ex art. 131 bis c.p. e il limite del

giudicato, in Diritto PenaleContemporaneo, 23.11.2015.

14 Riprendendo quanto stabilito per l’ope-ratività dell’art. 131 bis c.p. in sede di legit-timità da Cass. Pen., Sez. III, 8.04.2015,sentenza n. 15449.

15 Cfr. G. GIUNTA, È possibile che il giudi-ce dell’esecuzione possa revocare la sen-tenza definitiva che abbia condannato uncittadino per delitti oggi ritenuti “tenui”?,in Archivio Penale (web), n. 1/2016.

16 Così G. GIUNTA, op. cit.

17 Per approfondimenti si rinvia a A.MASSARO, sub art. 56 c.p., in G. LATTANZI-E. LUPO (a cura di), Codice penale.Rassegna di giurisprudenza e dottrina. Vol.I. La legge penale e le pene. Libro I. Artt. 1-38, Giuffrè, 2015, pp. 575 e ss.

18 Cfr. G. FIANDACA-E. MUSCO, op. cit., p.99.

19 Cfr. Cass. Pen., SS.UU., 26.02.2009,sentenza n. 24468.

20 Per l’analisi dei criteri di identificazionedel fenomeno della successione delle leggipenali nel tempo si rimanda a G. FIANDACA-E. MUSCO, op. cit., pp. 98 e ss.; Cfr. inoltreM. GAMBARDELLA, sub art. 2 c.p., in G.LATTANZI-E. LUPO (a cura di), op. cit., p.103.

21 Cfr. A. NISCO, op. cit., p. 209.

22 Cfr. Cass. Pen., Sez. III, 07.05.2015,ordinanza n. 21015, p. 10.

23 Sembra leggersi in tal senso Cass. Pen.,Sez. I, 17.01.2013, sentenza n. 2638, secon-do cui «deve tuttavia escludersi la dettaoperatività nel caso in cui essa richieda, daparte del giudice dell’esecuzione, non unriscontro meramente ricognitivo dell’inter-venuta perdita di efficacia della normaincriminatrice applicata nel giudizio dicognizione, ma una indagine valutativa inordine alla sussistenza o meno delle condi-zioni cui è subordinata la produzione del-l’effetto abrogativo».

24 Come decretato da Tribunale di Milano,Sez. XI, decreto del 3.11.2015, GM Dott.Corbetta, con Nota di G.L. GATTA, op. cit.

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1. Premessa: il contenuto delle pronunce in com-mentoCon sentenza del 18.10.2016, emessa in Camera diConsiglio all’esito del giudizio recante il n. 28 del2016, il Tribunale di Reggio Calabria ha dichiarato ilfallimento della “SoCiETÀ Di GESTioNE PERL’AERoPoRTo DELLo STRETTo” S.P.A. iNLiQUiDAZioNE (d’ora in poi anche solo So.G.A.S.),il cui oggetto sociale consiste, principalmente, nellosviluppo, progettazione, realizzazione, adeguamento,gestione, manutenzione ed uso degli impianti e delleinfrastrutture per l’esercizio dell’attività aeroportualedell’aeroporto dello stretto; ed il cui attuale assettosocietario, ovvero la ripartizione del capitale tra i soci,è il seguente: Provincia di Reggio Calabria: 67,38%;Provincia di messina: 14,96%; Regione Calabria:13,02%; Comune di Reggio Calabria: 4,63%; CCiAAdi Reggio Calabria: 0,01%.Con la medesima pronuncia è stata altresì autorizzata lacontinuazione temporanea dell’attività di impresa, ex art.104 l.f., per tre mesi decorrenti dalla data di depositodella sentenza, onerando il Curatore alla presentazionedel rendiconto al Giudice Delegato ogni trenta giorni.L’esercizio provvisorio era disposto in considerazionedella disponibilità liquida immediata di € 696.000,00,messa appositamente a disposizione dalla Provincia diReggio Calabria, che, secondo il Tribunale, avrebbeconsentito la continuazione dell’attività d’impresa perun periodo di tre mesi, senza alcun rilevante incremen-to del deficit patrimoniale della società fallita. Con successiva pronuncia del 20.1.2017, il medesimoTribunale accordava una proroga temporanea dell’eser-cizio dell’impresa fallita So.G.A.S. spa in liquidazionefino al 15.3.2017, ritenendo esistenti i presupposti perconcederla sulla base del principio per cui il danno

grave, derivante dall’interruzione dell’attività di impre-sa, deve essere individuato nell’esigenza di assicurarela continuazione del servizio in concessione, anche atutela di tutti i creditori intesi nella più ampia accezio-ne di collettività in genere (e non solo di ceto), tenendoconto dei risultati complessivi dell’intera procedura edovendosi affiancare ai risultati dell’esercizio provvi-sorio il plusvalore derivante dall’alienazione di uncomplesso funzionante in luogo di una cessione atomi-stica dei beni; in caso di continuazione veniva previstoil pareggio di bilancio o, al più, un modesto sbilancionegativo“tollerabile”nel contesto della delicata attivitàd’impresa che eroga un servizio pubblico essenziale egiustificato dal vantaggio ottenuto, in favore dei credi-tori e della collettività, dal mantenimento dello scaloaeroportuale.Le due pronunce sopra citate, ed in particolare la prima,investono il problema della fallibilità delle società par-tecipate da soggetti pubblici che gestiscono servizi diinteresse pubblico e quello dell’attuabilità, in tal caso,dell’esercizio provvisorio, ragion per cui nel presentescritto verranno esaminati entrambi i profili.

2. La nota problematica legata alla fallibilità dellesocietà a capitale pubblico prima del D.Lgs. n. 175del 2016il primo aspetto di interesse delle pronunce in commen-to è quello della possibilità di dichiarare il fallimento disocietà interamente partecipate da enti pubblici, que-stione che, nel recente passato, ha dato luogo a nume-rose problematiche di natura interpretativa.Per quanto concerne la questione che ci occupa, si evi-denzia che le problematiche sono sorte in merito all’art.1 della legge fallimentare, che al suo primo commadispone che “sono soggetti alle disposizioni sul falli-

Il fallimento delle società in mano pubblicaFrancesco ScarafoniPraticante Avvocati

SommARio: 1. Premessa: il contenuto delle pronunce in commento – 2. La nota problematica legata alla fallibili-tà delle società a capitale pubblico prima del D.Lgs. n. 175 del 2016 – 3. L’intervento del D.Lgs. n. 175 del 2016 –4. L’esercizio provvisorio: applicabilità e limiti.

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mento e sul concordato preventivo gli imprenditori cheesercitano una attività commerciale esclusi gli entipubblici”, ragion per cui le criticità interpretativeriguardano la possibile qualificazione delle partecipatecome ente pubblico con relativa non assoggettabilità afallimento.Al riguardo, un primo filone, che si è fatto largo nellagiurisprudenza di merito, riteneva la non fallibilità ditali soggetti, e ciò in considerazione “dell’anomalia delfenomeno dell’in house nel panorama del diritto socie-tario”, che ha attribuito alla Corte dei Conti la giurisdi-zione nei confronti degli amministratori o organi dicontrollo che compiano atti contrari ai loro doveri d’uf-ficio, pregiudizievoli per la società “in house”.in particolare, secondo tale tesi, non vi sarebbe distin-zione alcuna tra ente pubblico e società, ragion per cuianche quest’ultima rivestirebbe le caratteristiche del-l’ente pubblico e, pertanto, non sarebbe fallibile1.Appartengono a tale filone anche le pronunce della giu-risprudenza di merito che hanno affermato che “se èvero che gli enti pubblici sono sottratti al fallimento,anche la società in house integralmente partecipatadagli stessi, non potrà essere soggetta alla liquidazio-ne fallimentare, in quanto concreta mero patrimonioseparato dell’ente pubblico e non distinto soggetto giu-ridico, centro decisionale autonomo e distinto dal sociopubblico titolare della partecipazione, che esercitasullo stesso un potere di governo del tutto corrispon-dente a quello esercitato sui propri organi interni”2.Un secondo orientamento, invece, ha ritenuto non falli-bili le società partecipate non perché enti pubblici, maperché prive del carattere commerciale. in particolare,tali pronunce di merito hanno affermato che “le socie-tà in mano pubblica, al ricorrere di determinate condi-zioni, non sarebbero fallibili non già perché enti pub-blici, ma perché non riconducibili alla categoria del-l’imprenditore commerciale”3.Gli orientamenti predetti, però, sono stati superati da con-solidata giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, laquale ha avuto, a più riprese, modo di statuire che anchele partecipate sono assoggettabili a fallimento4.La giurisprudenza favorevole alla fallibilità delle socie-tà partecipate ha preliminarmente evidenziato come lacontraria tesi della non fallibilità mal si concili con laperdurante vigenza del principio generale stabilitodalla L. n. 70 del 1975, art. 4, che, nel prevedere che

nessun nuovo ente pubblico possa essere istituito oriconosciuto se non per legge, evidentemente richiedeche la qualità di ente pubblico, se non attribuita da unaespressa disposizione di legge, debba quantomenopotersi desumere da un quadro normativo di riferimen-to chiaro ed inequivoco5. La tesi della non fallibilità, quindi, non sembra possaessere condivisa alla luce di un’analisi del fenomenosocietario nelle diverse fasi che lo caratterizzano: inprimo luogo, va escluso che peculiarità, tali da giustifi-care l’equiparazione ad un ente pubblico delle società apartecipazione pubblica, si rinvengano sul piano delsoggetto, ossia dell’ente giuridico “società”, e delmodo in cui sono disciplinati la sua organizzazione edil suo funzionamento, e i rapporti esistenti, al suo inter-no, fra i diversi organi che vi operano. E ciò vale anche nel caso in cui norme legislative o sta-tutarie pongano limiti alla autonomia degli organi deli-berativi, posto che la volontà negoziale della societàpubblica, pur se determinata da atti propedeutici del-l’amministrazione, si forma e si manifesta secondo leregole del diritto privato.infatti, nel nostro ordinamento, ai fini dell’applicazio-ne dello statuto dell’imprenditore commerciale, nonrileva né il tipo di attività esercitata, né le regole inter-ne che si diano i soci (o previste dalla legge in relazio-ne a determinate categorie di soci), ma solamente lanatura del soggetto6.D’altro canto, la conclusione della natura di imprendi-tore commerciale della società partecipata appareormai obbligata alla luce della norma di cui all’articolo4, comma 13, del D.L. n. 95 del 2012, convertito nellalegge n. 135 del 2012, riguardante disposizioni urgentiper la revisione della spesa pubblica, il cui ultimoperiodo prevedeva che “Le disposizioni del presentearticolo e le altre disposizioni, anche di carattere spe-ciale, in materia di società a totale o parziale parteci-pazione pubblica si interpretano nel senso che, perquanto non diversamente stabilito e salvo derogheespresse, si applica comunque la disciplina del codicecivile in materia di società di capitali”.La disposizione da ultimo indicata è stata abrogata dalD.Lgs. n. 175 del 2016, concernente il testo unico inmateria di società a partecipazione pubblica, che,comunque, all’articolo 3 ha avuto cura di confermareche, per tutto quanto dallo stesso non espressamente

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previsto, “si applicano alle società a partecipazionepubblica le norme sulle società contenute nel codicecivile e le norme generali di diritto privato”. La conclusione dell’alterità del soggetto giuridicosocietà rispetto all’ente pubblico partecipante trovadiretta conferma, qualora ve ne fosse ulteriore bisogno,nel già citato D.Lgs. n. 175 del 2016 che prevede cheanche le società in house, che hanno come oggettosociale esclusivo la produzione di un servizio di inte-resse generale, o la progettazione o realizzazione diun’opera pubblica, o l’autoproduzione di beni o servizipubblici strumentali agli enti da cui sono controllate eche, quindi, operano in via prevalente con questi ultimi(art. 4, comma 4), comunque regolano i rapporti con glistessi enti mediante affidamenti di contratti pubblici(art. 16, comma 1) che possono anche essere oggetto discioglimento se la società non rispetta il rapporto per-centuale previsto dalla legge tra fatturato provenientedagli affidamenti degli enti pubblici controllanti e fat-turato proveniente da altre attività (articolo 16, commi3, 4 e 5). Ad analoga conclusione sulla fallibilità della società apartecipazione pubblica si deve giungere avuto riguar-do al piano dell’attività, cioè dei rapporti che la socie-tà, in quanto soggetto riconosciuto dall’ordinamentocome dotato di una propria capacità giuridica e di agire,instaura con i terzi. Eventuali norme speciali che sianovolte a regolare la costituzione della società, la parteci-pazione pubblica al suo capitale e la designazione deisuoi organi, non incidono, infatti, sul modo in cui essaopera nel mercato né possono comportare il venir menodelle ragioni di tutela dell’affidamento dei terzi contra-enti contemplate dalla disciplina privatistica. in proposito, l’esame della disciplina dettata dal D.Lgs.n. 175 del 2016 evidenzia l’intento del legislatore diregolamentare esclusivamente il rapporto fra ente pub-blico socio e società partecipata – comunque nella cor-nice della disciplina esistente delle società commercia-li, attraverso la previsione di specifiche deroghe per lepartecipate – escludendo qualsiasi rilievo di tale rappor-to sulle modalità di azione di quest’ultima nel mercato. L’orientamento giurisprudenziale maggioritario favo-revole alla dichiarazione di fallimento, definitivamenteaffermato in recenti pronunce della Suprema Corte diCassazione7, ha rilevato come, innanzitutto, a favoredella fallibilità vi sarebbe il dato normativo, atteso che

il legislatore ha ribadito la riconducibilità delle societàpubbliche fra quelle di diritto comune sia con il D.Lgs.n. 3 del 2003, di riforma del diritto societario, che hasostituito agli artt. 2458/60 gli artt. 2449 e 2450 c.c., siacol D.Lgs. n. 5 del 2006 di riforma del diritto fallimen-tare, che non ha modificato, sul punto, il R.D. n. 267del 1942, art. 1, comma 1. in particolare, neppure le innumerevoli disposizioninormative speciali che, nel corso degli anni, sono stateemanate in tema di società pubbliche, costituiscono uncorpus unitario, sufficiente a regolamentarne attività efunzionamento ed a modificarne la natura di soggetti didiritto privato, così da sottrarle espressamente alladisciplina civilistica, la cui applicazione è stata, comegià visto, recentemente ribadita da specifici provvedi-menti legislativi. Al pari della giurisprudenza, anche la dottrina si è spac-cata sulla questione della fallibilità delle società parte-cipate, attestandosi su posizioni opposte.infatti, mentre parte ha affermato la fallibilità (e la pos-sibilità di far ricorso alla procedura di concordato pre-ventivo) di tutte le società in mano pub blica, altra parteha ritenuto di escludere talune di esse dall’area di appli-cazione delle procedure concorsuali, dividendosi poinell’individuare il criterio da utilizzare per selezionarele società “fallibili” dalle società non fallibili8.

3. L’intervento del D.Lgs. n. 175 del 2016A tale acceso dibattito ha posto definitivamente termi-ne l’articolo 14, comma 1, del D.Lgs. n. 175 del 2016che prevede che «Le società a partecipazione pubblicasono soggette alle disposizioni sul fallimento e sul con-cordato preventivo, nonché, ove ne ricorrano i presup-posti, a quelle in materia di amministrazione straordi-naria delle grandi imprese insolventi di cui al decretolegislativo 8 luglio 1999, n. 270, e al decreto-legge 23dicembre 2003, n. 347, convertito, con modificazioni,dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39».È stato affermato che alla chiarezza dell’intento dellegislatore non corrisponde un altrettanto chiaro detta-to normativo, perché l’articolo 2 del D.Lgs. n. 175 del2016 detta diverse definizioni delle società a partecipa-zione pubblica e delle società in house.La prime sono quelle a controllo pubblico, nonché lealtre società partecipate direttamente da amministrazio-ni pubbliche o da società a controllo pubblico [art. 2,

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comma 1, lett. n)]; le seconde, invece, sono le societàsu cui un’amministrazione esercita il controllo analogoa quello esercitato sui propri servizi o più amministra-zioni esercitano il controllo analogo congiunto [(art. 2,comma 1, lett. o)].La dizione letterale dell’articolo 14, quindi, sembrereb-be fare riferimento solo alle prime, ma, come è statocorrettamente osservato, se questa fosse la conclusione,l’intento chiarificatore dell’in tervento legislativo sareb-be del tutto vanificato, in quanto proprio con particola-re riferimento alle società in house si era negli ultimitempi concentrato il dibattito circa la fallibilità o meno9. Si è ritenuto, quindi, che le società in house non possa-no essere escluse dalla soggezione al fallimento ed allealtre procedure concorsuali, potendo ragionevolmenteritenersi che fra il concetto di «società a partecipazio-ne pubblica» e quello di «società in house» corra unrapporto di genus a species, in forza del quale le secon-de rappresentano una peculiare categoria di società apartecipazione pubblica; con la conseguenza che, ogniqualvolta il T.U. imponga l’applicazione di una deter-minata disposizione normativa alle «società a parteci-pazione pubblica», tale disposizione operi, salva diver-sa previsione, anche con riferimento alle «società inhouse»10.

4. L’esercizio provvisorio: applicabilità e limitiil D.Lgs. n. 175 del 2016 detta una puntuale disciplinaper le società partecipate nella fase fisiologica dellosvolgimento dell’attività d’impresa; si tratta, come giàsopra rammentato, di una disciplina che si muove nel-l’alveo delle norme codicistiche e che apporta le neces-sarie modifiche e deroghe al diritto comune per tenerconto delle specifiche esigenze della partecipazionepubblica.Al contrario, per la fase patologica della vita societaria,quella in cui sopravviene l’insolvenza, il legislatore siè limitato ad affermarne la soggezione alle disposizio-ni sul fallimento, sul concordato preventivo e, ove nericorrano i presupposti, all’amministrazione straordina-ria delle grandi imprese insolventi, omettendo qualsia-si particolare disposizione relativa allo svolgimentodella procedura concorsuale della società partecipata11.il silenzio del legislatore impone la verifica se tutti gliistituti della procedura fallimentare siano comunqueapplicabili e compatibili con la sottoposizione a falli-

mento della società partecipata e, per quanto di specifi-co interesse in relazione alle problematiche sottese aiprovvedimenti commentati, se sia compatibile l’eserci-zio provvisorio in presenza di fallimento di società par-tecipata esercente un servizio pubblico necessario.La vicenda oggetto dei due provvedimenti delTribunale di Reggio Calabria riveste, sotto tale profilo,una sua specificità perché la società So.G.A.S. spa èstata costituita dai cinque enti pubblici in precedenzaindicati per l’esercizio di un servizio pubblico (gestio-ne, manutenzione ed uso degli impianti e delle infra-strutture per l’attività aeroportuale) di competenza diun altro ente pubblico, l’E.N.A.C., che aveva già inprecedenza revocato la concessione della gestione allastessa affidata, permettendone temporaneamente lacontinuazione fino all’esaurimento della gara per l’in-dividuazione del nuovo gestore del servizio.Appare necessario, però, previamente esaminare il pro-blema sotto il profilo più generale dei presupposti del-l’esercizio provvisorio.Come noto, l’articolo 104 l.f. prevede che il tribunale,con la sentenza dichiarativa di fallimento, possa dispor-re l’esercizio provvisorio dell’azienda, anche limitata-mente a specifici rami, se dall’interruzione dell’attivitàd’impresa possa derivare un danno grave, purché ciònon arrechi pregiudizio ai creditori.La norma, quindi, individua i due presupposti, in pre-senza dei quali il tribunale può disporre la continuazio-ne dell’attività d’impresa, ne: 1) il danno grave deri-vante dall’interruzione; 2) l’assenza di pregiudizio peri creditori.La disposizione non chiarisce a quale soggetto debbaessere riferito il danno grave da scongiurare. Se in pas-sato, nella normativa anteriore alla riforma della leggefallimentare, era certo che il requisito del «danno graveed irreparabile» (nella formulazione dell’articolo 90del R.D. n. 267/42) si riferisse solo al ceto creditorio,nell’attuale formulazione dell’articolo 104 l.f., anchealla luce della contrapposizione logica con l’ulteriorepresupposto dell’assenza di pregiudizio, espressamenteriferito ai creditori, la dottrina ritiene che il dannograve debba essere valutato in relazione all’impresastessa o a tutti i soggetti terzi che con la stessa entranoin contatto12. La disposizione, così come interpretata dalla dottrina,quindi, costituisce un riconoscimento della funzione

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sociale dell’impresa che è stato condiviso anche dallagiurisprudenza, la quale ha affermato che, ai fini dellavalutazione circa la ricorrenza del danno grave, in pre-senza del quale autorizzare l’esercizio provvisorio, iltribunale può tenere conto non solo dell’interesse delceto creditorio, ma anche della generalità dei terzi, frai quali ben possono essere annoverati i cittadini cheusufruiscono del servizio erogato dall’impresa fallita13.Anche nel sistema della legge fallimentare attuale, però,la funzione sociale deve comunque cedere il passodinanzi all’interesse del ceto creditorio, trattandosi inogni caso di un processo di esecuzione concorsuale:quest’ultimo interesse è tutelato dal secondo dei presup-posti necessari per poter procedere all’esercizio provvi-sorio, cioè l’assenza di pregiudizio per i creditori.Tale previsione è quella che perimetra la facoltà divalutazione del tribunale dei diversi interessi in gioco,imponendo che, comunque, qualsiasi interesse, purmeritevole della più attenta considerazione, non possaandare a discapito di quello dei creditori della societàfallita.Sotto tale aspetto appare pienamente condivisibile lavalutazione operata nella sentenza in commento secon-do cui se, da un lato, l’esercizio provvisorio non devenecessariamente produrre un risultato vantaggioso per icreditori, richiedendo la norma che per gli stessi siaalmeno indifferente, d’altro canto, ai fini della valuta-zione circa l’esistenza di quest’ultimo presuppostobisogna tenere conto dei risultati complessivi dell’inte-ra procedura, dovendosi affiancare, ai risultati del-l’esercizio provvisorio, il plusvalore derivante dallaalienazione di un complesso funzionante in luogo diuna cessione atomistica dei beni. Nella sostanza, anche una gestione provvisoria negativapotrebbe essere indifferente ai creditori se la conserva-zione di un complesso aziendale funzionante possa per-mettere una liquidazione dello stesso più favorevolerispetto a quella atomistica dei singoli cespiti aziendali.Fatte tali generali premesse sul problema dell’esercizioprovvisorio, la problematica incrocia, ora, quella dellapossibilità di applicare tale istituto in presenza diimpresa partecipata che gestisca un servizio pubblicoessenziale in virtù di affidamento contrattuale da partedella pubblica amministrazione partecipante.La decisione di procedere all’esercizio provvisorio deter-mina, come previsto dall’articolo 104, comma 7, l.f., la

prosecuzione dei contratti pendenti, salvo che il curatorenon intenda sospenderne l’esecuzione o scioglierli.Fra i contratti pendenti, la cui prosecuzione è determi-nata dalla decisione di procedere all’esercizio provvi-sorio, vi è, in primo luogo, il contratto di affidamentodella gestione del servizio pubblico.Tuttavia, il subentro nel contratto da parte della proce-dura fallimentare porta la gestione del servizio pubbli-co al di fuori della sfera dell’ente pubblico titolare,atteso che quest’ultimo non ha, nei confronti dellacuratela, i medesimi poteri di indirizzo e controllo che,invece, può esercitare nei confronti dell’organo ammi-nistrativo della società in forza della partecipazionemaggioritaria o totalitaria al capitale sociale.La gestione del servizio pubblico attraverso l’affida-mento contrattuale ad una società partecipata è unascelta organizzativa dell’ente titolare che, a seguitodella dichiarazione del fallimento e della decisione diprocedere ad esercizio provvisorio, non perde la titola-rità del servizio, ma la gestione dello stesso che passa,in virtù delle previsioni della legge fallimentare, incapo a soggetto diverso.in dottrina è stato evidenziato che l’attribuzione all’au-torità giudiziaria del potere di decidere in ordineall’eventuale prosecuzione dell’attività d’impresa daparte della società (art. 104 l.f.), nonché in ordine alpossibile affidamento a terzi, attraverso lo strumentodell’affitto di azienda, della stessa gestione del serviziopubblico essen ziale (art. 104 bis l.f.), potrebbe determi-nare una inammissibile sostituzione dell’auto rità giudi-ziaria ordinaria all’autorità amministrativa nell’eserci-zio di poteri e facoltà di carattere tipicamente pubblici-stico, quali la decisione in ordine alla continuità omeno nella gestione di un pubblico servizio essenziale,in ordine al controllo sul soggetto che è investito dellafunzione e, addirittura, in ordine alla sua sostituzionecon un terzo soggetto14.Anche la giurisprudenza ha avvertito tale problematicae sembra limitare la possibilità di esercizio provvisorio,in tal caso, solamente alla presenza di pericolo derivan-te dal rischio di interruzione del servizio e per il temponecessario all’ente locale ad affidarlo ad un nuovogestore15.Anche in presenza di una decisione di procedere adesercizio provvisorio da parte del tribunale, quindi,l’ente pubblico titolare del servizio non perde la facol-

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tà di decidere, nell’ambito dei suoi poteri discrezionaliamministrativi, a monte dell’affidamento contrattuale,una riorganizzazione dello stesso con l’individuazionedi una nuova forma di gestione.A conferma di quanto appena affermato milita l’artico-lo 113, comma 2, del D.Lgs. n. 267/2000, concernenteil testo unico delle leggi sull’ordinamento degli entilocali, che stabilisce il principio generale che questiultimi non possano cedere la proprietà degli impianti,delle reti e delle altre dotazioni destinati all’eserciziodei servizi pubblici che, quindi, rimangono esclusi dal-l’attivo del fallimento perché destinati alla continuazio-ne dell’esercizio del servizio pubblico cui l’ente prov-vede in altro modo. Appare rilevante, sul fronte della continuazione del-l’esercizio del servizio pubblico da parte dell’ente tito-lare, la disposizione dell’articolo 14, comma 6, delD.Lgs. n. 175 del 2016 che prevede che «nei cinqueanni successivi alla dichiarazione di fallimento di unasocietà a controllo pubblico titolare di affidamentidiretti, le pubbliche amministrazioni controllanti nonpossono costituire nuove società, né acquisire o mante-nere partecipazioni in società, qualora le stesse gesti-scano i medesimi servizi di quella dichiarata fallita».Nella sostanza, in caso di fallimento di società in house(l’unica che può essere titolare di affidamenti diretti),l’ente pubblico proprietario del servizio non potrà suc-cessivamente procedere alla gestione dello stesso, per ilperiodo di cinque anni, mediante affidamento a societàpartecipata. La sentenza di fallimento in commento, ed il successi-vo provvedimento di proroga dell’esercizio provviso-rio, si attengono ai principi in precedenza richiamatiriguardanti i presupposti generali dell’esercizio provvi-sorio e quelli particolari collegati al fallimento di unasocietà interamente in mano pubblica, gestore di unservizio necessariamente pubblico.infatti, il criterio dell’indifferenza per il ceto creditorioè stato garantito mediante gli apporti finanziari deglienti pubblici soci della fallita alla gestione dell’aero-porto per il periodo di esercizio provvisorio; al contem-

po, l’esercizio provvisorio è stato espressamente limi-tato all’arco temporale necessario al nuovo affidamen-to della gestione del servizio pubblico da partedell’E.N.A.C. (Ente Nazionale Aviazione Civile) che,infatti, ha già in corso le relative procedure.Per concludere, l’esercizio provvisorio non sembra pre-cluso per il fatto che a fallire sia una società a parteci-pazione pubblica che gestisce un servizio pubblico,purché detto esercizio sia limitato al tempo strettamen-te necessario a permettere all’ente pubblico di procede-re all’individuazione delle nuove modalità di gestionedel servizio e sempre che lo stesso non si risolva in unpregiudizio per il ceto creditorio.Vi è, poi, il problema della sorte dei contratti stipulatidalla società fallita per la gestione del servizio pubbli-co, la cui esecuzione prosegue durante l’esercizio prov-visorio.il nuovo gestore individuato dall’ente pubblico, infatti,intratterrà direttamente con quest’ultimo i necessari rap-porti contrattuali per l’affidamento del servizio, sicchénon sembra di norma configurabile una cessione d’azien-da dal precedente gestore (in fallimento) al nuovo.il curatore, quindi, al termine dell’esercizio provviso-rio, applicando le disposizioni degli articoli 72 eseguenti della legge fallimentare, dovrà provvedereallo scioglimento dei rapporti contrattuali stipulati perla gestione dell’esercizio pubblico, ormai inutili peressere stato quest’ultimo affidato ad altro soggetto.La mancanza, di norma, di una cessione d’azienda travecchio e nuovo gestore pone gravi problematiche perquanto riguarda gli aspetti lavoristici.in difetto di cessione d’azienda, infatti, non trova appli-cazione l’articolo 2112 c.c., né, al contempo, può tro-vare applicazione l’articolo 47 della legge 29.12.1990,n. 428, che disciplina specificamente il trasferimentod’azienda in caso di procedure concorsuali, sicché, sel’assunzione dei dipendenti della società fallita noncostituisca un obbligo espressamente previsto dalbando di gara per il nuovo affidamento del servizio, ilcuratore dovrà procedere, al termine dell’esercizioprovvisorio, allo scioglimento dei rapporti di lavoro.

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Tribunale di Reggio CalabriaDecreto 21 gennaio 2017

Pres. Campagna; Rel. AsciuttoFall. SOGAS

Con sentenza n.16/2016 di questoTribunale del 24.10.2016 è statodichiarato il fallimento della “SOCIETÀDI GESTIONE PER L’AEROPORTODELLO STRETTO” S.P.A. IN LIQUI-DAZIONE, e, contestualmente, dispo-sto l’esercizio provvisorio dell’impresaper un periodo di tre mesi decorrentidalla predetta data di deposito dellasentenza fino al 24.1.2017, applican-do per il computo i criteri di cui all’art.155 c.p.c..Si pone, pertanto, la questione se pro-rogare, per un ulteriore lasso tempora-le, l’esercizio provvisorio, per comedisposto in sentenza, giunto in sca-denza, e, conseguentemente, se dal-l’eventuale interruzione dell’attività diimpresa possa derivare un dannograve, purchè detta proroga non arre-chi pregiudizio ai creditori.Sul punto, è opportuno richiamarequanto già affermato, da questoGiudice, con la citata sentenza, ovve-ro “… che il presupposto del dannograve, derivante dall’interruzione del-l’attività di impresa, può essere indivi-duato nell’esigenza di assicurare lacontinuazione del servizio in conces-sione, anche a tutela di tutti i creditori,intesi, come sopra detto, non solonella più ampia accezione di ceto, maanche come collettività in genere”.Questo presupposto “viene valutatotenendo conto dei risultati complessividell’intera procedura, dovendosiaffiancare, ai risultati dell’esercizioprovvisorio, il plusvalore derivantedalla alienazione di un complesso fun-zionante in luogo di una cessione ato-mistica dei beni ”.

Va ribadito il principio della c.d. neutra-lità finanziaria dell’esercizio provviso-rio, secondo cui, se, da un lato, l’eser-cizio provvisorio non deve necessaria-mente produrre un risultato vantaggio-so per i creditori; dall’altro lato, lanorma richiede che per gli stessi siaalmeno indifferente, ovvero non devearrecare loro un pregiudizio.Principio da affermarsi, a fortiori, inipotesi, come la presente, di fallimen-to di Società in house, totalmente par-tecipata da enti pubblici ovvero inmano pubblica, che gestisce un servi-zio pubblico essenziale; in tale ipotesi,nel valutare la ricorrenza di un dannograve, in presenza del quale autoriz-zare l’esercizio provvisorio, ilTribunale può tenere conto non solodell’interesse del ceto creditorio, maanche della generalità dei terzi, fra iquali ben possono essere annoverati icittadini che usufruiscono del servizioerogato dall’impresa fallita (Cass. Civ.2013/22209).Nella fattispecie, si è considerato,altresì, il pericolo derivante dal rischiodi interruzione del servizio, e il vantag-gio dell’esercizio provvisorio per iltempo necessario per l’affidamento adun nuovo concessionario, giusta pen-denza della procedura di aggiudica-zione per la nuova concessione aero-portuale di cui al bando Enac in atti. Conseguentemente, la durata del-l’esercizio provvisorio va collegataall’individuazione del nuovo conces-sionario da parte di Enac, al fine diconsentire un avvicendamento, senzasoluzione di continuità, fra l’impresafallita ed il nuovo gestore titolare della(nuova) concessione aeroportuale. Inmerito, con la relazione n. 2 del 9Novembre 2016, i curatori, all’esitodell’incontro con l’Enac, hanno comu-nicato che detto Ente ha stimato in

mesi sei il tempo necessario per poteraddivenire alla materiale individuazio-ne e conseguente insediamento delnuovo concessionario.Va rammentato che l’esercizio provvi-sorio è stato autorizzato “in considera-zione anche della disponibilità liquidaimmediata pari a € 696.000,00 checonsente (…) l’esercizio provvisorioper un periodo di tre mesi senza alcunrilevante incremento del deficit patri-moniale della società fallita”. Sommache la Provincia di Reggio Calabria haeffettivamente versato in data9.11.2016, giusto impegno assunto insede prefallimentare, al fine di con-sentire a questo Tribunale la prosecu-zione dell’attività di impresa.Premesso quanto sopra, occorre,adesso valutare se sussistono i pre-supposti per la proroga dell’esercizioprovvisorio, in mancanza dei quali vadisposta l’immediata interruzione dellostesso. A tal fine, si evidenzia che nel corsodei primi tre mesi di gestione dell’eser-cizio provvisorio, la Curatela ha avvia-to sia la procedura di licenziamentocollettivo del personale in esubero, siauna ri-contrattazione consensualedelle retribuzioni superiori al quantumprevisto in CCNL, attività che, unavolta ultimata, comporterà una diminu-zione del costo del personale. Altresì, i fornitori di beni e servizi,fermo il mancato subentro dei curatorinei contratti in essere, sono stati invi-tati a ricontrattare il costo delle presta-zioni; sono pervenute diverse propo-ste che prevedono una riduzione delcosto, tra cui quelle da parte diSicurcenter Spa (vigilanza e sicurezzaimbarchi), A-Ice (servici telematici),Sogas Service Srl (servizi materiali inoutsourcing).Preso atto che le risorse finanziarie

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utilizzabili per l’esercizio provvisorioerano divenuti insufficienti, laCuratela, con nota del 11.1.2017, hachiesto agli enti soci di effettuareun’ulteriore contribuzione, essendosierosa quella effettuata dalla Provinciadi Reggio Calabria, al fine di consenti-re agli organi fallimentari la prosecu-zione dell’attività di impresa.Con nota del 18.1.2017, il Comune diReggio Calabria si è obbligato (“que-sta amministrazione (…) assume l’im-pegno, e dunque si obbliga ”) al versa-mento di un contributo di € 100.000,00da erogarsi entro il 28 febbraio 2017.La Regione Calabria, giusto Decretodel Dirigente Generale del 18.1.2017n. 54 Registro Decreti n. 233 e relati-vo Mandato di pagamento n. 343, haprovveduto a versare la somma di €903.691,64 a titolo di ripianamentoperdite esercizio anno 2015.Una tale imputazione impedisce allaCuratela di utilizzare detta somma perl’esercizio provvisorio dell’impresa;onde non si può, rectius potrebbe, rite-nere che la Regione abbia corrispostodetta somma quale contributo perl’esercizio provvisorio. In proposito, va rilevato, però, che, nelcitato decreto di liquidazione, dettoEnte, nel richiamare la detta notadell’11 gennaio 2016 dei curatori dirichiesta di contribuzione alla prorogadell’esercizio provvisorio, rileva comedetta liquidazione sia finalizzataanche ad evitare la prospettata inter-ruzione delle attività dell’aeroporto diReggio Calabria e dei corrispondentiservizi pubblici ivi esercitati (cui) sonocorrelate criticità di ordine pubblico esociale, avuto riguardo anche al dirittoalla mobilità dei cittadini della RegioneCalabria, già notevolmente inciso dal-l’interruzione delle attività dell’aero-porto di Crotone.

Detta rilevazione genera una dubbia enon chiara interpretazione circa lanatura da riconoscere a detto versa-mento; onde si richiede una chiara eunivoca precisazione in merito daparte dello stesso Ente al fine di chia-rire se parte delle somme, o l’intero,possa imputarsi (come più opportunoe necessario allo stato) al finanzia-mento sollecitato dai curatori per ilraggiungimento dell’obiettivo della cd.neutralità finanziaria dell’esercizioprovvisorio.Fatta salva detta precisazione, in viaprudenziale, allo stato questo Giudiceritiene di poter e dover imputare alfinanziamento dei Soci per il prosie-guo dell’esercizio provvisorio, solo ilcontributo di € 696.000,00 erogatodalla Provincia di Reggio Calabria edil contributo di € 100.000,00 che ilComune di Reggio Calabria si è obbli-gato ad effettuare entro il 28 Febbraio2017, per un totale di finanza esternaovvero di contributi non rimborsabiliper € 796.000,00; esclusa la sommaversata (allo stato) dalla Regione atitolo di ripianamento perdite.Occorre, adesso, analizzare l’anda-mento dell’attività d’impresa durantel’esercizio provvisorio.L’esercizio provvisorio, nel trimestre24 Ottobre 2016/24 Gennaio 2017, hagenerato i seguenti ricavi:> € 560.462,15, al netto dell’addizio-

nale comunale, quali ricavi maturatisul volato; allo stato sono statiincassati € 180.700,14, onde resta-no da incassare € 379.762,01;

> € 132.539,98, al netto dell’impostaiva, quali ricavi maturati sulle altreattività (locazioni, subconcessioni,tesseramento, parcheggio); allostato sono stati incassati €52.093,01, onde restano da incas-sare € 80.446,97.

Ne deriva un totale (fra maturato eparzialmente riscosso) di €693.002,14; importo che sommato alcontributo erogato da Provincia diReggio Calabria, genera un ricavocomplessivo € 1.389.002,14, di cui €928.793,15 incassate ed € 460.208,99da incassare.I costi, relativi al medesimo trimestre,sono stimati come segue:> € 583.190,40, quale costo del per-

sonale dipendente secondo quantoprevisto dal CCNL, con esclusionedi ogni superminimo ed al lordodella contribuzione e tassazione;

> € 506.889,77, al netto dell’impostaIva, quale costo per Fornitori (voceaggregata).

Ne consegue un costo complessivo di€ 1.090.080,17, con un avanzo digestione (differenza ricavi/costi) di €298.922,00 che, però, verrebbe erosocompletamente, ove il personaledipendente non rinunciasse a richie-dere alla Curatela tutte quelle vociaccessorie (indennità e superminimi)ultronee a quanto previsto dal CCNL.In relazione alla previsione di gestioneper il periodo successivo, si ipotizza,quanto ai costi, una diminuzione deglistessi, ove si definisca sia la ri-con-trattazione consensuale, con i singolilavoratori, delle retribuzioni al nettodelle predette voci accessorie, sia lariduzione concordata del costo delleforniture; quanto ai ricavi, si stimano in€ 643.469,73 (al netto dell’addizionalesui ricavi da volo ed al netto d’iva suiricavi commerciali), derivanti dal ver-samento del contributo di €100.000,00 da parte del Comune,nonché dai ricavi del volato, sempre-ché il vettore principale (Alitalia Spa)mantenga attiva la rotta sullo scalo diReggio Calabria.In ultimo, questo Giudice non ignora

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che in data 19.1.2017 è stata deposi-tata la sentenza del T.A.R. Calabrian.75/2017 con cui, in accoglimentodel ricorso promosso dalla S.A.G.A.S.Spa, ha annullato, tra l’altro, il bandodi gara adottato da Enac Spa aventead oggetto l’affidamento in concessio-ne della gestione totale degli aeropor-ti di Reggio Calabria e Crotone. Con comunicato stampa di pari data(pubblicato sul sito ufficiale di Enac),l’ente ha comunicato di aver conferitoincarico all’Avvocatura dello Stato alfine “di impugnare la sentenza e, con-testualmente, richiedere la sospensio-ne degli effetti della sentenza stessa”.Questa sopravvenuta circostanza fat-tuale incide sull’iter di affidamento inconcessione dell’aeroporto di ReggioCalabria, e sui tempi preventivati dallostesso Enac e, conseguentemente,sull’esercizio provvisorio e sulla proro-ga di questo.L’accoglimento dell’eventuale inibito-ria degli effetti della sentenza Tarpotrebbe portare ad un’assegnazionecon riserva della nuova concessione;il rigetto dell’inibitoria e/o dell’ricorsocomporterebbe la necessità di unnuovo bando da parte di Enac.

Entrambi gli esiti incidono sulla tempi-stica dell’affidamento al nuovo con-cessionario, in una percentuale tem-porale non preventivabile.Alla luce di tutto quanto sopra, questoGiudice ritiene che vi siano i presup-posti per la proroga dell’esercizioprovvisorio, ma per un periodo inferio-re a quello originariamente concesso,prevedendo un pareggio di bilancio o,al più un modesto sbilancio negativo“tollerabile” nel contesto della delicataattività d’impresa che eroga un servi-zio pubblico essenziale, e giustificatodal vantaggio ottenuto, in favore deicreditori e della collettività, dal mante-nimento dello scalo aeroportuale.In tale lasso temporale, si stima diottenere, dagli enti soci, ulteriori con-tribuzioni, e chiarire la natura del cita-to versamento effettuato dallaRegione Calabria il 18 c.m.; nonchè digenerare ulteriori ricavi dall’attivitàd’impresa, e di ridurre i costi dell’attivi-tà di impresa.Si ribadisce che, in assenza di ulterio-ri contributi degli Enti soci, e nell’im-possibilità di utilizzare, per la prosecu-zione dell’esercizio provvisorio, l’attivofallimentare da destinare, esclusiva-

mente, al soddisfacimento dei credito-ri della massa, l’attività di impresaverrà interrotta e l’esercizio provviso-rio cesserà con conseguente chiusuradell’aeroporto.

P.Q.M.Autorizza la continuazione tempora-nea dell’esercizio dell’impresa fallitaSO.G.A.S. spa in liquidazione, fino al15.3.2017;Onera i Curatori a:- relazionare, al Giudice Delegato,ogni 15 giorni, sull’andamento dellagestione e sull’opportunità di conti-nuare l’esercizio provvisorio;- procedere, senza dilazione, al licen-ziamento dei lavoratori in esubero, ealla modifica consensuale della retri-buzione dei lavoratori in servizio, oveeccedente il quantum di cui al CCNL,secondo modalità e tempi stabiliti dalGiudice Delegato;- ricontrattare, senza dilazione, il costodi servizi e prestazioni con i fornitori dibeni e servizi, secondo modalità etempi stabiliti dal Giudice Delegato.Onera la Cancellaria di comunicare,con urgenza, il presente decreto alPrefetto di Reggio Calabria, dr.Michele di Bari, e alla Curatela.

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Tribunale di Reggio Calabria 24 ottobre 2016

Pres. Campagna; Rel. Asciutto,Procura della Repubblica presso il

Tribunale di Reggio CalabriaC/“SOCIETÀ DI GESTIONE PER

L’AEROPORTO DELLO STRETTO”S.P.A. IN LIQUIDAZIONE

FATTO

Con ricorso depositato l’8.4.2016, ilricorrente, Procura della Repubblicapresso il Tribunale di ReggioCalabria, chiedeva che venissedichiarato il fallimento della“SOCIETÀ DI GESTIONE PER L’AE-ROPORTO DELLO STRETTO”S.P.A. IN LIQUIDAZIONE, di seguitodenominata in forma abbreviataSO.G.A.S. spa; rappresentava che,nell’ambito del proc.penale n.1818/16 R.G.N.R. mod. 21 e richia-mata, in particolare, la nota n.102618/16 del 4 Aprile 2016 delN.P.T. G.di F. di Reggio Calabria,emergeva lo stato di insolvenza delladetta Società.In particolare, evidenziava l’assog-gettabilità a fallimento della stessa,pur se partecipata da Enti pubblici, inquanto qualificabile soggetto di dirittoprivato dedito all’esercizio effettivo diattività di impresa, in linea con l’orien-tamento giurisprudenziale espressodalla Corte di Cassazione con la sen-tenza n. 22209 del 27 Settembre2013. Altresì, illustrava: la situazioneeconomico-finanziaria della Società:le problematiche relative alla ricapita-lizzazione da parte degli enti soci; l’in-gente situazione debitoria a pari a €12.126.213,00 risultante dall’ultimoBilancio approvato relativo all’anno2014; la circostanza della revoca, daparte di ENAC, della concessione perla gestione aeroportuale.

Con memoria di costituzione, deposi-tata alla prima udienza del 17.5.2016,si costituiva la Società resistente,contestando, genericamente, ladomanda della ricorrente e chieden-do un rinvio “al fine di consentire ilcompletamento delle operazioni diapprovazione del bilancio anno 2015e la predisposizione di una situazionepatrimoniale aggiornata (che tengaconto dell’andamento della societànei primi mesi del 2016), anche allaluce delle risposte ottenute in esitoalla avviata operazione di c.d. circola-rizzazione dei crediti e dei debiti dellasocietà”.Alla suddetta udienza, il G.D. conce-deva il chiesto rinvio, fissando nuovaudienza per il giorno 20.9.2016; aquesta udienza, la ricorrente chiede-va un breve rinvio al fine di verificareil completamento della procedura disottoscrizione dell’aumento di capita-le sociale deliberato all’assembleadel 29.7.2016, “… anche in conside-razione del fatto che il 10 ottobre p.v.scadrà il termine per la presentazionedelle domande di partecipazione alBando ENAC per la nuova conces-sione aeroportuale ed entro quelladata occorrerà avere definitivamenteaccertato i requisiti per la continua-zione dell’attività aziendale”.Il G.D., rilevata la rilevanza delle cir-costanze evidenziate dalla fallenda,ovvero sottoscrizione del capitalesociale ed eventuale partecipazioneed aggiudicazione del bando ENAC,e la necessità di acquisire la docu-mentazione relativa allo svolgimentodell’attività aeroportuale, rinviavaall’udienza del 11.10.2016 (ovvero algiorno successivo a quello previstoquale termine ultimo per la presenta-zione delle domande di partecipazio-ne al Bando ENAC), autorizzando le

parti al deposito di memorie e docu-mentazione.All’udienza dell’11.10.2016, la societàfallenda depositava memoria difensi-va integrativa, relativa, esclusivamen-te, alla problematica dell’assoggetta-mento di SO.G.A.S. spa alle procedu-re concorsuali; chiedeva, in viasubordinata, che il Tribunale, nell’ipo-tesi di declaratoria di Fallimento,disponesse l’esercizio provvisorio.Era presente, altresì, il liquidatoredella Società il quale dichiarava: “allostato attuale la società dispone di unaliquidità pari a circa € 600.000,00 inparte pignorata da Equitalia, liquiditàcostituita da fondi comuni di investi-mento di natura obbligazionaria”; rap-presentava di “aver provveduto apagare un acconto degli stipendidello scorso mese di settembre, €1.800,00 di carburante, oltre una fat-tura di SOGAS Service che svolgeservizi fondamentali per il funziona-mento dell’aeroporto”, e di “non avereavuto il tempo di predisporre un bilan-cio di liquidazione”; riservava, altresì,il deposito dell’eventuale dichiarazio-ne dei soci finalizzata all’impegnodella copertura dei costi per la faseeventuale dell’esercizio provvisorio. Il Pubblico Ministero insisteva nellasua domanda, contestando quantodedotto da controparte; il GiudiceDelegato si riservava di riferire alCollegio per la decisione.Si dà atto che in data 11.10.2016,dopo la chiusura dell’udienza, è statadepositata, telematicamente, daparte della Società fallenda, una notaprot. N. 2954 del 11.10.2016, emessadalla Provincia di Reggio Calabria, afirma del Presidente di detto Ente,(che la stessa Società dichiara diaver ricevuto “solo successivamenteall’assunzione in riserva del procedi-

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mento”), con cui detto Ente confermala sua disponibilità “al versamento diEuro 696.000,00 già previste in bilan-cio e che verranno convertite ai fini digarantire un’eventuale esercizio prov-visorio ex art. 104 L.F., che eventual-mente il Tribunale vorrà assentire. Iltutto per garantire l’operatività delloscalo. Nella giornata di domani, ver-ranno definite, con gli uffici preposti,le modalità di erogazione del versa-mento”.

DIRITTOLa presente domanda è fondata emeritevole di accoglimento, in quantosussistono i presupposti, soggettivoex art. 1 l.f. ed oggettivo ex art. 5 l.f.,per la dichiarazione di fallimento aisensi del R.D. n. 267/1942, nel testoattualmente vigente.Preliminarmente, occorre statuiresulla questione dell’assoggettabilitàdella SO.G.A.S. spa in liquidazionealle procedure concorsuali, e, nellospecifico, alla procedura fallimentare.Si premette, in fatto, che laSO.G.A.S. spa in liquidazione fucostituita con atto per notaio G.Gangemi, in data 2.3.1981 (Rep. n.51758 e Racc. 11139), con il seguen-te oggetto sociale, per come previstoall’articolo 3 dello Statuto: “a) in viaprincipale, lo sviluppo, progettazione,realizzazione, adeguamento, gestio-ne, manutenzione ed uso degliimpianti e delle infrastrutture perl’esercizio dell’attività aeroportualedell’aeroporto dello stretto; b) in viasubordinata ed a carattere non preva-lente, le attività ed i servizi connessi ecollegati, tra cui, a titolo esemplificati-vo e non esaustivo, servizi di collega-mento a terra ed in mare per passeg-geri ed equipaggi, pubblicità, bar eristorazione, rivendita di giornali, libri,tabacchi, valori bollati e postali, auto-

nolo con o senza conducente, telefo-ni, internet point, deposito bagagli,servizio di informazione ed assisten-za turistica, agenzie di viaggio e turi-smo, biglietteria, spedizioni, parcheg-gio per autovetture, sorveglianza,rivendita prodotti per provviste abordo degli aerei, rifornimento carbu-ranti aeromobili ed in genere ognialtra attività commerciale o di servizida esercitare nei locali e negli spazidell’aeroporto in via diretta o median-te affidamento ad altri soggetti. il tuttonei limiti consentiti dalle leggi vigenti,previo l’ottenimento di eventuali auto-rizzazioni, licenze, concessioni oquant’altro eventualmente necessarioper lo svolgimento di tutte le citateattività. la società potrà compiere, nelrispetto delle norme vigenti, tutte leoperazioni necessarie, utili o connes-se per il raggiungimento dell’oggettosociale; potrà, tra l’altro, assumerefinanziamenti e mutui; ricevere e pre-stare avalli, fideiussioni ed altregaranzie anche reali, in favore di socio di terzi; costituire trust; assumereinteressenze e partecipazioni inassociazioni, enti, consorzi o altresocietà o imprese aventi oggetto ana-logo ed affine o, comunque, connes-so al proprio”.La Società è stata costituita ad operadella CCIAA di Reggio Calabria e diMessina; nel corso degli anni, ed aseguito dei vari atti di cessione dellequote e di aumento del capitalesociale, alla CCIAA di Messina (ini-zialmente detentrice del 50% delcapitale) è subentrata la ProvinciaRegionale di Messina (attualmentedetentrice del 14,96% del capitale),mentre alla CCIAA di Reggio Calabriasono subentrate la Provincia diReggio Calabria, la Regione Calabriaed il Comune di Reggio Calabria. Ne

deriva che l’attuale assetto societario,ovvero la ripartizione del capitale tra isoci, è il seguente: Provincia diReggio Calabria: 67,38%; Provinciadi Messina: 14,96%; RegioneCalabria: 13,02%; Comune di ReggioCalabria: 4,63%; CCIAA di ReggioCalabria: 0,01%.La suddetta ripartizione è rimastaimmutata anche dopo la deliberaassunta dall’assemblea dei soci il29.07.2016, con la quale è stata deci-sa la copertura delle perdite maturateed emergenti dal bilancio infrannualeal 30.4.2016, mediante utilizzo delcapitale sociale esistente a detta datae delle riserve disponibili a detto fine,con contestuale aumento del capitalesociale fino all’importo di euro7.763.000, da impiegarsi, quanto adeuro 4.663.000 per la copertura delleresidue perdite. In quell’occasioneprocedevano a sottoscrivere, limitata-mente alla loro quota di partecipazio-ne, sia il Comune di Reggio Calabriache la Regione Calabria. L’assemblea fissava quindi il terminedi trenta giorni (decorrenti, per i sociassenti, dall’iscrizione della deliberanel Registro delle Imprese) per l’eser-cizio del diritto di opzione da partedegli altri soci.Nel termine assegnato (scadutol’8.9.2016) i soci assenti (ProvinciaRegionale di Messina e CCIAA diReggio Calabria) hanno comunicatola loro volontà di non esercitare il dirit-to di opzione, mentre la Provincia diReggio Calabria, sebbene avesse inprecedenza manifestato l’intenzionedi sottoscrivere, non ha successiva-mente formalizzato l’adesione all’au-mento di capitale. La RegioneCalabria, pur avendo – per dar ese-cuzione all’opzione esercitata – giàimpegnato nel proprio bilancio l’im-

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porto di euro 904.000 (cfr. delibera-zione G.R. n. 344/2016), non ha prov-veduto al relativo versamento (nean-che limitatamente al 25% del capitalesociale sottoscritto, equivalente adeuro 252.686); invece, la Giunta delComune di Reggio Calabria, puravendo già sottoscritto in data16.9.2016, ha deliberato di demanda-re al Consiglio ogni valutazione inordine alla possibilità di attivare unpercorso di ricostituzione (recte: sot-toscrizione) del capitale sociale diSogas spa. Conseguentemente, l’as-semblea dei soci del 19.9.2016 hapreso atto della mancata sottoscrizio-ne dell’intero aumento di capitale,onde, subito dopo, con determina del20.9.2016, il CdA di Sogas ha espres-samente dichiarato l’intervenutacausa di scioglimento della società,come definita dall’art. 2484, 1°comma, n. 4, c.c. e ha pertanto deli-berato la messa in liquidazione dellasocietà, convocando per il 28-29 set-tembre l’assemblea dei soci per i suc-cessivi incombenti. All’assemblea del29.9.2016, è stata ratificata la messain liquidazione, e nominato il liquida-tore nella persona del dott. BernardoFemia, con conferimento allo stessodei poteri sia per gli atti di ordinariache di straordinaria amministrazione,ed espressa indicazione di continua-re a garantire l’operatività dello scalosino alla definizione del bando ENAC.A quest’ultimo riguardo, i sociRegione Calabria e Provincia diReggio Calabria, si sono assunti l’im-pegno (in proporzione alla quota par-tecipazione stesse sociale da ciascu-no di essi detenuta) di copertura dellespese occorrenti per la gestione del-l’attività volativa. In particolare, laRegione ha dichiarato la disponibilità– previa adozione di provvedimento

legislativo – ad accollarsi tali speseanche per la quota rapportata allapartecipazione dei soci Provincia diMessina e CCIAA di Reggio Calabria. Occorre, adesso, affrontare, in diritto,la controversa questione dell’assog-gettabilità a fallimento delle Società inhouse, totalmente partecipate da entipubblici ovvero in mano pubblica, sof-fermandoci, previamente, sulla natu-ra delle stesse, al fine di individuarelo statuto applicabile, alla luce delquadro normativo esistente e dell’ela-borazione giurisprudenziale.La scelta della forma societaria,come modalità di organizzazionepubblica, comporta la necessità diconciliare la struttura tipica dellesocietà, incentrata sul fine di lucro,con l’interesse pubblico che si inten-de realizzare. È indiscutibile che spetta al legislato-re il compito di risolvere questo ele-mento di criticità mediante l’approva-zione delle leggi che istituiscono lesocietà pubbliche; compito di recenteassolto, come di seguito esplicato.L’esistenza degli enti pubblici a strut-tura societaria ha portato la giurispru-denza ad affermare la neutralità delmodello societario rispetto alle finalitàche si intendono perseguire; tuttavia,è stato affermato che, a parte i casi disocietà c.d. legali (istituite, trasforma-te o comunque disciplinate con appo-sita legge speciale), ci troviamo spes-so di fronte a società di diritto comu-ne, in cui pubblico non è l’ente parte-cipato bensì il soggetto, o alcuni deisoggetti che vi partecipano, e nellaquale, perciò, la disciplina pubblicisti-ca che regola il contegno del sociopubblico, e quella privatistica cheregola il funzionamento della società,convivono. Va, altresì, ricordata la tendenza del-

l’ordinamento comunitario ad essereindifferente al profilo nominalistico,rilevando invece, ai fini della classifi-cazione della natura pubblica o priva-ta degli enti, la sostanza delle funzio-ni esercitate e la tipologia degli inte-ressi perseguiti.Da un lato, si è affermata la tesi c.d.privatistica, secondo cui le società apartecipazione pubblica sarebberosoggette al medesimo regime didisciplina delle società di capitali apartecipazione privata; dall’altro lato,la tesi c.d. pubblicistica, la quale,invece, proprio in considerazionedella rilevanza degli interessi pubblicinell’ambito di tale fattispecie, ammet-terebbe la sostituzione di alcunenorme societarie dettate dal codicecivile con altre di natura pubblicistica.Ad avviso di questo Giudice, a suffra-gare la tesi c.d. privatistica, che portaad assimilare la società a capitalepubblico a quella privata, vi è l’inci-denza dell’ordinamento comunitario,che, non tollera ingiustificati privilegiin capo alla prima a scapito dei princi-pi della libertà di stabilimento e dilibera circolazione dei capitali (artt. 49e 63 TFUE), strumentali alla tutela delprincipio di concorrenza. Sotto taleprofilo, come si vedrà più avanti, eso-nerare dal fallimento e dalle altre pro-cedure concorsuali, le società a capi-tale pubblico insolventi – al di là dieventuali ipotesi espressamente pre-viste dal legislatore – potrebbe deter-minare alterazioni o distorsioni dellaconcorrenza e del mercato, nonchéuna disparità di trattamento tra impre-se pubbliche e private, in violazionedell’art. 106 del Trattato C.E., proprioperché, in tal modo, le une, a differen-za delle altre, potrebbero continuaread operare in perdita sul mercato. Al fine di contrastare la tesi c.d. pub-

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blicistica, sostenuta anche dallaSocietà fallenda, e pur nella consape-volezza dell’esistenza di giurispru-denza in tal senso, si deve rilevareche le società in mano pubblica nonperdono la loro natura privata, inquanto, benchè pubblico sarebbe ilsoggetto che partecipa alla società,quest’ultima resterebbe comunqueprivata, come tale assoggettabile afallimento. Il legislatore, nel dettare poche norme(artt. 2448 e 2451 c.c.) con riferimen-to alle società con partecipazionedello Stato o degli altri enti pubblici,avrebbe espresso la volontà diassoggettare queste ultime, salvoquanto stabilito dalle norme citate,alla medesima disciplina prevista perle società in mano privata, ivi compre-sa quella fallimentare Infatti, un’even-tuale esenzione dalla stessa pregiu-dicherebbe sia l’interesse dei credito-ri, sia l’interesse pubblico, sia (poten-zialmente) l’interesse della stessasocietà. La sottrazione ai creditori delrimedio dell’esecuzione concorsuale,e la possibilità di ottenere la tutela deipropri interessi mediante il ricorsoalla sola esecuzione individuale,lederebbe i principi di affidamento edi eguaglianza dei creditori che entra-no in rapporto con la società in manopubblica, e violerebbe il diritto dellaconcorrenza, comportando unadisparità di trattamento tra impresepubbliche e private, lesiva, non solodel dettato costituzionale (art. 3), maanche del suddetto art. 106 TFUEche impone la parità di trattamentotra quanti operano all’interno di unostesso mercato, con le stesse formee con le stesse modalità.A favore di questa tesi, milita anchecondivisibile e ampia giurisprudenzadi legittimità e di merito.

Già nel lontano 1979, la Cassazionecon la sentenza n. 158 del 10.1.1979,affermava “una società per azioni,concessionaria dello Stato per lacostruzione e l’esercizio di un’auto-strada, non perde la propria qualità disoggetto privato – e, quindi, ove nesussistano i presupposti, di imprendi-tore commerciale, sottoposto al regi-me privatistico ordinario e cosìsuscettibile di essere sottoposto adamministrazione controllata (art. 187legge fallimentare) – per il fatto chead essa partecipino enti pubblicicome soci azionisti, che il rapportogiuridico instaurato con gli utenti del-l’autostrada sia configurato, dal legi-slatore, in termini pubblicistici, comeammissione al godimento di un pub-blico servizio previo il pagamento diuna tassa (pedaggio) e che lo Statogarantisca i creditori dei mutui con-tratti dalla società concessionaria perla realizzazione del servizio”. Decisivo, ad avviso di questo Giudice,è l’orientamento egregiamenteespresso dalla Cassazione con lasentenza del 15.5.2013 n. 22209, dicui si riporta (facendolo proprio) qual-che passaggio motivazionale.Il fenomeno delle società a partecipa-zione pubblica non è certo nuovo nelnostro ordinamento: il codice civiledel 1942 già dettava, agli artt. 2458,2459 e 2460 c.c., le disposizioniapplicabili, in tema di nomina e revo-ca degli amministratori e dei sindaci,alle “società con partecipazione delloStato o di altri enti pubblici (ed a quel-le il cui atto costitutivo prevedesse,pur in mancanza di una partecipazio-ne azionaria, che la nomina di uno opiù amministratori e sindaci spettassealla P.A.) ma, per lungo tempo, non siè dubitato che si trattasse di societàdi diritto comune, interamente sog-

gette alla disciplina civilistica (e per-ciò anche alla legge fallimentare),distinte dagli enti pubblici (economici)aventi ad oggetto esclusivo o princi-pale un’attività di impresa (art. 2201c.c.), ma non fallibili ai sensi dell’art.2221 c.c. ed L. Fall., art. 1, comma 1. I giudici di legittimità prendono attoche il contesto politico-economico diriferimento ha però subito un innega-bile mutamento: il progressivo assot-tigliarsi della linea di confine fra l’agi-re pubblico e l’agire privato; l’abban-dono di una concezione autoritativadella P.A. in favore di una sua conce-zione funzionale, nella quale i suoipoteri sono intesi come strumentalialla tutela dell’interesse pubblico; ilconvincimento che tale interessepossa essere garantito attraverso ilricorso ad istituti di diritto comune,indubbiamente più snelli di quelliusualmente a disposizione dell’appa-rato burocratico; la fiducia nelle capa-cità del “mercato” di stimolare la com-petitività, e quindi di regolamentare almeglio anche attività di contenutoeconomico tipicamente riservate allapubblica amministrazione; dette cir-costanze hanno dato luogo alla sem-pre più diffusa costituzione (al vero eproprio proliferare) di società c.d.pubbliche, a partecipazione integral-mente pubblica o mista, pubblica- pri-vata, o sottoposte ad una particolareinfluenza da parte di enti pubblici,aventi ad oggetto la gestione nonsolo di beni proprietà pubblica, ma diservizi di interesse pubblico, in prece-denza erogati dallo Stato o dagli entiterritoriali attraverso aziende munici-palizzate. Non è invece mutato il quadro norma-tivo generale: il legislatore ha ribaditola scelta favorevole alla riconducibili-tà delle società pubbliche fra quelle di

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diritto comune sia con il D.Lgs. n. 3del 2003, di riforma del diritto societa-rio, che ha sostituito agli artt. 2458/60gli artt. 2449 e 2450 c.c. (quest’ulti-mo, fra l’altro – relativo all’attribuzio-ne allo Stato o ad altri enti pubbliciprivi di partecipazione azionaria dellafacoltà di nomina di amministratori esindaci – abrogato, a seguito dell’av-vio di una procedura d’infrazione daparte della Commissione europea,dal D.L. n. 10 del 2007, art. 3, comma1, convenuto nella L. n. 46 del 2007);sia col D.Lgs. n. 5 del 2006 di riformadel diritto fallimentare, che non hamodificato il R.D. n. 267 del 1942, art.1, comma 1. E, come sottolineato daautorevole dottrina, neppure le innu-merevoli disposizioni normative spe-ciali che, nel corso degli anni, sonostate emanate in tema di società pub-bliche, costituiscono un corpus unita-rio, sufficiente a regolamentarne atti-vità e funzionamento ed a modificar-ne la natura di soggetti di diritto priva-to, così da sottrarle espressamentealla disciplina civilistica. Anzi, comevedremo infra, adesso vi è una dispo-sizione normativa che espressamen-te le sottopone alla detta disciplina.La sempre più stretta commistione frala sfera pubblica e quella privata ha,nel contempo, condotto all’emanazio-ne di numerose leggi speciali applica-bili ad enti, società pubbliche e socie-tà formalmente private, accomunatidall’agire in settori di pubblico interes-se: in questa sede, a mero titoloesemplificativo, si possono citare ilD.Lgs. n. 163 del 2006, art. 3, comma26 (codice dei contratti pubblici relati-vi a lavori, servizi e forniture), chedefinisce organismo pubblico, cui èimposto il rispetto delle norme dettateper gli appalti pubblici, qualsiasi orga-nismo, anche in forma societaria, isti-

tuito per soddisfare specificamenteesigenze di interesse generale, aven-ti carattere non industriale o commer-ciale e dotato di personalità giuridica,la cui attività sia finanziata in modomaggioritario dallo Stato, dagli entipubblici territoriali o da altri organismidi diritto pubblico oppure la cui gestio-ne sia soggetta al controllo di questiultimi oppure il cui organo di ammini-strazione, di direzione o di vigilanzasia costituito da membri dei quali piùdella metà è designata dallo Stato,dagli enti pubblici territoriali o da altriorganismi di diritto pubblico” e la L. n.241 del 1990, art. 22, come modifica-to dalla L. n. 15 del 2005, art. 15, cheprevede il diritto degli interessati diprendere visione ed estrarre copiadei documenti detenuti da una pubbli-ca amministrazione e concernentiattività di pubblico interesse e che,alla lettera e), ricomprende nellanozione di pubblica amministrazione“tutti i soggetti di diritto pubblico ed isoggetti di diritto privato limitatamen-te alla loro attività di pubblico interes-se disciplinata dal diritto nazionale ocomunitario”.La Corte ha altresì sostenuto che “èproprio dall’esistenza di specifichenormative di settore che, negli ambitida esse delimitati, attraggono nellasfera del diritto pubblico anche sog-getti di diritto privato, che può ricavar-si a contrario, che, ad ogni altro effet-to, tali soggetti continuano a soggia-cere alla disciplina privatistica”. A tale contesto normativo, va aggiun-to il recente decreto legislativo 19agosto 2016, n. 175, recante “Testounico in materia di società a parteci-pazione pubblica”, che, ad avviso diquesto Giudice, costituisce il principa-le punto di riferimento interpretativo inmateria; esso codifica, a livello nor-

mativo, il suddetto orientamento giuri-sprudenziale favorevole all’assogget-tamento alle procedure concorsualidelle Società in house, stabilendoespressamente che tutte le parteci-pate sono soggette a fallimento.Ai sensi dell’art. 14, rubricato “Crisid’impresa di societa’ a partecipazionepubblica”, le societa’ a partecipazionepubblica sono soggette alle disposi-zioni sul fallimento e sul concordatopreventivo, nonche’, ove ne ricorranoi presupposti, a quelle in materia diamministrazione straordinaria dellegrandi imprese insolventi. Ai sensidel comma 6 dello stesso articolo, neicinque anni successivi alla dichiara-zione di fallimento di una societa’ acontrollo pubblico titolare di affida-menti diretti, le pubbliche amministra-zioni controllanti non possono costi-tuire nuove società, né acquisire omantenere partecipazioni in socie-tà, qualora le stesse gestiscano imedesimi servizi di quella dichiaratafallita. Ne discende che, dopo le alterneposizioni assunte dalla giurispruden-za nel corso degli ultimi anni, vienefissato per legge il principio secondoil quale le società a partecipazionepubblica sono soggette alle disposi-zioni sul fallimento e a quelle sul con-cordato preventivo; prevedendo,altresì, che nei cinque anni successi-vi alla dichiarazione di fallimento diuna società in controllo pubblico tito-lare di affidamenti diretti, leAmministrazioni pubbliche controllan-ti non potranno costituire nuovesocietà, né acquisire partecipazioni insocietà già costituite o mantenerepartecipazioni in società qualora lestesse gestiscano i medesimi servizidi quella dichiarata fallita.Preso atto del suddetto suggello nor-

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mativo, appare opportuno riprenderel’iter motivazionale che conduce que-sto Giudice a condividere la suddettatesi c.d. privatistica, in aderenza allostesso dato normativo. Va chiarito che il rapporto tra societàed ente pubblico è di assoluta auto-nomia, posto che l’ente può incideresul funzionamento e sull’attività dellasocietà non già attraverso l’eserciziodi poteri autoritativi o discrezionali,ma solo avvalendosi degli strumentiprevisti dal diritto societario, da eser-citare a mezzo dei componenti degliorgani sociali di sua nomina. Quanto sopra vale anche per lesocietà partecipate aventi caratterenecessario per l’ente territoriale,ovvero quelle che svolgono un servi-zio pubblico essenziale, senza cherileva l’obiezione per cui l’esecuzionecontinuativa e regolare verrebbe adessere pregiudicata dalla dichiarazio-ne di fallimento.Ciò che rileva nel nostro ordinamentoai fini dell’applicazione dello statutodell’imprenditore commerciale non èil tipo dell’attività esercitata, ma lanatura del soggetto: se così nonfosse, seguendo fino in fondo la tesi,si dovrebbe giungere alla conclusio-ne, che anche le società a capitaleinteramente privato cui sia affidata inconcessione la gestione di un servi-zio pubblico ritenuto essenzialesarebbero esentate dal fallimento.Neppure è persuasivo l’argomentoche, dalla necessità del servizio pub-blico gestito, vorrebbe far derivare lanecessità del soggetto privato che loeroga, con conseguente sua esenzio-ne dal fallimento. Va intanto ricordatoche il D.L. n. 134 del 2008, convertitodalla L. n. 166 del 2008, detta normespecifiche in materia di ristrutturazio-ne industriale di grandi imprese in

crisi che operano nel settore dei ser-vizi pubblici essenziali, proprio al finedi assicurare che questi non subisca-no interruzioni, ma non esclude chetali imprese siano sottoposte alla pro-cedura di amministrazione straordi-naria. Risulterebbe, pertanto, privo dicoerenza un sistema che, per contro,esonera dalla procedura concorsualeordinaria i gestori di servizi pubbliciessenziali che non raggiungono lesoglie dimensionali necessarie peraccedere a quella di amministrazionestraordinaria.Il fallimento della partecipata, ancor-ché, in ipotesi, costituta all’unicoscopo di gestire un determinato servi-zio pubblico, non preclude dunqueall’ente locale, rimasto proprietariodei beni necessari all’esercizio di quelservizio, di affidarne la gestione ad unnuovo soggetto. Infine, il pericoloderivante dal rischio di interruzionedel servizio, per il tempo necessarioall’ente locale ad affidarlo ad unnuovo gestore, può essere evitatoattraverso il ricorso all’istituto del-l’esercizio provvisorio, previsto dallaL. Fall., art. 104. Viene condivisa, da questo Giudice,la tesi, avanzata in dottrina e seguitaanche dalla giurisprudenza di merito,secondo cui nel valutare la ricorrenzadi un danno grave, in presenza delquale autorizzare l’esercizio provviso-rio, il Tribunale può tenere conto nonsolo dell’interesse del ceto creditorio,ma anche della generalità dei terzi,fra i quali ben possono essere anno-verati i cittadini che usufruiscono delservizio erogato dall’impresa fallita.Nè si comprende, sotto quale profilo,l’autorizzazione alla continuazionetemporanea dell’esercizio dovrebbecomportare una inammissibile sosti-tuzione dell’autorità giudiziaria ordi-

naria all’autorità amministrativa, cheaveva in precedenza scelto il sogget-to cui affidare la gestione e che conti-nuerebbe ad intrattenere con questo,per la durata dell’esercizio, i medesi-mi rapporti che vi intratteneva primadella dichiarazione di fallimento.(Cass. n. 22209/2013 cit.).La scelta del legislatore di consentirel’esercizio di determinate attività asocietà di capitali – e dunque di per-seguire l’interesse pubblico attraver-so lo strumento privatistico – compor-ta anche che queste assumano irischi connessi alla loro insolvenza,pena la violazione dei suddetti princi-pi di uguaglianza, di concorrenza delmercato e di affidamento dei soggettiche con esse entrano in rapporto. Non vale a sconfessare detto orienta-mento, la pronuncia della Cassazione(n. 26283/2013), richiamata anchedalla Società resistente, con cui, inconsiderazione dell’“anomalia delfenomeno dell’in house nel panoramadel diritto societario”, ha attribuito allaCorte dei Conti la giurisdizione neiconfronti degli amministratori o organidi controllo che compiano atti, contra-ri ai loro doveri d’ufficio, pregiudizie-voli per la società “in house”.Infatti, l’affermata competenza giuri-sdizionale della Corte dei Conti nonimpedisce affatto che le predettesocietà possano essere assoggettatea procedura concorsuale, ben poten-do le condotte dei soggetti essereconsiderate plurioffensive e, cioè,lesive del patrimonio pubblico e, nelcontempo, pregiudizievoli per i credi-tori o i terzi, ai sensi degli artt. 2394 e2395 c.c. (Tribunale di Reggio Emiliasentenza del 18.12.2014).Inoltre, la peculiarità della governan-ce della società in house non escludeche questa si atteggi, nei rapporti coi

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terzi, come un qualunque soggettoimprenditoriale privato (e, come tale,a rischio di insolvenza); si rileva, inol-tre, che la finalità pubblicistica perse-guita dagli enti pubblici soci non èautomatica caratteristica della societàin house, la quale ben può agire sulmercato con finalità di lucro, in termi-ni di perseguimento – quantomeno –di un pareggio di bilancio, se non dilucro. (Tribunale di Modena decretodel 10/1/2014: “In difetto di diversaqualificazione legislativa, deve rite-nersi valido il principio generale dellaassoggettabilità alle procedure con-corsuali delle imprese che abbianoassunto la forma societaria iscriven-dosi nell’apposito registro e quindivolontariamente assoggettandosi alladisciplina privatistica”).Meritevole di richiamo è, altresì,l’orientamento espresso dal Tribunaledi Palermo, con la sentenza del24.10.2014, che afferma la tesi favo-revole all’assoggettabilità fallimentodelle società partecipate sulla basedelle seguenti condivisibili argomen-tazioni.Viene affermata la distinzione tra latitolarità del servizio pubblico e la suagestione: alla società è affidata solola gestione di un servizio di cui restatitolare l’ente territoriale e che dunquequesto, ove la società venga assog-gettata una procedura concorsuale,può riassumere, assicurando la conti-nuità della erogazione del servizio.Viene, altresì, ribadita l’esigenza ditutelare l’affidamento dei terzi nell’as-soggettamento della società al regi-me normativo previsto per il nomenjuris con cui essa si presenta, affida-mento qualificato dal regime di pub-blicità legale – il registro delle impre-se – cui anche le società pubblichesono soggette. D’altra parte, come

già evidenziato, il codice non ha igno-rato l’eventualità che una societàpossa essere partecipata dallo Statoo da un ente pubblico; ma le unichederoghe che la partecipazione pubbli-ca introduce rispetto al regime comu-ne sono circoscritte dall’art. 2449cod. civ. ad ambiti definiti e ristretti.Ancora, la sentenza valorizza glispunti provenienti da diverse citatedisposizioni normative: l’art. 4 l. 20marzo 1975 n. 70, che riserva allalegge l’istituzione di un ente pubblico,ridimensionando la possibilità didesumere tale qualificazione in viainterpretativa; l’art. 27, comma 2, lett.b bis d.lgs. 8 luglio 1999 n. 270, checontempla espressamente la possibi-lità di assoggettare alla proceduradell’amministrazione straordinaria lesocietà che operano nel settore deiservizi pubblici essenziali, rendendoarduo il tentativo di predicare l’incom-patibilità tra lo svolgimento di un ser-vizio pubblico e l’assoggettamentoalle procedure concorsuali; l’art. 4,comma 13, D.L. 6 luglio 2012 n. 95(convertito con modificazioni in l. 7agosto 2012 n. 135) che sembrereb-be dettare una disposizione interpre-tativa tesa a ricondurre le societàpubbliche al regime codicistico, confi-nando le eventuali deviazioni da essoentro il perimetro delineato daespresse deroghe normative.Ad avviso di questo Giudice, comeulteriore indice univoco per la “fallibi-lità” delle società in house, va richia-mata, altresì, la disposizione normati-va che esclude dal fallimento esclusi-vamente gli enti pubblici (art. 1 l. fall.):in base al brocardo ubi lex voluit dixit,ubi noluit tacuit, il mancato inserimen-to all’art. 1 della l. fall. anche dellesocietà a partecipazione pubblicaequivale ad affermare che dette

società possano essere sottopostealle procedure concorsuali. In via fattuale, si rileva che lo statutodella SO.G.A.S. non evidenzia poterispeciali di influenza ed ingerenza(ulteriori rispetto agli strumenti previ-sti dal diritto societario) dell’azionistapubblico; non sono previsti poteri deisoci pubblici, tali da snaturare l’attivi-tà ed il funzionamento della società edei suoi organi o da piegarli allavolontà dell’ente pubblico, attraversoun forte potere di ingerenza dellostesso; assenza di poteri di influenzaed ingerenza che per la giurispruden-za sono sintomatici della natura disocietà assoggettabile a fallimento(Cassazione Sez. 1, Sentenza n.21991 del 06/12/2012). Altresì, l’og-getto sociale della società è moltoampio, e comprende attività d’impre-sa pacificamente esercitabili dasocietà di diritto privato (come barristorazione rivendita di giornali libritabacchi etc..), ovvero le attività com-merciali di cui all’indagine/relazionedell’Avcp di cui in seguito. Ne conse-gue che la società ha una gestioneche si fonda su criteri di rendimento,di efficacia, e di redditività tipici dellagestione imprenditoriale, che, se benattuata, le avrebbe consentito il per-seguimento del fine, se non di lucro,di un pareggio di bilancio.Alla luce di tutto quanto sopra, erichiamato il suddetto decreto attuati-vo della riforma Madia, il cui articolo14 sopra riportato, prevede, a chiarelettere, la fallibilità delle società a par-tecipazione pubblica, va dichiarata lafallibilità della SO.G.A.S. spa in liqui-dazione. Solo per completezza, si rileva chenessuna rilevanza probatoria puòessere riconosciuta all’allegata erichiamata Relazione/Indagine svolta

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dall’Autorità per la Vigilanza suiContratti Pubblici di Lavori, Servizi eForniture (in breve Avcp), avente adoggetto la gestione aeroportuale, masu cui questo Giudice ritiene di doverspendere qualche riflessione, in con-siderazione del continuo richiamoche ad essa fa la difesa della Societàfallenda, quale “elemento” decisivoper sostenere la propria tesi.A parte la circostanza (dirimente)della sua anteriorità al citato DecretoLegislativo n. 175/2016, si ritiene noncondivisibile la conclusione a cuigiunge (ovvero che “le imprese chegestiscono aeroporti con un ridottonumero di passeggeri devono essereconsiderate come organismi di dirittopubblico, sia perché il loro capitale ètotalmente o quasi totalmente pubbli-co, sia perché non possono operaresenza sussidi pubblici), in quantoancora più non condivisibile è la pre-messa, ovvero il criterio utilizzato perqualificare come pubblica un’impre-sa, individuato nel numero dei pas-seggeri.In primis, si rileva che non può, certa-mente, farsi dipendere la qualificazio-ne giuridica del soggetto impresa, daun dato numerico mutevole, in quan-to ciò comporterebbe che lo stessosoggetto cambia, nel corso della suaesistenza, il suo “status” a secondadel mutare del predetto dato numeri-co. Detto altrimenti, la stessa SocietàSO.G.A.S. dovrebbe qualificarsicome “impresa pubblica non fallibile”,allorquando il numero dei passeggeriche transitano nell’aeroporto ingestione, sia “ridotto” – evidenziandoperaltro come è la stessa Avcp a rico-noscere la difficoltà di “... individuarecon esattezza quale sia il livello mini-mo di passeggeri necessario perpoter qualificare un gestore aeropor-

tuale come impresa pubblica …”;dovrebbe qualificarsi come “impresaprivata commerciale fallibile”, allor-quando detto dato sia maggiore, purnon sapendo di quanto; non potendo-si, rectius non dovendosi escludereche una Società che gestisce un taleservizio punti a realizzare un livello dipasseggeri non ridotto, ed un incre-mento dello stesso nel tempo, inossequio al suo oggetto sociale cheprevede lo sviluppo dell’attività aero-portuale.Altresì, si rileva che nello stessodocumento in esame (paragrafo 6.4),l’Avcp riconosce l’importanza delleattività commerciali “in un’ottica divalorizzazione dello scalo. Metterl’aeroporto nelle condizioni di incre-mentare la sua capacità di accoglien-za e di garantire servizi di qualità peri passeggeri, significa valorizzarloanche in termini di indotto. Inoltre, leattività commerciali costituiscono unaleva per abbattere i diritti aeroportua-li e quindi aumentare la competitivitàdell’aeroporto. Per l’economia dellagestione aeroportuale le attività com-merciali giocano un ruolo chiave, per-ché rendono un bene demaniale ingrado di generare un profitto, che vaa beneficio del gestore. Inoltre, le atti-vità commerciali contribuiscono avalorizzare lo scalo laddove i ricavigenerali, da un lato consentono diottenere finanziamenti necessari pergli investimenti infrastrutturali pro-grammati, e dall’altro operano, inabbattimento, sui diritti aeroportuali,secondo una regolazione tariffariabasata … sulla formula del price-cap.Sembrerebbe pertanto che anche iservizi commerciali siano strumentaliall’infrastruttura aeroportuale, in ter-mini economicità del trasporto aereo,e quindi di fruibilità, nonché di compe-

titività nei confronti degli altri scalicomunitari. Infatti, la presenza e laqualità degli esercizi commercialicostituisce un elemento che influiscenella scelta dello scalo da parte deipasseggeri, soprattutto laddove glistessi fossero costretti a lunghe atte-se a causa di cambi di rotte nel loroviaggio aereo e valutassero taluniaeroporti come intersostituibili”.Quanto sopra, conferma, (pur nonessendocene bisogno), la naturacommerciale dell’attività svolta dallaSO.G.A.S. in quanto i concetti, richia-mati dalla stessa Autorità, quali con-correnza, competitività, profitto, eco-nomicità sono tipici dell’impresa com-merciale, come tale fallibile.Occorre, adesso esaminare la sussi-stenza del presupposto soggettivo dicui all’art. 1 l.f..Premesso che sono assoggettabili afallimento gli imprenditori che svolgo-no un’attività commerciale, esclusi glienti pubblici, il secondo comma del-l’art. 1 cit., prevede che “non sonosoggetti alle disposizioni sul fallimen-to e sul concordato preventivo gliimprenditori di cui al primo comma, iquali dimostrino il possesso congiun-to dei seguenti requisiti:a) aver avuto, nei tre esercizi antece-denti la data di deposito della istanzadi fallimento o dall’inizio dell’attività sedi durata inferiore, un attivo patrimo-niale di ammontare complessivoannuo non superiore ad euro trecen-tomila;b) aver realizzato, in qualunque modorisulti, nei tre esercizi antecedenti ladata di deposito dell’istanza di falli-mento o dall’inizio dell’attività se didurata inferiore, ricavi lordi per unammontare complessivo annuo nonsuperiore ad euro duecentomila;c) avere un ammontare di debiti

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anche non scaduti non superiore adeuro cinquecentomila.Dalla citata norma, si ricava chegrava sul debitore l’onere di fornire laprova dei predetti requisiti di non falli-bilità, intesi come fatti impeditivi delladichiarazione di fallimento, cioè didimostrare di non aver superato (nelperiodo di riferimento) alcuno dei treparametri dimensionali previsti dallanorma in esame. Il superamento deipredetti requisiti quantitativi rendeassoggettabile a Fallimento il debito-re-resistente, evidenziando che solo ilpossesso congiunto dei tre parametridimensionali consente di qualificarel’imprenditore non fallibile; onde ilsuperamento di uno solo di essi nelpredetto periodo di riferimento tem-porale (ovvero anche in un solo annodei tre di riferimento) è elemento suf-ficiente per assoggettare a fallimentol’imprenditore che si trova in stato diinsolvenza.Nel caso in esame, si deve ritenereacquisita la prova della ricorrenza delpredetto requisito soggettivo (peraltronon contestato), in quanto, nel trien-nio di riferimento (anni 2013-2014-2015), risulta, abbondantemente,superato il requisito dell’ammontaredei debiti. È sufficiente rilevare chedall’esame del bilancio anno 2015, siricava un ammontare complessivo didebiti pari a € 18.785.040,00; datocontabile che, pur aggiornato allarelazione al bilancio 2015 e alleosservazioni del Collegio Sindacalealla situazione al 30 Aprile 2016, è digran lunga superiore alla predettasoglia di € 500.000,00; “… l’eserciziochiuso al 31/12/2015, sulla base diquanto deliberato dal CDA del 11luglio 2016, presenta una perdita diesercizio di € 8.355.566,00, sullabase dei rilievi formulati nel tempo dal

Collegio Sindacale e in virtù dellerisultanze e delle valutazioni degliaudit economico-finanziario e legaleattivati dall’Organo Amministrativoche hanno comportato rilevanti svalu-tazioni, accantonamenti e rettifiche edeterminato, di conseguenza, l’entitàdella perdita d’esercizio …”. Allamedesima conclusione, si giunge dal-l’esame dell’ammontare dei debitirisultanti dai Bilanci anni 2013 e2014.Occorre adesso esaminare il c.d. pre-supposto oggettivo dello stato diinsolvenza di cui all’art. 5 L.F.. Circostanza rilevante, nel caso dispecie, è lo stato di liquidazione dellaSocietà debitrice. Quando la societàè in liquidazione, ossia quando l’im-presa non si propone di restare sulmercato, ma ha come unico suoobiettivo quello di provvedere al sod-disfacimento dei creditori sociali, pre-via realizzazione delle attività sociali,ed alla distribuzione dell’eventualeresiduo attivo tra i soci, la valutazionedel giudice, ai fini dell’accertamentodelle condizioni richieste per l’appli-cazione dell’art. 5 legge fallimentare,non può essere rivolta a stimare, inuna prospettiva di continuazione del-l’attività sociale, l’attitudine dell’impre-sa a disporre economicamente dellaliquidità necessaria a far fronte aicosti determinati dallo svolgimentodella gestione aziendale, ma deveessere diretta, invece, ad accertarese gli elementi attivi del patrimoniosociale consentano di assicurarel’eguale ed integrale soddisfacimentodei creditori sociali. Occorre, quindi,accertare l’esistenza in bilancio dielementi attivi che, se liquidati inmodo efficace, consentirebbero diassicurare l’integrale soddisfacimen-to dei creditori sociali. La circostanza

che un’impresa sia in liquidazionenon esclude necessariamente la suavalenza come struttura organizzata equindi come struttura in qualchemodo ricollocabile nel mercato, cosìcome non è da escludere la utilità diun procedimento concorsuale nelcaso di una significativa debitoria.Quindi bisogna vedere di adeguare,ove necessario, i criteri indicati dallalegge alla nuova finalità della struttu-ra aziendale, non più vista in prospet-tiva di continuazione, bensì vista intermini liquidatori. Dunque, l’ammon-tare dell’attivo patrimoniale andràvalutato in base ai valori di bilancio diliquidazione o, in mancanza di bilan-ci, a valori di mercato. I ricavi lordi,potranno essere costituiti dai ricavi diliquidazione, eventualmente sommatiai ricavi lordi di esercizio, se è prose-guita l’attività di impresa. Per i debiti,infine, il tipo di valutazione resta deltutto identico, tanto se l’impresa siatuttora in esercizio quanto se si troviin stato di liquidazione.Nella fattispecie, si prende atto cheallo stato non è stato predispostodalla Società, (come era suo onere),alcun Bilancio di liquidazione, comedichiarato dallo stesso Liquidatoreall’udienza dell’11.10.2016.Ad avviso di questo Giudice, lo statodi insolvenza -peraltro circostanzanon contestata- si desume, egual-mente, da tutta la documentazione inatti, attestante uno stato di crisi irre-versibile in considerazione delle rile-vanti perdite, (che nell’assemblea del29.7.2016 vengono quantificate al30.4.2016 in € 9.177.246,07), e del-l’assenza di qualsivoglia prospettivadi ripianamento delle stesse, anche inconsiderazione della mancata volon-tà dei soci di ricostituire il capitalesociale.

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Il quantum “irrisorio” degli elementiattivi del patrimonio sociale non con-sentono di assicurare l’eguale edintegrale soddisfacimento dei credito-ri sociali. Alla luce di quanto sopra, deve rite-nersi provato lo stato d’insolvenzadella società “SOCIETÀ DI GESTIO-NE PER L’AEROPORTO DELLOSTRETTO” S.P.A. IN LIQUIDAZIO-NE, quale effettiva impotenza econo-mica funzionale e non transitoria perla quale l’imprenditore non è più ingrado di far fronte, regolarmente econ mezzi normali, alle proprie obbli-gazioni, per il venir meno delle condi-zioni di liquidità e di credito, necessa-rie alla propria attività.Sulla base dei dati di fatto e delle con-siderazioni di diritto che precedono, siritiene che ricorrono i presupposti dilegge per fare luogo alla dichiarazio-ne di fallimento e che questa non puòessere ritardata per evitare che siaggravi lo stato di dissesto e che siverifichino situazioni che alterino lapar condicio creditorum. In conside-razione della ritenuta complessitàdella Procedura in oggetto, si ritieneopportuno procedere alla nomina diun Collegio di tre Curatori per unamaggiore celerità ed efficienza digestione della stessa.In ultimo, va esaminata, ed accolta larichiesta, della stessa fallenda, diesercizio provvisorio, in quanto ricor-rono i presupposti richiesti dall’art.104 l.f., ovvero il danno grave deri-vante dall’interruzione dell’attività, el’assenza di pregiudizio per i creditoriderivante dalla prosecuzione dell’atti-vità.In merito, è sufficiente rilevare che ilpresupposto del danno grave, deri-vante dall’interruzione dell’attività diimpresa, può essere individuato nel-

l’esigenza di assicurare la continua-zione del servizio in concessione,anche a tutela di tutti i creditori, inte-si, come sopra detto, non solo nellapiù ampia accezione di ceto, maanche come collettività in genere.Questo presupposto viene valutatotenendo conto dei risultati complessi-vi dell’intera procedura, dovendosiaffiancare, ai risultati dell’esercizioprovvisorio, il plusvalore derivantedalla alienazione di un complessofunzionante in luogo di una cessioneatomistica dei beni.Se da un lato, l’esercizio provvisorionon deve necessariamente produrreun risultato vantaggioso per i credito-ri; dall’altro lato, la norma richiedeche per gli stessi sia almeno indiffe-rente. Nella fattispecie, ricorrono i presup-posti di cui sopra, in considerazioneanche della disponibilità liquidaimmediata pari a € 696.000,00, checonsente, ad avviso di questoGiudice, l’esercizio provvisorio per unperiodo di tre mesi, senza alcun rile-vante incremento del deficit patrimo-niale della società fallita, anche sullascorta di quanto rappresentato con lacitata nota prot. n. 2954 del11.10.2016, emessa dalla Provinciadi Reggio Calabria, a firma delPresidente di detto Ente, con cui sidichiara disponibile “al versamento diEuro 696.000,00 già previste in bilan-cio e che verranno convertite ai fini digarantire un’eventuale esercizio prov-visorio ex art. 104 L.F., che eventual-mente il Tribunale vorrà assentire...”.In merito, si richiama la notadell’ENAC del 28.4.2016, avente adoggetto “Dichiarazione di decadenzaprovvedimento prot. 19099-P del 24febbraio 2016 – Risposta a richiestachiarimenti”, con cui viene precisato

che la SO.G.A.S. “pur essendo statadichiarata decaduta dal 15 Marzo2016 è stata autorizzata alla prosecu-zione della gestione dell’Aeroportodello Stretto fino all’effettivo subentrodel nuovo gestore … Sino alla even-tuale chiusura dell’infrastruttura,ovvero all’effettivo subentro delnuovo gestore, la società continua adessere autorizzata ad introitare dirittiaeroportuali, security charges, addi-zionale comunale sui diritti d’imbarco,tassa PRM, corrispettivi per servizicentralizzati, spettanti in quantonecessari ad assicurare l’appronta-mento di tutti i servizi indispensabili alfunzionamento e alla gestione cor-rente dell’aeroporto, nella stessamisura e con le stesse modalità pre-cedenti all’intervenuta dichiarazionedi decadenza …”. Ne consegue chel’intervenuta dichiarazione di deca-denza prot. n. 19099 P del 24.2.2016,peraltro sub iudice, in quanto impu-gnata dalla società davanti al T.A.R.,non ostacola l’esercizio provvisorio.

P.Q.M.Visti gli artt. 1, 5, 6, 16, 104 L.F,

Dichiara il fallimento della “SOCIETA’ DIGESTIONE PER L’AEROPORTODELLO STRETTO” S.P.A. IN LIQUI-DAZIONE, con sede in ReggioCalabria via Provinciale Ravagnesen.11 cap 89100 presso Aeroportodello Stretto cap 89100 ReggioCalabria, C.F. 00607320801, in per-sona del liquidatore e legale rappre-sentante pro tempore;

NominaGiudice Delegato, la dott.ssaCaterina Asciutto,Curatore: avv. Antonio Caiafa, avv.Domenico Cataldo, dr. PasqualePilla;

Autorizza

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la continuazione temporanea dell’atti-vità di impresa, ex art. 104 l.f., per tremesi decorrenti dalla data odierna dideposito della presente sentenza,onerando il Curatore a rendicontareal Giudice Delegato ogni trenta giornia partire da oggi;

OrdinaAl rappresentante legale della societàfallita di depositare presso la cancelle-ria fallimentare di questo Tribunale,entro tre giorni, dalla data di comunica-zione della presente sentenza, i bilan-ci, le scritture contabili e fiscali obbliga-torie, nonché l’elenco dei creditori, conl’indicazione dei rispettivi crediti;

Ordinaal curatore di procedere consollecitudine, ai sensi dell’art. 87legge fallimentare, all’inventariazionedei beni esistenti nei locali dipertinenza della fallita (sedeprincipale, eventuali sedi secondarieovvero locali e spazi a qualunquetitolo utilizzati), anche se del casoomettendo l’apposizione dei sigilli,salvo che sussistano ragioni concreteche la rendano necessaria, utile e/ocomunque opportuna tenuto contodella natura e dello stato dei beni; intal caso dovrà procedersi a normadegli artt. 752 e ss. c.p.c. e 84 leggefallimentare ed il curatore èautorizzato sin d’ora a richiederel’ausilio della forza pubblica; per ibeni e le cose sulle quali non èpossibile apporre i sigilli, si procederàai sensi dell’art. 758 c.p.c.;nell’immediato, il curatore procederàcomunque, con la massima urgenzae utilizzando i più opportunistrumenti, anche fotografici, ad unaprima ricognizione dei suddetti beni,onde prenderne cognizione edevitarne occultamento o dispersione,eventualmente anche senza la

presenza del cancelliere e dellostimatore, depositando in cancelleriail verbale di ricognizione sommariaentro e non oltre i dieci giornisuccessivi a quello in cui vi avràprovveduto;

Stabilisceche l’adunanza dei creditori avràluogo il giorno 16 Febbraio 2017 alleore 10:00 nella stanza del GiudiceDelegato dott.ssa Caterina Asciutto,presso questo Tribunale UfficioFallimentare, in Reggio Calabria, viaS. Anna, CEDIR, torre 3, piano 3, perla verifica dello stato passivo;

Assegnaai creditori, e ai terzi che vantanodiritti reali o personali su cose in pos-sesso della società fallita, il termineperentorio di trenta giorni prima delladata dell’adunanza sopra fissata, perla presentazione, mediante trasmis-sione all’indirizzo di posta elettronicacertificata del curatore, delle doman-de di insinuazione e dei relativi docu-menti, con spedizione da un indirizzodi posta elettronica certificata; avvi-sando che le domande presentatedopo la scadenza del suddetto termi-ne ed entro diciotto mesi dal depositodel decreto di esecutività dello statopassivo (termine prorogato ex art.101 LF, stante la particolare comples-sità della presente procedura) verran-no trattate come domande tardive anorma dell’art. 101 l.f.;

Avvisai creditori e i terzi che tale modalità dipresentazione delle domande nonammette equipollenti, con laconseguenza che non potrà essereritenuto valido il deposito o l’invio perposta di domanda cartacea né pressola cancelleria, né presso lo studio delcuratore, né l’invio telematico pressola cancelleria, e che nei ricorsi

contenenti le domande essi devonoindicare l’indirizzo di posta elettronicacertificata al quale intendono riceverele comunicazioni del curatorefallimentare, effettuandosi le comu-nicazioni, in assenza di taleindicazione, esclusivamente mediantedeposito in cancelleria;

Segnalaal curatore fallimentare che entro diecigiorni dalla sua nomina, quest’ultimada intendersi coincidente con il giornodi pubblicazione della presentesentenza, deve comunicare alRegistro delle imprese l’indirizzo diposta elettronica certificata al qualedovranno essere trasmesse ledomande da parte dei creditori e deiterzi che vantano diritti reali o personalisu cose in possesso della fallita;

Autorizzala prenotazione a debito delle speseper la registrazione della sentenza, lenotifiche e le annotazioni di rito previ-ste dall’art. 17 l. fall., in osservanzadell’art. 146 nn. 4 e 5 T.U. spese digiustizia (D.P.R. 30 maggio 2002, n.115), non essendovi allo stato attivitàliquide, ponendo a carico del curatorel’onere di segnalare il sopraggiungeredi “disponibilità liquide” per consentireil recupero delle somme prenotate adebito;

Disponeche a cura della cancelleria sianoeseguite le formalità di comunicazio-ne e pubblicazione della presentesentenza di fallimento ai sensi delriformato art. 17 l. fall..La sentenza produce i suoi effettidalla data della pubblicazione aisensi dell’art. 133 c.p.c.; gli effetti neiriguardi dei terzi si producono dalladata di iscrizione della sentenza nelregistro delle imprese ai sensi dell’art.17, secondo comma L. Fall.

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_________________

1 Questo primo filone, che richiede l’accer-tamento in concreto della sussistenza deirequisiti per la riqualificazione della socie-tà in mano pubblica in ente pubblico, sonoascrivibili Trib. S. maria Capua Vetere,9.1.2009, in Fallimento, 2009, pp. 713 ss.;App. Torino, 15.2.2010, in Fallimento,2010, pp. 689 ss.; Trib. La Spezia,20.3.2013, in IlCaso.it

2 Tribunale Napoli 9/1/2014; TribunaleVerona 19/12/2013, in IlCaso.it

3 Tribunale Palermo 8/1/2013 e TribunalePalermo 18/1/2013, entrambe in www.ilfal-limentarista.it

4 Nella giurisprudenza di merito si ram-menta: App. Napoli, 27.5.2013, n. 346, inFallimento, 2013, pp. 1290 ss.; App.Napoli, 24.4.2013, in Dir. fall., 2013, ii, p.563; nella giurisprudenza di legittimità sirammenta: Cass., 7.2.2017, n. 3196; Cass.,27.9.2013, n. 22209; Cass., 6.12.2012, n.

21991, in Fallimento, 2013, p. 1273; Cass.,10.1.1979, n. 58, in Fallimento, 1979, p.593.

5 in tal senso, espressamente, anche Cass.,7.2.2017, n. 3196.

6 Cass., 7.2.2017, n. 3196.

7 Cass., n. 22209/13, cit.; Cass., n. 3196/17,cit..

8 G. D’ATToRRE, La crisi d’impresa nellesocietà a partecipazione pubblica, in Lesocietà pubbliche, a cura di F. FimmANÒ-A. CATRiCALÀ, Napoli, 2017, ii, pp. 673-674, ivi note con ampia rassegna delle pro-nunce giurisprudenziali e degli scritti dot-trinali delle contrapposte tesi.

9 G. D’ATToRRE, La crisi d’impresa nellesocietà a partecipazione pubblica, cit., p.675.

10 G. D’ATToRRE, La crisi d’impresanelle società a partecipazione pubblica,

cit., p. 675.

11 G. D’ATToRRE, La crisi d’impresanelle società a partecipazione pubblica,cit., p. 676.

12 F. DimUNDo, Sub art. 104, in Codicecommentato del fallimento, a cura G. LoCascio, milano, 2013, pp. 1266 ss.; S.AmBRoSiNi, L’amministrazione dei beni,l’esercizio provvisorio e l’affitto d’azienda,in Il fallimento di S. Ambrosini, GinoCavalli ed Alberto Jorio, in Trattato di dirit-to commerciale diretto da G. Cottino,Padova, 2009, p. 525; A. CAiAFA, Laliquidazione dell’attivo, in Le riforme dellalegge fallimentare, a cura di A. Didone,Torino, 2009, p. 1093.

13 Cass., 22209/13, cit..

14 G. D’ATToRRE, La crisi d’impresanelle società a partecipazione pubblica,cit., p. 677.

15 Cass., 22209/13, cit..

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