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Page 1: 00 Indice [V-X] - Discrimen · 3. Il segno della dimensione sociale del patrimonio penalmente tutelato 11 CAPITOLO II Le premesse della ricerca nelle suggestioni giurisprudenziali:
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Itinerari di Diritto PenaleCollana diretta da

E. Dolcini - G. Fiandaca - E. Musco - T. Padovani - F. Palazzo - F. Sgubbi

66

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Dove va il diritto penale, quali sono i suoi itinerari attuali e le sue prevedibili prospettive di sviluppo? Ipertrofia e diritto penale minimo, affermazione simbolica di valori ed efficienza utilitaristica, garantismo individuale e funzionalizzazione politico-criminale nella lotta alle forme di criminalità sistemica, personalismo ed esigenze collettive, sono soltanto alcune delle grandi alternative che l’attuale diritto penale della transizione si trova, oggi più di ieri, a dover affrontare e bilanciare.

Senza contare il riproporsi delle tematiche fondamentali rela-tive ai presupposti soggettivi della responsabilità penale, di cui appare necessario un ripensamento in una prospettiva integrata tra dogmatica e scienze empirico-sociali.

Gli itinerari della prassi divergono peraltro sempre più da quelli della dogmatica, prospettando un diritto penale “reale” che non è più neppure pallida eco del diritto penale iscritto nei principi e nella legge. Anche su questa frattura occorre interrogarsi, per analizzarne le cause e prospettarne i rimedi.

La collana intende raccogliere studi che, nella consapevo-lezza di questa necessaria ricerca di nuove identità del diritto penale, si propongano percorsi realistici di analisi, aperti anche ad approcci interdisciplinari. In questo unitario intendimento di fondo, la sezione Monografie accoglie quei contributi che guar-dano alla trama degli itinerari del diritto penale con un più largo giro d’orizzonte e dunque – forse – con una maggiore distanza prospettica verso il passato e verso il futuro, mentre la sezione Saggi accoglie lavori che si concentrano, con dimensioni neces-sariamente contenute, su momenti attuali o incroci particolari degli itinerari penalistici, per cogliere le loro più significative spezzature, curvature e angolazioni, nelle quali trova espressione il ricorrente trascorrere del “penale”.

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DANIELA FALCINELLI

L’Atto DISpoSItIvo NEI DELIttI CoNtro IL pAtrImoNIo

SEzIoNI E INtErSEzIoNIDEL SIStEmA pENALE

G. GIAppICHELLI EDItorE – torINo

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© Copyright 2013 - G. GIAppICHELLI EDItorE - torINovIA po, 21 - tEL. 011-81.53.111 - FAX 011-81.25.100

http://www.giappichelli.it

ISBN/EAN 978-88-348-8815-5

I volumi pubblicati nella presente Collana sono stati oggetto di procedura di doppio referaggio cieco (double blind peer review), secondo un procedimento standard concordato dai Direttori della collana con l’Editore, che ne conserva la relativa documentazione.

Stampa (D): Stampatre s.r.l. - Torino

Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941, n. 633.

Le fotocopie effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi, Centro Licenze e Autorizzazioni per le Riproduzioni Editoriali, Corso di Porta Romana 108, 20122 Milano, e-mail [email protected] e sito web www.clearedi.org.

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Alla mia famiglia

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Indice

VI

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VII

Indice

pag. Prime note di riflessione XI

PARTE I I reati contro il patrimonio “in movimento”

CAPITOLO I

Sugli scudi della dottrina: note teoriche sui modelli di incriminazione a tutela del patrimonio individuale

1. Ragioni (e paradossi) del sistema dei reati contro il patrimonio 3 2. La forma del comportamento punito, la leva dei reati di categoria 7 3. Il segno della dimensione sociale del patrimonio penalmente tutelato 11

CAPITOLO II

Le premesse della ricerca nelle suggestioni giurisprudenziali: programma per un cambio di prospettiva

1. La libertà personale di interrelazionarsi mediante lo scambio di va-

lori: ipotesi di lavoro sull’identità del bene giuridico protetto 13 2. Lo stato liquido dell’“altruità” della cosa nella definizione del fatto

illecito contro il patrimonio 19 3. Esperimenti “mentali” attorno all’atto di disposizione del patrimonio

realizzato dalla vittima del reato 23

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VIII

pag.

PARTE II Questioni e prospettive dell’interpretazione: i delitti

contro il patrimonio e le tracce del sistema

CAPITOLO III

La dialettica sul comportamento dispositivo del patrimonio nella “truffa processuale”: il delitto di truffa altrove

1. Fatto e fattispecie della c.d. truffa processuale 29 2. Pars destruens: i considerando classici attorno alla non configurabi-

lità dell’ipotesi criminosa di specie 32 3. Pars costruens: la tipizzazione del comportamento necessario della

vittima nel delitto ex art. 640 c.p. 38

CAPITOLO IV

Oltre il delitto di truffa: epigrammi sull’atto di disposizione patrimoniale

in veste di “frammento” del fatto tipico 1. Epigramma sulla truffa in generale: i “confini” della fattispecie 43 1.1. Sillabando l’atto di disposizione patrimoniale di rilievo pena-

listico 44 1.2. Dalla violenza alla frode, dal furto alla truffa 47 1.3. Segue: davanti ai verba della giurisprudenza 52 1.4. Viceversa, dalla truffa all’estorsione. Analogie ed idiosincrasie

con la figura della rapina 58 1.5. L’“evento” di disposizione patrimoniale realizzato dal soggetto

incapace 64 1.6. La contestualità tra azione e reazione: quanto a dire l’immedia-

tezza (o meno) dell’atto dispositivo del patrimonio 68 1.7. Concludendo sul tipo di comportamento aggressivo all’altrui

patrimonio come paradigma del Tatbestand 74 2. Epigramma sulla natura impropria del reato a plurisoggettività ne-

cessaria 78 2.1. Ritratti speciali di concorso (proprio ed improprio) 86 A) Del delitto di trasferimento fraudolento di valori 87 B) Dei delitti di collusione, concussione, corruzione 89 3. Epigramma sulla truffa processuale in particolare: un delitto in cer-

ca d’autore 96

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IX

pag.

CAPITOLO V

Complessità del reato, unicità dell’offesa e pluralità del “danno”

1. Dai rapporti di coesistenza tra truffa e frode processuale al teorema

della plurioffensività 99 2. Il reato complesso, l’unicità dell’offesa 100 3. Quando la singolarità del soggetto passivo non significa unicità del

danno risarcibile 108

CAPITOLO VI

Appendici di tipicità: sul “riscatto” ex art. 630 c.p.; sui termini di criminalizzazione della truffa processuale

1. Premesse sulla patrimonialità del rapimento estorsivo 115 2. Causa e contesto dell’atto dispositivo del patrimonio nella tipicità

del delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione 119 2.1. L’ingiusto atto dispositivo: il pagamento del prezzo della libe-

razione 121 2.2. La violenza e la minaccia nella gestione del patrimonio: dalla

“ragione” (art. 393 c.p.) all’“irragionevolezza” ex lege 125 3. L’ipotesi della tipicità della truffa processuale nel modello dell’art.

640 c.p. (comma 2, n. 1) e la tesi del “danno allo Stato” 127 Conclusioni generali 131 Bibliografia 133

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Prime note di riflessione

L’ideale classico della certezza del diritto penale pone un obiettivo irri-nunciabile: risolvere le questioni di confine, formulando in via esegetica una definizione della norma incriminatrice che si offra a ragionevole para-metro di riconoscimento del relativo spazio di tipicità e di offensività.

L’urgenza di raggiungere questo obiettivo è tanto teorica quanto applica-tiva: una urgenza che costantemente si rinnova di fronte alla dinamicità della fenomenologia criminale recepita nei testi normativi; che affannosa-mente si confronta con i principi a guida del sistema penale; che emotiva-mente tende ad accostarsi a soluzioni induttive, dettate dalla singolarità del caso; che in effetti non di rado spinge ad “appannare” le regole giuridiche.

Il presente del diritto penale – di più, il suo futuro – dimostra quindi la necessità di tornare a riflettere pure su tematiche considerate classiche e classicamente risolte, messe da parte rispetto al panorama problematico per “una sufficiente concordia di opinioni” sul punto, ogni qual volta l’attua-lità dell’esperienza esegetica testimoni come queste opinioni non siano (più) efficaci ad apporre netto un segno di confine, in altre parole ad accertare l’integrazione di un fatto di reato, ad accertare l’integrazione del fatto di reato.

Lo scenario così introdotto ricalca con precisione gli odierni tratti del segmento dei reati contro il patrimonio: l’interpretazione che ne ha accom-pagnato l’evoluzione li ha del resto resi icona della difficoltà di fornire una definizione ed applicazione delle norme incriminatrici che sia in equilibrio all’interno di un sistema criminale in continua espansione, ove al valore del patrimonio individuale si riconoscono sempre maggiori momenti di emersione all’attenzione penale.

Su questo sfondo spicca un generale ed incontestabile dato della realtà umana osservata dal diritto: la sua ontologica mutevolezza, in quanto sto-ricamente condizionata, determina lo scorrere variabile sia dei valori che essa produce ed in cui essa si esprime, sia dei contesti in cui quei valori di-vengono visibili. A taluni di questi valori, a taluni di questi contesti, la so-cietà “del tempo e del luogo” sceglie di assegnare dignità di tutela penale, in quanto divenuti scenari capaci di esprimere un pregiudizio a “valori cultu-rali” di rilievo comparabile con il bene giuridico della libertà personale.

Ebbene, l’emersione di più beni giuridici, la percezione della pluralità di casi concreti in cui questi beni in un modo o nell’altro si intersecano, il “protagonismo” del bene-patrimonio entro una cultura ed una società che materializza molte delle dinamiche intersoggettive, hanno indotto buona parte dell’orizzonte esegetico ad assegnare natura plurioffensiva all’illecito

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Prime note di riflessione XII

penale patrimoniale, lasciando entrare in crisi la stessa funzione critica del bene protetto, col rischio che nell’applicazione concreta della norma incri-minatrice si trovi “sempre e comunque” un bene offeso dalla condotta rea-lizzata, e quindi si avvisti sempre un fatto di reato.

Così, in questo ambito, vecchie e nuove questioni si impongono all’inter-prete, aperte sui due fronti della tipicità e della offensività criminale. Doman-de non solo di ordine generale, quanto all’essenza dei delitti con cooperazione della vittima, dei “delitti che comunque offendono il patrimonio”, del reato complesso, della plurioffensività; ma anche di ordine particolare, vale a dire la configurabilità della truffa processuale, ovvero della “truffa a più soggetti”, la cesellatura degli ambiti di applicabilità dei delitti di furto, di rapina, di estorsione, di sequestro di persona a scopo di estorsione.

La ricerca di una risposta per ciascuno di questi interrogativi impone di riattraversare l’intero settore dei reati conto il patrimonio, per poi andare oltre, verso una visione di sistema che ricongiunga in equilibrio il fatto e la norma penale, l’unità e la pluralità dei reati, le regole e le eccezioni che di-sciplinano l’illecito penale.

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PARTE I

I reati contro il patrimonio “in movimento”

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I reati contro il patrimonio “in movimento” 2

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Sugli scudi della dottrina 3

CAPITOLO I

Sugli scudi della dottrina: note teoriche sui modelli di incriminazione

a tutela del patrimonio individuale

SOMMARIO: 1. Ragioni (e paradossi) del sistema dei reati contro il patrimonio. – 2. La forma del comportamento punito, la leva dei reati di categoria. – 3. Il segno della dimensione sociale del patrimonio penalmente tutelato.

1. Ragioni (e paradossi) del sistema dei reati contro il patrimonio

La rimeditazione del sistema criminale pensato e strutturato per la protezione dei “diritti soggettivi patrimoniali” è una esperienza che pe-riodicamente si impone alla scienza penalistica. In parte ciò trova ragio-ne nella peculiare mobilità storica del segmento giuridico di specie, te-stimoniata da interventi normativi fortemente debitori dei mutamenti che segnano di volta in volta le prospettive socio-politico-economiche; in parte la ragione sta nell’incessante raffinarsi del pensiero esegetico sul titolo XIII del libro che il codice dedica ai delitti.

Si tratta infatti di ricucire tra il “vecchio” e il “nuovo”: il “vecchio”, di un sistema del 1930 che riflette una realtà ampiamente superata, e di per sé incapace di reagire alle aggressioni patrimoniali portate dagli stadi avanzati dell’economia; il “nuovo”, siglato da introduzioni e modificazio-ni normative stratificatesi via via.

Si attesta così la vitalità di uno spirito ermeneutico tanto generoso nell’arricchimento quanto parco nell’uniformità di vedute, che ha affon-dato ogni sua analisi nell’idea-archetipo dell’aversi a che fare con un set-tore penalistico posto a baluardo di una relazione “cosale”, di dominio cioè dell’uomo sulla cosa

1: premessa da taluni obiettata da talaltri condi-visa. Aderire a questa ortodossa impostazione – che è certo culturale prima ancora che giuridica – significa ammettere la tenuta dei classici

1 Così icasticamente SGUBBI, Uno studio sulla tutela penale del patrimonio. Libertà e-conomica, difesa dei rapporti di proprietà e “reati contro il patrimonio”, Milano, 1980, 5.

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I reati contro il patrimonio “in movimento” 4

suoi puntelli di “individualismo”; contraddirla avvicina invece alla consi-derazione di una dimensione sociale della proprietà elevata a versante pro-tetto, e spinge a rimisurare lo spazio di garanzia penale del patrimonio, tradotto quest’ultimo in «rapporto di produzione», «momento di dipen-denza e diseguaglianza oggettiva fra gli individui»

2. La visuale che si apre in questa alternativa cornice di pensiero è nota;

come note sono le schermaglie di opinioni che si contendono a tutt’oggi il campo sulla questionabile identità tra nozione penalistica e civilistica di patrimonio

3, sull’accezione civilistica sotto la quale (eventualmente) infine collocarla

4, o di contro sulla autonomia del suo contenuto in sede criminale. È su questo versante, peraltro, che del “patrimonio” si propo-ne la variegata modellazione come universalità di diritti 5, o come concet-to suscettibile di includere – a seconda dei casi – singoli rapporti patri-moniali specificamente indicati nella fattispecie legale, oppure il patri-monio nel suo intero

6. La disputa è accesa, al cospetto di effetti significativamente diversi

prodotti sulla sagoma della tutela penale dall’una o dall’altra concezione del patrimonio. Seguire una concezione giuridica, ove il patrimonio è somma dei rapporti giuridici aventi a capo una persona, conduce infatti a considerarne componenti protette i soli diritti soggettivi perfetti, a pre-scindere dal loro reale valore patrimoniale, e finisce quindi per abbrac-ciare nella sede criminale ogni alterazione della signoria pure sconnessa da una diminuzione economica effettiva. In corrispondenza ad una con-cezione economica, invece, la tutela si disegna per tutti e soli i beni aven-ti un obiettivo valore economico, appartenenti di diritto o di fatto ad un soggetto. In questo spazio la difesa penale rimane pertanto condizionata alla riduzione delle attività come all’incremento delle passività, secondo un accertamento “consuntivo” dell’intera vicenda criminosa cui si conse-gna la capacità di rendere irrilevanti le turbative del godimento del bene come della libertà negoziale ad esso riferita, irrilevanti al pari dei fatti aggressivi di cose idonee a soddisfare solo bisogni morali o spirituali.

2 SGUBBI, Uno studio sulla tutela penale del patrimonio, cit., 5. 3 ANGELOTTI, Delitti contro il patrimonio, in Trattato di diritto penale, coordinato da

FLORIAN, Milano, 1936, 35 ss. 4 Un quadro sintetico delle diverse accezioni civilistiche è fornito da BIONDI, I beni,

in Trattato di diritto civile italiano, diretto da VASSALLI, Torino, 1953, 117 ss. 5 MAGGIORE, Diritto penale. Parte speciale, II, t. II, Bologna, 1950, 918; DE MARSICO,

Delitti contro il patrimonio, Napoli, 1951, 10; SANTORO, La tutela penale del patrimonio, in Studi economico-giuridici dell’Università di Cagliari, 1953, 75.

6 V. PEDRAZZI, Inganno ed errore nei delitti contro il patrimonio, Milano, 1955, 1 ss.; ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. Parte speciale, I, Milano, 2008, 279 ss. Distinzione che già ha percorso la dottrina tedesca, v. per tutti MEZGER, Strafrecht, II, Besonderer Teil, Monaco-Berlino, 1958, 113 s.

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Sugli scudi della dottrina 5

Ancora alla ricerca di una chiave definitoria, capace di mitigare gli eccessi e recuperare le lacune di queste due rive concettuali, la media-zione sta in una impostazione giuridico-economica che chiude nel pa-trimonio l’insieme dei rapporti giuridici valutabili economicamente, o in una concezione giuridico-funzionale-personalistica che seleziona il pa-trimonio penale nel complesso dei rapporti giuridici facenti capo ad una persona ed aventi per oggetto cose strumentali al soddisfacimento di bi-sogni umani, materiali o spirituali 7. Sì da ricomprendere attacchi che al-terino tale funzione strumentale ancorché portati a danno di cose aventi giusto un valore affettivo o non commercializzabili (come le parti del corpo umano).

I nodi sullo sfondo di ciascuna di queste teoriche rappresentano in ogni modo il riflesso di eterogenee ottiche sotto cui ricostruire la razio-nalità e l’equilibrio interno dell’intero sistema dei crimini patrimoniali 8.

Si apprezza infatti, a diffuso corollario della comune lettura “indivi-dualistica” della dimensione penale del patrimonio, il superamento del-l’alterità della funzione tra illecito civile ed illecito penale, sì che la di-stanza tra i due modelli viene fatta scorrere sulla quantità, ovvero gravità espressa dal singolo tipo casistico. La pena in questo scorcio esprime in-fine l’anfibologia della prevenzione e della repressione rispetto ad una intervenuta lesione patrimoniale, per cui è l’evento di danno al patrimo-nio individuale a diventare il metro dello schema organizzativo della ca-tegoria e della sua proporzione

9, secondo il punto di vista dell’individuo-vittima. Più chiaramente. Se “a monte” si avvista un continuum in pro-gressione ponderale tra le due sponde della responsabilità, civile e pena-le, “a valle” si è allora tenuti ad identificare l’offesa criminale nella specu-lare riproduzione, astratta ed ideale, del danno, materiale e reale, subito dal privato. L’offesa di specie rimane quindi in prima battuta condizio-nata – sia nell’an che nel quantum

10 – dal tipo “qualitativo” del diritto soggettivo patrimoniale attaccato, avanti a fatti che possono essere e-spressione di violenza alla proprietà e al possesso assieme (così il furto), o piuttosto aggrediscano la sola proprietà (nell’appropriazione indebita e nella truffa).

7 MANTOVANI, Diritto penale. Parte speciale, II, Delitti contro il patrimonio, Padova, 2012, 20 s.

8 Si rinvia alla lucida analisi sviluppata in ordine ai fondamenti ed alla sistematica dei delitti contro i diritti patrimoniali da KINDHÄUSER, Strafrecht. Besonderer Teil II. Straftaten gegen Vermögensrechte – Teilband 1. Eigentumsdelikte, Baden Baden, 1999, 33 ss.

9 SGUBBI, op. cit., 8 ss. 10 Argomentano su questi profili rispettivamente PUGLIA, Dei delitti contro la pro-

prietà, in Enc. del dir. pen. it., curata da PESSINA, X, Milano, 1908, 11, e CARMIGNANI, Elementi di diritto criminale, Milano, 1863, 395.

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I reati contro il patrimonio “in movimento” 6

L’insufficienza di una tanto ristretta prospettiva è già portata alla luce dal pensiero di chi non disconosce il valore pure di un diverso profilo, che dà spazio penale all’insidia portata contro le ordinarie cautele e le regolari difese disposte dal privato a tutela dei propri diritti patrimonia-li

11: così, è la distinta carica aggressiva del comportamento a spiegare prima e graduare poi l’acquisita natura criminale di un illecito che par-rebbe avere altrimenti una naturale sede civilistica.

La descritta chiave di lettura, che introduce il rilievo dell’atteggia-mento del reo, porta bene in superficie le perplessità formatesi attorno all’impostazione “comune”, quella che ai reati contro il patrimonio asse-gna una dimensione strettamente materializzata, concentrata sull’og-getto-effetto, e per ciò lontana dalla stessa regolamentazione positiva, che – quantomeno di regola – già non fa assumere un valore costitutivo al “costo numerico” del danno patito dal patrimonio della vittima, così come al “costo” del vantaggio patrimoniale conseguito dall’agente o da terzi.

Perplessità del genere hanno del resto trovato séguito fin dal manife-sto “carrariano”, propositivo di un divergente modello di architettura della penalistica patrimoniale, fondante il sistema di categoria non sulla predetta oggettività, e quindi sull’evento di lesione, bensì sul momento soggettivo dello scopo, ove stanno in primo piano i motivi – ottenimento di un lucro proprio o per altri, arrecamento di un danno alla vittima

12 – che abbiano condotto l’agente all’attacco dei diritti patrimoniali altrui. Sullo sfondo della punibilità, quindi, si avverte altra ragione politico-cri-minale, quella del rilievo da assegnarsi alla pericolosità soggettiva del-l’autore del fatto, rivelata da un comportamento segnatamente motiva-to

13, in avvicinamento alla dimensione criminologica che distingue tra la finalità di profitto (animus lucrandi) e la finalità di danno (animus no-cendi).

11 PESSINA, Elementi di diritto penale, II, Napoli, 1833, 176 ss.; MASUCCI, Intorno alla incriminabilità delle frodi contrattuali, in Riv. pen., XXVIII, 1888, 518 ss.

12 CARRARA, Programma del corso di diritto criminale. Parte speciale, IV, Prato, 1882, § 2014 s.

13 Si affacciano a questa prospettiva NATALE, Del dolo e della frode penale, civile e commerciale e dei relativi rimedi giuridici, Salerno, 1877; ANGELOTTI, Delitti contro il patrimonio, cit.

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Sugli scudi della dottrina 7

2. La forma del comportamento punito, la leva dei reati di cate-goria

La progressiva centralità conquistata dal fatto umano nella costruzio-ne del diritto penale italiano, dai giorni della codificazione Rocco ai gior-ni odierni, ha allontanato l’esegesi da un percorso di soggettivizzazione dei delitti contro il patrimonio, ed al contempo l’ha persuasa a renderne definitivo lo smarcamento dal peso assegnato all’evento, che s’è visto in-coerente rispetto alla “reale” struttura della categoria nonché dei singoli crimini di cui essa si compone.

L’approdo è infine ad un modello di studio propriamente attento alla forma dell’offesa, ovvero al mezzo, alle modalità della condotta, nonché all’attitudine offensiva della stessa.

L’ampia adesione che ben presto ha accreditato quest’ultima corrente si è corredata di attente elaborazioni, soffermatesi sulla specifica tipolo-gia delle condotte coinvolte: di usurpazione unilaterale, ove l’aggressione procede direttamente ed immediatamente sulla cosa scaturendo dal com-portamento dell’agente; di cooperazione artificiosa, che violano la fase dinamica del rapporto patrimoniale passando attraverso il consenso del-la vittima; di sfruttamento e abuso di pregresse situazioni patrimonial-mente significative; comportamenti di frode in distinguo rispetto a quelli di violenza

14. Nel disegno finale che ne risulta, la struttura e la graduazione puniti-

va dei reati contro il patrimonio si rapporta così alla pericolosità “socia-le” del modo comportamentale e del mezzo del relativo estrinsecarsi

15. In questo senso, la centralizzazione dell’intero sistema dei reati patrimonia-li sull’elemento della condotta si dimostra sintonica con l’attuale realtà normativa, e consente di spiegarne sia la frammentarietà, guidata da un preciso elenco di tipologie di azioni ben determinate, sia la scelta di sa-crificare il ruolo dell’evento patrimoniale, di danno e/o di profitto

16, che rimane infine “diluito” in una pluralità di rigorose previsioni incrimina-trici giustificate dall’esigenza di salvaguardare la libertà di movimento economico

17. Proprio in questi tratti, che misurano uno spessore “super-indivi-

duale” della libertà pregiudicata dal fatto penale, un indirizzo ricostrutti-vo ha colto tracce ed «indizi di un’anomalia del sistema dei “reati contro

14 PEDRAZZI, Inganno ed errore, cit., 40 ss.; MANTOVANI, Contributo allo studio della condotta nei delitti contro il patrimonio, Milano, 1962, 57 ss.

15 SGUBBI, op. cit., 25 ss. 16 SGUBBI, op. cit., 26 s. 17 MEZGER, Strafrecht, Ein Sudienbuch, Bes. Teil, II, Monaco, 1951, 99; SGUBBI, op.

cit., 29.

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I reati contro il patrimonio “in movimento” 8

il patrimonio”, di una sua dissonanza rispetto ad altri settori della parte speciale predisposti alla tutela di altri diritti soggettivi dell’individuo»

18. In questo scenario si è difatti valorizzata la funzione di garanzia e difesa «del dominio proprietario, della proprietà come rapporto sociale»

19, ammettendo l’illecito penale a strumento di tutela non dei diritti sogget-tivi patrimoniali di ciascun individuo, ma piuttosto di un determinato e contingente assetto di rapporti economici e sociali, che è quello di rap-porti giuridici di dominio dell’uomo sull’uomo.

Lo stimolo innescato da questa lettura è chiaro e netto, ed è in fondo quello che appartiene a tutte le interpretazioni mossesi attorno alla cor-nice codicistica dei reati contro il patrimonio: confrontarsi sul tema della libertà economica rimanendo dentro i precisi confini delle vigenti tipicità penali, consapevoli del fatto che esse sono di volta in volta tracciate col compasso della contemporanea storia sociale ed economica. Così, è os-servando il diritto romano ed il diritto intermedio che si delinea un mo-dello del furto rimesso ad un “tipo generale di fatto-reato”, retto dalla vo-lontà di cagionare una lesione patrimoniale, dalla volontà di rompere la relazione fra il soggetto passivo e la cosa con l’eventuale trasferimento di questa al soggetto attivo in un contesto di mancato consenso della vitti-ma. Vale a dire: al tempo si iscrivevano dentro il perimetro del furtum pure comportamenti che oggi vanno ad integrare le misure dell’appropri-azione indebita, della truffa, dell’insolvenza fraudolenta, della bancarotta fraudolenta

20, secondo un paradigma legittimato in forza di uno sfondo politico e sociale sospettoso – se non avverso – alla circolazione dei beni ed alla dinamica del loro trasferimento interindividuale, intesi a mutare un ordine costituito – anche tra classi sociali – che si voleva preservato in quanto emanazione del divino

21. Il modello borghese cancella questo schema, ed accompagna il pen-

siero e la parola del legislatore penale nella selezione del modo in cui possa lecitamente avvenire il passaggio delle cose tra soggetti, divenendo a questo punto decisiva la “forma” della circolazione

22: i codici penali borghesi frantumano le fattispecie dei reati contro il patrimonio selezio-nandone le ristrette aree di espressione, come è in primo luogo per la fat-tispecie del furto e come è nel campo della truffa. Qui, l’area della frode giuridicamente lecita coincide con quella del dolus bonus, complesso di

18 SGUBBI, op. cit., 31. 19 SGUBBI, op. cit., 33. 20 PERTILE, Storia del diritto italiano dalla caduta dell’impero romano alla codifica-

zione, Torino, 1896-1903, V, 637 ss.; MANZINI, Trattato del furto e delle varie sue specie, Torino, 1926, 505.

21 Cfr. TARELLO, Storia della cultura giuridica moderna, I, Bologna, 1976, 34. 22 GOLDMANN, L’Illuminismo e la società moderna, Torino, 1967, 29 ss.

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Sugli scudi della dottrina 9

astuzie, menzogne, accorgimenti intesi come ingredienti coessenziali alle dinamiche degli affari, rilevabili mediante un grado di media diligenza ed in fin dei conti tollerati dalla coscienza sociale

23. Al di là di questa su-perficie, la cui estensione è storicamente soggetta alla variabilità, si apre la frode penale, dove pertanto non si accampa, ad esempio, l’inganno re-lativo a qualità accidentali della cosa oggetto del contratto.

Arrivata al quadro dell’epoca contemporanea, la soluzione esegetica classica ha bisogno di individuare un filtro, in modo da scremare in via di principio le varie condotte lesive di interessi patrimoniali, limitandosi a punire quelle che ledono “diritti soggettivi” patrimoniali 24. Una simile spiegazione non basta tuttavia a chi avverte le peculiari esigenze della libertà economica moderna, tali da richiedere uno schermo ulteriore al confronto con la criminalizzazione, imponendo al sistema penale di sce-gliere ulteriori aree di «non-contenuto», di non-intervento in corrispon-denza di certe condotte che pure si dimostrino lesive di precisi diritti di tal fatta: «Il negare dolosamente il proprio debito … il non adempiere in-tenzionalmente agli obblighi contrattuali assunti, nonché sempre nel-l’ambito contrattuale, la simulazione, l’esagerazione del prezzo o della qualità della cosa negoziata, costituiscono fatti che un diritto penale ade-guato alle istanze del liberismo non può permettersi di punire, nonostan-te la loro riconosciuta “immoralità”»

25. Il cerchio della riflessione è allora tenuto a stringersi attorno al mo-

mento contrattuale, del “contatto sociale”, passaggio cruciale nelle di-namiche economiche della modernità, entro la cui orbita ruota l’intero universo delle norme penali chiamate a presidiare il patrimonio dei sin-goli. Difatti, nella stigmate del furto, dell’appropriazione indebita, del danneggiamento, a rimanere punita è la consapevole e voluta assenza di accordo nella movimentazione e gestione dei beni coinvolti; là dove inve-ce un incontro di volontà è visibile, sebbene solo da un punto di vista formale nel senso di meramente fattuale come è nella rapina, nella truf-fa, nell’estorsione, a rimanere sanzionata è l’alterazione delle condizioni di eguaglianza e di libertà del consenso che uno dei contraenti determina a scapito dell’altro.

Ciononostante, secondo le più diffuse opinioni interpretative il bene protetto, quindi il contenuto della tutela apprestata nei delitti contro il patrimonio, continua a presentarsi nella “sola” e consueta veste di diritto soggettivo individuale di proprietà o di altro diritto soggettivo di stampo patrimoniale, che attraverso il contratto viene messo in movimento. Os-

23 FUNAIOLI, Dolo (diritto civile), in Enc. dir., XIII, Milano, 1964, 746. 24 SGUBBI, op. cit., 79. 25 SGUBBI, op. cit., 81. In argomento cfr. MASUCCI, Intorno alla incriminabilità delle

frodi contrattuali, cit., 311 s.

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I reati contro il patrimonio “in movimento” 10

sia, il sistema dei delitti contro il patrimonio si considera pur sempre messo a tutela di una relazione «atomizzata» uomo-natura, quindi di un rapporto di dominio di un uomo su una cosa, di una relazione «cosale»

26. Così, nella tipologia delle aggressioni unilaterali la condotta dell’agen-

te si riassume nell’operare un trapasso di valori patrimoniali dal patri-monio della vittima al proprio, ricorrendo alla sottrazione della cosa o al signoreggiamento della stessa come propria ove già ne disponga di fatto liberamente. O ricorre nell’arrecare la perdita di elementi patrimoniali senza trasfonderli nel proprio patrimonio, rifacendosi alla riduzione o annullamento della funzione strumentale della cosa. O ancora consiste nella turbativa rivolta al pacifico godimento altrui di un bene immobile; nello spoglio del godimento di esso; nell’abuso di poteri.

A fianco, nei delitti con la cooperazione artificiosa della vittima, è pu-nito chi si serva degli schemi dell’autonomia privata andando al di là del-la mera immutazione della situazione di fatto e dettando una situazione nuova sul piano dei rapporti giuridici aventi oggetto patrimoniale

27. In buona sostanza, il nucleo del concetto di patrimonio-penale, per

come a tutt’oggi elaborato e pensato, è e rimane la cosa, in essa com-prendendosi ogni entità fisico-materiale appartenente alla realtà esterna rispetto all’uomo-persona, dotata di autonoma esistenza e di autonoma definizione spaziale.

Entro questo tracciato – s’è detto – il profilo di “socialità” proprio degli illeciti di specie rimane avvertito sotto un aspetto prettamente funzionale, intendendosi la proprietà nella sua veste di rapporto di produzione, che a sua volta è fattore e causa di dipendenza-disuguaglianza tra individui 28. Le modalità di attacco ad un simile rapporto assumerebbero pertanto il valo-re di indicatore sintomatico della pericolosità soggettiva dell’agente

29: co-stui si può dimostrare “vicino”, ed in un certo senso partecipe al globale assetto politico-sociale che costruisce la proprietà come rapporto sociale ca-pitalistico

30, se il suo comportamento adotta uno stampo contrattuale di relazione con le persone e con le cose, rivelando con ciò una pericolosità d’autore praticamente nulla, ad esempio innestandosi su di un rapporto giuridico pregresso con la vittima

31. Di converso, le illegalità, le lesioni an-

26 SGUBBI, op. cit., 128: «tutela una proprietà che, in quanto apprezzata come dirit-to soggettivo, è indipendente dai tipi di produzione sociale, è un dato fisso ed immu-tabile nel tempo; tutela un diritto di proprietà che ha ad oggetto cose indistinte – in-differentemente, mezzi di produzione o beni di consumo –, un diritto di proprietà che, nella sua veste formale – come qualità (di proprietario) – fa capo ad ogni uomo».

27 MANTOVANI, Diritto penale, cit., 11 ss. 28 SGUBBI, op. cit., 131. 29 SGUBBI, op. cit., 145 ss. 30 SGUBBI, op. cit., 148 s. 31 Cfr. SGUBBI, op. cit., 170.

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Sugli scudi della dottrina 11

tigiuridiche ai diritti soggettivi patrimoniali altrui che tale individuo com-metta mediante una attività non-contrattuale – di questo stampo i compor-tamenti di aggressione fisica e naturalistica sulle cose, di incidenza mate-riale immediata sulle cose stesse – si atteggerebbero a rivelatori, indicatori, di una pericolosità d’autore notevolmente alta

32.

3. Il segno della dimensione sociale del patrimonio penalmente tu-telato

La solidità di questi trascorsi dogmatici, appena ripercorsi nelle loro linee essenziali, lascia dunque ben distinte le rispettive argomentazioni e conclusioni, destinate peraltro a scontrarsi con la costante friabilità ap-plicativa dei precetti di specie da parte della giurisprudenza.

Ciò senz’altro depone a sostegno dell’opportunità di riaprire l’indagine scientifica, e di “mettere alla prova” una nuova ipotesi di lavoro, che se-gua due precise linee direttrici. L’una, in ossequio alla tradizione esegeti-ca, impone la stretta aderenza dell’analisi al “tipo” di fatto commesso in attacco all’interesse patrimoniale, al tipo di comportamento criminaliz-zato, che è fulcro costitutivo-costruttivo del sistema dei reati e che domi-na sul criterio dell’evento “economico” lesivo

33. L’altra, spinge a rimette-re al centro della discussione la dimensione sociale del patrimonio, mu-tata nell’immagine e nel contenuto. Invero, la socialità che attraversa questo segmento penale spicca proprio dalla intrinseca natura “relazio-nale” degli illeciti di specie, testimoniata in primo luogo in sede di tipici-tà attraverso la definizione del comportamento punito, in secondo luogo a livello di offensività. Qui, infatti, si può giungere a prospettare una let-tura “normativa” del patrimonio tutelato nella foggia della libertà perso-nale di instaurare ed eseguire un rapporto intersoggettivo ed a-tensionale avente ad oggetto lo scambio di valori

34. È seguendo questo percorso argomentativo che pare peraltro indivi-

duabile il punto di saldatura tra i tipi comportamentali che, eterogenei, vengono sanzionati nel quadro degli illeciti patrimoniali: tra essi, ad esempio, il modus del danneggiamento, nella sua peculiarità di aggres-sione naturalistica e fisica della cosa di per sé priva di razionalità eco-nomica (di profitto)

35. Il contatto con le altre forme di atteggiamento pu-

32 SGUBBI, op. cit., 150. 33 V. SGUBBI, op. cit., 140. 34 Cfr. OTTO, Die Struktur des strafrechtlichen Vermögensschutzes, Berlin, 1970, 81;

WEIDEMANN, Das Kompensationsproblem beim Betrug, Bonn, 1972, 213; PAWLIK, Das unerlaubte Verhalten beim Betrug, Köln, Berlin, Bonn y München, 1999, 263.

35 SGUBBI, op. cit., 194.

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I reati contro il patrimonio “in movimento” 12

nito si coglie infatti nella negazione – con distinta intensità ed ingeren-za

36 – della libertà personale di scambio, quella che spetta all’individuo intitolato del potere di mettere in circolazione esattamente la “cosa” che è nel fuoco della singolare vicenda umana incriminabile, ed oggetto ma-teriale della stessa

37. Del resto, già gli studi precedenti hanno chiarito come sia il modello

contrattuale dello scambio il perno e il punto di osservazione delle fatti-specie penali che compongono il sottosistema. Ora si intende tuttavia ri-conoscere a questo momento sociale dell’accordo un diverso ruolo, asse-gnargli una diversa posizione, al contempo espressione materiale della libertà personale garantita dal sistema penale e chiave di lettura della stessa configurazione “fenomenica-reale” del fatto punibile. Ciò, nella misura in cui proprio l’atteggiarsi dell’altro capo della relazione umana fotografata, in altre parole il (contro-)comportamento del soggetto passivo, si dimostra momento necessario ed indefettibile nella ricostruzione del comportamento criminalizzato.

36 Distinzione riflessa anche nella selezionata scelta di non punibilità di cui all’art. 649 c.p.

37 Per l’immagine del delitto contro il patrimonio come collocato nella sfera della circolazione delle merci, come modo di circolazione contra legem in quanto senza scambio, v. THON, Norma giuridica e diritto soggettivo. Indagini di teoria generale del diritto, Padova, 1939, 342 ss.

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CAPITOLO II

Le premesse della ricerca nelle suggestioni giurisprudenziali:

programma per un cambio di prospettiva

SOMMARIO: 1. La libertà personale di interrelazionarsi mediante lo scambio di valori: ipotesi di lavoro sull’identità del bene giuridico protetto. – 2. Lo stato liquido del-l’“altruità” della cosa nella definizione del fatto illecito contro il patrimonio. – 3. Esperimenti “mentali” attorno all’atto di disposizione del patrimonio realizzato dal-la vittima del reato.

1. La libertà personale di interrelazionarsi mediante lo scambio di valori: ipotesi di lavoro sull’identità del bene giuridico protetto

L’idea lungo la quale e verso la quale scorre l’intero progetto di studio che si espone trova fondamento nella modernità di un sistema civile elet-to a governo di un consesso sociale complesso, la cui intelaiatura è quella di un equilibrio delle libertà spettanti a ciascun componente.

Ebbene, come per tutti i presidi penali che accedono a normative “complicate”, frutto della mediazione tra diritti contrastanti (qui l’inte-resse nutrito da ciascuna parte di ottimizzare il proprio vantaggio eco-nomico), e che tendono quindi a regolamentare attività potenzialmente lesive di diritti altrui o di beni collettivi, i reati previsti a garanzia del pa-trimonio individuale sono necessariamente costruiti come “illeciti di mo-dalità di lesione”.

Le norme penali in questione si possono difatti proporre sotto una lente di ingrandimento che le indirizza a tutela non tanto di un “bene” primario individuato nella sua essenza corporale – quale potrebbe essere la cosa di cui si è in “proprietà” ovvero “possesso” – quanto dell’assetto e delle complesse modalità di esercizio di determinate facoltà e prerogative – per l’appunto, di libertà di scambio – in sé potenzialmente confliggenti con l’esercizio di diritti e/o interessi diffusi presso altri centri di soggetti-vità giuridica. La lesione, e la conseguente sanzione là dove ritenuta me-ritevole, discende così da condotte espressione di una “attività lato sensu economica”, attuata però con modalità non conformi alle prescrizioni

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I reati contro il patrimonio “in movimento” 14

previste per proteggere chi sul bene di scambio e sulla relativa circola-zione ha un preesistente interesse giuridicamente qualificato.

Il profilo assiologico dei reati contro il patrimonio pretende dunque di essere riconsiderato, e convince su questa strada a staccarsi da una corrispondenza “necessaria” con la dimensione civilistica. Di una simile “indipendenza” chiari sono i segni, già chiamando a memoria il dettato del delitto di insolvenza fraudolenta, in cui sta sancita l’autonomia con-cettuale delle nozioni civilistiche inglobate nell’economia della fattispe-cie: di obbligo contrattuale l’art. 641 c.p. fa difatti menzione sebbene qui manchi la volontà “costitutiva” di uno dei contraenti (col proposito del reo di non adempiere l’obbligazione contratta); e sta scritto di una nozione penalistica di patrimonio in cui si incorporano sia il diritto sulla cosa sia il diritto alla cosa, punendosi chi non adempia le obbligazioni assunte in determinate situazioni

1. Si portano così in primo piano gli strumenti del contatto sociale: il

tutto a dare ragione di un criterio selettivo che pesa la dignità della tutela penale sulle modalità delle possibili lesioni tratteggiate dalle fattispecie de quibus. L’offesa, in altre parole, si dirige ed impatta non sulla “cosa patrimoniale” ma sul fondamentale diritto a scambiare con altro mem-bro della collettività un proprio interesse (che nella “cosa” trova il suo volto materiale), cui assegnare pattiziamente un certo valore.

In questo senso è significativo notare un riflesso delle potenti innova-zioni che hanno ridefinito le attuali dinamiche intersoggettive con con-tenuto patrimoniale: il concetto di “altruità” del bene, quale originaria condizione di base dell’illiceità delle condotte ora in considerazione, compare con frequenza sempre minore nella scrittura delle nuove feno-menologie criminali, quasi fosse un refuso di altri tempi oramai dotato di limitata capacità descrittiva e verificabilità empirica.

La normativa penale in tema di diritto d’autore appare un banco di prova di un simile percorso evolutivo. Le penetranti riforme che l’hanno investita hanno spostato gradualmente l’attenzione dall’altruità dell’ope-ra alla connotazione di abusività del comportamento punito di fattispe-cie in fattispecie

2: abusività più o meno stigmatizzata, anche attraverso la formula dell’“assenza del diritto” che compare in apertura dell’art. 171, r.d. n. 633/1941.

Il moltiplicarsi delle occasioni e delle metodiche di contatto tra sfere patrimoniali individuali, ovvero riferibili a distinti e determinati soggetti giuridici, lascia difatti inevitabilmente nel margine della residualità casi-stica le ipotesi in cui la materialità del trasferimento non sia accompa-gnata dalla effettiva consapevolezza, in capo al titolare della libertà di

1 V. MANTOVANI, Contributo, cit., 17. 2 L. 22 aprile 1941, n. 633 (Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi

al suo esercizio). In particolare si vedano le ipotesi di cui agli artt. 171 bis, ter e quater.

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scambio, del contatto materiale (punito) che l’altro (il reo) abbia con la res. È esattamente su questo sfondo fattuale che la scena dell’illecito pe-nale ha bisogno di inquadrare il particolare dell’altruità della cosa con cui l’agente entra in relazione. In un simile scenario è proprio il dato dell’al-truità ad esprimere quella conflittualità tra “voleri patrimoniali” che prende corpo nel non consenso/non consapevolezza da parte della vitti-ma circa il fatto materiale di cui il reo si rende protagonista rispetto al bene. La connotazione del bene come “altrui” vale allora a descrivere l’av-venimento offensivo nei tratti della “invasione non autorizzata” di uno spazio di libertà patrimoniale.

La nozione giuridica di patrimonio penalmente tutelato ne esce così ridefinita attraverso la formula della “libertà di scambio di valori”; ed i beni che di questo patrimonio fanno parte si riconoscono nei beni cui è assegnato – meglio, oggettivamente assegnabile – un valore di libero scambio. Si superano così, con questa impostazione, le perplessità di chi mette in discussione la considerazione tra gli elementi patrimoniali an-che delle passività

3 e dei valori posseduti in contrasto con il diritto 4: in

effetti, solo le une e non anche gli altri possono rimanere oggetto di quel-le disposizioni di trasferimento che esprimono l’esercizio della predetta libertà di scambio. Si tratta infatti di libertà che l’ordinamento riconosce non in termini “assoluti”: lo attesta la criminalizzazione – sotto il titolo alternativo degli artt. 648, 648 bis e 648 ter c.p. – del fatto dispositivo che sia stato volutamente realizzato dall’autore di un delitto rispetto alle cose di provenienza illecita. In queste righe si racconta dunque di un negozio il cui contenuto è stato condiviso tra le parti in termini di piena e libera coscienza e volontà. Eppure, v’è un solo reo, rimanendo sanzionato (per ricettazione, riciclaggio, ecc.) esclusivamente chi con dolo si sia inserito ex novo nel prosieguo della catena di trasferimenti illegittimamente ori-ginati, vulnerando così – di per sé – ancora una volta la libertà personale di scambio economico che sarebbe altrimenti spettata (ove non fosse in-tervenuto il delitto presupposto, autonomamente punito) alla persona ti-tolare dell’interesse di mettere (o non mettere) originariamente in circolo il valore di specie. Così, si recupera la discussa venatura offensiva in chi-ave patrimoniale dei delitti di ricettazione e riciclaggio, in coerenza con la collocazione sistematica attualmente a chiusura del titolo XIII, pro-prio facendo riferimento ad una concezione dinamica e personalistica

3 In senso favorevole ANTOLISEI, Manuale, cit., 289; contrario DE MARSICO, Delitti contro il patrimonio, cit., 11; MANTOVANI, Diritto penale, cit., 21.

4 Così, accanto a chi nega tutela all’illegittimo possesso – MAGGIORE, Diritto penale, cit., 926; MANTOVANI, Diritto penale, cit., 31 – v’è chi ritiene necessaria e sufficiente per la tutela del possesso l’apparentia iuris – NUVOLONE, Il possesso nel diritto penale, Mi-lano, 1942, 69 ss. – e chi, i più, che ampliano la protezione anche verso il possesso il-lecitamente acquistato, cfr. PETROCELLI, Principi di diritto penale, I, Napoli, 1955, 212; DE MARSICO, op. cit., 20; ANTOLISEI, Manuale, cit., 280.

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del concetto di “patrimonio”, che vuole impedita la circolazione di un bene consapevolmente proveniente da delitto in quanto volutamente le-siva delle potenzialità di sviluppo economico contenute nella libertà pa-trimoniale spettante al soggetto che avrebbe potuto agire, gestendo i tra-sferimenti del proprio bene, nella legalità

5. Col tradurre il senso del patrimonio penalmente protetto nella “libertà

di scambio di valori” si ridimensiona pure il dibattito insorto attorno all’inclusione nel patrimonio delle aspettative, quali prospettive di lecito guadagno

6, o piuttosto dei diritti aventi ad oggetto cose non economi-camente valutabili

7, come quelle aventi mero valore di affezione: anche in questo caso si tratta di considerare se le aspettative/i diritti assumano – ovvero possano assumere – in un determinato contesto la portata di beni di scambio, da mettere in circolazione

8. Si riaffaccia allora alla mente del cultore della materia quella nozione

di “appartenenza” della cosa 9 che è il contenuto autonomo (rispetto alla

dimensione prettamente civilistica) del possesso penale 10, che a molti è

parsa eccessivamente ampia e generica; alla fine dei conti, con essa si menziona proprio chi (appunto terzo rispetto al reo) sia titolare di quella libertà di dinamismo patrimoniale suscettibile di rimanere osservata an-che attraverso i suoi singoli segmenti (specificandosi in tal caso il rilievo di una certa potestà di diritto: l’altrui possesso, nell’art. 634 c.p.; l’altrui proprietà, nell’art. 632 c.p.).

Questa stessa nozione lata di appartenenza – a contenitore della liber-tà di scambio – peraltro si legittima anche dimostrandosi allineata con i vari e diversi richiami all’altruità rinvenibili entro la sistematica penale, che si portano ben oltre lo stretto riferimento alla proprietà. In non po-chi luoghi codicistici il termine “altrui” è difatti impiegato per designare

5 V. in tema, con diverse sfumature, MOCCIA, Tutela penale del patrimonio e principi costituzionali, Padova, 1988, 65 ss.; ID., Impiego di capitali illeciti e riciclaggio: la rispo-sta del sistema penale italiano, in Riv. it. dir. proc. pen., 1995, 741 ss.

6 V. PEDRAZZI, Inganno ed errore, cit., 65 s.; ANTOLISEI, Manuale, cit., 280. 7 La Corte di Cassazione sembra adottare soluzione contraria, escludendo ad

esempio la punibilità in caso di irrilevanza economica del bene ricettato, Cass., sez. II, 30 maggio 1989, Testa, in Giust. pen., 1991, II, 237.

8 V. ANGELOTTI, Delitti contro il patrimonio, cit., 40, 133. 9 Sulla nozione penalistica di appartenenza, v. LEVI, Appartenenza, in Nuovo Dig.

it., I, Torino, 1937, 555; BATTAGLINI, Sulla nozione di appartenenza, in Giust. pen., 1949, II, 813; RICCIO, La nozione di appartenenza nel diritto penale, in Scritti giuridici in onore di Vincenzo Manzini, Padova, 1954, 397 ss.; CHIAROTTI, Appartenenza, in Enc. dir., II, Milano, 1958, 702 ss.; LOZZI, L’appartenenza nel diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1958, 697 ss.

10 Per un approfondimento critico delle varie formulazioni del concetto secondo le correnti civilistiche, NUVOLONE, Il possesso, cit., 44 ss.; PANNAIN, Il possesso nel diritto penale, Roma, 1946.

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un collegamento tra un quid ed un soggetto diverso dall’autore del reato: l’altrui proposito di suicidio ex art. 590 c.p., l’altrui reputazione nella configurazione dell’art. 595 c.p. Proprio ad esprimere il filo conduttore della titolarità di uno o più specifici “diritti” (così ad esempio un diritto reale o di godimento o di garanzia)

11. Ad essere selezionato è in breve il “tipo” di appartenenza, che può

dunque guardare – tra le ipotesi esemplificative – ora al possesso, di cui all’art. 646 c.p., ora alla detenzione, di cui all’art. 624 c.p. Entrambi que-sti “tipi” corrispondono materialmente ad un autonomo potere fattuale sulla cosa (ovvero attuale disponibilità materiale della cosa stessa, in senso fisico o in senso virtuale)

12, ma si differenziano per aversi riguardo solo nell’uno ad un coefficiente psicologico consistente nell’animus di te-nere la cosa nomine alieno.

Una volta messe a bagaglio queste considerazioni, si può allora proce-dere ad una sintesi del sottosistema, accomunando e distinguendo le due macro-aree tradizionalmente elette a scindere le tipologie comportamen-tali previste e punite, rispettivamente di aggressione unilaterale e di coo-perazione artificiosa. Quelle stesse modalità che le più recenti versioni delle tipicità penali offensive del patrimonio individuale alfine ammetto-no come tra loro alternative, nel senso di forme di integrazione (non esclusive) dello stesso nomen iuris. Si guardi in questo senso alla conno-tazione della condotta criminale come “abusiva”: l’abusività esprime un comportamento assunto in assenza di una facoltà di interagire in qualsia-si modo con il diritto di scambio esistente in grembo al patrimonio di chi sta dall’altra parte della instaurata relazione sociale; in altre parole, è sin-tesi linguistica che esprime il compimento di una operazione sulla quale v’è il dissenso tacito o espresso del titolare dello ius exludendi 13.

Del resto, basta attardarsi un poco tra le righe dell’art. 640 ter c.p. per convincersi che alla qualificazione dell’ipotesi incriminatrice nell’uno o

11 Nel senso che agli effetti di cui all’art. 635 c.p. sarebbe “altrui” ogni cosa oggetto di un qualsiasi diritto di altri, v. BRICOLA, Danneggiamento (diritto penale), in Enc. dir., XI, Milano, 1962, 602 s.; cfr. PAGLIARO, L’altruità della cosa nei delitti contro il patri-monio, in Riv. it. dir. proc. pen., 1965, 710 s., per cui “altrui” ai sensi dell’art. 635 c.p. è «ogni cosa sulla quale insiste un diritto di altri, che nella situazione concreta appaia di maggiore rilievo sociale rispetto a un eventuale diritto spettante all’autore del rea-to», con ciò guardando ad una “sostanza penalistica” che non coincide necessaria-mente con la disciplina civilistica; ancora lo stesso autore (PAGLIARO, op. ult. cit., 718), chiosa in ordine all’art. 646 c.p. nel senso che «la cosa sarà da considerare “altrui” non solo quando sia oggetto di un vero e proprio diritto di proprietà, ma anche quan-do sia oggetto di un altrui diritto, reale o personale, che abbia, nel caso concreto, un valore sociale maggiore della proprietà».

12 MANTOVANI, Contributo, cit., 97 ss.; ID., Diritto penale, cit., 48 ss. 13 Cass., sez. un., 27 ottobre 2011, n. 4694, Casati ed altri, in Diritto penale contem-

poraneo.

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I reati contro il patrimonio “in movimento” 18

nell’altro comparto si giunge attraverso una attenta interpretazione “evo-lutiva”. L’offesa alla libertà negoziale del danneggiato

14 è qui impressa nell’alterazione – comunque realizzata – del funzionamento di un siste-ma informatico o telematico, o nell’intervento senza diritto con qualsiasi modalità su dati, informazioni o programmi contenuti in un sistema in-formatico o telematico o ad esso pertinenti, che sia causa di ingiusto pro-fitto con altrui danno. A rimanere sanzionata è l’attività a carattere truf-faldino che si indirizzi “necessariamente” ed immediatamente su uno strumento elettronico (alterato nel relativo funzionamento)

15, piuttosto che su di una persona fisica destinataria dell’attività fraudolenta. Ad elemento implicito della fattispecie criminosa va tuttavia scontato il dato pregiuridico, consistente nell’inganno che, indefettibile, viene portato an-che a quanti preposti alla verifica della correttezza dei dati inseriti nel sistema od alterati 16, e loro tramite a chi è referente patrimoniale finale di quei dati ed informazioni. Il profitto ingiusto trova dunque la sua fon-te immediata proprio nel risultato irregolare ed artefatto del processo di elaborazione oggetto di indebita interferenza, all’esito di un intervento “implicitamente” ammesso (per errore) da chi intitolato del diritto di di-sporne. È da un simile ritratto che scende puntualmente l’esclusione del-la possibilità di un concorso con la fattispecie ordinaria di truffa, in quanto le due figure delittuose si trovano in un rapporto di specialità che ne semplifica la relazione nel concorso apparente di norme; esse presen-tano la medesima struttura ed i medesimi elementi costitutivi, con l’uni-ca differenza che – per l’appunto – l’attività fraudolenta di cui al delitto in esame investe prima facie non la persona ma il sistema informatico di pertinenza della stessa persona

17. Il perimetro dell’indagine si viene così a definire nel suo impianto ge-

nerale. Da un lato sta l’atto di disposizione patrimoniale realizzato dalla vittima, dall’altro vi è il segno dell’altruità della cosa: sono i punti cardinali attorno ai quali si disegna lo squilibrio della libertà personale di scambio di valori. L’uno e l’altro modus dimostrano infatti che una circolazione dell’interesse economico si è realizzata fuori delle condizioni di legittimi-tà in quanto in violazione dell’altrui diritto di libertà

18: vuoi per effetto

14 Cfr. PICA, Diritto penale delle tecnologie informatiche: computer’s crimes e reati te-lematici. Internet. Banche dati e privacy, Torino, 1999, 56, 157.

15 MARINI, Truffa, in Dig. disc. pen., XIV, Torino, 1999, 396; Cass., sez. V, 24 novem-bre 2003, Noto, in Giur. it., 2004, 2363.

16 Cass., sez. VI, 4 ottobre 1999, De Vecchis, in Cass. pen., 2001, 481; Cass., sez. V, 24 novembre 2003, Noto, cit.

17 Cass., sez. VI, 5 febbraio 2009, n. 8755, P.M. in proc. Giambertone ed altri. 18 Per una impostazione che valorizzi, nella definizione dell’oggetto della tutela, il

collegamento tra la persona e l’interesse economico – pur diversa da quella fatta pro-pria nel testo – si rinvia a MOCCIA, Tutela penale del patrimonio, cit., 47 ss., in part. 69:

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Le premesse della ricerca nelle suggestioni giurisprudenziali 19

dell’incidenza diretta del comportamento del soggetto attivo, intervenuto sulla sfera di libertà negativa altrui, nel senso della altrui libertà di non disporre del bene; vuoi per l’incidenza negativa di un fatto negoziale di cui risulta parte proprio chi rimane defraudato della libertà positiva di scegliere le modalità, i termini e le condizioni del trasferimento dei valori ad egli stesso facenti capo.

2. Lo stato liquido dell’“altruità” della cosa nella definizione del fatto illecito contro il patrimonio

I passaggi cruciali delle decisioni che la giurisprudenza ha reso e ren-de in tema di delitti contro il patrimonio fotografano proprio la irrequie-tudine interpretativa concentratasi sul ruolo assolto da chi si pone all’al-tro capo del conflitto sociale innescato dal colpevole.

L’interazione tra la sfera comportamentale della vittima “economica” e la condotta punita si mette così in luce nelle problematiche sollevate in sede applicativa che, oggi come allora, insistono non solo sui dettagli del-l’atto di disposizione del patrimonio tutelato, quello commesso a mano della vittima-collaboratrice nello spazio dei reati a cooperazione artifi-ciosa, ma anche sui confini dell’altruità della cosa che è referente mate-riale nelle forme di aggressione unilaterale.

Le elaborazioni su quest’ultimo profilo dell’altruità sono in effetti il-luminanti

19. L’osservazione di base è comune, e considera la sottrazione-impossessamento nel furto, al pari dell’appropriazione nel delitto ex art. 646 c.p., espressione di un fatto aggressivo rispetto al titolare di questa

«Il concetto di patrimonio che ne risulta è dunque un concetto dinamico-funzionale, fortemente caratterizzato da elementi personalistici: potenzialità della persona in un ambito economico. Questa concezione si fonda sull’idea che la tutela del patrimonio non può consistere nella difesa di un qualsiasi oggetto o di una mera entità pecuniaria in sé considerati per la loro semplice attribuzione ad un soggetto; in uno stato sociale di diritto ad orientamento personalistico, la tutela del patrimonio deve, invece, garan-tire la disponibilità dei beni, al fine di assicurare lo sviluppo della personalità in cam-po economico». Si richiama anche la concezione definita «giuridico-funzionale-perso-nalistica», per cui la migliore definizione del piano della tutela consterebbe nel ritene-re il patrimonio alla stregua del «complesso dei rapporti giuridici facenti capo ad una persona aventi pur sempre per oggetto ultimo cose dotate di funzione strumentale, del-la capacità cioè di soddisfare bisogni umani, materiali o spirituali», riconducibile al pensiero di MANTOVANI, Diritto penale, cit., 16 ss., e condivisa anche da LEONCINI, I rap-porti tra contratto, reati-contratto e reati in contratto, in Riv. it. dir. proc. pen., 1990, 1046 ss.

19 Oscillando da una accezione ristretta – come diritto soggettivo di proprietà – ad una più ampia – nei termini di diritto soggettivo di stampo patrimoniale, v. sul tema PAGLIARO, L’altruità della cosa, cit., 693 ss.

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I reati contro il patrimonio “in movimento” 20

“altruità”, che rimane “estraneo” alla cornice di realtà fotografata dalla norma penale; una estraneità, dunque, tipica ed astratta, in concreto de-clinabile nella non presenza fisica sulla scena del crimine, oppure nell’as-senza di una consapevole partecipazione materiale al realizzarsi natura-listico del comportamento dell’agente criminale. Nell’uno come nell’altro caso a rimanere sancita è dunque l’incompatibilità con le dinamiche del-la cooperazione artificiosa, che dà forma alla giustapposta categoria comportamentale

20. Quanto al resto, le correnti di pensiero che si contendono il campo

nel definire l’“altruità” sono e rimangono inavvicinabili, solcate in parte dalla convinzione per cui nella ricognizione di tale concetto non può che farsi ricorso alle norme civilistiche che disciplinano il diritto di proprie-tà, nel cui ambito rilevante importanza va riconosciuta alla regolamenta-zione della simulazione come a quella della pubblicità dei trasferimenti del diritto dominicale (pubblicità alla quale, come è noto, l’ordinamento per regola non attribuisce alcuna funzione costitutiva, bensì semplice-mente dichiarativa, col fine precipuo di dirimere i conflitti tra acquirenti del medesimo bene)

21. Con simili premesse si fa spazio all’autorevole opinione che presenta l’altruità come un elemento normativo rigorosa-mente giuridico, governato dal diritto civile

22. Il primato così conferito a questo settore dell’ordinamento assume allora un senso politico preciso: si vuole che il sistema penale svolga una funzione meramente sanziona-toria delle regole civilistiche violate, una funzione di semplice garanzia subalterna delle norme comportamentali che i privati si dettano

23. L’altra faccia dell’esegesi guarda dalla parte opposta

24, al di là degli inquadramenti civilistici 25, e si afferma in una recente sentenza della

20 Cass., sez. IV, 18 settembre 1997, Grillo, in CED Cass., n. 208784. 21 In applicazione di questo principio, si è inteso che la mera intestazione nei pub-

blici registri del bene mobile registrato, avendo funzione non costitutiva, non può di per sé essere ritenuta probante in assoluto del diritto dominicale sulla cosa, dovendosi in concreto, soprattutto in presenza di serie indicazioni di senso contrario acquisite al processo, accertarne il fondamento. E nel caso di specie le condizioni di salute ed anagrafiche della proprietaria formale dell’autovettura hanno autorizzato la conside-razione che la proprietà effettiva del bene andasse riconosciuta in capo all’imputato e non già in favore della madre intestataria, v. Cass., sez. I, 10 giugno 2009, La Torre, in Riv. Polizia, 2010, 224.

22 Cass., sez. I, 10 giugno 2009, La Torre, cit. 23 Cfr. Cass., sez. V, 24 ottobre 2007, Giove, in CED Cass., n. 238292. 24 Si orienta verso diversa direzione MANTOVANI, Diritto penale, cit., 33, che inqua-

dra a requisito dell’“altruità” la sussistenza sulla cosa di una «relazione di altri: di dirit-to o, comunque, non da delitto patrimonialmente offensivo».

25 Principio enunciato dalla Corte di Cassazione (Cass., sez. IV, 24 gennaio 1995, Palladio, in Cass. pen., 1996, 2947) è quello secondo il quale «il requisito dell’altruità di cui all’art. 624 cod. pen. è ravvisabile ogni volta che vi sia almeno un soggetto, di-

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Le premesse della ricerca nelle suggestioni giurisprudenziali 21

Cassazione a sezioni riunite 26 col negare l’integrazione del reato di ap-

propriazione indebita nella condotta del datore di lavoro che, in caso di cessione di quota della retribuzione da parte del lavoratore, ometta di versarla al cessionario

27. In motivazione la Suprema Corte ha precisato che la regola dell’acquisizione per confusione del denaro e delle cose fun-gibili nel patrimonio di colui che le riceve non opera ai fini della nozione di altruità accolta nell’art. 646 c.p., non potendosi di seguito ritenere re-sponsabile di appropriazione indebita colui che non adempia le obbliga-zioni pecuniarie cui avrebbe dovuto far fronte con quote del proprio pa-trimonio non conferite e vincolate a tale scopo

28.

verso dall’agente, il quale, al momento del fatto, sia legato alla cosa stessa da un’effet-tiva relazione di interesse», tenuto conto, altresì, che anche il proprietario che non ha il possesso della cosa può commettere furto (Cass., sez. II, 5 aprile 1960, Ottoneilo, in Giust. pen., 1960, II, 852).

26 Cass., sez. un., 25 maggio 2011, Orlando, in CED Cass., n. 250974. 27 V. Cass., sez. un., 27 ottobre 2004, Li Calzi, in Cass. pen., 2005, 3345 ss.: le Sezioni

Unite del tempo osservarono in particolare che «sia per quanto concerne il caso di spe-cie, che per quanto riguarda le altre analoghe forme di ritenute alla fonte, il denaro “trattenuto” dal datore di lavoro al dipendente rimane sempre nel “patrimonio” del da-tore di lavoro, confuso con tutti gli altri diritti e beni che lo compongono. Il lavoratore, di conseguenza, non acquista alla scadenza la proprietà delle somme trattenute, ed il datore di lavoro non perde la “proprietà” di tali somme, ma ha soltanto l’obbligo, analo-gamente a quanto avviene per il sostituto d’imposta, di versarle alla Cassa Edile ed agli Enti di Previdenza nella misura ed alle scadenze previste dalle singole disposizioni».

28 Si veda anche Cass., sez. II, 21 aprile 2009, Celona ed altri, in CED Cass., n. 244806; Cass., sez. II, 4 marzo 2010, P.G. in proc. Russo, ivi, n. 249400. Di segno op-posto quella giurisprudenza della Cassazione che aveva numerose volte affermato come le somme trattenute dal datore di lavoro sulle retribuzioni del dipendente e de-stinate a terzi per legge, per contratto collettivo, o per ogni altro atto o fatto idoneo a far sorgere nello stesso datore di lavoro un obbligo giuridico di versare somme per conto del lavoratore, erano da considerare parte integrante della retribuzione spettan-te al lavoratore quale corrispettivo per la prestazione già resa. La circostanza che tali somme avessero una destinazione precisa, non modificabile unilateralmente e vinco-lata al versamento da effettuare entro un termine certo, a garanzia del terzo e del la-voratore, portava a ritenere che esse non “appartenessero” più al datore di lavoro, che, si sosteneva, ne manteneva solo una disponibilità precaria. Da ciò si desumeva che commettesse il reato di appropriazione indebita il datore di lavoro che scientemente lasciasse trascorrere il termine per il versamento, manifestando con tale omissione la volontà di appropriarsi di una somma non sua e di cui solo provvisoriamente dispo-neva, v. Cass., sez. II, 12 maggio 1993, Giallini, in Riv. pen., 1994, 1006; Cass., sez. II, 11 febbraio 1999, Visentin, in Giur. it., 2001, 584; Cass., sez. II, 27 giugno 2003, Vec-chio, in CED Cass., n. 226684. Analogamente, con riguardo all’omesso versamento di somme trattenute per contributi previdenziali e assicurativi, si riteneva che il manca-to versamento di detti contributi, oltre il termine di scadenza previsto, integrasse il reato di appropriazione indebita, tra le altre Cass., sez. II, 27 febbraio 1970, Marzano, in CED Cass., n. 115348; Cass., sez. II, 27 settembre 1982, Magnelli, ivi, n. 158589; Cass., sez. II, 30 marzo 1987, Ratini, ivi, n. 176762.

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I reati contro il patrimonio “in movimento” 22

In una visione unitaria, del resto, si conviene che la posizione del da-tore di lavoro-sostituto d’imposta sia completamente sovrapponibile a quella del datore di lavoro che effettua le trattenute sulle retribuzioni per riversarle alla Cassa edile, e a quella del datore di lavoro che effettua le ritenute dei contributi previdenziali: ipotesi tutte egualmente connotate dalla circostanza per cui il denaro oggetto dell’appropriazione è rappre-sentato da una quota ideale del patrimonio del possessore, indistinta da tutti gli altri beni e rapporti che contribuiscono a costituirlo. La somma trattenuta o ritenuta resta, in altri termini, nella esclusiva disponibilità del datore di lavoro-possessore, non soltanto perché non è mai material-mente versata al lavoratore, ma soprattutto perché mai può esserlo, avendo il dipendente soltanto il diritto di percepire la retribuzione al net-to delle trattenute effettuate alla fonte dal datore di lavoro

29. Al contrario, in tutti i casi trattati dalla giurisprudenza e pacificamen-

te ritenuti riconducibili all’appropriazione indebita, il denaro o la cosa mobile di cui l’agente si appropria non fanno mai parte ab origine del pa-trimonio del possessore, ma vi entrano “ab estrinseco” e con vincolo spe-cifico di destinazione; sicché di tali beni può dirsi che essi restano di “proprietà” diretta od indiretta di altri, in virtù della deroga – espressa-mente prevista dall’art. 646 c.p. – ai principi del diritto civile in tema di acquisto della proprietà delle cose fungibili.

La soluzione così adottata per individuare e circoscrivere il canone dell’altruità della res fungibile, che costituisce il presupposto del reato di indebita appropriazione ad opera di chi di tale cosa ha il possesso o la detenzione qualificata, si dimostra quindi tutt’altro che pedissequamente ispirata agli schemi del diritto civile, apparendo anzi espressione della condivisa necessità di trarre soluzioni interpretative dai dati positivi del-la normativa e della sistematica penale che privilegino un approccio ese-getico-sperimentale

30. È pur vero che in linea di principio, quando la fat-tispecie penale utilizza per la designazione di un fatto, o di un istituto, un “termine” che ha in altro ramo del diritto una propria configurazione “tecnica”, esso dovrebbe presumersi assunto anche nel diritto penale con analogo significato; ma è altrettanto incontrovertibile che una diversa ac-

29 V. Cass., sez. II, 11 novembre 2005, n. 768, D’Ecclesiis, in DeJure; Cass., sez. II, 25 gennaio 2006, n. 7182, Aloise, ivi; Cass., sez. II, 28 aprile 2006, n. 16361, Procacci-ni, in La Legge Plus Ipsoa; Cass., sez. II, 13 novembre 2007, n. 43739, Chiriatti, in De-Jure; Cass., sez. II, 5 dicembre 2008, n. 47646, Geleardi, ivi; Cass., sez. II, 19 dicembre 2008, n. 5216, Rigoni, ivi; Cass., sez. II, 24 febbraio 2009, n. 10057, Trosini, ivi; Cass., sez. II, 4 marzo 2010, P.G. in proc. Russo, cit.; Cass., sez. II, 21 aprile 2009, Celona ed altri, cit. In senso contrario, per cui risulta configurabile il delitto ex art. 646 c.p., Cass., sez. II, 7 febbraio 2008, n. 8023, La Tona, in DeJure; Cass., sez. II, 18 marzo 2009, Montanucci, in CED Cass., n. 244737.

30 Si rinvia alle omogenee osservazioni sviluppate da Cass., sez. un., 25 maggio 2011, Orlando, cit.

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Le premesse della ricerca nelle suggestioni giurisprudenziali 23

cezione del termine potrebbe essere accolta nella stessa legge penale alla luce di “una giustificazione conveniente” espressa per “segni certi”, ovve-ro per il tramite di quegli indicatori che la ricerca condotta secondo le regole generali sull’interpretazione delle leggi vuole trovati oltre che nella formulazione della norma incriminatrice anche nel confronto con la let-tera di altre disposizioni penali

31 e nella funzione della norma stessa 32.

3. Esperimenti “mentali” attorno all’atto di disposizione del pa-trimonio realizzato dalla vittima del reato

Fratture esegetiche insistono anche nell’altra dimensione da scanda-gliare, quella dell’atto dispositivo del patrimonio realizzato in un conte-sto di cooperazione “passiva” artificiosa.

In quest’ottica è la casistica proliferata attorno alla truffa a dimostra-re di volta in volta la flessibilità di una interpretazione capace di adattare l’ambito descrittivo-ascrittivo della norma incriminatrice alle peculiari fattezze della fattispecie concreta. L’avvenimento hic et nunc è infatti de-stinato ad essere giudicato come tipico o piuttosto atipico rispetto al modello ex art. 640 c.p. sulla scorta di una “visione” più o meno ampia del comportamento della vittima. I costi della flessibilità sono ovviamen-te quelli del sacrificio estremo del principio di legalità penale, travolto in ogni suo corollario e riflesso

33, e i costi del “rischio” di fondere nell’atto di disposizione anche il duplice evento di danno e profitto, che una volta connotati in termini pienamente “giuridici” finiscono per non risultare scindibili dal momento – dispositivo – di conclusione del contratto truf-

31 Tra le molte, Cass., sez. II, 20 dicembre 1993, Balzaretti, in CED Cass., n. 197781; Cass., sez. VI, 10 maggio 2007, Varriano, ivi, n. 237175. È in quest’ottica si-gnificativo – come puntualmente osserva Cass., sez. VI, 4 novembre 2009, Donti, in Giur. it., 2010, 1395 – che in relazione al peculato, figura omologa all’appropriazione indebita nell’ambito dei delitti contro la pubblica amministrazione, il legislatore, con la riforma del 1990, abbia affiancato nell’art. 314 c.p. alla nozione di “possesso” quella di “disponibilità”, così espressamente riconducendo il rapporto dell’agente con la cosa nell’ambito «di un ampio potere autonomo, che gli consenta di disporne, con obbligo tuttavia di rispettarne la destinazione», in linea con l’interpretazione già consolidata in relazione ad entrambe le fattispecie appropriative.

32 V. Corte cost., 16 maggio 1989, n. 247, in Foro it., 1989, I, 1685; Corte cost., 29 marzo 1993, n. 122, in Giur. cost., 1993, 1008; Corte cost., 13 febbraio 1995, n. 34, in Cass. pen., 1995, 1155; Corte cost., 13 gennaio 2004, n. 5, ivi, 2004, 830; Corte cost., (ord.), 29 settembre 2004, n. 302, in Dir. pen. proc., 2005, 14; Corte cost., 1 agosto 2008, n. 327, ivi, 2008, 1381.

33 Cfr. ROTOLO, Il momento consumativo della truffa: casi giurisprudenziali e pro-spettive politico-criminali, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2011, 648.

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I reati contro il patrimonio “in movimento” 24

faldino cui infine datare la consumazione del delitto 34. Il valore di un si-

mile indirizzo interpretativo va dunque attentamente ponderato, votato come è a concentrare il peso del delitto sul compimento dell’atto disposi-tivo della persona indotta in errore, e quindi a lasciar emergere una spic-cata sensibilità verso la ricognizione del comportamento passivo. Fermo restando che la fattispecie de qua – per come descritta dalla tipicità pena-le

35 – è costruita secondo le coordinate del reato di evento, e non anche di “sola” condotta

36.

34 Cass., sez. II, 14 ottobre 2010, n. 41382, P.G. in proc. Z.L.N., in DeJure. Nel senso invece che il delitto di specie si consumi nel momento – erogazione dell’ultima rata di finanziamento – in cui l’agente ha conseguito l’ingiusto profitto con altrui danno, Cass., sez. II, 27 ottobre 2010, n. 41420, D.M.F., in DeJure; Cass., sez. II, 28 ottobre 2010, n. 41496, in La Legge Plus Ipsoa: «tale delitto si perfeziona non nel momento in cui il sog-getto passivo assume un’obbligazione per effetto degli artifici o raggiri subiti, bensì in quello in cui si verifica l’effettivo conseguimento del profitto da parte dell’agente e la de-finitiva perdita di esso da parte della persona offesa; pertanto, nel caso di bonifico ban-cario o versamento di assegni, sia di conto corrente che circolari, il danno non necessa-riamente si verifica nel momento e nel luogo in cui viene effettuato il bonifico o i titoli vengono posti all’incasso, consolidandosi i reati nel momento in cui la relativa provvista viene imputata a credito nel relativo conto corrente e nel luogo in cui si trova l’istituto bancario presso il quale tale conto risulta acceso in quanto è in tale ultimo luogo che si verifica la lesione concreta e definitiva del patrimonio della persona offesa, inteso come complesso di diritti valutabili in denaro … Infatti, in tale evenienza, la lesione patrimo-niale e il profitto si concretizzano, solamente a seguito dell’accreditamento dell’importo oggetto del bonifico che avviene presso la sede dell’istituto ove è aperto il conto intestato all’imputato». Per una disamina dell’atteggiamento giurisprudenziale in ordine all’indivi-duazione del momento consumativo della truffa, si rinvia a MAGGINI, La truffa, Padova, 1988, 42 ss. In giurisprudenza, in argomento Cass., sez. un., 22 marzo 1969, P.M. in proc. Carraro ed altro, in Cass. pen., 1969, 1023 ss.; Cass., sez. un., 30 novembre 1974, Forneris, in CED Cass., n. 128996; Cass., sez. un., 16 dicembre 1998, Cellamare, in Cass. pen., 1999, 2097 ss.; Cass., sez. un., 21 giugno 2000, Franzo ed altri, ivi, 2000, 3270 ss.

35 Così puntualmente BETTIOL, Concetto penalistico di patrimonio e momento consu-mativo della truffa, in Giur. it., 1947, IV, 6: «Indubbiamente l’attività delittuosa cade su delle cose, su di una determinata materia, ma ormai nessuno più dovrebbe confondere tra oggetto materiale del reato e oggetto giuridico dello stesso. Quando parliamo di pa-trimonio dobbiamo necessariamente intendere un quid che supera una concezione ma-terialistica la quale identifica il patrimonio con le cose. Concezione teleologica del dirit-to penale è appunto una visione di problemi penalistici la quale supera gli stretti limiti delle “cose” per inquadrarsi nel regno dei “valori”. Che il reato richieda la sua cosa è fuor di ogni dubbio, ma la richiede come presupposto di una valutazione non come es-senza della valutazione stessa. È nella valutazione che il reato si sostanzia. Nei reati con-tro il patrimonio, quindi, non si possono ancorare i reati ad una concezione materiale del patrimonio stesso, ma ad una concezione di valore. Ed è concezione di valore tanto la concezione giuridica, quanto la concezione economica del patrimonio».

36 Cfr. SAMMARCO, La truffa contrattuale, Milano, 1988, 40: «C’è truffa solo se la con-dizione patrimoniale in generale rileva dopo la disposizione un minus rispetto alla sua condizione precedente; il danno consiste nella “differenza patrimoniale svantaggiosa”». Analogamente, SAMMARCO, Truffa, in Enc. giur. Treccani, XXXI, Roma, 1994, 5 s. Si veda

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Le premesse della ricerca nelle suggestioni giurisprudenziali 25

La giurisprudenza di legittimità applica con una certa fluidità questa riflessione dogmatica.

Per un verso, viene escluso l’integrarsi del reato di truffa ai danni del-l’ente territoriale che esercita la vigilanza sulla viabilità al cospetto della condotta di chi esponga sul parabrezza dell’auto un contrassegno per inva-lidi rilasciato ad altra persona, che non si trovi a bordo del veicolo, e così acceda all’interno di una zona a traffico limitato e percorra le corsie prefe-renziali del centro urbano. A mancare sarebbe esattamente il requisito im-plicito dell’atto di disposizione patrimoniale che costituisce l’elemento in-termedio derivante dall’errore, causa dell’ingiusto profitto con altrui dan-no. Infatti, l’atto di disposizione patrimoniale si argomenta non poter esse-re ravvisato nel fatto che gli organi comunali di controllo, indotti in errore, non abbiano contestato le infrazioni amministrative, né nel fatto che l’ente comunale abbia subito l’inadempienza dell’agente. Quanto a dire che il re-ato non sarebbe comunque ipotizzabile in casi del genere per carenza della necessaria cooperazione della vittima, e quindi per carenza della efficacia causale della condotta “passiva” rispetto al prodursi del profitto, che sareb-be realizzato immediatamente, grazie all’elusione dei controlli e al man-cato versamento delle somme dovute in conseguenza delle violazioni am-ministrative, o per la sosta del veicolo all’interno di zone a traffico limita-to. In altre parole ancora: se il profitto conseguito dall’agente è quello deri-vante dalla circolazione abusiva dell’autovettura al servizio dell’invalido, esso è un fatto del tutto neutro agli effetti di un ipotetico danno all’ente comunale, in quanto condotta non destinata a spostare risorse economi-che dal soggetto truffato all’autore della condotta

37. Tutt’altra direzione è stata da ultimo imboccata dalla giurisprudenza

delle sezioni riunite a margine di una ipotesi di c.d. truffa processuale 38,

anche l’analisi offerta da BETTIOL, Concetto penalistico di patrimonio, cit., 7 s.: «Il concet-to di danno e il concetto di profitto che sono momenti decisivi a proposito della truffa non possono venire evaporati in una considerazione puramente formale per la quale essi debbono considerarsi come già presenti ed operanti nel momento della costituzione di un rapporto obbligatorio (sia pure viziato) e non nel momento in cui tale rapporto produce i suoi effetti concreti. Tra possibilità di un danno e di un profitto e effettività degli stessi sussiste oltre che una differenza logica anche una differenza reale. E se il diritto penale deve guardare a questa realtà deve ammettere che una cosa è la possibilità di un danno patrimoniale, come nell’ipotesi in cui sia rilasciata una cambiale, e altro è la effettività del danno patrimoniale che si verifica nel momento in cui la cambiale viene pagata. Dalla costituzione di un puro rapporto obbligatorio cambiario prima che esso abbia in effetti operato non si può dire che ci sia quel danno e quel profitto reale che pur sempre si deve richiedere perché la truffa possa dirsi consumata».

37 Cass., sez. II, 16 novembre 2011, n. 45328, P.M. in proc. A.M. ed altro, in Siste-ma Leggi d’Italia professionale. V. anche Cass., sez. II, 8 giugno 2010, P.M. in proc. Zangheri, in CED Cass., n. 248249.

38 Cass., sez. un., 29 settembre 2011, Rossi ed altro, in CED Cass., n. 251499.

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I reati contro il patrimonio “in movimento” 26

col siglare il target del comportamento “collaborativo” della vittima quale tratto differenziale del reato in esame tanto rispetto ai fatti di mera spolia-zione, tanto rispetto ai reati con collaborazione della vittima per effetto di coartazione. La tradizionale definizione di codesto requisito nei termini di “atto di disposizione patrimoniale” non ha qui portato a restringere l’am-bito della “collaborazione carpita mediante inganno” ad un atto di dispo-sizione da intendersi nell’accezione rigorosa del diritto civile: il profitto al-trui e il danno – che grava sul patrimonio dell’ingannato o comunque su patrimonio di cui l’ingannato possa legittimamente disporre – si conside-rano realizzabili dal truffato mediante una qualsiasi attività rilevante per il diritto, consapevole e volontaria ma determinata dalla falsa rappresenta-zione della realtà che in lui è stata indotta. A bastare – in queste righe – è pertanto un comportamento del soggetto ingannato frutto dell’errore inne-scato dal fatto dell’agente, e determinante una modificazione patrimoniale che consta di un ingiusto profitto del reo e di un danno della vittima.

In dettaglio. Se il senso riposto nella formula dell’“atto di disposizio-ne” è che il danno deve potersi imputare ad un’azione che viene svolta al-l’interno della sfera patrimoniale aggredita, causata da errore e produtti-va di danno e ingiusto profitto, il profilo penalisticamente rilevante della cooperazione della vittima non deve necessariamente connettersi alla sua qualificabilità in termini di atto negoziale e neppure di atto giuridico in senso stretto, bastando la sua idoneità a produrre danno. Il così detto at-to di disposizione, allora, ben può consistere per tali ragioni in un per-messo o assenso, nella mera tolleranza o in una traditio, in un atto mate-riale o in un fatto omissivo: quello che conta è che sia un atto volontario, causativo di ingiusto profitto altrui a proprio danno e determinato dal-l’errore indotto da una condotta artificiosa.

La chiusura dell’argomentazione giudiziaria diventa così una sorta di nulla osta, un lasciapassare per la riconsiderazione del ruolo che l’atto di disposizione del patrimonio penalmente tutelato svolge entro la dinami-ca della tipicità penale, quale modello generalissimo di condotta che alla fine dei conti può vedersi a strumento comportamentale ora nelle mani del reo, che intervenga unilateralmente, ora nelle mani della vittima, che col reo entri in relazione negoziale. Si scorge allora che sempre rilevante è l’atteggiamento prestato dal lato passivo, in quanto reazione che si di-mostra di volta in volta “effetto necessario” in quanto conseguenza della tipologia dell’agire-omettere punibile; e, nell’immediato, si procede ad in-dagare ciò che sta oltre l’astratta asserzione di principio con cui le sezio-ni unite finiscono con l’ammettere in linea teorica che tale atto volontario consista nella dazione di denaro effettuata nella erronea convinzione di do-vere eseguire un ordine del giudice conforme a legge.

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PARTE II

Questioni e prospettive dell’interpretazione: i delitti contro il patrimonio e le tracce del sistema

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I delitti contro il patrimonio e le tracce del sistema 28

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Il delitto di truffa altrove 29

CAPITOLO III

La dialettica sul comportamento dispositivo del patrimonio nella “truffa processuale”:

il delitto di truffa altrove

SOMMARIO: 1. Fatto e fattispecie della c.d. truffa processuale. – 2. Pars destruens: i considerando classici attorno alla non configurabilità dell’ipotesi criminosa di specie. – 3. Pars costruens: la tipizzazione del comportamento necessario della vit-tima nel delitto ex art. 640 c.p.

1. Fatto e fattispecie della c.d. truffa processuale

Perché possa dirsi integrato il delitto di truffa è necessario che esista un effettivo nesso causale tra gli artifici o raggiri, l’errore e la determinazione del consenso del truffato all’atto dispositivo, fonte – per un verso – di un danno patrimoniale per la vittima e – per altro verso – di un ingiusto van-taggio (anche non patrimoniale) per l’agente; ne discende che la fattispecie di c.d. “truffa processuale” non è riferibile alla norma di cui all’art. 640 c.p., in quanto l’inganno non incide sulla libertà negoziale, che manca nel giu-dice chiamato a decidere: la sua decisione non è atto di disposizione patri-moniale ma esercizio delle funzioni giurisdizionali. Inoltre, la non veritiera rappresentazione dei fatti descritta nell’atto di citazione a giudizio civile non è idonea a trarre in inganno i convenuti, e ad indurli ad effettuare – quale atto di disposizione negoziale – il pagamento di un risarcimento del danno non dovuto; né l’eventuale compimento di un atto dispositivo pa-trimoniale da parte del convenuto sarebbe configurabile, in ogni caso, quale conseguenza diretta del comportamento fraudolento posto in essere dal-l’agente, di portata tale da trarre in errore l’autore del menzionato atto di disposizione, ma invece la conseguenza della statuizione dell’autorità giu-diziaria all’esito del vaglio processuale delle contrapposte prospettazioni di-fensive dei contraddittori

1. Il lettore di questo passaggio, estratto dalla recente giurisprudenza,

1 Trib. Taranto, 9 maggio 2011, M.S. ed altro, in Diritto penale contemporaneo.

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I delitti contro il patrimonio e le tracce del sistema 30

segue una trama già nota, un percorso argomentativo che ordinariamente scandisce le pronunce allestite attorno alla truffa. Nel delitto si trova di-fatti lo schema per perseguire le offese fraudolente al patrimonio, quelle cioè attuate mediante il ricorso ad artifici – nel senso di simulazione o dissimulazione della realtà atta ad indurre in errore una persona per ef-fetto della percezione di una falsa apparenza – o a raggiri – tale ogni atti-vità simulatrice sostenuta da parole o argomentazioni atte a far scambia-re il falso con il vero. Il fatto criminale rimane così incardinato su uno sfondo che per comune sentore si dice plurioffensivo, in quanto deputato a tutelare in guisa combinata la libera formazione del consenso e l’inte-grità del patrimonio; e lo specifico disvalore che si coglie nell’episodio ri-mane fortemente segnato dalla dinamica comportamentale – ivi tipizzata – della cooperazione artificiosa della vittima la quale, di fatto, collabora inconsapevolmente all’aggressione dei propri beni 2.

La decisione in massima – in questi punti pienamente conforme alla costante esegesi applicativa – ha tuttavia in suo seno pure un tratto di indubbia singolarità, appoggiata come è ad una vicenda affatto peculia-re. La stranezza del caso non si appunta certo sul testo che si pone davan-ti agli occhi del giudice penale: un atto di citazione a giudizio civile che descrive in termini falsi – ed “invertiti” – la dinamica di un sinistro stra-dale nella realtà occorso ai danni della parte convenuta, citata assieme alla rispettiva compagnia assicuratrice per ottenere un illegittimo risar-cimento dei danni subiti. Strano caso, piuttosto, perché irrompe in un quadro della realtà fino a quel momento pacificamente ricostruito “al contrario”, non solo ad ammissione dello stesso attore già dichiaratosi colpevole protagonista dell’incidente, ma anche a stare ai racconti dei te-stimoni oculari dell’episodio; tant’è che la relativa pratica risarcitoria si era già e tempestivamente definita con pagamento effettuato dalla com-petente società di assicurazione a favore della controparte, divenuta ad un certo punto querelante a motivo della truffa da cui questo racconto prende le mosse.

Il contesto generale che ambienta l’episodio è dunque quello della contrapposizione propria delle controversie di natura lato sensu civile, ove vive la differente prospettazione dell’oggetto della contesa sottoposta al vaglio critico dell’Autorità Giudiziaria; in questo spazio di lecita libertà di agire e di difendersi in giudizio si apre una nicchia che abbraccia il noto fenomeno criminale efficacemente tratteggiato dalla terminologia della “truffa processuale”, vale a dire le ipotesi in cui una delle parti del procedimento giudiziario (civile, penale o amministrativo), inducendo in errore l’organo giudicante con raggiri ed artifizi, riesca così a conseguire

2 Per tutte, si rinvia alla limpida sintesi di Trib. Crotone, 12 marzo 2009, in Siste-ma Leggi d’Italia professionale.

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Il delitto di truffa altrove 31

(o miri a) una pronuncia per lei favorevole con pregiudizio per il patri-monio della controparte

3. È altrettanto noto come in questa fascia casistica la prassi giudiziaria

sia invalsa, senza troppi ripensamenti, a negare la rilevanza penale ex art. 640 c.p., così siglando l’esito di un non moderno dibattito invero ric-camente vissuto solo dalla parte della dottrina, la quale ha attraversato l’argomento seguendo divergenti itinerari esegetici ed approdando con i più ad una soluzione di atipicità, in cui valide argomentazioni giuridiche si abbinano ad interpretazioni “presuntive”

4. Di esse è lo specchio pro-prio la pronuncia assolutoria offerta in introduzione, snocciolata di fron-te ad una struttura oggettiva della truffa che si riassume nell’esistenza di un effettivo nesso causale tra gli artifici o raggiri, l’errore e la determinazio-ne del consenso del truffato all’atto dispositivo, fonte – per un verso – di un danno patrimoniale per la vittima e – per altro verso – di un ingiusto van-taggio (anche non patrimoniale) per l’agente. Così, passo per passo, la de-cisione fa richiamo al principio per cui non si esige l’identità tra la per-sona indotta in errore e quella che subisce le conseguenze patrimoniali negative innescate dall’induzione in errore; al fianco, sta l’assunto che esclude la configurabilità del reato nel caso in cui il soggetto indotto in errore sia un giudice che abbia per l’effetto adottato un provvedimento giudiziale contenente una disposizione patrimoniale favorevole all’impu-tato, disconoscendo l’equipararsi di tale provvedimento ad un libero atto di gestione di interessi altrui, in quanto (non espressione di una libertà negoziale, bensì) esplicazione di un potere giurisdizionale, di natura pubblicistica, finalizzato all’attuazione delle norme giuridiche ed alla ri-soluzione dei conflitti di interessi tra le parti; indi, vi è ribadito che l’eventuale compimento di un atto dispositivo patrimoniale da parte del

3 In termini BOSCARELLI, Sulla responsabilità penale per l’evento cagionato mediante inganno del giudice, in Arch. pen., 1952, I, 304 ss. In argomento, diffusamente DE VE-

RO, Truffa a tre soggetti e autorità del giudicato nella c.d. truffa processuale, in Arch. pen., 1977, I, 166; ID., Truffa processuale, atto di disposizione, potere di disposizione: residui profili attuali di una vexata quaestio, in Riv. it. dir. proc. pen., 1979, 670 ss.; MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, IX, Torino, 1984, 719 ss.; ANTOLISEI, Ma-nuale, cit., 371 s.; FIANDACA-MUSCO, Diritto penale. Parte speciale, II, t. II, I delitti contro il patrimonio, Bologna, 2008, 189 s.; MANTOVANI, Diritto penale, cit., 201.

4 In particolare, contrari alla configurabilità della truffa processuale, SALTELLI, Sulla cosiddetta truffa processuale, in Ann. dir. proc. pen., 1937, 395; PEDRAZZI, Inganno ed erro-re, cit., 106 ss.; GIULIANI, È punibile la truffa processuale?, in Giur. it., 1958, II, 177; PAN-

NAIN, Frode processuale, in Noviss. Dig. it., VII, Torino, 1975, 660; GALLO E., Il falso pro-cessuale, Padova, 1973, 189; DE VERO, Truffa a tre soggetti, cit. In senso favorevole si esprimono invece MARTUCCI, Truffa e frode processuale, Napoli, 1932, 87; BOSCARELLI, Sulla responsabilità penale, cit., 296 ss., 298 ss.; BATTAGLINI, Frode processuale e truffa processuale, in Giust. pen., 1957, II, 164; RAGNO, Contributo alla configurazione del delitto di truffa processuale, Milano, 1966; ANTOLISEI, op. ult. cit.; MANTOVANI, op. ult. cit.

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convenuto non si possa comunque ritenere conseguenza diretta del com-portamento fraudolento posto in essere dall’agente, di portata tale da trarre in errore l’autore del menzionato atto di disposizione, ponendosi piuttosto quale conseguenza della statuizione dell’autorità giudiziaria.

Si perpetua insomma in queste righe la consolidata visione giurispru-denziale sull’argomento, salvo poi doversi valorizzare il peculiare conno-tato che demarca la fisionomia del fatto in imputazione. In quest’ottica gli artifici e raggiri attribuiti agli imputati – consistiti nella diversa/in-versa rappresentazione della dinamica del sinistro per come descritta nell’atto di citazione a giudizio promosso innanzi al giudice di pace – non si intendono adattabili allo schema dell’idoneità a trarre in inganno le parti convenute, inducendole per tale via al compimento dell’atto di disposizione negoziale da tradursi nel pagamento di un risarcimento del danno non dovuto. È infatti chiaro che costoro ben conoscessero le effet-tive circostanze-modalità di verificazione dell’incidente, avendo per di più ottenuto il risarcimento del danno patito proprio per effetto di quel sinistro e sulla scorta di una ricostruzione dei profili di responsabilità già avvenuta coi veritieri e contrapposti tratti della realtà; sicché non può dirsi che l’azione giudiziaria intrapresa abbia oggettivamente assunto avanti a loro le dimensioni dell’artifizio o del raggiro quale atto idoneo a condurli ad un comportamento dispositivo viziato da una “costrizione intellettiva”, in quanto capace di oscurarne la illegittimità ovvero la in-giusta dannosità.

È insomma il mezzo dell’“inganno”, nella sua materialità, a non fare capolino – nemmeno in approccio – sulla scena che inquadra il rapporto tra l’agire (in essere) di parte attrice e l’agire (in divenire) di parte conve-nuta, mettendo quindi in disparte, in questo senso, finanche l’apprezza-bilità di una condotta tentata.

2. Pars destruens: i considerando classici attorno alla non confi-gurabilità dell’ipotesi criminosa di specie

Detto ciò, è sulla dinamica dell’“artificio e raggiro” che è d’immediato destinata a concentrarsi l’analisi di queste pagine sul tema della truffa processuale, quale fenomenologia da cui trarre una ragionevole chiave di lettura dell’atto dispositivo del patrimonio della vittima. Questo, a sua volta, si scopre il perno per sperimentare nuove prospettive, sia in dire-zione di una truffa apprezzabile altrove rispetto ai territori fattuali paci-ficamente assegnatigli, sia per andare oltre i confini normativi tracciati dalla truffa stessa.

Gli argomenti spesi rispettivamente a favore e contro la tipizzazione penale della rammentata forma di frode processuale si riversano identici

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Il delitto di truffa altrove 33

nelle motivazioni delle pronunce giudiziarie e negli asserti accademici, che uniti rimangono già nell’ammettere lo sdoppiamento fra soggetto in-dotto in errore e soggetto passivo del danno patrimoniale: alla sola con-dizione, però, che gli effetti della condotta dell’ingannato possano diret-tamente ed efficacemente incidere sul patrimonio del danneggiato, per il tramite degli istituti della rappresentanza legale o volontaria, o comun-que sulla scorta di un titolo negoziale che attribuisca al gestore un potere di agire nell’interesse di chi infine risulti leso

5. Questa soluzione preliminare segna tutta la sagoma letterale e siste-

matica dell’art. 640 c.p. A trasparirne non è solo la “specifica” indifferen-za rispetto all’identità soggettiva delle controparti del reo – chi subisce il danno (“altri”) e chi subisce l’errore (“taluno”) –, che è peraltro ritratta pure nell’estorsione, nel delitto ex art. 630 c.p., come nella circonvenzio-ne di persona incapace; ma anche la scelta di ritagliare la frammentarie-tà dell’illecito criminale (solo) attorno ad una rigida modalità di intera-zione tra i protagonisti del delitto, che presenzi costante ed efficiente per l’intero arco di durata del rapporto negoziale approntato tra l’inganna-tore e quanti ingannati. È questa modalità che descrive e spiega la pro-duzione del vantaggio ottenuto quale evento ultimo a contrappeso del danno patrimoniale cagionato; un danno che, a sua volta, per essere “reale”, non può che scaturire dall’operato di chi sul patrimonio interes-sato dall’inganno abbia effettivi – e quindi a monte legittimi – poteri di-spositivi di incidenza negativa.

La sensibilità rispetto all’inganno causale quale frammento della tipi-cità normativa fissato sulla sorpresa in cui venga colta l’altrui buona fede – in una sostanziale assenza di soluzioni di continuità con la scrittura zanardelliana

6 – è stata del resto dimostrata già dalla prima dottrina che ha prestato attenzione all’argomento della truffa processuale. Eppure, va detto che questa stessa sensibilità – che peraltro conduceva allora a ne-gare il rilievo penale di vicende del genere – si è da tempo spenta con il rapido caducarsi dell’assioma “impossibile” che l’accompagnava, a stare al quale “istituzionalmente” solo il privato si intendeva poter essere in-gannato, mai il giudice, la cui infallibilità aveva appunto – in primis –

5 Cfr. MANZINI, Trattato, cit., 721; MARINI, Truffa, cit., 364 s.; LUCARELLI, La truffa: aspetti penali, civili, processuali, Padova, 2002, 59; BELLAGAMBA, La discussa configura-bilità della truffa processuale tra antichi pregiudizi e supposti impedimenti di ordine si-stematico, in Ind. pen., 2005, 1100 ss.; ANTOLISEI, Manuale, cit., 371; FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, cit., 190; MANTOVANI, Diritto penale, cit., 201. Sul tema, pacifica giuri-sprudenza, che sottolinea la necessaria “fungibilità” dell’errore del disponente con quello del titolare del patrimonio, v. Cass., sez. II, 18 aprile 2002, Griggio, in Riv. pen., 2003, 179; Cass., sez. II, 21 febbraio 2008, Minci, in CED Cass., n. 239507.

6 L’art. 413 c.p. Zanardelli reca una formulazione della truffa punitiva di «chiun-que, con artifici o raggiri, atti a ingannare o a sorprendere l’altrui buona fede, indu-cendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto …».

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I delitti contro il patrimonio e le tracce del sistema 34

guidato la giurisprudenza al tosto rigetto di ogni conclusione di configu-rabilità della fattispecie

7. Con questo retaggio culturale, oggi l’articolazione argomentativa sulla

(negata) truffa processuale si dirige per saltum al di là dell’inganno. In parte, il ragionamento si assesta immediatamente attorno al primo degli eventi scatenati dal comportamento causale criminalizzato: si registra così il difetto di un atto di disposizione patrimoniale

8 (elemento costitu-tivo “implicato”), che è difetto condiviso quasi senza eccezioni dagli or-gani decidenti

9, e che viene argomentato con l’inesistenza di un potere dispositivo in capo al giudice, al quale piuttosto competono in una posi-zione super partes l’uso e l’applicazione dello strumento del potere pub-blicistico giurisdizionale

10. In parte, si discute sull’ultimo degli effetti a catena, quell’ingiusto pro-

fitto che ingiusto non potrebbe più apparire una volta passata in giudica-to la sentenza sebbene erronea

11. In parte – infine – si dibatte partendo da un punto di osservazione po-

sto al di fuori del perimetro della truffa, nella convinzione che la casisti-ca della frode processuale di rilevanza penale risulti rigorosamente centel-linata dal legislatore entro le mura dell’art. 374 c.p. L’applicarsi di tale norma risulta infatti trincerato dalla relativa clausola d’apertura

12 dietro

7 Cass., sez. I, 20 dicembre 1940, Adanti ed altro, in Giust. pen., 1941, II, 661, con nota critica di GIOFFREDI, Frode processuale, truffa processuale e truffa nella giurisdi-zione volontaria, ivi, 662; v. anche Cass., sez. III, 12 ottobre 1956, Rutili, in Giur. it., 1958, II, 178.

8 Cfr. DE VERO, Truffa processuale, cit., 668 ss.; LA CUTE, Truffa (diritto vigente), in Enc. dir., XLV, Milano, 1992, 273 ss.; ZANNOTTI, La truffa, Milano, 1993, 63 ss.

9 In giurisprudenza, per il costante orientamento nei termini negativi espressi nel testo, Cass., sez. II, 26 gennaio 1970, Cammariere, in Cass. pen., 1971, 1669; Cass., sez. II, 31 maggio 1976, Iannaccone, ivi, 1977, 1404; Cass., sez. II, 16 giugno 1976, Bruzzi, ivi, 1978, 95; App. Genova, 5 febbraio 1990, Mitolo, in Riv. pen., 1990, 1041 ss.; Cass., sez. VI, 25 giugno 2001, Scopacasa, in Dir. pen. proc., 2002, 46; Cass., sez. II, 23 maggio 2007, P.G. in proc. Bazzana ed altro, in Riv. pen., 2007, 1235 ss. In direzione contraria isolate pronunce, in particolare Cass., sez. II, 29 ottobre 1998, Santini, in Cass. pen., 2000, 742. Cfr. Cass., sez. II, 30 ottobre 1996, Minciarelli, in Giust. pen., 1997, II, 545, che, nel contesto di un processo di esecuzione, ha ritenuto che «commette il delitto di truffa il debitore, detentore di un bene ricevuto in base ad un “contratto di leasing” che ne conservi la disponibilità inducendo in errore l’ufficiale, incaricato della sua riapprensione, mediante la falsa indica-zione del luogo della effettiva custodia, così impedendone il tempestivo recupero».

10 V. da ultimo Cass., sez. II, 9 luglio 2009, P.G. in proc. Calabrò ed altri, in CED Cass., n. 245291, con riguardo a condotta riferita all’emissione di decreto ingiuntivo. In termini, Cass., sez. II, 26 novembre 2002, Quattrone, in Cass. pen., 2003, 975; Cass., sez. II, 23 ottobre 2007, P.G. in proc. R., in Guida dir., 2007, n. 48, 93.

11 Di questo avviso DE VERO, Truffa processuale, cit., 592 ss. 12 In punto, CONTI, Frode processuale, in Enc. dir., XVIII, Milano, 1969, 161 ss.; PI-

SA, Frode processuale, in Dig. disc. pen., V, Torino, 1991, 333.

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Il delitto di truffa altrove 35

ai soli casi in cui il fatto non sia preveduto come reato da particolari dispo-sizioni di legge, e in punto si invoca la non specialità del delitto ex art. 640 c.p. 13. Del resto la norma di cui all’art. 374 c.p. in quanto norma pe-nale è fortificata dal vigore del divieto di analogia in malam partem, che impedisce di scavalcare la frammentarietà delle condotte tipizzate (di immutazione dello stato dei luoghi, delle cose o delle persone), che deb-bono essere rese nella sede e nel contesto di un atto di ispezione, di espe-rimento giudiziale, di perizia, ed aventi a referente il giudice o il perito

14. Vale a dire: la frode processuale prevede i soli modi d’inganno al giu-

dice che la legge ha creduto punire; e «non è già che l’inganno al giudice, come taluni ritengono cadendo per omaggio alla funzione in una super-stizione che la realtà smentisce, non sia possibile; ma la genesi storica dell’istituto, la sua analisi dogmatica, la sua coordinazione al complesso dell’ordinamento giuridico escludono che possa della truffa farsi una fi-gura di reato sussidiaria o integrativa della frode processuale»; perché – a tacere altro – «se l’art. 374 indica come bene giuridico offeso dall’in-ganno al giudice l’amministrazione della giustizia anche per i casi, in es-so previsti, di danno o pericolo al patrimonio del terzo (come avviene in quasi tutti i procedimenti civili) non si vede il motivo che dovrebbe spie-gare una diversa configurazione del delitto per questi altri inganni al giudice, che, punendosi quali truffe, apparirebbero lesivi di un tutt’altro bene giuridico (il patrimonio)»

15. Rimettendo ora mano a questo quadro di ostracismo rispetto al rico-

noscimento di una valenza penale dell’episodio “truffaldino” 16, si avverte

13 V. DE MARSICO, Delitti contro il patrimonio, cit., 154; Cass., sez. II, 26 novembre 2002, Quattrone, cit.

14 MANZINI, Trattato, cit., 720 s. In giurisprudenza Cass., sez. II, 26 gennaio 1970, Cammariere, cit.; Cass., sez. VI, 25 gennaio 1971, Cutini, in CED Cass., n. 117471; Cass., sez. II, 31 maggio 1976, Iannaccone, cit.

15 V. DE MARSICO, Delitti contro il patrimonio, cit., 154. 16 A sintetizzare le posizioni esplicate nel testo si cita Cass., sez. VI, 25 giugno 2001,

Scopacasa, cit.: «Si è completamente al di fuori dello schema del delitto di truffa, quan-do gli artifizi e i raggiri messi in atto siano destinati ad incidere sull’autorità ammini-strativa tenuta ad accertare una violazione amministrativa nell’ambito del procedimento per l’emanazione dell’ordinanza-ingiunzione di cui alla l. n. 689 del 1981. In tal caso, l’autorità che irroga la sanzione, non compie un atto che possa essere riguardato come un atto di disposizione patrimoniale, ma pone in essere un atto autoritativo che costi-tuisce manifestazione tipica dei pubblici poteri sanzionatori. Affinché sussista il reato, allorché il soggetto raggirato sia diverso dal soggetto danneggiato, occorre che fra i due esista un rapporto di rappresentanza legale o negoziale, per cui l’atto di disposizione compiuto sia in grado di incidere giuridicamente sul patrimonio del rappresentato. Pa-rimenti deve escludersi il reato di frode processuale. Tale fattispecie è limitata ai casi, del tutto peculiari e specifici, tassativamente indicati dall’art. 374 c.p. e richiede che i raggiri siano indirizzati ad un giudice o ad un perito».

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come le obiezioni critiche forgiatesi a contrastarlo si siano puntualmente soffermate a ragionare proprio sul versante dell’integrazione della tipici-tà delittuosa, lo stesso da cui hanno avuto l’avvio queste riflessioni.

Precisamente, in mezzo al dibattito ci si è accorti come in effetti il te-sto della frode processuale rimanga silente quanto al rilievo criminale da conferirsi/negarsi alla omonima truffa

17. Ancora con maggiore dettaglio: l’esistenza di un rapporto di specialità reciproca eletto a tessere le fila tra le due figure incriminatrici a confronto, rende certi di non poter asse-gnare alla clausola di sussidiarietà il ruolo di bilancia della soluzione

18, viepiù in un contesto di spiccata eterogeneità dei beni giuridici coinvol-ti

19, e peraltro a contatto con la pari gravità (addirittura maggiore nelle ipotesi di cui al comma 2) assegnata al delitto di truffa per effetto della previsione di una medesima cornice edittale

20. Fuori dal coro – a contraddire la tendenza “negativa” alla criminaliz-

zazione della truffa processuale – si è pure sostenuto che tocca valorizza-re l’efficacia della sentenza sul patrimonio dell’offeso, ancorché efficacia mediata e indiretta. Si tratta dunque di guardare alla vicenda partendo da un angolo prospettico diverso, quello che esalta il risultato effettivo e concreto dell’esercizio del potere giudiziario, ingiusto perché determina-

In termini anche Cass., sez. II, 26 novembre 2002, Quattrone, cit.: in applicazione di tale principio, la Corte ha affermato che non integra gli estremi dell’illecito penale la condotta del legale che intraprenda azioni legali avanti al T.A.R. avvalendosi di procure alle liti con sottoscrizioni apocrife degli interessati e che, all’esito vittorioso di dette azioni, quantifichi i propri compensi professionali per l’opera prestata utilizzan-do uno scaglione tariffario diverso da quello da applicare. Cfr. ancora, Cass., sez. V, 6 giugno 1996, Schiavone, in Cass. pen., 1998, 120; Cass., sez. VI, 6 novembre 1996, Or-tis, ivi, 1997, 3041. V. anche Cass., sez. V, 14 gennaio 2004, P.M. in proc. Bongioanini, in CED Cass., n. 228075: «Non sussistono gli estremi del reato di truffa (cosiddetta truffa processuale) nel chiedere e ottenere dal giudice tutelare l’autorizzazione alla vendita di un bene immobile di proprietà di un interdetto, sulla base di una falsa peri-zia estimativa, in quanto la suddetta autorizzazione, ancorché conseguenza della falsa perizia, non costituisce atto di disposizione patrimoniale dannoso per l’interdetto».

Per la giurisprudenza di merito v. App. Genova, 5 febbraio 1990, Mitolo, cit.; Trib. Torre Annunziata, 19 settembre 2000, Nodo, in Giur. merito, 2001, 1051; App. Firenze, 10 dicembre 1999, De Falco, in Foro toscano, 2000, 58; Trib. Nola, 22 dicembre 2006, in Corr. merito, 2007, 487.

17 BOSCARELLI, Sulla responsabilità penale, cit., 304 ss.; BATTAGLINI, Frode processua-le, cit., 164; RAGNO, Contributo, cit., 113 ss.; ANTOLISEI, Manuale, cit., 372; MANTOVANI, Diritto penale, cit., 201.

18 Per approfondimenti sul rapporto tra le norme si rinvia a PISA, Frode processua-le, cit., 333 ss.; PIFFER, I delitti contro l’amministrazione della giustizia. I delitti contro l’attività giudiziaria, in Trattato di diritto penale, a cura di MARINUCCI-DOLCINI, Padova, 2005, 514.

19 V. Cass. sez. un., 28 marzo 2001, Tiezzi, in CED Cass., n. 218873. 20 V. LONGO, Frode nella taratura di parcella e delitto di truffa, in Dir. pen. proc.,

2007, 509.

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Il delitto di truffa altrove 37

to dall’errore 21. O piuttosto quello che ravvisa nel rapporto fra giudice e

parte processuale una sorta di rappresentanza legale avente titolo nella costituzione in giudizio: con essa la parte si intende aver conferito al giudice un mandato implicito a disporre del proprio patrimonio, per cui con l’accettare espressamente le regole processuali si accetta anche, taci-tamente, la deminutio patrimonii che possa conseguire ad una pronuncia sfavorevole

22. Vero è che le controdeduzioni in rassegna non hanno spodestato,

nemmeno nel panorama applicativo, la radicata idea dell’inconfigurabi-lità dell’incriminazione in ipotesi, e nondimeno hanno segnato il terreno ove far maturare diversi fronti del dibattito e, all’esito, una divergente conclusione

23. S’è infatti accennato ad una prima chiave di volta della questione, vale

a dire la considerazione della centralità della “condotta costruttrice

21 ANTOLISEI, Manuale, cit., 371; MANTOVANI, Diritto penale, cit., 201. 22 V. RAGNO, Contributo, cit., 100 ss. 23 In altri ordinamenti la discussa versione processuale della truffa è pacificamente

accolta. Così, si richiama in via esemplificativa la sistematica penale tedesca – ove la consistenza tipica della truffa è concentrata sul (comportamento di) danneggiamento del patrimonio altrui inducendo o mantenendo un errore attraverso la simulazione di fatti falsi o l’alterazione o la soppressione di fatti veri (§ 263) –, v. LACKNER, § 263, in Leipziger Kommentar zum Strafgesetzbuch, Berlin-New York, 1979, 110, 305 ss.; TIE-

DEMANN, § 263, in Leipziger Kommentar zum Strafgesetzbuch, Berlin-New York, 1999, 113, 117; KINDHÄUSER, § 263, in Nomos – Kommentar zum Strafgesetzbuch, Baden-Baden, 2005, 209 ss. e giurisprudenza citata.

Per la codificazione spagnola, in cui l’incriminazione per truffa richiede l’utilizzo (per scopo di lucro) di inganni sufficienti a far cadere in errore inducendo a compiere un atto di disposizione in danno proprio o altrui (art. 248), si veda FERRER SAMA, Estafa procesal, in Anuario de Derecho Penal y Ciencias penales, 1966, 5 ss., 8; CEREZO MIR, La estafa procesal, ibidem, 179 ss. L’accoglimento della tipicità dell’ipotesi c.d. processua-le della truffa procede sulla scorta di una dimensione concettuale lata della disposi-zione patrimoniale, intesa come comportamento di manifestazione di una volontà della vittima che produce effetti sulla di lei situazione patrimoniale, così QUINTERO

OLIVARES, Comentarios a la Parte Especial del Derecho Penal, Madrid, 1999, 520. Quanto alle “truffe ed altri inganni” previsti nella costellazione normativa del di-

ritto penale cileno, accanto alla figura di base dell’art. 467, atta ad inquadrare «Chi froda un’altra persona riguardo alla sostanza, alla quantità o alla qualità delle cose che le consegna in virtù di un titolo obbligatorio», il codice prevede la figura generale residuale incorniciata nei “minori” tratti dell’art. 473, ove ricade «Chi froda o causa pregiudizio ad un’altra persona utilizzando qualunque tipo di inganno non menziona-to negli articoli precedenti di questo paragrafo». Entro questa tipicità la dottrina cile-na prevalente ammette la forma processuale, v. GRISOLÍA, La estafa procesal en el dere-cho penal chileno, in Revista Chilena de Derecho, 1997, 417 ss.; HERNÁNDEZ, Aproxima-ción a la problemática de la estafa, in AA.VV., Problemas actuales de derecho penal, Temuco, 2003, 156 s.; HERNÁNDEZ, La estafa triangular en el derecho penal chileno, en especial la estafa procesal, in Revista de Derecho, 2010, 201 ss. Per l’orientamento con-trario, YUBERO, El engaño en el delito de estafa, Santiago, 1993, 57 ss.

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I delitti contro il patrimonio e le tracce del sistema 38

dell’inganno” quale snodo dell’apparenza fenomenica di un fatto ricon-ducibile alla trama penale della truffa, necessario veicolo ed ingresso al consecutivo effetto patrimoniale.

Il passo è allora breve perché ci si appresti ad entrare nel cuore del-l’indagine progettata, ove sondare il comportamento dispositivo che la specifica tipicità penale di volta in volta pretenda reso dalla vittima del reato patrimoniale come “risposta” all’illecita altrui aggressione unilate-ralmente punita.

3. Pars costruens: la tipizzazione del comportamento necessario della vittima nel delitto ex art. 640 c.p.

Ripartendo dall’analisi testuale della disposizione sulla truffa se ne estraggono dunque, nell’ordine ed in sequenza, le componenti costitutive necessarie della dimensione oggettiva del reato: l’artificio o raggiro, l’induzione in errore e l’ingiusto profitto con correlativo altrui danno. Sennonché, le ricordate suggestioni dogmatiche, filtrate anche negli stra-ti giurisprudenziali, catalogando la truffa come reato a cooperazione ar-tificiosa della vittima, hanno esatto pure il ricorrere del fattore della “li-bera disposizione patrimoniale”, e quindi sostenuto la facile soluzione di inconfigurabilità della truffa processuale mercé la replica che esclude il provvedimento giudiziale dal novero dei liberi atti di gestione di altrui interessi

24. La portata descrittiva del precetto, arricchita di questa speciale “rea-

zione” al cospetto dell’artifizio o raggiro, si confronta tuttavia col silenzio letterale del disposto, e con la visione offerta da quelle pronunce che, al-largando le maglie del concetto di disposizione ritengono truffaldine le condotte: del passeggero che viaggiando sprovvisto di biglietto cerchi di eludere la vigilanza del conduttore

25; dell’automobilista, che esponga sul parabrezza dell’autovettura un disco contrassegno falsificato unitamente alla ricevuta

26; di chi convinca il creditore a rinunziare al proprio credito o a non protestare una cambiale dandogli ad intendere che il credito sia oramai prescritto o che il protesto non sia necessario per conservare l’azione cambiaria

27; del soggetto che ricorra all’espediente della simula-

24 V. Cass., sez. V, 14 gennaio 2004, P.M. in proc. Bongioanini, cit. 25 Cass., sez. III, 4 dicembre 1962, Ricci, in Cass. pen. mass., 1963, 618 s. 26 Cass., sez. II, 28 settembre 1989, Zito Giovanni, in Cass. pen., 1991, 778. 27 V. Cass., sez. II, 11 giugno 1971, Palma, in Arch. pen., 1972, 118, che ha ravvisato

il delitto di truffa a danno dello Stato per avere l’imputato ottenuto l’abbuono del-l’imposta di fabbricazione sugli spiriti, facendo risultare, con falsa documentazione,

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ta qualità di esportatore abituale – mediante l’artificiosa costituzione del c.d. plafond, ottenuto attraverso fatturazioni per operazioni inesistenti –, al fine di conseguire il regime agevolato dell’IVA sulle merci acquistate, con conseguente possibilità di rivenderle a prezzi maggiormente compe-titivi: si ravvede infatti nella mancata percezione di somme rilevanti un atto di disposizione da parte dell’Erario, sub specie di rinuncia all’esazio-ne dell’importo dovuto, con evidente nocumento patrimoniale in diretta dipendenza causale dagli artifici o raggiri posti in essere dall’agente

28. Quanto a dire, allora, che non richiedendosi nello specchio tipico del-

la truffa una specifica selezione del contro-comportamento messo in campo dal lato passivo, in effetti non si assiste a violazione dei principi di riserva di legge e di tassatività col ricongiungere al precetto dell’art. 640 c.p. la casistica già citata al pari della casistica integrante la truffa processuale

29. Pensieri “sparsi”, che pure trovano riscontro nelle più recenti linee

esegetiche seguite dalle Sezioni Unite, prestatesi ad avvalorare la confi-gurabilità “in teoria” della fenomenologia di specie.

Dottrina e giurisprudenza tradizionalmente concordano nel rilevare che il pas-saggio dall’errore agli eventi consumativi deve essere contrassegnato da un ele-mento sottaciuto dal legislatore, costituito dal comportamento “collaborativo” del-la vittima che per effetto dell’induzione arricchisce l’artefice del raggiro e si procu-ra da sé medesimo danno. La collaborazione della vittima per effetto del suo erro-re rappresenta in altri termini il requisito indispensabile perché ingiusto profitto e danno possano dirsi determinati dalla condotta fraudolenta dell’agente; e costitui-sce il tratto differenziale del reato in esame rispetto ai fatti di mera spoliazione da un lato, ai reati con collaborazione della vittima per effetto di coartazione dall’altro.

Tradizionalmente codesto requisito implicito, ma essenziale, della truffa quale fatto di arricchimento a spese di chi dispone di beni patrimoniali, realizzato tra-mite lo stesso grazie all’inganno, è definito “atto di disposizione patrimoniale”.

La definizione è tuttavia imprecisa, nel senso che apparentemente evoca cate-gorie civilistiche rispetto alle quali è impropria. Nulla nella formulazione della norma consente difatti di restringere l’ambito della “collaborazione carpita me-diante inganno” ad un atto di disposizione da intendersi nell’accezione rigorosa del diritto civile e di escludere, all’inverso, che il profitto altrui e il danno proprio o di colui del cui patrimonio l’ingannato può legittimamente disporre, sia realizza-to da costui mediante una qualsiasi attività rilevante per il diritto, consapevole e volontaria ma determinata dalla falsa rappresentazione della realtà in lui indotta. Più corretto e semplice è allora dire che per l’integrazione della truffa occorre, e basta, un comportamento del soggetto ingannato che sia frutto dell’errore in cui è caduto per fatto dell’agente e dal quale derivi causalmente una modificazione pa-trimoniale, a ingiusto profitto del reo e a danno della vittima.

che si erano realizzate le condizioni previste dalle specifiche leggi n. 458 del 1959 e n. 342 del 1960, impedendo in tal modo allo Stato di riscuotere le relative somme.

28 Cass., sez. V, 22 marzo 2005, Bencivenga, in CED Cass., n. 232286. 29 CAPPITELLI, Sull’ingiustificato ostracismo nei confronti della truffa processuale, in

Cass. pen., 2005, 2610.

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Se, insomma, il senso riposto dell’atto di disposizione è che il danno deve po-tersi imputare ad un’azione che viene svolta all’interno della sfera patrimoniale aggredita, causata da errore e produttiva di danno e ingiusto profitto, il profilo penalisticamente rilevante della cooperazione della vittima non deve necessaria-mente riposare nella sua qualificabilità in termini di atto negoziale e neppure di atto giuridico in senso stretto, bastando la sua idoneità a produrre danno. Il così detto atto di disposizione ben può consistere per tali ragioni in un permesso o as-senso, nella mera tolleranza o in una traditio, in un atto materiale o in un fatto omissivo: quello che conta è che sia un atto volontario, causativo di ingiusto pro-fitto altrui a proprio danno e determinato dall’errore indotto da una condotta arti-ficiosa. Non può per conseguenza in linea teorica escludersi che tale atto volonta-rio consista nella dazione di denaro effettuata nella erronea convinzione di dovere eseguire un ordine del giudice conforme a legge

30.

Gli attori del fatto messo al centro della decisione del Supremo Con-sesso risultano il legale di quindici dipendenti delle Ferrovie dello Stato, in favore dei quali il Pretore di Napoli aveva emesso sentenza di condan-na delle Ferrovie al pagamento della somma complessiva di lire 17.674.860, oltre accessori e spese legali, ed il Vice Pretore onorario della Pretura di Avellino con funzioni di Giudice dell’esecuzione. In concorso tra loro, questi avevano posto in essere una fittizia e artificiosa prolifera-zione di crediti strutturando un composito meccanismo “a fasi”: prima fase, la cessione all’avvocato dei crediti vantati dai lavoratori nei con-fronti delle Ferrovie dello Stato e liquidati nelle sentenze di merito, e la consecutiva cessione di siffatti crediti da costui a trentacinque associa-zioni di fatto aventi sede presso il di lui studio professionale, fittiziamen-te costituite al solo scopo d’illecita proliferazione; seconda fase, la pro-mozione di procedure esecutive da parte di tutte le predette associazioni, nella forma del pignoramento presso terzi (dodici soggetti) con l’inter-vento di ciascuna associazione nella procedura esecutiva promossa dalle altre; terza fase, preceduta dalla mancata riunione da parte del Giudice dell’esecuzione di tutte le descritte procedure, nonostante l’identità delle pretese, e dalla mancata verifica della legittimazione dei creditori istanti, culminata nell’emanazione di trentacinque ordinanze di assegnazione, in ognuna delle quali erano liquidate somme in favore di ciascuna delle trentacinque associazioni ed era altresì liquidata a titolo di spese del procedimento, in favore del legale, una somma calcolata sul valore com-plessivo di tutti i crediti azionati, in via diretta o per intervento, per complessivi 7 miliardi di lire circa; l’epilogo, con la notifica di oltre tre-mila precetti a tre terzi pignorati (istituti bancari e Poste), a mezzo dei quali veniva richiesta una somma complessivamente superiore a 4 mi-liardi.

30 Cass., sez. un., 29 settembre 2011, Rossi ed altro, cit., con commento di FALCI-

NELLI, Memento sulla tipicità penale dell’“atto di disposizione del patrimonio”, in Arch. pen., 2012, 705 ss.

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Il delitto di truffa altrove 41

Senza tracce di ambiguità, pertanto, la condotta dei due imputati va a ridescriversi nell’induzione in errore dei terzi pignorati quanto all’effet-tiva entità e spettanza dei crediti, e si erige così a condizione del conse-guimento dell’ingiusto profitto in ragione dell’avvenuto versamento al le-gale, da parte di terzi esecutati, di assegni e vaglia cambiari (seppur di importo tale da lasciare una somma residua oggetto dei precetti), con corrispondente danno patrimoniale di rilevante entità per il debitore Fer-rovie dello Stato s.p.a.

Un dettaglio dell’osservazione conduce peraltro a constatare come l’abnorme lievitazione delle spese era stata resa possibile dalla mancata verifica, ad opera del (concorrente) giudice dell’esecuzione, della legitti-mazione dei creditori procedenti e intervenuti, ovverosia delle trentacin-que associazioni di fatto; nonché dalla omessa riunione delle varie pro-cedure, alla quale il giudice doveva provvedere al fine di rendere operan-te il concorso dei creditori e dare corso a una procedura unitaria nei con-fronti di ciascuno dei terzi esecutati; infine, dalla liquidazione, a titolo di spese per ciascuno dei creditori in ognuna delle procedure, di una som-ma calcolata sul valore complessivo dei crediti azionati.

In questo tracciato l’analisi delle Sezioni unite viene concentrata sul-l’elemento legislativo “sottaciuto”, costituito dal comportamento “collabo-rativo” dell’indotto, il quale arricchisce l’artefice del raggiro procurandosi da sé medesimo danno; alla meta, finiscono per dilatarsi le maglie di una rete interpretativa che tradizionalmente rimane invece avvolta attorno ad un stretta definizione di “atto di disposizione patrimoniale”; questo “atto” ora si scopre il punto d’arrivo di un fatto di arricchimento a spese di chi di-spone di beni patrimoniali, il quale lo realizza in quanto destinatario dell’in-ganno. Così, la collaborazione della vittima per effetto del suo errore fini-sce per rappresentare il requisito indispensabile e differenziale del reato in esame rispetto ai fatti di mera spoliazione da un lato, e rispetto ai reati con collaborazione della vittima per effetto di coartazione dall’altro.

Allontanata dall’eco – apparente – delle categorie civilistiche, la “col-laborazione carpita mediante inganno” nel linguaggio della Cassazione si riporta dunque all’accezione di una disposizione patrimoniale realizzata dal legittimato-ingannato mediante una qualsiasi attività rilevante per il diritto, consapevole e volontaria ma determinata dalla falsa rappresenta-zione della realtà in lui indotta. In altri termini, la collaborazione è intesa quale comportamento del soggetto ingannato dal quale derivi causalmente una modificazione patrimoniale, a ingiusto profitto del reo e a danno della vittima.

Il profilo penalisticamente rilevante della cooperazione della vittima si vede insomma riposare sulla sua generale qualificabilità in termini di atto idoneo a produrre danno avente origine dall’interno della sfera pa-trimoniale aggredita. Sicché, anche a dire del Supremo Collegio, che se-gue in questo senso antesignane vedute, l’atto di disposizione ben può

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consistere in un atto materiale (paradigma, la traditio) come in un fatto omissivo, in un permesso occasionato dall’assenso come dalla mera tol-leranza. Il segno distintivo, in quest’ottica, si ferma sulla volontarietà di tale atto causativo di ingiusto profitto altrui a proprio danno, discenden-za dell’errore indotto da una condotta artificiosa: con la conseguenza – in linea teorica – del non potersi escludere che tale atto volontario consista nella dazione di denaro effettuata nella erronea convinzione di dovere ese-guire un ordine del giudice conforme a legge.

Un arresto “illuminato”, dunque, che non solo convince a valorizzare la causa – induttiva e fraudolenta – del comportamento dispositivo de quo, la cui tipicità prende forma solo in controluce rispetto alla inconsa-pevolezza della vittima relativamente agli effettivi e reali contorni della condotta dell’agente; ma anche dà lo slancio per inquadrare concreta-mente nel tipo di cui all’art. 640 c.p. proprio la forma processuale, su cui (pressoché univoche) si sono appuntate invece contrarie conclusioni.

Detto ciò, un rapido ritorno al passato dà pieno il senso della svolta che la decisione in apice decreta col legittimare astrattamente il supera-mento della cortina di negazioni alla punibilità penale delle ipotesi di truffa nel processo: ipotesi che l’esperienza fenomenica riscontra abi-tualmente nella casistica in cui una delle parti del procedimento giudi-ziario (civile, penale o amministrativo), inducendo in errore l’organo giudicante con raggiri ed artifizi, riesca o si proponga di conseguire una decisione con effetti favorevoli con pregiudizio per il patrimonio della controparte. Ragion per cui la peculiare connotazione dinamica della fat-tispecie al concreto vaglio della Corte, in cui il giudice non si trova in-gannato ma concorrente truffaldino, annulla giusto e solo lo sdoppia-mento (comunque compatibile col modello del delitto) fra soggetto in-dotto in errore e soggetto passivo del danno patrimoniale, l’uno e l’altro identificabili nella parte debitrice.

Di fronte all’indiziato scenario, sono allora due i principali percorsi di approfondimento che si diramano. L’uno va verso la truffa in generale, per misurarne la distanza strutturale rispettivamente dai fatti di rapina e da quelli di estorsione, e per definirne l’identità di reato “impropriamen-te” plurisoggettivo. L’altro, in sintonia con la ricostruita immagine gene-rale della truffa, va invece verso la truffa processuale in particolare, ove spetta indagare nuovi punti di osservazione.

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CAPITOLO IV

Oltre il delitto di truffa: epigrammi sull’atto di disposizione patrimoniale

in veste di “frammento” del fatto tipico

SOMMARIO: 1. Epigramma sulla truffa in generale: i “confini” della fattispecie. – 1.1. Sillabando l’atto di disposizione patrimoniale di rilievo penalistico. – 1.2. Dalla violenza alla frode, dal furto alla truffa. – 1.3. Segue: davanti ai verba della giuri-sprudenza. – 1.4. Viceversa, dalla truffa all’estorsione. Analogie ed idiosincrasie con la figura della rapina. – 1.5. L’“evento” di disposizione patrimoniale realizzato dal soggetto incapace. – 1.6. La contestualità tra azione e reazione: quanto a dire l’immediatezza (o meno) dell’atto dispositivo del patrimonio. – 1.7. Concludendo sul tipo di comportamento aggressivo all’altrui patrimonio come paradigma del Tatbestand. – 2. Epigramma sulla natura impropria del reato a plurisoggettività necessaria. – 2.1. Ritratti speciali di concorso (proprio ed improprio). – A) Del de-litto di trasferimento fraudolento di valori. – B) Dei delitti di collusione, concus-sione, corruzione. – 3. Epigramma sulla truffa processuale in particolare: un delit-to in cerca d’autore.

1. Epigramma sulla truffa in generale: i “confini” della fattispecie

L’argomentare corrente sulla truffa ritrae la falsa rappresentazione della realtà come avamposto giuridico e fattuale a che si realizzi la c.d. cooperazione artificiosa della vittima, momento caratterizzante (anche) la fattispecie delittuosa in questione; essa difatti – s’è detto – pretende a re-quisito di configurabilità il consenso del soggetto passivo che, fuorviato giustappunto dall’errore, si esterni in un atto di disposizione patrimoniale moralmente libero sebbene viziato

1. Ciò innesca la “prosecuzione” dell’iter criminis di un delitto che è destinato ad esaurirsi con la produzione dell’ingiusto profitto a favore dell’agente o di altri, pendant del danno del-

1 V. CORTESE, La struttura della truffa, Napoli, 1968; VIOLANTE, L’atto di disposizione nella truffa e la frode fiscale, in Ind. pen., 1980, 559; FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, cit., 181; MANTOVANI, Diritto penale, cit., 201 ss. Contra PECORELLA, Patrimonio (delitti contro il), in Noviss. Dig. it., XII, Torino, 1976, 643.

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I delitti contro il patrimonio e le tracce del sistema 44

la vittima “patrimoniale” che ne segna il momento consumativo 2.

Sulla sponda del Rubicone sta quindi l’integrarsi di un c.d. atteggia-mento dispositivo che è preteso esplicitamente o implicitamente in più d’una fattispecie incriminatrice posta a tutela del patrimonio, ove si pla-sma in funzione dell’atteggiamento “variamente aggressivo” dell’agente: nel senso che è quest’ultimo – in generale, subdolo o di contro patente – ad imporre al contro-comportamento della vittima una determinata veste ed un dato contenuto.

1.1. Sillabando l’atto di disposizione patrimoniale di rilievo penalistico

Nel vocabolario giuridico-penale la formula dell’atto di disposizione va dunque ad identificare l’operazione di trasferimento patrimoniale non provocata dall’aggressione unilaterale dell’agente, abbracciando ogni comportamento della vittima dotato di una propria efficacia di fatto, cui possa ricollegarsi un danno ingiusto con altrui profitto

3. La sua ampia latitudine lo lascia così aperto ad una vasta fenomenologia esemplificati-va, potendo consistere in atti abdicativi, estintivi, meramente esecutivi, attributivi, e potendo avere ad oggetto beni mobili, immobili, prestazioni d’opera, di servizio, di ospitalità.

La vastità dell’oggetto, e dell’effetto dell’atto, investe così anche il lato soggettivo della disposizione patrimoniale: per quanto riguarda l’“atto-re”, il dante causa “legittimato”, tale è chi capace, per l’ordinamento e le sue regole, di produrre effetti giuridici attraverso quella modalità com-portamentale, sebbene “altrimenti” privo di un potere dispositivo, come è per i casi di cui agli artt. 2 c.c. (atto dell’erede apparente), 1153 c.c. (alie-nazione, da parte del non proprietario, di un bene mobile all’acquirente in buona fede che ne acquista la proprietà), 1415 c.c. (atto dell’acqui-rente simulato)

4. Ben vede allora la dottrina che – minoritaria – non ri-tiene in effetti necessario individuare una particolare fonte del potere di disposizione

5, difettando l’art. 640 c.p. della previsione della natura ov-

2 Cfr. Cass., sez. un., 21 giugno 2000, Franzo ed altri, cit. 3 CORTESE, La struttura della truffa, cit., 1968, 180; ZANNOTTI, La truffa, cit., 85. 4 PEDRAZZI, Inganno ed errore, cit., 97. 5 Al di fuori dei confini nazionali la questione in ordine al tipo di relazione che de-

ve sussistere tra il disponente ed il patrimonio pregiudicato, nell’ambito della truffa, è risolta attraverso la teoria che esige l’esistenza di una legittimazione giuridica dalla maggiore opinione spagnola (v. PASTOR MUÑOZ, La determinación del engaño típico en el delito de estafa, Madrid-Barcelona, 2004, 68, 80, 174, 178; BACIGALUPO, Falsedad do-cumental, estafa y administración disleale, Madrid-Barcelona-Buenos Aires, 2007, 174; CHOCLÁN MONTALVO, El delito de estafa, Barcelona, 2009, 190) ed in Germania dall’ori-

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Oltre il delitto di truffa 45

vero della qualifica del soggetto dell’atto in questione 6; piuttosto, la qua-

lifica giuridica della vittima, come l’identità contenutistica della disposi-zione, si delinea con la cartina al tornasole del danno patrimoniale subi-tone per effetto

7; insomma, l’ossimoro dell’agente passivo non viene iden-tificato con le categorie del possessore o del proprietario, ma è connotato dagli ampi abiti del titolare di un diritto/potere – quello leso – economi-camente valutabile

8. All’esito, dell’atto di disposizione si percepisce il carattere “concet-

tualmente unificante” nella misura in cui lo si riconosca attraversare l’intera sistematica codicistica dei reati contro il patrimonio: esso si pone come requisito positivo – esplicito in talune fattispecie (estorsione, usu-ra, circonvenzione di incapaci, frodi minori) ed implicito, ma non meno essenziale, in altre (truffa, insolvenza fraudolenta) – che caratterizza le figure di aggressione realizzate con la cooperazione della vittima; ma si dimostra pure requisito costitutivo negativo delle ipotesi di aggressione

entamento che vuole l’accettazione da parte del titolare del patrimonio che la disposi-zione “propria” sia realizzata dal terzo (Ermächtigungstheorie e Befugnistheorie, v. SCHÜNEMANN, Methodenprobleme bei der Abgrenzung von Betrug und Diebstahl in mit-telbarer Täterschaft, in GA, 1969, 53 s.; KINDHÄUSER, Strafgesetzbuch. Lehr-und praxi-skommentar, Baden-Baden, 2002, 151). La dottrina tedesca si apre d’altro canto con favore verso teorie essenzialmente “fattuali”, quali la Näheteorie – attenta alla effettiva disponibilità della cosa antecedente all’inganno, cfr. OFFERMANN-BURKART, Vermögen-sverfügungen Dritter im Betrugstatbestand, Berlin, 1994, 148 ss.; KÜPER, Strafrecht. Be-sonderer Teil, Heidelberg, 2005, 391 – e soprattutto la Lagertheorie, che vuole il terzo ingannato ubicabile entro il “campo” del titolare del patrimonio, vale a dire pertinente al medesimo circolo di potere dal quale la cosa proviene, v. SCHRÖDER, Über die Abgrenzung des Diebsthals von Betrug und Erpressung, in ZStW, 60, 1941, 33 ss.

6 CORTESE, La struttura della truffa, cit., 190; DE VERO, Truffa a tre soggetti, cit., 166. 7 V. MANTOVANI, Contributo, cit., 198: «Una volta ammesso che la truffa è usurpazio-

ne operata con l’altrui consenso, è del tutto conseguente affermare che una truffa sussi-ste in quanto l’usurpazione è consentita e che, pertanto, il danno da essa richiesto deve essere quello insito nell’atto di disposizione e non un qualsiasi danno dovuto ad un fatto connesso di usurpazione, non ricoperto dal consenso di chi lo subisce. In altri termini l’atto di disposizione patrimonialmente pregiudizievole, che è requisito essenziale della truffa, è soltanto quello voluto, sia per quanto riguarda l’oggetto materiale, sia per quan-to riguarda il contenuto e il potere ad altri trasmessi sulla cosa». Ancora (op. cit., 211 s.), l’Autore precisa che, se occorre che l’atto di disposizione sia la conseguenza dell’espe-diente dell’agente, occorre verificare il processo di determinazione psicologica della vit-tima, controllabile solo in via induttiva, attraverso illazioni presuntive (relative) solida-mente fondate; tra questi indici esterni, primo ed attendibile è quello «offerto dal fatto che l’atto di disposizione sia stato compiuto. Le modalità dell’atto rendono pressoché sicura l’illazione», a seconda che ci sia oggettivo squilibrio di valori rispettivamente a favore o meno della vittima della frode, se l’adempimento dell’obbligazione è avallato da precise garanzie, si dimostrerà se la manovra ha o meno funzionato nel senso di impe-dire o alterare la reale rappresentazione del rischio.

8 V. CORTESE, La struttura della truffa, cit., 183.

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unilaterale. L’“atto” supera così la duplicità dell’alternativa logica, per molti versi sfuggente, messa a base della tutela penale del patrimonio: ovvero l’opzione della violenza e della frode quali modalità comporta-mentali prestate ad essere utilizzate in differenti direzioni, o per carpire il consenso della vittima al trasferimento di valori patrimoniali oppure soltanto per agevolare o rendere possibile l’aggressione immediatamente diretta sulla cosa, senza passare in alcun modo attraverso il consenso del soggetto passivo

9. Emerge quindi un significato assolutamente centrale del c.d. atto di disposizione, decisivo degli effetti patrimonialmente pre-giudizievoli del fatto, e concretizzazione di quella collaborazione della vittima che non è puramente meccanica, e dovuta alle male arti del reo

10. Si scandisce in questi termini il superamento di quell’angusta tradi-

zione che spontaneamente ha sovrapposto l’offesa “unilaterale” alle no-zioni di violenza reale e di violenza personale fisica, lasciando la minac-cia e la frode alla sfera delle offese che postulano l’atto di disposizione della vittima

11; e si approda ad una conclusione che intende “generaliz-zare” la cooperazione passiva come postulante «una volontà cosciente, pur se viziata; con la precisazione che la frode non deve aggirare la vo-lontà, ma agire su di essa, insidiandone la motivazione e strappandole per tale via una decisione nociva»

12. Da questa riflessione preliminare si stacca dunque l’opportunità – non

certo mero esercizio dialettico – della rimessa in discussione della reale identità di un simile effetto dispositivo, che consegua (esemplificativa-mente) ad una condotta estorsiva o di rapina o ancora al comportamento ingannatorio qui più direttamente all’attenzione.

In proposito, lo scontro di opinioni è ancora fluido su molteplici livelli. Si badi come mentre taluni autori richiedano nel soggetto ingannato il mero impulso cosciente che sorregge l’atto nella sua materialità, altri ri-tengano che il coefficiente psicologico del comportamento dispositivo si proietti anche sulle effettive sue conseguenze pratiche. Così, a seconda del-la prima ovvero della seconda impostazione, dinanzi ad errore ostativo in forza del quale la dichiarazione ovvero l’atto reale dell’ingannato assuma obiettivamente un significato ed una portata diversi da quelli che l’autore intendeva imprimergli, la truffa si ritiene – drasticamente – configurabile

13

9 MANTOVANI, Contributo, cit., 179. 10 Si veda l’acuta trattazione di MANTOVANI, Contributo, cit., e già di PEDRAZZI, In-

ganno ed errore, cit., 61 ss. 11 Per le nozioni penalistiche di violenza e frode si rinvia a PISAPIA, Violenza minac-

cia e inganno nel diritto penale, Napoli, 1940. 12 MANTOVANI, Contributo, cit., 198. 13 MARINI, Profili della truffa nell’ordinamento penale italiano, Milano, 1970, 161 s.

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o piuttosto non configurabile 14. A monte di questa seconda opzione sta in-

fatti la considerazione per cui in un simile frangente la volontarietà della condotta non rimane semplicemente viziata ma è addirittura esclusa, per cui, frutto di una coazione assoluta, essa sarà destinata a ricevere prote-zione penale entro la tipicità della sottrazione furtiva

15. L’esempio scola-stico è quello che descrive Tizio mentre induce Caio a regalargli un vestito ben sapendo che egli ha ivi dimenticato delle banconote, per cui l’occorso trasferimento della somma di denaro avviene all’insaputa di quest’ultimo; è aderendo alla seconda tesi che la truffa non potrà intendersi configurabi-le

16; aderendo alla prima invece la responsabilità di Tizio risulterà ricono-scibile proprio alla stregua del paradigma ex art. 640 c.p. 17.

1.2. Dalla violenza alla frode, dal furto alla truffa

Va allora rinsaldata l’idea che è a cardine: il vincolo di strumentalità che sorregge l’intelaiatura del delitto de quo, rendendo l’artifizio-raggiro il mezzo necessario per tipizzare l’offesa al patrimonio della vittima, ne segna il confine con le coeve norme del furto, della rapina, dell’estorsio-ne, della concussione, in cui l’aggressione patrimoniale trova una sceno-grafia ben diversa.

A distinguere la truffa rispetto alla fattispecie del furto sta infatti l’elemento della sottrazione invito domino, nel senso che unico protago-nista del comportamento efficiente alla causazione del danno mediante spossessamento nel furto è il reo: la figura tipica della truffa si apre inve-ce sulla alternativa facciata della consapevolezza circa il “peculiare” con-tatto materiale/giuridico tra il reo ed il bene da preservare, contatto che pur viene immaginato come legittimo ed in quest’ottica “coadiuvato” dall’interazione di chi, così, indotto in errore

18. L’illustrata dicotomia, del resto, riflette in una linea di mera disconti-

nuità verbale la didascalica partizione codicistica dei due lati dei delitti contro il patrimonio: su uno sta la violenza, sull’altro si colloca la frode

19.

14 PEDRAZZI, Inganno ed errore, cit., 145 s.; DE VERO, Truffa processuale, cit., 673 s.; MANTOVANI, Diritto penale, cit., 202.

15 PEDRAZZI, Inganno ed errore, cit., 155 s. 16 MARINI, Truffa (diritto penale), in Noviss. Dig. it., XIX, Torino, 1973, 882. 17 CORTESE, op. cit., 176; PEDRAZZI, Inganno ed errore, cit., 130. 18 Cfr. Cass., sez. V, 1 giugno 1999, Montaruli, in Riv. pen., 1999, 648. 19 Nella Relazione del Ministro Guardasigilli on. Alfredo Rocco, in Lavori preparatori

del codice penale e del codice di procedura penale, V, pt. II, Roma, 1929, 735, si legge: «La nozione della violenza alla quale ha riferimento la classificazione dei delitti contro il pa-trimonio … va intesa in senso largo, quale contrapposto alla frode, ossia, … va riscontrata

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Trattasi di una “duplicità” il cui significato si è nel tempo variamente in-teso, con l’ausilio di criteri esegetici diversi eppure tutti accomunati da un intendimento in senso largo della violenza, giustapposta alla frode. Sviluppando la premessa va detto che la violenza viene ad essere «riscon-trata in qualsiasi energia fisica diretta alla cosa, per la consumazione del reato ed annullando rispetto ad essa l’attività difensiva del titolare; men-tre la frode è estesa a tutte quelle ipotesi nelle quali la condotta crimino-sa perviene all’evento eludendo la difesa del titolare e volgendo spesso a proprio vantaggio la stessa attività di lui»

20. La violenza finisce allora in-terpretata in un duplice significato: come mezzo per realizzare l’evento, e come effetto dell’evento. Nel primo aspetto è elemento costitutivo (ad es. della rapina) o circostanza aggravante (già nel furto con violenza alla persona); nel secondo, è lo spostamento che la cosa subisce nel mondo esterno in conseguenza dell’azione del colpevole. Quando si parla, al con-trario, di frode, si riconosce come ad accompagnarla possa anche non esservi un mutamento del mondo esteriore. Così – si esemplifica – nella truffa, reato tipico della categoria: se si ottiene il rilascio di una cambiale mediante raggiri, vantando alte relazioni e promettendo di impiegarle a favore di un terzo, non si avrà spostamento fisico di cosa fisica, essendo la cambiale soltanto un titolo di credito, ma si avrà pur sempre la lesione della libertà del consenso altrui

21. Eppure, già solo a confrontarsi con la figura tipica del furto – emble-

maticamente violenta nel senso della categoria codicistica – non si rin-viene l’immagine di una violenza capace di tracciare di netto il confine con la frode: non v’è nel mezzo, non essendo contemplata nell’art. 624 c.p. una condotta di violenza reale o personale, né dirimente è l’effetto di spostamento fisico del bene, che ben potrebbe risultare anche al seguito di una condotta fraudolenta.

In una diversa prospettiva, la frode si è detta comportamento lesivo dei diritti soggettivi patrimoniali che si manifesta “in apparente aderen-za” al modello contrattuale; della violenza si è invece sintetizzato il senso di comportamento di aggressione fisica e naturalistica sulle cose, di inci-denza materiale immediata sulle cose stesse

22. Con altre parole, dal lato

in qualsiasi energia fisica diretta alla cosa, per la consumazione del reato. È qui opportuno rilevare che anche il significato della frode, assunto a criterio di classificazione, non è ri-stretto all’uso di mezzi atti ad ingannare o sorprendere l’altrui buona fede, ma è esteso a tutte quelle ipotesi, nelle quali la condotta criminosa, per raggiungere il risultato dannoso all’altrui patrimonio, non realizza un’attività fisica in rapporto diretto con la cosa, ma per-viene all’illecito arricchimento con la violazione arbitraria degli altrui diritti».

20 DE MARSICO, Delitti contro il patrimonio, cit., 16 s. 21 DE MARSICO, op. ult. cit. 22 SGUBBI, Uno studio sulla tutela penale del patrimonio, cit., 150.

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violento si hanno «comportamenti che vivono e si manifestano in una dimensione tutta fattuale», dall’altro lato, fraudolento, si hanno forme di attacco illecito al patrimonio altrui che si estrinsecano in modalità as-somiglianti in un qualche modo (anche alla lontana) alle regole giuridi-che concernenti il trasferimento intersoggettivo delle cose e dei diritti 23.

La deduzione teorica vuole dunque cogliere nei primi casi l’essenza di «comportamenti svincolati da un qualsiasi rapporto (pregresso o attuale) giuridicamente significativo fra l’autore e la vittima; ovvero fra l’autore e la cosa»; «comportamenti che si svolgono esclusivamente con modalità e “mezzi” naturalistici, che implicano un’attività – si può dire – manuale dell’agente»; «comportamenti, inoltre, che vanno ad incidere su una si-tuazione puramente fattuale: vanno ad infrangere, a spezzare, una rela-zione puramente di fatto fra la vittima e la cosa; rompono quel rapporto di semplice detenzione fattuale che un determinato soggetto aveva con una determinata cosa». Tali si manifestano come “energia fisica diretta alla cosa” e non come “violazione arbitraria degli altrui diritti”, per commettere la quale bisogna, invero, pur sempre essere in grado di porsi con altri (con la vittima) in una relazione giuridicamente qualificata

24. La validità di un simile impianto suscita tuttavia interrogativi critici a

pensare come in realtà i due termini lasciati in antitesi suggellino la di-stinzione tra due modalità comportamentali di commissione del fatto ti-pico, e siano dunque frammenti della più complessa “apparenza feno-menica” del fatto di reato, elementi che compongono l’interezza del sen-so offensivo impresso nella norma

25 distinto per natura e contenuto dai singoli suoi ingredienti. Ma violenza e frode, per come classicamente let-ti, non sembrano entrare coerentemente nella descrizione di questo sen-so offensivo. Si badi, difatti, come tale significato s’è detto consistere ora nella lesione del valore umano (per chi scrive, è libertà di scambio di quel valore) del possesso di diritti patrimoniali, quale «possibilità di fatto di esercitare il contenuto di un diritto, reale o personale, fornito dell’apparen-tia iuris relativa»

26, avente per contenuto una valorizzazione economica della cosa; ora nella lesione del valore umano del possesso di cose, che «in termini penalistici va inteso come relazione soggetto-cosa che si esplica in modo autonomo»

27, in altre parole «come la possibilità di fatto di ave-re la cosa a propria disposizione, in modo da poter esplicare su di essa una volontà di autonomo sfruttamento economico»

28.

23 SGUBBI, op. ult. cit. 24 SGUBBI, op. cit., 151. 25 NUVOLONE, Il possesso, cit., 84. 26 NUVOLONE, op. cit., 87. 27 SGUBBI, op. cit., 189. 28 NUVOLONE, Il possesso, cit. 84.

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Mutando la prospettiva, il nesso tra tipicità ed offensività penale si percepisce invece più chiaramente: guardando al rilievo della condotta del reo fautrice del danno, melius artefice della catena di circostanze fat-tuali che fino al danno accompagnano, si arriva difatti a declinare la ri-partizione tra violenza e frode proprio come assenza/presenza di un con-diviso rapporto tra soggetto attivo e bene, in quanto instauratosi in as-senza/apparente coerenza di vedute ed interessi con la vittima del reato

29 al momento del perfezionarsi del fatto illecito.

Una volta disegnato questo orizzonte, del resto, nemmeno vale più di-stinguere tra delitti di aggressione unilaterale e delitti con cooperazione artificiosa della vittima: formula peraltro inadatta ad avvinghiare tutti gli illeciti appartenenti a ciascuna delle singole sottocategorie positive (di violenza e di frode), tradotta come è nella giustapposizione tra casi in cui l’evento dannoso si verifichi per effetto di una condotta posta in essere unilateralmente dal reo (furto, danneggiamento) e casi in cui il danno si determini mediante la cooperazione del soggetto passivo del reato

30. Il binomio classificatorio, oggetto di profonda elaborazione

31, guarda ap-punto alla posizione assunta dal soggetto passivo: a seconda che egli si limiti a subire il reato quale semplice spettatore o piuttosto sia anche uno dei protagonisti del fatto, contribuendo egli stesso a produrre il ri-sultato patrimonialmente pregiudizievole. In altri termini, si intende che mentre «estorsione e truffa roteano intorno a nozioni (“costrizione”, “in-duzione”), che indicano comportamenti incidenti immediatamente sulla sfera volitiva del soggetto», il furto e la rapina fanno invece perno sul concetto di “sottrazione”, che «designa piuttosto un comportamento di-retto immediatamente sulla cosa e che la legge persiste nel tener fermo, pur quando prevede che l’agente faccia convergere nell’immediatezza dell’attacco patrimoniale gli espedienti della violenza e della frode»

32. Le considerazioni fin qui argomentate lasciano piuttosto in chiaro una

diversa ed unitaria chiave di lettura del fatto: una lettura “complessiva”,

29 V. CARNELUTTI, La tutela penale della ricchezza, in Riv. it. dir. pen., 1931, 13, che distingue tra reati di sottrazione senza consenso (furto, sottrazione di cose comuni, rapina, usurpazione, deviazione di acque e modificazione dei luoghi, introduzione o abbandono di animali, ingresso nel fondo altrui) e reati di sottrazione col consenso viziato (truffa, fraudolenta distruzione di cosa propria, circonvenzione di incapaci).

30 V. in argomento CARNELUTTI, La tutela penale, cit., 13; PEDRAZZI, Inganno ed erro-re, cit., 41; nonché GRISPIGNI, Diritto penale italiano, Milano, 1947, 160 ss., il quale po-ne la somma distinzione delle condotte criminose tra azioni influenti sulla persona ed azioni influenti sulle cose; in particolare distinguendo tra modificazione o estinzione immediata e modificazione o estinzione mediata dalla relazione, a seconda che siano effetto diretto della condotta dell’agente o avvengano attraverso la determinazione da parte di questi della condotta di altri.

31 V. in particolare e per tutti MANTOVANI, Contributo, cit., 56 ss. 32 MANTOVANI, Contributo, cit., 174 s.

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non potendosi l’interprete accontentare di vedere un certo atteggiamento del reo o di verificare solamente la risposta comportamentale della vitti-ma. Di contro, è la somma e la consecuzione di questi fattori a poter forni-re gli strumenti per una corretta visuale dell’accadimento descritto nella singola fattispecie, ove il “ruolo-effetto” comunque assolto dal soggetto passivo dell’aggressione, violenta o clandestina, è esattamente l’altra faccia della condotta-causa strumentalizzata da parte dell’agente.

Ad attestare la validità di questo pensiero sembra prestarsi proprio lo sforzo interpretativo che ha accompagnato la chiarificazione degli estre-mi dell’ipotesi furtiva, con ciò staccandola dai margini della vicenda di cui all’art. 646 c.p. In brevi passaggi, la vittima del furto si designa quale detentore, egli trovandosi nella possibilità, attuale ed immediata, od an-che soltanto virtuale ma pur sempre effettiva, di disporre, di signoreggia-re fisicamente la cosa. Ciò – si intende in dottrina – avviene non solo quando il soggetto tiene la cosa in mano o nella propria sfera di accessi-bilità fisica diretta, ma fino a quando conservi, assieme alla volontà, la possibilità di ristabilire, quando lo voglia e indipendentemente dalla enti-tà degli ostacoli di tempo e di spazio, il contatto fisico con la cosa. Si può quindi rilevare come la nozione di possesso di cui all’art. 646 c.p., che in origine qualifica lo stato della vittima rispetto alla posizione del reo, vie-ne ad essere differenziata dalla detenzione – ciò giustificando il diverso linguaggio legislativo – in quanto ne restringe la portata ad una relazione di fatto derivante da una causa lecita e supportata da un coefficiente psi-cologico consistente nell’animus di tenere la cosa nomine alieno (non importa se nell’interesse proprio o del titolare)

33. Così, si conclude, l’area applicativa del furto finisce esattamente dove

inizia quella della appropriazione indebita, l’una o l’altra ipotizzabili a seconda che il domestico detenga la cosa sotto la vigilanza del padrone o sia lasciato a custodia della casa; a seconda che il facchino trasporti il bagaglio accanto al viaggiatore o venga incaricato di effettuare il traspor-to per proprio conto; a seconda che lo studente consulti il volume nella biblioteca o l’abbia ottenuto a prestito a domicilio

34. Cotante riflessioni condividono allora la stessa linea di fondo che ha

guidato il ragionamento di queste pagine: la condotta spesa nel contesto del fatto incriminato da chi alfine vittima patrimoniale deve in ogni caso essere guardata, e deve essere guardata seguendo le trame di “quella” tipicità pe-nale, che esattamente statuisce punito, definendone i lineamenti, solo il comportamento commesso dal reo. Ovvero: se la condotta “collaterale”, che è la condotta del soggetto passivo, vale sempre e comunque a “codice nor-mativo” per identificare – anche secondo una spiegazione intrasistematica – l’effettivo atteggiamento speso in concreto dal reo, allora parlare di ag-

33 MANTOVANI, Contributo, cit., 97 s. 34 MANTOVANI, op. ult. cit., 98.

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gressione unilaterale o – diremmo – ausiliata/cooperata dalla vittima non sposta il dato per cui punito è l’attacco – di volta in volta tipizzato – messo in campo dall’agente, che scopre la sua identità proprio allo specchio dell’effetto-reazione innescato nella vittima destinataria; né sposta il dato per cui solo tale attacco cade nella sfera dell’offensività criminalizzata.

1.3. Segue: davanti ai verba della giurisprudenza

Si può dunque concludere come la descritta eterogeneità della con-dotta delittuosa che intacca l’altrui patrimonio, “nominativamente” rias-sunta (secondo la dicitura codicistica) nell’alternativo quadro della vio-lenza o della frode, esprime l’incompatibilità ontologica dei fatti così di-stintamente modulati, privi di un nucleo comportamentale comune; di tal ché giunge a violare il principio di correlazione tra l’imputazione e la sentenza una “conversione” operata tra la truffa, quale reato contestato in imputazione, ed il furto aggravato dall’uso del mezzo fraudolento, quale delitto ritenuto in sentenza.

La dinamica giurisprudenziale ho offerto in proposito un non recente caso, per il tramite di un episodio avente a protagonista un sedicente geometra dipendente comunale, accompagnato da altrettanto sedicente argentino (o sudamericano), che dichiarava alle anziane persone offese di essere momentaneamente in transito in città per effettuare una dona-zione a favore di un ente con finalità benefiche o umanitarie; i due, fatti-si accompagnare presso un ufficio anagrafe per rilevare l’indirizzo di un notaio e assumendo quindi di non averlo reperito, proponevano alla per-sona avvicinata di affidare a lui le somme da donare con l’incarico di eseguire la donazione, e lo inducevano così di seguito a prelevare rilevan-ti somme di danaro per provare la propria solvibilità; riuscivano quindi a far allontanare la vittima con pretesti, generalmente costituiti dall’invito ad acquistare valori bollati per le redigende pratiche, e a quel punto si davano alla fuga con la somma prelevata dalla vittima

35. La conclusione assunta nella sentenza sul caso si è appuntata sul-

l’espressione «consegnava il denaro», costantemente riportata nei capi di imputazione, intesa «né nel senso giuridico né nel senso naturalistico di mettere le somme nelle mani di», trasferendone il possesso materiale: le somme di danaro che le persone offese prelevavano – scrive la motiva-zione – rimanevano nella loro disponibilità anche dopo il ritorno sul-l’autovettura utilizzata dall’imputato per la consumazione dei reati.

Così si procede alla svolta. A mente dell’organo di legittimità il fatto che il furto sia aggravato da un elemento comune alla truffa, quale l’atteg-giamento fraudolento volto ad ingannare la vittima, non può deviare l’at-

35 Cass., sez. IV, 18 settembre 1997, Grillo, cit.

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tenzione dalla diversità del risultato che l’agente di volta in volta si ripro-metta di conseguire con l’artificio o raggiro: nella truffa l’obiettivo è otte-nere il consenso della persona offesa all’atto di disposizione patrimoniale; nel furto è facilitare l’aggressione unilaterale e quindi la sottrazione del bene. A questo secondo obiettivo, come ritenuto dal Pretore

36 e conferma-to dalla Corte di Appello, tendeva l’invito ad acquistare i valori bollati oc-correnti per formalizzare l’affidamento dell’incarico, rivolto dall’imputato alle persone offese; in sostanza uno stratagemma per farle allontanare dal luogo in cui avevano lasciato le banconote, in precedenza prelevate e non ancora consegnate, e poterne quindi conseguire agevolmente il possesso, evidentemente non ancora iniziato. Viceversa, il detto invito a recarsi ad acquistare valori bollati, nella lettura dell’imputazione – scrivono gli Er-mellini – viene descritto e narrato in veste di post factum tendente ad assi-curare il possesso delle banconote, evidentemente già ritenuto conseguito con la consegna volontaria delle stesse da parte delle persone offese prima del loro allontanamento. Agli occhi del giudice di legittimità la frode di cui in imputazione consiste dunque nei raggiri precedenti al contatto con la res (somma di denaro illecitamente acquisita), nella manifestazione dell’intenzione di donare, nell’esibizione di banconote, nella apparente ri-cerca infruttuosa del notaio, ecc.: raggiri tutti tesi ad indurre in errore le persone offese e ad ottenerne il consenso. Mentre a stare (anche) alla sen-tenza d’appello impugnata la frode è cominciata con quegli atti ma è poi culminata con l’invito ad acquistare i valori bollati e quindi ad allontanar-si: questo sarebbe il raggiro decisivo, perché rende possibile la sottrazione e l’impossessamento, quelli sono raggiri preparatori, rilevanti da soli al più come tentativo.

Nella decisione del Supremo Consesso il discorso si chiude allora con l’evidenza dell’incompatibilità tra le due ipotesi, la truffa (di cui in impu-tazione) non contenendo gli stessi elementi del furto aggravato dall’uso del mezzo fraudolento (di cui alla sentenza di merito). In particolare, stante il fatto truffaldino non v’è margine per ritenere la configurabilità della sottrazione, che è un elemento denotante la maggiore gravità della condotta (ed infatti il furto così aggravato è sanzionato con una pena de-tentiva doppia, nel minimo e nel massimo, rispetto a quella della truffa); sottrazione che si sorregge sulla mancanza di un consapevole consenso quanto al sussistere di una precisa relazione materiale tra soggetto attivo e bene, invece e di contro correttamente rappresentata ex art. 640 c.p. nello stato di fatto in cui appare ed alla cui falsata qualificazione soccor-re solo l’artificio del truffatore.

Coerenti considerazioni conducono allora a reimpostare la qualifica-zione finale della fattispecie rammentata, proprio alla volta della figura truffaldina, preso atto di come sia riscontrabile la sussistenza di una

36 Pret. Roma, 31 maggio 1995, Mauro, in Foro it., 1997, II, 201.

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“esatta rappresentazione” del contatto materiale di specie e del consenso scaturito riguardo ad esso.

Lo stesso ragionamento conduce di seguito a rovesciare anche la con-traddittoria affermazione giurisprudenziale che sentenzia integrato il de-litto di furto aggravato dall’uso del mezzo fraudolento, e non quello di truffa, nella condotta di chi, manifestando interesse all’acquisto di un veicolo, richieda alla vittima di provarlo dandosi repentinamente alla fu-ga a bordo del medesimo

37; ed ancora nella condotta di colui che si fac-cia consegnare, adducendo un pretesto che implichi l’intesa di un’imme-diata restituzione, un bene (nella specie un anello di brillanti ed un tele-fono cellulare) e riparta d’improvviso con la propria auto

38. Segue, lo scolastico esempio del facchino mero detentore del bene e

privo di autonomo potere sui bagagli, che scappa con le valigie conse-gnategli dalla vittima per il trasporto: nell’improprio concludere della giurisprudenza si avrebbe furto in questo come in altro caso, di chi chie-de ad un passante l’uso del telefono cellulare in ragione di una emergen-za occorsa ad un familiare e ottenutane la consegna si dia alla fuga

39. A dare ancora seguito al proposto parametro neppure si avrà furto, e

bensì truffa, nell’ipotesi di colui che in un negozio di vendita al minuto chieda di acquistare della merce e, avutane la disponibilità materiale da parte del negoziante, si allontani con la stessa senza pagarne il prezzo (fattispecie nella quale un tabaccaio aveva posto sul bancone, dopo aver-le prelevate da uno scaffale, le stecche di sigarette richieste dal cliente, poi allontanatosi con la merce senza pagare, mentre l’esercente provve-deva a servire altri avventori)

40. D’altronde, lo stesso ragionamento si allinea alla qualificazione nei

termini di furto aggravato dalla frode della condotta consistita nell’occul-tamento sulla propria persona, o su accessori o borse, della merce che l’agente abbia prelevato dai banchi di un esercizio commerciale operante col sistema del prelievo self-service

41.

37 Nel senso che tale condotta integri uno spossessamento invito domino, che ca-ratterizza il delitto di furto ed è invece assente nella truffa in cui il possesso della res si consegue con il consenso della vittima, Cass., sez. II, 21 gennaio 2009, Busato ed al-tro, in Riv. polizia, 2010, 222.

38 Cass., sez. V, 17 giugno 2008, J.G., in CED Cass., n. 241588, che ravvede nella condotta descritta l’integrazione dello spossessamento “invito domino”, poiché il sog-getto passivo si è privato materialmente del bene in via del tutto provvisoria e senza la volontà di spossessarsene, mantenendo anzi con la propria presenza il controllo su di esso, vanificato dall’improvviso dileguarsi dell’autore del reato.

39 Cass., sez. II, 12 dicembre 2003, Guida, in Riv. pen., 2005, 215. 40 Cass., sez. V, 16 maggio 1995, Lia, in Cass. pen., 1995, 3352. 41 V. Cass., sez. V, 27 aprile 2011, n. 27376, F.M., in Sistema Leggi d’Italia profes-

sionale, decidendo su fattispecie in cui erano stati sottratti dai banchi di un centro commerciale alcuni oggetti, occultati all’interno di una scarpiera acquistata nello stes-so contesto e regolarmente pagata.

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Oltre il delitto di truffa 55

Ampliando da questa sede la visuale, l’attenzione non può che portar-si sul luogo delle distinte teoriche elaborate per precisare il momento consumativo del furto, con le rispettive dimensioni applicative

42. Ci si confronta in primo con una impostazione giurisprudenziale che lascia coincidere i due momenti di impossessamento e sottrazione, visti rispet-tivamente nell’ottica del soggetto attivo e del soggetto passivo: si ritiene difatti sufficiente che l’agente consegua la mera disponibilità materiale della cosa, non rilevando il criterio spaziale, cioè il trasferimento della cosa da un luogo ad un altro, né quello temporale, implicante la durata del possesso, né quello dell’uscita della cosa dalla sfera di vigilanza del soggetto passivo. Fino a ravvisare il furto perfetto nel caso di colui che abbia nascosto sulla sua persona la cosa sottratta, anche se non si sia al-lontanato dal luogo della sottrazione ed abbia esercitato un potere tem-poraneo sulla refurtiva, sebbene di poi costretto ad abbandonarla per l’intervento di terzi 43; nel fatto di chi colto in una autorimessa con la benzina sottratta dalle vetture ivi custodite

44; rispetto al comportamento di chi abbia asportato e spinto una cassaforte fino all’atrio dell’abitazione della vittima salvo poi darsi alla fuga abbandonandola

45; nel caso del fur-to di una cosa sotto la diretta sorveglianza della polizia

46. Al riguardo allora, nemmeno rileva accertare se il grande magazzino

sia munito di una barriera con le casse necessariamente da superarsi da chi voglia guadagnare l’uscita sulla strada

47; e neppure, se esistente, veri-

42 Per una completa sintesi espositiva si rinvia a BACCAREDDA BOY-LALOMIA, I delitti contro il patrimonio mediante violenza, in Trattato di diritto penale. Parte speciale, di-retto da MARINUCCI-DOLCINI, VIII, Padova, 2010, 51. In breve, secondo la teoria della concretatio il reato si consuma con la semplice apposizione della mano sulla cosa mo-bile altrui, e, dunque, con il primo atto che instaura un rapporto di fatto tra l’agente e l’oggetto del reato. La teoria dell’amotio prevede che il furto possa dirsi consumato allorché la cosa mobile venga spostata dal luogo in cui era tenuta dal detentore, men-tre secondo quella della ablatio la cosa deve essere trasportata in un luogo al di fuori della sfera di custodia del detentore. Infine, secondo la teoria della illatio, perché il furto sia integrato perfettamente occorre che la cosa mobile sia trasportata nel luogo che l’agente si era prefissato, e quindi messa ivi al sicuro.

43 Cass., sez. V, 20 febbraio 2001, Picone, in CED Cass., n. 219030. Cfr. Cass., sez. II, 30 novembre 1983, Lazzerin, in Riv. pen., 1984, 812.

44 Cass., sez. IV, 17 febbraio 1996, Burrascano, in Arch. circ., 1997, 345. 45 Cass., sez. II, (ord.) 15 ottobre 1975, Donato, Cass. pen., 1975, 973. 46 Cass., sez. II, 23 febbraio 1977, Menici, in Giur. it., 1979, II, 131 47 Un riepilogo delle confliggenti opinioni vede la prevalente dottrina configurare il

tentativo di furto al supermarket finché il ladro non sia passato dalle casse (v. FOSCHI-

NI, Impossessamento e spossessamento nel furto, in Riv. it. dir. pen., 1951, 210; GATTO, Rassegna critica di giurisprudenza in tema di sottrazione di merci dai grandi magazzini, in Ind. pen., 1975, 436; MANTOVANI, Furto, in Dig. disc. pen., V, Torino, 1991, 377), di contro alla Cassazione che ritiene consumato il furto con il semplice occultamento della cosa da parte dell’agente (Cass., sez. II, 29 maggio 1972, Darini, in CED Cass., n.

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I delitti contro il patrimonio e le tracce del sistema 56

ficare che tale barriera sia stata o no superata, perché il reo si imposses-sa della cosa mobile nell’istante stesso in cui la occulta sulla propria per-sona: «… quando, come in questo caso, taluno si metta un piccolo ogget-to in tasca (che non debordi) oppure (il che è praticamente la stessa co-sa) metta altri piccoli oggetti sotto gli abiti che indossa, in tal modo oc-cultandoli alla vista … ebbene, in questo caso, anche secondo il modo comune di pensare e di percepire la realtà e i rapporti umani, che il dirit-to presuppone, questo “taluno” si è impossessato dell’oggetto o degli og-getti messi in tasca, o sotto i vestiti»

48. La relazione materiale che espri-me socialmente l’apparenza di una gestione dominante sulla cosa si è di-fatti, nella descritta casistica, non solo perfezionata, ma perfezionata al di fuori del consapevole consenso di chi leso nella rispettiva posizione patrimoniale giuridicamente rilevante; consapevole consenso che manca pure in quella fascia di episodi connotati da una diretta vigilanza delle forze dell’ordine o dell’avente diritto sulla condotta dell’agente e all’in-saputa dello stesso. Sussistendo in tal caso la possibilità di intervenire in qualsiasi momento per bloccare l’attività criminale, parte della giuri-sprudenza esclude l’essersi mai verificato un «autonomo effettivo impos-sessamento della refurtiva rimasta sempre nella sfera di diretto controllo e vigilanza dell’offeso»

49. Quest’ultima criticata soluzione riflette il predominante pensiero che

distingue logicamente e cronologicamente i momenti della sottrazione, con l’instaurarsi di un rapporto di fatto tra l’agente e la cosa, e dell’im-possessamento, con l’instaurazione di una signoria sulla cosa al di fuori della sfera di vigilanza del derubato

50. È in questo scorcio che diventa infatti dirimente accertare la sussi-

stenza o meno della vigilanza della persona offesa unitamente al potere di intervenire per interrompere l’azione delittuosa, da ragguagliarsi alla particolare natura della cosa mobile

51: «Nessuno può dubitare che se un

122388; Cass., sez. II, (ord.) 17 febbraio 1976, Re, ivi, n. 132832) salvo, per recente tendenza, escluderlo nel caso in cui l’avente diritto abbia sorvegliato tutte le fasi dell’azione furtiva (Cass., sez. V, 6 maggio 2010, P.G. in proc. Lazaar ed altri, in CED Cass., n. 247410. Contra Cass., sez. V, 9 maggio 2009, Rissotto, in CED Cass., n. 240493, per cui non rileva la sorveglianza del personale addetto). Invero sussistono anche orientamenti che attendono l’uscita della cosa dalla sfera di vigilanza e control-lo diretto dell’offeso (Cass., sez. V, 30 ottobre 1992, Di Chiara, in Cass. pen., 1993, 2002; Cass., sez. V, 21 gennaio 1999, Inbrogno, ivi, 2000, 607).

48 Pret. Vigevano, 29 gennaio 1994, Scarfogliero, in Foro it., 1994, II, 671. Cfr. Cass., sez. II, 8 maggio 1974, Massafra, in Riv. pen., 1974, 1019; Cass., sez. II, 26 ago-sto 1974, Ciappa, ibidem, 1108. Notazioni critiche rispetto a questa impostazione in BACCAREDDA BOY-LALOMIA, op. cit., 55 ss.

49 Cass., sez. V, 18 gennaio 1993, De Simone, in Riv. pen., 1993, 1014. 50 MANTOVANI, Furto, cit., 7; BALBI, Sul furto nei supermercati, in Arch. pen., 1996, 26 ss. 51 Cass., sez. IV, 15 marzo 1995, Maciocchi, in Giust. pen., 1996, II, 131.

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Oltre il delitto di truffa 57

soggetto prende un prodotto alimentare da un banco di un supermercato … e aperta la confezione consumi il prodotto di nascosto dagli addetti all’esercizio commerciale, tale soggetto abbia integrato un fatto di furto consumato. Questi ha infatti realizzato una situazione di possesso tanto pieno ed autonomo, da poter addirittura fare uso di quel bene destinato all’alimentazione, traendone immediato profitto. A parità di condizioni di vigilanza, pertanto, non si vede per quale ragione non dovrebbe rite-nersi consumato il reato se l’agente, invece che procedere alla consuma-zione sul posto, per sua scelta occulti sulla propria persona quel prodotto e si avvii verso l’uscita dell’esercizio commerciale»

52. In realtà, anche da questo argomentare esce convalidata nella sostanza

l’idea che la condotta dell’agente debba dimostrare l’apparenza per cui sia proprio egli ad avere la possibilità di disporre liberamente di quel partico-lare bene oggetto dell’azione; che tale possibilità debba essere valutata non alla luce delle particolari caratteristiche del bene concretamente sottratto – quindi negandola ove si tratti di bene (come un piccolo elettrodomestico) che non possa in alcun modo rivestire utilità se non al di fuori dei locali dell’esercizio commerciale

53 – ma alla luce delle particolari caratteristiche del comportamento che la cosa ha (avuto) ad oggetto. Ne discende, allora, come assuma in questo senso rilievo il mantenimento di dispositivi anti-taccheggio sul corpo del prodotto, la cui presenza attiva impedisce al-l’azione furtiva di andare al di là della soglia del tentativo

54, impedendo al fatto di dimostrare il ricercato “potere” in capo al detentore.

Ancora: «costituisce furto consumato e non tentato il sottrarre merce dai banchi di esposizione di un supermercato ove si pratichi il sistema del cosi-detto self service evitando il pagamento alla cassa. Il momento consumativo del reato, in tal caso, è ravvisabile nel momento dell’apprensione della mer-ce, che si realizza certamenente quando l’agente abbia superato la barriera delle casse senza pagare il prezzo, ma anche prima, allorché la merce venga dall’agente nascosta in tasca o nella borsa, sì da predisporre le condizioni per passare dalla cassa senza pagare»

55. Si intende cioè doversi riscontrare nella condotta consumata l’allestimento di una situazione che all’osservatore esterno dia il senso della “non altruità” della cosa che ne è il referente mate-riale: ad esempio il completo nascondimento della cosa agli occhi di terzi, piuttosto che il lasciarla sporgere, anche inevitabilmente per le relative di-

52 BACCAREDDA BOY-LALOMIA, op. cit., 61 s. 53 Così invece concludono BACCAREDDA BOY-LALOMIA, op. cit., 61 s. 54 Trib. Rieti, 2 marzo 2000, Tomassetti, in Giur. merito, 2000, 872. 55 Cass., sez. IV, 19 febbraio 2004, Coniglio, in Riv. pen., 2005, 86, che pure con-

clude precisando: «salvo che, in quest’ultima evenienza, l’avente diritto o persona da lui incaricata abbia sorvegliato tutte le fasi dell’azione furtiva sì da poterla interrom-pere in ogni momento, ravvisandosi allora solo la fattispecie tentata. V. anche Cass., sez. V, 28 settembre 2005, Valletti, in CED Cass., n. 232806.

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mensioni, da una qualsivoglia posizione di nascondimento. Del resto, è stato correttamente osservato che lo schema negoziale ap-

plicabile alle modalità di vendita utilizzate nella grande distribuzione è quello dell’offerta al pubblico ex art. 1336 c.c., per cui la collocazione dei prodotti sugli scaffali a disposizione dei clienti vale quale proposta contrat-tuale il cui accordo potrà ritenersi perfezionato al momento in cui l’ac-cettazione del cliente giunge a conoscenza dell’offerente all’atto della pre-sentazione del prodotto alle casse per il pagamento agli addetti alla vendi-ta

56. Il che porta a dover ravvisare la consumazione del furto – la cui tipicità è indubitabilmente anticipata per effetto della struttura a dolo specifico – in un tempo antecedente rispetto a tale (mancato) momento ogni qualvolta il reo si atteggi con comportamento tale da dimostrare (apparentemente) non necessario un siffatto “passaggio di proprietà”. D’altro canto, questa linea di pensiero sovverte pure la tradizionale lettura avallata dalle Sezioni unite per cui è integrato il reato di furto di carburante – piuttosto che un’ipotesi delittuosa fraudolenta – nel fatto di chi si allontana a bordo del mezzo dopo il rifornimento, sottraendosi all’obbligo del pagamento del prezzo

57.

1.4. Viceversa, dalla truffa all’estorsione. Analogie ed idiosincrasie con la figura della rapina

A distinguo tra la truffa e tutte le restanti fattispecie citate, dall’estor-sione alla concussione, sta l’errore di derivazione truffaldina

58 di contro alla lucida (leggi oggettiva) apparenza fenomenica e quindi alla lucida percezione da parte della vittima “patrimoniale” in ordine al carattere indebito della prestazione sinallagmatica resa “in corrispondenza”. Pre-

56 BALBI, Sul furto nei supermercati, cit., 23. 57 Cass., sez. un., 5 dicembre 1964, Parisi, in Dir. automobilistico, 1965, 205: «il tra-

sferimento del possesso e della proprietà coincide col momento dell’effettiva correspon-sione del prezzo dovuto, escludendo così il normale effetto immediato traslativo del con-tratto di compravendita», per cui «ne consegue che in tal momento, col fatto di sottrarre la benzina alla sfera di dominio del venditore, il colpevole si impossessa della cosa al-trui, non ancora entrata nella sua sfera di disponibilità per effetto della predetta partico-lare natura di questo contratto e non per situazione materiale delle cose». Cfr. anche Cass., sez. II, 5 luglio 1963, Cerri, in Riv. it. dir. proc. pen., 1964, 831, con nota di CALVI, Esegesi civilistica e dogmatica penalistica nell’interpretazione dell’articolo 624 c.p.: ancora una parola sullo “scrocco” di benzina; e Cass., sez. II, 31 ottobre 1975, Pongelli, in Giust. pen., 1976, II, 513. Profila nella fattispecie una ipotesi di truffa PALMIERI, Acquisto a con-tanti (… non pagati) in un supermarket e presso un distributore di benzina. Furto o truf-fa?, in Giur. it., 1962, IV, 12, 16. Per un ampio quadro delle interpretazioni proposte sul caso, si rinvia a FANELLI, Mancato pagamento della consumazione al bar e del carburante dal benzinaio: furto o inadempimento contrattuale?, in Cass. pen., 1999, 763.

58 Cfr. BRUNELLI, Spunti di riflessione su interazione psichica e tentativo, in Studi in onore di Franco Coppi, Torino, 2011, 50.

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Oltre il delitto di truffa 59

cisamente, a seconda delle singole fattispecie tipiche tale prestazione con-siste nel “fare”, “tollerare”, “omettere” ora al cospetto di una situazione fattuale di violenza o minaccia che la costrizione renda sensorialmente (e oggettivamente) percettibile (così nella rapina, nell’estorsione), ora a fronte di una situazione “normativa” di abuso di poteri esattamente compresa e nondimeno subita dal lato passivo della relazione (così nel titolo di concussione).

Si riparta allora da un passaggio condiviso, e già ampiamente annotato: i delitti di estorsione e di truffa, sul comune sfondo della prestazione del con-senso da parte del soggetto passivo, si distinguono per il mezzo adoperato dall’agente per conseguire tale “assenso”, viziato nel relativo processo for-mativo, cui si concatena un ingiusto profitto a vantaggio proprio o di altri. Segnatamente, l’uso di artifici o raggiri con falsa rappresentazione della realtà nella truffa, la minaccia o la violenza nell’estorsione

59. Sebbene si tratti di distinzione in generale chiara, tale nitidezza tende a

dissiparsi al contatto con l’ipotesi della truffa commessa ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario, o in cui l’erroneo convincimento insiste sul doversi eseguire un ordine dell’autorità (art. 640, comma 2, c.p.). In questo tratto, allora, spetta unire tutti i puntini. Da un versante, quelli disegnati dalla dottrina prevalente, secondo la quale nella truffa aggravata il timore incusso ha soltanto una funzione strumentale rispetto all’inganno, mentre invece nell’estorsione deve pur sempre sussi-stere una coazione del volere (indipendente dall’inganno) capace di esclu-dere nel soggetto passivo una determinazione libera

60; dall’altro versante, quelli posti da quanti autori ritengono che per aversi estorsione il pericolo debba essere presentato come legato ai poteri dell’agente, quindi come di-pendente dalla sua volontà, avendosi piuttosto truffa se il pericolo è profi-lato come un accadimento di oggettiva verificabilità

61. La linea pare allora chiudersi passando per la considerazione già

espressa: nella truffa, aggravata o meno che sia, l’ingannato non conosce il “vero volto” dell’altrui agire; nell’estorsione, invece, la condotta violen-ta o minacciosa dell’agente sta “davanti” alla vittima, che la vede, la vive e la comprende per ciò che è e quindi per la “costrizione” in cui consi-ste

62. Sicché non contraddice a questo orientamento la maggioritaria

59 Cfr. ANTOLISEI, Manuale, cit., 425. 60 Cfr. CONTI, Estorsione, in Enc. dir., XV, Milano, 1966, 1003. 61 V. MARINI, Estorsione, in Dig. disc. pen., IV, Torino, 1990, 389; ANTOLISEI, Ma-

nuale, cit., 425. 62 V. MANZINI, Trattato, cit., 779 ss., secondo il quale la truffa aggravata sussiste quando

il timore di un pericolo immaginario è ingenerato senza ricorrere alla minaccia e tanto meno alla violenza, ma usando solo l’inganno; altrimenti si ha estorsione, nulla importan-do che alla minaccia si siano aggiunti artifici o raggiri o che il pericolo possa o non possa verificarsi quando la minaccia ha intimidito o poteva intimidire il soggetto passivo.

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giurisprudenza quando qualifica come truffaldina la condotta di sedicen-ti maghi o guaritori portata ad ingenerare nelle persone offese il pericolo immaginario dell’avveramento di gravi malattie, facendo loro credere di poterle guarire e/o preservare da mali gravi ed oscuri tramite ad esempio l’evocazione di persone defunte durante sedute spiritiche, e così procu-randosi a danno delle vittime ingenti somme di denaro

63. Mentre non si concorda, sulla scorta dei convocati parametri, con le pronunce giuri-sprudenziali che inquadrano nell’icona della truffa aggravata, piuttosto che nell’estorsione, il fatto del soggetto che falsamente qualificandosi come ufficiale della Guardia di Finanza abbia richiesto ed ottenuto una somma di denaro per non procedere alla verifica fiscale

64. Tutto sta ora ad intendersi sull’atteggiarsi del contegno cooperativo di

chi il reato patisce. È scritto all’art. 629 c.p. che per effetto della coazione il soggetto pas-

sivo deve fare od omettere qualche cosa, utilizzandosi quindi una formu-la normativa linguisticamente più ristretta rispetto a quella indicata all’art. 610 c.p. (violenza privata), dove si menziona espressamente anche il «tollerare». Una limitazione, questa, che si avverte non essere né rima-nere meramente formale, resa piuttosto necessaria proprio dall’esigenza di delimitare i confini della figura dell’estorsione rispetto alla rapina, nel-la quale il soggetto passivo viene a subire una aggressione unilaterale, di tal ché – si scrive a diffuso corollario – un semplice pati imposto allo scopo di realizzare un ingiusto profitto darà sempre luogo alla tipicità tracciata dall’art. 628 c.p. 65. Si ritiene invero comunemente che tollerare significhi lasciare che l’avversario tenga una certa condotta, all’opposto di un concetto di omissione comportante il ritardo o l’astensione da una azione che altrimenti il soggetto avrebbe compiuto

66. In contrario è stato osservato come i termini «fare» ed «omettere» siano in realtà estrema-mente generici, e permettano pertanto di coprire uno spettro amplissimo di comportamenti dispositivi del soggetto passivo; vi possono rientrare, infatti, l’alienazione o la consegna di un bene, la remissione di un debito,

63 Cfr. Cass., sez. II, 10 giugno 2003, Ciurli, in Dir. pen. proc., 2004, 982 ss. V. an-che Cass., sez. II, 9 febbraio 1995, Avanzini ed altri, in Foro it., 1995, 689 ss.

64 V. Cass., sez. II, 18 aprile 1995, Faragli, in CED Cass., n. 202347; Cass., sez. II, 3 marzo 2000, Amoresano, ivi, n. 215705; Cass., sez. II, 21 maggio 2001, P.G. in proc. Pirovano, ivi, n. 219943.

65 Cfr. CONTI, Estorsione, cit., 998; FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, cit., 126 s., 154. Contra MANZINI, Trattato, cit., 458, secondo il quale anche una tolleranza utile per il colpevole e dannosa per il soggetto passivo potrebbe rilevare in quanto implichi un fare o un omettere, e MARINI, Estorsione, cit., 385, in considerazione dell’equivalenza tra una condotta omissiva e il c.d. pati.

66 In argomento VIGANÒ-VALSECCHI, Art. 610 c.p., in Codice penale commentato, a cura di DOLCINI-MARINUCCI, Milano, 2011, 5918.

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Oltre il delitto di truffa 61

il versamento di una somma di denaro, la non esazione di un credito, l’estinzione di un’obbligazione, la rinuncia ad un’azione giudiziaria et similia

67. Così, v’è chi inquadra il tollerare – non espressamente conteggiato nei

comportamenti del soggetto passivo – nella cornice dell’azione/omis-sione

68, altri nella cornice della sola condotta omissiva 69 in quanto chi

tollera omette la reazione difensiva: come chi costretto a tollerare, trami-te violenza o minaccia, che l’altrui gregge pascoli nel proprio fondo ovve-ro rinunci ad agire per ottenere l’interruzione del tempo necessario per il possessore ad usucapire l’immobile da parte del proprietario. Nel fare, rientra certo ogni forma di messa a disposizione del colpevole di quanto richiesto, e quindi anche la formazione di un atto avente valore giuridi-co, come la sottoscrizione di una cambiale o di una scrittura privata con-tenente la ratifica di un precedente contratto di compravendita di immo-bili

70, la costituzione di una dote 71, la rinuncia ad una eredità

72, la di-chiarazione di rinuncia a crediti maturati per prestazioni lavorative effet-tuate e non riscossi 73.

Ciò ha spinto alcuni verso l’estensione concettuale della formula, fino ad abbracciare con essa un qualsiasi comportamento che implichi un at-to positivo o negativo incidente sul patrimonio

74; e ha spinto altri al ra-gionevole abbandono dello stilema “limitativo” della “necessaria disposi-zione”, del resto non richiesto dalla norma, per concentrarsi sul solo ef-fetto patrimoniale della condotta indicata

75. In questo circolo interpretativo, solo apparentemente centrifugo ri-

spetto allo spettro problematico della truffa, torna davanti all’esegeta l’ulteriore nodo scorsoio della misura di cui avvalersi per la qualificazio-ne di un accadimento nel plesso della rapina o dell’estorsione, nell’una come nell’altra fattispecie vigendo una necessaria partecipazione della vittima, presente sulla scena del fatto criminale.

L’illustrazione dell’andamento della disputa esegetica in corso sul tema

67 Cfr. FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, cit., 154. 68 MANZINI, Trattato, cit., 458; DE MARSICO, Delitti contro il patrimonio, cit., 83. 69 MARINI, Delitti contro il patrimonio, Torino, 1999, 385. 70 RAGNO, Il delitto di estorsione. Lineamenti dommatici, Milano, 1966, 101; SALVINI,

Estorsione e sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione, in Noviss. Dig. it., VI, Torino, 1975, 1003.

71 MANTOVANI, Estorsione, in Enc. giur. Treccani, XIV, Roma, 1989, 4. 72 MANTOVANI, Diritto penale, cit., 203. 73 Cass., sez. II, 20 gennaio 1997, Fiorillo, in Dir. e prat. lav., 1997, 553. 74 ANTOLISEI, Manuale, cit., 421. 75 PAGLIARO, Principi di diritto penale. Parte speciale, III, Delitti contro il patrimonio,

Milano, 2003, 335.

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I delitti contro il patrimonio e le tracce del sistema 62

dimostra la centralità dell’indagine sulla dinamica del fatto criminoso 76: la

retrospettiva in questa direzione consente allora di rinvenire e riassumere una pluralità di diversi criteri differenziali all’uopo proposti. Basati sulla consegna, in altri termini sul criterio dell’adprehensio per la rapina e della traditio per l’estorsione

77, per cui una condotta di collaborazione da parte della vittima è imprescindibile nell’estorsione, nella rapina invece si attesta solo eventuale

78; in altri termini, l’impossessamento mediante consegna è da considerarsi estorsione quando, senza la consegna della cosa da parte dell’aggredito, l’aggressore non avrebbe potuto conseguire tale risultato, è invece da considerarsi rapina quando l’aggressore avrebbe potuto, anche in altro modo, pervenire all’impossessamento della cosa

79. Oppure plasmati sulla distinzione tra coazione assoluta nella rapina,

relativa – e nondimeno, maggiormente sanzionata – nell’estorsione 80. La

giurisprudenza sembra orientata in forze proprio lungo questa direttrice, ritenendo sussistente il delitto di estorsione quando la consegna della co-sa possa correlarsi (non rimanendo atto puramente materiale) ad un atto di volontà della vittima, in sostanza più blandamente “forzata” tant’è che rimane ravvisabile una possibile scelta tra il danno minacciato e la con-segna della cosa stessa

81; qualificando invece l’episodio entro il modello della rapina ogni qual volta la persona aggredita sia costretta alla dazio-ne del bene detenuto risultando, per effetto della violenza, “nelle mani dell’aggressore” al cui volere non può sottrarsi

82. O, ancora, poggiati sull’immediatezza (rapina) contro l’assenza di imme-

diatezza (estorsione) che si attesti tra l’imposizione (che è la condotta in di-

76 Per puntuali notazioni sulla problematica v. BRUNELLI, Il diritto penale delle fatti-specie criminose, Torino, 2011, 15 s., che affronta la questione del confine tra rapina ed estorsione risolvendolo con l’attestare la diminuzione della seconda immagine: leg-gendo «quel “far qualche cosa” non già come qualunque attività materialmente perce-pibile, secondo il significato letterale delle parole, ma come qualche cosa che assume una veste giuridicamente rilevante: un vero e proprio “atto di disposizione patrimo-niale”, senza il quale l’agente non potrebbe ricavare il suo ingiusto profitto».

77 V. MANZINI, Trattato, cit., 412. 78 Relazione Ministeriale al progetto definitivo del codice penale, in Lav. Preparato-

ri, cit., 1929, 450. 79 Cfr. CONSO, Ancora sulla differenza tra rapina ed estorsione, in Riv. it. dir. pen.,

1949, 604; CONTI, Estorsione, cit., 1002 s. Per ulteriori approfondimenti si rinvia a BRUNELLI, Rapina, in Dig. disc. pen., XI, Torino, 1996, 5 ss.

80 PIZZUTI, Rapina, in Enc. dir., XXXVIII, Milano, 1987, 286 s. 81 Cass., sez. I, 18 aprile 1977, Roma, in Riv. pen., 1977, 911; Cass., sez. I, 19 aprile

1978, Bocangel Nunez, ivi, 1978, 879; Cass., sez. II, 16 giugno 1986, Amorth, in CED Cass., n. 174281; Cass., sez. II, 1 ottobre 2004, Caldara ed altri, in CED Cass., n. 230709.

82 Uff. ind. prel. Napoli, 20 aprile 2010, n. 719, T.S., in La Legge Plus Iposa. In ter-mini Uff. ind. prel. Torre Annunziata, 29 febbraio 2008, n. 109, in La Legge Plus Iposa.

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Oltre il delitto di truffa 63

venire dell’agente) e la relativa attuazione 83; analogamente si afferma che

l’elemento decisivo vada individuato nel controllo totale ed immediato del-l’accadere esteriore, che è in mano al rapinatore ma non all’estorsore

84. Ricapitolando con piglio critico lo status quo che aleggia attorno alla

problematica, si attesta non più servire il richiamo alla logora contrappo-sizione tra adprehensio e traditio rei 85: trattandosi di criterio che non va ol-tre l’aspetto esteriore ed accidentale dei fenomeni, esso non riesce ad offri-re differenze concettuali rispondenti alla dinamica illecita tipizzata, né re-siste al collaudo dell’applicazione pratica

86, venendo meno, in concreto, nei casi in cui il passaggio della cosa avvenga col concorso di entrambi i soggetti, così quando la vittima aiuti l’aggressore a trasportare la cosa o l’oggetto sia in parte sottratto e in parte consegnato

87. D’altronde, se un “togliere con le proprie mani” non è essenziale alle nozioni di furto e di rapina, dal canto suo un “farsi consegnare” materialmente la cosa non è essenziale alla configurazione della truffa e dell’estorsione

88. La differenza di nozioni neppure è posta in chiara luce dal criterio

dell’«imprescindibilità» del comportamento dell’aggredito 89. Per tale via

– si è efficacemente osservato – non si riuscirebbe a cogliere la diversa sfera applicativa dell’aggravante del «porre taluno in stato di incapacità di volere o di agire», comune sia alla rapina che all’estorsione. Trovando-si l’individuo incapace di volere e di agire alla completa mercé dell’ag-gressore, non può difatti egli considerarsi autore di un comportamento giuridicamente apprezzabile, per cui si dovrebbe escludere in questi casi, in contrasto col disposto del secondo comma dell’art. 629 c.p., la confi-gurabilità dell’estorsione

90.

83 Cfr. CRESPI, Rapina ed estorsione, in Giust. pen., 1947, II, 539. 84 Così PAGLIARO, Principi, cit., 175 s. 85 Sulle orme della Relazione Ministeriale al progetto definitivo del codice penale,

cit., 450, 539, si sono pronunciati in questo senso circa i rapporti tra rapina ed estor-sione: MANZINI, Trattato, cit., 360; PALOPOLI, Estorsione, in Nuovo Dig. it., V, Torino, 1938, 683; Cass., sez. I, 10 dicembre 1948, in Giust. pen., 1949, II, 306; Cass., sez. un., 26 gennaio 1949, Ceresa, in Arch. pen., 1949, II, 491.

86 MANTOVANI, Contributo, cit., 175. 87 MANTOVANI, Contributo, cit., 175: «a meno che non si voglia considerare un’unica

offesa sia come rapina che come estorsione, sia come furto operato con mezzi fraudo-lenti che come truffa».

88 Per osservazioni critiche si veda PIZZUTI, Rapina, cit., 286; PAGLIARO, Principi, cit., 179.

89 V. CONSO, Ancora sulla differenza tra rapina ed estorsione, cit., 604 s. Già CONSO, Elementi differenziali tra rapina ed estorsione, in Giur. it., 1948, II, 145 ss.

90 MANTOVANI, op. ult. cit., 177.

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I delitti contro il patrimonio e le tracce del sistema 64

1.5. L’“evento” di disposizione patrimoniale realizzato dal soggetto incapace

Nello slancio di queste obiezioni si ha modo di fermare con una istan-tanea i caratteri costitutivi e differenziali insiti nel delitto ex art. 643 c.p. 91: anch’essi si concentrano attorno al mezzo comportamentale speso in con-creto dall’agente per il “comune” scopo del perseguimento di un profitto.

Nella circonvenzione d’incapace il soggetto passivo è nel “presupposto” stato di infermità o di deficienza psichica, quindi in uno stato di incisiva menomazione delle facoltà di discernimento o di determinazione volitiva tale da rendere possibile il peculiare intervento dell’agente

92; a questo stato fa difatti da contraltare il modus agendi del soggetto criminale, costituito dall’opera di suggestione o d’induzione, la quale pur non contempla la “caduta in errore” predisposta tramite artifici o raggiri 93. Nell’estorsione, invece, il modus è dato dall’uso della violenza o minaccia

94. Ove si ricada nella casistica di cui all’art. 643 c.p. si apre peraltro il

controverso scenario dei legami tra l’un delitto e quello siglato nella truf-fa. Da un lato, v’è chi invoca la punibilità a quest’ultimo titolo quando l’incapace sia stato vittima di un inganno in cui sarebbe potuta cadere anche una persona “normale”, quindi nelle ipotesi in cui l’agente abbia agito al di là dello stato di minorità o di infermità o deficienza psichica dell’ingannato

95. Dall’altro lato, autorevole dottrina opina per l’inverso senso, ritenendo operativa la fattispecie delittuosa della circonvenzione tutte le volte in cui, al di là dell’astratta idoneità degli artifici a trarre in

91 Attorno al quale si annoda la “diffusa” querelle sulla plurioffensività, spostandosi l’accento dalla patrimonialità della tutela alla dimensione “personale”, in relazione all’approfittamento dello stato di minorazione psichica del soggetto passivo, v. FO-

SCHINI, Circonvenzione d’incapace e induzione al matrimonio, in Arch. pen., 1955, 349 s.; SINISCALCO, Circonvenzione di persone incapaci, in Enc. dir., VII, Milano, 1960, 53; RONCO, Circonvenzione di persone incapaci, in Enc. giur. Treccani, VI, Roma, 1988, 8.

92 Cass., sez. II, 5 marzo 2010, Conte ed altro, in CED Cass., n. 247463; Cass., sez. II, 25 marzo 2010, Maiani, ivi, n. 247018.

93 FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, cit., 213; MANTOVANI, Diritto penale, cit., 241 s.; sulla non indispensabilità dell’errore, v. anche MANZINI, Trattato, cit., 1984, 858; RON-

CO, Circonvenzione di persone incapaci, cit., 4; in giurisprudenza, per la posizione se-condo cui non sono necessari artifici o raggiri, Cass., sez. V, 3 novembre 1978, Vacca, in CED Cass., n. 140877; Cass., sez. II, 13 dicembre 1993, Di Falco, ivi, n. 196331.

94 Cass., sez. II, 16 ottobre 1984, Vulcano, in CED Cass., 169978. 95 CASSINELLI, La circonvenzione di incapaci, Milano, 1938, 84; concordemente, PE-

DRAZZI, Inganno ed errore, cit., 43, il quale richiama Trib. Ravenna, 29 gennaio 1946, in Giust. pen. 1948, II, 826 ss.; PAGLIARO, Principi, cit., 407. Si veda anche RONCO, Cir-convenzione, cit., 4 s., secondo cui la circonvenzione è punita più severamente della truffa a causa della presenza dell’abuso, più riprovevole del semplice inganno, doven-dosi quindi ritenere sussistente la truffa in mancanza di abuso.

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Oltre il delitto di truffa 65

inganno anche una persona normale, quelli utilizzati nel caso concreto si siano tradotti in uno sfruttamento dell’incapacità o dell’inesperienza del soggetto passivo; non disconoscendo come l’applicazione in tali ipotesi della fattispecie di truffa finirebbe per assegnare vigenza ad una pena meno severa – rispetto a quella contemplata dall’art. 643 c.p. – in un caso in cui, proprio col materializzarsi degli artifici e dei raggiri, la condotta tenuta si atteggi in una veste effettiva di maggiore gravità rispetto ad un comportamento di “semplice” persuasione o suggestione

96. Se ne con-clude doversi applicare la sola figura delittuosa della circonvenzione

97 allorquando il fatto concreto appaia sussumibile sotto entrambe le fatti-specie astratte

98. Proprio l’affastellarsi delle prospettive esegetiche appena esposte chia-

ma a rileggere il dettato normativo. Esso di primo acchito ammonisce l’interprete: la truffa non richiede alcuna qualità “tipizzante” del soggetto passivo; la circonvenzione non è selettivamente caratterizzata da note mo-dali predeterminate e non richiede il materializzarsi di una induzione “in errore”. In altri termini, si dipingono due cerchi che non presentano inter-sezioni, dovendosi guardare alla specifica condotta (del reo) punita, che trova definizione attraverso la chiave di lettura della peculiare reazione della vittima. Così, a rimanere diversa è proprio la relazione umana – in-staurata dal soggetto attivo – che cade nel fuoco della sanzione penale: nel-la truffa essa abbraccia ogni fatto – chiunque stia all’altro capo della rela-zione interpersonale – retto da una condotta del reo consistente nel camuf-famento della reale dinamica negoziale intrapresa, “oscurata” quindi agli occhi della controparte della relazione sociale; nella circonvenzione, inve-ce, comprende ogni vicenda che sfrutti le peculiari “fragilità” del soggetto incapace, per convincerlo della bontà degli effetti che potranno/potrebbero scaturire da un suo dato comportamento dispositivo, la cui materialità ri-mane da quest’ultimo esattamente fotografata.

È in questa prospettiva che va di seguito letta la duplicità dell’evento

96 FIANDACA-MUSCO, op. cit., 213; MANTOVANI, op. cit., 242; e, meno recentemente, SINISCALCO, op. cit., 47. In giurisprudenza si è osservato che l’uso di artifici o raggiri, anche se non richiesto dalla norma per il concretarsi dell’abuso, non esclude comun-que il reato in esame, che in tale ipotesi sarà applicabile al posto della fattispecie di truffa, v. Cass., sez. I, (ord.) 10 maggio 1968, Taglietti, in CED Cass., n. 109031; Cass., sez. V, 17 febbraio 1970, Colombo, ivi, n. 115028.

97 MARINI, Incapaci (circonvenzione di), in Dig. disc. pen., VI, Torino, 1992, 319. Ri-tiene possibile questa soluzione, passando per un’applicazione non troppo rigida del principio di specialità, che tenga in considerazione il caso verificatosi concretamente, SINISCALCO, op. cit., 58.

98 Sottolinea la difficoltà di ravvisare margini di sovrapposizione, MARINI, Incapaci (circonvenzione di), cit., 319; ed altresì RONCO, Circonvenzione, cit., 7, che esclude la presenza di un rapporto di specialità fra le fattispecie in menzione.

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I delitti contro il patrimonio e le tracce del sistema 66

che insiste nel quadro figurativo-giuridico del delitto ex art. 643 c.p.: qui si differenzia difatti una sequenza che in primo luogo identifica il compi-mento di un atto da parte del minore o infermo o deficiente psichico, per poi in seconda battuta scandire la produzione – come risultante da questo atto – “di un qualsiasi effetto giuridico dannoso” per tale soggetto o per al-tri 99. Torna dunque il riferimento a quello che sin dalle premesse si è detto il dato strutturale costante della sistematica criminale avverso il patrimo-nio: l’atto dispositivo, quale categoria concettuale generale che poi di volta in volta assume, dentro la singolarità del tipo, un suo preciso ed individua-le contorno ed una sua propria identità. Ebbene, la dottrina impegnatasi sul versante codicistico della circonvenzione di incapace non è restia ad intendere l’atto (di per sé) in senso ampio, comprensivo di qualsiasi com-portamento, negoziale o meno, materiale o di carattere “giuridico”, che sia riconducibile ad una manifestazione di volontà e/o conoscenza da parte del circonvenuto

100; dunque, un comportamento umano idoneo a determi-nare effetti giuridici, potendo essere scritto o verbale o consistere in un fatto materiale come la consegna di una cosa

101. Ciò a più generale riprova che l’atto dispositivo del patrimonio rile-

vante nella tipicità penale si qualifica nel sistema attraverso l’attitudine a produrre un danno o un pericolo di danno patrimoniale

102, si qualifica cioè attraverso l’idoneità – di per sé e a prescindere da cause di invalidi-tà, qui attinenti all’incapacità del soggetto disponente

103 – a ingenerare

99 Prospetta questa costruzione, tra gli altri, MANTOVANI, Diritto penale, cit., 242 s. 100 Cfr. MARINI, op. ult. cit., 317, il quale vi ricomprende tra l’altro la presa d’atto o

la mera tolleranza di comportamenti che producono effetti giuridici dannosi, la rea-lizzazione di negozi giuridici di qualsivoglia tipologia ed anche le condotte negative; concordano con la dimensione lata del concetto di atto, pur ponendo dubbi riguardo al non facere, FIANDACA-MUSCO, op. ult. cit., 214. V. anche RONCO, Circonvenzione, cit., 5, il quale però esclude che il reato possa dirsi integrato in assenza di una condotta positiva del soggetto passivo.

101 FIANDACA-MUSCO, op. ult. cit., 214; MANTOVANI, op. ult. cit., 242 s. 102 Accanto a questa osservazione, viene peraltro a spegnersi la conflittualità pure in-

sorta circa il richiedersi o meno la verificazione di un danno patrimoniale, in conseguenza del compimento di un simile atto: in particolare, la rilevata patrimonialità del bene giuri-dico tutelato, esplicitata anche dal criterio di lettura fornito dalla collocazione sistematica del reato – MANZINI, op. ult. cit., 858; MANTOVANI, op. ult. cit., 243; MARINI, op. ult. cit., 317 s.; richiedono almeno “una coloritura in senso patrimoniale dell’effetto pregiudizievole”, FIANDACA-MUSCO, op. ult. cit., 215 – spegne l’idea di quanti Autori ritengono che gli effetti possano anche non essere di tipo patrimoniale (quindi anche solo morali, v. ANTOLISEI, op. ult. cit., 395, RONCO, op. ult. cit., 5; nel senso che l’atto in parola non debba essere necessa-riamente di tipo patrimoniale, SINISCALCO, op. ult. cit., 51; su quest’ultimo aspetto concorda anche MANTOVANI, op. ult. cit., 243), muovendo dall’assunto secondo cui il bene giuridico tutelato è in primis la libertà di determinazione del soggetto passivo o ponendo in evidenza l’evoluzione che il reato ha subìto nel tempo (v., per tutti, RONCO, op. ult. cit., 5).

103 In ordine ai vizi concernenti invece altri elementi, in dottrina si è precisato che il

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Oltre il delitto di truffa 67

un pregiudizio o un pericolo di pregiudizio per il soggetto che l’ha posto in essere o per altri

104. Così, l’atto può consistere in un contratto usurario, nell’adozione o nel

riconoscimento di figlio naturale, oppure nella promessa di matrimo-nio

105, registrandosi in giurisprudenza, tra gli altri, i casi: della firma di cambiali 106; della vendita di un immobile della persona offesa ad un

reato si configura se l’atto è annullabile o se è affetto da nullità sanabile e che, all’op-posto, non può sussistere se l’atto è inesistente o inficiato da nullità insanabile (FIANDA-

CA-MUSCO, op. ult. cit., 214; sostanzialmente nello stesso senso, SINISCALCO, op. ult. cit., 52; sinteticamente, PISAPIA, Circonvenzione di persone incapaci (diritto penale), in Noviss. Dig. it., III, Torino, 1974, 258; contra, in passato, nel senso che l’inesistenza e la nullità dell’atto non rilevano, perché deve guardarsi al momento del compimento dell’atto, cui vengono ancorate le conseguenze dannose, ANGELOTTI, Delitti contro il patrimonio, cit., 492). In dottrina, secondo taluno gli unici casi in cui il reato non può sussistere riguar-dano l’assenza di riconoscibilità dell’atto come atto giuridico, visto che ci si troverebbe di fronte ad un reato impossibile ex art. 49, comma 2, c.p. (Ronco, op. cit., 5; conforme-mente, DE MARSICO, Delitti contro il patrimonio, cit., 180 s.; PAGLIARO, op. ult. cit., 412, sostiene che persino nei casi di inesistenza il reato è configurabile, se permane una qualche possibilità che ne derivino effetti giuridici dannosi); autorevolmente si è affer-mato che il reato non è integrato solo nei casi di inesistenza dell’atto (MANZINI, op. ult. cit., 862). In giurisprudenza si ritiene invece che la nullità sanabile o insanabile dell’atto, dovuta a cause diverse dall’incapacità del circonvenuto, non sia ostativa alla configura-bilità del reato, specialmente se l’atto ha avuto di fatto esecuzione (Cass., sez. V, 14 di-cembre 1977, Hennessy, in CED Cass., n. 13920); più di recente, si è affermato che la configurabilità del reato non è esclusa dall’eventuale nullità, in conformità alle norme civilistiche, dell’atto compiuto dalla persona offesa a seguito dell’induzione, considerato che anche un atto nullo può produrre effetti rilevanti sul piano giuridico (Cass., sez. II, 9 febbraio 2007, Mammola, in Riv. pen., 2007, 503).

104 Similmente, con la conseguenza che è stato collocato nell’ambito della fattispe-cie in esame, ai fini del sequestro probatorio, il caso di un soggetto in stato di defi-cienza psichica, nominato amministratore di una società commerciale ed indotto alla sottoscrizione di numerosi assegni di rilevante importo e di documenti vari, Cass., sez. II, 13 aprile 2000, Russo, in CED Cass., n. 215913; sulla possibilità di un danno inteso quale effetto indiretto, v. anche Cass., sez. V, 20 aprile 1971, Foresi, ivi, n. 118612. In dottrina si ritiene che gli effetti dannosi possono essere attuali o anche so-lo potenziali, v. MARINI, op. ult. cit., 417; secondo Cass., sez. V, 14 dicembre 1977, Hennessy, cit., il danno può anche essere solo potenziale, indiretto, parziale ed è sem-pre inteso come precario, dato che dall’incapacità del soggetto passivo discende l’immanenza dell’azione di nullità o annullabilità.

105 ANTOLISEI, Manuale, cit., 395, che menziona tali atti sulla base della mancanza di necessità di un danno patrimoniale; MANZINI, op. ult. cit., 859 s., che, pur ritenendo necessario un danno patrimoniale, sostiene che queste ultime ipotesi implichino indi-rettamente un onere di tipo patrimoniale; PAGLIARO, op. ult. cit., 413; ampiamente, sul rilievo assunto dal riconoscimento di figlio naturale e dal matrimonio, v. DAWAN, La circonvenzione di persone incapaci, Padova, 2003, 92 ss.

106 Cass., sez. V, 15 gennaio 1980, Spano, in CED Cass., n. 144742; Cass., sez. I, 7 maggio 1986, Esposito, ivi, n. 173532.

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I delitti contro il patrimonio e le tracce del sistema 68

prezzo estremamente ridotto 107; della redazione di un testamento in fa-

vore dell’agente 108.

1.6. La contestualità tra azione e reazione: quanto a dire l’immedia-tezza (o meno) dell’atto dispositivo del patrimonio

A fondo comune di questa messe di fattispecie, da cui si è tratto esempio, sta allora la generale identità dell’atto dispositivo del patrimonio penalmente tutelato, il cui schema di ampio respiro si attesta costante-mente apprezzato da dottrina e giurisprudenza. Ciò convince del doversi procedere ad una analisi “complessiva” della specifica tipologia compor-tamentale punita, quale parametro risolutivo della distinzione corrente tra le fenomenologie criminose in richiamo. Difatti, entro questo stecca-to, ove ci si trovi al cospetto di situazioni all’apparenza indistinguibili con riguardo alla condotta criminosa del reo, in quanto espressamente definita sempre con i medesimi tratti modali (per tutti, di violenza o mi-naccia), il confine della frammentazione va a posizionarsi proprio sul da-to capace di connotare in tutta peculiarità l’atto dispositivo, e di svelare l’implicita qualità “d’efficacia” del comportamento causale punito: l’atto dispositivo, nella sua specificità tipica, è difatti reazione rispetto ad una certa causa che è l’atteggiamento-tipo dell’agente. Così, più vicina al vero si scopre l’autorevole opinione che, impegnata nell’analisi differenziale dei disposti delittuosi ex artt. 628 e 629 c.p., si stacca dalla distinzione puramente meccanicistica e richiede per l’estorsione un sensibile inter-vallo di tempo fra la minaccia del male e la sua esecuzione, in modo da consentire all’aggredito una possibilità di scelta, e per la rapina – in con-trapposto – l’immediatezza del danno, che tale possibilità escludereb-be

109: sì che in tale ultima evenienza, l’eventuale consegna materiale della cosa non sarebbe giuridicamente configurabile come una vera e propria traditio

110. I riflessi di questa impostazione sono peraltro penetrati anche nelle più risalenti formulazioni giurisprudenziali, ove si trova specificato come: «ad escludere la sottrazione, e quindi la rapina … non basta …

107 Cass., sez. V, 14 dicembre 1977, Hennessy, cit.; Cass., sez. II, 18 gennaio 2007, n. 7145, in La Legge Plus Ipsoa.

108 Trib. Milano, 5 giugno 1997, Ambrosanio, in Foro it., 1998, II, 441 ss. 109 PROSDOCIMI, Note sul delitto di estorsione, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2006, 679;

SALVINI, op. ult. cit., 1005; Cass., 14 giugno 1956, Castaldo ed altri, in Riv. it. dir. proc. pen., 1957, 496.

110 V. DE MARSICO, Impossessamento mediante consegna coatta nel delitto di rapina, in Arch. pen., 1947, II, 279 ss.; CRESPI, Rapina ed estorsione, cit., 537 ss.; SALVINI, Estorsione, cit., 1005; Cass., sez. I, 20 novembre 1946, Puleo ed altri, in Arch. pen., 1947, II, 275; Cass., sez. I, 14 giugno 1956, Castaldo ed altro, cit.

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Oltre il delitto di truffa 69

una consegna, in qualsiasi modo avvenuta, della cosa mobile da parte dell’aggredito, ma è necessario che tale consegna possa ricollegarsi ad un atto di volontà (tamen cactus, voluit) per la scelta che gli era possibile tra il danno minacciato e la consegna della cosa. In particolar modo, deve soccorrere, in tali casi, come complementare, il criterio, già elaborato dalla dottrina, dell’imminenza del danno, nel senso che si verserà nel-l’ipotesi della rapina, ove l’imminenza del danno e dell’imposizione con-vincano che l’aggredito non aveva alcuna libertà di scelta, e che conse-gnò, quindi, la cosa, agendo quale mero strumento nelle mani dell’ag-gressore»

111; e si legge che «È ben possibile coartare la volontà di una persona, fino ad azzerarla, anche usando violenza o minaccia contro un terzo, purché tra la violenza e l’impossessamento sussista un nesso di strumentalità tale che questo sia la derivazione diretta della prima»

112, ovvero tra essi «interceda un nesso di causalità tale che abbia carattere di immediatezza, sicché l’impossessamento sia derivazione diretta della violenza stessa»

113. Se la critica a questo criterio di identificazione/distinzione è nel senso

che esso «elude ogni determinazione dell’intervallo di tempo necessario e sufficiente a decidere sul passaggio dall’immediatezza alla mediatez-za»

114, ebbene, la validità di base dell’impostazione, pure rimasta recessi-va nella teorica e nella prassi, traspare direttamente dal contegno lettera-le delle due esaminate previsioni incriminatrici, che si presta a ponte lo-gico per un riesame del dettato della truffa e del relativo campo di opera-tività.

Così, va ad osservarsi come l’art. 628 c.p., taciuto il tipo di condotta che si attende a reazione della violenza o minaccia esercitata, si concen-tra a fotografare il limitato spazio-tempo dell’impossessamento mediante sottrazione, rimettendo al profilo non costitutivo del fatto di reato, ma di eventuale sua manifestazione modale/cronologica, la frangia comporta-mentale successiva che segni l’iter di conseguimento del profitto conte-nuto del dolo specifico. Ne discende come l’orizzonte temporale della vi-cenda descritta rimanga chiuso al rilievo di una condotta della vittima, passiva o attiva, necessariamente palesatasi in una unità (socio)natura-listica di contesto, vale a dire in immediata, stretta consecuzione mate-riale col momento aggressivo che è punito

115.

111 Cass., sez. I, 20 novembre 1946, Puleo ed altri, cit.; cfr. Cass., sez. II, 7 maggio 1971, Panciroli, in CED Cass., n. 119996. V. ancora, per il criterio dell’immediatezza quale indice di una coartazione assoluta della volontà, Cass., sez. I, 18 gennaio 1966, Pinto, in CED Cass., n. 101728.

112 Cass., sez. I, 15 ottobre 1973, Quattroluni, in CED Cass., n. 127262. 113 Cass., sez. I, 30 novembre 1992, Colla ed altro, in CED Cass., n. 193519. 114 MANTOVANI, op. ult. cit. 115 PROSDOCIMI, Note sul delitto di estorsione, cit., 679 s. identifica nel criterio della

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Tanto da abbracciare a relativo oggetto materiale la sola «cosa mobile altrui», per l’appunto la sola in sé suscettibile di immediata sottrazio-ne/creazione di nuovo possesso. Ciò rende compatibile con tale struttura pure il semplice “tollerare” della vittima, da intendersi come inerzia tout court, nel senso di una mancanza di reazione che segua senza soluzioni di continuità, in compattezza cronologica con l’esecuzione criminale.

Eterogeneo si dimostra invece il modulo a base dell’estorsione, come della truffa. Esso focalizza il cono dell’incriminazione su accadimenti in cui l’operare della vittima (fare o non fare che sia) si stacca in termini socio-naturalistici dalla condotta criminale, sviluppandosi, necessaria-mente nell’una ed eventualmente nell’altra figura, in un contesto spazio temporale indipendente, anche se logicamente-causalmente connesso, rispetto a quello in cui si sono esternati la violenza/minaccia o l’inganno. Più esattamente. Un siffatto contesto di necessario distacco cronologico tra “azione” e “reazione” è focalizzato in termini esclusivi nell’estorsione, posta l’alternatività con la rapina creata dal sistema: ciò significa doversi attendere – nello scorrere tra la minaccia e la cessione di quanto richie-sto – la sussistenza di un adeguato “spatium deliberandi”, quanto a dire che la scelta – decisione se cedere o meno alla violenza o alla minaccia – deve avvenire in tutto o in parte in uno spazio-tempo privo della presen-za fisica dell’aggressore

116. Il contesto di cui si discorre è invece “non esclusivo” nella truffa, chiamata da sola ad osservare anche il compor-tamento-risultato che nel caso sia stato immediatamente prestato avanti all’inganno.

Tanto vale a dare ragione alla lettura giurisprudenziale che risolve in termini di rapina il fatto di più persone armate che, dopo essersi introdot-te nell’appartamento di un gioielliere hanno dopo alcune ore costretto co-stui, mentre la moglie rimaneva legata ed imbavagliata presso la casa, ad accompagnarli presso la gioielleria per aiutarli ad aprire la cassaforte

117. D’altronde, l’attenta lettura delle norme conduce già a questa conclu-

sione. La si afferra dando conto di come la rapina, in entrambe le sue

c.d. immediatezza il punto di riferimento fondamentale per distinguere tra rapina ed estorsione nei casi dubbi, in particolare quando l’oggetto materiale della condotta consentirebbe l’applicazione dell’una come dell’altra figura normativa: immediatezza del danno minacciato e quindi anche della scelta che la vittima della rapina debba compiere. V. ancora PROSDOCIMI, Rapina ed estorsione: due figure da riunire sul piano legislativo? in Scritti in onore di Mario Romano, III, Napoli, 2011, 1678.

116 Così Trib. Napoli, 28 giugno 2005, G., in Cass. pen., 2006, 1572. 117 Trib. Genova, 8 giugno 1993, Pietrolungo ed altri, in Riv. it. dir. proc. pen., 1995,

588, ove si motiva nel senso che: «In sostanza, il comportamento attivo della vittima, di aprire il negozio e consegnare loro la combinazione della cassaforte, non può rite-nersi giuridicamente attribuibile ad essa, e quindi autenticamente volontario, avendo-si esattamente la direzione della violenza di rapina: finalizzata a porre la persona of-fesa nell’incapacità di agire o di agire diversamente o di reagire».

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forme, fotografi una “immediata unità di contesto” 118 (impossessamento

mediante violenza o minaccia, violenza o minaccia immediatamente do-po la sottrazione)

119: la formulazione della norma spiega il nesso tempo-rale che è anche collegamento logico necessario tra i segmenti dell’azione aggressiva

120. Si ammette da qua come cadano nel cono dell’incrimina-zione ex art. 628 c.p. tanto il controverso caso di chi costringa Caio a firmare una cambiale guidandogli la mano con forza irresistibile

121; tanto l’ipotesi in cui sia stata sottratta una cosa mobile alla presenza del pos-sessore subito dopo che questi abbia subito un tentativo di estorsione e percosse: l’estremo della minaccia come modalità dell’azione della sot-trazione ed elemento costitutivo della rapina, in questa cornice è “in re ipsa”, senza vi sia bisogno di un’ulteriore attività minacciosa da parte dell’agente direttamente collegata all’azione di apprensione del bene, do-vendosi in tal caso avere riguardo alla complessiva ed unitaria attività del colpevole, globalmente e contestualmente (leggi, immediatamente) volta alla sopraffazione del soggetto passivo

122. Portando il ragionamento verso una prima conclusione, si apprezza

allora una strutturale diuturnità della condotta-mezzo consistente nella costrizione (estorsiva) o induzione in errore (truffaldina), nel senso che la condotta stessa, per dirsi tipica, deve porsi e mantenersi (necessaria-

118 Precisamente, nella rapina impropria la legge vuole che la condotta violenta o minacciosa sia tenuta dal rapinatore immediatamente dopo la sottrazione, parlandosi al proposito di “nesso di contestualità dell’azione complessiva”, così Cass., sez. II, 18 maggio 1990, Vilia ed altri, in CED Cass., n. 186764; Cass., sez. VI, 11 febbraio 1999, Stefano, ivi, n. 212888. V. anche Cass., sez. VI, 16 ottobre 2008, A., in Cass. pen., 2010, 231; Cass., sez. II, 26 ottobre 2000, Apicella, in CED Cass., n. 217426.

119 V. CRESPI, Rapina ed estorsione, cit., 541; cfr. Cass., sez. I, 18 gennaio 1966, Pin-to, cit., per il rilievo degli elementi dell’“immediatezza dell’imposizione” e della corre-lativa “imminenza del danno”.

120 Si veda in termini Cass., sez. un., 19 aprile 2012, n. 34952, Reina, per cui «nella formulazione della norma svolge un ruolo centrale la necessità di un collegamento logico-temporale tra le condotte di aggressione al patrimonio e di aggressione alla persona, attraverso una successione di immediatezza. È necessario e sufficiente che tra le due diverse attività concernenti il patrimonio e la persona intercorra un arco temporale tale da non interrompere il nesso di contestualità dell’azione complessiva posta in essere. Questo è il punto centrale e il solo indefettibile della norma incrimi-natrice del comma secondo dell’art. 628 cod. pen. che giustifica l’equiparazione del trattamento sanzionatorio tra la rapina propria e quella impropria, indipendentemen-te dall’essere quelle stesse condotte consumate o solo tentate».

121 Cfr. ZAGREBELSKY, Rapina (diritto vigente), in Noviss. Dig. it., XIV, Torino, 1976, 777. In tema anche PEDRAZZI, Inganno ed errore, cit., 46: «Se Tizio, con una vis absolu-ta, mi costringe a consegnargli qualcosa, non è reato di estorsione, ma di rapina; se guida a forza la mia mano facendomi firmare un documento non compie un’estorsione ma un’autentica falsità materiale».

122 Cass., sez. II, 24 febbraio 2000, Lamaj, in Cass. pen., 2000, 3311.

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mente o eventualmente, a seconda dei casi di incriminazione citati) co-me “causa costante” del vizio della formazione del consenso per tutto il tempo occorrente al maturarsi della forma cooperativa passiva. Con ciò, da un lato si giustifica la maggiore gravità del fatto estorsivo a confronto con la rapina

123, espressa dal maggior grado del minimo edittale; dal-l’altro si ammette che la violenza-minaccia o ancora l’errore indotto pos-sano coinvolgere trasversalmente ed in sequela, lungo questa continuità cronologica, una pluralità di soggetti (passivi e/o danneggiati) fino ad at-tingere “chi” realizzi l’attività dispositivo-patrimoniale.

D’altronde, non lontano sta l’eco della giurisprudenza costituzionale sensibile al “valore” del fluire del tempo quale valido elemento di diversifi-cazione delle situazioni giuridiche

124, che legittima il legislatore a modula-re una varietà di fattispecie diverse, per struttura e disvalore, ciascuna legata a propri paradigmi punitivi 125.

Si sente a questo punto la “stonatura” in cui incappa la soluzione ese-getica che, conforme alla tradizione, qualifica in termini di delitto di estorsione commesso in concorso di persone il fatto di chi abbia rispetti-vamente determinato ed eseguito materialmente il recupero di una

123 Per considerazioni critiche sul punto si rinvia a PROSDOCIMI, Rapina ed estorsio-ne, cit., 1673 ss.

124 V. Corte cost., (ord.) 19 luglio 2011, n. 224, che ha dichiarato manifestamente infondata la questione concernente la nuova fattispecie di omesso versamento di IVA, art. 10-ter del d.lgs. n. 74/2000 (introdotto dall’art. 35, comma 7, d.l. n. 223/2006, conv. in l. n. 248/2006), sollevata lamentando il contrasto con riferimento all’art. 3 Cost., per asserita equiparazione – sotto il profilo punitivo – di condotte differenti, e rigettata alla luce del consolidato orientamento della giurisprudenza costituzionale in forza del quale non contrasta, di per sé, con il principio di eguaglianza un trattamento diffe-renziato applicato alla stessa categoria di soggetti, ma in momenti diversi nel tempo.

125 V. Corte cost., (ord.) 19 giugno 2000, n. 213, che ha dichiarato la manifesta in-fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 17, l. 4 maggio 1990, n. 107 (Disciplina per le attività trasfusionali relative al sangue umano ed ai suoi componenti e per la produzione di plasmaderivati), sollevata, in riferimento agli artt. 3, comma 1, e 27, comma 3, Cost., «nella parte in cui prevede indistintamente la pena della reclusione da uno a tre anni e la multa da lire 400.000 a lire 20.000.000, nonché l’interdizione dall’esercizio della professione sanitaria per un periodo non inferiore ad anni due, per tutte le violazioni delle norme di legge che regolano il prelievo, la rac-colta e la distribuzione di sangue umano ovvero la produzione e messa in commercio di suoi derivati, così come per chi svolge tali attività per fini di lucro». La Corte ha ritenuto che, «quanto alla pluralità di condotte diverse per struttura e disvalore che – pur esclusa la rilevanza penale delle violazioni regolamentari – restano nondimeno comprese nella fattispecie incriminatrice del censurato art. 17 della legge n. 107/1990, nessuna disparità di trattamento è configurabile: è, infatti, massima consolidata nella giurisprudenza costituzionale che in questi casi sarà il giudice a fare emergere in con-creto la diversa gravità delle varie sottospecie ed a graduare su questa base, nel rispet-to dei minimi edittali, la pena da irrogare (v. ordinanze nn. 145 del 1998, 456 del 1997 e 220 del 1996; sentenza n. 281 del 1991)».

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somma di denaro spettante al mandante mediante violenza alla persona del debitore, in particolare consistita nel colpirlo ripetutamente (all’inter-no del suo ufficio, dopo l’orario di lavoro e quindi di accesso al pubblico) con pugni, calci ed una sedia di legno, nonché nell’afferrarlo per il collo tanto da farlo svenire, costringendolo così a compilare e consegnare se-duta stante quattro assegni bancari ed a sottoscrivere e consegnare ai correi una dichiarazione confessoria di frode processuale con riguardo ad un contenzioso civile pendente tra la società di cui la vittima è legale rappresentante e la società la cui legale rappresentante risulta la coniuge del mandante

126. I criteri qui serviti a radicare la sussunzione entro la cornice dell’art.

629, piuttosto che dell’art. 628 c.p., appaiono difatti ligi ai canoni già passati in rassegna critica: l’azione delittuosa è rivolta alla compilazione di documenti e non all’impossessamento di cose esistenti; per altro l’azione descritta ha comunque lasciato alla vittima margini di determi-nazione. Proprio questi criteri vacillano al contatto con la fattispecie concreta, cui non pare aderire la formula secondo la quale deve risultare accertato che «la volontà del soggetto passivo, per effetto della minaccia, non sia completamente esclusa, ma, residuando la possibilità di scelta fra l’accettare le richieste dell’agente o subire il male minacciato, la pos-sibilità di autodeterminazione sia condizionata in maniera più o meno grave dal timore di subire il pregiudizio prospettato»; «se la minaccia, viceversa, si dovesse risolvere in un costringimento psichico assoluto, cioè nell’annullamento di qualsiasi possibilità di scelta, ed il risultato dell’agente fosse il conseguimento di un bene mobile, si configurerebbe infatti un vero e proprio “impossessamento” e, conseguentemente, il di-verso reato di rapina»

127. Tanto allora fa strada a due considerazioni di chiusura. L’una si attaglia alla fattispecie concreta, per cui appare plausibile la

riconversione della qualificazione entro il modello della rapina. L’altra è rivolta alle fattispecie astratte, scoprendosi che il confine tra i due delitti questionati coincide con l’immediatezza o meno del comportamento reso dalla vittima rispetto alla condotta costrittiva cui soggiace. Immediatezza che dunque spiega e descrive il tipo di comportamento che l’ha innesca-ta; immediatezza che esprime una portata psicologica maggiormente co-gente ed implica “limiti naturali”, i quali la indirizzano verso “beni” dota-ti di una materialità (naturalmente) mobilizzabile (in questo senso “cose mobili”). Tale “immediatezza” diventa allora la formula linguistica di sintesi per quei caratteri del fatto criminale di rapina che la trascorsa analisi esegetica aveva, con diverso approccio, valorizzato: così la dazio-ne-consegna effettuata a mani della vittima, ma “sostituibile” con la di-

126 Cass., sez. II, 1 ottobre 2004, Caldara ed altri, cit. 127 Cass., sez. II, 1 ottobre 2004, Caldara ed altri, cit.

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retta apprensione da parte del reo 128; così l’“assolutezza” della costrizione

a carico del soggetto passivo.

1.7. Concludendo sul tipo di comportamento aggressivo all’altrui pa-trimonio come paradigma del Tatbestand

A venire in evidenza è quindi la distanza che scorre tra gli scenari raf-figurati in astratto dalle norme incriminatrici rispettivamente della rapi-na e dell’estorsione. L’una disposizione scatta una istantanea, dove il comportamento della vittima della violenza/minaccia – quindi il subire, il fare o l’omettere – è legato in unità spazio temporale con l’aggressione che lo determina, tanto da non essere isolato dalla lettera normativa in una sua autonoma identità costitutiva e da essere piuttosto conteggiato come implicitamente strumentale alla realizzazione dell’impossessamen-to che è opera di parte attiva; l’altra disposizione racconta un episodio composto di più fotogrammi, la violenza/minaccia ed il corrispettivo fa-re/omettere, scissi da una percettibile distanza spazio temporale che ri-mane tratteggiata anche per mezzo della struttura di reato di evento, in cui l’evenienza del risultato “disposizione patrimoniale” messa in campo dal soggetto passivo implica una sequela e quindi una separazione non solo logica bensì “materiale” rispetto al comportamento aggressivo.

Il pensiero, a questo stadio, intercetta la peculiarità della codificazio-ne penale cilena, che dopo aver declinato all’art. 432 l’appropriazione di cose mobili altrui (contro la volontà del proprietario e col fine di lucro) nelle alternative dimensioni della rapina e del furto, modula la prima fi-gura impostandola sull’uso della violenza o intimidazione verso le perso-ne e forza sulle cose. Il fatto estorsivo (art. 438), parametrato sulla mede-sima cornice sanzionatoria della rapina, rimane invece inquadrato nei limiti del fatto di «chi per defraudare un’altra persona, la obbliga con

128 Con approccio comparativo, si veda come nella rapina codificata dal legislatore tedesco (§ 249), la condotta del colpevole – di sottrazione ad altri della cosa mobile con intenzione appropriativa – è selezionata nella forma modale della violenza contro una persona o della minaccia di un pericolo attuale per l’incolumità fisica o per la vita; non confondibile quindi con il perimetro del comportamento descritto nel meno grave reato di estorsione (§ 253), ove dipinta è una modalità di condotta (residuale) di violenza o minaccia di un male sensibile; l’estorsione rimane nondimeno punita tramite la mede-sima cornice sanzionatoria della rapina in quanto commessa mediante gli stessi mezzi coattivi (räuberischer Erpressung, § 255, v. KINDHÄUSER, Lehrbuch des Strafrechts Beson-derer Teil, II, Baden-Baden, 2003, § 13/8), qui inserendosi la casistica della coazione mi-rata ad ottenere la consegna della cosa aliena, intesa a parte dell’ambito tipico del delitto di estorsione aggravata salva l’accertata sostituibilità in concreto di questo contributo passivo con la rottura della sfera di custodia operata direttamente dall’autore del delitto, reo allora di rapina (GÜNTHER, § 249, in RUDOLPHI-HORN-GÜNTHER-SAMSON, Sistemati-scher Kommentar zum Strafgesetzbuch, Frankfurt a. M., 1998, n. 27).

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violenza o intimidazione a sottoscrivere, concedere o consegnare un atto pubblico o privato che comporti un’obbligazione valutabile in denaro»

129. Si avvista insomma – anche in questo luogo codicistico – la creazione ex lege di una chiara mappa di navigazione, che guida tra i confini dei citati reati, ed ammette l’estensione del delitto di rapina fino a renderlo com-prensivo di ipotesi (residuali e generali rispetto alla specialità documen-tale enucleata nell’estorsione) non solo di appropriazione mediante sot-trazione coercitiva ma anche di recezione coercitiva della cosa mobile aliena

130. Eletto dunque a paradigma della tipicità penale il tipo di comporta-

mento aggressivo al patrimonio messo in campo dall’agente, non può ne-garsi che lo stesso criterio mantenga la propria validità anche per discer-nere le peculiari forme di manifestazione dei reati, così di rapina e di estorsione.

Al proposito, nel moderno dibattito si è posta la questione dell’identi-ficazione della fenomenologia della «più persone riunite», aggravante il delitto di rapina ed il delitto di estorsione. Precisamente, in seno al di-sposto dell’art. 628, comma 3, n. 1, c.p. la definizione dell’operatività del-la circostanza di specie non ha vissuto atteggiamenti interpretativi ondi-vaghi: Suprema Corte e dottrina hanno unanimi attestato essere sempre necessaria la simultanea ed effettiva presenza dei correi nel luogo e nel momento del fatto a prescindere dalla commissione della violenza o della minaccia da parte di ciascuno di essi 131. Come è, del resto, per le fattispe-cie circostanziali di cui agli artt. 339 e 385 c.p., rispettivamente recanti circostanze aggravanti speciali per alcuni delitti contro la pubblica am-ministrazione e contro l’amministrazione della giustizia commessi con violenza o minaccia: per la relativa configurazione si intende richiesta la simultanea e consapevole presenza di tutte le persone sul luogo del reato.

129 Si ha definizione normativa delle modalità di “violenza o intimidazione verso le persone” come maltrattamenti, minacce sia per far sì che si consegnino o si mostrino le cose, sia per impedire la resistenza o la opposizione a che si sottraggano, o qualun-que altro atto che possa costringere o forzare a mostrare o a consegnare; altresì vio-lenza v’è quando, per ottenere la consegna o visione, si alleghino falsi ordini da parte di un’autorità o si dia da sé un ordine fingendosi autorità giudiziaria o pubblico fun-zionario (art. 439).

130 V. BASCUÑÁN RODRÍGUEZ, El Robo como Coacción, in REJ, 2002, n. 1, 82 s., e nt. 81, che sulla scorta di una parte della dottrina tedesca propone una limitazione della tipicità della rapina alle sole ipotesi in cui il contributo del coartato alla perdita del dominio-custodia sulla cosa possa essere sostituibile nel caso concreto con la rottura dello stesso rapporto di custodia operata di mano propria dall’autore del delitto, in un simile caso risultando equivalente la coazione alla consegna della cosa alla coazione a tollerare l’appropriazione.

131 Cfr. Cass., sez. I, 10 giugno 1974, Messina, in CED Cass., n. 129081; Cass., sez. I, 9 febbraio 1981, Braico, ivi, n. 149461; Cass., sez. un., 23 marzo 1992, P.G. in proc. Ferlotti, in Cass. pen., 1992, 1782.

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Come è, del resto, analogamente, per l’integrazione dell’autonomo delitto di violenza sessuale di gruppo (art. 609 octies c.p.), che eleva ad elemento costitutivo specializzante la riunione dei partecipanti al momento e nel luogo della commissione.

Questa lettura dell’aggravante ex art. 628, comma 3, n. 1, c.p. in effetti è coerente con l’unicità/immediatezza del contesto spazio-temporale che qualifica la situazione tipizzata nel delitto di rapina, per cui anche la “riunione delle più persone” dovrà essere rapportata alla specificità della contingenza della commissione del comportamento violento/minaccioso, cui corrisponde – “in tempo reale” – l’atteggiamento di reazione della vit-tima.

Con pari coerenza, davanti all’alterità della figura criminosa dell’estor-sione, si è progressivamente fatta strada una diversa immagine della circo-stanza aggravante in parola una volta calata – mediante apposito rinvio normativo – nella cornice fattuale dell’art. 629 c.p.

Dinnanzi alle Sezioni unite sono stati infine portati i due contrapposti orientamenti ermeneutici delineatisi all’interno delle Sezioni semplici. Un primo, ha letto la circostanza aggravante speciale e ad effetto speciale delle «più persone riunite» prevista dall’art. 629, comma 2, c.p. in termini spe-culari rispetto all’art. 628, comma 3, n. 1, c.p. cui rinvia. Si è dato quindi risalto, ai fini della relativa integrazione, al profilo oggettivo-materiale del-la effettiva presenza contestuale di almeno due persone nel luogo e nel momento della consumazione della condotta costrittiva o minacciosa: «in quanto solo in tal modo hanno luogo quegli effetti fisici e psichici di mag-giore pressione sulla vittima che ne riducono significativamente la forza di reazione e giustificano il rilevante aumento di pena»

132. Il secondo orientamento, attento alle peculiarità dei casi di c.d. “estor-

sione a distanza” o “indiretta” (commessa con minacce a mezzo lettera o telefono), ha ritenuto configurabile la circostanza aggravante in questio-ne anche se la minaccia o la violenza siano state esercitate da un solo soggetto, essendo sufficiente che la vittima percepisca che tale condotta provenga da una pluralità di individui, qui risiedendo il maggiore effetto intimidatorio del fatto

133. Le convocate Sezioni Unite hanno risolto il contrasto interpretativo

affermando che per l’integrarsi dell’ipotesi aggravante delle “più persone riunite” di cui al delitto di estorsione è necessaria la simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo ed al momento in cui si realizzano la violenza o la minaccia

134. Per un verso, seguendo la regola fissata

132 In tal senso costanti conclusioni, v. Cass., sez. II, 22 aprile 2009, Limatola ed al-tro, in CED Cass., n. 244149; Cass., sez. II, 11 giugno 2010, Scisci, ivi, n. 247865.

133 Cfr. Cass., sez. V, 19 giugno 2009, Nicolosi, in CED Cass., n. 245146. 134 Cass., sez. un., 29 marzo 2012, n. 21837, Alberti, in Diritto penale contemporaneo.

Per un puntuale commento alla pronuncia, si rinvia a AMARELLI, L’aggravante speciale

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dall’art. 12 delle preleggi, in base alla quale è necessario tenere anzitutto conto nella interpretazione delle norme del significato lessicale dei ter-mini utilizzati dal legislatore, la Suprema Corte è approdata alla conclu-sione di una univoca portata semantica del termine “riunite”, indicatore chiaro ed incontrovertibile della compresenza in un luogo determinato di più persone. Per altro verso, si è trovato conforto nell’argomento teleolo-gico, ritenendosi che la ratio dell’inasprimento della pena in questo caso sia rappresentata dal maggiore effetto intimidatorio e dalla minorata di-fesa della vittima generati dal dato oggettivo-causale della contestuale presenza di più persone nel luogo e nel momento della realizzazione del-la minaccia o della violenza. In questo modo si riesce anche a spiegare la possibilità di ritenere configurata detta aggravante nelle ipotesi di estor-sione “indiretta” o “mediata”, ma solo laddove la condotta minacciata sia oggettivamente realizzata da più persone insieme, non al cospetto della vittima (es.: lettera firmata da più soggetti, o telefonata in cui si ricono-scono chiaramente le minacce provenienti da una pluralità di voci diver-se). Così da dedurre, sul finire, che, nel caso in cui le minacce provenga-no da più persone non contestualmente, ma in momenti diversi, si potrà al più integrare l’aggravante comune di cui all’art. 112, comma 1, c.p. nel caso in cui i concorrenti siano cinque o più.

Eppure, tanto l’argomento letterale, tanto quello teleologico, quanto infine quello intra-sistematico, qui convincono di un diverso modellarsi della circostanza aggravante a seconda del diverso sfondo fattuale del reato commesso, a seconda che si tratti di rapina o di estorsione. Esat-tamente, non si nega che vada abbracciata una prospettiva oggettiva, te-sa a verificare l’effettivo comportamento dei concorrenti, i quali debbono risultare “compresenti” al momento della commissione del fatto; ma ciò non significa abbandonare il riconoscimento di ogni rilievo alla contrap-posta prospettiva vittimocentrica, quella che valorizza il requisito sogget-tivo del rafforzato metus ingenerato nella vittima.

D’altronde, il legame tra l’uno atteggiamento causale – dei correi – e l’altro atteggiamento effettuale – del soggetto passivo – è proprio ciò che disegna, nel relativo distinguo, la trama delle due vicende tipizzate ri-spettivamente nell’ipotesi di rapina e di estorsione; e nemmeno nel ra-gionamento delle Sezioni Unite scompare l’attenzione per la sensazione-percezione del soggetto passivo quanto alla provenienza dell’azione mi-natoria da parte di più persone: solo da questo passaggio del resto si può trarre l’effettiva, maggiorata efficacia intimidatoria di una condotta vio-lenta/minacciosa tenuta alla simultanea presenza delle stesse.

Certo è che la pretesa “simultaneità” diversamente si atteggia a se-

del delitto di estorsione delle “più persone riunite”: per le Sezioni unite è necessaria la contestuale presenza al momento della commissione del reato, in Riv. trim. dir. pen. con-temp., 2012, nn. 3-4, 114 ss.

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conda della durata temporale di volta in volta tipizzata nella descrizione del fatto di reato. Vale a dire: se nell’ipotesi di rapina il carattere collet-taneo dell’agire criminoso (tipico ai sensi della fattispecie plurisoggettiva eventuale) non potrà che palesarsi immediatamente davanti alla vittima che subisce la violenza/minaccia, nel delitto di estorsione questo caratte-re plurisoggettivo potrà manifestarsi lungo l’intera durata dell’atteggia-mento costrittivo, nel continuativo legame intimidatorio tra esso ed il successivo comportarsi della vittima; quindi, interverrà ad aggravare il quadro sanzionatorio purché si presenti sulla scena oggettiva – e sia così apprezzato anche dalla vittima – nel corso dell’intero episodio culminan-te con la produzione dell’evento di profitto transitato per l’appunto dal fare/omettere del soggetto passivo. A queste condizioni, si lascia sul ter-reno dell’art. 629, comma 2, c.p. pure l’ipotesi di una pluralità di minacce provenienti in momenti diversi da distinti concorrenti.

Usciti fuori dal distinto perimetro dei delitti di rapina e di estorsione, ri-mane allora chiara la struttura di “sintesi” che connota la fattispecie delit-tuosa della truffa: in essa è descritto un modulo di relazioni comportamen-tali che consente di abbracciare – secondo il significato proprio delle parole, di per sé e nella loro connessione di sistema – sia il manifestarsi sincronico sia il manifestarsi diacronico di quel binomio causa-effetto che qui si tradu-ce nell’azione punita di induzione in errore tramite l’allestimento di artifizi e raggiri versus la reazione protetta di disposizione patrimoniale dannosa.

2. Epigramma sulla natura impropria del reato a plurisoggettivi-tà necessaria

Il discorso che fino a qui s’è snodato dà conforto all’idea per cui la na-tura impropria del concorso plurisoggettivo necessario

135, che pure nella truffa trova declinazione, si riflette nella non punibilità “garantita” al sog-getto passivo del delitto, in corrispondenza col canone generale dell’art. 110 c.p. 136.

135 La locuzione immette nella tematica della distinzione tra fattispecie plurisoggettive proprie e improprie, a scorrere la quale la norma incriminatrice prevede (nelle prime) la punibilità di tutti i concorrenti ovvero (nelle seconde) solo di alcune condotte necessarie per l’esistenza del reato, come è per l’appunto negli esempi dell’usura, dell’estorsione, della con-cussione, fattispecie nelle quali non è prevista la punibilità del soggetto passivo del reato.

136 Soluzione negativa rispetto alla criminalizzazione del concorrente per “quella” condotta tipica è sostenuta tra gli altri da GALLO M., Lineamenti di una teoria sul con-corso di persone nel reato, Milano, 1957, 127; GRASSO, Pre-art. 110 c.p., in Commentario sistematico del Codice penale, II, a cura di ROMANO-GRASSO, Milano, 1996, 133. In giu-risprudenza, Cass., sez. V, 11 novembre 1957, P.M. in proc. Bianchi, in Giust. pen.,

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Difatti, l’obiettivo della criminalizzazione, riflesso nella descrizione della vicenda, si trova ad adottare una prospettiva “normativa” capace di chiudere il campo visivo sul solo fatto commesso dall’agente artifex del-l’inganno (o della violenza/minaccia in altri delitti contro il patrimonio) che è il mezzo “vincolato” per ottenere il risultato; al contempo, se ne trae come il contro-comportamento “cooperativo” della vittima non de-scriva una condotta “causale”, nel senso di strumentale, al compimento della condotta criminale così tipizzata

137. La peculiarità di questi casi “impropri” – ed esattamente del caso che

impegna sotto il titolo della truffa – pare consistere proprio nell’aversi a che fare con una condotta, realizzata dalla vittima e produttiva di effetti patrimoniali negativi, che è tipica nel senso di necessaria (per implicita o esplicita descrizione) ai fini dell’esistenza materiale-naturalistica dell’epi-sodio del reato, ma non esplicitamente sanzionata dalla norma, così si-gnificando l’esclusione della volontà legislativa di punirla. Del resto, la vittima in parola nemmeno potrà essere considerata punibile a titolo di concorso necessario (o eventuale) quand’anche abbia tenuto un compor-tamento che vada al di là di quello tipizzato e che pure sia in esso nor-malmente implicato, posti i precisi contorni fenomenici del fatto illeci-

1958, II, 98; Cass., sez. V, 20 ottobre 1981, Bura, in Riv. pen., 1982, 444; Cass., sez. I, 30 aprile 1991, Aceto ed altri, in Giust. pen., 1991, II, 655; Cass., sez. I, 13 maggio 1991, Arcellaschi ed altro, ibidem, 724. Secondo una certa corrente esegetica (v. DELL’ANDRO, La fattispecie plurisoggettiva in diritto penale, Milano, 1956, 170 ss.; GAL-

LO M., Lineamenti, cit., 127; Cass., sez. I, 30 aprile 1991, Aceto ed altri, cit.) ne discen-de la vigenza delle disposizioni ex artt. 110 c.p. e seguenti nel regolamentare i com-portamenti dell’“improprio” correo che si appalesino come “atipici”, per l’appunto di-versi, ulteriori rispetto a quelli tipizzati.

137 In argomento si rinvia alla articolata visuale offerta da BRUNELLI, Il diritto pena-le, cit., 141 ss., che in proposito parla di “cause di non punibilità in senso stretto”, «con l’unica particolarità che la non punibilità non risulta espressamente dichiarata («non è punibile», «la disposizione non si applica»), ma è desunta dalla mancata pre-visione della pena a carico del necessario autore della condotta»; ove tale effetto di non punibilità discende talvolta «dalla valutazione legata alla logica di tutela di un soggetto debole» (cfr. art. 644 c.p.); «Altre volte le ragioni di opportunità si collegano a valutazioni meramente “tattiche” in ordine alla possibilità concreta di scoprire e puni-re il colpevole, in uno con l’incertezza in ordine alla sussistenza di una vera e propria condotta di istigazione da parte dell’altro soggetto» (cfr. art. 346 c.p.); «In altre figure di non punibilità prevale, invece, la valutazione circa l’esiguità del disvalore della con-dotta» (cfr. artt. 244, 653, 243 c.p.); in chiosa, «Una volta che viene sancita la non pu-nibilità per la condotta necessaria a realizzare il collegamento con il fatto complessivo tipico, non è sostenibile che il soggetto che l’ha posta in essere possa sempre rispon-derne sulla base delle regole estensive della tipicità dettate per il c.d. concorso even-tuale. Infatti, quelle regole possono essere richiamate per rendere tipica (c.d. tipicità derivata) una condotta che non lo sarebbe alla stregua delle singole fattispecie crimi-nose. In questo caso, una qualificazione in termini di tipicità è stata già offerta dal legislatore proprio attraverso una specifica fattispecie e dunque non occorre richia-mare gli artt. 110 ss. per estendere quella valutazione a comportamenti ulteriori».

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to 138. In sostanza, qui si registra la tipizzazione punita rispetto ad un

comportamento, appunto di costrizione ovvero di induzione in errore, necessariamente causale rispetto al seguito di “ottenimento del profitto-produzione del danno”; quindi un atteggiamento che è ben possibile “pensare” senza necessariamente immaginare una distinta e complemen-tare condotta. Si tratta cioè di un comportamento che non esige, per esi-stere in quanto tale, della collaborazione di alcuno: per certo non di chi risultatone vittima.

Il ragionamento si coordina pertanto con l’esegesi corrente, che per riconoscere la condotta tipica del truffatore, o piuttosto la condotta tipi-ca dell’estorsore, o del reo di concussione, nemmeno si attarda a dover-voler visualizzare l’effetto intermedio psicologico della caduta in errore ovvero della prostrazione volitiva. Così è nel caso della concussione. Si segue in proposito l’andamento del pensiero rinsaldatosi con riguardo alla precedente configurazione tipica, che per questo tratto permane a tutt’oggi valido, pur a fronte della avvenuta separazione dell’ipotesi com-portamentale “costrittiva” (concussione) rispetto ad una ipotesi “indutti-va” ove infine il privato si sveste da “vittima” per entrare nei panni di reo

139. Per aversi concussione si rende sufficiente riscontrare che «la

138 V. Cass., sez. I, 18 novembre 1996, Sassi ed altro, in Cass. pen., 1998, 652. Ana-logamente Cass., sez. I, 10 febbraio 2005, Pavanati, in Riv. pen., 2006, 588, che, di-chiarando il ricorrente colpevole di concorso nel reato di trasferimento fraudolento di valori di cui al comma 1 dell’art. 12 quinquies del d.l. 8 giugno 1992 n. 306, conv. in l. 7 agosto 1992 n. 356, ha statuito: «il criterio secondo il quale non è punibile, per il principio “nullum crimen sine lege”, il soggetto la cui condotta è richiesta, per la con-figurazione di un reato plurisoggettivo improprio, non può applicarsi in modo assolu-to; deve stabilirsi caso per caso, in base alla volontà del legislatore, se debba o meno applicarsi il principio generale per cui chi concorre nel reato ne risponde: in partico-lare occorre indagare se l’esenzione da pena del concorrente necessario non indicato nella norma corrisponda allo scopo della norma stessa ed alle direttive generali dell’ordinamento giuridico. … In base a ciò, e tenuto conto della ratio, delle finalità e della struttura della legge in esame, si deve dedurre che colui che si rende fittiziamen-te titolare di denaro, beni o utilità, con lo scopo di aggirare le norme in materia di mi-sure di prevenzione patrimoniale o di contrabbando, o di agevolare la commissione dei reati di ricettazione, riciclaggio o impiego di beni di provenienza illecita, non può non rispondere, a titolo di concorso, nella stessa figura criminosa posta in essere da colui che ha operato la fittizia attribuzione, per la ragione che anch’egli, con la sua condotta cosciente e volontaria, contribuisce chiaramente alla lesione dell’interesse protetto dalla norma incriminatrice».

139 In dettaglio. La l. 6 novembre 2012, n. 190, recante “Disposizioni per la preven-zione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazio-ne”, ha da ultimo riscritto l’art. 317 c.p. secondo il seguente tenore: «(Concussione). Il pubblico ufficiale che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la reclusione da sei a dodici anni». Al contempo il dettato codicistico è stato no-vellato attraverso l’inserimento dell’art. 319 quater: «(Induzione indebita a dare o pro-mettere utilità). Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il pubblico ufficiale o

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condotta del pubblico ufficiale sia astrattamente idonea a determinare uno stato di soggezione», assumendo rilievo «la oggettiva esternazione di una volontà che sia espressione di un abuso di qualità o di potere del pubblico ufficiale», precisandosi che nella fattispecie consumata la con-dotta costrittiva debba determinare un «oggettivo condizionamento della libertà morale della persona offesa, e non l’effetto psicologico che even-tualmente da esso consegue»; per cui – si prosegue – la vittima della con-cussione «non deve necessariamente trovarsi in uno stato soggettivo di timore, potendo determinarsi al comportamento richiesto per mero cal-colo economico, attuale o futuro, o per altra valutazione utilitaristica»

140. Scorrendo oltre, nel cono dell’art. 629 c.p. si legge che la minaccia deve

essere seria, cioè ragionevolmente credibile come verosimile da parte della vittima, tenuto conto di tutte le modalità del caso, senza che abbia rilievo la circostanza che la coartazione non abbia avuto in concreto successo per le doti di carattere dell’offeso o che la vittima stessa non sia stata intimidita o abbia, addirittura, presentato denuncia alla polizia

141; e si legge che la mi-naccia deve essere pure “idonea”, cioè capace di coartare la libertà di deter-minazione della vittima

142, secondo una valutazione da svilupparsi caso per caso con riferimento alle singolari circostanze esistenti nell’ipotesi concreta (male prospettato, sua credibilità ed eseguibilità; forme, tempo, luogo e ogni altra modalità della condotta; capacità a delinquere dell’agente ed eventuali suoi precedenti penali; consuetudini locali) tra cui comprendere anche le particolari – preesistenti – condizioni psicologiche del soggetto passivo (es.: impressionabilità, pavidità, stati psicopatologici) 143.

In proposito si puntualizza che la minaccia non è necessariamente inidonea per il solo fatto di non avere prodotto una costrizione o piutto-sto una intimidazione

144. Così parimenti non si ha minaccia necessaria-mente idonea (pur trattandosi di elemento altamente probatorio in tal senso) per il solo fatto che dalla condotta dell’agente è conseguito un ef-fetto coattivo

145, ad esempio per un’impressionabilità patologica del sog-

l’incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, in-duce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la reclusione da tre a otto anni. Nei casi previsti dal primo com-ma, chi dà o promette denaro o altra utilità è punito con la reclusione fino a tre anni».

140 Cass., sez. VI, 22 maggio 2009, Zeccardo, in CED Cass., n. 244867. 141 CONTI, Estorsione, cit., 998. 142 CONTI, op. ult. cit. 143 In generale v. MANTOVANI, Estorsione, cit., 2; BACCAREDDA BOY-LALOMIA, I delitti

contro il patrimonio mediante violenza, cit., 523 ss. In giurisprudenza, Cass., sez. VI, 26 gennaio 1999, Savian, in CED Cass., n. 212945; Cass., sez. III, 10 aprile 2001, P.M. in proc. Massaro ed altri, ivi, n. 219866; Cass., sez. II, 23 settembre 2004, Giorgetti ed altro, in Riv. pen., 2005, 441.

144 Cass., sez. VI, 29 aprile 1999, Labalestra, in CED Cass., n. 214396. 145 Si vedano in questo senso le notazioni di BRUNELLI, Spunti di riflessione, cit., 51 ss.

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getto passivo, salvo che l’agente non abbia strumentalizzato tale dato, in quanto a conoscenza di tale anomala situazione emotiva della vittima, nel qual caso la minaccia va ritenuta “adeguata”

146. Vengono allora esemplificativamente in rilievo i limiti entro i quali è con-

figurabile la tentata estorsione mediante minaccia, nel caso in cui tra la mi-naccia e l’intervento della pubblica autorità sia intercorso un sensibile lasso di tempo senza alcuna iniziativa criminosa da parte dell’imputato

147. Il caso concretamente postosi alla recente osservazione giurispruden-

ziale insegna: due soggetti si presentano in due distinte occasioni presso un supermercato, palesandosi come “amici dell’Acquasanta”, con chiaro riferimento alla struttura organizzativa mafiosa, e domandando incontri con i titolari di detto esercizio; successivamente inviano ancora a questi il messaggio che, qualora rifiutino tali incontri, “commetteranno un errore”. A tali fatti tuttavia non viene a seguire alcuna altra iniziativa intimidatoria, sino a giungere alla denuncia da parte dei titolari del supermercato ed in-fine alla consecutiva applicazione di misura cautelare rispetto ai due una volta trascorsi svariati (circa sedici) mesi dopo l’ultimo contatto tra estor-sori e vittima. La Corte di Cassazione, nel pronunciarsi sulla vicenda, ha richiamato alcuni fondamentali principi in tema di criteri di valutazione dell’idoneità degli atti nel tentativo mediante minaccia, osservando come per darsi delitto tentato sia necessario che la condotta sia valutata idonea a integrare la corrispondente figura di reato consumato mediante una prognosi postuma ex ante, considerando cioè tutti gli elementi presenti nel contesto di azione del reo valutati nella loro concreta interazione e capacità causale

148. Non possono pertanto ritenersi inidonei gli espliciti riferimenti a collega-menti tra l’estorsore e una potente organizzazione mafiosa, né gli inviti a “incontrarsi” accompagnati dall’avvertimento che la condotta contraria denegatoria sarebbe stata considerata “un errore”: la forza intimidatoria di tale lessico e di tali comportamenti appare in concreto idonea a ingenerare il timore presupposto del reato di estorsione

149, dovendo rimanere estranea a questa valutazione la circostanza che a tali atti non siano seguite ulterio-ri condotte intimidatrici o violente.

Si intende dunque che la condotta, consumata o tentata che sia 150, nel

146 Cfr. MANTOVANI, Estorsione, cit., 2 s. 147 Cass., sez. VI, 11 ottobre 2011, n. 40673, in Diritto penale contemporaneo. 148 Per l’argomentazione del testo, ex plurimis, leggasi Cass., sez. VI, 17 febbraio

2004, P.M. in proc. Fasano, in CED Cass., n. 229135. 149 Per una particolare valorizzazione «della connotazione storica del fatto, delle

sue effettive implicazioni sia per quanto attiene alla posizione dell’autore del compor-tamento censurato sia del suo interlocutore, dei significati del messaggio reso, alla luce delle consuetudini locali» v. Cass., sez. V, 1 luglio 2009, Palmiero ed altri, in CED Cass., n. 244915, sempre in un caso di tentata estorsione mafiosa.

150 Sull’accertamento dell’idoneità ex ante degli atti tentati si rinvia alle acute con-

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suo rendersi visibile minaccia/violenza o piuttosto visibile ed apprezzabi-le artificio/raggiro, quindi nel suo rendersi condotta idonea, deve essere valutata ex ante come aderente al parametro normativo

151; deve cioè, per essere considerata tipica, esprimersi di per sé in veste di comportamento umano materiale dotato di una esteriorità che lo abbini al significato di “apparenza” impresso nella norma (ancora, di minaccia, violenza, artifi-zio, raggiro). Ciò inderogabilmente tenendo conto di tutte le modalità e circostanze effettive in cui è “apparsa” in concreto

152, tanto da potersi di-scutere e concludere circa la configurabilità di un delitto consumato quando il reo, subito dopo avere appreso il bene estorto, venga arrestato dalla polizia

153. In tema si menziona pure la risoluzione giurisprudenziale per cui in

fattispecie tentata «la valutazione di idoneità deve essere effettuata, esat-tamente come in relazione alla estorsione consumata, alla luce della va-lenza negativa delle foto per il soggetto ritratto. Di conseguenza, non co-stituisce minaccia estorsiva idonea la prospettazione di divulgare foto-grafie “innocue”, dal contenuto obiettivamente non lesivo per l’immagine del soggetto ivi ritratto, a maggior ragione quando la condotta successiva di quest’ultimo sia tale da far ragionevolmente escludere uno stato di ef-fettiva costrizione della volontà»

154. A fortiori, una volta calato sulla struttura del reato di truffa ex art. 640

c.p., tale accertamento di tipicità viene ad implicare la verifica della c.d. idoneità in concreto dell’artifizio e del raggiro, nel senso dell’osservabilità dall’esterno di una “messa in scena” con riferimento diretto alla situa-zione specifica in cui è avvenuto il fatto ed alle modalità esecutive dello stesso

155, senza che abbia rilevanza la deficienza di attenzione o la scarsa

siderazioni problematizzanti sviluppate da BRUNELLI, Spunti di riflessione, cit., 55 ss. 151 V. Cass., sez. II, 13 novembre 2001, Zaccuri, in Cass. pen., 2002, 3460, fattispe-

cie in cui la Suprema Corte ha ritenuto configurabile il reato di estorsione nei con-fronti del titolare di un’azienda che versava ai dipendenti una retribuzione inferiore a quella dovuta. Con analoga motivazione Cass., sez. VI, 26 gennaio 1999, Savian, cit.

152 Cfr. BRUNELLI, Spunti di riflessione, cit., 59, che riflettendo attorno all’accer-tamento dell’idoneità degli atti nella truffa tentata conclude: «Del resto, quando si co-struisce il modello sulla base del quale formulare il giudizio di idoneità non si può non tener conto delle caratteristiche della vittima dell’interferenza, delle sue doti, delle sue conoscenze, delle sue esperienze e delle sue qualità, le quali non costituiscono un fattore esterno che irrompe sulla scena dopo che sono stati compiuti gli atti. Qui siamo in pre-senza di una condotta che deve essere calibrata sulla psiche del destinatario …».

153 CONTI, Estorsione, cit., 1001. V. Trib. Roma, 6 febbraio 2004, n. 1503, in Guida dir., 2005, n. 6, 96.

154 App. Milano, 2 dicembre 2010, in Corr. merito, 2011, 283. 155 Rieccheggia in questi argomenti l’idea di una restrizione dell’inganno tipico del-

la truffa che trova nella dottrina tedesca un sentito seguito, v. KINDHÄUSER, § 263, cit., 90, 95, 97; PAWLIK, Das unerlaubte, cit., 148 ss.; FRISCH, Grundfragen der Täuschung

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diligenza mostrata nell’“impatto” dalla persona offesa, la cui fiducia è stata “rapita” dall’inganno

156. Riassumendo: negli illeciti appartenenti alla categoria plurisoggettiva

impropria la descrizione della tipicità naturalistica del fatto di reato – ti-picità innegabilmente plurisoggettiva – si sfalda al confronto con quella della più ridotta tipicità normativa, che definisce il fatto umano punibile in forma monosoggettiva; ciò in un sistema che vive nell’altrimenti ordi-nario combaciare dei due livelli descrittivi, del fatto tipico verificatosi e del fatto tipico punito.

Ove dunque si pervenga ad accertare che rispetto alla realizzazione del fatto dell’agente espressamente punito non possa fornire un contribu-to causale il comportamento, pure di evenienza naturalistica necessaria ai fini della tipicità, di altro, impunito soggetto, ebbene questi non potrà che andare effettivamente esente da pena, risultando la sua condotta “normativamente” atipica sia ai sensi della norma di specie sia ai sensi della disciplina di genere ex artt. 110 c.p. e seguenti. Così è pure per chi subisce il delitto di concussione, in quanto egli mai partecipa causalmen-te alla costrizione posta in essere dall’agente qualificato; né concorre nel delitto di usura chi soggiace a pretese usurarie, posta la descrizione in termini riflessivi (si fa dare o promettere) del comportamento punito dall’art. 644 c.p., che vale ad isolare la rilevanza penale del fatto sul solo capo “attivo” della relazione intersoggettiva.

Un più ampio abbraccio del sistema consente peraltro di trarre la stessa notazione pure dall’analisi “interna” dell’art. 270 quinquies c.p. La norma punisce chiunque «addestra o comunque fornisce istruzioni sulla prepara-zione o sull’uso di materiali esplosivi …, nonché di ogni altra tecnica o me-todo per il compimento di atti di violenza ovvero di sabotaggio di servizi pubblici essenziali, con finalità di terrorismo ...»; e con la medesima pena prescritta per chi addestra stabilisce punirsi pure la persona addestrata. Tanto indirizza a due osservazioni, che seguono ad una rigorosa disamina del testo precettivo. Precisamente, la prima considerazione muove dal bi-nomio punitivo addestratore-addestrato, che non corrisponde ad una pari previsione della sanzionabilità (congiunta) di chi fornisce e chi riceve istruzioni. È chiaro che il problema esegetico verrebbe scavalcato ove il “fornire istruzioni” venisse ricondotto entro il genere dell’addestramento, quale sua modalità di specie

157: la disgiunzione («o comunque») eretta tra

und des Irrtums beim Betrug, in AA.VV., Strafrecht zwischen System und Telos. Fes-tschrift für Rolf Dietrich Herzberg, Tübingen, 2008, 738 ss., avendo a parametro la standardizzazione delle relazioni economiche interpersonali e della cooperazione in-formativa, e quindi la struttura normativa della società e del mercato.

156 Cass., sez. I, 11 luglio 1990, Ricci, in Riv. pen., 1991, 383; Cass., sez. VI, 25 feb-braio 2003, Di Rosa, in CED Cass., n. 224495; Cass., sez. II, 3 luglio 2009, Catanzaro, ivi, n. 244948; App. Catanzaro, 31 luglio 2009, E.R., in La Legge Plus Ipsoa.

157 VALSECCHI, Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale. Brevi osser-

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le condotte si leggerebbe infine come il frammezzo di una endiadi, e la successiva unificazione della terminologia linguistica occorsa con l’uso della sola espressione «persona addestrata» non impedirebbe certo di leg-gere nella punibilità dell’addestrato anche la punibilità del recettore di no-zioni. Se, invece, si avallasse un senso distinto delle modalità comporta-mentali richiamate – l’addestramento esige un contatto, una interazione tra soggetti che la seconda condotta non pretende

158; l’addestramento im-plica una regolare ripetitività degli incontri che si contrappone all’occa-sionalità espressa dall’altro atteggiamento

159 – non potrebbe che discono-scersi la commissione del delitto in parola da parte di chi sia semplice-mente entrato in possesso delle istruzioni diffuse, mancando la tipizzazio-ne (punita) di codesta situazione.

Col rimettere mano alla questione dovrà dunque essere valorizzata quella personalizzazione afferente al concetto di addestramento, che è estranea alla portata semantica del fornire istruzioni e che è connotato al quale si avvicina il moderno osservatorio giurisprudenziale

160. Così, men-tre per il riscontro della prima figura comportamentale si esige l’insta-urarsi di un contatto “diretto” tra determinati soggetti, raffigurando un fatto necessariamente collaborativo

161, l’altra verrà a configurarsi dove di questa relazione non si abbia traccia, eppure risulti operata la divulga-zione delle attenzionate informazioni ad incertam personam, per essere state messe in circolazione tramite internet, videocassette, manuali

162. Ovvio, peraltro, che non appena si individui “il” destinatario che tali

informazioni faccia proprie, non appena si personalizzi dunque l’inter-relazione, egli assumerà le vesti di addestrato in quanto posto all’altro capo di un definito e per questo concretamente penetrante rapporto di insegnamento di tecniche già in astratto tese (leggi, idonee) a formare o perfezionare (nell’aspetto teorico e pratico) una certa capacità “profes-sionale”, e dunque volte all’apprendimento delle modalità di svolgimento di una determinata funzione o di tenuta di un particolare comportamen-to

163. Questi potrà allora risultare punibile proprio giusto il tenore del-

vazioni di diritto penale sostanziale, in Dir. pen. proc., 2005, 1228; ID., Art. 270 quinquies c.p., in Codice penale commentato, a cura di DOLCINI-MARINUCCI, Milano, 2011, 2642.

158 Così LECCESE, Il codice penale si allinea a Bruxelles. Ora chi predica l’odio rischia grosso, in D&G, 2005, n. 33, 95; PISTORELLI, Punito anche il solo arruolamento, in Gui-da dir., 2005, n. 33, 56.

159 Cfr. VALSECCHI, Art. 270 quinquies c.p., cit., 1961 s. 160 Cass., sez. VI, 20 luglio 2011, n. 29670, Garouan, in Diritto penale contemporaneo. 161 Per una disamina del distinguo tra fatti collaborativi e non collaborativi nel

campo degli illeciti digitali, SCOPINARO, Internet e reati contro il patrimonio, Torino, 2007, 80 ss.

162 Così Cass., sez. VI, 20 luglio 2011, n. 29670, Garouan, cit. 163 V. VALSECCHI, Art. 270 quinquies c.p., cit., 1962.

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l’art. 270 quinquies c.p.: la norma infatti, sancendo la pari punibilità dell’addestrato, tipizza direttamente e in termini di specialità – espressi col profilo psicologico consistente nel dolo specifico – quella condotta che altrimenti potrebbe risultare rilevante a titolo di dolo generico per effetto della combinazione della fattispecie delittuosa con la clausola ge-nerale dell’art. 110 c.p., eletta a punire la compartecipazione eventual-mente resa da chi (addestrato) renda così effettivo e concreto il comple-tamento di quell’opera di condizionamento mentale e di distacco dalla vita reale «che è il presupposto per compiere gli attacchi terroristici e le missioni suicide» 164.

2.1. Ritratti speciali di concorso (proprio ed improprio)

La deduzione sulla portata della citata fattispecie terroristica si con-fronta con altre fattispecie, incriminatrici di una condotta rivelatoria, ove rimane tipizzata la punibilità di “chi” – identificato – ottenga le noti-zie di volta in volta in considerazione (artt. 261, comma 4, e 262, comma 4, c.p.). Altrove, invero, il recettore non viene espressamente conteggiato tra i soggetti punibili della rivelazione (artt. 618, 621, 622, 623, 326 e 379 bis c.p.), né potrebbe esserlo, per il solo fatto di aver recepito, ad effetto del generale meccanismo estensivo di cui all’art. 110 c.p., in quanto di per sé l’“assorbimento” da parte di taluno di codeste notizie ed informa-zioni non può ritenersi comportamento “causalmente efficiente” (ad usa-re la tradizionale terminologia)

165 alla realizzazione del fatto tipico (nor-mativo) di reato, ovvero alla divulgazione, alla diffusione, alla comunica-zione delle stesse. La rivelazione, difatti, implica il fuoriuscire del dato dalla sfera di conoscenza dell’agente, per cui, non rimanendo ontologi-camente condizionata dalla percezione che altri ne abbia (così, l’affis-sione di un manifesto che nessuno legga), è ben possibile che essa si rea-lizzi al di fuori del concretizzarsi di altra e distinta, sebbene convergente, condotta, con ciò ribadendosi il criterio di discernimento già illustrato.

A contrappunto stanno quelle fattispecie che selezionano, narrandolo nella parte precettiva, il fatto dell’“accordo”: in questi spazi acquista pie-na visibilità la “non assolutezza” del criterio secondo il quale non è puni-bile, per il principio “nullum crimen sine lege”, il soggetto non espressa-mente dichiarato sanzionabile e la cui condotta è richiesta per la confi-

164 Così Cass., sez. VI, 20 luglio 2011, n. 29670, Garouan, cit. 165 Per una prospettiva strettamente causalistica entro cui ricondurre la partecipa-

zione penalmente rilevante, da ultimo, AZZALI, Concorso di persone nel reato. La pro-spettiva causale, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, a cura di DOLCINI-PALIERO, Milano, 2006, 1366 ss. In giurisprudenza, Cass., sez. un., 12 luglio 2005, Mannino, in Cass. pen., 2005, 3732 ss.

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gurazione di un reato plurisoggettivo improprio: si dovrà piuttosto stabi-lire caso per caso – in base alla volontà del legislatore, espressa attraver-so la rappresentazione linguistica della singola tipicità penale – se debba o meno applicarsi il principio generale per cui chi concorre nel reato di esso e per esso parimenti risponde. La formula sottesa è quella oramai trasportata di decisione in decisione, del “doversi indagare se l’esenzione da pena del concorrente necessario non indicato nella norma corrispon-da allo scopo della norma stessa ed alle direttive generali dell’ordina-mento giuridico”. Una simile proposizione ribadisce la necessaria verifi-ca dell’esistenza di margini tipici che ammettano l’operatività del con-corso di persone nel reato, e quindi la verifica del richiedersi, nella lette-ra della norma incriminatrice, il compimento da parte di altri (concor-rente necessario) di un contributo causale alla realizzazione del fatto commesso dall’“autore principale”: nel senso di colui che sulla scena vie-ne inquadrato “in primo piano”.

A) Del delitto di trasferimento fraudolento di valori

Con questo spirito si rilegge l’art. 12 quinquies, d.l. n. 306/1992, con-vertito dalla legge n. 356/1992, statuente la punibilità – nella parte che qui rileva – di «chiunque attribuisce fittiziamente ad altri la titolarità o disponibilità di beni» od altre utilità, sempre che la vicenda traslativa rimanga qualificata da uno dei tre tipi di dolo specifico previsti dalla norma in esame, integrati rispettivamente dall’intento elusivo della nor-mativa di prevenzione o sul contrabbando e dal fine di agevolare i delitti di ricettazione, riciclaggio o reimpiego. Nemmeno un sommario esame potrebbe lasciar concludere nel senso che sia esclusivo destinatario della sanzione il soggetto che trasferisce i propri beni mediante atti simulati a terzi per uno specifico scopo illecito. L’ontologica natura di reato a con-corso necessario è difatti espressa in una selezione della tipicità che ma-terializza il fatto nell’attribuzione fittizia di beni, situazione la quale ri-sulta configurabile solo in quanto vi siano terzi che accettino – dal sogget-to agente – di acquisire la titolarità o la disponibilità di detti beni; solo all’esito di questo congiungimento di intenti, difatti, si rende visibile una traslazione (sulla cui simulazione indagare). Ciò peraltro significa che la criminalizzazione di costui quale concorrente necessario – destinatario della titolarità o disponibilità dei beni – rimane condizionata dall’ac-certamento dell’elemento soggettivo del reato, diventando penalmente rilevante – ex art. 110 c.p. – in presenza della consapevolezza “piena” dei caratteri di un accordo che si è civilmente perfezionato con l’accetta-zione

166. Il non prevedere, la lettera della norma, la diretta punibilità dell’in-

166 V. Cass., sez. VI, 26 febbraio 2004, Iervolino ed altro, in CED Cass., n. 229343.

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testatario non impone quindi né di concludere come negletta la sanziona-bilità di costui, né di ricercare una “diversa” fattispecie in cui poterne sus-sumere il comportamento, né – infine – di attendere (per attivare la clauso-la generale ex art. 110 c.p.) di individuare nell’accadimento storico un quid pluris rispetto alla condotta descritta. Del resto, qualora si assumesse che l’attività del “recettore”, pure anello essenziale per la realizzazione del de-litto, non sia punita ai sensi e per gli effetti della norma speciale violata nella forma del concorso di persone, e che invece l’applicazione dell’art. 110 c.p. pretenda l’accertamento di una diversa, atipica condotta, causal-mente idonea ad agevolare la commissione del reato, si finirebbe con il ri-chiedere a tale concorrente, per renderlo assoggettabile a pena, una “in-comprensibile” attività ulteriore rispetto al conseguimento o mantenimen-to dello stato fittizio

167. Eppure è palese che il destinatario concorra mate-rialmente a determinare l’operazione nella sua essenza proprio in quanto parte necessaria della traslazione apparente: in sostanza, con il ricevere il valore consente al precedente “proprietario” di rimanere tale.

L’art. 110 c.p. diventa così il tramite con cui il sistema permette (even-tualmente) di raggiungere lo stesso risultato di una incriminazione espressamente plurisoggettiva passando attraverso un modulo normativo monosoggettivo

168. Nel momento in cui sussista una effettiva adesione alla conclusione dell’accordo contrattuale, supportata da un livello cogni-tivo e volitivo scevro da condizionamenti inficianti la libertà morale del titolare apparente (che in tal caso diverrebbe soggetto passivo del “meto-do mafioso” di cui all’art. 7, d.l. 13 maggio 1991, conv. in legge n. 203/1991)

169, l’agere della controparte sarà dunque qualificabile in termi-ni di “punibile concausa penale” del fatto tipico offensivo; è per questa via normativa che si supera l’infungibilità della condizione naturalistica (effettiva titolarità o disponibilità delle risorse) e della posizione anti-giuridica (autore del reato da cui gli stessi valori provengono) del dante causa

170.

167 Così GRILLO, Il dolo specifico nel trasferimento fraudolento di valori, in Dir. pen. proc., 2000, 378.

168 Cfr. ZANOTTI, La disposizione di cui all’art. 12 quinquies del d.l. n. 306 del 1992, in Giurisprudenza sistematica di diritto penale, diretta da BRICOLA-ZAGREBELSKY, Ma-fia e criminalità organizzata, coordinato da CORSO-INSOLERA-STORTONI, II, Torino, 1995, 876 ss., il quale sostiene che dell’intestatario si possa parlare come concorrente eventuale solo in modo improprio, invocando la decisività del contributo dell’intestatario sul piano oggettivo, contributo che non si può mentalmente escludere senza che nello stesso tempo venga meno ogni rilievo penale della condotta altrui.

169 L’aggravante speciale richiamata prevede che «per i delitti punibili con pena di-versa dall’ergastolo, commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416 bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo la pena è aumentata da un terzo alla metà».

170 In proposito cfr. PAGLIARO, Principi di diritto penale. Parte generale, Milano, 1996,

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B) Dei delitti di collusione, concussione, corruzione

Nella tipicità penale espressa dal combinato normativo con l’art. 110 c.p. sta radicata anche la conclusione riguardante la problematica esege-tica suscitata dall’ipotesi delittuosa di collusione tra militare della Guar-dia di Finanza ed estraneo, di cui all’art. 3, comma 1, della legge 9 di-cembre 1941, n. 1383

171: la soluzione va in direzione della non esenzione da pena del privato che è parte necessaria dell’accordo fraudolento, pe-raltro finalizzato al raggiungimento di un suo concreto interesse econo-mico

172. Difatti, se il senso non solo giuridico del “colludere” sta tutto nella

conclusione dell’accordo collusivo, che è espressione di una comunità d’intenti punibile a trecentosessanta gradi, di contro l’opposta soluzione della non punibilità dell’estraneo si confessa errata nel momento stesso in cui pretende di dare applicazione proprio al principio giuridico di cui all’art. 110 c.p. Così che non meraviglia leggere su di una pagina la sta-tuizione per cui il reato militare di collusione è reato di pura condotta e di natura plurisoggettiva impropria, nel senso che per la sua verificazio-ne si intende necessario sotto il profilo naturalistico il concorso del-l’estraneo, il quale però, se non esorbita dalla condotta tipica prevista (consenso o mera adesione alla proposta collusiva del militare) non è a tale titolo considerato punibile; e poi trovare sulla pagina accanto la glossa per cui la punibilità dell’estraneo si ritiene tuttavia configurabile qualora il medesimo ponga in essere una condotta ulteriore e diversa da quella tipica dell’art. 3, legge n. 1383/1941, come ad esempio quella di istigazione, determinazione, agevolazione, in quanto in tal modo verrebbe ad incidere causalmente sulla realizzazione della fattispecie incriminatrice

167, che distingue tra reati propri “a struttura diretta”, legati direttamente al possesso della qualifica normativa (per esempio cittadino o militare) e reati propri “a struttura inversa”, dipendenti da una situazione di fatto da cui scaturirebbe un obbligo partico-lare (per esempio omissione di soccorso ex art. 593 c.p.).

171 Art. 3, comma 1, l. 9 dicembre 1941, n. 1383: «Il militare della Regia guardia di finanza che commette una violazione delle leggi finanziarie, costituente delitto, o col-lude con estranei per frodare la finanza, oppure si appropria o comunque distrae, a profitto proprio o di altri, valori o generi di cui egli, per ragioni del suo ufficio o servi-zio, abbia l’amministrazione o la custodia o su cui eserciti la sorveglianza soggiace alle pene stabilite dagli articoli 215 e 219 del Codice penale militare di pace, ferme le sanzioni pecuniarie delle leggi speciali».

172 Cass., sez. I, 13 novembre 2002, Rimoldi ed altro, in CED Cass., n. 223250. Per precedenti massime conformi si rinvia a Cass., sez. I, 14 gennaio 1970, Tubino, in CED Cass., n. 114998; Cass., sez. III, 17 giugno 1985, Chiabotti, ivi, n. 173969; Cass., sez. III, 4 marzo 1986, De Annuntiis, ivi, n. 172515; Cass., sez. III, 16 gennaio 1986, Brunello, ivi, n. 173080; Cass., sez. VI, 22 aprile 1989, Morelli, ivi, n. 182576; Cass., sez. VI, 9 ottobre 1990, Perrella ed altri, ivi, n. 186473; Cass., sez. I, 18 novembre 1996, Sassi ed altro, cit.

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di parte speciale, restando soggetto, solo in tale eventualità, alla portata ap-plicativa dell’art. 110 c.p. 173.

Da questo spunto ci si aggancia alla statuizione giurisprudenziale che ravvisa un concorso formale fra la concussione e il delitto di collusione con estraneo in frode alla Finanza, ciò motivando dalla non incompatibi-lità delle due condotte e dalla diversità dei beni protetti con le rispettive norme incriminatrici

174. Eppure, l’incolmabile distanza che già si tasta tra i due anzidetti binari, dell’accordo collusivo da un lato e dell’adem-pimento della pretesa del concussore dall’altro, detta il passo di una cri-tica che si specchia proprio nella eterogena identità di quell’“altrui” at-teggiamento dispositivo, di contenuto patrimoniale, che è di volta in vol-ta capace di completare il quadro della tipicità penale.

Negare l’assunta compatibilità tra la condotta del reato di collusione e quella del delitto di concussione si dimostra difatti l’esito di un linguag-gio di sistema. Solo nell’una fattispecie si richiede l’accordo libero avente ad oggetto il medesimo e comune scopo di frodare la finanza: non risulta dunque sufficiente un qualsiasi tipo di intesa, anche forzata, con il priva-to; se ne separa la concussione, dove una qualsiasi forma di accordo si intendesse raggiunta sarebbe comunque “consapevolmente viziata”

175. Lo spiegano con nettezza proprio i contorni disegnati dal legislatore quanto all’accordo corruttivo da una parte ed alla sopraffazione concussiva dall’altra. Nell’un segmento – della corruzione, ex artt. 318

176, 319, 319 ter c.p. – le trame strutturali essenziali pitturano il pubblico ufficiale, ovvero il soggetto diversamente qualificato ex artt. 320 e 322 bis c.p., all’atto di ricevere una dazione non dovuta, o all’atto di accettarne la promessa, di fronte al comportamento prestato/da prestarsi. Un modulo figurativo-linguistico, quindi, che non è “chiuso” davanti alla combinazione parte-

173 Cass., sez. VI, 10 giugno 1998, Ferrauto ed altri, in CED Cass., n. 213050. 174 Cass., sez. I, 2 marzo 1999, P.M. in proc. Zuin, in Dir. pen. proc., 1999, 1277;

Cass., sez. I, 16 giugno 2004, Cerciello, in CED Cass., n. 228853. 175 Cass., sez. VI, 27 settembre 2011, n. 38165, P.A.: «Quando il soggetto ha ottenu-

to il pagamento indebito non grazie ad un inganno, ma in forza di una pressione mo-rale esercitata sulla volontà delle vittime, il fatto va sussunto nella fattispecie di reato della concussione, prevista dall’art. 317 c.p.». Nel caso di specie, l’imputata, infermie-ra dipendente dell’Inail, abusando delle sue funzioni di addetta agli aggiornamenti e movimenti delle pratiche, suscitò il timore che, se la sua richiesta di denaro non fosse stata soddisfatta, ella avrebbe ritardato i passaggi della pratica con pregiudizio del-l’assicurato, che avrebbe sopportato un ritardo nella liquidazione o nella riscossione dell’indennizzo. Si era dunque compiutamente realizzata la fattispecie tipica della concussione così come delineata nell’art. 317 c.p.

176 La l. 6 novembre 2012, n. 190, ha riformulato l’art. 318 c.p. nei termini: «(Cor-ruzione per l’esercizio della funzione). Il pubblico ufficiale che, per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, indebitamente riceve, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità o ne accetta la promessa è punito con la reclusione da uno a cinque anni».

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cipativa del privato in veste di controparte dello scambio secondo lo schema degli artt. 110 c.p. e seguenti, per essere la “consegna” dell’uti-litas, al pari della formulazione della proposta de qua, un atteggiamento indubitabilmente “strumentale” a che si configuri in corrispondenza la condotta dell’intraneus, tipicamente ed immediatamente sanzionata dal disposto speciale. Vale a dire: la punibilità del privato concorrente è in via di principio ammessa “comunque”, per la forza operativa della gene-rale forma di manifestazione criminosa incorniciata dall’art. 110 c.p., in quanto egli «dà o promette al pubblico ufficiale o all’incaricato di un pubblico servizio il denaro od altra utilità»; nondimeno, rimane conse-gnata alla specifica disciplina dettata dall’art. 321 c.p. La razionalità “in-dividuale” di quest’ultima norma – già un tempo servente anche a scre-mare nella dimensione dell’extraneus il perimetro dei fatti sanzionabili, espunto il riferimento alla previgente figura delittuosa di cui al comma 2 dell’art. 318 c.p. – si scopre allora indirizzata a dotare di indipendenza la cornice della relativa pena edittale rispetto a calcoli altrimenti costretti a fare i conti con le dinamiche circostanziali di cui agli artt. 111 c.p. e se-guenti.

Nell’altro esaminato segmento – della concussione, ex art. 317 c.p., ante e post riforma – la scena rappresentata cessa di avere un simile spi-rito corale e collettaneo, per assumere invece, a sfondo, una prospettiva strettamente unilaterale. L’osservatore esterno – l’osservatore del diritto – seguendo la guida del precetto penale vede difatti un solo profilo: esat-tamente, vede il fare del reo “proprio”. È in questo frangente della vicen-da, lasciato da solo sotto l’obiettivo normativo della punibilità, che va di seguito ad innestarsi la reazione comportamentale dell’“escusso”, con cui la prima condotta si confronta “negativamente”, destinata come è a non fondersi in quella in un unico, unitario e “vero” accordo di volontà.

Un simile percorso argomentativo giunge dunque a porre fine alla querelle non di recente invalsa circa la necessità (o meno) di saggiare la consapevolezza da parte del privato del carattere di ingiustizia della pre-stazione indebita resa (del dare o del promettere) in conseguenza del-l’altrui abuso costrittivo (o induttivo secondo il previgente tenore). Su questo passaggio, il senso già sposato dall’opinione prevalente in dottrina (formatasi rispetto al vecchio testo dell’art. 317 c.p., la giurisprudenza è invece rimasta controversa sul registro interpretativo da adottare

177) è ta-

177 Un orientamento opina per la sussistenza di una ragionevole valenza intimida-toria della condotta del pubblico ufficiale, tale da determinare una verosimile possibi-lità di pressione sulla formazione della sua volontà, così Cass., sez. VI, 5 ottobre 1998, Sacco, in CED Cass., n. 211747; Cass., sez. VI, 22 marzo 2000, Pifani, in Cass. pen., 2003, 134; Cass., sez. VI, 20 novembre 2003, Filippi ed altro, ivi, 2005, 1245; Cass., sez. VI, 14 aprile 2008, Valentini, in CED Cass., n. 240071. Contra, Cass., sez. VI, 3 giugno 1994, Bosio, in Riv. pen., 1995, 808, secondo cui l’induzione, come elemento

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le per cui il requisito all’esame si intende occupare una posizione essen-ziale: senza di esso non potrebbe affermarsi che la dazione stessa sia sta-ta “conseguenza” dell’abuso

178, e, quindi, che la volontà del privato sia stata coartata dalla condotta induttiva o costrittiva del pubblico funzionario

179. Questa sensibilità si congiunge con il parametro normativo della cau-salità concorsuale: all’atto di disposizione patrimoniale messo in campo dal concusso va negata una qualsiasi funzione strumentale rispetto al perfezionarsi della condotta criminosa, che all’apparire del comporta-mento passivo, tipizzatone come effetto

180, si è ovviamente già esplicata per l’intero nella sua portata di dato causale psicologico

181.

materiale del reato di concussione, ricorre indipendentemente dall’uso di artifici o raggiri e dalla consapevolezza o meno nella vittima dell’illegittimità della richiesta, ben potendo il privato determinarsi a tenere un comportamento, che liberamente non avrebbe assunto, dal timore di subire un danno ove non si pieghi alla volontà del pubblico ufficiale. Analogamente Cass., sez. VI, 22 dicembre 1997, Lucari, in Cass. pen., 1999, 3124; Cass., sez. VI, 17 febbraio 2000, n. 3488, P.M. in proc. Cascini, ivi, 2001, 2358; Cass., sez. VI, 3 novembre 2003, Di Giacomo, ivi, 2005, 1585.

178 Nella casistica, è stata, così, enucleata un’ampia gamma di comportamenti sin-tomatici, quali l’opposizione di ritardi strumentali e di vere o presunte difficoltà di natura burocratica, finalizzate a spingere il privato a dazioni o promesse non volute (Cass., sez. VI, 29 gennaio 1998, P.M. in proc. Lupo, in CED Cass., n. 210360); com-portamenti surrettizi, quali velate allusioni e maliziose previsioni di danni futuri (Cass., sez. VI, 9 febbraio 1996, Fatone, in CED Cass., n. 205100), suggestioni tacite, ammissioni o silenzi, ed anche qualora la vittima sia convinta di adeguarsi ad una prassi ineluttabile, purché tale convinzione sia determinata o avvalorata dal compor-tamento del pubblico ufficiale (Cass., sez. VI, 22 ottobre 1993, Fedele, in CED Cass., n. 196048). Infine, la condotta di “induzione” può essere realizzata anche in forma omis-siva, e, in generale, ogniqualvolta il soggetto attivo, pur senza avanzare esplicite ed aperte richieste, di fatto agisca in modo tale da ingenerare nel soggetto passivo la fondata convinzione di dover sottostare alle decisioni del pubblico ufficiale per evitare il pericolo di subire gravi pregiudizi (Cass., sez. VI, 14 aprile 1994, Porcu, in Cass. pen.,1995, 2128). In tale prospettiva, può senz’altro sussistere il delitto in esame anche quando sia stato lo stesso privato ad offrire al pubblico funzionario il denaro od altra utilità, qualora l’offerta rappresenti non già l’atto iniziale dell’iter criminoso, bensì il logico sbocco di una situazione gradatamente creatasi anche attraverso allusioni, suggestioni o maliziose prospettazioni di futuri danni a causa delle quali il privato si è determinato ad aderire alla richiesta, implicita o esplicita, del pubblico funzionario.

179 PIOLETTI, Concussione, in Dig. disc. pen., III, Torino, 1989, 9; PALOMBI, La con-cussione, Torino, 1998, 86; PRONTERA, Osservazioni in tema di distinzione tra concus-sione e truffa aggravata ex art. 61 n. 9 c.p., in Ind. pen., 1998, 1031.

180 Della dazione come della promessa, quali condotte del soggetto passivo, l’esege-si è uniforme nell’intenderle costituire l’evento conclusivo del reato, v. PEDRAZZI, La promessa del soggetto passivo come evento nei delitti contro il patrimonio, in Riv. it. dir. pen., 1952, 355.

181 Nel senso che la dazione o la promessa devono trovarsi in rapporto causale con la condotta abusiva del pubblico funzionario, onde non ricorre il reato se le stesse di-

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La differenziazione del ruolo che l’una e l’altra dimensione punitiva – della concussione e della corruzione – assegnano al carattere del “non dovuto” sta d’altronde a sentinella di questa soluzione: non è certo un vezzo stilistico del legislatore la scelta di appellare indebita ora la moda-lità della prestazione realizzata dal privato, che dell’abuso è referente e destinatario, ora il quid/quantum che è parte dell’oggetto (complesso) dell’accordo criminale.

Tanto vale ad introdurre l’indagine su altro discusso profilo, quello del c.d. metus publicae potestatis – ossia il timore che deriva al privato dalla situazione di preminenza di cui gode il pubblico ufficiale

182 – da ri-leggere apprezzandovi trascritto lo “stato di soggezione” in cui versa chi subisce l’abuso della qualità o dei poteri del pubblico funzionario, unico protagonista sul fronte del crimine. In summa: di metus publicae potesta-tis si potrà rettamente parlare solo come espressione sinonimica della prestazione patrimoniale (dazione o promessa) resa indebitamente, in altri termini di abuso della qualità o dei poteri – comportamento attivo del reo – vissuto e compreso da parte della vittima “naturalistica”, che si rende per effetto autore consapevole di una disposizione patrimoniale “costretta”.

Solo per tale via può infine sostenersi l’essenzialità del “metus” 183, ma

senza nulla aggiungere alla struttura del reato di concussione; e così si dimostra raggiunto un esito interpretativo che nemmeno rinnega il mar-gine di validità espresso dall’orientamento esegetico per cui il metus pu-blicae potestatis in effetti non fa parte degli elementi della fattispecie le-gale tipica, potendo senz’altro la vittima determinarsi alla dazione inde-bita per evitare danni gravi, per un calcolo economico o per una valuta-zione utilitaristica

184.

pendono da altre cause o da motivi personali e propri del privato, Cass., sez. VI, 4 no-vembre 2004, Zamberlan, in Cass. pen., 2006, 90.

182 Elemento, questo, tradizionalmente ritenuto da parte della dottrina sempre ne-cessario per configurare il delitto di concussione, così MARINI, Questioni in tema di distinzione fra concussione e truffa aggravata a’ sensi dell’art. 61 n. 9, codice penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1967, 294; in giurisprudenza, Cass., sez. VI, 20 novembre 2003, Filippi ed altro, cit., con la precisazione che «il metus publicae potestatis deve consi-stere non nella generica posizione di supremazia, sempre connaturata alla qualifica di pubblico ufficiale, ma bensì nel concreto abuso della propria qualità o funzione, abu-so che abbia costretto o indotto il privato alla indebita promessa o dazione, è necessa-rio cioè che la dazione sia collegata ad una pressione connessa alla funzione esercita-ta»; nonché Cass., sez. VI, 22 ottobre 1993, Catapano, in CED Cass., 197717; Cass., sez. VI, 25 febbraio 1998, Pera ed altri, ivi, n. 210526.

183 Cass., sez. VI, 22 dicembre 1997, Lucari, cit.; conf., Cass., sez. VI, 20 novembre 2003, Filippi ed altro, cit.

184 Cfr. SEGRETO-DE LUCA, I delitti dei pubblici ufficiali contro la Pubblica Ammini-strazione, Milano, 1999, 231 ss.; PAGLIARO, Principi di diritto penale. Parte speciale, I,

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Se ne trae, inoltre, come il carattere indebito della dazione o della pro-messa non si appiattisca sul profilo implicato dal non trattarsi di presta-zioni dovute alla pubblica amministrazione o al pubblico funzionario in relazione al suo ufficio

185; in questo senso il carattere di specie difetterebbe laddove la prestazione spetti all’apparato pubblico, ancorché nel caso spe-cifico il pubblico ufficiale l’abbia ottenuta con la sua condotta abusiva

186. Piuttosto, l’avverbio indebitamente vale proprio a chiarire la connotazione dell’illecito come reato a condotta plurima, in cui il comportamento dispo-sitivo, quello che compare “in seconda linea”, solo in apparenza converge con quello della controparte perché invece non sorretto da libera e piena volontà; per cui, nemmeno è vero che ci si trovi di fronte ad un mero rife-rimento pleonastico all’illiceità di una condotta (del pubblico ufficiale) già descritta in tutti i suoi elementi costitutivi 187; d’altronde ciò che pesa entro la tipicità non è già l’atto in se stesso, ma il fatto dell’abuso della qualità o dei poteri da parte del pubblico funzionario, che, compreso e vissuto dal privato, questo determina ad un “facere”

188 di reazione-effetto. Si disperde così pure l’obiezione a stare alla quale un rilievo conferito al

carattere “indebito” della dazione o della promessa, quindi ad un carattere

Delitti contro la pubblica amministrazione, Milano, 2008, 148 s. In giurisprudenza, Cass., sez. VI, 17 febbraio 2000, Cascini ed altro, in CED Cass., n. 217116; Cass., sez. VI, 3 novembre 2003, Di Giacomo, ivi, n. 227945; Cass., sez. VI, 24 maggio 2006, Pelu-so ed altri, ivi, n. 234150; Trib. Padova, 23 febbraio 1981, Nadalini ed altro, in Giur. merito, 1981, 1016.

185 MANZINI, op. ult. cit., 202; PAGLIARO, op. ult. cit., 133. 186 In giurisprudenza, cfr. Cass., sez. VI, 27 marzo 2003, Molisso, in CED Cass., n.

226219; Cass., sez. VI, 25 settembre 2001, n. 45135, ivi, n. 220386, secondo cui «deve essere esclusa la sussistenza del reato quando la prestazione promessa od effettuata dal soggetto passivo, a seguito di induzione o costrizione da parte dell’agente, giovi esclusivamente alla Pubblica Amministrazione e rappresenti una utilità per il perse-guimento dei relativi fini istituzionali, poiché in tal caso non si determina lesione per l’oggetto giuridico del reato – buon andamento della P.A. – e per altro verso il fatto manca di tipicità, non potendosi l’agente identificare nell’Ente e non potendo questo – dato il rapporto di rappresentanza organica che lo lega al funzionario operante – con-siderarsi alla stregua di “terzo” destinatario della prestazione promessa od effettuata» (La fattispecie sottoposta all’esame della Suprema Corte era caratterizzata da pressio-ni esercitate da dipendenti comunali affinché il destinatario di una ordinanza di sgombero per motivi di pubblica incolumità rinunciasse al ricorso amministrativo interposto contro l’ordinanza medesima. La Corte ha specificato che in casi siffatti la tutela del cittadino è affidata ai rimedi previsti dalla legislazione amministrativa).

187 Opposta la prospettiva assunta da PULITANÒ, Illiceità espressa e illiceità speciale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1967, 81.

188 In giurisprudenza si è affermato che l’avverbio in parola caratterizzerebbe non il contenuto della pretesa del concessore, che potrebbe anche non essere obiettiva-mente illecito, ma le specifiche modalità di realizzazione della pretesa, v. Cass., sez. VI, 16 marzo 1990, Taldone, in CED Cass., n. 183985.

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Oltre il delitto di truffa 95

della condotta del soggetto passivo, finirebbe per confondere l’elemento con il profilo dell’abuso, che attiene invece alla condotta del soggetto attivo

189: la discussa aggettivazione del comportamento del primo si forma invero su un piano empirico eterogeneo, proprio indicando la consapevolezza che questi abbia della “reale” condotta attiva del secondo.

Si riapprezza allora la tesi secondo cui la concussione per induzione mediante inganno – già integrante la fattispecie ex art. 317 c.p. nella ve-ste previgente – ed il reato di truffa aggravata dalla qualità di pubblico ufficiale sono distinti per le modalità della condotta posta in essere

190. Mentre nella concussione l’abuso della qualità assume una valenza pre-varicatrice preminente, nel senso che esso si riconosce pienamente visi-bile dentro lo schermo visivo e mentale del subente, e quindi tale da co-stringerlo ad adoperarsi per dare seguito all’ingiusta dazione o promessa, ricorre la truffa aggravata laddove la qualità di pubblico ufficiale concor-ra solamente in via accessoria alla decisione del privato di accondiscen-dere alla dazione o alla promessa di una prestazione che crede dovuta, a causa degli artifici o raggiri posti in essere dal soggetto attivo che gli im-pediscono la vera e puntuale comprensione delle dinamiche fattuali reali.

La bontà del parametro esegetico così proposto rimane peraltro indiziata proprio dalle trascorse pronunce in cui – più o meno marcatamente – si po-ne in rilievo il criterio della consapevolezza da parte del privato quanto al carattere di ingiustizia della prestazione (indebita), affermandosi che nella concussione per induzione il soggetto passivo è cosciente di tale ingiustizia e si lascia persuadere per la posizione di preminenza del pubblico funziona-rio, mentre nella truffa è convinto che la prestazione sia dovuta. Sicché – s’è inteso – non si staglia la sagoma del delitto di concussione nel fatto com-messo dal pubblico funzionario il quale, con il pretesto di far evitare a un paziente la trafila burocratica, si faccia dare direttamente una somma per effettuare un esame clinico, lasciando intendere che la somma sarà (co-munque) versata all’ospedale

191. Questi non risponde ex art. 317 c.p. (testo ante riforma), non avendo generato un metus nel soggetto passivo, né ri-sponde del reato di corruzione, perché il paziente è convinto di versare al-l’amministrazione ospedaliera quanto dovuto, ma realizza invece gli estremi integranti il delitto di truffa aggravata in danno dell’amministrazione ospe-daliera

192.

189 SEGRETO-DE LUCA, op. cit., 246. 190 Cass., sez. VI, 8 marzo 1996, Ferrara ed altro, in CED Cass., n. 205019; Cass.,

sez. VI, 16 dicembre 2005, Bambara, in Cass. pen., 2007, 135, con nota di LEPERA, Il “discrimen” tra il reato di concussione per induzione e il reato di truffa aggravata ex art. 61, n. 9 c.p.; Cass., sez. VI, 27 giugno 2008, Sirocchi, in Foro it., 2009, II, 167.

191 Cass., sez. VI, 15 ottobre 1982, Machiavelli, in Cass. pen., 1984, 277; in dottrina, PAGLIARO, op. ult. cit., 123.

192 Cass., sez. VI, 13 gennaio 2000, Marrenga, in Guida dir., 2000, n. 27, 65.

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I delitti contro il patrimonio e le tracce del sistema 96

3. Epigramma sulla truffa processuale in particolare: un delitto in cerca d’autore

Nel bilancio delle considerazioni spese si deve dunque mettere a nota che il concorso necessario, e necessariamente non punito, della vittima della truffa consiste in un qualunque suo atteggiamento produttivo di ef-fetti patrimoniali negativi reso in un contesto di erroneo consenso. Que-sta meta va ora riannodata con la posizione criticata in partenza, espres-sione di una tradizione interpretativa che nel ventre della c.d. truffa pro-cessuale dichiara la sentenza causalmente inidonea a porsi come atto di disposizione patrimoniale: perché questa si limiterebbe a porre le condi-zioni giuridiche affinché la parte spontaneamente o l’Ufficiale giudiziario portino ad esecuzione l’atto dispositivo

193; «perché è necessario che l’in-duzione in errore determini il danno non in forza di un generico rappor-to di interferenza, ma in quanto incide, specificamente, sulla libertà del consenso nei negozi patrimoniali, e tale requisito manca, nel caso della c.d. truffa processuale, in quanto l’inganno non incide sulla libertà nego-ziale che difetta nel giudice destinatario dell’inganno»

194; perché, paralle-lamente, il provvedimento risolutivo della lite arreca un pregiudizio alla sfera giuridico-patrimoniale di uno dei contendenti imponendosi ad esso in via autoritativa ed esterna, sicché la deminutio patrimonii non transita attraverso la lesione del consenso (di costui) «che è l’essenza qualificante della truffa»

195. Nondimeno, si deve ammettere che la struttura della fattispecie non

esige la riconducibilità della vittima del danno patrimoniale ad una par-ticolare situazione giuridica lato sensu civilistica, come invece si premu-rano le eterogenee figure del furto e dell’appropriazione indebita, rile-vando piuttosto in senso penalistico soltanto l’accertata sussistenza di una serie eziologica tra artifici o raggiri, induzione in errore, danno e profitto ingiusto

196, anche fondata su «un occasionale rapporto di inter-

193 ZANNOTTI, La truffa, cit., 63 ss. 194 Cass., sez. V, 6 giugno 1996, Schiavone, cit.; Cass., sez. VI, 6 novembre 1996, Or-

tis, cit. V. anche Cass., sez. II, 31 maggio 1976, Iannaccone, cit., che ha negato l’integra-zione della fattispecie in relazione al fatto di chi aveva ottenuto un decreto ingiuntivo producendo prove false (nella specie, fatture già pagate); Cass., sez. VI, 25 giugno 2001, Scopacasa, cit., che ha con questo argomento escluso il rilievo penale (in termini di ten-tata truffa) della condotta costituita dalla produzione di falsa documentazione a soste-gno di un ricorso al prefetto avverso ordinanza-ingiunzione di pagamento di una san-zione amministrativa per violazione delle norme sulla circolazione stradale.

195 CORTESE, La struttura della truffa, cit., 386 ss. 196 V. PECORELLA, Patrimonio (delitti contro il), cit., 643; MANGANO, Frode e truffa nel

processo, Milano, 1976, 119 ss. In questa direzione pare orientarsi la lettura offerta da

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Oltre il delitto di truffa 97

ferenza che l’agente ha previsto ed ha sfruttato» 197. Ciò convince a rias-

sumere l’ambito operativo della norma non tanto attraverso la dicitura classica della categoria di reati a cooperazione artificiosa del soggetto passivo

198, in contrapposizione ai c.d. delitti ad usurpazione unilaterale (dell’agente)

199, quanto piuttosto riferendosi alla successione tra condotta ed evento lesivo in presenza di una adesione psicologica del soggetto passivo e quindi secondo un “apparente” parallelismo di vedute tra vitti-ma e reo da questi indotto

200. Lungo una simile linea di pensiero, d’altronde, si traccia bene proprio

la rammentata distanza tra la figura della truffa e quella del furto aggra-vato ai sensi dell’art. 625, n. 2, c.p. Ci si volge infatti nel territorio di quest’ultima fattispecie in ogni ipotesi in cui manchi l’erroneo consenso scaturigine di artifizio/raggiro ai sensi dell’art. 640 c.p.: valga ancora l’esempio del sottrarre una cosa altrui sostituendola con altra apparen-temente identica di nessun valore o valore inferiore in modo che il deru-bato non si avveda sul momento dell’avvenuto scambio

201. Gli spunti esegetici proposti pretendono dunque sempre presente sul-

la scena truffaldina il fattore causale dell’“induzione in errore” di chi – e quanti – soggetto passivo della condotta ingannevole; si badi come nei distinti panni del danneggiato

202 ben potrebbe invece calarsi la parte processuale infine soccombente in un procedimento che si riveli artifi-cioso nell’attivazione e/o nello svolgimento istruttorio, ed avanti alla qua-le un inganno non abbia materialmente preso corpo come tale, per aver essa sempre riconosciuto il quadro veridico dello svolgimento dei fatti, nascostisi nella loro realtà solo all’organo giudicante autore del provve-

Cass., sez. II, 28 settembre 2006, B.G., in Dir. pen. proc., 2007, 503 ss., che ha ritenuto non configurare tentativo di truffa, per carenza dell’idoneità degli atti, la condotta del professionista (ingegnere) che mediante il deposito di falsa documentazione nell’am-bito di un procedimento di taratura della parcella, si dirigeva ad indurre in errore il competente Consiglio dell’Ordine in merito alla fondatezza della pretesa: a difettare nel caso – si è motivato – sta la qualificabilità del comportamento come dotato di quella adeguatezza causale e quella attitudine a creare una situazione di pericolo, at-tuale, reale, e concreto di lesione, essendo il giudizio sulla taratura una verifica di congruità e non di fondatezza della pretesa.

197 MANGANO, op. cit., 102. 198 PECORELLA, op. ult. cit. 199 PEDRAZZI, Inganno ed errore, cit., 107. 200 Cfr. MARINI, Profili della truffa, cit., 58: «l’interesse protetto dall’art. 640 risulta

dall’armonica combinazione dei due interessi (semplici) costituiti dalla libera forma-zione della volontà e dall’integrità patrimoniale».

201 V. MANZINI, Trattato, cit., 674. 202 Per il riconoscimento della validità del distinguo, formatosi secondo la teorica

di partitura generale, anche nella sede tipica del delitto di estorsione, Cass., sez. II, 12 aprile 1984, Iezzi, in CED Cass., n. 166166.

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I delitti contro il patrimonio e le tracce del sistema 98

dimento negativo poi posto in esecuzione. Così, una volta afferrati tali spunti, sollecita più di una riflessione cri-

tica quell’orientamento negativo alla configurabilità della truffa proces-suale che brandisce il dato per cui l’errore qui non incide su chi ha un libero consenso alla realizzazione di negozi patrimoniali “fungibilmente” rispetto al soggetto danneggiato

203. Contraddicendo apertamente a questa communis opinio si intende per-

tanto proporre la tesi del pieno rilievo di accadimenti di tal fatta proprio alla stregua del modello delittuoso della truffa, che rimane integrato non solo in ipotesi in cui l’erroneo consenso prestato dal soggetto passivo al-l’atto di disporre del proprio patrimonio rappresenti l’esecuzione di un fuorviato provvedimento giudiziario, in sostanza transiti attraverso l’indu-zione in errore del giudice vittima dell’artifizio-raggiro allestito dalla parte che abbia preteso di volontariamente mutare la realtà dei fatti. In questa eventualità, difatti, rimane certo integrata l’erronea formazione del con-senso della parte soccombente-danneggiata, che subisca inconsapevole l’immutatio veri del fatto portato dentro il procedimento giudiziario.

Ben oltre questa casistica, la tipicità criminale si rinviene anche ed in ogni caso in cui sia stato azionato in giudizio un “diritto” fraudolente-mente impostato in forza di falsi fatti, magari anche falsamente docu-mentati.

L’attenzione verso questa peculiare piega della vicenda porta allora in primo piano un altro personaggio “truffato”, vittima immediata e diretta del reo: il settore statale dell’amministrazione della giustizia. Ciò impe-gna il breve prosieguo del discorso nel sondare la bontà di una simile prospettiva, che non solo non trova ostacoli intrasistematici sul selciato della frode processuale, ma nemmeno rimane confutata dal dettato tipi-co del delitto di truffa, che a tale ipotesi pare conservare apposito spazio (al comma 2) cucendogli addosso la veste di circostanza aggravante.

203 DE VERO, Truffa processuale, cit., 672 s.

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CAPITOLO V

Complessità del reato, unicità dell’offesa e pluralità del “danno”

SOMMARIO: 1. Dai rapporti di coesistenza tra truffa e frode processuale al teorema del-la plurioffensività. – 2. Il reato complesso, l’unicità dell’offesa. – 3. Quando la sin-golarità del soggetto passivo non significa unicità del danno risarcibile.

1. Dai rapporti di coesistenza tra truffa e frode processuale al teorema della plurioffensività

Si scende sul campo della truffa e della frode processuale. Già ad una prima lettura congiunta dei disposti in richiamo trova

conforto la conclusione per cui il precetto dell’art. 374 c.p. non si con-centra nel sanzionare frodi essenzialmente dirette ad ottenere un profitto patrimoniale

1, ma si attarda piuttosto a selezionare comportamenti osta-tivi dotati di peculiare significato processuale, ponendosi insomma in una relazione strutturale di non convergenza con la truffa. Si conquista così l’idea dell’esclusione di un rapporto di concorso apparente tra le due fattispecie incriminatrici, e la conferma di una autonomia reciproca tale da non fornire argomenti a sostegno dell’inconfigurabilità della truffa processuale pure in contesti non tipizzati come frode contro l’ammini-strazione della giustizia.

In estrema sintesi: dalla parte dell’art. 374 c.p. si inquadra l’immuta-zione di un dato cui è assegnato un ruolo processuale-probatorio. Dentro l’obiettivo rimane quindi la fotografia di una fase del procedimento in-quinata per effetto dell’inserimento di un fattore che devia la sequenza chiamata a governarne la funzionalità. Il filtro della tipicità disegna di seguito una offesa che direttamente e completamente investe il corretto svolgimento dell’attività giudiziaria, con ciò mettendosi in pericolo l’esercizio dell’azione e la consecutiva formazione della prova

2.

1 ANTOLISEI, Manuale, cit., 372; MANTOVANI, Diritto penale, cit., 185. 2 Cfr. SIRACUSANO, Studio sui reati contro la giurisdizione, Torino, 2005, 55 ss., 167 ss.

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I delitti contro il patrimonio e le tracce del sistema 100

Dalla parte dell’art. 640 c.p., per l’inverso, si prospetta una indebita acquisizione di profitto con altrui danno: l’offesa astrattamente contem-plata come punibile è cioè calata dal testo della norma in un contesto di mistificazione del vero, ancorché “eventualmente qualificato” dalla natu-ra processuale dello strumento dell’induzione in errore.

Ecco, allora, che il senso criminale dell’accadimento si sposta al di fuori dell’ambiente istruttorio, e si delinea un disvalore penale proiettato sul solo interesse economico-patrimoniale, nella sagoma della lesione che ne occorre ogniqualvolta sia stato cagionato un depauperamento al-trui con arricchimento nell’interesse del reo.

2. Il reato complesso, l’unicità dell’offesa

L’indagata eterogeneità del bene giuridico, rispettivamente tutelato nella truffa e nella frode processuale, è d’altronde l’appoggio per articola-re la riflessione anche sotto altro profilo, sviluppando il concetto per cui l’“idea tipica” di offesa incriminata esprime il significato dis-valutativo attribuibile alla situazione fattuale dipinta dalla fattispecie di volta in volta riguardata. Rappresenta pertanto quel punto di saldatura che il ra-gionamento giuridico deve esigere tra la tipicità come dato linguistico descrittivo e la tipicità come connotato strutturale dell’illecito

3, a sua vol-ta «premessa epistemologica della concezione del bene giuridico costitu-zionalmente orientata di matrice liberale»

4, in altri termini premessa dell’offesa penale.

Ne consegue come quella necessaria monoffensività di cui si è venuto discorrendo in ordine a ciascuno degli illeciti messi a confronto, da un canto ben collimi con una loro esegesi culturalmente orientata

5, dall’al-tro si attesti altresì conforme a quella “generale intenzione” del legislato-re che nella creazione di un sistema penale organizzato in ordinamento

3 Si vedano le riflessioni sviluppate in proposito da PREZIOSI, La fattispecie qualifi-cata, Padova, 2000, 76 ss.

4 DONINI, “Danno” e “offesa” nella c.d. tutela penale dei sentimenti. Note su morale e sicurezza come beni giuridici, a margine della categoria dell’“offense” di Joel Feinberg, in Riv. it. dir. proc. pen., 2008, 1554.

5 Cfr. PALAZZO, Testo, contesto e sistema nell’interpretazione penalistica, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, a cura di DOLCINI-PALIERO, I, Milano, 2006, 521, per cui la certezza di significato imposta e presupposta dalla regola penale deve avere radice nel linguaggio, derivando dall’uso linguistico consolidato di una certa espressione verbale. Sennonché, detta certezza – prosegue il pensiero dell’Autore – manca fino al momento in cui il significato linguistico non viene a contatto con i fatti, e nella sua flessibilità con-senta di afferrarne il significato, necessariamente condizionato dal contesto.

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Complessità del reato, unicità dell’offesa e pluralità del “danno” 101

unitario – lo declama l’art. 16 c.p. – vuole fissato “il caso” incriminato da ogni disposizione alla stregua di regole ermeneutiche volte a mantenere l’equilibrio interno del sistema stesso. Un equilibrio che pretende la rego-la dell’unicità dell’offesa, segnatamente dell’unicità dell’interesse pregiu-dicato, entro l’unità del fatto tipico. Trattasi di regola non confutata dalla clausola di riserva in apertura dell’art. 374 c.p., la cui validità va a limi-tarsi proprio ai casi in cui sussista una completa riproduzione degli ele-menti costitutivi del reato che recede in quelli del reato in cui esso andrà sussunto

6, secondo una corrispondenza mancante nel caso in esame, ove la condotta di “deviazione della funzionalità d’apparato” tipizzata nel de-litto contro l’amministrazione della giustizia né si esaurisce né coincide con quella propria del delitto contro il patrimonio.

L’intuizione per cui la storicità del fatto appaia sempre “colma” di in-teressi 7, e nondimeno sia nota costante la scelta normativa di isolare la tutela giuridica ad un unico bene

8 in corrispondenza dell’unicità del rea-to, trova conforto (oltre che nella nitida metodica classificatoria adottata dal sistema codicistico) proprio nella singolare identità del tipo di fatto incriminato, ove traspare l’identità dell’offesa. L’invocata necessità che si abbia ad isolare nella norma un solo interesse immediatamente protetto, “derubricando” dall’offesa quanti e quali “eventuali”, nel senso di solo indirettamente avvantaggiati dal meccanismo di tutela penale

9, discende quindi dalla previa ed esatta visualizzazione del “fatto che costituisce reato”

10, secondo l’angolo prospettico fotografato dalla disposizione nel

6 Così Cass., sez. V, 5 maggio 1999, Graci, in Cass. pen., 2000, 2240; Cass., sez. VI, 30 gennaio 2001, Pasino, ivi, 2002, 1010.

7 Per questi rilievi, GREGORI, Adeguatezza sociale e teoria del reato, Padova, 1969, 25 ss.; ENGISCH, Introduzione al pensiero giuridico, Milano, 1970, 303.

8 Esamina la complessità della delimitazione del bene giuridico protetto dalla norma penale, entro una molteplicità di “scopi”, PAGLIARO, Bene giuridico e interpreta-zione della legge penale, in AA.VV., Studi in onore di Francesco Antolisei, II, Milano, 1965, 396, nt. 16.

9 Cfr. per tali aspetti ROCCO, L’oggetto del reato e della tutela giuridica penale. Con-tributo alle teorie generali del reato e della pena, Torino, 1913, 578; CARNELUTTI, Il danno e il reato, Padova, 1930, 68 ss.; ANTOLISEI, L’offesa e il danno nel reato, Bergamo, 1930, 109 ss.; DEAN, Il rapporto di mezzo a fine nel diritto penale, Milano, 1967, 34 ss.; STEL-

LA, L’alterazione di stato mediante falsità, Milano, 1967, 226 ss. 10 Si rinvia alle considerazioni critiche svolte sul fronte della plurioffensività da

PREZIOSI, Falso innocuo e falso consentito: spunti problematici sul bene protetto, in AA.VV., Le falsità documentali, a cura di RAMACCI, Padova, 2001, 149 ss. Per un ri-chiamo di sintesi sulle obiezioni rivolte alla teorica della plurioffensività in materia di reati di falso, v. RAMPIONI, Il problema del bene giuridico nelle falsità documentali, in AA.VV., Le falsità documentali, cit., 112 ss.; GIACONA, La problematica dell’offesa nei de-litti di falso documentale, Torino, 2007, 7 s.; ID., Delitti di falso documentale: il proble-ma dell’individuazione della vittima, in Foro it., 2008, II, 205 s.

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I delitti contro il patrimonio e le tracce del sistema 102

mettere in primo piano, tra loro concatenate, determinate circostanze fattuali

11: meglio, secondo l’impianto del fatto e del sistema penale. Già le prime letture del dettato codicistico dell’art. 84 c.p., relativo al

reato complesso, ne avevano d’altronde percepito questa dimensione di autonomia, di fatto ed offesa, chiosando che «Il reato complesso, infatti, in ogni caso, e indipendentemente da qualsiasi rilievo circa i principi sot-to i quali va ricondotto, non è la somma dei reati che lo compongono. Il furto con violenza sulle cose, ad es., è più che la somma di un furto sem-plice e di un danneggiamento; la rapina è più che la somma di un furto semplice e di una violenza privata, ecc. Come del resto è dimostrato an-che dalla pena da applicare, per le ipotesi di reato complesso, che è di-versa da quella per le ipotesi di concorso, la quale non è giudicata ade-guata alla particolare criminosità che palesa la perpetrazione di un reato complesso»

12. Meglio che una somma di reati, altri scorgeva quindi nel reato complesso «la risultante del raggruppamento degli estremi costitu-tivi di distinti reati semplici»

13; col linguaggio della giurisprudenza con-temporanea si scrive oggi della natura unitaria che compone il reato composto, risultante dalla fusione di due reati, per cui «non se ne può scindere l’unità valutando separatamente i componenti costitutivi delle figure criminose originarie»

14. Simili riflessioni suonano il “la” per respingere la tesi che categorizza

i reati plurioffensivi, e per ritenere di converso sempre prevalente “uno” tra i beni giuridici sottesi alla norma

15, così che la “regolare” consistenza del reato complesso non si apprezza «nella semplice somma di due illeci-ti, ma nella loro fusione secondo determinati nessi o schemi»

16. La fu-sione, in buona sostanza, è quella descritta di volta in volta nella tipicità

11 In termini si citano le parole di PREZIOSI, La fattispecie qualificata, cit., 76, nt. 91, che in parte disattendendo il pensiero espresso da PALAZZO, Legge penale, in Dig. disc. pen., VII, Torino, 1993, 342 s. – «La dissoluzione del “tipo”, cioè dell’omogeneità valu-tativa incarnata dalla fattispecie, comporta fatalmente la dilatazione del compasso edittale al di là di quanto imposto … dalla necessaria proporzionalità … prima di es-sere formulato il “tipo” deve essere per così dire pensato, poiché nessun espediente linguistico potrà supplire all’assenza di una visione e comprensione “tipologica” della realtà da sottoporre a disciplina penale … si tratta di un canone metodologico, ine-spresso e privo di forza normativa: quasi di un abito mentale» – riconosce al cosiddet-to abito mentale forza normativa, «“regola” non scritta, nel senso di modello o archeti-po normativo, che, però, a differenza delle altre norme, anche non scritte, è autolegit-timante».

12 RANIERI, Il reato complesso, Milano, 1940, 10 s. 13 VANNINI, Ricostruzione sintetica della dottrina del reato, Siena, 1927, 117. 14 Cass., sez. un., 19 aprile 2012, n. 34952, Reina. 15 BETTIOL, Diritto penale, Padova, 1982, 634; sul punto BRUNELLI, Il sequestro di

persona con finalità tipica: profili storici e dogmatici, in Ind. pen., 1990, 577 ss. 16 PROSDOCIMI, Reato complesso, in Dig. disc. pen., XI, Torino, 1996, 220.

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Complessità del reato, unicità dell’offesa e pluralità del “danno” 103

singolare, per cui a leggerla attentamente si giunge ad esempio ad esclu-dere un tentativo di rapina impropria quando, subito dopo il tentativo di sottrarre la cosa, venga usata violenza o minaccia

17, venendosi a selezio-nare per bocca della nuova tipizzazione ex art. 628, comma 2, c.p. una apparenza fenomenica che la sottrazione qui impone completata

18. La prospettiva di estrarre “il” senso di disvalore di cui “il” fatto parla

al consociato, si giustappone così alla tendenza dell’anamnesi giurispru-denziale che, matematizzando l’episodio punito come sommatoria di più fattori, a ciascuna circostanza fattuale tipizzata pretende di poter asse-gnare il significato che avrebbe ancorché avulsa dallo specifico contesto d’insieme, senza quindi dare ai singoli elementi un valore secondo il si-gnificato che ne deriva dalla rispettiva (locale) connessione.

Diffuso è pertanto l’inquadramento dogmatico dell’ipotesi di reato com-plesso come unificazione legislativa di almeno due reati (sia che questa avvenga attraverso la formazione di una fattispecie astratta unitaria ed autonoma, sia che l’unificazione si realizzi mediante la previsione della forma aggravata di uno dei reati unificati)

19; scolastica ormai riecheggia la dicitura del reato di sequestro di persona a scopo di estorsione previ-sto dall’art. 630 c.p. quale «figura autonoma di reato, qualificabile come reato complesso, poiché confluiscono in esso, come elementi costitutivi, fatti che costituirebbero per se stessi reato, ai sensi dell’art. 84 c.p., nel senso che il sequestro di persona a scopo di estorsione è caratterizzato

17 Sul punto diffusamente BRUNELLI, Brevi considerazioni su tentativo di rapina im-propria e fattispecie penali con plurimo comportamento, in Cass. pen., 2003, 3627 s.; Cass., sez. V, 13 aprile 2007, P.G. in proc. Mekhatria, in Riv. pen., 2007, 1209. Contra: Cass., sez. II, 21 gennaio 1988, Mastrogiacomo, in CED Cass., n. 179348; Cass, sez. II, 14 ottobre 2003, Monaco, ivi, n. 227763; Cass., sez. II, 10 novembre 2006, Taroni, ivi, n. 235448; Cass., sez. II, 20 marzo 2008, Boudegzdame, ivi, n. 240104; Cass., sez. II, 8 aprile 2008, Petocchi, ivi, n. 240408.

18 In senso contrario l’ultimo dictum delle Sezioni unite in materia, che, con sen-tenza del 19 aprile 2012, n. 34952, Reina, sulla premessa del carattere plurioffensivo e di reato complesso del delitto di rapina – ove si trovano tutelati i beni giuridici «della inviolabilità del possesso e contestualmente della sicurezza e libertà della persona» risultando «dalla commistione del reato di furto con il corrispondente reato relativo al tipo di violenza di volta in volta esercitata (percosse, minacce)» – ha dato conforto all’indirizzo nettamente prevalente per cui «È configurabile il tentativo di rapina im-propria nel caso in cui l’agente, dopo aver compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco alla sottrazione della cosa altrui, adoperi violenza o minaccia per procurare a sé o ad altri l’impunità».

19 RANIERI, Il reato complesso, cit., 17 ss.; MORO, Unità e pluralità di reati. Principi, Padova, 1959, 249; VASSALLI, Reato complesso, in Enc. dir., XXXVIII, Milano, 1987, 822; PAGLIARO, Principi di diritto penale. Parte generale, Milano, 2003, 628 s.; ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. Parte generale, Milano, 2003, 537 s.; ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, I, Milano, 2004, 748. Recentemente si veda SORRENTINO, Il reato complesso. Aspetti problematici, Torino, 2006, 5 ss.

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dall’uso di un mezzo-sequestro di persona finalizzato a conseguire un in-giusto profitto, come prezzo della liberazione dell’ostaggio e si consuma indipendentemente dal conseguimento del profitto»

20 ; pacifica è l’etichettatura sotto questa categoria pure della fattispecie del terzo comma dello stesso art. 630 c.p., reato complesso «perché l’omicidio vo-lontario costituisce una circostanza aggravante del sequestro e dà luogo ad un’unica fattispecie sottoposta alla disciplina dell’art. 84 del codice penale»

21. Ebbene, è chiaro come a monte di ciascuna di queste osservazioni

debba porsi il riconoscimento di un rilievo propriamente strutturale – ex art. 15 c.p. 22 – della connessione operata dal reato “combinato” rispetto alle fattispecie “semplici”. Questa premessa non vale solo ad allontanare definitivamente l’istituto de quo dallo spettro di essere espressione di un principio autonomo di assorbimento

23 o piuttosto di consunzione 24, ma

sbarra pure la traduzione della dicitura del reato complesso ex art. 84 c.p. nella figura di reato complesso in senso ampio per tale dovendosi in-tendere «non quello nel quale ad un reato-base si aggiunge un quid non costituente reato, ma quello nel quale, in concreto, si fondano due fatti costituenti reato, sia pure entro l’orizzonte di un reato dominante che viene (entro certi limiti) ad assorbire l’altro». In una simile evenienza il legislatore, all’atto di fissare la pena per il «reato consumante», avrebbe difatti considerato come il «fatto consumato» rappresenti in concreto una modalità del fatto principale in quanto prodromo o sua appendice naturale

25. Questa conclusione trova conferma nel negato “assorbimento” del

reato di sequestro di persona entro l’aggravante della limitazione della libertà personale della vittima prevista in tema di violenza sessuale dall’art. 609 ter, comma 1, n. 4, c.p. Il disposto di parte generale, sancen-do che «le disposizioni degli articoli precedenti [e cioè quelle sul concor-so di reati] non si applicano quando la legge considera come elementi costitutivi, o come circostanze aggravanti di un solo reato, fatti che costi-tuirebbero, per sé stessi, reato», «sta a significare che le disposizioni di

20 Cass., sez. II, 20 novembre 1991, P.G. in proc. Romano ed altro, in CED Cass., n. 189487.

21 Cass., sez. II, 5 aprile 1990, Bernasconi, in CED Cass., n. 184691. V. anche Ass. Mi-lano, 9 marzo 2009, B., in Corr. merito, 2009, 763.

22 V. Cass., sez. un., 28 ottobre 2010, Giordano ed altri, in CED Cass., n. 248865. 23 NUVOLONE, Il sistema del diritto penale, Padova, 1982, 392 s. 24 VASSALLI, op. cit., 834; PROSDOCIMI, op. ult. cit., 216; nel senso che la norma rap-

presenterebbe il riferimento legislativo del principio di consunzione, MARINUCCI-DOLCINI, Manuale di diritto penale. Parte generale, Milano, 2012, 459 ss.

25 PROSDOCIMI, op. cit., 216 s.

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legge le quali prevedono un reato complesso devono, nella loro astratta formulazione, fare riferimento – o come elemento costitutivo o come cir-costanza aggravante – a un fatto che nella descrizione legislativa costitui-sce di per se stesso reato, onde restano escluse dalla disciplina dell’art. 84 del c.p. tutte quelle ipotesi in cui il fatto descritto ha una portata diversa. Ciò che si verifica in relazione alla circostanza aggravante speciale previ-sta in materia di violenza sessuale la cui descrizione legislativa (fatto commesso “su persona comunque sottoposta a limitazioni della libertà sessuale”) non rappresenta un fatto che costituisce di per se stesso reato, ma una pluralità di ipotesi, la maggior parte delle quali di nessun rilievo penale: un soggetto, infatti, può trovarsi nella condizione suddetta non tanto (o non solo) perché vittima di un sequestro di persona, ma anche per altre diverse ragioni: ad esempio, perché in stato di detenzione, ovve-ro perché si trova ricoverato in un ospedale in situazione tale da non po-tersi muovere, o perché rimasto accidentalmente chiuso in un’abitazione ove si introduce lo stupratore ecc.»

26. Sulla scorta di queste osservazioni esce allora spezzata l’idea che vede

nel reato complesso lo sviluppo di una pluralità di offese 27, perché «vio-

lando più precetti che sono diversi tra di loro, offende anche più beni, in quanto viola un precetto primario, scindibile in più parti, ciascuna delle quali è conforme ad altro precetto semplice. E, pertanto, poiché più pre-cetti si trovano riuniti, per disposizione espressa di legge, in quello che crea il reato complesso, che assorbe le singole trasgressioni, come esso tutela necessariamente più beni della vita, così la sua violazione è offesa dei beni diversi che ne ricevono protezione»

28. V’è di contro nel reato complesso una «unità di contesto», che «non

26 Cass., sez. II, 8 ottobre 2003, Tegri ed altri, in CED Cass., n. 227610. 27 Si badi come la giurisprudenza risulti orientata ad accogliere una nozione lata

di reato complesso (Cass., sez. I, 16 aprile 1984, n. 7439, Amendola) ravvisandolo ad esempio nella previsione del capoverso dell’art. 567 c.p. che ricomprenderebbe in sé il delitto di falso ideologico documentale (Cass., sez. VI, 18 febbraio 1994, Cacciatore, in CED Cass., n. 198884), ed ancora nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose, a sua volta assorbente gli estremi del danneggiamento (Cass., sez. I, 4 maggio 1977, Natale, in CED Cass., n. 137310). Precisamente, la figura del c.d. reato complesso in senso lato è da intendersi come quel reato che comprende in sé un altro reato con l’aggiunta di almeno un elemento ulteriore non costituente reato (ad esempio l’abrogata figura dell’oltraggio a pubblico ufficiale derivante dall’aggiun-gersi agli estremi del delitto di ingiuria degli elementi della qualifica del soggetto pas-sivo e dell’essere avvenuta l’offesa a causa o nell’esercizio delle funzioni dello stesso). In questa categoria rientrerebbe, quale sua species, anche il c.d. reato progressivo ca-ratterizzato dalla gravità crescente dell’offesa ad un medesimo bene, v. MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, Padova, 2011, 487; DE MARSICO, Diritto penale. Parte ge-nerale, Napoli, 1937, 255.

28 RANIERI, op. cit., 114.

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ha il significato di unità di tempo in senso matematico, o quello soltanto di contemporaneità assoluta, tra più condotte, ma di mancanza d’inter-vallo apprezzabile tra di esse, d’interruzione, di deviazione ad altri atti»: vi si esprime dunque «una continuità di comportamento che, senza alcun sensibile intervallo tra i vari atti che lo compongono, sbocca in un evento finale che tutti li assomma nella sua valutazione, e che rientrano, per questo, in una sola fattispecie di reato»

29. Insomma, sebbene le condotte costitutive del reato complesso possano vedersi come pluralità in senso strettamente naturalistico-fenomenico, le stesse si prestano ad essere let-te come unitarie in termini socio-valutativi.

Del resto, appare contraddittoria la statuizione per cui è soltanto una tra le condotte conteggiate nella descrizione del reato complesso che ri-ceve considerazione con prevalenza sulle altre, sicché «è in base all’offesa dalla stessa immediatamente prodotta, a un determinato bene o interesse penalmente protetto, che il reato complesso viene classificato sotto un titolo, piuttosto che un altro, del codice penale»

30: come a dire che non tutte le condotte previste, pure se necessarie, contrassegnano il disvalore del fatto.

Seguendo l’esposto tracciato argomentativo, la costruzione del reato complesso come illecito penale ontologicamente unitario per fatto ed of-fesa si dimostra in grado di delegittimare la costante obiezione per cui rimane in fin dei conti questione ermeneutica anche l’individuazione di quelle ipotesi in cui l’unica offesa penale sia in realtà la risultante della sommatoria di una pluralità di interessi semplici vulnerati. In questo senso il fenomeno del reato plurioffensivo rimarrebbe variabilmente ri-scontrabile all’avvertirsi di una complessità dell’offesa, quando cioè la legge penale si offra a tutelare, in unità strutturale, una pluralità di inte-ressi, eventualmente o piuttosto necessariamente concorrenti

31, tali che la lesione di uno, per essere giuridicamente rilevante ad un certo titolo, dovrà contemporaneamente agganciarsi all’offesa dell’altro

32. Tuttavia, è esattamente l’art. 84 c.p. a scrivere di una diversa realtà

normativa, in cui ciascuna norma si incarica di proteggere il solo, unitario interesse selezionato tramite il filtro della singolare tipicità. Nei casi in cui tale rappresentazione descrittiva combini infatti situazioni già di per sé ri-levanti in termini di fattispecie astratte, portatrici quindi ciascuna di un proprio disvalore, l’ipotesi incriminatrice che ne deriva, sebbene struttu-ralmente complessa, esprime un autonomo, ed ancora una volta semplice,

29 RANIERI, op. cit., 51 s. 30 RANIERI, op. cit., 53. 31 Si pensi alla plurioffensività tradizionalmente ascritta ai reati contro la fede

pubblica, in tema GRANDE, Falsità in atti, in Dig. disc. pen., V, Torino, 1991, 56. 32 GALLO M., Dolo (diritto penale), in Enc. dir., XIII, Milano, 1964, 790.

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significato offensivo, discendente dalla individuazione dell’unico bene giu-ridico capace di venire in rilievo dall’angolo di visuale adottato dal legisla-tore nel fotografare quell’accadimento umano

33. Nemmeno in queste ipo-tesi di reato complesso, in sostanza, l’ordinamento ammette in genere che si abbia a ricostruire una “offesa in termini complessi”: il disvalore san-zionato ex art. 84 c.p., difatti, non è dettato dal sommarsi delle offese che fanno l’in se di ciascuno dei fatti penalmente rilevanti convocati a struttu-rarlo, ma è rispetto ad esse distintamente determinato.

Il comma 1 del disposto si presta alla verificazione della lettura pro-posta, prescrivendo per il reato complesso una cornice edittale autono-ma

34, guidata dalla proporzione tra la pena ed il disvalore alla cui repres-sione-prevenzione quella si muove

35 e svincolata dalla logica del concor-so dei reati

36 ove invece tutti gli interessi coinvolti rimangono distinta-mente percepibili.

Così, è nel comma 2 del medesimo art. 84 c.p. che, in successione lo-gica rispetto a questa premessa giuridica, trova posto il limite normativo alla configurabilità di un reato “veramente” plurioffensivo. Nelle ipotesi in cui, eccezionalmente, a fronte dell’unità tipica di reato v’è l’eco di una pluralità di offese rispetto ad altrettanti interessi, tante offese quante le fattispecie che si assommano entro l’ipotesi incriminatrice complessa, allora la stessa legge penale scolpisce l’eccezione, e pur sempre dichiara doversi computare separatamente il pregiudizio arrecato ai diversi beni. Ciascuno di essi rimane infatti ancora autonomamente individuabile e valutabile nella propria dimensione offensiva, sicché la disposizione, per la determinazione della sanzione da attribuire al reato complesso, non potrà che riferirsi alle pene stabilite per i singoli reati che lo costituisco-no, soggiacendo, nel doveroso rispetto della rammentata “supremità” del principio di proporzione della misura sanzionatoria

37, alla preclusione

33 Per la costante affermazione secondo cui il reato complesso è un caso di unifica-zione giuridica ovvero di fusione legislativa, v. SINISCALCO, Il concorso apparente di norme nell’ordinamento penale italiano, Milano, 1961, 171; MANTOVANI, Concorso e conflitto di norme nel diritto penale, Bologna, 1966, 265 ss.

34 In proposito, v. PIACENZA, Reato complesso, in Noviss. Dig. it., XIV, Torino, 1976, 966. 35 I tempi e la misura della riflessione accennata nel testo impongono di rinviare

interamente per gli approfondimenti sull’argomento, in particolare a BRICOLA, Teoria generale del reato, in Noviss. Dig. it., XIX, Torino, 1973, 92; FIANDACA, Nota a C. Cost., 25 luglio 1994, n. 341, in Foro it., I, 1994, 2586; PADOVANI-STORTONI, Diritto penale e fattispecie criminose. Introduzione alla parte speciale del diritto penale, Bologna, 1996, 110 ss.

36 A paradigma la rapina, ove la pena stabilita è superiore rispetto a quella derivan-te dal cumulo sanzionatorio di furto e violenza privata, V. ROMANO, Commentario si-stematico del codice penale, I, Milano, 1995, 752.

37 Nel senso che trattasi di disposizione particolare concernente la pena, MANTO-

VANI, Concorso e conflitto di norme, cit., 511 ss.

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del superamento dei limiti massimi indicati negli artt. 78 e 79 c.p. a co-mune contenimento delle ipotesi di concorso di reati

38.

3. Quando la singolarità del soggetto passivo non significa unici-tà del danno risarcibile

Ne discendono corollari “di sistema”. Da un canto, si radica l’adesione alla tesi che ravvede sempre “unico”

il soggetto passivo di situazioni tipiche complesse/plurioffensive, così unico il soggetto passivo dell’estorsione come della rapina, pure se chi patisce violenza o minaccia è altri rispetto a chi subisce gli effetti patri-moniali negativi della reazione costretta/spossessamento, e ciò esatta-mente in ragione della prevalenza da accordarsi alla lesione al patrimo-nio rispetto a quella alla persona

39 nell’economia “raffigurativa” prima e valutativa poi del delitto.

Si ha in mente, nell’esemplare ipotesi di rapina, il fatto di malviventi che facciano irruzione in banca, per sottrarre la liquidità di cassa, e co-stringano i vari clienti che in quel momento si trovino all’interno dei lo-cali a sdraiarsi per terra: vi è l’integrarsi di una unica fattispecie di rapi-na per chi considera rilevante solo il bene patrimonio, più rapine per chi ritiene il delitto ex art. 628 c.p. un reato plurisoggettivo/plurioffensivo

40. La soluzione che si intende riformulabile alla stregua dei canoni che ci si è fin qui dati dirige verso il primo approdo: così, in situazione in cui vio-lenze e minacce siano portate in aggressione a più persone aventi con-giuntamente la detenzione delle cose sottratte, e siano realizzate conte-stualmente o in un immediato succedersi di comportamenti riconducibili ad unica volontà criminale, si dovrà ritenere esistente un unico reato di rapina

41.

38 Sottolineano la mancanza di applicazione pratica nel codice penale del capover-so citato (che potrebbe quindi trovare applicazione soltanto nell’ambito della legisla-zione speciale, non essendo state ivi individuate ipotesi nelle quali «la legge, per la determinazione della pena per il reato complesso, si riferisca alle pene stabilite per i singoli reati che lo costituiscono), PAGLIARO, Il reato, in Trattato di diritto penale. Parte generale, II, diretto da GROSSO-PADOVANI-PAGLIARO, Milano, 2007, 451; FIANDACA-MU-SCO, Diritto penale. Parte generale, Bologna, 2010, 691, nt. 24.

39 BRUNELLI, Rapina, cit., 19. 40 BRUNELLI, Rapina, cit., 19. 41 V. Uff. ind. prel. Napoli, 18 giugno 2010, n. 1410, in DeJure, in fattispecie di due

rapinatori che avevano programmato l’impossessamento di denaro e di una auto, po-nendo in essere comportamenti minacciosi verso il cassiere per la consegna del dena-ro e verso il possessore delle chiavi dell’auto.

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Condiviso questo risultato, non rimane travolta l’idea giurispruden-ziale per cui in simili quadri – ancora ad emblema la rapina – il risarci-mento “attenuante” di cui alla prima ipotesi dell’art. 62, n. 6, c.p. debba riferirsi sia al danno conseguente alla sottrazione della cosa, sia al danno conseguente alla violenza

42. L’argomentazione non può, però, rettamente procedere per la strada dell’unificazione legislativa in reato complesso tra furto (per cui parte offesa è chi subisce il danno patrimoniale) e vio-lenza privata (in cui la parte offesa soffre un danno non patrimoniale), nel senso che «entrambi debbano essere risarciti perché l’unità del delit-to e della pena non consentirebbe di attribuire rilevanza al risarcimento dell’uno o dell’altro soltanto, considerando attenuato il furto e non la vio-lenza e viceversa»

43. Piuttosto, il «danno complesso» che empiricamente può configurarsi nei casi di specie, in rilievo ex art. 62, n. 6, prima parte, c.p. (l’avere, prima del giudizio, riparato interamente il danno, mediante il risarcimento di esso e, quando sia possibile, mediante le restituzioni), ori-gina dalla sommatoria degli effetti pregiudizievoli subiti e dal danneggia-to, ricompreso nell’estesa categoria dei “risarcibili” di cui all’art. 185 c.p. 44, e dall’offeso, unica “vittima” del reato de quo

45. Ci si connette invero alla dicotomia, oramai ben assimilata dall’inter-

prete del diritto penale, che figura nella persona offesa il soggetto passivo del reato, ovvero il titolare del bene giuridico protetto dalla norma violata; nel danneggiato, invece, legittimato a far valere la propria pretesa risarci-toria avente ad oggetto le conseguenze civilistiche del reato

46, chi abbia ri-

42 Analoga l’argomentazione spesa in tema di delitto ex art. 630 c.p. da Cass., sez. II, 13 giugno 1983, Puddu, in Cass. pen., 1985, 1564, che sottolinea la duplicità dell’offesa al patrimonio ed alla libertà personale.

43 Cass., sez. II, 17 giugno 1966, D’Emanuele, in Riv. it. dir. proc. pen., 1968, 265. V. anche Cass., sez. II, 13 novembre 1984, Montegrande, in Riv. pen., 1985, 664; Cass., sez. II, 6 dicembre 1984, Mele, in CED Cass., n. 168640. Ancora cfr. Cass., sez. II, 31 marzo 1989, Lo Russo, in CED Cass., n. 181754; Cass., sez. II, 7 novembre 2000, Ursi, ivi, n. 217887.

44 Nel senso che l’attenuante vada intesa in funzione dell’art. 185 c.p., e pertanto, risulti applicabile a qualsiasi reato, ogni qualvolta ne sia derivato un danno patrimo-niale o non patrimoniale suscettibile di riparazione a norma delle leggi civili nelle forme delle restituzioni o del risarcimento v. Cass., sez. un., 1 febbraio 1992, Scala ed altri, in CED Cass., n. 189183.

45 Una lettura costituzionalmente orientata dei «casi previsti dalla legge» cui fa ri-ferimento l’art. 2059 c.c. impone, secondo quanto precisato dalla Corte di Cassazione a sezioni unite, che il danno non patrimoniale sia risarcibile – tra le tre ipotesi enu-cleate – quando il fatto illecito sia astrattamente configurabile come reato: in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla le-sione di qualsiasi interesse della persona tutelato dall’ordinamento ancorché privo di rilevanza costituzionale, Cass., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972, A.L. c. S.F., in Giur. it., 2009, 61.

46 In termini Cass., sez. VI, 7 dicembre 1995, Belloni, in Cass. pen., 1996, 2976 ss.

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I delitti contro il patrimonio e le tracce del sistema 110

portato un danno eziologicamente riferibile all’azione o all’omissione del soggetto attivo del reato stesso

47. Dicotomia che per l’appunto si scioglie al contatto con la trasversale categoria dell’“avente diritto al risarcimento del danno da reato”, nelle cui fila si contano tutti i titolari di tutti gli interessi protetti, anche indirettamente, dalla norma penale

48. Una volta ammessa l’esistenza di reati “comunque” offensivi di più di un bene giuridico, si considerano difatti danneggiate anche le persone offese titolari di quei be-ni violati dal fatto di reato che pure risultano diversi dall’interesse giuridi-co sotto la cui “rubrica” la fattispecie è descritta

49. Si segna così la definitiva spallata all’idea di una “offesa plurale”, nel

cui ambito il «danno da reato» «concretizza un aspetto dell’offesa tipica del reato», dovendo, in parte, con essa coincidere

50. Nell’alternativa otti-ca dell’unicità dell’interesse (“prevalente”), il danno è invece capace di sconnettersi dal disvalore penale, coprendo gli interessi anche “media-tamente” protetti dalla norma incriminatrice, per cui tale nozione non deve necessariamente coincidere con la violazione dell’interesse la cui offesa è essenziale per aversi l’integrazione del reato

51. Una simile stratificazione di piani entro il concetto di “danno risarci-

bile” ha peraltro dalla sua proprio la disciplina codicistica. Difatti, nella menzionata attenuante della “riparazione totale del danno”, il termine questionato rinvia ad una nozione in senso civilistico, come lesione pa-trimoniale o non patrimoniale ma economicamente risarcibile (art. 185, comma 2, c.p.; art. 2059 c.c.)

52, di tal ché, a differenza della attenuante della speciale tenuità del danno espressamente limitata ai soli delitti contro il patrimonio o che comunque offendono il patrimonio, essa è applicabile ad ogni reato che abbia di fatto cagionato un danno risarcibile, prescinden-do dalla obbiettività giuridica del reato stesso

53. Di contro, solo nella se-conda delle due diverse attenuanti contemplate nel medesimo articolato

47 V. amplius sul distinguo FONDAROLI, Illecito penale e riparazione del danno, Mila-no, 1999, 58 s., e 107 ss. per l’approfondimento dell’elaborazione del concetto di dan-no e di danno risarcibile; nonché ID., Risarcimento e/o riparazione del danno e/o dell’offesa nel diritto penale: una questione di inalterata attualità, in Studi in onore di Franco Coppi, Torino, 2011, 1015 ss.

48 FROSALI, Reato, danno e sanzioni, Padova, 1932, 226 ss., 233, 238, 242 ss. 49 ANTOLISEI, L’offesa e il danno nel reato, cit., 118 s. 50 DURIGATO, Rilievi sul reato plurioffensivo, Padova, 1972, 77. 51 V. FONDAROLI, Illecito penale, cit., 206 s. 52 Cass., sez. VI, 8 ottobre 1993, Prini, in CED Cass., n. 196123; Cass., sez. I, 6 apri-

le 2005, Avitabile, ivi, n. 231575. 53 Cass., sez. V, 21 ottobre 1981, Bole, in Cass. pen., 1983, 621 (nella fattispecie la

circostanza attenuante è stata ritenuta operativa anche rispetto al reato di spendita di monete false). Cfr. Cass., sez. IV, 2 marzo 2011, Di Gioia, in CED Cass., n. 249937, con riguardo a lesione personale colposa.

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Complessità del reato, unicità dell’offesa e pluralità del “danno” 111

dell’art. 62, n. 6, c.p. (id est, il c.d. ravvedimento operoso, per essersi il reo prima del giudizio … adoperato spontaneamente ed efficacemente per elide-re o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato) il danno è considerato – unitamente al pericolo di danno – nel suo significato pena-listico, ossia quale lesione “del” bene giuridico specificamente tutelato dalla norma incriminatrice

54. Su questo sfondo si scinde la necessaria uni(ci)tà dell’offesa penale

agganciata al singolo reato 55 dalla eventuale pluralità dei danni “rimbor-

sabili”; e si dovrà pertanto rimbastire anche la spiegazione della discipli-na circostanziale di cui agli artt. 61, n. 7 e, in particolare, 62, n. 4, c.p., che, scrivendo il distinguo tra delitti contro il patrimonio e («o») quelli che comunque offendano il patrimonio, è sembrata lasciar intendere l’esistenza sistemica di “delitti contro” un dato bene giuridico conte-stualmente offensivi anche di altro interesse, altro (o altri) rispetto a quello che il legislatore abbia inteso voler privilegiare nella caratterizza-zione del «disvalore giuridico-penale del fatto»

56, come fosse una implici-ta ammissione del costrutto del reato plurioffensivo

57. Quale esempio, tra i molti, sta il delitto di concussione, che l’impostazione maggioritaria vuole offensivo in primo luogo del buon andamento, del prestigio e del-l’imparzialità della pubblica amministrazione, ed in via secondaria del patrimonio e/o del diritto all’autodeterminazione del soggetto privato

54 Cass., sez. VI, 11 maggio 1989, Sii, in Cass. pen., 1991, 1766; Cass., sez. I, 6 aprile 2005, Avitabile, cit. Sul punto v. FONDAROLI, Illecito penale, cit., 246 e bibliografia ivi citata.

55 Significativa la risoluzione di Cass., sez. un., 27 novembre 2008, Chiodi, in CED Cass., n. 241755, per cui nel reato continuato la gravità del danno va accertata con riguardo a quello cagionato da ciascuna violazione di legge, e si applica solo ai reati a cui si riferisce (cfr. Cass., sez. III, Lamanna, 21 ottobre 1993, in CED Cass., n. 195943; Cass., sez. VI, 12 giugno 2007, Bortolotto ed altro, ivi, n. 237329). Si rimpostano così i termini di un ragionamento che aveva indotto la stessa Suprema Corte a diverso avvi-so, col precisarsi come non si debba tener conto del danno cagionato da ogni singola violazione ma del complesso del danno cagionato dalla somma delle violazioni (Cass., sez. VI, 4 ottobre 1999, De Vecchis, cit.; Cass., sez. II, 9 maggio 2000, Vignuzzi, in CED Cass., n. 217278).

56 BRICOLA, L’offesa e il danno patrimoniale nel delitto di contrabbando, in Riv. pen., 1959, I, 354; in ID., Scritti di diritto penale, a cura di CANESTRARI-MELCHIONDA, Mila-no, 1997, 2829.

57 FONDAROLI, Illecito penale, cit., 188 ss. Per i distinguo tra i vari orientamenti sul punto, v. PADOVANI, Circostanze del reato, in Dig. disc. pen., II, Torino, 1988, 219; ed an-che SANTORO, Circostanze del reato (diritto penale comune), in Noviss. Dig. it., III, Torino, 1974, 278, per cui la categoria comprende i reati caratterizzati non solo dall’aver provo-cato comunque un danno patrimoniale ma anche dal fatto che tale danno sia stato pro-vocato proprio alla persona offesa dal reato. Altri invece preferiscono un’accezione più ampia della categoria, come comprendente tutti quei reati che offendano, oltre che il bene direttamente tutelato dalla norma, anche il patrimonio del soggetto passivo, così MALINVERNI, Circostanze del reato, in Enc. dir., VII, Milano, 1960, 82.

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I delitti contro il patrimonio e le tracce del sistema 112

concusso 58, ed in tal senso annoverabile tra i delitti che, pur non essendo

contro il patrimonio, comunque lo offendono 59.

V’è tuttavia una diversa opzione esegetica da “sperimentare” rispetto a questa formula – delitti che comunque offendano il patrimonio – che con-duce all’opposta soluzione, per cui v’è un solo “senso” offensivo in ogni fat-to di reato.

Anzitutto si deve prestare attenzione alla condizione di operatività delle circostanze di cui agli artt. 61, n. 7 e 62, n. 4, c.p., per cui (tra l’altro) si deve essere cagionato a carico della persona offesa dal reato un danno patrimo-niale di rilevante gravità, o, rispettivamente, di speciale tenuità. Sicché il danno qui inteso rilevante è solo quello cagionato al soggetto passivo, vale a dire l’offesa penale e non il danno civile. Ciò convince a ricondurre l’espres-sione che caratterizza i fatti di reato come “comunque offensivi del patri-monio” entro una precisa area semantica, che lascia “comunque” protagoni-sta il solo valore “patrimonio”. È questo profilo, “costitutivo” che li accorpa a quelli «contro il patrimonio» (tra gli altri, il furto

60 o piuttosto l’usurpa-zione, la deviazione/modificazione ex art. 632 o l’occupazione ex art. 633, comma 1, il danneggiamento di cui al primo comma dell’art. 635 o il delitto ex art. 636 c.p.), sebbene al pregiudizio del bene giuridico qui si giunga at-traverso modalità comportamentali che non si limitano a toccare la “cosa” o l’insieme di “cose” di patrimoniale rilievo, ma, emblematicamente, coinvol-gono la fisicità e/o la personalità dell’individuo. Nondimeno, la particolare definizione del singolo tipo normativo – magari specchiata nella non casuale categorizzazione offerta dal sistema codicistico – lascia simili profili perso-nali sul piano dei mezzi/strumenti, così da non immettere la fattispecie del caso nel cono dei crimini contro la persona

61. Possono allora sovvenire quali esempi in questo campo – che è e ri-

58 V. PIOLETTI, Concussione, cit., 3; PAGLIARO, Principi di diritto penale. Parte specia-le, I, cit., 131 ss.

59 Così FONDAROLI, Illecito penale, cit., 243. 60 V. Trib. Padova, 11 marzo 2011, F.Z., in La Legge Plus Ipsoa. 61 Cfr. l’analogo ragionare, ma sulla scorta di divergenti presupposti, di App. Milano,

26 luglio 2010, L.M. ed altri, in La Legge Plus Ipsoa, secondo la cui motivazione: «La cir-costanza attenuante di cui all’art. 62, n. 4 c.p., sebbene riferibile al reato di rapina, non lo è per il reato di violenza privata previsto dall’art. 610 c.p. In tal senso, infatti, la pre-detta circostanza attenuante trova applicazione solo per quei delitti che offendono il pa-trimonio, ovvero per i delitti plurioffensivi che, stante l’astratta previsione della legge, oltre ad offendere, in via primaria, un determinato bene o interesse di natura non pa-trimoniale, producono, in via secondaria, come evento tipico, ossia come risultato co-stante della condotta incriminata, un pregiudizio al patrimonio, pur non essendo questo il bene specificamente protetto. Non è quindi applicabile la circostanza suddetta alla violenza privata che solo occasionalmente può produrre effetti economici dannosi, non essendo l’offesa al patrimonio prevista tra i suoi elementi costitutivi».

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Complessità del reato, unicità dell’offesa e pluralità del “danno” 113

mane ben distinto dall’eterogeneo settore dei “delitti determinati da mo-tivi di lucro” (interpellato “a parte” nel dettato delle richiamate ipotesi circostanziali) – le figure già citate di rapina ed estorsione, nonché la fat-tispecie ex art. 648 c.p., nel cui seno l’aggressione al valore economico del bene oggetto dell’ipotesi delittuosa è veicolata da modalità compor-tamentali che intaccano negativamente l’attività di accertamento giudi-ziale dei reati (per dirla con le parole del codice, l’amministrazione della giustizia)

62. Ne rimane invece fuori la categoria dei delitti di falso, non annoverandosi in questo contesto il danno patrimoniale come elemento tipico e costante dell’ipotesi criminosa, piuttosto trattandosi di reati che solo eventualmente possono determinare conseguenze economiche dele-terie

63; al pari non coinvolti in questa sotto-sistematica sono i reati in materia di sostanze stupefacenti, risultando gli stessi lesivi di valori co-stituzionali attinenti alla salute pubblica, alla sicurezza ed all’ordine pubblico, alla salvaguardia del sociale

64; né vi si comprendono i delitti contro la vita e l’incolumità individuale

65. Si assume così che la regola generale attenuante ex art. 62, n. 4, c.p.,

rimanendo connessa alla struttura offensiva dell’illecito penale, abbia una operatività limitata ai delitti contro il patrimonio o che comunque lo offendano. L’eccezione a questa regola è posta direttamente da talu-ne previsioni circostanziali legate a peculiari fattispecie incriminatrici: la “specialità” si rende infatti necessaria ogni qual volta ci si trovi fuori del perimetro applicativo disegnato dall’anzidetta regola, quindi fuori della tutela penale del patrimonio. Il pensiero corre allora all’art. 311 c.p., che rispetto ai delitti contro la personalità dello Stato sancisce la diminuzione delle pene comminate quando (tra l’altro) per la particola-re tenuità del danno o del pericolo il fatto risulti di lieve entità; e all’art. 323 bis c.p., che consente di attenuare la misura sanzionatoria a fronte della particolare tenuità del danno cagionato dai delitti contro (buon andamento ed imparzialità del)la pubblica amministrazione tipizzati coi fatti previsti dagli artt. 314, 316, 316 bis, 316 ter, 317, 318, 319, 319 quater, 320, 322, 322 bis e 323

66, indubitabilmente lontani da una collo-cazione – per fatto e disvalore – “necessariamente patrimoniale”.

Ecco allora che si apre uno scenario riflessivo ben più vasto, destinato

62 App. Trieste, 14 settembre 2010, C.P. e altri, in La Legge Plus Ipsoa. 63 App. Campobasso, 26 febbraio 2009, G.L., in La Legge Plus Ipsoa. 64 Cass., sez. VI, 30 marzo 1999, n. 7830, Chanovi, in Cass. pen., 2000, 3002. V. an-

che Cass., sez. VI, 18 gennaio 2011, Bagoura, in Dir. pen. proc., 2011, 947. 65 Cass., sez. IV, 19 febbraio 1990, Broccolo, in Riv. pen., 1991, 79, in fattispecie di

omicidio colposo. 66 V. Cass., sez. VI, 9 giugno 2011, Freddi, in CED Cass., n. 250837, secondo cui

l’attenuante di cui all’art. 62, n. 4 deve intendersi assorbita nella ipotesi specifica con-templata dall’art. 323 bis c.p.

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a chiudersi tornando alla tematica della truffa, oramai verificato come sia consentito dal sistema che il soggetto ingannato possa essere una persona distinta dal soggetto passivo del reato, l’uno e l’altro suscettibili di subire un danno risarcibile. Prima di questa chiusura, i criteri esegeti-ci fin qui elaborati vanno però ulteriormente verificati, affacciandosi alla ricca discussione che accompagna lo speciale delitto di estorsione artico-lato nell’art. 630, comma 1, c.p., la cui progressiva “rifinitura normativa” – visibile nei commi consecutivi al primo – ha segnato il dibattito la-sciandone immaginare l’allontanamento dalla categoria dei reati patri-moniali e l’apertura alla valorizzazione dell’aggressione “personalistica”.

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CAPITOLO VI

Appendici di tipicità: sul “riscatto” ex art. 630 c.p.; sui termini di criminalizzazione della truffa processuale

SOMMARIO: 1. Premesse sulla patrimonialità del rapimento estorsivo. – 2. Causa e con-testo dell’atto dispositivo del patrimonio nella tipicità del delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione. – 2.1. L’ingiusto atto dispositivo: il pagamento del prezzo della liberazione. – 2.2. La violenza e la minaccia nella gestione del patri-monio: dalla “ragione” (art. 393 c.p.) all’“irragionevolezza” ex lege. – 3. L’ipotesi della tipicità della truffa processuale nel modello dell’art. 640 c.p. (comma 2, n. 1) e la tesi del “danno allo Stato”.

1. Premesse sulla patrimonialità del rapimento estorsivo

La dialettica col tempo sviluppatasi sui controversi rapporti fra i delit-ti di sequestro di persona a scopo di estorsione, sequestro di persona, estorsione ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni, conta ora di altri elementi sui quali soffermarsi ad indagare. In primo quelli emersi dalle precedenti osservazioni sul contesto fattuale-cronologico dell’atto di di-sposizione operato dalla vittima nel delitto estorsivo; a questi va ad ag-giungersi l’ultimo approdo giurisprudenziale circa i caratteri “implicita-mente” tipizzanti il fatto incriminato ex art. 630 c.p.

La collocazione pensata e stabilita dall’antesignano codificatore dei delitti contro il patrimonio permette ancora oggi di leggere in consecu-zione i primi commi dell’art. 629 e dell’art. 630 c.p., l’uno stigmatizzante il fatto di chi «mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno», l’altro premesso a punire «chiunque sequestra una persona allo scopo di conseguire, per sé o per altri, un ingiusto profitto come prezzo della liberazione». Il valore di vicinanza tra le due figure di illecito già ne attesta l’appartenenza alla medesima categoria, intitolabile ai “delitti che comunque offendono il patrimonio”. Inoltre, permette di visualizzare la corrispondenza tra gli estremi delle rispettive strutture ti-piche, dando conto della portata speciale dell’oggettività ex art. 630 c.p.: specialità sia in punto di condotta violenta/minacciosa privativa dell’al-

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I delitti contro il patrimonio e le tracce del sistema 116

trui libertà (di locomozione) personale, sia in punto di evento di pericolo consistente nel pagamento del riscatto, a fronte di un evento dannoso dell’estorsione consistente nell’“ottenimento di un ingiusto profitto con altrui danno”. Del resto, la struttura organica di un reato a dolo specifico – quale è il sequestro di persona a scopo di estorsione – se vale ad antici-pare la punibilità del fatto consumato al momento della volontaria ogget-tiva predisposizione di mezzi idonei al conseguimento del risultato

1, non si dimostra per ciò stesso incompatibile con l’eventualità “generale” nei limiti del successivo effettivo prodursi dell’evento economico, lo stesso già rilevante nella anticipata prospettiva “speciale”

2. Si direbbe allora inappuntabile la lettura “patrimoniale” del disposto

ex art. 630, comma 1, c.p.; eppure, fin dalle prime battute l’esegesi ha in-teso di poterne ravvisare l’oggetto specifico nell’inviolabilità del patrimo-nio associato alla tutela della libertà personale

3. Di più: del bene giuridi-co localmente tutelato la moderna dottrina offre concorde la visione op-posta rispetto a quella avanzata nel testo, ritenendo che i convulsi inter-venti legislativi succedutisi all’indomani della prima scrittura incrimina-trice

4 abbiano più o meno consapevolmente finito col sovvertirne la di-mensione patrimonialistica originaria

5. Per cui, ammesso che si è ceduto il passo alla tutela del bene della libertà personale

6, l’invariata colloca-zione del sequestro estorsivo tra i reati contro il patrimonio finisce per essere giudicata abnorme.

In tale contesto evolutivo non ha tardato a consolidarsi il predominio della salomonica ottica giurisprudenziale circa la plurioffensività del rea-to ex art. 630 c.p. 7, con una interna “corrente” che assegna prevalenza al profilo lesivo della libertà personale: prevalenza normativamente sancita

1 V. Cass., sez. II, 18 gennaio 1993, Bergamaschi ed altri, in CED Cass., n. 193577; Cass., sez. VI, 27 aprile 1995, Biasi, ivi, n. 202173.

2 Cfr. il ragionamento che è sviluppato alla base di Cass., sez. un., 28 ottobre 2010, Giordano e altri, cit. per argomentare della relazione di specialità unilaterale corrente tra i reati in materia fiscale di cui agli artt. 2 e 8, d.lgs. 10 marzo 2000 n. 74, ed il de-litto di truffa aggravata ai danni dello Stato ex art. 640, comma 2, n. 1 c.p.

3 V. già MANZINI, Trattato, cit., 472; Cass., sez. un., 25 marzo 1950, in Giust. pen., 1950, II, 1073.

4 Artt. 5 e 6, l. 14 ottobre 1974, n. 497; art. 2, d.l. 21 marzo 1978, n. 59, convertito in l. 18 maggio 1978, n. 191; art. unico l. 30 dicembre 1980, n. 894.

5 PADOVANI, Commento alla L. 30 dicembre 1980, n. 894. Modifiche all’art. 630 c.p., in Leg. pen., 1981, 172 ss.; DALIA, I sequestri di persona a scopo di estorsione, terrorismo od eversione, Milano, 1982, 8 ss.; ID., Sequestro di persona a scopo di estorsione, in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, 202.

6 GALLO E., Sequestro di persona, in Enc. giur. Treccani, XXXII, Roma, 1993, 5; FIANDACA-MUSCO, Diritto penale. Parte speciale, cit., 160 ss.

7 Cass., sez. I, 1 aprile 2010, Ruggeri, in CED Cass., n. 247071.

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Appendici di tipicità 117

– secondo gli autori – per effetto della previsione di circostanze di aggra-vamento della pena al di fuori della prospettiva di conseguimento del profitto, e comunque testimoniata dal completo sganciamento della pro-spettiva premiale dalle vicende relative al pagamento del prezzo

8. Si percepisce tuttavia come con questi toni si finisca per sviare

l’analisi della fattispecie delittuosa di cui al primo comma dell’art. 630 c.p. in forza della regolamentazione presente nei commi successivi del disposto. Le singole fattispecie e discipline che vi trovano sede possono in effetti dirsi dotate di un diverso spettro offensivo, ben compatibile con la struttura di una autonoma (quand’anche complessa) fattispecie incri-minatrice – questa volta sì – lesiva della persona e segnatamente della di lei incolumità: il riferimento è alle ipotesi dei commi 2 e 3. Ivi si rinven-gono difatti contemplate due distinte ipotesi di reato – qualificate dalla costante esegesi come di reato complesso – integrate rispettivamente nel caso in cui dal sequestro derivi «comunque la morte, quale conseguenza non voluta dal reo»

9, e nel caso in cui si assista alla dolosa causazione della morte dell’ostaggio. Vengono appunto a forgiarsi autonome fatti-specie di omicidio, colposo (comma 2)

10 e volontario (comma 3) 11, l’una

e l’altra causalmente orientate a mezzo della condotta vincolata di seque-stro, nel senso di avvenimento descritto ex art. 630, comma 1, c.p. In questi brani normativi, dunque, la “complessa” narrazione del fatto spo-sta di netto il punto focale della “storia criminale” punita, portandolo di-rettamente sull’evento esiziale e trasfigurando il bene tutelato in quello della “persona”.

Peraltro, l’inversione dello spirito offensivo che si attesta nel passag-gio dal comma 1 – delitto offensivo del patrimonio – ai capoversi – delitti contro la persona – è portata anche linguisticamente in evidenza per il tramite della dicitura del comma 2. La locuzione «se dal sequestro deriva comunque la morte» risulta difatti significativamente parallela alla peri-frasi che si è detto poter connotare il delitto previsto al primo comma, “delitto che comunque offende il patrimonio”. Ad essere attaccato, stavol-

8 GIUNTA, Il sequestro di persona nelle recenti innovazioni legislative, in Arch. pen., 1983, 242; MANTOVANI, Diritto penale. Parte speciale, cit., 156.

9 Vi ravvisano un’ipotesi di delitto aggravato dall’evento la giurisprudenza e parte della dottrina: GIUNTA, Il sequestro, cit., 251; PALAZZO, La recente legislazione penale, Padova, 1985, 106; mentre per GALLO E., Sequestro di persona, cit., 9, si tratta invece di figura autonoma di reato.

10 Nel doveroso senso di conformità al principio di colpevolezza anche per l’im-putazione dell’evento de quo, MANTOVANI, Diritto penale. Parte speciale, cit.; BRUNELLI, Il diritto penale delle fattispecie criminose, cit., 102 ss. In giurisprudenza v. Cass., sez. II, 5 aprile 1990, Bernasconi, in Riv. pen., 1991, 431.

11 V. in argomento DALIA, Sequestro di persona, cit., 205; FIANDACA-MUSCO, Diritto penale. Parte speciale, cit., 164. BRUNELLI, Il sequestro di persona a scopo di estorsione, Padova, 1995, 367 parla di «omicidio connesso a sequestro estorsivo».

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ta, è il bene personale della vita, per mezzo di una condotta che già inci-de sul patrimonio; mentre nella figura che precede – esattamente a con-trario – si vede l’operare di una condotta aggressiva della persona come strumento di offesa patrimoniale. Una traccia della sensibilità verso que-sta lettura si coglie d’altronde in quella giurisprudenza di legittimità che ha escluso la violazione del principio di correlazione tra accusa e senten-za se, a fronte di separata contestazione di sequestro di persona a scopo d’estorsione e di omicidio (del sequestrato ad opera dei sequestratori), la condanna intervenga per il delitto di sequestro di persona aggravato a norma del comma 3

12. Con coerenza va anche riguardata la previsione, rispetto all’ipotesi de-

littuosa di cui al comma 1, di due attenuazioni di pena “proprie”, fondate sulla “dissociazione di scopo” del concorrente. Nel primo caso si ha ri-guardo al concorrente che attui comportamenti diretti alla liberazione dell’ostaggio (comma 4): la prospettiva premiale tende qui vistosamente ad impedire l’ulteriore evolversi – dal pericolo alla lesione – dell’attacco al valore patrimoniale operato per il tramite della mercificazione umana (id est, il “sequestro”), ed è perciò omogenea al piano dell’offesa penal-mente rilevante ai sensi del comma 1. È su questo piano che incide il “nuovo” comportamento, attenuante, ed incide fino al punto di riconver-tire l’ultima fase del fatto rendendolo una limitazione della libertà perso-nale “non funzionalizzata” al conseguimento di un profitto, cui si pro-porziona una risposta sanzionatoria per l’appunto misurata sull’art. 605 c.p. Se ne lascia dunque discendere come l’attenuante speciale in parola presupponga da parte di uno o più compartecipi una reale rottura dell’originario accordo criminoso, che in concreto porti alla effettiva li-berazione dell’ostaggio

13 – non bastando la prestazione di una idonea at-

12 Cass., sez. I, 22 gennaio 2009, n. 13544, Xie e altri. 13 Sul piano interpretativo già prevale del resto la tesi che richiede l’effettivo con-

seguimento del risultato non ritenendo sufficiente un’attività idoneamente diretta a tale risultato, Cass., sez. II, 30 gennaio 1984, Nirta, in CED Cass., n. 164175; Cass., sez. II, 20 novembre 1996, Marras ed altro, in Cass. pen., 1999, 883; Cass., sez. V, 22 novembre 2002, Malatesta ed altro, in CED Cass., n. 223503. Nello stesso senso in dot-trina BOSCHI, Appunti sul sequestro di persona a scopo di estorsione, di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico, in Foro it., 1980, V, 84; COCO, Per una ridefinizione storico-sistematica del sequestro estorsivo, in Giust. pen., 1983, III, 83; FERRARO, Sulla dissociazione nel sequestro di persona a scopo di estorsione, in Cass. pen., 1984, 1443; FIANDACA-MUSCO, Diritto penale. Parte speciale, cit., 167; MANTOVANI, Diritto penale. Parte speciale, cit., 157. Contra, FORNASARI, Ragionevolezza, dissociazione e sequestro di persona a scopo di estorsione, in Foro it., 1984, I, 2085; per BRUNELLI, Il sequestro di persona, cit., 399, la condotta deve essere capace in sé di determinare la liberazione, applicandosi il comma 4 a favore di chi, ad esempio, di nascosto dagli altri, abbia procurato l’evasione del prigioniero, non riuscita per l’intervento imprevedibile di uno dei suoi complici; e del comma 5 a chi abbia soltanto tentato invano di convincere i soci a rilasciare l’ostaggio ed a desistere dall’impresa.

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Appendici di tipicità 119

tività indirizzata al risultato – senza che questa sia conseguenza del pa-gamento del prezzo della liberazione

14. Nel secondo dei casi in menzione, riguardante il dissociato che riesca

comunque nell’ottenimento della cessazione dell’attività criminosa ovve-ro aiuti gli inquirenti ai fini della persecuzione dei colpevoli (comma 5), il “premio” è invece disomogeneo rispetto al descritto piano dell’offesa, “comunque patrimoniale” ai sensi del comma 1, mirando a conseguire soltanto effetti di natura processuale

15, ovvero che non incidono sulla struttura essenziale del fatto offensivo commesso.

2. Causa e contesto dell’atto dispositivo del patrimonio nella tipi-cità del delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione

Avanti a questa riconsiderazione delle ipotesi contenute nell’art. 630 c.p. si apprezza lo sforzo di quanti leggono la tipicità delittuosa del “ra-pimento a fini estorsivi” trovandovi la rete di protezione di un interesse diverso tanto da quello protetto nell’estorsione tanto da quello proprio del sequestro di persona comune, e sintetizzabile nella strumentalizza-zione delle dimensioni esistenziali della persona, affettive come patri-moniali, per cui il possesso stabile di un uomo

16 è mezzo vocato al con-seguimento di un profitto ingiusto

17. Dal canto suo, la giurisprudenza che ha metabolizzato questo orizzonte esegetico ha concluso col delinea-re la figura dell’art. 630, comma 1, c.p. non come l’unione di due modelli criminosi “semplici” ma come composizione dell’elemento oggettivo del sequestro di persona arricchito da elementi propri dell’estorsione; in par-ticolare, seguendo questa linea di pensiero, nel delitto speciale di seque-stro il verificarsi del “danno” ed il conseguimento del “profitto ingiusto” non costituiscono eventi in senso naturalistico necessari per la sussisten-za del reato, tant’è che il danno finisce per identificarsi nella lesione ar-

14 Così in dottrina GIUNTA, Il sequestro di persona, cit., 269; PADOVANI, Commento alla L. 30 dicembre 1980, n. 894, cit., 175.

15 FIANDACA-MUSCO, Diritto penale. Parte speciale, cit., 167. 16 BRUNELLI, Il sequestro di persona, cit., 218. 17 RONCO, Sequestro di persona a scopo di estorsione, di terrorismo o di eversione, in

Noviss. Dig. it., App. vol. VII, Torino, 1987, 137. In giurisprudenza Cass., sez. III, 24 giugno 1997, Breshani ed altri, in CED Cass., n. 209224, secondo la quale nel seque-stro estorsivo la persona è mercificata in tutte le sue dimensioni, potendo dirsi attuata la sua liberazione quando sia fisicamente libera da interventi coattivi “sul corpo” che impediscano o limitino tutte quelle espressioni costituenti il contenuto della libertà personale, che non è solo quella di locomozione, ma comprende tutte le sue possibili estrinsecazioni, quali, ad esempio, le relazioni interpersonali.

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I delitti contro il patrimonio e le tracce del sistema 120

recata dalla condotta all’interesse protetto, e il profitto ingiusto – “solo” oggetto del dolo specifico – rimane privo di rilevanza agli effetti della consumazione del reato

18. Ebbene, proprio seguendo questo ragionamento pare raggiungibile

una conclusione agli antipodi, che porta davanti ad una offesa del patri-monio: è questo il bene giuridico protetto, riflesso nei contenuti del dolo specifico

19 che specializza una fattispecie strettamente legata all’ipotesi generale dell’estorsione. Anche nella trama dell’art. 629 c.p., difatti, l’at-teggiamento aggressivo rispetto alla fisicità ovvero all’autodetermina-zione della persona s’è detto essere il mezzo per il perfezionamento del “profitto dannoso”; anche qui l’evento patrimoniale è un dato che strut-tura la fenomenologia dell’accadimento tipico, segnatamente nella veste di effetto materiale (piuttosto che in veste di visibile prospettiva) di tal ché senza di esso “il” reato non emerge nella realtà dei fatti umani.

A suggello di questo inquadramento del delitto ex art. 630 c.p. sta pe-raltro il confronto con il carattere strutturale-temporale dell’estorsione, consistente – si è spiegato – nel distacco temporale dell’atto di disposi-zione patrimoniale messo in campo dalla vittima rispetto all’atteggia-mento tipico “costrittivo” del reo. Ebbene, anche nella sede del sequestro estorsivo si rinviene il dato per cui l’effettivo pagamento del riscatto vive in uno spazio-tempo necessariamente “lontano”, nel senso di non conte-stuale/immediato, rispetto alla violenza fisica e morale in cui consiste il sequestro della persona: un dato che è espressamente tipizzato in solu-zione di (eventuale) continuità con l’attuale privazione della libertà per-sonale, sotto la formula del dolo specifico. Del resto, se fosse invece con-testuale, o immediato che dir si voglia, si avrebbe piena l’immagine figu-rata dalla rapina aggravata dall’intervenuto sequestro di persona.

Si chiude così il cerchio aperto dall’opzione: tra la rapina aggravata da una privazione della libertà personale, contestuale al comportamento di impossessamento dell’agente, ed immediata rispetto allo spazio-tempo della prestazione comportamentale della vittima; e la speciale estorsione trattata nella forma delittuosa dell’art. 630, comma 1, c.p. che la contro-condotta di pagamento vede (solo) in prospettiva temporale. Una volta portato l’obiettivo sulla natura e sulla struttura del reato, si trova difatti ben più di un argomento a sostegno della ravvisabilità nella figura del-l’art. 630 c.p. di una forma speciale di estorsione, caratterizzata dal più grave mezzo usato (in senso lato, privazione della libertà personale) e

18 Per questa lettura a doppia specialità o a specialità reciproca Cass., sez. un., 17 dicembre 2003, Huang Yunwen e altri, in CED. Cass., n. 226489. In commento v. RI-

VERDITI, Sequestro di persona a scopo di estorsione e precedente accordo illecito tra vit-tima e sequestratore, in Dir. pen. proc., 2005, 37.

19 Esattamente in termini Corte cost., 23 marzo 2012, n. 68, in Diritto penale con-temporaneo.

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Appendici di tipicità 121

dall’anticipazione dell’evento-scopo specifico del fatto (consistente nel mettere a prezzo la liberazione del sequestrato). Ne discende come il rapporto con il delitto di sequestro di persona comune ex art. 605 c.p. non venga a spiegarsi nei limitati termini di una ulteriore “specialità”

20, che è premessa al riconoscimento di una natura complessa del reato de quo secondo i dettami dell’art. 84 c.p. Piuttosto, meglio si spiega guar-dando all’apporto definitorio che è prestato dalla fattispecie comune ri-spetto all’elemento normativo giuridico della condotta di “sequestro”

21; ciò si combina con la visuale di quegli autori che del comportamento in indagine percepiscono la distanza rispetto alla “semplice” condotta di cui all’art. 605 c.p., nel sequestro estorsivo risultando scritta una vera e pro-pria mercificazione dell’uomo indegnamente travisato in oggetto di scam-bio. Va allora rimarcato come il “rapimento estorsivo”, lungi dall’equi-valere normativamente alla condotta del sequestro di persona comune, deve intendersi integrato soltanto da quella estromissione della libertà di locomozione che determini anche il possesso della persona da parte del-l’agente, dovendo risultare uno stato fattuale stabile ed effettivo, non pre-cario e potenziale

22.

2.1. L’ingiusto atto dispositivo: il pagamento del prezzo della libera-zione

Ancora un passo avanti nella lettura della fattispecie incriminatrice spinge poi fino ai piedi dell’ingiusto profitto, messo ad indicare la fun-zione sinallagmatica del prezzo a fronte della liberazione dell’ostaggio, e quindi a descrivere l’ingiustizia del fine patrimoniale rispetto alla misura della violenza e minaccia materializzatasi nel “sequestro”.

Il profitto mirato dal reo, che è implicato nell’altrui atto di disposizio-ne patrimoniale, trovando causa e contesto nell’impossessamento del ra-pito viene dunque qualificato normativamente come «ingiusto», perché tale si presenta “di per sé”

23 proprio rappresentando in quella scena

20 MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, IX, Torino, 1952, 413; ANTOLISEI, Ma-nuale, cit., 541.

21 Nel senso che l’art. 605 c.p. contenga una sorta di «definizione legale» della con-dotta del sequestro estorsivo, da cui risulta che «sequestrare una persona significa privarla della libertà personale», v. PAGLIARO, Commento alla L. 26 novembre 1985, n. 718, in Leg. pen., 1986, 243.

22 BRUNELLI, op. ult. cit., 216 s.; conf. Cass., sez. I, 24 novembre 1976, Doa, in CED Cass., n. 136426, che ha escluso il reato in un caso in cui la consegna del denaro era avvenuta prima che il sequestro avesse assunto consistenza, anzi con lo scopo di evi-tarlo.

23 Cfr. BRUNELLI, Il sequestro di persona, cit., 226.

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null’altro che il prezzo della liberazione dell’ostaggio. La specificazione della modalità dell’intimidazione violenta perpetrata, in cui consiste il rapimento in seno al genus estortivo, in uno con il requisito finalistico del dolo specifico, consente infatti di inquadrare la vicenda tipica non guardando a ciò che è stato ma appuntandosi esclusivamente attorno a ciò che è – col sequestro della persona – e ciò che sarà – col versamento del «prezzo» – così rendendo in questo scorcio penalmente indifferente il potersi o meno intendere l’ottenimento del riscatto come espressione ab-norme del preteso esercizio di un diritto.

La dottrina tradizionale, appaiata alla giurisprudenza che lenta l’ha recepita, non dimostra invece remore ad osservare anche il passato della vicenda storica fissata nel precetto dell’art. 630, comma 1, c.p., superan-do i confini della semantica normativa. Assunto questo punto di vista, si chiarisce che se pure il colpevole, col mettere un prezzo alla liberazione del sequestrato, compie necessariamente un atto ingiusto, può compierlo per conseguire un profitto in sé giusto: così, un creditore che rapisca il debitore condizionandone la liberazione alla promessa di pagamento del debito ed inducendolo a firmare cambiali. In tal caso, questi non rispon-derebbe ex art. 630, ma del delitto di cui all’art. 393 c.p. 24; salvo – precisa una subitanea correzione di rotta – che attraverso il sequestro del debito-re si pretenda il pagamento da terzi, nel senso che privato della libertà risulti essere un soggetto diverso da chi infine patrimonialmente pregiu-dicato: allora, e solo allora, il profitto oggetto del fine viene ritenuto sempre ingiusto

25. La giurisprudenza, coerente con questa apertura al “passato”, è stata

a lungo costante nell’escludere la configurabilità dell’art. 630 c.p. quando il sequestro ed il perseguimento del profitto fossero (comunque) diret-tamente ricollegabili ad una precedente causa, ancorché illecita

26. A schermo rispetto all’integrarsi del tipo criminale in questione si è dunque intesa la sussistenza di una “causa altrimenti” di quella privazione (della libertà di una persona) finalizzata (a conseguire l’ingiusto prezzo della liberazione). Sicché, quando un rapporto preesista, e ad esso siano colle-gabili il sequestro e il conseguimento del profitto, si avverte ricorrere un’ipotesi di concorso tra il reato previsto dall’art. 605 c.p. e quello di estorsione

27. Una simile qualifica è stata assegnata al caso di rapimento e

24 V. MANZINI, Trattato, cit., 417. 25 RONCO, Sequestro di persona, cit., 139. 26 Tra le ultime, Cass., sez. VI, 20 gennaio 2000, Ekvelum, in Cass. pen., 2001, 887;

Cass., sez. II, 18 agosto 2000, Lu Hai e altri, in CED Cass., n. 217917. 27 Cass., sez. I, 12 novembre 2002, n. 12992, Zhou ed altri, in CED Cass., 224080.

Nella specie, in riferimento a un’associazione criminale dedita a favorire l’immigra-zione clandestina nel nostro Paese, la Suprema Corte ha ritenuto corretto l’operato del giudice di merito, che aveva qualificato come sequestro di persona ex art. 630 c.p.

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di sottoposizione a violenze di una persona da parte dei correi nel reato di illecita importazione di sostanze stupefacenti in Italia: questi ultimi avevano sequestrato l’ostaggio intendendo o conoscere il luogo ove la vit-tima del sequestro aveva nascosto la sostanza, o, in caso di intervenuta vendita, ottenere il suo controvalore. In tale vicenda si è argomentato come lo scopo degli agenti non fosse quello di conseguire il denaro quale prezzo della liberazione del sequestrato, e si è quindi ravvisato il ricorre-re dei reati di sequestro di persona e di tentata estorsione

28. Solo di recente il giudice nomofilattico si è in parte disimpegnato da

questa linea, assumendo che la locuzione normativa dell’«ingiusto profit-to come prezzo della liberazione» non esclude di per sé che il persegui-mento del prezzo del riscatto tragga il movente da preesistenti rapporti illeciti. Lo sguardo attento si riporta dunque sul dettato dell’incrimina-zione, ove il fatto delittuoso è raffigurato collegando l’azione ricattatrice alla prospettiva della liberazione del sequestrato

29; se ne fa seguire che, accompagnandosi la segregazione del soggetto passivo al condiziona-mento della liberazione al pagamento di un corrispettivo, la condotta dell’agente deve ritenersi integrante il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione

30. La locuzione «prezzo» scolpita nel comma 1 trova così tutta la ragio-

ne della sua forza espressiva: essa non solo rende ulteriormente chiara l’intenzione dell’agente – oggettivatasi – di mercanteggiare la persona ne-gli stessi termini in cui una cosa entra nell’oggetto di un contratto di compravendita

31, ma svela il perpetrarsi, in queste righe delittuose, del modello dell’estorsione. Vi si scrive infatti la criminalizzazione dell’agen-te per aver creato un “contatto” di percepibile e percepita natura costrit-tiva/intimidatoria, che si rapporta – col modello giuridico del pericolo – alla “futura” prestazione di una disposizione patrimoniale in “corrispet-tivo” alla condotta del reo.

Fatta luce su questa struttura – tipizzante e specializzante – del delitto ex art. 630 c.p., si tratta ora di ripensare alla posizione assunta dalla giu-risprudenza di merito con l’asserire che «integra il reato di sequestro di

la privazione della libertà di un immigrato finalizzata al recupero della perdita eco-nomica sofferta dall’associazione a causa della fuga di altri suoi compagni, mentre aveva ritenuto la sussistenza del concorso tra sequestro di persona ex art. 605 c.p. ed estorsione nella privazione della libertà di immigrati mirante ad ottenere da questi il prezzo dell’illecito loro ingresso nel territorio dello Stato.

28 Cass., sez. VI, 20 gennaio 2000, Ekvelum, cit. 29 V. sul punto BRUNELLI, Il sequestro di persona, cit., 226. 30 Cass., sez. un., 17 dicembre 2003, Huang Yunwen e altri, cit. Conformi al prin-

cipio di diritto delle Sezioni Unite, più recentemente, anche Cass., sez. I, 11 febbraio 2010, Adam, cit.; Cass., sez. I, 1 aprile 2010, Ruggeri, cit.

31 Così BRUNELLI, Il sequestro di persona, cit., 219.

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persona a scopo di estorsione la condotta consistente nella privazione della libertà della vittima di muoversi secondo la propria autonoma scel-ta, finalizzata a conseguire come prezzo della liberazione una prestazio-ne patrimoniale pretesa in esecuzione di una precedente intesa illecita-mente intercorsa tra l’autore del fatto e la vittima»

32. Ragion per cui ogni qual volta si assista invece al fatto commesso dal creditore di una somma “non ingiusta” di denaro, che a questo “titolo” si renda autore del seque-stro del debitore per conseguire da questi l’adempimento del “dovuto”, ebbene egli non risponderà del delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione per essere il precedente rapporto di credito, oggetto del dolo specifico di profitto, dotato di natura lecita. In tal caso, infatti, il profitto sfugge – nell’ottica del giudicante – da una qualsivoglia qualificabilità nei termini di “ingiusto”, trattandosi di pretesa creditoria tutelata dall’ordi-namento

33. A dare la spallata a questo approdo – non bastasse una lettera codici-

stica che appunto impone di guardare “solo in avanti” rispetto al com-portamento di riduzione in vincoli – converge proprio il peso giuridico “specifico” di questa condotta incriminata. D’altronde, è la giurispruden-za passata in rassegna critica a valutare la condotta di chi sequestri un soggetto, allo scopo di costringerlo ad adempiere a una prestazione aven-te la propria causa in un precedente contratto lecito, comunque inte-grante i reati di sequestro di persona (art. 605 c.p.) e di tentata estorsione (artt. 56, 629 c.p.), e non già quelli di sequestro di persona (art. 605 c.p.) e di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (art. 393 c.p.): ciò ogni qual volta la violenza o minaccia utilizzate al fine di coartare la volontà della vittima siano dotate di forza intimidatoria tale da oltrepassare ogni ra-gionevole intento di far valere un proprio diritto

34.

32 Cass., sez. I, 11 febbraio 2010, Adam, cit., in fattispecie nella quale numerosi cit-tadini extracomunitari, dopo essere stati fatti fuggire da un centro di accoglienza, erano stati tenuti segregati e controllati a vista fino a quando non fosse stato pagato il compenso concordato da essi o dai loro prossimi congiunti. In termini Cass., sez. V, 22 marzo 2006, Maiani, in CED Cass., n. 234553.

33 Trib. Ravenna, 21 giugno 2011, n. 702, D’Alaimo ed altri, in Diritto penale con-temporaneo.

34 Trib. Ravenna, 21 giugno 2011, D’Alaimo ed altri, cit. Nello stesso senso della pronuncia cfr. anche Cass., sez. II, 1 ottobre 2004, Caldara e altri, cit.; Cass., sez. VI, 23 novembre 2010, n. 41365, in Diritto penale contemporaneo; Cass., sez. V, 14 aprile 2010, P.M. in proc. Coppola, in CED Cass., n. 247882; Cass., sez. VI, 28 ottobre 2010, Straface, ivi, n. 248736. Con riguardo, invece, alla giurisprudenza che indaga la natu-ra del rapporto negoziale intercorrente tra agente e vittima, rinvenendo il delitto di cui all’art. 629 c.p., e non quello di cui all’art. 393 c.p. qualora tale rapporto sia di na-tura illecita, cfr. per es. Cass., sez. II, 29 ottobre 2009, Sorrenti, in CED Cass., n. 245693.

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Appendici di tipicità 125

2.2. La violenza e la minaccia nella gestione del patrimonio: dalla “ragione” (art. 393 c.p.) all’“irragionevolezza” ex lege

Rimangono così in equilibrio sistematico due deduzioni: da un lato la deduzione per cui avanti al configurarsi del reato di sequestro di persona a scopo di estorsione sta la necessaria sussistenza di (null’altro che) un rapporto sinallagmatico diretto fra la richiesta di denaro, in vista ed in funzione della sua erogazione, e la cessazione della condotta di seque-stro

35; dall’altro la deduzione per cui il rapimento si connota per una on-tologica gravità tale da sopraffare ogni pretesa “ragione di giustizia”, sia che implichi la violenza di una aggressione fisica sia che si risolva in un contesto più propriamente minaccioso/intimidatario, come nell’ipotesi di reclusione entro una stanza appositamente chiusa. Comunque sia, la condotta aggressiva in questi termini connotata non tarda a risultare espunta “ex lege” dall’area tipica abbracciata dal delitto ex art. 393 c.p., delitto comunque offensivo dell’amministrazione della giustizia

36. Ciò ri-salta all’incrocio con l’irragionevolezza che la modalità comportamentale descritta all’art. 630 c.p. esprime una volta resa mezzo per l’ottenimento di un profitto quale prezzo della liberazione: profitto ingiusto perché ot-tenuto in sequenza causale (e temporale) rispetto alla privazione/resti-tuzione della libertà personale altrui.

Nel circuito comunicante che esce descritto dalle indagate fattispecie penali, la violenza e la minaccia che siedono nella formulazione del-l’esercizio arbitrario di private ragioni, commesso mediante violenza alla persona, si plasmano dunque secondo una identità che non le vuole fini a se stesse

37, ma mezzi diretti a far valere il preteso diritto: pretesa che impregna il dato psicologico del reato

38 e rispetto al cui conseguimento

35 Trib. Brescia, 1 aprile 2011, in Sistema Leggi d’Italia. 36 Dubbi i rapporti tra il delitto di sequestro di persona ed il delitto di cui all’art.

393 c.p.: secondo alcuni il primo delitto assorbe il secondo (così PAGLIARO, Principi di diritto penale. Parte speciale, II, Delitti contro l’amministrazione della giustizia, Milano, 2000, 262); secondo altri i due delitti potrebbero eventualmente concorrere (v. PIO-

LETTI, Esercizio arbitrario delle proprie ragioni, in I delitti contro l’amministrazione della giustizia, a cura di COPPI, Torino, 1996, 656). La giurisprudenza ha precisato la possi-bilità del concorso tra i due reati, quando il secondo sia commesso nell’eseguire il primo (Cass., sez. V, 20 settembre 2001, Leitner U.W., in CED Cass., 220003). In par-ticolare, è stato ritenuto configurabile il concorso tra il reato di cui in ultimo ed il se-questro di persona, quando l’esercizio arbitrario con violenza sulle persone sia com-messo per realizzare il sequestro (Cass., sez. V, 5 dicembre 1990, Mariani, in CED Cass., n. 185968; Cass., sez. V, 6 novembre 1992, Bracciali, ivi, n. 193493; Cass., sez. V, (ord.) 15 novembre 1999, Pinco, ivi, n. 215254).

37 Per un panorama delle diverse opzioni interpretative operate dalla dottrina v. ROCCHI, L’esercizio arbitrario delle proprie ragioni, in CADOPPI-CANESTRARI-MANNA-PAPA, Trattato di diritto penale, Torino, 2008, 826.

38 Differenziandolo dalla rapina (Cass., sez. II, 17 marzo 1987, Bozza, in CED

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I delitti contro il patrimonio e le tracce del sistema 126

la violenza e la minaccia si pongono come elementi strumentali al farsi ragione da sé; con la conseguenza che – pur dirette anche contro una persona diversa da quella nei cui confronti si vanta il diritto – non pos-sono mai consistere in manifestazioni sproporzionate e gratuite di violen-za

39. Proprio la scomparsa di un senso di proporzionalità fa perdere dun-

que alla pretesa sottostante quel connotato della giuridica rilevanza 40 che

è tipizzante ai sensi dell’art. 393 c.p., non potendosi dubitare che un di-ritto resti tale solo se ed in quanto fatto valere in forme che, sia pure ar-bitrarie, pur sempre rimangano entro i confini del sistema giuridico di pertinenza e non già si esprimano in contesti e con formalità che appar-tengano ad ordinamenti di valori (o disvalori) a quel sistema irrimedia-bilmente antitetici

41.

Cass., n. 176461), come dall’estorsione (Cass., sez. VI, 30 novembre 1993, Ciarlo, in CED Cass., n. 197397; Cass., sez. VI, 21 marzo 1995, Morongiu, ivi, n. 201681; Cass, sez. II, 12 marzo 2004, Morelli, ivi, n. 229705; Cass., sez. II, 19 aprile 2007, S. ed altro, in Guida dir., 2007, n. 24, 68).

39 Cass., sez. II, 27 giugno 2007, G., in Guida dir., 2007, n. 41, 79; Cass., sez. II, 2 dicembre 2009, A., ivi, 2010, n. 6, 75.

40 V. Cass., sez. V, (ord.) 15 novembre 1999, Pinco, cit., per cui «le modalità delle reiterate richieste di adempimento così come accertate dal giudice di merito, caratte-rizzate da pervicacia e particolare efficacia intimidatoria perché collegate ad un atten-tato incendiario attuato contro l’abitazione del debitore ed alla prospettazione di pos-sibili pericoli per l’incolumità dei componenti della sua famiglia, del tutto estranei al supposto rapporto civilistico ma dell’identità dei quali l’agente palesava la conoscen-za, si mostrano all’evidenza del tutto eccedenti e sproporzionate rispetto all’esercizio del (preteso) diritto e vanno ben al di là dei limiti in cui è configurabile il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni». Sulla stessa linea, che esclude la configura-bilità del delitto di cui all’art. 393 c.p. in contesti di ingiustizia/sproporzione, v. Cass., sez. II, 29 ottobre 2009, Sorrenti, in CED Cass., n. 245693, per cui integra il reato di estorsione la condotta di costrizione al pagamento di una somma di denaro (nella specie, titoli di credito) come corrispettivo di prestazioni sessuali, con la minaccia di rivelazione ai familiari della vittima dei vizi e delle debolezze sessuali della stessa; conformi Cass., sez. V, 6 novembre 1992, Bracciali, in Arch. nuova proc. pen., 1993, 264; Cass., sez. II, 12 marzo 2004, Morelli, cit.; Cass., sez. II, 1 ottobre 2004, Caldara, cit.; Cass., sez. II, 15 febbraio 2007, Mezzanzanica, in CED Cass., n. 236457.

41 Cass., sez. VI, 28 ottobre 2010, Straface, cit. Nella fattispecie, la Corte ha ritenu-to ricorrere il reato di estorsione per le modalità di intimidazione cui la parte lesa era stata sottoposta da parte di terzi, su mandato del titolare del credito. Nel caso di spe-cie, la minaccia posta in essere dal terzo delegato per far valere il preteso diritto del terzo era enfatizzata nella sua connotazione illecita dall’uso di modalità mafiose, per cui «nell’atto stesso del ricorso a tali forme di coazione la minaccia deborda dai limiti funzionali all’esercizio ancorché arbitrario di un diritto, per assumere autonoma ed ancor più grave caratterizzazione delittuosa». Cfr. anche Cass., sez. V, 14 aprile 2010, P.M. in proc. Coppola, cit.

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Appendici di tipicità 127

3. L’ipotesi della tipicità della truffa processuale nel modello del-l’art. 640 c.p. (comma 2, n. 1) e la tesi del “danno allo Stato”

Nel mosaico che si è venuto fin qui formando stanno tasselli cruciali della sistematica penale: i margini della tipicità chiudono come regola uno ed un solo disvalore penale; il fatto astrattamente descritto, quan-d’anche plurisoggettivo “per natura”, in quanto narrante di una situazio-ne tipica che importa l’interazione tra più individui, deve confrontarsi con una dimensione giuridica della tipicità (offensiva) che quel fatto sta-bilisce doversi punire in termini ora monosoggettivi ora plurali.

Ne risalta infine una immagine diversa dell’ipotesi delittuosa della truffa che ha suscitato la prima attenzione.

La convinzione è che il significato patrimoniale da assegnarsi ad epi-sodi fraudolenti maturatisi nell’ambito di un procedimento giudiziario vada pesato a parte rispetto al pregiudizio che quei fatti possano arrecare al corretto e sollecito svolgimento delle attività di accertamento del “giu-sto”, e di sviluppo della correlata decisione. Su questo versante dell’ana-lisi conta infatti verificare che siano stati portati nel seno del processo “autorevoli” strumenti di prova destinati a fuorviare il discrezionale con-vincimento del giudicante. Quando invece si affronta il distinto vaglio dell’impatto economico di una simile falsità – magari propalata con un atto “introduttivo” del giudizio – che volutamente camuffi l’insussistenza del diritto esercitato, e del quale si pretenda artificiosamente tutela, si deve allora cedere d’immediato il passo ad una analisi dei costi sopporta-ti dal pubblico apparato, per avere questo – ingannato – messo “illegitti-mamente” a disposizione del consociato le risorse materiali ed umane conferenti e istituzionalmente competenti alla risoluzione delle questioni giuridiche implicate in “fatti reali”. Quanto a dire che in simili situazioni il danno emergente compare ad aggravare il fatto di truffa precisamente secondo il dettato del comma 2, n. 1, in quanto portato a danno dello Stato: è l’altra faccia della circostanza aggravatrice consistente nella ca-gionata “inutilizzabilità” delle (spettanti) risorse umane, e delle relative prestazioni di servizio, che ancora l’art. 640, comma 2, n. 1 conteggia – a mo’ di lucro cessante ovvero pericolo dello stesso – pure come esito del-l’induzione in errore veicolata dal «pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare».

Negli accadimenti qualificabili come truffa processuale, difatti, è as-sente o meglio negata l’irrinunciabile premessa alla legittimazione ad av-valersi del “pubblico servizio giudiziario”, che è dettata dalla (ritenuta) veri(dici)tà della situazione rappresentata in atti. A rimanere integrato è dunque il danno prodotto ad un sistema statale che si è speso al di fuori dei suoi doveri-poteri funzionali, impegnandosi inutilmente, col com-plesso delle utilità e dei beni ad esso appartenenti, nel gestire attività che

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I delitti contro il patrimonio e le tracce del sistema 128

ad un tempo riducono le possibilità di soddisfare (già con prontezza) i “veri” bisogni (di “giustizia”) del consesso collettivo.

D’altronde non v’è ragione per cui si dovrebbe disattendere in questa sede la oramai solida ricostruzione concettuale del “danno”, che ne chiama a parte tutti gli effetti normali della condotta secondo il criterio della c.d. regolarità causale

42; né ragione per non intendervi implicato un atto dispositivo del patrimonio pubblico, il cui perimetro concettuale è stato ben disegnato dall’evoluzione giurisprudenziale.

Proprio in una visione evolutiva le parole dirette a negare la configu-rabilità dell’atto dispositivo in materia di frode fiscale in tema d’imposte divengono così tracce di una esegesi da lasciare al passato: l’argomento è che la liquidazione dell’imposta di successione, fatta in base alla denun-cia, e il susseguente controllo ispettivo non integrino gli estremi della condotta tipica del soggetto passivo, a norma dell’art. 640 c.p., non con-cretizzando un atto di disposizione con il quale lo Stato si spoglia di un suo bene patrimoniale, con arricchimento correlativo del patrimonio del-l’agente

43. In altri termini, sulla scia di questo ragionare le condotte di frode fiscale, pur essendo riconducibili al concetto di artifizi e/o raggiri, non si considerano integrare la tipicità di cui all’art. 640 c.p. per il sem-plice motivo che la parte offesa non si riconosce aver compiuto (o dover compiere) alcun atto di disposizione. Si intende infatti che pur essendovi per l’erario un danno (riconducibile più al concetto di lucro cessante, nel senso di mancato incasso di quanto dovuto, che a quello di danno emer-gente, nel senso di effettiva diminuzione patrimoniale), non vi sia com-pimento di un atto dispositivo da parte dello Stato, dipendendo il danno da questo sofferto non da una condotta degli organi pubblici avente inci-denza diretta sull’essenza economica o giuridica del patrimonio statale, ma esclusivamente dalla diretta condotta di frode del soggetto agente, non versante l’IVA e le imposte sul reddito

44. Le attuali linee interpretative guidano invece sulla sponda opposta, là

dove le indirizza la pronuncia del Supremo Consesso a sezioni riunite 45:

l’esclusione del concorso di reati tra i delitti di frode fiscale ex artt. 2 ed 8 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 e quello di truffa aggravata è spiegata con-notando la prima categoria in termini di reato di pericolo ovvero di mera condotta, poiché il legislatore ha inteso rafforzare in tal modo la tutela an-ticipandola già al momento della commissione della condotta tipica. Del resto, la misura sanzionatoria rispetto all’ipotesi truffaldina in compara-

42 V. App. Milano, 5 luglio 2011, Bencivenga ed altri, n. 2955. Cfr. costante giuri-sprudenza delle sezioni civili della Corte di Cassazione, per tutte Cass. civ., sez. III, 27 aprile 2010, Mancuso c. Ottaviano, in Foro it., 2010, I, 3393.

43 Cass., sez. II, 30 gennaio 1979, Savio, in Giur. it., 1981, II, 123. 44 Trib. Nola, 7 aprile 2005, in Guida dir., 2005, n. 26, 58. 45 Cass., sez. un., 28 ottobre 2010, Giordano e altri, cit.

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Appendici di tipicità 129

zione appare maggiorata sia nel minimo che nel massimo edittale: «Queste considerazioni sono sufficienti a rispondere alle obiezioni circa l’assenza nel reato di frode fiscale dei due elementi dell’induzione in errore e del danno al patrimonio dello Stato, che sono elementi essenziali per la confi-gurazione del reato di truffa. Ma potrebbe anche aggiungersi, sotto un al-tro profilo, che sia l’induzione in errore che il danno sono presenti nella condotta incriminata dal reato di frode fiscale, posto che alla presentazio-ne di una dichiarazione non veridica si accompagna normalmente il ver-samento di un minor (o di nessun) tributo e genera, in prima battuta e nel-la fase di liquidazione della dichiarazione, un’induzione in errore dell’Am-ministrazione finanziaria e un danno immediato quanto meno nel senso del ritardo nella percezione delle entrate tributarie»

46. Recenti pronunce limano ancora più puntualmente la descritta tipici-

tà: l’avvenuta costituzione di diverse società in Paesi esteri, l’attribuzione a queste ultime di partita IVA, l’interposizione di tali società, quali car-tiere, nello schema di “carosello” costituiscono certo passaggi che con-sentono tra l’altro di considerare evasa l’IVA da parte delle società desti-natarie finali della merce oggetto del giro di fatture contestato; ma non corretto è considerare come atto di disposizione patrimoniale, qualifi-cante la truffa, l’attribuzione della partita IVA alle società coinvolte nella pretesa truffa, trattandosi di condotta che non ha incidenza contestuale alcuna sul patrimonio dell’Erario

47. Le ultime parole comportano allora una risposta netta al quesito di

apertura: la condotta dell’attore(/convenuto)-reo, sostanziatasi nell’abuso degli strumenti di tutela delle situazioni giuridiche messi in campo dal-l’ordinamento, ovvero consistita nell’inganno consapevolmente allestito con l’obiettivo di piegare l’ordinamento a proprio profitto ad effetto di una artificiosa rappresentazione in atti della realtà fattuale, danneggia il competente plesso giudiziario del sistema statuale, imponendogli uno sforzo economico non dovuto, con spendita di risorse umane e materiali indirizzate ad accertare una verità processuale “impossibile”.

46 Senza contare che, «poiché tra le fonti di approvvigionamento delle risorse fi-nanziarie dell’U.E. rientra una certa percentuale dell’imposta sul valore aggiunto IVA riscossa dagli Stati membri, appare evidente come ogni condotta diretta ad eludere il pagamento dell’IVA, oltre a generare un danno economico per gli introiti dello Stato, si ripercuote negativamente sulle finanze U.E., seppure in misura proporzionalmente inferiore».

47 Cass., sez. III, 11 maggio 2011, n. 23667, in Fisco on line, 2011.

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Conclusioni generali

Alla ricerca di risposte, si indaga “a grandi passi” la sistematica dei de-litti contro il patrimonio.

La traccia del cammino trova spunto nella giurisprudenza “illumina-ta” che definisce l’“atto di disposizione patrimoniale” tipizzato nel delitto di truffa nei termini di un fatto di arricchimento a spese di chi dispone di beni patrimoniali, il quale lo realizza in quanto destinatario dell’inganno. La collaborazione della vittima per effetto del suo errore vi si apprezza dunque come requisito indispensabile e differenziale rispetto ai fatti di mera spoliazione da un lato, e rispetto ai reati con collaborazione della vittima per effetto di coartazione dall’altro.

L’arresto convince a valorizzare la causa – induttiva e fraudolenta – del comportamento dispositivo del deceptus, la cui tipicità in effetti pren-de forma solo in controluce rispetto alla inconsapevolezza della vittima relativamente agli effettivi e reali contorni della condotta dell’agente. In questa latitudine rientra dunque pure la forma processuale della truffa, ove si abbia una dazione di denaro guidata dalla convinzione erronea di dover eseguire un ordine del giudice conforme a legge. È il riflesso di un parametro generale di esegesi giuridica: l’“atto di disposizione” del pa-trimonio penalmente tutelato va letto e riscritto attraverso il tipo della condotta criminosa. L’identificazione del singolo fatto illecito – di ag-gressione al patrimonio individuale – corre difatti non attraverso l’atto dispositivo in sé, che è categoria di calibro e portata generalissima, ma attraverso il comportamento collaborativo passivo che si realizza quale momento di reazione ad un dato comportamento delittuoso. Vale a dire che l’atteggiamento dispositivo da parte della vittima, tipizzato in svaria-te incriminazioni poste a tutela del patrimonio, si plasma di volta in vol-ta in funzione dell’atteggiamento “variamente aggressivo” dell’agente, nel senso che è quest’ultimo – a seconda dei casi, subdolo o di contro patente – ad imporre al contro-comportamento della vittima una determinata ve-ste ed un dato contenuto.

Dell’atto di disposizione si percepisce – così – il carattere “concet-tualmente unificante” in quanto parte dell’intera sistematica codicistica dei reati contro il patrimonio: esso si pone come requisito positivo – esplicito in talune fattispecie ed implicito, ma non meno essenziale, in altre – che caratterizza le figure di aggressione perfezionate con la coo-

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Conclusioni generali

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perazione della vittima; e si dimostra pure requisito costitutivo negativo delle ipotesi di aggressione unilaterale.

Si approda da qui ad una conclusione che intende “generalizzare” la cooperazione passiva come postulante “una volontà cosciente, pur se vi-ziata”; e che abbraccia l’idea per cui il criterio di distinguo delle offese all’altrui patrimonio si scorge attraverso il riscontro nei fatti ora di una sottrazione invito domino, nel senso che è il reo l’unico protagonista del comportamento efficiente alla causazione del danno, così mediante spossessamento nel furto; ora, in alternativa, di una consapevolezza circa il “peculiare” contatto materiale/giuridico tra il reo ed il bene da preser-vare. Contatto che a sua volta potrà essere immaginato come legittimo ed in quest’ottica “coadiuvato” dall’interazione di chi, così, indotto in er-rore (è l’ipotesi della truffa); ovvero lucidamente percepito da parte della vittima “patrimoniale” come indebito, sicché indebita è intesa pure la prestazione sinallagmatica resa “in corrispondenza”. Così, a seconda del-le singole identità tipiche, tale prestazione consiste nel “fare”, “tollerare”, ovvero “omettere”, ora a fronte di una situazione fattuale di violenza o minaccia che la costrizione renda sensorialmente (e oggettivamente) per-cettibile (nella rapina, nell’estorsione), ora a fronte di una situazione “normativa” di abuso di poteri esattamente compresa e nondimeno subi-ta dal lato passivo della relazione (nella concussione).

Un costrutto complessivo, quello delineato e proposto, che si spinge ben oltre il segmento dei delitti contro il patrimonio, e si presta a rimettere in gioco i concetti della natura complessa e plurioffensiva del reato, for-nendo spunti per una razionale visione di insieme, ove assegnare a ciascun istituto una interpretazione critica che si renda “garante” dell’equilibrio interno dell’intero sistema penale.

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Bibliografia 143

(D) Finito di stampare nel mese di giugno 2013 nella Stampatre s.r.l. di Torino

Via Bologna, 220

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