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Queste note sono tracciate seguendo i capitoli 13 e 14 di Carline e Soskice “Macroeconomics”, OUP. Di seguito si introduce il modello di crescita di Solow e Swan senza il progresso tecnico e lo si estende successivamente al progresso tecnico esogeno. Si analizza il processo di aggiustamento del tasso di crescita verso l’equilibrio di stato stazionario e si descrive l’idea del processo di convergenza. Infine, si accenna ai modelli con pregresso tecnico endogeno. Partiamo dal modello di base di Solow e Swan (1956) Obiettivo del modello è studiare la crescita economica. La soluzione descrive la crescita del PIL pro-capite in un sistema economico in equilibrio di stato stazionario e durante l’aggiustamento verso l’equilibrio. Le ipotesi del modello sono le seguenti: La funzione di produzione è caratterizzata da rendimenti marginali decrescenti di capitale 2 e lavoro e da rendimenti di scala costanti. l'occupazione cresce ad un tasso esogeno pari a quello della popolazione, Il capitale si deprezza ad un tasso dato e costante e viene accresciuto da investimenti che, in equilibrio sono pari al risparmio, a sua volta una frazione del reddito. L'economia è chiusa. La funzione di produzione è, in generale, descritta dalla seguente relazione

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Page 1:  · 2013-01-15 · Di seguito si introduce il modello di crescita di Solow e Swan senza il progresso ... Dato che il tasso di crescita della popolazione ... A proposito del modello

Queste note sono tracciate seguendo i capitoli 13 e 14 di Carline e Soskice “Macroeconomics”, OUP.

Di seguito si introduce il modello di crescita di Solow e Swan senza il progresso tecnico e lo si estende successivamente al progresso tecnico esogeno. Si analizza il processo di aggiustamento del tasso di crescita verso l’equilibrio di stato stazionario e si descrive l’idea del processo di convergenza. Infine, si accenna ai modelli con pregresso tecnico endogeno.

Partiamo dal modello di base di Solow e Swan (1956)

Obiettivo del modello è studiare la crescita economica. La soluzione descrive la crescita del PIL pro-capite in un sistema economico in equilibrio di stato stazionario e durante l’aggiustamento verso l’equilibrio.

Le ipotesi del modello sono le seguenti:

La funzione di produzione è caratterizzata da rendimenti marginali decrescenti di capitale2 e lavoro e da rendimenti di scala costanti.

l'occupazione cresce ad un tasso esogeno pari a quello della popolazione,

Il capitale si deprezza ad un tasso dato e costante e viene accresciuto da investimenti che, in equilibrio sono pari al risparmio, a sua volta una frazione del reddito.

L'economia è chiusa.

La funzione di produzione è, in generale, descritta dalla seguente relazione

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(1.0)

dove è il prodotto, il capitale ed il lavoro.

Entrambi i fattori produttivi sono essenziali per la produzione, per cui e .

Il tasso di crescita dell’occupazione è costante e pari , lo stesso tasso a cui cresce la popolazione. Quindi:

,

il che equivale a scrivere:

La funzione di produzione ha, inoltre, rendimenti di scala costanti.

In termini matematici, ciò significa che la funzione è omogenea di primo grado:

(1.1)

per qualsiasi costante b > O.

Infine, si ipotizza che i rendimenti marginali di ciascun fattore siano decrescenti ovvero, la produttività marginale di ciascun fattore è positiva ma decrescente all'aumentare della quantità impiegato del fattore stesso.

Anche la produttività media del capitale sarà decrescente al crescere del

capitale. Vediamo graficamente utilizzando la Figura 1.

Come detto la produttività marginale del capitale è decrescente e ogni unità aggiuntiva di capitale determina un incremento di produzione meno che proporzionale. Nel piano F(K,L)-K ciò è rappresentato da una funzione concava: geometricamente la tangente alla funzione in ogni punto, decresce al crescere di K.

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Nella stessa figura, la produttività media del capitale è rappresentata

geometricamente, dal coefficiente angolare, diciamo della retta dall’origine ; è facile verificare che proprio per l’ipotesi di rendimenti marginali

decrescenti, anche la produttività media diminuisce al crescere di K,

Complessivamente, la funzione di produzione è quindi specificata come una Cobb-Douglas:

(1.2)

dove assicura rendimenti marginali decrescenti ed il fatto che implica rendimenti di scala costanti.

Dividendo la (1.2) per L, otteniamo

Fig. 1

g

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e, ponendo , dove e possiamo utilmente

riscrivere la funzione (1.2) nel seguente modo:

dove è il prodotto pro-capite, è il capitale pro-capite ed la funzione di produzione in forma intensiva; si deduce che il prodotto pro-capite dipende esclusivamente dal rapporto capitale/lavoro, o capitale pro-capite, e non dal livello assoluto dei due fattori capitale e lavoro.

Si noti che in questo modello di base il progresso tecnico non è presente, né in forma esogena né endogena.

Il tasso di crescita del capitale, diversamente da quello del lavoro, non è esogeno ma dipende dal deprezzamento e dagli investimenti.

Si ipotizza che, in equilibrio, gli investimenti equivalgano al risparmio ,

dove il risparmio è una quota del reddito dove è la propensione marginale al risparmio e è la propensione marginale al consumo:

Quindi

(1.3)

Supponendo che il tasso di deprezzamento del K sia pari ad una quota costante del capitale installato, la variazione netta di capitale sarà quindi uguale agli

investimenti al netto del deprezzamento:

L’equazione (1.3) può quindi essere riscritta nel seguente modo:

(1.4)

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Dividendo ambo i membri della (1.4) per troviamo il tasso di variazione del capitale che indichiamo con :

(1.5)

Introduciamo a questo punto l’idea della crescita in equilibrio di stato stazionario.

Definiamo l’equilibrio come quella situazione in cui la crescita del capitale è tale da mantenere costante il capitale disponibile per ogni lavoratore.

Quindi in equilibrio deve essere uguale a :

Ricordiamo che per passare da al tasso di crescita di crescita di si procede

utilizzando la trasformazione logaritmica:

e deriviamo rispetto al tempo:

Infine, ricordando che la derivata del logaritmo di una variabile rispetto al tempo è esattamente il tasso di crescita nell’istante di tempo, si ottiene

(1.6)

Quindi, in equilibrio:

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Riprendiamo ora la variazione del capitale, data dalla relazione (1.4)

e riscriviamola in termini di rapporto capitale/lavoro al fine di individuare la

relazione in equilibrio.

Dividiamo da ambo le parti per :

e ricordando che , possiamo scrivere:

(1.7)

Consideriamo ora e troviamo a cosa equivale. Partiamo dalla (1.6)

e ricaviamo

Dividendo per si ottiene

Dato che possiamo scrivere:

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Infine, semplificando e ricordando che il tasso di crescita del lavoro è uguale a

possiamo scrivere

(1.8)

Utilizzando la (1.7) per sostituire nella (1.8), otteniamo

(1.9)

oppure, in termini di tassi di crescita, dividendo per otteniamo:

(1.10)

che è l’equazione fondamentale del modello di crescita di Solow

La relazione (1.9) esplicita che la crescita del rapporto capitale lavoro è pari agli

investimenti che incrementano il rapporto K/L meno l’utilizzo dello stesso

rapporto che in parte serve a dotare i nuovi occupati con la stessa quantità di capitale e in parte serve a rimpiazzare la parte di capitale che si deprezzata. Detto altrimenti, il tasso di crescita del rapporto capitale/lavoro dipende da quanto riesco ad aumentare questo rapporto grazie agli investimenti, cioè grazie al risparmio, e dal grado di utilizzo.

In equilibrio investimenti e utilizzo si equivalgono e il rapporto capitale/lavoro

rimane costante: è costante e la crescita è uguale a zero:

(1.11)

Possiamo illustrare l’equilibrio graficamente (Figura 2).

Disegniamo gli investimenti partendo dalla funzione produzione e sapendo che 0< Inoltre, è una retta dall’origine che ha come coefficiente angolare .

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L’intersezione tra la curva e la retta individua quindi il rapporto capitale/lavoro di equilibrio, il cui tasso di crescita è zero. In equilibrio il capitale ed il lavoro crescono

ma, crescendo allo stesso tasso, rimane costante.

Per valori di diversi da , il tasso di crescita del rapporto capitale/lavoro è

diverso da zero: cresce quando gli investimenti sono superiori all’utilizzo, cioè ; diminuisce se ovvero se gli

investimenti sono inferiori all’utilizzo ( ).

Trovato il punto di equilibrio è facile trovare il reddito di equilibrio corrispondente dato che in equilibrio è uguale al reddito ; conseguentemente, è possibile trovare il consumo in equilibrio dato dalla differenza tra il reddito di equilibrio ed il risparmio.

Infine, ci chiediamo qual è la crescita in equilibrio, del PIL pro-capite.

e il tasso di crescita è la differenza tra la crescita del PIL e la crescita della popolazione:

Fig. 2

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La crescita del PIL = crescita F(K,L); dati i rendimenti di scala costanti e l’uguaglianza tra il tasso di crescita del capitale e del lavoro, è facile dimostrare che il tasso di crescita del PIL è . Dato che il tasso di crescita della popolazione è stato ipotizzato pari a , la crescita del PIL pro-capite è quindi:

Il PIL pro-capite non cresce e rimane costante. Nell’equilibrio di stato stazionario il sistema si riproduce nel tempo sempre uguale senza generare nessuna crescita perché quanto investito è esattamente sufficiente a mantenere la situazione stazionaria, appunto.

È un modello quindi che non spiega la crescita che si osserva nella realtà. Il modello deve quindi essere esteso e, come si vedrà nella prossima sezione, l’ipotesi cruciale che verrà introdotta è quella del progresso tecnico.

D’altra parte questo semplice modello è molto utile per comprendere la dinamica della crescita al di fuori dall’equilibrio. Analogamente alla Figura 2, che illustra l’equilibrio secondo la relazione (1.9), possiamo raffigurare il tasso di crescita del rapporto capitale/lavoro, utilizzando la relazione (1.10).

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Si noti che è la produttività media del capitale che, come visto, è decrescente

in . Sapendo che 0<s<1, è possibile descrivere come una funzione

decrescente in , misurato sull’asse delle ascisse. Infine, è una retta

parallela all’asse delle ascisse. La differenza tra e misura il tasso di

crescita di ,

Pertanto, nel punto di intersezione tra le due funzioni, e

Per il tasso di crescita è positivo e per il tasso di crescita è positivo.

Inoltre, il tasso di variazione del capitale/lavoro è maggiore più elevata è la

distanza dall’equilibrio. Possiamo rappresentare nella Figura 4.

Fig. 3

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Ugualmente, possiamo trovare e rappresentare il tasso di crescita del PIL pro-capite. Sapendo che

Quindi se ponessimo sarebbe esattamente la metà di , come nella

Figura 4.

La relazione inversa tra tasso di crescita del PIL pro-capite (o del rapporto capitale/lavoro) e livello di partenza del PIL pro-capite (o del rapporto capitale lavoro), implica che per paesi che partono da livelli molto bassi di PIL pro-capite si dovrebbero osservare tassi di crescita relativamente più elevati rispetto a paesi che partono da livelli di PIL pro-capite vicini all’equilibrio.

(o ) diventa quindi il livello di equilibrio a cui i sistemi economici dovrebbero convergere con ritmi più o meno elevati, in funzione del punto di partenza. Questa idea è stata verificata empiricamente e va sotto il nome di convergenza assoluta. Come vedremo esiste anche una convergenza condizionale, vale a dire una convergenza in cui l’equilibrio verso cui si converge non è necessariamente uguale per ogni paese.

Prima di capire come di verifica l’ipotesi di convergenza, estendiamo il modello di base al progresso tecnico esogeno.

Fig. 4

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Quello che si riscontra sia osservando l’andamento delle economie nel corso del tempo, sia analizzando le serie storiche dei tassi di crescita di molti paesi, è che, diversamente da quanto predetto dal modello base, i sistemi economici crescono nel tempo.

Il modello di Solow e Swan con progresso tecnico introduce una nuova variabile che cattura appunto il progresso tecnico; nella prima versione il progresso tecnico è esogeno mentre nei modelli successivi, come vedremo più avanti, il progresso tecnico è endogenizzato ipotizzando fonti di crescita intrinseche al sistema economico.

A proposito del modello di Solow con progresso tecnico, si ricordi che lo stesso Solow verificò empiricamente che la crescita del prodotto era maggiore della somma (ponderata per le rispettive quote) della crescita del lavoro e della crescita del capitale. In altri termini verificò che . La

differenza, com’è noto, è oggi conosciuta col termine residuo di Solow o produttività totale dei fattori.

La modalità utilizzata per inserire il progresso tecnico nei modelli di Solow Swan è quella cosiddetta del progresso tecnico ‘labour augmenting’

(2.1)

vale a dire, il progresso tecnico A va ad aumentare l’efficienza del fattore lavoro.

Il progresso tecnico potrebbe, in alternativa, essere ‘capital augmenting’ (in maniera da aumentare l’efficienza di ogni unità d capitale, come nell’equazione 2.2 ) oppure potrebbe essere neutrale e spingere all’efficienza complessiva dei fattori (come nell’equazione 2.3)

(2.2)

(2.3)

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Utilizzando la funzione di produzione (2.1) anziché la (1,2) e dividendo la stessa, a destra e a sinistra per AL (anziché, come prima, per L), descriviamo la produzione per per unità di efficienza di lavoro.

Ponendo, per semplicità, e e ripercorrendo gli stessi passaggi visti

nel modello senza progresso tecnico, otteniamo la seguente equazione fondamentale di Solow nel caso di progresso tecnico esogeno:

(2.4)

dove è il tasso di crescita esogeno del progresso tecnico, cioè: .

La rappresentazione grafico dell’equilibrio è quindi analoga a quella vista nelle Figure 2,3 e 4. Similmente al caso senza progresso tecnico l’equilibrio di definisce

dove il capitale per unità di efficienza di lavoro è costante, cioè dove

Considerato che il PIL pro-capite è ora definito da: , il tasso di

crescita del PIL pro-capite è quindi:

(2.5)

dove l’ultima eguaglianza nella (2.5) discende dal fatto che

Quindi, con progresso tecnico esogeno, il PIL pro-capite cresce ad un tasso pari al tasso di crescita del progresso tecnico stesso. In questo modo il modello esteso al progresso tecnico cattura un elemento importante della realtà, cioè la crescita in equilibrio.

Utilizziamo ora questo modello con progresso tecnico esogeno per verificare l’ipotesi della convergenza. Come vedremo questa verifica fornirà un’utile informazione per migliorare ulteriormente il modello.

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L’ipotesi si vuole verificare è se il tasso di crescita del PIL pro-capitale ( ) sia tanto

minore, quanto minore è la distanza dall’equilibrio. La distanza tra il PIL pro-capite di partenza e il PIL pro-capite di equilibrio, è data da ( dove il PIL pro-capite è misurato in scala logaritmica.

A livello teorico è possibile dimostrare (non lo facciamo, ma chi fosse interessato trova la derivazione in appendice nel testo) che il coefficiente è uguale, in valore assoluto a:

(2.6)

dove è il tasso di crescita del progresso tecnico esogeno che incide sulla efficienza del lavoro; ed è.

Se si considera un periodo di tempo sufficientemente lungo, ad esempio, diversi decenni, in modo da evitare che il tasso di crescita medio nel periodo sia influenzato in maniera eccessiva da elementi ciclici e si prendano in considerazione numerosi paesi, possiamo quindi considerare i valori effettivi dei parametri nella (2.5) e calcolare il teorico.

la quota del capitale nella produzione, vale circa 1/3 quindi , che è il tasso di deprezzamento si suppone sia circa 3%, circa 1% e circa il 2% .

dovrebbe essere circa lo 0,04 quindi il tasso di convergenza dovrebbe essere del 4% all’anno.

Confrontiamo ora questo valore teorico con il valore di stimato utilizzando i minimi quadrati ordinari. Si utilizzi un piano cartesiano in cui sull’asse delle ordinate si misura la crescita media di ogni paese nel periodo considerato e sull’asse delle ascisse il PIL pro-capite di partenza (l’equilibrio si ipotizza che sia costante). La retta di regressione che viene stimata individua un coefficiente pari a circa 0,02, in valore assoluto.

La differenza tra il valore teorico e quello rilevato dalle stime implica che il valore effettivo di è probabilmente più alto di 1/3. In sostanza, essendo la quota del capitale sorge il dubbio che il capitale che incide sulla crescita non sia solo quello fisico e quindi la quota del capitale, inteso in senso più ampio, sia superiore a 1/3.

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La parte di capitale che non è considerata nel modello teorico è infatti il capitale umano, cioè il livello di istruzione dei lavoratori.

Al fine di adeguare il modello introducendo il capitale umano, alla quota del capitale fisico nella produzione, viene aggiunta la quota del capitale umano. In tal caso diverrebbe:

(2.7)

dove è quota del capitale umano e è la quota del capitale fisico.

Va inoltre rilevato che l’ipotesi di convergenza assoluta può essere di fatti troppo forte perché ipotizza che l’equilibrio a cui convergono i paesi sia lo stesso per ogni paese. Nella realtà di trovano paesi molto distanti dall’ di riferimento ma che ciò nonostante crescono meno rispetto a quanto ci si attenderebbe secondo il modello di convergenza condizionata. Il problema si risolve nel momento in cui diventa chiaro che vi possono essere paesi molto eterogenei tra di loro e che questa eterogeneità influisce sull’equilibrio stesso. La convergenza risulta in tal caso condizionata dall’equilibrio di riferimento, cioè dalle condizioni strutturali e istituzionali del paese.

Abbiamo visto che il modello in cui il capitale è inteso solamente come capitale fisico, non da dei risultati supportati dall’evidenza: la velocità di convergenza teorica si avvicina a quella empirica solo se si utilizza un concetto più ampio di capitale, in cui si ricomprende anche quello umano.

Possiamo pensare che il capitale umano funzioni come il capitale fisico cioè come un input produttivo, che chiamiamo E’ possibile quindi estendere la funzione di produzione opportunamente a questo nuovo input:

(3.1)

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Alla stregua del capitale fisico, il capitale umano mostrerà una crescita che dipende dall’investimento in istruzione e dalla sua obsolescenza dovuta alla perdita di competenze via via che le vecchie mansioni non sono più produttive e via via che alcuni lavoratori escono dal mercato. La variazione del capitale umano è quindi pari a:

(3.2)

In termini di efficienza di lavoro, dividendo la (3.2) per e seguendo i passaggi già visti per il modello precedente, si ottiene:

(3.3)

(3.4)

dove , e .

Anche in questo caso la crescita del capitale fisico e del capitale umano in equilibrio sono nulli.

Considerando la condizione di equilibrio di ottengono quindi i valori e di equilibrio, che indichiamo con una stella:

otteniamo

(3.5)

analogamente otteniamo

(3.6)

Volendo sostituire questi valori di equilibrio nella funzione di produzione, ricordiamo che:

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In termini intensivi, dividendo tutto per otteniamo

Considerando i valori di equilibrio:

(3.7)

Sostituiamo e trovati nelle 3.5 e 3.6 ed otteniamo il livello di equilibrio del PIL per efficienza di lavoro:

raccogliendo otteniamo

(3.8)

Ricordando che è il reddito per unità di efficienza lavorativa , il PIL

pro-capite è facilmente ricavabile come segue:

(3.9)

I fattori che compiono a destra della (3.9): la propensione marginale a risparmiare e quindi a investire in capitale fisico e umano, il deprezzamento di entrambi i capitali, il tasso esogeno di crescita del progresso tecnico ed il tasso con cui cresce la popolazione, determinano il livello di equilibrio del PIL pro-capite.

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Questa equazione mette in evidenza come gli elementi che influiscono sull’equilibrio sono specifici di ogni paese, per cui come già accennato, è ragionevole immaginare che l’equilibrio verso cui convergono i paesi sia sensibilmente diverso tra un paese e l’altro, specialmente se le struttura dei singoli paesi sono tra loro poco omogenee. A titolo di esempio, il tasso di crescita della popolazione è generalmente maggiore nei paesi meno avanzati; il tasso di crescita del progresso tecnico e il livello dello stesso ( ) può essere diverso da paese a paese e non è detto che sia disponibile in tutti i paesi. Può naturalmente essere diverso da paese a paese anche la propensione al risparmio quindi ad investire.

Per verificare l’ipotesi di convergenza condizionata, la regressione dovrà inserire oltre al livello di partenza, anche i fattori che influenzano l’equilibrio. Utilizzando la (3.9) la regressione da stimare diviene:

dove la variabile dipendente (a sinistra) è il tasso di crescita del PIL nel periodo considerato (da 0 a t) e a destra, tra le variabili esplicative compare, oltre ad una costante, il valore inziale del PIL (cioè ) e le componenti del PIL di equilibrio.

Il ruolo del capitale umano, come ulteriore fattore della produzione, influenza quindi l’equilibrio.

Nelson e Phelps estendono questa idea ipotizzando che il capitale umano sia in grado di influenzare anche la crescita del progresso tecnico.

Quest’ultima è catturata da due fattori:

1. il tasso esogeno 2. la distanza del paese dalla frontiera.

Supponiamo che sia la frontiera del progresso tecnico e supponiamo che sia invece il livello di progresso tecnico che ha raggiunto il paese iesimo e si supponga:

, dove indica una funzione positiva di .

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Maggiore è il capitale umano, maggiore è la possibilità di recuperare il gap dalla frontiera.

Nelson e Phelps sin da 1966 si erano accorti che la capacità di apprendere le nuove tecniche di agricoltura non era ininfluente sul risultato, e che la capacità di recuperare verso il livello di frontiera dipendeva dai livelli di istruzione. Un maggiore capitale umano consente di crescere più velocemente verso la frontiera.

Emerge quindi un nuovo ruolo del capitale umano che non è solo quello di intensificare il capitale - inteso in senso lato- per occupato (non solo capitale fisico per occupato ma anche capitale umano) visto nel modello esteso di Solow, ma anche quello di favorire nei paesi in ritardo, il recupero rispetto alla frontiera.

Mentre il modello con progresso tecnico esogeno non si preoccupa di individuare quali possano essere le fonti del progresso tecnico, i modelli con progresso tecnico endogeno si pongono proprio questo obiettivo e si differenziano tra di loro in funzione della fonte di crescita che considerano. Le fonti vanno dalla ricerca e sviluppo, al trasferimento tecnologico, all’istruzione.

Faremo solo un breve cenno a questi modelli per capirne il meccanismo centrale.

Fig. 5

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La caratteristica fondamentale di questi modelli che li distingue da quelli visti e che determina in ultima analisi l’endogeneità della crescita, è il tipo di funzione di produzione ipotizzata.

In particolare è l’ipotesi di rendimenti marginali costanti.

Si suppone che la funzione di produzione sia del tipo :

(4.1)

dove è costante ed è il livello di tecnologia che esiste nel sistema economico, è il capitale. Si noti che il capitale ha un esponente pari a 1, (cioè α=1).

E’ facile verificare che il rendimento marginale del capitale è costante ed è pari alla produttività media.

Il modello si sviluppa, per il resto, come quello precedente: esista una propensione marginale al risparmio anche in questo caso la variazione del capitale dipende dagli investimenti che in equilibrio sono uguali al risparmio meno il deprezzamento del capitale

(4.2)

Il tasso di crescita è quindi dato da:

cioè:

che, utilizzando la (4.1) può essere riscritto come:

(4.2)

In termini grafici, il confronto tra questo modello e quello con progresso tecnico esogeno ne evidenzia la differenza sostanziale:

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Nel modello AK il tasso di crescita è costante al variare di K.

Diversamente nel modello con progresso tecnico esogeno, la concavità della

funzione di produzione determina una produttività media che decresce al

crescere di K.

D’altra parte, nei modelli AK non è più individuabile un punto di equilibrio e quindi tutta la letteratura sui modelli di convergenza si perde. I modelli AK mettono quindi in evidenza la crucialità dell’ipotesi di rendimenti decrescenti ma non sono in grado di ricomprendere le varie dimensioni del complesso processo della crescita economica.

I modelli endogeni quindi vengono rielaborati ipotizzando che esista un mercato con una produzione di beni intermedi ed un mercato per la produzione di beni

Fig. 6

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finali dove nella produzione di beni intermedi la funzione di produzione segue queste caratteristiche, mentre nel mercato finale sia tradizionale.

Quindi si ipotizza una forma di progresso tecnico endogeneo nei beni intermedi a loro volta utilizzati nella produzione dei beni finali di consumo.

I diversi modelli di crescita endogena si distinguono per il fattore che genera rendimenti marginali non decrescenti. In un caso è la spesa in ricerca e sviluppo che fa si che l’aumento del capitale non generi una produzione via via decrescente. In un altro caso è il capitale umano, in un altro ancora è l’idea del trasferimento tecnologico.

Tra i modello con progresso tecnico endogeno è particolarmente rilevante quello così detto neo schumpeteriano in cui la concorrenza imperfetta gioca un ruolo chiave nel generare la crescita economica.

Infatti, come ricordiamo, la concorrenza perfetta genera efficienza in un sistema statico, la cosiddetta efficienza paretiana, ma nel passaggio dallo stato statico allo stato dinamico, la concorrenza perfetta non è più la forma di mercato ideale per generare crescita. Aghion e Howitt, in vari articoli e libri, mostrano che per l’efficienza dinamica è necessaria una forma di mercato che non sia perfettamente concorrenziale e che il grado di innovazione raggiunge il massimo quando la forma di mercato è intermedia tra la concorrenza perfetta e il monopolio.

Un ulteriore importante risultato dei modelli neo-schumpeteriano è che le istituzioni e il grado di concorrenza che meglio favoriscono la crescita cambiano via via che il paese si avvicina alla frontiera.