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Giulio e Delia
La nostra storia
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Avevamo 60 anni quando Silvia Gusella e Veronica Kofler, studentesse dello IUAV di Venezia, ci chiesero un’intervista: si stavano laureando in Architettura con una tesi di Laurea dal titolo «Giulio Ballio Ingegnere» che evidenziasse il rapporto fra il Ricercatore e il Progettista.
Per me e per mia moglie Delia, è stata un’occasione per ripercorrere 40 anni di sogni, di speranze, di lavoro.
Poi ci sono stati 8 anni di una nuova esperienza.
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Perché Giulio e Delia (e non solo Giulio)
• Eravamo fidanzati, non lontani dalla Laurea, io in Ingegneria Aeronautica, Delia in Fisica.
• Delia conosceva il suo futuro professionale: voleva fare l’insegnante di Matematica e Fisica in un Liceo.
• Io non sapevo prefigurare cosa mi sarebbe successo: ero il primo ingegnere in famiglia, non avevo riferimenti a cui chiedere consiglio.
• Stavamo percorrendo Foro Bonaparte per andare a colazione dai miei genitori.
• Delia mi disse: se aspettiamo che tu faccia carriera,
passeranno un bel po’ di anni prima di sposarci.
Sposiamoci subito e facciamo la nostra carriera insieme.
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Un inizio da incoscienti
• Ci sposammo il 4 gennaio 1964, esattamente 15 giorni dopo essermi laureato con una tesi in Strutture Aeronautiche con la guida del Prof. Sandro Dei Poli e di Amalia Ercoli, sua giovane assistente.
• Il nostro capitale iniziale era costituito da due borse di studio che mi erano state assegnate (Roberto Rocca – 400.000 lire in 4° anno, Giambattista Pirelli – 750.000 lire in 5° anno). Delia poteva contare su qualche mese di supplenza in una scuola.
• Due industrie mi offrirono un lavoro interessante, ma il mio sogno era restare al Politecnico.
• Il prof. Dei Poli non aveva possibilità per tenermi. • Fui accolto in prova dal prof. Leo Finzi a Scienza delle Costruzioni, ad
Architettura, retribuito con 50.000 lire al mese su un contratto CNR.
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Il dubbio
• Per tirare a campare davamo lezioni private. Delia di Matematica, io di Meccanica Razionale.
• Nel frattempo Delia aspettava Michela che nacque il 4 novembre 1964, Francesco arrivò il 31 luglio 1966.
• Restare all’Università era un bel sogno, ma ero l’ultimo della fila.
• le prospettive di un posto di assistente erano lontane
• Se dopo qualche anno si fosse scoperto che il sogno non poteva diventare realtà perché non ero portato alla ricerca scientifica o perché l’università non poteva accogliermi?
• Sarei rimasto senza arte né parte.
• E la famiglia come avrebbe tirato avanti?
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Due strade parallele
• Con Delia decidemmo di suddividere i rischi e di investire in noi stessi – basta lezioni private di Meccanica Razionale (anche se non ho mai trovato
un mestiere così redditizio!).
– andare a bottega ad imparare il mestiere dell’INGEGNERE
• Mattina all’Università, pomeriggio nello studio di Ingegneria, sabato e domenica a scrivere pubblicazioni.
• Due lavori pesano non solo a chi li fa, anche a chi sta intorno.
• Dopo sei anni non avevamo più timori per il futuro. Oggi si direbbe che eravamo ambedue «spendibili nel mercato del lavoro».– Delia era alta in graduatoria come docente in liceo.
– io ero stimato nell’ambiente di Scienza delle Costruzioni e avevo una buona esperienza come progettista di costruzioni in cemento armato normale e precompresso.
• Dopo l’esame di Libera Docenza, mandai a Delia un mazzo di fiori.
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Fare ciò che gli altri non sanno fare
• Nel 1972 il prof. Leo Finzi entrò nella mia stanza al Politecnico. – C’è un’opportunità per Lei: un corso di Costruzioni in Acciaio, poche
persone le conoscono e le progettano.
– Ma io no so neppure come è fatto un bullone, mi dia un corso di complementi di Scienza delle Costruzioni o di Strutture prefabbricate e/o precompresse
– Si può studiare e imparare. Ora c’è questa opportunità, è un treno che passa. Non posso dire se e quando ne passerà un altro. Domani mi dia una risposta.
• L’indomani gli dissi che prendevo il treno. Il prof. ne era talmente sicuro che aveva già preparato sulla scrivania un foglietto con orari di aerei. – Settimana prossima andiamo al congresso dell’American Institute of Steel
Construction a Pittsburgh. E’ il modo migliore per entrare in argomento.
– Compresi la sfida: dovevo diventare un ricercatore a livello internazionale.
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Milano o Pavia?
• Nel 1975 arrivò la cattedra di Scienza delle Costruzioni a Pavia e il dilemma: trasferirsi a Pavia?– Delia, cambiamo vita, smettiamo di correre, io faccio il tranquillo professore,
andiamo ad abitare nell’Oltrepò, mettiamo su una piccola Trattoria, la chiamiamo «dal Professore», tu cucini, io servo in tavola e intrattengo gli ospiti. Sarà un successo.
– Furbo tu! Io in cucina a lavorare e tu a chiacchierare! Siamo ancora giovani, io resto a Milano a insegnare, tu fai il pendolare e continua a fare l’ingegnere.
• Mi ero ripromesso di restare a Pavia fino a quando uno dei «pavesini» che avevo ereditati dal mio predecessore avesse vinto il concorso di professore ordinario. Fabio Casciati lo vinse nel 1981
• Nel 1982 smisi di fare il pendolare e ritornai al Politecnico sulla Cattedra di Costruzioni in Acciaio.
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1995 - un ciclo si chiude
• Ormai ero conosciuto da tutti coloro che si occupavano di Costruzioni in Acciaio in Europa, Stati Uniti, Brasile, Cina, Giappone, Australia.
• Ero presente in tante Commissioni internazionali. Avevo progetti di ricerca finanziati dalla Commissione Europea in quota Germania, Lussemburgo e Portogallo.
• La professione di Ingegnere Strutturista mi dava grandi soddisfazioni, in Italia e all’estero.
• Avevo giovani colleghi, professori ordinari che erano stati miei allievi – Bisognava lasciare loro un po’ di spazio per affermarsi.
– Bisognava fare un passo indietro per non opprimerli.
– Mi sentivo non più «padre» di giovani ricercatori, bensì «nonno»
• Forse era venuto il tempo di cambiare vita
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Tout lasse, tout casse et tout remplace.
• Nella famiglia valdese che ha salvato una parte della mia famiglia durante la guerra, nonna Leo c’insegnava: dans la vie tout lasse, tout casse et tout remplace.
• Il Rettore De Maio mi chiese di occuparmi di gestione e programmazione finanziaria dell’Ateneo.
• Bisognava:– rilanciare l’Ateneo e i suoi rapporti col mondo imprenditoriale,
– farlo diventare moderno ed efficiente.
– riorganizzarlo, dargli nuove regole volte a promuovere anziché proibire, togliere abitudini consolidate e vincoli amministrativi.
• Mi inventai un metodo banale per confrontare la produttività dei Dipartimenti– Inizialmente fui giudicato un aguzzino, poi la strada fu accettata
– In due anni si videro i primi risultati,
– Il metodo banale fu denominato «Balliometro» negli Atenei italiani,!
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L’imprevisto
• Estate 2001, noi due soli sulla nostra barchetta a Sestri Levante– Chi sarà il prossimo rettore del Politecnico?– Temo che potrebbe toccare a me.
• Vidi un’ombra di disperazione negli occhi di Delia– a 60 anni, speravo di averti un po’ di più con noi, però sappi che posso
condividere con te anche questo sacrificio.– Una cosa del genere non è mai entrata nei nostri pensieri, tanto meno nei nostri
desideri, purtroppo è un sacrificio che molti mi stanno chiedendo e che mi è difficile rifiutare.
• Non ho mai capito se il Politecnico avesse la «Sindrome di Stoccolma» quando elesse Rettore colui che era ritenuto il suo aguzzino.
• Diventai Rettore senza aver fatto mercanteggiamenti e tanto meno promesse; avevo le mani completamente libere.
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Otto anni da Rettore
• Gli anni di Rettorato sono stati una bella esperienza anche se piena di difficoltà.– Delia ha dovuto affrontare praticamente da sola la gestione di nostra figlia
diversamente abile.
– Io non ho potuto darle una mano e godere i primi anni delle mie nipotine.
• L’esperienza di guidare una Istituzione di 45.000 persone fra docenti, personale e studenti è stata esaltante.
• Ho fatto errori e, credo, anche molte cose buone.
• Molte persone mi hanno voluto bene; per fortuna poche, mi hanno contestato.
• L’Ateneo ha eletto mio successore il mio prorettore vicario, segno che quello che abbiamo fatto è stato apprezzato.
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Dopo otto anni tanti amici ci hanno fatto «la festa»(ci regalarono una bottiglia di buon vino per ogni anno di rettorato..)
e….noi due abbiamo ritrovato….. la nostra libertà
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