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3 Valutazione del rischio cardiovascolare nel diabete GABRIELE RICCARDI, OLGA VACCARO, GIOVANNI ANNUZZI Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università degli Studi di Napoli Federico II, Napoli Introduzione La malattia coronarica è la principale causa di morbilità e mortalità nei pazienti diabetici. Essa rappresenta la conseguenza della localizza- zione a livello delle arterie coronariche della macro- angiopatia diabetica, una complicanza a lungo ter- mine del diabete che interessa l’intero albero arte- rioso. La lesione caratteristica della macroangio- patia diabetica è la placca aterosclerotica che è simile nei soggetti diabetici e non diabetici. L’aterosclerosi coronarica nel diabete è più fre- quente, così come sono più frequenti le lesioni con ulcerazione, trombosi ed emorragia. Uno stu- dio recente in pazienti con angina instabile ha mostrato mediante angioscopia coronarica per- cutanea la presenza di una placca ulcerata nel 94% dei pazienti diabetici rispetto al 60% dei non dia- betici, mentre si osservavano trombi intracoro- narici nel 94% e nel 55% rispettivamente nei pazien- ti con e senza diabete. Studi angiografici ed autop- tici mostrano una maggiore prevalenza di malattia bi- e trivasale rispetto ai soggetti non dia- betici, così come è più frequente il riscontro di severi restringimenti della coronaria principale. Nel diabete mellito sia insulino-dipendente che non insulino-dipendente, inoltre, è spesso presen- te una aterosclerosi più distale rispetto agli indi- vidui non diabetici. Nei pazienti diabetici la sintomatologia asso- ciata all’ischemia del miocardio o all’infarto può RIASSUNTO La pandemia di diabete a cui stiamo assistendo sarà probabilmente tra qualche anno seguita da una esplo- sione di malattie cardiovascolari, data l’elevata fre- quenza di queste manifestazioni nei pazienti dia- betici. Pertanto, è senz’altro importante implementare stra- tegie di intervento mirate alla prevenzione del dia- bete, ma è altrettanto importante adoperarsi per una efficace prevenzione primaria e secondaria delle com- plicanze cardiovascolari nelle persone in cui il dia- bete è già stato diagnosticato. Le complicanze macrovascolari del diabete nella loro localizzazione coronarica, cerebrale e perife- rica degli arti inferiori, rappresentano ancora oggi la maggiore causa di mortalità ed invalidità nei pazienti diabetici, e sono responsabili di oltre il 75% dei ricoveri ospedalieri in questi pazienti. Inoltre non bisogna dimenticare che nei pazienti con dia- bete tipo 2 le complicanze cardiovascolari sono spes- so già presenti al momento della diagnosi di diabe- te e questo sottolinea ulteriormente l’importanza dello screening precoce. Particolarmente degna di attenzione è l’osservazio- ne che la diminuzione della mortalità per cardiopa- tia ischemica registrata negli ultimi decenni negli USA per la popolazione generale non si è osservata inve- ce nella popolazione diabetica. Questo suggerisce che l’attenzione per il problema e/o le strategie di intervento implementate nei pazien- ti diabetici sono ancora subottimali. Sono discusse le evidenze su cui basare la valutazione del rischio cardiovascolare nel paziente con diabete tipo 1 e tipo 2; le strategie per la definizione diagnostica della complicanze cardiovascolari in fase anche preclini- ca; le misure di intervento non farmacologico e far- macologico che si sono dimostrate efficaci per la pre- venzione primaria e secondaria degli eventi cardio- vascolari nei pazienti diabetici.

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Valutazionedel rischio

cardiovascolarenel diabete

GABRIELE RICCARDI,OLGA VACCARO,

GIOVANNI ANNUZZIDipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale,

Università degli Studi di NapoliFederico II, Napoli

�Introduzione

La malattia coronarica è la principale causa dimorbilità e mortalità nei pazienti diabetici.Essa rappresenta la conseguenza della localizza-zione a livello delle arterie coronariche della macro-

angiopatia diabetica, una complicanza a lungo ter-mine del diabete che interessa l’intero albero arte-rioso. La lesione caratteristica della macroangio-patia diabetica è la placca aterosclerotica che èsimile nei soggetti diabetici e non diabetici.L’aterosclerosi coronarica nel diabete è più fre-quente, così come sono più frequenti le lesionicon ulcerazione, trombosi ed emorragia. Uno stu-dio recente in pazienti con angina instabile hamostrato mediante angioscopia coronarica per-cutanea la presenza di una placca ulcerata nel 94%dei pazienti diabetici rispetto al 60% dei non dia-betici, mentre si osservavano trombi intracoro-narici nel 94% e nel 55% rispettivamente nei pazien-ti con e senza diabete. Studi angiografici ed autop-tici mostrano una maggiore prevalenza dimalattia bi- e trivasale rispetto ai soggetti non dia-betici, così come è più frequente il riscontro diseveri restringimenti della coronaria principale.Nel diabete mellito sia insulino-dipendente chenon insulino-dipendente, inoltre, è spesso presen-te una aterosclerosi più distale rispetto agli indi-vidui non diabetici.

Nei pazienti diabetici la sintomatologia asso-ciata all’ischemia del miocardio o all’infarto può

RIASSUNTO

La pandemia di diabete a cui stiamo assistendo saràprobabilmente tra qualche anno seguita da una esplo-sione di malattie cardiovascolari, data l’elevata fre-quenza di queste manifestazioni nei pazienti dia-betici.Pertanto, è senz’altro importante implementare stra-tegie di intervento mirate alla prevenzione del dia-bete, ma è altrettanto importante adoperarsi per unaefficace prevenzione primaria e secondaria delle com-plicanze cardiovascolari nelle persone in cui il dia-bete è già stato diagnosticato.Le complicanze macrovascolari del diabete nellaloro localizzazione coronarica, cerebrale e perife-rica degli arti inferiori, rappresentano ancora oggila maggiore causa di mortalità ed invalidità neipazienti diabetici, e sono responsabili di oltre il 75%dei ricoveri ospedalieri in questi pazienti. Inoltrenon bisogna dimenticare che nei pazienti con dia-

bete tipo 2 le complicanze cardiovascolari sono spes-so già presenti al momento della diagnosi di diabe-te e questo sottolinea ulteriormente l’importanza delloscreening precoce.Particolarmente degna di attenzione è l’osservazio-ne che la diminuzione della mortalità per cardiopa-tia ischemica registrata negli ultimi decenni negli USAper la popolazione generale non si è osservata inve-ce nella popolazione diabetica.Questo suggerisce che l’attenzione per il problemae/o le strategie di intervento implementate nei pazien-ti diabetici sono ancora subottimali. Sono discussele evidenze su cui basare la valutazione del rischiocardiovascolare nel paziente con diabete tipo 1 e tipo2; le strategie per la definizione diagnostica dellacomplicanze cardiovascolari in fase anche preclini-ca; le misure di intervento non farmacologico e far-macologico che si sono dimostrate efficaci per la pre-venzione primaria e secondaria degli eventi cardio-vascolari nei pazienti diabetici.

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�Il rischio cardiovascolarenel diabete

Molti studi prospettici hanno valutato la mor-bilità e la mortalità per malattia cardiovascolare neipazienti con diabete tipo 2 in diversi gruppi etni-ci ed in diverse aree geografiche. Si tratta gene-ralmente di studi di popolazione o di studi condot-ti su ampie casistiche cliniche.Alcuni tra i più impor-tanti e più rigorosi sotto il profilo metodologicosono riportati in Tabella 1. È evidente una note-vole concordanza di risultati nell’indicare un aumen-to di almeno il doppio del rischio di cardiopatiaischemica nei soggetti diabetici rispetto ai non dia-betici. Il rischio è generalmente più elevato nelledonne, a conferma della perdita della naturale pro-tezione verso la cardiopatia ischemica che si osser-va nelle donne non diabetiche in premenopausa.Dati analoghi si hanno per altre complicanze car-diovascolari come insufficienza cardiaca, vascu-lopatia periferica degli arti inferiori ed ictus cere-brale. In Italia sono disponibili due studi, quellodi Verona e quello di Casale Monferrato che ripor-tano la mortalità totale e causa specifica in due coor-ti di pazienti con diabete tipo 2 in un periodo rela-tivamente recente.

Oltre che una elevata incidenza di eventi, i pazien-ti diabetici presentano una peggiore prognosi. Ad

4 G. Riccardi, O. Vaccaro, G. Annuzzi

Tabella 1 Sommario di studi che hanno valutato il rischio di mortalità per cardiopatia ischemicanei pazienti diabetici rispetto ai non diabetici

Popolazione Anni di Uomini DonneStudio (Anno) N osservazione RR* RR*

Israel Ischemic Heart Disease (1977) 10059 5 3.4 -

Framingham (1979) 5029 20 2.1 2.7

Withehall (1983) 18403 71/2 2.5 -

Rancho Bernardo (1983) 2447 7 2.4 3.5

Finnish Social Insurance (1986) 19250 91/2 3.2 4.7

Chicago Heart Association (1986) 19250 91/2 3.2 4.7

Paris Prospective (1989) 7083 11 3.0 -

Nhanes-1 (1991) 13164 10 2.5 3.2

MRFIT (1993) 347978 12 3.2 -

*Rischio relativo vs non diabetici. Vaccaro O. Il Diabete, 1993

essere assente o presentarsi in modo atipico condolore toracico senza le classiche caratteristichesemeiologiche o con soltanto dispnea o astenia opalpitazioni. Pertanto è possibile che questalieve sintomatologia possa non essere riconosciu-ta prontamente o passare del tutto inosservata.L’incidenza di un sottoslivellamento del tratto STasintomatico, durante un test da sforzo, è quasi rad-doppiata nei pazienti diabetici (69% vs 35% neinon diabetici. La soglia di percezione del doloreanginoso era correlata ai risultati dei test di fun-zionalità autonomica cardiovascolare (manovra diValsalva, deep breathing), suggerendo che il pro-lungamento della soglia possa essere causato daneuropatia autonomica riguardante l’innervazio-ne sensitiva del cuore.

La neuropatia autonomica non solo è in gradodi influenzare la sintomatologia dell’eventoischemico, ma può essa stessa favorire l’ischemiae l’infarto attraverso vari meccanismi, tra cui l’au-mento delle richieste di ossigeno da parte del mio-cardio per l’aumentata frequenza cardiaca ariposo, la riduzione del flusso coronarico per l’au-mentato tono vascolare in corrispondenza di unastenosi, la riduzione della pressione di perfusio-ne coronarica durante l’ipotensione ortostatica el’eliminazione dei segni precoci di avvertimentodell’ischemia.

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esempio è documentato che la mortalità nelle primeore successive all’infarto e nei seguenti 12 mesiè più elevata nei pazienti con diabete, sia uominiche donne. Particolarmente rilevante è il dato chela diminuzione della mortalità per cardiopatia ische-mica, registrata negli ultimi decenni negli USA perla popolazione generale non si è osservata inve-ce nella popolazione diabetica. Questo suggerisceche l’attenzione per il problema e/o l’implemen-tazione di adeguate misure per la diagnosi preco-ce e la prevenzione di queste patologie devono anco-ra essere migliorate nel paziente diabetico.

Infine va sottolineato che un significativoincremento del rischio cardiovascolare si osservaanche nelle persone con alterazioni della regolazio-ne glicemica non diagnostiche per diabete, comela ridotta tolleranza al glucosio (IGT) o l’alterazio-ne della glicemia a digiuno (IFG). Quest’ultima osser-vazione suggerisce che, contrariamente a quanto siosserva per le complicanze microvascolari, per lecomplicanze macrovascolari probabilmente non èpossibile identificare un valore glicemico soglia perl’aumento del rischio, oppure che questa soglia èmolto più bassa del valore utilizzato per la diagno-si di diabete.

Frequenza della malattia cardiovascolare nel dia-bete tipo 1

I dati riportati si riferiscono prevalentemente aipazienti con diabete tipo 2. Studi simili condottisu pazienti con diabete tipo 1 sono molto menonumerosi perché questi pazienti sono quantitati-vamente una minoranza di tutti i pazienti diabe-tici, ma anche perché in un periodo relativamen-

te recente questo tipo di diabete era ancora gra-vato da una marcata riduzione della aspettativa divita e da una elevata mortalità per complicanze acutee complicanze renali. Oggi, con l’incremento dellaaspettativa di vita, le malattie cardiovascolari sonola principale causa di morte anche nei pazienti condiabete tipo 1. I dati finora disponibili si riferisco-no per lo più a casistiche cliniche, piuttosto chea popolazioni. Nella casistica della Joslin Clinicil rischio di eventi cardiovascolari è di 4-8 voltemaggiore rispetto ai soggetti non diabetici di com-parabile età; un aumento consistente si osserva giàa partire dai 35 anni di età, cioè in un’epoca in cuila patologia cardiovascolare è molto rara nei sog-getti non diabetici.

Il diabete come equivalente di rischio coronaricoIl diabete viene ormai considerato da molti cli-

nici e ricercatori come un equivalente coronari-co. Questo assunto è stato anche recentemente sot-toscritto da un organismo autorevole come l’ATPIII (Adult Treatment Panel III) del NationalCholesterol Education Program.

Evidentemente questo candida automatica-mente i pazienti diabetici ad interventi di preven-zione secondaria. Analizzando attentamente la let-teratura si vede, tuttavia, che queste conclusionisono essenzialmente basate su un solo studio chemostrava una mortalità per infarto del miocardiosimile nei pazienti diabetici e nei soggetti non dia-betici con un precedente infarto. Questo studio èstato condotto su un numero relativamente esiguodi pazienti (i pazienti con infarto e senza diabeteerano solo 63), ed i risultati non sono stati con-

Valutazione del rischio cardiovascolare nel diabete 5

Tabella 2 Studi che hanno esplorato il rischio cardiovascolare (RR) in relazione alla presenzadi diabete o IMA

Studio Referenza RR (95%LC) IMA vs Diabete

Physician’s Health Study (n = 91.285) Arch Int Med 2001 p<0,001

Nurses Health Study (n = 121.046) Arch Int Med 2001 p<0,001 (p ns se duratadiabete >15 anni)

Tayside, Scozia BMJ 2002 2.9 (2,5 - 3,4) CVD(3.777 Diab - 7.414 IMA) 3.1 (2,6 - 3,7) IMA

MRFIT (n = 361.622) Arch Int Med 2004 1.6(1,5 - 1,7) CHD

RR= rischio relativo; IMA= infarto acuto del miocardio; CVD= cardiovascular diseases; CHD= coronary heart diseases

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fermati da altri autori che hanno studiato coortimolto numerose come “US Male Physicians”,“Nurses Health Study”, “Multiple Risk FactorIntervention Trial” (Tabella 2). Tutti questi studisuggeriscono che un precedente infarto conferi-sce un rischio da 1,5 a 2,5 volte più alto di quel-lo conferito dalla semplice presenza del diabete,e questo è particolarmente vero nei primi 5 annidopo l’infarto e si osserva a tutti i livelli di fatto-ri di rischio cardiovascolare.

Alla luce di questi dati appare, quindi, possi-bile e necessaria una stratificazione del rischio car-diovascolare nei pazienti diabetici, che permettadi modulare l’intervento a seconda del livello dirischio. L’assunto che tutti i pazienti diabetici sonoda considerare come in prevenzione secondaria èprobabilmente efficace sotto il profilo della pre-venzione degli eventi cardiovascolari ma esponeun gran numero di pazienti ad un eccesso di trat-tamento, soprattutto farmacologico, con conseguen-te aumento dei possibili effetti collaterali ancheseri. La cautela è particolarmente necessaria in Italiadove il rischio cardiovascolare della popolazione

generale è relativamente basso, a differenza del NordEuropa.

Valutazione del rischio cardiovascolarePer quanto riguarda la stratificazione del

rischio cardiovascolare è importante ricordare cheal momento non esistono algoritmi per il calcolodel rischio disegnati per i pazienti diabetici e checioè includano nella valutazione anche fattori spe-cificamente associati al diabete come compensoglicemico, presenza di microalbuminuria, duratadella malattia.

Algoritmi specifici sono in preparazione utiliz-zando come fonte di dati ampie casistiche di pazien-ti diabetici, come ad esempio quella raccolta dallostudio DECODE. In attesa di questi strumenti èutile seguire le indicazioni delle Linee guida ita-liane SID per la prevenzione delle malattie car-diovascolari nei pazienti diabetici di tipo 1 e ditipo 2, elaborate in collaborazione con altre socie-tà scientifiche (AMD, SIC,AMCO, SMG) e descrit-ta in dettaglio in tabella 3. Secondo queste indi-cazioni sono da considerare a rischio cardiovasco-

6 G. Riccardi, O. Vaccaro, G. Annuzzi

Tabella 3 Valutazione del rischio cardiovascolare nei pazienti diabetici (Linee guida SID 2002)

Prevenzione primariaRischio cardiovascolare elevato (probabilità di sviluppo di evento cardiovascolare in 10 anni >20%) in pre-senza di• età >55 a. + 1 fattore di rischio*• età tra 45 e 54 a. + 2 fattori di rischio• età tra 35 e 44 a. + 3 fattori di rischio

Rischio cardiovascolare moderato: I pazienti diabetici in prevenzione primaria che non ricadono nellesituazioni sopra elencate*Fattori di rischio da considerare:

1) Colesterolo LDL1 >115 mg/dl o colesterolo totale >190 mg/dl2) Trigliceridi plasmatici >150 mg/dl o colesterolo HDL <40 mg/dl3) Pressione arteriosa >130/85 mmHg4) Fumo di tabacco5) Micro- e macroalbuminuria6) Iperglicemia (HbA1c >7,5% ) o instabilità della glicemia7) Anamnesi familiare positiva per malattie cardiovascolari (coronaropatia o morte improvvisa in familiari di 1° gradoprima dei 55 a.)

1Determinato mediante la formula di Friedewald (colesterolo LDL = colesterolo totale - colesterolo HDL - trigliceridiplasmatici/5). La formula è applicabile per valori di trigliceridi <400 mg/dl.

Prevenzione secondariaRischio cardiovascolare elevato in presenza di malattia cardiovascolare su base ischemica anche asinto-matica ma documentata strumentalmente (ischemia miocardica, stenosi arteriosa extracoronarica emodi-namicamente significativa).

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lare elevato (probabilità di sviluppo di evento car-diovascolare in 10 anni superiore al 20%):- tutti i pazienti con evidenza, anche solo stru-

mentale, di malattia cardiovascolare;- i pazienti con più di tre fattori di rischio indi-

pendentemente dall’età e dal sesso;- i pazienti con età >44 anni e due fattori di rischio;- i pazienti con età >54 anni ed un solo fattore

di rischio.

I fattori di rischio presi in considerazione inclu-dono, oltre a quelli identificati nella popolazionegenerale, cioè età, familiarità, livelli di colestero-lo LDL, ipertensione arteriosa e fumo di sigaretta,anche quelli più specificamente associati al diabe-te come elevati livelli di trigliceridi, bassi livelli dicolesterolo HDL, compenso glicemico, presenza dimicro/macro albuminuria e durata del diabete.

Screening della malattia cardiovascolare nel pazien-te diabetico

L’identificazione precoce di segni/sintomiriferibili a patologie cardiovascolari è di estremaimportanza perché contribuisce ad una miglioredefinizione del livello di rischio e permette l’ot-timizzazione delle strategie di intervento.

Un protocollo di screening semplice, e fattibi-le nella maggioranza delle realtà assistenziali sulterritorio nazionale è quello definito dalle Lineeguida SID. Secondo queste indicazioni tutti i pazien-ti diabetici senza malattie cardiovascolari accer-tate, indipendentemente dal livello di rischio edanche in totale assenza di sintomi, dovrebbero ese-guire almeno 1 volta l’anno:- Esame dei polsi periferici e soffi.- ECG a riposo (se età >30 anni o durata del dia-

bete >10 anni o in presenza di macroalbuminu-ria).

- Misurazione delle pressioni distali (Indice diWinsor: rapporto pressione arteriosa caviglia/braccio).

Inoltre nei pazienti con alto rischio cardiova-scolare è opportuno eseguire anche:- ECG da sforzo o scintigrafia da sforzo o con

stress farmacologico o ecocardiografia con stressfarmacologico.

- Ecocolordoppler carotideo.- Ecocolordoppler arti inferiori (se Indice di Winsor

<0,80 o arterie incompressibili).

In caso di negatività queste indagini vanno ripe-tute dopo un tempo variabile da 1 a 3 anni a giu-dizio del medico.

Le indicazioni sugli approfondimenti diagno-stici da eseguire nei pazienti ad alto rischio sonobasate su un consenso di esperti e possono esse-re seguite in attesa di raccogliere dati sufficientisul loro potere prognostico.

Localizzazione coronaricaL’algoritmo consigliato per la definizione dia-

gnostica dei pazienti con sintomatologia o con posi-tività dell’ECG è riportato nelle Figure 1-3 ed èespressione di un consenso di esperti, rappresen-tanti di varie società scientifiche diabetologichee cardiologiche. Anche in questo caso le eviden-ze sul potere prognostico delle varie procedure èlimitato. Tuttavia al momento esso rappresenta unabuona guida nella pratica clinica in quanto permet-te di standardizzare l’iter diagnostico ed ottimiz-zare il costo/beneficio delle diverse procedure evi-tando valutazioni incomplete o ridondanti.

Localizzazioni extracoronaricheLe localizzazioni aterosclerotiche in sede

extracoronarica sono meno studiate di quelle coro-nariche e, pertanto, i protocolli diagnostici sonoanche meno ben definiti. I quadri clinici di arte-riopatia cerebrale nei pazienti diabetici sono perlo più simili a quelli che si osservano nei non dia-betici. Nell’esame clinico è essenziale l’auscul-tazione dei soffi vascolari nel collo. La presenzadi un soffio carotideo è un segno piuttosto sensi-bile ma relativamente poco specifico, per cui richie-de sempre una conferma strumentale, inizialmen-te non invasiva. Va tuttavia considerato che le ste-nosi carotidee serrate qualche volta non si asso-ciano a soffi e possono essere svelate solo con l’esa-me Doppler. Pertanto, in presenza di soffi, ma anchein presenza di arteriopatia in un altro distretto onei pazienti con elevato rischio cardiovascolare èindicato un esame eco-Doppler carotideo.

La presenza di placche aterosclerotiche si è dimo-

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8 G. Riccardi, O. Vaccaro, G. Annuzzi

ECG basale positivo per alterazioni ST-T

Ecocardiogramma

Patologie non ischemiche o IVS

Iter diagnostico specifico

ECG basale annuale

Negativo

Negativa

ECG basale annuale+

EECG da sforzodopo 3-5 anni

Normale o ridotta cinesi segmentale

ECG da sforzo

Scintigrafia perfusionale

Terapia medicaspecifica

Positivo o non valutabile

Positivaa basso rischio

Positivaad alto rischio

Altamente positivo

Coronarografia

Figura 2 Algoritmo per la diagnosi della cardiopatia ischemica nel paziente diabetico asintomaticocon alterazioni dell’ST-T all’ECG basale

ECG basale negativo

ECG basale annuale

ECG da sforzo

Positivo o non valutabile

Positiva a basso rischioPositiva adalto rischio

Scintigrafia perfusionale

Terapia medicaspecifica Coronarografia

Negativo Altamente positivo

Negativa

ECG basale annuale+

ECG da sforzodopo 3-5 anni

• Macroanggiopatia in altro distrettooppure

• Diabete tipo 1: età >35 a. + durata diabete >20 a. + 1 F.R. CV• Diabete tipo 2: età >50 a. + 2 F.R. CV

Figura 1 Algoritmo per la diagnosi della cardiopatia ischemica nel paziente diabetico asintomaticocon ECG basale normale

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strata un potente predittore di successivi eventiclinici. L’aumento dello spessore medio-intima-le (IMT) è una misura di aterosclerosi precoce esi è dimostrato un predittore di ictus cerebrale,anche se al momento non ci sono sufficienti evi-denze che giustifichino la misurazione dell’IMTnella pratica clinica. L’arteriopatia degli arti infe-riori è particolarmente frequente nei pazienti dia-betici ed è spesso asintomatica, particolarmentein presenza di neuropatia sensoriale. Pertanto, almomento dell’esordio clinico la malattia è spes-so in una fase avanzata e questo limita sensibil-mente le possibilità di intervento. Il dolore è unsegno molto specifico, ma poco sensibile in quan-to è presente in meno di un quarto dei pazienticon arteriopatia documentata angiograficamente,o mediante diagnostica strumentale non invasi-va. In generale, per meccanismi di compenso emo-dinamico, il flusso ematico comincia a ridursi quan-do la stenosi supera il 50%. Oltre all’esame obiet-tivo (esame dei polsi arteriosi - femorali, popli-teo, tibiale posteriore e pedidio - ed auscultazio-ne di soffi sulle arterie femorali), considerata la

scarsa sensibilità dei sintomi e dei segni clinici,un ruolo essenziale spetta all’esame vascolare stru-mentale non invasivo.

Questo può essere fatto nella pratica clinica in quasitutte le realtà assistenziali misurando la pressionebrachiale con un normale sfigmomanometro e misu-rando la pressione alla caviglia con un sempliceDoppler portatile. Quindi si calcola l’Indice pres-sorio caviglia/braccio (indice di Winsor).Normalmente la pressione arteriosa alla caviglia èpiù alta di quella brachiale, pertanto l’indice diWinsorè generalmente superiore ad 1.Valori inferiori a 0,90richiedono una conferma a breve distanza ditempo ed eventualmente un approfondimento dia-gnostico. Questa metodica, per quanto semplice, hauna elevata sensibilità e specificità per la diagnosidi arteriopatia fatta con angiografia. Occorre tutta-via tenere presente che questo esame non è adegua-to per il rilievo di lesioni arteriose iniziali, non emo-dinamicamente significative, non fornisce indicazio-ni circa la sede della stenosi aorto-iliaca, femoro-poplitea o tibiale. È possibile riscontrare valori pres-sori alle caviglie molto elevati o incompressibilità

Valutazione del rischio cardiovascolare nel diabete 9

ECG basale positivo per onda Q

Ecocardiogramma

NormaleNon valutabile o ridotta cinesi segmentale

ECG basale annuale

Negativo

Negativa

ECG da sforzo

Scintigrafia perfusionale

Positivo o non valutabile

Positivaa basso rischio

Positivaad alto rischio

Altamente positivo

CoronarografiaTerapia medica

specifica

Prevenzione secondaria+

ECG basale annuale+

ECG da sforzodopo 3-5 anni

Figura 3 Algoritmo per la diagnosi della cardiopatia ischemica nel paziente diabetico asintomaticocon ECG basale positivo per onda Q

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totale della parete arteriosa: questo è indicativo dicalcificazione della media, o sclerosi diMonckeberg, e in tal caso l’esame non è interpre-tabile. Anche con i limiti di cui si è detto, questoesame rappresenta uno strumento prezioso per lo scree-ning della vasculopatia periferica e va incluso nellavalutazione routinaria del pazienti diabetici.

In presenza di alterazioni dell’indice pressorioo di incompressibilità delle arterie, o in pazienticon rischio cardiovascolare globale molto eleva-to è indicata l’esecuzione di un eco-Doppler degliarti inferiori.

�I fattori di rischio cardiovascolarenei pazienti diabetici: valutazionee correzione

Il quadro anatomopatologico delle lesioniaterosclerotiche nei pazienti diabetici non diffe-risce sostanzialmente da quello osservato nella popo-lazione generale. Tuttavia, il coinvolgimento deivasi si manifesta più spesso con stenosi multipleche preferibilmente coinvolgono i vasi di picco-le dimensioni, e le placche aterosclerotiche sonopiù frequentemente instabili e presentano ulcera-zioni e trombi. I fattori che potenzialmente pos-sono contribuire alla maggiore aterosclerosi neldiabete sono numerosi ed il loro ruolo non è statoancora completamente chiarito.

I risultati del Multiple Risk Factors InterventionTrial (MRFIT), che ha arruolato circa 350.000 sog-getti, di cui 5.000 affetti da diabete, hanno chiara-mente dimostrato che la mortalità per malattie car-diovascolari nei diabetici, come nei non diabetici,aumenta progressivamente con l’aumentare dei livel-li di colesterolo, pressione arteriosa e fumo di siga-retta. Tuttavia ad ogni livello di fattori i fattori dirischio - nessuno, uno, due o tre - si osserva un ecces-so di mortalità nei pazienti diabetici. Questo sug-gerisce che altri meccanismi, specificamente asso-ciati alla malattia diabetica, contribuiscono all’ini-zio ed alla progressione delle lesioni vascolari. Questiultimi, ad esempio, sono particolarmente importan-ti nei diabetici tipo 1 che generalmente, in assenzadi microalbuminuria, sono normolipidemici e nor-motesi.

�Dislipidemia

L’evidenza che i livelli colesterolo plasmatico,particolarmente quello delle LDL, costituisce unotra i maggiori determinanti della patologiavascolare nei diabetici è supportata da numerosis-simi studi osservazionali ed anche dai risultati distudi di intervento - sia analisi di sottogruppo ditrials che hanno carruolato principalmente sogget-ti non diabetici (4S, CARE, LIPID, HPS,ALLHAT,ASCOT-LLA) sia, più recentemente, studieseguiti specificamente su pazienti diabetici(CARDS). In tutti questi studi la riduzione dei livel-li di colesterolo plasmatico si è dimostrata effi-cace nel ridurre l’incidenza di eventi cardiovasco-lari non solo in prevenzione secondaria ma anchein prevenzione primaria (Tabella 4).

Il ruolo della trigliceridemia come fattore di rischiocardiovascolare è dibattuto nella popolazione gene-rale, infatti i trigliceridi costituiscono generalmen-te un fattore predittivo di cardiopatia ischemicaall’analisi univariata, ma molto spesso la signifi-catività di questo effetto predittivo si perdeall’analisi multivariata, quando sono presi in con-siderazione altri fattori come obesità e colestero-lo HDL. La situazione sembra essere più defini-ta nei pazienti diabetici; infatti ci sono numerosistudi di osservazione (riassunti in tabella 5) chedimostrano un ruolo indipendente dei trigliceridinella predizione degli eventi cardiovascolari.

L’ipertrigliceridemia, insieme ai bassi livelli dicolesterolo HDL, è l’alterazione lipidica più tipi-camente associata al diabete, particolarmente il dia-bete tipo 2.

Molti studi (Framingham Heart Study, SanAntonio Heart Study) ed anche dati italianidimostrano chiaramente che la prevalenza di iper-colesterolemia è simile nei soggetti diabetici e nondiabetici, mentre l’ipertrigliceridemia è circa il dop-pio. Elevati livelli di trigliceridi e bassi livelli dicolesterolo HDL si associano ad insulinoresisten-za e spesso precedono di molti anni lo sviluppodi diabete; inoltre questa alterazione non viene gene-ralmente corretta dalla assunzione di statine. Studidi intervento condotti con fibrati hanno dimostra-to l’efficacia della riduzione della trigliceridemianella prevenzione degli eventi cardiovascolari.

10 G. Riccardi, O. Vaccaro, G. Annuzzi

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Alterazioni della composizione e della distribu-zione delle lipoproteine

Insieme alle alterazioni della concentrazione sonostate dimostrate nei pazienti diabetici anche alte-razioni più fini delle lipoproteine, riguardanti laloro composizione e la distribuzione delle loro sub-frazioni. Recentemente si sta dando sempremaggiore importanza a queste alterazioni come fat-tori di rischio cardiovascolare, in particolare agliaumentati livelli diVLDL e LDL più piccole e dense.Nel Monitored Atherosclerosis RegressionStudy (MARS) - che ha studiato 220 soggettimediante coronarografia prima e 2 anni dopo tera-pia con lovastatina o placebo - si è osservato chele VLDL più piccole (β-VLDL) erano la classe dilipoproteine più fortemente predittiva per la pro-gressione delle stenosi coronariche sia neipazienti trattati con placebo che nel gruppo cheassumeva lovastatina.

Il potere predittivo delle dimensioni delleLDL sul rischio di infarto del miocardio è stato

Valutazione del rischio cardiovascolare nel diabete 11

Tabella 4 Studi di intervento con statine in pazienti diabetici (prevenzione primaria)

Studio n Farmaco Rischio relativo di eventi CHD

ALLHAT-LLA (2002) 3638 Prava 0,89 (ns)

ASCOT-LLA (2005) 2532 Lova 0,77 (s)

PROSPER (2002) 396 Prava 1,23 (ns)

HPS (2003) 3982 Simva 0,74 (s)

CARDS (2004) 2838 Atorva 0,63 (s)s = presenza di sinificatività statistica; ns = assenza di significatività statistica; CHD = coronary heart diseases

Tabella 5 Studi prospettici nei quali l’ipertri-gliceridemia è risultata un fattore predittivo dieventi coronarici nei pazienti diabetici

Autori Pazienti Durata(n) (anni)

Fontbonne et al. (1989) 943 11

Laakso et al. (1993) 313 7

Hanefeld et al. (1996) 894 11

Lehto et al. (1997) 1.059 7

Assmann et al. (1998) 387 8

dimostrato in vari studi; questo effetto probabil-mente non è indipendente, ma potrebbe essere media-to da altre alterazioni lipidiche coesistenti e ad essofortemente associate. Un aumento delle LDL pic-cole e dense è infatti associato anche a livelli aumen-tati di colesterolo LDL e livelli ridotti di coleste-rolo HDL, ed è un marcatore di un comune trat-to genetico caratterizzato da un elevato rischio coro-narico (pattern B della distribuzione delle LDL).Possibili meccanismi aterogeni includono unaaumentata captazione da parte della parete arte-riosa e dei macrofagi e la loro maggiore suscet-tibilità all’ossidazione. L’anomala distribuzione delleLDL è più frequente nel diabete tipo 2.

Possibile ruolo delle LDL ossidate nello svilup-po dell’aterosclerosi

La presenza di una elevata concentrazione pla-smatica di LDL comporta direttamente un’aumen-tata presenza delle stesse nell’interstizio della pare-te vasale con un prolungamento della loro presen-za in questa sede. Qui esse hanno numerose pos-sibilità di ossidarsi, sia per deplezione degli antios-sidanti normalmente legati ad esse, che per azio-ni mediate dalle cellule endoteliali, muscolari liscee monocitarie. Questi eventi, incrementati anchedalla capacità delle LDL ossidate di indurre la sin-tesi ed espressione sull’endotelio di MCP-1, por-tano ad un danno monocito-mediato dell’endote-lio vascolare con conseguente aumentato ingres-so di lipoproteine e altre macromolecole plasma-tiche nella parete vasale. All’interno della paretevasale le LDL in vari gradi di ossidazione posso-no andare incontro a fagocitosi da parte dei macro-fagi per legame ai recettori scavenger. Tale pro-

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cesso è responsabile della formazione di celluleschiumose e dell’ulteriore danno delle strutture cir-costanti, attraverso la stimolazione ed inibizionedi fattori di crescita e citochine ad azione direttaverso endotelio e cellule muscolari lisce.

Gli studi sugli effetti dei farmaci antiossidan-ti sul rischio di malattia cardiovascolare non hannofornito risultati incoraggianti.

Lipemia postprandiale e aterosclerosiSempre maggiori evidenze indicano l’importan-

za della lipemia postprandiale nello sviluppo del-l’aterosclerosi. I pazienti coronaropatici presen-tano un aumento dei remnants dei chilomicronirispetto a controlli non coronaropatici. Anche i figlisani di soggetti coronaropatici normolipidemici adigiuno hanno un aumento dei trigliceridipostprandiali rispetto ai figli di soggetti non coro-naropatici. L’aterogenicità dei remnants dei chi-lomicroni, già osservata sperimentalmente inmodelli animali, è spiegabile considerando che,come i remnants delle VLDL, essi sono arricchi-ti di esteri del colesterolo e possono facilmente accu-mularsi nella parete arteriosa. La relazione tra lipe-mia postprandiale e coronaropatia può anche esse-re spiegata dalle variazioni dell’attività di alcunifattori della cascata coagulativa, quali il fattore VIIe il XII, associate alla risposta lipemica al pasto.

Alterazioni postprandiali delle lipoproteinericche in trigliceridi sono una componenteimportante della dislipidemia del diabete tipo 2.Queste alterazioni, che riguardano sia le lipopro-teine che trasportano i lipidi esogeni che quelle chetrasportano i lipidi endogeni, si osservano anchein pazienti diabetici in buon compenso glicemicoe con normale trigliceridemia a digiuno. In uno stu-dio condotto su un campione di diabetici dellaCampania i valori di trigliceridi si mantenevano supe-riori a 200 mg/dl per oltre otto ore dopo il pastoin circa un terzo dei pazienti con valori di trigli-ceridi a digiuno ottimali (<150 mg/dl). I triglice-ridi post-prandiali non vengono comunemente misu-rati nella pratica clinica, ma questo dato suffragaulteriormente l’idea che alterazioni del metaboli-smo lipidico specificamente associate al diabete hannoun ruolo chiave nell’accelerare il processo atero-sclerotico nei pazienti con diabete.

La dislipidemia nel diabete tipo 1Come si è già detto elevati valori di trigliceri-

di, bassi valori di colesterolo delle HDL ed iper-trigliceridemia postprandiale caratterizzano ildiabete tipo 2. Queste alterazioni quantitative sonogeneralmente associate anche ad alterazionidella composizione e della distribuzione delle lipo-proteine. I pazienti diabetici tipo 1, se in sovrap-peso, possono presentare alterazioni lipidemichesimili a quelle descritte nel diabete tipo 2, ma piùgeneralmente nel diabete tipo 1 il profilo lipide-mico è strettamente correlato al quadro clinico.

In condizioni di grave scompenso glicemico, comefacilmente si verifica all’insorgenza della malattia,si osserva un aumento massivo delleVLDL, sia perquanto riguarda i trigliceridi che il colesterolo, eduna riduzione delle HDL. In condizioni, invece, dicontrollo glicemico anche solo soddisfacente il pro-filo lipidemico si normalizza e, in genere, la preva-lenza di ipercolesterolemia e di ipertrigliceridemiaè simile a quella riscontrata in individui non diabe-tici. Nell’ambito dello studio EURODIAB supazienti diabetici tipo 1 è stata valutata la prevalen-za di dislipidemia in pazienti con diabete di tipo 1in nove centri italiani. La prevalenza di ipercoleste-rolemia (valori >240 mg/dl) era del 12,9% negli uomi-ni e del 16,4% nelle donne mentre la prevalenza diipertrigliceridemia (valori >250 mg/dl) era piutto-sto bassa (4,3%) sia negli uomini che nelle donne,così come era bassa (6,7% negli uomini e 5,1% nelledonne) la percentuale di pazienti con ridotti livellidi colesterolo HDL (valori <35 mg/dl nei maschi e<40 mg/dl nelle femmine). Anche se generalmen-te normolipidemici, tuttavia i pazienti con diabetetipo 1 presentano varie anormalità di composizio-ne e/o distribuzione delle lipoproteine. In partico-lare si osserva un aumento delle VLDL più picco-le, particolarmente marcato se il controllo glicemi-co non è ottimale. Queste anomalie di composizio-ne sono state messe in relazione alla iperinsuliniz-zazione periferica che si verifica con la sommini-strazione sottocutanea di insulina e viene correttadalla somministrazione intraperitoneale di insulina,probabilmente attraverso una normalizzazionedelle attività lipolitiche plasmatiche. Come già discus-so, queste modifiche del profilo lipidico sono asso-ciate ad un aumento del rischio cardiovascolare.

12 G. Riccardi, O. Vaccaro, G. Annuzzi

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Obiettivi lipidemiciTutte le linee guida per la correzione della iper-

lipidemia raccomandano strategie di intervento piùintensive nei pazienti diabetici. Secondo le linee guidadella SID gli obiettivi consigliati nella prevenzio-ne primaria sono: colesterolo LDL <115 mg/dl o cole-sterolo totale <190 mg/dl, trigliceridi <150 mg/dle colesteroloHDL>40mg/dl. Nella prevenzione secon-daria l’obiettivo è di raggiungere un colesterolo LDL<100 mg/dl. I dati dei trials più recenti hanno indot-to molte autorevoli società ad identificare come desi-derabili valori di colesterolo LDL inferiori a 100 mg/dlanche in prevenzione primaria.

Il dibattito su questo tema è in corso e più recen-temente un obiettivo ancora più basso (<70 mg/ dl)è stato proposto dall’NCEP nei pazienti ad alto rischio.Un contributo importante alla chiarificazione di que-sto punto potrà venire dai risultati finali dei nume-rosi studi in corso per valutare gli effetti di una ulte-riore riduzione degli obiettivi lipidemici.

�Altri consolidati fattori di rischiocardiovascolare

Ipertensione arteriosaL’ipertensione arteriosa è il fattore di rischio

vascolare più frequentemente osservato neipazienti diabetici. Dipendendo dal grado di obe-sità e dall’età la prevalenza di ipertensione nei pazien-ti con diabete tipo 2 può variare dal 50 ad oltre il75 per cento. I pazienti con diabete tipo 1, in assen-za di microalbuminuria, presentano ipertensionearteriosa con la stessa frequenza della popolazio-ne generale della stessa età.

La mortalità cardiovascolare aumenta progres-sivamente con i valori di pressione arteriosa.Nell’UKPDS in 10 anni di osservazione l’inciden-za di infarto miocardico aumenta man mano cheaumenta la pressione sistolica media e l’aumen-to di rischio è già evidente per livelli pressori di110-120 mmHg.

Questi dati sono complementari a quelli dellostudio Hypertension Optimal Treatment (HOT), untrial controllato randomizzato che indica come valo-ri ideali di pressione arteriosa diastolica quelli infe-riori a 80 mmHg. Inoltre lo studio UKPDS ha dimo-

strato come nei pazienti diabetici la riduzione dellapressione arteriosa si associa ad una riduzione siadelle complicanze microvascolari che di quellemacrovascolari, in particolare dell’incidenza di infar-to del miocardio, stroke e insufficienza cardiacacon conseguente riduzione significativa della mor-talità cardiovascolare e per tutte le cause.

L’insieme di queste evidenze suffraga lanecessità di uno stretto controllo della pressionearteriosa nei pazienti diabetici. Gli obiettivi e lestrategie per tale tipo di intervento sono gli stes-si sia in prevenzione primaria che secondaria.

L’obiettivo è di raggiungere una pressione infe-riore a 130/80 mmHg. In tutti i pazienti è consi-gliato come primo livello di terapia la modificadello stile di vita.

Se non si raggiungono gli obiettivi in 3 mesi sipuò iniziare la terapia farmacologica. Neipazienti con valori pressori superiori a 160/100mmHg si può considerare, a giudizio del medico,di iniziare contemporaneamente la terapia non far-macologica e quella farmacologica.

Per quanto riguarda la terapia farmacologica,è necessario ricordare che generalmente è più impor-tante il raggiungimento degli obiettivi pressori chenon il tipo di farmaco utilizzato.

Una recente metanalisi di studi di intervento sullariduzione della pressione arteriosa ha dimostratouna relazione lineare tra le modifiche della pres-sione arteriosa indotte dall’intervento e la riduzio-ne degli eventi cardiovascolari fatali e non fatali.Un effetto positivo sulla mortalità è stato dimostra-to con almeno 5 classi di farmaci: diuretici, β-bloc-canti, calcio-antagonisti, ACE, sartanici. Inoltre pernessun farmaco antiipertensivo esiste controindi-cazione assoluta nel paziente diabetico.

Il farmaco di primo impiego dovrebbe essereuno per il quale è dimostrato un effetto positivosulla mortalità; in ogni caso generalmente per rag-giungere l’obiettivo pressorio è necessaria una com-binazione di due o più farmaci.

Gli studi che hanno confrontato differenti regi-mi terapeutici hanno fornito risultati variabili, mageneralmente il farmaco più efficace nella preven-zione degli eventi è anche più efficace nel control-lo pressorio; inoltre spesso questi studi sono cri-ticabili perché i confronti disegnati sono lontani

Valutazione del rischio cardiovascolare nel diabete 13

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dalla pratica clinica (es. confronto tra diuretici versoACE inibitori).

In ogni caso questi studi nei pazienti diabeticisono pochi. Nell’UKPDS ACE inibitori e β-bloc-canti si sono dimostrati egualmente efficaci nel ridur-re la pressione arteriosa media nei pazienti iper-tesi con diabete tipo 2 e nel ridurre il rischio degliendpoints globali connessi al diabete e della mor-talità connessa al diabete, tuttavia il potere stati-stico per il confronto tra i diversi trattamenti antii-pertensivi era piuttosto basso. In ogni caso vannoriconosciute alcune indicazioni specifiche per lediverse classi di farmaci.

FumoL’abolizione del fumo è una componente fon-

damentale della prevenzione cardiovascolare. Èessenziale la motivazione del paziente e della fami-glia. Le ragioni per smettere devono essere moti-vate chiaramente e devono essere fornite lettera-tura sull’argomento e raccomandazioni. Il com-portamento riguardo al fumo deve essere registra-to e riesaminato nei successivi controlli, e, spe-cialmente a quelli che esprimono la volontà di smet-tere, deve essere fornito un costante supporto.

Sempre in associazione alla motivazione può esse-re utile la nicotina per via transdermica o in gommeda masticare. Va considerato l’eventuale uso di altrifarmaci. Quelli che smettono dovrebbero evitaresituazioni in cui si trovino con altri fumatori.

Alterazioni del sistema emocoagulativoNei pazienti diabetici sono state riportate

numerose anormalità della coagulazione e del siste-ma fibrinolitico. Si riscontrano, infatti, livelli aumen-tati di inibitore dell’attivatore del plasminogeno(PAI) nel siero e nei campioni di aterectomia pre-levati nei pazienti diabetici. Il PAI sopprime la fibri-nolisi ed è associato ad un aumentato rischio diinfarto miocardico. Sono aumentati anche i livel-li di sostanze protrombotiche, come il fattore tis-sutale, il fibrinogeno e il fattore VII e si osservaaumento dell’aggregabilità piastrinica. Queste alte-razioni sono associate alla progressione del pro-cesso aterosclerotico e delle sue manifestazioni cli-niche e vengono attenuate dal miglioramento delcompenso glicemico.

Numerosi farmaci si sono dimostrati efficaci nel-l’inibire l’aggregazione piastrinica, quelli testatiper l’uso clinico verso placebo sono però un nume-ro molto più limitato ed includono aspirina, ticlo-pidina e clopidogrel, picotamide, antagonistidella glicoproteina IIb/IIIa (Acibiximab, tirofibaned eptifibatide) per somministrazione EV.

L’uso della terapia antiaggregante nei pazientidiabetici non è stato studiato in maniera sistema-tica. L’analisi post-hoc del sottogruppo di pazien-ti diabetici arruolati nel Physician’s Health Studyha dimostrato una riduzione dell’incidenza di infar-to miocardico in 5 anni del 60% nei pazienti dia-betici trattati con aspirina (325 mg/die) verso pla-cebo. Nello stesso studio la riduzione osservata neisoggetti non diabetici era del 40%. Lo studioHypertension Optimal Treatment (HOT) ha rileva-to una riduzione del 15% degli eventi cardiovasco-lari nei pazienti in trattamento antiaggregante, senzaeffetti negativi sulla retinopatia diabetica, confer-mando la mancanza di emorragie rilevanti per lapatologia oculare osservata nell’Early TreatmentDiabetic Retinopathy Study (ETDRS).

Sulla base dei dati disponibili, il bilanciocosto/beneficio del trattamento antiaggregantenei pazienti diabetici è sicuramente vantaggioso peri soggetti a rischio elevato (pregresso evento car-diovascolare, evidenza strumentale di patologia car-diovascolare, coesistenza di fattori di rischiomultipli). Le linee guida SID raccomandanol’uso degli antiaggreganti in tutte queste catego-rie di pazienti ed inoltre nella prevenzione prima-ria per tutti i pazienti con età >50 anni indipenden-temente dal livello di rischio, oppure in presenzadi fattori di rischio multipli indipendentemente dal-l’età. Questa posizione è molto vicina a quelladell’ADA.

L’utilità del trattamento antiaggregante in pre-venzione primaria nei pazienti a basso rischio(pazienti giovani, sotto i 40 anni, e senza nessunfattore di rischio, come spesso sono i pazienti tipo1) è dibattuto. In questi pazienti il numero di even-ti cardiovascolari che si riuscirebbe a prevenire conil trattamento antiaggregante potrebbe essereuguale o inferiore al numero di eventi emorragi-ci gravi secondari al trattamento. Questa area, comedel resto quella dell’uso degli antiaggreganti nei

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pazienti molto anziani (>80 anni), rimane al momen-to mal definita.

Per quanto riguarda gli agenti antiaggreganti lamaggiore esperienza si ha con l’aspirina; la mag-gior parte degli studi disponibili ha mostrato effet-ti benefici a dosaggi di 75-100 mg. È opportunoutilizzare preparati tamponati, ma in ogni caso l’usodell’aspirina è controindicato in caso di sangui-namento intestinale recente, epatopatia attiva, ten-denza al sanguinamento, allergia.

Vi sono indicazioni che i pazienti diabetici potreb-bero essere meno responsivi al trattamento con aspi-rina, e il trattamento con altri agenti (ticlopidina,clopidogrel) potrebbe essere più vantaggiosodell’uso dell’aspirina. Questi farmaci rappresen-tano una valida alternativa all’uso dell’aspirina quan-do questa sia controindicata, ma l’evidenza di unaloro maggiore efficacia non è al momento suffra-gata da forti evidenze scientifiche.

Recentemente lo studio DAVID ha dimostratoun modesto vantaggio nell’uso della picotamideverso l’aspirina nei pazienti diabetici con vascu-lopatia periferica degli arti inferiori. In questo stu-dio si riduceva significativamente la mortalità tota-le nei pazienti trattati con picotamide, ma la dif-ferenza trai due trattamenti non era più evidentequando si prendevano in considerazione tutti glieventi (fatali e non fatali).

�Fattori di rischio diabete-specifici

C’è una chiara evidenza che l’alto rischio car-diovascolare non è completamente spiegato dai “clas-sici” fattori di rischio e potrebbe esser legato, alme-no in parte, agli effetti diretti dell’iperglicemia.Dati epidemiologici supportano la relazione tra iper-glicemia ed aterosclerosi, anche se questa asso-ciazione non è così forte come per le complican-ze microvascolari. Studi di intervento mostrano chel’ottimizzazione del controllo della glicemiariduce l’incidenza degli eventi cardiovascolari neipazienti con diabete tipo 2, soprattutto se tale inter-vento rientra in un intervento terapeutico multi-fattoriale volto a ottimizzare anche i livelli dei lipi-di ed il controllo pressorio. I meccanismi che spie-gano l’accelerata aterogenesi in presenza di iper-

glicemia non sono stati completamente elucida-ti; comunque ci sono molti studi sperimentali chedimostrano lo sviluppo di danno endotelialeassociato alla persistente iperglicemia e allaaccelerata produzione di prodotti terminali dellaglicosilazione e di radicali liberi. È stato anche postu-lato che la presenza di insulinoresistenza e/o di ipe-rinsulinemia, che sono spesso associate al diabe-te tipo 2, potrebbe contribuire alla accelerata ate-rogenesi osservata negli individui con diabete.

Vari meccanismi sono stati proposti per corre-lare l’alta concentrazione di glucosio nel plasmacon lo sviluppo di angiopatia a livello di piccolivasi e grandi arterie. La glicosilazione delle pro-teine nella parete arteriosa è probabilmente unodei fattori chiave, poiché questo processo è capa-ce di modificare molte delle proprietà fisico-chi-miche di queste molecole così da facilitare lo svi-luppo del processo ischemico: le arterie progres-sivamente perdono la loro elasticità e si incremen-ta lo spessore della parete che, alla fine, porta aduna significativa riduzione del flusso di sangue.

Altri meccanismi coinvolgono:• Accelerata proliferazione delle cellule della pare-

te arteriosa.• Alterazioni dell’emostasi.• Infiammazione.• Stress ossidativi.• Disfunzione endoteliale.• Molte altre anomalie associate all’iperglicemia.

In un periodo relativamente recente, tre studi(riassunti in tabella 6) mostrano che l’ottimizza-zione del controllo glicemico riduce l’incidenzadi eventi cardiovascolari sia nei soggetti con dia-bete tipo 1 che in quelli tipo 2. Nel Diabetes Controland Complication Trial (DCCT) eseguito inpazienti con diabete tipo 1, l’ottimizzazione delcontrollo della glicemia si è mostrata capace di ral-lentare il processo aterosclerotico, come valuta-to dalla misurazione ecografica dello spessore dellaparete nelle carotidi. I partecipanti a questo stu-dio, comunque, erano soprattutto giovani e, per-tanto, il numero di eventi cardiovascolari registra-to è stato troppo piccolo da consentire un confron-to tra il gruppo trattato intensivamente e quello desti-nato al trattamento convenzionale.

Valutazione del rischio cardiovascolare nel diabete 15

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Ciononostante, il gruppo in terapia intensiva (concontrollo glicemico significativamente migliore)mostrava una netta riduzione del rischio di even-ti cardiovascolari rispetto al gruppo in terapia con-venzionale, anche se la differenza non raggiunge-va la significatività statistica.

L’UKPDS, un importante studio di interventosugli effetti del trattamento intensivo di riduzio-ne della glicemia sulle complicanze croniche neisoggetti con diabete tipo 2, ha mostrato che nelgruppo del trattamento intensivo, in cui era statoottenuto un buon controllo glicemico, gli eventicardiovascolari erano ridotti rispetto al gruppo trat-tato con terapia convenzionale. Il trattamento consulfaniluree (gliburide) o insulina (una o due volteal giorno) ha indotto simili effetti benefici sul con-trollo della glicemia e sugli eventi cardiovasco-lari. Viceversa, la metformina, che è stata utiliz-zata nei soggetti in sovrappeso, sebbene avesse sulcontrollo glicemico effetti simili a quelli degli altrifarmaci ipoglicemizzanti utilizzati nello studio, èrisultata significativamente migliore in relazionealla prevenzione della patologia cardiovascolare.

In questi studi l’impatto positivo dell’ottimiz-zazione del compenso glicemico sullo sviluppo dellecomplicanze cardiovascolari è stato inferiore a quan-to non lasciassero supporre le evidenze degli studiosservazionali. Le spiegazioni possono essere mol-teplici. Da una parte c’è sicuramente la difficoltàdi ottenere e mantenere nel tempo un compensoglicemico ottimale, specialmente nei diabetici tipo2 come dimostrato dall’UKPDS in cui anche neipazienti in trattamento intensivo si è osservato un

progressivo incremento della emoglobina glicatanel tempo. D’altra parte molto spesso l’ottimizza-zione del compenso glicemico avviene al costo diun incremento ponderale, come è stato osservatosia nel DCCT che nell’UKPDS, e questo influen-za negativamente il profilo degli altri fattori di rischiocardiovascolare. Inoltre nei pazienti tipo 2 non èinfrequente che le manifestazioni cliniche della ate-rosclerosi siano già presenti alla diagnosi.

�Fattori di rischio emergenti

IperomocisteinemiaSecondo la maggior parte degli studi elevati livel-

li di omocisteinemia sono associati con lo svilup-po di aterosclerosi. Se elevati livelli di omocistei-na siano una caratteristica associata al diabete nonè ancora molto chiaro. Gli studi in proposito hannofornito risultati variabili; è possibile che l’ipero-mocisteinemia sia associata più che al diabete diper sé alla presenza di alcune complicanze del dia-bete, per esempio la nefropatia anche in fasi moltoprecoci. L’iperomocisteinemia può essere effica-cemente corretta da una dieta ricca in folati a dallasupplementazione con folati.

Al momento non ci sono dati che giustifichinolo screening abituale per omocisteinemia nella tota-lità dei pazienti diabetici.

Infiammazione subclinicaVi sono sempre più evidenze della relazione tra

infiammazione subclinica e malattie cardiovasco-

16 G. Riccardi, O. Vaccaro, G. Annuzzi

Tabella 6 Studi di intervento sulla relazione tra compenso glicemico e complicanze macrovascolari

Studio End Point Rischio relativo (IC) p(trattamento Intensivo

vs Standard)

DCCT (n=1500) Eventi cardiovascolari 0,63 (0,32-1,10) 0,063

UKPDS (n=4209) IMA 0,84 (0,71-1,00) 0,052

VA (n=153) Eventi cardiovascolari 2,6 (0,87-4,87) 0,09

Differenza tra i due gruppi

DCCT/EDIC (n=1229) Spessore medio-intimale (mm) 0,162 0,02

IMA = infarto acuto del miocardio

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lari. Marcatori di infiammazione come il tumornecrosis factor (TNF)-α, l’interleukina (IL)-6, laconta leucocitaria e la PCR correlano bene con l’in-sulino-resistenza e la sindrome metabolica.

Tra i marcatori di infiammazione il più standar-dizzato e frequentemente misurato è la proteinaC-reattiva (PCR) misurata con metodica ultrasen-sibile. Elevati livelli di PCR sono associati ad incre-mento della mortalità cardiovascolare indipenden-temente dai livelli di colesterolo LDL e dalla pre-senza di sindrome metabolica.

I livelli di PCR sono spesso elevati nei pazien-ti con diabete tipo 2 anche prima della diagnosidi diabete. È dibattuto se la PCR debba essere inclu-sa nella valutazione del profilo di rischio cardio-vascolare nei pazienti diabetici. La determinazio-ne della PCR potrebbe essere utile per una miglio-re definizione del rischio nei soggetti che cado-no in classi di rischio intermedie (rischio a 10 annitra il 10 e il 20%). Studi recenti hanno mostratoche i livelli di PCR sono ridotti dalla terapia constatine e con insulino-sensibilizzanti. Tuttavia leimplicazioni cliniche di questi risultati non sonoancora chiare.

�Strategia terapeutica

Terapia non farmacologicaLa terapia non farmacologica è il cardine della

terapia del diabete e della prevenzione delle malat-tie cardiovascolari. Essa si basa su interventi sullostile di vita che riguardano l’alimentazione e l’abi-tudine al fumo e l’attività fisica. L’efficacia diqueste misure nella prevenzione primaria esecondaria degli eventi cardiovascolari è suffra-gata da solide evidenze scientifiche. La correzio-ne dell’iperglicemia e del sovrappeso possono esse-re sufficienti a correggere la modesta iperlipide-mia che è presente nella maggioranza deipazienti diabetici.

Per i pazienti in sovrappeso la prima misura die-tetica deve essere la riduzione dell’introito calo-rico per raggiungere e mantenere il peso corpo-reo ideale. Sia nei pazienti sovrappeso che nor-mopeso molta attenzione va posta alla qualità delladieta. Gli obiettivi devono essere:

• Riduzione dei grassi saturi (<10% delle caloritotali e del colesterolo (<300 mg/die) limitan-do il consumo di alimenti di origine animale.

• Preferire i grassi insaturi, specie i monoinsa-turi.

• Aumentare il consumo di legumi, verdura, frut-ta e cereali non raffinati.

• Aumentare il consumo di pesce.• Moderare il consumo di alcool.• Moderare il consumo di sale.

Questa è in realtà una impostazione dietetica “mul-tifattoriale” costituita cioè da un insieme di diver-se misure nutrizionali, ciascuna delle quali è effi-cace nel ridurre, anche se in modo variabile, nonsolo i livelli plasmatici di colesterolo, ma anchequelli dei trigliceridi e, in generale, nel migliora-re complessivamente l’intero profilo di rischio car-diovascolare.

L’intervento multifattorialeRecentemente lo studio Steno-2 ha dimostrato

che la strategia più efficace di prevenzione dellemalattie cardiovascolari è l’intervento multifatto-riale. In questo studio 160 pazienti con microalbu-minuria sono stati assegnati in modo casuale a trat-tamento intensivo o meno intensivo per otto anni.Il trattamento intensivo consisteva in una maggio-re attenzione alle modifiche dello stile di vita (dieta,esercizio fisico e abolizione del fumo) e all’uso deifarmaci finalizzato all’ottimizzazione dei valori gli-cemici, pressori e lipidemici. I risultati di questostudio dimostrano che sia l’iperglicemia che gli altrifattori di rischio venivano controllati in maniera idea-le in una percentuale significativamente più eleva-ta nel gruppo a trattamento intensivo. Tuttavia anchein questo gruppo solo una minoranza di pazientiraggiungeva gli obiettivi terapeutici prefissati.Ciononostante, l’approccio omnicomprensivo ha com-portato una riduzione del 53% degli endpoints com-binati cardiovascolari, cioè mortalità cardiovasco-lare, IMA non fatale, interventi di rivascolarizza-zione, stroke non fatale, amputazione e interventichirurgici per arteriopatia periferica.A questieffetti benefici sugli obiettivi cardiovascolari, si sonoaggiunte significative riduzioni di nefropatia,retinopatia e neuropatia autonomia.

Valutazione del rischio cardiovascolare nel diabete 17

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Questo studio fornisce forti evidenze sulla effi-cacia di un approccio multifattoriale che tenga contodel compenso glicemico e degli altri fattori di rischiocardiovascolare. Purtroppo, nonostante queste evi-denze, una percentuale ancora troppo alta di pazien-ti diabetici non riceve sufficiente attenzione in ter-mini di identificazione e correzione dei fattori dirischio e di diagnosi precoce delle complicanze.

�Letture consigliate

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