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1 Corso di Laurea Magistrale in Lettere Moderne VIVIAN LAMARQUE: LE RACCOLTE IN VERSI Relatrice: Chia.ma Prof. Giuliana Nuvoli Tesi di laurea di: Maria Verza Matr. 769589 Anno Accademico 2011 - 2012

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Corso di Laurea Magistrale in Lettere Moderne

VIVIAN LAMARQUE:

LE RACCOLTE IN VERSI

Relatrice: Chia.ma Prof. Giuliana Nuvoli Tesi di laurea di: Maria Verza Matr. 769589

Anno Accademico 2011 - 2012

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Introduzione

In questo mio lavoro prenderò in esame la produzione in versi di Vivian

Lamarque pubblicata fra il 1981 e il 2009. Poesia esplicitamente

autobiografica, richiede la contestualizzare il personaggio nel momento

storico-letterario a lei contemporaneo e un fitto e costante riferimento al

vissuto. Utilizzando alcuni componimenti dell’autrice ho così individuato le

linee principali della sua esperienza di vita, soffermandomi soprattutto sui

momenti che più hanno influenzato la sua poesia: l’adozione e la scoperta di

avere due madri, la morte del padre Dante, il matrimonio col marito Paolo, la

nascita della figlia Miryam, il lungo percorso di analisi intrapreso col Dottor

B.M., oltre all’ossessiva dichiarazione della necessità di scrivere, fin da

bambina.

Un posto importante nell’opera della Lamarque occupa però anche la

letteratura per l’infanzia, così come il lavoro al “Corriere della Sera” e quello

di traduttrice, soprattutto di storie per bambini. Per questo nel capitolo

introduttivo ho dedicato un paragrafo ad ognuno di questi ambiti, delineando

così un quadro complessivo e il più possibile rappresentativo della poetessa.

Il corpo principale della tesi è costituito dall’analisi delle sue raccolte

poetiche, partendo da Teresino, vincitrice nel 1981 del Premio Viareggio Opera

Prima, per poi affrontare le tre opere successive: la trilogia psicanalitica

dedicata al proprio terapeuta, il Dottor B.M., nei confronti del quale l’autrice

visse un forte transfert, narrato appunto ne Il signore d’oro, ne Il signore degli

spaventati e in Poesie dando del Lei. Segue la raccolta Una quieta polvere, dal

titolo di dickinsoniana memoria, nella quale la Lamarque oltre alle sue usuali

tematiche si occupa anche di temi naturalisti e umanitari.

E’ del 2002 la riedizione di tutte le precedenti opere poetiche, realizzata

dalla casa editrice Mondadori col volume intitolato Poesie 1972-2002, nel

quale viene inserita una sezione di inediti che continuano gli argomenti più

universali trattati nel precedente lavoro poetico col poemetto L’albero e la

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sezione Poesie dedicate. Il tema della morte, affrontato in questi nuovi

componimenti, percorre in modo più o meno evidente tutta la produzione della

Lamarque, diventando più invadente soprattutto dal 1996. E’ centrale anche nei

dialoghi col suo gatto Ignazio, protagonista e committente della raccolta del

2007, Poesie per un gatto. Analizzo infine una raccolta apparentemente

distonica rispetto alle pubblicazioni precedenti: le poesie in dialetto milanese.

In ognuno di questi capitoli, dopo un’introduzione nella quale presento la

storia editoriale della raccolta e quella biografica dell’autrice, ne espongo la

struttura interna e gli eventuali apparati testuali che la accompagnano.

Un’ampia parte è dedicata all’analisi delle tematiche e dei contenuti che

accomunano le poesie della raccolta presa in considerazione, per poi passare

all’individuazione dei caratteri del narratore e dei personaggi, figure spesso

coincidenti, essendo la poesia della Lamarque una poesia autobiografica. Dopo

aver considerato l’aspetto metrico e strutturale dei testi, concludo l’analisi

ricercando i principali modelli di scrittura oltre che i testi associabili per

affinità alla poesia dell’autrice, primi tra tutti Penna, Pascoli e Dickinson, oltre

ovviamente alla tradizione della fiaba.

Nell’ultimo capitolo affronto infine l’aspetto linguistico della poesia della

Lamarque, caratterizzata della scelta di una lingua semplice e colloquiale,

infantile e, per alcuni aspetti, fiabesca.

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CAPITOLO I

LA VITA, LE OPERE

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1. L’ambito culturale

Nella seconda metà del secolo la poesia appare in una condizione di crisi,

determinata dalla spettacolarizzazione della cultura e dal trionfo dei mass-

media. Gli scrittori reagiscono ora in modo restaurativo e tradizionalistico, ora

con rinnovate istanze sperimentali. Il movimento della Neoavanguardia occupa

tutti gli anni Sessanta e si estingue all’inizio dei Settanta. La sua parabola è

parallela a quella della contestazione studentesca e operaia che ebbe il suo

epicentro nel 1968 facendo così corrispondere rivolta sociale e fenomeni di

radicale rinnovamento letterario e artistico.

In Italia il panorama appare assai frastagliato. La linea ermetica è

originalmente proseguita, con molti aggiornamenti, dai poeti della così detta

“linea lombarda”, i cui caratteri consistono in una poetica delle cose connotata

da un senso civile e razionale di tipo illuministico, e tuttavia malinconicamente

lirica e “novecentesca”. Punti di riferimento di questi poeti, nati attorno al

1920, sono il più anziano Vittorio Sereni, e alcuni maestri del Novecento come

Montale e Rebora. Alla linea lombrada possono essere ascritti soprattutto

Bartolo Cattafi, Luciano Erba, Giorgio Orelli, Nelo Risi; alcuni tratti in

comune con essa hanno anche Elio Pagliarani, ai suoi esordi, e soprattutto il

più giovane Giudici, che punta sui temi quotidiani e autobiografici, fino a

fornire una specie di diario dell’alienazione negli anni del miracolo economico.

Si può parlare per questi poeti di un secondo tempo della linea lombarda, in

quanto avente il suo momento di massimo sviluppo nel decennio tra 1965 e

1975, così come il primo tempo si definisce particolare nel decennio tra il 1955

e il 1965. Al secondo tempo della linea lombarda sono riconducibili anche

Giorgio Cesarano, Giancarlo Majorino, Giovanni Raboni e Tiziano Rossi.

Un diverso superamento dell’Ermetismo si registra in Andrea Zanzotto, che

affida a un crescente sperimentalismo formale la propria ricerca sul linguaggio,

inteso quale deposito della storia e dell’esperienza psichica. Contro il

Neorealismo e contro l’Ermetismo si muovono i poeti della rivista bolognese

Officina, che propongono una scrittura narrativa e civilmente impegnata. Tra di

essi spiccano Pier Paolo Pasolini, Paolo Volponi e Franco Leonetti. Una forma

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diversa di sperimentalismo, che rifiuta l’impegno e intende piuttosto registrare

l’alienazione sociale e denunciare l’inautenticità dei linguaggi (poesia

compresa), è praticata dai poeti “novissimi” (Alfredo Giuliani, Antonio Porta,

Nanni Balestrini, Elio Pagliarani, Edoardo Sanguineti), poi riuniti nel gruppo

63. Alla Neoavanguardia è in qualche modo riconducibile anche la poesia

emozionale di Amelia Rosselli. Viene anche ripresa la poesia in dialetto, lingua

vista come veicolo per una ricerca di autenticità espressiva, insieme con la

coscienza della marginalità culturale. Scrivono in dialetto Pasolini e Zanzotto;

ma i maggiori poeti dialettali sono Albino Pierro e Franco Loi.

Il periodo successivo, che si apre alla metà degli anni Settanta, è quello del

riflusso e del ritorno al privato. Venute meno le utopie e le speranze di

cambiamento, in campo letterario prevale una prospettiva di disimpegno, ora

intimistica e neoromantica, ora ludica e postmoderna.

I nuovi poeti che si affermano nel quindicennio che va dal 1970 alla fine degli

anni Ottanta vengono talvolta definiti “poeti innamorati” in quanto appaiono

insieme in un’antologia intitolata appunto La parola innamorata, che uscì nel

1978 a cura di Pontiggia e Di Mauro. Essi propongono un ritorno al

soggettivismo lirico, alla concezione orfica della poesia e alla linea della

tradizione simbolista. La centralità della bellezza affermata da questi poeti

sconta in partenza un rifiuto di misurarsi con tematiche storico-sociali forti: la

poesia è coltivata al di fuori del mondo e magari contro di esso, quale

alternativa radicale o quale residuo momento di verità e di autenticità in un

mondo inautentico. Il successo di questa tendenza negli anni Settanta e Ottanta

dipende in egual misura, oltre che dalla immediata spettacolarizzazione di

massa (fino ai festival di poesia), dalla delusione generazionale dinanzi alla

riorganizzazione del neocapitalismo dopo la contestazione degli anni Settanta,

con il conseguente ritorno consolatorio al privato, e dalla disponibilità a

ricaricare un’istituzione come la poesia di aspettative consolatorie non prive di

ingenuità. E’ d’altra parte con questa nuova generazione di poeti che si passa

dai poeti-intellettuali che dominano fino agli anni Cinquanta e Sessanta ( come

Luzi, Fortini, Zanzotto, Pasolini, Sanguineti e molti altri) ai poeti-poeti che

dominano i due decenni seguenti, spesso rivendicando la superiorità della

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propria purezza, tra cui Milo de Angelis, Giuseppe Conte, Maurizio Cucchi,

Cesare Viani.

Dei molti altri poeti legati alla dominante tendenza neo-orfica, Dario

Bellezza intreccia nella sua poesia grazia e scandalo, armonia e orrore,

ricollegandosi alla lezione di Penna e di Pasolini (cui lo legano anche le

tematiche omosessuali), mentre la romana Biancamaria Frabotta sullo sfondo

di una ricerca femminista colloca lo scontro fra lingua letteraria e

rivendicazione di un nuovo orizzonte espressivo. Valerio Manganelli, nella cui

poesia al centro sta il soggetto, risulta tuttavia interessato a ragionare sulle

condizioni (e i limiti) della conoscenza e dell’espressione.

Appartata si è svolta fin dagli anni Cinquanta la poesia di Alda Merini, nata a

Milano nel 1931, la cui ispirazione si è fatta nuovamente notare dopo un

ventennio di silenzio trascorso per lo più nella cura di una grave crisi psichica,

a partire dagli anni Ottanta. Continuano d’altra parte ad essere attivi in questo

periodo molti dei poeti più anziani (persino Montale, che muore nel 1981),

mentre non pochi nuovi poeti proseguono consapevolmente la traccia della

Neoavanguardia, mentre altri tentano percorsi alternativi che rifiutano però

l’antisperimentalismo regressivo dei poeti innamorati. Tra questi Gianfranco

Ciabatti, impegnato nelle lotte della contestazione poi si dedica alla poesia

come attività secondaria, in cerca non di illuminazioni ma di verifiche teoriche

ed esistenziali.

Nuove esperienze contrapposte al neo-orfismo si affacciano con forza e

consapevolezza teorica a partire soprattutto dalla fine degli anni Ottanta. Esse

sono rappresentate dai nati tra il 1955 e il 1965 che rifiutano ogni qualifica

generazionale e si ricollegano invece esplicitamente ai maestri dello

sperimentalismo degli anni Cinquanta e Sessanta, non senza essere talvolta

sostenuti da alcuni vecchi esponenti della Neoavanguardia. Hanno in qualche

modo introiettato il nuovo contesto culturale e sociale del Postmoderno, e

rivendicano tuttavia, in modi diversi, la necessità di vivere quel clima senza

adeguarvisi ideologicamente e anzi in modo critico. La loro poesia si fonda

dunque sulla commistione dei generi e dei linguaggi, sul riuso di modelli

metrici e stilistici del passato, sulla citazione e sul montaggio, nell’intento di

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denunciare l’orizzonte del presente facendone esplodere i conflitti e

mettendone in mostra le interne tensioni irrisolte. I poeti riconducibili a questa

sorta di post-modernismo critico sono legati ad alcuni gruppi e riviste attivi

soprattutto a Genova e a Milano. Genovesi sono Marco Berisso, Marcello

Frixione e Paolo Gentiluomo; di Napoli ma legati alla rivista milanese

“Baldus” sono Mariano Baino, Biagio Cepollaro, Lello Voce, mentre ai

margini si colloca Gabriele Frasca. Tutti questi poeti si sono riconosciuti nei

loro intenti tra la fine degli anni Ottanta e lo scioglimento annunciato nel 1993

del gruppo ‘93, nato nel 1990 in assonanza con il movimento di trent’anni

prima, in una prospettiva di proseguimento e aggiornamento dell’esperienza

della Neoavanguardia.

1.1 Poesia al femminile

Negli anni Cinquanta, apparentemente poco propizi alla poesia, percorsi

come sono da una prepotente esigenza rappresentativa di timbro neorealista,

fanno il loro esordio alcune delle voci poetiche più autorevoli e forti del

Novecento: Alda Merini, Cristina Campo, Maria Luisa Spaziani, Rossana

Ombres, Amelia Rosselli.

La debuttante più giovane è Alda Merini, che nel 1953, poco più che

ventenne, pubblica La presenza di Orfeo. Aveva conosciuto a Milano Giorgio

Manganelli, Salvatore Quasimodo, Davide Maria Turoldo, Maria Corti: ma già

all’altezza dell’esordio poetico si stavano manifestando i primi segni della

malattia mentale, che scandirà dolorosamente la sua vita, tenendola internata

dal 1965 al 1972 nel manicomio di Milano e poi ancora negli anni Ottanta

nell’ospedale psichiatrico di Taranto. Ritorna l’immagine di Orfeo in Vuoto

d’amore, del 1991, dove amore passionale e furore mistico di nuovo si

congiungono con esiti di straordinaria potenza espressiva.

Cristina Campo, pseudonimo di Vittoria Guerrini, traduttrice e saggista

esordisce con Passo d’addio nel 1956. E’ la sua passione per la bellezza e per

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la perfezione la nota dominante della sua scrittura e di tutta la sua produzione

poetica, costituita da pochi componimenti di assoluta luminosità.

Al 1954 data l’esordio di Maria Luisa Spaziani, con Le acque del Sabato.

Risultano già evidenti i suoi temi più cari: la solitudine e la distanza, il

luminoso ricordo di una pienezza vitale promessa e non goduta. Comporre

poesia è per lei il modo per annullare silenzi e distanze, stando vigili, pronti a

cogliere l’occasione.

Tra la poesia e la narrativa si colloca Rossana Ombres, autrice di alcune

opere dal gusto surreale passa dai paesaggio della prima raccolta del 1956,

Orizzonte anche tu, alle figure mitiche protagoniste di Bestiario animale del

1974 nel quale raffigura un universo agli albori della creazione. Il suo

linguaggio poetico, sa essere morboso e cantabile fino alla filastrocca,

all’espressione dialettale ma anche subdolo e spiazzante non sempre di facile

comprensione.

Anche le poesie di Amelia Rosselli spesso tramano ai danni

dell’intelligibilità, intessute come sono di lapsus, di scambi, di intrecci

plurilinguistici. I primi esperimenti degli anni Cinquanta, pubblicati solo nel

1980, sono effettuati nelle tre lingue conosciute: francese, inglese e italiano, ma

è nelle poesie di Variazioni belliche che la Rosselli esprime a pieno la sua

poesia. Il linguaggio è una partitura fortemente ritmata, intessuta di richiami

poetici tra cui Campana, Montale, Rimbaud, i surrealisti, combinati e

incrociati con vari effetti di assonanza e di distorsione, fino quasi alla

dissolvenza del nucleo logico.

Più di ogni altra poetessa è Rosselli ad essere letta e avidamente commentata

dalle autrici che s’affacciano negli anni Settanta e le sue poesie vengono

raccolte delle antologie: Donne in poesia del 1976 e in Poesia femminista

italiana del 1978. Proprio in questi anni, infatti, risuona forte anche nella poesia

la dolente e irata voce della donna, attraverso un tipo di poesia definita da

Mariella Gramaglia, una delle sue teorizzatrici, “poesia non letteraria, ma

culturale nel senso antropologico della parola, poesia che ti definisce e ti

esprime”.

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Dacia Maraini partendo dalle poesie cupamente e furiosamente viscerali di

Donne mie, del 1974, e di Mangiami pure, del 1978, approda nel 1991 ai

quadretti di viaggi reali e immaginari composti con desiderio di fiaba e

leggerezza, con Viaggiando con passo di volpe. Nel 1977 esordisce Bianca

Maria Frabotta, studiosa del movimento femminista e della letteratura

femminile, ma è con le raccolte Appunti di volo del 1985 e Viandanza del 1995

che esprime appieno una combattiva vitalità che sfugge ai confini e alla insidie

della vita sedentaria, con versi percorsi da un ritmo inquieto e in fuga perenne.

Lampi di colore e di disperazione, resi in un linguaggio frantumato, percorrono

le poesie di Nadia Campana, pubblicate postume nel 1990, mentre la

quotidianità è il luogo in cui si svolgono le poesie di Dacia Maraini, che aveva

esordito negli anni Sessanta, e quelle di Vivian Lamarque, di un’ironia

apparentemente scherzosa e giocosa. Non conosce ironia la furente Jolanda

Insana, che può ricordare, per certe sue passionali intemperanze, il timbro

espressivo di Silvana Grasso: entrambe siciliane, esperte officianti di un

linguaggio allucinato. Nelle forme delle terzine è invece ordinata la voce di

Patrizia Valduga, che nelle sue poesie compone cataloghi di accoppiamenti, di

deformazioni e malattie, con forti effetti finali. Lea Canducci mostra un

autentico e ricco mondo di sentimenti mascherati con motivi forti e parole

tecniche con un lavoro simbolico, sempre attenta al rapporto tra vita psichica

ed esperienza del mondo. Recupera un lessico tradizionale Maria De Lorenzo

le cui pagine addensano in dissapori e i contrasti del mondo, con la tacita

certezza che l’utopia sia parte della donna e che la parola ne sia strumento

imprescindibile. Va infine ricordata l’opera poetica di Anna Maria Ortese che,

pur nata nell’arco di un cinquantennio, tra il 1930 e il 1980, solo tra il 1996 e il

1998 viene pubblicata in due raccolte, Il mio paese è la notte e La luna che

trascorre, con echi leopardiani e talora di un’apparente semplicità. In realtà

questi strumenti senza tempo si prestano a raccontare l’infelicità e la solitudine,

la memoria e la sofferenza, l’attesa e la disillusione con un’energia visionaria, a

volte quasi mistica o affabulatoria.

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2. Biografia

Sono nata a Tesero in Trentino nel 1946, e queste quattro cifre contengono anche il mio giorno natale, 19, e il mese, 4. Non sono un mio postero e non conosco la statura della mia poesia. Di certo comunque io, Vivian, metri 1.59, non sono alla sua altezza (cioè della poesia), non sono nemmeno come lei leggera, 60 Kg, non so nemmeno come lei parlare (la poesia). Lei trova con naturalezza le parole, io a voce no.1

Aprile dal bel nome quando sono nata io stessa con nomi curiosi di bei significati per dire che ero pratolina e questo e quest’altro e che dovevo vivere (da una parte o dall’altra) per dire donata (o donanda) insomma sono nata d’aprile in montagna.2

Vivian Lamarque nasce il 19 aprile 1946 a Tesero, paesino con meno di 3.000

abitanti in val di Fiemme, provincia di Trento, ma cresce e vive a Milano.

Mia madre naturale era figlia di un moderatore Valdese, pastore Valdese, il nonno

Ernesto Comba ( autore di un’importante Storia dei Valdesi nel 1935), professore di

teologia, e essendo nata io illegittima, non stava bene che un pastore avesse una figlia

con una figlia illegittima. E’ come nelle telenovele:mi hanno abbandonato i ricchi e

colti e sono stata adottata dai semplici. Come nelle telenovele. Tutto il contrario. Un

feuilleton.3

Valdesina trascinata per una mano giù fino a Milano appena appena finito Natale zitta guardava attorno il nuovo presepe la nuova mamma.4

1 S.Soldini, Quattro giorni con Vivian, in Gente di Milano, Associazione Locus, Milano 2008 2 V.Lamarque, Aprile dal bel nome, in Teresino, Società di Poesia & Guanda, Milano 1981, p.9 3 S.Soldini, Quattro giorni con Vivian, cit. 4 V.L., Valdesina, in Teresino, cit., p.10

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A nove mesi la frattura/ la sostituzione il cambio di madre.5 Vivian viene data

in adozione a una giovane coppia di Milano, Maria Rosa Pellegrinelli e Dante

Provera, lei cassiera del cinema Ambasciatori in Corso Vittorio Emanuele, lui

vigile del fuoco.

Caro babbo II (ma primo) che ti chiamavi Dante che facevi il Campione d’Italia di Sollevamento Pesi e il Vigile del Fuoco che salvavi le persone che hai fatto in tempo a salvare anche me prima di morire a 34 anni.

Nel 1950 muore il padre adottivo di Vivian e la madre Rosy conclude da sola

le pratiche per l’adozione. Vivian si ritrova così ad avere tre cognomi, Comba

5 V.L., A nove mesi, ivi, p.9

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Provera Pellegrinelli: avevo sette anni/ e a scuola mi chiedevano/ perché tanti

cognomi.6

Madre adottiva

Mi ricordo che era lunghissimo da dire: sono la figlia della cassiera dell’Ambasciatori. E allora loro mi facevano passare, entravo. E spesso anche con compagni di scuola, ero molto amata dalle compagne di scuola perché andavamo in corso Vittorio

6 V.L., Amavo il gesso, ivi, p.10

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Emanuele in tutti i cinema gratis. E poi siccome la proprietaria del cinema, per esempio del Garibaldi, non voleva che la cassiera si portasse la bambina al cinema ( i biglietti avevano tanti colori diversi) e mi ricordo che stavo sotto la cassa nascosta a giocare con questi biglietti, oppure entravo in sala e lì mi vedevo tre quattro volte la… per questo mi è rimasto il desiderio quando vado al cinema di vederlo due volte di fila, perché allora lo vedevo due o tre volte di fila.7

In via Castellino da Castelli frequenta la Scuola Elementare Rinnovata

Pizzignoni,

ogni classe aveva una porta-finestra sul giardino, avevamo orti da curare, animali da cortile e persino due asinelli, ricordo centinaia di misteriosi bachi da seta, e le lezioni di disegno sotto i ciliegi in fiore.8

Nel 1956 all’età di dieci anni Vivian scopre di essere stata adottata. Inizia così

a scrivere. La signora M. buona e La signora M. cattiva sono le sue prime

poesie, che parlano appunto delle sue due madri.

Ho scritto la mia prima poesia a dieci anni, quando, da documenti trovati in casa, ho scoperto di avere due madri, che la madre con cui vivevo era la madre adottiva. Non ho detto a nessuno di questa mia scoperta, ma forse era troppo grande per essere taciuta: è finita, camuffata, obliqua, indiretta, nelle mie prime poesie.9 Scrivevo poesie perché non parlavo mai e perché “avevo un segreto”. Usavo qua e là vocaboli difficili per imitare i grandi. Oggi non li imito più, per questo a volte portano le mie poesie all’asilo.10

Bambina Col punto erba col punto croce diligente si cuciva le labbra faceva il nodo.11

Terminato il ciclo scolastico dell’obbligo, dal 1960 al 1965 Vivian frequenta il

liceo linguistico alla Civica Scuola Manzoni a Palazzo Dugnani, in via Manin,

dove impara il tedesco e il francese e nel frattempo prende lezioni private di

latino.

7 S.Soldini, Quattro giorni con Vivian, cit. 8 M.B.Tolusso, Intervista di Mary Barbara Tolusso a Vivian Lamarque, in V.L., La gentilèssa: poesie in dialetto milanese, Stampa, Varese 2009, p.62 9 http://www.adolgiso.it 10 M.Marchi (a cura di), Vivian Lamarque, in Viva la poesia!, Vallecchi, Firenze 1985, p.187 11 V.L. Bambina, in Una quieta polvere, Mondadori, Milano 1996, p.20

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Tutte le mattine salivo la bella scalinata di Palazzo Dugnani, sede della Civica Scuola Manzoni, affacciata sui Giardini Pubblici di Porta Venezia e sullo Zoo. Durante le lezioni ridevamo delle estroverse chiacchierate delle foche, nelle interrogazioni mi suggeriva Gianna Tanini ( che mi suggerisce tuttora come fare la dichiarazione dei

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redditi e altre diavolerie), nell’ora di educazione fisica ci portavano a correre intorno alla fontana e per i vialetti dei Giardini.12

Conoscendo a 19 anni la madre Ecco il privilegio: ha conosciuto sua madre volendo (quale bambino?) e fresca di parrucchiere con una camicia azzurra e una gonna grigia alle cinque o sei era in ritardo credo d’inverno aveva la pelliccia. […]13

A 19 anni il primo incontro con la madre naturale. Successivamente conoscerà

anche i suoi tre fratellastri trasferitisi a Firenze: Marzio, Fabrizio e Orietta. In

un’intervista parlando del suo esordio poetico a dieci anni, dice: da allora non

ho più interrotto questa vita parallela, di carta, che accompagna, come una

stampella, l’altra14. E infatti come quando scoprì di avere due madri come

reazione scrisse, anche per tutti questi incontri Vivian compone delle poesie:

Conoscendo un fratello, dedicata a Marzio, Conoscendo l’altro fratello, a

Fabrizio (quei bambini in cortile/ potevo essere io) e per Orietta Cara sorella:

Cara sorella oggi capisco che ti eri spaventata quando ero nata avevi tredici anni e anche tu l’infanzia un po’ minata ma credi non era colpa mia se ero nata.15

Vivian ha 21 anni quando, interrompendo gli studi universitari da poco iniziati,

nel 1967 sposa Paolo Lamarque, il più pittore di tutti16, a cui dice di aver

12 M.B.Tolusso, Intervista di Mary Barbara Tolusso a Vivian Lamarque, in V.L., La gentilèssa: poesie in dialetto milanese, cit., p.62 13 V.L., Conoscendo a 19 anni la madre, in Poesie 1972-2002, Mondadori, Milano 2002, p.7 14 http://www.adolgiso.it 15 V. L., Cara sorella, in Una quieta polvere, cit., p.29 16 V.L., L’amore mio è buonissimo, in Teresino, cit., p.13

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rubato il cognome il giorno delle nozze, come ripeterà nella dedica alla raccolta

Una quieta polvere17: A Paolo, il mio cognome è suo.

Paolo A Paolo Lamarque Quel conoscerti tra il tavolo e il mobile con lo specchio tu parlavi in fretta dei quadri. un’ora dopo noi due andavamo già più avanti dietro venivano gli altri e ricordo benissimo che portavi i cappello girando per via Lazzaretto. Era dicembre. In gennaio a casa tua mi salutava già la tua portiera.18

17 V.L., Una quieta polvere, Mondadori, Milano 1996 18 V.L., Paolo, ivi, p.34

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L’anno dopo, nel 1968 nasce la figlia Miryam, per la quale scriverà le poesie

tra le più serene della sua produzione e alla quale dedicherà un’intera sezione

nella raccolta Teresino del 1981. Ho una bella bambina/ se mi date la Lidia

intera io non la do/ se mi date l’amabile… io non la do scrive, citando Saffo,

in epigrafe alla poesia Alla mia figlia gallinella:

Oggi torna dal mare la mia gallinella bianca con le sue due ali che non sanno volare e le piume leggere e spettinate e i due occhi attenti a dove meglio beccare.19

E in Febbre scrive:

Miryam bella già di nuovo la febbre le guancine rosse stai sotto sotto adesso vengo anch’io a nanna che sono la tua mamma.20

Dal 1971 si trasferisce nel quartiere QT8 di Milano col marito Paolo, la figlia

Miryam, degli amici al piano di sopra, per vent’anni, fino all’inizio degli anni

‘90. Nell’intervista con Silvio Soldini Vivian mostra con gioia il giardino, le

margherite pratoline che non erano mai abbastanza, parla con la vicina delle

primule che ha sul balcone, mostra l’edera e le piante che aveva piantato

quando viveva in quella casa […] ho imparato qui a zappare, a seminare,

continua a raccontare. La passione per il giardinaggio, la cura delle piante,

l’amore per i fiori si sono sviluppati proprio nel giardino della casa in via

Moretti, ai piedi del Monte Stella, nel silenzio e nel verde del QT8, con alberi

da frutta, giardino e orto attraversati da gatti e merli21, passioni che poi

ritorneranno oltre che nella poesia anche in molte sue fiabe, come la bambina

giardiniera di La bambina bella e il bambino bullo22, che grazie alla sua

19 V.L., Alla mia figlia gallinella, in Teresino, cit., p.45 20 V.L., Febbre, in Una quieta polvere, cit., p.36 21 M.B.Tolusso, Intervista di Mary Barbara Tolusso a Vivian Lamarque, in V.L., La gentilèssa: poesie in dialetto milanese, cit., p.62 22 V.L., La bambina bella e il bambino bullo e altri bambini e bambine, Einaudi Ragazzi, Milano 2008

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passione per il giardinaggio riuscì a far diventar verde con piante e fiori una

città tutta grigia. E parlando di Milano oggi, dice: io d’estate vado in giro con

una bottiglietta d’acqua, appena vedo dei fiori aggiungo dell’acqua come un

tentativo di intervenire.23

23 Intervento di V.Lamarque al ciclo di incontri Città amica, città nemica, ass.culturale Ambrosianeum, Milano 28 marzo 2012

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Queste erano le case dei miei amici. Continua, mostrando a Soldini le

abitazioni intorno alla sua. Era bello parlarsi da una casa all’altra. Poi ci

scambiavamo le piantine24 con le vicine ricordate in Dediche senza poesie: A

Luisa, Marghe, Loredana, Danila, ai loro giardini tutti in fila […]25

Grazie al fratello di Paolo, Lucio Lamarque, e a Giovanni Raboni, Vivian

pubblica per la prima volta otto poesie sulla rivista Paragone nel 1972 e, nel

1978, la prima raccolta, L’amore mio è buonissimo, nei quaderni collettivi di

Guanda ideati da Raboni.

Sempre in via Manin, salivo un’altra scalinata […], quella del palazzo di fronte a Palazzo Dugnani, dove aveva sede la Guanda, andavo e venivo per la pubblicazione nei Quaderni della Fenice e per quella del mio primo libro, Teresino. Com’era vivo e generoso con noi Giovanni Raboni, com’era giovane e ricco Maurizio Cucchi, Diego Paolini e Marianto Prina preparavano bellissimi numeri dell’Illustrazione Italiana, erano pallidi e seri, mi facevano soggezione, sulle scale incrociavo Franco Cordelli alto e biondo, Roberto Rossi magro magro, di libri sapeva tutto, riconosceva dal profumo la carta dell’editore.26

Gli anni vissuto nella casa del quartiere QT8, soprattutto tra il 1972 e il 1975,

sono gli anni più produttivi per la poetessa.

Qui ho scritto… forse gli anni in cui ho scritto più poesie in questa casa. Trecento all’anno quasi. Negli anni ‘73… quando son venuta… qui son venuta nel ‘71, ecco nel ’72-‘73 son stati gli anni… scrivevo continuamente. 27

Io senti ero tua moglie il pianoforte nostro poi talmente lungo che suonavamo insieme a dieci mani: io e Tiziano un po’ male il marito di Ornella benino Irlando proprio bene E tu così così.28

24 S.Soldini, Quattro giorni con Vivian, cit. 25 V.L., Dediche senza poesie, in Una quieta polvere, cit., p.132 26 M.B.Tolusso, Intervista di Mary Barbara Tolusso a Vivian Lamarque, in V.L., La gentilèssa, cit., p.63 27 S.Soldini, Quattro giorni con Vivian, cit. 28 V.L., Io senti ero tua moglie, in Poesie 1972-2002, cit., p.47

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… poi avevo preso un pianoforte, prendevo lezioni di pianoforte, un momento di vita, per qualche tempo speciale, poi… son stati gli anni più disturbati, dal punto di vista mentale. Infatti poi ho iniziato l’analisi.29

Risale a quegli anni la separazione dal marito Paolo, che però continuerà a

tornare nelle sue poesie, come nella raccolta Il tuo posto vuoto in Teresino:

Il tuo posto vuoto a tavola parla racconta chiacchiera ride forte non sta mai fermo si alza ritorna mangia avanza sempre un boccone ritaglia nel formaggio forme di animali il tuo posto vuoto a tavola a destra di Miryam è di fronte a me.30

Separazione Quando spegne la luce la sera e si racchiude nella posizione fetale il tepore materno paterno coniugale le viene da uno scaldaletto metallico contenente acqua calda.31

Dopo la separazione oltre a scrivere poesie inizia ad insegnare, prima

stenografia in tedesco, poi italiano agli stranieri e letteratura nei licei privati

fino al 1997, anno in cui chiude l’istituto dove insegna. Intensifica così la

collaborazione con il “Corriere della Sera”, cominciata già nel 1992, mentre

continua il suo lavoro di traduttrice di poesie e fiabe.

Dopo di te sposerò il mio pennino e nessun altro e nessun altro il mio pennino d’acciaio affilato per sempre l’ho sposato.32

29 S.Soldini, Quattro giorni con Vivian, cit. 30 V.L., Il tuo posto vuoto, in Teresino, cit., p.37 31 V.L., Separazione, ivi, p.37 32 V.L., Pennino (I), in Una quieta polvere, cit., p.45

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Nel 1984 comincia un percorso terapeutico di circa vent’anni con l’analista

junghiano Dottor B.M., per il quale proverà un transfert gigantesco33 e al quale

dedicherà tre raccolte poetiche: Il Signor d’oro nel 1986, Poesie dando del Lei

nel 1989 e nel 1992 Il Signore degli spaventati, più la sezione Poesie dando del

Lei (altre) nella raccolta Una quieta polvere del 1996.

Un altro indirizzo caro è via Comerio, per più di vent’anni al n.3 sono andata nello studio del Dott.B.M., […] con lui l’analisi junghiana è stata fertilissima di risultati. E a pochi metri dallo studio c’era il Liceo Beccaria frequentato da mia figlia Miryam, la sua adolescenza con il Rocci in spalla.34

E poi dopo un po’ di anni gli amici sono andati via, il marito pure e son

rimasta io con mia figlia e gatto e cane…35 Vivian scrive anche dei suoi

animali domestici: al gatto Ignazio, che la seguirà anche nell’appartamento di

via Arimondi, dedicherà la raccolta del 2007, Poesie per un gatto mentre per

l’amato cane Brigante, sepolto nel giardino di via T.Moretti scrive una poesia

con in epigrafe gli affettuosi versi: dei cani un po’ brutti/ eri il più bello di

tutti.36

Io in tutte le case più di quattro cinque anni non resisto.37 Così si trasferisce, e

anche del cambio di casa parla nelle sue poesie, nella sezione Cercasi: poesie

per un trasloco della raccolta Una quieta polvere. Vive per circa cinque anni

nella casa in via Arimondi, dalla quale si vede la caserma dei soldati della

poesia Condòmino e di Finestra, poesia dedicata proprio a questa via:

Quanto cara mi è questa finestra che mi separa e unisce a Milano. ma questa caserma coi soldatini di stagno e questo castellino finto o che sia vero? qual è il giusto tempo? cosa quel RAI lassù, a mezzo cielo? e da piazza Firenze […]

33 L.Sica, Mio caro dottore abusi pure di me, Rebubblica, 30 gennaio 1993 34 M.B.Tolusso, Intervista di Mary Barbara Tolusso a Vivian Lamarque, in V.L., La gentilèssa, cit., p.63 35 S.Soldini, Quattro giorni con Vivian, cit. 36 V.L., Al mio cane Brigante, in Una quieta polvere, cit., p.55 37 S.Soldini, Quattro giorni con Vivian, cit.

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Poi un nuovo trasloco in viale Certosa.

Ora abito in una casa su 8 (otto!) corsie di auto, alle stanze che danno su strada posso cambiare aria solo di notte. Male per i miei polmoni, ma bene per la mia fame di rumore dei vivi, in casa non mi dispiace la solitudine, ma fuori dalle finestre ho bisogno di vedere che tutto si muove. Di vedere passanti, gente che sale sul tram o più spesso l’aspetta, che entra in un negozio, che compra il giornale, di vedere automobili, più spesso auto immobili, in coda. Grazie a un cavalcavia vedo auto persino a mezz’aria come uccelli in cielo.38

Quasi tutti gli amici che ho sono amici di balcone … no, in viale Certosa no, perché se andiamo a parlare sul balcone non ci sentiamo. Metter fuori le teste poi ognuno come delle tartarughe, mettiamo fuori la testa, io almeno, metto fuori la testa come la tartaruga un attimo, poi… poi basta, torno nel mio guscio. Ma tra un po’ cambierò casa di nuovo, è bello cambiar casa, no?39

Anche il matrimonio della figlia Miryam con Giorgio, nel 1996, è ricordato con

una poesia: Per le nozze di Miryam e Giorgio (sei sei del novantasei)40, così

come la nascita della loro prima figlia:

A Micòl Buongiorno vita, vita nuova nata. Il latte è pronto e un padre e quasi tutto il resto. Brindo con i gerani e con la clivia in fiore. Dose d’acqua doppia a tutti oggi!41

Nasce Micòl, prima nipotina di Vivian, e poi Davide. Ai due nipoti l’autrice

dedica la maggior parte delle fiabe pubblicate dopo il 2000.

Prima del 2000 ho vissuto dando la precedenza soprattutto alla poesia, il mondo non lo vedevo, … mentre da quando nel 2000 sono diventata nonna, ma non è solo la nonnità, ho proprio come modificato l’impostazione, per cui do la precedenza … cerco di accontentare chi ha bisogno di me diciamo. Che sia mia madre, che sia mia figlia, che siano i bambini.42 Come scrive anche in epigrafe a una poesia: le poesie possono aspettare/ non possono aspettare le persone care.43

38 M.B.Tolusso, Intervista di Mary Barbara Tolusso a Vivian Lamarque, in V.L., La gentilèssa, cit., p.62 39 S.Soldini, Quattro giorni con Vivian, cit. 40 V.L., Per le nozze di Miryam e Giorgio, in Poesie 1972-2002, cit. p.240 41 V.L., A Micòl, ivi, p.241 42 S.Soldini, Quattro giorni con Vivian, cit. 43 V.L., Preghiera delle mamme, in Una quieta polvere, cit. p.39

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Attualmente Vivian Lamarque vive a Milano, collabora col Corriere della Sera

e continua a comporre poesie e fiabe.

3. Produzione poetica

Tenevo le poesie per me, le leggevo solo a pochi amici, non pensavo alla pubblicazione. Invece mio marito Paolo Lamarque, grande appassionato di poesia, le fece leggere a suo fratello Lucio Lamarque che lavorava alla Garzanti e che le fece leggere a Giovanni Raboni. Raboni le fece uscire prima su “Paragone”, poi su “Nuovi argomenti”. Scrisse che componevo poesie “come se questo non avesse a che fare con la letteratura” ed era esattamente così. 44

Grazie all’aiuto di Raboni, nel dicembre 1972 Vivian pubblica otto poesie sul

numero 274 della rivista Paragone: Sognando la famiglia d’origine45; Quel

gesto46; Amore; Sai la parola mai?47; Sempre più mi sembri48; Il giorno 28;

Non è accaduto; Ne è da poco passata la morte49. Una breve nota introduttiva

di Giovanni Raboni accompagna l’esordio dell’autrice:

Vivian Lamarque […] ha ventisei anni. Non credo che, prima d’ora, abbia mai pubblicato poesie. Questi suoi versi, e altri di lei che ho avuto modo di leggere, mi sembrano decisamente fuori dell’ordinario per la precisione (insieme curata e rabbiosa) dei sentimenti, e più ancora per una trasparenza, una lievità linguistica che è anche nello stesso tempo, senso concreto, pesante, addirittura doloroso della parola comune, inghiottita e barattata giorno dopo giorno, e capacità di coglierne il ritmo implicito, lo spontaneo disporsi in sospensioni, clausole, figure. […] di assolutamente suo la Lamarque ha questa grazia, questa ingenuità di scrivere poesie come se si trattasse di compiere un gesto che non ha nulla a che fare con la letteratura.50

L’anno successivo, il 1973, l’autrice pubblica altre otto poesie su “Nuovi

argomenti” n.32 di marzo-aprile, come racconta in un componimento

pubblicato qualche anno dopo:

44 http://www.adolgiso.it 45 Poi in L’amore mio è buonissimo, in Quaderni della fenice 30, Guanda, Milano 1978, p.61 46 Poi in ivi, p.60; e in Teresino, Società di Poesia & Guanda, Milano 1981, p.33 47 Poi in Teresino, cit., p.25 48 Poi in L’amore mio è buonissimo, cit., p.58; e in Teresino, cit., p.27 49 Poi in L’amore mio èbuinissimo, cit, p.60 50 G.Raboni, Otto poesie, in “Paragone”, n. 274, dicembre 1972, pp.42-43

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l’amore mio una volta l’ho incontrato che tornava dalla spesa con due sacchetti e siccome io guidavo la macchina lui mi ha detto accosta allora io mi sono molto emozionata e ho scritto quella poesia che c’è su Nuovi argomenti n.32.51

La piccola sezione poetica proposta dalla Lamarque sulla rivista letteraria

prende il titolo di Era detto aquilone52, come la prima delle otto poesie lì

pubblicate, i cui altri titoli sono: Felice; Levati bambina53; Chiedere dove il

tempo; Ho ventisei anni54; Devastata da un suo guardare55; Credere di

proporre; Ecco, li presentano56.

Nel 1976 l’antologia Donne in poesia57 ripropone tre poesie dell’autrice, che

nell’introduzione complessiva all’opera sono dette brevi aforismi58. Una breve

nota biografica indica la prima pubblicazione di ognuno dei testi poetici

raccolti in quest’opera: “Sempre più mi sembri” è tratta da Paragone,

dicembre 1972, n.274; “Chiedere dove il tempo” e “Levati bambina” da

Nuovi argomenti, marzo-aprile 1973, n.32.

Più articolata è l’opera pubblicata nel 1978 con la casa editrice Guanda nel

secondo quaderno collettivo, collana ideata da Giovanni Raboni. Prima opera

organica dell’autrice, la piccola raccolta di sessantatre poesie si intitola

L’amore mio è buonissimo, realizzato sotto la supervisione redazionale di

Maurizio Cucchi. Oltre alle poesie della Lamarque, il Quaderno raccoglie

Ornitologia semplice di Piero Draghi, Il Mattino di Angelo Fiocchi, Un altro

po’ di diluvio di Luisito Pellisari, Muro della notte di Giovanni Ramella

Bagneri e La lepre nei campi di Francesco Serrao.

Anticipa di un anno la pubblicazione della prima raccolta a solo dell’autrice, la

rivista Prato pagano, che nel 1980, sul n.2 pubblica il poemetto Teresino,

poesia che chiude la raccolta omonima edita nel 1981 dalla Società di Poesia &

51 V.L., L’amore mio una volta l’ho incontrato, in Teresino, cit., p.13 52 Poi in L’amore mio è buonissimo, cit., p.52; e in Teresino, cit., p.26 53 Ibidem; e in Teresino, cit., p.29 54 Poi in L’amore mio è buonissimo, cit., p.52 55 Poi in Teresino, cit., p.29 56 Poi in L’amore mio è buonissimo, cit., p.53; e in Teresino, cit., p.25 57 B.Frabotta (a cura di), Donne in poesia, Savelli, Roma 1976, pp.73-74 58 B.Frabotta (a cura di), Donne in poesia, ivi, p.23

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Guanda. Con questa raccolta Vivian Lamarque vince il Premio Viareggio

Opera Prima con la seguente motivazione:

l’incanto della fiaba e le spine della realtà, riscontrandosi in una forma artistica di rara grazia e limpidezza, concorrono ad attuare un risultato di notevole rilevanza critica e una poesia intimamente giovane, accattivante, aperta a molteplici livelli di lettura, che autorizza a guardare con sicura fiducia alle future prove dell’autrice.59

Nel 1984 Vivian inizia il percorso analitico col Dottor B.M. e nel 1986,

pubblica in anteprima sull’antologia Poesie d’amore cinque brevi

componimenti con un titolo che si ripete: Il signore sognato; Il signore

dispettoso; Il signore accarezzabile; Il signore lontano; Il signore tesoro. Nello

stesso anno, presso la casa editrice Crocetti, esce Il signore d’oro, raccolta

composta dai “signori” già pubblicati nell’antologia e di altri settantaquattro

inediti. Nel 1989 esce Poesie dando del Lei, nuova opera edita da Garzanti e

anch’essa dedicata al percorso psicanalitico dell’autrice. Lo stesso argomento è

trattato dall’opera successiva della poetessa, Il signore degli spaventati,

pubblicata nel 1992 dalla casa editrice toscana Pegaso, insignita in quell’anno

del Premio Montale.

Un altro premio, il Premio Pen Club, viene vinto dalla Lamarque per Una

quieta polvere, edita nel 1996 da Mondadori. Sempre la casa editrice milanese

allestisce un opera che comprensiva di tutte le raccolte precedentemente

pubblicate dall’autrice, in occasione dei trent’anni dall’esordio poetico della

Lamarque nel 1972 su Paragone, con l’aggiunta di trentatre testi inediti.

Intitolato Poesie 1972-2002, la raccolta nello stesso anno vince il Premio

speciale Camajore.

L’autrice, che alla scrittura poetica da sempre affianca la produzione di

letteratura per l’infanzia, nel 2004 si cimenta in un’opera poetica per il suo

giovane pubblico, Poesie di ghiaccio, pubblicata nella collana Pesci d’argento

da Einaudi Ragazzi, con illustrazioni di Alessandro Sanna.

Nel 2005 Vivian Lamarque vince il Premio Elsa Morante come Figura

Femminile Internazionale per l’opera poetica e l’anno successivo, nel 2006, le

viene assegnato il Premio Cardarelli-Traquinia per la sezione Poesia. Riprende

59 F.Bogliari (a cura di), Premio Viareggio 1976-1985, Diapress, Milano 1987, p.93

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il sodalizio con la casa editrice Mondadori nel 2007, con la pubblicazione di

Poesie per un gatto, duetti fra l’autrice e il suo gatto Ignazio.

Nel 2009 escono due volumi di poesie della Lamarque: il volume di poesia in

dialetto milanese a cura di La gentilèssa, pubblicato per la casa editrice

Stampa di Varese ne La collana curata da Maurizio Cucchi, e una seconda

raccolta per bambini Poesie della notte realizzata per Rizzoli sulle musiche di

Chopin con illustrazioni di Sophie Fatus.

Sempre per l’infanzia è la raccolta Poesie di dicembre, edita da Emme

Edizione nel 2010 e ripubblicata nel 2011 dalle triestine Edizioni EL,

modificandone il titolo in Neve neve dove sei? ma mantenendo le illustrazioni

di Alessandro Sanna.

4. Letteratura per l’infanzia

Vivian Lamarque oltre ad essere conosciuta e prolifica poetessa, è nota e

apprezzata scrittrice per bambini sempre illustrati con belle immagini di

disegnatori60 sia per i libretti che per gli albi illustrati.

Proprio nel 1981, lo stesso dell’uscita della sua prima raccolta poetica, l’autrice

esordisce anche nelle letteratura per l’infanzia, con un piccolo libro composto

da cinque fiabe intitolato La bambina di ghiaccio e altri racconti di Natale,

edito dalle Edizioni EL, pubblicato nel 1992 anche a Parigi, tradotto in francese

dall’autrice stessa61.

E’ del 1984 la seconda opera per l’infanzia della Lamarque. La storia intitolata

La bambina che erano due, viene pubblicata sulla rivista Psychopatologia, n.2,

del dicembre 1984, con testo a fronte tradotto in inglese da Egidia d’Errico:

The little girl who was two.

60 Maria Battaglia, Alessandro Sanna, Nicoletta Costa, Pia Valentinis, Angelo Ruta, Giulia Orecchia, Donata Montanari, Manuela Santini, Anna Curti e altri . 61 V.L., La petite fille de glace, Ipomé-Albin Michel, Paris 1992

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Per le edizioni Paoline nel 1989 esce Il libro delle ninne nanne, che l’autrice in

un’intervista62 racconta di aver scritto per la figlia, che alla pubblicazione del

testo ha ormai ventun anni.

Seguono nel 1991 La bambina e la montagna63, racconto scritto per una

raccolta regionale Rusconi e nello stesso anno un piccolo libro per bambini

piccolissimi, L’orsalfabeto spiritoso, edito da Nuova Edibimbi.

Nel 1992 la casa editrice Mursia pubblica la fiaba La bambina che mangiava i

lupi, alla quale segue La bambina senza nome nel 1993, per la stessa casa

editrice. Spiega l’autrice in un’intervista:

Per anni ho scritto poesie e fiabe unicamente perché dentro avevo poesie e fiabe che volevano essere scritte. Basta leggere i titoli delle mie prime fiabe per rendersene

62 G.Borghese, Vivian Lamarque: le fiabe dell’infanzia e l’amore di oggi in un breve respiro, in “Corriere della Sera”, 19 marzo 1989 63 V.L, La bambina e la montagna, in Bella Italia perché le leghe? Uno scrittore per ogni regione d’Italia, a cura di M. Costanzo, Rusconi, Milano 1991, pp. 42-7

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conto: “La bambina senza nome”, “La bambina di ghiaccio”, “La bambina che mangiava i lupi”…64

L’interesse per il mondo esterno che l’autrice mostra nel 1996 con la raccolta

poetica Una quieta polvere, si ritrova già nell’anno precedente anche nella

letteratura per l’infanzia, con la pubblicazione del racconto sull’antisemitismo

durante la seconda guerra mondiale, Arte della libertà : il sogno di Sara65. Del

1996 è invece la fiaba Il Bambino che lavava i vetri, per le Edizioni C’era una

volta, con la quale Vivian Lamarque ottiene il Premio Rodari.

Continua la serie delle bambine con La bambina che non voleva andare a

scuola del 1997 e Cioccolatina la bambina che mangiava sempre, del 1998,

entrambe storie con finalità educative: l’importanza e la bellezza dell’imparare

è raccontata nella prima fiaba, edita da La Coccinella, mentre invita ad avere

una corretta e sana alimentazione il libretto Bompiani. Nel 1999 escono tre

libri per bambini della Lamarque che continuano il filone educativo della

produzione favolistica dell’autrice: UNIK, storia di un bambino unico, per

Bompiani; Coloriamo i diritti dei bambini e il racconto La bambina Non-Mi-

Ricordo, pubblicato in Il tempo dei diritti, entrambi editi dalla casa editrice

Fabbri.

Ritornano sui toni delle prime favole sulle bambine La minuscola bambina B66

e La pesciolina innamorata67, usciti nel 2000, come anche La bambina Quasi

Maghina del 2001 per la casa editrice Fabbri. Nello stesso anno esce a Torino,

presso Castalia, La luna con le orecchie, mentre a Trieste la Emme Edizioni

pubblica Piccoli cittadini del mondo, fiaba che ripropone la tematica educativa

interrotta nelle ultime edizioni.

Nel 2003 escono Fiaba di neve68 e La Timida Timmi69, mentra l’anno

successivo la Fabbri pubblica La gallinella disperata, mentre Emme Edizioni

con Stella dei Pirenei ripropone una storia che ricorda le montagne e la neve,

tanto care all’autrice originaria del trentino. La stessa tematica torna con le Tre

64 http://www.adolgiso.it 65 V.L., Arte della libertà. Il sogno di Sara, Mazzotta, Milano 1995 66 V.L, La minuscola bambina B, Feltrinelli, Milano 2000 67 V.L., La pesciolina innamorata, Colors Edizioni, Genova 2000 68 V.L., Fiaba di neve, Castalia Casa Editrice, Torino 2003 69 V.L., La Timida Timmi, Piemme junior, Milano 2003

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storie di neve che l’autrice pubblica nel 2006 con la casa editrice Fabbri, e

dello stesso anno è l’ambientalista Storie di animali per bambini senza animali,

pubblicato per Einaudi Ragazzi. Per questa casa editrice la Lamarque scrive

altre tre raccolte di brevi e divertenti racconti: Mettete subito in disordine!

Storielle al contrario nel 2007, La bambina bella e il bambino bullo e altri

bambini e bambine nel 2008 e I bambini li salveranno (Chi? Gli animali) nel

2010.

Ripropone la fantastica storia di una bambina con una qualità speciale la fiaba

de La bambina sulle punte, uscita nel 2009 per la Mondadori, mentre di un

mondo immerso nella neve tanto amata da Vivian scrive nelle poche parole

dell’albo illustrato Nel bianco, pubblicato nel 2010 dalla casa editrice La

Margherita.

Dal 1999 al 2007 l’autrice intraprende per le edizioni Fabbri un lavoro di

ritrascrizione di opere musicali in cave fiabesca, cominciando con Il flauto

magico. Dell’opera di Wolfgang Amadeus Mozart, col quale vince nel 2000 il

Premio Andersen. Seguono al fortunato esordio, nel 2001 Petruska. Dall’opera

di Igor Stravinskij, nel 2002 Il lago dei cigni di Cajkovskij, l’anno successivo

escono Pierino e il lupo. Dalla favola musicale di Sergej Prokofiev e Lo

schiaccianoci e il Re dei topi, di E.T.A. Hoffmann. Nel 2007 la raccolta di brevi

racconti Pezzetti d’infanzia. Dalle Kinderszenen di Robert Schumann conclude

la serie di fiabe della Lamarque ispirate alle grandi opere musicali.

I racconti e le storie che l’autrice scrive, sono dolci e leggeri, ma anche ironici

e ambigui, proponendo spesso quei giochi di parole tanto cari alla poetessa. Se

già nella poesia è il mondo dell’infanzia e della fantasia ad essere protagonista,

a maggior ragione nei suoi testi di letteratura per bambini può accadere di tutto,

nonostante permanga un senso di quotidianità che attualizza ogni sua

narrazione ricollegandola al mondo degli adulti pieno di impegnato e sempre di

fretta e che spesso ha da imparare dai bambini.

Fiabe giuste per i bambini e per i bambini invecchiati che noi siamo, ancora disponibili a godere di ciò che, non funzionale e non incombente, gli sciocchi chiamano futile, e che dura ben oltre le meste necessità del vivere.[…] Aver conservato nella epifania della parola la chiara naturalezza del suo nascere, è ciò che

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fa il miracolo della poesia, la sua capacità di comunicarsi in stupore e incanto in chi le si avvicina. Per questo le fiabe dovrebbero scriverle i poeti.70

5. Le traduzioni

La produzione di fiabe dell’autrice non si compone solo di suoi testi, ma anche

di numerose traduzioni da autori contemporanei e classici di letteratura per

l’infanzia, soprattutto francesi e tedeschi. Nel 1983 pubblica per le edizioni

Guanda Sole di notte di Jacques Prevert, riedito poi nel 1998 dalla casa editrice

TEA con introduzione di Giovanni Raboni, mentre sempre per Guanda sono gli

Scritti sull’arte di Paul Valéry, usciti nel 1984. L’ultima traduzione poetica

dell’autrice è del 1987 con il lavoro per la casa editrice SE su Baudelaire

intitolato Lo spleen di Parigi: piccoli poemi di prosa. Dopo questa

pubblicazione, l’autrice inizia una prolifica attività di traduzioni di libri per

bambini.

Proprio in francese è la prima prova di trascrizione di una fiaba La petite fille

de glace dall’italiano al francese, traduzione del suo libretto di racconti La

bambina di ghiaccio e altri racconti di Natale per la pubblicazione parigina del

1992 con la casa editrice Ipomé-Albin Michel,mentre nel 1996 Vivian

Lamarque collaborando con la De Agostini pubblica la sua prima fiaba tradotta

in italiano: L’intrepido sartino, dei fratelli Grimm.

Nel 1997 con Pit, il piccolo pinguino di Marcus Pfister l’autrice inizia a

collaborare con la casa editrice di Pordenone Nord-Sud per la pubblicazione di

una serie di fiabe di autori tedeschi contemporanei. Del 1997 infatti sono anche

Miu, gattino di mare: storia di una vacanza di Wolfram Hanel e Tutti lo

chiamavano Pomodoro di Ursel Scheffler, e mentre per la Rizzoli traduce

Storia del piccolo Mouck, di L.F.Céline, nello stesso anno, il 1998, continua la

collaborazione con la casa editrice Nord-Sud tornando a lavorare sui libri di

Marcus Pfister con Nuovi amici per Pit. Nel 1999 pubblica la versione italiana

di Pit e Pat e Ciao ciao, Pit!, concludendo il ciclo di quattro racconti

dell’autore svizzero dedicati al personaggio del pinguino Pit. Sempre nel 1999,

70 G.Lagorio, Così dalle poesie nascono le fiabe, in “Corriere della Sera”, 23 dicembre 1990

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e sempre per la Nord-Sud, Vivian Lamarque traduce Il topo di campagna e il

topo di città di Bernadette Watts, mentre del 2000 sono il racconto di Coby Hol

Come è nata la luna e la storia di Aurora di Binette Schroeder. Ma nel 2000

l’autrice collabora anche con la Fabbri Editori pubblicando un classico della

letteratura per l’infanzia, Il principe felice di Oscar Wilde.

Continua il lavoro per la Nord-Sud, con la traduzione nel 2001 di due libri per

bambini dall’inglese: Il viaggio senza fine di Fulvio Testa e Per chi è il

mondo? di Tom Pow. Nello stesso anno riprende però a lavorare sugli autori

tedeschi, scrivendo la versione in italiano di La piccola indiana Foglia

Danzante: una storia di Geraldine Elschner. Nel 2002, dopo la pubblicazione

di Sei malato, Berto? di Katja Reider e di Fino ai confini del mare di Hermann

Moers, la Lamarque traduce, per la stessa casa editrice, due racconti dal

francese: Rosso Timido di Gilles Tibo e Fratellino lupo di Danièle Ball-

Simon. Sempre nel 2002, per la casa editrice Fabbri per la quale aveva già

tradotto Wilde, traduce un classico della letteratura per l’infanzia russa:

L’uccello di fuoco. Una fiaba russa, come un altro classico pubblice nel 2004

sempre per la Fabbri: L’usignolo dell’imperatore. Dalla fiaba di

H.C.Andersen.

6. Corriere della Sera

Vivian Lamarque inizia la sua collaborazione al “Corriere della Sera” nel 1992

vivendo il cambio di direzione della testata giornalistica da Ugo Stille a Paolo

Mieli. Il 23 aprile 1997 Mieli viene nominato Direttore editoriale del Gruppo

RCS e lascia la direzione a Ferruccio de Bortoli, nello stesso anno l’autrice

intensifica la collaborazione al giornale, successivamente alla chiusura

dell’istituto privato in cui insegnava.

Oltre che sul Corriere l’autrice scrive sui suoi inserti, tra cui IoDonna e

TvSette, su quest’ultimo settimanale tiene una rubrica fissa, Gentilmente i cui

articoli pubblica nel 1998 raccogliendoli nel volume Gentilmente: (cari giudici,

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gentili gerani), edito da Rizzoli. Sono lettere da lei indirizzate per quasi un

anno, a persone e cose, dalle pagine del settimanale "Sette",

brevi messaggi che spesso vanno a finire in versi, si rivolgono a conosciuti e sconosciuti, umili e potenti, ma anche a fiori, a case, a paesaggi o animali. Sono proteste e lodi, interrogazioni, invocazioni e ringraziamenti. […] brevi scritti, tutti beneducati, tutti gentilissimi, ma pieni fino all'orlo di fuoco. Fuoco che s'indirizza certo contro sbadataggini, cretinate, follie e ingiustizie del mondo, ma anche, semplicemente, contro tutto quello che va storto alla stessa autrice, contromano e contropelo alle convinzioni e ai pensieri suoi. Voce d'insieme che e' il suo messaggio di sempre, che ritroviamo in tutta la sua opera, nei libri per bambini come nelle poesie per adulti, e che si ostina a rivendicare per noi il diritto all'umanità, sia pure inquinata, assediata e semisommersa.71

Proprio questo concetto ribadisce l’autrice in un intervista, a proposito del suo

lavoro per la testata giornalistica:

Scrivo molto anche per i giornali e lì, sotto sotto, senti una patetica donchisciottesca testardaggine da aspirante strampalata “miglioratrice di almeno qualche millimetro di mondo”.72

Durante una conferenza del marzo 2012 l’autrice, in uno scambio di battute col

direttore de Bortoli racconta:

Anche il Corriere della Sera mi ha accolto a braccia aperte, non a nove mesi… però da una ventina d’anni circa scrivo un po’ sulle pagine degli animali, un po’ su quelle culturali che fa rima con animali, e soprattutto sulle pagine di Milano questa rubrica: Gentilmente.73

71 I.Bossi Fedrigotti, Vivian Lamarque, diario di un anno in forma di poesia, in “Corriere della Sera”, 11 giugno 1998 72 http://www.adolgiso.it 73 Intervento di V.Lamarque al ciclo di incontri Città amica, città nemica, ass.culturale Ambrosianeum, Milano 28 marzo 2012

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CAPITOLO II

TERESINO

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1. Genesi e Storia

Teresino uscì a Milano presso l’editore Guanda, per la Società di Poesia, nel

1981. Prima raccolta autonoma di Vivian Lamarque dopo le pubblicazioni su

riviste e sui Quaderni Guanda 74, viene riedita poi nel 2002, nell’opera omnia

uscita per i tipi della Mondadori.

Vivian da Tesero si trasferisce a Milano, ma il ricordo della città natale non

sparisce del tutto, sembra anzi ritornare proprio nel titolo della raccolta

Teresino, quasi anagramma di Tesero. Nell’edizione 2002 Rossana Dedola

segnala, però, che il titolo dell’opera richiama alla memoria anche Terezin75,

il campo di concentramento nazista riservato ai bambini.

74 Prima del 1981 Vivian Lamarque ha pubblicato poesie su Paragone (1972), Nuovi argomenti (1973), nell’antologia Donne in poesia (1976), nel secondo quaderno collettivo di Guanda (1978), su Quinta generazione (1980) e su Prato pagano n.2 (1980). 75 Il ghetto di Terezin ( Theresienstadt) si trova a circa 60 chilometri da Praga. Edificato nel 1780 da Giuseppe II come complesso fortificato, fu così chiamato in onore della madre Maria Teresa. Dal 24 novembre 1941 fino alla liberazione, l’8 luglio 1945, i tedeschi lo utilizzarono come ghetto speciale, dove raccogliere gli ebrei non subito destinati allo sterminio. Da qui partirono circa 35.000 detenuti verso i vicini campi di Auschwitz e Treblinka. Passarono per Terezin 150.000 ebrei, la popolazione media era di 30.000. Molti abitanti del ghetto di Terezin erano bambini, circa 15.000. Dopo la guerra non ne ritornò nemmeno un centinaio e di questi nessuno aveva meno di quattordici anni. Oltre alle condizioni igieniche e abitative e il problema della fame, un’altra fonte di sofferenze per i bambini era il distacco dalle loro famiglie e dalla loro madre. Per un certo periodo i prigionieri adulti riuscirono ad alleviare le condizioni di vita dei ragazzi facendo sì che vivessero insieme nel collettivo infantile (case per bambini), che aiutava specialmente sotto l’aspetto psichico. Nelle case operarono educatori e insegnanti prigionieri che riuscirono ad organizzare per i bambini una vita giornaliera e l’insegnamento clandestino: fondarono circoli di recitazione e di canto, facevano teatro per bambini, scrivevano poesie. Molti dei disegni dei bambini rappresentavano prati pieni di fiori e farfalle in volo, motivi di fiaba, giochi, ma su altri ritraevano motivi del ghetto di Terezin, la cruda realtà in cui i bambini erano costretti a vivere, le caserme e le baracche di Terzin, i guardiani, i malati, l’ospedale, il trasporto, i funerali e le esecuzione. Nonostante tutto però i piccoli di Terezin credevano in un futuro migliore. Espressero questa speranza in alcuni disegni in cui hanno raffigurato il ritorno a casa, anche se la stragrande maggioranza dei bambini di Terzin morì. Il 23 giugno 1944, alcuni ispettori della Croce Rossa Internazionale visitarono una parte del ghetto. Precedentemente alla visita, i nazisti si adoperarono per dare ad alcune sue parti un aspetto dignitoso in modo che facesse da “vetrina”. Fu girato addirittura un film di propaganda per ordine di Himmler. Per l’occasione fu organizzata una rappresentazione dell’operina per ragazzi e orchestra di Hans Kràsa, Brundibàr. Oggi l’opera è diventata il simbolo della sofferenza dei bambini nel ghetto di Terezin. (www.lager.it/ghettoterezin.html)

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Accanto ad ogni poesia viene riportato tra parentesi un numero, che indica

l’ordine cronologico di scrittura dei testi, composti tra il 1972 e il 1980. Circa

l’origine e le date di stesura, il volumetto reca in chiusura la nota:

Il numero che accompagna le poesie indica in l’ordine cronologico di composizione. La struttura del libro ha determinato una successione diversa.

In indice, per ogni sezione viene indicato l’arco temporale di composizione

delle poesie:

Conoscendo la madre (1972-79) L’amore mio è buonissimo (1974-75) Il primo mio amore erano due (1972-79) Il tuo posto vuoto (1977-79) Ho una bella bambina (1972-79) Poeti (1977-80) Teresino (1980)

Vivian Lamarque ha trentacinque anni quando pubblica la sua prima raccolta

Teresino, questo perché ha maturato a lungo la sua scelta. A lunghissimo.76

L’arco temporale di stesura delle poesie pubblicate va dal 1972 al 1980, ossia

dai ventisei ai trentaquattro anni d’età dell’autrice. Nell’intervista con Silvio

Soldini, l’autrice sfoglia il registro sul quale prendeva nota delle poesie scritte

ogni anno:

Nel ’64, trentotto, vedi che poche, poche. Ecco, ’72, che è l’anno in cui mi sono trasferita in quella casa col giardino, 245, quasi una al giorno. Qua ci son tutti i titoli. Nel 73, ecco, già il crollo, 58. Poi sempre meno. Nel ’76 due poesie solo, fossi una ditta ci sarebbe il crollo in verticale.77

Dal 1971 Vivian vive nel quartiere QT8 a Milano, con il marito Paolo, la figlia

Myriam e alcuni amici. E’ un periodo che l’autrice ricorda come un momento

di vita, per qualche tempo speciale, poi… gli anni più disturbati, dal punto di

vista mentale (nel 1984 inizierà un percorso di analisi). E parlando di quegli

anni ricorda: scrivevo continuamente. E aggiunge:

76G.Mozzato, Intervista a Vivian Lamarque, in Albatross, http://digilander.libero.it/ccalbatross/poesia/lamarque.htm 77 S.Soldini, Quattro giorni con VIvian, in Gente di Milano, cit.

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Adesso sento un po’ la nostalgia di poter lavorare come lavoravo una volta. Avevo sempre lì il mio quaderno di poesie, stavo ore alle finestre, scrivevo, leggevo… ho un po’ di nostalgia di quei tempo. Perché se tu sei… non fai nulla, sei seduto da solo in casa, senti proprio le voci, senti la voce, senti i pensieri i versi. Se tu sei in mezzo… sei circondato dal rumore (no dal rumore della strada quello va bene) delle persone, delle richieste, delle… non senti più la voce. 78

Già nella raccolta L’amore mio è bellissimo parlando del periodo che stava

vivendo aveva scritto: di giorno dicono che non faccio niente/ ma lo nego.79

Questi sono gli anni vissuti con Paolo e con Myriam, la sua famiglia, come la

descrive in Io tra voi:

A letto, io tra voi come a volte siamo scivolati nel sonno tutti e tre da una parte e perciò vi sento respirare benissimo: una come ancora giocando e l’altro così familiare80.

Ma sono anche gli anni della separazione dal marito Paolo, del nuovo

abbandono che ritornano in tante poesie della raccolta.

Ridimensionare Quest’operazione che la costringete sempre a fare “ridimensionare” Non è come stringere un vestito Non è indolore Si taglia la pelle del cuore.81

Il 1972, in dicembre, è anche l’esordio poetico della Lamarque, che grazie a

Giovanni Raboni pubblica le Otto poesie su Paragone n.274. Da allora una

serie di pubblicazioni su riviste e antologie anticiperanno la pubblicazione di

Teresino del 1981, summa di tutto questo periodo poetico e di vita. Gli anni tra

il 1972 e il 1980 sono gli anni di presa di coscienza della propria vocazione

poetica e di uscita allo scoperto dell’autrice, che finalmente inizia a pubblicare

78 Ibidem 79 V.Lamarque, Ti scriverei, in L’amore mio è buonissimo, in Quaderni della Fenice 30, Guanda, Milano 1978, p.59 80 V.L., Io tra voi, in Teresino, cit., p.46 81 V.L., Ridimensionare, ivi, p.63

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entrando così nel panorama poetico del periodo. Infatti nel 1973 pubblica su

Nuovi argomenti, nell’antologia Donne in poesia nel 1976, nel secondo

quaderno collettivo di Guanda (L’amore mio è bellissimo del 1978), e infine

nel 1980 su Quinta generazione e su Prato pagano n.2.

1.1 Dalle poesie sparse alla raccolta

La raccolta Teresino ripropone testi precedentemente pubblicati nel 1972 su

Paragone e nel 1978 nei Quaderni della Fenice con L’amore mio è

buonissimo.

Vengono riprese nella raccolta del 1981 numerose poesie già pubblicate nel

1978 in L’amore mio è buonissimo per i Quaderni Guanda. Della prima sezione

del 1978, Pane e pesche, entrano nella raccolta Teresino quattro poesie: due

vengono inserite nella sezione Conoscendo la madre ( Aprile dal bel nome e

Amavo il gesso), mentre invece le ultime poesie della sezione, In mezzo a

indiani e Pinoli pinoli, nel 1981 sono nella sezione Ho una bella bambina. In

Aprile dal bel nome i vv. 9-10 Per dire donata/(o donanda) formavano un

unico verso nei Quaderni Guanda, e anche i vv. 2-3 e a scuola mi chiedevano/

perché di tanti nomi erano uniti nel 1978.

La sezione L’amore mio è buonissimo dell’edizione 1978, viene ripresa in

Teresino con lo stesso titolo e con la riproposta di dieci poesie82 delle diciotto

della sezione originaria. Ma nell’edizione 1981 le poesie vengono trascritte una

dopo l’altra, senza il titolo che invece avevano nei Quaderni Guanda. Inoltre le

due poesie L’amore mio che ha sonno e L’amore mio insonnolito non sono

riprese, ma la tematica viene rielaborata e riproposta nel 1981 in All’amore mio

si chiudono gli occhi dal sonno.

82 La sezione L’amore mio è buonissimo di Teresino, contiene le seguenti poesie già edite nel 1978 per i Quaderni Guanda: L’amore mio è buonissimo, L’amore mio quando era bambino, L’amore mio la prima volta, L’amore mio dice che sono un po’ distratta, L’amore mio capisce quasi tutto, L’amore mio chissà com’era, All’amore mio mi piacerebbe fare tanti piaceri, All’amore mio, Chissà se l’amore mio ci sarà, L’amore mio è cattivo.

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La raccolta del 1978 ha altre due sezioni: Levati bambina e Sogni. Quindici

poesie83 di queste sezioni vengono riproposte in Il primo mio amore erano due

di Teresino: dieci poesie di Levati bambina e cinque di Sogni. L’ordine con

cui vengono inserite nell’edizione del 1981 è completamente rivisto rispetto

all’edizione precedente. Resta invariato l’ordine di successione nelle due

raccolte solo per la poesia Era detto aquilone, che precede L’albero delle

ciliegie. In ordine inverso rispetto al 1978 risultano Prendimi a cuore e

Formica, nonché Senza occhiali intravedo, Lingua straniera (nel 1981 Di due

persone) e Così tante trame. Cambia il titolo di due poesie, che però restano

identiche per quanto riguarda il testo. Su non vedi che sono del 1978, in

Teresino diventa Formica, titolo che verrà mantenuto anche in Poesie 1972-

2002, mentre invece ritornerà il titolo Lingua straniera del 1978 anche

nell’edizione del 2002, che invece nel 1981 era stato modificato in Di due

persone.

Nel Teresino edito nel 2002 aggiunge al suo corpus due poesie di L’amore mio

è buonissimo che non erano state riprese nel 1981. Ne è da poco passata la

morte (già pubblicata su Paragone) viene inserita nel 2002 a conclusione della

sezione Il tuo posto vuoto, che invece nel 1981 si concludeva con la poesia

Fate piano, poesia che nel 2002 viene spostata al penultimo posto. Nella

sezione Poeti l’edizione 2002 inserisce anche Io senti ero tua moglie, già

pubblicata in L’amore mio è buonissimo nella sezione Sogni.

Dalle Otto poesie pubblicate su Paragone, la raccolta Teresino riprende le già

citate Quel gesto e Sempre più mi sembri oltre al componimento Sai la parola

mai?. Quest’ultima è riproposta con due variazioni: i vv.3-4 per esempio di

stare uno più avanti/ sulla sedia della versione di Paragone si uniscono a

formare il v.3 nelle edizioni successive con l’ellissi delle prime due parole del

verso, ottenendo: v.3 di stare uno più avanti sulla sedia; inoltre l’ultimo verso

83 Della sezione Levati bambina del 1978, l’edizione 1981 ripropone Levati bambina, Era detto aquilone, L’albero delle ciliegie, Ecco li presentano, Su non vedi che sono, Prendimi a cuore, Sempre più mi sembri (già pubblicata su Paragone nel 1972), Così tante trame, Lingua straniera, Senza occhiali intravedo; dalla sezione Sogni invece l’edizione 1981 prende E’ ora di dormire anima mia, Lo guardava, Quel gesto (già pubblicata su Paragone nel 1972), Eri la mia vicina, Andavi in chiesa, Io naturalmente volavo.

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della poesia in Teresino è posto tra parentesi, (sai la parola mai? fino in

fondo?).

Ulteriori varianti si riscontrano anche confrontando l’edizione di Teresino del

1981 con la versione pubblicata nella raccolta Poesie 1972-2002.

Il titolo del 1981 Conoscendo la madre si precisa nell’edizione 2002

diventando Conoscendo a 19 anni la madre, ma il testo poetico resta invariato.

I titoli delle tre poesie Vento I, Vento II, Vento III nell’edizione Mondadori

sono unite in un'unica poesia di tre strofe numerate coi numeri romani (I,II,III )

intitolata Vento. Si enfatizza ulteriormente il titolo dell’edizione Guanda di Il

primo mio amore con la ripetizione nell’edizione 2002 Il primo mio amore il

primo mio amore. In questo caso il gioco viene poi ripreso all’interno del testo,

sostituendo di nuovo il sintagma con la sua ripetizione : v.10 ma il primo mio

amore il primo mio amore/ erano due.

L’edizione Mondadori modifica il testo di altre poesie. In Sai la Rita viene

eliminata la parola smorfiettine che apriva il v.3. In Sole invernale si uniscono

i vv.1-2 Fa bene/ al mio male in un unico verso e nello stesso modo si opera

per i vv. 4-5 fa male/ al mio cuore. Al contrario in Tienimi nella versione del

2002 viene spezzato il v.2 del 1981 che diventa mangiami/ a Natale.

Viene decisamente ridotta la poesia Prendimi a cuore, che nel 1981 contava

dodici versi. L’autrice per Poesie 1972-2002 elimina la prima parte della

poesia lasciando solo gli ultimi cinque versi della versione Guanda: Prendimi a

cuore./ Dimmi di mangiare./ Potrei dimenticarmene/ o cadere dalla seggiola/

al primo segno di disinteresse.

Altra modifica evidente tra le due edizioni è la sostituzione della poesia Tu, che

concludeva la sezione Il primo mio amore erano due del 1981, con Caro nome

mio dell’edizione 2002.

Si aggiunge la dedica a Paolo e Miryam alla poesia Io tra voi a ulteriore

precisazione del soggetto della poesia nella raccolta del 2002 e anche la poesia

Regali di Natale si apre con una dedica, ma questa volta meno esplicita: a G.

Infine la disposizione sulla pagina. Apre la sezione Ho una bella bambina la

poesia Alla mia figlia gallinella, che nell’edizione 2002 viene lasciata come

unica poesia della pagina, cosa che non accade nel 1981. Situazione inversa per

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le poesie Poesia illegittima e Poesia malata che solo nel 1981 vengono poste

sulla stessa pagina, mentre nell’edizione Mondadori oltre ad essere su due

pagine diverse sono anche seguite e precedute dalle altre poesie della sezione,

annullando così l’effetto di isolamento dell’impaginazione dell’edizione

Guanda.

gemelli

2. Struttura della raccolta

Nel 1981 in occasione dell’assegnazione del premio Viareggio opera prima a

Teresino di Vivian Lamarque, Vittorio Sereni così scriveva sul n.42

dell’Europeo:

[…] fondato sul recupero e un’accorta distribuzione di singoli “pezzi” sottratti alla loro cronologia effettiva, finisce col farci partecipare a una storia personale magari facilmente decifrabile nelle sue fasi. Ma non è una storia che si vesta o si camuffi con dei versi: al contrario, nasce e piano piano si impone da una poesia all’altra, in una successione che quasi non ammette una sosta su questo o quel testo da privilegiare

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rispetto ad altri, sebbene sia poi inevitabile eleggere le proprie favorite come avviene per tutti i “canzonieri”.84

Autobiografia in versi, feuilleton come lo definisce l’autrice, Teresino

seleziona e organizza a posteriori le parecchie centinaia di liriche prodotte da

Vivian Lamarque, strutturando così un’attività poetica non preordinata, ma

sollecitata da eventi quotidiani in qualche modo privilegiati: un libro, quindi,

organizzato a posteriori, con quel tanto di escatologico che un atto del genere

implica sempre.85A questo proposito si ricordi l’indicazione dell’autrice stessa

in chiusura del libro, dove appunto si ricorda che la successione delle poesie

raccolte non segue l’ordine cronologico di composizione dei testi.

Muovendo dall’adozione all’età di nove mesi, Teresino narra della vita di

Vivian con la nuova famiglia, dell’infanzia, degli anni della scuola,

dell’incontro con Paolo Lamarque, cui segue il matrimonio, la nascita della

figlia Miryam, poi la separazione dal marito e la vita senza lui. L’autrice è

sempre protagonista o voce narrante. Filo conduttore di tutta la raccolta è la

vita vista e sentita da lei, Vivian dai tre cognomi ma che preferisce farsi

chiamare con quello rubato al marito, e che racconta di lei, del suo vivere e del

suo sentire in queste poesie, delle quali Raboni dice:

C’è da restare a bocca aperta davanti alla misteriosa semplicità, all’eleganza impalpabile e tuttavia quasi feroce di queste poesie.86

2.1 Sezioni poetiche

Teresino raccoglie 117 poesie organizzate in sette sezioni che scandiscono i

principali momenti della vita dell’autrice, più o meno esplicitamente:

84 V.Sereni, Cuore fa rima con intelligenza, in “Europeo”, n.42, 19 ottobre 1981, p.115 85 F.Zabagli, “Teresino” di Vivian Lamarque, in “Paragone”, n.382, dicembre 1981, p.79 86 G.Raboni in, R. Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, in Poesie 1970-2002, cit., p.V

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Conoscendo la madre, L’amore mio è buonissimo, Il primo mio amore erano

due, Il tuo posto vuoto, Ho una bella bambina, Poeti, Teresino.

Conoscendo la madre, prima breve sezione della raccolta, con sole sei poesie

sintetizza in modo chiaro ed efficace l’infanzia dell’autrice. Si inizia

dall’inizio, dalla nascita a Tesero con Aprile dal bel nome per poi ripercorrere a

passo cadenzato e sicuro i momenti determinanti dei primi anni di vita:

l’adozione, le origini valdesi. Un'unica poesia descrive le difficoltà

dell’infanzia a sette anni: le conseguenze dell’adozione, i tanti cognomi, la

difficoltà di esprimere ciò che provava, ma io parlavo poco./ […] Anche fuori

per via parlavo poco.87 Poi l’incontro con la madre naturale, a diciannove anni

(come specificherà nel titolo dell’edizione del 2002)88. La sezione si chiude

con Sarebbe stata, poesia al condizionale nella quale Vivian ripercorre la

propria infanzia.

La seconda sezione di Teresino riprende il titolo della raccolta del 1972,

L’amore mio è buonissimo. Alle dieci poesie dell’omonima sezione di quaderni

Guanda, l’autrice unisce altre diciotto brevi liriche. Le diciotto poesie sono

proposte una dopo l’altra, senza titoli, lettere maiuscole o segni di

punteggiatura. La sezione racconta l’amore-disamore per il marito Paolo,

L’amore mio. Tutte le liriche sono però percorse da un gioco di sottile ironia

che all’apertura innamorata della prima poesia, L’amore mio è buonissimo,

contrappone l’ultimo testo, che esprime esattamente il contrario dell’inizio:

L’amore mio è cattivo.

Facendo un passo indietro nel tempo , con la terza sezione Il primo mio amore

erano due, si ripercorrono le varie vicende e delusioni d’amore di Vivian. Le

poesie sono di nuovo proposte col titolo e il testo torna ad essere più lungo

rispetto alle liriche della seconda sezione. Così sebbene le poesie siano solo

ventitré, la sezione risulta più corposa della precedente. Di nuovo in apertura

una poesia dallo stesso titolo della sezione: Il primo mio amore erano due,

amore adolescenziale di Vivian per due fratelli gemelli (e nel 2002 una nota

87 V. L, Amavo il gesso, ivi, p.6 88 V.L, Conoscendo a 19 anni la madre, ivi, p.7

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specifica: Jurgen e Bernd Becker, a Colonia, amore adolescenziale, ma qui si

allude anche alle due madri). Seguono le due poesie del matrimonio e del

viaggio di nozze con Paolo. Un ricordo porta indietro, al momento in cui Paolo

e Vivian erano stati presentati e poi al loro innamoramento. Ma la conclusione

amara del ricordo che ormai si sta perdendo viene subito ripreso dalla lirica

successiva, Sai la parola mai?. Tutta la sezione è percorsa da un senso di

sconforto sempre più forte, interrotto solo un attimo, sul nascere, con le due

poesie Era detto aquilone (che però parla di un uomo innamorato non di

Vivian ma di un’altra donna, Maria) e L’albero delle ciliegie dove di nuovo

torna un senso di irraggiungibilità dell’amore, che si può solo guardare. Col

componimento Devastata si esplicita la sensazione che ci si trascinava dalle

poesie precedenti e che continua nelle poesie successive. Nelle ultime poesie la

sezione cambia tono, Vivian sembra più descrivere i suoi sogni d’amore,

rappresentando situazioni oniriche piuttosto che realmente vissute. Infine due

poesie, Quel gesto, che richiama l’idea dell’affetto paterno e Eri la mia vicina

dove Vivian cerca un rapporto di amicizia. La sezione nell’edizione del 1981 si

conclude con la poesia Tu dove l’interlocutore, il tu a cui ci si rivolge, torna ad

essere l’amato. Nell’edizione 2002 la scelta è molto diversa. La poesia Tu è

sostituita da Caro nome mio, dove di nuovo l’autrice ripercorre tutta la sua vita

fino ad arrivare a prima dell’adozione, nel grembo materno per infine

concludere dicendo: non sono mai nata.

Il tuo posto vuoto si apre con la durezza della parola Separazione, prima

poesia della sezione. Il testo però non parla del concreto atto di separazione dal

marito, ma delle conseguenze dell’abbandono, di quel posto vuoto che intitola

la sezione. Il tepore materno paterno coniugale/ le viene da uno scaldaletto

metallico/contenente acqua calda, recita in conclusione la prima poesia. Il

gioco dell’omonimia, per il quale il titolo della sezione riprende il titolo di una

poesia, continua anche questa volta col secondo testo, appunto Il tuo posto

vuoto, che continua la tematica introdotta col testo precedente: la separazione

vissuta nella quotidianità. Tutte le poesie della raccolta evidenziano la

solitudine di Vivian, sempre più sola, sempre più isolata. La terza poesia è un

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sogno Come ai tempi, ma nei testi successivi torna la difficoltà del vivere di

Vivian. Al mortificarsi perché incapace di vivere e di essere amata, passa a

rappresentarsi mentre parla solo con gli animali e le piantine, per poi intitolare

una poesia Non parla. Penultima lirica è Dell’intelligenza del cuore, quella

che Vittorio Sereni disse essere caratteristica innata di Vivian Lamarque.

Dell’intelligenza del cuore vi interessa poco nulla. Io vi sono marziana.

Ma dopo questo sfogo, con Fate piano Vivian torna al suo posto, di nuovo

sola, ma questa volta finalmente addormentata, sta sognando di essere amata

La sezione Ho una bella bambina sospende il senso d’angoscia e di

frustrazione che Vivian nella sezione precedente era riuscita un poco a sfuggire

solo dormendo, in Fate piano. La breve quinta sezione è composta da otto

poesie dedicate alla figlia Miryam, come recita la lirica di apertura Alla mia

figlia gallinella. Compare l’immagine della famiglia al completo nella terza

poesia, Io tra voi, che nell’edizione del 2002 dedicherà al marito e alla figlia.

Nel resto della sezione l’autrice racconta i giochi di Miryam ai quali a volte

Vivian partecipa, altre volte si limita a osservare felice, anche se non può

trattenersi dall’osservare: mia figlia e i suoi amici/ hanno in corso l’infanzia/ e

come avvertirli? Tutto questo in un susseguirsi di giochi e momenti divertenti

(riflessi anche nei titoli come In mezzo a indiani o C’era un castello) per

concludersi però con la poesia Funghi , dove accanto ai funghi buoni spuntano

quelli velenosi.

Composta da trentanove liriche, Poeti è la sezione più lunga della raccolta e

anche la meno lineare nell’organizzazione interna. La poesia Sui vetri della

finestra apre la sezione con Vivian che legge dichiarazione di non amore.

Seguono due poesie che richiamano l’universo infantile della sezione

precedente, ma nel suo lato spaventoso come è venuto il babau e non s’è vista

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più89 o in Lupo cattivo dove scrive Tutte se le sbranava/ ogni giorno un morso/

con impietosi denti affilatissimi.

89 V.L, Sai la Rita, in Teresino, cit., p.51

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I toni si smorzano nelle poesie successive, dove Vivian sembra di nuovo

cercare di ricreare una relazione, riconquistare affetto. Ma il tentativo diventa

sempre più insistente ed infantile, come in Tienimi oppure in Posso? Alle

poesie di richieste continue di affetto si alternano poesie oniriche, dove

l’illusione sembra realizzarsi, ma si conclude inevitabilmente male,

scontrandosi col reale:

Sera è ora di andarcene a dormire io e te di spogliarci accarezzarci e se uno di noi due qui non c’è allora vada solo l’altro a letto che ore saranno senti piove di nuovo aveva smesso.90

Il titolo della sezione viene ripreso anche questa volta, però modificato, con la

poesia Siamo due poeti, ma due poeti infreddoliti/raffreddati/ […] leggermente

malati. E al centro della sezione si trovano anche due poesie che parlano di

poesia, Poesia illegittima e Poesia malata. Così pure nella poesia successiva si

torna a ripetere il titolo della sezione nell’epigrafe: (non è la Musa della

Poesia/ è il tuo bel Muso di Poeta/ che mi ispira). Con questa poesia ritorna il

tono un po’ più giocoso e sognante, già incontrato precedentemente nella

sezione, in Pesce che vola, stemperato dalle tre poesie Vento I,II,III. Ritorna la

negatività delle prime poesie della sezione subito dopo con Precipizio.

Continuano così ad alternarsi illusione e disillusione nella continua ricerca

della condivisione di un affetto impossibile da ottenere.

Conclude la sezione la poesia In-fanzia (età del non parlare) dove Vivian si

scopre spaventata e sintetizza la sensazione provata e combattuta per tutta la

sezione che però si conclude sul verso tentare, propositivo e rappresentativo

di tutti i tentativi e i crolli della sezione, così altalenante nell’andamento

generale.

Un poemetto conclude la raccolta Teresino. Poesia lunghissima rispetto al

metro solito della Lamarque, raccontando “le avventure” di Teresino, riassume

e ripercorre tutto il percorso narrato nelle sezioni precedenti. L’ultima sezione,

90 V.L., Sera, ivi, p.53

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omonima della raccolta, si compone così di un’unica poesia, lunga filastrocca

di piccole strofe giustapposte. Il tono già nelle altre sezioni spesso sognante e

infantile, qui si estremizza, proponendo un racconto tutto in chiave onirica. Vi

guarda dal basso come i bambini, diceva appunto nell’ultima poesia della

sezione precedente, anche se con la sua lunghezza e le molte cose che descrive

si pone come contrario di In-fanzia (età del non parlare).

Teresino è la più recente composizione della raccolta ed ha una funzione palesemente

sintetica rispetto alle poesie precedenti; insieme rivela, forse la promessa di una svolta.

Vivian Lamarque, abbandonando il riferimento ai dati biografici minimi e

l’organizzazione diaristica, punta a un processo astrattivo svolto in quella dimensione

di favola a lei congeniale da tempo[…].91

2.2 Le Petit Pouchet

Otto epigrafi tratte dalla fiaba di Charles Perrault Le Petit Pouchet fanno da

cornice e da trait d’union tra le sezioni della raccolta. La storia di Pollicino

accompagna così l’autobiografia poetica Teresino come una esemplare storia

parallela e filtra la storia personale dell’autrice a cui dà una voce e un punto

di vista.92

I frammenti di fiaba, proposti in lingua originale in apertura di ogni sezione,

seguono lo svolgersi cronologico della vicenda del protagonista della fiaba di

Perrault.

Nella prima sezione, in cui Vivian Lamarque parla della propria adozione, i

genitori abbandonano nel cuore della foresta Pollicino e i suoi fratelli che

disperati ils se mirent à crier et à pleurer de toute leur force. Ma lui non si

dispera, perché grazie ai sassolini lasciati cadere lungo la via potrà condurre i

fratelli a casa, recita l’epigrafe a L’amore mio è buonissimo. In Il tuo posto

vuoto i bambini si sono ormai persi, e più si va avanti più ci si perde nel

profondo della foresta, riflettendo la sensazione di smarrimento delle liriche

91 F.Zabagli, “Teresino” di Vivian Lamarque, in “Paragone”, n.382, dicembre 1981, p.81 92 Ibidem

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della terza sezione. La foresta però concede une petite lueur: la figlia Miryam,

protagonista della sezione Ho una bella bambina . Con Poeti ritorna

l’atmosfera spaventata delle epigrafi precedenti. La citazione riporta infatti le

parole dell’Orchessa, che rivela ai poveri bambini spaventati che quella è la

casa di un Orco che mangia i bambini, non un luogo di salvezza, come

speravano. Così nella sezione anche le poesie soffrono della sofferenza

dell’autrice, si ammalano, muoiono. I bambini però riescono a fuggire proprio

grazie a Pollicino, come recita l’epigrafe alla sezione Teresino. La stessa

poesia Teresino sembra ridare speranza e voglia di vivere alla narrazione. Ma il

Teresino che chiude il poemetto è sparito, si rivela essere solo un sogno. Così

anche la citazione che chiude il libro non coincide con il lieto fine della fiaba di

Perrault. La Lamarque conclude prima il racconto:

“Ils coururent presque toute la nuit, toujours en tremblant et sans savoir où ils allaient”, si riferisce al momento in cui Pollicino e i suoi fratelli si allontanano di corsa dalla casa dell’Orco che ha appena tagliato la gola alle proprie figlie scambiandole per i fratellini.

Non c’è un vero e proprio punto d’arrivo, la fuga continua, rimane sospesa. La

raccolta risulta così

racchiusa all’interno di una vicenda di abbandono e fuga da una casa che invece di accogliere i bambini si è rivelata pericolosissima.93

2.3 Altre memorie

Altre citazioni, tratte questa volta dalla letteratura classica, vengono proposte

nelle sezioni Il tuo posto vuoto, Ho una bella bambina e Poeti.

Le prime due sezioni affiancano alla poesia d’apertura un breve frammento

della poesia di Saffo. Proprio il titolo della parte della raccolta dedicata alla

figlia Miryam è ripreso dai versi della poetessa greca posti accanto alla poesia

Alla mia figlia gallinella:

93 R.Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, in Poesie 1970-2002, cit., p.V

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Ho una bella bambina … Se mi date la Lidia intera io non la do se mi date l’amabile… io non la do.

La sezione Poeti, prestando fede all titolo, propone ben quattro citazioni dalla

letteratura antica: i poeti Asclepiade, Alceo, Orazio, e un frammento della

famosa fiaba di Fedro, Il lupo e l’agnello, che recita: superior stabat lupus.

Franco Zabagli, su Paragone, riguardo alle citazioni proposte dalla Lamarque

nel suo Teresino parlò di scelta –felicissima- di epigrafi davvero funzionali ai

testi, specie quelli dal Petit Pouchet […].

Va infine ricordata la citazione che apre tra parentesi la raccolta,

(curriculum/vitae cucù), tratta da una poesia di Tomaso Kemeny (anche lui

adottato, come Vivian Lamarque, e segnato dal confronto con due padri,

mentre l’autrice più volte parla delle sue due madri).

L'opera di Kemeny, è percorsa da un bisogno improrogabile di dar spazio al sogno, alla fiaba mitologica, ai sogni ad occhi aperti per entrare in contatto con una dimensione, quella del sogno e dell'inconscio, la sola che permetta di combattere proprio quel "tradimento quotidiano" di fronte al quale i mezzi dell'avanguardia appaiono al poeta troppo limitati.94

Con toni molto diversi dal poeta rumeno, anche Vivian Lamarque in Teresino

ci propone molte immagini oniriche e dell’inconscio, come fondamentale nel

suo stile è la dimensione della fiaba. E Rossana Dedola aggiunge:

Tutte le tappe della vita […] sono contrassegnate dalla perdita originaria che richiama ancora a sé tutta l’energia vitale e che costringe a un feroce e ossessivamente ripetitivo gioco del cucù per capire dalla reazione che si suscita negli altri se si esiste.[…] Il plurale “mamme” (della poesia Levati bambina ) ribadisce la presenza di una pesante doppia realtà che si ritrova anche nell’apparente più giocosa poesia della raccolta: “Il primo mio amore il primo mio amore erano due”. 95

94 http://tomasolkemeny.blogspot.it 95 R.Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, in Poesie 1970-2002, cit.,p.VI

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2.4 L’ abbandono

A dieci anni la scoperta di avere due madri le fa scrivere le prime due poesie:

La signora M. buona e La signora M. cattiva e proprio dall’evento traumatico

dell’adozione parte la raccolta del 1981.

Tutte le tappe della vita, l’innamoramento, il matrimonio, la maternità sono

contrassegnate dalla perdita originaria (cui si aggiunge, già tre anni dopo, la

morte improvvisa del giovane padre adottivo). Teresino è racchiusa all’interno

di una vicenda di abbandono e fuga da una casa che invece di accogliere i

bambini si è rivelata pericolosissima, la fiaba di Perrault Le Petit Pouchet.

Inoltre il titolo della raccolta ricorda il nome del paese natale dell’autrice,

ricordo indelebile, nonostante dopo quei primi nove mesi l’autrice abbia

sempre vissuto a Milano. Così il tema dell’abbandono apre la raccolta con

l’adozione. Nella prima poesia si spiega il suo terzo nome Donata per dire

donata/ (o donanda)96, nella poesia Nove mesi parla di frattura, e in Sarebbe

stata parlando in condizionale dice sarebbe stata davvero capace di essere

felice sottintendendo un se che evidentemente si riferisce alle vicissitudini della

vita, ma soprattutto all’adozione, che da valdesina l’ha fatta diventare

milanese (valdesina trascinata per una mano/ giù fino a Milano)97.

L’abbandono viene poi rivissuto nell’innamoramento, nel matrimonio, e

soprattutto nel suo fallimento. Già nella sezione L’amore mio è buonissimo

l’autrice scrive l’amore mio non lo sa come sono triste a stare sempre così/

senza l’amore mio per poi arrivare a dire l’amore mio l’amore mio quale

amore mio?/ l’amore mio non c’è/ se no certo non mi lascerebbe qui così per

poi concludere con che bello se l’amore mio c’era invece non c’è. La seconda

sezione (che nel 2002 scrive caro nome mio mi lasci sola98) preannuncia il

dolore e il ripetersi dell’abbandono esplicitati poi in Il tuo posto vuoto, che si

apre coi versi di Saffo: io dormo sola. L’altro è assente, come “un posto

vuoto”(in questo caso il tuo posto vuoto, cioè del marito) che

96 V.L., Aprile dal bel nome, in Teresino, cit., p.9 97 V.L., Valdesina, ivi, p.10 98 V. L., Caro nome mio, in Poesie 1972-2002, cit., p.28

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parla racconta chiacchiera ride forte non sta mai fermo si alza ritorna mangia avanza sempre un boccone ritaglia nel formaggio forme di animali

ma non può non rimanere il tuo posto vuoto a tavola/ a destra di Miryam/ è di

fronte a me. E il senso di abbandono è sentito anche nell’indifferenza dell’altro

dal quale non si vorrebbe essere stati lasciati: chiedi come campa Vivian/

usando il verbo campare/ perché del suo vivere/ non ti importa nulla. In Io tra

voi Vivian mentre osservala figlia giocare con gli amici si lascia scappare

hanno in corso l’infanzia/ e come avvertirli? Insinuando così quel ricordo della

sofferenza della sua infanzia anche nella serena sezione Ho una bella bambina.

Continua la tematica dell’abbandono e della conseguente assenza in Poeti, ma

in modo più variegato. A volte viene riproposta in modo giocoso o di ripicca

infantile, come quando scrive sai la Rita quella che hai visto tu/ è venuto il

babau e non s’è vista più99 o chiudo gli occhi per vederti meglio100 o anche in

Rebus difficile (?,?,?,?), dove il gioco enigmistico parte appunto come un

gioco per risultare però qualcosa d’altro, non solo incomprensibile, ma anche

pericoloso e concludersi dicendo se almeno tu mi aiutassi a capirci qualcosa

invece di far finta di niente. Altre volte il tono ritorna quello della sezione

precedente, E se uno di noi due qui non c’è scrive in Sera o in Vento I e III che

si aprono entrambi col verso non sei venuto questa sera all’appuntamento.

La raccolta si conclude con un altro abbandono, replica e sintesi di tutti i

precedenti, quello di Teresino, dove per quattro volte Vivian ripete Teresino

Teresino sparito.

99 V. L., Sai la Rita, in Teresino, cit., p.51 100 V. L., Nel bosco, ivi, p.54

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2.5 La ricerca d’amore

Ritornando al legame tra la cornice e la vicenda autobiografica narrata nelle

liriche, Vilma de Gasperin evidenzia il fatto che la fiaba francese Le Petit

Pouchet agisce nella costruzione del testo scandendone i diversi momenti, tutti

legati alla dimensione affettiva.

Nella sezione “L’amore mio è buonissimo” l’illusione di poter cancellare la ferita del passato costringe la persona adulta nella condizione impotente della bambina che chiede di essere amata; da questa dimensione infantile vengono le richieste, gli appelli, un bisogno d’amore e di attenzione insaziabili. Nell’altro viene ricercata una rispondenza assoluta, all’amore mio è demandata una funzione materna di nutrimento e di accadimento che l’io non è in grado di assumere su di sé. Il tuo posto vuoto rivela la difficoltà di questo tentativo segnando un’ulteriore esperienza di separazione. La sezione Poeti coincide con l’arrivo di Pollicino nella casa dell’Orco; qui l’amore è vissuto come totale dipendenza e sottomissione, come condizione non libera da cui può nascere solo una “poesia illegittima”.101

Zabagli, a tale riguardo sottolinea come Vivian Lamarque, dando alle varie

sezioni titoli come Conoscendo la madre, Ho una bella bambina o Il tuo posto

vuoto evidenzi da subito la condizione essenziale e necessaria alla sua poesia:

la presenza, l’assenza, comunque la ricerca, di un oggetto d’amore.102

Dimostra quindi come la tematica dell’abbandono sia fortemente legata

all’affannosa e mai sazia ricerca di affetto della protagonista.

Nella prima sezione della raccolta per quanto riguarda la tematica adozione-

abbandono, questo aspetto è visibilissimo in A nove mesi e nell’amarezza di

Sarebbe stata. Nei versi apparentemente più sereni di Aprile dal bel nome,

Vivian cerca di farsi una ragione della propria sorte investigando il significato

del proprio nome (io stessa con nomi curiosi/ di bei significati): il nome Vivian

starebbe quindi a significare che dovevo vivere/ (da una parte o dall’altra),

mentre il nome Donata viene letto come chiaro segnale di adozione. Così anche

nelle poesie la sostanza biografica ritorna nei moduli di una tipologia ricorrente

che evidenzia ulteriormente la dipendenza e la correlazione delle due

tematiche: l’urgenza di un amore fermo e assoluto non viene realizzato, causa

101 V. De Gasperin, in R. Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, in Poesie 1970-2002, cit., p.VI 102 F.Zabagli, “Teresino” di Vivian Lamarque, in “Paragone”, n.382, dicembre 1981, p.79

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la mancata rispondenza dell’altro, segue quindi immancabilmente l’inevitabile

trauma della separazione.

Lo schema è visibile soprattutto negli effetti adulti , in L’amore mio è

buonissimo, Il primo mio amore erano due e in Poeti,dove l’amore passa dalla

tenere effusioni alla dipendenza assoluta. Ti sono affidata fino alla maggiore

età/ […] dimmi di mangiare scrive in Prendimi a cuore, titolo che già esplicita

la richiesta di affettiva, in Formica mendica briciole, ovvero parole buone da

mettere via per l’inverno, sensazione che ritroviamo in Eri la mia vicina dove

si legge io alzavo gli occhi dal libro/ e poiché sorridevi/ giravo la testa e

dicevo/ guardi i pomodori che belli/ e domani il tempo chi sa, quasi la reazione

di Vivian fosse dovuta solo a un compiacere l’altro per l’attenzione

dimostratale.

Ma questa dipendenza affettiva equivale inevitabilmente all’essere preda,

concetto che si concretizza soprattutto nella sezione Poeti. Aspetto la tua

zampata scrive in Muso di volpe, poesia che fino a quest’ultimo verso

sembrerebbe solo un’amorevole descrizione, sensazione molto più forte e

spaventata in Rebus facile ( 9,10) e in Rebus difficile (?,?,?,?). Una figura

china a mettere tagliole:/ RE L’AZIONE PERICOLOSA scrive nella prima

poesia, per continuare nella successiva coi versi più confusi e allarmati:

Si vede un pollaio con dentro una gallina che ha paura […] una donna con un fucile […] non si capisce chi è in pericolo se la gallina (le ali sbattono forte ha molta paura) o la vecchia volpe (ha gli occhi furbi ma sta guardando il fucile),

per poi concludere con un o sconsolato se almeno tu mi aiutassi a capirci

qualcosa invece di far finta di niente.

Nelle poesie non sparisce nemmeno la consapevolezza che l’altro vive di una

vita inaccessibile ed è quindi superior e quindi lupus, come recita l’epigrafe di

Sui vetri della finestra. E’ la sezione Il tuo posto vuoto a raccogliere le poesie

della massima debilitazione, dell’amore assente o concluso. Si pensi

all’esplicito titolo della prima poesia Separazione, e al testo della lirica, dove

gli affetti traditi (il tepore materno paterno coniugale) sono ricercati in

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surrogati risibili, uno scaldaletto metallico/ contenente acqua calda, o come in

Fate piano, dove Vivian finalmente si addormenta, sognando di essere amata,

dolcemente cullata non dalla madre, bensì dalla televisione. Altre volte implora

attenzioni minime, sempre nel tentativo di conquistarsi quell’affetto, oggetto di

desiderio irraggiungibile, o comunque mai duraturo. Non lasciate che si isoli

così103 implora descrivendo la propria solitudine, Fate piano si è

addormentata104 bisbiglia al lettore quasi fosse madre di se stessa.

2.6 L’infanzia

L’infanzia unisce le due tematiche della ricerca d’affetto e dell’adozione:

In-fanzia (età del non parlare) Spaventata le sta succedendo di avanzare giorno per giorno indietro nel tempo adulta sta toccando il traguardo/ di un letto a forma di culla dal basso vi guarda le ombre giganti passate muovete le labbra le bocche lei non comprende la lingua spaventata vi guarda che andate di là piange vi vuole lì accanto toccarvi mettervi in bocca incantata vi guarda dal basso le ombre le bocche vuole scoprire decifrare la lingua vi chinate le date un gioco di gomma andate di là lei non riesce a parlare nel silenzio la sentite fare piccoli versi tentare.

Vivian Lamarque attraverso la paziente ricostruzione di una plausibile

sensibilità infantile, filtra ogni esperienza adulta , rendendola conforme a

una sorta di manicheismo elementare fatto di bambini persi, anzi abbandonati nel bosco e di invisibili lupi in agguato.105

103 V.L., Quasi San Francesco, in Teresino, cit., p.40 104 V.L., Fate piano, ivi, p.41 105 F.Zabagli, “Teresino” di Vivian Lamarque, in Paragone, n.382, dicembre 1981, p.80

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I gesti degli adulti sembrano compiuti da giganti, come i gesti dell’Orco per

Pollicino e i suoi fratelli. Proprio questo senso di inadeguatezza porta la donna

adulta ad affiancarsi ai veri bambini reclamando, fuori luogo e fuori tempo,

attenzione e quindi amore.

Già Vilma De Gasperin aveva sottolineato come nella sezione L’amore mio è

buonissimo l’autrice, persona adulta, venga costretta dalla sua stessa illusione,

nella condizione impotente della bambina che chiede di essere amata,106 di

poter in questo modo cancellare la ferita del passato. Tutte le richieste di affetto

e di attenzione derivano proprio da questa dimensione infantile. Vivian

bambina ha un bisogno d’amore e di attenzione insaziabili. Da qui la

sensazione di continuo fallimento affettivo e di abbandono e indifferenza delle

persone amate troppo. E’ il troppo amore (dato e desiderato) a portare la

protagonista a cercare nell’altro una rispondenza assoluta, che proprio per la

sua caratteristica di assolutezza appare già a priori impossibile da realizzarsi,

fallimentare.

All’amore mio è demandata una funzione materna di nutrimento e di accadimento che l’io non è in grado di assumere su di sé.107

Così in tutta la sezione, Vivian cerca di catturare l’attenzione dell’amato con

regali, piccole attenzioni, bigliettini:

l’amore mio non ha una poltrona molto comoda se l’amore mio era mio gliela compravo all’amore mio malato mi piacerebbe fare una sorpresa per esempio comprargli un libro che voleva lui io un giorno ho messo sotto il tergicristallo dell’amore mio un bigliettino all’amore mio mi piacerebbe fare tanti piaceri per esempio commissioni in centro o battere a macchina o delle cose anche un po’ noiose come per esempio fare le code.

106 V. De Gasperin, in R. Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, in Poesie 1970-2002, cit., p.VI 107 Ibidem

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Tutte le sue attenzioni però non vengono apprezzate come vorrebbe, così che

lei stessa è costretta a concludere l’amore mio purtroppo non vuole niente da

me. Di infantile però rimane l’insistenza, basti pensare che la constatazione del

disinteresse dell’altro è la quarta delle ventotto brevi liriche della sezione. E

così continua ad alternarsi all’illusione la disillusione, che porta ad amare

constatazioni, come di sicuro allora me lo sono sognata/ che bello se l’amore

mio c’era invece non c’è, disillusione che però non riesce a fermare il continuo

meccanismo di tentativo di conquistare il rassicurante (ma irraggiungibile)

affetto dell’altro.

La dipendenza affettiva dalla figura dell’amato investito della funzione

materna che nutre e accudisce continua nella sezione, Il primo mio amore

erano due, come Vivian esplicita chiaramente in Prendimi a cuore. Va inoltre

notato che con l’edizione 2002, che taglia i primi versi del componimento, si

acuisce l’effetto di disarmata dipendenza affettiva e vitale della protagonista

dall’amato, sensazione che nel 1981 era alleviata dal più consapevole e

realistico ( quindi anche più adulto) inizio: avere ancora quell’età/ che a

chieder certe cose/ non ti guarda nessuno in modo strano, anche se dopo le due

poesie successive, la Lamarque utilizza l’ambiguo levati bambina, riferibile a

sé stessa come alla figlia (o forse a entrambe).

La disillusione torna anche nei sogni, come in Quel gesto, dove l’affetto di un

gesto paterno de la mano sulla testa è fatto sul capo della piccola Vivian, solo

che avevo la testa molto più riccia/ -cioè io non sono riccia affatto, quindi non

era lei la destinataria dell’affetto sognato, di nuovo una delusione. In E’ ora di

dormire anima mia cerca di essere madre per se stessa, di cullarsi e consolarsi

da sola: perché non dormi? vengono i pensieri?/ Fa’ così con la mano che

vanno via. In Fate piano della sezione Il tuo posto vuoto la lirica si apre con

Vivian in posizione fetale108.

Nella sezione Poeti l’amore è vissuto come totale dipendenza e sottomissione,

condizione non libera da cui non può nascere altre se non una Poesia

illegittima frutto di un amore mentale e segreto del quale l’amato non sospetta

niente di niente. Continua però la richiesta di aiuto e di amore dalla prospettiva

108 V.L., Separazione, in Teresino, cit., p.37

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della bambina Vivian che dice tienimi ancora un po’preziosa/mangiami a

Natale109o che dall’esterno constata

Le sue ali infantili spiccano ogni volta felici il volo incontro a chi spara110.

Ritorna anche l’insistente tentativo di guadagnarsi l’amore dell’altro (come già

nella sezione L’amore mio è buonissimo)dove si dimostra l’amore per l’altro

con tanti regalini, senza riuscire ad ottenere l’affetto sperato, come accade in

Regali di Natale. La richiesta si fa a volte ancora più esplicita. Si pensi alla

lirica Posso? nella quale si succedono una dopo l’altra domande senza risposta,

che non desistono però dal continuare a chiedere:

Posso saltarti al collo? fare un sogno di te? guardarti e toccarti? assaggiarti un pezzettino? farmi i codini fischiare? giocare al lupo avere paura? mangiarmi tutta con la tua bocca? Sì?

Insomma, sia dalla scelta delle epigrafi, che dai testi poetici si può concludere

che ci si trova davanti a una storia di “grandi” riportata al livello puerile.

Sintesi e affinamento di quanto finora descritto è l’ultima sezione, Teresino,

dove la precarietà dell’unione e il male del distacco si risolvono in puri

simboli fiabeschi,

la lusinga e il rifiuto dell’altro diminuiscono nella fisionomia evanescente di un bambino fantastico che accetta di fare ai balocchi per dopo sparire a metà gioco.111

Proprio la prospettiva della fiaba si accosta al mondo infantile e giocoso della

raccolta Teresino, elaborazione fiabesca del dato quotidiano. Così nel poemetto

conclusivo l’autrice scrive senti ascolta questa fa/ vola che ti racconto vicino

al tuo letto/ di c’era una volta in una città lon/ tana lon tana, per poi

109 V.L., Tienimi, ivi, p.58 110 V.L., Le sue ali infantili, ivi, p.55 111 F.Zabagli, “Teresino” di Vivian Lamarque, cit., p.81

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concludere con c’era una volta il tempo/ passato c’era teresino/ ma poi è

volato […] avevo sognato un bambino/ a forma di teresino.

2.7 Il tema del doppio

Altro tematica incisiva nell’opera di Vivian Lamarque è il doppio.

La perdita e il ritrovamento, la serietà e il gioco, il desiderio e la realtà si

accompagnano ripetutamente nelle poesie di Teresino, tensione degli opposti

uniti e inconciliabili.

Fin dalle origini l’amore è duplice, ambivalente. Sdoppiamenti, reciprocità,

dualismi sono ricorsivi. Si pensi alla poesia Il primo mio amore erano due:

Il primo mio amore il primo mio amore erano due. Perché lui aveva un gemello/ e io amavo anche quello. Il primo mio amore erano uguali/ ma uno più allegro dell’altro e l’altro più serio a guardarmi/ vicina al fratello. Alla finestra di sera stavo sempre con quello ma il primo mio amore il primo mio amore erano due lui e il suo fratello gemello.

Il testo è tutto giocato sulla sua doppiezza, non solo tematica, ma anche nella

struttura sintattica e semantica. Simili-diversi oggetti d’amore, l’uno allegro e

l’altro serio. I due rivali in amore sono l’uno l’immagine speculare dell’altro,

fratelli gemelli, che non possono non richiamare alla mente l’immagine l’uno

dell’altro. E a questo gioco di specchi va aggiunta la nota in calce all’edizione

2002 che avverte di come l’allusione all’amore adolescenziale per i due

gemelli, alluda anche alle due madri. Due madri che ritornano nella poesia

Levati bambina, gioca più in là a mamma sempre di Il primo mio amore erano

due, sezione che già nel titolo stigmatizza l’importanza del tema nella biografia

dell’autrice. Il gioco dello sdoppiamento continua con Sempre più mi sembri,

dove Vivian si contrappone con un’altra donna (reale o fittizia), di cui l’amato

è innamorato. Qui, come nelle altre poesie, il gioco della ripetizione ritorna

anche nel testo, in questo caso con e so che con me questo non ha a che vedere/

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e so che con me questo non ha a che vedere. Confronta l’identica immagine

dell’amato guardato indossando gli occhiali o senza in Senza occhiali

intravedo. Nonostante lui resti sempre lo stesso, le due percezioni sono

completamente diverse, quasi si trattasse di due persone e due situazioni: senza

occhiali intravedo/ che quasi quasi mi vuoi bene/ […] ma con gli occhiali non

si scherza/ metto a fuoco perfettamente[…].

In Quel gesto alla bambina riccia del sogno si affianca la bambina Vivian,coi

capelli ricci, quindi non lei, eppure la poesia recita: quel gesto esatto/ m’è stato

fatto[...] e sempre di sogno sembra si tratti nella poesia Andavi in chiesa, dove

Vivian è sia sposa che invitata, quindi causa di confusione ed equivoco:

Andavi in chiesa per sposarti un’altra volta. Con la stessa persona di prima. Io stavo in mezzo agli invitati ma anch’io ero vestita da sposa. Certi si confondevano e fotografavano me ma tu chiarivi immediatamente l’equivoco.

Molto più esplicitamente le due mamme vengono nominate nella prima sezione

della raccolta, parlando dell’adozione. Della confusione e del disorientamento

determinato da questo cambio di madre si legge in A nove mesi, dove Vivian

dice di vedere solo copie e di non trovare l’originale: ogni volto ogni affetto/ le

sembrano copie cerca l’originale/ in ogni cassetto affannosamente. Così in

Valdesina si parla del nuovo presepe e della nuova mamma, mentre in Sarebbe

stata oltre alle due madri, compaiono anche i padri, che sparivano uno a uno.

Il tema del doppio e il gioco degli opposti ritorna anche ne L’amore mio è

buonissimo, quando scrive una cosa per subito affermarne il contrario. Così

avviene in L’amore mio certe volte mi fa piangere così tanto/ che non so più

come fare/ […] appena penso all’amore mio mi viene subito da sorridere,

oppure in l’amore mio l’amore mio non esiste dove nel verso di apertura si

riprende anche il gioco della ripetizione di il primo mio amore il primo mio

amore/erano due. In questo caso il componimento proporre anche il tema dello

sdoppiamento nei contrari, mostrando anche la sensazione di confusione e

dolore legata a questa sensazione che dall’età di nove mesi sembra

accompagnare Vivian:

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l’amore mio l’amore mio non esiste cioè esiste ma non è come lo penso io è abbastanza diverso non che sia peggiore ma comunque è un altro solo che io me lo dimentico e dopo quando me ne accorgo ogni volta è una tragedia.

Portatrice di una simile contraddizione è la stessa sezione , che si apre con

l’amore mio è buonissimo per concludersi con l’amore mio è cattivo.

In Poeti una poesia si intitola Destra o sinistra, mentre nelle tre poesie

intitolate Vento si alternano la presenza e l’assenza dell’amato

all’appuntamento con Vivian. Proprio nell’ultima parte della sezione sembra

Vivian si stia innamorando di un altro uomo, o forse dello stesso, amore

immaginato o forse solo ricordato: lo si ritrova in tutte le poesie, da Previsioni

del tempo fino a Reperto meraviglioso. Così di nuovo, seppur in veste diverse

si ripropone il tema dello sdoppiamento, che sempre crea confusione e

disorientamento.

2.8 Chi è Teresino?

Proprio Teresino diventa massima espressione di quel gioco di rimandi, di

travestimenti, di sdoppiamenti che hanno già percorso tutta la raccolta.

La storia di Pollicino, che filtra la storia personale dell’autrice a cui dà voce e

un punto di vista, nei suoi versi interferisce a tal punto da far sì che lo stesso

Pollicino, divenga l’ubiquitario polimorfo Teresino dell’ultimo conponimento.

Teresino minuscolino […] teresino filo di voce vocina scrive l’autrice,

richiamando sì l’immagine di Pollicino, ma soprattutto la più generica idea del

mondo dei bambini, dei piccoli, quel mondo infantile che tanto influenza la sua

poetica. Il personaggio Teresino non è quindi solo replica del piccolissimo

protagonista della fiaba di Perrault, ma anche sé e un altro sé, l’altro, il vicino-

lontano. Di nuovo quindi torna il gioco degli opposti che genera confusione e

ambiguità. Ambiguità che questa volta Vivian Lamarque porta agli esiti

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estremi in questa figura che riassume, riproponendo in sintesi astratta e

fantastica tutti il percorso biografico incontrato nelle precedenti sezioni.

All’inizio del libro di Lamarque si allude a un trauma, si parla di una frattura, di un cambio di madre e di un’esperienza di abbandono ripetuto da parte dei genitori. L’abbandono, l’indole contemplativa e silenziosa del sé, attento alle piccole cose del mondo catturate dalla lente d’ingrandimento dell’infanzia (mosche piume foglie), sono requisiti di Pollicino. Diversi i richiami alla fiaba, oltre agli esergo: “nel bosco nel cuore del cuore del bosco/ gli occhi dei lupi ti sbranavano poverino”, o “teresino che hai perso la strada prova/ a incamminarti di lì anzi/ no prova anzi teresino”. Teresino è il sé dell’autrice e un altro sé, l’altro vicino-lontano, perché è interno ed esterno, nel tempo e senza tempo, passato e presente, vegetale animale e umano, malattia convalescenza guarigione, adulto e bambino, padre e figlio, destra e sinistra, amante e amore, medico e paziente, sogno e realtà, simulacro e cosa vera, assenza e presenza, sparizione orma residuo: segnale. Teresino non ha età poiché ha tutte le età.112

Come nota Caddeo, proprio all’inizio del poemetto Teresino viene definito

bambino e piantina rara per poi definirlo senza età, o con tutte le età, vecchio

e bambino. Al v.6 quanti anni hai teresino tre quattro[…] e Vivian deve

accompagnarlo per mostragli a destra e/ sinistra della primavera, ma al v.9

Teresino è già vecchio, quanti anni hai teresino novantanove cento. Così

anche il teresino teresino malato del v.30 diventa subito dopo, al v.33, il

dottore di Vivian: anch’io mi sono malata/ visitami sto qui buona buona

sdraiata. Al v.138 Vivian scrive non andavi via per sempre la fine/ non era

ancora finita/durava tanto la vita, eppure alla fine Teresino sparisce, se ne va

via e quella narrata si rivela non essere nemmeno stata vita, come l’aveva

definito prima, bensì sogno, o vita sognata. Così la conclusione nega ciò che i

v.138-140 avevano precedentemente affermato: avevo fatto un bel sogno avevo

sognato un bambino/ a forma di teresino.

E sempre riguardo a Teresino e alla sua ambiguità Caddeo continua:

Grazie a lui e con lui gli opposti si invertono, le antitesi collimano, l’intero si suddivide e moltiplica (“ti seminavo spuntavano/tanti teresini”, “eravamo bianchi leggeri/ nevicavamo teresino”), l’uno nel molteplice il molteplice nell’uno, la morte partecipe della vita e viceversa, le palpitazioni della paura infantile del buio si intersecano e fanno gruppo con l’eros, il desiderio abbraccia il rimpianto. Teresino è poeta e poesia.

112 R.Caddeo, Contro mostri e draghi l’arma della scrittura, in “Concertino”, n.14-15, Milano, novembre 1995, p.23

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Interessante è anche il suggerimento che da questa affermazione ne consegue.

Se Teresino è sia poeta che Pollicino, allora anche i sassolini bianchi che

Pollicino aveva lasciato sul suo cammino per rintracciare la strada di casa,

possono essere considerati le poesie stesse che di questo amore ci parlano.

Entrambi sono mezzo per superare le insidie e le sofferenze legate a

un’esperienza di amore trovato e perduto, presente-assente, insistentemente

ricercato, ma non per questo raggiunto. A questo proposito si ricordi la

decisione dell’autrice di eliminare il lieto fine della fiaba di Perrault, facendo

così coincidere il non raggiungimento dei genitori di Pollicino con la non

realizzazione della ricerca d’affetto di Vivian. Eppure non tutto è perduto,

perché ci sono le poesie che come i sassolini di Pollicino, consentono il ritorno,

o una sorta di ritorno, perché raffigurano un percorso compiuto. Risvegliano la

memoria e la orientano. Ma queste poesie non sono solo come i bianchi

sassolini del primo ritorno di Pollicino, ma anche come le briciole del secondo

abbandono, sono deperibili. Una poesia della sezione Poeti si intitola Poesia

malata, e si è ammalata proprio per il disinteresse dimostrato dal destinatario,

che non le ha prestato l’attenzione dovuta:

appena tu l’hai letta distaccatamente senza fermarti e senza dirle niente si è sentita girare un po’ la testa si è appoggiata si è svestita si è messa a letto dice che è malata[…] come Mimì finge di dormire per poter con te sola restare.

E in L’amore mio è cattivo leggiamo anche che

le poesie si sono malate ecco e poi sono morte sono morte tutte e quattrocento e quel che adesso scrivo già non c’è più a meno che nel vento.

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2.9 Il tema dello sguardo

Nelle sue poesie Vivian spesso si descrive nell’atto di guardare, e la maggior

parte delle volte è proprio il verbo guardare il vocabolo prescelto, che solo

raramente è sostituito da sinonimi. Interessante è anche notare che nella

maggior parte dei componimenti il “guardare” sia legato a due situazioni: il

guardare l’amato o il guardare dalla finestra.

Per quanto riguarda il secondo caso, l’intervista di Silvio Soldini conferma

questo aspetto del modo di vedere (o guardare) dell’autrice. Raccontando al

regista di quando viveva al QT8 Vivian Lamarque dice: “E io stavo delle ore a

guardare dalla finestra”, lo stesso ripete guardando fuori dalla finestra di casa

sua: “Io starei tutto il giorno qua”, per infine concludere, proprio di fronte alla

finestra di casa:

”Tu prova a pensare di star sempre in casa, sempre da sola. Se guardasse su un interno mi intristirebbe, ma io qui, per esempio al mattino c’è sempre una ventina di persone che aspettano l’autobus, anche trenta. Diventan come dei parenti, li vedi tutte le mattine, sono lì che aspettano che… quello che mi manca appunto, non c’è una bella famiglia da guardare, di fronte. C’è l’ufficio e poi vedi, tutte finestre buie, lavorano tutti. E’ tutto spento, poi alla sera vedi la lucina azzurrina della televisione e basta. Non vedi le… da certe case invece vedi gli interni familiari. Da qua no. Nemmeno a andare in via Arimondi vedevi la caserma. Non vedo mai gli interni familiari.”

Aggiunge poi divertita :

“Guarda i piedi di quel signore sul tram, sul 14, vedi questi piedi qua? Sembra un signore senza testa, solo coi piedi. Che bei piedi. Ecco, tac si è alzato. Ecco”.

Una poesia della sezione Il tuo posto vuoto recita:

sta dietro i vetri un po’ più del normale intendo i vetri di casa se fossero vetrine allora sì che direste che è normale.113

113 V.L., Sta dietro ai vetri, in Teresino, cit., p.40

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Io sono il re del balcone che resta a guardare si legge nella sezione Ho una

bella bambina, ma questa volta il guardare passa all’atto concreto nel

componimento successivo, C’era un castello, dove Vivian gioca con la figlia in

giardino. La finestra, come prima il balcone, ritorna in un’altra poesia per la

figlia, La finestra delle farfalle, in cui Vivian mostra con allegro stupore le

piccole bellezze del loro giardino. Invita anche l’amato a guardare fuori dalla

finestra in I mattini ghiro mio, dicendo che la mattina è bello svegliarsi se

quando apri le finestre subito hai lì alberi perfetti immobili ma a guardar bene con anche un punto dove le foglie tremano per un uccello appena volato via al rumore della finestra.

In poesie più sofferenti le finestre tornano quasi come una barriera di vetro, che

impedisce il contatto con il mondo esterno. Ora davvero sembra ci si possa solo

limitare a guardare. In Levati bambina Vivian scrive disperata m’attacco al

vetro/ che tra un minuto casco e nella poesia d’apertura alla sezione Poeti con

dolore legge dichiarazioni di non amore scritte dall’amato proprio sui vetri

della finestra/ […] con un pennarello rosso. Eppure è proprio quella finestra ad

alleviare un po’ la sofferenza di lei, che tra un articolo e un sostantivo scorge

formine di cielo.114

Amaramente in L’amore mio è buonissimo scrive: l’amore mio non ha finestre

sulla strada/ l’amore mio poverino gode di una brutta vista. Il non vedere bene

e il non avere finestre da cui poter guardare rivelano ciò che più chiaramente si

esprime in l’amore mio non c’è, ossia il non amore dell’Amore mio.

Il guardarsi è proprio di ogni innamorato, ma nelle poesie di Vivian Lamarque

nessuno si guarda reciprocamente115. E’ sempre solo uno dei due che guarda

l’altro, molto spesso lei, qualche volta lui.

In Il primo mio amore Vivian e il gemello di cui si era innamorata stavano alla

finestra la sera, ma l’altro più serio scrive che stava a guardarmi/ vicina al

fratello, continuando il gioco di rimandi e sdoppiamenti. Il marito Paolo è

114 V. L., Sui vetri della finestra, ivi, p.51 115 V.L., Di due persone, ivi, p.30

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descritto guardare la moglie nella poesia che descrive il loro viaggio di nozze.

Compiaciuta Vivian si scopre a ripeter per ben due volte ti fermi la guardi che

mangia la neve/ ti fermi la guardi che mangia la neve.

L’immagine di un altro uomo innamorato ritorna con Era detto aquilone,

soprannome dato all’innamorato di Maria, che quando la vedeva pareva

innalzarsi/ portato dal vento e dall’emozione. L’idea del volo nella raccolta

rappresenta, insieme al guardare, l’innamoramento.

Io naturalmente volavo Sono passata dalla tua finestra che lavoravi con la testa piegata così io naturalmente volavo felice come chissà chi.

Nella sezione L’amore mio è buonissimo Vivian innamorata racconta: lo

guardavo tanto senza dire niente e in Lo guardava lei rimane impietrita per

sempre/ in quella posizione proprio per uno sguardo del marito, che la guardò

così profondamente solo un attimo, poco prima di mostrarle un dipinto.

L’amore è irraggiungibile ne L’albero delle ciliegie, dove di nuovo lei si limita

a guardarlo e a guardarlo/ a guardarlo lei perde colore. L’impossibilità di

questo amore ormai solo sognato apre la poesia Nel bosco col verso chiudo gli

occhi per vederti meglio; Posso/ guardarti e toccarti? chiede Vivian

nell’insistente serie di domande all’amato e nel sognante Tu conclude

scrivendo io ti guardo trasognata/ mentre mi usi le gentilezze le più svariate.

Nel contesto onirico del poemetto conclusivo, il verbo guardare torna nel testo

per ben sette volte. Ti voglio guar dare vieni, lo invita Vivian all’inizio della

lirica; alla fine però non solo Teresino non guarderà Vivan, ma nemmeno lei

potrà più vederlo,dato che era solo un sogno. Con l’affermazione Teresino

teresino sparito si ripropone così il tema dell’abbandono e dell’impossibilità

del raggiungimento di una relazione reciproca.

Il verbo guardare torna anche nelle poesie che narrano dell’infanzia di Vivian e

della sua adozione. In-fanzia (età del non parlare) intitola una sua poesia, e a

questo non parlare corrisponde un continuo guardare. Il “guardare” sembra

un’azione che le appartiene fin da piccola, quando dalla culla[…] / se ne stava

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ore e ore zitta e sorridente/ a giocare con le sue mani a guardare/ una mosca

che volava; dell’adozione ricorda: zitta guardava attorno/ il nuovo presepe/ la

nuova mamma.

2.10 La morte

Il ricatto affettivo che la bambina Vivian cerca di compiere ai danni della

persona a cui chiede insistentemente affetto si estremizza a conclusione delle

sezioni poetiche, introducendo la possibilità della morte. A questo proposito

chiarissimo appare questo tentativo nella sezione L’amore mio è buonissimo in

cui la persona adulta è costretta nella condizione della bambina impotente

proprio nell’intento di conquistare l’amore assoluto dell’amato, cercando di

cancellare le ferite e le delusioni affettive dei passati abbandoni. Derivano

proprio da questa dimensione infantile le continue e insaziabili richieste

d’amore e di attenzioni. Nessuno però sembra rispondere alle domande di

Vivian, così ecco l’ultimo tentativo: mettere l’amato di fronte alla possibilità

della morte, come per ricordargli che scaduto il tempo della vita non sarà più

possibile per loro due stare insieme.

Chissà se l’amore mio ci sarà quando sarò in punto di morte mi piacerebbe tanto di sì e che mi stesse vicino vicino tanto è l’ultima volta e che mi dicesse delle cose commoventi per esempio mi spiace molto che tu muoia.

Ma di nuovo Vivian è da sola nel suo immaginare il futuro, e così la possibilità

della morte è più che altro un ulteriore arrovellarsi e girare su se stessa, senza

nulla ottenere dall’interlocutore assente:

L’amore mio se morirà prima lui non creda! perché anch’io morirò immediatamente e così dopo due giorni riceverà una lettera con dentro l’ultima poesia e anche con spiegato come sono morta.

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In il tuo posto vuoto le riflessioni sugli effetti che la propria morte potrebbero

produrre sull’amato sono più cupi e sofferenti, il suo viso già sfuma nella tua

memoria scrive in Ne è da poco passata la morte. Con questo testo l’autrice fa

un passo ulteriore, immaginando il proprio annullamento con la morte,

del resto sarà all’incirca così là sotto dove di lei saranno sfumate ormai con la miopia la vulnerabilità, e le unghie.

Non solo sparirà dalla mente dell’amato il ricordo di lei, ma anche lei

scomparirà dal mondo, e questo aspetto non le era pervenuto nel gioco di ricatti

della seconda sezione. Ci si trova quindi nella situazione inversa rispetto a

Caro nome mio, dove la conclusione era non sono mai nata, eppure il risultato

finale è lo stesso: l’annullamento di sé stessa, la sparizione ( come il Teresino

sparito che chiude la raccolta). Di nuovo l’autrice chiama in causa la morte,

questa volta in tono più scherzoso, quando nel poemetto teresino insite sul

desiderio di non essere cancellati dalla memoria di chi si ama una volta morti: i

morti vogliono essere ricordàti leggere/ il giornale mangiare i gelati.

La mancata rispondenza dell’amore cercato causa dolore e tanta sofferenza

unita alle mancate cure richieste con altrettanta insistenza porta infine alla

morte. Questo iter tragico viene presentato in L’amore mio è buonissimo,

quando nell’ultimo testo scrive:

L’amore mio è cattivo infatti non legge mai le mie poesie e allora si sono malate ecco e poi sono morte sono morte tutte e quattrocento e quello che adesso scrivo già non c’è più a meno che ne vento.

L’ultimo riferimento a un orizzonte di morte è proprio la citazione di Le Petit

Pouchet con cui si chiude il libro. Il frammento proposto narra della fuga dei

fratelli dalla casa dell’Orco il quale, con l’intenzione di uccidere i bambini, ha

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invece appena tagliato la gola alle proprie figlie, scambiandole nel buio per i

fratellini. La fiaba che finisce male, dopo tanti momenti che facevano sperare

in un lieto fine è il modo personalissimo e struggente che ha Vivian Lamarque

per parlare di sé116, come già evocando la propria morte si erano concluse le

sezioni L’amore mio è buonissimo, Il primo mio amore erano due e Il tuo posto

vuoto.

3. Narratore, personaggio e interlocutore

Narratore e personaggio - Vivian Lamarque, e Vivian - molto spesso

coincidono: dipende quindi dall’intenzione della voce narrante la possibilità o

meno di distinguere tra le due Vivian (anche qui si ripropone il gioco, o la

confusione, dello sdoppiamento).

Con l’eccezione della sezione Ho una bella bambina, dove la terza persona di

cui si parla è dichiaratamente la figlia, nella raccolta oltre alla prima persona

singolare, anche la terza persona femminile è quasi sempre Vivian, come

risulta evidente in Chiedi come campa Vivian, che utilizza il nome dell’autrice,

o meglio, esplicita il nome del personaggio Vivian, svelandone l’identità (e in

molti altri componimenti di Teresino).

Questo accade, in particolare, in Il tuo posto vuoto, sezione che raccoglie le

poesie della massima debilitazione per l’amore assente o concluso, come un

personaggio delle fiabe parla di sé in terza persona, nel tentativo forse di

distaccarsi e di elaborare le proprie angosce, o come se fossero gli altri a

bisbigliare di lei, di quanto sta male, poverina, per il nuovo lutto della

separazione dal marito, in cui cercava padre e madre.

Anche nelle sezioni precedenti e successive a Il tuo posto vuoto l’autrice ci

propone liriche in terza persona, sebbene non con una così alta frequenza. La

prima sezione si conclude con Conoscendo la madre e Sarebbe stata, entrambe

alla terza persona. Così anche in Il primo mio amore erano due troviamo Ecco

li presentano, 6 maggio 1967 viaggio di nozze e Così tante trame, tre

116 R.Bagneri, Santagosti e Vivian Lamarque, in “Uomini e libri”, n.85, 1981, p.40

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componimenti nei quali Vivian si nasconde dietro la terza persona. In Poeti

torna a proporsi più spesso la terza persona singolare nei componimenti forse

più sofferenti, come in Sui vetri della finestra, dolorosa ouverture che richiama

il clima della sezione Il tuo posto vuoto, come anche Le sue ali infantili,

Ridimensionare, Declinazione, 19 aprile e In-fanzia (età del non parlare).

Curioso gioco viene proposto in Pesce che vola, nella cui fantasiosa

descrizione enciclopedica Vivian si identifica nell’animale.

E’ il Tu dell’amato di Il tuo posto vuoto, Ho disegnato, Posso?, Tu, Nel bosco

e di moltissime altre poesie della raccolta uno dei principali interlocutori delle

poesie dell’autrice: Comincio a conoscerti mascherina117; Per Natale ti faccio i

seguenti regali118; Poverino/ che ti hanno fatto ammalare119; Tienimi ancora

un po’ preziosa/ mangiami a Natale120; Senza occhiali intravedo che quasi

quasi mi vuoi bene121. In alcuni testi però Vivian interloquisce con un voi

imprecisato, quasi volesse coinvolgere il lettore. Fate piano si è addormentata

bisbiglia in chiusura della sezione Il tuo posto vuoto, subito dopo aver

perentoriamente accusato “gli altri” di estraneità nei suoi confronti in

Dell’intelligenza del cuore:

Dell’intelligenza del cuore vi interessa poco nulla. Io vi sono marziana,

mentre già aveva chiesto Non lasciate che si isoli così, una supplica in Quasi

San Francesco. Tornano questi “altri” nell’ultimo componimento di Poeti,

quando bambina spaventata dal basso vi guarda che andate di là/ piange vi

vuole là accanto/ toccarvi mettervi in bocca/ incantata vi guarda dal

basso[…]122. L’autrice utilizza il pronome anche nella sezione Ho una bella

bambina, nella poesia che nel 2002 dedica al marito e alla figlia. La lirica Io

117 V.L., Mascherina, in Teresino, cit., p.62 118 V.L, Regali di Natale, ivi, p.59 119 V.L, Poverino, ivi, p.61 120 V.L, Tienimi, ivi, p.58 121 V.L, Senza occhiali intravedo, ivi, p.30 122 V.L, In-fanzia (età del non parlare), ivi, p.71

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tra voi propone quindi un “voi” d’eccezione, il voi degli affetti vicini, della

famiglia unita, un voi che compone il noi.

Il pronome noi torna di rado nella raccolta, che narra appunto di una storia di

continui abbandoni e solitudine. In Sera il noi è preceduto da io e te entità

separate quindi, così come a conclusione del testo poetico, dove Vivian si

scopre a parlare con un tu assente, impossibile noi, come già aveva anticipato

in Sempre più mi sembri scrivendo per ben due volte e so che con me questo

non ha a che vedere, concetto ripetuto anche in Lingua straniera. Persino nei

componimenti che narrano del viaggio di nozze e dell’innamoramento l’autrice

sceglie di non usare il pronome noi. Siamo due poeti infreddoliti123 scrive nella

sezione Poeti e poco dopo in Io senti ero tua moglie aggiunge il pianoforte

nostro poi talmente lungo/ che suonavamo insieme a dieci mani, noi che oltre a

Vivian e il marito questa volta conta anche gli amici Tiziano, il marito di

Ornella e Irlando. E noi eccezionale appare anche il noi-voi di Io tra voi,

componimento sereno non a caso posto nel petit leur della sezione Ho una

bella bambina: tutti e tre da una parte/ […] siamo scivolati nel sonno racconta

felice Vivian.

Va infine citata la confusione di interlocutori dell’onirica Andavi in chiesa,

dove il tu si rivolge chiaramente al marito, mentre la sposa è al tempo stesso io,

Vivian, e altro, il lei che più volte torna in Il tuo posto vuoto:

Andavi in chiesa per sposarti un’altra volta. Con la stessa persona di prima. Io stavo in mezzo agli invitati ma anch’io ero vestita da sposa. Certi si confondevano e fotografavano me ma tu chiarivi immediatamente l’equivoco.

Anche nel poemetto Teresino Vivian si rivolge a Teresino direttamente, con

apostrofi e discorso diretto dandogli del tu: quanti anni hai teresino […] vieni /

che ti porto a vedere; teresino che ti fa male forte la testa ; senti ascolta questa

fa/ vola che ti racconto; mi scrivevi una lettera firmata teresino. Nell’ultimo

componimento della raccolta torna però la terza persona per rivolgersi

123 V.L, Siamo due poeti, ivi, p.54

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all’amato, teresino che gioca e gioca, io guardo teresino che gioca e gioca, o

ancora, teresino che era una stella, anticipazione della conclusione finale, ossia

della sparizione di teresino, al quale quindi non si può più parlare direttamente,

usando cioè il tu. Questa distinzione tra seconda e terza persona, svela la

distinzione tra Vivian personaggio, che vive al presente insieme a Teresino le

“avventure”del loro immaginoso gioco della vita, e invece Vivian voce

narrante, che racconta dopo aver vissuto la sparizione di Teresino, narratore

onnisciente, sa già come si concluderà quel sogno che avevo sognato.

4. Metro

La poesia di Vivian Lamarque è una poesia di cose più che di parole, e la sua

scrittura si caratterizza per una levità che meglio si presta al tocco rapido.

Brevissimi sono alcuni componimenti della raccolta Teresino: soli due versi

conta la poesia Immobile, mentre di tre versi si compongono Tienimi (posta

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immediatamente prima della brevissima poesia di un solo distico), Le sue ali

infantili e Non parla; gli altri testi poetici sono composti da non più di dieci

versi ciascuno.

Particolare la struttura della seconda sezione, dove quasi come una litania si

susseguono ventotto strofe libere (o lasse) composte da pochi ma lunghi versi,

che volentieri superano la misura dell’endecasillabo. Si può parlare di poesia in

prosa per lasse come:

l’amore mio quando era bambino era timidissimo con le bambine anch’io quando ero bambina ero timidissima con i bambini forse però l’amore mio un giorno mi avrebbe chiesto come mi chiamo e dopo avrebbe giocato con me un po’ a palla.

Qui il testo si compone di soli quattro versi, rispettivamente di 22 , 19, 21 e

ancora 19 versi. Di bene 25 sillabe si compone il primo verso del distico

Io un giorno ho messo sotto il tergicristallo dell’amore mio un bigliettino lui ha pensato a una multa invece no ero io.

Nella sezione però si inseriscono anche testi più corposi e rispettosi della

tradizione metrica, come chissà se l’amore mio ci sarà. I suoi sette versi si

compongono di un numero minore di sillabe, l’autrice utilizza novenari,

settenari, decasillabi con il verso più lungo di quattordici sillabe.

Più contenuta è la sintesi metrica delle liriche nella prima sezione e in Il primo

mio amore erano due, anche se già in quest’ultima sezione vengano proposto

tre poesie di soli quattro versi e altri tre composte da cinque versi. I

componimenti più brevi, escludendo l’eccezionalità della seconda sezione,

sono raccolti in Il tuo posto vuoto e Ho una bella bambina, due sezioni che si

contrappongono per la tematica trattata, sofferente la prima, confortante e

amorevole la seconda. In entrambi i casi però l’autrice utilizza il metro breve

per proporci con un sintetico schizzo, la densità delle sensazioni positive e

negative provate. Riguardo alla brevità e alla sintesi dei versi della Lamarque

Raboni scrisse:

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I suoi versi mi sembrano decisamente fuori dell’ordinario per la precisione (insieme cauta e rabbiosa) dei sentimenti, e più ancora per una trasparenza, una levità linguistica che è anche, nello stesso tempo, senso concreto, pesante, addirittura doloroso della parola comune, inghiottita e barattata giorno dopo giorno, e capacità di coglierne il ritmo implicito, lo spontaneo disporsi in sospensioni, clausole, figure…124

Poeti è la sezione metricamente, e non solo, più varia, nella quale testi di

lunghezze diversissime si susseguono creando un ritmo mosso e irregolare.

Media lunghezza hanno i primi componimenti , come Sai la Rita, di nove versi,

I mattini ghiro mio, di undici versi, o Lettera dal balcone, con i suoi quattordici

versi. Ma già Siamo due poeti si compone di quattro versi e Le sue ali infantili

propone soli tre versi che precedono il primo lungo testo poetico della raccolta:

Pesce che vola. Altrettanti brevissimi testi poetici (Tienimi e Immobile)

seguono la lunga lirica, composta di cinque strofe ( di cui due distici) e da

trentacinque versi (e introdotta dalla citazione di Alceo). La poesia risulta così

posta in una cornice di brevi poesie con le quali contrasta. Seguono altri testi

più corposi, considerando l’esiguità usuale dell’autrice. Si pensi a Rebus

difficile (?,?,?,?) o a Poesia illegittima e a Poesia malata, che superano

ampiamente i dieci versi di lunghezza. Torna la misura lunga in Previsioni del

Tempo con 59 versi divisi in dieci strofe, a cui va aggiunta l’epigrafe di tre

versi. Anche la poesia successiva Vento può essere considerata eccezione alla

brevitas della Lamarque, essendo la poesia composta di tre sezioni,

semplicemente contrassegnate dalla cifra romana, che se considerate insieme

formano un testo di 25 versi.

Vera eccezione è però l’ultimo testo poetico della raccolta, che da solo ne

costituisce l’ultima sezione. Come in una lunga filastrocca, 212 versi divisi in

86 strofe danno forma al poemetto Teresino. Continuità rispetto al metro delle

sezioni precedenti, è però garantita dalla brevità delle strofe, molto spesso

distici, e mai composte da più di otto versi (misura solo della terza strofa). Il

testo, come già in Vento, è divisibile in cinque sezioni, di lunghezza molto

varia, introdotte da una brevissima strofa in corsivo (di uno o due versi):

Camminavi avevi/ il tuo pallone sotto il braccio; Ma poi la guerra guardavi i/

124 G. Raboni, in F.Cordelli, Schedario, in Il pubblico della poesia, di A.Berardinelli, F.Cordelli, Lerici, Cosenza, 1975, p.291

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voli delle bombe; Teresino squisito; Teresino teresino sparito. Anche in questo

caso il testo poetico è introdotto da un’epigrafe, che però, essendo ripresa con

lievi modifiche alla fine del testo, assurge al ruolo di refrain, proprio come

nelle filastrocche dei giochi dei bambini.

5. Fonti e modelli

L’abbandono vissuto al momento dell’adozione segna l’infanzia dell’autrice, e

con essa la sua poesia, luogo di rifugio per superare il dolore e la confusione,

conseguenza alla scoperta di avere due mamme. Ma in Teresino il ricordo

dell’infanzia non torna solo come una tra le principali tematiche, bensì permea

anche stilisticamente la raccolta, con forti richiami alla dimensione infantile. Si

potrebbero trovare collegamenti con la poetica del fanciullino di Pascoli125,

analogia che si potrebbe riscontrare anche nell’autobiografia dei due scrittori:

le poche liriche della prima sezione “Conoscendo la madre” centrano subito il dramma della diserzione materna: evento forse meno mitizzabile di un padre ucciso mentre tornava al suo nido, ma sufficiente a instaurare un definitivo sistema di passioni fatto di passività verso le manovre dei grandi.126

Tralasciando il confronto tra l’infanzia di Pascoli e quello della Lamarque, è

invece interessante notare le numerose consonanze tra la poetica dell’autrice e

quella del Fanciullino. Presente potenzialmente in ogni uomo, solo il poeta è

però in grado di farlo rivivere e parlare dentro di sé, sapendo scorgere il

significato profondo delle piccole cose normalmente invece trascurate dagli

adulti. E proprio di piccole cose scrive Vivian Lamarque, come ne La finestra

delle farfalle quando chiama la figlia per ammirare la domestica natura del loro

giardino:

vieni corri a vedere ce ne sono tre ce ne sono quattro ce ne sono cinque! ancora una guarda!

125 R.Caddeo, Contro mostri e draghi l’arma della scrittura, in “Concertino”, n.14-15, novembre 1995, p.23 126 F.Zabagli, “Teresino” di Vivian Lamarque, in “Paragone”, n.382, dicembre 1981, p.80

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e sotto c’è un’ape e c’è una mosca127.

Anche l’abilità analogica dell’autrice, sottolineata da Sereni, è per Pascoli una

qualità del poeta, che riesce infatti ad individuare accordi segreti tra le cose

stabilendo legami nuovi e inconsueti tra di esse:

[…] si erano innamorate reciprocamente. Hai pronunciato le due parole come fosse niente […] e però la forza di quel verbo e di quell’avverbio usati vicini mi ha fatto pensa girare la testa […] mi gira la testa pensa resto lì incapace stordita come un bambino da una lingua straniera.128

Il fanciullino, e quindi il poeta, riesce a creare questi legami analogici e nuovi

sottraendosi alla logica ordinaria, grazie alla propria capacità di fantasticare.

Ma proprio a causa di questa sua fervida immaginazione Vivan soffre

ulteriormente quando le si chiede di ridimensionare:

Quest’operazione che la costringete sempre a fare “ridimensionare” non è come stringere un vestito non è indolore si taglia la pelle del cuore.129

A due prospettive poetiche molto distanti una dall’altra è riconducibile tale

fantasia che caratterizza l’autrice: il reale mondo dei bambini cantato da Gianni

Rodari, e il sogno, la dimensione onirica rappresentata da Andrea Zanzotto. Per

quanto riguarda le filastrocche per l’infanzia, spesso la poesia della Lamarque è

tacciata di infantilismo o eeessiva semplicità e chiarezza, le mie poesie le hai

accompagnate di corsa all’asilo130, con il suo metro irregolare che però spesso

richiama le cantilene dei bambini e la dimensione della fiaba o delle

filastrocche:

127 V.L., La finestra delle farfalle, in Teresino, cit., p.45 128 V.L., Di due persone, ivi, p.30 129 V.L., Ridimensionare, ivi, p.63 130 V.L., Affinità elettive, ivi, p.70

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C’era un castello e avevo un manto e sotto il manto avevo bambini. C’era un castello con intorno giardini volava il manto volava il cielo volava il verde di tutti i giardini. C’era al castello un re molto bello che in piedi nell’erba rideva forte. E il cielo volava e il sole volava volava anche il manto con sotto i bambini.

Così come lo stesso ritmo ripetitivo viene riproposto nrl lungo poemetto

conclusivo, Teresino:

teresino che ti fa male forte la testa chi è stato che ti ha bastonato dimmelo di che colore erano gli occhi che ti hanno guardato chi è stato che ti ha stregato?131

Proprio in questo poemetto si fanno, però, spazio alcuni giochi di parole che

ricordano le ricerche linguistiche di Zanzotto: perché si don do la va su un

piede; senti ascolta questa fa/ vola […] di c’era una volta in una città lon/ tana

lon tana un bambino.132 Inoltre in molte poesie viene proposta, senza alcuna

didascalia, la descrizione di una situazione che evidentemente non può essere

altro che un sogno, ricreando ambientazioni indeterminate e sdoppiate,

proposte per primo da Poe, Volevo sognare il postino/ con una lettera in mano/

invece ho sognato il postino/ senza una mano133, ma riprese con

note che richiamano la levità cantilenante e surreale del primo Palazzeschi (“passavano le suore cattive vestite di/ nero le suore buone vestite di/ bianco”p.77).134

Ricorda infine la levità penniana la delicatezza della maggior parte della poesia

dell’autrice:

131 V.L., Teresino, ivi, p.73 132 Ibidem 133 V.L., Volevo sognare il postino, ivi, p.55 134 R.Caddeo, Contro mostri e draghi l’arma della scrittura, in “Concertino”, cit., p.23

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E’ ora di dormire anima mia perché non dormi? vengono i pensieri? Fa’ così con una mano che vanno via/ a’ presto fa’ presto anima mia.135

Siamo due poeti infreddoliti Raffreddati restiamo così sotto le coperte fino a domani leggermente malati136

così come in Ho una bella bambina, raccontando della figlia, Vivian Lamarque

la veste con le “piume leggere” di un memorabile fanciullo penninano.137

135 V.L., E’ ora di dormire anima mia, in Teresino, cit., p.31 136 V.L., Siamo due poeti, ivi, p.54 137 F.Zabagli, “Teresino” di Vivian Lamarque, in “Paragone”, cit., p.81

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CAPITOLO III

TRILOGIA PER B.M.

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1. Genesi e storia

Una trilogia sul transfert (amoroso) in analisi,138 così Giuliana Petrucci

definisce le tre raccolte che Vivian Lamarque pubblicò tra gli anni ’80 e ’90,

dopo Teresino.

I testi prendono spunto dall’esperienza di analisi junghiana iniziata dall’autrice

nel 1984 e terminata dopo circa vent’anni. Racconta in un suo articolo:

Ho solo un rimpianto: di avere cominciato l'analisi tardi, a 38 anni. Era il 1984 e già da decenni vivere mi era diventato difficile. Alcuni «colleghi poeti» mi suggerivano la terapia di Lacan, altri la psicologia analitica di Jung, nel dubbio le affrontai tutte e due contemporaneamente. Ma bastò il primo colloquio: i generosi 75 minuti concessi dallo psicanalista junghiano contro gli scarsi 20 minuti del lacaniano. Ebbe così inizio il viaggio più lungo della mia vita. E iniziò anche un nuovo libro. […] L' analisi non mi ha allontanata dalla scrittura né dalla vita. Anzi, ha permesso la stipulazione di un patto d' alleanza tra le due.139

Proprio all’analista della Lamarque, il dottor B.M., sono dedicate tutte le

poesie qui pubblicate. Tra l’84 e l’86, agli inizi della terapia analitica

junghiana, scrivevo ogni giorno al mio Dottore lunghissime lettere, racconta

nella Premessa alla raccolta edita nel 1992, a proposito dei testi poi raccolti

nella trilogia. Vivian Lamarque pone in primo piano il proprio rapporto con

l’analista, tentando di dare una forma poetica all’esperienza di traslazione

vissuta in terapia, ossia la relazione di transfert.

La prima raccolta della trilogia , Il signore d’oro, uscì nel 1986 per le edizioni

Crocetti. Sul frontespizio, sotto il titolo, è riportato il periodo di composizione

delle poesie pubblicate: 1984-1986.

Dell’anno 1989 è invece Poesie dando del Lei, edita da Garzanti. Come già per

la raccolta Teresino, l’autrice in calce al testo aggiunge una Nota, nella quale

informa il lettore riguardo all’ordine cronologico con il quale i testi furono

composti:

138 G.Petrucci, Il sonno di Alice: l’enunciazione del transfert nella poesia di Vivian Lamarque, in “Italianistica”, n.1, gennaio aprile 1998, p.89 139 V. Lamarque, Grazie alla terapia, nei miei versi ho ritrovato la gioia di vivere, in “Corriere della Sera”, 03 settembre 2005

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il numero che accompagna le poesie indica […] l’ordine cronologico di composizione. La struttura del libro ha determinato una successione diversa e l’esclusione della maggior parte dei testi. Il percorso svolto, tra i tanti possibili, lascia inedite più di mille poesie.

L’ultimo testo della trilogia ad essere pubblicato fu Il signore degli spaventati,

che uscì, per le edizioni Pegaso, nel 1992, vincendo il Premio Montale nello

stesso anno. Come già per Poesie dando del Lei, l’autrice in quest’ultima

raccolta dà un’indicazione temporale riguardo al periodo di stesura dei

componimenti pubblicati. Questa volta le informazioni sono poste in apertura

al libro, nella Premessa, dove l’autrice dichiara di avere scritto duecento

“signori” : ottanta sono ne “Il signore d’oro” […], ottanta li ho scartati,

quaranta eccoli qui ne “Il signore degli spaventati” .

L’edizione Mondadori Poesie 1972-2002 ripropone le tre raccolte in ordine

variato rispetto alla loro cronologia di pubblicazione. Nel 2002 infatti la

trilogia mantiene Il signore d’oro come prima opera del gruppo, mentre

inverte l’ordine delle altre due raccolte, ponendo prima Il signore degli

spaventati e concludendo la triade con Poesie dando del Lei. La scelta era già

stata anticipata dalla premessa all’edizione Pegaso 1992, dove si dichiarava che

i testi della prima e dell’ultima opera appartenevano allo stesso periodo

temporale. Modificando l’ordine nella raccolta del 2002 l’autrice ha infatti

voluto ristabilire la cronologia di composizione dei testi. Le due raccolte dei

Signori appartengono infatti al primo periodo dell’analisi, che va dal 1984 al

1986, mentre Poesie dando del Lei raccontano una fase successiva del percorso

analitico.

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1.1 Le edizioni

La nuova edizione delle tre raccolte per la casa editrice Mondadori apporta

alcune modifiche ai testi, anche se gli interventi non sono stati tanti quanto per

Teresino, opera che apre la raccolta Poesie 1972-2002.

La scelta di invertire l’ordine sequenziale della trilogia, preferendo rispettare

l’ordine cronologico a quello di pubblicazione delle raccolte poetiche risulta

essere la modifica più evidente dell’edizione 2002, ma alcune piccole

correzioni vengono apportata anche ai testi di Il signore d’ore e di Poesie

dando del Lei. Ne Il signore degli spaventati, invece, unica modifica rispetto

all’edizione del 1992 è la soppressione dell’aggettivo nera che concludeva in

modo più cupo l’ultimo verso di La signora del bosco, diventando quindi

nell’edizione 2002: […] la notte stava per calarle addosso come una

montagna.

Per quanto riguarda la raccolta Poesie dando del Lei, la differenza è

sostanzialmente grafica: nel 2002 l’inizio delle sezioni viene inidicato con un

numero romano, e utilizzato il corsivo nel componimento introduttivo (come

già nell’edizione 1989). Per quanto riguarda i testi poetici della raccolta, le

modifiche consistono in alcune sostituzioni di vocaboli, ritenuti più adeguati al

contesto e al concetto da esprimere. Nella prima sezione, il componimento

Lontanissime vacanze al v.4 recitava vedevano i bellissimi mari nell’edizione

1989, mentre nel 2002 il verbo vedere è sostituito con guardavano, vocabolo

caratteristico della poetica dell’autrice. Un’altra piccola correzione è apportata

all’ultimo testo della raccolta, Le sue carezze. Questa volta però la scelta risulta

più significativa, in quanto pur esprimendo lo stesso concetto, nel 1989 il v.2

aggiungeva la negazione davanti ad un concetto espresso in positivo, non me le

concederà, mentre invece nella versione del 2002 si preferire inserire la

negazione direttamente nel verbo, così che il sintagma risulti più incisivo e

impossibilitante: me le negherà.

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Infine la prima delle tre raccolte, Il signore d’oro, dove le differenze tra la

versione del 1986 e quella del 2002 sono in maggior numero, fatto

probabilmente dovuto anche alla pubblicazione molto vicina alla data di

composizione dei testi (1984-1986). Intervento più rilevante nell’edizione 2002

è la soppressione del testo La signora allagata presente invece nell’edizione

del 1989. Il signore degli orientamenti nell’edizione 1986 recitava: Gli

orientamenti futuri avrebbero dovuto propendere in direzione di maggiori

coccole?/ Oh naturalmente./ Maggiori coccole di maggiori baci?/ Oh sì.

Sempre maggiori sempre maggiori finché la quantità a suo tempo dovuta fosse

alfine raggiunta. Nell’edizione Mondadori il testo viene ridotto, con la

soppressione dei vv.2-3, mentre al vocabolo coccole si preferisce il meno

colloquiale affettuosità. Altre differenze intercorrono tra i componimenti delle

due edizioni, ma costituite solo da alcune sostituzioni di parole. Il signore delle

finestre nell’edizione Crocetti al verso conclusivo recita: I fiocchi stavano per

scendere dal cielo tantissimo. Per la pubblicazione del 2002 l’autrice preferire

sostituire l’aggettivo superlativo con il più enfatico a mille a mille. Sempre un

aggettivo superlativo coinvolge l’intervento di modifica che sostituisce

fievolissima a fiochissima. L’aggettivo ricorre nel testo per due volte, ed in

entrambi i casi è stato sostituito: a conclusione del v.1 a fievolissima voce

gridava e nel titolo del componimento, che così risulta diverso nelle due

edizioni. Minimi accorgimenti paiono le altre modifiche per l’edizione Poesie

1972-2002: l’aggiunta dell’accento alla parola marronblu di Il signore delle

barchette, l’aggiunta dell’avverbio di luogo lì nel componimento Il signore

infondo al mare al v.1 (diversissimi pesci lì passavano) ed infine lo

scioglimento della sigla P.S. dell’edizione 1986, che viene scritta per esteso.

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2. La struttura

Dopo la pubblicazione di Teresino l’autrice continua a raccontare di sé nella

propria poesia. Cambiano però i modi. Più esplicita e articolata la vicenda

personale narrata nel 1981, nelle tre opere successive Vivian Lamarque si

focalizza su di un'unica esperienza, l’esperienza analitica. La dimensione

privata del setting analitico si precisa ed esplicita di raccolta in raccolta. Pochi i

riferimenti al contesto terapeutico ne Il signore d’oro, dove oltre alla dedica al

Dottor B.M., quindi molto generica, solo nell’ultimo componimento lascia

traccia di uno strano primo incontro tra la Signora e il Signore che a posteriori

è facile identificare come appuntamento dall’analista:

Erano un signore e una signora che si erano conosciuti lo stesso giorno. Che ore erano? Le dieci e trenta. E dove erano? Erano sotto il livello stradale di 4 o 5 gradini. E come avvenne? La signora suonò alla porta e il signore aprì.[…].

Anche Poesie dando del Lei è dedicata al Dottor B.M. la cui specializzazione

medica però resta ancora nel vago. Certo aumentano i riferimenti alla realtà

dello studio dell’analista, e in La sua porta sprangata compare anche il nome

di Jung, indirizzo psicoterapico dell’analista B.M. E’ con la pubblicazione del

1992 che la Lamarque dichiara apertamente che lo spunto per Il signore degli

spaventati, come anche per le due raccolte precedenti, è stato il suo percorso

analitico. A questo riguardo Giovanni Giudici scrive in prefazione alla

raccolta:

Nel chiedermi di premettere un paio di pagine al suo nuovo libro, Vivian Lamarque tiene a precisarmi (così come, nella breve nota introduttiva fa sapere, direttamente, anche al Lettore) che l’occasione di queste “poesie” è da riportarsi a un’esperienza di terapia analitica junghiana. Esse sono, infatti, parte di una sezione inedita dei “materiali” da lei elaborati e trascelti per dar corpo a un altro suo libro del 1986: Il signore d’oro.140

140 G.Giudici, Un minuscolo puntino laggiù, in Il signore degli spaventati, Pegaso, Forte dei Marmi 1992, p.11

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Dalle parole di Giudici (e dalla Premessa dell’autrice) apprendiamo quindi che

i testi dell’edizione 1992 e 1986 appartengono allo stesso periodo. Il signor

d’oro e Il signore degli spaventati, oltre al periodo cronologico, sono

associabili per l’organizzazione dei testi al loro interno e per l’elaborazione del

materiale “poetico”, per non parlare dei titoli modello uno dell’altro dove a

cambiare è solo l’attributo riferito al signore, d’oro nella prima raccolta, degli

spaventati nell’ultima. Pur trattando la stessa tematica, Poesie dando del Lei si

distanzia invece dagli altri due testi, per stile, struttura oltre che per il titolo.

In tutte le raccolte viene così posto in primo piano il rapporto col proprio

analista, e di conseguenza assumono importanza anche le esperienze vissute da

Vivian nel presente dell’analisi e nell’attualità della propria storia personale,

filtrate dagli occhi della paziente del Dottor B.M.

2.1 Il signore d’oro

La raccolta del 1986, Il signore d’oro, raccoglie ottanta poesie e si divide in

tre parti disomogenee tra loro per quantità di componimenti contenuti. Il filo

conduttore che struttura invisibilmente tutta la raccolta è una persona di cui

Vivian Lamarque tace il nome ma scrive le iniziali (con dedica) nella prima

parte del volume: al Dottor B.M.

La prima parte de Il signore d’oro, nonché la più lunga, è dedicata al signore,

già nominato nel il titolo della raccolta, la seconda, più breve, parla della

signora per infine concludere con un’ultima brevissima parte riguardante

entrambi, il signore e la signora. L’opera risulta quindi suddivisa a seconda di

quale tra i due personaggi del signore e della signora è il protagonista dei

componimenti della sezione. Sebbene la maggior parte dei testi sia dedicata al

signore, anche se la signora, essendo sempre presente, è in realtà una co-

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protagonista: è lei infatti ad essere innamorata del signore d’oro, a idealizzarlo,

a sognarlo, ad aspettarlo.

Il signore d’oro è anche il titolo di un componimento della raccolta:

Era un signore d’oro. Un signore d’oro fino, zecchino. Per il suo carattere duttile e malleabile, per il suo caldo dorato colore, per il luccichio dei suoi occhi, era un signore molto ricercato […].

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Questo il personaggio maschile protagonista della raccolta alter ego

immaginato dell’analista Dottor B.M. Ma il signore d’oro è il Lontano, come

recita la raccolta in apertura col testo programmaticamente intitolato Il signore

mai: Era un signore bello e meraviglioso. Vicino a lui non si poteva stare

sempre sempre, bensì mai. Co-protagonista è una signora che voleva tanto

bene a un signore141 e che in tutta la raccolta fa di tutto per poter far si che il

suo amore per il signore venga ricambiato, senza però riuscirci.

Composta da cinquantotto componimenti, la prima parte vede come

protagonista il signore. Ogni testo ripropone insistentemente il nome signore,

seguito da attributi caratterizzanti che lo raccontano nei modi più svariati e

contraddittori. Il signore mai del primo testo già nel terzo diventa Il signore

qui, per poi ritornare Il signore intoccabile, Il signore lontano, Il signore

andato via. La sezione non sembra seguire un vero e proprio ordine, quanto

piuttosto una serie di fantastiche evoluzioni e peripezie dell’immaginazione

dell’autrice che gioca ogni volta a porre il signore ovunque: sulla luna, in un

nido, su un treno, in una stanzetta o in una scatolina, in un cinema, in uno

studio pieno di verdi prati e ruscelli, tra le stelle e così via. L’autrice spiega la

natura dei propri componimenti proprio in un testo della raccolta, Il signore

sognato, dove chiarisce:

Splendidissima era la vita accanto a lui sognata. Nel sogno tra tutte prediletta la chiamava. E nella realtà? La realtà non c’era, era abdicata. Splendidissima regnava la vita immaginata.

Continua nella stessa direzione fantastica la seconda parte della raccolta.

Nessun titolo di sezione o spazio bianco indica l’inizio di una nuova parte, ma i

componimenti cambiano protagonista. Sono venti i componimenti ce hanno

come protagonista la signora, e che ci mostrano l’innamorata che nella prima

sezione guardava il signore amato, ovvero Vivian. La situazione non cambia, a

141 V.L., La signora della neve, in Il signore d’oro, Crocetti, Milano 1986, p.67

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nulla servono le mille peripezie della signora per conquistare l’amore del

signore perché nonostante lei volesse tanto dargli dei baci, non dico troppi,

anche solo 7-8 (mila)/ invece non si poteva perciò non glieli dava anche se non

può non chiedere infastidita a cosa servono i baci se non si danno? Anche in

questo caso i titoli ai testi riportano appellativi diversissimi e immaginosi per

descrivere la signora: la signora mulinello, la signora passerotto, la signora

dei fiori, la signora fievolissima, la signora della neve, la signora della

valigetta e altre signore ancora.

Finalmente nella terza e ultima parte i due personaggi si ritrovano protagonisti

dello stesso testo, unico della sezione. Ma l’unione da Vivian tanto desiderata

si realizza solo nel titolo del componimento, Il signore e la signora, descrizione

di uno strano primo incontro, un appuntamento in un luogo sotto il livello

stradale di 4 o 5 gradini./ La signora suonò alla porta e il signore aprì./ E

dopo? chiede incuriosito l’interlocutore alla voce narrante. Ma la storia rimane

in sospeso, o forse riprende da capo, in modo circolare e indeterminato, come

appare la storia del signore e della signora narrata in quest’opera.

2.1.1 Post Scriptum

Segue l’ultimo componimento e conclude la raccolta un Post Scriptum, dove né

il signore né la signora sono più protagonisti. La poesia, intitolata Il bambino

delle cantine, ripropone un testo che sembra una reminescenza del mondo dei

bambini narrati in Teresino. Come in tutta la raccolta de Il signor d’oro, anche

quest’ultimo testo ripropone la tematica amorosa, ma in modo diverso, quasi

parodia della raccolta stessa. A differenza del signore intoccabile a cui è

proibito dare baci, questo bambino dava baci a tutte le bambine. Ma il

bambino avendo bevuto tanto vino, era un bambino ubriachino. La

conseguenza dell’essere ubriaco non è il barcollare, bensì proprio l’affettuosità

verso le altre bambine. Forse anche il Dottor B.M. se bevesse troppo vino

darebbe qualche bacio all’innamorata paziente? Certo è che questa ipotesi non

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può eliminare il non innamoramento del dottore. La breve poesie

concludendosi con nelle cantine, propone un luogo che ricorda lo studio del

Dottor B.M., che proprio nel componimento conclusivo è detto essere sotto il

livello stradale di 4 o 5 gradini, come la cantine.

2.2 Poesie dando del Lei

Settantacinque brevi testi compongono la raccolta Poesie dando del Lei. La

scena, dove appunto il paziente e il dottore si danno del lei, è esplicitamente

una scena medica, se non ancora dichiaratamente analitica.

La raccolta è divisa dall’autrice in due sezioni che prendono il titolo dal

componimento proposto in apertura di ogni parte: Il mio Dottore è sparito e Il

mio Dottore è gentile.

Il libretto racconta la storia di una relazione impossibile di una donna

innamorata con un uomo che non ricambia il suo sentimento amoroso. La

tematica è quindi la stessa de Il signore d’oro, così come anche i personaggi

dei brevi testi continuano ad essere Vivian e il suo analista, a cui rivolgendosi

dà appunto del Lei. Ma in Poesie dando del Lei non si parla più in modo vago

di un signore e di una signora, come invece nella raccolta del 1986. Ora

ognuno viene nominato col suo nome: Vivian e Dottore. In più di un’occasione

nella raccolta ritorna il nome dell’autrice, oltre che alle frequenti allocuzioni al

Dottore. Lei con sapienza mi ha curata/ sono la Sua Vivian/ quasi risanata142

scrive l’autrice al suo caro Dottore con la lettera maiuscola, nome proprio

dell’analista nel gioco interlocutorio dei componimenti.

La storia appare più strutturata rispetto alla raccolta precedente, infatti i testi

non sono divisi a seconda del personaggio che agisce nel testo, ma seguono

l’evolversi della rielaborazione dell’innamoramento che Vivian vive in

conseguenza del transfert.

142 V.L, Per il suo compleanno, in Poesie dando del Lei, Garzanti, Milano 1989, p.35

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Il mio Dottore è sparito/ tra Ponente e Levante/ io mi affaccio e lo cerco e lo

chiamo/ come un amante. Così si apre la prima sezione, mettendo da subito in

chiaro il tema della raccolta. Il Dottore è come un amante per Vivian, ma solo

nei suoi desideri, infatti non risponde alle sue parole di innamorata, e anzi, è da

subito definito assente, sparito. Nei cinquantasei componimenti di questa

prima parte si narra quindi dei tentativi, delle suppliche, degli espedienti che

Vivian cerca per far innamorare di sé il suo analista. La consapevolezza

dell’impossibilità della relazione non riesce a disilludere la paziente.

La seconda sezione della raccolta, molto più breve della precedente, si

compone di diciannove testi. Cambia l’atteggiamento dell’innamorata

protagonista, che ormai sembra intenzionata a farsi una ragione della situazione

impossibilitante in cui l’innamoramento ha avuto luogo: il setting analitico.

Questa impossibilità però non ristabilisce l’equilibrio sentimentale della

paziente, la quale ai continui slanci vitali della prima sezione fa seguire la

reazione esattamente antitetica: il tema della morte si insinua nella narrazione.

Il mio Dottore è gentile,/ ma io vorrei morire scrive la Lamarque nel breve

testo che introduce la seconda parte. La sezione però non risulta drammatica,

infatti continua la consapevole ironia che caratterizza tutta la raccolta.

Comunque i testi si velano di una sottile malinconia, creata appunto da

quell’impossibilità di realizzazione di un sentimento apparentemente così

sentito, se non fosse per la consapevolezza di stare vivendo il transfert d’amore

per il proprio psicanalista.

Tutti i testi dell’opera sono proposti senza titolo, ma conclude la raccolta un

testo che fa eccezione: Le sue carezze. Questo testo porta alle estreme

conseguenze la storia dell’impossibile amore tra Vivan e il Dottor B.M: Se il

tempo terrestre/ me lo negherà/ chiederò il favore alle mani/ dell’Eternità. La

paziente conclude così cercando di trovare un escamotage per riuscire a

superare l’impossibilità ultima, ossia la morte e ironizzando sembra quindi aver

trovato un modo, così che la raccolta può concludersi senza più tensioni.

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2.2.1 Goethe

Apre Poesie dando del Lei una citazione del Faust di Goethe: Margherita…

Dov’è? L’ho udito chiamare! Che prelude all’ironia dei componimenti della

raccolta, che si apre proprio con la ricerca del Dottore: Il mio Dottore è

sparito143. Così con un generico paragone tra il rapporto di Faust e Margherita

l’autrice riesce a sintetizzare molti degli aspetti che caratterizzano la relazione

tra il Dottore e la paziente.

Il frammento riportato dalla Lamarque è tratto dall’Ester Teil, la prima parte

del Faust.144

Durante il periodo del patto con Mefistofele, Faust si avvale dell’aiuto di

questo per sedurre una ragazza bella e innocente, Margherita, la cui vita verrà

distrutta proprio dall’amore per Faust. Il dramma di Margherita inizia con la

143 V.L, Il mio Dottore è sparito, ivi, p.9 144 Il Faust fu scritto da Gothe in tre momenti successivi. l'Urfaust, scritto tra il 1773 e il 1775, influenzato dalle rappresentazioni del Faust di Christopher Marlowe, appartiene culturalmente alla corrente letteraria tedesca dello Sturm und Drang e venne pubblicato, con alcune aggiunte, nel 1790 con il titolo di Faust. Ein Fragment. Nel 1808 , nella corrente letteraria del classicismo, Goethe pubblicò l’Erster Teil, o Faust. Prima parte. Nel prologo in cielo Mefistofele (un diavolo) vuole scommettere con Dio che riuscirà a portare alla perdizione l'integerrimo medico-teologo Faust; Dio non accetta la scommessa (essendo Dio, non si abbassa a scendere a patti né a scommettere con alcuno) ma gli dà il permesso di tormentare Faust, così che il dottore non sia mai indotto a riposarsi o arrendersi. Dio sa che Faust è un uomo buono ed è fiducioso che si salverà comunque. Così Mefistofele appare a Faust promettendogli di fargli vivere un attimo di piacere tale da fargli desiderare che quell'attimo non trascorra mai. In cambio avrebbe avuto la sua anima. Faust è sicuro di sé: tale è la sua brama di piacere, azione e conoscenza, che è convinto che nulla mai al mondo lo sazierà tanto da fargli desiderare di fermare quell'attimo. Mefistofele gli fa conoscere la giovane Margarete (Margherita) - detta Gretelchen (Margheritina) e Gretchen (Greta) - la quale si innamora perdutamente di Faust, inconsapevole del fatto che lo slancio (in tedesco Streben) che ispira Faust è nient'altro che il dominio della materia e la ricerca del piacere. La sorte di Margherita sarà tragica. Del 1832 è infine il Faust. Zweiter Teil, o Faust. Seconda parte, nel quale si celebra l'unione tra letteratura classicistica e mondo classico. Faust seduce e viene sedotto da Elena di Troia. Hanno un figlio, Euforione (nel mito, figlio di Elena e Achille), destinato, però, a morire giovinetto. In seguito, preso da nostalgia e rimpianti (ripensa a Margherita, Elena ed Euforione) Faust si stabilisce in un appezzamento costiero, applicandosi costantemente per bonificare la zona. È molto vecchio ormai, e l'Angoscia (un diavolo che personifica la depressione) lo tenta continuamente, e per farlo cadere nello sconforto lo priva della vista. Ma Faust non si abbatte neanche nella cecità. Immaginando un futuro roseo dove un popolo laborioso e libero avrebbe realizzato grandi opere per la propria felicità, Faust afferma che, se fosse vissuto tanto da vederlo, avrebbe desiderato che quell'attimo si fermasse. Mefistofele non capisce, e crede che Faust stia davvero chiedendo a quell'attimo di fermarsi. Perciò, fa morire Faust, convinto di aver vinto la scommessa. Mefistofele reclama la sua anima, che però sale al cielo per il suo costante impegno a favore del bene e della società. Nel finale, un angelo spiega il motivo per il quale Faust è stato salvato: la sua continua aspirazione all'infinito.

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decisione della ragazza di darsi a Faust. Il mondo di Margherita è semplice e

idilliaco, stridente e incompatibile col mondo di Faust, il quale creerà la

distruzione di quella piccola società protettiva. Per permettere l’incontro

amoroso Faust le dà delle gocce da mettere nella bevanda della madre affinché

dorma, ma il narcotico troppo potente uccide la madre della ragazza. Anche

Valentino muore, il fratello maggiore di Margherita, ucciso da Faust perché

non svergogni pubblicamente la sorella. A causa dell’omicidio Faust è

costretto a fuggire dalla città e Margherita si ritrova sola, proprio a causa di

quell’amore che le aveva fatto superare tutte le barriere: la differenza sociale,

religiosa, il ritegno morale per una notte d'amore senza matrimonio.

La citazione che la Lamarque riporta in Poesie dando del Lei riguarda il

momento in cui Faust scopre che Margherita è in prigione e vuole farla fuggire.

Ormai il protagonista non è più innamorato della ragazza, da qui l’analogia con

la situazione tra l’autrice e il suo analista. E proprio come il Dottor B.M. Faust

salva la ragazza dal carcere, ma non per amore, bensì per il suo dovere di

uomo, oltre che per pietà. Come Margherita anche Vivian capisce che il suo

amore non è realizzabile e che l’amato non ricambia l’amore.

Ma il finale tragico di Margherita è ripreso con ironia dalla Lamarque. In

Margherita comincia ad affiorare il senso dell'errore commesso, perciò non

vorrà seguirlo e dichiarerà la sua volontà di espiazione, che le permetterà di

salvarsi dall’inferno. Ma quando vede Mefistofele alle spalle di Faust sente

che lui, l’uomo amato, è perduto, e l’invocazione finale "Heinrich, Heinrich!",

ossia il nome dell’amato Faust, è la promessa di un amore dopo la morte.

Con altri toni rispetto alla tragedia di Goethe, la Lamarque ripercorre le tappe

vissute da Margherita, dalla prima sezione dove l’amore potrebbe realizzarsi,

alla seconda, dove la mancanza dell’amato è anche vicinanza della morte per

infine concludersi con un personalissimo “Heinrich!Heinrich!”, Le sue carezze,

chiedendo così di potersi amare nell’Eternità.

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2.3 Il signore degli spaventati

Edito nel 1992 dalla casa editrice Pegaso il sottile libretto si compone di

quarantuno brevi testi; l’opera raccoglie brani composti tra il 1984 e il 1986 e

rimasti inediti dopo la pubblicazione della raccolta del 1986. Il signore degli

spaventati forma così con Il signore d’oro un dittico coerente e conseguente,

nei cui testi si susseguono le peripezie della signora per conquistare

l’inconquistabile signore, e insieme con Poesie dando del Lei una trilogia

sull’esperienza di analisi e di transfert.

Come ne Il signore d’oro, anche nel 1992 la Lamarque mantiene la divisione

dei testi a seconda del protagonista, in modo tale da dividere la raccolta in due

parti, la prima dedicata al signore e la seconda alla signora. Rispetto alla prima

raccolta però, nei testi pubblicati nel 1992 il desiderio della signora di stare

accanto al signore è meno favoloso e più complesso e articolato, incupito dal

clima generale della raccolta degli spaventati.

Apre la raccolta la poesia I bambini persi, che riporta il lettore nel fitto del

bosco dove le stelle erano gli occhi dei lupi e la luna le fauci dei lupi, in boschi

bui e spaventosi come quello in cui i genitori avevano abbandonato Pollicino

della raccolta Teresino. I bambini persi erano spaventati? chiede

l’interlocutore alla voce narrante, riprendendo l’attributo spaventati che già

caratterizza il signore del titolo della raccolta, e a questa domanda il narratore

risponde affermativamente. Così fin dall’inizio della raccolta si ha la conferma

che Il signore degli spaventati sia quel signore che risponde alle richieste di

aiuto dei bambini, o dei pazienti, che persi chiamavano/ per essere trovati e

spaventati chiamavano tanto./ Svegliavano gli animali addormentati nel bosco.

Lo spunto alla composizione dei testi è ormai palese, rivelato dall’autrice nella

Premessa e dalla Prefazione di Giovanni Giudici. Così ancora più esplicito

appare il componimento Il signore di fronte che apre la prima sezione:

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Era un signore seduto di fronte a una signora seduta di fronte a lui. Alla loro destra-sinistra c’era una finestra, alla loro sinistra-destra c’era una porta. Non c’erano specchi, eppure in quella stanza, profondamente, ci si specchiava.

Questo il primo dei ventuno testi che compongono la prima parte, in cui il

signore si ripropone per ventun volte in vesti diverse, anticipate dai sintetici

titoli: Il signore degli spaventati, il signore degli dei, il signore delle trappole,

il signore che faceva male, titoli molto più spaventati rispetto agli allegri e

luccicanti testi di Il signore d’oro, anche se in alcuni componimenti ritorna uno

scenario meno cupo, come in Il signore puntino, Il signore della lavanda, Il

signore del cuore. Ma è proprio la profondità del rispecchiamento raccontato

nel primo componimento a permettere che i sentimenti spaventati e inquieti di

Vivian trovino nello studio analitico il luogo riparato da cui affrontare il

difficile mondo. Di nuovo i testi si succedono senza un vero e proprio ordine

logico, ma piuttosto analogico. Così Il signore degli spaventati, che aveva una

stanza grande e una stanza piccola, introduce il testo successivo, Il signore

degli dei, dove l’autrice scrive più dettagliatamente di quella stanza piccola

introdotta nel testo precedente; su dati uditivi si fondano Il signore della

caravoce e Il signore delle aquile, dove alla bellezza della voce del signore del

primo testo si contrappone, nel secondo, il fragore spaventoso dei tuoni; Il

signore della lavanda racconta di due figlie del signore, e nel componimento

successivo la Lamarque scrive come avrebbe voluto essere nipote cugina

sorella figlia di quel signore145.

La sezione dedicata al signore si conclude con l’inserimento di un altro

personaggio, nuova proiezione di Vivian, una vecchina che aveva cento anni

ma non li dimostrava. Anche lei, come la signora, è innamorata del signore, ma

con più pudore nasconde il sentimento, data la sua età: la vecchina voleva

segretamente bene al signore della febbre ma, poiché aveva cento anni,

pudicamente non lo rivelava.146

145 V.L., Il signore non parente, in Il signore degli spaventati, Pegaso, Fonte dei marmi 1992, p.25 146 V.L., Il signore della febbre, ivi, p.35

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La sezione della signora, coi suoi diciassette testi, si apre con un’immagine già

di Teresino, il bosco. Sembrava un bosco facile ripete l’autrice, ma quella

signora non riusciva a uscirne più./ Il cuore le batteva a mille a mille, il

sentiero era finito su se stesso, la notte stava per calarle addosso come una

montagna nera.147 Per tutta la sezione a titoli come La signora del parasole, La

signora felice, La signora della primavera, La signora libera, si alternano titoli

più cupi e spaventosi, come già nella sezione precedente accadeva al signore.

Con La signora e l’inverno torna anche in questa sezione il personaggio della

vecchina che aveva già fatto il suo ingresso nella raccolta nella parte sui

signori.

Come nella raccolta del 1986, anche Il signore degli spaventati si conclude con

un testo in cui i due protagonisti si incontrano, Il signore e la signora stelle, ma

piccola variatio rispetto al modello de il signore d’oro, nel 1992 l’autrice pone

il componimento Il signore e la signora anche al termine della prima parte

della raccolta, che anticipa il componimento finale, concludendosi parlando di

stelle.

2.3.1 Dichiarazione setting analitico: Premessa e Prefazione

Decisa a trasformare la sua esperienza di dolore in metafora poetica, la Lamarque ha insistito a raccontare in versi l’innamoramento per il suo terapeuta pubblicando di recente da Pegaso Il signore degli spaventati, raccolta di poesie che completa una trilogia psicoanalitica, dopo Il signore d’oro (Crocetti) e Poesie dando del Lei (Garzanti)148,

si legge su La Repubblica in una recensione all’ultima pubblicazione della

trilogia.

Nonostante alcuni accenni all’esperienza di analisi junghiana vissuta

dall’autrice compaiano già ne Il signore d’oro e in Poesie dando del Lei, solo

147 V.L., La signora nel bosco, ivi, p.37 148 L.Sica, Mio caro dottore abusi pure di me, in “La Repubblica”, 30 gennaio 1993

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con la pubblicazione de Il signore degli spaventati Vivian Lamarque dichiara

apertamente la reale fonte di ispirazione dei componimenti raccolti nei tre testi.

L’informazione al lettore è chiara e ribadita sia nella premessa che nella

prefazione.

Apre la raccolta la Premessa firmata con le iniziali dell’autrice. Parla

dell’analisi junghiana, indirizzo psicoterapico già accennato in Poesie dando

del Lei, cominciata tra il 1984 e il 1986, data che già aveva accompagnato il

titolo de Il signore d’oro come riferimento cronologico per la composizione dei

testi allora pubblicati. Nella breve introduzione la Lamarque parla anche del

suo dottore, il Dottor B.M. a cui la trilogia è dedicata, spiegando:

scrivevo ogni giorno al mio Dottore lunghissime lettere. Invitata a diminuirne il numero, un po’ ubbidendo un po’ disubbidendo, scrissi duecento “signori” (con qualche “signora” qua e là).

Inoltre dichiara anche la comune origine dei testi della prima e dell’ultima

raccolta pubblicate sul tema psicoanalitico: ottanta sono ne “Il signore d’oro”

(Crocetti 1986), ottanta li ho scartati, quaranta eccoli qui ne “Il signore degli

spaventati”.

Conclude il breve testo un ulteriore chiarimento, il senso della parola

spaventati posta accanto al signore, che tutt’altre caratteristiche pareva avere

nel titolo della prima raccolta su di lui, dove era detto d’oro. A questo riguardo

parlando dei brani che compongono l’ultima opera della trilogia scrive: lo so,

sono ossessivi, impauriti, un po’ infantili e assillanti come anch’io allora ero.

E conclude: per questo li dedico a tutti gli spaventati.

Firmata da Giovanni Giudice, la Prefazione a Il signore degli spaventati si

intitola un minuscolo puntino laggiù, richiamandosi all’ottavo brano della

raccolta della Lamarque, Il signore puntino, dove proprio gli ultimi versi

recitano:

il signore diventava sempre più piccolo, ormai era quasi del tutto irriconoscibile, eppure lei lo riconosceva benissimo, anche sottoforma di puntino laggiù.

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Nel componimento, parlando della brevità degli incontri tra il signore e la

signora, l’autrice si riferisce alle sedute col Dottor B.M. e così ecco che già dal

titolo Giovanni Giudici riprende il contesto analitico della raccolta. Anche

nella Prefazione fin da subito è messa in chiaro l’intenzione dell’autrice di

parlare apertamente del proprio percorso di analisi, spunto alla composizione

dei testi delle tre raccolte. Nel chiedermi di premettere un paio di paginette al

suo nuovo libro, scrive Giovanni Giudici,

Vivian Lamarque tiene a precisarmi (così come, nella breve nota introduttiva fa sapere, direttamente, anche al Lettore) che l’occasione di queste “poesie” è da riportarsi a un’esperienza di terapia analitica junghiana. Esse sono, infatti, parte di una sezione inedita dei “materiali” da lei elaborati e trascelti per dare corpo a un altro suo bel libro del 1986: Il signore d’oro.

2.4 Le dediche al Dottor B.M.

Tutte le opere della trilogia hanno uno stesso dedicatario, il Dottor B.M.,

psicanalista di Vivian Lamarque, dal 1984 per circa vent’anni. La raccolta del

1989 aggiunge anche la madre, ulteriore riferimento all’esperienza di transfert

vissuta e al ruolo che rivestì l’analista per l’autrice: il mio dottore ha

rappresentato tutte le madri e tutti i padri che avevo perso per strada149,

racconta infatti in un’intervista. Al dottor B.M. recita in apertura la raccolta Il

signore d’oro, con la dedica al dottor B.M. e a mia madre inizia Poesie dando

del Lei mentre al Dott. B.M. si ribadisce in Il signore degli spaventati con

un’aggiunta, un’ironico (ancora) consapevole dell’insistenza ossessiva dei

componimenti (come infatti l’autrice dichiara nella premessa al volumetto del

1992).

Il dottor B.M. analista junghiano, non gradiva che le poesie della sua paziente Vivian Lamarque fossero puntualmente dedicate alla sua austera persona e date alla stampe. La “materia analitica” ripeteva inutilmente,” dovrebbe sempre rimanere privata”. Ma il dottor B.M., seppure a malincuore, col tempo ha dovuto rassegnarsi.150

149 Ibidem 150 Ibidem

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Dedicatario e protagonista della raccolta, insieme a Vivian, il dottor B.M. è

così la fonte d’ispirazione per le tre raccolte, che narrano dell’impossibile

amore che la paziente provò durante l’analisi per il suo psicanalista vivendo un

“classico psicoanalitico”, il transfert. La trilogia sul transfert amoroso

dell’autrice non poteva che avere come dedicatario l’oggetto del proprio

transfert.

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3. Contenuti

3.1 Il Transfert

L’esperienza analitica e la dimensione privata del setting analitico sono narrate

nelle tre raccolte che Giuliana Petrucci ha definito trilogia sul transfert

(amoroso) in analisi151. Il problema di fondo che esse affrontano è quello del

transfert, o traslazione analitica, a riguardo del quale Rossana Dedola spiega:

come risulta dal Glossario dei termini junghiani, per transfert e controtransfert si intende la “particolare modalità di proiezione comunemente usata per descrivere il legame emotivo inconscio che nasce tra due persone in una relazione analitica o terapeutica”.152

Come si capisce dalla definizione, nella relazione di transfert il rapporto con

l’analista è in primo piano come di primaria importanza risultano anche le

esperienze che vengono vissute nel presente dell’analisi e nell’attualità della

propria storia personale, che vengono dal paziente proiettate nel contesto

analitico.

Anche l’esperienza terapeutica di Vivian Lamarque, narrata nelle tre raccolte

dedicatele, è giocata sul sentimento d’affetto e d’amore provato per l’analista e

sull’inevitabile frustrazione conseguente alla presa di coscienza

dell’impossibilità di quella relazione amorosa tanto desiderata.

Dell’impossibilità di questo amore si rende conto l’autrice stessa, che infatti dal

Il signore d’oro e Il signore degli spaventati a Poesie dando del Lei cambia

tono e modi di raccontare dell’innamoramento.

In quest’ultima raccolta, l’autrice tratta l’argomento in modo più diretto e

consapevole, oltre che con molta più ironia, arrivando in fine ad ammettere a se

stessa il perché del distacco del Dottor B.M., il signore mai, a cui non si poteva

151 G.Petrucci, Il sonno di Alice: l’enunciazione del transfert nella poesia di Vivian Lamarque, in “Italianistica”, cit., p.89 152 R.Dedola, La poesia del transfert: la poesia innamorata di Vivian Lamarque, in “Studi novecenteschi”, n.41, giugno 1991, p.225

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stare sempre sempre153 vicini, e di cui nella prima raccolta scriveva nei sogni

baciabilissimo, intoccabile come un filo scoperto nella realtà, era quel

signore.154 Credevo non mi amasse/ perché è vietato/ forse invece non mi ama/

perché non è innamorato155 ammette lucidamente in Poesie dando del Lei, ma

prima di arrivare a questa ammissione, le altre due raccolte della trilogia

propongono un’alternanza continua tra l’illusione di poter realizzare il proprio

amore per il Dottore, e la delusione per la di lui distanza e “freddezza”

amorosa. Una signora si innamorava sempre di più e un signore si innamorava

sempre di meno./ Era tutto il contrario di un amore corrisposto, scrive in Il

signore della scaletta, dove proprio la scaletta dovrebbe essere l’escamotage

per raggiungere eventualmente l’altissimo letto del signore, permettendo così la

realizzazione di quell’amore irraggiungibile. Anche in il signore meno ammette

la distanza affettiva dell’analista amato:

Ognuno era più innamorato di lui. Non sentiva la tua mancanza, non gli venivi mai in mente, non ti veniva a trovare, non ti faceva mai una telefonatina, non ti scriveva da nessun luogo, non ti accarezzava minimamente. Almeno dava baci? Mai. Nessuno era meno innamorato di lui. Era il meno innamorato di tutti i signori del mondo.

Queste constatazioni della resistenza del Dottore ad amare la sua paziente non

frenano però Vivian nei suoi tentativi di conquistarlo con mille attenzioni,

regalini, bigliettini, poesie, ricordando l’ossessività fantasiosa di L’amore mio è

buonissimo della raccolta Teresino. Nel 1981 all’amore mio la Lamarque

scriveva di aver messo sotto il tergicristallo dell’amore mio un bigliettino156, di

volergli regale una poltrona, perché la sua non è molto comoda157, e poi anche

di potergli fare tanti piaceri/ per esempio commissioni in centro/ o battere a

macchina/ o delle altre cose anche se un po’ noiose/ come per esempio fare le

code158. Così anche nella trilogia Vivian porta al suo signore regali addirittura

153 V.L., Il signore mai, in Il signore d’oro, cit., p.9 154 V.L., Il signore intoccabile, ivi, p.20 155 V.L., Credevo non mi amasse, in Poesie dando del Lei, cit., p.54 156 V.L., Io un giorno ho messo, in Teresino, Società di Poesia & Guanda, Milano 1981, p.13 157 V.L., L’amore mio non ha una poltrona molto comoda, ivi, p.13 158 V.L., All’amore mio mi piacerebbe fare tanti piaceri, ivi, p.13

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ne Il signore della lettera il regalo è Vivian stessa: a un signore per le vacanze

partito una signora inviò in fretta in fretta una lettera con dentro- se stessa.

Con l’esuberanza di una bambina felice la signora di lui innamorata esclama

Buonapasqua buonapasqua159 e in un altro componimento ammette che Gli

scriveva lunghi foglietti che il signore leggeva meticolosamente, prima di

accantonare.160 Anche in Poesie dando del Lei sono molti i regali che la

paziente fa al suo dottore, nel tentativo di conquistarne se non l’amore almeno

l’affetto: Millissimi uccellini/ io Le mando!161; Conoscessi il punto esatto/

dove comincia il cielo/ immediatamente mi ci recherei/ a prenderne un pezzetto

da recapitarLe –con fiocco162; Attraverso il suo finestrino abbassato/ un furtivo

sacchetto di pane fresco fresco/ ho infilato…163 Un intero testo è dedicato

all’elenco dei regali per l’amato (una simile lista compariva anche in Teresino,

nel testo dedicato a G. e intitolato emblematicamente Regali di Natale):

In dote io Le porto foglioline di salvia e di rosmarino più mille poesie circa più quello stralunato ritrattino tutto qui? no anche un fiore con dentro un’ape in velo da sposa più una goccia di miele più una spina di rosa tutto qui? no anche il resto del modo più un cielo gentile più i colori che vuole più il doppio della metà di tutto il mio cuore.164

A proposito di questi continui piccoli regali e pensieri per il Dottor B.M.,

l’autrice in un’intervista racconta:

159 V.L., Il signore della Pasqua, in Il signore d’oro, cit., p.57 160 V.L., La signora dei foglietti, ivi, p.76 161 V.L., Millissimi uccellini, in Poesie dando del Lei, cit., p.15 162 V.L., Conoscessi il punto esatto, ivi, p.25 163 V.L., Sorpresa!, ivi, p.37 164 V.L., In dote Le porto, ivi, p.63

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All’inizio lui, il mio analista, era la mamma e io- proprio come una bambina che vuole disperatamente essere amata, gli portavo di tutto: fiori, rami, sassolini, pane, latte, disegni, piantine, giocattoli dell’infanzia. E soprattutto lettere e poesie…165

La complessità dei sentimenti provati dalla Lamarque durante la terapia nei

confronti del proprio analista non si limitano così al solo innamoramento per il

Dottor B.M. Il mio Dottore ha rappresentato tutte le madri e tutti i padri che

avevo perso per strada. Una catena di separazioni, di lutti, che mi rendeva la

vita insopportabile166 dichiara l’autrice.

Spaventosissimi tuoni, ma sotto quel signore si stava quieti, bene, non c’erano paure. Nessuna nessuna? Nessuna. Come sotto le grandi ali delle aquile, gli aquilotti.167

Per quanto riguarda il ruolo materno assunto dall’analista durante la prima fase

della terapia, Rossana Dedola parla degli studi dello psicoanalista inglese

Donald W.Winnicott a proposito dell’importanza nell’infanzia di un oggetto

transazionale, un “oggetto non me” che permetta al bambino di imparare a

distinguere tra l’io ed il tu, oltre che affrontare positivamente l’esperienza

della solitudine conseguente al distacco dal forte legame che da neonato aveva

con la madre.

La figura del signore, ne Il signore d’oro e ne Il signore degli spaventati,

sembra avere proprio tale funzione, permette alla signora di esprimere i propri

desideri, le proprie angosce, le attese, le disillusioni in un dialogo con se stessa

oltre che con l’analista e anche di poter accettare le frustrazioni a cui si è

sottoposti dalla distanza obbligata del setting. Fra l’analista lontano e la signora

sola si apre uno spazio riempito dai foglietti di poesie che la voce innamorata,

parlando con se stessa, gli dedica. Così il tipo di rapporto che unisce il signore

alla signora è il “materno buono” che fornisce un adeguato oggetto

transizionale di Winnicott, con cui si cerca un contatto, attraverso gesti minimi,

regalini, pensierini come quelli dei bambini.

165 L.Sica, Mio caro dottore abusi pure di me, in “La Repubblica”, 30 gennaio 1993 166 Ibidem 167 V.L., Il signore delle aquile, in Il signore degli spaventati, cit., p.21

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Esplicita diventa la funzione materna dell’analista nella raccolta Poesie dando

del Lei, dove appunto il testo si apre con la doppia dedica all’analista e alla

madre. Testo chiave per questo tipo di transfert è Amante Neonata dove la

Lamarque scrive succhia l’uomomamma perdutamente, dove l’uomomamma è

evidentemente il Dottor B.M. Attraverso il succhiare il latte l’oggetto buono

può finalmente essere incorporato: il transfert ha reso possibile vivere e

simbolizzare l’esperienza primaria.168

Il transfert materno è stato una fase della terapia della Lamarque, la quale

racconta che successivamente e lentamente il rapporto è mutato, il dottor B.M.

è diventato un padre onnipresente pronto ad aiutare e proteggere la bambina

Vivian. Proprio bambina si definisce in un testo de il signore d’oro, Il signore

e la bambina, dove il signore raccoglie da terra una microscopica bambina per

poi cullarla, come il vento una fogliolina. Ma l’affettuosità della figura paterna

subisce un ulteriore evoluzione per infine svilupparsi in un vero e proprio

transfert d’amore, che occupa la maggior parte dei testi delle tre raccolte.

Completamente inebriato, quel fiorellino annusava quel signore. Era un signore profumato? Sì, era un signore come un prato169

scrive l’innamorata signora che stava diventando gelosa ma non lo diventò se

non pochissimo170 di un’altra signora, la moglie dell’analista, che è detta beata

perché la notte di Natale stava sempre sempre con quel signore. Non non

primo quel signore era l’ultimo, suo amore ammette ne Il signore ultimo171 e

lei innamoratamente, mentre lui leggeva lo guardava.172

Infine in Poesie dando del Lei il transfert si è erotizzato, pur conservando tratti

infantili. -Non si spaventi immediatamente/ se ora Le dico/ Vivian La desidera

fisicamente/-Fisicamente?/ -Sì, il sangue mi è entrato nella mente dice

sfacciatamente al suo analista, chiedendogli ancora

168 R.Dedola, La poesia del transfert: la poesia innamorata di Vivian Lamarque, in “Studi novecenteschi”, cit., p.238 169 V.L., Il signore profumato, in Il signore d’oro, cit., p.12 170 V.L., La signora non gelosa, ivi, p.69 171 V.L., Il signore del trono, ivi, p.61 172 V.L., Il signore naturale, ivi, p.47

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Caro Dottore basta distanza varchiamo La prego il confine della stanza.

3.2 Setting analitico junghiano

Il punto di riferimento teorico del Dottor B.M. è la psicologia analitica

junghiana,

la quale più che recuperare il passato nel presente cerca di cogliere l’orientamento attuale della personalità, rifacendosi beninteso anche alla storia passata dell’individuo, ma per inserirla in un prospettiva, in una direzione futura, secondo le indicazioni che provengono dall’inconscio.173

Unico riferimento all’ indirizzo junghiano della terapia è in un componimento

di Poesie dando del Lei nel quale l’autrice descrivendo lo studio del dottor

B.M. nell’elenco degli oggetti raccolti nella stanza inserisce anche il nome di

Jung:

La sua porta sprangata era spalancata, il sole entrato si guardava attorno: piantine una (l’altra trasferita) finestre tre (su una formica) coccodrilli e draghi (forse riprodotti) simboli alchemici, Jung forme di vita il sole entrato si guardava attorno: piccoli dei, Mozart mobili di navi onde dolori amori

173 R.Dedola, La poesia del transfert: la poesia innamorata di Vivian Lamarque, in “Studi novecenteschi”, cit., p.225

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quasi vita.174

Poco nominata nei testi delle raccolte, la scuola junghiana è sempre

esplicitamente nominata nelle interviste, così come nella premessa al volume

del 1992, Il signore degli spaventati dove l’autrice dichiara la fonte di

ispirazione dei suoi testi, scritti durante la terapia analitica junghiana.175

Nelle tre raccolte della Lamarque è centrale il rapporto di Vivian, la paziente,

con il proprio analista, il Dottor B.M., a cui è infatti dedicata la trilogia.

L’importanza della loro relazione è evidente sin dal titolo che fa riferimento al

dottore nella prima raccolta , Il signore d’oro, e nell’ultima, Il signore degli

spaventati (seconda se considerata nelle intenzioni dell’autrice in Poesie 1972-

2002). In Poesie dando del Lei è palesata già nel titolo la distanza che il setting

analitico impone tra l’analista e il paziente, segnata dall’uso della forma di

cortesia. I testi della trilogia spostano la vicenda analitica da un piano

strettamente personale verso una dimensione più ampia

in cui il rapporto reale con l’analista viene a essere rivissuto in una sfera completamente simbolica. Il transfert attiva una capacità di simbolizzazione che trasporta il privato su un piano collettivo.176

Va infine notato che il signore (così come il dottore di Poesie dando del Lei)

pur essendo presentato in maniera molto fantasiosa, viene però definito in

modo poco caratterizzante. Nonostante il Dottor B.M. sia il protagonista delle

tre raccolte, di lui sappiamo davvero poco oltre all’appurato fatto che sia

analista junghiano e che è sposato, un signore aveva una prima moglie177 si

scopre dal secondo componimento di Il signore d’oro che è La signora beata

che ritorna nella parte finale della raccolta. Sempre nella prima raccolta

l’autrice scrive che il suo dottore portava un loden grigio, grigio il suo loden

lupo178, e che fumava la pipa, Il signore della pipa, immagine riproposta poi in

174 V.L., La sua porta sprangata, in Poesie dando del Lei, cit., p.62 175 V.L., Premessa a Il signore degli spaventati, cit., p.7 176 R.Dedola, La poesia del transfert: la poesia innamorata di Vivian Lamarque, in “Studi novecenteschi”, cit., p.228 177 V.L., Il signore della scatolina, in Il signore d’oro, cit., p.10 178 V.L., Il signore loden, ivi, p.25

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Il signore degli spaventati, avevo un golf d’argento e una pipa d’oro179. Certo

è che nemmeno questi pochi dati caratterizzanti possono essere considerati

attendibili, viste le continue diversissime e fantasiose descrizioni che la

Lamarque fa del suo Dottor B.M.

Questa vaghezza descrittiva, oltre ad essere una scelta dell’autrice, è un

ulteriore riferimento alla dimensione analitica della relazione tra i due

protagonisti. Rossana Dedola nota come

il fatto che del dottore si sappia così poco dipenda anche dalle scarse informazioni che il paziente possiede riguardo al proprio analista (una delle regole del patto analitico): proprio il saper poco permette alle proiezioni del paziente di avere uno spazio, un luogo in cui possano compiersi ed essere analizzate.180

Al rapporto analista – paziente si fa invece più volte riferimento nelle tre

raccolte.

Ne Il signore d’oro, il testo finale racconta del primo incontro del signore e

della signora, un appuntamento bizzarro, oppure, come poi si constaterà grazie

alla premessa del 1992, un appuntamento in uno studio specialistico:

Erano un signore e una signora che si erano conosciuti lo stesso giorno. Che ore erano? Le dieci e trenta. E dove erano? Erano sotto il livello stradale di 4 o 5 gradini. E come avvenne? La signora suonò alla porta e il signore aprì.[…].181

Il signore degli spaventati si apre con la descrizione del setting analitico, con

l’analista e la paziente seduti uno di fronte all’altro: Era un signore seduto di

fronte a una signora seduta di fronte a lui./ Alla loro destra/ sinistra c’era una

finestra, alla loro sinistra/destra c’era una porta./ […].182 In Il signore

composto i due vengono rappresentati durante il dialogo della terapia: Mentre

composto le parlava […] “Guardi” disse, a lei che lo guardava. La situazione

179 V.L., Il signore composto, in Il signore degli spaventati, cit., p.19 180 R.Dedola, La poesia del transfert: la poesia innamorata di Vivian Lamarque, in “Studi novecenteschi”, cit., p.226 181 V.L., Il signore e la signora, in Il signore d’oro, cit., p.87 182 V.L., Il signore di fronte, in Il signore degli spaventati, cit., p.15

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dialogica tra paziente e dottore è invece mimata in Poesie dando del Lei dove

alla voce di Vivan e alle sue esuberanti proposte si alternano le sintetiche e

schive risposte del Dottor B.M. come

-Faccia un miracolo venga L’aspetto sull’amaca sulla bicicletta/ partiamo? -E le valigie? -Le valigie non servono non andiamo lontano ci trasferiamo solo su di un piano.

Come già nel componimento La Sua porta sprangata183, in cui compariva il

nome di Jung, sono molti i testi in cui l’autrice scrive proprio del luogo in cui

si svolge l’analisi, descrivendo lo studio del Dottor B.M, semplicemente

nominato in Il signore del ruscello184 (Nel mezzo dello studio di quel signore

[…]) e in Poesie dando del Lei all’inizio del componimento Oggi nel suo

studio. Mentre in questi due casi la narrazione devia poi in ambienti fantastici e

sognati, in altri testi la descrizione appare più realistica e accurata. Abitava in

una stanza un po’ sotto il livello stradale, scrive in Il signore della stufetta:

Le signore che venivano in visita si sedevano, si guardavano intorno, nel centro della stanza c’era una stufetta. La stufetta era color grigio chiaro, sopra c’era un pentolino minuscolo, pieno d’acqua (forse per il tè). In alto, un po’ a destra, c’era una finestrina dai vetri colorati (come quelli delle chiese)[…]185.

Aprono la raccolta Il signore degli spaventati tre componimenti che

chiaramente si riferiscono al contesto analitico. Mentre il primo testo focalizza

la descrizione sui due protagonisti dell’analisi, Il signore di fronte, i due testi

successivi si collegano, descrivendo la stanza piccola dello studio:

Aveva una stanza grande e una stanza piccola. Nella stanza piccola c’era un tavolino grande e nella stanza grande c’era un tavolino piccolo e c’erano due poltrone.

183 V.L., La sua porta sprangata, in Poesie dando del Lei, cit., p.62 184 V.L., Il signore del ruscello, in Il signore d’oro, cit., p.56 185 V.L., Il signore della stufetta, ivi, cit., p.54

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In una sedeva lui, nell’altra sedevano gli spaventati che lui, con sapienza, rassicurava.186 Nella stanza piccola aveva libri paurosi con antichi animali e mostri. Coloro che li sfogliavano si spaventavano, fuggivano nella stanza dove aveva libri rasserenanti con figure chiare chiare di nuvole e dei.187

Ulteriore indizio della dimensione terapeutica degli incontri tra Vivian e il

Dottor B.M. sono anche gli orari degli appuntamenti per l’analisi, in giorni e

orari fissi, come per ogni studio medico: Alle ore venti ognuno tornava alla sua

casa./ Non avevano una stessa casa?/ No […]188; La mia settimana è un

settenario/ con gli accenti su martedì e venerdì/ al sabato il tono cala/ risale il

lunedì.189

3.3 Distanza, assenza, impossibilità di unione: amore non corrisposto

Conseguenza del transfert è l’impossibilità di realizzazione dell’amore della

signora per il signore, di Vivian per il Dottor B.M. E’ proprio la distanza

dell’amato ad aprire la raccolta Il signore d’oro, con Il signore mai, che già

nell’attributo mostra l’irrealizzabilità della relazione, in questo caso specifico

simboleggiato dalla lontananza fisica:

Era un signore bello e meraviglioso. Vicino a lui non si poteva stare sempre, bensì mai. Lui, il Lontano, viveva dispettoso, con la sua famiglia, in un altro luogo.

Ritorna così la tematica della sezione Poeti della raccolta del 1981:

l’esclusione dalla vita della persona amata.

Il tema della lontananza e dell’assenza percorre tutta l’opera di Vivian

Lamarque e sembra giustificare alla paziente la refrattarietà all’amore del suo

186 V.L., Il signore degli spaventati, in Il signore degli spaventati, cit., p.16 187 V.L., Il signore degli dei, ivi, cit., p.17 188 V.L., Il signore nell’aria, in Il signore d’oro, cit., p.66 189 V.L., La mia settimana è un settenario, in Poesie dando del Lei, cit., p.40

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dottore. Si potrebbe dire che la scrittura, nel momento in cui la scopre abbia la

funzione di esorcizzarla190, commenta Caddeo.

Proprio Il signore d’oro che dà il titolo alla raccolta non viene trovato perché in

un angolino di una casa lontano o perché si era un po’ allontanato come una

nave, ma un poco ancora si vedeva e la signora nel vederlo non può non

emozionarsi, come ne Il signore puntino:

Non potendo veder sempre, quando infine poteva vederlo lo guardava moltissimo, fino all’ultimo minuto, fino all’ultimo secondo, e anche dopo si voltava indietro, si voltava indietro. Il signore diventava sempre più piccolo, ormai era quasi del tutto irriconoscibile, eppure lei lo riconosceva benissimo, anche sotto forma di minuscolo puntino laggiù.

Sempre lontanissimo è Il signore del bastimento, che abitava su un bastimento

fermo in mezzo al mare./ Gli dicevano sempre torna a casa ma lui non ci

pensava affatto, e a tal proposito emblematico è il titolo del brano Il signore

del luogo lontano. In alcuni testi l’unione impossibile tra i due protagonisti

sembra legata a un fattore esterno, come la tela di un ragno191, il fatto di essere

alberi divisi lontani in quanto cresciuti in due luoghi diversi ai confini dei

prati192, mentre si tenta di far fronte ad impedimenti apparentemente

inesistenti, come un petalo/ della margherita193, o le lontanissime vacanze194

del dottore al quale Vivian prova a ordinare: Basta villeggiatura UBBIDISCA!

RITORNI!195. Magra consolazione all’insuperabile lontananza dall’amato è

l’illusoria vicinanza delle loro anime in Poesie dando del lei: La notte scende/

siamo lontani di cuscini/ ma di anime/ siamo vicini che non è che un tentativo

di negare il dolore causato dalla distanza dell’amato, come quando scrive

adesso io dico/ il male che io sento/ quando io a Lei lontano penso[…].

190 R.Caddeo, Contro mostri e draghi l’arma della scrittura, in “Concertino”, n.14-15, novembre 1995, p.24 191 V.L., Assente il ragno dalla nostra tela, in Poesie dando del Lei, cit., p.24 192 V.L., Alberi divisi lontani, ivi, p.77 193 V.L., Sempre così, ivi, p.44 194 V.L., Lontanissime vacanze, ivi, p.26 195 V.L, Basta villeggiatura, ivi, p.27

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La lontananza del signore in alcuni componimenti tende a diventare lontananza

assoluta, come per Il signore lontano, dove il confine tra lontananza e vera e

propria assenza si fa sottilissimo:

Era un signore che c’era e allora dov’era, perché non era lì dove si sarebbe desiderato che fosse? Era un signore lontano, oh così lontano che nessuno mai da lassù poteva avvistarlo e gridare terra.

Il tema dell’assenza del signore ritorna in tutte e tre le raccolte della trilogia,

nelle quali Vivian continua inutilmente ad esprimere il proprio amore per Il

signore accarezzabile che però non si lascia accarezzare, infatti le carezze si

mettevano in cammino[…] / Sbigottite lo cercavano ma il signore all’arrivo

non c’era, come anche per Il signore della nostalgia che era andato via. In

molti componimenti il signore è andato via: Era andato via?/ Sì, le strade

avevano rubato i suoi passi, messo le sue impronte in fila con le punte girate di

là e proprio Il signore andato via si intitola uno dei testi de Il signore d’oro.

Non solo andato via, ma addirittura non arrivato è Il signore che non arriva,

inutilmente aspettato alla finestra da una signora ignara del fatto che il signore

non sarebbe mai arrivato, essendo il signore che non arriva. L’assenza

dell’amato è riproposta con una negazione in Il signore non seduto, in cui il

signore oltre a non accanto a lei essere seduto, non dai finestrini indicava il

panorama[…] / Non era stanco, non aveva fame, nessun pasto tra loro, nessuna

cura, insomma quel signore non c’è. Proprio per questa assenza La signora

mezzasera è triste, quando all’uscio della mente si avvicinavano gli assenti

passi di quel signore che non c’era. Inutilmente in Poesie dando del Lei

Vivian esclama Basta senza di Lei restare!, perché già il primo testo dell’opera

ci rivela che Il mio Dottore è sparito, come il polimorfo Teresino sparito della

prima raccolta dell’autrice.

In alcuni componimenti l’autrice però propone il vero motivo della lontananza

dell’amato, ossia la sua professionale volontà di non intraprendere una

relazione con le pazienti. La Lamarque in questi testi si mostra consapevole

del’impossibilità amorosa del transfert, sia evidenziando la refrattarietà del

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dottore alle sue avances, sia ammettendo il divieto posto dal contesto analitico.

Il distacco dell’amato analista è simbolizzato spesso dalla porta chiusa,

chiusissima in Il signore della Pasqua,e si pensi alle signore chiuse a chiave

fuori dalle porte e dalle finestre della casa del dottore, che invece che con le

innamorate pazienti passa la notte di Natale con la moglie, la signora beata.

Emblematico dell’atteggiamento del Dottor B.M. è già dal titolo il

componimento Il signore sulle difensive che recita

Si era chiuso in una fortificata casa, era un signore sulle difensive. Lei bussava molto alle sue porte e alle sue finestre, diceva apra subito, voglio entrare. Ma lui no apriva. La salutava da dietro i vetri come da un treno, come da un treno che tra poco parte.

Al divieto analitico si accenna in tutte le raccolte, in modo più sfuggevole nei

due Signori, mentre invece apertamente in Poesie dando del Lei. Così a Il

signore della reticella non si possono fare tante feste quando torna da un

viaggio, semplicemente perché era vietato, come era proibito a La signora dei

baci baciare il signore; nonostante il divieto La signora mulinello turbinò alla

di lui proibita casa, proprio per questa infrazione il vento[…] sempre più

lontano la portava. Per tentare di superare il divieto, in Poesie dando del Lei

Vivian si immagina ladra:

Desiderio improvviso di vedere il Suo viso e poi fuggire adagino con negli occhi felici il bottino.

Basta distanze chiede la paziente al suo caro Dottore, ma la conclusione a cui è

costretta a giungere è di nuovo l’impossibilità della relazione d’amore tra

l’analista e la paziente, oltre che il reale non interesse del dottore, già sposato

con la signora beata:

Credevo non mi amasse perché è vietato forse invece non mi ama

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perché non è innamorato.196

3.4 Lo scorrere del tempo e la morte

Il Dottore non si innamora, la distanza rimane e con essa l’attesa, ormai vana,

vista l’impossibilità di un ritorno del signore. La signora però continua ad

attendere una svolta, che non arriverà mai, e l’attesa implica il passare del

tempo, l’invecchiamento e infine la morte.

Vivian è consapevole di questo, infatti la tematica dello scorrere del tempo e

conseguentemente della morte, ritornano nella trilogia sempre più

insistentemente. Mentre nella prima raccolta si pone più l’accento sul passare

del tempo, alla morte si dedicano le parti conclusive delle due opere

successive. Gli ultimi sei componimenti de Il signore degli spaventati

chiudono la raccolta proprio su questa tematica, introdotta da il componimento

La signora e l’inverno, dove ritorna la vecchina segretamente innamorata del

signore d’oro, questa volta alle prese con l’inverno, metafora della fine della

vita, oltre che della vecchiaia stessa.

E’ in Poesie dando del Lei che la tematica della morte assume davvero rilievo,

alla quale è dedicata la seconda sezione che si apre con Il mio Dottore è

gentile/ ma io vorrei morire. Dei diciannove testi di cui si compone questa

seconda parte dell’opera, dieci sono dedicati al tema della morte in modo

esplicito, mentre gli altri ne trattano indirettamente o raccontando della

vecchiaia e dello scorrere del tempo, o in modo metaforico, parlando della

sera, della notte, del sonno, come mi arrendo mi addormento […] è Lei che tra

le Sue oscure braccia mi prende.

Va infine notato che nelle tre raccolte, la maggior parte dei testi su queste

tematiche riguardano la signora, è lei a morire, ad invecchiare, a non poter

coronare il suo sogno d’amore col signore.

196 V.L., Credevo non mi amasse, ivi, p.54

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A ostacolare il rapporto quindi non è solo il divieto analitico, ma anche il

tempo che scorre senza che i due si siano avvicinati: […] E intanto la vita?/

Intanto la vita per sempre per sempre se ne andava, intanto la vita come una

bella vela quasi era sparita.197 La signora si accorge del passare del tempo,

Guardi: mi sfiorisce il corpo/ mi fiorisce la mente/ il Giardino dei Morti è

d’accordo/ attende paziente e sempre in Poesie dando del Lei ironizza sul

tempo che passa, senza che però si modifichi l’atteggiamento di distanza

dell’amato: Non mi sorrida pure/ tanto c’è tempo, vero?/ in vece Sua/ tra cento

o uno anni/ forse una gentile nuvola/ forse alla mia infantile polvere/ forse

sorriderà; Dice che l’uomo ha lunga vita/ me lo dimostri allora/ mi dimostri

che la mia vita/ non è quasi finita; Con impaziente impazienza/ io La amo./ -E

quando sarà finita?/ -Oh entri un secondo prima, La prego, nella mia vita.

Il tempo è visto come un problema per la signora de Il signore d’oro, che in

testi come appunto La signora in fretta cerca di utilizzare a proprio vantaggio il

fatto che il tempo sia così poco, per velocizzare, o almeno avviare, l’assente

relazione col signore.

Il per sempre era ormai cortissimo diventato. Quanti Natali erano rimasti? Una manciata. Allora bisognava non sprecare nemmeno un minuto? Sì, bisognava spicciarsi, per questo lei, in fretta, lo adorava.

Ma il dottore non dà cenni di interessamento, mentre Vivian non può far altro che

adorare più velocemente l’amato signore per cercare di sfruttare i cento o uno

anni che le rimangono:

Però gli anni non erano durati veramente un anno e i mesi non erano durati veramente un mese. Così i quarant’anni erano arrivati in due tre minuti, non era giusto, protestò la signora.198

L’idea della distanza e dell’assenza dell’amato si estremizza con la morte,

ostacolo ineluttabile. Questa separazione, questa ferita del silenzio dell’amato,

197 V.L., Il signore gentile, in Il signore d’oro, cit., p.30 198 V.L., La signora di quarant’anni, ivi, p.79

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che spesso nei componimenti della trilogia suona crudele e irreparabile, come

vero e proprio lutto, viene narrato negli ultimi testi di Il signore degli

spaventati e di Poesie dando del Lei, già anticipata, stemperando i toni luttuosi

con quelli della fiaba, da La signora dei fiori della prima raccolta del 1986:

Sulle mani un po’ presto aveva i fiori della morte. Come i fiori della morte? Quei puntini che più si è vecchi più ce n’è. Ne aveva tanti? Ne aveva sette come i sette nani, sulle strade del bosco delle mani.

Molto più macabri i componimenti de Il signore degli spaventati, in generale

caratterizzato da contesti più cupi, come

L’acqua che saliva saliva voleva portarla là Lei non voleva ma l’acqua imperiosamente la chiamava. Mulinelli a mille a mille le dicevano vieni vieni scendi nel gorgo con noi, vedrai quaggiù che nuovi liquidi mondi.199

La signora della terra un giorno cadde in un buco che qualcuno aveva scavato

davanti a casa sua, scoprendo però di essere caduta in una tomba ( forse la sua):

[...] Oscura terra, pallide larve la circondarono prima del tempo. Con anticipo vide il buio di laggiù, sentì l’umido odore della terra, il silenzioso rumore degli insetti. Spaventata, precipitosamente si rialzò. Con un balzo, quella volta, poté uscirne.

Ma se la signora della terra riesce a sfuggire dalla morte, non è così per le altre

signore, come La signora Libera che poteva pensarlo sempre, aveva tanto

tempo libero, era un signora morta che sembra aver risolto il problema che

invece angosciava la signora di fretta: c’era silenzioso tempo per tutto, nessuno

interferiva, nessuno mentre lo pensava disturbava. Anche La signora volata

trova ironicamente il lato positivo della propria situazione:

Volata in cielo, ombrosamente nei giorni di arsura, con tepore nei giorni di gelo, lo vegliava.

199 V.L., La signora dell’acqua, in Il signore degli spaventati, cit., p.50

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Lui non lo sapeva, ma qualche volta sentiva nell’aria intorno a sé qualcosa, come il volare di una specie leggera di moschina.

In un altro componimento Vivian dice al dottore di partire lui per le vacanze al

suo posto, quando lei non potrà più per le mie palpebre addormentate200 e

giocando descrive la propria immagine da morta: tracce d’inchiostro sulle sue

dita/ morte e anche/ un azzurro alone sulle guance/ forse le guance appoggiò

alle dita/ pensando l’ultimo pensiero/ della vita.201

Ma la paziente non si arrende e facendo buon viso a cattiva sorte, trova un

modo per convincersi che non sarà la morte ostacolo per il loro amore, anzi,

potrebbe esserne finalmente il coronamento. Proprio con questa idea conclude

la raccolta Poesie dando del Lei con Le Sue carezze in cui scrive Se il tempo

terrestre/ me le negherà/ chiederò il favore alle mani/ dell’Eternità,

conclusione già anticipata nella penultima poesia della prima raccolta, La

signora della mano, che nonostante l’età ormai avanzata scrive Finisce così

male?/ Oh no, del tutto sconosciutissimo sarà il finale. E’ ne Il signore degli

spaventati che la Lamarque racconta dei due signori entrambi morti, finalmente

insieme, Vivevano fra loro lontani come stelle lontane fra loro./ Per tutta la

lunga eternità divisi come stelle divise, solitariamente nei loro singoli cieli,

divisi , luccicavano.202 Insomma non c’è nulla da fare, l’amore per il proprio

analista è davvero impossibile da realizzare, sembra dirci con più o meno

ironia l’autrice.

3.5 Sogni e realtà

Giuliana Petrucci, nel suo saggio dedicato all’analisi del transfert nella trilogia

della Lamarque, mette a confronto Vivian con l’Alice di Lewis Carroll citando

da Alice nel paese delle meraviglie: non svegliatela perché tutti noi siamo nel

200 V.L., La prima estate, in Poesie dando del Lei, cit., p.81 201 V.L., Tracce d’inchiostro sulle dita, ivi, p.80 202 V.L., Il signore e la signora stelle, in Il signore degli spaventati, cit., p.54

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suo sogno e se la svegliate tutti noi scompariremo. Spiega che il paradosso

della teoria psicoanalitica consiste nel fatto che tutti gli oggetti del mondo

esterno, portati nel setting analitico durante il colloquio con il terapeuta, hanno

un significato solo all’interno della continuità psicologica del paziente. Il

compito dell’analista è così accostato a quello di sorvegliare il sonno di Alice,

tenendo sempre presente che per Alice-Vivian quel sogno è realtà. Nello

spazio-tempo della seduta analitica, possono passare contenuti dolorosi così

come gioiosi o ludici, ma quello che conta è che ne rimanga intatta la struttura

di contenitore che potenzia e oltrepassa la realtà effettuale. Grazie a questo

“meccanismo” della terapia Alice, e quindi la paziente Vivian, impara che il

suo sonno è un gioco. E’ con questa leggerezza che richiede all’ analista di

uscire dalla sfera della propria autorità e di confrontarsi con le leggi di un

fantastico mondo altro, dove questa volta è lei a dettare le regole.203

E’ stato proprio il confine tra fantasia e realtà che il dottor B.M. ha ricostruito nella sua paziente. “Un confine- dice lei- che, prima dell’analisi, avevo completamente smarrito. Dover accettare la realtà mi è servito moltissimo, e molto gradualmente l’innamoramento per il mio analista si è trasformato in un sentimento di affetto, in un’infinita gratitudine. Un po’ alla volta ho recuperato energie per me stessa, per il mio lavoro, per la mia vita.”204

Questo confine tra realtà e finzione, fantasia o sogno che sia, viene apertamente

dichiarato in alcuni componimenti dell’autrice, fin dalla prima raccolta del

1986. Ne Il signore d’oro in due signori l’autrice spiega chiaramente il gioco

da lei giocato per i testi della trilogia: Bastava confondere un poco sogno e

realtà, cancellare con una bianca gomma l’inutile linea di confine.205 Stesso

metodo viene infatti ribadito già dal titolo di Il signore sognato: Splendidissima

era la vita accanto a lui sognata./ Nel sogno tra tutte prediletta la chiamava./

E nella realtà?/ La realtà non c’era, era abdicata./ Splendidissima regnava la

vita immaginata. Sempre in questa prima raccolta, l’autrice racconta di una

signora che dentro dentro nel centro della testa aveva un castello in aria,

203 G.Petrucci, Il sonno di Alice: l’enunciazione del transfert nella poesia di Vivian Lamarque, in “Italianistica”, cit., p.97 204 L.Sica, Mio caro dottore abusi pure di me, in “La Repubblica”, 30 gennaio 1993 205 V.L., Il signore intoccabile, in Il signore d’oro, cit., p.20

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castello in aria per nulla “campato in aria”, di quelli che si sognano una volta e

poi spariscono, bensì un castello con tanto di fondamenta di cemento armato.

Le fondamenta del castello erano il cervello della signora. La signora e il castello in aria erano dunque una cosa sola? Sì, la signora e il castello in aria erano dunque una cosa sola.206

Ancora più scoperto è il gioco onirico della paziente, nei brevi dialoghi col

Dottore di Poesie dando del Lei. In questa raccolta i testi si aprono proprio con

la dichiarazione di finzione della realtà lì rappresentata e raccontata: oggi ho

inventato/ che Lei era seduto con me in giardino; oggi ho inventato/ che Lei

era con me al mercato. Così come ne La notte di Natale rassicura il Dottor

B.M., dicendogli che lo andrà a trovare, ma per finta naturalmente/ visita della

mente/ e del cuore/ al mio Dottore. Sempre rivolgendosi a lui, gli propone un

altro gioco di finzione, per poter far finta di essere vicini anche quando sono

lontani: dalle nostre finestre/ vediamo una magnolia vero?/ Che sia per

entrambi la stessa, fingo.

L’esame di realtà, ossia la presa di coscienza dell’effettiva distanza dell’amato,

della conseguente impossibilità di un rapporto amoroso, oltre che della

presenza di un’altra famiglia e quindi di una vita privata del dottore da cui si

resta esclusi, non impedisce così al desiderio di Vivian di stare col suo amato

Dottore B.M. almeno nella fantasia, dato che intoccabile come un filo scoperto

nella realtà, era quel signore.207 L’invito rivolto all’analista è quello di stare al

gioco e seguire la fantasiosa paziente nel suo onirico mondo: Caro dottore/ che

mostri e draghi/ Le hanno affaticato gli occhi/ si riposi un po’ con Vivian/ nel

mondo dei balocchi.208 Lo studio dove Vivian e il terapeuta si incontrano, per

esempio, spesso viene stravolto dalla sua fantasia, come ne Il signore della

tendina209, in cui il signore abitava in un’automobile elegante, e per il poco

spazio rimasto a causa dei vari mobili, poteva ricevere solo signore piccole

piccole (una alla volta) le baciava molto (dietro la tendina specialmente). Una

206 V.L., La signora del castello, ivi., p.78 207 V.L., Il signore intoccabile, ivi, p.20 208 V.L., Caro Dottore, in Poesie dando del Lei, cit., p.61 209 V.L., Il signore della tendina, in Il signore d’oro, cit., p.23

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vicinanza impossibile si immagina ne Il signore della poltrona210: […] non

stavano seduti su due poltrone, bensì su una./ Lì parlavano fitto fitto, a lungo,

capendosi alla perfezione; lo stesso ne Il signore della scaletta211: […] Nel

mezzo della stanza dove si incontravano c’era un letto grandissimo, dalle

lenzuola meravigliose./ Il letto era un po’ alto però./ Ma, per eventualmente

salire, vi era lì un’apposita scaletta; e nel mezzo dello studio di quel signore

c’era un piccolo verde prato, attraversato da un fresco ruscello./ A destra del

ruscello c’era un tavolino color mogano basso basso […] descrive in Il signore

del ruscello.212

In altri testi il carattere onirico è talmente accentuato, da essere difficilmente

riconducibili ad una situazione reale, essendo completamente assorbiti dalla

loro funzione simbolica: Un signore qualche volta andava in fondo al mare a

vedere i diversissimi pesci che lì passavano213; [...] Tra le sue lunghe ciglia di

alberelli vedeva nidi di famiglie cinguettanti e numerose, lì sui rami all’ora di

cena tutti insieme si mangiava214; Vicino al suo letto c’era un tavolino, sul

tavolino c’era un faunetto./[…] In punta di piedi di capra faceva tre giri

intorno alla stanza, poi si sedeva sul cuscino del signore […]215; Un signore

morto entrò in una fotografia./ Come mai?/ per essere visto da una signore che

non l’aveva mai visto./ Vi entrò col cappello?/ No, per fare la fotografia se lo

tolse, ma poi se lo rimise.216

I testi delle tre raccolte spostano così la vicenda da un piano strettamente

personale verso una dimensione più ampia in cui il rapporto reale con

l’analista viene a essere rivissuto in una sfera completamente simbolica.217 La

conclusione è però sempre la stessa, l’inevitabile sconfitta del tentativo di

conquistare l’amore del dottore. Così, frustrata, in Poesie dando del Lei Vivian

chiede almeno di essere sognata nei “reali sogni” dell’amato: mi arrendo mi

addormento/ senza di Lei accanto/ se non in sogno/ nei sogni è Lei che si

210 V.L., Il signore della poltrona, ivi, p.26 211 V.L., Il signore della scaletta, ivi, p.28 212 V.L., Il signore del ruscello, ivi, p.56 213 V.L., Il signore in fondo al mare, ivi, p.37 214 V.L., Il signore naturale, ivi, p.47 215V.L., Il signore del faunetto, in Il signore degli spaventati, cit., p.29 216 V.L., Il signore della fotografia, ivi, p.31 217 R.Dedola, La poesia del transfert: la poesia innamorata di Vivian Lamarque, in “Studi novecenteschi”, n.41, giugno 1991, p.228

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arrende/ che tra le Sue oscure braccia mi prende; sono le sei la città dorme/ e

Lei?/ sogna?/ oh qualcuno sogni un sogno che mi comprenda/ non mi escluda

[…].

3.6 Doppio: contrari e complementari

Il tema del doppio, che già aveva caratterizzato molti dei componimenti di

Teresino, ritorna anche nella trilogia. Nel 1981 questa tematica era

fondamentale per la narrazione, rappresentando la sofferenza di Vivian divisa

tra due madri, due padri, due paesi, conseguenza della ferita ancora aperta

dell’adozione. Nelle tre raccolte per il Dottor B.M., il doppio si amalgama con

altri aspetti dei componimenti dell’autrice: la psicanalisi, l’onirismo e la

continua ricerca dell’amore dell’analista.

Rinaldo Caddeo, per quanto riguarda il tema dello sdoppiamento, afferma che

nelle tre opere l’autrice sia stata influenzata, consciamente o inconsciamente,

proprio dalla scuola junghiana del suo analista. A riprova di questa

affermazione porta la teoria dei contrari di Jung.

Draghi, mostri, simboli alchemici sono al centro dell’interesse delle indagini sull’inconscio collettivo di Jung intorno ai miti e agli archetipi. Uno degli archetipi esaminato da Jung è quello della lotta (in L’uomo e i suoi simboli) dell’io contro le tendenze regressive. L’eroe si accorda con i poteri dell’ombra per vincere il drago (mito biblico di Giona nella balena) e riscattarsi. Faust sfida Mefistofele, l’inconscio, per assurgere alla vita e assimilarne pienamente i poteri […]Un’analoga polarità, vita-morte, vicino-lontano, attraversa tutto il libro.218

Il doppio che Caddeo ritrova in questa parte della produzione della Lamarque

sarebbe quindi da ricollegarsi alla “lotta” tra entità diverse, o più

semplicemente, all’accostamento di opposti. Così il signore de Il signore d’oro

è un signore che partiva ma dopo ritornava./ Comunque partiva./ Comunque

218 R.Caddeo, Contro mostri e draghi l’erma della scrittura, in “Concertino”, n.14-15, novembre 1995

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ritornava219, e la signora di lui innamorata era una signora giovane e

vecchina220 che compiva gli anni vicino lontano da lui221 e che era felice

perché nella sua mente non c’era Nessuno, c’era Qualcuno222, ossia il suo

amato dottore. L’innamorato spesso fa male alla signora, ma lei sa che è un

male che fa bene, e così continua la terapia: E sia mi faccia pure così male/

tanto lo so che forse è a fin di bene.223 Allo stesso modo fa male un’altra

contraddittoria affermazione in Poesie dando del Lei, dovuta alla ritrosia del

signore, in cui la paziente stanca si lamenta per Questa convivenza/con la Sua

assenza e aggiunge la natura va contro natura (ritornando all’idea della lotta

nella teoria junghiana).

Molto più ricorrente nelle tre raccolte è il tentativo di Vivian di far innamorare

di sé il Dottore, o comunque di immaginarsi innamorati reciprocamente224,

come già diceva in Teresino. Di nuovo però questa reciprocità è impossibile da

raggiungere, soprattutto ora, essendo la relazione vietata dal contesto analitico.

La tematica del doppio viene rappresentata da un desiderio di unione, di

complementarietà tra il signore e la signora, sognando quell’unione che porti a

un cuore solo e un’anima sola: essendo un signore e una signora di forme

complementari, lì stavano perfettamente, come due contigui puzzles.225 Per il

signore notturno della prima raccolta l’autrice immagina una signora solare,

per poter soddisfatta dire che erano un signore e una signora proprio adatti,

portando anche una prova a questa sua affermazione: uniti producevano una

luce esatta e una fresca ombra, e inoltre di notte l’oscurità li avvolgeva e li

univa, come emisferi. Più confusa è invece la situazione proposta ne Il signore

degli spaventati, quando parlando de Il signore e la signora (già proposti

insieme nel titolo) la voce narrante sembra indecisa se seguire il proprio

immaginario, o la realtà:

219 V.L. Il signore che partiva, in Il signore d’oro, cit., p.25 220 V.L., La signora giovane e vecchina, ivi, p.82 221 V.L., La signora del compleanno, ivi, p.72 222 V.L., Il signore del trono, ivi, p.61 223 V.L., E sia mi faccia pure così male, in Poesie dando del Lei, cit., p.58 224 V.L., Di due persone, in Teresino, cit., p.30 225 V.L., Il signore della poltrona, in Il signore d’oro, cit., p.26

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Sembravano due ma erano una cosa sola. Anzi sembravano una cosa sola ma erano due. Anzi erano due e una cosa sola. Allora quante poltrone ci volevano? Due. Quante seggiole? Due. Quanti tavoli? Uno. Quanti letti? Uno. Quanti soli? Un sole e una luna. Quante stelle? Tutte tutte del firmamento le stelle disponibili (tranne quelle cadenti).

L’idea dello sdoppiamento ritorna anche con l’immagine dello specchio,

utilizzando questa immagine proprio per definire la dimensione analitica: non

c’erano specchi, eppure in quella stanza, profondamente, ci si specchiava.

Nello stesso componimento anche la descrizione dello studio dell’analista è

descritta “a specchio”, accostando continuamente le due prospettive, a seconda

che si prenda come riferimento uno o l’altro lato dello specchio (il signore o la

signora): era un signore seduto di fronte a una signora seduta di fronte a lui./

Alla loro destra-sinistra c’era una finestra, alla loro sinistra-destra c’era una

porta.226 Stesso metodo descrittivo è adottato per un’altra descrizione dello

studio analitico:

Aveva una stanza grande e una stanza piccola. Nella stanza piccola c’era un tavolino grande e nella stanza grande c’era un tavolino piccolo e c’erano due poltrone.[…]227

Il signore d’oro viene invece messo a confronto con altri signori, che però

brillavano poco, erano signori pallidi, opachi, non erano d’oro vero, erano

signori falsi./ […] E dov’era il signore d’oro vero?/ Lontano. All’originale si

accostano le copie, che però non riescono a riprodurne tutte le caratteristiche

che lo rendono unico, speciale. Lo stesso gioco tra originale e copia è

riproposto ne Il signore del cinema228 col paragone tra la vita e i film, o ne Il

signore della fotografia tra persona reale e foto, dove in questo caso il surplus

226 V.L., Il signore di fronte, in Il signore degli spaventati, cit., p.15 227 V.L., Il signore degli spaventati, ivi, p.16 228 V.L., Il signore del cinema, in Il signore d’oro, cit., p.59

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è dato dal sorriso del signore: Sorrideva? Nella fotografia no, ma nella vita sì./

Era una fotografia a colori?/ No, era in bianco e nero.229 Nella realtà Vivian e

il Dottor B.M. non vivevano nella stessa casa, così in Il signore nell’aria, la

sognante paziente risolve il problema inventandosi una seconda casa, nell’aria

appunto,anzi a destra e a sinistra nel mezzo dell’aria,230 dove poter stare

insieme.

La dimensione onirica sviluppa il tema del doppio in Il signore della lavanda:

Un signore aveva due figlie di nome Chiara. Sarebbe proibito dare nomi uguali, comunque quel signore le aveva chiamate così. Quando le chiamava tutte e due alzavano gli occhi, ma lui ne guardava solo una (alla volta). La loro casa dava su un campo quadrato di lavanda. Le diagonali del quadrato erano due sentieri bianchi, nel centro c’era un fontana. Chiara e Chiara arrivavano dai due sentieri, si sedevano sull’orlo della fontana, facevano piccoli mazzolini di lavanda.

Due figlie dallo stesso nome, che rispondono insieme quando il padre le

chiama, il campo di lavanda quadrato, che quindi ha tutti i lati uguali, due

sentieri bianchi uguali, perché formati dalle diagonali del quadrato, ma una

sola fontana al centro, dove le due sorelle omonime possono sedersi,

incontrarsi, specchiarsi. Oltre al doppio ritroviamo così il sogno, lo specchio e

la dimensione analitica. Il padre delle due Chiara è il signore de il signore degli

spaventati, il Dottor B.M., che come riceve una alla volta le sue pazienti così

guarda una alla volta le figlie: lui ne guardava una (alla volta). L’aggiunta tra

parentesi sembra voglia evitare fraintendimenti, il dottore non ha preferenze, o

forse sì? Una situazione simile viene proposta ne Il signore d’oro, dove non si

parla delle due figlie, ma delle due mogli. Anche in questo caso però la

situazione di uguaglianza è subito messa in dubbio, essendo la prima moglie

prima e vera moglie, mentre la seconda, segreta, molto piccola è in più e sta in

una scatolina. Nonostante l’iniziale differenza, il doppio torna ad essere

proposto come speculare nella conclusione: il signore voleva molto bene a tutte

e due le sue mogli e tutte e due le sue mogli volevano molto bene al signore.

229 V.L., Il signore della fotografia, in Il signore degli spaventati, cit., p.31 230 V.L., Il signore nell’aria, in Il signore d’oro, cit., p.66

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Lieto fine immaginato, si può dire, come la stessa Vivian ammette di fare: la

notte sognava tale e quale, come fosse giorno, quindi era felice.231

4. Personaggi

I protagonisti delle tre raccolte sono due: Vivian e il Dottor B.M., come si

legge in Poesie dando del Lei, coincidenti con il signore e la signora di cui si

narra ne Il signore d’oro e Il signore degli spaventati.

Tanto il Dottor B.M., quanto il signore sono definito dall’autrice con attributi

ben poco caratterizzanti (bello e meraviglioso, accarezzabile, alato,

intoccabile, lontano, profumato, studioso, gentile, notturno). Questa

descrizione vaga e spesso fantastica è la conseguenza tangibile del fatto che le

situazioni sono immaginate da Vivian. Questo è anche dovuto al tipo di

rapporto analista-paziente, che non è alla pari: mentre il paziente di sé racconta

tutto, il medico rivela poco o nulla della sua vita privata, essendo questa una

delle regole del patto analitico. Questa vaghezza con cui il dottore si presenta

permette così di lasciare al paziente spazio per realizzare le proprie proiezioni

in modo da poterle poi analizzare insieme durante la terapia.232

Anche alla signora vengono attribuite caratteristiche fantasiose. In questo caso

però ogni attributo che le viene affidato è conseguenza dell’atteggiamento del

signore nei suoi confronti: è la signora della valigetta perché così può partire

con lui per le vacanze, è la signora del castello per via dei castelli in aria che

costruisce per poter immaginarsi col dottore, è la signora non gelosa quando

convince se stessa di non essere infastidita dalle attenzioni che l’analista

dimostrava ad altri. Soprattutto ne Il signore degli spaventati vengono però

riferite alla signora delle caratteristiche che più che il rapporto amoroso,

riguardano proprio la dimensione di terapia analitica. La prima signora della

raccolta è la signora nel bosco che si è persa nel bosco della sua mente,

231 V.L., La signora felice, in Il signore degli spaventati, cit., p.40 232 R.Dedola, La poesia del transfert: la poesia innamorata di Vivian Lamarque, in Studi novecenteschi, n.41, giugno 1991, p.226

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potremmo dire, che all’inizio sembrava un bosco facile, ma quella signora non

riusciva a uscirne più./ Il cuore le batteva a mille, il sentiero era finito su se

stesso, la notte stava per calarle addosso come una montagna. Così è per la

signora della paura che tanto era spaventata che la voce non le usciva più, la

signora spostatrice di montagne, dove il signore analista le dice dove metterle

e lei le metteva, la signora d’acciaio che deve essere forte per resistere al

dolore. Si note che in questa raccolta anche al signore viene attribuito

maggiormente il proprio ruolo analitico, si pensi al signore delle trappole, che

preparava trappole speciali a fin di bene, o al signore che faceva male, che

però rassicurava anche i suoi pazienti, essendo il signore degli spaventati.

In alcuni componimenti de Il signore d’oro e de il signore degli spaventati,

entra in scena un altro personaggio, la vecchina, protagonista di la signora

giovane e vecchina, de il signore della febbre e de la signora e l’inverno. Ma

questa vecchina altro non è che un’altra proiezione della protagonista Vivian

essendo infatti la signora, ma giovane e vecchia allo stesso tempo, aveva cento

anni ma non li dimostrava e voleva segretamente bene al signore, non lo

svelandolo solo per pudore, vista la differenza di età. Nella situazione inversa

ci si trova ne Il signore d’oro con il signore e la bambina, dove la

microscopica bambina che il dottore raccoglie è evidentemente Vivian.

Ognuna di queste proiezioni è conseguenza del transfert analitico, come si

dimostra nel più esplicito Poesie dando del Lei . Vivian qui si definisce amante

neonata/ succhia l’uomo mamma perdutamente/ ecco il latte buono, che come i

bambini va nel mondo dei balocchi e che chiede al suo dottore se

festeggeranno insieme quando finalmente avrà raggiunto la maturità.

La signora passerotto però, nonostante i sui 90 anni, non è la signora vecchina,

bensì la mamma del signore, passerotto nel senso di mamma resa piccola e

leggera dall’età, e che cammina piano sulle strade. Sempre ne Il signore d’oro

viene presentato un altro personaggio femminile rivale di Vivian per la

conquista dell’affetto del signore: la signora beata, ossia la moglie del Dottor

B.M., che era già stata presentata nel secondo componimento della raccolta,

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come prima moglie del signore, mentre alla paziente toccava il ruolo di

seconda. Rivali presentati in modo più generico nei vari brani sono le altre

pazienti del Dottore, sono le altre signore, quelle signore piccole piccole che il

signore poteva ricevere solo una alla volta e che lui baciava molto (dietro la

tendina), specialmente una233 conclude Vivian rivendicando la propria

relazione col signore.

4.1 Narratore e interlocutore

Oltre che protagonista, Vivian è anche voce narrante delle tre raccolte, essendo

suo il punto di vista sulla dimensione analitica proposto al lettore. Tutta la

trilogia infatti mette in atto, sia pure in modi diversi,

una situazione comunicativa, tipica del setting analitico, in cui uno degli elementi dell’enunciazione, e precisamente l’allocutore (medico) entra nell’enunciato del locutore (paziente) come transfert.

E’ proprio il contesto in cui si genera il messaggio, però, ad essere d’ostacolo

alla realizzazione di un dialogo tra i due all’interno dei componimenti, essendo

il destinatario proposto come un oggetto impossibilitato, per suo statuto, a

raccogliere sul piano di realtà le richieste dell’altro.234 La parole di Vivian

fanno così parte di una comunicazione senza risposta, cercando di colloquiare

d’amore reciproco con chi non può e non vuole trovarsi in questa situazione.

Nonostante la solitudine della voce narrante alla terza persona di Il signore

d’oro e Il signore degli spaventati, Vivian inserisce numerose proposizioni

interrogative nei brani delle due raccolte: E la pioggia?/ La pioggia fuori

pioggerellava./ E dopo?/ Dopo non si sa, erano al prima235; E cosa diceva?

Diceva vieni vieni, vieni tra le mi braccia236; Almeno dava baci? Mai. Nessuno

233 V.L., Il signore della tendina, in Il signore d’oro, cit., p.23 234 G.Petrucci, Il sonno di Alice: l’enunciazione del transfert nella poesia di Vivian Lamarque, in “Italianistica”, n.1, gennaio-aprile 1998, p.89 235 V.L., Il signore e la pioggia, in Il signore d’oro, cit., p.21 236 V.L., Il signore amato, ivi, p.29

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era meno innamorato di lui237; E lì cosa faceva?/ Stava.238; Nessuna nessuna?/

Nessuna239; ecc. Viene così allo scoperto l’incessante bisogno di conferme, ma

soprattutto bisogno di dialogo di Vivian, a cui si cerca in questo modo di

sopperire, non essendo possibile uno scambio amoroso col signore.

Non si sa chi ponga le domande, ma dato il loro carattere di pseudo interrogative, la loro funzione sembra non tanto quella di ottenere risposta, quanto di mantenere vivo il dialogo, il legame che la comunicazione stabilisce con un tu, privilegiando dunque la funzione fatica del discorso.240

Si viene così a creare una situazione comunicativa simile a quella dei bambini

quando, giocando da soli, si mettono a parlare a voce alta con l’amico

immaginario.

Attraverso tale espediente è possibile che la dimensione interiore si apra a un dialogo con un tu che appartiene anch’esso all’interiorità e che acquista così capacità di parola. E’ questo uno dei risultati del transfert, che rende possibile un dialogo interiore in presenza di un forte legame affettivo.241

Ne il signore d’oro entra nel gioco dialogico tra il narratore l’interlocutore

anche il lettore. Il signore che non arrivava:

Alla finestra di una casa una signora aspettava sempre un signore che non arrivava. E allora perché lo aspettava? Perché la signora non lo sapeva che il signore non arrivava. Questo lo sappiamo noi, non lei.

Il pronome noi unisce il sapere delle due voci che ammiccando al pubblico

rivelano l’onniscienza del narratore, introducono così nel testo un’altra

prospettiva, oltre a quella solita della voce narrante e del suo interrogatore. Un

caso simile, ma più sfumato, si può leggere nella conclusione de Il signore

della pioggia che alla domanda E dopo? risponde lasciando in sospeso la

curiosità dell’interlocutore, dopo non si sa, erano al prima, L’accostamento

237 V.L., Il signore meno, ivi, p.40 238 V.L., Il signore nel cuore, in Il signore degli spaventati, cit., p.18 239 V.L., Il signore delle aquile, ivi, p.21 240 R.Dedola, La poesia del transfert: la poesia innamorata di Vivian Lamarque, in “Studi novecenteschi”, n.41, giugno 1991, p.229 241 Ibidem

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dell’imperfetto al prima crea però confusione, un disordine temporale che

sembra un lapsus: ciò che la voce narrante racconta è già accaduto, e ciò che il

narratore ci racconta è a posteriori, lei sa già cosa è accaduto dopo.

Anche in Poesie dando del Lei , dove il Lei fa trasparire la consapevolezza che

l’io ha del proprio confine e ruolo nella relazione, ci viene proposto il dialogo.

Questa volta però la voce narrante non parla più in terza persona, ma dice io,

mentre si rivolge al tu del Dottore a cui dà appunto del Lei, com’è convenzione

nel contesto analitico per mantenere la distanza. Qui i dialoghi risultano più

reali, ci sono due interlocutori distinti, e questo è rimarcato anche graficamente

dalla lineetta che introduce la voce ora dell’uno ora dell’altro: -Oggi è la volta/

che Le voglio bene più di tutte./ -Altre volte me l’ha detto./ -Sì, ma questa è la

vera volta/ il vero oro dell’affetto; -Con impaziente pazienza io La amo./ -E

quando sarà finita?/ -Oh entri un secondo prima nella mia vita. Nella maggior

parte dei testi della raccolta è però la sola voce di Vivian ad essere in scena e le

poche domande che pone non creano il gioco dialogico con l’interlocutore

invisibile che invece avveniva nelle altre due opere della trilogia. In questo

caso le domande, si limitano a rimanere senza risposta, quando non sono

domande retoriche, alimentando la frustrazione dovuta alla situazione di

transfert in cui si trova la protagonista:

Sono le sei la città dorme e Lei? sogna?oh qualcuno sogni un sogno che mi comprenda non mi escluda

Le voglio troppo bene così non va? semplice: toglierò subito il troppo.

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5. La forma dei testi

L’esperienza del transfert consente alla paziente Vivian di intraprendere con se

stessa un dialogo, vissuto interiore, ma spesso nella narrazione esplicitato.

Questa modalità permette di ridimensionare il problema della perdita, della

separazione e della lontananza perché vissuti in rapporto con un tu, l’analista,

all’interno di una vicenda di innamoramento. Mentre in Teresino la poesia

della Lamarque era chiusa in se stessa, ora nasce dal rapporto con l’altro,

nasce dall’innamoramento per il signore d’oro, innamoramento vissuto con

slancio infantile in cui tuttavia non viene mai meno un certo distanziamento

ironico che con Poesie dando del Lei si fa più esplicito, giocando in modo più

diretto nel dialogo col dottore pur mediato dall’uso del formale Lei.

Quest’ultima raccolta, oltre a modificare i propri toni, propone anche una

modalità metrica che più facilmente è assimilabile alla poesia. I testi, che

continuano la caratteristica brevità dello scrivere di Vivian Lamarque, si

compongono di versi con un numero contenuto di sillabe, proponendo anche

delle rime, creando con le figure di suono uno schema ritmico che struttura,

seppur minimamente, il testo: Il mio Dottore è gentile,/ ma io vorrei morire;

Sa,/ il mio cane è vecchino/ finisce a fatica/ il giro del giardino; Appena

appena cominciata/ si è già disperata/ la mia giornata; Guardi, guardate:/ le

lumachine del mio giardino/ oggi si sono sposate!; caro Dottore/ dentro il Suo

cuore/ c’è una bacchetta/ mi porti lontano/ La prego Dottore/ anche solo

un’oretta/ poi ritorniamo.

Lunghissimi invece sono i “versi” de Il signore d’oro e Il signore degli

spaventati, tanto che i testi delle due raccolte risultare brevi componimenti in

prosa, piuttosto che poesia a schema libero. In questi due testi infatti alcuni

versi arrivano a occupare più righe della pagina su cui sono stampate,

ricordando la modalità compositiva de L’amore mio è buonissimo, ma portata

ad esiti molto più estremi. Si prenda come esempio questo verso: Le bussava ai

vetri, le faceva inchini di neve, le offriva ghiaccioli di zucchero, le suggeriva

nelle orecchie i nomi che la vecchina dimenticava, le usava attenzioni di ogni

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genere242; o quest’altro: Se l’avesse saputo come si sarebbe indispettito, ma per

fortuna lo ignorava, guidava tranquillo senza lontanamente immaginare quello

che l’aspettava all’arrivo, all’atto dell’apertura dei bagagli.243 Molti

componimenti sebbene formati da due soli versi risultano così molto più lunghi

di quanto potrebbe essere un brano di poesia in metrica.

Nelle due raccolte sui signori, però, l’autrice inserisce due brevi poesie, che

ricordano i modi del poetare di Teresino. Ne Il signore d’oro il brano è

proposto come post scriptum, intitolato Il bambino delle cantine. Nonostante

due dei tre versi siano piuttosto lunghi, la punteggiatura e le rime suggeriscono

uno schema ritmico di due decasillabi per il primo verso, un settenario per il

secondo verso e, separando dal terzo verso la sillaba della negazione no, che la

virgola separa dal resto della frase, il verso si compone di un endecasillabo e

un decasillabo, quest’ultimo diviso dalla virgola in due pentametri: Avendo

bevuto tanto vino, era un bambino ubriachino./ Allora barcollava?/ No, ma

dava baci a tutte le bambine, dietro i barili, nelle cantine.

Apre il signore degli spaventati la lirica I bambini persi:

Nella notte nei boschi i bambini persi chiamavano per essere trovati. Non c’erano le stelle? Le stelle erano gli occhi dei lupi. Non c’era la luna? La luna era le fauci dei lupi. I bambini persi erano spaventati? Sì, chiamavano tanto. Svegliavano gli animali addormentati.

Il testo, più corposo rispetto a quello proposto nella prima raccolta della

trilogia, si compone di dieci versi con l’ultimo verso della lirica, il più lungo

della poesia, di dodici sillabe, mentre un esametro è il v.6, il più breve. Le

rime perfette sono solo due: lupi e lupi ai vv. 4 e 6, spaventati e addormentati

ai vv.8 e 10 che però riprende il trovati che chiude il terzo verso. Ai v.4-6

242 V.L., La signora e l’inverno, in Il signore degli spaventati, cit., p.48 243 V.L., La signora della valigetta, in Il signore d’oro, cit., p.70

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ricorre anche l’anafora: non c’erano le stelle?/ […] Non c’era la luna? che si

accosta alle figure di suono che ritornano anche nei componimenti delle due

raccolte, nonostante siano più associabili alla prosa che alla struttura poetica.

6. Fonti e modelli di scrittura

La trilogia è dedicata al Dottor B.M., l’analista junghiano di Vivian Lamarque, e pone al centro l’esperienza analitica. Anche Il piccolo Berto (1929-31) di Umberto Saba ha come dedicatario lo psicoanalista con cui il poeta si era sottoposto a un trattamento, Edoardo Weiss. L’analisi ha permesso a Saba il recupero di un contenuto inconscio rimosso, l’approdo al seno “di colei che Berto ancora/ mi chiama”; eliminando la rimozione che impediva a tale contenuto di divenire conscio, ha rivelato il grande dolore per la perdita di una figura materna molto amata, la balia, e insieme la perdita di sé come bambino. Nel componimento Berto, la comparsa del bambino timido e goffo è accompagnata da un ricordo preciso: il piccolo Berto “calze portava di color celeste”. Più che recuperare ricordi dell’infanzia rimossi, la trilogia di Vivian Lamarque affronta invece il problema del transfert.244

Le tre raccolte poetiche dedicate dalla Lamarque al Dottor B.M. raccontano

dell’amore per il proprio analista, ma così facendo ripropongono al lettore la

dimensione analitica nella quale tale relazione si sviluppa permettendo di

essere anche queste tre opere definite romanzo psicologico, denominazione che

lo stesso Saba aveva legittimato per il proprio Canzoniere. Con la sua trilogia

la Lamarque si inserisce nella dimensione psicoanalitica che con Saba e Svevo

aveva fatto per la prima volta il suo ingresso nella letteratura italiana. Va però

considerato il fatto che per Saba la poesia non ha scopo terapeutico, bensì

piuttosto consolatorio, in quanto strumento indiretto, incapace di realizzare a

pieno quella dimensione narrativa necessaria per ricostruire nella sua interezza

la vita e così facendo anche la dimensione psichica.

Attraverso il transfert la Lamarque ripercorre la propria esperienza, vedendo

nell’analista la madre, il padre e l’amato:

Amante neonata succhia l’uomomamma perdutamente ecco il latte buono viene -guardi-

244 R.Dedola, La poesia del transfert: la poesia innamorata di Vivian Lamarque, in “Studi Novecenteschi”, n.41, giugno 1991

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scorre come dalla montagna il fiume naturalmente.245

Manca però nell’autrice la volontà di raccontare in modo ordinato e

cronologico il suo percorso, volontà che invece struttura tutto il Canzoniere di

Saba dando risalto all’aspetto narrativo dei testi che nel loro possono essere

considerati come una vera e propria storia, romanzo psicologico appunto. Le

poesie della Lamarque invece si susseguono nelle sue raccolte spesso con

collegamenti analogici, e a volte senza apparente connessione tra un brano e

l’altro. Attenzione è invece posta dall’autrice nell’ordinare le tre opere,

collocando nell’opera omnia Poesie 1972-2002 prima i due signori, Il signore

d’oro e Il signore degli spaventati, contenenti poesie dal 1984 al 1986, mentre

inserisce Poesie dando del Lei come terza opera, essendo in quest’ultima

vissuto più consapevolmente il transfert.

Nei piccoli componimenti, soprattutto in Il signore d’oro e in Il signore degli

spaventati, sono presenti i modi della poesia di Rodari: protagonisti della

narrazione sono un generico signore e una generica signora descritti in

situazioni surreali e fantasiose, come ne Il signore in fondo al mare:

Un signore qualche volta andava in fondo al mare a vedere i diversissimi pesci che lì passavano. I pesci si accorgevano? Sì, i pesci guardavano il signore e anche dopo che era uscito dal mare anche dopo tanti anni, se lo ricordavano.246

Tale ambientazione richiama anche i modi della poesia di Sandro Penna,

soprattutto quando nei testi della Lamarque, in una situazione apparentemente

serena, affiora improvviso un dolore profondo che vanifica il tentativo di

celarlo:

Un signore non accanto a lei era seduto. Non dai finestrini indicava il panorama, guarda come è verde nessun colle. Non era stanco, non aveva fame, nessun pasto tra loro, nessuna cura. E allora? Allora il dolore scendeva sopra il viaggio.247

245 V.L., Amante neonata, in Poesie dando del Lei, cit., p.23 246 V.L., Il signore in fondo al mare, in Il signore d’oro, cit., p.37

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Luccicante di sole la strada lo portava. Da lontano a Milano lo portava. Tutte le forze di velocità giravano giravano le ruote affinché il signore lontano diventasse un signore qui.248

La Lamarque è la conferma, come ha scritto Pasolini a proposito di Penna, che la grazia nasce dal male ( e che lo stile della grazia è, in certi casi isolati, la condensazione sublimata del male stesso con risultati struggenti di un gioco delle parti che rovescia in stile una patologia, in malinconia sospesa una lacerazione vitale).249

Rossana Dedola aggiunge a questo aspetto un’altra somiglianza tra i due poeti

notando che, come Penna, anche la poetessa riesce a fare in modo che

una sensazione sottile di diversità impedisca al sentimento più semplice di cadere nel luogo comune250:

Caro Dottore dentro il suo cuore c’è una barchetta mi porti lontano La prego Dottore anche solo un’oretta poi ritorniamo251.

Fantasiose e bizzarre appaiono anche le ambientazioni e le caratteristiche

attribuite ai personaggi della trilogia dall’autrice:

Storie bonsai, orologi di carta, bolle di sapone, che racchiudono l’esterno nell’interno, il naturale nell’artificiale, suggeriscono ad angusti spazi domestici illusioni ologrammatiche. Una Lilliput diversa da quella di Swift, metamorfica volubile comicamente carrolliana, non senza passaggi e spunti beckettiani. Ai signori e alle signore di Lilliput di Lamarque capita di tutto.252

Alcune delle modalità linguistiche adottate dalla Lamarque, sono invece

riconducibili agli usi propri della lingua inglese. Si noti per esempio la

247 V.L., il signore non seduto, ivi, p.49 248 V.L., Il signore qui, ivi, p.11 249 G.D’Elia, De Monticelli, Lamarque, Sica: tre signore itineranti sui sentieri della poesia, in “Il Manifesto”, 5 febbraio 1993 250 R.Dedola, La poesia del transfert: la poesia innamorata di Vivian Lamarque, in “Studi Novecenteschi”, cit., p.231 251 V.L., Caro Dottore, in Poesie dando del Lei, cit, p.18 252 R.Caddeo, Contro mostri e draghi l’arma della scrittura, in “Concertino”, cit., p.24

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creazione di unità inusuali nella acaratterizzazione dei personaggi protagonisti,

ottenute associando al sostantivo un altro elemento chelo definisce e

caratterizza: il signore mai (neverman) o il signore non (no man). In altri

componimenti invece la narrazione è portata avanti dal continuo alternarsi di

negazione e affermazione, che crea un effetto di sdoppiamento della realtà:

Non non primo, quel signore era l’ultimo, suo/ amore.253; Perché nella sua

mente non c’era nessuno, c’era qualcuno.254 In tale modalità Marosia Castaldi

individua una somiglianza con alcune espressioni della poetessa americana

Gertrude Stein:

“Ida non aveva abitato ovunque, ma aveva abitato in molte case e in moltissimi alberghi”, dove non c’è una negazione diretta, in quanto la negazione di “ovunque” è “in nessun posto” (everywhere e nowhere), ma in quanto il procedere linguistico si dà non direttamente affermando:”Ida aveva abitato in molte case e in moltissimi alberghi”, ma parzialmente negando: “non aveva abitato… ma aveva abitato”. I due procedimenti sono analoghi e sono linguisticamente funzionali alla figura dello sdoppiamento.255

253 V.L., Il signore ultimo, in Il signore d’oro, cit., p.64 254 V.L., Il signore del trono, ivi, p.61 255M.Castaldi, Un posto vuoto, in “Lapis”, cit., p.74

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CAPITOLO IV

UNA QUIETA POLVERE

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1. Genesi e storia

Nel 1996 Vivian Lamarque vinse il premio Pen Club con la raccolta Una

quieta polvere edita presso Mondadori per la collana Il Nuovo Specchio. Già

nel 1987 l’autrice aveva publicato il poemetto Questa quieta polvere

(composto nel 1983) sulla rivista letteraria Paragone256, che venne poi tradotto

in francese nel 1997 da Raymond Farina257.

Richiamandosi apertamente a This quiet Dust was Gentleman and Ladies, che

Emily Dickinson scrisse nel 1864, con la citazione del titolo, la Lamarque ne

riprende anche il tema, la morte, tema che attraversa tutta l’opera del 1996.

Ritorna, seppure in misura minore, anche la tematica autobiografica già

incontrata in Teresino, con l’intenzione di rappresentare un lungo lasso di

tempo, anzi tutto il tempo della vita, fino all’eternità. Oltre alla biografia e

all’aldilà, temi consueti all’autrice, la raccolta propone nuovi argomenti, come

i testi per i nuovi milanesi di colore, trattando tematiche più collegate

all’attualità storico-politica del periodo. Osserva inoltre Rossana Dedola:

Liberata dall’ossessione di ritrovare il materno perduto, la poesia della

Lamarque si trasforma in un prendersi a cuore gli esseri più deboli,

rispettandoli e riconoscendogli una dignità258, come si può notare anche nei

testi dedicati a temi naturalisti e animalisti.

Nel 1996 la terapia col Dottor B.M. non è ancora terminata, ma in questa

raccolta si esaurisce la tematica amorosa per l’analista, con il superamento

della fase proiettiva dovuta al transfert e un ringraziamento al caro dottore a cui

viene dedicata una sezione della raccolta, Poesie dando del Lei (altre). In un

intervista del 1996 a questo proposito l’autrice dichiara:

”Fu un transfert fortissimo, un innamoramento non realizzabile… Ora so camminare da sola, non ne ho bisogno, però a quel dialogo tanto profondo e bello non voglio

256 “Paragone”, n.6, dicembre 1987, pp.56-74 257 “Les Cahiers de Poésie-Rencontres”n. 43 , Lyon 1997 258 R.Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, in Poesie 1972-2002, Mondadori, Milano 2002, p.XI

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rinunciare: ho accettato di passare da otto sedute al mese a quattro, poi a due, forse si arriverà a una, all’interruzione mai.”259

Per quanto riguarda invece l’attività lavorativa in quegli anni, nel 1992 Vivian

Lamarque iniziò a collaborare col Corriere della Sera, collaborazione che

all’altezza della data di pubblicazione di Una quieta polvere continua e dal

1997, in seguito anche alla chiusura dell’istituto in cui insegnava, il lavoro

presso la testata giornalistica acquisterà sempre più peso nell’attività

dell’autrice.

Una quieta polvere è una raccolta eterogenea: le poesie e componimenti

appartengono a periodi molto distanti tra loro, spaziando dai primi anni ’70 al

1995, con l’eccezione del brano Dediche senza poesie composto proprio

nell’anno della pubblicazione, 1996.

La prima sezione della raccolta, che riassume la vita dell’autrice, è la sezione

che raccoglie il maggior numero di testi scritti negli anni ’70 e, ad eccezione di

Febbre composto nel 1978, gli altri dodici testi sono del 1972 e del 1973. I

componimenti degli anni ’90 si concentrano nella prima parte della sezione,

formando un gruppo di cinque testi, per poi ritornare sparsi per tutta la sezione;

sono solo quattro le poesie degli anni ’80. Per quanto riguarda le altre parti,

l’epoca compositiva si restringe, raccogliendo testi che vanno dal 1980 al 1995.

Due sezioni contengono solo brani scritti negli anni ’90: Cercasi: poesie per un

trasloco che raccogliendo testi legati a un evento ben preciso, il trasferimento,

hanno solo due date di composizione, il 1992 e il 1995, e Fine millennio, che

invece spazia nei primi cinque anni.

Come per le precedenti opere poetiche, nel 2002 la Mondadori ripropone la

raccolta nel volume Poesie 1972-2002, senza però riportare nell’indice le date

di composizioni dei testi, che invece erano indicate nella prima edizione.

259 S. Jeresum, E il poetar m’è dolce in questo male, in “Sette”, 30 maggio 1996

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1.1 Le edizioni

La raccolta Poesie 1972-2002, riproponendo Una quieta polvere, apporta

alcune modifiche alla versione del 1996, modifiche che sono per la maggior

parte piccoli aggiustamenti.

Il lungo verso che apriva il primo testo della raccolta del 1996, Era la casa,

nella riedizione viene diviso in due parti, facendo così coincidere i due periodi

di cui si componeva con due versi distinti. In Dell’alluvione si preferisce unire

in un’unica strofa le due parti di cui si componeva la poesia nella prima

edizione, dove i primi due versi erano separati dal resto del testo. In Canto

l’autrice inserisce un rigo musicale nel corpo del testo, posto dopo i primi

quattro versi nella prima edizione, posizione anticipata subito dopo il secondo

verso nell’edizione del 2002.

Sostituiscono a un punto fermo il punto esclamativo l’ultimo verso di Calzina e

il primo di Inverno, nella poesia Le quattro stagioni. Lettere minuscole

nell’edizione 1996 in Poesie 1972-2002 vengono modificate in maiuscole: la

signora forchetta/ e suo marito il coltello260 si personalizzano chiamandosi la

signora Forchetta/ e suo marito il Coltello261; coerentemente col gioco di

Poesie dando del Lei, l’edizione 2002 scrive non La inseguirò, correggendo la

prima versione, non la inseguirò, nel quinto componimento della sezione

dedicata al Dottor B.M. Accorgimento grafico è anche il corsivo adottato

nell’ultima edizione, “quasi più è tornata nel cassetto”, che nel 1996 non era

utilizzato per distinguere il “quasi” di Cucchiaini.

Molto più rilevanti sono invece le modifiche apportate ai titoli dei

componimenti. La sezione Cercasi: poesie per un trasloco, che nel 1996

proponeva sette poesie senza titolo, li inserisce nel 2002, mentre lascia invariati

i testi poetici: Cercasi casa, Cambio casa, Fuochista, Trasloco, Trovata,

Finestra, Condòmino. Lo stesso accorgimento si ritrova anche nel testo Ma

nell’aldilà che chiude Poesie dando del Lei (altre) che nel 1996 era privo di

titolo, mentre I poeti che ho amato nel 2002 si precisa in I poeti (viventi) che

260 V.Lamarque, Cucchiaini, in Una quieta polvere, Mondadori, Milano 1996, p.24 261 V.L., Cucchiaini, in Poesie 1972-2002, Mondadori, Milano 2002, p.141

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ho amato, e Quel conoscerti, come si intitolava la poesia nel 1987 quando uscì

in L’amore mio è buonissimo sui quaderni collettivi Guanda262, in Una quieta

polvere prende il nome del marito Paolo.

Nel 1981 la Lamarque aveva inserito nella sua raccolta d’esordio il brano

dedicato al primo incontro, con la madre naturale, poi nel 2002 modificato in

Conoscendo a 19 anni la madre. La poesia ritorna nella prima sezione di Una

quieta polvere, col titolo dell’81 Conoscendo la madre, ma è soppressa

nell’edizione 2002, probabilmente proprio perché essendo il testo già presente

nella prima opera, Teresino, anch’essa raccolta in Poesie 1972-2002, la

riproposizione sarebbe risultata una evidente ripetizione.

Numerosi sono gli interventi sulle dediche. Viene modificata in C’era il muro,

dove mentre nel 1996 si scriveva con discrezione alla famiglia V./ scala A, II

p., nel 2002 l’autrice preferisce usare i nomi propri dei vicini: a Franco,

Mimmo, Lucia, Anna come in Dediche senza poesie al generico al bosco con

dentro mio fratello che suona si è aggiunto il nome del fratello della poetessa,

al bosco con dentro mio fratello Fabrizio che suona; in Asinello, la prima

versione era agli occhi degli animali, mentre Poesie 1972-2002 preferisce

introdurre la poesia dedicandola agli animali, nuovi santi .

Con l’edizione 2002 l’autrice scioglie alcune sigle delle iniziali dei nomi di

cui, per riservatezza, si componevano le dediche del 1996: le tre poesie che

narrano dell’incontro coi fratelli riportano il loro nome per esteso, a Marzio, a

Fabrizio, a Orietta263, mentre Gioxe e Patricia si scoprono essere quella G. e

quella P. dedicatarie di Canto.

Numerose sono le dediche aggiunte nell’ultima edizione col metodo delle

iniziali già adottato nella trilogia per il Dottor B.M.: Le monachine a T.,

Glocklein a M., a L.B .la poesia Piove, mentre per R. è detta La notte dei

gattini, e per C.O. il breve componimento Lo diventeremo. Tre dediche

vengono aggiunte nel 2002 alla sezione Cercasi: poesie per un trasloco: al

262 V.L., L’amore mio è buonissimo, in Quaderni della Fenice 30, Guanda, Milano 1978 263 V.L., Conoscendo un fratello, ivi, p.142; V.L., Conoscendo l’altro fratello, ivi, p.143; V.L., Cara sorella, ivi, p.143

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Signor S. è dedicata la poesia Condomino, mentre ad una via, la via Arnaboldi,

la lirica Finestra, e Trovata ai vicini di casa Franco, Marisa e Marco.

Perde invece la dedica che aveva nel 1996 la sezione Pennino, dove nella

prima edizione si leggeva: alle mie gomme, alle mie matite.

Una delle poesie della raccolta del ’96 era già stata pubblicata nel 1993 da

Stefano Crespi, in una sua breve recensione a Il signore degli spaventati, su Il

sole 24 ore. Parlando dello stile della Lamarque ed evidenziandone i caratteri

fiabeschi coi quali l’autrice esprime dolore e solitudine, il giornalista propone

un testo inedito, intitolato Fiaba:

Fuori dalla sua porta c’erano sei gradini/ lì una sera trovò qualcuno che dormiva si chinò a guardare era una bambina oh ma non dormiva oh ma non era viva!

Il componimento proposto in anteprima da Crespi viene inserito nella sezione

Poesie dando del Lei (altre) di Una quieta polvere con un’unica modifica al

primo verso, la maiuscola caratterizzante il Dottor B.M.: fuori dalla Sua porta.

Il poemetto del 1983, Questa quieta polvere, uscì invece la prima volta su

Paragone, nel 1987. La lirica entrò poi a far parte nel 1996 di Una quieta

polvere e nella riedizione della raccolta nel 2002.

Le differenze tra le ultime due versioni non sono molte. Nel 1996 la

quartultima strofa della parte III recita al primo verso: il tempo era diviso in

giorni, tempo che nel 2002 è sostituito da anno, mentre le strofe 9 e 10, di tre

versi ciascuna, in Poesie 1972-2002 si accorpano a formare un’unica strofa.

Inoltre la dedica che apre la sezione, composta dall’unico poemetto, nel 1996 è

Al cimitero di Tesero, sotto la neve, mentre solo Al cimitero di Tesero

nell’ultima pubblicazione della raccolta.

Più consistente il numero di modifiche apportate alla prima pubblicazione di

Questa quieta polvere, tutte già consolidate nel 1996, eccetto il passaggio

riferito ai tre fratelli dell’autrice, nella quintultima strofa della parte VIII: la

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prima versione, del 1987, è imprecisa, Cari tre fratelli uno qui e uno lì, essendo

i fratelli tre ma solo due i luoghi in cui sono detti, così la svista è corretta per la

pubblicazione di Una quieta polvere in Cari tre fratelli uno qui e uno lì e uno

lì; ma i tre fratelli sono due fratelli e una sorella, così nella versione definitiva

del 2002 la Lamarque scrive con più precisione: Cari tre fratelli una qui e uno

lì e uno lì.

Innovazione macroscopica tra la prima e le successive due pubblicazioni è la

sostituzione di Valle di Rame […] color del rame con Valle di Neve […] color

della neve che ricorre nel testo per ben quattro volte: nella parte IV alla strofa

19; nella parte VII alla strofa 8; nella parte VIII all’ultima strofa; nella parte IX

alla penultima strofa.264 In Una quieta polvere, sono due le sostituzioni di

lettere maiuscole ad alcune minuscole del 1987, entrambe nella parte VI: la

prima è v.1 della terza strofa da Questa quieta polvere diventa Questa Quieta

Polvere; la seconda al v.2 della strofa 10, dove al dèi subentra Dèi.

Nella parte VII, al v.1 della quattordicesima strofa su Paragone si trova una

lunga parola composta, amoremiomarito, che per chiarezza dall’edizione 1996

si è preferito scrivere come l’amore-mio-marito, come è accaduto nella parte

VIII per l’accorpamento in un’unica strofa (la quartultima) delle tre più brevi di

cui si componeva la prima pubblicazione del poemetto( un verso, un verso, due

versi).

Sempre nella parte VIII si trova l’unica modifica che, apportata nel 2002,

accomuna le versioni del 1987 e del 1996: la nona strofa del poemetto in

Poesie 1972-2002 è divisa in due strofe da tre versi ciascuna nelle due

pubblicazioni precedenti. Sorge il dubbio che l’unione delle due parti sia un

refuso dell’edizione Mondadori 2002, fatto che occorre già con l’accorpamento

di due strofe, la sesta e la quinta, della parte VI. In questo caso è appurato

l’errore di stampa essendo la prima strofa autografa, arrivava da un corridoio

lungo/ lui era il più bello di tutti , mentre la seconda una citazione dell’Alice

nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll, tagliategli la testa! ordinò la

regina, che per il gioco compositivo del poemetto vanno sicuramente

considerate distinte, essendo il poemetto composto o da strofe scritte

264 La numerazione delle strofe fa riferimento alla versione di Questa quieta polvere pubblicata in Poesie 1972-2002, cit., pp.161-175

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dall’autrice o da strofe che ripropongono testi di altri autori, le une in

stampatello minuscolo, le altre in corsivo (la soluzione grafica è invertita nella

versione del 1987). A questo riguardo, l’ultima strofa della parte VI è scritta

erroneamente in corsivo, sia nell’edizione 1996 che in quella successiva. La

versione graficamente corretta è invece conservata nel testo su Paragone, non

essendoci alcuna nota che espliciti la provenienza del frammento citato (cosa

che invece accade per gli altri stralci). A riprova dell’errore si legga il testo,

che porta i modi caratteristici della Lamarque: l’amore mio quando lo toccavo/

ero felice.

2. Struttura

A differenza delle raccolte precedenti, costruita intorno a un unico tema la

trilogia e su un preciso progetto autobiografico Teresino, Una quieta polvere

risulta invece più articolata nella sua struttura, per la varietà di temi trattati

come per il tipo di testi raccolti. Il principio unificatore di quest’opera finisce

per essere non tanto un tema o una situazione, quanto l’autrice stessa, che si

affaccia senza più schemi in primo piano.265 Si può così dire che l’innovazione

introdotta con la raccolta è quella di aver abbandonato la struttura tipica delle

opere precedentemente pubblicate, focalizzate sulla propria esperienza

personale, permettendosi questa volta di alzare lo sguardo all’esterno, oltre la

propria esistenza, per interessarsi anche al mondo nel quale viviamo.

2.1 Sezioni poetiche

La raccolta Una quieta polvere riprende la struttura già proposta nell’esordio

poetico dell’autrice, con l’organizzazione interna per sezioni poetiche,

dividendo i testi per tematica trattata. I novantotto componimenti dell’opera

sono ordinati in sette sezioni, eterogenee per numero di brani contenuti: le

265 U.Fiori, La voce nuova della signora, in “L’Unità”, 03 giugno 1996

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prime due parti e la quarta raccolgono una ventina di testi, mentre le ultime tre

circa dieci pezzi ognuna. E’ a sé la terza sezione dell’opera, accogliendo un

solo lungo poemetto, Questa quieta polvere, con un forte richiamo al titolo del

volume.

Apre la raccolta la sezione Madri padri figli, riprendendo in ordine variato e al

plurale un verso del componimento che chiude la sezione, Sogno d’oro (II):

Non mi ero separata/ padre madre figlia […]. Composta da ventotto liriche è

questa la parte che più si avvicina al modello tematico della prima raccolta

della Lamarque, narrando infatti della storia personale dell’autrice. Dalle

origini valdesi raccontate in C’era la casa, con cui si apre la sezione, si passa

poi all’esperienza dell’adozione, vissuta come un abbandono, e proprio

Abbandono si intitola uno dei componimenti che affrontano questa tematica.

Per la prima volta viene proposta la doppia figura paterna, nella poesia al Caro

babbo I (in ordine di n.)/ che ti chiamavi E. ed al Caro babbo II (ma primo)/

che ti chiamavi Dante. Si parla della solitaria infanzia vissuta a Milano e delle

vacanze in colonia, per poi passare alle tre poesie dedicate ai tre fratellastri:

Conoscendo un fratello, Conoscendo l’altro fratello e Cara sorella. Segue la

narrazione della vita con la propria famiglia, con Paolo e con la piccola e poi

cresciuta Miryam, ai quali dedica due liriche intitolate col loro nome.

Incorniciano la sezione due componimenti omonimi: Sogno d’oro (I) e Sogno

d’oro (II), sogni di una vita familiare serena, non segnata dall’abbandono

materno e dalla separazione dal marito.

Se la raccolta si apre narrando il passato dell’autrice, del presente parla la

seconda sezione poetica intitolata Pennino, ossia la sua vecchia stilografica

Pelikan che l’autrice in un’intervista racconta di usare dalla prima media.266 E’

dedicata alla scrittura questa seconda parte della raccolta, scrittura che è

medicina per i dolori che la vita ha inflitto all’autrice. Si canta la solitudine

quotidiana, dopo di te/ sposerò solo il mio pennino267 o sono io il mio

266 S.Jeresum, E il poetar m’è dolce in questo male, in “Sette”, 30 maggio 1996 267 V.L., Pennino (I), in Una quieta polvere, cit., p.45

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capofamiglia/ che si alza nel buio/ a rassicurare la figlia268, ma colorandola

coi toni della fiaba che sono propri alla Lamarque fin dalla prima raccolta.

L’assenza della persona amata percorre tutta la sezione, ma la voce narrante

sembra più decisa a non subire più le conseguenze dell’abbandono, scegliendo

come arma proprio il pennino che dà il titolo alla sezione. Inserisce così al

centro di Pennino la lirica I poeti che ho amato, nel 2002 diventata I poeti

(viventi) che ho amato, e concludendo con Garzantina: Sono una poetina

media/ normale/ da due righe e mezzo sulla garzantina universale.

Molto eterogenea, la sezione raccoglie oltre alle brevi poesie, una lirica divisa

in quattro piccole parti trattando de Le quattro stagioni, un rigo musicale

inserito in Canto, e un brano dialettale, Pèss fritt, che una nota dell’edizione

1996 presenta come versi tratti dalla raccolta inedita Milan bruta bèla, 1978.

Il gioco di rimandi tra inizio e fine della prima sezione viene qui ripreso con

Pennino (I) che apre la sezione e Pennino (II) che la chiude.

Con la terza sezione il tema della morte si introduce prepotentemente nella

raccolta. Prendendo in prestito il titolo da una lirica della Dickinson, Questa

quieta polvere è il nome che l’autrice dà alla sezione e all’unico testo qui

accolto. Il poemetto di 418 versi divisi in nove parti dalla sola indicazione dei

numeri romani, alterna strofe autografe e strofe tratte da altri autori, poi

elencati in una nota alla fine del testo. Molte delle 53 citazioni che

compongono la lirica sono tratte da fiabe, tra gli autori figurano infatti i fratelli

Grimm, Andersen, Afanasjev delle Antiche fiabe russe, H.Hoffman di Pierino

porcospino, oltre che le anonime Fiabe piemontesi. Sul confine tra fiaba e

romanzo gli stralci presi da l’Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll,

mentre le altre citazioni sono di poeti, prima fra tutti Emily Dickinson269.

Ritorna nella lunga lirica anche una figura della lontana famiglia della

Lamarque, con i due passi tratti da Storia dei Valdesi, scritto da Emilio Comba,

bisnonno dell’autrice, dal quale infatti ha ereditato il cognome.

268 V.L., Spaesante ritorno, ivi, p.47 269 Gli altri versi sono tratti da L.Candiani, Poesie Giapponesi, e Due canzoni di M. Cvetaeva.

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Ventuno sono i testi della quarta sezione, dedicata per l’ultima volta all’amato

Dottor B.M. e che oltre a riprendere la tematica delle precedenti tre raccolte,

ricalca il titolo di quella del 1989: Poesie dando del lei (altre). I primi quindici

testi continuano il tono e le modalità compositive dell’opera omonima, così

come lo schema tematico percorso si conclude parlando di quando i due

saranno nell’aldilà. I brevi componimenti di questa prima parte si distinguono

però dalla trilogia per la consapevolezza che l’autrice mostra nei confronti

della situazione di transfert vissuta, tanto da permettersi di usare il tempo

passato scrivendo Sonnambulina l’amavo/ leggermente stordita/ dai giorni e

dalle notti/ della Vita. Tre liriche più consistenti precedono una lunga ballata

divisa in due parti, Al Café Haus e Ai giardini, intitolata Ballata degli occhiali

neri, occhiali che già dai primi versi si scoprono essere dell’analista: dietro gli

occhiali neri/ io Le cercavo gli occhi. Chiude la sezione Ma nell’aldilà dove

sognante la paziente ripropone il sogno di unione col proprio irraggiungibile

dottore almeno dopo la morte, dove nessuno nessuno ci separerà.

Cercasi: poesie per un trasloco è la breve quinta sezione composta da sette

poesie. Tematicamente precisissima, fin dal titolo annuncia l’occasione di

composizione dei brani. Cercasi casa/ cercasi casa con sole270, cercasi casa

assolata271, cercasi casa con luce forte272, recitano le prime quattro poesie

della raccolta, è con il quinto componimento, che nel 2002 prende il titolo

Trovata, che si passa alla descrizione della nuova casa, in via Arimondi, alla

cui finestra e al cui condòmino l’autrice dedica le ultime due liriche della

sezione.

Nuove tematiche sono affrontate nella sesta parte, Fine millennio. Qui l’autrice

racconta del legame che unisce gli esseri umani alla natura, come in Asinello e

in Requiem per margherite, ma soprattutto del mondo esterno, nelle altre

raccolte lasciato in disparte. Proprio il legame che Vivian ha con il mondo è

narrato in Bella copia, opera d’apertura:

270 V.L., Cercasi, in Poesie 1972-2002, cit., p.191 271 V.L., Fuochista, ivi, p.192 272 V.L., Trasloco, ivi, p.192

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poter domani il Foglio di Bella della vita cominciare […] e dopo la nostra poter passare alla Bella del mondo […] la bella copia del mondo –o Felicità- non si può fare.

Segue una poesia sulla guerra del Golfo, scritta per il Corriere della sera,

Girotondo, e poi alcuni brani per i nuovi milanesi di colore, gli immigrati che

ai semafori lavano i vetri, i Vù cumprà, e proprio a loro in Testamento Vivian

lascia le cose di valore, mentre alla frenetica vita contemporanea la Lamarque

contrappone la piacevolezza del permettersi di rallentare, di perdere tempo

facendo le Code. La sezione si conclude con la poesia Ruanda, in cui figura

una reminescenza del campo di concentramento Terezìn già incontrato nel

titolo della prima raccolta, nel 1981.

Con le tredici poesie che compongono la sezione, l’autrice ci offre quindi un

piccolo scorcio della vita cittadina contemporanea di Milano e del mondo.

Chiude la raccolta la sezione Come fiori i cui undici testi sono dedicati alla

morte e alle persone defunte. Per l’amica Daniela De Vita, morta a 36 anni273,

l’autrice scrive due liriche, una poesia è invece intitolata A Pasolini, per il suo

anniversario da assassinato. Gli altri componimenti trattano di un prossimo

futuro, dove tutti saremo come la terra e gli insetti/ come i fiori274 con

l’eccezione di Dediche senza poesie, dove una serie di persone care vengono

elencate una dopo l’altra dall’autrice, dedica conclusiva del libro, o forse affetti

a cui Vivian ripenserà una volta diventata appunto Come fiori. Recita a questo

riguardo il post scriptum finale:

Siamo poeti. Vogliateci bene da vivi di più Da morti di meno Che tanto non lo sapremo.

273 V.L., A D. morta a 36 anni, in Una quieta polvere, cit., p.124 274 V.L., Lo diventeremo, ivi, p.127

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2.2 Dediche

Ogni sezione di Una quieta polvere si apre con una dedica, caratteristica che si

ritrova anche in molti dei componimenti della raccolta, che infatti si chiude con

un testo composto di sole dediche, Dediche senza poesie. Così anche l’intera

raccolta, introducendo la modalità che distingue Una quieta polvere, ha dei

dedicatari: il marito Paolo a cui l’autrice deve il proprio cognome, a Paolo, il

mio cognome è suo, e la figlia Miryam insieme col fidanzato Giorgio, che si

sposarono nel giugno dell’anno in cui fu pubblicata la raccolta.

All’amata madre adottiva è dedicata la sezione che parla della vita familiare di

Vivian, Madri padri figli, con la frase alla madre/ che mi ha salvata.

Pennino, che nell’edizione 1996 recitava alla mie gomme, alle mie matite, è

l’unica sezione che in Poesie 1972-2002 perde la dedica introduttiva. Si

consideri però che già il titolo Pennino è una dichiarazione d’intenti, tanto più

che la sezione si apre e si chiude sui versi di Pennino (I) e Pennino (II) dove

Vivian dichiara fedeltà al suo pennino, ossia al suo scrivere.

Anche la dedica a Questa quieta polvere subisce dei cambiamenti da

un’edizione all’altra. Con l’aggiunta di sotto la neve nella prima edizione della

raccolta, rimane però invariato il dedicatario, che anticipa il tema che percorre

insistentemente tutto il poemetto. Al cimitero di Tesero, si legge sotto al titolo

della sezione, con il paese natale di Vivian Lamarque di nuovo citato in una

sua raccolta.

Quarta parte della trilogia sul transfert, oltre che replica della seconda

pubblicazione sul tema, a nessun se non al Dottor B.M. avrebbe potuto essere

dedicata Poesie dando del Lei (altre).

Alla poetessa Alida Airaghi è dedicato il gruppo di poesie sul trasloco. Già la

Lamarque aveva parlato dell’amica nella precedente sezione in Caro Dottore

Le scrivo, raccontando del suo viaggio sul lago di Zurigo, alla casa di Jung:

[…] quel monte che la casa/ di Jung guarda/ e che io guardo con Rossana/ e

Alida. La scrittrice si era infatti trasferita lì subito dopo il matrimonio con Siro

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Angeli, nel 1978, e in Svizzera visse fino al 1992, quando, dopo la morte del

marito, si trasferì di nuovo in Italia.

La sezione Fine millennio che racconta degli immigrati nelle nostre città, delle

vittime delle guerre, degli animali maltrattati e della natura non rispettata

dall’uomo, proprio a loro è dedicata, con un onnicomprensivo ai poveri che ci

circondano.

Come fiori, è infine dedicata a Vittoria Botteri, come a Vittoria recita il brano

Dediche senza poesie, ponendo l’amica al secondo posto, subito dopo il nome

dell’amato Paolo, nel lungo elenco di nomi di cui il testo si compone.

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2.3 Citazioni

Accompagnano le dediche ad ogni sezione altrettante citazioni, introduzione

alla tematica trattata dai componimenti raccolti nelle sette parti in cui è divisa

l’opera. Ritorna il modello strutturale proposto in Teresino, ma con una

variatio che rispecchia l’eterogeneità delle parti, e dei testi, di cui si compone

Una quieta polvere. Nel 1981 tutte le epigrafi introduttive alle sezioni erano

tratte dalla fiaba di Charles Perrault, svolgendo la funzione di trai d’union e di

sintesi tematica alle varie fasi autobiografiche narrate in Teresino. Nel 1996

continua la funzione di ripresa tematica che i vari frammenti svolgevano nei

confronti dei testi a cui erano premessi, viene però abbandonatta l’idea di

continuità e omogeneità, che infatti non appartiene all’impostazione di questa

raccolta.

Era Le Petit Pouchet la fiaba scelta per accompagnare le poesie dell’autrice nel

1981, in Una quieta polvere sono Hansel e Gretel ad aprire la raccolta,

introducendo la sezione che più si avvicina a Teresino per i temi affrontati: la

famiglia, l’abbandono vissuto con l’adozione, il matrimonio con Paolo, la figlia

Miryam, e altri piccoli frammenti della propria vita privata che l’autrice ci

aveva già fatto conoscere nel suo libro d’esordio. Tema portante della prima

raccolta poetica era stata la problematica percezione di avere due mamme, ora,

in Madri padri figli la prospettiva si amplia, la Lamarque ci presenta i suoi

fratellastri, la casa valdese in cui sarebbe potuta crescere, e ai due padri dedica

Babbi, dove si rivolge ad ognuno di loro. E’ il padre ad abbandonare nel bosco

i due fratellini nella fiaba dei fratelli Grimm che l’autrice sceglie per introdurre

la sezione. Credevano che il babbo fosse vicino, ma il Caro babbo II (ma

primo), il padre adottivo, morì quando Vivian aveva quattro anni, per questo è

lontano, assente è invece il padre naturale, che dal testo del componimento

sembra sorpreso proprio dalla scoperta di avere una figlia, che quando ti ho

detto/scusi mi hanno detto/ che lei è mio padre/ hai fatto un passo indietro.

Nella favola i fratellini credono che il padre sia nel bosco a tagliare la legna,

poco distante da loro, per via dei colpi d’accetta che sentivano, ma non era

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l’accetta, era un ramo che egli aveva legato a un albero secco e che il vento

sbatteva di qua e di là. La raccolta si apre così con un abbandono, compiuto

proprio dalle persone di cui maggiormente un bambino si fida, i genitori, che si

svestono del ruolo che dovrebbero invece rivestire.

E’ un’altra fiaba a dare il via alla sezione Pennino. Il frammento questa volta è

di Il compleanno dell’infanta di Oscar Wilde, uno dei quattro racconti che

compongono La casa dei melograni (A house of pomegranates). La storia narra

della figlia del re di Spagna, l’Infanta, a cui era proibito giocare con i ragazzi

della sua età solo nel giorno del suo compleanno, il resto dell'anno la

principessa stava sola nella sua immensa reggia. Proprio a una di queste feste

partecipò allo spettacolo allestito per la bambina anche un nano, che divertì la

principessina a tal punto che lei gli lanciò un fiore, come omaggio.

Fraintendendo il gesto, il piccolo saltimbanco si innamorò e quando finalmente

riuscì a rivederla, gli capitò di specchiarsi. Non si riconobbe subito, così brutto

e deforme, ma quando si rese conto dell’impossibilità del proprio amore a

causa proprio del suo aspetto, confermato dal disinteresse mostratogli dalla

principessa, per il dolore morì. L’infanta davanti a una tale tragedia, dopo il

disappunto iniziale sul fatto che il nano non potesse più farla divertire come le

aveva ordinato, pronunciò le parole riproposte dalla Lamarque: In futuro, che

quelli che verranno a giocare con me non abbiano cuore.

Leggendo i brani proposti dall’autrice nella sezione si capisce che il punto di

vista da lei assunto è duplice: utilizza le parole della principessa, ma prende per

sé anche il cuore del nano. Rimanendo nella metafora, se le persone con cui

giocherà non le offriranno né la possibilità di fidarsi di loro né affetto, lei non

soffrirà per l’eventuale loro abbandono, come invece spesso le è accaduto,

ribadisce nei brani autobiografici.

Questa quieta polvere, propone in calce al testo proprio la fonte di ispirazione

del titolo della sezione, del poemetto e della raccolta stessa: This quiet

Dust/was Ladies and Gentleman. La lirica di Emily Dickinson è una

contemplazione della morte e del suo divenire, narrata come conseguenza

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naturale della vita, la polvere infatti era uomini e donne. L’autrice ripropone

questi primi versi, introducendo in modo chiaro la tematica del componimento,

intuibile anche dalla dedica al cimitero di Tesero.

E’ Dante l’autore che la Lamarque sceglie per introdurre la sezione dedicata

all’amato dottore. Poi caramente mi prese per mano, recita il v.28 del XXXI

canto dell’Inferno, quando Virgilio prepara il poeta all’incontro coi giganti nel

nono cerchio. Il prendere per mano Dante in un momento difficile da

affrontare, nel quale potrebbe trovarsi in difficoltà, rende più affettuoso

l’appoggio che la guida garantisce al discepolo. Nella citazione è Virgilio a

prendere per mano il poeta, così nell’analogia creata con la citazione del verso

come introduzione a Poesie dando del Lei (altre), è il Dottor B.M. che

prendendo per mano Vivian le ha permesso di affrontare ciò che da sola le

sarebbe stato impossibile.

Ritorna l’immaginario fiabesco nella citazione che introduce Cercasi: poesie

per un trasloco. Il brano è tratto da Peter Pan nei giardini di Kensington di

J.M.Barrie, opera che precede la pubblicazione del romanzo Peter Pan and

Wendy, da cui deriva l’immagine più famosa del protagonista. Il bizzarro

bambino che si rifiuta di crescere e si ostina a vivere in una perenne infanzia in

un mondo che non si occupa molto di ciò che è reale agli occhi degli adulti, è

presentato appena nato, a soli sette giorni, quando scavalca la finestra della sua

cameretta guidato da un irresistibile impulso e vola appunto verso i Giardini di

Kensington. E’ il fatto di aver deciso di uscire dalla casa e di entrare nei

giardini ad aver permesso a Peter di incontrare tutte le strane e fantastiche

creature che popolano questi giardini. La citazione proposta dalla Lamarque

parla di fate, sono loro che costruiscono la casa per gli smarriti, una casa che si

vede solo quando vi si esce, anche se la sera capita che qualche bambino riesca

a scorgerne la luce delle finestre. Peter aiuta le fate, accompagnando lì i

bambini che si perdono nei giardini, così la casetta continua a sparire e

riapparire, portando conforto agli smarriti.

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Sono venuta qui con mio marito, mia figlia, degli amici al piano di sopra, per vent’anni. E poi dopo un po’ di anni gli amici sono andati via, il marito pure e son rimasta io con mia figlia e gatto e cane…275

spiega l’autrice nel giardino di quella che era casa sua nel quartiere QT8. E’

questa la casa dalla quale si trasferisce nelle poesie di Una quieta polvere, casa

nella quale ha vissuto la separazione dal marito e il proprio smarrimento: son

stati gli anni più disturbati, dal punto di vista mentale. Infatti poi ho iniziato

l’analisi.276 L’analisi, il trasferimento, la nuova raccolta poetica dove si

affrontano nuove tematiche, oltre a quella tanto dolorosa dell’abbandono,

Vivian Lamarque dimostra così di essere riuscita a farsi trovare da Peter, per

trasferirsi nella fatata casetta degli smarriti, come recita in conclusione la

citazione: dite all’uomo che vi siete persi e lui vi ritroverà.

La sezione Fine millennio, dedicata ai poveri che ci circondano, è introdotta

dalla contraddittoria sentenza che il giudice pronuncia nel cap. XIX di Le

avventure di Pinocchio di Collodi dopo aver calorosamente ascoltato la

disavventura di Pinocchio, che era stato gabbato dal Gatto e dalla Volpe, che

l’avevano convinto a seppellire il suo denaro dicendo che così sarebbe

cresciuto un albero pieno di soldi, mentre invece i soldi così facendo glieli

avevano semplicemente rubati. Ma invece che punire i due imbroglioni, il

giudice esclama: Quel povero diavolo è stato derubato di quattro monete:

pigliatelo dunque e mettetelo subito in prigione. Il burattino passerà quattro

mesi in prigione a scontare questa ingiusta condanna. Altrettante ingiustizie

vengono narrate dall’autrice n questa sezione dedicata a chi ingiustamente è

punito con la sofferenza e la povertà, perché immigrato, perché animale,

pianta, o per la colpa di vivere in un paese in guerra.

Le persone non muoiono, restano incantate recita la citazione che l’autrice ha

scelto per la sezione che chiude la raccolta, Come fiori. Se quindi questo titolo

di primo acchito poco può dire del contenuto dei componimenti che raccoglie,

molto più esplicita è l’affermazione che lo scrittore de Il grande Sertao,

Guimaraes Rosa, disse al termine del discorso che lo insediava all’accademia

brasiliana delle lettere, pochi giorni prima della sua morte, nel novembre del

275 S.Soldini, Quattro giorni con Vivian, in Gente di Milano, Associazione Locus, Milano 2008 276 Ibidem

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1967. Riproponendo questa frase, l’autrice si unisce all’idea d’incanto che

caratterizza anche il suo modo di vedere, nonostante spesso nei suoi testi la

morte, così insistentemente evocata, faccia paura.

3. Contenuti

A differenza delle precedenti raccolte, Una quieta polvere raccoglie varie

tematiche già sommariamente divise nelle diverse sezioni. Mentre nella prima

raccolta si parla della famiglia, nella seconda Vivian pone in primo piano se

stessa e il suo scrivere. Dopo il poemetto Questa quieta polvere, riprende e

conclude il discorso psicanalitico, per poi passare all’attualità

dell’immigrazione e del diritti di tutti gli esseri viventi. L’ultima sezione è

interamente dedicata alla morte, già trattata con insistenza nella terza parte

della raccolta, e riproposta sempre in ogni sua sezione. Sebbene in alcune parti

la tematica principale sia un’altra, il tema della morte percorre tutta l’opera

dell’autrice, tema proposto fin dall’inizio, con la scelta del titolo, Una quieta

polvere, così simile alla lirica luttuosa che la Dickinson iniziava proprio con le

stesse parole: This quiet dust.

3.1 L’adozione: l’abbandono, la solitudine e la conseguente continua ricerca

d’affetto

La prima sezione, Madri padri figli, riproponendo l’autobiografia familiare

dell’autrice porta di nuovo in campo l’esperienza dell’adozione e la

conseguente sensazione di abbandono e solitudine che accompagna la vita di

Vivian. Gran parte delle poesie della sezione sono dedicate alla rievocazione

dell’infanzia, si pensi che delle ventotto poesie di cui si compone questa prima

parte, sono undici quelle che trattano tale tematica. Rispetto alla raccolta

Teresino, in Una quieta polvere la sensazione di abbandono e solitudine è

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racconta in modo più diretto e definito, come già nei titoli espliciti Abbandono

o Adozione ninna-oh.

La narrazione della sezione segue l’evoluzione di questa condizione partendo

coi primi testi dove la piccola Vivian sembra voler convincere sua madre a non

portarla a Milano dalla nuova mamma: Mangiavo dormivo/ facevo la brava-

bambina/ per conquistarti “mammina”. Il vezzeggiativo posto tra virgolette

anticipa, ironizzando su un affettuosità non vissuta, la decisione della madre di

rinnegare il proprio ruolo, come già nella citazione iniziale il papà di Hansel e

Gretel. Infatti la conclusione è amara: corteggiamento vano[…] mi hai lasciata

a Milano. La sofferenza della figlia è tale da paragonare la madre alla morte,

scrivendo proprio nel componimento successivo: la Morte è una Madre che

abbandona277 e che non è in grado di donare alla propria bambina l’affetto che

le si meriterebbe, non comportandosi da madre, perché le madri, quelle vere278,

pettinano le loro bambine, e li coprono di baci, i loro figli sanno si essere

amati. La stessa sensazione è cantata nei versi Non lo vuole la sua mamma/ chi

gli canta la ninna nanna? […] cercheremo un’altra mamma/ che gli canti la

ninna-nanna.279 dove Vivian si canta da sola una ninna-nanna, come per

consolarsi, per accettare la situazione, per indorare la pillola, ma la situazione è

sempre la stessa e così anche la canzone non può che cantare di quello,

concludendosi nella confusione affettiva, dove persino la voce narrante non sa

più verso chi indirizzare l’affetto del bambino: anzi quella sì e questa no/ anzi

forse ma però/ questo bimbo a chi lo do? Reminescenza dell’abbandono

materno è anche in Pennino, quando raccontando di alcuni gattini che aveva

trovato una notte , la Lamaque li descrive con un’eloquente analogia:

abbandonati come bambini.280

All’abbandono e all’adozione già ampiamente trattate nella raccolta del 1981,

con le poesie di Una quieta polvere si aggiungo particolari e dettagli biografici.

Già numerosi testi erano stati scritti per le due madri, ma è questa la prima

volta che l’autrice ci propone una poesia dedicata ai due padri. La descrizione

277 V.L., Ade, in Una quieta polvere, cit., p.16 278 V.L., Prato, ivi, p.17 279 V.L., Adozione ninna-oh, ivi, p.19 280 V.L., La notte dei gattini, ivi, p.53

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sottolinea la dualità della figura, come in un elenco prima vengono numerati,

Caro Babbo I (in ordine di n.)/ […] Caro babbo II (ma primo), e solo

successivamente chiamati per nome, Dante l’amato padre adottivo, mentre

lontanissimo è sentito il padre naturale, chiamato solo con una lettera E. A

questi riguardo si noti che invece il nome della madre naturale non è mai

comparso, nemmeno con le sole iniziali, in nessun componimento, né di

Teresino né di Una quieta polvere.

Tre componimenti sono dedicati ai tre fratellastri di Vivian, quei figli che la

madre naturale ha tenuto, come dice in Ade: la Morte è una madre che

abbandona/ tiene tutti gli altri figli/ e lascia all’Ade te. Nei componimenti

dedicati agli incontri coi fratelli, però, il tono non è di rancore, anche loro sono

vittime della madre, come scrive alla sorella Orietta: oggi capisco/ che ti eri

spaventata/ quando ero nata/ avevi tredici anni/ e anche tu l’infanzia/ un po’

minata281. Il rimpianto di una famiglia irrealizzata è nei versi per il fratello

Fabrizio, dove raccontando di quando si erano conosciuti da adulti, dice che chi

li guardava notava la somiglianza tra loro, aggiungendo quei bambini in

cortile/ potevo essere io282. Tracce del loro incontro a Firenze si ritrovano

anche nella sezione Cerco casa: poesie per un trasloco, quando guardando

dalla finestra all’autrice sfugge una sofferta analogia a causa del nome della

piazza su cui si affaccia il suo appartamento, piazza Firenze a cui aggiunge

(mia matrigna)283.

Proprio in questa sezione si consuma la conseguenza di un altro abbandono, di

un altro affetto perso, quello del marito Paolo, della cui separazione si racconta

nell’ ultimo componimenti di Madri padri figli, oltre che in Pennino. Dopo di

te/ sposerò solo il mio pennino/ e nessun altro284 scrive dopo l’impossibilità del

sogno che chiude la prima sezione: Non mi ero separata/ padre madre figlia/ la

famiglia continuava unita[…]285. Ritornano in alcune strofe di Questa quieta

polvere, i toni di L’amore mio è buonissimo, con Vivian che cerca in tutti i

modi di riconquistarne l’affetto ed esorcizzarne l’assenza. Sembra però

281 V.L., Cara sorella, ivi, p.29 282 V.L., Conoscendo l’altro fratello, ivi, p.28 283 V.L., Quanto cara mi è questa finestra, ivi, p.102 284 V.L., Pennino (I), ivi, p.45 285 V.L., Sogno d’oro (II), p.41

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incolmabile il vuoto lasciato dall’amato, quando l’autrice scrive con questa

luce forte/ si vede a prima vista che l’amore mio non c’è/ L’amore mio mi

manca/ l’amore mio mi manca così tanto o quando inutilmente insiste adesso

basta non esserci/ adesso voglio che l’amore mio ci sia/ voglio che l’amore

mio sia lì/ anzi qui/ che io possa allungando una mano/ toccarlo. E’ inutile

domandarsi se l’amore mio a me manca/ perché anch’io non mancare

all’amore mio?, ma Vivian non può farne a meno, alla ricerca disperata di

quell’amore che sua madre non le aveva saputo dare quando era piccola. La

conclusione a cui si arriva nel poemetto, in casa si vede subito/ che l’amore

mio non c’è, ricorda le poesie di Il tuo posto vuoto286, dove l’autrice cantava di

questa separazione. Separazione della quale non c’è traccia nella prima sezione

di Una quieta polvere, se si esclude il componimento conclusivo. Gli ultimi

brani, dedicati alla nuova famiglia dell’autrice, sono infatti più sereni, allegri i

brani per la figlia descritta mentre canta, salta, gioca col papà, come priva di

presagi negativi si svolge la narrazione dell’incontro e dell’innamoramento di

Vivian e Paolo nel testo intitolato proprio col nome del marito, Paolo.

Anticipa il sentimento familiare di questi brani la parte centrale della prima

sezione, nella quale si canta della madre adottiva, a cui è dedicato il

componimento Mamma e a cui Vivian è grata per l’affetto ricevuto, che si

concretizza in Latte nella biancheria lavata stirata/ bottiglie di latte materno/

che non hai mai avuto/ e più di tutti hai. L’altra madre invece resta distante, è

detta madre e non-madre/ mia e le si rinfaccia continuamente la sua decisione:

Ti tengo […] ma tu non hai tenuto me.287

La solitudine vissuta nell’infanzia è raccontata sempre nella prima sezione

quando stanca del troppo silenzio appoggiava l’orecchio al muro, per sentire

parlare di là i vicini288, e nei pranzi consumati da sola, parlando con la signora

Forchetta/ e suo marito il Coltello289, o a casa di qualche amico, come racconta

in Riso in bianco, al cui sollievo della cena in compagnia seguiva l’angoscia

del tornare a casa, nella propria solitudine: la sua porta da aprire/ ha dietro i

286 V.L., Teresino, Società di Poesia & Guanda, Milano 1981 287 V.L., Crochet, in Una quieta polvere, cit., p.31 288 V.L., C’era il muro, ivi, p.21 289 V.L., Cucchiani, ivi, p.24

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ladri/ e che paura fa, respirare. Analoga la situazione narrata in Pennino, ma

per la solitudine conseguente alla separazione dal marito, come scrive in

Spaesante ritorno:

[…] se il vento o un ladro fanno di là un rumore sono io il capofamiglia che si alza nel buio a rassicurare la figlia.

3.2 Il sentimento materno e le attenzioni per i più deboli

I componimenti della raccolta del 1981 lasciano ora il posto a una poesia più

varia, nei quali l’autrice non si interessa solo della propria vicenda personale,

ma anche delle storie e delle necessità degli altri. Tale sentimento è innanzi

tutto mostrato con il nuovo modo di intendere la maternità, non più àncora di

salvezza per se stessi, come appariva dalle poesie della sezione Ho una bella

bambina, bensì vissuta come un affetto che si lega alla responsabilità del ruolo

di madre: le poesie possono aspettare/ non possono aspettare le persone care.

Proprio per spiegare questo cambiamento di prospettiva, felice esito del

percorso analitico, l’autrice inserisce nella sezione Madri Padri Figli la

Preghiera delle mamme che hanno involontariamente mancato nei confronti

dei propri figli. Come un mea culpa ritorna più volte nel componimento la

richiesta di perdono alla figlia per gli anni della nostra assenza/ […] per

quando ci chiamavi e non c’eravamo/ o c’eravamo ma eravamo perse a noi

stesse/ o c’eravamo ma non vedevamo. Rivestendo il ruolo di madre, e non più

quello di figlia abbandonata, in modo adulto la mamma Vivian riconosce di

aver sbagliato, spiegando però che questo non è stato un abbandono voluto, ma

involontario, come già recita il titolo, perché stavamo male/ perché stavo male

stavo male/ figlia dolce mia. Grazie a questa consapevolezza ora, oltre che la

figlia, può accudire l’anziana e amata madre adottiva, si prende cura di lei

come la madre faceva con lei bambina, i ruoli si sono invertiti a causa dell’età,

come scrive giocando con le cifre degli anni: hai solo otto anni/ l’”anta” lo

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buttiamo via/ che bella bambina/ madre mia290. Il ruolo di capofamiglia lo

assume dichiaratamente quando, dopo la separazione, è lei che nonostante la

paura per i rumori che si sentono la notte si alza nel buio/ a rassicurare la

figlia.291

E’ nella sezione Fine millennio, dedicata ai poveri che ci circondano, che

l’autrice esprime pienamente questo suo nuovo modo di scrive, trasformatosi in

un prendersi cura, un prendersi a cuore gli esseri più deboli, rispettandoli e

riconoscendogli una dignità.292 Agli animali nuovi santi dedica la poesia

Asinello per il quale si invoca un paradiso subito per le fatiche sopportate in

vita, de i nostri cani adorati/ affamati assetati parla invece in Vù cumprà, come

nella sezione Pennino dedica una poesia all’amato cane Brigante293, e in un

altro testo racconta della notte in cui lei e un amico, o l’amato, trovarono dei

gattini abbandonati e li aiutarono: la notte dei gattini/ ti ho voluto del bene in

più.294 Alla natura si dedica invece curando il proprio orto, guardo i legumi in

fila, raddrizzo/ un pomodoro storto295, mentre ai fiori è invece rivolto Requiem

per margherite, dove l’autrice canta dell’ingiusta sete dei fiori dei vagoni

ristorante, senz’acqua nel vaso/ per non bagnare/ la tovaglia elegante.

3.3 Il mondo

La volontà di andare incontro alle necessità del prossimo, amplia lo sguardo

della Lamarque che in Una quieta polvere si rivolge al mondo che la circonda.

Partendo da un’analogia con la sofferenza delle piante cantate in Requiem per

margherite si introduce una dolorosa tematica della storia del ‘900,

l’Olocausto:

non beati gli assetati fiori della carrozza ristorante

290 V.L., Mamma, ivi, p.32 291 V.L., Spaesante ritorno, ivi, p.47 292 R.Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, in Poesie 1972-2002, cit., p.XI 293 V.L., Al mio cane brigante, in Una quieta polvere, cit., p.55 294 V.L., La notte dei gattini, cit., p.53 295 V.L., Orto, cit., p.54

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senz’acqua nel vaso per non bagnare la tovaglia elegante […] tutte in fin di vita dal finestrino la pioggia tese verso il vetro la chiamavano la chiamavano Regen! Regen! credete a chi le ha sentite sembravano bambine le margherite sembravano bambini […].

Il riferimento finale ai bambini, così come la scelta della lingua tedesca per

chiamare la pioggia, riprendono l’analogia con cui si era aperta la poesia: non

beati gli assetati/ sui treni: fiori, Ebrei/ agnelli, bambini. Ritorna così in questa

raccolta il campo di concentramento dei bambini di Terezin, a cui si faceva già

riferimento in Teresino, ma solo nel titolo della raccolta. Ora, dopo

l’introduzione tematica proposta da Requiem per margherite, confermando

l’analogia con le margherite bambine, si nomina di nuovo Terezin nel

componimento successivo, Ruanda, in cui l’epigrafe recita: Com’è orribile

Terezin!/ Quando torneremo a casa? mentre conclude la poesia: Dall’acqua

(dai forni)/ come dai finestrini/ salutano il millennio/ braccia e braccia/ di

bambini. Con l’analogia con le stragi causate dal nazismo, Vivian Lamarque

nel 1994 compone una poesia che narra del genocidio in Ruanda296,

indicazione geografica già specificata nel titolo del testo, prendendo in questo

modo posizione anche rispetto a quello che riguarda l’attualità del mondo, con

le ingiustizie e il male a cui si è costretti ad assistere. Ai soldati uccisi dalle

296 Il problema di distinzione raziale tra le tribù ruandesi Hutu Tutsi e Twa, che sarà poi causa del genocidio del 1994, fu una conseguenza del rigido sistema coloniale di separazione razziale e sfruttamento instaurato dal potere coloniale belga, sostituitosi alla potenza tedesca nel 1916. Il governo coloniale concesse ai Tutsi la supremazia sulla tribù maggioritaria degli Hutu (85% della popolazione), alimentando così tra i due gruppi contrasti e risentimenti che si trascinarono fino al 1959, quando il Belgio cedette il controllo del Ruanda alla maggioranza Hutu. Con l'indipendenza ebbe così inizio un lungo periodo di segregazione e massacri anti-Tutsi appoggiati dalle nuove istituzioni. Centinaia di migliaia di Tutsi e Hutu furono costretti all'esilio. Nel 1988 alcuni rifugiati diedero vita ad un movimento di ribellione con base in Uganda, il Fronte Patriottico Rwandese (FPR), rivendicando la loro patria. Nel 1990 l'RPF sferrò un'offensiva contro il regime Hutu fermata grazie all'aiuto militare franco-belga, a cui seguirono guerre e massacri. Quando nel 1993 le Nazioni Unite negoziarono un accordo che spartiva il potere tra le tribù, per preservare il proprio potere, gli estremisti Hutu fecero in modo di impedire che l'accordo venisse messo in atto. Il genocidio del Ruanda avvenne tra il 6 aprile alla metà di luglio del 1994. Per circa 100 giorni, vennero massacrate sistematicamente (a colpi di armi da fuoco e machete) tra 800.000 e 1.000.000 persone. Il genocidio, ufficialmente, viene considerato concluso con la missione umanitaria voluta e intrapresa dai francesi, sotto autorizzazione ONU (l'Opération Turquoise).

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guerre è invece dedicata Soldati che si pone il problema del numero di morti

causati dagli eventi bellici, scegliendo come epigrafe un frammento tratto da

Centomila gavette di ghiaccio di Giulio Bedeschi. Richiamandosi al girotondo

che nel poemetto Teresino rievocava la morte di un padre in guerra, Vivian

Lamarque scrisse una poesia anche in occasione della Guerra del Golfo297,

questa volta su committenza del giornale Repubblica, che, come recita la nota

al testo, lo pubblicò il 3 novembre 1990: Girotondo casca il mondo/ casca la

terra/ si alza la Guerra […].298

Agli immigrati, nuovi milanesi di colore, è invece dedicata la poesia

Testamento, a cui Vivian scrive di voler lasciare le cose di valore. Introduce

così i lavori umili a cui sono costretti per guadagnare qualche soldo: che per

due lire ci fanno i vetri luccicanti/ oh nostri innocentissimi emigranti/ per due

lire venuti da lontano/ con i vostri negozietti nella mano. Anche in Vu cumprà

l’autrice si rivolge a loro, affidandogli Milano, dato che è agosto e i milanesi

dalle case eleganti partono per le vacanze. Da questo invito fiducioso e per

nulla condizionato dalla diffidenza di molti nei confronti degli immigrati, la

poesia prende spunto per parlare della dignità umana, col diritto di essere

ognuno chiamato con il proprio nome: ma voi come vi chiamate?/ Vi abbiamo

tolto anche i nomi/ nelle nostre città/ vigilate voi, voi Persone/ che vi chiamano

Vù Cumprà, si noti anche la scelta di usare la lettera maiuscola nella parola

persona, ribadendo ulteriormente la loro dignità di persone con la p maiuscola.

Della difficile realtà in cui si trovano questi uomini e queste donne si parla

invece in Nuovi Dèi dove l’autrice si rivolge gentilmente ai lavavetri ai

semafori: non ho vetri oggi mi spiace/ per le vostre candide mani nere. Arrivati

in cerca di fortuna si sono ritrovati solo con

297 Il 2 agosto del 1990 il presidente iracheno Saddam Hussein invase il vicino Stato del Kuwait. L’attacco fu una dimostrazione di forza contro gli Stati Uniti ed i loro alleati, come conseguenza della ambigua politica mediorientale portata avanti dal governo di Washington durante e dopo la Guerra Iran-Iraq (1980–1988). C’era però anche un secondo intento: rivendicare all’Iraq l'appartenenza del Kuwait, nonostante l'Iraq ne avesse già riconosciuta l'indipendenza quando il Kuwait era stato ammesso alla Lega araba nel 1963. Il 17 gennaio 1991 le truppe americane, supportate dai contingenti della coalizione, penetrarono in territorio iracheno in seguito alle sanzioni dell’ONU e all’inascoltato ultimatum, che imponeva il ritiro delle truppe irachene. La guerra si concluse il 28 febbraio 1991 in seguito all’attacco americano, l'operazione Desert Storm. 298 V.L., Girotondo, in Una quieta polvere, cit., p.108

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soprannomi ridicoli, teste girate dall’altra parte a sperare che venga verde che venga verde in fretta per mille lire in più negli antri delle nostre buie tasche nuovi ostiari per nuovi Dèi dai nomi Centomila Milione Miliardo.

Il brano si conclude con un’invettiva contro i nuovi Dèi, i soldi, che rovinano la

vita delle persone, e sono sempre più irraggiungibili per questi nuovi poveri.

Con la parola mondo si apre la sezione che del mondo parla, con Bella copia

nella quale l’autrice mostra il piacere dei nuovi inizi, ma anche dell’andare

avanti imparando dai propri errori, concludendo: se restan quegli sbagli nel

copiare/ la Bella Copia del mondo- o Felicità-/ non si può fare. In epigrafe il

componimento propone tre versi di Siro Angeli, che assurgono a principio per

rapportarsi nel migliore dei modi nei confronti del mondo e delle sue risorse:

ama il possesso che fa tuoi ma non toglie agli altri cielo e terra.

3.4 Il superamento del transfert

La raccolta Una quieta polvere continua il discorso analitico che la Lamarque

aveva esposto nella trilogia Il signore d’oro, Il signore degli spaventati e

Poesie dando del Lei. Riprendendo il titolo di quest’ultimo libro, la sezione

Poesie dando del Lei (altre) conclude il percorso interiore che l’autrice ha

intrapreso accompagnata dal caro Dottore, nell’esperienza di transfert prima

materno, poi paterno e infine amoroso.

La comunicazione, la comunione raggiunte attraverso il rapporto di traslazione aprono una nuova dimensione che prima era preclusa e rendono finalmente possibile la trasformazione: la signora è consolata da una forza più vasta che finalmente la contiene.299

299 R.Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, in Poesie 1972-2002, cit., p.IX

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Proprio la rielaborazione del transfert vissuto permette a Vivian di ammettere:

Sonnambulina l’amavo/ leggermente stordita/ dai giorni e dalle notti/ della

Vita. Ancora più espliciti sono i due testi che parlano della bambina che si era

sostituita all’adulta Vivian, ma che ormai se n’è andata. Guardi Dottore, scrive

la paziente finalmente consapevole di ciò che le sta accadendo, una bambina

mi ha spaccato/ la mente./ Guarda verso di Lei/ La chiama perentoriamente.

Un simile concetto, espresso con tono più forti, si legge in un componimento di

poco successivo:

Fuori dalla Sua porta c’erano sei gradini lì una sera trovò qualcuno che dormiva si chinò a guardare era una bambina oh ma non dormiva oh ma non era viva.

L’apparente morte della bambina rappresenta così il superamento di quella

Vivian-bambina che era stata abbandonata e insisteva nel cercare un affetto

assoluto inottenibile. Anche in In bicicletta si esprime lo stesso concetto, in

modo molto più chiaro ed esplicito, nei versi conclusivi della poesia: l’infanzia

se ne è andata in bicicletta,/ da un giardino.

La guarigione è avvenuta proprio grazie alla fiduciosa relazione instaurata con

l’analista, che caramente la prese per mano, come recita la citazione di Dante

che apre la sezione. Sottolinea l’importanza di questo passaggio anche Rossana

Dedola nel suo saggio introduttivo a Poesie 1972-2002:

“Caramente” prendendola per mano, l’analista le ha permesso di attraversare il caos primordiale per riportarla alla luce e le ha indicato una via che può essere compiuta da sola.300

Ha inizio la fase di distacco dal Dottor B.M., che lascia che la paziente dica: Va

bene vada pure lontano/ non la inseguirò[…] mi lasci pure giù/ dal suo treno/

sono la valigia per sempre non Sua/ resto qui, mentre prima, per una situazione

300 Ibidem

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simile, aveva avuto un atteggiamento esattamente opposto in La signora della

valigetta che invece, nascosta in una valigetta, partì con lui, per le sue

vacanze.301 Ora Vivian non si dice più innamorata dell’analista, che per la

prima volta chiama apertamente Analista in Un Analista di lino vestito, e

invece che chiedere Caro Dottore/ basta distanza/ varchiamo La prego/ il

confine della stanza302, la paziente più razionalmente scrive Caro Dottore/ un

amore vorrei/ uguale uguale/ a Lei dimostrandosi conscia dell’impossibilità

del superamento della distanza che li divide e non auspicando più un

impossibile infrazione alla regola analitica, quanto piuttosto uno speranzoso

desiderio di trovare un innamorato che sia simile al suo Dottore, ma non più il

Dottor B.M. in persona.

3.5 La scrittura

Prima della psicanalisi, fedele medicina di Vivian è sempre stata la scrittura,

modo per lei naturalissimo di esprimersi, come spesso dice:

mi interrogo sul perché mi è tanto facile scrivere per ore e ore, pagine e pagine di poesie, fiabe, lettere. E perché, invece, non riesco a proferire verbo.303

Scrive al Caro Dottore304 la paziente in visita a Zurigo alla casa di Jung, le

brillano gli occhi come a un cercatore d’oro quando riesce a trovare la giusta

matita/ per fare in Suo onore un ghirigoro305, e gli fa notare che se ha scritto

qualche poesia di meno meglio, così ha potuto portargli anche piccoli regali,

pensieri, qualche poesia in meno/ ma un po’ di vita almeno.

301 V.L., La signora della valigetta, in Il signore d’oro, Crocetti, Milano 1986, p.70 302 V.L., Caro Dottore, in Poesie dando del Lei, Garzanti, Milano 1989, p.51 303 S.Jeresum, E il poetar m’è dolce in questo male, in “Sette”, 30 maggio 1996 304 V.L., Caro Dottore Le scrivo, in Una quieta polvere, cit., p.88 305 V.L., Cercavo la giusta matita, ivi, p.83

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All’amato Pennino dedica l’omonima sezione, dove si descrive come poeta, o

meglio poetina306 e dove dichiara la propria dedizione allo scrivere:

Dopo di te sposerò il mio pennino e nessun altro e nessun altro il mio pennino d’acciaio affilato per sempre l’ho sposato.307

Il fatto stesso di poter comporre poesie permette a Vivian di dire, nonostante

tutto, sono quasi felice/ ti posso cantare e amorevolmente descrive la sua

stilografica, che sembra quasi d’oro per via del sole che batte su questo

pennino/ lo fa luccicare.308 Con una metafora che sempre di penne e pennini

parla, spiega che il tempo passa veloce, ma forse corre ancora di più quando si

sta scrivendo sembra sott’intendere a Estate, quando racconta mentre facevo la

punta alla matita/ l’estate è diventata autunno/ è già finita309. A chi come lei

ama la scrittura dedica I poeti (viventi) che ho amato, dai quali ha ricevuto bei

regali, tra cui libri meravigliosi e matite d’oro.

L’immagine dello scrittore che si appresta a scrivere viene utilizzata anche in

modo metaforico nel testo Bella copia, che apre la sezione Fine millennio. Già

il titolo richiama alla memoria la scrittura, la copiatura dei temi a scuola,

cercando di non fare gli errori fatti nella brutta copia, e proprio su questo

contrasto insiste la prima parte della metafora che introduce il racconto del

mondo con l’entusiasmo dello scrittore che si appresta a scrivere qualcosa di

nuovo.

Poter domani il Foglio di Bella della vita cominciare correggere la brutta cancellare togliere gli errori (modi tempi sbagliati, nomi) ritoccare.

306 V.L., Garzantina, ivi, p.61 307 V.L., Pennino (I), ivi, p.45 308 V.L., Pennino (II), ivi, p.62 309 V.L., Le quattro stagioni, ivi, p.59

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Che bello il bianco foglio nella mano luccica il pennino, cominciamo.

3.6 Il sogno

Seppur in misura minore rispetto alle precedenti raccolte pubblicate, anche in

Una quieta polvere ritorna la dimensione onirica della poesia della Lamarque.

Sogni di una vita che non ha potuto vivere a causa delle due fratture che

l’hanno segnata sono raccontati in Madri padri figli. Il pensiero di come

sarebbe stata la sua infanzia se non ci fosse stata l’adozione si intravede

nell’incontro col fratello Fabrizio, in quel potevo essere io che accompagna

l’immagine dei bambini che giocano in cortile che ritorna per due volte,

all’inizio e alla fine della lirica. Il sogno di una vita con la propria famiglia

naturale è nel secondo brano della sezione, Sogno d’oro (I):

Era una neonata/ un padre era contento che era nata/ una madre era contenta che era nata/ la tenevano come niente fosse con loro.

Ma la voce narrante è consapevole di star raccontando una situazione

impossibile per Vivian, esattamente l’opposto di ciò che realmente è accaduto,

infatti il testo si chiude con l’ammissione di aver fatto un sogno bellissimo, un

bel sogno d’oro, ma impossibile, infatti ammette che è incredibile pensare al

fatto che i genitori la tengano proprio con loro. Chiude la raccolta il sogno di

un’altra famiglia, quella da lei costruita con Paolo e Miryam, ma anche questa

ormai spezzata dalla separazione col marito. Un altro sogno d’affetto spezzato,

ma non in Sogno d’oro (II), dove Vivian, questa volta usando la prima persona,

scrive non mi ero separata/ padre madre figlia/ la famiglia continuava unita/

oh il percorso bello della vita.

I desideri d’amore continuano nella seconda sezione, dove il testo mostra una

inedita disillusione. Sa di fare richieste fantastiche, lo ammette subito al primo

verso di Passero che però non la distoglie dal permettersi almeno di

immaginare amori di sole piume[…] sulle guance baci. Il racconto dell’amore

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di Adelina e del suo sposino che l’aspettava/ in un giardino, fanno battere il

cuore dopo tanto a Vivian, che in Canto vive quel sogno di amore corrisposto

nel quale non è lei ad attendere invano l’amore suo buonissimo, bensì è l’amato

ad aspettarla. L’immaginazione galoppa invece in Glocken, dove il gioco non

ha alcun freno, sembra una previsione di un futuro prossimo, per il quale

fervono i preparativi, sarà un grande giorno il girono della settimana che ti

potrò vedere […] GIORNO SPECIALE. Sempre d’amore sono i sogni di

Poesie dando del Lei (altre), dove, con i toni delle precedenti raccolte, Vivian

propone fughe d’amore all’analista, o immagina la bellezza di una vita passata

insieme. Faremo anche noi/ un viaggio insieme un giorno/ valigie leggere/ per

il nostro viaggio in aria/ nessuna prenotazione necessaria; (Ma qualche volta

si vorrebbe/ dietro il fantasma l’uomo reale/ l’imperfetto amato/ l’altra metà

del cielo/ desiderato). Rispetto alla trilogia, il tono delle fantasie della paziente

è però cambiato, Vivian non è più certa di riuscire ad ottenere dal Dottore, che

convive con i sogni strampalati/ dei Suoi malati310, quell’amore tanto

desiderato, evidentemente anche questo un po’ strampalato. Si può interpretare

acquisizione dell’allontanamento definitivo dal dottore l’immagine dei primi

versi del sesto brano della sezione: Il fiume Po da Lei amato/ ho sognato./

Scorreva/ ma all’indietro[…].

Decisamente onirico è il tono del penultimo brano, Ballata degli occhiali neri,

che si divide in due parti: Al Cafè Haus e Ai giardini. La narrazione è confusa e

riunisce elementi biografici, come quello di una bambina che gioca a mamme,

la città adottiva Milano nell’immagine di Corso Sempione, gli occhiali neri

dell’amato analista, con altri elementi di meno immediata decifrazione, come

la Norvegia, il grande guanto per terra, la strana ragazza e lo strano ragazzo.

Mentre nella prima parte del componimento Vivian cerca l’analista, dietro gli

occhiali neri/ io Le cercavo gli occhi/ gli occhi amati cercavo/ e la voce

gentile[…] dov’era il suo bel cuore/ il suo cuore gentile, nella seconda parte

avviene finalmente l’incontro, d’improvviso i Suoi occhi/ gli occhi suoi

ritrovati/ e la voce gentile/ ma solo per l’istante/ prima di sparire. Quando

Vivian ritrova il Dottore, non ha più gli occhiali neri, forse perché non ne ha

310 V.L., Caro Dottore che cammina e cammina, ivi, p.89

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più bisogno, lei non potrà più appoggiarsi a lui nelle difficoltà, e questa

sensazione crea un’iniziale spaesamento, che appunto si ripercuote su tutta la

ballata, che emblematicamente conclude: cercavo gli occhi amati/ e la voce

gentile/ forse sarà così morire. Il sogno ritorna anche in un altro brano che

parla di morte A D. morta a 36 anni dove Vivian esprime il desiderio che

l’amica fosse ancora in vita, scrivendo Sogno che sei viva/ che ti consolo della

morte di un altro, e allo stesso modo si consola per la perdita dell’amato in

Questa quieta polvere dicendo che ci sono le visioni/ con le visioni si può

vedere tutto anche il proprio amore sparito:

si può vedere la visione del profilo delle montagne con lo sfondo del profilo dell’amore mio oppure la visione di un fiume impetuoso con dentro l’amore mio che guada oppure la visione del lago di Brais tutto circondato dall’amore mio.

3.7 La morte

Tema molto presente in Una quieta polvere è il tema della morte, già introdotto

col titolo della raccolta, che si richiama alla polvere di Emily Dickinson, quella

che l’autrice scrive was Gentlemen and Ladies/ and Lads and Girls-/ was

laughter and ability and Sighing/ and Frocks and Curls.311 La tematica

mortuaria che introduce così l’opera della Lamarque, riprende il riferimento

alla Dickinson nel poemetto centrale, Questa quieta polvere, traduzione

letterale della poesia ispiratrice. Nel poemetto, composto da strofe originali

intervallate da cinquantatre citazioni, vengono proposti altri versi della poesia

dickinsoniana, oltre che di fiabe e poesie nella maggior parte dei casi connessi

alla tematica trattata. L’alternanza tra i versi autografi con i versi citati, instaura

311 E.Dickinson, This quiet Dust was Gentlemen and Ladies, n.813, in E.Dickinson, Poesie, Mondadori, Milano 1995 pp.452-455

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un gioco contrastivo che spesso l’autrice utilizza per porre ulteriormente in

rilievo la tematica. Al ricordo del primo incontro con l’amato si contrappone

l’immagine della Morte Giardiniera di Marina Cvetaeva:dove si ritira l’Amore/

avanza la Morte Giardiniera, ai quali versi l’autrice ribatte: io non voglio la

Morte Giardiniera/ io voglio un giardino con dentro l’amore mio a zappare.

Ma poco dopo è la stessa Vivian a riportare in scena la tematica: i morti se li

tocchi sono freddi/ invece i vivi sono tutta un’altra cosa, e racconta dell’ amore

mio quando era vivo e lei era felice quando lo toccava. Di nuovo però incalza il

passare del tempo, e con esso l’avvicinarsi della fine. Cita i versi della

Dickinson aggiungendo io non voglio essere quieta/ io non voglio essere

polvere e poco dopo ribadisce un’altra volta il suo desiderio di vita: io non

sono morta io sono nata, il 19 aprile 1946. Questo continuo scambio di battute

tra volontà di vivere e richiamo della morte attraversa tutto il testo, giocando

molto sulla contraddittorietà di molte immagini accostate. A questo proposito

Rossana Dedola nota il contrasto generato dalla citazione della fiaba di

Andersen che disegna il soldato mentre torna a casa dopo la guerra, mentre il

testo insiste sulla lontananza, e il fatto che successivamente il ritorno a casa

coincide con la morte, descritta attraverso la citazione di Afanasjev, “tornato

a casa comperò la bara vi si stese dentro e subito morì”, cui si aggiunge la

voce di Livia Candiani: “Oh i sagrati- disse il vento- è quasi sempre da lì che

rapisco i miei prediletti.312 Più si procede nella lettura del poemetto e più l’idea

della morte si fa insistente:

quando muoriamo noi non è come quando muoiono gli altri si vede l’ultimo oggetto della nostra vita poi si viene messi sotto terra/ e nient’altro, nemmeno un movimento impercettibile Il mattino dopo che si è morti non ci si può svegliare la vita è finita è cominciata la morte.

Ritornano le citazione dalla Dickinson come: la morte è stata nella casa di

fronte; il mondo sa di polvere/ quando ci fermiamo a morire; poiché non

312 R.Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, in Poesie 1972-2002, cit., p.X

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potevo fermarmi per la Morte/ lei gentilmente si fermò per me. Più si fa

insistente l’idea di una fine, più ritorna nel brano l’immagine dell’amato

lontano, il ricordo di quando era vicino, e la visione di quando finalmente

tornerà. Si insinua l’idea che il brano racconti della lontananza dell’amato,

lontananza così dolorosa e impossibile da colmare che è vissuta come la morte

dell’amato, che l’autrice vorrebbe ancora accanto a sé in vita. Proprio con

l’immagine sognata dell’amato si conclude il testo, ma anche nel sogno si

insinua l’immagine che domina tutto il brano: questa notte io ho sognato/ che

l’amore mio era tornato/ io facevo carezze alla sua mano/ ma la sua mano non

faceva carezze a me:/ l’amore mio aveva una mano di marmo […] l’amore mio

si fermerà per sempre/ e anche di più, un per sempre che ha i tratti

dell’Eternità.

Anche un altro amore impossibile, quello per il Dottor B.M., si conclude nello

stesso modo, con Vivian che immagina che almeno nell’aldilà potranno stare

insieme, essendo nella vita ormai appurata l’impossibilità di un tale amore.

Chiude la sezione Poesie dando del Lei (altre) la poesie Ma nell’al di là, dove

appunto questa idea viene portata avanti, vedendo la morte non più come

motivo di assenza, bensì mezzo di unione: ma nell’aldilà/ nessuno nessuno ci

separerà. In un altro brano si legge Caro Dottore/ quando La chiamerò

nell’aldilà/ ci sia mi raccomando/ (e ci sia l’Eternità), mentre in Così breve la

vita si immagina reincarnata in una fogliolina inseparabile dal suo albero, in

cui si è trasformato l’analista. Non ricorre la parola morte in questi testi, che

esprimono la gioia della tanto sperata realizzazione del proprio amore, ma il

vocabolo ritorna nella più inquietante ballata degli occhiali neri dove non

trovando più il dottore Vivian prova una sensazione che paragona al morire:

stavo per morire/ dov’era il Suo bel cuore/ […] forse così è la morte/ io mi

sentivo male/ male forte forte […] cercavo gli occhi amati/ e la voce gentile/

forse sarà così morire. Il Trasloco è invece vissuto come modo per sconfiggere

la morte, o almeno spaventarla per riavere indietro per almeno un po’ di vita

ancora un poco/ prima dell’ultimo trasloco, anche se poi il senso del titolo si

ritorce contro l’autrice, che infatti scrive: anzi traslocheremo ancora/ da terra

a fiore: io per me scelgo una margherita/ come casanuova/ in una novavita.

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In Fuori dalla sua porta dove si esclama oh ma non dormiva/ oh ma non era

viva, così come in Cercasi casa: poesie per un trasloco, nella poesia

Condòmino, si crea un gioco mimetico tra sonno e morte nella descrizione

della morte della bambina nel primo testo, mentre nel secondo nel racconto

dell’ultima notte passata da un vicino dell’autrice:

Cammino piano, qua sotto al terzo piano dorme un condomino morto. […] Ha dormito con noialtri condomini essendo notte sembrava a noi uguale ha dormito otto ore ma poi ancora e ancora e ancora […] ora che noi ci muoviamo non è più a noi uguale. E’ un condomino morto.

Sono raccolte in Una quieta polvere più di una poesia dedicata a persone

defunte: la poesia per l’amato babbo Dante, Caro Babbo II […] che hai fatto in

tempo/ a salvare anche me/ prima di morire a 34 anni, o per l’amica Daniela,

anche lei morta giovane, A D. morta a 36 anni, per la morte della madre

naturale, come ci rivela il titolo morta per un Ictus, la cui morte, ulteriore

separazione, è motivo per rinfacciarle di nuovo l’abbandono subìto a nove

mesi, di nuovo/ senza dirmi niente/ sei andata via/ madre e non-madre/ mia. La

morte della madre è riproposta nel cupo componimento che apre la raccolta,

Era la casa, dove gli ultimi versi parlano della madre morta che rimase […]

per terra tre o due notti a parlare col gatto, che conosceva la lingua dei morti e

sempre lei è paragonata alla morte in Ade, dove scrive la Morte è una madre

che abbandona/ tiene tutti gli altri figli/ e lascia all’Ade te. In occasione

dell’anniversario della morte di Pasolini, l’autrice propone la poesia A Pasolini

mentre invece ci tiene a sottolineare che è per i poeti ancora in vita la poesia I

poeti (viventi) che ho amato. Anche nella chiusa alla raccolta, l’autrice

ribadisce un concetto simile, quando scrive siamo poeti./ Vogliateci bene da

vivi di più/ da morti di meno/ che tanto non lo sapremo.313

Il tema della morte è ampliamente trattato anche in Fine millennio, contenendo

la sezione numerose poesie d’argomento bellico, come Soldati, Ruanda,

Pueblo, Girotondo dove scrive i vivi diventano morti./ Come gioca la Guerra/

313 V.L., P.S., in Una quieta polvere, cit., p.133

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oh guarda un bambino/ sotto la terra. In Nuvola Vivian immagina di vedere

una grande nuvola formata da milioni e milioni di persone, sono i Già-Morti o

che siano i Non-Ancora/ Nati? Ma subito dopo inizia l’elenco delle cause di

decesso delle anime che vede in volo, persone ma anche animali e piante.

Scrive anche un poetico Testamento, nel quale dice di voler lasciare le cose di

valore/ ai nuovi milanesi di colore, mentre in Di colore il riferimento non è più

alla pelle delle persone immigrate, bensì al colore del fiore che crescerà sulla

terra che ci ricoprirà quando tra un po’ di anni saremo polvere, riproponendo

l’immagine della Dickinson.

La raccolta si conclude con una sezione interamente dedicata alla morte, che si

apre con l’immagine della morte che ci aspetta paziente/ in un angolino/

conosce il giorno e l’ora/ che noi non conosciamo ancora314; alla concretezza

della morte si riferiscono con ironia i versi di Lo diventeremo dicendo poverini

di coloro vogliono essere magri e belli da vivi, poiché lo diventeremo/

magrissimi e bellissimi/ come la terra e gli insetti/ come i fiori. Invece è vissuta

serenamente l’idea di una prossima morte in Vicini, dove rendendosi conto che

i suoi vicini “di terra” saranno proprio gli amati Fiori e l’Erba scrive: li

accarezzo preparo/ la nostra futura amicizia/ saremo così vicini! Ma anche in

questa sezione la meditazione sulla morte dà un’altra impronta all’esistenza,

un’altra lucidità allo sguardo, come ad esempio in A vacanza conclusa, dove

l’inaspettato interrogativo finale, sarà così sarà così/ lasciare la vita?, rovescia

una situazione apparentemente lontana da qualsiasi assillo metafisico come

quella dei bagnanti sulla spiaggia315.

Scrive in un articolo Franco Loi, tirando le somme sull’idea della morte

raccontata attraverso la poesia:

Ha ragione Vivian Lamarque nel sentenziare con una certa ingenuità:” I morti se li tocchi sono freddi”. Non di cose morte parla il poeta, ché anche quelle che sembrano morte sono ravvivate dagli ulteriori significati e dal riproporsi delle faglie nascoste. […] Per questo la poesia scorre insieme alla vita e ne possiede l’identica utilità.316

314 V.L., Ci aspetta, ivi, p.123 315 R.Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, in Poesie 1972-2002, cit., p.XI 316 F.Loi, Versi cresciuti tra le ortiche, in “Il Sole 24 Ore”, 19 maggio 1996

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4. Narratore e interlocutori

La voce narrante nella raccolta Una quieta polvere è quasi sempre coincidente

con la voce di Vivian, protagonista e narratore della propria vicenda personale.

Fa eccezione la prima sezione, Madri padri figli, nella quale l’autrice riprende

il modo narrativo già adottato in Teresino parlando di se stessa in terza

persona, soprattutto nei componimenti che raccontano della sua infanzia.

Quando, ad esempio, in Bambina scrive: Col punto erba/ col punto croce/

diligente si cuciva le labbra/ faceva il nodo, conoscendo la biografia

dell’autrice, ci è permesso dire che la bambina di cui la Lamarque narra la

sofferenza in questa poesia è proprio Vivian. La scelta della terza persona, da

parte della voce narrante, permette a chi racconta di prendere le distanze dalla

storia, e quindi anche dal dolore provato in quei momenti. La stessa modalità

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narrativa è infatti adottata in altri testi che raccontano dell’abbandono e della

solitudine vissuta in quegli anni, come in C’era un muro, quando racconta

dell’insopportabile silenzio della propria casa, o in Cucchiaini,

rappresentazione dei solitari pasti passati a parlare con le posate e in Riso in

bianco. Lo stesso meccanismo è scelto per raccontare della casa natia,

introdotto con un generico titolo Era una casa la cui eco fiabesca è subito

eliminata dalla descrizione cupa e sofferta e dall’immagine della madre morta,

così come in Sogno (I) si racconta dell’illusione di non essere mai stata

abbandonata dalla propria famiglia naturale.

Spesso Vivian intitola le sue poesie con il nome (o il soprannome) della

persona a cui si rivolge poi direttamente all’interno del testo, quasi

riproposizione di una parte di un dialogo dove non venga però trascritta la

risposta dell’interlocutore. Nella poesia Paolo già al primo verso Vivian dice al

marito: quel conoscerti, in Mamma parla affetuosamente all’anziana madre

adottiva: Hai solo otto anni […] che bella madre mia, in Al mio cane Brigante

si rivolge proprio al suo cane, ricordando di una nevicata: la tua ciotola era

piena di neve, all’amica morta scrive in Cara Daniela e in A D. morta a 36

anni: Sogno che sei viva317, o come facevi tu/ ti ho vista con la penna/ in

mano[…] Daniela/ i tuoi bambini piccoli sono cresciuti318, e anche in A

Pasolini scrive: per il tuo anniversario/ di assassinato.

Il narratore adotta la seconda persona per rivolgersi al suo interlocutore anche

quando non è espressamente dedicato a lui il titolo del brano, come in Pennino

(I) dove Vivian parla a un tu che evidentemente è il marito Paolo, poiché

scrive: Dopo di te/ sposerò il mio pennino/ e nessun altro, così come a un tu

non precisato, ma ipoteticamente sempre il marito, è rivolto il ti ho voluto del

bene in più de La notte dei gattini, o quello di Pèss Fritt nel quale l’autrice

immagina proprio la risposta dell’amato durante la telefonata che sta

aspettando di ricevere: Lè tutt el dì che sun chì a spettà la tua telefunada.

In modo simile il narratore procede nella sezione Poesie dando del Lei (altre)

nelle quali l’utilizzo della terza persona è richiesto dal contesto, ma il dialogo

tra i due è diretto, vera e propria mimesi con un interlocutore “assente”, non

317 V.L., A D. morta a 36 anni, in Una quieta polvere, cit., p.124 318 V.L., Cara Daniela, ivi., p.125

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essendo riportate le sue battute, ma anche per simboleggiare la mancata

risposta dell’analista alle richieste dell’innamorata paziente.

Nelle ultime due sezioni della raccolta, Fine millennio e Come fiori, Vivian

adotta anche la seconda persona plurale. Questa scelta poetica è da riferire alle

tematiche trattate nelle due parti: la situazione sociale e storica contemporanea

nella prima, la morte nella seconda, entrambi argomenti che si aprono a un

interesse collettivo. Mentre prima la dimensione narrata era spesso la vita

privata di Vivian e la sua rete di affetti, ora il discorso, facendosi più generale

coinvolge anche il lettore, che diventa interlocutore e insieme destinatario dei

componimenti poetici. In Bella copia si parla della nostra bella copia, in

relazione alla Bella del mondo, invece in Di colore sottolineando il destino che

accomuna tutti gli uomini, indipendentemente da posizione sociale o colore,

scrive: tra un po’ di anni/ saremo polvere di terra, così come quando in Lo

diventeremo, che alla seconda persona dà rilevanza già nel titolo, la voce

narrante dice poverini che vogliamo/diventare magri belli/ lo diventeremo. Più

che esplicita è la scelta del narratore di unirsi serza riserve al proprio

interlocutore, proponendo già nel titolo il pronome Noi che da subito mette a

fuoco la prima persona plurale che percorre tutto il brano, come anche in

Queste conchiglie, dove si legge: saremo noi.

Si amplifica ulteriormente l’effetto di risonanza delle parole del narratore in Vù

cumprà, in cui il dialogo non è “limitato” al gruppo noi, ma si compie un vero

e proprio scambio tra due comunità, quella dei milanesi “doc” con i quali si

immedesima Vivian, e quella dei nuovi milanesi di colore a quali ci si rivolge

col la seconda persona plurale, per affidargli, con grande fiducia, l’amata città:

Agosto ce ne andiamo/ vi lasciamo Milano/ vigilate voi.

La scelta compositiva che caratterizza il poemetto della terza sezione è la

varietà, essendo Questa quieta polvere diviso tra testo autografo e citazioni da

altri poeti. Tale scelta, proponendo frammenti tratti da testi i più disparati, fa sì

che alla voce di Vivan che nella maggior parte dei casi parla in prima persona

lamentando la perdita del proprio amore, si alternino invece strofe nelle quali il

narratore è un altro, molto spesso non identificato, come succede fin dai primi

versi della lirica con la citazione dai fratelli Grimm e subito dopo dalle Fiabi

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Piemontesi: Che fa il mio bimbo?/ Che fa il mio capriolo?/ Verrà tre volte

ancora/ E poi non verrà più/ Disse al figurinaio: fammi una statua di cera/ che

si muova come un uomo vero. In questo caso, come molte altre volte nella

raccolta, l’autrice propone brani che continuino la modalità narrativa da lei

utilizzata, ossia il discorso in prima persona. Il narratore così non modifica di

troppo il suo modo di rivolgersi al proprio interlocutore, ma allo stesso tempo

si crea un effetto di spaesamento nel lettore che caratterizza tutto il testo

poetico.

Per quanto riguarda i testi citati che non propongono una modalità narrativa in

prima persona, questi vengono inseriti nel contesto in modo metaforico o

esemplare, parlando sempre dei due protagonisti della poesia della Lamarque:

Vivian e il suo amore sparito. In un certo reame in un certo stato/ vivevano un

tempo un re e una regina narra una delle fiabe russe raccolte da Afanasjev,

mentre Andersen scrive: un due un due un soldato avanza marciando per la

strada mestra […] era stato in guerra e ora tornava a casa, testo che introduce

un lungo discorso sull’amore mio, quasi l’amato fosse quel soldato che marcia

finalmente verso casa, costretto ad abbandonare la sua vita a causa della guerra.

Nelle ultime parti del poemetto si insinua in Vivian il dubbio che l’assenza

dell’amato sia dovuta alla sua morte, ultimo tentativo di giustificare la sua

assenza come dovuta a cause altre, non al non amore di lui: tornò a casa

comperò la bara vi si stese dentro e subito morì, scrive citando Afanasjev,

mentre da Andersen propone: il piccolo Claus prese la vecchia morta e se la

mise nel proprio letto ancora caldo per vedere se risuscitava ma l’amore non

torna in vita, o meglio nella vita dell’innamorata. Il testo si conclude

coinvolgendo anche l’affetto familiare, con due citazioni dalla Storia dei

Valdesi del bisnonno della Lamarque, Ernesto Comba, che narra della

sofferenza dei bambini durante le persecuzioni a cui si accosta una frase dal

film Giochi Proibiti che dice: Voglio tornare da mamma e papà riproponendo

la prima persona del narratore fino alla conclusione del testo, che circolarmente

riprende la citazione che aveva introdotto la narrazione poetica:

Che fa il mio bimbo? Che fa il mio capriolo?

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Verrà tre volte ancora E poi non verrà più.

4.1 I personaggi

La raccolta Una quieta polvere si differenza dalla raccolte precedenti per la

scelta di non strutturarsi intorno a un unico tema. L’edizione 1996 raccoglie

testi molto variegati con una varietà tematica che dà lugo a una lunga serie di

personaggi, alcuni presenti in una sola poesia, altri in una o più sezioni.

Dello stretto nucleo familare già incontrato nel 1981 e composto da Vivian, il

marito Paolo, la figlia Miryam, il genitori adottivi e la lontana ma sempre

nominata madre naturale, in Madri padri figli l’autrice racconta ampiamente

nella sezione, parlando della figlia in Miryam, in Febbre, in Calzina, in Esame

e in Quando il papà, del quale si racconta in Paolo con grande affetto.

Affettuosi e riconoscenti sono i componimenti che raccontano della madre

adottiva, la mamma ormai ottantenne che in Latte viene descritta come madre

premurosa e generosa, mentre con sofferenza si parla dell’altra madre, ormai

morta per un Ictus, la cui assenza è ricordata in Crochet, Ade, Era la casa. Le

poesie del 1996 aggiungono personaggi alla vita familiare dell’autrice, che ci

presenta i suoi tre fratelli, o fratellastri, Marzio, Fabrizio e Orietta, oltre al

padre naturale E./ che facevi il preside. Accanto alla famiglia vera e propria

nelle dediche alle varie liriche si incontrano lo zio Umberto e i vicini Franco,

Mimmo, Lucia, Anna i cui nomi si intrecciano al ricordo di generici bambini

con cui Vivian racconta di aver passato l’infanzia, come la bambina del

Polesine detta dell’alluvione319 o i bambini conosciuti nell’estate di Guarda i

bambini delle colonie. Anche l’amato, e al lettore ormai familiare, Dottor B.M.

torna di nuovo nei versi dalla Lamarque in Poesie dando del Lei (altre) sia

nella dedica, sia nei brani raccolti, che ci forniscono qualche altra informazione

319 V.L., Dell’alluvione, ivi., p.22

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sullo schivo personaggio dell’analista come il fatto che portasse degli occhiali

neri.

Tutta la raccolta si popola di dediche a persone le più svariate, a seconda che si

racconti di loro o di un episodio vissuto insieme che fa tornare alla memoria

quelle persone. Quando Vivian ascolta la canzone Adelina si ricorda di Gioxe e

Patricia, oltre che di M. ed L., ne La notte dei gattini si ricorda di R., in

Glockein il lettore ritrova M. e in Piove L.B., e il caro cane Brigante è ricordato

nell’omonima poesia. L’amica Alida Ariaghi è ricordata nella dedica della

sezione Cercasi: poesie per un trasloco, ma anche in Caro Dottore le scrivo, in

occasione del viaggio di Vivian a Zurigo, poesia nella quale compare anche

l’amica Rossana a cui l’autrice dedica Publo, a lei e ad Antonio. Ai vicini

Franco, Marisa e Marco è dedicata Trovata, dove si parla di loro come una

vera famiglia/ con un bambino che assomiglia e del vicino Signor S. si

racconta in Condòmino. In Come fiori con due brevi poesie l’autrice ci propone

un ritratto dell’amica Daniela, con la penna/ in mano, con i calzettoni/ al

ginocchio, ultima di noi tutte/ a passare al nylon (non volevi eri speciale)[…]

Daniela/ i tuoi bambini piccoli sono cresciuti […] una è uguale uguale a te.

Proprio in quest’ultima sezione col brano Dediche senza poesie l’autrice ci

propone una summa di tutte le persone di cui ci ha raccontato nella raccolta,

con anche dei nuovi personaggi, propositi qui per la prima volta: A Paolo, a

Vittoria, a Ada Tommasi che ci leggeva poesie nell’ora di storia, […] a mia

madre che mentre legge cuce, alla madre di Giorgio, il fidanzato della figlia

Miryam, a suo padre lontano, a Giorgio e progetti, a Miryam quando era

bambina con Fra, Monica, Ba, con Paolo Novarese, con Paola e Cristina,

Elisabetta amica e cugina, a Gabriele, agli zii e alle zie, ai cari Pellegrinelli,

Provera, cognomi delle famiglie della madre e del padre adottivi, e Nodari, a

Egle bambina, a Babi mio inizio, a Fausto e Fabrizio, al bosco con dentro mio

fratello Fabrizio che suona, a Marzio, a Orietta, Matilde e Susetta, a Doris e

Alice, agli Spini, ai Valdesi bambini. Alle mie compagne di scuola Tinini e

Farina, a Renato sul palco, a Valentina, a Patricia e Gioxe speciali, dedicatari

della poesia Canto, come Chiandra e Deep diversi e uguali, a Franco e

Ornella, a Crudelucci, Elena, Mirella, a Aura di Ravi e Giacomino, a Mario, a

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Carla, A Roberto R. nel fumo […] A Luisa, Marghe, Loredana, Danila, ai loro

giardini tutti in fila, amiche e vicine di casa del quartiere QT8, […] a F. e ù. A

Irlando, Olga, Lavinia e formichine, alle Melusine e auguri di bene alle

Ragazze Irene. Ai Montagnani grande famiglia menestrella, alle signore Basi e

Sbattella, a Wlady, alla scuola, alle mie allieve […] a Francesco, a Giulia,

Cinzia e Serena, […] a Maurizio, che ha vinto la mia pigrizia,[…]. Infine

viene introdotto il nome di chi collabora con lei per la pubblicazione della

raccolta poetica alla Mondadori: ai nomi che mi sono dimenticata, che correrò

a telefonare a Tettamanti, ma lui mi dirà neanche parlarne, escluso, il Libro

ormai è Chiuso, il Libro è Chiuso.

Vanno infine ricordati i personaggi senza nome di cui l’autrice scrive nella

sezione Fine millennio, dedicata appunto ai poveri che ci circondano, dagli

immigrati di Testamento agli animali maltrattati di cui Asinello è emblema, dai

vù cumprà alle persone che lavano i vetri ai semafori in Nuovi Dèi, dai fiori e

la natura maltrattata dall’uomo in Requiem per margherite alle vittime delle

guerre nel mondo di Girotondo, Pueblo, Soldati e Ruanda.

5. La forma dei testi

Una quieta polvere appare come un contenitore ampio e aperto, capace di accogliere lirica cronaca e fiaba, poemetti di tono elegiaco e testi d’occasione ( sulla guerra del Golfo, su Pasolini, sugli extracomunitari a Milano), epigrammi, parodie, frammenti autobiografici. Il principio unificatore finisce per essere non tanto un tema o una situazione, quanto l’autrice stessa, che si affaccia senza più schermi in primo piano.320

La varietà tematica caratterizzante questa raccolta poetica, si riflette così anche

sulle strutture metriche che l’autrice sceglie per i testi qui pubblicati. Il metro

prediletto dalla Lamarque continuia ad essere breve, come lo dimostrano i

componimenti di soli quattro o cinque versi come Bambina, Ictus, Crochet,

Febbre, Esame, Sogno d’oro (II), Piove, Orto, Garzantina, Pennino (II),

Fuochista, Pueblo, Soldati, Di colore, Noi, A vacanza conclusa e altri, oltre la

brevissima poesia Ade, composta da soli tre versi. L’opera raccoglie però

320 U.Fiori, La voce nuova della signora, in “L’Unità”, 03 giugno 1996

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componimenti poetici anche più consistenti, con almeno una decina di versi e

un andamento ritmico scandito da rime e dalle figure di suono sempre

frequentissime nella produzione poetica della Lamarque. In Vù cumprà, per

esempio così come in Conoscendo l’altro fratello o in Ma nell’al di là, il verso

si mantiene breve per tutta la poesia, agevolando nel lettore la percezione della

musicalità del brano e l’individuazione immediata di rime facili e frequenti,

spesso baciate:

Agosto ce ne andiamo vi lasciamo Milano vigilate voi, noi assenti sulle nostre case eleganti sui bei ladri distinti sui governanti non ce ne andiamo, vi lasciamo i nostri cani adorati affamati assetati […].

Più varia la struttura di molti dei componimenti di media lunghezza a verso

libero, spesso con poche rime, ma ritmicamente giocati sulla sonorità delle

parole di cui si compone il testo, tra questi Paolo, Glocklein, I poeti (viventi)

che ho amato, Autoritratto, In bicicletta, Caro Dottore le scrivo, Nuovi Dèi e

moltissime altre. Si prenda come esempio Testamento, testo di quindici versi di

misura diversissima, dalle sei sillabe del v.1 alle quindici del terzultimo:

A certi che so io lascio tutto e agli altri niente. E le poesie belle agli amici e ai nemici le brutte. E le cose di valore? Le cose di valore ai nuovi milanesi ci colore che per due lire ci fanno i vetri luccicanti (oh nostri innocentissimi emigranti per due lire venuti da lontano con i vostri negozietti in una mano). E lascio i miei fiori al mio giardino e alla terra gentile che mi starà vicino ci faremo senza voce compagnia e buongiorno morte e così sia.

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La maggior parte dei componimenti continua le modalità compositive che già

avevano caratterizzato i testi raccolti in Teresino: versi liberi, di poche o

moltissime sillabe insieme nella stessa poesia, componimenti brevi con rime

non coincidenti con la frase poetica e spesso individuabili solo con una lettura

ad alta voce: Asinello è composto da sette versi, Abbandono da sei, Parto

raccoglie otto versi mentre Dell’alluvione undici e così molti altri. Alcuni di

questi sono anche divisi in piccole strofe, come Riso bianco, Conoscendo un

fratello, Bella copia, Ci aspetta oppure in Babbi e in Le quattro stagioni, dove

ad ogni strofa viene dato il titolo, investendola del ruolo di piccolissima

sezione poetica. La stessa struttura ritorna anche in Adozione ninna-oh o in

Requiem per margherite, in questi casi però la divisione strofica è utilizzata per

dividere il brano poetico in parti che si ripetono, come in filastrocche, con il

corpo del testo e un breve refrain che ritorna più volte nel testo: ( e ho paura

non si aprono/ più sui moderni treni/ i finestrini) si ripete in Requiem per

margherite. La ripetizione è una delle caratteristiche più evidenti di Questa

quieta polvere, lungo poemetto composto da nove sezioni al loro interno divise

in strofe di diversa lunghezza, come e adesso dov’è l’amore mio? o tagliategli

la testa! ordinò la regina formate da un unico verso mentre di sei versi è la

strofa

fa la ninna fa la nanna tesoruccio della mamma della mamma e del papà che stasera tornerà tornerà per lo stradello del vicino campicello.

o i cinque versi di

questo tunnel è lungo come quello di gran lunga più lungo di tutti in una serie di lunghi tunnel lungo come quello che la gente in treno dice questo è quello lungo.

Già nel 1981 l’autrice aveva proposto un poemetto, Teresino, che in Una

quieta polvere si amplia ulteriormente svolgendosi su 418 versi. Metro nuovo

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per la Lamarque è invece la ballata, come si definisce il testo Ballata degli

occhiali neri diviso in due sezioni, con versi brevi e la ripetizione di: Dietro gli

occhiali neri/ io le cercavo gli occhi e forse così è la morte/ io mi sentivo male/

male forte forte.

Ritorna la stessa struttura di Poesie dando del Lei nella prima parte sezione

omonima, con la successione di brevissimi testi di tre o quattro versi, senza

alcun titolo. Anche l’idea della prosa poetica delle prime due raccolte della

trilogia e di L’amore mio è buonissimo si ritrova in Una quieta polvere, nel

primo testo, Era la casa, dove quattro lunghissimi versi, con numerosi a capo,

occupano dodici righe nell’edizione 2002 e quindici nel 1996. Il solo terzo

“verso” recita:

Ti accarezzava ti strangolava, ti accarezzavano gli archi le volte le lunghe finestre dell’architetto Decker con dentro i monti il giardino l’albero delle noci, ti strangolava la cucina avariata, avvelenata ti strangolavano gil argenti i trucidi testamenti un dio che rinnegava escludeva sacrificava, era la casa più orrenda con piattini avariati per bambini abbandonati e la più gentile con pratoline nuvole fuoco di camino.

6. Fonti e modelli di scrittura

Il titolo della raccolta Una quieta polvere rende omaggio all’amata Emily

Dickinson tramite una piccola variazione alla poesia This Quiet Dust,

riproposto invece in traduzione letterale nel poemetto. Il lungo componimento

della Lamarque cita altri sei versi tratti da altrettanti testi della poetessa

americana: I am alive – I guess-; There’s been a Death, in the Opposite House;

The World – feels Dusty; Because I could not stop for Death-; Between the

form of Life and Life. Il tema di questi componimenti è la morte, protagonista

di Una quieta polvere e tra i temi principali della raccolta:

Poiché non potevo fermarmi per la Morte lei gentilmente si fermò per me quando muoriamo noi non è come quando muoiono gli altri

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si vede l’ultimo oggetto della nostra vita e nient’altro Questa Quieta polvere fu Signori e Signore io non sono morta io sono nata, il 19 aprile 1946.321

Come in Teresino ritornano in questa raccolta i modi di Pascoli e della poetica

del fanciullino che col suo stupore permette al poeta di comporre poesie:

Da sotto il tavolo spiare le monchine che nel camino fanno puntini di esclamazione e di domanda322

Oggi gli Dèi mi hanno mandato un regalino: una castagna lucida di quelle matte ride nel mio giardino.

Inoltre ritorna la levità dell’autrice che riprende i modi di Sandro Penna, autore

anch’esso molto amato e letto che sul piano formale ricerca costantemente

grazia, leggerezza e candore, nonostante la sofferenza provata:

Col punto erba col punto croce diligente si cuciva le labbra faceva il nodo.323

Piove l’amore mio si bagna mette rametti e foglie nel mezzo del giardino cespugli e arbusti spiano l’insolito vicino.324

321 V.L., Una quieta polvere, in Questa quieta polvere, cit., p.73 322 V.L., Le monachine, ivi, p.48 323 V.L, Bambina, ivi, p.20 324 V.L., Piove, ivi, p.52

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Anche la brevità dei componimenti accomuna i due poeti, brevità che

caratterizza la quasi totalità della produzione della Lamarque.

Costante è il riferimento alla propria esperienza personale nella poesia

dell’autrice, così come Giovanni Giudici punta su temi quotidiani e

autobiografici. E ricorda i modi del poeta anche l’ironia, utilizzata per superare

l’amarezza di alcuni momenti della vita:

Di nuovo senza dirmi niente sei andata via madre e non-madre mia.325

Le mie gite apro la finestra e raggiungo l’orto guardo i legumi in fila, raddrizzo un pomodoro storto.326

La poesia di Giudici, oltre che a soffermarsi sul reale evento, tendendo al

mondo psichico del soggetto introduce situazioni oniriche, così come in modo

molto più ampio procede Zanzotto. A una simile dimensione allucinata si più

collegare l’immaginario onirico e confuso del poemetto Questa quieta polvere:

Le acque di una stessa rapida vanno fra mille ostacoli Poi si riuniscono, anche se non subito dimmi: ma tu e l’amore tuo siete di una stessa rapida? sì se no non saremmo una volta confluiti e quando sarebbe non subito? fra mille e ottomila generazioni finché questo ciottolo diventi masso certe volte io credo di assomigliare a qualcuno certe volte io credo di non assomigliare a nessuno io assomiglio a me stessa innamorata dell’amore mio.327

325 V.L., Ictus, ivi, p.30 326 V.L., Orto, ivi, p.54 327 V.L., Questa quieta polvere, ivi, p.66

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Nella maggior parte della raccolta però domina lo stile piano tipico dell’autrice,

nella quale si inseriscono anche rimandi alla dimensione più popolare, come le

preghiere e le ninne nanne, come in Preghiera delle mamme/ che hanno

involontariamente mancato/ nei confronti dei propri figli328, o in Adozione

ninna-oh. Proprio riguardo alla ripresa dei toni fiabeschi si può notare che

se a qualcosa somigliano, queste poesie somigliano un po’ alle fiabe e ai racconti autobiografici incantati e crudeli che Elsa Morante (altro scrittore alle cui origini c’è una contorta vicenda familiare) pubblicava, poco più che adolescente, sul “Corriere dei piccoli”.329

Rossana Dedola, invece, per quanto riguarda l’inserzione di numerosi pezzi

sulla difesa dei diritti degli animali, dei quali l’autrice cerca di prendersi cura,

propone una similitudine con l’Anna Maria Ortese di Popoli Muti e di Bambini

della creazione:

Un paradiso subito per questoa Asinello con mosche a mille intorno agli occhi miti e il mondo intero da trasportare per poter mangiare.330

328 V.L., Preghiera delle mamme, ivi, p.39 329 D.Scarpa, La morte bambina, in “L’indice”, n.9, ottobre 1996 330 V.L., Asinello, in Una quieta polvere, cit., p.114

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CAPITOLO V

POESIE 1972 – 2002 GLI INEDITI

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1. Genesi e storia

Nel 2002, in occasione dei trent’anni di carriera poetica dell’autrice, la casa

editrice Mondadori pubblicò Poesie 1972-2002, opera che la quarta di

copertina definisce raccolta completa delle sue poesie. Le date riportate nel

titolo del libro indicano infatti l’anno della prima pubblicazione su Paragone,

ma nel libro sono riproposte esclusivamente le poesie contenute nelle varie

raccolte poetiche. L’anno 1972, quindi, non indica tanto la volontà di

raccogliere tutte le poesie pubblicate dall’autrice fin dal suo esordio con

Giovanni Raboni, bensì la data cronologicamente più lontana nella quale

furono composte alcune delle liriche inserite nella raccolta Teresino e in Una

quieta polvere.

Raccolta di raccolte poetiche, al quale venne assegnato il Premio Speciale

Camajore nello stesso 2002, il volume continua l’abitudine della Lamarque di

non costruire il libro poetico rispettando l’ordine cronologico delle poesie, ma

piuttosto dando la precedenza all’intento comunicativo. Anche questa edizione

riporta infatti in indice dei numeri tra parentesi che seguono i titoli delle poesie

per indicare l’ordine cronologico di composizione. A livello macroscopico,

l’autrice in quest’opera riepilogativa del suo lavoro, modifica la successione

originale della trilogia psicanalitica, ponendo Il signor d’oro e il signore degli

spaventati uno dopo l’altro e prima di Poesie dando del Lei, cronologicamente

anteriore a l’edizione Pegaso.

Le raccolte proposte in Poesie 1972-2002 sono quindi poste in quest’ordine:

Teresino, Il signore d’oro, Il signore degli spaventati, Poesie dando del Lei e

Una quieta polvere. Novità dell’edizione 2002 è l’inserimento di un gruppo di

testi inediti, inseriti nell’ultima parte del volume, intitolata appunto Inediti,

nella quale sono raccolti il poemetto L’albero e le Poesie dedicate.

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Pubblicata nell’ottobre 2002, l’opera riscosse da subito un grandissimo

successo, esaurendo in poche settimane le settemila copie della prima tiratura.

Si legge sul Corriere della Sera a tal proposito:

Un giorno, al termine di un incontro con gli alunni di una scuola superiore Vivian Lamarque si sentì chiedere da un ragazzo: «Ma che poesie sono le sue? Si capisce tutto». Nell' evidente delusione di quello studente davanti a un' autrice che scardinava tutte le sue idee sulla poesia, almeno su come era abituato a intenderla, c'è probabilmente anche la chiave del successo delle raccolta (Poesie 1972-2002, Mondadori) che Vivian Lamarque ha pubblicato a ottobre e che prima di Natale ha esaurito le settemila copie della tiratura (ora ne sono state ristampate altre cinquemila). Un traguardo importante in un Paese di non lettori di poesia. «Forse ciò che ha colpito di più è proprio quel "capire tutto", la spontaneità, la facilità apparente dei versi, la mia predilezione per la rima baciata che suona come una gentilezza per le orecchie», cerca di spiegare Lamarque. Intorno a questo, più o meno, ruotava anche la motivazione del premio Viareggio, vinto nel 1981. A catturare, però, è probabilmente anche la dolorosa materia autobiografica di cui trattano molte delle poesie […].331

Sei anni intercorrono tra l'ultima raccolta, pubblicata nel 1996, e l’opera omnia

Mondadori del 2002, anni in cui l’autrice continuò le pubblicazioni per

l’infanzia, numerose in questo periodo, ma oltre a ciò, alle contingenze

familiari è collegabile la relativamente lunga pausa editoriale. Anche tra la

prima pubblicazione e Il signore d’oro erano trascorsi cinque anni, ma in

seguito alla terapia analitica l’attività poetica dell’autrice era diventata molto

più fervida, con le successive tre raccolte pubblicate a distanza di pochi anni.

Se dopo Teresino era stato un motivo doloroso a rallentare il lavoro

dell’autrice, in questo caso una delle cause della pausa poetica editoriale può

essere addotta alle novità familiare avenute in quegli anni. Nel giugno del 1996

la figlia Miryam si sposò con Giorgio, sei sei del novantasei332, come recita

una delle poesie inedite scritta per l’occasione, e nel 2000 nacque la nipotina

Micòl, anch’essa ricordata in alcuni degli inediti.

Racconta l’autrice nell’intervista con Silvio Soldini:

Prima del 2000 ho vissuto dando la precedenza soprattutto alla poesia, il mondo non lo vedevo, … mentre da quando nel 2000 sono diventata nonna, ma non è solo la

331 C.Taglietti, Lamarque, i versi leggeri che conquistano il pubblico, in “Corriere della Sera”, 6 febbraio 2003 332 V.Lamarque, Per le nozze di Miryam e Giorgio, in Poesie 1972-2002, Mondadori, Milano 2002, p.240

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nonnità, ho proprio come modificato l’impostazione, per cui do la precedenza … cerco di accontentare chi ha bisogno di me diciamo. Che sia mia madre, che sia mia figlia, che siano i bambini. E’ una scelta che sono contenta di fare […].

Spiega poi sfogliando il quaderno su cui era solita registrare in ordine

cronologico divise per anno, con tanto di data, i titolo di tutte le poesie

composte:

Guarda quando ti dicevo prima che dal 2000 la mia vita è cambiata. 1999 sono ancora registrate. Poi non ho più registrato nulla. Le ho scritte ma non le ho più registrate. Guarda che tutti vuoti.333

2. La struttura

Con piccole modifiche ai testi poetici già precedentemente pubblicati, Poesie

1972-2002 riunisce in un unico volume le raccolte poetiche dal 1981 al 1996,

con l’aggiunta di alcuni testi inediti.

La raccolta si apre con Teresino, esordio poetico della poetessa del 1981 edito

da Guanda, segue la trilogia per l’amato Dottor B.M. con Il signore d’oro,

pubblicato nel 1986 da Crocetti, Il signore degli spaventati edito da Pegaso nel

1992, e Poesie dando del Lei, Garzanti 1989. Chiude la serie di opere già

conosciute la raccolta più recente della Lamarque, Una quieta polvere, già

Mondadori nella prima edizione del 1996. Viene infine proposta la parte

intitolata Inediti, insieme di testi mai pubblicati prima, organizzata al suo

interno in due sezioni: L’albero e Poesie dedicate.

Un unico componimento è proposto nella prima delle due parti inedite, un

lungo poemetto che intitolandosi L’albero dà il nome anche alla sezione. Nei

345 versi di cui si compone la lirica, Vivian prende le distanze dal mondo

contemporaneo, per recuperare quell’unione con la natura che la società della

globalizzazione sembra invece aver ormai perso. Scegliendo di entrare in

333 S.Soldini, Quattro giorni con Vivian, in Gente di Milano, Associazione Locus, Milano 2008

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comunione con l’albero, sente in modo più acuto le sofferenze del mondo e con

esse ritornano l’idea della morte e dello scorrere del tempo. Si inseriscono

nella narrazione le immagini dei defunti cari, primi tra tutti l’amica Daniela e il

padre adottivo Dante, entrambi morti giovani, lei a trentasei anni, lui a

trentaquattro. Ma il tempo scorre molto più veloce per gli uomini, così tra le

braccia dell’albero che sopravviverà per secoli a diverse generazioni di esseri

viventi334 Vivian può contrapporre alla luttuosa realtà la vitalità della nuova

vita che nasce con le nuove generazioni, tra cui c’è la nipotina: morti antenati

guardate i nuovi nati […] guarda Micòl.335

La sezione Poesie dedicate raccoglie trentadue poesie di misura contenuta e,

come già preannuncia il titolo, tutte dedicate a qualcuno. Alla luna e Al nuovo

millennio sono rivolti i primi tre componimenti, l’ultimo dei quali fa eco alla

sezione Fine millennio di Una quieta polvere, seguono sei liriche scritte per

amici e poeti, molti dei quali ormai morti. In occasione della partecipazione al

Festival di Poesia di Mosca nel 1999 l’autrice scrive A Evghenij Solonovitch,

per il traduttore ucraino, mentre al Festival di Ostia Antica propone il brano A

Dario Bellezza, in memoria del poeta, agli amati Emily Dickinson e Sandro

Penna dedica altri due componimenti e poi uno alla poetessa Amelia Rosselli,

morta suicida lo stesso giorno dell’ammirata Sylvia Plath. Nelle sette poesie

successive ritorna l’immagine della natura già introdotta dal poemetto della

prima sezione e dalle poesie alla luna, con componimento scritti per gli alberi,

alle Care Lumachine e agli animali in generale, a cui l’autrice fa succedere altri

sette brani dedicati questa volta alla propria famiglia: per la madre e il padre

adottivi scrive Alla mia mamma dritta come un fuso e Al mio babbo Dante

morto a 34 anni, a Miryam col marito Giorgio dona la poesia Per le nozze di

Miryam e Giorgio, alla figlia dedica anche altri due brani, Alla mia bambina e

A Miryam che suona il clarinetto, infine due liriche concludono il gruppo

familiare celebrando la nascita della nipotina Micòl: A Micòl e A Micòl

rosellina. Seguono tre testi di nuovo dedicati a poeti e amanti della poesia, tra

cui all’amica e poetessa Livia Candiani il primo e A Giorgio Caproni l’ultimo i

334 R.Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, in Poesie 1972-2002, cit., p.XII 335 V.L., L’albero, ivi., p.222

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cui versi, se sul treno ti siedi/ al contrario, con la testa/ girata di là, vedi meno/

la vita che viene, vedi/ meglio la vita che va, preludono alle cinque

composizioni conclusive, dove la Lamarque affronta la tematica della morte,

come è solita concludere le sezioni e le sue raccolte poetiche: Post scriptum:

Le con lei sotterrate poesie non finite speriamo che in aprile diventino delle margherite.

Proponendo l’autrice una numerazione cronologica e non la data esatta di

composizione dei testi pubblicati in Poesie 1972-2002, è comunque possibile

farsi un’idea sull’altezza cronologica di scrittura, basandosi sull’informazione

più precisa fornita nella cronologia di Una quieta polvere edita nel 1996. In

tale raccolta la poesia di più recente composizione è Dediche senza poesie

composta nei primi mesi del 1996, essendo stata pubblicata nel libro uscito nel

marzo dello stesso anno. Nella cronologia numerica proposta nel 2002,

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Dediche senza poesie porta il n.1373, mentre nell’opera omnia, quasi tutti i

testi hanno cifre superiori al 1400 o al 1500. I due testi più datati risultano così

essere A C.V. che aiuta i poeti, n.1395, e A Dario Bellezza, n.1355, che,

composto in occasione dell’edizione 1996 del Festival dei Poeti di Ostia

Antica, commemora la recente morte dell’amico poeta, morto il 31 marzo del

1996. Seguendo lo stesso criterio, tra i testi con la numerazione più alta

risultano il poemetto L’albero, n.1551 e alcune poesie dedicate ai familiari, tra

cui quelle per Micòl: A Micòl 1553, A Micòl rosellina, n.1599. La prima di

queste poesie recita Buongiorno vita, vita/ nuova nata facendo

ragionevolmente supporre che il testo sia stato scritto in occasione della nascita

della nipotina, quindi nel 2000. E’ di conseguenza probabile che anche il

poemetto L’albero risalga a questo periodo compositivo.

2.1 Dedica

E’ abitudine di Vivan Lamarque dedicare i suoi libri a persone care, e

soprattutto con Una quieta polvere tale tradizione era stata amplificata,

indicando un destinatario per ogni sezione poetica dell’opera e per molte delle

poesie proposte. Nel 2002 l’autrice trasforma la dedica in titolo di sezione,

Poesie dedicate, dove la maggior parte dei brani sono introdotti dalla

preposizione a seguita dal nome del destinatario. Si distinguono in quanto

varianti i titoli Care lumachine, Caro papa e Cara terra, oltre che i due

componimenti Per Amelia Rosselli e Per le nozze di Miryam e Giorgio che

propongono comunque i nomi delle persone che hanno ispirato la scrittura

poetica. La poesia “Give the one in red cravat/ a memorial crumb” propone

invece come sottotitolo il nome Emily Dickinson, autrice dei versi citati e

dedicataria della lirica. Vera propria eccezione è solamente la poesia che

chiude la raccolta, intitolata Post Scriptum, modalità questa anch’essa già

proposta dalla Lamarque nelle precedenti raccolte, che in questo caso introduce

non una poesia dedicata, bensì un’apostrofe al lettore, o semplicemente un

desiderio che l’autrice svela.

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La sezione L’albero ha un dedicatario particolare, riproponendo il v.5 di Dei

Sepolcri di Foscolo preceduto dalla preposizione: alla “bella d’erbe famiglia e

d’animali” . Di morte parla il verso foscoliano inserito nel suo contesto

originale: Ove più il Sole/ per me alla terra non fecondi questa/ bella d'erbe

famiglia e d'animali, ricollegandosi così a una delle tematiche principali

cantate nel poemetto. Ma se letto da solo, come l’autrice ce lo propone, il verso

non è che una dedica alle erbe e agli animali, ossia alla natura, altro tema

fondamentale in L’albero, come già il titolo suggerisce. Con il verso tratto

dall’opera cimiteriale foscoliana, la Lamarque riesce così a proporre al lettore

oltre che una dedica, anche una sintetica e abbastanza esplicita introduzione al

proprio poemetto.

A mia madre/ per il suo novantesimo compleanno, recita invece la dedica

all’intera opera Poesie 1972-2002. Mentre per la dedica a mia Madre della

raccolta Poesie dando del Lei poteva nascere il dubbio su quale tra le due

madri, naturale o adottiva, fosse il reale destinatario, in questo caso il problema

non sussite, essendo la prima madre ormai defunta, come racconta la poesia

Ictus di Una quieta polvere. La dedicataria di tutta la produzione poetica di

Vivan Lamarque è quindi l’amata e ormai anziana mamma Rosy, di cui la

figlia aveva già cantato gli ottant’anni nel 1996, hai solo otto anni/ l’”anta” lo

buttiamo via336, e che ora in L’albero, Vivian nomina pochi versi dopo l’amato

padre Dante, morto invece a soli trentaquattro anni: si chiamava Dante come

Dante che bel nome/ padre mio ti chiama sempre la tua bella Rosy sai.

336 V.L., Mamma, in Una quieta polvere, cit., p.32

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2.2 L’introduzione

La raccolta Poesie 1972-2002 è introdotta dal saggio Dalla poesia innamorata

all’elegia dell’albero di Rossana Dedola, ricercatrice alla Scuola Normale di

Pisa, training analyst e docente presso l’International School of Analytical

Psychology di Zurigo337. La studiosa, propone una rapida ma accurata

presentazione e analisi delle singole opere di cui si compone il volume, che in

una recensione è detto prefato con oculatezza338.

La presentazione delle raccolte segue l’ordine con cui sono proposte

nell’edizione, dedicando così la prima parte alla descrizione tematica e

strutturale di Teresino, con la riproposizione dell’interpretazione psicologica

delle varie sezioni autobiografiche presentata da Vilma de Gasperin in un

convegno del 2001339. Alla trilogia per il Dottor B.M. la Dedola aveva già

dedicato uno studio nel 1991340, limitatamente alle due opere allora pubblicate:

Il signore d’oro e Poesie dando del Lei. Nell’introduzione all’edizione 2002, la

ricercatrice riprende alcune idee già proposte nel precedente saggio, come il

paragone del ciclo psicanalitico della Lamarque con Il piccolo Berto di

Umberto Saba, dedicato però all’analisi freudiana grazie alla quale rielabora il

ricordo rimosso dell’amata balia. Dopo aver concluso il discorso sul transfert

proposto dalla trilogia con la testimonianza del suo superamento nella sezione

Poesie dando del Lei (altre) del 1996, il discorso verte sulla raccolta Una

quieta polvere, dedicando gran parte del testo critico alla trattazione della lirica

Questa quieta polvere e alle citazioni di cui si compone, mostrando quanto il

tema della morte sia rilevante per il testo e quale sia l’influenza esercitata dalla

Dickinson. Sottolinea inoltre l’innovazione tematica della raccolta,

paragonando il desiderio della Lamarque di prendersi cura dei più deboli in

modo rispettoso e riconoscendone la dignità al sentimento espresso da Anna

337 http://www.rossanadedola.com 338 F.Portinari, La vita è una favola se la racconti in versi, in “L’unità”, 11 gennaio 2003 339 V.De Gasperin, intervento al convegno Poetry in Italy in the 60s and 70s, Londra, 12 ottobre 2001 340 R.Dedola, La poesia del transfert: la poesia innamorata di Vivian Lamarque, in “Studi novecenteschi”, n.41, giugno 1991

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Maria Ortese in In sonno e in veglia. Una chiara e relativamente lunga

trattazione critica è infine dedicata al poemetto inedito, L’albero, proponendo

questa volta un’analogia con il comportamento di Cosimo di Rondò, Il barone

rampante di Italo Calvino.

Segue al saggio della Dedola una breve Nota biografica, che sintetizza in pochi

punti la biografia di Vivian Lamarque, senza però tralasciare curiosità come le

prime due poesie composte dall’autrice, La signora M. buona e La signora M.

cattiva, entrambe scritte a dieci anni in seguito alla scoperta di essere stata

adottata.

3. I contenuti

3.1 La famiglia e gli affetti

Come nelle precedenti raccolte poetiche, anche negli Inediti la Lamarque

propone una serie di poesie dedicate agli affetti più cari.

Il nome della nipotina Micòl ritorna più volte nel poemetto L’Albero, come

immagine di vita nuova e gioiosa, che si contrappone alla realtà di morte delle

generazioni precedenti:

nascevano neonati color di certi mattini leggermente rosati come la nuova nuova Micòl […] Micòl guarda Micòl […] rosellina di quelle di bosco colombella Micol […] rosa come di bosco rosellina rosa ride la bambina nuova Micòl.

Nella seconda sezione delle poesie inedite pubblicate nel 2002, l’autrice

ripropone un testo dove al nome della nipotina è di nuovo accostata l’immagine

della piccola e delicata rosa, A Micòl rosellina, la quale con la bellezza e la

gioa della nuova vita che emana mi profumava tutta l’aria/ intorno[…]. Alla

neonata nipote è dedicata un’altra poesia, A Micòl, nella quale la nonna

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poetessa celebra l’ingresso del mondo di una nuova e speciale vita con

accoglienti e gioiosi versi: Buongiorno vita, vita/ nuova nata. Il latte/ è pronto

e un padre e quasi/ tutto il resto. Si introduce così anche l’immagine della

famiglia che si preprara ada accogliere con gioia e soprattutto amore la

bambina, attesa anche dal padre, non come in Caro Babbo (I), […] che ti

chiamavi E. […] che quando ti ho detto/ scusi mi hanno detto/ che lei è mio

padre/ hai fatto un salto indietro.341 E’ Giorgio il papà di Micòl, che in

L’albero viene inserito tra i nomi de i gentili che Vivian aveva incontrato nella

sua vita, accanto ai nomi del caro analista B.M. e del marito Paolo, e ricordato

nella poesia che l’autrice compone in occasione del matrimonio con Miryam:

Per le nozze di Miryam e Giorgio. L’amata figlia, Miryam figlia diventata

madre342, è ancora chiamata bambina nella poesia che ne canta la bellezza,

paragonandola a un bianco cigno343, mentre invece nel secondo testo a lei

dedicato è descritta mentre suona il clarinetto, con Micòl che guarda la madre,

unendo in un unico verso le tre generazioni, Vivian, Miryam e Micòl, una

accanto all’altra: tieni tonde per l’eternità le guance/ della figlia, e della figlia

della figlia che soffia come la mamma, inserendo infine nel felice quadretto

familiare anche Giorgio, nei modi della nipotina che ride come il papà. Ai

propri genitori adottivi la Lamarque dedica gli altri due componimenti sulla

famiglia di Poesie dedicate. Alla mia mamma dritta come un fuso è intitolata la

lirica per la mamma il cui nome Rosy, con un gioco di parole, trasforma in

quello di una rosa con la lettera maiuscola, come una Rosa dal lungo / lungo

stelo. L’anziana madre, che nella dedica a Poesie 1972-2002 è detta

novantenne, è descritta mentre affronta la vita con coraggio, nonostante le

spine della vita l’abbiano ferita. Una delle ferite che Vivian condivide con lei è

raccontata nel brano successivo a questo per la madre, Al mio babbo Dante

morto a 34 anni, ricordato anche in L’albero di nuovo accostato all’immagine

e al nome della moglie:

341 V.L., Babbi, in Una quieta polvere, cit., p.18 342 V.L, L’Albero, in Poesie 1972-2002, cit., p.223 343 V.L, Alla mia bambina, ivi., p.240

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erano belli molto specie uno giovane e biondo come il sole il più bello di tutti i morti tutti e si chiamava Dante come Dante che bel nome padre mio ti chiama sempre la tua bella Rosy […].

Un altro nome caro, ma di un’amica, si legge nel poemetto, figura già nota al

lettore, essendo stata introdotta con le due poesie344 intitolate a suo nome nella

sezione Come fiori di Una quieta polvere, Daniela De Vita: una giovane/

giovane la riconosceva: De Vita! Daniela! Oh quanto/ bianca ma anche in vita

i suoi bei riccioli neri luccivano […]345. Ad altri amici poeti ormai defunti sono

dedicate alcune poesie della seconda sezione. In A Sandro Penna l’autrice

ricorda anche il nome di Elio Pecora, biografo del poeta scomparso, mentre in

A Dario Bellezza ricordando l’edizione precedente del festival poetico a cui

aveva partecipato anche il poeta, nomina anche Giuliani, Pagliari , Claudio

Damiani, gli organizzatori Simone Carella e Franco Cordelli e poi Zeichen. In

Per Amelia Rosselli i primi versi recitano: Amelia, da vive/ non eravamo

amiche, tantomeno/ nemiche e la poetessa è ricordata insieme alla traduttrice

Emmanuela Tandello e alla poetessa Sara Zanghi, oltre che con altre amiche di

cui la Lamarque propone i nomi in elenco: Mimma, Daniela, Maria Clelia; una

poesia è dedicata anche a un altro poeta, Giorgio Caproni.

Amici vivi e ricordati in momenti vissuti insieme sono Evghenij Solonovitch, a

cui è dedicata Cartina muta, brano composto a Mosca, nel 1999 in occasione

del Festival di Poesia, il professor Costantino M., che in Al prof. Costantino M.

lo si scopre primario dell’ospedale S.Gerardo, e poi C.V. che aiuta i poeti, che

anticipatamente ha cambiato/ di piano di marciapiede di stanza/ lo meritara

ma intanto/ a me manca conclude Vivian esprimentogli così il suo affetto. A

due donne sono dedicati infine due poesie che di poesia parlano: A Daniela

Caminada (che ci legge tanto) è un brevissimo prontuario di poesia,

è quasi facile fare una poesia basta prendere un pezzetto di carta e matita, è come per la terra fare un filo d’erba

344 V.L., A D. morta a 36 anni, in Una quieta polvere, cit., p.124; V.L., Cara Daniela, ivi, p.125 345 V.L. L’albero, in Poesie 1972-2002, cit., p.218

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una margherita,

mentre all’amica e poetessa Livia Candiani Vivian chiede: infanzia età

felice?346 riproponendo una delle tematiche care alla poesia di entrambe.

3.2 La natura

Nel 1996 la Lamarque aveva dedicato ai poveri che ci circondano la sezione

Fine Millennio, inserendo tra i suoi componimenti alcuni brani dedicati agli

animali e alla natura sofferente a causa della disattenzione dell’uomo, tale

tematica è riproposta di nuovo negli Inediti del 2002.

Quando i Gesuiti parlano/ gli animali piangono./ Ma per non disturbare/

piange senza lacrime/ il regno animale347 denuncia la Lamarque aggiungendo

alla poesia la nota: ai gesuiti dopo una loro ennesima dura dichiarazione

contro il regno animale. Anche al Papa si rivolge Vivian, cercando di chiedere

aiuto per gli anima-li santi/ dall’uomo martirizzati, concludendo con un’amara

constatazione conseguente al silenzio che le sembra la Chiesa abbia rispetto a

queste tematiche: e San Francesco è morto/ cum tucte le sue creature348. Le

urla provenienti da un macello dove si sta uccidendo un maialino vestito di

rosa, che ha gli occhi […] pieni di pianto/ come un bambino, sono raccontate

in Alla bambina Carla (che scalava due colline per non sentirli gridare).

Tristemente Vivian è di nuovo costretta a constatare l’indifferenta della

maggior parte delle persone alla sofferenza degli animali: tremano i sassi/ a

sentire gridare/ non trema l’uomo/ non sa tremare. Anche l’asinello del

poemetto ragliava […] disperato perché finita era/ la paglia del mondo, e

sempre in L’albero si racconta di un’altra violenza degli uomini contro

l’indifesa natura: gli uomini salivano ingabbiavano/ erano i diavoli dei rami

falchi di colombe artigli inoltre/ pettirossi in agonia nelle trappole ho visto

alla tv, in un agghiacciante servizio televisivo, come spiega nella nota, gli

346 V.L., A Livia Candiani, ivi., p.242 347 V.L., Ai Gesuiti, ivi., p.237 348 V.L., Caro Papa, ivi., p.238

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uccellini catturati con questa tecnica vengono poi venduti ai ristoranti per

polenta e osèi. Se l’uomo non si occupa della natura, allora lei stessa

provvederà a se stessa, sembra di leggere tra le righe del poemetto, quando in

modo materno e affettuoso della prima sezione degli Inediti si prende cura del

pettirosso ucciso dalle trappole degli uomini: l’albero/ lo avvolse in una foglia

sua se lo portò lassù cullandolo e cantandogli una ninna-nanna in due spezzato

lo ricomponeva/ sotto la luna lo cuciva lo cantava/ ninna-nanna […]. Proprio

ai piedi del grande albero, che all’inizio del componimento accoglie tra i suoi

rami anche Vivian,

la vita terrestre si manifesta nelle sue forme più minute, si muovono animali piccoli e umili: le rane simbolo del femminile creatore, i rospi delle fiabe con la loro straordinaria forza di trasformazione, le ctonie, scattanti lucertole, capaci allo stesso tempo di aderire alla terra per farsi scaldare dal sole,349

che l’autrice rappresenta nell’unione familiare: una famiglia di lucertola

scalava/ il tronco madre padre due figli/ una quaternità350. L’unione con la

natura che Vivian celebra salita sull’albero, dà il via al poemetto con la

descrizione di un immaginato matrimonio tra lei e la natura, tramite appunto

l’unione con l’albero: ma se ti sposava, cerimonia/ sopra un ramo e sopra i

rami/ cielo e dentro il cielo luna […]. Anche in Poesie dedicate l’autrice

racconta del suo amore e della sua attenzione per gli animali e la natura, in

“Give the one in red cravat/ a memorial crumb” dando briciole non solo ai

pettirossi, come cantava Emily Dickinson, ma a tutti gli uccellini che si posano

sul tetto a triangolo di Rocco e Magda, mentre in Care lumachine ricorda della

volta in cui con l’amico Alberto Casiraghy avevano comprato per lire

quarantamila le povere lumachine impacchettate destinate a qualche ristorante

o cucina, che invece loro avevano di corsa/ in un bosco liberate. Stessa sorte

delle lumache sembra toccherà alla gallina spaventata cantata in A una

gallinella, il cui sottotitolo recita: insalata di pollo, rivelandosi però solo un

gioco di parole perché se la prima operazione è prendere con delicatezza una

gallinella/ viva naturalmente l’ultima è offrirle l’insalata, preparata quindi per

349 R.Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, in Poesie 1972-2002, cit., p. XII 350 V.L., L’albero, in Poesie 1972-2002, cit., p.218

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(e non con) il pollo: la vuoi una fogliolina di insalata? In A un albero

meraviglioso invece Vivan descrive l’abitudine che molti hanno di buttare

rifiuti dai finestrini, inquinando i prati e gli alberi lungo le strade e le ferrovie:

dal treno qualcuno/ ti ha tirato un sacchetto/ di plastica viola/ che te lo tieni lì stupito/ sulla mano del ramo/ come per dire/ cos’è questo fiore strano/ speriamo che il vento se lo porti lontano.

In alcune poesie, però, la Lamarque scrive della natura in tutt’altro modo,

evocandone la bellezza, cantata in Luna I e in Luna II, ma soprattutto la

grandezza e la saggezza, dovuta alla sua vita, molto più lunga di quella degli

uomini, come nel caso dell’albero cantato in L’albero, che Rossana Dedola

chiama albero della vita, che sopravviverà per secoli a diverse generazioni di

esseri viventi e che per questo non vive con l’euforia degli umani per aver

assistito all’inizio del nuovo millennio, come si legge in Al nuovo millennio:

[…] millennio cominciato. L’ho detto a un Filo d’Erba sapiente grande saggio del prato. Strano, non sapeva niente né si è meravigliato. Ha detto ah sì? fine millennio? grazie, lo dirò al mio prato.

3.3 La morte e lo scorrere del tempo

La sezione Poesie dedicate si conclude come molte delle raccolte della

Lamarque, proponendo alcuni testi che trattano della morte. In questo caso, le

quattro poesie che affrontano tale tematica concludono un percorso già segnato

da numerosi componimenti dedicati a persone defunte, riflettendo quindi

spesso sull’argomento. Il primo riferimento è in una poesia dedicata a un amico

vivo, A Evghenij Solonovitch, quando, per associazione di idee, raccontando di

quando a scuola il professore interrogava chiedendo di individuare le città o i

fiumi sulla cartina muta, Vivian si ricorda della compagna Daniela, purtoppo

morta a trentasei anni:

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Non ti preoccupare mi diceva la mia compagna di banco Daniela che di cognome si chiamava De Vita, ma che è stata la prima di tutte a lasciarla, muta, la vita.

L’immagine della morte è ricollegata all’idea del silenzio anche nella prima

delle poesie che chiudono la sezione, Ai nostri nomi, nella quale il mondo dei

morti è descritto proprio come silenzioso/ mondo addormentato/ dove nessuno

chiama/ né è chiamato, come l’autrice scrive in L’albero: l’eternità li

snominava non li chiamava/ credo nessuno là va bene vi chiamo io. L’idea che

con la morte si possa dimenticare il proprio nome e quindi anche la propria

passata vita assilla Vivian, che chiede:

ma non ci sentono le orecchie? Non vedono gli occhi là nell’aldilà?[…] siamo qui tra foglie e ramo ricordi i nomi foglie? ramo? ricordi il nome tuo? L’aldiqua? Ma la polvere già perdeva la sua forma solo il vento l’aveva smossa un po’,

conclusione amara che sembra confermare la paura di perdere ogni ricordo,

persino il proprio nome. A questo riguardo con chiarezza scrive nella prima

parte di Ai nostri nomi: verso la sera della vita/ nomi e cognomi li

dimentichiamo/ per esercitaci a quel silenzioso/ mondo, e in A Dario Bellezza,

l’autrice si commuove per un Nome e per il Tempo e per/ la Morte, per il

tempo che per mano ti conduce alla morte. Si introduce così l’idea dello

scorrere ineluttabile del tempo, che nei componimenti della Lamarque spesso

accompagna il tema della morte. In A Giorgio Caproni Vivan escogita un

piccolo escamotage, per fingere che nulla sia successo, che il tempo non sia

passato, che la morte non sia sempre più vicina: Se sul treno ti siedi/ al

contrario, con la testa/ girata di là, vedi meno/ la vita che viene, vedi/ meglio

la vita che va. Angosciata dalla morte, Vivan in L’albero insistentemente

chiede

quanti passi posso fare sentiamo duemila? mille? cinquecento? ancora meno?

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eh no! quante/ stellate? albe quante? quanti mattini con aprire gli occhi? quanti cieli in tutto? totale ore?

Queste e altre domande pone all’albero, che sopravvivendo per secoli, a

generazioni e generazioni di uomini, imprime una nuova qualità alle domande

di Vivian, che non si perdono, non finiscono nel nulla, inascoltate, ma

riecheggiano tra i rami carichi di vita, di nidi pieni di uova che si aprono alla

vita futura351. L’albero della vita è però anche l’albero della morte, un pioppo,

come spiega l’epigrafe che introduce l’unione immaginata con la pianta: se eri

un pioppo/ ti sposavo ti salivo/ fin lassù, foglie/ su foglie avremmo messo:/

basta non parliamone più. Il pioppo è una pianta simbolicamente collegata

all’idea della morte, e che fin dai primi versi del poemetto appare legato agli

Inferi, al dolore, al sacrificio e alle lacrime352: dietro/ la luna ombre di morti

in storta fila/ morti! morti! li chiamava/ sono abbastanza vicino/ sono qui!

Sottolinea la Dedola come il pioppo sia un albero funerario che nelle sue

stesse foglie, bianche da un lato, scure dall’altro, mostra la propria vicinanza

al mondo dei morti. Nel poemetto continuamente quindi il mondo della vita e il

mondo della morte si incontrano come quando Vivian mostra alle ormai

passate generazioni la nuova vita, impersonata dalla nipotina,

nascevano neonati color di certi mattini leggermente rosati come la nuova nuova Micòl morti antenati guardate i nuovi nati siete anche loro no? Stesse forme colori stessi nomi Micòl guarda Micòl,

o quando descrivendo la vita dei piccoli animali intorno alla grande piante

descrive una famiglia di lucertole, intente a salire lungo il tronco de L’albero,

come a indicare che la vita coincide col percorso, che poi giunge alla fine, alla

morte, o meglio, all’Eternità: c’erano la vita e la morte la strada/ il percorso

da qui a là. Ma l’albero non risponde alla domanda di Vivan, non spiega come

sarà dopo la vita, come sarà quell’ultimo esame che sono stati capaci tutti di

superare, come si legge nella sezione Poesie dedicate: (magari essere

351 R.Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, in Poesie 1972-2002, cit., p. XIII 352 Ibidem

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rimandati sfuggire!)/ capaci tutti proprio tutti, di morire.353 Vivian prova così

a porgere la domanda ai morti del poemetto,

morti ma come vi hanno messi? divisi per millennio? per secolo? per causa di decesso? per precocità? o siete tutti in disordine come stracci là? o siete polvere quieta come di mobili? siete grigi? o d’argento? siete una polvere bella, sì?

chiede insistentemente Vivian, citando la polvere di Emily Dickinson, This

quiet Dust, come nel 1996. E ancora scrive sabbia fina fina! polvere! morti!/ lo

chiamava implorava/ la loro polverità ma nessuno racconta nulla di

quell’aldilà che a tutti spetta. Così Vivian propone la sua idea di aldilà, di

quella futura seconda vita con la terra/ addosso come un’innamorato

esagerato/ appiccicoso che non ti lascia più, diventeremo fiori e erba,

rinasceremo natura e la terra sarà nostra futura/ copertina gentile354. Spiega in

Alle pratoline:

fioriremo fioriremo nella gentile terra fioriremo tutti tutte ogni mattina, io spero alle sette, di fiorire pratolina,

così anche nella poesie A Dario Bellezza conclude immaginando che forse il

poeta è ancora lì con loro, solo in altra forma: guardate quel pino che poco si è

mosso eppure non c’è un filo di vento che sia Dario? In L’albero Vivan spiega

ulterioremente il passaggio sequenziale della trasformazione da morto a vivo

che si compie nella natura:

guarda da una morta è spuntata una margherita allora era lei quella margherita? era diventata bella così? l’erba erano i morti? erano diventati fili belli così?,

353 V.L., All’ultimo esame, in Poesie 1972-2002, cit., p.243 354 V.L., Cara terra, ivi., p.243

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destino finale che la poetessa si augura anche per le sue poesie in Post

Scriptum: Le di lei sotterrate/ poesie non finite/ speriamo che in aprile

diventino/ delle margherite. Proprio di questa immagine di vita dopo la morte,

spiega Vivan Lamarque nell’intervista a Silvio Soldini:

Li sento nella natura. Quando sono andata sulla tomba di Emily Dickinson, c’erano… sono stata lì anche varie ora ad aspettare che arrivassero o degli insetti di cui lei parlava sempre, o cercavo i fiori di cui lei parlava. Lo sento molto nella natura, perché c’è questo riciclo, questo riciclo continuo, questo… negli alberi.355

4. Narratore e destinatari

Un commento a Poesie 1972-2002 pubblicato su “L’Unità” nota:

Se poi dovessi indicare il segno di riconoscimento di questa anomala autobiograficità non potrei sottrarmi al ripetere quello più consueto e in qualche modo speculare […] , la tonalità e la struttura fiabesca, che trova lei, seppure non sempre dichiaratamente, al centro come protagonista.

La parte conclusiva del volume, Inediti, non fa eccezione a questa scelta

narrativa: è sempre Vivian protagonista e voce narrante, più o meno scoperta,

della sua poesia.

Tutto il poemetto L’albero è costruito sull’enunciazione ipotetica proposta nei

cinque versi di cui si compone l’epigrafe, che, introducendo il testo con Se eri

un pioppo e concludendosi con la preterizione, basta non parliamone più, dà

invece il via a un lungo e immaginato racconto della sognata unione con lui.

Protagonisti della vicenda sono il secolare albero e Vivian, stanca della

sofferenza della terra, e dell’indifferenza del cielo alle sue richieste di aiuto:

Da questa “altezza nuova”, l’autrice si rivolge verso il basso, più che per scoprire qualcosa per coprire una mancanza, l’assenza del cielo, e sostituire a quelli ciechi del cielo altri occhi che vedano il dolore della terra, “se il cielo non ci guarda facciamocelo da noi il cielo”, […] E anche i morti mandino un loro sguardo ai nuovi

355 S.Soldini, Quattro giorni con Vivian, in Gente di Milano, cit.

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nati (“Micòl guarda Micòl”): la bellezza, la beltà del mondo ha bisogna della corrispondenza per tendere al futuro.356

Questa continua ricerca di un riscontro, di qualcuno che ascolti e venga

incontro agli altri si risolve infine nella figura dell’albero, unico ad essersi

dimostrata accogliente nei confronti di Vivian e degli altri, fin dall’inizio, come

quando l’albero abbraccia nel sonno la voce poetante e il canto notturno da

cui emergono gli interrogativi di fondo […] sulla morte.357 E’ la stessa Vivan a

raccontare in terza persona tutta la vicenda immaginata, rivolgendosi all’albero

con la seconda persona singolare: ma se ti sposava […].

Non utilizzando la punteggiatura, l’autrice non distingue tra discorso diretto e

indiretto, così nel testo si susseguono dialoghi riportati cambiando

continuamente il soggetto parlante: morti! morti! li chiamava/ sono abbastanza

vicino, diceva l’albero, essendo l’aggettivo al maschile ed essendo sempre lui

poco dopo a dire a Vivian di dormire: l’albero/ le diceva ssss dai dormi. Molti

dei discorsi diretti riportati sono però pronunciati dalla stessa Vivian, in quanto

protagonista del poemetto, come quando si rivolge ai morti, morti ma come vi

hanno messi?, o alla terra, prendilo allora tu terra con carezze, o all’alba per

chiedere di far tornare il padre morto, chiamalo tu alba spicciati di’ Dante.

Anche quando all’albero non si rivolge direttamente, lui è sempre presente,

principale interlocutore della protagonista, del quale la voce narrate propone le

reazioni, gli atteggiamenti, ma mai nel poemetto si legge un discorso diretto nel

quale l’albero si rivolga a Vivian. Rideva/ l’albero con lei delle sue parole ssss

le diceva/ impara dalla mute foglie, e l’unione immaginata col matrimonio

iniziale e la scelta di salire sull’albero si realizza nella storia raccontata dal

narratore nell’ultimo verso, dove finalmente il discorso riportato utilizza la

prima persona plurale: dormiamo un po’.

Direttamente Vivian si rivolge ai destinatari di molti dei testi di Poesie

dedicate. Come in L’albero, anche in questi componimenti il discorso è rivolto

a una seconda persona, ma a differenza del poemetto, la voce narrante parla

356 R.Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, in Poesie 1972-2002, cit., p. XII 357 Ibidem

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quasi sempre dicendo io, enfatizzando la realtà del rapporto vissuto con la

persona a cui ci si rivolge nei componimenti. In A Livia Candiani Vivian parla

in prima persona all’amica, così come in A Sandro Penna, rivolgendosi

all’amico poeta, scrive:

In cerca per affetto con te di affinità le trovavo sì ma rovesciate: tu le finestre sempre chiuse buie, io sempre spalancate tu innamorato di fanciulli sull’erba io dell’erba, tu di colorate medicine io di colorate caramelle e delle tue rime belle […] caro Pennino.

L’autrice enfatizza il proprio rivolgersi al destinatario, pronunciandone spesso

il nome all’inizio del componimento: Cari poeti romani358 dice la voce

narrante e protagonista Vivian mentre racconta dell’ultimo incontro con Dario

Bellezza, come Caro albero avvia il discorso con la pianta in A un albero

meraviglioso, e Care lumachine il ricordo della loro liberazione. Con i nomi di

due poetesse si aprono i componimenti a loro dedicati: Amelia si legge come

prima parola del primo verso di Per Amelia Rosselli e Emily in “Give the one

in red cravat/ a memorial crumb” rivolgendosi poi direttamente a loro nei

brani poetici. Eccezione potrebbe apparire il Lei utilizzato in A C.V. che aiuta i

poeti, ma leggendo meglio il testo si scopre una consonanza con le modalità

narrative di Poesie dando del Lei, dove utilizzando la forma di cortesia alla

terza persona, Vivan si rivolgeva direttamente all’interlocutore, il Dottor B.M.

La sezione Poesie dedicate oltre al discorso diretto, propone un’altra modalità

narrativa nella quale però non cambia la voce narrante, che rimane appunto

Vivian. Anche nella parte dedicata agli affetti familiari l’autrice utilizza la

modalità dialogica, come in Al mio babbo Dante morto a 34 anni dove si

rivolge direttamente a lui dicendo sembravi lontano dalla morte miglia/ e

miglia, o in Per le nozze di Miryam e Giorgio dove si inserisce anche un

frammento di dialogo tra la madre e la figlia, “E se piove mamma?” Se piove

figlia se fili dal cielo/ scenderanno se nuvole grigie/ vi avvolgeranno fa niente,

358 V.L., A Dario Bellezza, in Poesie 1972-2002, cit., pp.234-235

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dove tra l’altro visibilissima è la coincidenza tra voce narrante e Vivian,

utilizzando l’autrice le virgolette solo per riportare le parole di Miryam.

A questo modo narrativo si accosta però uno più impersonale, nel quale la

persona cantata non coincide con l’interlocutore, a cui di conseguenza Vivian

non si rivolge direttamente: la mia bambina ha un lungo collo/ come i bianchi

cigni […] e la chiamo ki/ki come bianco cigno, scrive in Alla mia bambina,

così anche parlando della madre in Alla mia mamma dritta come un fuso non si

instaura con lei un dialogo, la voce narrante si limita ad fare una descrizione

del dedicatario, utilizzando quindi la terza persona, le spine della vita l’hanno

ferita, ma lei cammina/ dritta elegante intemerata e lo stesso modo narrativo è

adottato in A Micòl rosellina, accostando di nuovo alla prima persona di Vivian

la terza della persona amata di cui racconta.

La prima persona plurale che apre la sezione, Oh essere anche noi la luna di

qualcuno!359, ritorna nella parte conclusiva dela sezione, coi componimenti

sulla morte. Tale tematica, non coinvolgendo più unicamente la realtà

biografica dell’autrice, bensì tutta l’umanità, permette alla voce narrante di

comprendere nel suo discorso in prima persona anche gli altri, compreso il

lettore. Già il titolo Ai nostri nomi introduce tale dimensione narrativa, che

continua in Alle partoline nei versi fioriremo fioriremo/ nella gentile terra

fioriremo tutti, mentre in Cara terra la scelta del noi si unisce al discorso

diretto della voce narrante con un tu: Cara terra, nostra futura/ copertina[…]

ci dirai per sempre/ buonanotte.

Ritorna invece il narratore in terza persona di L’albero nell’ultimo brano di

Poesie dedicate, Post Scriptum, nel quale la voce narrante si separa dal

personaggio Vivian per parlare di lei e delle sue poesie:

Le con lei sotterrate poesie non finite speriamo che in aprile diventino delle margherite.

359 V.L., Alla luna I, in Poesie 1972-2002, cit., p.231

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5. La forma dei testi

Le Poesie dedicate proposte nell’edizione 2002 riprendono la varietà che aveva

caratterizzato Una quieta polvere, proponendo metri di diverse estensioni. Tra i

testi più brevi della sezione sono da annoverare i due brani dedicati alla luna

che aprono la sezione, così come i conclusivi dedicati alla morte e i tre che

precedono questo gruppo: A Livia Candiani, A Daniela Caminada e A Giorgio

Caproni, tutti composti da cinque brevi versi. Nel corpo della sezione, invece,

si contrappongono testi brevi a componimenti più consistenti, a volte

organizzati anche in strofe. Dopo l’introduzione coi due brani alla luna,

l’autrice propone tre poesie di media lunghezza, Al nuovo millennio, Al prof.

Costantino M., A C.V. che aiuta i poeti, ai quali invece segue A Evghenij

Solonovitch/ (cartina muta) coi suoi venti versi, la maggior parte dei quali

superano di molto l’estenzione dell’endecasillabo, con l’eccezione dell’utimo,

nel quale risuona il breve ma significativo sintagma la vita. Ritorna con la

poesia dedicata alla Dickinson la misura media, che è subito sostituita dai testi

più lunghi della sezione: A Sandro Penna, A Dario Bellezza e Per Amelia

Rosselli. Il componimento dedicato a Penna è diviso in due strofe, la seconda

delle quali propone versi molto lunghi riprendendo il modello de L’amore mio

è buonissimo o de Il signore d’oro e Il signore degli spaventati. Allo stesso

modo un poesia definibile più come prosa poetica che come vero e proprio

verso è il modello perseguito in tutto il testo dedicato a Bellezza, composto da

cinque strofe. La misura metrica si ridimensione in Per Amelia Rosselli dove

però si accentua la differenza tra i vari versi, che vanno dalle quattro sillabe del

v.14 alle quindici del v.10, varietas mantenuta anche nel contrasto tra le due

strofe, la prima di quattordici versi, mentre l’altra composta da un unico

distico.

Gli altri brani della raccolta sono caratterizzati da una lunghezza media, ma

molto variegata: testi con versi molto brevi compongono A un albero

meraviglioso e Alla bambina Carla, di modo che i testi risultino assimilabili

alle tre poesie più lunghe della sezione, insieme coi dodici versi di A Miryam.

Ritorna invece il metro breve caro alla Lamarque negli altri componimenti, il

più sintetico dei quali è di soli tre versi: Al mio babbo Dante morto a 34 anni.

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Diametralmente opposta è la situazione che si presenta nella prima sezione

degli Inediti, formata da un’unica lunga poesia, un poemetto di 345 versi

organizzati in novanta strofe, per la lunghezza delle quali anticipa la varietà

metrica della seconda sezione. Si passa da strofe di un unico verso, come v.

141 e v.251, a strofe molto più ampie, come la settantasettesima, formata da

nove versi, o la trentacinquesima di undici versi, mentre più regolare è invece

la prima parte del poemetto, le cui strofe misurano tre o quattro versi.

A proposito della scelta di comporre poesie molto più estese rispetto alla

prediletta misura breve, la Dedola nell’introduzione a Poesie 1972-2002 nota

che

già a conclusione di Teresino la Lamarque aveva fatto ricorso alla misura lunga del poemetto che ritorna anche nella lunga poesia dedicata a Dario Bellezza e ne L’albero, mostrando come, in alcuni momenti significativi della sua ricerca poetica,

la poetessa avverta l’esigenza di una forma più vasta cui affidare sentimenti e

stati d’animo.360

6. Fonti e modelli di scrittura

Nei primi anni Sessanta Cosimo di Rondò, il protagonista del Barone rampante di Italo Calvino, era salito su un albero per prendere distanza dalla pesantezza di ciò che è troppo terreno. In pieno boom economico, ma anche negli anni più difficili della guerra fredda, Calvino fa abbandonare al proprio protagonista una vita uguale a quella di tutti gli altri e, costringendolo a seguire una contorta via sugli alberi, lo porta a scegliere, rispetto all’adesione a un’ideologia, la fedeltà a se stesso. All’inizio del nuovo millennio, in cui la globalizzazione, segnando il primato assoluto dell’economia e con un pericolosissima rimozione della morte, sta mettendo in atto la spietata distruzione del pianeta, con il poemetto L’albero, l’io poetico di Vivian Lamarque sente il bisogno non solo di salire, ma addirittura di celebrare un matrimonio con l’albero. Non è dunque il distacco dalla terra ad essere posto al centro, ma al contrario l’unione.361

Legandosi in questo modo con la natura, Vivian può permettersi di soffermarsi

a descrivere i piccoli animaletti che ne costituiscono la popolazione,

360 R.Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, in Poesie 1972-2002, cit., p. X 361 R.Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, in Poesie 1972-2002, cit., pp.XI-XII

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richiamando alla memoria i bestiari proposti nei componimenti dell’amata

Dickinson:

sotto l’albero via-vai di rane principi rospi la forma della luna […] una famiglia di lucertole scalava il tronco […].

Si fondono inoltre in questo poemetto due delle tematiche più care alla

poetessa americana, e anche alla Lamarque: la morte e la natura. La natura,

impersonata dall’alberi, si pone come alternativa affettuosa e rassicurante alla

sordità e indifferenza del vuoto cielo:

forse non era del tutto cieco il cielo ci guardava allora spalancali su bene quegli occhi smisurati ma non vedi che macello là? Niente non vedeva niente di sete morivano a milioni […] guarda quel bambino sdraiato hai nome cielo per fare?362.

Nel poemetto il mondo della vita e il mondo della morte si incontrano

nell’indifferenza del cielo, che è la stessa sordità e lo stesso vuoto del Seme del

piangere di Giorgio Caproni anche se ne L’albero

sotto questo cielo assente la vita pullula chiedendo alla poesia di continuare a guardare verso il basso per riconoscervi bellezza e iniquità.363

In tutta questa indifferenza l’albero riveste un ruolo fondamentale, è lui ad

occuparsi della sofferenza delle altre creature, come ad esempio del pettirosso

(altro animale di dickinsoniana memoria) ferito a morte dalle trappole degli

uomini, che il paterno albero culla così tra i suoi rami, mentre i versi della

poesia ne accompagnano l’agonia ripetendo

ti prego muori muori ti prego così di lama non ne senti più ti prego muori il tuo sangue splende

362 V.L., L’albero, ivi, p.223 363 R.Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, ivi., p.XIII

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come sole muori muori364

Proprio questa nenia richiama i toni di un’altra poetessa contemporanea,

Patrizia Valduga, che nel suo Requiem recita:

Dio, ti scongiuro, prendigli la mente non torturare un cuore torturato, oh, fa’ presto, fa’ che non senta niente.365

Si ricordi infine che nella sezione Poesie dedicate per molti poeti sono scritti

brevi componimenti, e tra questi figurano l’amato Penna, delle tue rime/ belle

in are etto ita, e come ci piaceva,/ caro Pennino, la parola/ vita.366, modello

poetico di tutta la produzione della Lamarque, oltre che Caproni, a cui si

richiama nel poemetto L’albero:

Se sul treno ti siedi al contrario, con la testa girata di là, vedi meno la vita che viene,vedi meglio la vita che va.367

364 V.L., L’albero, ivi, p.219 365 R.Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, ivi, p.XIV 366 V.L., A Sandro Penna, ivi, p.234 367 V.L., A Giorgio Caproni, ivi, p.242

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CAPITOLO VI

POESIE PER UN GATTO

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1. Genesi e storia

Nel novembre 2007 uscì presso la casa editrice Mondadori una nuova raccolta

di poesie di Vivian Lamarque intitolata Poesie per un gatto, dialogo domestico

e quotidiano tra la scrittrice e Ignazio, il suo enorme gatto grigio368 con le sue

molte domande di non sempre facile risposta.

Il motivo compositivo di questa raccolta è scherzosamente raccontato

dall’autrice stessa, spiegando che in seguito al trasferimento dal giardino della

casa nel quartiere QT8 al balcone dell’appartamento di via Arimondi, il gatto

fu costretto a cambiare le sue abitudini e a non vedere più la gattina di cui si

era innamorato, Zarina. Così,

forse per questi crediti nei miei confronti e anche un po’ per vanità a un certo punto pretese che scrivessi un libro di poesie tutto su di lui, ho ubbidito369,

scrive in occasione della morte dell’amato gatto, in un articolo del giugno 2010

intitolato E il mio gatto filosofo disse: ”Dedicami una poesia” . Proprio con la

Committenza della raccolta poetica da parte del gatto Ignazio si apre il libro per

lui scritto:

-Fammi giocare. -Dopo, ho da fare. -Cosa fai sempre con quel legnetto in mano? -Scrivo. -Cosa? -Poesie -Su di me? -No. -Perché no? -Va bene, va bene, te ne scriverò. -Belle mi raccomando e tante, non un po’.

Tale gioco percorre tutta la raccolta, ripetendosi qua e là negli scambi di battute

tra la padrona e i il suo gatto, che controlla che il lavoro proceda per il meglio,

sottolineando che deve essere un lavoro fatto come si deve, -Pensaci bene

368 S.Jeresum, E il poetar m’è dolce in questo male, in “Sette”, 30 maggio 1996 369 V.L., E il mio gatto filosofo disse: ”Dedicami una poesia” , in “Corriere della Sera”, 22 giugno 2010

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voglio un’operetta/ non troppo minore io, e soprattutto senza errori, fa notare

esigente fino alla conclusione dell’opera, come si legge in Ultima:

-Ecco fine del libro contento adesso? posso tornarmene alle altre poesie? -Sì ma mi raccomando le bozze non voglio refusi nel mio libro, io.

La stessa Vivian gli si rivolge ricordandogli del lavoro che sta portando a

termine per lui, per consolarlo della morte di Zarina: Basta con quei pensieri

neri/ Ignazio, su, pensa alla vita/ ai suoi colori pensa/ che finirai in un libro

Mondadori., mentre invece lo prende in giro quando scrive

–Aiuto Ignazio le rime mi inseguono come pulci! -Pulci? per carità! via da me via! via dalla mia poesia!

e gli consiglia di non darsi troppe arie per il fatto che sta scrivendo poesie su di

lui, ma il sarcastico gatto sa sempre come ribattere:

-Non ti credere anche per Brigante ho scritto poesie. -Sentiamo. -“Dei cani un po’ brutti era il più bello di tutti”. -Hah, tutto qua?

Proprio a questo proposito l’autrice nota:

Quanti poeti hanno dedicato versi ai gatti, molto meno numerose le poesie per i cani, perché? Forse per lo stesso motivo per cui si scrivono più versi per chi non ci ama che per chi ci è totalmente dedito e fedele. In amor vince chi fugge.370

370 Ibidem

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2. La struttura

La raccolta Poesie per un gatto propone una struttura tripartita, nella quale

l’autrice racconta della sua vita con Ignazio, ma soprattutto della vita

dell’amico felino. Le tre sezioni si richiamano tra loro riproponendo, in vesti

totalmente diverse, l’immagine del giardino: presente nella prima sezione,

Infanzia con giardino, assente nella seconda, Giovinezza senza giardino, altro

nella terza, Il giardino dell’aldilà.

Aprono e chiudono la raccolta i componimenti Committenza e Ultima, nei quali

Ignazio appunto commissiona il lavoro poetico su di lui ed esprime il proprio

parere a opera conclusa.

2.1 Sezioni

La prima sezione, composta da quarantadue testi, si intitola Infanzia con

giardino, e racconta dei primi anni di vita di Ignazio: guardi tutto,/

meravigliato, sei/ da non molto nato si legge nella prima poesia. Poco dopo il

gatto scopre di essere nel giardino della casa della famiglia Lamarque in Italia

QT8 Milano371, i cui vicini Irlando e Olga hanno una gattina della quale si

innamora a prima vista:

-Chi è quella gattina? -E’ Zarina, Ignazio, la tua nuova vicina. Abita qui sopra con l’Irlando. -Presentamela cosa aspetti? Va bene va bene ci stavo pensando.372

In questa prima parte l’autrice ci descrive così la vita del suo gatto, impegnato

a inseguire lucertole, pettirossi, e ombre, a uscire ed entrare in casa passando

dalla finestra o dalla scaletta rossa373, a prendere il sole sul balcone o in

giardino, ma gran parte della giornata è impegnata per stare con l’amata Zarina.

371 V.L., In che parte del mondo abitiamo?, in Poesie per un gatto, Mondadori, Milano 2007, p.17 372 V.L., Chi è quella gattina?, ivi, p.22 373 V.L., Traslocheremo Ignazio, ivi, p.56

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Proprio per questo la notizia del trasloco, che chiude questa prima parte, suona

così drammatica alle orecchie del giovane Ignazio:

-[…] traslocheremo Ignazio perderemo il giardino avremo solo un appartamento. -Traslocheremo? appartamento? taci almeno finché non sarà il momento.374

Sessantacinque poesie sono ambientate nell’appartamento di via Arimondi,

dove si svolge la seconda sezione della raccolta, per questo intitolata

Giovinezza senza giardino. Dopo i primi tre brevi dialoghi, nei quali Ignazio

cerca di capire per quale motivo ha dovuto abbandonare il suo giardino e la sua

Zarina per vivere di cemento375 inizia la narrazione della quotidianità di Vivian

e del suo gatto. Lui continua a chiedere di uscire per andare da Zarina,

sperando che salendo al piano superiore avrebbe trovato Irlando che se

miagolavi/ ti apriva ma qui al piano di sopra/ stanno quatti quatti e non

aprono mai/ e poi mai la porta ai gatti.376 Così lei cerca di consolarlo

facendogli vedere il balcone, la finestra e preparandogli un quasi –giardino con

erba/ un rampicante e una foglia d’insalta, ma Ignazio non apprezza, anzi la

incenerisce con un’occhiata preferendo piuttosto la consolazione dei

croccantini La vita d’appartamento, calorifero ciotola/ ciotola divano/ divano

davanzale377, avvia però un dialogo più fitto tra la padrona e il sarcastico gatto,

che chiede notizie di Miryam e Giorgio, parla dell’età di Vivian e delle sue

preoccupazioni, e fa anche domande più impegnative, lamentandosi dei

maltrattamenti degli animali, discorrendo sulla separazione della padrona dal

marito, oltre che continuare a domandare di Zarina e di poter tornare da lei e

lamentarsi di questa sua continua inattività: provo una noia esistenziale.378

Una brutta notizia apre la terza e ultima parte della raccolta, la morte di Zarina.

Questo evento, sconvolgente per l’innamorato, modifica drasticamente il

374 V.L., Devo dirti una cosa grave Igni traslocheremo, ivi, p.55 375 V.L., Perché in via G.Moretti c’era il giadino, ivi, p. 63 376 V.L., Lo so che credi di trovare, ivi, p.65 377 V.L., Che muso lungo Ignazio, ivi, p.80 378 Ibidem

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comportamento di Ignazio e la natura delle sue domande: voglio Zarina viva/

sul suo bel balcone là/ voglio che sia quello l’aldilà.379 Il tema preannunciato

nel titolo della sezione, Il giardino dell’aldilà, si ripropone così negli ormai

frequentissimi dialoghi di Vivian e il suo gatto di cui si compongono i

trentasette brani che concludono la raccolta.

Bene riassume l’andamento della raccolta la quarta di copertina dell’edizione

Mondadori:

Attenzione lettore, a passo felpato di gatto le svagate prima e seconda parte (figurine d’interni, bisticci, dispetti, musi , ciotole, le temute scatolette del discount) con brio ti condurranno alla terza più grave dove risuona il motivo da anni più frequentato dalla poetessa.

2.2 Committenza e Ultima

Introducono e chiudono Poesie per una gatto due dialoghi. Il primo, intitolato

ironicamente Committenza, spiega in modo giocoso il perché della decisione

della poetessa di scrivere una raccolta di poesie non solo dedicata al proprio

gatto, ma di cui proprio Ignazio è il protagonista. La committenza si scopre

così non essere altro che una richiesta del compagno a quattri zampe

dell’autrice:

[…] -Cosa fai sempre con quel legnetto in mano? -Scrivo. -Cosa?/ -Poesie. -Su di me? -No. -E perché no? -Va bene, va bene, te ne scriverò. -Belle mi raccomando e tante, non un po’.

Nella poesia che chiude la raccolta, Ultima, continua il gioco iniziato con il

primo componimento. Ignazio infatti, da buon committente, verifica che il

379 V.L., Zarina che grattavo sempre alla sua porta morta?, ivi, p.131

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lavoro da lui richiesto a Vivian Lamarque sia stato realizzato bene, come

d’accordo, e soprattutto senza errori:

-Ecco fine del libro contento adesso? Posso tornarmene alle altre poesie? -Sì ma mi raccomando le bozze non voglio refusi nel mio libro, io.

2.3 Citazioni e dediche

Nel 1993 la poetessa polacca Wislawa Szymborska pubblicò la raccolta Koniec

i poczontec, tradotta in italiano nel 1997 col titolo La fine e l’inizio, dal quale è

tratto il frammento proposto dalla Lamarque all’inizio del suo libro: Morire-

questo a una gatto non si fa. La poetessa polacca scrisse la poesia Il gatto in un

appartamento vuoto, di cui Poesie per un gatto cita i primi versi, in ricordo del

suo compagno. A lui è dedicata questa lirica, una delle più celebri della

poetessa, dove il dolore per l’assenza della persona amata è espressa attraverso

lo sconcerto del gatto di casa per l’interruzioine della routine quotidiana alla

quale si era abituato e affezionato. Spiega la Lamarque che anche Poesie per

un gatto proponendo la morte di Zarina e le dissertazioni del gatto e di Vivian

sulla morte e sull’aldilà intende far riferimento anche alle perdite dei propri

cari e alle conseguenti domande sul “dopo”:

gli addii delle persone, gli addii alla vita, tema che tocco però sottovoce e con ironia, nella raccolta sembra sia il gatto a interrogarsi sulla morte, ma siamo tutti noi (anche i versi della szymborska che cito, tratti dalla sua splendida poesia un appartamento vuoto, hanno dietro il gatto la sua disperazione per la morte del secondo compagno della sua vita).380

Segue i versi della Szymborska una seconda citazione, tratta sempre da un

componimento sui gatti, ma di T.S.Eliot: The naming of cats is a difficult

matter. Il verso, tratto dall’omonima poesia, che in traduzione si intitola Il

nome dei gatti, appartiene alla raccolta Old Possum’s Book of Practical Cats,

380 Mia intervista a Vivian Lamarque, maggio 2012

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opera che propone una serie di testi poetici sulla psicologia felina e

sull’organizzazione sociale del loro mondo (proprio da questo libro verrà poi

tratto il musical Cats di A.L.Webber).

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Eliot spiega che qualunque nome si darà al proprio gatto, quello non sarà mail

il vero nome, perché of the thought, of the thought, of the thought of his name:/

His ineffable effable/ Effanineffable/ Deep and inscrutable singular Name.381 Il

vero nome è per lo scrittore al tempo stesso dicibile e indicibile, misterioso e

limpidamente evidente, enigmatico e semplicissimo da capire, per lui il nome

prende la sua forma nella forma del gatto, come se fosse il gatto stesso a

scegliere il suo nome.

Di nomi di gatti parla Eliot nella sua lirica, del gatto Ignazio parla l’autrice in

Poesie per un gatto, e ben novantun nomi di gatti vengono elencati subito dopo

i versi di Il nome dei gatti tra le dediche al libro. Con un gioco analogico la

Lamarque introduce così il lungo e vario elenco di nomi degli amati felini da

lei conosciuti: ai gatti dei miei amici e ai miei amici, oltre che ai gatti di

nessuno e alle loro gattare. Al gruppo di nomi vengono aggiunti altri due

animali domestici a cui il testi è dedicato nonostante non siano della specie

cantata: a Pablito (anche se coniglio) e soprattutto a Brigante, anche se era un

cane.

La dedicataria principale della raccolta poetica è però la figlia di Vivan,

padrona, insieme con la madre, del gatto protagonista dell’opera, al quale

proprio lei diede il nome, a Miryam, che ti chiamò Ignazio, nome che lui stesso

in un componimento ammette di apprezzare:

-E io come mi chaimo? -Ignazio ti chiami ti piace? -Non c’è male abbastanza originale.382

L’autrice inserisce anche dei ringraziamenti al testo, scritti giocando con le

parole, e con l’altezza di chi ha collaborato con lei per la realizzazione del

libro: Ignazio, ispiratore, protagonista e compagno di vita e Alberto Gelsumini,

consulente della Mondadori. Si legge infatti a inizio volume:

Un grazie all’impaziente pazienza del cortissimo Ignazio e all’intelligente impazienza del lunghissimo Alberto Gelsumini.

381T.S. Eliot, Old Possum’s Book of Practical Cats, Faber and Faber, London 1939 382 V.L., In che parte del mondo abitiamo?, in Poesie per un gatto, cit., p.17

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3. I contenuti

3.1 La morte e l’aldilà

Gioiose le prime due sezioni, nella terza si affaccia il tema che più mi sta a cuore in questi ultimi anni (ma anche prima, fin dagli inizi) gli addii delle persone, gli addii alla vita, tema che tocco però sottovoce e con ironia, nella raccolta sembra sia il gatto a interrogarsi sulla morte, ma siamo tutti noi 383

spiega l’autrice a proposito di Poesie per un gatto.

Proprio con la notizia della morte della sua fidanzatina si apre la terza sezione

della raccolta:

-Ignazio notizia brutta su Zarina la bella che grattavi sempre alla sua porta. E’ morta Olga mi ha detto. -Mooorta?384

Viene così introdotto da subito il tema preannunciato dal titolo di questa parte

della storia domestica di Vivian e il suo gatto: Il giardino dell’aldilà. Chiede

insistentemente Ignazio: Ripeto la domanda/ ci sarà o non ci sarà/ questo

aldilà?/ -Forse Ignazio non lo so385; ma le domande continuano perché vuole

assolutamente sapere che fine ha fatto Zarina. Così Vivian cerca di spiegargli

la sua idea di aldilà, già espressa sinteticamente nel titolo della sezione:

è come una specie di giardino si diventa tutti erba fiori. -Fiori? un fiore io? mai! -E perché? essere un fiore/ è un onore no lo sai?/ Un onore un fiore? Non voglio questo onore mi hai sentito? voglio per sempre essere Ignazio io, qui vivo in questa vita.386

Tale spiegazione ritorna più volte nell’opera, ma il gatto non se ne capicita:

383 Mia intervista a Vivian Lamarque, maggio 2012 384 V.L., Ignazio notizia brutta, in Poesie per un gatto, cit., p.130 385 V.L., Ripeto la domanda, ivi, pp.152-153 386 Ibidem

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-E allora dove va? -Sta. -Sta? -Sta. -E dove? -In un bel giardino fiorito. -Come quello che avevamo? -Sì. -Tra l’erba? -Sotto. -Sotto? -Sì.387

L’idea di passare l’Eternità sotto terra però gli piace ancora meno dell’idea di

diventare un fiore così di nuovo ribatte: Oh no io vorrei tra i freschi fili/ d’erba

con Zarina stare non sotto/ io sotto l’erba non ci voglio andare.388 Quando

finalmente si convince della possibilità dell’esistenza del giardino dell’aldilà,

un’altra domanda fa crollare il sollievo trovato: -E se anche il fiore muore?389

ma questa volta Vivian, già prima tentennante390, non risponde, e così

inesorabile Ignazio incalza: Diventerò anch’io un giorno un fiore?/ -Ma sì un

fiore o un’erba o un insettino./ -Un insettino io Ignazio? mai!/ -E dai ce ne

sono di belli coccinelle/ libellule maggiolini…/ -Maggiolini? un maggiolino

io?/ un insettino io, io?391; -E Zarina che fiore diventerà?/ -Non lo so forse una

margherita./ -Zarina mia una margherita?/ Non voglio la morte della vita.392; -

E poi sarà uguale alla nostra/ l’erba dell’aldilà?393 Non si arriva a una vera e

propria soluzione, infatti al termine di queste domande Vivian conclude con un

generico: -Lo vedremo Ignazio/ lo vedremo quando saremo là,394 un po’ come

si fa coi bambini quando fanno tante domande, e soprattutto quando gli

argomenti sono argomenti come questo, -E Zarina là mi aspetterà ci sarà?/ -

Non escludo la possibilità.395

387 V.L., Dimmi che è stato un sogno Zarina, ivi, pp.155-156 388 V.L., Oh no io vorrei tra i freschi fili, ivi, p.157 389 V.L., E quando si può sapere?, ivi, p.158 390 E.Rosaspina, Tutti pazzi per gli animali, in “Corriere della Sera”, 01 maggio 2011 391 V.L., Diventerò anch’io un giorno un fiore?, in Poesie per un gatto, cit., p.159 392 V.L., E Zarina che fiore diventerà?, ivi, p.160 393 V.L., E poi sarà uguale alla nostra, ivi, p.161 394 Ibidem 395 V.L., In punto di morte mi darai, ivi, p.162

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Il dialogo sulla morte introduce un equivoco legato a un’analogia già proposta

dall’autrice in testi come Condòmino396, Fuori dalla sua porta397 o Questa

quieta polvere398: la morte e il sonno possono apparire la stessa cosa. L’idea di

un errore dei padroni di Zarina è data a Ignazio dalle parole di Vivian, che

cercando di addolcire la notizia usa un’immagine presa invece alla lettera dal

gatto:

-Comunque non ci credo che sia morta stava benone sentiamo, morta come? -Era malata l’hanno addormentata. -Addormentata? che sollievo!,

aggiungendo quindi:

Scemi vedendola dormire vi siete confusi col morire vedendola dormire vi siete confusi col morire.399

Questi cinque versi conclusivi ritornano nella sezione per cinque volte

all’inizio, alla fine, e nel corpo del testo, incredulo refrain per esorcizzare la

morte dell’amata, provando a convincere gli altri, non potendo lui convincersi

di aver perso un affetto tanto importante. La padrona prova così a consolarlo,

continuando a rimanere nella metafora:

-Aspetta di rivederla là nell’aldilà dicono che ci risveglieremo tutti insieme chissà. -Ci risveglieremo, come quando al mattino ci svegliamo ci muoviamo?400

396 V.L., Condomino, in Poesie 1972-2002, Mondadori, Milano 2002, p.193 397 V.L., Fuori dalla sua porta, in Una quieta polvere, Mondadori, Milano 1996, p.83 398 V.L., Questa quieta polvere, ivi, p.66 399 V.L., Comunque non ci credo, in Poesie per un gatto, cit., p.133 400 V.L., Aspetta di rivederla là, ivi, p.135

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Inizia così la ricerca di Zarina in tutti i posti in cui era solita andare a dormire,

come sul balcone, in giardino o sul pianoforte del suo padrone Irlando: Cercate

cercate in ogni dove/ sei lì? sei lì?/ O perché più non suona/ il suo bel sì?401 La

gattina non si trova, ma la raccolta si conclude senza che Ignazio sia riuscito a

convincersi della morte di lei:

L’equivoco è chiarito Zarina dorme, si è tanto addormentata ora basterà aspettare il giorno che si risveglierà oh se si risveglierà non fatemi mai più così tanto spaventare […].402

401 V.L., Cercate cercate in ogni dove, ivi, p.144 402 V.L., L’equivoco è chiarito Zarina, ivi, p.166

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All’incredulità di Ignazio e alla sua incapacità di accettare una simile perdita, si

offre un’altra spiegazione, o meglio un metodo per superare con meno dolore il

problema: sognare. Immaginarsi la situazione desiderata al posto di quella reale

e dolorosa è una soluzione che l’autrice già ha adottato nelle precedenti

raccolte. Proponendo anche in questo contesto l’escamotage del sogno, la

Lamarque mostra come le domande e le sofferenze del suo gatto siano anche le

proprie, siamo tutti noi403 che davanti alla realtà della morte di una persona

amata viviamo il disorientamento del protagonista di Poesia per un gatto.

Dimmi che è stato un sogno Zarina non è morta vero? -Non era un sogno Ignazio Zarina è morta davvero.404

Oh no nel sonno me ne ero dimenticato non voglio questo oggi voglio ieri ieri, senza Zarina non voglio la vita non voglio niente voglio un ieri immediatamente.405

Il desiderio di tornare indietro nel tempo per stare ancora insieme alla gattina è

assimilabile al discorso che Ignazio fa alla padrona, dicendole che nei suoi

pensieri l’amata era sempre viva: -Ma ti dicevo portami da lei/ aspettavo e

mentre ero/ in sua aspettativa Zarina/ per sempre era viva,/ non moriva.406

Non accetta invece la proprosta della padrona di consolarsi col ricordo dei

momenti vissuti insieme: -Ma ciò che esiste/ non esiste per sempre?/ non è

così/ -Sì nel cuore sì.407;

-Ne resta il ricordo, la memoria. -Memoria? Non ne voglio di memoria! voglio Zarina viva sul suo bel balcone là/ voglio che sia quello

403

Mia intervista a Vivian Lamarque, maggio 2012 404 V.L., Dimmi che è stato un sogno, in Poesie per un gatto, cit., p.155 405 V.L., Oh no, ivi, p.137 406 V.L., Te lo dicevo portami, ivi, p.132 407 V.L., Ma ciò che esiste, ivi, p.162

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l’aldilà.408

La morte dell’amata fa metter in discussione anche la stessa vita di Ignazio,

della qual cosa prima non si interessava invece molto: -La giornata è finita

tornerà tra un anno/ ma non sarà più la stessa capisci?/ il tempo tutto

inghiotte./ -O.k. buonanotte.409 Ora, rendendosi conto che prima o poi anche lui

morirà chiede a Vivian:

-O vorresti dire che anche il gatto/ prima di me è morto? -Sì. -Anche quello prima prima? -Sì. -Tutti? -Tutti. -Non ci sono più? -No. -Ma allora anch’io un giorno morirò? Morirò dunque? -Hmm.410

Nonstante tale argomento sia protagonista assoluto nella terza sezione, in

qualche breve dialogo tra il gatto e la sua padrona si trova già qualche

riferimento a tale idea anche nelle prime due parti della raccolta, in modo però

molto più spensierato:

Oh Ignazio non volendolo ho cucinato un maggiolino lesso tra le foglie d’insalata volava così bene dove volerà adesso?411 -Che brutta fine povera mosca. Era la prima della stagione non ha fatto nemmeno in tempo a volare da lì a qui si fa così? -Sì.412

408 V.L., Zarina che grattavo sempre alla sua porta, morta?, ivi, p.131 409 V.L., La giornata è finita, ivi, p.92 410 V.L., O vorresti dire che anche il gatto, ivi, p.150 411 V.L., Oh Ignazio non volendolo, ivi, p.76 412 V.L., Che brutta fine povera , ivi, p.85

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La stessa immagine del trasloco della prima sezione, propone una situazione

nella quale il gatto deve rinunciare a tutto quello che aveva nella vecchia casa,

o vita, per iniziarne una nuova: -Trasloco? appartamento?/ taci almeno finché

non sarà il momento.413;

Traslocheremo Ignazio non avrai più la scaletta rossa che scendeva in giardino né la lucertola che la saliva ignara di te che al varco l’aspettavi dal giardino non potrai andare e venire più. -Più? -Più, dall’alto degli alberi non guarderai più giù non sconfinerai più nei giardini degli altri di gatti non ne incontrerai più. -Più?414;

-Traslocheremo Ignazio il primo tempo è finito sta per cominciare il secondo.[…]415

3.2 La relazione uomo-animale domestico

Poesie per un gatto prende spunto dalla convivenza tra Vivian a Ignazio,

raccontando la relazione affettiva che si instaura tra il padrone e l’animale

domestico. Bene si spiega tale realtà, descritta nella raccolta, in un articolo del

Corriere: :

diario di una convivenza mai banale, tra affettuosità e sottili dispetti. Il primo passo di una relazione con l’esemplare di un’altra specie, l’instaurarsi di riti e abitudini comuni, e di una reciproca attesa. Un sodalizio che potrà andare lontano, creare nuovi equilibri affettivi, affrontare critiche e ironie, superare ostacoli pratici, sconfinare in una simbiosi morbosa, provocare litigi con terzi incomodi, condizionare scelte quotidiane, complicarle irreversibilmente, e in ogni caso senza rimpianti per la perduta libertà.416

413 V.L., Devo dirti una cosa grave Igni traslocheremo, ivi, p.55 414 V.L., Traslocheremo Ignazio, ivi, p.56 415 V.L., Traslocheremo, ivi, p.57 416 E.Rosaspina, Tutti pazzi per gli animali, in “Corriere della Sera”, 01 maggio 2011

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Il legame proposto dall’autrice in questa raccoltà è a tal punto relazionale da

trasformarsi in vero e proprio dialogo: -Aprimi salgo da Zarina./ -Tornerai per

cena?/ -Non è detto ma tu preparami/ la ciotola piena.417 Lo scambio di battute

tra i due, man mano che si sviluppa nel corso della narrazione, diventa sempre

più personalizzato e continuo. Si disegna così il quadro della convivenza di

Vivian e Ignazio, dove da momenti affettivi si passa a situazioni di

esasperazioni o fastidi, che soprattutto il gatto esplicita con sarcasmo: -E’

tornato il caldo Ignazio./ -Già./ -Il sole fa finta che l’estate non sia finita fa

finta che…/ -Ho capito il concetto, sospendi la lezione/ lasciami dormire in

pace in questo bel fuori/ stagione.418 La mia bambina Miryam…/ -Bambina?

ma se è più alta di te./ -Non mi contraddire gatto/ l’età dei figli si sa non ha

età.419 Miryam mi ha chiesto come stai./ -Benone dille benone/ come vuoi che

stia in questa prigione?420 Ma starà davvero cantando/ quel merlo sul palo

della luce?/ mi pare così accorato non starà/ invece lanciando un appello

mesto/ un suo disperato “chi l’ha visto?”./ -Ma certo sì sì (diamole ragione a

questa qui).421 -Cos’è questo odore infernale?/ -E’ smalto per le unghie

Ignazio./ Quando vedo tutto nero coloro di rosa/ le unghie come una vita…/ -

Rimbambita.422

Anche Vivian spesso prende caramente in giro l’amato gattone, impedendogli

di catturare le lucertole, stuzzicandolo con degli scherzetti o criticandolo

bonariamente per i suoi atteggiamenti “da gatto”: -Fuggite lucertole/ gatto in

arrivo!/ -Che vergogna è una spia/ la padrona mia.423 -Guarda sotto l’albero

quante albicocche marce/ raccoglile, mi sporcano le zampe/ la sai che non mi

va./ -Ai suoi ordini Sua Gattità.424 -Ma perché non sei un cane?/ Perché non mi

fai feste come Brigante?/ -E questo ron-ron cos’è, secondo te?425

417 V.L., Aprimi salgo da Zarina, in Poesie per un gatto, cit., p.44 418 V.L., E’ tornato il caldo Ignazio, ivi, p.49 419 V.L., La mia bambina Miryam, ivi, p.52 420 V.L., Miryama mi ha chiesto come stai, ivi, p.68 421 V.L., Ma starà davvero cantando, ivi, p.86 422 V.L., Cos’è questo odore infernale?, ivi, p.98 423 V.L., Fuggite lucertole gatto in arrivo, ivi, p.38 424 V.L., Guarda sotto l’albero quante albicocche marce, ivi, p. 39 425 V.L., Ma perché non sei un cane?, ivi, p.40

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Il legame tra i due però è sempre più forte e conoscendosi sempre di più si

affezionano l’uno all’altro: Sei quasi commovente/ quando mi segui per niente/

quando ti sposti di stanza/ solo perché io mi sposto di stanza/ devi allora da

capo cercare/ nuovo luogo e modo di fare ciambella/ una nuova posizione/ è

questo il tuo discreto modo/ di dare dedizione.426 Quando leggo di notte/ la

luce ti secca/ mi guardi infastidito/ ma Ignazio non ti crederai/ per caso di

essermi marito?427 -Morirò dunque?/ -Hmm./ -Prenderai un altro gatto poi?/ -

No./ -Menti lo sai./ Ma guai a te guai!428 In un breve soliloquio il gatto

confessa il dispiacere di essere lasciato dalla padrona solo in casa, proponendo

al lettore il proprio punto di vista di animale domestico che conosce bene il

proprio padrone e ne è davvero affezionato:

Ecco rispuntare la solita valigia e quelle eterne scarpe ci risiamo parte corre corre si agita per ore mi sposta tutta l’aria intorno mi gratta distrattamente in testa dice ciao bello vado e se ne va chiude la porta conto fino a tre dimentica sempre qualcosa riapre rientra mi ridice ciao bello vado e se ne va ecco mi ha lasciato ma chi l’ha detto che un gatto è indipendente nessuno sente quello che un gatto solo dentro sente peggio della fame e della sete anzi no non peggio meglio anzi no uguale insomma mi sento poco bene quasi male nessuno sente quello che un gatto solo dentro sente.429

Le loro abitudini si uniscono, accrescendo il valore di questa relazione di

convivenza quotidiana, come racconta l’autrice:

a suo modo Ignazio mi voleva bene e io a lui. Al mattino, per svegliarmi, se non bastava dire miao, mi toccava leggermente con una zampa le palpebre chiuse, aveva

426 V.L., Sei quasi commovente, ivi, p.48 427 V.L., Quando leggo di notte, ivi, p.82 428 V.L., Morirò dunque?, ivi, p.151 429 V.L., Ecco rispuntare la solita valigia, ivi, pp.42-43

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capito che era quella la parte che segnava la differenza tra uno sveglio e un addormentato;430

relazione e unione bene rappresentata nel componimento che ritrae i due sul

balcone, entrami a godere del sole:

Ama il balcone il mio gatto il balcone ama anche me estivo triangolo noi tre.431

4. Narratore e personaggi

Come già nelle precedenti raccolte, è la storia dell’autrice ad essere portata in

versi, e quindi è sempre Vivian la voce narrante. Novità di questo lavoro

poetico è l’ampio utilizzo del dialogo, che in Poesie dando del Lei era già stato

sperimentato dalla Lamarque. Nel 2007 però, portando in scena direttamente

l’interlocutore, viene accostato al punto di vista del narratore solito, anche

quello di un secondo narratore, che ci propone una visione inedita della

scrittrice, vista dagli occhi dell’interlocutore-narratore, il suo gatto.

La vicenda raccontata in Poesie per un gatto ha infatti come protagonisti

Vivian e Ignazio, che, prendendo la parola in prima persona, raccontano uno

dell’altro o si stuzzicano a vicenda, intavolando discorsi su argomenti i più

disparati. La storia ci porta nella quotidianità casalinga (con o senza giardino)

della loro vita, permettendoci di conoscere da un altro punto di vista la Vivian

già incontrata nelle precedenti opere. E’ però Ignazio, committente e

destinatario del lavoro poetico dell’autrice, il personaggio che meglio

impariamo a conoscere da questi testi. La narrazione inizia con lui

piccolissimo, guardi tutto,/ meravigliato, sei/ da non molto nato432, che scopre

il “mondo” del giardino della casa al QT8, e si innamora di Zarina, la gattina

dei vicini Olga e Irlando. Dalla seconda sezione, Giovinezza senza giardino,

430 V.L., E il mio gatto filosofo disse:” Dedicami una poesia” , in “Corriere della Sera”, 22 giugno 2010 431 V.L., Ama il balcone il mio gatto, ivi, p.25 432 V.L., Guardi tutto, ivi, p.15

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conseguentemente al trasferimento nell’appartamento in via Arimondi e anche

per il fatto che il gatto ormai è cresciuto, acquista più rilievo la voce di questo

personaggio nei dialoghi con Vivian, permettendoci di conoscerlo nel suo

sarcasmo non chè nella grande capacità di sinteticità e incisività. Si umanizza

l’immagine di Ignazio, quando dice: -Dammi un croccantino./ -Lo sai che ti fa

male./ -Fa niente ho un’ansia da placare.433, oppure quando critica Vivian per

i suoi atteggiamenti, Nottetempo ho innaffiato/ un assetato balcone altrui

furtivamente./ Mi osservi serio/ disapprovi palesemente.434, o le risponde

affermativamente quasi compatendola tanto per darle un contentino e non farla

parlare troppo: -Non si mangia oggi?/ -Sì ma ti ho nascosto il boccone/ in un

angolino/ (poveraccia cerca di consolarmi/ per la storia del giardino).435 Dalle

parole di Vivian scopriamo invece la “gattità” di Ignazio, che si lamenta se la

padrona gli dà da magiare scatolette del discount o se lo accarezza troppo

distrattamente: -Quando il breakfast/ non ti garba guardi altrove/ sprezzante,

le scatolette/ del Discount le riconosci all’istante.436; -Perché mi gratti la testa/

così distrattamente?/ -Ho da fare./ (Sua Gattità offesa ece dalla stanza come

rimostranza).437 Degli stessi atteggiamenti del suo gatto racconta Vivian

Lamarque anche in un articolo in cui parla proprio di lui:

Ho avuto vari gatti, l’ultimo si chiamava Ignazio. Ho avuto anche vari cani, l’ultimo si chiamava Brigante. I gatti che preferisco sono quelli che un po’ assomigliano al cane e i cani che preferisco sono quelli che un po’ assomigliano al gatto. Cioè i gatti un po’ affettuosi e i cani un po’ quieti, acciambellati. Ignazio però era un gatto-gatto, mai un sorriso, fusa misurate, unghie sempre pronte, quando gli chiedevo ma perché non sei anche un po’ cane? Si offendeva molto. […] Ma a suo modo Ignazio mi voleva bene, e io a lui.438

Compaiono nella narrazione altri personaggi, che però non intervengono

attivamente nei dialoghi proposti, e che vengono quindi citati in quanto

conoscenze comuni tra i due. Di questa cerchia di amicizie e affetti fanno parte

433 V.L., Dammi un croccantino, ivi, p.114 434 V.L., Nottetempo ho innaffiato, ivi, p.71 435 V.L., Non si mangia oggi?, ivi, p.83 436 V.L., Quando il breakfast, ivi, p.94 437 V.L., Perché mi gratti la testa?, ivi, p.117 438 V.L., E il mio gatto filosofo disse: “Dedicami una poesia” , “Corriere della Sera”, 22 giugno 2010

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due animali, la gattina Zarina e il cane Bigante, oltre che la famiglia

dell’autrice: Miryam, Giorgio, mamma Rosy, a cui si aggiungono i due vicini

di casa Olga e Irlando, padroni di Zarina e amici di Vivian.

5. Metro

Diloghi in versi439 si legge sul “Corriere della Sera” a proposito dei testi di

Poesie per un gatto in un articolo che della raccolta della Lamarque mostra

l’aspetto relazionale tra lei e il suo gatto. Si tratta spesso di scambi di battute

tra Vivian e Ignazio, ma a questa modalità è anche accostata quella del

monologo, dove, più volte l’autrice e una volta il gatto, mostrano il proprio

punto divista senza che l’altro personaggio entri in campo, riprendendo così

una struturra più simile alla precedente produzione poetica della Lamarque.

Unendo quindi i monologhi ai dialoghi citati dalla giornalista, la definizione

dialoghi in versi calza bene ai testi di questa raccolta, che conservano la

predilezione dell’autrice per il verso breve o brevissimo ed enfatizzano la sua

tendenza a parlare in prima persona al destinatario della poesia. In questo caso

il destinatario infatti è quasi sempre in scena con Vivian con la quale scambia

poche ma sintetiche battute. Testi in generale di piccole misure, dai brevissimi

distici di La pioggia piove/ Ignazio non si muove440, ai brani più lunghi, ma pur

sempre contenuti, come il monologo del gatto, di diciassette versi o i ventun

versi del testo sulla morte di Zarina:

-Dimmi che è stato un sogno Zarina non è morta vero? -Non era un sogno Ignazio Zarina è morta per davvero. -Sopra il piano di Irlando non cammina più? -No. -Nemmeno sul suo letto? -No. -E allora dove va?

439 E.Rosaspina, Tutti pazzi per gli animali, in “Corriere della Sera”, 01 maggio 2011 440 V.L., La pioggia piove, in Poesie per un gatto, cit., p.129

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-Sta. -Sta? -Sta. -E dove? –In un bel giardino fiorito. -Come quello che avevamo? -Sì. -Tra l’erba? -Sotto. -Sotto? -Sì.441

In questo caso, come in molti altri brani della raccolta, alla relativa lunghezza

del testo si oppone la brevità dei versi, alcuni formati da soli monosillabi,

spesso ripetuti, creando quindi, più che uno schema di rime, una serie di

ripetizioni che conseguono al botta e risposta.

Il verso libero e spesso assimilabile alla prosa è però ritmicamente organizzato

dalle rime. L’autrice propone anche in quest’opera numerose rime baciate, che

balzano all’occhio grazie agli enjambement che, interrompendo la frase

sintattica, privilegiano la dimensione musicale del verso, proponendo rime

come margherita-vita442, dormire-morire443, angolino-giardino444, insalata-

occhiata445, sorpresa-distesa446, farfalla-gialla447.

Va infine notata l’assenza di titolo dei componimenti, ad eccezione della prima

e dell’ultima poesia: Committenza e Ultima. Tale scelta permette al discorso

poetico di risultare continuato, collegando i brani uno all’altro, senza una vera

e propria netta divisione, aspetto che si accentua nell’ultima sezione della

raccolta, dove il discorso tra i due protagonisti si fa più serrato e la tematica,

ben definita, è proposta in quasi ogni loro discorso “trascritto” dall’autrice.

441 V.L., Dimmi che è stato un sogno Zarina, ivi, pp.155-156 442 V.L., E Zarina che fiore diventerà?, ivi, p.160 443 V.L, L’equivoco è chiarito Zarina, cit., p.166 444 V.L., Non si mangia oggi?, ivi, p.83 445 V.L., Guarda Ignazio, ivi, p.78 446 V.L., Aprimi la porta, ivi, p.37 447 V.L., La guardi con gli occhi spalancati, cit., p.26

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6. Fonti e modelli di scrittura

Scrive la Lamarque nell’articolo scritto in memoria della morte del suo gatto

Ignazio:

Quanti poeti hanno dedicato versi ai gatti, molto meno numerose le poesie per i cani, perché? Forse per lo stesso motivo per cui si scrivono più versi per chi non ci ama.448

Proprio da una poesia per un gatto è tratta la citazione che apre Poesie per un

gatto: Morire- questo a un gatto non si fa, primo verso di Il gatto in un

appartamento vuoto di Wislawa Szymborska. Proprio riguarda alla scelta di

questo componimento come esergo della raccolta la Lamarque spiega:

i versi della szymborska che cito, tratti dalla sua splendida poesia un appartamento vuoto, hanno dietro il gatto la sua disperazione per la morte del secondo compagno della sua vita.449

La scelta del proprio animale domestico come dedicatario, diventa così per

entrambe le poetesse il pretesto per affrontare con apparente distacco la

luttuosa perdita di persone care. Lamenta la morte dell’amata Zarina il suo

innamorato, Ignazio, mentre invece il gatto della Szymborska, alter ego della

scrittrice stessa, piange la scomparsa del padrone, ossia il compagno della

poetessa:

Qui c'era qualcuno, c'era, e poi d'un tratto è scomparso, e si ostina a non esserci. In ogni armadio si è guardato. Sui ripiani è corso. Sotto il tappeto si è controllato. Si è perfino infranto il divieto di sparpagliare le carte. Cos'altro si può fare. Aspettare e dormire.

448 V.L., E il mio gatto filosofo disse: ”Dedicami una poesia” , in “Corriere della Sera”, 22 giugno 2010 449 Mia intervista a Vivian Lamarque, maggio 2012

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Che provi solo a tornare, che si faccia vedere. Imparerà allora che con un gatto così non si fa.450

Si lamenta invece con la padrona Vivian il gatto Ignazio per la scomparsa della

gattina di cui era innamorato e della cui morte non si vuole fare una ragione,

cercandola insistentemente: Cercato sul balcone?/ sul balcone l’avete

cercata?451; Cercate sul pianoforte dell’Irlando452; Cercate negli angoli bui453;

Cercate cercate in ogni dove sei lì? sei lì? O perché più non suona Il suo bel sì?454

L’equivoco è chiarito Zarina dorme, si è addormentata ora basterà aspettare il giorno che si sveglierà oh se si risveglierà non fatemi mai più così tanto spaventare vedendola dormire vi siete confusi col morire vedendola dormire vi siete confusi col morire.455

Al suo gatto, affezionato compagno di vita, Elsa Morante dedica invece la

poesia conclusiva di Menzogna e sortilegio, personaggio interno anche al

romanzo. Elisa, la protagonista, al termine del suo percorso trova il misterioso

Alvaro.

E’ il suo gatto (Alvaro è l’altro nome di Giuseppe, il gatto vissuto con Elsa dal 1966 all’agosto 1982), suo unico “compagno” nel tempo della vita e in quello della scrittura, cui dedica un canto d’amore.456

450 W. Szymborska, Il gatto in un appartamento vuoto, in La fine e l'inizio , Scheiwiller editrice, Milano 1997 451 V.L., Carcato sul balcone?, in Poesie per un gatto, cit., p.140 452 V.L., Cercate sul pianoforte dell’Irlando, ivi, p.142 453 V.L., Cercate negli angoli bui, ivi, p.143 454 V.L., Cercate cercate in ogni dove, ivi, p.144 455 V.L., L’equivoco è chiarito Zarina, ivi, p.166 456 G.Nuvoli, L’ultimo romanzo possibile, una Commedia rovesciata, in E.Morante, Menzogna e sortilegio

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Recita infatti la lirica della Morante:

Non mi rispondi? Le confidenze invidiate Imprigioni tu, come spada di Damasco le storie d’oro in velluto zebrato. Segreti di fiere non si dicono a donne. […] Si ripiega la memoria ombrosa d’ogni domanda io voglio riposarmi. L’allegria d’averti amico basta al cuore. E di mie fole e stragi coi tuoi baci, coi tuoi dolci lamenti, tu mi consoli, o gatto mio!457

457 E. Morante, Menzogna e sortilegio, Einaudi, Torino 1994, p.706

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Con altri toni, ma simili argomenti scrive la Lamarque del suo gatto,

committente della raccolta e compagno di vita quotidiano, arrivando persino a

domandargli: ma Ignazio non ti crederai/ per caso di essermi marito?458

458 V.L., Quando leggo di notte, in Poesie per un gatto, cit., p.82

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CAPITOLO VII

LA GENTILESSA

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1. Genesi e storia

Nel 2009 Vivian Lamarque pubblicò, per la casa editrice Stampa, un volumetto

di poesie in dialetto milanese intitolato La gentilèssa, con la “e” aperta e le “s”

della pronuncia milanese, al posto delle “z”.459 Una piacevolissima sorpresa,

scrive Maurizio Cucchi nella prefazione alla raccolta, dove spiega che questi

testi non sono componimenti recenti, bensì poesie scritte tra 1973 e il 1975,

quasi agli esordi della poesia di Vivian Lamarque, aggiungendo: ricordo che

proprio allora me ne aveva parlato, cogliendomi appunto di sorpresa.460

Spiega a questo riguardo l’autrice:

Non sono milanese, ma Milano è la mia città d’adozione ( in senso letterale, i miei genitori adottivi abitavano lì). La sua lingua era nell’aria, l’ho respirata soprattutto negli Anni Cinquanta, allora la parlavano in molti nelle strade, nei negozi, nei cortili, mi è entrata dentro quietamente, è stata lì ferma, buona buona, poi tra il 1972 e il 1975, anni in cui ho scritto il maggior numero di poesie, anni di forte disagio psichico (ma non voglio gareggiare con Alda Merini, vincerebbe lei!), si è mossa e, senza averle minimamente “programmate”, una quarantina di poesie in dialetto si sono infilate tra le altre centinaia, in questa raccolta ho cercato di scegliere tra le meno acerbe. Negli anni successivi non si sono più fatte vive, non ne ho scritte più.461

L’opera raccoglie poesie inedite, con l’unica eccezione di Pèss fritt462,

pubblicata nel 1996 nella raccolta Una quieta polvere. In quell’occasione, in

nota l’autrice aveva specificato che il testo faceva parte della raccolta Milan

brutta bèlla, del 1978, inedita, ma della quale nel 1995 erano stati pubblicati

quattro componimenti sul n.10 della rivista Poesia, uno dei quali era proprio

Pèss fritt.

La gentiléssa, racconta la poetessa, parlava della Milano che avrei voluto, di

quel che mancava, la gentilezza,463 appunto. Da qui il cambio di titolo rispetto

all’idea editoriale annunciata nel 1996, come si evince anche da un’intervento

in una conferenza del 2012 proprio sulla città di Milano, nella quale la

Lamarque aveva aggiunto:

459 M.Cucchi, Prefazione, in V.Lamarque, La gentilèssa, Stampa, Varese 2009, p.8 460 M.C., Prefazione, ivi., p.7 461 M.B.Tolusso, Intervista di Mary Barbara Tolusso a Vivian Lamarque, ivi, p.61 462 V.Lamarque., Pèss fritt, in Una quieta polvere, Mondadori, Milano 1996, p.56 463 I.Bozzi, “La gentilèssa” di Vivan e quella della poesia, in “Corriere della Sera”, 25 maggio 2009

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Milano, dice il titolo di questa serata, Milano Amica-Nemica. Io l’ho chiamata in una mia poesia Milan Brutta Bèlla. Però anche la poesia è una poesia di 30 anni fa, è un po’ invecchiata, non è più bella, l’ho cancellata. Adesso mi è rimasto questo titolo orfano, senza nessuna poesia attaccata sotto. Milan brutta bèlla è la nostra città.464

Continua poi spiegando il valore che ha per lei la parola scelta come titolo della

raccolta in dialetto milanese composta da quelle poesie degli anni ’70 che le si

sono infilate nel pennino, senza ben sapere come:

Gentilmente è un avverbio, già l’aggettivo mi piace molto, gentile,… è un avverbio, ho anche un libro intitolato La gentilèssa. Però voglio avvertire voi, e soprattutto me, che non me lo dimentichi che deve essere… la gentilezza dei Milanesi deve essere armata un po’. Cioè gentilmente armata, ma armata. Ci vuole per sostenere tutta questa ondata di brutto soprattutto che ci avvolge. […] Dicevo, la gentilezza è quella cosa per cui quando la sera torniamo a casa e abbiamo incontrato una persona gentile, un impiegato gentile, lo raccontiamo.465

2. Struttura

La Gentilèssa raccoglie sedici poesie in lingua milanese, con la traduzione in

italiano proposta nel testo a fronte. La piccola opera è divisa in tre sezioni:

Gajna malada, Milàn brutta bèlla, Papà ti te diset di no. Il titolo delle prime

due parti riprende quello di un brano in esse raccolto, mentre il terzo sintetizza

il racconto della prima poesia della sezione.

2.1 La struttura

La prima sezione della raccolta, Gajna malada, con le sue otto poesie è la parte

più ampia dell’opera in milanese della Lamarque. L’omonima poesia recita me

interèssa pù nient e alura/ alura me mètti in d’un cantun/ come n’a gajna

464 Intervento di V.L. al ciclo di incontri Città amica, città nemica, ass.culturale Ambrosianeum, Milano 28 marzo 2012 465 Ibidem

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malada[…] col crapin sotta l’ala l’è minga giust/ ma che bèl caldin ch’el fa.466

La sezione infatti racconta della sofferenza di Vivian per l’assenza dell’amato.

E’ felice di riceve da lui una lettera che però non apre in La lettèra. Intuendone

il contenuto doloroso preferisce leggere il proprio nome sulla busta, pensando

che il mittente è proprio lui e che l’ha scritta per lei. La situazione si ripete in

Pèss fritt, con l’attesa di una sua telefonata, che però non arriva, e di nuovo la

soluzione è immaginarsi tutto e parlare con l’innamorato assente, che anche in

Stanott u sugnà è da Vivian raccontato come sognato o analogo a quelle storie

che si leggono nei romazi, ma dove mai il protagonista è bello come il suo

amur. A questi quattro componimenti nei quali la protagonista riesce a reagire

al dolore causato dall’assenza dell’amore desiderato, ma come Teresino

sparito, se ne contrappongono altri quattri, dove invece la sofferenza per

l’ennesimo abbandono si fa più forte. Cerca di reagire esasperata svendendo le

proprie lettere e chiedendo in camibio un po’ di affetto in Lètter lètter, mentre

il dolore non si può più sopportare né nascondere nella poesia che dà il titolo

alla sezione e in Stasera ‘l coeur dove scrive che il cuore grida e soffre così

tanto che chi lo sente, non capendo, chiede da dove provenga un tale rumore.

Chiude la sezione Come n’gatt, dove Vivian racconta di sé con l’analogia con

la storia di un gatto abbandonato salvato dal suo nuovo padrone, che però ora

non lo sopporta più, perché ‘l ghe s’è tacà pègg d’un cerott/ ‘l ghe va semper

dré.467

Riprende il titolo ipotizzato per la raccolta nella nota a Péss fritt468 nel 1996, la

seconda sezione della raccolta, Milàn brutta bèlla, che tra le sue quattro poesie

conta questa su Milano e il brano che presta il nome alla raccolta, La

gentiléssa.

466 V.L., Gajna malada , in La gentilèssa, cit., p.22; Trad.: “Non m’interessa più niente e allora/allora mi metto in un angolino/ come una gallina malata […] col crapino sotto l’ala non è giusto/ ma che bel caldino che fa.” 467 V.L., Come ‘n gatt, ivi, p.34; Trad.: “Gli si è attaccato peggio di un cerotto/ gli va sempre dietro.” 468 V.L., Pèss fritt, in Una quieta polvere, cit., p.56

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L’autrice racconta della sua città adottiva, la città di ossimori469, narrata anche

nella poesia Visin a san Lurenz con la signora che da giovane vicino alla chiesa

di San Lorenzo vendeva le violette, e in L’Ospedaa, con l’immagine dei

piccioni che si muovono in gruppo sotto il Duomo, nonché per la realistica

ipotesi che l’ospedale in questione sia una delle strutture milanesi. Canta però

in Milàn brutta bèlla:

ne poedi pù vu via […] Milàn brutta bèlla lassem andà ‘l me amur ‘l m’ama no ‘l me amur ‘l m’ama no.470

Il tema della prima sezione viene così riproposto anche nella seconda parte

della raccolta, sfumando però sullo sfondo cittadino, enfatizzato dalla lingua

milanese delle poesie.

In nota l’autrice rivela di avere altre poesie appartenenti a questa sezione

poetica, che però sono ancora nella fase di riscrittura,

tra le altre un lungo componimento intitolato Mangiagalli (la più popolare Maternità di Milano), dove descrivo realisticamente la nascita di mia figlia Miryam.471

Chiude la raccolta la sezione Papà ti te diset di no, anch’essa composta da

quattro poesie, dei quali due componimenti sono dedicati ai due padri (adottivo

e naturale) e uno all’affezionato Brigante, cane bastardino che per analogia si

collega, come gli altri brani, all’abbandono e all’adozione di Vivan in questa

terza parte raccontati. Composta circa nello stesso periodo di alcune delle

poesie di Teresino, La gentilèssa pone in primo piano l’immagine paterna,

lasciando in secondo piano l’ingombrate tematica delle due madri che invece

occupava molto della prima raccolta dell’autrice. A questo proposito va però

considerato il fatto che la raccolta in dialetto milanese uscì ventotto anni dopo

469 A.Beretta, Milano? E’ la città degli ossimori, in “Corriere della Sera”, 28 marzo 2012 470 V.L., Milàn brutta bèlla, in La gentilèssa, cit., p.40; Trad.: “Non ne posso più vado via/ […] Milano brutta bella/ lasciami andare/ il mio amore non mi ama/ il mio amore non mi ama.” 471 V.L., Note a La gentilèssa, cit., p.67

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Teresino e più di trent’anni dopo la composizione dei testi raccolti ne La

gentilèssa. La proposta di un’inedita immagine paterna può quindi essere

collegata anche a una scelta editoriale, proponendo un argomento biografico

meno trattato dalla Lamarque nelle precedenti raccolte, escludendo dalla

pubblicazione le eventuali poesie dialettali sul più noto tema delle due madri.

Torna infine, nell’ultima poesia della sezione, Ier sera me sunt indurmentada,

l’idea della morte, che sempre conclude le raccolte della Lamarque, tema

questo già introdotto nell’opera dialettale col penultimo brano dedicato al

padre Dante, morto quando Vivan aveva quattro anni.

2.2Apparati testuali

Introduce ai testi poetici di La gentilèssa , la Prefazione firmata da Maurizio

Cucchi che, spiegando il perché dell’insolita scelta linguistica dell’autrice,

ricorda la loro precedente collaborazione per le prime pubblicazioni della

Lamarque negli anni ‘70 presso la casa editrice Guanda. Proprio a quegli anni

risalgono queste poesie in dialetto, spiega Cucchi:

l’uso del dialetto milanese, a ben vedere, non è cosa strana per questa poetessa. E’ come un ulteriore tentativo naturale di portarsi a una condizione primaria di innocenza, e attraverso una lingua che per lei non è materna ma sicuramente legata al primissimo sentire, alla parola sbocciata nella testa nell’infanzia. […] In questo, naturalmente, è un segno di coerenza rispetto alla sua intera opera anche successiva472

nota introducendo il mondo dell’infanzia e la prospettiva della bambina in

cerca d’affetto e di conferme spesso proposta nella propria poesia dall’autrice.

Conclude infine con un riferimento a un altro genere che riecheggia in alcuni

dei brani della raccolta, la fiaba, ma sappiamo che anche di questo genere

Vivian Lamarque è da tempo maestra.473

472 M.Cucchi, Prefazione, in V.L., La gentilèssa, cit., p.7 473 M.C., Prefazione, ivi, p.9

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Alla tradizionale dedica dei proprio libri a persone care, questa volta l’autrice

sostituisce una brevissima giustificazione rivolta ai familiari. Scusandosi per il

proprio atteggiamento di allora nei loro confronti, spiega che gli anni in cui

scrisse le poesie in dialetto de La gentilèssa per lei furono anni difficile e

dolorosi, a quali infatti seguì il ventennale percorso analitico junghiano:

Ho scritto queste poesie in anni oscuri. Chiedo scusa a tutti i familiari che allora feci soffrire.

Subito dopo una Nota firmata dall’autrice spiega il lavoro linguistico svolto

con Giorgio Prestinoni per la revisione e la trascrizione dei testi dialettali.

Come supporti linguistici dichiara di aver utilizzato il dizionario Cletto Arrighi

e, su suggerimento dell’editore, il vocabolari milanese-italiano di Francesco

Cherubini del 1814 per la grafia di alcuni vocaboli. Aggiunge poi che per

alcuni termini si è preferito non ricorrere alla grafia corretta, ritenuta, oggi, di

difficile lettura mentre in qualche caso, avverte, mi sono concessa qualche

parola che esiste solo per me. Conclude la nota con un invito ai lettori a farle

avere eventuali appunti e correzioni al dialetto milanese proposto in La

gentilèssa.

Alle poesie dell’autrice, l’edizione Stampa fa seguire la trascrizione

dell’Intervista di Mary Barbara Tolusso a Vivian Lamarque. La scrittrice e

giornalista, richiamandosi alla tradizione poetica milanese, chiede alla poetessa

di provare a spiegare in che modo ritenga di essersi inserita in tale produzione

dialettale, alla cui domanda la Lamarque risponde:

come mio solito, illegittimamente: vedi mia biografia e vedi “Poesia illegittima”. Non sono milanese, ma Milano è la mia città d’adozione.

Seguono scambi di battute sull’attuale stato della poesia nel dialetto del

capoluogo lombardo e quindi sulla città stessa, occasione per la poetessa di

raccontare dei quartieri da lei più amati: via Castellino da Castelli, dove prima

lei poi la nipotina Micòl frequentarono la Scuola Elementare Rinnovata

Pizzigoni, via Manin, dove a Palazzo Dugnani c’era il liceo linguistico in cui

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l’autrice si diplomò, che proprio di fronte aveva la sede della Guanda, prima

casa editrice con la quale lavorò e di cui ricorda con affetto i collaboratori e

scrittori negli anni ’70 con lei al lavoro in quella via, primi fra tutti Giovanni

Raboni e Maurizio Cucchi. Infine tra i luoghi più amati inserisce via Comeria,

dove al n.8 c’era lo studio del Dottor B.M. e poco più avanti il liceo Beccaria a

cui era iscritta la figlia Miryam. Si conclude l’intervista con i desideri della

Lamarque, che alla domanda su cosa vorrebbe della Milano di un tempo e cosa

non vorrebbe di quella di oggi, ricordando la nebbiosa città amata da Stendhal

con le sue innamorate, risponde:

ecco, se posso scherzare un po’, anch’io vorrei nebbie, navigli scoperti e innamorati! Poi vorrei portinaie sedute sulle seggile fuori dai portoni che se qualche estraneo osava entrare lo fulminavano con un’occhiataccia e un “dove ‘l va lu?”. Poi vorrei cortili pieni di bambini che giocano […] vorrei eliminare i graffiti […] e vorrei ricoperte da rampicanti tutte le case brutte della periferia […]. Vorrei soprattutto che la neve di un tempo tornasse a posarsi su tutto e si tutti.

E se dovessi vivere altrove, quale sarebbe l’alternativa? chiede la Tolusso a

cui la poetessa risponde: Essendo nata sulle Dolomiti, vorrei vivere in una città

di mare, subito puntualizzando,

una città grande però, una rumorosa città-città. […] Se riscoperchiassero i Navigli potrei anche restarmene qui, andarci in barchetta con la mia mamma di quasi cento anni, con Miryam Giorgio Davide e Micòl,, e che avessimo un bell’innamorato per uno “ e ciascuno di lor fosse contento/ sì com’io credo che saremmo noi…”.

Segue l’intervista, un breve apparato di note nelle quali si danno maggiori

informazioni su cinque delle poesie della raccolta. Di Pèss fritt vengono

indicate le due precedenti pubblicazioni, nel 1996 e nel 2002, con l’inserimento

di Una quieta polvere nell’Oscar Mondadori Poesie 1972-2002. Riguardo alla

poesia Lètter lètter l’autrice spiega l’eco leopardiana che tale titolo le ha

ispirato, almanacchi almanacchi, mentre alcune notizie biografiche sui due

padri sono date per Famm fa un gir in bicicletta. L’elaborazione di altre poesie

da inserire nella seconda sezione della raccolta è brevemente annunciata nella

nota a Milàn brutta bèlla, mentre per Gajna Malata l’autrice ricorda:

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questa poesia stava per essere premiata a un concorso, ma poi fu bocciata… perché, asina, avevo scritto “galina” invece di “gajna”.

Chiudono la raccolta i Ringraziamenti dell’autrice alla pazienza del poeta

Giorgio Prestinoni che l’ha aiutata nella revisione del suo dialetto, come

anticipa nella nota a inizio volume, e anche alla pazienza del

suo cane Lupo che alle letture di poesia ascolta immobile e, quando lo ritiene opportuno, applaude con la coda.

Copertina la gentilessa

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3. Contenuti

La gentilèssa pur essendo stata pubblicata nel 2009, raccoglie poesie

dichiaratamente datate 1973-1975. Alla stessa altezza cronologica risalgono i

testi di Teresino, prima opera poetica pubblicata dalla Lamarque, che riunisce

testi scritti tra il 1972 e il 1980. E’ quindi evidente la sovrapposizione

cronologica delle due raccolte, entrambe composte da brani realizzati negli

anni vissuti al QT8, i primi anni della piccola figlia Miryam e gli anni della

separazione dal marito Paolo. Essendo la poesia di Vivian Lamarque una

poesia autobiografica, a simile periodo compositivo non può che corrispondere

simile materia poetica. Leggendo i testi dialettali della raccolta del 2009, si

ritrovano infatti molti dei temi affrontati in Teresino, allora trattati più

ampiamente, mentre ora a volte anche solo accennati, ma pur sempre

rintracciabili dall’occhio di un lettore che conosca la poesia dell’autrice. Scrive

Maurizio Cucchi nell’introduzione al volume di poesie dialettali:

è un segno di coerenza rispetto alla sua intera opera anche successiva, e chi conosce la poesia di Vivian non potrà che riconoscerne il tratto, anche se con altri suoni rispetto ai suoi più noti; e riconoscerla, anche, con un sorriso di convinta adesione partecipe.474

Apriva la raccolta del 1981 la sezione Conoscendo la madre, dove ampio

spazio era dedicato al primo traumatico evento della vita di Vivian: l’adozione.

Lo stesso argomento è affrontato in Brigante, testo tutto giocato sull’analogia

tra il cane e ‘n quaivun, qualcuno che sembra essere proprio la sua padrona:

Brigante a vardàl ben ‘l ghe somèia a ‘n quaivun. Tant per cumincià subit con i afinità l’è anca lù ‘n bastardin capità al mund inscì dumà perché l’è bèl fa l’amur in d’un prà.475

474 M.Cucchi, Prefazione, in V.L., La gentilèssa, cit., p.8 475 V.L., Brigante, in La gentilèssa, ivi, p.50; Trad.: “Brigante a guardarlo ben/ assomiglia a qualcuno./ Tanto per cominciare subito con le affinità/ è anche lui un bastardino/ venuto al mondo così/ solo perché è bello far l’amore in un prato.”

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Sempre di un parto parla Vivian nella poesia che direttamente allude alle sue

origini trentine e all’adozione, Famm fa un gir in bicicletta, dedicata al padre

naturale E.M., che in nota racconta di aver visto una sola volta a 26 anni: famm

vedè […] ‘l prà te preghi/ indové t’he amà la mama/ che poeu sun rivada mi/ e

te set sparì.476 Così l’abbandono vissuto da Vivian, con la precedente

sparizione del padre naturale, è accaduto anche a Brigante, già presentato come

un bastardino, che una volta nato gh’è pù la mama/ gh’è pù ‘l papà.477

Conclude però la poesia la sintesi e la saggia concretezza tutta dialettale: fa

nient/ adèss l’è grand/ ‘l gh’à ‘l so de fa.478

Un altro abbandono è vissuto da Vivian a quattro anni, quando morì il suo

secondo padre (in ordine di numero, ma primo), quello che, seppur per poco

tempo, però con lei rimase e rivestì il suo ruolo genitoriale. In Tiravet ‘l pes è

rappresentato mentre pratica sport osservato dalla piccola figlia, introducendo

poi il tema della morte, altro argomento da sempre frequentato dall’autrice, in

Teresino ma soprattutto nelle raccolte successive, tra tutte Una quieta polvere e

Poesie per un gatto. Il gioco analogico della poesia per il cane Brigante è qui

riproposto, ma con l’immagine del peso lanciato, che per colpa di un soffio di

vento non è lui ad essere spinto lontano, bensì il padre ad essere portato via, in

alto, come quel peso che il papà poco prima lanciava:

te tiravet ‘l pes in d’un prà […] quand ‘l pes ‘l rivava giò in tèrra mi curevi cuntenta a ciapàl poeu tutt a ‘n tratt l’a boffà ‘l vent/ e ‘l pes… … ‘l pes ‘l t’a purtà via ‘l t’a purtà in alt in alt luntan mi lì a spetà cont ‘l nas par aria mi lì a ‘spetà ‘speti ancamò

476 V.L., Famm fa un gir in bicicletta, ivi, p.48; Trad.: “Fammi vedere […] il prato ti prego/ dove hai amato la mamma/ che poi sono arrivata io/ e sei sparito tu.” 477 V.L, Brigante, ivi; Trad.: “Non c’è più la mamma/ non c’è più il papà.” 478 Ibidem; Trad.: “Fa niente/ adesso è grande/ ha il suo da fare.”

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sun semper là.479

Penultimo componimento della raccolta, la storia del papà Dante introduce il

testo che chiude la raccolta, Ier sera me sunt indurmentada. Proponendo il

racconto di un mancato risveglio la mattina, l’autrice gioca sulla somiglianza

tra dormire e morire. Ier sera me sunt indurmentada/ e stamatina me sun

svegliada pù480: considerando che chi dorme si può svegliare, ma chi è morto

no, proprio della sua immaginata fine parla Vivian, come già negli ultimi

componimenti di L’amore mio è buonissimo, di Il tuo posto vuoto e di Il primo

mio amore erano due. Come nelle tre sezioni poetiche di Teresino, anche qui

viene chiamata in causa un’altra persona, la quale non avendo voluto ascoltare

da subito quel che Vivian aveva da dirle, ormai non potra più sapere cosa

fosse:

Vulevi tant cuntat ‘na roba l’era inscì mai bèlla inscì bèlla e adess chissà ‘sse l’è.481

L’interlocutore assente, l’altro a cui Vivian cercava in Teresino di far capire

quanto pesante fosse la sua mancanza, arrivando ad immaginarsi la reazione in

caso della propria morte, è l’amore mio buonissimo, o, in La gentilèssa, l’amur

a cui l’innamorata dice: nessun amur l’è pussè bèl de ti.482 Cambia la lingua

adottata dalla poesia ma non cambia la storia d’amore non corrisposto e

insistentemente cercato dall’innamorata che Come ‘n gatt, una volta che ha

finalmente trovato qualcuno che gli ha mostrato un po’ d’affetto, non fa altro

che stargli vicinissimo,

‘l ghe s’è tacà pègg d’un cerott

479 V.L., Te tiravet ‘l pes, ivi, p.54; Trad.: “Tiravi il peso in un prato/ […] quando il peso toccava terra/ correvo felice a prenderlo/ poi tutt’a un tratto/ soffiò il vento/ e il peso…/ … il peso ti portò via/ ti portò via/ ti portò alto/ in alto lontano/ io lì ad aspettare/ con il naso per aria/ io lì ad aspettare/ aspetto ancora/ sono sempre là.” 480 V.L., Ier sera me sunt indurmentada, ivi, p.56; Trad.: “Ieri sera mi sono addormentata/ e stamattina non mi sono svegliata più.” 481Ibidem; Trad.: “Volevo tanto raccontarti una cosa/ era così bella/ così bella/ e adesso chissà cos’è.” 482 V.L., ‘Sto liber, ivi, p.30; Trad: “Nessuno amore è più bello di te.”

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‘l ghe va semper dré e miau de chì e miau de lì ‘l taca la matina e’l smett nanca de nott lù ne po propi pù e ‘l se dumanda ma perché propri a mi stu gatt?483

La ricerca di affetto e l’amore non corrisposto si sintetizzano qui, ma sono

presenti in tutti i brani della prima sezione della raccolta. L’immagine dei gatti

ritorna in un altro componimento, Stasera ‘l coeur, nel quale non si racconta

più dell’esasperazione del padrone che ha sempre l’affezionato e riconoscente

gatto in mezzo ai piedi, bensì del dolore di quel gatto, o meglio di Vivan per

l’assenza dell’amato. In questo caso, la metafora viene introdotta nella seconda

parte del brano, per giustificare le grida di dolore del proprio cuore, che son

così forti che la gente si chiede ma ‘sse l’è tutt quest vusà?484 Così

l’innamorata ferita si inventa la scusa dei gatti nei quali però riflette tutte le

ragioni del suo male d’amore: ‘l sarà ‘n quai gatt inamurà/ che la soa gatta

chissà indue l’è/ […] a fa l’amur cont un alter gatt?485

Stanca di scrivere letterine e bigliettini all’amore mio buonissimo, la dialettale

Vivian reagisce in Lettere lettere, buttando via tutto, o meglio svendendole,

vendi i me lètter gratis/ chi voer cumprai?486 Torna però alla fine la solita

ricerca d’attenzioni e d’affetto, che fa apparire la vendita come la conseguenza

di un litigio, nel quale le sia stato rinfacciato di essere com ‘n gatt, troppo

insistente e invadente: gh’è dumà de dervì i bust/ de tirà foeura i foeuj e lègg/

(ma se po anca saltà ‘n tòcch)/ insoma ‘na roba svelta/ se lègg se strascia fine/

basta pocch a cuntentàm.487 In Gajna malada la sofferenza è invece vissuta in

un modo più riservato e personale, e il motivo di tanto dolore è sempre

ricollegabile alla sofferenza d’amore, questa volta per una cosa scrittale da lui,

483 V.L., Come ‘n gatt, ivi, p.34; Trad.: “Gli si è attaccato peggio di un cerotto/ gli va sempre dietro/ e miao di qui e miao di lì/ lui non ne può proprio più e si domanda/ ma perché proprio a me questo gatto?” 484 V.L., Stasera ‘l coeur, ivi, p.28; Trad.: “Ma cos’è tutto questo gridare?” 485 Ibidem; Trad.: “Sarà qualche gatto innamorato/ che la sua gatta chissà dov’è/ […] a far l’amore con un altro gatto?” 486 V.L., Lètter lètter, ivi, p.32; Trad.: “Vendo le mie lettere gratis/ chi vuole comprare?” 487 Ibidem; Trad.: “C’è solo da aprire le buste/ tirar fuori i fogli leggere/ (ma si può anche saltarne un pezzo)/ insomma una cosa facile/ si legge si straccia fine/ basta poco a farmi contenta.”

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forse proprio La lèttera che apre la sezione e che Vivan preferisce non leggere,

ma tenere sigillata gustando la bellezza del proprio nome come destinatario. A

quanto pare però alla fine la busta è stata aperta e la lettera letta:

Da quel dì che te m’è scritt insc m’è capità ‘n quaicoss me interèssa pù nient l’è minga giust se fa no inscì ma me interèressa pù nient.488

Piange Vivian l’amore non corrisposto nella seconda sezione della raccolta,

nella poesia Milàn brutta bèlla, dove, rivolgendosi alla città, le chiede di

lasciarla andar via, di non trattenerla, perché ‘l me amur ‘l m’ama no/ ‘l me

amur ‘l m’ama no/ Milàn gh’u ‘l magun ‘me ‘na donna.489

E’ sempre una lettera a introdurre questa volta il tema del sogno e

dell’immaginazione in La gentilèssa, argomento che tra le altre poesie della

raccolta del 1981 aveva guidato i giochi dell’onirico poemetto Teresino. In La

lèttera, è proprio la fantasia l’escamotage per superare il doloroso contenuto

del testo ricevuto da Vivian, che così decide semplicemente di non aprire la

lettera e invece godere del proprio nome scritto sulla busta dalla mano

dell’amato apposta per lei. Si permette così di immaginare quello che vuole,

magari di aver ricevuto una lettera d’amore, o con almeno qualche parola

affettuosa:

quel che gh’è denter scritt mi l’ su giamò l’induvini e alura, alura l’è mei dervìla no savè nient, lassà stà e poeu l’è inscì bèlla ‘sta busta duprada da ti solament per mi […] che bèlla ‘sta busta bianca

488 V.L., Gajna malada, ivi, p.22; Trad.: “Dal giorno/ che m’hai scritto così/ mi è successo qualcosa/ non m’interessa più niente/ non è giusto non si fa così/ ma non m’interessa più niente.” 489 V.L., Milàn brutta bèlla, ivi, p.40; Trad.: “Il mio amore non mi ama/ il mio amore non mi ama/ Milano ho il magone come una donna.”

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scritta da ti propri propri a mi.490

La stessa situazione e una simile soluzione si ritrova in Pèss fritt, dove

inutilemente Vivian aspetta da tutto il giorno la telefonata dell’amato, che però

non chiama, e così me mèti a fa mi fort fort drin drin/ pussé fort driiin come

‘na disperada/ e poeu disi pronto pronto e varda/ te set propi ti che te me diset

come la va?491 Esplicitamente di sogno si parla in Stanott u sugnà, dove è

sempre lei a sognare, questa volta in un sogno notturno, che l’innamorato le

insegni a scrivere e leggere, abilità per lei importantissime e amate, in quanto

scrittrice:

Stanott u sugnà che te me ‘mparavet a lègg e a scriv e mi bona bona te dumandavi […] mi scultavi inamurada e, oh che bèl sugnà che l’era che bèl sugnà.492

Di un altro tipo è invece il sogno di Famm fa un gir in bicicletta, dove Vivan si

immagina col padre naturale a sei anni, intavolando un ipotetico dialogo nel

quale lei prega lui di portala a fare un giro in bici ma nessuna delle premesse è

a favore della realizzazione del desiderio della figlia.

Con questa poesia, l’autrice ripropone il tema del guardare, anch’esso già

affrontato in Teresino, in cui spesso Vivan si descriveva semplicemente intenta

a guardare l’amato, o la figlia che giocava o la natura. In Stanott u sugnà tale

l’argomento viene proposto nella dimensione amorosa:

Fasevi finta de savè nient per restà lì inscì a vardat

490 V.L., La lèttera, ivi, p.18; Trad: “Quel che c’è dentro scritto lo so già/ l’indovino e allora, allora è meglio non aprirla/ non sapere niente, lasciare stare/ e poi è così bella questa busta/ adoperata da te solo per me/ […] che bella questa busta bianca/ scritta da te proprio proprio a me.” 491 V.L., Pèss fritt, ivi, p.20; Trad.: “Mi metto a fare io forte forte drindrin/ più forte driiin driiin come una disperata/ e poi dico pronto pronto e guarda/ sei proprio tu che mi dici come va?” 492 V.L., Stanott u sugnà, ivi, pp.24,26; Trad.: “Stanotte ho sognato/ che m’insegnavi a leggere e scrivere/ e io buona buona ti domandavo/ […] io ascoltavo innamorata e, oh che bel sognare che era/ che bel sognare.”

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[…] E mi scultavi inamurada la tua bèlla vùs pazienta e vardavi incantada i to bei man espressiv che disegnaven ne l’aria […].493

Guarda con affetto e ammirazione il papà la bambina Vivian, di cui si racconta

in Te tiravet ‘l pes: e mi stavi lì silenziusa a vardàt/ te seret tutt cuncentrà/ […]

quand ‘l pes ‘rivava giò in tèrra/ mi curevi cuntenta a ciapàl.494 All’altro papà

invece Vivan chiede di mostrarle i suoi luoghi natii, quelli nei quali avrebbe

vissuto se non fosse stata adottata: famm vedè finalment/ ‘l paes de muntagna

indove sun nassuda.495 Persino all’ospedale se ‘l mal fa minga tropp mal496

Vivian è contenta, perché c’è un continuo movimento che lei può ammirare in

tutta tranquillità:

che bèl vardà ‘l via-vai de la gent che passa i ‘nfermier, i dutur dei banc e vardàss i man giustàss ‘l lenzoeu parlutà cui visìn de lètt…[…] e a durmentàss l’è già matina spalanchen i finester497,

proponendo così un’altra immagine cara alla poesia di Teresino, la finestra.

E’ proposto in L’ospedaa un altro spunto tematico già della raccolta del 1981 e

in generale caro all’autrice: l’infanzia. In questo componimento tale

dimensione entra in gioco per l’affetto e le attenzioni che si ricevono da

bambini, ma che da adulti sono riservate solo a certe situazioni particolari,

come quando si sta male, per esempio. Vivian ama tutte le attenzioni

dell’ospedale per i pazienti ma soprattutto le visite dei familiari:

493 Ibidem; Trad.: “Facevo finta di non saper niente/ per restare lì a guardarti/[…] E io ascoltavo innamorata la tua bella voce paziente/ e guardavo incantata le tue belle mani espressive/ che disegnavano nell’aria […].” 494 V.L., Te tiravet ‘l pes, ivi, p.54; Trad.: “E io stavo in silenzio a guardarti/ eri tutto concentrato/ […] quando il peso toccava terra/ correvo felice a prenderlo.” 495 V.L., Famm fa un gir in bicicletta, ivi, p.48; Trad.: “Fammi vedere finalmente/ il paese di montagna dove sono nata.” 496 V.L., L’ospedaa, ivi, p.38; Trad.: “Se il male non fa troppo male.” 497 Ibidem; Trad.: “Che bello guardare il via-vai della gente che passa/ gli infermieri/ i dottori belli bianchi/ e guardarsi le mani/ aggiustarsi il lenzuolo/ parlottare coi vicini di letto… […] e se ti addormenti è già mattina/ spalancano le finestre.”

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‘l cumudin bianc in part cun sura ‘l zuccher i biscott la bottiglia d’acqua mineral […] Cinq’ur, rìven i visit la mama ‘l marì i amis me disen di bei robb gentil i nuvità de la cà ‘l temp che ‘l fa de foeura che bei facc surident me suriden financa i parent di alter lètt.498

Lo stesso piacere per le attenzioni ricevute che ricorda un po’ la sensazione di

amore provata da piccoli è descritta nella poesie cha dà il titolo alla raccolta:

come me pias a mi la gentilèssa come me pias diventi matta duu parulitt al moment giust ‘n attenzion minimissima de nient ‘l foo parè no ma diventi matta me ride nel coeur i oeucc e financa i occiaj come l’è bèlla la gentilèssa come l’è gentil la me fa tant ben ma tant denter de mi che diventi matta.499

La gentilezza e la protezione materna è invece ricercata in Gajna malada,

quando il regredire allo stato infantile sembra l’unica possibile pensiero che

riesca a calmare la sofferenza: […] col crapin sotta l’ala che bèl scur/ che bèl

caldin ch’el fa/ par de vèss un poresin denter la mama.500

Nelle due poesie dedicate ai due padri, Vivian si ritrae invece proprio bambina,

di circa quattro anni in Te tiravet ‘l pes, mentre si immagina a sei anni nel

dialogo insistente col padre E.M. nella realtà incontrato solo una volta, ormai

adulta con vent’anni in più che nella finzione poetica:

498 Ibidem; Trad.: “Il comodino bianco in parte/ con su lo zucchero i biscotti/ la bottiglia dell’acqua minerale […] Le cinque! arrivano le viste la mamma il marito gli amici/ mi dicono delle belle cose gentili/ le novità della casa/ il tempo che fa fuori/ che belle facce sorridenti/ mi sorridono persino i parenti degli altri letti.” 499 V.L, La gentilèssa, ivi, p.44; Trad.: “Come mi piace a me la gentilezza/ come mi piace divento matta/ due paroline al momento giusto/ un’attenzione minimissima da niente/ non lo faccioi vedere ma divento matta/ mi ridono il cuore gli occhi/ e persino gli occhiali/ come è bella la gentilezza/ come è gentile/ mi fa così tanto bene/ dentro di me/ che divento matta.” 500 V.L., Gajna malada, ivi, p.22; Trad.: “[…] col crapino sotto l’ala che bel buio/ che bel caldino che fa/ sembra di essere un pulcino dentro la sua mamma.”

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famm fa un gir in bicicletta dài papà. Sto ferma ferma moevi no i gamb mèti no i pè in di roeud parli no famm fa un gir in bicicletta gh’oo ses an pesi minga tant, papà.501

I due papà richiamano l’immagine delle due mamme che aveva occupato molti

dei componimenti di Teresino introducendo così anche in La gentilèssa il tema

del doppio. Il rapporto coi padri però è meno problematico, sebbene non meno

doloroso: il padre E. non è praticamente mai stato conosciuto, e infatti in nota

l’autrice spiega che per lei l’unico padre è stato Dante, il secondo padre in

ordine di numerazione, ma primo tra i due nella scala affettiva e come

esperienza di relazionalità padre-figlia, non avendo nessun ricordo del padre

naturale.

Nella raccolta in dialetto milanese il doppio si sviluppa maggiormente nella

dimensione dei contrari e degli opposti, come la vendita delle lettere gratis in

Lètter lètter, il male che non fa troppo male di L’ospedaa, la descrizione di

Brigante tutta basata sulle somiglianze con qualcuno, per poi concludere che

però quand el me se durmenta beatt in brasc/ alura ‘l ghe sumèia pù a

nissun502, o il peso lanciato da papà Dante, che prima ‘l rivava giò in tèrra,503

ma poi ‘l pes t’a purtà in alt/ in alt luntan504 ossia compiendo un movimento

esattamente opposto a quello solito. La poesia che più di tutti propone tale

tematica è però Milàn brutta bèlla, che già nel titolo contiene un ossimoro, che

si ripete più volte nel testo, accanto al non amore del proprio amore che quindi

fa soffrire Vivian e le fa dire più volte che se ne vuole andare, mentre però

continua a restare:

501 V.L., Famm fa un gir in bicicletta, ivi, p.48; Trad.: “Fammi fare un giro in bicicletta/ dài papà./ Sto ferma ferma/ non muovo le gambe/ non metto i piedi nelle ruote/ non parlo/ fammi fare un giro in bicicletta/ ho sei anni/ non peso mica tanto dai papà.” 502 V.L., Brigante, ivi, p.52; Trad.: “Quando mi si addormenta beato in braccio/ allora non assomiglia più a nessuno.” 503 V.L., Te tiravet ‘l pes, ivi, p.54; Trad.: “Quando il peso toccava terra.” 504 Ibidem; Trad.: “Il peso ti portò via/ ti portò in alto.“

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Milàn brutta bèlla ne poeudi pù vu via te set giamò scuntrusa periferia Milàn brutta bèlla te lassi Milàn lassem andà Milan brutta bèlla lassem andà ‘l me amur ‘l m’ama no ‘l me amur ‘l m’ama no Milàn gh’u ‘l magun ‘me ‘na donna lassem andà, ciama no, tirem no pe ‘l brasc lassem andà Milàn bèlla/ lassem andà.505

4. Narratore e interlocutori

Autobiografica è anche la raccolta La gentilèssa: la propria esperienza di vita è

raccontata dall’autrice in prima persona, enfatizzando ulterioremente una

modalità narrativa già introdotta nelle altre raccolte.

A un tu sono rivolti i suoi discorsi in versi, ma l’interlocutore è muto e mai

presente quando si tratta dell’amato, che già era stato rappresentato

efficacemente in questo modo nella sezione Il tuo posto vuoto di Teresino.

Sono invece in scena i due padri, ma il brano poetico propone solo la parte di

dialogo pronunciata da Vivian, così come monodirezionale sembra essere il

discorso rivolto alla città Milano.

In Stanott u sugnà l’autrice scrive che l’amato le spiegava come scrivere le

letter e sorrideva, e gesticolava mentre parlava, riportando anche un suo

discorso nel quale lui pronuncia addirittura il nome di lei: te me disevet asculta

Vivian…506 e i puntini di sospensione danno il via a un elenco di lettere con

annesse immagini raccontate dall’amato sognato per spiegare come scrivere.

Un altro discorso indiretto è proposto in Visin a San Lurenz, dove questa volta

505 V.L., Milàn brutta bella, ivi, p.40; Trad.: “Milano brutta bella/ non ne posso più vado via/ sei già scontrosa periferia/ Milano brutta bella ti lascio/ Milano lasciami andare/ Milano brutta bella/ lasciami andare/ il mio amore non mi ama/ il mio amore non mi ama/ Milano ho il magone come una donna/ lasciami andare non chiamare non tirarmi per il braccio/ lasciami andare Milano bella/ lasciami andare.” 506 V.L., Stanott u sugnà, ivi, p.24; Trad.: “Mi dicevi/ ascolta Vivian…”

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è riportato un discorso diretto, segnalato dalla punteggiatura nella prima parte

del discorso della signora:

“La sa” la diseva “a vint’an vendevi i fiur” e semper mi fermavi e ghe dumandavi che fiur? e lè la diseva i viulètt visin a San Lurenz.507

Le parole della gente allo strano rumore che proviene dal cuore di Vivian in

Stasera ‘l coeur sono proposte anch’esse allo stesso modo, ‘l vusava tant che la

gent se dumanda/ ma ‘sse l’è tutt quest vusà?508, come parole dette tra sé e sé

sono quelle pronunciate dall’uomo cui ‘n gatt s’era tanto affezionato: lù ne po

propri pù e ‘l se dumanda/ ma perché propri a mi stu gatt?509

5. Metro

A differenza delle brevi poesie di Teresino e di molti dei componimenti delle

altre raccolte della poetessa, in La gentilèssa il metro scelto è più corposo,

sebbene mai tocchi in numero di versi dei tre poemetti dell’autrice. I testi più

brevi si trovano nella seconda sezione della raccolta, escludendo la prima

poesia, ma di soli otto versi è anche Ier sera me sunt indurmentada. Al

contrario i componimenti più lunghi sono Stanott u sugnà e Brigante coi loro

trentaquattro versi, a cui vanno aggiunti i due dell’epigrafe dedicata

dall’autrice al proprio cane nella seconda delle due poesie, mentre quasi

altrettanto estesa è L’ospedaa. Nessuna di queste poesie è però organizzata in

strofe, divisione che viene invece applicata in testi di dimensioni più ridotte,

come in Milàn brutta bèlla composta nella prima parte da cinque versi e nella

seconda da otto, o in Te tiravet ‘l pes relativamente di undici e otto versi.

507 V.L., Visin a San Lurenz, ivi, p. 42; Trad.: “Lo sa diceva/ a vent’anni vendevo fiori/ e sempre mi fermavo/ e le domandavo che fiori?/ e lei diceva violette/ vicino a San Lorenzo.” 508 V.L., Stasera ‘l coeur, ivi, p.28; Trad.: “Grida così tanto che la gente si domanda/ ma cos’è tutto questo gridare?” 509 V.L., Come ‘n gatt, ivi, p.34; Trad.: “Lui non ne può proprio più e si domanda/ ma perché proprio a me questo gatto?”

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Delle sedici poesie di cui si compone la raccolta, solo cinque sono divise in

strofe, e in questi casi sempre il testo si articola in due parti.

Il verso della poesia dialettale della Lamarque, rispetto al resto della sua

poesia, presenta una minor varietà, rispettando una disposizione metrica più

accostabile alla lirica, ed evitando quindi di proporre i lunghi versi de L’amore

mio è buonissimo o de Il signore d’oro e de Il signore degli spaventati, sebbene

siano inseriti versi anche di quasi una ventina di sillabe in brani come Pèss fritt

o L’ospedaa, così come di brevissimi se ne leggono in altri, si pensi alle due

sillabe di Te tiravet ‘l pes al v.11, e ‘l pes…, o di Come ‘n gatt al v.4, de nott.

Va però considerata la grande differenza quantitativa che intercorre tra la

produzione dialettale dell’autrice e quella in lingua italiana, che non permette

quindi di fare veri e propri paragoni per quanto riguarda la rispettiva varietas

metrica.

6. Fonti

-Milano e il dialetto milanese, una tradizione poetica che da Giovanni Antonio Biffi arriva a Franco Loi. Come ti inserisci in questo florilegio? -Mi sono inserita, come mio solito, illegittimamente […]. Non sono milanese, ma Milano è la mia città d’adozione (in senso letterale, i miei genitori adottivi abitavano lì). La sua lingua era nell’aria, l’ho respirata soprattutto negli Anni Cinquanta, allora la parlavano in molti nelle strade, nei negozi, nei cortili, mi è entrata dentro quietamente, è stata lì ferma, buona buona, poi tra il 1972 e il 1975 […] si è mossa e, senza averle minimamente “programmate”, una quarantina di poesie in dialetto si sono infilate tra le altre centinaia […]. Negli anni successivi non si sono fatte più vive, non ne ho scritte più.510

Non si ricollega quindi alla tradizione dialettale della poesia di Milano, anzi,

espressamente la Lamarque dichiara di avere utilizzato tale lingua senza una

scelta stilistica consapevole.

Come a dire che non nascono, da parte di un’autrice che sempre ci ha saputo incantare e coinvolgere con la limpidezza della sua lingua, dall’esigenza di rinnovarsi manipolando con bravura un’altra lingua, un dialetto ormai usato da pochissimi (o forse dal solo Franco Loi), in poesia.

510 M.B.Tolusso, Intervista di Mary Barbara Tolusso a Vivian Lamarque, in V.Lamarque, La gentilèssa, cit., p.61

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Sono dunque di lingua italiana le poesie che più hanno influenzato la scrittura

dialettale della Lamarque, e sono Rodari, Zanzotto e Pascoli gli autori che

ritornano maggiormente in questa produzione parallela e tematicamente affine

alla raccolta Teresino.

E’ il fanciullino pascoliano che permette all’autrice di farsi cambiare la

giornata semplicemente da una gentilezza ricevuta,

Come me pias a mi la gentilèssa come me pias diventi matta duu parulitt al moment giust ‘n attenzion minimissima de nient […]511

o di essere felice solo nel leggere il proprio nome sulla busta di una lettera

ricevuta:

511 V.L., La Gentilèssa, ivi, p.44; Trad.: “Come mi piace a me la gentilezza/ come mi piace

divento matta/ due paroline al momento giusto/ un’attenzione minimissima da niente[…].”

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con la soa busta bianca e ‘l bullin culurà

con denter ben piegà el foeuj

in alt Milan, la data

e sott la parola “cara”

cara e ‘l me nom visìn […].512

Ritornano i modi fiabeschi di Rodari ad esempio in Stanott u sugnà,

nell’elenco delle lettere dell’alfabeto, come in una delle filastrocche didattiche

delle scuole elementari:

A come i al di rundin che vulen su nel ciel B come i banc de la scola cont i scolaritt C come i bei cà cont ‘l tètt ross […]513 Andrea Zanzotto è invece rintracciabile per la sua ricerca sul linguaggio, nella

quale giunge anch’esso all’uso del dialetto, recuperando anche i modi del

linguaggio infantile con il petèl, composto da balbettii ed onomatopee. Così

anche la Lamarque per esempio in Stanott u sugnà mima il suono delle

zanzare, ne l’aria ‘l zzz zzz di zanzar…, come in L’Ospedaa riproduce il

tintinnio del termometri portati ai pazienti dagli infermieri, din-din. Un

discorso simile si potrebbe fare anche per l’utilizzo del dialetto milanese, scelta

che però l’autrice stessa rivela non programmatica, ma spontanea, quindo non

collegata a una ricerca stilistica come quella di Zanzotto, ma comunque

valorizzando l’uso giocoso e creativo del linguaggio che favorisce

l’espressività: poeu snifa de chì/ snifa del là/ gh’è più la mama/ gh’è più ‘l

papà.514

512 V.L., La lèttera, ivi, p.18: Trad.: “Con la sua bella busta bianca e il francobollo colorato/ con dentro ben piegato il foglio/ in alto Milano e la data/ sotto la parola “cara”/ cara e il mio nome vicino […].” 513 V.L., Stanott u sugnà, in ivi, p.24; Trad.: “A come le ali delle rondini che volano nel cielo/ B come i banchi della scuola con dentro i bambini; C come le case con il tetto rosso rosso […].” 514 V.L., Brigante, ivi, p.50; Trad: “Poi cerca di qui/ cerca di là/ non c’è più la mamma/ non c’è più il papà.”

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CAPITOLO VIII

LA LINGUA E LO STILE

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1. Lo stile

Parlando del genere di poesia da lei composta l’autrice spiega:

Sì, appartengo anch’io alla vasta vastissima famiglia poetica dei poeti autobiografici, certo tutti in qualche modo lo sono, ma noi più apertamente dichiaratamente spudoratamente. Ho iniziato a scrivere poesie nell’infanzia (e anche in questo sono in numerosa compagnia), in un momento cruciale della mia esistenza, quando a dieci anni scoprii che la mamma con cui vivevo era una mamma adottiva, che da qualche parte ne esisteva un’altra, quella biologica che mi aveva messa al mondo. Tenni il segreto per me, ma che fatica, alla Vivian “muta” giunse in soccorso il sollievo della penna.

E conclude: Chi prende la penna in mano perché non può farne a meno, nasce

come poeta autobiografico.515

Nei suoi componimenti l’autrice infatti racconta della sua storia personale,

soffermandosi innanzitutto sulle tappe fondamentali dell’adozione e dei primi

anni vissuti a Milano, segnati dalla morte del “nuovo” padre. Della propria

infanzia la Lamarque scrive nella prima sezione di Teresino e di Una quieta

polvere, ma mentre nella prima raccolta il focus tematico è principalmente

sull’adozione e sulla madre

A nove mesi la frattura la sostituzione il cambio di madre Oggi ogni volto ogni affetto le sembrano copie cerca l’originale in ogni cassetto516,

nel 1996 è tutta la famiglia ad essere cantata, compreso l’incontro da adulta coi

fratelli e col padre naturale,

Quei bambini in cortile potevo essere io quei fili per stendere

515 Mia intervista a Vivian Lamarque, maggio 2012 516 V.Lamarque, A nove mesi, in Teresino, Società di Poesia & Guanda, Milano 1981, p.9

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guardati parlando di madri somiglianze secondo te secondo me però non tanto tranne le mani, così uguali […]517.

E’ invece nella raccolta dialettale che vengono portate davvero in primo piano

le due figure paterne, ai quali infatti sono dedicate due poesie: Famm fa un gir

in bicicletta e Te tiravet ‘l pes. Di questa prima parte della vita dell’autrice è

però la madre la figura chiave, presenza continua della sua poesia, persino nei

componimenti della psicanalisi, dove infatti scrive amante neonata/ succhia

l’uomomamma perdutamente/ ecco il latte buono[…]518.

Alla figura matena segue quella del marito Paolo, l’amore mio della seconda

sezione di Teresino, denominazione che si ritrova anche nel poemetto Questa

quieta polvere: l’amore mio è buonissimo519; all’amore mio io voglio tanto

bene/ tantissimo520; che l’amore mio essendo bellissimo/ l’abbiano rapito degli

Dèi invidiosi?521 Nella prima sezione di Una quieta polvere il marito veste

anche i panni del padre, quando papà fa Carosello/ come ridi/ come ridi./

Lasciati guardare figlia mia/ -alt-/ così.522, così come in Il tuo posto vuoto,

quarta sezione di Tersino, nella quale però si racconta del momento della

separazione, che viene inserita anche in Una quieta polvere, ma con meno

insistenza e sofferenza (vista anche la distanza cronologica dall’evento):

Il tuo posto vuoto a tavola parla racconta chiacchiera ride forte non sta mai fermo si alza ritorna mangia avanza sempre un boccone ritaglia forme di animali il tuo posto vuoto a tavola a destra di Miryam è di fronte a me523

517 V.L., Conoscendo l’altro fratello, in Una quieta polvere, Mondadori, Milano 1996, p.28 518 V.L., Amante neonata, in Poesie dando del Lei, Garzanti, Milano 1989, p.23 519 V.L., L’amore mio è buonissimo, in Teresino, cit., p.13 520 V.L., All’amore mio io voglio tanto bene, ivi, p.13 521 V.L., Questa quieta polvere, in Una quieta polvere, cit., p.74 522 V.L., Quando papà, ivi, p.40 523 V.L., Il tuo posto vuoto, in Teresino, cit., p.37

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Non mi ero separata padre madre figlia la famiglia continuava unita oh il percorso bello della vita524.

L’argomento diventa qui l’assenza dell’amato, assenza invadente in tutta la

seconda parte della raccolta Teresino oltre che de La gentilèssa:

Milàn brutta bèlla lassem andà ‘l me amur ‘l m’ama no ‘l me amur ‘l m’ama no525.

Segue il lungo periodo di analisi durante il quale l’autrice vive un forte

transfert per il suo terapista, il Dottor B.M. L’amore impossibile e lontano per

lui è protagonista assoluto delle tre raccolte Il signore d’oro, Il signore degli

spaventati e Poesie dando del Lei, a cui va aggiunta la sezione Poesie dando

del Lei (altre):

Era un signore bello e meraviglioso./ Vicino a lui non si poteva stare sempre sempre, bensì mai./ Lui, il Lontano, viveva dispettoso con la sua famiglia, in un altro luogo.526 ;

Credevo non mi amasse perché è vietato forse invece non mi ama perché non è innamorato.527

Altra tematica fondamentale della poesia autobiografica dell’autrice, ma

soprattutto della sua vita reale, è la figlia Miryam da piccola, dedicataria della

sezione Ho una bella bambina nella raccolta Teresino, oltre che di molte delle

poesie di Una quieta polvere, sempre nella prima sezione dedicata alla

famiglia:

Oggi torna dal mare la mia gallinella bianca

524 V.L., Sogno d’oro (II), in Una quieta polvere, cit., p.41 525 V.L. Milàn brutta bèlla, in La gentilèssa, Stampa, Varese 2009, p.40; Trad.: “Milano brutta bèlla/ lasciami andare/ il mio amore non mi ama/ il mio amore non mi ama.” 526 V.L., Il signore mai, in Il signore d’oro, Crocetti, Milano 1986, p. 9 527 V.L., Credevo non mi amasse, in Poesie dando del Lei, cit., p.54

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con le sue due ali che non sanno volare e le piume leggere e spettinate e i due occhi attenti a dove meglio beccare.528;

Mia figlia dice che le piacerebbe chiamarsi “calzina”. Di che colore? Saltando sul piede già cambia di stanza rispondendo rossa! e a righe! mamma!529

Negli Inediti pubblicati nel 2002, l’autrice dedica altri componimenti alla

figlia, ricordandola ancora bambina, ma descrivendola anche da adulta, ormai

mamma di Micòl e sposa di Giorgio: La mia bambina ha un lungo collo/ come

i bianchi cigni./ E come loro chiede con eleganza/ cibi e sguardi. […]530; Per

le nozze di Miryam e Giorgio/ (sei sei del novantasei);

Alt, fermati tempo qui sull’oro dei capelli, sull’argento della nota, su Micòl che guarda la madre, tieni tempo lunga la nota sospesa nell’aria, tieni tonde per l’eternità le guance della figlia, e della figlia della figlia che soffia come la mamma e ride come il papà […]531.

La figlia adulta e suo marito Giorgio ritornano anche in Poesie per un gatto,

sebbene rimanendo in secondo piano: -La mia bambina Miryam…/ -Bambina?

ma se è più alta di te./ -Non mi contraddire gatto/ l’età dei figli si sa non ha

età.532; -Ignazio Miryam si è sposata!/ -Beata lei con chi?/ -Con

Giorgio.[…]533; -E Giorgio?/ -E’ tanto che non mi lancia sul divano./ -Ti

lamentavi tanto…534

528 V.L., Alla mia figlia gallinella, in Teresino, cit., p.45 529 V.L., Calzina, in Una quieta polvere, cit., p.37 530 V.L., Alla mia bambina, in Poesie 1972-2002, Mondadori, Milano 2002, p.240 531 V.L., A Miryam che suona il clarinetto, ivi, p.241 532 V.L., La mia bambina Miryam, in Poesie per un gatto, Mondadori, Milano 2007, p.52 533 V.L., Ignazio Miryam si è sposata!, ivi, p.67 534 V.L., E Giorgio?, ivi, p.79

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Anche la narrazione della nascita della nipotina Micòl ripropone la tematica

familiare. Di lei si legge solamente negli Inediti, essendo la bambina nata nel

2000: della bella estate nascevano neonati color/ di certi mattini leggermente/

rosati come la nuova Micòl535;

Buongiorno vita, vita/ nuova nata. Il latte è pronto e un padre e quasi tutto il resto. Brindo con i gerani e con la clivia in fiore. Dose d’acqua doppia a tutti oggi!536.

Spiega l’autrice, introducendo la trattazione della morte, che questo è il tema

che più mi sta a cuore in questi ultimi anni (ma anche prima, fin dagli inizi),

gli addii delle persone, gli addii alla vita.537 Accennata nella prima raccolta del

1981, e ne La Gentilèssa, la tematica attraversa la trilogia per il Dottor B.M.,

concentrandosi nelle ultime poesie delle tre opere, per diventare invece

protagonista in Una quieta polvere (principale argomento del poemetto Questa

quieta polvere e della sezione Come fiori), oltre che nella raccolta Poesie per

un gatto dove narrando della morte di Zarina si affronta proprio il tema degli

gli addii delle persone, gli addii alla vita538, così come nel poemetto L’albero e

in molte delle Poesie dedicate: Chissà se l’amore mio ci sarà/ quando sarò in

punto di morte/ mi piacerebbe tanto di sì/ e che mi stesse vicino vicino539; Ier

sera me sunt indurmentada/ e stamatina me sun svegliada pù540; Ne è da poco

passata la morte/ che il suo viso già sfuma nella tua memoria541;

L’ultima volta che la vide non sapeva che era l’ultima volta che la vedeva. Perché? Perché queste cose non si sanno mai. Allora non fu gentile quell’ultima volta? Sì, ma non a sufficienza per l’eternità.542;

535 V.L., L’albero, in Poesie 1972-2002, cit., p.222 536 V.L., A Micòl, ivi, p.241 537 Mia intervista a Vivian Lamarque, maggio 2012 538 Ibidem 539 V.L., Chissà se l’amore mio ci sarà, in Teresino, cit., p.13 540 V.L., Ier sera me sunt indurmentada, in La gentilèssa, cit., p.56 541 V.L., Ne è da poco passata la morte, in Poesie 1972-2002, cit., p.34 542 V.L., La signora dell’ultima volta, in Il signore d’oro, cit., p.85

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La prima estate che non potrò partire vada Lei lontano guardi Lei le belle cose create per le mie palpebre addormentate.543;

il mattino dopo che si è morti/ non ci si può svegliare/ la vita è finita/ è

cominciata la morte544;

Quando mi ricordo della morte guardo diversamente i Fiori e l’Erba li accarezzo preparo la nostra futura amicizia saremo così vicini! i vicini più stretti guarderò tanto (dal basso) i loro steli perfetti.545;

come erano bianchi i morti/ o era bianca la luna? L’albero/ le diceva ssss dai

dormi/ dormi sss […] c’erano la vita e la morte la strada/ il percorso da qui/ a

là546; Cara terra, nostra futura/ copertina gentile, non in tinta/ unita, a fiori e

foglie i ricami/ preziosi con i quali ci dirai per sempre/ buonanotte.547;

L’equivoco è chiarito Zarina dorme, si è tanto addormentata ora basterà aspettare il giorno che si risveglierà oh se si risveglierà non fatemi mai più così tanto spaventare vedendola dormire vi siete confusi col morire vedendola dormire vi siete confusi col morire.548

543 V.L., La prima estate, in Poesie dando del Lei, cit., p.81 544 V.L., Questa quieta polvere, in Una quieta polvere, cit., p.66 545 V.L., Vicini, ivi, p.128 546 V.L., L’albero, in Poesie 1972-2002, cit.,p.217-218 547 V.L., Cara terra, ivi, p.243 548 V.L., L’equivoco è chiarito Zarina, in Poesie per un gatto, cit., p.166

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Percorrono il resto della poesia autobiografica gli amici, sia vivi che morti, che

compaiono soprattutto nella raccolta Tersino, in Una quieta polvere e in Poesie

dedicate:

[…] il pianoforte nostro poi talmente lungo che suonavamo insieme a dieci mani: io e Tiziano un po’ male il marito di Ornella benino Irlando proprio bene549;

Cara Daniela scrivendo/ poco fa una emme un po’/ gobbuta come facevi tu/ ti

ho vista con la penna/ in mano […]550; di quel monte che la casa / di Jung

guarda/ e che io guardo con Rossana/ e Alida […]551; A C.V. che aiuta i

poeti552; A Livia Candiani553; ma anche in Poesie per un gatto l’autrice

scrivendo di Zarina ne nomina i padroni, gli amici e vicini di casa Olga e

Irlando.

Altra tematica della poesia e della vita della Lamarque è la natura, ossia gli

animali, i fiori e le piante, dei quali sul Corriere della Sera scrivo un po’ sulle

pagine degli animali, un po’ su quelle culturali che fa rima con animali.554 Al

suo gatto Ignazio dedica la raccolta Poesie per un gatto, nella quale però

ricorda l’affezionato cane Brigante, cui intitola una poesia in La Gentilèssa e

un’altra in Una quieta polvere. Animaletti e fiori sono inseriti in tutta la poesia

dell’autrice, ma il tema si fa più rilevante e animalista, o naturalista, nel 1996,

con testi come Requiem per margherite, Asinello, Alla bambina Carla, oltre

che negli Inediti con Care lumachine, Ai gesuiti, Caro papa e in L’albero.

Volendo quindi individuare le principali parole chiave della poesia della

Lamarque, riferendoci alla prima parte della sua vita narrata in poesia

potremmo innanzi tutto notare l’influenza della scoperta di avere due mamme,

e del problematico rapporto con la madre naturale (benché in realtà tale

549 V.L., Io senti ero tua moglie, in Poesie 1972-2002, cit., p.47 550 V.L., Cara Daniela, in Una quieta polvere, cit., p.125 551 V.L., Caro Dottore Le scrivo, ivi, p.88 552 V.L., A C.V., che aiuta i poeti, in Poesie 1972-2002, ivi, p.232 553 V.L., A Livia Candiani, ivi, p.242 554 Intervento di V.Lamarque al ciclo di incontri Città amica, città nemica, ass.culturale Ambrosianeum, Milano 28 marzo 2012

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rapporto sia stato inesistentente nell’infanzia, Conoscendo a 19 anni la

madre555). “Madre” è quindi una delle parole chiave della sua poesia, alla quale

se ne associa un’altra, “abbandono”, riferita all’adozione, col ricordo della

discesa a nove mesi dal Trentino a Milano. La ricerca affettiva, conseguente a

questo sentimento di solitudine, si riversa invece in tutta la poesia dell’autrice,

soprattutto nella prima raccolta, sia riferendosi alla madre che al marito, e poi

alla figlia. “Amore” è quindi un’altra parola caratterizzante la poetica della

Lamarque, a cui però, con sofferenza, si sostituisce un nuovo abbandono, la

separazione dal marito, introducendo così l’ “assenza” cantata con dolore più o

meno celato. All’assenza si associa anche la “lontananza”, lontananza

dell’amato, soprattutto nella trilogia sul transfert, dove l’irrealizzabile amore

per il Dottor B.M., riproponendo la tematica affettiva legata ai precedenti

abbandoni, introduce nella poesia dell’autrice il canto del proprio insistito amor

de lonh. Questa impossibilità viene da Vivian superata con l’immaginazione,

sintetizzabile nella parola “sogno”, che ritorna in tutte le sue raccolte in

riferimento all’amore, ma anche a tutti gli altri ambiti della vita, mezzo

utilizzato fin da bambina per superare i momenti di dolore e solitudine oltre

che per giocare.

Altra parola che ben descrive e rappresenta la poesia autobiografica della

Lamarque è “vita”, spesso accompagnata da un’altra idea che influenza il suo

scrivere, anche a livello linguistico, l’ ”infanzia”, che si colora dei toni della

fiaba e dei giochi dei bambini per cercare di tamponare le ferite subite. E’

invece la “morte” la parola che ritorna sempre più insistente nelle sue raccolte,

fino a diventare protagonista assoluta nel 1996 e nel 2007, inserendosi anche

nel titolo dickinsoniano Una quieta polvere.

555 V.L., Conoscendo a 19 anni la madre, in Poesie 1972-2002, ivi, p.7

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2. L’aspetto retorico grammaticale

La lingua delle poesie di Vivian Lamarque resta molto simile nelle varie

raccolte pubblicate dall’autrice, piano e semplice, ricco di espressioni

tipicamente infantili. Ad enfatizzare ulteriormente la scelta linguistica

interviene lo sguardo fiabesco con cui si vive il dato quotidiano. Così l’infanzia

e la fiaba risultano essere le due realtà che maggiormente ne influenzano le

poesie, tanto nelle immagini quanto nel linguaggio prescelto. A questo riguardo

va però tenuto presente anche il dolore che si cela dietro la patina fiabesca che

sembra rivestire i testi dell’autrice:

Vivian Lamarque non si racconta le favole per consolarsi dei suoi dolori, ma si racconta il suo dolore come se fosse una favola. La sua non è una poesia da e per bambini. Sa sospendere sulla pagina le osservazioni “da bambini” con la grazia di un vecchissimo e filiforme artigiano. Perciò i versi conclusivi delle sue poesie hanno quell’effetto di rasoiata leggera556

che già aveva notato Vittorio Sereni nella prima raccolta dell’autrice.

La ripetizioni dei suoni è una delle caratteristiche che da subito si colgono nella

poesia della Lamarque, e lei stessa ammette la sua predilezione per la rima

baciata che suona come una gentilezza per le orecchie557 e fa apparire così

facili i versi costruiti invece con un accurato lavoro di lima. Nella prima

raccolta si legge Valdesina trascinata per mano/ giù fino a Milano;

Fa bene al mio cuore questo sole invernale fa male al mio cuore il tuo freddo tepore;

appuntamento-vento sono parole rima della poesia Vento, così come in Una

quieta polvere si legge Corteggiamento vano/ a nove mesi mi hai presa per

556 D.Scarpa, La morte bambina, in “L’indice”, n.9, ottobre 1996 557 C.Taglietti, Lamarque, i versi leggeri che conquistano il pubblico, in “Corriere della Sera”, 06 febbraio 2003

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mano/ mi hai lasciato a Milano, o anche i poeti che ho amato/ mi hanno

telefonato, mentre giardino rima con vicino in Piove. Rispetto a Teresino, la

raccolta del 1996 incrementa l’utilizzo di rime baciate, aumentandone anche la

varietà, mentre invece nella prima opera molte di essere erano ottenute grazie

ai verbi all’infinito, al participio o ai suffissi degli avverbi come

continuamente-vagamente, fetale-coniugale, addormentata-cullata-svegliata-

amata, amare-spogliare-declinare, raffreddati-malati, ammalare-consolare,

fare-ridimensionare, prudentemente-mente-illegittimamente, nata-malata,

disperara-nata, modalità rimica che si ritrova in Una quieta polvere, come ad

esempio in che prato beato/ come sa di essere amato, o guardare-respirare in

Riso bianco, ma con meno frequenza. Anche in Poesie per un gatto lo schema

rimico è semplice e regolare, con rime come traslocheremo-perderemo e

appartamento-momento558 in un unico testo di sei versi, oppure quaggiù-

lassù559, Brigante-te560, temporale-male561, e molte altre.

Lo stesso si può dire per la raccolta in dialetto, per la quale infatti Maurizio

Cucchi aveva sottolineato come la scelta linguistica dell’autrice non fosse

legata dall’esigenza di rinnovarsi manipolando con bravura un’altra lingua

scrivendo in La gentilèssa testi che continuano infatti i modi della poesia

pubblicata negli anni Settanta e Ottanta. Più rara in questo caso la rima baciata,

ad esempio lètt-sett562, mentre densissimo il gioco allitterante e assonante che

con le ripetizioni dei suoni vocalici e consonantici del milanese scandisce lo

schema metrico dei brani poetici: t’u t’ant pregà/ e adèss, adèss che l’è rivada/

bèlla bianca rettangulara563; oppure in Brigante, in cui si distribuiscono in

tutto il testo parole sdrucciole con la a accentata, modo in cui di compongono i

participi in dialetto: affinità- capità- dumà-prà- là- gh’à-cercà-scavà-baià.

Per quanto riguarda la trilogia psicoanalitica il discorso va differenziato. Qui

infatti ritorna la rima baciata in Poesie dando del Lei , come anche

nell’omonima sezione di Una quieta polvere, essendo questi dei brevissimi

558 V.L., Devo dirti una cosa grave Ignazio tralocheremo, in Poesie per un gatto, cit., p.55 559 V.L., Come mi sembri Romeo, ivi, p.54 560 V.L., Perché non sei un cane?, ivi, p.40 561 V.L., Ti spaventa il temporale, ivi, p.19 562 V.L., L’ospedaa, in La gentilèssa, cit., p.38 563 V.L., La lèttera, ivi, p.18; Trad.: “T’ho tanto pregato/ e adesso adesso che è arrivata/ bella bianca rettangolare”.

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testi poetici nei quali frequente è la rima baciata: improvviso-viso564, vento-

accontento565, colore-fiore566, dita-vita567, vorrei-lei568, matite- margherite569,

anche se le rime baciate sono molto più utilizzate nella raccolta del 1989

piuttosto che nella sezione Poesie dando del Lei (altre). Per Il signore d’oro e

Il signore degli spaventati la rima baciata è più difficile da individuare,

essendo prosa poetica, composta quindi da versi molto lunghi. L’assenza della

rima è così sostituita dalle assonanze e dalle consonanze, come della vita

l’invecchiata mano magra chiamava570; chi stava lì sotto era protetto da tutti i

mali del mondo571; l’acqua che saliva saliva voleva portala là dove si

annega572. Le allitterazioni, le consonanze e le assonanze ritornano però in

tutta la produzione della poetessa, accompagnando il lettore nel testo e creando

quell’effetto musicale e lieve che caratterizza le poesie della Lamarque. Si

vedano come esempi il primo e l’ultimo poemetto da lei composti: in Teresino

nel 1981 scriveva senti ascolta questa fa/ vola che ti racconto vicino al tuo

letto; sotto il tavolo dove pendeva la tovaglia, così come in L’albero,

pubblicato nel 2002, si legge non amava nessuno solo il mondo oppure

pettirossi in agonia nelle trappole ho visto e rideva rideva la lieve vita

dell’albero.

Numerose le ripetizioni non solo fonetiche, bensì di intere parole o sintagmi.

Motivo narrativo nella seconda sezione di Teresino è la ridondanza di l’amore

mio, che infatti viene riproposto anche nel titolo: L’amore mio è buonissimo.

Così anche ne Il signore d’oro e ne Il signore degli spaventati è il signore il

vocabolo che ritorna in ogni componimento, insieme con la coprotagonista, la

signora, mentre molto più rada è la frequenza di Dottore o Lei nella terza

raccolta della trilogia psicoanalitica. Interi versi ritornano insistenti soprattutto

564 V.L., Desiderio iprovviso, in Poesie dando del Lei, cit., p.47 565 V.L., Io con Lei, ivi, p.49 566 V.L., Dalle nostre finestre, ivi, p.53 567 V.L., Tracce d’inchisotro sulle dita, ivi, p.80 568 V.L., Caro Dottore, in Una quieta polvere, cit., p.85 569 V.L., Se ho scritto qualche poesia di meno, ivi, p.85 570 V.L., La signora della mano, in Il signore d’oro, cit., p.86 571 V.L., La signora del parasole, in Il signore degli spaventati, Pegaso, Forte dei Marmi 1992, p.39 572 V.L., La signora dell’acqua, ivi, p.50

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nei componimenti più sofferti, in Teresino per la lontanaza e l’indifferenza del

marito quando ad esempio scrive

Sempre più mi sembri una persona innamorata e so che con me questo non ha a che vedere e so che questo con me non ha a che vedere573,

o nel poemetto conclusivo quando si constata l’assenza di Teresino:

Teresino teresino sparito ma un mattino teresino tersino sparito teresino teresino sparito segni di zampette sulla neve le mie lettere morte a pezzetti in mille cestini teresino teresino sparito.

Composte alla stessa altezza cronologica anche le poesie di La gentilèssa

spesso esprimono il dolore tramite la ripetizione, come l’insistito lassem andà

rivolto per cinque volte a Milàn brutta bèlla o il senso di colpa per il lasciarsi

andare e l’incapacità di reagire al male in Gajna malada che più volte dice me

interèssa pù nient e l’è minga giust. Ancora più insistente diventa l’anadiplosi

in Questa quieta polvere, dove sono intere strofe ad essere riproposte nel testo,

come la citazione dai fratelli Grimm, che ritorna tre volte nel poemetto, Che fa

il mio bimbo?/ Che fa il mio capriolo?/ Verrà tre volte ancora/ E poi non verrà

più, mentre si ripete invariata la sequenza di cinque brevi strofe che ritorna per

due volte nel testo:

per esempio ci sono le visioni con le visioni si può vedere tutto si può vedere la visione del profilo delle montagne con lo sfondo del profilo dell’amore mio oppure la visione di un fiume impetuoso con dentro l’amore mio che guada oppure la visione del lago di Brais tutto circondato dall’amore mio oppure la visione della Valle della Neve cosidetta perché la sua terra

573 V.L., Sempre più mi sembri, in Teresino, cit., p.27

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è del color della neve,

si noti che nel componimento ritorna più volte anche il sintagma l’amore mio

frequentissimo nella sezione del 1981 L’amore mio è buonissimo. In Poesie per

un gatto Ignazio incredulo per la morte di Zarina in più componimenti

(compreso il conclusivo) rinfaccia agli uomini di aver confuso il dormire della

gattina con la morte, mentre in quattro testi, tre dei quali consecutivi, il

protagonista chiede insistentemente alla padrona –Dammi un croccantino in tre

dei quali la risposta di Vivian è la stessa: -lo sai che ti fa male.

Anche se molto meno frequente rispetto all’anadiplosi, l’utilizzo dell’anafora

continua il gioco della ripetizione nella poesia della Lamarque con la

ripetizione di parole, sintagmi, e interi versi. In Teresino la figura retorica è

scelta dall’autrice per creare dei crescendo insistiti e ostentati, come nella

fantastica descrizione dell’amato in L’albero delle ciliegie,

lui è l’albero delle ciliegie lui è i rami più alti dell’albero delle ciliegie lui è dove le ciliegie sono mille dove le ciliegie sono degli uccelli dove le ciliegie sono felici lui è le ciliegie rosse!,

e in Vento, dove insistente è l’anafora delle e, che oltre al gioco immaginifico

propone di nuovo la ripetizione per sottolineare un momento di dolore, come in

Caro nome mio nel quale immaginando la propria regressione a stato fetale

scrive: anzi nove mesi in montagna/ anzi mia madre è incinta/ anzi si è

innamorata, mentre invece raccontando della separazione ripete per tre volte Il

tuo posto vuoto. Altra anafora insistente si ritrova nel poemetto in cui il nome

Teresino è proposto per ben sedici volte come prima parola del verso poetico.

Nella trilogia analitica tale figura retorica è utilizzata come rimando tra il

narratore e la non ben identificata voce che insistentemente domanda

spiegazioni su ogni cosa detta da Vivian:

Era una Nostalgia di chi? Era una Nostalgia di un signore. Andato via?

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Andato via. Era una nostalgia grande? Era la Nostalgia più grande di tutta la vita.574;

E dove erano?/[…]/ E come avvenne?/ […] E dopo?575; Due/ Quante

seggiole?/ Due/ Quanti tavoli?/ Uno./ Quanti letti?/ Uno./ Quanti soli?/ Un

sole e una luna./ Quante stelle?576; Sembrava un bosco facile […] / sembrava

un bosco da attraversare […] / sembrava un bosco facile […]577. Anche in

Poesie dando del Lei, nonostante la brevità dei testi poetici, si ritrovano alcune

anafore, come Sono le sei la città dorme/ e Lei?/ […] Sono le sei la città

dorme/ e Lei con lei. o mi tenga accanto a sé/ mi tenga accanto a sé ho detto

dove ritorna il gioco dialogico delle altre due raccolte per il Dottor B.M.,

mentre altre volte l’anafora è proprio utilizzata per sottolineare la ripetitività e

l’insistenza di Vivian nei confronti dell’amato analista, come nel lungo elenco

di regali: più mille poesie circa/ più quello stralunato ritrattino/ […]/ più una

goccia di miele/ più una spina di rosa/ […] più un cielo gentile/ più i colori che

vuole/ più il doppio della metà […]578. Anche in Una quieta polvere si

ripropone l’anafora, soprattutto nella prima sezione della raccolta per

sottolineare la continuità della sofferenza dell’abbandono, come nella lunga

serie di che della poesia Babbi, dove anaforici sono anche i padri, essendo due,

Caro babbo I […] Caro babbo II , nella poesia al fratello, secondo te/ secondo

me oltre al lungo elenco introdotto sempre dalla congiunzione e ripetuta per

sette volte, o nella reiterazione temporale delle poesie che parlano della

solitudine di Vivian: per tutta l’infanzia/ per tutta l’adolescenza/ […] per tutti i

pranzi […]579. Nel poemetto ritorna invece spesso a inizio verso il pronome

personale soggetto di prima persona, come se la voce narrante volesse ribadire

la propria esistenza ossia il proprio essere viva, come ad esempio io non voglio

essere quieta/ io non voglio essere polvere/ […] io vado subito a vedere la data

di morte […] / io non sono morta io sono nata, mentre spesso nel resto della

574 V.L., Il signore della nostalgia, in Il signore d’oro, cit., p.14 575 V.L., Il signore e la signora, ivi, p.87 576 V.L., Il signore e la signora, in Il signore dgeli spaventati, cit., p.36 577 V.L., La signora nel bosco, ivi, p.37 578 V.L., In dote le porto, in Poesie dando del Lei, cit., p.63 579 V.L., Cucchiaini, in Una quieta polvere, cit., p.24

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raccolta l’anafora propone veri e propri elenchi: vigilate voi, noi assenti/ sulle

nostre case eleganti/ sui bei ladri distinti/ sui governanti580; c’era una

bambina/ […] / c’erano panchine/ […] / c’erano mamme nonne/ c’era anche

una tata581;

saremo due gocce di pioggia uguali o saremo due moscerini con le ali saremo due lumachine lente liete o due puntini splendenti di stelle comete saremo due granelli di terra rotondi o saremo due insettini vagabondi582.

580 V.L., Vù cumprà, ivi, p.111 581 V.L., Ballata degli occhiali neri, ivi, p.91 582 V.L., Ma nell’aldilà, ivi, p.93

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Rade le anafore in L’albero, mentre più frequenti in Poesie dedicate, come la

ripetizione della congiunzione e in A Evehenij Solonovitch o dei per ogni in A

Emily Dickinson, nel primo caso collegato alla sucessione cronologica

dell’evento narrato, che si ripeteva ogni volta uguale, mentre nel secondo per

un semplice elenco. Ritornano quindi anche negli Inediti i due principali

utilizzi della figura retrica già riscontrati nel resto della produzione dell’autrice,

compresa La gentilèssa: ‘l s’è sentì ciamà/ ‘l s’è fermà/ ‘l s’è truvà […]583

scrive ad esempio in Come ‘n gatt per raccontare nell’ordine temporale

l’incontro tra lei e l’amato, mentre invece in Brigante Vivian elenca i modi che

ha il suo cane per convincere la padrona a coccolarlo: ‘l te se pianta inanz/ […]

‘l te fa sentì in colpa/ […] ‘l te fa diventà matt/ […] ‘l fa andà la coa.

Ripropone queste due modalità l’uso anaforico di Poesie per un gatto, oltre alla

ripresa del gioco dialogico che aveva caratterizzato i botta e risposta delle

poesie per il Dottor B.M., come la ripetizione di più584 alla notizia del trasloco

in un appartamento o i ma e i perché che introducono le disquisizioni dei due

protagonisti, che spesso non la pensano nello stesso modo.

Le ripetizioni a volte sono riprese in ordine inverso, come nel gioco chiastico

di Sole invernale: Fa bene al mio male/ questo sole invernale/ fa male al mio

cuore/ il tuo freddo tepore. Proprio riguardo a tale figura retorica Caddeo

sottolinea come essa sia utilizzata per ribadire il tema del doppio, che l’autrice

propone soprattutto in Teresino e nella trilogia per il Dottor B.M.:

il chiasmo, più ancora del parallelismo, è figura retorica tipica del rispecchiamento. La disposizione incrociata del chiasmo richiama l’inversione speculare (nella nostra immagine allo specchio, per esempio, la mano sinistra diventa la destra).

583 V.L., Come ‘n gatt, in La gentilèssa, cit., p.34; Trad.: “Si è sentito chiamare/ si è fermato/si è trovato[…]”. 584 V.L., Traslocheremo Ignazio, in Poesie per un gatto, cit., p.56

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Proponendo poi una riflessione sulla poesia Il primo mio amore erano due,

dove l’autrice, scrivendo di un adolescenziale amore per due gemelli, allude

anche alle due madri:

nel caso specifico il chiasmo raffronta i due rivali, simili-diversi oggetti d’amore (in sé e per sé unico e indivisibile): allegro vs serio, minore vs maggiore, piacere vs dovere, desiderio vs Super-io. Giocondamente, con strenua affilata ingenuità, i due rivali sono l’uno l’immagine speculare dell’altro, fratelli gemelli, che si rimandano con circolare infinità la loro identità diversa, identica diversità.585

Una situazione molto simile si ritorva ne Il signore degli spaventati, dove

l’idea è ulteriormente estremizzata con l’omonimia delle due sorelle, entrambe

chiamate Chiara dal signore, loro padre, così come in Una quieta polvere con

la poesie Babbi, che presenta sistematicamente e con lo stesso schema prima il

padre E., dopo di che il padre Dante. Per il resto si consideri che la poesia della

Lamarque appare piana e ordinata, questo fa sì che alla figura chiastica siano

preferite le anafore, le ripetizioni e le rime. Il chiasmo viene introdotto nella

narrazione poetica per creare giochi di parole e richiami a filastrocche o nenie,

come questa sì e quella no/ anzi quella sì e questa no586, nel bosco nel cuore

del cuore del bosco587, io Le cercavo gli occhi/ gli occhi amati cercavo588, e le

poesie belle agli amici/ e ai nemici le brutte589, ti prego muori muori ti

prego590, non ruberanno la sposa/ allo sposo né lo sposa/ alla sposa591, ama il

balcone il mio gatto/ il balcone ama anche me592.

Numerose in tutta la raccolta le metafore e le similitudini che ritornano nelle

varie poesie per esemplificare meglio le sensazioni di dolore o d’amore narrate

da Vivian, oppure per contestualizzare la realtà lì rappresentata, che comunque

la maggior parte delle volte propone storie di dolore o di innamoramenti. In

tutte le raccolte l’autrice assimila l’oggetto del paragone all’amato, lui è

585 R.Caddeo, Contro mostri e draghi l’arma della scrittura, in “Concertino”, n.14-15, novembre 1995, p.24 586 V.L., Adozione ninna-oh, in Una quieta polvere, cit., p.19 587 V.L., Teresino, in Teresino, cit., p.73 588 V.L., La ballata degli occhiali neri, in Una quieta polvere, cit., p.90 589 V.L., Testamento, in Una quieta polvere, cit., p.115 590 V.L., L’albero, in Poesie 1972-2002, cit., p.219 591 V.L., Per le nozza di Miryam e Giorgio, ivi, p.240 592 V.L., Ama il balcone il mio gatto, in Poesie per un gatto, cit., p.25

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l’albero delle ciliegie/ […] lui è le ciliegie rosse593 oppure non si chiamava

così/ ma era detto aquilone/ perché […] quando vedeva da lontano Maria/

pareva innalzarsi/ portato dal vento e dall’emozione594, scrive in Teresino, nel

quale poemetto fin dai primi versi si legge teresino piantina/ rara delicata.

Continuo è il gioco di similitudini attribuite ai vari signori di Il signore d’oro e

Il signore degli spaventati, dove già dai titoli vengono proposte molte delle

caratteristiche attribuite ai brevi ritratti del signore, ossia il Dottor B.M., così

come alla signora, Vivian, si pensi allo stesso titolo della prima raccolta, o a Il

signore tesoro, Il signore usignolo, Il signore nave, a La signora spostatrice di

montagne, dove con le montagne si allude alla fatica di certe sedute analitiche

o La signora dei fiori, i cui fiori non sono veri fiorì, bensì le macchie che con

l’età compaiono sulle mani.

In Teresino, come nel resto della produzione poetica, si utilizzano immagini tra

le più varie per descrivere i più disparati aspetti della quotidianità di Vivian, a

partire dalla rappresentazione di se stessa e delle persone care: su non vedi che

sono un po’ formica scrive per dire che cerca in tutti i modi di racimolare

qualche briciola dell’affetto del distante marito, oppure si descrive come una

vecchia, logorata dall’eccessivo dolore, i suoi trenta anni sono diventati cento,

mentre ne La gentilèssa cerca di lenire il proprio male come una gajna malada

e raccontando di un uomo che raccoglie un gattino da strada descrive invece

l’incontro col marito, l’innamoramento e l’eccessivo affetto dimostrato da lei e

dal gatto della poesia Com ‘n gatt. In Teresino parlando della figlia racconta

oggi torna dal mare la mia gallinella bianca e di sé dice Io sono il re del

balcone595, oppure si descrive come una rara e schiva specie di pesce che

vola596. In Poesie dedicate descrivendo la madre la paragona al fiore da cui lei

prende il nome, come una Rosa dal lungo/ lungo stelo […] e come una

profumata rosa/ profumata e lo stesso fa per la nipotina, già dal titolo: A Micòl

rosellina. L’immagine dei fiori ritorna in tutte le raccolte della Lamarque per

parlare della morte, ma soprattutto nella seconda parte della sua produzione

593 V.L., L’albero delle ciliegie, in Teresino, cit., p.26 594 V.L., Era detto aquilone, ivi, cit., p.26 595 V.L., Il re del balcone, in Teresino, cit., p.47 596 V.L., Pesce che vola, ivi, cit., p.56

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poetica, ossia dalla pubblicazione del 1996, dopo la trilogia per il Dottor B.M.

Come fiori intitola infatti la sezione dedicata a trattare dell’aldilà in Una quieta

polvere e numerose sono immagini simili proposte negli inediti della poetessa,

ad esempio fioriremo fioriremo/ nella gentile terra597; l’erba erano i morti?

erano diventati fili d’erba belli così?598 oppure in Poesie per un gatto, nel

quale la terza sezione si intitola Il giardino dell’aldilà, con fiori e giardini

Vivan spiega la vita di Zarina, morta, e così la loro in un prossimo futuro:

-Ripeto la domanda ci sarà o non ci sarà questo aldilà? -Forse Ignazio non lo so. -Come non lo sai? -Ma sì vedrai è come una specie di giardino si diventa tutti erba e fiori. -Fiori? un fiore io? mai!599

-E dove?/ -In un bel giardino fiorito./ -Come quello che avevamo?/ -Sì.600; -E

Zarina che fiore diventerà?/ -Non lo so forse una margherita./ -Zarina mia una

margherita?/ Non voglio non voglio la morte della vita.601

All’uscita di Teresino nel 1981, già Vittorio Sereni aveva sottolineato l’abilità

immaginifica dell’autrice e soprattutto il suo linguaggio analogico, che le

permette così di passare improvvisamente da un discorso all’altro in modo

inaspettato:

L’intelligenza del cuore […] nella Lamarque è fonte continua di analogie, tramite fulmineo tra il cuore, il pensiero, la memoria, tra il grande e l’impercettibile; e non ad altro, a questa forza analogica in lei chiaramente nativa, si debbono le sue arguzie, le sue allusioni, i repentini rovesciamenti di fronte per cui a volte due versi a chiusura di una cantilena quanto mai puerile arrivano imprevisti come una coltellata: “insomma affinità elettive poche pochine nessuna/ (sarà per questo che brilli così nel mezzo del mio cielo?)”.602

597 V.L., Alle pratoline, in Poesie 1972-2002, cit., p.243 598 V.L., L’albero, ivi, p.226 599 V.L., Ripeto la domanda, in Poesie per un gatto, cit., p.152 600 V.L., E dove?, ivi, p.156 601 V.L., E Zarina che fiore diventerà?, cit., p.160 602 V.Sereni, Cuore fa rima con intelligenza, in “Europeo”, n.42, 19 ottobre 1981, p.115

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Tale tendenza perdura in tutto il percorso poetico della Lamarque, come in

Muso di volpe, dove la conclusione aspetto la zampata è inattesa rispetto al

testo più descrittivo e affettuoso degli altri versi del componimento, con

l’affettuoso inizio muso di volpe volpino volpone oppure Volevo sognare il

postino/con una lettera in mano/ invece ho sognato il postino/ senza una mano,

così come nella raccolta in dialetto milanese, nella quale, ad esempio, tutta la

poesia Stasera ‘l coeur è scritta per distogliere l’attenzione dal dolore per

l’assenza dell’amato, ma proprio alla fine del testo scappa l’immagine della

sofferenza del gatto per il tradimento subìto: a fa l’amur cont un alter gatt?603

stessa sofferenza espressa in altre poesie, come l’amara conclusione se lègg se

strascia fine/ basta poch a cuntentàm604 nella quale Vivian si rappresenta quasi

mendicante affetto o nel sogno della relazione col padre naturale, che però si

rivela essere appunto tutta immaginazione: che poeu sun rivada mi/ e te set

sparì ti.605 Nelle poesie della trilogia del transfert, la conclusione spesso

interrompe improvvisamente il sogno della paziente, riportandola alla realtà,

cioè all’impossibilità della relazione amorosa col proprio analista: La mia

superficie è felice, / ma venga venga a vedere/ sotto la vernice606; guardavano i

bellissimi mari/ e le alte montagne/ separati607; Presto corra presto/ venga a

guardare/ una foglia, viva,/ che cade608; Quando Lei è nervoso e fa così/ con le

mascelle/ e vibra e si controlla/ ma mi vorrebbe molto sgridare/ ecco, proprio

quando Lei fa così/ io La vorrei baciare.609 Il sogno si interrompe anche in

Una quieta polvere, dove la famiglia, descritta unita e felice, si rivela essere

solo un bel sogno d’oro, mentre inaspettatamente l’accoglienza iniziale

sparisce in Cucchiaini: quasi più è tornata nel cassetto/ dei feroci bambini

cucchiaini. Così l’arrivo gioioso dell’ospite atteso in Glocklein si conclude

però con la sua rapida dipartita, busserà nei vetri/ credendo che io dorma/ dirà

giorno speciale/ e poi volerà via, e dolorosa è la scoperta di un’altra poesia

603 V.L., Stasera ‘l coeur, in La gentilèssa, cit., p.28; Trad.: “A far l’amore con un altro gatto”. 604 V.L., Lètter lètter, ivi, p.32; Trad.: “Si legge si straccia fine/ basta poco a farmi contenta”. 605 V.L., Famm fa un gir in bicicletta, ivi, p.48; Trad.: “Che poi sono arrivata io/ e sei sparito tu”. 606 V.L., La mia superficie è felice, in Poesie dando del Lei, cit., p.19 607 V.L., Lontanissime vacanze, ivi, p.26 608 V.L., Presto corra presto, ivi, p.39 609 V.L., Quando Lei è nervoso e fa così, ivi, p.42

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della raccolta: lì una sera trovò/ qualcuno che dormiva/ si chinò a guardare/

era una bambina/ oh ma non dormiva/ oh ma non era viva. In Inediti alla

serena narrazione della prima parte della poesia Cartina muta, segue

l’inaspettata immagine di una compagna di scuola, che di cognome si chiamava

De Vita, ma che è stata/ la prima di tutte a lasciarla, muta,/ la vita, così come

la salvezza della gallinella che sembrava essere presa per fare un‘insalta di

pollo, mentre invece si rivela essere proprio per l’animale il piatto preparato: la

vuoi una fogliolina di insalata? E’ Ignazio, nei dialoghi di Poesie per un gatto,

a riproporre conclusioni inaspettate alle domande di Vivan, con sarcasmo e

distacco:

-Perché in via G.Moretti c’era il giardino e qui non c’è? –Perché questo è un appartamento. -Ho capito vivrò di cemento.610;

-Ignazio guarda quel piccione magrolino con l’ala spezzata nemmeno una briciola gli è toccata non dici niente? -Niente. -E guarda quello gli manca una zampetta. -Preda perfetta.611

Il linguaggio della poesia di Vivian Lamarque è spesso stato definito come

infantile, bambinesco, e, come nota Sereni nel suo articolo su Teresino, non

siamo alle metamorfosi delle favole ma poco ci manca aggiungendo però che ci

troviamo davanti a una storia di “grandi” riportata agli attucci, bronci,

moine, sillabazioni puerili: al livello puerile.612 A queste affermazioni Rossana

Dedola aggiunge:

l’uso di questo linguaggio tuttavia non significa che la realtà venga completamente dimenticata e che al suo posto venga dipinto con colori pastello un castello d’aria. Delle fiabe la Lamarque non recupera l’aspetto meraviglioso, l’incantesimo, dietro

610 V.L., Perché in via G.Moretti c’era il giardino, in Poesie per un gatto, cit., p.63 611 V.L., Ignazio guarda quel piccione magrolino, ivi, p.74 612 V.Sereni, Cuore fa rima con intelligenza, in “Europeo”, cit., p.115

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l’incantesimo c’è sempre un conflitto tanto più drammatico perché a esso è esposta un’anima infantile.613

Per quanto riguarda i tempi verbali, i più ricorrenti nelle raccolte sono

l’indicativo presente e imperfetto, ossia i tempi più utilizzati nel linguaggio dei

bambini nei loro giochi come nei giochi immaginosi di Vivian, nei quali

mischia oniricamente fatti reali a eventi vagheggiati. Interessante soprattutto

l’uso dell’imperfetto, che potremmo chiamare “imperfetto ludico” nota Giulia

Petrucci spiegando: non rimanda infatti a un passato, piuttosto a un presente

agito fantasticamente614. Molti dei componimenti nei quali l’autrice adotta tale

tempo verbale raccontano del proprio amore perfetto e immaginato, come nella

prima raccolta in Io senti ero tua moglie, Io naturalmente volavo e soprattutto

nel poemetto finale:

passavano le suore[… ] bussavano all’uscio/ avevamo paura […] eravamo bianchi leggeri nevicavamo teresino andavi allo zoo guardavi tanto la tigre poi miagolavi […], nella camera dei bambini facevi i brutti sogni sotto il letto dormivano i ladri senza fiatare li ascoltavamo[…].

Anche nella trilogia psicanalitica i modi verbali richiamano spesso i modi

dell’invenzione dei giochi e della fiaba, soprattutto nei due signori,

introducendo spesso i personaggi con Era un signore e Era una signora. Alla

finzione alludono anche i modi dei due sogni raccontati nella prima sezione di

Una quieta polvere dove si legge Era una neonata/ un padre era contenta che

era nata/ una madre era contenta che era nata615 e Non mi ero separata/ padre

madre figlia/ la famiglia continuava unita616, così come nella sezione dedicata

al Dottor B.M. nei momenti in cui, ormai superato il transfert, descrive con

613 R.Dedola, La poesia del transfert: la poesia innamorata di Vivian Lamarque, in “Studi Novecenteschi”, n.41, giugno 1991, p.232 614 G.Petrucci, Il sonno di Alice: l’enunciazione del transfert nella poesia di Vivan Lamarque, in “Italianistica”, n.1, gennaio-aprile 1998, p.92 615 V.L., Sogno d’oro (I), in Una quieta polvere, cit., p.138 616 V.L., Sogno d’oro (II), ivi, p.41

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maggior distacco i suoi impossibili sogni d’amore, associati spesso ad

atteggiamenti infantili: Cercavo la giusta matita/ per fare in Suo onore un

ghirigoro/ gli occhi mi brillavano/ come a un cercatore d’oro617;

Sonnambulina l’amavo/ leggermente stordita/ dai giorni e dalle notti/ della

Vita.618 Anche nel poemetto L’albero torna un simile utilizzo dell’imperfetto

per raccontare un altro tipo d’amore immaginato, come si legge fin dall’esergo:

Se eri un pioppo/ ti sposavo ti salivo/ fin lassù, e così anche nei sogni

raccontati in dialetto:

Stanott u sugnà che te me ‘mparavet a lègg e a scriv […] e mi scultavi inamurada la tua bèlla vùs pazienta e vardavi incantada i toi bei man espressiv che disegnaven ne l’aria.619

Si consideri però che in molti testi di tutta la produzione poetica il tempo

imperfetto è utilizzato come semplice tempo passato, per narrare di fatti di una

volta, spesso dell’infanzia, e in generale di ricordi. Tale è l’unico modo in cui

viene usato il passato in Poesie per un gatto, quasi sempre in riferimento alla

nostalgia di Ignazio per Zarina: -Zarina che grattavo sempre alla sua porta,

morta?620; Prima di lei spuntava la sua ombra/ mi veniva da farle per ridere un

agguato/ per farle spavento621. Sempre nei modi semplici e piani tipici del

linguaggio dei bambini ritorna in tutte le raccolte il tempo presente, anche per

narrare eventi precedentemente accaduti, ma è soprattutto con la raccolta Una

quieta polvere che il presente acquista spazio e importanza nella poesia

dell’autrice, utilizzato molto ad esempio nella sezione Fine millennio:

girotondo casca il mondo/ casca la terra/ si alza la guerra622; non ho vetri oggi

mi spiace623; che nuvola gigante guarda si sta/ spostando624; così anche nel

617 V.L., Cercavo la giusta matita, ivi, p.83 618 V.L., Sonnambulina L’amavo, ivi, p.83 619 V.L., Stanott u sugnà, in La gentilèssa, cit., p.24; Trad.: “Stanotto ho sohnato/ che mi insegnavi a leggere e a scrivere/ […] E io ascoltavo innamorata la tua bella voce paziente/ e guardavo incantata le tue belle mani espressive/ che disegnavano nell’aria […]”. 620 V.L., Zarina che grattavo sempre alla sua porta, morta?, in Poesie per un gatto, cit., p.131 621 V.L., Prima di Lei spuntava la sua ombra, ivi, p.145 622 V.L., Girotondo, in Una quieta polvere, cit., p.108 623 V.L., Nuovi Dèi, ivi, p.110 624 V.L., Nuvola, ivi, p.116

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poemetto scrive i morti se li tocchi sono freddi nel quale però ai presenti si

accostano i tempi imperfetti del ricordo misto al sogno, ieri ho avuto una

visione/ l’amore mio era in giardino/ metà era vecchio/ metà era bambino.625

Il corrispettivo stilistico di questi presupposti, ossia l’aspetto fiabesco e

infantile di molte delle immagini proposte dall’autrice nella sua poesia,

è dato dalla tenue manipolazione di un italiano standard tesa a riprodurre una intonazione colloquiale ulteriormente mimetizzata nell’assenza di punteggiatura (“Tua moglie che allegra nel viaggio/ […] le dici guarda il Cervino che bello”) e con il continuo ricorso alla espressività infantile nelle scelte lessicali, nei diminutivi (“domandine”, “fagottino”, “lumachine”, “caldino”) e nella grazia di certe sgrammaticature (“l’amore mio […] è uno dei più pittori di tutti”).626

Tipici del linguaggio infantile sono infatti i diminutivi e i vezzeggiati, utilizzati

nello stesso titolo della prima raccolta, Teresino, e i superlativi, continuamente

ripetuti in l’amore mio è buonissimo. Entrambe le modalità espressive hanno

tendenzialmente risvolti affettivi e sono utilizzati soprattutto nella prima

raccolta e nelle poesie dedicate al Dottor B.M.: Scrive/ […] parole con la sua

bella calligrafia minutina627; boschi bandierine ragnetti/ i pidocchietti dei

bambini le pulci dei cagnolini/ […] ninnenanne piattini chicchere di caffè/

pentolotte sotto le coperte piedini628; la signora della valigetta629; la signora

dei foglietti630; lontanissime vacanze/ erano cominciate631; essere vorrei una

sua Amantina632.

Come “amantina” molti sono i vocaboli inventati dalla poetessa, per rendere in

modo più sintetico il senso di ciò che vuole esprimere, ma anche per continuare

il modo linguistico proprio dei bambini, che parlano utilizzando strampalati

neologismi, piccoli errori grammaticali e ripetizioni enfatiche, con queste

ultime riprendendo anche i modi delle fiabe. Parole nuove, spesso ottenute

accostando due parole già esistenti, si ritrovano in tutta la poesia della

625 V.L., Questa quieta polvere, ivi, p.65 626 F.Zabagli, “Teresino” di Vivian Lamarque, in “Paragone”, n.382, dicembre 1981, p.80 627 V.L., Sui vetri della finestra, in Teresino, cit., p.51 628 V.L., Sai la Rita, ivi, p.51 629 V.L., La signora della valigetta, in Il signore d’oro, cit., p.70 630 V.L., La signora dei foglietti, ivi, p.76 631 V.L., Lontanissime vacanze, in Poesie dando del Lei, cit., p.26 632 V.L., Essere vorrei, ivi, p.34

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Lamarque come ad esempio marronblu633; sestessa634; persempre635;

buonapasqua636; uomomamma637; brava-bambina638; già-morti e non-ancora/

nati639; similformiche640; sua Gattità641 così come i modi colloquiali e le

sgrammaticature: se era un bambino buono o così così642; che mi stesse vicino

vicino643; all’amore mio io voglio tanto bene/ tantissimo644; non sentiva la tua

mancanza, non gli venivi mai in mente, non ti veniva a trovare645; voleva

tenerlo fino a persempre646; un suo luogo lontano lontano che una volta si

partiva al mattino647; tantissimo male faceva quel male./ Tanto come mille

muri contro una sola fronte […] Anzi. Forse un poco meno648; se un giorno

l’amore mio ritornerà/ io sarò felice649; nessuno nessuno ci separerà650;

c’erano la vita e la morte la strada/ il percorso da qui/ a là651; chiamalo tu

alba spicciati dì Dante652; Cos’è questo odore infernale? […] Rimbambita653; -

Miryam mi ha chiesto come stai./ -Benone dille benone654.

Va notato che in L’albero e in Poesie per un gatto l’autrice utilizza alcuni

vocaboli stranieri e parole e modi di dire introdotti nel linguaggio comune dai

mass media, come Hoover; week-end; black-out; signori sanspapier; ex-

sogno; gol!gol!; fard; show; share655; -O.k. buonanotte656; discount;

633 V.L., Il signore delle barchette, in Il signore d’oro, cit., p.60 634 V.L., Il signore della buonanotte, ivi, p.18 635 V.L., Il signore gentile, ivi, p.30 636 V.L., Il signore della Pasqua, ivi, p.57 637 V.L., Amante neonata, in Poesie dando del Lei, cit., p.23 638 V.L., Abbandono, in Una quieta polvere, cit., p.15 639 V.L., Nuvola, ivi, p.116 640 V.L., L’albero, in Poesie 1972-2002, cit., p.219 641 V.L., Guarda sotto l’albero quante albicocche marce, in Poesie per un gatto, cit., p.39 642 V.L., L’amore mio quando era bambino, in Teresino, cit., p.13 643 V.L., Chissà se l’amore mio ci sarà, ivi, p.13 644 V.L., All’amore mio io voglio tanto bene, ivi, p.13 645 V.L., Il signore meno, in Il signore d’oro, cit., p.40 646 V.L., Il signore alato, ivi, p.36 647 V.L., Il signore del luogo lontano, in Il signore degli spaventati, cit., p.26 648 V.L., Il signore che faceva male, ivi, p.33 649 V.L., Questa quieta polvere, in Una quieta polvere, cit., p.67 650 V.L., Ma nell’aldilà, ivi, p.93 651 V.L., L’albero, in Poesie 1972-2002, cit., p.218 652 V.L., L’albero, ivi, p.221 653 V.L., Cos’è questo odore infernale?, in Poesie per un gatto, cit., p.98 654 V.L., Miryam mi ha chiesto come stai, ivi, p.68 655 V.L., L’albero, in Poesie 1972-2002, cit., pp.221-227 656 V.L., La gironata è finita tornerà tra un anno, in Poesie per un gatto, cit. p.92

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breakfast657; single658; ex-vicino659; -Che schifo di scatoletta./ -E’ “para gatos

com tendencia a obesidade”/ -Come?/ -“Gatos com baixo nìvel de

actividade”/ -Ti lascio torno alle lucertole […]660.

A livello linguistico un discorso a parte andrebbe fatto per la raccolta La

gentilèssa, in cui inoltre l’autrice stessa dichiara di aver utilizzato numerose

parole non esistenti nel dialetto milanese, introducendo quindi anche in queste

poesie alcuni neologismi: mi sono anche concessa qualche parola che esiste

solo per me.661

657 V.L., Quando il breakfast, ivi, p.94 658 V.L., Sei una single tu?, ivi, p.111 659 V.L., Che sussulti ma cosa sogni Ignazio, ivi, p.116 660 V.L., Che schifo di scatoletta, ivi, p.88 661 V.L., Nota, in La gentilèssa, cit., p.15

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FIABE

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La petite fille de glace, Ipomé-Albin Michel, Paris 1992

La bambina senza nome, Mursia, Milano 1993

Arte della libertà. Il sogno di Sara, Mazzotta, Milano 1995

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La bambina che non voleva andare a scuola, La Coccinella, Varese 1997

Cioccolatina la bambina che mangiava sempre, Bompiani, Milano 1998

UNIK, storia di un bambino unico, Bompiani, Milano 1999

Coloriamo i diritti dei bambini, Fabbri, Milano 1999

La bambina Non-Mi-Ricordo, in Il tempo dei diritti, Fabbri, Milano 1999, pp.

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Il flauto magico. Dell’opera di Wolfgang Amadeus Mozart, Fabbri, Milano

1999

La minuscola bambina B, Feltrinelli, Milano 2000

La pesciolina innamorata, Colors Edizioni, Genova 2000

La bambina Quasi Maghina, Fabbri, Milano 2001

La luna con le orecchie, Castalia, Torino 2001

Piccoli cittadini del mondo, Emme Edizioni, Trieste 2001

Petruska. Dall’opera di Igor Stravinskij, Fabbri, Milano 2001

L’uccello di fuoco. Una fiaba russa, Fabbri , Milano 2002

Il lago dei cigni, Fabbri, Milano 2002

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Pierino e il lupo. Dalla favola musicale di Sergej Prokofiev, Fabbri, Milano

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Lo schiaccianoci e il Re dei topi, di E.T.A. Hoffmann, Fabbri, Milano 2003

La Timida Timmi, Piemme junior, Milano 2003

La gallinella disperata, Fabbri, Milano 2004

Stella dei Pirenei, Emme Edizioni, San Dorligo della Valle, 2004

Tre storie di neve, Fabbri, Milano 2006

Storie di animali per bambini senza animali, Einaudi Ragazzi, Milano 2006

Pezzetti d’infanzia. Dalle Kinderszenen di Robert Schumann, Fabbri, Milano

2007

Mettete subito in disordine! Storielle al contrario, Einaudi Ragazzi, Milano

2007

La bambina bella e il bambino bullo e altri bambini e bambine, Einaudi

Ragazzi, Milano 2008

La bambina sulle punte, Mondadori junior , Milano 2009

I bambini li salveranno (Chi? Gli animali), Einaudi Ragazzi, Milano 2010

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Tutti lo chiamavano Pomodoro, di Ursel Scheffler, Nord-Sud, Pordenone 1997

Nuovi amici per Pit, di Marcus Pfister, Nord-Sud, Pordenone 1998

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Pit e Pat, di Marcus Pfister, Nord-Sud, Pordenone 1999

Ciao ciao, Pit!, di Marcus Pfister, Nord-Sud, Pordenone 1999

Il topo di campagna e il topo di città, di Bernadette Watts, Nord-Sud,

Pordenone 1999

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Per chi è il mondo?, di Tom Pow, Nord-Sud, Pordenone 2001

La piccola indiana Foglia Danzante: una storia, di Geraldine Elschner, Nord-

Sud, Pordenone 2001

Sei malato, Berto?, di Katja Reider, Nord-Sud, Pordenone 2002

Fino ai confini del mare, di Hermann Moers, Nord-Sud, Pordenone 2002

Rosso Timido, di Gilles Tibo, Nord-Sud, Pordenone 2002

Fratellino lupo, di Danièle Ball-Simon, Nord-Sud, Pordenone 2002

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VIDEO e CONFERENZE

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Milano 2008

Intervento di V.Lamarque al ciclo di incontri Città amica, città nemica,

ass.culturale Ambrosianeum, Milano 28 marzo 2012

Mia intervista a Vivian Lamarque, maggio 2012

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SITI

http://www.adolgiso.it

http://www.rossanadedola.com

http://tomasolkemeny.blogspot.it

ALTRI AUTORI

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E.Morante, Menzogna e sortilegio, Einaudi, Torino 1994

E.Dickinson, Poesie, Mondadori, Milano 1995

W.Szymborska, La fine e l'inizio, Scheiwiller editrice, Milano 1997

A.Zanzotto, Tutte le poesie, Mondadori, Milano 2011

E.Morante, Menzogna e sortilegio…

G.Nuvoli, L’ultimo romanzo possibile, una Commedia rovesciata, in Un altro

mondo. Omaggio a Elsa Morante (1912-2012), a cura di Antonio Motta, “Il

Giannone”, S. Marco in Lamis 2012, pp. 115 – 136.