vito gamberale - diversi casi di privatizzazione nell'esperienza italiana

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Vito Gamberale - Casi di privatizzazione nell'esperienza DIVERSI CASI DI PRIVATIZZAZIONE NELL'ESPERIENZA ITALIANA Ing. Vito Gamberale Italiadecide – Scuola per le Politiche Pubbliche Roma, 17 aprile 2012

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Economy & Finance


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Lezione tenuta dall'Ing. Vito Gamberale sulla storia delle privatizzazioni in Italia dagli anni '80 ai giorni nostri, con riferimento al ruolo di F2i quale investitore privato e istituzionale di riferimento per gli Enti locali. ITALIA DECIDE - Scuola per le Politiche Pubbliche - 17 aprile 2012 ROMA

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Vito Gamberale - Casi di privatizzazione nell'esperienza italiana

DIVERSI CASI DI PRIVATIZZAZIONE NELL'ESPERIENZA ITALIANAIng. Vito Gamberale

Italiadecide – Scuola per le Politiche Pubbliche

Roma, 17 aprile 2012

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Indice

Le privatizzazioni degli anni ‘80 pag. 3Il caso Lanerossi pag. 6

Le grandi privatizzazioni degli anni ’90 pag. 8

Aziende manifatturiere pag. 11

Nuovo Pignone pag. 12

ILVA pag. 14

SME pag. 16

Aziende di servizi e infrastrutture pag. 19

ENI pag. 21

ENEL pag. 23

Telecom Italia pag. 26

SEAT Pagine Gialle pag. 29

Autostrade pag. 32

Aeroporti di Roma pag. 34

Cenni sulle privatizzazioni in Europa pag. 37

F2i come strumento per la privatizzazione degli asset locali pag. 44

Conclusioni pag. 60

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Le privatizzazioni degli anni ‘80

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Le privatizzazioni degli anni ‘80

All’inizio degli anni ‘80 l’imprenditoria italiana è fondata su 3 pilastri:

i grandi Gruppi pubblici, creati con le nazionalizzazioni degli anni ‘30, che hanno sostenuto la ricostruzione e lo sviluppo del Paese nel periodo post-bellico e garantito la sopravvivenza di importanti realtà industriali (ad es. nella siderurgia, nella cantieristica, nell’energia, ecc.). Tali Gruppi, che costituivano la presenza dello Stato nell’economia, dettero luogo in Italia ad un modello di “economia mista” tra i più avanzati del mondo industrializzato, con forte presenza, in particolare, nel settore delle infrastrutture e nel manifatturiero tecnologico;

le grandi imprese private, appartenenti, spesso, a singole famiglie, nate già prima della Guerra o sorte nel periodo del “miracolo economico”;

un numero elevato di piccole e medie imprese, caratterizzate dalla loro innovatività e da un elevato livello di efficienza.

Nel corso degli anni ‘80 la presenza pubblica nell’economia viene messa in forte discussione. In nome dell’evoluzione dei mercati internazionali (inizio della “globalizzazione”), della competitività e della presunta inefficienza, parte una campagna, non sempre fondata, che porta a smantellare le aziende pubbliche, sia per l’alto costo di talune episodiche ricapitalizzazioni, sia per l’elevato indebitamento dello Stato.

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Questa prima stagione di privatizzazioni si conclude con risultati contrastanti per lo Stato e, spesso, favorisce le grandi famiglie storiche, senza portare reali benefici al mercato. 5

Le privatizzazioni degli anni ‘80

Inizia una prima stagione di riduzione della presenza pubblica nell’industria, guidata, principalmente, dall’IRI:

Tra le operazioni più importanti di questo periodo si ricordano:

il passaggio della Alfa Romeo (IRI) alla FIAT (1986); la cessione del Gruppo Lanerossi (ENI) alla Marzotto

(forse il caso di maggior successo, cfr. scheda in slide successiva);

…ma anche tentativi che non hanno avuto successo:

caso ENIMONT (società costituita con l’accordo tra l’ENI e il gruppo privato Montedison) conclusasi con lo scioglimento e il ritorno di tutte le sue attività all’ENI;

caso SME (azienda alimentare dell’IRI), i cui primi tentativi di cessione non andarono a buon fine, per i noti contenziosi che ebbero risvolti politici protrattisi nel tempo.

TOTALE GENERALE 8.790

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La Lanerossi, fondata a Schio (VI) nel 1873 dalla famiglia Rossi, è stata la maggiore impresa laniera italiana a ciclo integrato (da lana a tessuti a capi d’abbigliamento) ed una delle principali aziende del nostro Paese.

La società produceva tessuti di lana destinati ai più svariati scopi: dagli abiti, ai panni, coperte, filati per aguglieria e utilizzi industriali.

La produzione veniva realizzata in numerosi stabilimenti nel vicentino, tra cui quelli di Schio Piovene Rocchette, Torrebelvicino, Pieve, Dueville, Marano Vicentino, Vicenza, Montorio.

Commercializzava i propri prodotti in tutto il mondo attraverso una capillare rete vendita in USA, URSS, Germania, Polonia, Sud Africa, Canada, ecc.

Dopo un periodo di crisi (1955 – 1957) la società ottenne risultati eccellenti sotto la guida di Giuseppe Eugenio Luraghi. Nel 1959 raggiunse un fatturato di 23 MLD di lire, impiegando 10.000 dipendenti.

All’inizio degli anni ‘60, anche a causa delle speculazioni di Borsa che si abbatterono sul titolo, la Lanerossi ricadde nella crisi e nel 1962 fu acquistata dall’ENI, nell’ambito di una serie di operazioni di salvataggio di aziende nazionali in crisi.

Nel corso del tempo, ENI costruì, attorno alla Lanerossi, un gruppo tessile di rilevanti dimensioni (ca. 10.000 dipendenti), formato, oltre che dall’azienda vicentina, da altre società “salvate” dall’Ente (Confezioni Monti, INTESA, Confezioni di Filottrano, MCM, ecc.).

Nel febbraio 1986 l’ENI decide di privatizzare la Lanerossi, nell’ambito di una rifocalizzazione sul core business. Viene attuata una strategia in due tappe: 1) liberare la società di un gruppo di aziende in crisi (complessivamente 11 stabilimenti e 5.000 dipendenti) attribuendole ad un nuovo soggetto societario e 2) procedere, quindi, alla cessione a privati della parte industrialmente valida della Lanerossi.

Le privatizzazioni degli anni ‘80Il caso Lanerossi

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Le principali condizioni poste dall’ENI all’acquisto di Lanerossi sono: che siano salvaguardati i livelli occupazionali (ca. 3.000 dipendenti nel 1986); che sia garantito il rispetto degli investimenti in corso; che la società acquirente sia di dimensioni simili alla Lanerossi.

Nel 1986 il bilancio della Lanerossi (che chiude in lieve perdita) evidenzia, fra l’altro:

Fatturato: 587 MLD lire Patrimonio Netto: 147 MLD lire PFN: 170 MLD lire

L’advisor dell’ENI nell’operazione, la francese Paribas, seleziona quattro Gruppi industriali: Marzotto, la cordata Benetton – Inghirami, il Gruppo Bertrand e la società francese Dolfuss Mieg.

Il 22 luglio del 1987 Marzotto presenta l’offerta più alta e si aggiudica la Lanerossi con 168 MLD di lire (premio del 14% sul Patrimonio Netto).

Fondata nel 1836, Marzotto è un’azienda laniera con sede a Valdagno (VI), guidata da Pietro Marzotto e quotata in Borsa. Nel 1986 fattura ca. 700 MLD lire, ha un MOL di ca. 100 MLD e debiti per ca. 200 MLD. Nel 1985 ha acquisito il Gruppo Bassetti.

Con l’acquisizione nasce un Gruppo da 1.300 MLD di fatturato, con una quota del 10% del mercato laniero europeo.

L’operazione risulta un successo sia per l’ENI, che ottiene un buon ricavo da un’azienda pur sempre in perdita, sia per la Marzotto, che, sfruttando le sinergie operative, raggiunge le dimensioni adatte per competere sul mercato europeo.

Le privatizzazioni degli anni ‘80Il caso Lanerossi

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Le grandi privatizzazioni degli anni ’90

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Le grandi privatizzazioni degli anni ’90

Negli anni ‘90, l’Italia è coinvolta in profondi processi che la costringono a mutare radicalmente le proprie scelte di politica economica:

la crisi politica, sfociata in “Tangentopoli” e nella “defenestrazione” di un’intera generazione di amministratori della "cosa pubblica";

il rallentamento dell’economia: il PIL, dopo la riduzione negli anni di Tangentopoli (-0,8% nel 1993), riprende a crescere, ma, da quel momento, resta stabilmente sotto la media europea;

l’adesione all’Euro, che determina la necessità di rispettare i parametri di Maastricht e, dunque, di ridurre drasticamente deficit, debito e inflazione, con manovre finanziare di “lacrime e sangue”;

le scelte della Comunità Europea orientate alla diminuzione della presenza pubblica nell’economia degli Stati Membri (il Commissario Van Miert approfitterà della particolare debolezza italiana per “premere” solo sull’Italia).

Queste pressioni obbligano i Governi che si susseguono a tagliare la spesa pubblica e a ricorrere a tutti i mezzi possibili per “fare cassa”.

Ciò significa, per lo Stato, forzare il processo delle privatizzazioni, che, in qualche caso, risultano guidate più dalla fretta che dalla possibile efficacia.

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Le grandi privatizzazioni degli anni ’90

La stagione delle grandi privatizzazioni si apre nel 1992, quando il Governo Amato vara la legge 359/92 (cd. “Programma di riordino delle partecipazioni statali“), con i seguenti principali obiettivi:

valorizzare le partecipazioni con la previsione di cessione di attività;

quotare le società partecipate;

favorire l’azionariato diffuso, evitando assetti proprietari instabili;

limitare le dismissioni di attività considerate strategiche sotto il profilo pubblico;

favorire la nascita di nuovi investitori istituzionali.

Le privatizzazioni riguardano:

aziende manifatturiere, spesso in crisi (ad es. settore siderurgico) o detenute da Enti il cui core business è rappresentato da altre attività (ad es. ENI, che nei decenni precedenti aveva operato il salvataggio di molte società in diversi settori);

aziende operanti nei settori dei servizi e delle infrastrutture (ENI, ENEL, Telecom, Autostrade, Istituti di Credito, ecc.), dalle quali sono attesi i ricavi maggiori.

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Nel caso delle aziende manifatturiere, le privatizzazioni avvengono prevalentemente attraverso vendita ai privati, in genere a seguito di una procedura competitiva. Tre casi di successo sono:

nel 1994 Nuovo Pignone (privatizzazione inizialmente parziale);

nel 1995 ILVA (privatizzazione totale);

dal 1993 al 1996 SME (suddivisione in 3 Gruppi – GS, Autogrill, Cirio – e privatizzazione totale).

Le grandi privatizzazioni degli anni ’90Aziende manifatturiere

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L’azienda nasce a Firenze nel 1842 per iniziativa di Pasquale Benini. È una fonderia che produce tombini e lampioni in ferro e ghisa.

Dopo alterne fortune e cambiamenti di produzione (dai motori a scoppio, alle armi e ai telai tessili) l’azienda, sull’orlo del fallimento, viene acquisita dall’ENI nel 1954.

ENI orienta la produzione principalmente verso macchinari e apparecchiature per l'industria del petrolio, della petrolchimica, della raffineria, del gas naturale e della generazione di energia elettrica. La società inizia ad ottenere importanti commesse anche da clienti terzi.

Oltre a Firenze e Massa, si aprono stabilimenti a Talamona (SO) nel 1961, a Vibo Valentia nel 1962, a Porto Recanati (MC) nel 1963, a Schio (VI) nel 1968, e a Bari e Roma nel 1972.

Nel 1986 il 18% del capitale viene quotato in Borsa a 4.250 lire/az.

Nel settembre del 1992 il Governo Amato decide di dare un segnale concreto sulle privatizzazioni, in discussione già da tempo. Per iniziare la nuova stagione di dismissione di asset statali, vengono scelte proprio la Nuovo Pignone, appunto dell’ENI, e Credit di IRI.

Per la vendita di Nuovo Pignone viene scelta una procedura competitiva, gestita da IMI. Il processo è, tuttavia, lungo e complesso, soprattutto a causa di Tangentopoli e della conseguente crisi politica. Nel marzo del 1993 viene arrestato Franco Ciatti, presidente della società.

Nel novembre del 1993 vengono selezionate quattro cordate (Alshtom, ABB – Atlas Copco, Dresser Industries e Ingersoll Rand, General Electric insieme ad un gruppo di banche italiane).

Le grandi privatizzazioni degli anni ’90Aziende manifatturiere – Nuovo Pignone

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Nel maggio 1994 General Electric si aggiudica il 70% di Nuovo Pignone, ad un prezzo di 7.000 lire/az, (per un totale di ca. 700 MLD), a fronte di una quotazione di Borsa di 6.269 lire/az. Dunque il premio per il venditore è del 12% ca. (prima dell’avvio della privatizzazione, tuttavia, il titolo era sceso fino a ca. 3.000 lire/az.).

ENI registra una plusvalenza di ca. 450 MLD e beneficia di un effetto finanziario di ca. 1.200 MLD, considerando anche i debiti trasferiti fuori dal Gruppo.

Il processo di acquisizione continua per anni tra l’OPA obbligatoria e l’acquisto di altre quote detenute da ENI. Nel 1998 ENI cede a GE un pacchetto residuo del 9,5%, incassando altri 150 MLD.

La conduzione GE (impegnatasi a fare investimenti ed aumentare la produzione in Italia1) determina una forte crescita dell’azienda, come dimostrano gli incrementi di fatturato (+134%) e di capitale investito netto (+230%) a pochi anni dalla privatizzazione:

La privatizzazione di Nuovo Pignone è un successo e getta le basi per la crescita internazionale di una realtà industriale che, pur passando in mani straniere, rimane sul territorio italiano2.

Le grandi privatizzazioni degli anni ’90Aziende manifatturiere – Nuovo Pignone

1 A garanzia del rispetto degli accordi, ENI ha mantenuto una quota in Nuovo Pignone fino al 2005.2 Oggi Nuovo Pignone è l'unica capofila (divisione Oil&Gas) del Gruppo GE ad avere la sede fuori dagli USA.

2010 €/Mln MarginiFatturato 3.830Margine di contribuzione 2.179 56,9%Risultato operativo 439 11,5%Utile netto 281 7,3%

CIN 737Patrimonio Netto 763PFN -26

1993 €/Mln MarginiFatturato 732Margine di contribuzione 324 44,3%Risultato operativo 115 15,7%Utile netto 29 4,0%

CIN 540Patrimonio Netto 178PFN 362

1997 €/Mln MarginiFatturato 1.716Margine di contribuzione 818 47,7%Risultato operativo 258 15,0%Utile netto 86 5,0%

CIN 1.784Patrimonio Netto 356PFN 1.427

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L’ILVA nasce nel 1988 dalle ceneri della Finsider, che dal 1937 era, all’interno dell’IRI, la capogruppo delle aziende di Stato operanti nel settore siderurgico.

Nel 1988, infatti, l’IRI decide di mettere in liquidazione la Finsider (che registrava perdite per 1.000 MLD l’anno ed un debito di 10.000 MLD) e le principali società del Gruppo (Italsider, Terni Acciai Speciali e Nuova Deltasider).

Nell’ambito della stessa operazione, l’IRI conferisce le attività siderurgiche ritenute risanabili ed il pacchetto di controllo della Dalmine ad una newco, l’ILVA SpA, con l’intento di risollevare dalla crisi la siderurgia di Stato.

Alla fine degli anni ‘80 l’ILVA ritorna in utile, ma nel 1992 è di nuovo in crisi (2.600 MLD di perdita netta e 8.000 MLD di debiti). Il Governo sceglie la strada della privatizzazione.

Il 31 ottobre 1993 l’ILVA è messa in liquidazione, trasferendo gli asset a due nuove società: l’Ilva Laminati Piani (ILP) e la Acciai Speciali Terni (AST). All’ILP, in particolare, vengono trasferiti gli stabilimenti di Taranto, Genova Sestri, Novi Ligure e Torino, che producono laminati piani.

Dopo oltre un anno di stop per la crisi politica, nell’aprile del 1995 l’ILP viene ceduta per 2.332 MLD alla RILP1, controllata dal Gruppo Riva al 57% ca.. Gli altri soci sono: il Gruppo Indiano Essar, il Gruppo Acciaierie Valbruna, la Metalfar di Erba e una cordata di banche (creditrici del Gruppo Riva) tra cui San Paolo, BNL, Cariplo, Banca di Roma e Comit. Nel 1997 Riva salirà, poi, all’85% ca. del capitale.

Le grandi privatizzazioni degli anni ’90Aziende manifatturiere – ILVA

1 RILP ottiene, tuttavia, i dividendi di ILP del 1994 (374 MLD) e, dunque, sostiene un esborso netto di 1.958 MLD.

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€/Mln MarginiFatturato 8.384MOL 642 7,7%Utile netto -66 -0,8%

PFN 2.487Patrimonio Netto 3.895Dipendenti 22.000 ca.

Gruppo Riva - 2010

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Nato nel 1954, il Gruppo Riva di Milano fa capo all’omonima famiglia. Prima dell’acquisizione è un gruppo siderurgico di medio-grandi dimensioni, più piccolo dell’ILVA ma già internazionalizzato e caratterizzato da buoni risultati economici.

Le due aziende prima della privatizzazione

Il Gruppo Riva acquisisce, dunque, ILP pagando un premio del 17% sul Patrimonio Netto. Il rapporto EV/EBITDA è pari a 4,0x.

Lo Stato, oltre all’incasso, si libera di un debito di 1.500 MLD.

Nel 1995, cioè dopo l’operazione, il Gruppo Riva con ILP fattura oltre 11.000 MLD, con quasi 1 MLD di utile netto e oltre 26.500 dipendenti.

Anche in questo caso l’operazione è un successo sia per lo Stato, che cede attività che non riesce più a gestire economicamente, sia per l’acquirente, che negli anni successivi diventerà uno dei primi 10 gruppi siderurgici al Mondo.

Le grandi privatizzazioni degli anni ’90Aziende manifatturiere – ILVA

+52% vs. 2009€/Mln Margini €/Mln Margini

Fatturato 1.576 Fatturato 2.758MOL 110 7,0% MOL 492 17,8%Utile netto 58 3,7% Utile netto 352 12,8%

PFN n.d. PFN 775Patrimonio Netto 426 Patrimonio Netto 1.030Dipendenti 6.000 ca. Dipendenti 20.000 ca.

Gruppo Riva - 1994 ILP - 1994

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La SME (Società Meridionale di Elettricità) nasce, per opera della Comit, nel 1899 come società italiana produttrice di energia elettrica, attiva in Campania e nel resto del Meridione.

Nel 1937 passa dalle banche alla neocostituita IRI, in particolare nella Finelettrica (1962).

Dopo la nazionalizzazione del settore dell'energia elettrica del 1962, impiega le risorse derivate dagli indennizzi ricevuti dallo Stato investendo nel settore agricolo ed alimentare.

Nel 1963 acquisisce le prime aziende: Supermercati GS, Cirio e Surgela. Negli anni successivi (tra il ‘65 e il ‘75) seguono Motta, Alemagna, Alimont e Star. A SME fanno capo anche importanti realtà come Autogrill e Italgel.

Negli anni ‘70 e fino ai primi anni ‘80 SME è il più grande gruppo agroalimentare italiano ed una delle aziende caposettore dell’IRI a riportare i migliori risultati economici.

Nel 1985 l’IRI, nell’ambito di un piano di dismissioni fatte per poter concentrarsi in settori definiti più strategici rispetto al ramo alimentare, decide di vendere la SME, nonostante i suoi buoni risultati.

In un primo momento venne decisa dall’IRI la cessione all'imprenditore Carlo De Benedetti, già proprietario di Buitoni e Perugina. Il prezzo offerto è di ca. 500 MLD di lire per il 44% delle quote.

In seguito ad ostacoli posti da parte del Governo e da altre forze politiche, arrivarono nuove offerte di diversi compratori e si aprirono una serie di controversie giudiziarie che fecero naufragare l’operazione.

La SME continua a crescere: nel 1993 fattura 6.000 MLD, ha un utile consolidato di 131 MLD, fa investimenti per 330 MLD e impiega oltre 15.000 persone.

Le grandi privatizzazioni degli anni ’90Aziende manifatturiere – SME

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Nel 1992 il Governo dispone nuovamente la cessione delle attività industriali della SME (Italgel e Cirio Bertolli De Rica), nonché di una quota della partecipazione detenuta da IRI nella società.

La privatizzazione è preceduta dalla separazione delle tre principali attività del Gruppo (surgelati, conserve e grande distribuzione/ristorazione) in altrettante distinte società (Finanziaria Italgel, Finanziaria Cirio Bertolli De Rica (CBD) e SME, quest’ultima a riunire Supermercati GS e Autogrill). Dopo la scissione, l’IRI detiene, in ciascuna delle tre società, il 62,1% del capitale.

La scissione ha lo scopo di massimizzare i ricavi dalla vendita, rispetto ad una dismissione in blocco.

Le operazioni di cessione sono complesse e si svolgono dal 1993 al 1996, fruttando allo Stato 2.044 MLD. In estrema sintesi:

nel 1993 Italgel (marchi Motta, Alemagna, Antica Gelateria del Corso, Surgela, Valle degli Orti) viene ceduta a Nestlè per 431 MLD;

nel 1993 CBD viene ceduta a FISVI, dell’imprenditore lucano Lamiranda, per 311 MLD. Nel 1994 Lamiranda cede la Bertolli a Unilever per 253 MLD e la Cirio alla Sagrit (Gruppo Cragnotti) per ca. 400 MLD, realizzando, dunque, più del doppio di quanto speso;

Nel 1995 - 1996 SME (GS + Autogrill) viene ceduta alla cordata Edizione Holding - Del Vecchio, attraverso una complessa procedura che frutta 1.302 MLD. Nel 2000, dopo 4 anni, l’intera quota detenuta in GS (64%) verrà ceduta al Gruppo Carrefour per 2,6 mld €.

Le grandi privatizzazioni degli anni ’90Aziende manifatturiere – SME

La privatizzazione in pezzi frutta allo Stato 4 volte l’offerta ricevuta nel 1986.

Anche gli acquirenti ne ricavano un beneficio, in termini economici o industriali.

Oggi Autogrill è una realtà mondiale, avendo incorporato gruppi come HMSHost, Receco, Anton Airfood. GS è andato a far parte del Gruppo multinazionale Carrefour.

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Come dimostrano i casi di Nuovo Pignone, ILVA e, per certi versi, anche SME, le privatizzazioni delle aziende manifatturiere rappresentano spesso un successo per lo Stato, perchè:

vengono ceduti asset non più strategici, caratterizzati da dimensioni e, soprattutto, da modelli di gestione non sempre adatti alla competizione sui mercati internazionali, in genere salvaguardando, nella sostanza, i livelli occupazionali;

vengono ottenute plusvalenze, più o meno rilevanti, su asset spesso in perdita da anni. Contemporaneamente il bilancio dello Stato si alleggerisce dei loro debiti finanziari;

viene data una nuova energia alle aziende cedute. Le sinergie con gli acquirenti determinano la crescita industriale di un territorio (caso Nuovo Pignone) o la nascita di nuovi “campioni nazionali” in grado di acquisire, nel medio periodo, una dimensione mondiale (caso ILVA – Riva).

Le grandi privatizzazioni degli anni ’90Aziende manifatturiere

Il principale fattore di successo è stato cedere queste aziende ad operatori del settore, in grado di valorizzarle maggiormente in fase di acquisto (a vantaggio dello Stato) e, in seguito, di gestirle in modo efficiente.

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Nel caso delle aziende di servizi e infrastrutture le privatizzazioni avvengono o attraverso il collocamento in borsa di parte del capitale…

nel 1995 ENI (privatizzazione parziale);

nel 1999 ENEL (privatizzazione parziale);

… o attraverso la vendita diretta a privati: nel 1997 Telecom, (prima parziale, poi totale) che sarà poi oggetto di vari

passaggi di mano successivi;

nel 1997 SEAT Pagine Gialle (privatizzazione totale);

nel 1999 Autostrade (privatizzazione totale);

nel 1999 - 2000 Aeroporti di Roma.

Le grandi privatizzazioni degli anni ’90Aziende di servizi e infrastrutture

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Le principali privatizzazioni di aziende di servizi e infrastrutture per collocamento in Borsa sono quelle di ENI ed ENEL.

Le grandi privatizzazioni degli anni ’90Aziende di servizi e infrastrutture

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A partire dal 1995, in poco più di due anni e mezzo, il Ministero del Tesoro, con quattro offerte, colloca sul mercato circa il 63% del capitale, con un incasso complessivo di oltre 21 Mld €.

Tale somma, in quegli anni, costituisce il maggior ricavato mai conseguito da un Governo nell’Europa Continentale per la vendita di una singola società.

Il mercato aderisce in maniera crescente alle offerte ENI, passando dai circa 194.000 sottoscrittori dell'IPO agli 1,7 milioni della quarta tranche.

I dipendenti contribuiscono in maniera decisiva al successo delle diverse tranche, passando dai ca. 30.000 aderenti dell'IPO (40% degli aventi diritto) ai 41.000 ca. di "Eni 4" (complessivamente 70% degli aventi diritto).

Nel febbraio 2001 viene effettuato un quinto collocamento, presso investitori istituzionali, del 5% del capitale sociale, con un incasso totale di 2,7 Mld €.

21

Le grandi privatizzazioni degli anni ’90Aziende di servizi e infrastrutture - ENI

Oggi l’ENI è il secondo colosso energetico in Europa e il titolo vale 16,5 €/az.La privatizzazione dell’ENI è un successo per lo Stato e per gli investitori!

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22

Le grandi privatizzazioni degli anni ’90Aziende di servizi e infrastrutture - ENI

Andamento del titolo ENI post privatizzazione

N.B. – Dati non disponibili anteriormente al 1996

16,5 €/az

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Nel 1992, nell'ambito della ristrutturazione del bilancio dello Stato, ENEL viene trasformata in SpA, con il Ministero del Tesoro come azionista unico.

Nel 1999 parte la privatizzazione, articolata in cinque tranches: una nel 1999, due nel 2003, una nel 2004 e una nel 2005.

La prima tranche viene collocata sul mercato a 4,3 €/az.. Un ottimo prezzo per lo Stato, se si considera che, oggi (13 anni dopo), il titolo vale intorno ai 2,5 €/az.

Complessivamente le cinque tranche fruttano ancora di più della privatizzazione di ENI, portando nelle casse del Tesoro ca. 34 Mld € per il 75% ca. del capitale.

Le privatizzazioni per collocamento in Borsa sono un successo per lo Stato ma, nel caso di ENEL, non per i sottoscrittori.

Le grandi privatizzazioni degli anni ’90Aziende di servizi e infrastrutture - ENEL

Tranche Anno Quota ceduta Prezzo (€/az.) Ricavi (MLD €)1 1999 32,42% 4,3 16,52 2003 6,60% 5,4 2,23 2003 10,35% 5,0 3,2 Vendita a CDP4 2004 19,30% 6,6 7,65 2005 9,37% 7,1 4,1

TOTALE 78,04% 33,6

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Le grandi privatizzazioni degli anni ’90Aziende di servizi e infrastrutture - ENEL

Andamento del titolo ENEL post privatizzazione

N.B. – Dati non disponibili anteriormente al 2000

2,5 €/az

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Le principali privatizzazioni delle aziende di servizi e infrastrutture con vendita diretta a privati sono quelle di Telecom Italia, SEAT Pagine Gialle ed Autostrade.

Le grandi privatizzazioni degli anni ’90Aziende di servizi e infrastrutture

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Nel settembre 1997 viene effettuata la fusione tra STET e Telecom Italia. Il Ministero del Tesoro detiene il 45% del capitale post fusione.

Sempre nel 1997 viene messo in vendita (tramite OPV e vendita diretta) il 35% ca. del capitale per ca. 13 Mld €.

Un “nocciolino duro”, che detiene appena il 6,6% delle quote, guidato da IFIL (FIAT) (con solo lo 0,6%!), prende il controllo dell’azienda e ne cambia i vertici.

Questa, tra le grandi privatizzazioni esaminate, è la meno redditizia per lo Stato: il rapporto EV/EBITDA, ad esempio, è 3,4x (contro 7,2x di ENEL e 5,4x di ENI).

Successivamente la società passa più volte di mano (Colaninno, Pirelli, Telco, Telefonica), fino a caricarsi di debiti e a perdere il prestigio internazionale conquistato negli anni della STET.

Lo Stato resterà in TI fino al 2002, attraverso la quota del 5,2% rimasta al Tesoro, e fino al 2006 attraverso la quota del 2,3% rimasta a Banca d’Italia.

Le grandi privatizzazioni degli anni ’90Aziende di servizi e infrastrutture – Telecom Italia

Azienda Anno EV/EBITDA Prezzo/PNNuovo Pignone 1994 7,39x 2,90x

ILVA 1995 4,03x 1,17xENI (media 5 tranche) 1995 - 2001 5,40x 2,10xENEL (solo 1a tranche) 1999 7,20x 3,00x

Telecom Italia 1997 3,40x 1,70xAutostrade 1999 9,40x 4,50x

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Acquisizione Colaninno e

“Capitali Coraggiosi”

0,7

1,5 1,6

2,4 2,3

2,0

3,2

2,93,2 3,1 3,1

2,82,5

0,0

0,5

1,0

1,5

2,0

2,5

3,0

3,5

1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011

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Le grandi privatizzazioni degli anni ’90Aziende di servizi e infrastrutture – Telecom Italia

Telecom Italia – Andamento Posizione finanziaria netta / EBITDA

Le successive operazioni di leverage buy-out su Telecom portano ad un’”esplosione“ del debito, che dura tuttora:

Acquisizione Olimpia

(Pirelli e altri)

Telecom Italia è, fra le grandi, l’unica privatizzazione veramente mal riuscita, anche in seguito alla reiterata fiducia concessa a investitori privati che, invece, hanno “massacrato” la società con i debiti.

Ingresso Telefonica

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Le grandi privatizzazioni degli anni ’90Aziende di servizi e infrastrutture – Telecom Italia

Andamento del titolo Telecom Italia dal 1997 ad oggi

0,83 €/az

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Nel gennaio 1997 Seat (Gruppo STET – IRI) viene quotata in Borsa e, nel novembre dello stesso anno, sulla spinta di un incomprensibile conflitto di interessi, una cordata di imprenditori privati (Ottobi), tra i quali Telecom Italia (in netta minoranza), Comit, De Agostini e Investitori Associati, rileva il 61,27% delle quote di SEAT, ancora in mano all’allora Ministero del Tesoro.

Le azioni vengono pagate al Tesoro 848,7 M€ (prezzo del 61,27%, pari a 1,38 Mld € per il 100%), mentre l’OPA sul flottante va praticamente deserta.

Nel novembre 2000 SEAT Pagine Gialle rientra a far parte del Gruppo Telecom, attraverso l’integrazione con Tin.it.

Al termine dell’operazione il Gruppo Telecom ottiene il 65,09% di SEAT Pagine Gialle. In particolare, il 40,8% detenuto dagli altri soci di Ottobi viene pagato da Telecom 6,7 mld €, per un Equity Value del 100% pari a 16,4 Mld € (in quei tempi il titolo raggiunge in borsa una capitalizzazione fino a 20 mld € circa).

In pratica, 3 anni dopo la privatizzazione, gli altri soci ottengono da Telecom un prezzo oltre dieci volte superiore a quello pagato allo Stato!

Le grandi privatizzazioni degli anni ’90Aziende di servizi e infrastrutture – SEAT Pagine Gialle

1 Per le azioni ordinarie venne offerto un prezzo di 713 lire/az, contro un valore di borsa che, nei giorni immediatamente precedenti l’OPA, raggiunse 1.292 lire/az. Il prezzo offerto per l’OPA era in linea con il prezzo pagato da Ottobi al Tesoro pochi mesi prima, che, dunque,il mercato considerava già molto inferiore all’effettivo valore della società.

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Nell’agosto 2003 Seat Pagine Gialle viene scissa in due società: Seat SpA, alla quale vengono trasferite le seguenti attività:

• raccolta di pubblicità e pubblicazione di prodotti cartacei e on line;

• erogazione di servizi informativi per via telefonica e attività di call center;

• fornitura alle aziende di servizi di marketing e data base management.

Telecom Italia Media SpA, società oggi controllata al 77,7% dal Gruppo Telecom Italia ed attiva nella produzione televisiva (controlla LA7 e MTV Italia).

Nell’ambito della stessa operazione Silver SpA, consorzio formato dai fondi BC Partners, CVC, Investitori Associati e Permira, acquisisce il 62,5% di Seat SpA dal Gruppo Telecom a 4,93 mld €.

Le grandi privatizzazioni degli anni ’90Aziende di servizi e infrastrutture – SEAT Pagine Gialle

Il consorzio carica sulla società un pesante indebitamento che permane tuttora:

Indebitamento netto SEAT PG (M€)

717460

3.9263.635

3.406 3.2743.082

2.763 2.731 2.703

0

500

1.000

1.500

2.000

2.500

3.000

3.500

4.000

4.500

2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011

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Le grandi privatizzazioni degli anni ’90Aziende di servizi e infrastrutture – SEAT Pagine Gialle

Andamento del titolo SEAT PG dalla scissione ad oggi

N.B. – Dati non disponibili anteriormente al 2003, anno della scissione con Telecom Italia Media

0,05 €/az

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Nel dicembre 1999 lo stato mette in vendita (tramite OPV e gara) il 70% del capitale di Autostrade, per ca. 13,5 Mld €.

Schemaventotto (guidata da Edizione Holding) vince la gara ed acquista il 30% della società dall’IRI, ad un prezzo di ca. 7,05 €/az. Il mercato assorbe il 40% a 6,75 €/az.

Il prezzo rappresenta un premio sul valore di mercato (parte del capitale di Autostrade era già quotato) del 5%.

Appena tre anni dopo (2002), la stessa Schemaventotto (attraverso una società veicolo) acquisisce la maggioranza assoluta con un’OPA, al prezzo di 10 €/az, cioè ad un valore del 43% superiore a quanto ricavato dallo Stato.

Dopo altri 4 anni (2006) Schemaventotto pattuisce, di fatto, la cessione di Autostrade ad Abertis a ca. 25 €/az, ossia oltre il 250% in più rispetto all’originario prezzo di acquisto dall’IRI.

Le grandi privatizzazioni degli anni ’90Aziende di servizi e infrastrutture - Autostrade

Tuttora Autostrade è un’azienda solida.

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Le grandi privatizzazioni degli anni ’90Aziende di servizi e infrastrutture - Autostrade

Andamento del titolo Autostrade/Atlantia post privatizzazione

11,6 €/az

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Aeroporti di Roma (ADR) nasce nel 1974 come società per la gestione del sistema aeroportuale della Capitale. È concessionaria esclusiva per la gestione dei due aeroporti di Fiumicino e di Ciampino.

ADR è di proprietà dell’IRI, che la controlla attraverso Fintecna e Cofiri e che nel 1999 ne avvia la privatizzazione.

Dopo due fasi di gara, risulta vincitrice la cordata composta da Gemina (42%), Falck (31%), Italpetroli (16%) e Impregilo (11%) che, attraverso la società Leonardo, acquisisce il 51,2% delle azioni di ADR per 1.327 M€. Successivamente Leonardo acquisisce un ulteriore 45% ca. delle quote di ADR con un’OPA da 1.000 M€.

L’esborso di Leonardo è, tuttavia, al lordo di un dividendo di ca. 1.519 M€, staccato dalla società nel 2001 grazie ad accensione di debito (per oltre 1.600 M€). Complessivamente, dunque, Leonardo ottiene il 96% di ADR a 808 M€ (valore di carico).

Nel 2002 il Fondo australiano Macquarie compra da Leonardo il 44,68% delle quote di ADR a 480 M€ (1.074 M€ per il 100%), cioè con un premio di quasi il 30% rispetto al valore di carico.

Nel 2005 Gemina1 diventa azionista unico di Leonardo, acquistando dal Gruppo Falck il 31% delle quote per 220 M€, da Italpetroli il 16% per 83 M€ e da Impregilo l’11% per 63 M€.

Nel 2007 Gemina acquista il 44,68% del capitale di ADR da Macquarie per 1.237 M€, cioè 2,5 volte il prezzo pagato da Macquarie solo 5 anni prima e oltre 3 volte l’esborso netto in fase di privatizzazione.

Le grandi privatizzazioni degli anni ’90Aziende di servizi e infrastrutture - ADR

1 Dopo vari passaggi di mano, attualmente la maggioranza relativa di Gemina (35% ca.) è detenuta da Sintonia (che fa capo a Edizione Holding), direttamente e attraverso la partecipata Investimenti e Infrastrutture SpA.

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0,09

1,63 1,58 1,65 1,601,49

1,35 1,321,22

1,321,24

1,16

0,00

0,20

0,40

0,60

0,80

1,00

1,20

1,40

1,60

1,80

2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011

35

Le grandi privatizzazioni degli anni ’90Aziende di servizi e infrastrutture - ADR

Indebitamento netto ADR (M€)Acquisto

Macquarie Vendita Macquarie

Vendita Falck, Italpetroli, Impregilo

In 10 anni ADR ha subìto 3 passaggi di mano e si è caricata di un debito netto che, ad oggi, ammonta ancora a ca. 1.250 M€ (PFN/EBITDA > 4,5x!), dopo aver pagato plusvalenze ai vari azionisti (e 190 M€ di dividendi tra il 2000 e il 2007)!

Ciò ha provocato una crescita molto lenta nel decennio successivo alla privatizzazione (CAGR Ricavi 2001 – 2010: +3% e sostanziale blocco degli investimenti).

Privatizzazione

Con la privatizzazione il

debito sale di oltre 1,6 Mld €

Il forte debito e l'incertezza regolatoria hanno determinato un continuo deterioramento del rischio di credito

0

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Obiettivo delle privatizzazioni per vendita diretta a privati, oltre a quello di generare liquidità per le finanze pubbliche, era quello di affidare la gestione delle infrastrutture a soggetti, privati appunto, che ne curassero lo sviluppo e le gestissero in modo efficiente.

Le privatizzazioni delle infrastrutture e dei servizi, tuttavia, sono avvenute in modo forzato ed affrettato, favorendo un’assegnazione degli asset su “base familistica”.

L’idea è inizialmente buona e comprensibile.

Le “famiglie” coinvolte, però, si sono trovate a gestire imprese al di fuori del proprio core business, con elevati cash-flow, propri delle infrastrutture.

Pertanto questi imprenditori, pur avendo alle spalle storie di successo nei propri settori (spesso del tutto distinti da quello infrastrutturale), sono stati indotti ad una gestione degli asset più finanziaria che industriale, trascurando sviluppo e investimenti. Nessuna di quelle società privatizzate, con i privati, ha perseguito sviluppi.

Le grandi privatizzazioni degli anni ’90Aziende di servizi e infrastrutture

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Cenni sulle privatizzazioni in Europa

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Dall'inizio del '900 fino alla fine degli anni '70, tutti i principali Paesi dell'Europa Occidentale sono stati caratterizzati dalla crescita dell'intervento pubblico, con lo scopo di favorire la ricostruzione e modernizzare la struttura produttiva ed infrastrutturale.

Fino a tutto il secondo Dopoguerra si susseguono le "nazionalizzazioni" e il ruolo dello Stato imprenditore perdura.

Le crisi economiche degli anni '70 e '80, in particolare lo shock petrolifero, determinano, più o meno in tutti i Paesi, la crescita del deficit e del debito pubblico e, conseguentemente, la necessità per i Governi di fare cassa. Tale necessità si rafforza negli anni '90, in vista dell'adesione all'Euro.

L'avvento delle politiche liberiste di Reagan, negli USA, e, soprattutto, della Thatcher, in UK, forniscono le basi ideologiche alla de-nazionalizzazione delle aziende.

Oltre al risanamento economico si punta ad una maggiore efficienza delle imprese, alla libertà di scelta dei consumatori, alla liberalizzazione dei settori gestiti in monopolio dalla Stato, allo sviluppo dei mercati finanziari e alla creazione di un azionariato diffuso.

Cenni sulle privatizzazioni in Europa

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Nonostante le origini comuni, la "stagione delle privatizzazioni" assume connotati e tempi molto diversi da Paese a Paese, in funzione delle specificità del tessuto economico, ma anche storico e politico, di ciascuno Stato. Le principali differenze sono di ordine:

temporale: si va dalla Gran Bretagna, che realizza la maggior parte delle privatizzazioni negli anni '80, alla Francia, dove il processo assume maggiore intensità negli anni 2000, passando per l'Italia, la Germania e la Spagna, dove, per motivi diversi (crisi economico/politica, riunificazione, crisi post-dittatura franchista), il fenomeno è più forte negli anni '90;

strategico: alcuni (UK) optano per la completa uscita dello Stato dall'Economia, altri (Francia e Germania) scelgono di mantenere, comunque, un'importante presenza statale nelle società privatizzate;

socio/economico: la maggior parte (UK, Francia, Germania) puntano all'azionariato diffuso delle società privatizzate (creando delle grandi public company), altri (Italia), almeno in parte, alla vendita a un investitore industriale di riferimento.

Le forti differenze economiche, politiche e storiche tra i processi di privatizzazione dei vari Paesi, rendono difficile individuare un modello di riferimento, un benchmark.

Cenni sulle privatizzazioni in Europa

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Box 1 - Processi di privatizzazione nei principali Paesi europei (anni '80 e '90) cfr. ultra per tabella di sintesi

UK: è il primo Paese ad avviare un importante programma di privatizzazioni, con il Governo Tahtcher nel 1980, ed è anche il Paese in cui l'approccio è più radicale. I principali obiettivi del programma sono: l'impulso alla concorrenza (per il miglioramento della qualità di beni e servizi e la riduzione dei prezzi), la creazione di un azionariato diffuso, la riduzione del fabbisogno dello Stato. Le privatizzazioni inglesi sono, in genere, totali e realizzate, prevalentemente, per collocamento in Borsa (con lo scopo di raggiungere un azionariato diffuso e, contemporaneamente, far sviluppare i mercati finanziari). In alcuni casi lo Stato mantiene, per qualche anno, una "golden share", con potere di veto su alcune decisioni strategiche. Lo Stato assume, comunque, il ruolo di regolatore dei mercati liberalizzati, attraverso la costituzione di forti authority di settore (ad es. Ofcom, Ofwat, ecc.)

Germania: il modello capitalistico tedesco, basato su incroci azionari tra banche e imprese (che, dunque, hanno quote azionarie e diritti di governance le une nelle altre), ha, da sempre, determinato una scarsa presenza dello Stato in Economica e l'assenza di piani di nazionalizzazione. Conseguentemente, le privatizzazioni riguardano, prevalentemente: 1) le imprese della ex Germania Est post-riunificazione e 2) pochi grandi monopoli statali (Deutsche Telekom, Deutsche Post, Lufthansa, Volkswagen). Nel primo caso si procede per vendita diretta a imprenditori privati (piccole e medie imprese) o a investitori istituzionali della Germania Ovest. Nel secondo caso si sceglie il collocamento in Borsa, con il mantenimento di quote da parte dello Stato (oggi presente ancora in Volkswagen, Deutsche Telekom, Deutsche Post). I proventi delle privatizzazioni, realizzate, in gran parte, negli anni '90, vengono interamente utilizzati per il ripianamento dei conti pubblici dopo la riunificazione.

Cenni sulle privatizzazioni in Europa

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Francia: in Francia si sono susseguite per 50 anni, fino, addirittura, al 1982, massicci piani di nazionalizzazioni, con la risultante forte presenza pubblica nell'economia. Nel 1986 il Governo Chirac effettua un totale cambiamento di rotta, avviando una prima fase di privatizzazioni. Il modello di privatizzazione francese, probabilmente il più complesso, prevede:

la costituzione di un "nocciolo duro" di 10-20 azionisti (prevalentemente investitori istituzionali scelti dal Governo), ciascuno con una quota compresa tra lo 0,25 e il 5%. Tali azionisti detengono diritti privilegiati, a fronte di una maggiorazione del prezzo delle azioni del 2 – 10%. Lo scopo del "nocciolo duro" è garantire un azionariato stabile e la protezione da scalate ostili;

la vendita del 10% delle azioni ai dipendenti dell'azienda privatizzata; un cap al 20% per le partecipazioni a soci stranieri (per garantire che l'impresa rimanga

nazionale); una "golden share" ("action specifique") per lo Stato, della durata di 5 anni; la collocazione in Borsa delle quote restanti.

Tale processo ha permesso la formazioni di importanti public company rimaste saldamente in mani francesi. Differentemente dagli altri principali Paesi, la Francia ha continuato il processo di privatizzazione anche negli anni 2000 (periodo in cui tale processo si è, addirittura, intensificato).

Spagna: in Spagna gran parte delle imprese erano state nazionalizzate durante la dittatura franchista, attraverso l'INI (ente statale nato sul modello dell'IRI italiana). Le privatizzazioni vengono avviate nel 1986 dal Governo Gonzales e, inizialmente, alcuni importanti asset vengono venduti agli stranieri (es. SEAT a Volkswagen). Successivamente, in particolare negli anni '90, le principali aziende di Stato (Endesa, Repsol, e Telefonica) vengono privatizzate attraverso collocamento in Borsa, con lo scopo di creare public company ad azionariato diffuso.

Cenni sulle privatizzazioni in Europa

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Cenni sulle privatizzazioni in Europa

Paese Strategia Tipologia di vendita prevalente

Azionariato prevalente

Principali operazioni (anni '80 – '90)

Ricavi totali (Mld USD)

Italia Privatizzazione totale (eccetto ENEL ed ENI)

Vendita diretta Privati (grandi famiglie, investitori industriali)

Lanerossi, ILVA, ENI, ENEL, Telecom Italia, Autostrade, SME, AdR

107

UK Privatizzazione totale (con controllo da parte delle authority)

Quotazione Azionariato diffuso BP, British Gas, British Airways, BAA, British Telecom

112

Germania Privatizzazione totale (imprese Germania Est) e privatizzazione parziale (grandi imprese di Stato)

Vendita diretta (imprese Germania Est) e quotazione (grandi imprese di Stato)

Privati (imprese Germania Est), azionariato diffuso/istituzionale (grandi imprese di Stato), Stato

8.000 imprese della Germania Est, Volkswagen, Deutsche Post, Deutsche Postbank, Deutsche Telekom, Lufthansa.

70

Francia Privatizzazione parziale

Quotazione "Nocciolo duro" (investitori istituzionali), dipendenti, risparmiatori, Stato

Saint-Gobain, Paribas, BNP, Renault, France Telecom, Autoroutes du Sud de la France.

59

Spagna Privatizzazione totale Vendita a stranieri / quotazione

Azionariato diffuso / investitori istituzionali

SEAT, Endesa, Repsol, Telefonica

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Privatizzazioni nei principali Paesi europei – anni '80 – '90

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Cenni sulle privatizzazioni in Europa

Benchè, come detto, non sia possibile individuare un benchmark di riferimento, per le troppe differenze tra i vari Paesi, emergono, tuttavia, alcuni tratti comuni nei processi di privatizzazione esaminati: tutti i Paesi, tranne l'Italia, si pongono come obiettivo quello di trasformare le

aziende privatizzate in vere e proprie public company, caratterizzate da azionariato diffuso, ed in grado di competere sui mercati internazionali (che, in quegli anni, cominciano a "globalizzarsi");

conseguentemente, in tutti i Paesi, ad eccezione dell'Italia, le privatizzazioni dei grandi asset pubblici avvengono, prevalentemente, attraverso la quotazione in Borsa;

ulteriore conseguenza di questo processo è la nascita, o il rafforzamento, di investitori istituzionali (fondi di investimento, merchant bank, compagnie assicurative, fondi pensione, ecc.), fenomeno assente o molto ridotto in Italia;

gli Stati tradizionalmente più "forti" (Germania e Francia, in particolare), infine, tendono a mantenere importanti quote negli asset strategici. Lo Stato inglese, pur optando per le privatizzazioni totali, assume il ruolo di regolatore attraverso le authority. Anche in questo caso, l'Italia fa eccezione: nonostante la scelta delle privatizzazioni totali, il ruolo delle authority non è forte come in Gran Bretagna.

L'Italia, pur incassando molto dalle privatizzazioni, non riesce a far nascere "campioni nazionali" nei vari settori (con l'esclusione di quello energetico), in grado di rappresentare un motore di sviluppo all'interno del Paese e di affermarsi all'Estero.

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F2i come strumento per la privatizzazione degli asset locali

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F2i come strumento per la privatizzazione degli asset locali

Dopo il Governo centrale, sono oggi gli Enti Territoriali a trovarsi in condizioni finanziarie critiche: elevato indebitamento, utilizzato, sempre più spesso, per coprire parte della spesa corrente

oltre che per gli investimenti;

trasferimenti da parte dello Stato in diminuzione;

vincoli sempre più stringenti per il patto di stabilità interno.

Nel settore delle infrastrutture e dei servizi pubblici locali (cioè i settori in cui gli Enti Locali sono maggiormente presenti), in particolare, tutto ciò determina l’estrema difficoltà a reperire fondi per:

partecipare agli aumenti di capitale nelle società controllate, necessari ad assicurare lo sviluppo e l’efficienza dei servizi offerti ai cittadini;

sviluppare le infrastrutture esistenti e finanziare nuove opere, che il territorio sta chiedendo con sempre maggiore insistenza.

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F2i come strumento per la privatizzazione degli asset locali

Peraltro, anche talune delle società, che gestiscono i servizi pubblici locali, si trovano ad affrontare una serie di problemi, tipici della loro natura pubblica:

pluralità di soci (spesso in assenza di uno stakeholder di riferimento), con problematiche abbastanza differenziate, che finiscono col condizionarsi a vicenda;

carenza di risorse finanziarie (legata ai problemi degli azionisti pubblici) necessarie ad affrontare importanti investimenti per la manutenzione e lo sviluppo degli asset gestiti;

frammentazione del settore in cui operano, determinata da politiche campanilistiche e non integrate in una strategia nazionale.

Inoltre, anche le società più grandi e quotate in Borsa, cioè quelle nate dal processo di aggregazione degli anni passati (A2A, Hera, IREN, ACEA, ecc.), conservano ancora, al proprio interno, le contrapposizioni localistiche tra le realtà che si sono fuse. Ciò limita la loro capacità di sviluppo e il campo di azione dei loro manager.

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F2i come strumento per la privatizzazione degli asset locali

Problemi finanziari, difficoltà gestionali e deficit infrastrutturale comportano, fatalmente, un ridimensionamento della presenza degli Enti Locali nel capitale delle società partecipate.

Questa necessità era stata colta dal “Decreto Ronchi”, che individuava la soluzione al problema nell’ingresso di un partner privato nelle società di gestione degli asset.

Gli effetti del Ronchi, tuttavia, sono stati, di fatto, annullati dal Referendum di giugno 2011 , il cui spirito (contrario agli indirizzi comunitari) è mantenere la gestione pubblicistica dei servizi locali.

Malgrado la vittoria referendaria, la mancanza di fondi tiene viva l’esigenza degli Enti Locali di ricorrere a capitali privati.

Recentemente si è riaperto il dibattito su una nuova stagione di privatizzazioni, che interesserebbero proprio gli Enti Locali.

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La stagione delle "grandi privatizzazioni", che ha riguardato soprattutto gli asset gestiti da grandi Enti centrali (IRI, ENI, ENEL, ecc.), ha avuto un effetto minore sui servizi pubblici locali.

Nonostante il collocamento in Borsa di quote di minoranza di varie ex Municipalizzate (HERA, A2A, ACEA, IREN, Acegas, ecc.), il loro controllo è rimasto saldamente nelle mani degli Enti Locali.

Ciò ha contribuito al fatto che settori come quello idrico, quello della gestione dei rifiuti e quello della distribuzione del gas, rimanessero e rimangano tuttora molto frammentati.

In tali settori, in Italia, non è stata possibile la formazione di grandi “campioni nazionali” (come, ad es. è successo in Germania con E.On., in Francia con Veolia, EdF, GdF, ecc.), capaci, nel tempo, di competere anche all’Estero.

F2i come strumento per la privatizzazione degli asset locali

Gli Enti Locali detengono partecipazioni in oltre 5.500 società (con un giro di affari complessivo di 43 Mld € e 240.000 dipendenti), per un valore totale stimato in ca. 30 – 35 Mld €! (Fonte: Privatization Barometer – Fondazione Mattei).

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F2i come strumento per la privatizzazione degli asset locali

Riflettendo sui vari input emersi …

le luci e le ombre dell’esperienza delle privatizzazioni degli anni ‘90;

la necessità di una nuova stagione di privatizzazioni, come soluzione ali problemi finanziari e gestionali degli Enti Locali;

… è sorta l’idea di F2i, cioè di un Fondo, privato ma istituzionale, che: aggregasse infrastrutture esistenti in filiere, dando vita a "campioni

nazionali" nei singoli comparti; utilizzasse i fondi derivanti dalla gestione di tali asset per permetterne lo

sviluppo; si proponesse come partner degli Enti Locali nel processo di

privatizzazione dei loro asset.

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F2i come strumento per la privatizzazione degli asset locali

F2i, con una raccolta di 1.852 M€, è il più grande Fondo operante in Italia ed il maggior Fondo infrastrutturale del Mondo dedicato ad un solo Paese (country fund).

F2i è stato creato, quale strumento privatistico ma istituzionale, da sponsor di elevato standing, che hanno contribuito ad affermarne la salda reputazione: il Governo tramite la CDP

le principali banche italiane (Unicredit, Intesa SanPaolo)

un’importante banca straniera (Merrill Lynch – BoA)

i network delle Fondazioni ex-bancarie e delle Casse di Previdenza private

assicurazioni vita e fondi pensione

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F2i come strumento per la privatizzazione degli asset locali

Investitori F2i ripartiti per categoria

F2i, sia per missione che per la natura istituzionale dei propri investitori, persegue partecipazioni di lungo termine con logica industriale.

Categorie N. Invest. Ammontare sottoscritto

% sul Fondo

Banche 7 593 M€ 32,02%Casse Previdenziali 13 487 M€ 26,30%Fondazioni 26 439 M€ 23,70%Assicurazioni 4 175 M€ 9,45%Istituzioni finanziarie pubbliche (CDP) 1 150 M€ 8,10%Management SGR / Sponsor 1 8 M€ 0,43%Totale 52 1.852 M€ 100,00%

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F2i come strumento per la privatizzazione degli asset locali

F2i ha un orizzonte di vita di 15 anni, di cui 4 (+2 eventuali) dedicati agli investimenti e i restanti alla gestione.

F2i ha, di fatto, esaurito la propria dotazione con un anno di anticipo!

Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set Ott Nov Dic Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set Ott Nov Dic

2008 2009

2013 2015

Fund IPO

Investment period extension

2010 2011 2012 20142007 2008 2009Project /

AuthorizationFund Raising Investment period

Management and disposal

3 �invest.

53,5 M€

Oggi

6 �invest.

294,9 M€

First Closing € 1,55 mld

Final Closing €1,852 mld

Primo dividendo

~ 1.653 M€ +

26 M€ (costi di gestione Fondo) =

1.679 M€ (90% della raccolta)

FirstClosing raccolta,

inizio investimenti

1 �investimento

79,4 M€

2 �invest.

2,0 M€ (1)

5 �invest.29,6 M€(1)

4 �invest.

50,1 M€

7 �invest.

237,5 M€

Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set Ott Nov Dic

2008

Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set Ott Nov Dic

2009

Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set Ott Nov Dic

2010

8�invest.

100,2 M€

9 �invest.

73,8 M€

10�invest.

182,0 M€+ 28,8 M€(2)

11�invest.

67,7 M€

(1) Partecipazione dismesse

(2) Progetti Moon e Link in fase di finalizzazione

Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set Ott Nov Dic

2011

13�invest.389 M€

12 �invest.

64,8 M€

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Vito Gamberale - Casi di privatizzazione nell'esperienza italianaVito Gamberale - Casi di privatizzazione nell'esperienza italiana

1621,8 M€ (96,6%)

25,6 M€ (1,5%)

75% 85,2%

100%

100%

100% 40%

15,7%

100%

49,8%

100% 70%

29,8%

87,5% 61,4%

26,3%

7,4%

Infracis Srl

SEA

Autostrada BS PD

Progetti Milano e Brescia

2iGas Srl

G6 Rete Gas SpA

F2i Rete Idrica Italiana SpA

F2i Energie Rinnovabili Srl

F2i Reti Italia Srl

GESAC SpA

Metroweb SpA

F2i Aeroporti SpA

F2i TLC SpA

ENELRete Gas SpA

Mediterranea delle Acque SpA

Alerion CleanPower SpA

HFV SpA

31,7 M€ (1,9%)

53

F2i come strumento per la privatizzazione degli asset locali

1679,1 M€

GAS

RINNOVABILI

AUTOSTRADE

ACQUA

AEROPORTI

TLCProgetti approvati ma non ancora chiusi

Include partecipazione in Software Design

Subordinatamente alla procedura di prelazione a favore degli altri soci

Impegnato

436,5 M€ (26,0%)

237,5 M€ (14,1%)

129,5 M€ (7,7%)

489,2 M€ (29,1%)

210,8 M€ (12,6%)

118,3 M€ (7,1%)

Investimenti attualmente in portafoglio+ Dismissioni+ Costi di gestione Fondo

= TOTALE IMPEGNATO

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F2i come strumento per la privatizzazione degli asset locali

2i Gas (ex E.On Rete)Costituire un importante gestore indipendente di reti per la distribuzione del gas e fungere da soggetto aggregatore in un settore in fase di concentrazione.

Dare vita, nei due segmenti principali (eolico e fotovoltaico), a due forti operatori indipendenti.Oggi il settore delle Energie Rinnovabili è minacciato da provvedimenti contraddittori che spesso diffondono incertezze tra gli operatori!

Entrare nel settore autostradale, piuttosto chiuso, e proporsi come stakeholder di riferimento per società caratterizzate da azionariati pubblici molto frammentati.

Creare un “campione nazionale” in un settore strategico per il Paese, che necessita di grandi investimenti per l’ammodernamento degli impianti esistenti.

Avviare, attraverso due primari asset del panorama nazionale,un polo di aggregazione in un settore caratterizzato da forte frammentazione e da una gestione prevalentemente pubblicistica.

ENEL Rete Gas

AlerionHFV

Infracis

Mediterraneadelle Acque

GESACSEA

G6 Rete Gas

Costituire un polo di sviluppo nel settore delle reti TLC di nuova generazione, al fine di accelerare l’infrastrutturazione tecnologica delle grandi città italiane.

MetrowebProgetti Moon e Link

Autostrada BS-PD

GAS

RINNOVABILI

AUTOSTRADE

ACQUA

AEROPORTI

TLC

F2i opera come una vera “public company”: ogni progetto è intrapreso con l’obiettivo di creare una filiera nello specifico comparto, favorendo la collaborazione tra le partecipate e l’integrazione delle reti infrastrutturali gestite:

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F2i come strumento per la privatizzazione degli asset locali

In 4 anni, F2i ha offerto un modello al mondo delle infrastrutture in Italia, dando vita ad un Gruppo strutturato di aziende, di filiere di aziende, che si propongono, ciascuna, come benchmark nel proprio settore.

Le società nelle quali F2i detiene la maggioranza, o un importante ruolo di governance, hanno registrato nel 20111: Fatturato aggregato: 1.559 M€ EBITDA: 657 M€ (EBITDA Margin: 42%) Dipendenti: 8.000 ca. Investimenti: 438 M€ (67% EBITDA)

1 Dati aggregati di preconsuntivo 2011. Si riferiscono a: ERG, 2i Gas, G6 Rete, Alerion CleanPower, HFV, Mediterranea delle Acque, GESAC, SEA, Metroweb.

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E.On Rete Gas

Gesac

G6 Rete Gas

Metroweb

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F2i come strumento per la privatizzazione degli asset locali

Peraltro, grazie ad F2i, importanti asset, che erano finiti in mani straniere, sono ritornati, con i loro cash flow, sotto il controllo italiano:

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Vito Gamberale - Casi di privatizzazione nell'esperienza italiana57

partecipare all’acquisizione di asset regolamentati brownfield messi in vendita anche dagli Enti Pubblici, per supportare il proprio sviluppo. Come importante innovazione, agli istituzionali che vendono viene spesso garantito un earn-out, a protezione di future valorizzazioni sopra una determinata soglia;

coinvolgere il sistema finanziario nazionale e locale nelle società di gestione, secondo lo spirito delle vere public company internazionali;

assicurare una gestione industriale, che mira all’efficienza e allo sviluppo manageriale delle società. Per poter incidere attivamente sulla gestione, F2i punta ad ottenere quote di maggioranza nelle società partecipate;

mantenere una gestione finanziaria equilibrata, evitando l’impoverimento delle società con indebitamenti esagerati e maxi-dividendi straordinari;

favorire lo sviluppo, grazie al reinvestimento di buona parte dei cash flow generati nel potenziamento degli asset e delle reti gestite;

favorire processi di aggregazione, in settori caratterizzati da elevata frammentazione e potenzialità di sviluppo nazionale ed europeo;

assicurare la valorizzazione del management delle aziende partecipate, coinvolgendolo in progetti di sviluppo della società e di crescita personale.

F2i può rappresentare il partner ideale per accompagnare i soggetti pubblici nel processo di privatizzazione. F2i, infatti, può:

F2i come strumento per la privatizzazione degli asset locali

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F2i come strumento per la privatizzazione degli asset locali

L'efficacia del lavoro svolto da F2i è dimostrata dal fatto che il Fondo ha praticamente esaurito la propria dotazione con un anno di anticipo sul termine minimo dell’investment period.

Tutto ciò è avvenuto pur avendo operato con grande cautela, al fine di evitare operazioni affrettate, in un momento di forte incertezza e di progressivo aggravamento della crisi internazionale.

Questo risultato sta spingendo F2i a lanciare un nuovo Fondo, che le permetta di proseguire la propria opera.

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F2i come strumento per la privatizzazione degli asset locali

Il risultato conseguito da F2i, nato quasi “spontaneamente”, ha spinto il suo socio istituzionale, cioè la CDP, a replicarne l’esperienza in altri settori-chiave dell’economia italiana.

F2i è diventato, dunque, un modello per gli strumenti di politica economica!

Dopo F2i, sono stati costituiti 2 nuovi importanti veicoli di investimento:

Fondo Italiano d’Investimento (target 3 Mld €): rivolto alle PMI, con l’obiettivo di rafforzarle patrimonialmente e aumentarne le dimensioni;

Fondo Strategico Italiano (target 7 Mld €): rivolto alle imprese di dimensioni maggiori, ritenute strategiche per il Paese, con l’obiettivo di incrementarne la competitività internazionale e preservarne l’italianità.

È, inoltre, allo stadio di proposta la costituzione di un fondo infrastrutturale, sul modello di F2i, che investa in nuove opere (greenfield).

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Conclusioni

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0,00%

0,50%

1,00%

1,50%

2,00%

1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000

61

L’Italia negli anni ‘90 è stato il Paese Europeo che ha privatizzato di più (oltre 100 Mld USD, dei quali oltre il 70% provenienti dalle dismissioni sopra esaminate)…

Conclusioni

… anche se l’impatto delle privatizzazioni sul debito pubblico è stato comunque limitato.

Proventi da privatizzazioni dei principali Paesi Europei nel periodo 1991 – 2000 (Mld USD)

Media: 0,75%

Incidenza dei ricavi da privatizzazioni sull’ammontare del debito pubblico

103

67

55 54 43

-

20

40

60

80

100

120

Italia Germania UK Francia SpagnaFonte: Privatization Barometer – Fondazione Mattei

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Complessivamente, le grandi privatizzazioni degli anni ‘90, in Italia, hanno avuto esiti diversi, a seconda delle modalità con cui sono state effettuate.

Le privatizzazioni con collocamento in Borsa, oltre ad essere state un successo economico per lo Stato, hanno trasformato gli ex-Enti pubblici in public company, migliorandone l’efficienza e facendone delle primarie aziende in grado di competere a livello internazionale.

Tali risultati sono stati ottenuti, tuttavia, forzando la Borsa (almeno nel caso di ENEL), con prezzi di collocamento che non sempre hanno favorito gli investitori (tra i quali molti piccoli risparmiatori).

Le privatizzazioni per vendita diretta a privati, invece:

nel manifatturiero hanno generalmente avuto successo, grazie, soprattutto, alla vendita a imprenditori operanti nello stesso settore delle aziende acquisite;

nel settore delle infrastrutture sembrano aver favorito i privati stessi, accendendo, peraltro, in loro tentazioni di strategie “hit and run”, e rischiando, come è avvenuto per Telecom e stava per accadere con Autostrade, che asset strategici per il Paese finissero sotto il controllo straniero.

Conclusioni

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Vito Gamberale - Casi di privatizzazione nell'esperienza italianaVito Gamberale - Casi di privatizzazione nell'esperienza italiana

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Privilegiare, per il manifatturiero, i leader negli stessi core-business.

Privilegiare, per le infrastrutture / servizi, o la quotazione totale o azionariati da “public company”, come F2i.

Inserire vincoli di lock-up (almeno per 5/7 anni).

Introdurre, in ogni caso, il concetto di “earn-out” a favore del pubblico venditore in caso di vendita dell’azienda entro i 10 – 15 anni.

Vincolare a non vendere la società ad acquirenti che scaricano il debito di acquisizione sulla stessa.

Conclusioni

L’insegnamento delle grandi privatizzazioni

Su queste basi si dovrebbe affrontare, rapidamente, il tema delle municipalizzate, specie nei settori dell’acqua, della distribuzione del gas e del WTE.

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Le privatizzazioni degli anni '90 hanno riguardato, infatti, soprattutto gli asset gestiti da grandi Enti centrali (appunto IRI, ENI, ENEL), e, solo marginalmente, i servizi pubblici locali (soprattutto attraverso il collocamento in Borsa di quote di minoranza delle società partecipate).

Dopo lo Stato, sono oggi gli Enti Locali a trovarsi in condizioni critiche, per problemi finanziari e gestionali. Gli Enti Locali, dunque, dovrebbero essere interessati a completare il processo di privatizzazione delle ex-municipalizzate.

Considerando l'esperienza maturata nella stagione delle "grandi privatizzazioni", nasce l'esigenza di individuare il giusto partner privato.

F2i è nata anche per essere la risposta a questo problema, cioè un socio, contemporaneamente privato ed istituzionale, di lungo periodo, finanziariamente solido, rispettoso del ruolo e degli interessi pubblici.

F2i può essere considerata, per l’Italia quel tipo di public company che negli altri Paesi è rappresentato dalle migliori istituzioni finanziarie.

Conclusioni