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VIVA L’ITALIA, L’ITALIA TUTTA INTERA Glossario dell’Italia unita classe 2^ F Liceo Scientifico Statale “Aldo Moro” di Reggio Emilia 2010 - 2011 Nel 150° anniversario dell’Unità del nostro Paese, cominciamo dalle PAROLE per esercitare meglio il “mestiere” di cittadini e cittadine, a partire dai principi fondanti del vivere civile. VIVA L’ITALIA, L’ITALIA TUTTA INTERA: così abbiamo voluto intitolare questo nostro Glossario, riprendendo una celebre canzone di Francesco De Gregori, per sottolineare come l’Unità sia il filo conduttore che lega le 21 parole-chiave scelte a descrivere la nostra idea di Nazione. Nel Glossario troverete, in ordine alfabetico, termini del linguaggio politico, economico, giuridico, sociale, spiegati con le parole dei ragazzi e delle ragazze della classe 2^ F, che da due anni sta svolgendo un percorso di COSTITUZIONE E CITTADINANZA, all’interno di un curricolo liceale tradizionale. Ogni alunno e alunna ha scelto la parola della quale realizzare la scheda di glossario, attraverso un lavoro di ricerca e di confronto con i compagni, affinché il vocabolario risultasse coeso e organico. Ogni scheda reca il nome dell’autore e si apre con una ILLUSTRAZIONE (o fotografia o disegno) rappresentativa del concetto da spiegare; segue poi la GLOSSA vera e propria, frutto di una sintesi del lavoro di ricerca; chiude infine la scheda una CITAZIONE significativa. Le parole propongono una riflessione sui problemi della nostra società: il lavoro, l’emigrazione, la differenza di genere, i conflitti… avendo sempre a portata di mano la nostra Costituzione, che non solo compare nel glossario con una propria scheda, ma è sottesa all’intero lavoro come punto di riferimento essenziale. L’insegnante: Brunetta Partisotti

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VIVA L’ITALIA, L’ITALIA TUTTA INTERA Glossario dell’Italia unita

classe 2^ F Liceo Scientifico Statale “Aldo Moro” di Reggio Emilia 2010 - 2011

Nel 150° anniversario dell’Unità del nostro Paese, cominciamo dalle PAROLE per esercitare meglio il “mestiere” di cittadini e cittadine, a partire dai principi fondanti del vivere civile. VIVA L’ITALIA, L’ITALIA TUTTA INTERA: così abbiamo voluto intitolare questo nostro Glossario, riprendendo una celebre canzone di Francesco De Gregori, per sottolineare come l’Unità sia il filo conduttore che lega le 21 parole-chiave scelte a descrivere la nostra idea di Nazione. Nel Glossario troverete, in ordine alfabetico, termini del linguaggio politico, economico, giuridico, sociale, spiegati con le parole dei ragazzi e delle ragazze della classe 2^ F, che da due anni sta svolgendo un percorso di COSTITUZIONE E CITTADINANZA, all’interno di un curricolo liceale tradizionale. Ogni alunno e alunna ha scelto la parola della quale realizzare la scheda di glossario, attraverso un lavoro di ricerca e di confronto con i compagni, affinché il vocabolario risultasse coeso e organico. Ogni scheda reca il nome dell’autore e si apre con una ILLUSTRAZIONE (o fotografia o disegno) rappresentativa del concetto da spiegare; segue poi la GLOSSA vera e propria, frutto di una sintesi del lavoro di ricerca; chiude infine la scheda una CITAZIONE significativa. Le parole propongono una riflessione sui problemi della nostra società: il lavoro, l’emigrazione, la differenza di genere, i conflitti… avendo sempre a portata di mano la nostra Costituzione, che non solo compare nel glossario con una propria scheda, ma è sottesa all’intero lavoro come punto di riferimento essenziale.

L’insegnante: Brunetta Partisotti

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VIVA L’ITALIA, L’ITALIA TUTTA INTERA

Glossario dell’Italia Unita

ANNIVERSARIO dell’Unità d’Italia

Ilaria Renna

BANDIERA Federico Fantozzi COSTITUZIONE Marco Barbieri DIFFERENZA Martina Chiapponi EGUAGLIANZA Francesca Macchioni FEDERALISMO Maya Ferretti GIUSTIZIA Giovanni Carretti HUMANITAS Mattia Bertolani ISTRUZIONE Damiano Barchi LAVORO Jacopo Antinucci MA MELI Samuele Iotti NAZIONE Edoardo Durazzi ORGANIZZAZIONE DELLO STATO

Matteo Fino

PACE Saverio Parmiggiani QUORUM Referendum Andrea Buzzigoli REPUBBLICA Nicolò Prampolini SOLIDARIETA’ Ammar Alì TUTELA dell’AMBIENTE Isabella Chierici UNITA’ Arianna Brogio VALORI Deborah Codeluppi ZELO PARTECIPATIVO Simona Bonito

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ANNIVERSARIO dell’Unità d’Italia

Ilaria Renna

Il 17 marzo 2011 abbiamo festeggiato i 150 anni dall’unificazione dell’Italia. Un secolo e mezzo durante il quale il Paese è cambiato profondamente: ha modificato i propri modelli di riferimento, ha vissuto importanti fenomeni migratori, ha conquistato un posto di rilievo nel panorama internazionale, ha affrontato momenti di crisi. Le difficoltà rappresentano spesso , per una società, un’occasione di rilancio, o più semplicemente di riflessione. Così i festeggiamenti possono essere un’opportunità per un dibattito collettivo che, coinvolgendo l’intera nazione, porti a riflettere sul passato e sul presente per guardare consapevolmente al futuro. Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, da tempo ha intrapreso un viaggio simbolico nei luoghi della “memoria nazionale”, a partire da Genova: infatti dallo scoglio di Quarto, nel 1861, partiva la spedizione dei Mille che avrebbe portato alla proclamazione dello stato unitario.

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Il Presidente ha affermato che tutte le iniziative celebrative concordano con l’impegno a lavorare per la soluzione dei problemi di oggi, perchè questo impegno si nutre di un più forte senso dell’Italia e dell’essere italiani. Perciò il 17 marzo è stata Festa Nazionale, quest’anno. I festeggiamenti ufficiali sono iniziati proprio nella nostra città, Reggio Emilia “Città del Tricolore”, il 7 gennaio 2011. Il Presidente Giorgio Napolitano, nel suo discorso, ha detto con chiarezza : <Chi governa, rispetti il Tricolore!> Le celebrazioni sono iniziate di prima mattina, con l’alzabandiera, in una città tutta di tricolore vestita, compresi i Ponti di Calatrava sull’autostrada, illuminati a tema. Erano presenti i tre Sindaci delle città simbolo dell’Italia unita: Chiamparino per Torino, la prima sede del Regno fino al 1865; Renzi per Firenze, capitale fino al 1871; Alemanno per Roma capitale dal 1871. Hanno ricevuto dal Capo dello Stato il passaggio del testimone: la copia del Tricolore che proprio qui sventolò nel 1797. Nel suo discorso il Presidente ha esaltato il valore dell’unità, evitando però una visione acritica e retorica del Risorgimento.

“Ieri volemmo farla unita e indivisibile, come recita la nostra Costituzione, oggi si vogliono far rivivere nella

memoria e nella coscienza del paese le ragioni di quell’unità e indivisibilità come fonte di coesione

sociale, come base essenziale di ogni avanzamento, tanto nel nord quanto nel sud, in un sempre più arduo

contesto mondiale”. (Giorgio Napolitano)

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BANDIERA

Federico Fantozzi

La Fontana monumentale di Reggio Emilia

La bandiera italiana è nata il 7 gennaio 1797 a Reggio Emilia, dove è stata scelta come stendardo che unificava la Repubblica Cisalpina con quella Cispadana. La prima bandiera, considerata bandiera italiana, aveva bande orizzontali, con il rosso in alto, il bianco al centro e poi il verde. Dall’11 maggio 1798 la Cisalpina decise per la bandiera a bande verticali con il verde all’asta, il bianco al centro e il rosso all’estremo. Al centro recava un turcasso – faretra contenente quattro frecce, simbolo delle quattro Repubbliche: Bologna, Modena, Ferrara e Reggio Emilia.Questa bandiera è identica all’ attuale, segno della continuità delle idee e dei pensieri di libertà.

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Nel 1802, fondata la Repubblica italiana, il vice presidente Melzi propose di sopprimere il verde perché simbolo di giacobismo, rinnovamento, democrazia, unità e speranza di diritti uguali per tutti, ma non riuscì nel suo intento poiché questo colore ricordava che la divisione in piccoli stati non portava altro che miseria, lutto e sventure. I due colori bianco e rosso risalgono invece allo stemma sabaudo. Tuttavia le interpretazioni della scelta di questi colori sono anche altre e spaziano dalla storia alla poesia. Alcuni leggono in questi colori un significato legato alla terra: Verde come le nostre pianure, Bianco come le nevi delle Alpi e degli Appennini, Rosso come il sangue versato dai compatrioti per l'unione della nostra terra. Altri legano il significato dei colori alle virtù: -Verde per la speranza -Bianco per la fede -Rosso per la carità Altri ancora vedono nei tre colori un significato storico diverso da quello collegabile ai Savoia: il bianco e rosso deriverebbero dall'antico stemma comunale di Milano (il vessillo crociato rosso su campo bianco) e furono abbinati al verde che già a partire dal 1782 costituiva la tonalità delle uniformi della Guardia Civile milanese: il verde era infatti il colore di Milano fin dai tempi dei Visconti, dinastia che si fregiava di tale cromatismo nel proprio stemma araldico. Secondo altri interpreti l’origine dei tre colori sarebbe poetica: il Verde rappresenta la perpetua rifioritura della speranza , il Bianco la fede serena nelle idee che fanno divina l'anima, il Rosso la passione ed il sangue dei martiri e degli eroi. Questi colori, come ha ricordato Benigni nel suo celebre monologo, sono stati utilizzati anche da Dante per descrivere Beatrice, vestita d’una tunica bianca, una cintura verde e una parte rossa sulla spalla. Scherzosamente, infine, qualcuno vede un significato legato alla pizza, piatto rappresentativo dell’Italia all’estero: -Verde per il basilico -Bianco per la mozzarella -Rosso per il pomodoro La bandiera è simbolo dell’unione della patria, un’ Italia che in passato era intesa solo come un’ espressione geografica, un luogo.

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sovra candido vel, cinta d’uliva donna m’apparve, sotto verde manto

vestita di color di fiamma viva. (Dante, Divina Commedia, Purgatorio, Canto XXX

versi 30/33)

COSTITUZIONE

Marco Barbieri

La parola COSTITUZIONE deriva dal latino “constitutio”, a sua volta composto da cum+ statuo, dunque “ stabilire insieme”: è importante sottolineare il valore fondamentale di quel “CUM”. La Costituzione è la LEGGE FONDAMENTALE di uno Stato, documento solenne in cui il cittadino trova affermati i suoi doveri e i suoi diritti. Una Costituzione è generalmente divisa in due parti: i Principi Fondamentali e le Regole che definiscono l’Ordinamento dello Stato.

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La nostra Costituzione è frutto di un buon “compromesso” sottoscritto tra i rappresentanti delle diverse ideologie (liberale, cristiana, socialista), al fine di riconoscersi tutti nella medesima “casa comune”. Il 1° gennaio 1948 l’Assemblea Costituente dona al Paese il più alto ed efficiente strumento per una onesta regolazione della vita sociale, nell’interesse di tutti e non per corrispondere a interessi di parte. “La Costituzione è un patto fra generazioni”. (Leopoldo Elia) La nostra è una Costituzione RIGIDA, cioè protetta da facili modifiche, per evitare interventi nefasti quali si verificarono sullo Statuto Albertino (che invece era flessibile) da parte del regime fascista. La nostra Costituzione dovrebbe essere insegnata fin dalle elementari, come si usa fare negli Stati Uniti d’America, almeno i principi fondamentali, forse si potrebbero prevenire momenti di follia e dissennatezza quali il nazismo e la persecuzione razziale. “Le Costituzioni sono i testi che i popoli si danno nei momenti di grande assennatezza per potersi difendere nei momenti di maggiore dissennatezza”, hanno scritto i Padri Costituenti francesi. Dopo oltre sessant’anni restano più che mai validi i principi fondamentali sanciti dalla Costituzione repubblicana, principi che sono scaturiti dall’intera nostra storia nazionale, dal Risorgimento alla Resistenza antifascista. La Costituzione deve diventare cultura diffusa, sostiene Gustavo Zagrebelskj. “La Costituzione fatevela amica e compagna di strada. Vi sarà presidio sicuro, nel vostro futuro, contro ogni inganno e contro ogni asservimento, per qualunque meta vi prefissiate”: questa frase è incisa alla base del Monumento dedicato a Giuseppe Dossetti, opera dell’artista scultore Iler Melioli, collocata nel cortile del nostro Liceo.

“Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la Costituzione, andate nelle montagne dove

caddero i partigiani, nelle carceri dove furono

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imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì

è nata la nostra Costituzione”

(Piero Calamandrei, Discorso ai giovani)

DIFFERENZA

Martina Chiapponi

Se l’uguaglianza sul piano dei diritti rimane un fondamento del vivere civile, la differenza è uno dei valori fondamentali del nostro secolo: la diversità è colore, cultura, ricchezza, scambio, crescita…fa parte della storia di ogni uomo e donna. Spesso, tuttavia, appare come un pericolo, una minaccia, una barriera che oppone i simili agli “altri”. E’ di certo molto più comodo avere a che fare con ciò che già conosciamo in situazioni già sperimentate, mentre ai nostro occhi appaiono diversi e quindi esclusi ed emarginati gli immigrati, gli omosessuali, i matti, i portatori di handicap, i “perdenti” in genere, e molto spesso anche le donne. Saper gestire la diversità richiede coraggio, impegno, pazienza, ma regala la gioia della scoperta, l’avventura del viaggio, il rischio del confronto e l’audacia

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del mettersi in discussione. Io credo che il primo passo da fare sia quello di cominciare a considerare la diversità non come un elemento da tollerare, ma come un bene da tutelare! Tra le molte differenze che contraddistinguono la nostra società vorrei soffermarmi su quella di “genere”, vale a dire la differenza tra l’uomo e la donna. Nella Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’eliminazione della violenza contro le donne, del 1993, nell’art.1 si definisce la violenza contro le donne “Qualsiasi atto di violenza per motivi di genere che provochi danno fisico, sessuale o psicologico, comprese le minacce di violenza, obbligo o privazione arbitraria della libertà personale, sia nella vita pubblica che privata”. Su questo tema la mia classe ha avuto modo di confrontarsi con l’Associazione reggiana NONDASOLA, organizzazione che si occupa delle donne che hanno subito violenza. Le statistiche dimostrano che la violenza sulle donne è frequente sia nei paesi sviluppati che non, sia nelle classi alte che medio-basse, e in tutte le classi sociali e culturali. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, almeno una donna su cinque ha subito abusi fisici o sessuali da parte di un uomo nel corso della sua vita. E il rischio maggiore si verifica proprio là dove una donna dovrebbe sentirsi più protetta, ovvero in casa propria o nei luoghi considerati sicuri: gli aggressori sono gli stessi familiari, padri, mariti, amici, vicini di casa, conoscenti o colleghi di lavoro. La violenza contro le donne è oggi riconosciuta dalla comunità internazionale come una violazione fondamentale dei diritti umani. Quando parliamo di violenza sulle donne pensiamo solitamente alla violenza fisica, allo stupro, ma abbiamo scoperto che molto spesso esiste un altro tipo di violenza, molto più sottile e pericolosa che è quella psicologica e morale, e che spesso non viene riconosciuta come tale perchè, soprattutto fra i più giovani, si manifesta in maniera quasi abitudinaria. L’esempio più diffuso è la violazione della libertà della propria ragazza/o, ad esempio in merito all’abbigliamento, alla frequentazione di altre persone dell’altro sesso. Tali comportamenti vengono semplicemente identificati come segno di gelosia, ma sono in realtà molto più pericolosi proprio perchè spia di una vera e propria violenza morale, violazione dell’autonomia di scelta del proprio partner.

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“Nessuno può farti sentire inferiore se tu non glielo consenti”

(Eleanor Roosevelt)

EGUAGLIANZA

Francesca Macchioni

La parola EGUAGLIANZA nasce in Francia tra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento, come ideale rivoluzionario per descrivere il valore del rispetto e il rifiuto delle differenze tra mondo nobiliare e borghese durante la Rivoluzione Francese. Libertè, egalitè, fraternitè: così recitava il motto. L’etimologia del termine, dal latino, è la stessa del concetto di giustizia, imparzialità: AEQUALIS ed AEQUUS hanno infatti la stessa radice. Il concetto di eguaglianza esprime un bisogno umano profondo ed è connesso con la democrazia stessa.

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L’ ideale di eguaglianza dunque presuppone che i membri di una collettività siano considerati allo stesso modo relativamente a determinati diritti o valori. In particolare l’eguaglianza sociale dovrebbe essere una situazione in cui tutti gli individui abbiano lo stesso status di rispettabilità nei confronti della sicurezza, del diritto di voto, di parola, di riunione, di proprietà… Ma la parola comprende anche l’accesso all’istruzione, all’assistenza sanitaria, nonché alle pari opportunità: genere sessuale, orientamento sessuale, età, origine, classe, reddito, lingua, religione, convinzioni, opinioni, salute o disabilità non devono tradursi in disparità di trattamento. L’articolo 3 della Costituzione impegna concretamente la Repubblica affinché siano rimossi gli ostacoli alla sua effettiva applicazione. La Costituzione dunque riconosce il principio di eguaglianza come parte essenziale della cultura e del modo di pensare di tutti: anche se talvolta questo principio viene violato, appartiene al patrimonio universale la consapevolezza che tutti gli uomini sono uguali nei diritti e nella dignità. L’uguaglianza è formale e sostanziale: formale rispetto alla legge scritta, sostanziale perchè non basta trattare tutti allo stesso modo, occorre dare a tutti le stesse opportunità e rimuovere i fattori di disparità. In questa seconda accezione l’uguaglianza è a favore dei soggetti deboli, di coloro che per ragioni economiche o sociali vedono ostacolata la possibilità di un esercizio effettivo dei propri diritti. Il principio di uguaglianza non riguarda soltanto i cittadini ma anche gli stranieri, come ha affermato la Corte Costituzionale fin dal 1967.

“Non c’è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali”

Don Lorenzo Milani

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FEDERALISMO

Maya Ferretti

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La parola ha origini latine: foedus significa “patto”. L’accezione più diffusa del federalismo è quella politica: si tratta della dottrina secondo cui il potere è diviso tra una autorità governativa centrale e le unità politiche di sottogoverno (province, comuni, regioni…). La preoccupazione comune è quella di conciliare in modo organico due concetti basilari:

- l’Unità dello Stato - un maggior potere alle Regioni, ma senza minare le fondamenta

nazionali.

Il federalismo si diffonde in Europa nell’Ottocento, in polemica con l’eccessiva centralizzazione di molti stati, ma anche come strumento di ricerca di una pace duratura in un continente spesso in guerra. Tra i maggiori teorici dell’idea federalista ricordiamo Cattaneo e Gioberti. Cattaneo sostiene che “è sempre esistito un federalismo delle intelligenze umane. […] Attraverso il federalismo i popoli possono gestire meglio la loro partecipazione alla cosa pubblica”, e aggiunge che “il diritto federale si realizza nel cedere a istituzioni politiche superiori quella sola parte di potere utile per la migliore funzionalità della vita sociale e trattenere tutti gli altri poteri”. Uno dei padri del federalismo moderno è Altiero Spinelli con il manifesto di Ventotene, pensato in un’ottica europea e basato sui principi della libertà e della pace come base della civiltà moderna. L’idea di fondo federalista vede uno Stato Europeo sovranazionale che si occupi di politica estera, economia e difesa, affidando gli altri ambiti ai singoli Stati. In Italia l’idea federalista è stata rilanciata dal partito politico della Lega Nord: se nel 1996 questo partito sosteneva la secessione del Nord definito come “Padania”, attualmente propone uno stato federale, confermando tuttavia la teorizzazione di una Padania. E’ in discussione in Parlamento un testo di legge relativo al federalismo. Il tema del federalismo si trova nella Costituzione agli articoli 5 e 119.

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L’ultima modifica alla Costituzione in senso federalista ha toccato il Titolo Quinto.

“La via da percorrere non è facile né sicura, ma deve essere percorsa e lo sarà”

(Altiero Spinelli, Manifesto di Ventotene)

GIUSTIZIA

Giovanni Carretti

Ubi ius, ibi societas: Dove esiste il diritto, lì esiste una società. Questo motto latino esprime bene il valore della giustizia come fondamento imprescindibile della convivenza civile. Ius, iuris, in latino, significa infatti ragione, diritto, legge, GIUSTIZIA. Il concetto di giustizia è complesso e si presta a diverse interpretazioni: c’è una GIUSTIZIA MORALE, ovvero il senso di ciò che dentro di noi percepiamo come giusto o ingiusto, quella che Antigone definiva “la legge del cuore”.

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Poi esiste la GIUSTIZIA SOCIALE, quella che ogni comunità democratica dovrebbe garantire ai suoi membri, basata sull’uguaglianza e su una buona qualità della vita. Diceva Martin Luther King che “l’ingiustizia in un luogo qualsiasi è una minaccia alla giustizia ovunque”. Infine c’è la GIUSTIZIA “giuridica” intesa come istituzione, la Magistratura che esercita il potere giudiziario di intervenire nei confronti di chi viola le leggi. Dunque la giustizia per sé e per gli altri si traduce sempre in un diritto e in un dovere. In questa scheda ci soffermiamo sul terzo significato della parola: Il POTERE GIUDIZIARIO è un potere autonomo, retto da un organismo sovrano, il Consiglio Superiore della Magistratura, presieduto dal Presidente della Repubblica. La Costituzione, art.101 dice che “La giustizia è amministrata in nome del popolo. I giudici sono soggetti soltanto alla legge”. L’INDIPENDENZA della magistratura è riconosciuta come uno dei pilastri dell’ordinamento democratico, poiché il concetto di giustizia deve valere per tutti, dal semplice immigrato, operaio, operaio, facoltoso imprenditore o politico di turno. Attualmente è aperta una accesa discussione: la magistratura stessa chiede un ammodernamento del sistema, più mezzi e fondi e uomini a disposizione, meno interferenza del potere politico; alcuni politici accusano la magistratura di voler essere protagonista mediatica, lamenta una fuga di notizie sui procedimenti penali, ritiene i giudici politicizzati o addirittura “sovversivi” , affermazioni, queste ultime, davvero gravissime. E’ dunque in atto un vero e proprio scontro tra poteri che rischia di mettere in discussione la Costituzione stessa.

“ Forse destino dell’uomo

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non sarà realizzare la giustizia, ma avere fame e sete di giustizia

è sempre un grande destino” (Aldo Moro)

HUMANITAS

Mattia Bertolani

Il termine indica le caratteristiche della natura umana civilizzata, consistenti nell’uso della lingua e della ragione, e perciò opposte alla natura animale e selvaggia. Il significato dunque si allontana dalla radice etimologica che condivide con humus, terra, per comprendere i concetti di umanità, cultura, educazione, civiltà, ma anche società umana, genere umano, consorzio civile. La parola humanitas si può ricollegare al greco filantropia, termine con il quale i greci indicavano la benevolenza.

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Con questa espressione si indicano dunque quegli ideali di attenzione filantropica tra gli uomini che prescindono da pregiudizi di razza, cultura e religione. Ci si riferisce a una concezione etica basata su un ideale di umanità positiva, fiduciosa nelle proprie capacità, sensibile e attenta ai sentimenti e ai valori interpersonali. Tale sentimento non fa distinzioni tra gli uomini. I principi dell’ humanitas sono:

1) la filantropia e, sul piano politico, il dovere di porsi al servizio dell’ umanità;

2) l’affermazione dell’ autonomia personale;

3) la giustificazione dell’ attività personale ( otium ) come autonoma ed avente una sua dignità, non meno dell’ attività politica ( negotium )

Esiste un legame stretto fra tutti gli uomini, proprio e soltanto perché sono uomini, costituiscono una sola famiglia, a tutti è dovuto il dono di una parola di conforto o di un consiglio: così pensava Terenzio, dando voce a una società nuova. Infatti il complesso significato di humanitas non è traducibile dal latino con una sola parola: potremmo dire che corrisponde a umanità e società insieme, intendendo l’insieme delle persone che si riconoscono in uno stato, in un sistema, e collaborano al fine di raggiungere il bene comune. Tale raggiungimento non è possibile da conseguire senza le norme, le regole, le leggi che tendono all’ organizzazione e al corretto funzionamento del sistema, e tramite le quali viene assunto il corretto comportamento che ogni cittadino dovrebbe tenere ai fini della convivenza. Non è pensabile una società evoluta e stabile senza leggi, basti ragionare sul rapporto tra le persone e la sua complessità. Bisogna tuttavia rammentare ciò che la storia e la filosofia ci insegnano, vale a dire che non sempre le leggi coincidono con i fini della giustizia: può mancare la corrispondenza, come accade nella vicenda di Antigone, in cui la legge del cuore si scontra con la dura legge del tiranno Creonte. E in ogni modo deve pur esistere un diritto scritto che tenda a regolare nel modo più equo possibile i rapporti sociali, al fine di realizzare il livello migliore di società “giusta”, capace di garantire a tutti una buona qualità della vita oltre che il godimento dei diritti fondamentali, una società che sia espressione alta e concreta dell’humanitas.

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“Homo sum, humani nihil a me alienum puto:

sono un uomo, nulla di umano reputo a me estraneo”

Publio Terenzio Afro

ISTRUZIONE

DamianoBarchi

ART. 33 : L’ arte e la scienza sono libere e libero ne è l’ insegnamento. La repubblica detta le norme generali sull’ istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. ART. 34 : La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto a borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze che devono essere attribuite per concorso.

La scuola è stata un potente fattore di integrazione delle tante Italie presenti al momento dell’unificazione. Grazie al lavoro degli insegnanti, la lingua italiana che nel 1861 era parlata da un’infima minoranza, è oggi il principale veicolo di comunicazione. Insieme al servizio militare e alla televisione, la scuola è stata il principale strumento di alfabetizzazione nel secolo scorso, sostiene Tullio De Mauro. Pensiamo a quegli straordinari maestri di scuola e

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di vita che sono stati Alberto Manzi (indimenticabile la sua trasmissione Non è mai troppo tardi), Gianni Rodari, Mario Lodi, Don Lorenzo Milani. Quest’ultimo è stato un sacerdote “scomodo”, ma soprattutto un maestro diverso: ha educato molti ragazzi nel paesino di Barbiana, che raccoglieva poche famiglie poverissime, per le quali aprì una scuola in cui non insegnava solo cose da imparare ma anche come vivere. L’ istruzione in Italia è obbligatoria fino al termine del biennio superiore, e se in passato la scuola era un privilegio, oggi è un DIRITTO del quale dobbiamo usufruire con convinzione. Noi giovani dovremmo cogliere consapevolmente il valore della cultura come investimento decisivo per la crescita del nostro paese, così come seppero coglierlo i Padri Costituenti. “L’essenziale non è quel che si sa, ma quel che si è”: diceva Gramsci, affermando che la CULTURA non è possedere un magazzino ben fornito di notizie, ma è la capacità di COMPRENDERE la vita, se stessi e gli altri uomini. In sintesi la cultura è filosofia e umanità. Questo dovrebbe trasmettere la scuola. Gli antichi sostenevano che “Tutti gli uomini, per loro stessa natura desiderano imparare”, e certamente pensavano al significato etimologico del verbo STUDEO, che in latino significa letteralmente desiderare! Insomma studiare dovrebbe corrispondere alla passione, alla curiosità di apprendere, come obiettivo essenziale di una buona scuola. Ispirandoci alla trasmissione “Vieni via con me”, nella mia classe abbiamo stilato un Elenco delle cose che fanno una buona e una cattiva scuola. Eccone un estratto: La buona scuola è quella dove gli insegnanti amano il proprio lavoro La buona scuola è quella che promuove impegno, coraggio, responsabilità, fiducia in se stessi La buona scuola è quella dove si mette passione nel fare le cose La buona scuola è quella in cui si applica la Costituzione e si diffonde la sua conoscenza La buona scuola è quella dove l’ insegnamento fa maturare progetti di vita La buona scuola è quella dove gli studenti si sentono come a casa loro La buona scuola è quella in cui l’ obbiettivo è il miglioramento La buona scuola è quella dove andare diventa un piacere La buona scuola è quella in cui i ragazzi e gli insegnanti insieme imparano cose nuove. Ecco invece un elenco delle cose che fanno una CATTIVA scuola : La cattiva scuola è quella dove non c’è interazione tra le persone La cattiva scuola è quella in cui la severità produce ansia che produce sfiducia La cattiva scuola è quella in cui l’ obbiettivo è solo portare a termine il programma La cattiva scuola è quella in cui non si sperimenta mai nulla La cattiva scuola è quella dove si va avanti e non si recupera nessuno La cattiva scuola è quella in cui i docenti sono sempre arrabbiati. L’ attuale Ministro dell’ Istruzione in carica è Mariastella Gelmini, che ha introdotto dall’ anno scolastico 2010-2011 una Riforma della Scuola Superiore che sta suscitando molte discussioni e critiche.

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“Gli uomini, mentre insegnano, imparano” (Seneca)

LAVORO Jacopo Antinucci

La stella bianca a cinque punte,emblema ufficiale della Repubblica, è sovrapposta a una ruota dentata d’acciaio, simbolo del lavoro su cui si basa la Repubblica, e del progresso.

“L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro” Così recita il primo articolo della Costituzione italiana, sottolineando dunque un DIRITTO fondamentale. I nostri Padri Costituenti discussero a lungo sulla formulazione dell’art.1: l’espressione “democratica” vuole indicare i caratteri fondamentali di libertà e uguaglianza, senza i quali non v’è democrazia, mentre la dizione “fondata sul lavoro” vuol indicare il nuovo carattere che lo Stato italiano doveva assumere. Dicendo che la Repubblica è fondata sul lavoro si esclude che essa possa fondarsi sul privilegio, sulla nobiltà ereditaria, sulla fatica altrui, e si afferma

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invece che essa si fonda sul dovere, che è anche un diritto, di trovare nel lavoro la capacità di essere e di contribuire al bene della comunità nazionale. Si afferma perciò il dovere per ogni uomo di essere quello che ciascuno può, in proporzione dei talenti, e la massima espansione potrà essere raggiunta quando ogni uomo avrà realizzato, nella pienezza del suo essere, il miglior contributo alla prosperità comune. Tra tutte le Costituzioni la nostra è l’ unica che introduce il principio lavorista , e coniugato con la democrazia: si tratta di un fatto del tutto rivoluzionario in occidente. Va sottolineato poi che il significato di questo principio è “ programmatico “ , vale a dire vincola tutto il testo costituzionale a rispettare quel principio lavorista : il lavoro è un diritto fondamentale , perciò è affermato nell’ art. 1 della Costituzione , dunque una sorta di pre-condizione di tutti gli altri diritti. Il lavoro è elemento indispensabile per la crescita economica e culturale di una Nazione e per la dignità di ogni cittadino. Un proverbio dice che il lavoro nobilita l’uomo, proprio perchè dà l’opportunità di partecipare al miglioramento del paese, di confrontarsi con gli altri, di mostrare le proprie capacità e di sostenersi con un reddito che permetta di vivere.Il lavoro è un’impresa comune che lega fra loro tutti gli uomini; è un fare dotato di enorme forza creativa, e che va pensato e governato dalle regole del bene comune e non dalle regole del bene del singolo. Il lavoro ha come scopo ultimo conseguire una vita buona in mezzo agli altri uomini. Il mito ci ricorda che il lavoro, dono di Prometeo, ci distingue dagli animali, mentre la giustizia, dono di Ermes, garantisce la possibilità di unire in amicizia uomini, popoli e stati. Purtroppo stiamo attraversando una fase in cui questo pilastro portante della società è diventato un grande problema: disoccupazione, cassa integrazione, precariato sono ormai condizioni di vita in forte aumento. La crisi e il mancato intervento del governo hanno portato a questa realtà. Le proteste nelle fabbriche e nelle università hanno cercato di sensibilizzare la politica su questi temi fondamentali. Un giovane che non trova lavoro oppure trova un’occupazione precaria, non può costruirsi un progetto di vita, uscire dalla famiglia, mantenersi. Il lavoratore che perde il suo impiego non è più in grado di contribuire al mantenimento dei familiari e piano piano perde il suo posto nella società. Il lavoro, quindi, contribuisce a definire l’identità di una persona e nello stesso tempo a sviluppare il paese. Lo stato quindi dovrebbe garantire a tutti i cittadini questo diritto-dovere.

“Se dunque il legame tra l’uomo e l’universo è il lavoro, sarà questo fare orientato al pensiero e alla

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virtù suprema a garantire a ciascuno e a tutti il regno degli uomini su questa terra”

(Henry Bergson)

MAMELI Samuele Iotti

Il canto degli Italiani, meglio conosciuto come “Inno di Mameli”,o più raramente come “Fratelli d'Italia” dal suo verso introduttivo, è l'inno nazionale della Repubblica Italiana, adottato provvisoriamente dal 12 ottobre 1946 e definitivamente il 17 novembre 2005. Dobbiamo alla città di Genova “Il Canto degli Italiani”. Scritto nell'autunno del 1847 dall'allora ventenne studente e patriota Goffredo Mameli, musicato poco dopo a Torino da un altro genovese, Michele Novaro, il Canto degli Italiani nacque in quel clima di fervore patriottico che già preludeva alla guerra contro l'Austria. L'immediatezza dei versi e l'impeto della melodia ne fecero il più amato canto dell'unificazione, non solo durante la stagione risorgimentale, ma anche nei decenni successivi. Non a caso Giuseppe Verdi, nel suo “Inno delle Nazioni” del 1862, affidò proprio al Canto degli Italiani – e non alla Marcia Reale – il compito di simboleggiare la nostra Patria, ponendolo accanto a God Save the Queen e alla Marsigliese. Fu quasi naturale, dunque, che il 12 ottobre 1946 l'Inno di Mameli divenisse l'inno nazionale della Repubblica Italiana. Mameli morì a soli ventidue anni a causa di un'infezione alla gamba sinistra procuratasi

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durante una battaglia contro i Francesi che avevano assediato la città di Roma. Pur così giovane,questo ragazzo ha avuto il coraggio e la passione per esprimere le sue speranze e ha donato agli italiani un regalo enorme:

Fratelli d'Italia, l'Italia s'è desta, dell'elmo di Scipio s'è cinta la testa.Dov'è la vittoria?! Le porga la chioma, ché schiava di Roma Iddio la creò.

Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte; l'Italia chiamò.Noi siamo da secoli calpesti, derisi perché non siamo Popolo, perché siam divisi: raccolgaci un'unica bandiera, una speme: di fonderci insieme già l'ora suonò.Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte; l'Italia chiamò. Uniamoci,amiamoci, l'unione e l'amore rivelano ai popoli le vie del Signore;giuriamo far libero il suolo natio:uniti per Dio, chi vincer ci può!? Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte; l'Italia chiamò.

È appunto chiamandoli “fratelli” che Mameli, convinto e coerente mazziniano, rivolge agli Italiani il Canto a loro dedicato. Oggi l’Italia, lungi ormai dall’essere “calpesta e derisa”, è una realtà fuori discussione. Per questo, oggi, può risultare difficile comprendere fino in fondo l’emozione e la speranza che quel “fratelli” era in grado di suscitare nei patrioti risorgimentali. Ma nel 1847, quando il ventenne Goffredo Mameli scrisse il Canto degli Italiani, l’Italia come la conosciamo noi era ancora un sogno, un’utopia. La Penisola era politicamente frammentata in una congerie di stati e staterelli, soggetti ai governi oscurantisti e illiberali imposti nel 1815 dal Congresso di Vienna. Il Canto degli Italiani, invece, già con quel “fratelli” iniziale, dichiarava che l’Italia aveva il dovere morale di essere unita e che per i suoi figli era giunta l’ora di tornare ad essere popolo. Tutto l’Inno è improntato al messaggio mazziniano, anzitutto il valore dell’Unità d’Italia, puntigliosamente illustrata rievocando significativi momenti storici delle sue diverse aree “dall’Alpi a Sicilia”. E la stessa ampiezza dello sguardo suggerisce che il “fondersi insieme” non deve tradursi in un appiattimento che dimentichi o sopprima il grande patrimonio delle diverse realtà regionali.

L’Inno di Mameli ha in sè un profondo valore culturale: dentro quest’opera c’è tutto: la bellezza della lingua, e la poesia dai tratti fragili che in alcuni momenti diventano una tempesta di fuoco, tanto appaiono forti. In questi giorni si sono occupati dell'Inno nazionale molti personaggi famosi commentandolo, cantandolo, spiegando il significato delle sue parole. Tra questi, colui che ha colpito maggiormente per la sua interpretazione è stato l'immenso Roberto Benigni che, durante il Festival di Sanremo, ha fatto una vera esegesi del Canto degli Italiani. Il monologo si è chiuso con una emozionante esecuzione a cappella dell'Inno.Forse è stato necessario il commento di Benigni per farci

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capire fino in fondo che il nostro Inno, in passato considerato “brutto e retorico”, ha invece una sua dignità: spiegato a tutti con tanta chiarezza è diventato davvero segno di forza della Nazione.

“Tutti gli uomini di una nazione sono chiamati, per la legge di Dio e dell’umanità, ad essere uguali e fratelli”

(Giuseppe Mazzini)

NAZIONE Edoardo Durazzi

Una nazione (dal latino natio-onis, letteralmente"nascita") è un complesso di persone che, avendo in comune caratteristiche distintive quali la storia, la lingua, il territorio, la cultura, l'etnia, la politica, si identifica in una comune identità a cui esse sentono di appartenere, legate da un sentimento di solidarietà. È questa consapevolezza di un'identità condivisa, questo sentimento di appartenenza a tale identità e di solidarietà che lega gli uomini, diffusi a livello di massa e non di ristrette cerchie di persone, e rende una comunità etnica, culturale, politica una Nazione.

Pur non esistendo una definizione scientifica e universalmente riconosciuta di Nazione, di che cosa sia la nazione, come e quando sia nata, esiste tuttavia una immensa letteratura in proposito.

Senza esaurirsi in un’identità etnica o linguistica, religiosa o geografica, ogni nazione si nutre di una volontà di stare insieme fatta di tradizioni

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antropologiche, memorie spirituali, appartenenze politiche, che le sfide del presente mettono continuamente alla prova.

Ernest Renan definisce la Nazione come l'anima e il principio spirituale di un popolo, che gode di una ricca eredità di ricordi e di consenso. Ne consegue che la Nazione esiste finché trova posto nella mente e nel cuore delle persone che la compongono.

L'idea di Nazione matura nel tempo, soprattutto grazie al concetto di "gruppo di appartenenza" e dal punto di vista politico. Sentirsi Nazione prevede un profondo senso del "noi", pace e ordine al suo interno, condivisione di una serie di simboli e miti comuni, garanzia di protezione e consapevolezza della durata nel tempo della Nazione rispetto ai singoli individui. Il senso del "noi" si sviluppa nella popolazione spesso grazie al confronto con il "gruppo esterno", che alle volte assume la forma di un odiato nemico. Un esempio può trovarsi nella storica rivalità tra nazione francese e nazione tedesca: entrambe hanno caratterizzato la loro identità attraverso il tratto dell'ostilità verso il vicino.

Nonostante al giorno d'oggi molte nazioni coincidano con uno Stato, le cose non sono sempre andate così in passato e ancora oggi esistono nazioni senza Stato come la Palestina, e viceversa ci sono degli stati formati da più nazioni ad esempio gli USA. Vi sono anche stati senza nazione come la Repubblica di San Marino.

Vari sono i simboli nazionali dell’Italia: l'azzurro , colore che contraddistingue le squadre sportive, deriva dallo sfondo dello Stemma Sabaudo e dalla devozione di Casa Savoia per la Vergine Maria.

L'Italia turrita è tradizionalmente la personificazione della nazione. È rappresentata da una figura femminile detta “turrita” in quanto ha come corona una cerchia di mura con torri (dall'araldica comunale) sovrastata da una stella a cinque punte, storico simbolo del paese.

La stella bianca a cinque punte: è l'emblema ufficiale della Repubblica, è detta anche “stellone” e compare nei documenti ufficiali dello Stato italiano, approvato dall’Assemblea Costituente nella seduta del 31 gennaio 1948. Il bozzetto iniziale, di epoca risorgimentale, fu realizzato dall’artista Paolo Paschetto, vincitore dei due concorsi pubblici indetti.

La stella è sovrapposta a una ruota dentata d’acciaio, simbolo del lavoro su cui si basa la Repubblica, e del progresso. L’insieme è racchiuso da un ramo di quercia che simboleggia la forza e la dignità del popolo italiano, e da uno d’olivo che rappresenta la volontà di pace della Nazione.

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“Una nazione non può essere

che al prezzo di cercarsi senza fine”

(Ferdinand Braudel)

ORGANIZZAZIONE DELLO STATO

Matteo Fino

Gli effetti del Buon Governo – A. Lorenzetti Accanto al POPOLO e al TERRITORIO, altro elemento costitutivo dello Stato è la sua ORGANIZZAZIONE, cioè il complesso degli apparati con cui lo Stato stesso governa la società, secondo la Costituzione. I principi che regolano l’organizzazione dello Stato sono: la PUBBLICITA’: tutti i cittadini hanno diritto di conoscere e controllare l’operato degli organi del potere pubblico;

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la LEGALITA’: è la legge che deve stabilire numero e tipo di organi, e ripartirne le funzioni; la SEPARAZIONE DEI POTERI: garantisce il loro bilanciamento e reciproco controllo. Alla base di questa organizzazione c’è il popolo che elegge gli organi più importanti e dal quale proviene la SOVRANITA’ esercitata dagli organi stessi. Se il popolo è il fondamento, il PARLAMENTO è il centro dell’organizzazione costituzionale ed esprime la volontà popolare. Lo Stato italiano infatti ha un regime parlamentare. Il GOVERNO è l’organo detentore del potere esecutivo ed è composto dal Presidente del Consiglio e dai Ministri. Il PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ha funzione rappresentativa e simbolica dell’Unità dello Stato; ha il compito di equilibrare il sistema politico nel solco della Costituzione. E’ il garante degli equilibri costituzionali in quanto ciascun organo deve esercitare il potere che la Costituzione gli assegna. La MAGISTRATURA esercita il potere giudiziario e costituisce un ordine autonomo e indipendente dagli altri poteri (Art.104 Cost.). Il Giudice deve obbedire solo alla Legge, in nome del popolo italiano. La CORTE COSTITUZIONALE è il supremo organo di garanzia costituzionale poiché ha il compito di assicurare il rispetto della Costituzione da parte delle Leggi ordinarie e di risolvere i conflitti di attribuzione e di potere tra gli organi dello Stato. Il Presidente emerito della Repubblica Scalfaro la definì “la vestale della Costituzione”. Le AUTONOMIE LOCALI (Comune, Provincia, Regione, Città Metropolitana) e sono espressione dell’autonomia e del decentramento previsti dall’Art.5 Cost. Esercitano la funzione amministrativa.

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“Lo Stato deve essere una “casa di vetro” per il popolo”

(E.Balducci – P.Onorato)

PACE Saverio Parmiggiani

La pace è una condizione sociale, relazionale, politica o legata ad altri contesti, caratterizzata da condivisa armonia ed assenza di tensioni e conflitti. Il termine deriva dal latino pax, che a sua volta deriva dalla radice della lingua sanscrita paç = pak-, pag- : legare, unire, saldare. Più specificatamente, la pace viene considerata, o dovrebbe essere considerata, secondo l'opinione corrente, un valore universalmente riconosciuto che sia in grado di superare qualsiasi barriera sociale e/o religiosa ed ogni pregiudizio ideologico, in modo da evitare situazioni di conflitto. Ormai si è fatta strada l’ idea di una pace positiva , considerata non semplicemente come assenza di guerre, bensì come presenza di condizioni di giustizia reciproca tra i popoli. La pace risulta dal modo in cui un popolo si relaziona con un altro, nel rispetto dei diritti e dei doveri; di conseguenza essa è garantita solo ed esclusivamente dal comportamento degli individui che insieme costituiscono il comportamento e

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le scelte di un popolo. Il pacifismo è invece un fenomeno sostanzialmente occidentale, nato in tempi moderni dalla diffusione in America e in Europa del pensiero di Gandhi e dalla grande stagione dei movimenti per i diritti civili, in primis le due grandi battaglie per la parità dei diritti tra bianchi e neri e tra uomini e donne. Grandi comunicatori vicini al mondo giovanile come Bob Dylan e John Lennon hanno aiutato a sviluppare una coscienza più chiara del fatto che le grandi questioni nazionali e internazionali possono essere risolte senza ricorrere alla violenza. Il variegato mondo pacifista ha comunque differenziazioni dovute al momento storico e ai riferimenti culturali: mentre alcuni non negano la violenza militare, altri negano a priori qualunque azione militare. Benché sottile, esiste una differenza tra pacifismo e nonviolenza: il primo rifiuta a priori la lotta in ogni sua forma mentre il secondo si oppone alla lotta violenta come metodo di risoluzione dei conflitti, fondando la propria azione su alternative quali la disobbedienza civile e la resistenza non violenta.

L’ideale della pace è appartenuto a molti grandi personaggi:Bertrand Russell fu un convinto pacifista; egli definì la sua posizione "pacifismo relativo" poichè riteneva che la guerra fosse un male, ma anche che, in circostanze estreme, ad esempio quando Hitler minacciava di occupare l'Europa intera, la guerra stessa potesse essere il male minore.Il Mahatma Gandhi fu fortemente influenzato dall'induismo e dalla pratica del giainismo, i quali diffondono da sempre il concetto di non-violenza. La non-collaborazione o boicottaggio non-violento significava per Gandhi non acquistare liquori e tessuti provenienti dall'impero britannico, non iscrivere i figli alle scuole inglesi, non investire i propri risparmi in titoli di stato britannici….La disobbedienza civile consisteva nel violare pubblicamente le leggi ritenute ingiuste accettando però le punizioni previste dalla legislazione vigente per le violazioni commesse. Per Gandhi la disobbedienza civile rappresentava, insieme allo sciopero della fame e della sete, la forma culminante di resistenza non-violenta; egli la definì “un diritto inalienabile di ogni cittadino”, e affermò che “rinunciare a questo diritto significa cessare di essere uomini”.Martin Luther King fu un pastore battista afro-americano dell'Alabama, leader dei diritti civili della minoranza di colore negli Stati Uniti. Significativo è il discorso che tenne il 28 agosto 1963 durante la marcia per il lavoro e la libertà,nel quale pronunciò più volte la celebre frase "I have a dream", che sottintendeva l‘attesa coltivata, assieme a molte altre persone, che ogni uomo venisse riconosciuto uguale ad ogni altro, con gli stessi diritti e le stesse prerogative.Johan Galtung , sociologo e matematico norvegese, è uno dei padri della peace research. Il punto di forza del suo pensiero è l’ avere fatto della pace un concetto ben determinato, al centro di un vastissimo campo di ricerche. Sua è la concettualizzazione di pace negativa (assenza di guerre), positiva (tensione verso una società più giusta), non-violenta (superamento delle ingiustizie con mezzi nonviolenti). Tenzin Gyatso è il XIV Dalai Lama, massima personalità

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del buddhismo ed esponente del pacifismo. Il suo messaggio di lotta non-violenta è molto diffuso attraverso la pubblicazione di numerosi libri e articoli e attraverso la partecipazione a seminari e conferenze in tutto il mondo.Il 10 dicembre 1989 gli venne conferito il Premio Nobel per la pace.

“ Non c’è strada che porti alla pace che non sia la pace, l’intelligenza e la verità”

( Mahatma Gandhi )

QUORUM

Andrea Buzzigoli

La parola referendum riprende il latino del verbo refero e indica lo strumento attraverso cui il corpo elettorale viene consultato direttamente su temi specifici; è dunque uno strumento di democrazia diretta, consente cioè agli elettori di fornire - senza intermediari - il proprio parere su un tema oggetto di discussione. Il referendum è uno strumento di esercizio della sovranità popolare, sancita all'art. 1 della Costituzione della Repubblica Italiana.

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L'esito referendario, espressione di questa sovranità, è una fonte del diritto primaria che vincola i legislatori al rispetto della volontà del popolo. In presenza di nuova legge che non rispetti l'esito referendario, i soggetti autorizzati (magistrati, politici, associazioni di cittadini) possono ricorrere alla Corte Costituzionale per ottenere l'abrogazione della legge. Il momento in cui il cittadino esercita il diritto di VOTO, sia in occasione del Referendum che delle Elezioni, è segno di consapevolezza civica, di applicazione di un diritto-dovere importantissimo al quale occorrerebbe educare molto intensamente e attivamente. Il QUORUM in un Referendum è la maggioranza minima richiesta perché una deliberazione o una elezione compiuta da un organo collegiale, compreso il corpo elettorale, si intenda come valida. Normalmente il quorum richiesto è quello semplice, corrispondente alla metà più uno dei voti validamente espressi, ed è quindi calcolato escludendo i voti nulli o bianchi. In votazioni di particolare importanza si richiede tuttavia un quorum qualificato: la metà più uno degli aventi diritto al voto o dei membri di una assemblea (maggioranza assoluta) o anche una cifra più alta, due terzi o tre quinti. Il primo, e anche più famoso Referendum votato in Italia è stato quello che ha istituito la Repubblica Italiana il 18 giugno 1946, a seguito dei risultati del voto del 2 giugno precedente, indetto per determinare la forma dello stato al termine della seconda guerra mondiale. Fino al 1946 l'Italia era una monarchia costituzionale basata sullo Statuto Albertino, nel 1946 l'Italia divenne una Repubblica e fu, poco dopo, dotata di un'Assemblea costituente al fine di munirla di una Costituzione avente valore di legge suprema dello stato repubblicano. In seguito si sono svolti molti altri Referendum (divorzio, caccia, finanziamento pubblico ai partiti…). Attualmente si sta molto discutendo in merito al Referendum sul nucleare, votato in Italia più di vent’anni fa, che aveva sancito un deciso No al nucleare. Il Governo attuale sta portando avanti la proposta di rilanciare nuovamente il nucleare nel nostro paese, ma dopo la catastrofe giapponese sette italiani su dieci sono contrari alla costruzione di centrali nucleari: lo rivela un sondaggio realizzato da Fullresearch nei giorni dell’emergenza degli impianti in Giappone dove c’è il rischio di una nuova Chernobyl a seguito dei danni provocati dal terremoto.

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Votare è un dovere di cui si capisce l’importanza quando non è più un diritto.

(Enzo Biagi)

REPUBBLICA

Nicolò Prampolini Il 2 giugno 1946 gli italiani avevano di fronte a loro una scheda con due simboli: una corona per chi intendeva lasciare in vita la Casa Savoia e il sistema monarchico, e una Italia “turrita” con una torre in testa, per chi intendeva invece scegliere il sistema repubblicano.

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Il risultato fu favorevole alla Repubblica con 12.718.641 voti contro 10.718.502 voti per la Monarchia. Cadeva così quella Monarchia che si era alleata al fascismo ed era corresponsabile nella persona del “piccolo Re” Vittorio Emanuele III. Nella Repubblica è il popolo sovrano che elegge il Parlamento. La stessa parola, che deriva dal latino res (cosa) publica (di tutti) indica che nei regimi repubblicani la sovranità non è incarnata in una persona, bensì nel popolo che quel potere esercita attraverso il Parlamento. Dal principio della sovranità popolare deriva il fatto che il potere nasce dal basso e che esiste la divisione dei poteri tra governo, parlamento e magistratura. L’Italia è un paese retto a sistema democratico-parlamentare. La forma repubblicana è definita irreversibile dalla stessa Costituzione. Le Repubbliche moderne sono nate da due grandi rivoluzioni, quella americana e quella francese, e si fondano sui principi che si svilupparono a fine Settecento come l’uguaglianza, il rispetto della legge, le pari possibilità, le garanzie di libertà. Il primo articolo della Costituzione unisce strettamente la definizione di Repubblica al valore della DEMOCRAZIA, governo del popolo. La parola latina res publica è sorella della parola greca democrazia: infatti la res publica corrisponde alla polis greca, città intesa come cittadinanza. La democrazia comprende sia il principio di uguaglianza che l’insieme delle regole che consentono al cittadino di partecipare.

“La Giovine Italia è repubblicana perché tutti gli uomini

sono chiamati a esser liberi, uguali e fratelli, e l’istituzione repubblicana

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è la sola che assicuri questo avvenire”

(Giuseppe Mazzini)

SOLIDARIETA’

Alì Ammar

La parola deriva dal francese solidaire ed ha come suo significato principale quello etico-sociologico. Ma è strettamente legata a un’altra celebre parola francese: fraternità: nella Dichiarazione dei diritti e dei doveri del cittadino, parte integrante della Costituzione del 1795, la fraternità, terzo elemento del motto repubblicano, è così definita: “Non fate agli altri ciò che non vorreste fosse fatto a voi; fate costantemente agli altri il bene che vorreste ricevere”.

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Solidarietà significa benevolenza e comprensione, ma anche sforzo attivo e gratuito, impegno verso le esigenze e i disagi di qualcuno che ha bisogno di aiuto. Quando tale impegno è svolto dalle istituzioni, si parla di “solidarietà sociale”. Se invece viene esercitato durante il tempo libero dai singoli cittadini o da cittadini riuniti in associazioni no-profit, assume il nome di volontariato. Un esempio concreto di solidarietà risale a qualche tempo fa, dopo il terremoto dell’Aquila, quando tanti italiani si mobilitarono, quasi come le cinque dita di una mano, per contribuire ad aiutare le popolazioni colpite. Ricordo cha anche dal mio paesino partirono dei dottori, e altre persone che conoscevo, tutti volontari disposti a dare il loro tempo e il loro aiuto ai terremotati. Credo che questi siano i momenti in cui ci sentiamo davvero “fratelli d’Italia”. Il valore della Solidarietà è molto importante in una società come la nostra che diventa sempre più multiculturale, in un panorama globale che vede grandi masse di popoli migranti in fuga dalla povertà o dalle guerre, in cerca di un futuro. Impossibile calcolare quanti rifugiati e migranti ci siano nel mondo, quello che è certo è che nessun individuo abbandona il proprio paese se non spinto dall’idea che ciò rappresenta l’unica possibilità. Le migrazioni continueranno fino a quando verranno meno le ragioni che spingono gli uomini a lasciare il proprio paese, e fino a quando le differenze tra il Sud e il Nord del mondo non verranno livellate. Perciò serve un’azione politica complessiva e non decisioni parziali, ma serve anche una “cultura” della solidarietà, dell’accoglienza e dell’integrazione dello straniero. Solidarietà e integrazione devono aprire la via della comunicazione, affinché le differenze si dissolvano e le menti si aprano, sconfiggendo l’estremismo, la diffidenza, il razzismo. Personalmente ritengo che integrarsi non sia facile ma importante, per non essere più uomini isolati ma collegati da un grande ponte che è la comunicazione.

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“ Se non si amano gli uomini, non si può lottare per loro “

J.P.Sartre

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TUTELA dell’Ambiente Isabella Chierici

La fontanella del liceo Aldo Moro

All’art. 9 della Costituzione è scritto che la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica, tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.I Padri Costituenti, pur nella loro straordinaria lungimiranza, nel 1948 non potevano certo prevedere che il tema “ambiente” sarebbe diventato fondamentale, per questo da più parti avanza la proposta di modernizzare la Costituzione inserendovi anche i Diritti dell’Ambiente.Per ambientalismo intendiamo la politica e i movimenti che operano per la difesa ed il miglioramento dell'ambiente e per lo sviluppo sostenibile. I temi principali toccati dall'ambientalismo sono molteplici: l'inquinamento, la protezione degli animali, gli ecosistemi e le aree protette, la politica di gestione dei rifiuti, la produzione agricola biologica, la gestione delle risorse energetiche, la tutela dell’acqua.In questa scheda abbiamo scelto di affrontare quest’ultima tematica, perché nel nostro Liceo si sta svolgendo un interessante Progetto : ACQUA TVB, che significa Acqua Ti voglio BERE, intendendo l’acqua PUBBLICA, quella del rubinetto. In collaborazione con l’azienda gas-acqua provinciale IREN, è stata installata

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nell’atrio della scuola una fontanella a disposizione di tutti. Nel corrente anno scolastico tutte le classi sono state attivamente coinvolte in questo progetto, anche la nostra. Inoltre da molti anni al liceo Moro si attua il progetto Scuola DIECI E LODE sulla raccolta differenziata dei Rifiuti.L’acqua è una risorsa scarsa che richiede una gestione efficiente per poterla difendere e garantire alle generazioni future. La tutela e l’uso razionale delle risorse idriche rappresentano pertanto obiettivi molto impegnativi da raggiungere. Un’efficace tutela delle risorse idriche , condizione primaria della sostenibilità dello sviluppo , non si può realizzare con il tradizionale approccio settoriale e di emergenza, ma richiede una politica preventiva che incida sulle cause e porti quindi ad una revisione delle politiche economiche e sociali che determinano le trasformazioni dell’ambiente. Il Consiglio d’Europa ha stabilito affermazioni basilari ne IL MANIFESTO DELL'ACQUA. Anche l’Unesco ha redatto un proprio documento da cui si riporta uno stralcio: ”La disponibilità delle risorse idriche sarà il fattore limitante da cui dipenderanno nei prossimi anni, lo sviluppo sociale ed economico delle popolazioni che abitano il pianeta… Mai come oggi pesa sul pianeta la minaccia di una "crisi dell’acqua", crisi indotta non tanto dalla mancanza di risorse quanto dalla loro sempre più scarsa qualità e cattiva gestione… Da questa crisi nascono sempre più numerose tensioni fra settori utilizzatori delle risorse idriche di uno stesso paese, ma anche fra paesi confinanti, che potrebbero anche degenerare, dicono i più pessimisti, in conflitti aperti o vere "guerre per l’acqua". “Più ci saranno gocce d'acqua pulita, più il mondo risplenderà di bellezza” dice Madre Teresa di Calcutta.

“La terra non ci è stata data

in eredità dai nostri padri,

ma data in prestito

dai nostri figli”

(Dichiarazione del Capo Seattle)

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UNITA’

Arianna Brogio

Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a Reggio Emilia – 7 gennaio 2011

Nel 1861 l’Unità non aveva trasformato per incanto una popolazione di piemontesi, siciliani, veneti, calabresi o toscani in un popolo di italiani. L’unificazione politica e amministrativa, lo sviluppo delle ferrovie, la creazione di un mercato nazionale, la scuola elementare laica gratuita e obbligatoria, la coscrizione militare, furono gli strumenti di una nazionalizzazione che avrà bisogno, per realizzarsi compiutamente, di altri decenni di sforzi, e del sangue di due immense tragedie. L’unificazione nazionale è operazione lunga, delicata e ancora non pienamente compiuta ai nostri giorni: lo dimostrano le fortune politiche delle varie Leghe.

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La storia mostra che l’Italia è stata sempre un Paese plurale, e tuttavia è stata anche una comunità di destino, sofferenze, conquiste, e malgrado l’innato individualismo e la fatica a fare sistema, ha dimostrato di sentire un futuro in comune. C’è stata una grandezza degli Italiani nei momenti duri. Nel suo ormai celebre monologo, Benigni ha detto: “Siate felici, e se la felicità a volte si scorda di voi, voi non scordatevi della felicità. Ma non dev’essere cara la felicità: tutti i ragazzi – non potete sapere quanti ne sono morti per noi – hanno imparato a morire per la patria perché noi potessimo vivere per la patria”. La sfida oggi è mostrare che, se l’Italia va in frantumi, non c’è futuro in un mondo globale.

“L’unità d’Italia è la ricomposizione quasi religiosa

di un corpo fatto a pezzi”

(Roberto Benigni)

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VALORI

Deborah Codeluppi

In questa scheda abbiamo voluto dare spazio a quelle parole-chiave importantissime che nel Glossario non sono contemplate ma in un certo senso sono sottintese, data la loro rilevanza storica ed etica: pensiamo a parole come Democrazia, Libertà, Cittadinanza…Se leggiamo attentamente i primi articoli della Costituzione vediamo che contengono i PRINCIPI FONDAMENTALI, vale a dire i VALORI caratterizzanti la Repubblica Italiana. Al centro della nostra Costituzione è lo Stato di diritto e sociale, ma soprattutto, al centro di tutti i valori costituzionali vi è l’UOMO, la PERSONA, vista non come singolo individuo ma come parte attiva di una comunità. Nel primo articolo della Costituzione viene espresso il valore democratico, al quale si lega il diritto al lavoro, ripreso nell’articolo quattro. Nel secondo e nel terzo articolo vi è l'affermazione dello Stato di diritto e sociale. Nell’articolo tre viene esposto il valore dell’uguaglianza, e proseguendo incontriamo l’unità, la lingua, la libertà religiosa, la cultura, l’arte, il diritto internazionale, la tutela

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dello straniero, la pace: molte di queste parole sono contenute nel Glossario. Ci soffermiamo ora su alcune altre parole-chiave: La DEMOCRAZIA, governo del popolo, comprende insieme il principio dell’uguaglianza e l’insieme delle regole che consentono al cittadino di influire sulle decisioni di interesse pubblico. La nostra Costituzione fissa i principi capaci di garantire la democrazia, ovvero il massimo di uguaglianza con il massimo di libertà. La LIBERTA’ è stata, in tutta la storia dell’umanità, l’obiettivo di molte lotte di conquista. Eppure l’uomo, nel contempo, è nato per vivere in società, dunque nel rispetto dell’altro. Possiamo affermare che la libertà è veramente degna dell’uomo quando è libertà del singolo, ma in modo tale che questa libertà sia la causa e insieme l’effetto della libertà di tutti. La CITTADINANZA è un altro valore fondamentale. Ma gli orizzonti di noi italiani si intrecciano sempre più con quelli degli altri paesi, le frontiere si abbassano, l’intera umanità potrebbe diventare una sola comunità politica in una prospettiva futura ideale. La vera educazione civica dovrebbe contemplare anche la consapevolezza di essere, tutti noi, cittadini e cittadine della Terra.

“Ragazzi, godetevi la vita, innamoratevi, siate felici, ma diventate partigiani di

questa nuova resistenza, la resistenza dei VALORI, la resistenza degli ideali.

Non abbiate paura di pensare, di denunciare, e di agire da uomini liberi e

consapevoli. Siate attenti,siate vigili, siate sentinelle di voi stessi!

L’avvenire è nelle vostre mani. Ricordatelo sempre!”

(Antonino Caponnetto)

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ZELO PARTECIPATIVO

Simona Bonito

Partecipare significa “prendere parte”, dal verbo latino CAPIO, dunque indica una presenza attiva, una dedizione assidua e tenace, un vero coinvolgimento, e anche fervore, entusiasmo, passione. Partecipare significa IMPEGNARSI con tutte le proprie forze. Attualmente la partecipazione nelle democrazie occidentali è molto bassa, sia in occasione delle elezioni politiche, dove si registra un alto tasso di astensionismo, sia a livello sociale-politico e/o di volontariato. La partecipazione trasforma l’uomo della strada in cittadino con pieni diritti e doveri, e contribuisce ad allargare il numero di chi collabora alle decisioni. L’essere uomini e donne in una società implica partecipare, sentirsi appartenere a una collettività e dare il proprio contributo per sostenerla e migliorarla: in sostanza partecipare coincide con il concetto autentico di POLITICA: non sempre si è consapevoli di questo.

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La parola POLITICA deriva dal greco Polis, la città-stato nella quale la comunità di cittadini partecipava direttamente alle assemblee, discuteva, votava, decideva. Per i Greci essere privati del diritto di parola era considerato una pena di estrema gravità. “Chi non può entrare a far parte di una comunità, chi non ha bisogno di nulla bastando a se stesso, non è parte di una città ma è una belva o un dio”, diceva Aristotele. Il significato autentico della parola POLITICA dunque è ben lontano da quello spregiativo che accompagna oggi la parola, associandola automaticamente alla peggiore “partitica” o all’idea di corruzione e interesse. Fare politica significa occuparsi del bene comune, dell’interesse di tutti, per questo riguarda l’intera collettività. Nel libro che abbiamo letto “Camilla che odiava la politica” si analizzano tre parole-chiave, una greca, una latina e una italiana: la parola greca è POLIS, appunto, la parola latina è MINISTER, che significa “schiavo”, perchè chi fa politica deve mettersi al servizio del popolo, e infine la parola italiana è IL CAPITO, vale a dire l’anagramma di POLITICA, perchè chi se ne occupa deve prima di tutto capire i bisogni della gente. Attraverso queste tre parole abbiamo ricostruito il significato del vivere in società, dell’essere cittadini e del partecipare. Ognuno di noi, come cittadino e cittadina, partecipa alla vita sociale in tante occasioni, più o meno importanti: il gruppo classe, l’assemblea di classe, la squadra sportiva, il gruppo con cui condivide un interesse… e poi, da adulti, le elezioni, l’adesione alla linea di un partito o semplicemente una associazione…e volendo anche la vita politica ufficiale come candidato o candidata. In tutti i campi ciascuno dovrebbe consapevolmente sentire il valore alto di questa appartenenza, soprattutto nel settore pubblico, come recita la Costituzione all’articolo 54: “Gli uomini che ricoprono funzioni pubbliche devono adempierle con disciplina e onore”. Nella scuola, ad esempio, per dare senso all’idea di partecipazione attiva, dovremmo diventare tutti “partigiani della conoscenza”.

“Per essere partigiani sempre, nel rispetto della Costituzione,

della memoria storica e della dignità delle persone”

A.N.P.I. di Reggio Emilia

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