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Il Microcarcinoma capillifero della tiroide (MCPT) Diagnostica per Immagini La diagnostica per immagini è rappresentata essenzialmente dalla ecografia. L’ecografia nacque come diagnostica applicata alla medicina alla fine degli anni settanta e si presentò all’inizio come metodica capace di discriminare una lesione focale “liquida” da una “solida”; le innovazioni tecnologiche avvenute in questi ultimi trenta anni hanno permesso all’ecografia di divenire la modalità di prima scelta nello studio della tiroide. L’ecografia fin dall’inizio dimostrò tutta la sua enorme potenzialità di sviluppo in quanto intrinsecamente dotata di alcune caratteristiche che ne avrebbero favorito l’utilizzo e la diffusione: rapidità, semplicità di utilizzo, economicità, assenza di invasività e biologicamente non dannosa. L’utilizzo di ultrasuoni e non di radiazioni ionizzanti permise, inoltre, che tale metodica potesse essere utilizzata da medici “non radiologi” e pertanto cominciò a diffondersi nella pratica clinica della branche affini della medicina interna o della chirurgia. Nel giro di pochi anni è diventata la modalità di diagnostica per immagini più diffusa e praticata per lo studio della tiroide; la sua presenza capillare nel territorio ha portato ad un incremento esponenziale dell’esecuzione di ecografie tiroidee anche al di fuori della pratica specialistica dell’endocrinologia (ginecologi, angiologi, internisti…). Definizione Il microcarcinoma papillifero della tiroide è un carcinoma papillifero di diametro inferiore ai 10 mm. Perché cercarlo E’ ormai riconosciuto che il carcinoma papillifero tiroideo è statisticamente la neoplasia più frequente tra quelle tiroidee ma presenta una scarsa aggressività biologica. Negli ultimi anni si è registrato un aumento delle neoplasie tiroidee ed Filetti et al. (1) hanno in parte

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Il Microcarcinoma capillifero della tiroide (MCPT)

Diagnostica per Immagini

La diagnostica per immagini è rappresentata essenzialmente dalla ecografia. L’ecografia nacque come diagnostica applicata alla medicina alla fine degli anni settanta e si presentò all’inizio come metodica capace di discriminare una lesione focale “liquida” da una “solida”; le innovazioni tecnologiche avvenute in questi ultimi trenta anni hanno permesso all’ecografia di divenire la modalità di prima scelta nello studio della tiroide. L’ecografia fin dall’inizio dimostrò tutta la sua enorme potenzialità di sviluppo in quanto intrinsecamente dotata di alcune caratteristiche che ne avrebbero favorito l’utilizzo e la diffusione: rapidità, semplicità di utilizzo, economicità, assenza di invasività e biologicamente non dannosa. L’utilizzo di ultrasuoni e non di radiazioni ionizzanti permise, inoltre, che tale metodica potesse essere utilizzata da medici “non radiologi” e pertanto cominciò a diffondersi nella pratica clinica della branche affini della medicina interna o della chirurgia. Nel giro di pochi anni è diventata la modalità di diagnostica per immagini più diffusa e praticata per lo studio della tiroide; la sua presenza capillare nel territorio ha portato ad un incremento esponenziale dell’esecuzione di ecografie tiroidee anche al di fuori della pratica specialistica dell’endocrinologia (ginecologi, angiologi, internisti…).

Definizione

Il microcarcinoma papillifero della tiroide è un carcinoma papillifero di diametro inferiore ai 10 mm.

Perché cercarlo

E’ ormai riconosciuto che il carcinoma papillifero tiroideo è statisticamente la neoplasia più frequente tra quelle tiroidee ma presenta una scarsa aggressività biologica.

Negli ultimi anni si è registrato un aumento delle neoplasie tiroidee ed Filetti et al. (1) hanno in parte imputato questo fenomeno all’uso diffuso dello screening ecografico della tiroide in pazienti asintomatici.

Nelle linee guida (2) della pratica endocrina di AACE/AME (2006) si dice che, in considerazione dell’alta prevalenza di piccoli noduli, clinicamente inapparenti e della scarsa aggressività delle neoplasie tiroidee, l’ecografia non deve essere utilizzata come test di screening sulla popolazione a meno che non vengano rilevati fattori di rischio specifici. Se questo è vero per le neoplasie tiroidee in generale, a maggior ragione è da considerare ancor più vero per il MCPT.

Ma numerose evidenze suggeriscono la possibilità che anche carcinomi tiroidei di piccole dimensioni possano presentare spiccata aggressività biologica. Yokozowa (3) e Ahuja (4) hanno infatti rispettivamente documentato come il 15,9 % delle neoplasie inferiori ad un centimetro mostra invasività extratiroidea e che carcinomi occulti tiroidei metastatizzano ai linfonodi sino al 20% dei casi.

Inoltre Papini (5) nel 2002 ha riportato che la prevalenza di carcinoma nelle lesioni non palpabili (5.4%-7.7%) appare simile a quella riportata per le lesioni

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palpabili (5.0%-6.5%); sempre Papini nel 2002 (5) riportava un’incidenza di carcinomi nei noduli con diametro compreso tra 8 e 10 mm (9.1%) superiore a quella di noduli con diametro compreso tra 11 e 15 mm (7%) ed una diffusione nei linfonodi cervicali superiore nei primi (25%) rispetto ai secondi (15.7%). (Tab. 1 e 2)

Nel 2007 Pacini (6), in una review dei dati internazionali, classificava il micro carcinoma capillifero della tiroide come il più frequente dei tumori endocrini.

(Tab.3)

Attualmente comincia a prendere piede l’idea che il MCPT possa essere un’entità clinica a se stante e non soltanto un carcinoma di piccole dimensioni; alcuni dati riportati da Bottoni (7) ed Alberti sembrano avvalorare questa ipotesi: a) può permanere con le stesse dimensioni per molti anni o addirittura ridursi b) presenta una mutifocalità fino al 56.4% dei casi c) presenta un’invasione extracapsulare fino al 62% dei casi d) presenta metastasi linfonodali con incidenza massima di 64.1%.

Cosa cercare

I caratteri istologici patognonomici del MCPT sono descritti magistralmente da LiVolsi (9): quando sono visibili macroscopicamente si presentano come minuscole, irregolari , consistenti cicatrici parenchimali come focolai di tenue discolorazione oppure come minuscoli lesioni fibrocalcifiche. Questi focolai non presentano capsula (acquisteranno la tendenza a generare fibrosi e incapsularsi mano a mano che aumentano di dimensioni) né colloide. Caratteristica è la presenza di micro calcificazioni (corpi psammomatosi) che sono delle microsferule (50-100 micron) calcifiche laminate; esse hanno la caratteristica di essere presenti nel nodulo canceroso ma sono presenti anche nell’ambito del tessuto sano rimanente o in altri tessuti adiacenti (i.e linfonodi) laddove fossero presenti cellule cancerose migrate dalla neoplasia primitiva (“warning flags for the cancer”). Sono scarsi i fenomeni di necrosi ed è presente neoangiogenesi ma con architettura spiccatamente anarchica, con vasi tortuosi e frequenti “shunt” A-V. Non sono presenti unità funzionali.

Da queste caratteristiche istologiche possiamo definire come dovrebbe presentarsi ecograficamente un MCPT (Tab. 4): un nodulo solido, inferiore a 10 mm, solido omogeneo,ipoecogeno a contorni irregolari, senza alone periferico con focolai iperecogeni interni, con scarso segnale vascolare intralesionale e ridotto modulo elastico. (Fig. 1-10)

Quindi i parametri da studiare con attenzione nella ricerca del MCPT sono i seguenti: livello di ecogenicità (se possibile sui dati “grezzi”), i margini e contorni con definizione, se presente dell’alone periferico, presenza o meno di micro calcificazioni, localizzazione topografica, forma (diam. A-P/diam. Trasv), aspetto della vascolarizzazione al color/power doppler e/o CEUS, modulo elastico.

(Tab. 5)

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Come cercarlo

L’ecografia può essere utilizzata con due intenti principali: a) detezione b) caratterizzazione.

La detezione di un nodulo tiroideo con l’ecografia è ormai cosa semplice e velocemente ottenibile: la risoluzione elevata delle nuove sonde a matrice permette una risoluzione spaziale così elevata che anche lesioni di pochi millimetri vengono facilmente rilevate.

La caratterizzazione di un nodulo tiroideo di dimensioni inferiori a 10 mm è senz’altro opera più complessa. L’ecografia è routinariamente utilizzata come guida per la FNA demandando alla citologia il compito di caratterizzare il nodulo ma un uso attento e tecnologicamente adeguato della metodica può sicuramente condizionare l’algoritmo decisionale del clinico, indicando quale lesione sia giusto tipizzare citologicamente e quale sottoporre a monitoraggio clinico-strumentale. (Tab. 6)

I parametri attuali per considerare tecnologicamente adeguata l’ecografia tiroidea sono i seguenti: l’utilizzo dell’alta definizione sia nell’immagine standard che nell’ingrandimento, l’utilizzo del “compound scanning”, l’utilizzo di appropriati algoritmi di ricostruzione di immagine e la disponibilità di software per la ricerca di microcalcificazioni. Ma oltre l’ecografia bidimensionale (2DUS) ora sono disponibili nuove tecnologie che possono concorrere alla tipizzazione di un nodulo tiroideo. (Tab. 7)

In particolare meritano menzione l’elastosonografia (ElastoUS), l’ecografia tridimensionale superficiale (4DUS) e l’ecografia con mezzo di contrasto (CEUS)

Elastosonografia (ElastoUS)

Viene eseguita un’analisi delle modificazioni degli impulsi in radiofrequenza prima e dopo compressioni manuali o meccaniche. La variazione in radiofrequenza dell’impulso ultrasonoro è più intensa più marcata è la deformazione subita dal tessuto in esame e quindi maggiore la sua elasticità. La metodica più diffusa è quella ottenuta tramite compressioni manuali (“free-hand elastosonography”) con analisi in tempo reale dei valori; i valori di “strain” vengono indicati con una codifica colore dal rosso al blue secondo una scala di maggiore o minore elasticità parenchimale. Sono stati identificati diversi pattern di elasticità (da 1 a 4) in rapporto alla distribuzione della mappe colore all’interno della lesione in studio (Fig.1). Il pattern 1 corrisponde ad una mappa di omogenea e diffusa elasticità, il pattern 2 ad una globale elasticità tissutale con la presena di aree periferiche di maggiore rigidità, il pattern 3 presenta una disomogenea distribuzione della mappa di elasticità con alternanza di aree a differente capacità elastica, il pattern 4 corrisponde ad una diffusa rigidità della lesione. (Fig. 2) L’elastosonografia quantitativa è invece una modificazione della metodica sopraesposta e permette un’analisi “off line” dei valori di deformazione (“strain”) di una formazione nodulare attraverso l’analisi delle variazioni in radiofrequenza lavorando sui dati grezzi “raw data”; il calcolo viene eseguito selezionando una regione di interesse (ROI) all’interno della formazione nodulare in esame e una regione di riferimento in corrispondenza di un’area di

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normale elasticità parenchimale. Si ottiene così un indice di deformazione (“strain index”) che può essere messo in riferimento a valori di riferimento propri dell’organo in esame e che comunque sarà più elevato più alta sarà la rigidità della struttura sottoposta ad esame. Con questa metodica, inoltre, può essere determinato il grado di ecogenicità della formazione in esame sia confrontandolo con le strutture normali vicine ma anche prendendo in considerazioni valori assoluti di ecogenicità espressi in dati grezzi. (fig. )

Ecografia con mezzo di contrasto (CEUS)

Si utilizza mezzo di contrasto di 2° generazione con strumentazione settata per immagini con basso indice meccanico (MI 0.05-0-08) per evitare la rottura delle bolle con persistenza del mezzo di contrasto per tempi sufficientemente lunghi per eseguire un dettagliato studio morfologico e computo delle curve di wash-in e wash-out. Si iniettano, con ago cannula da 20 G, 2,4 ml di contrasto alla velocità di 1 ml/s seguiti da 10 ml di soluzione fisiologica. Il rilevamento inizia a circa 3’ dalla iniezione.

I pattern vascolari di potenziamento delle lesioni maligne non sono specifici ma il tempo di wash-in ed il tempo di picco massimo sono significativamente più brevi rispetto alle lesioni benigne; inoltre le curve di wash-out sono caratteristicamente polifasiche.

Ecografia tridimensionale superficiale (4DUS)

Si utilizza una sonda volumetrica superificiale ad alta frequenza che esegue scansioni meccaniche automatiche permettendo immagini tridimensionali in tempo reale (4D). La ricostruzione mutliplanare a strato variabile permette lo studio di piani di sezione non eseguibili con l’ecografia tradizionale, in particolare il piano “C” . Lo studio del piano coronale permette lo studio dei rapporti delle formazioni nodulari rispetto alle strutture poste lateralmente (trachea, fascio vascolare, fascio nervoso) e di calcolare volumi con maggiore accuratezza rispetto alla 2DUS.

CONCLUSIONI

L’obiettivo vero del clinico è la tempestiva individuazione della patologia neoplastica; in particolar modo, tenuto conto dell’entità del “fenomeno noduli”, è necessario sviluppare un’efficace strategia “cost-effective” per la diagnosi ed il trattamento del MCPT.

Nessuna caratteristica ecografica distingue, se presa in considerazione da sola, inequivocabilmente i noduli benigni da quelli maligni ma l’associazione di diversi parametri fornisce però forti indicazioni (la presenza di almeno due criteri ecografici di sospetto identifica tra l’85 ed il 93% delle neoplasie e riduce il numero di US-FNA ad un terzo dei noduli palpabili).

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Il compito dell’ecografia è quindi non quello di localizzare e misurare tutte le lesioni intratiroidee ma di identificare quelle sospette in base ai caratteri sopraesposti.

Per ottenere tale risultato è necessario utilizzare macchine altamente performanti e l’esame US deve analizzare in modo approfondito i caratteri dei noduli e non soltanto limitarsi ad una loro elencazione e misurazione ma con una superficiale descrizione degli stessi. Nello studio di caratterizzazione devono essere associate nello stesso esame tutte le metodiche disponibili al momento.

In particolare si propone all’ecografista di attribuire ai noduli esaminati uno “score” di pericolosità”) che permetta al clinico, inserendo questo parametro nel suo algoritmo decisionaleed associandolo alle altre valutazioni cliniche in suo possesso(storia clinica, età, anamnesi, familiarità, fattori di rischio…etc) di formulare i successivi passi diagnostici da proporre al paziente.

Le innovazioni tecnologiche nel campo dell’ecografia hanno modificato il vecchio modo di pensare in rapporto al MCPT.

Ieri: non cerchiamolo…speriamo di non trovarlo

Oggi: cerchiamolo…facciamo in modo di trovarlo.

BIBLIOGRAFIA

1) Filetti S, Durante C., Torlontano M “Natural Clinical Practive Endocrinology & Metabolism” July 2006 vol 2, n 7, 384-394

2) AACE/AME Guideline Endocrine Practice Vol 12 n. 1 January/February 2006

3) Yokozowa et al, Thyroid 1995; 5-1414) Ahuja et al, J. Endocrinological Investigation 1991; 14: 5435) Papini E., Guglielmi R, Bianchini A et al Risk of malignancy in non palpable

thyroid nodule: predictive value of ultrasound and color doppler features J.Clin.Endocrinol.Metab 2002; 87:1941-1946

6) Pacini F, Capezzone M . Microcarcinoma papillare della tiroide: il più frequente dei tumori endocrini – L’Endocrinologo Giugno 2007 vol. 8 n. 2 94-101

7) Bottoni A Alberti B Fondazione CNR – Regione Toscana “G. Monasterio” Ligand Assay13 (3) 2008

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Tab. 1

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Tab. 2

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Tab. 3

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Tab. 4

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Tab. 5

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Tab. 6

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Tab. 7

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Fig.

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Fig.

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