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Universita degli Studi di Napoli”Federico II”
Facolta di Scienze MM.FF.NN.
Corso di Laurea in Fisica
Anno Accademico 2004-2005
Tesi di Laurea
Sviluppo e progettazionedell’elettronica
di acquisizione per un sistema
di tempo di volo,
per esperimenti nello spazio.
Relatori:
Prof. Giancarlo BarbarinoDott. Giuseppe Osteria
Candidato:
Luca FiorilloMatr. 07/6288
Indice
Introduzione 2
1 I raggi cosmici 3
1.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3
1.2 Composizione e spettro dei raggi cosmici . . . . . . . . . . . . 4
1.3 Metodi sperimentali per la ricerca dei raggi cosmici . . . . . . 9
1.4 Origine dei raggi cosmici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
1.4.1 Raggi cosmici galattici . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
1.4.2 Raggi cosmici solari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12
1.4.3 Raggi cosmici anomali o extragalattici . . . . . . . . . 13
1.5 L’antimateria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14
1.5.1 Antiprotoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15
1.5.2 Positroni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19
1.5.3 Antinuclei . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20
2 L’esperimento PAMELA 21
2.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
2.2 Caratteristiche ed obiettivi dell’esperimento . . . . . . . . . . 22
2.2.1 Le origini di PAMELA . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22
2.2.2 Obiettivi scientifici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24
2.2.3 La missione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25
2.3 L’apparato sperimentale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26
2.3.1 Il sistema per la misura del tempo di volo . . . . . . . 28
2.3.2 Lo spettrometro magnetico . . . . . . . . . . . . . . . . 31
2.3.3 Il sistema di anticoincidenza . . . . . . . . . . . . . . . 32
I
II Indice
2.3.4 Il calorimetro ed il contatore di neutroni . . . . . . . . 33
2.3.5 Il contatore a scintillazione S4 . . . . . . . . . . . . . . 36
2.4 Grandezze misurabili con il sistema di tempo di volo . . . . . 39
2.4.1 La misura dell’impulso . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39
2.4.2 La misura del tempo di volo . . . . . . . . . . . . . . . 41
2.4.3 La carica elettrica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44
3 Il sistema per la misura del tempo di volo 47
3.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47
3.2 L’unita centrale di controllo di PAMELA . . . . . . . . . . . . 48
3.2.1 Il sistema PSCU di PAMELA . . . . . . . . . . . . . . 48
3.2.2 Il sistema I-DAQ di PAMELA . . . . . . . . . . . . . . 50
3.3 Il ToF in dettaglio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51
3.3.1 I contatori a scintillazione . . . . . . . . . . . . . . . . 51
3.3.2 Il sistema di front-end . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53
3.3.3 La scheda di trigger . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56
3.3.4 La scheda dsp . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62
3.4 Il modello tecnologico o di terra del ToF . . . . . . . . . . . . 66
4 Il progetto del sistema di acquisizione 71
4.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71
4.2 La trasmissione dei dati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 74
4.2.1 Codifica e decodifica data-strobe . . . . . . . . . . . . . 74
4.2.2 Lo standard lvds . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79
4.2.3 La scheda pci DIO-96 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80
4.3 L’interfaccia I-DAQ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82
4.4 Implementazione della i-daq su dispositivo fpga . . . . . . . . 85
4.4.1 Sistema pc → trigger/dsp . . . . . . . . . . . . . . . . 89
4.4.2 Sistema trigger/dsp → pc . . . . . . . . . . . . . . . . 93
4.5 Progettazione del software per il personal computer . . . . . . 96
4.6 Cablaggio e collaudo del sistema . . . . . . . . . . . . . . . . . 100
4.6.1 Cablaggio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102
4.6.2 Collaudo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103
Indice III
5 La calibrazione delle schede di front-end 107
5.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 107
5.2 La calibrazione delle soglie dei PMT . . . . . . . . . . . . . . 107
5.3 La calibrazione della sezione temporale . . . . . . . . . . . . . 109
5.4 La calibrazione della sezione di carica . . . . . . . . . . . . . . 114
Conclusioni 123
Bibliografia 131
Elenco delle figure 131
Introduzione
Il presente lavoro di tesi si inserisce nell’ambito dell’esperimento PAMELA
e prevede la progettazione e la realizzazione di un dispositivo elettronico in
grado di interfacciare il modello di terra del sistema di tempo di volo, realiz-
zato dal gruppo di Napoli, ad un personal computer, in modo da consentire
di effettuare il controllo del sistema e l’acquisizione dati.
La scopo di completare un sistema di terra, identico al modello di volo che
verra messo in orbita, e quello di verificare le diverse configurazioni di lavoro
del telescopio, in modo da ottenere indicazioni in tempo reale sul rendimento
e funzionalita, da utilizzare come parametri per il monitoraggio del sistema
gemello orbitante.
L’esperimento PAMELA (da ”a Payload for Antimatter Matter Explo-
ration and Lightnuclei Astrophisics), a cui hanno partecipato membri del
Dipartimento di Fisica dell’Universita di Napoli e della sezione locale dell’Is-
tituto Nazionale di Fisica Nucleare, e parte del programma di cooperazione
italo-russo RIM (Russian Italian Mission).
Attualmente, il sistema di tempo di volo di terra e costituito da tre piani
di scintillatori, ciascuno avente rispettivamente 28, 8 e 12 fotomoltiplicatori,
6 schede di FRONT-END, ciascuna avente 8 canali, una scheda di DSP per
il processing dei dati ed una scheda di TRIGGER. Il mio lavoro di tesi e
consistito nel cablaggio complessivo del sistema e nella progettazione e real-
izzazione di una scheda elettronica, denominata I-DAQ, in grado di gestire
le schede di DSP e TRIGGER mediante personal computer per la lettura e
l’immagazzinamento dei dati in memoria di massa.
Nel primo capitolo sara effettuata un’introduzione ai raggi cosmici ed
alla fisica solare, evidenziando l’interesse che il loro studio ha rivestito e
1
2 Introduzione
riveste tuttora nella ricerca delle origini dell’universo. In particolare, saranno
illustrati i risultati delle misure, effettuati da precedenti esperimenti, sulla
componente di antimateria nei raggi cosmici e le loro implicazioni di carattere
teorico.
Il secondo capitolo sara dedicato alla descrizione delle caratteristiche del-
l’esperimento PAMELA ed agli obiettivi scentifici che si intendono perseguire.
Dunque verra descritto l’apparato sperimentale nelle sue generalita ed il
modo in cui il telescopio sara in grado di effettuare le misure.
Nel terzo capitolo verra analizzato in maggior dettaglio il sistema di tempo
di volo atto a misurare la velocita e la carica delle particelle. Verra introdotto
il modello di terra e seguira quindi una descrizione particolareggiata di tutti
i suoi componenti illustrando il protocollo di funzionamento.
Il quarto capitolo sara invece dedicato alla descrizione delle specifiche
tecnice dell’eletronica del sistema di volo introducendo cosı le problematiche
progettuali della I-DAQ ed il modo in cui sono state affrontate e risolte.
Il quinto capitolo sara dedicato all’illustrazione delle fasi di collaudo dei
sistemi elettronici ed in seguito verrano riportate le metodologie sperimentali
utilizzate per la calibrazione delle schade di front end.
Capitolo 1
I raggi cosmici
1.1 Introduzione
A partire dalla loro scoperta, nel primo decennio del 1900, i raggi cosmici
sono stati un importante mezzo di indagine nell’ambito della fisica subnucle-
are. Dalla loro osservazione a terra furono per esempio scoperti il positrone
(Anderson, 1933 [1]), il muone (Anderson e Neddermeyer, 1937 [2]) e il pione
(Powell e Occhialini, 1947 [3]).
Ancora oggi i raggi cosmici sono oggetto di studio. Essi infatti sono
costituiti da particelle che hanno attraversato il mezzo interstellare e possono
quindi fornire informazioni sulla loro origine, sui meccanismi di propagazione
e in ultima analisi sull’evoluzione della Galassia.
Con lo scopo principale di studiare la componente di antimateria dei raggi
cosmici e stato concepito il progetto PAMELA che si avvale della esperienza
acquisita nei precedenti esperimenti su palloni (in particolare gli esperimenti
della serie MASS e CAPRICE) e in esperimenti prototipo su satellite (in
particolare quelli della serie NINA) per approfondire la conoscenza dei raggi
cosmici. L’aspetto innovativo del progetto PAMELA consiste nel fatto che
un rivelatore di dimensioni macroscopiche e dalle elevate prestazioni venga
collocato su un satellite per misurare i raggi cosmici fuori dall’atmosfera
durante un ampio intervallo di tempo (3 anni). Questo permettera di avere
dati con alta statistica in un grande intervallo di energie.
In questo capitolo vengono illustrate le caratteristiche dei raggi cosmici e
3
4 1.2 - Composizione e spettro dei raggi cosmici
alcune delle problematiche ancora aperte ad essi relative.
1.2 Composizione e spettro dei raggi cosmici
Negli ultimi decenni di studi sui raggi cosmici sono state ottenute numerose
informazioni riguardo la loro composizione e la loro distribuzione in energia.
Essi si distinguono in primari, prodotti direttamente da sorgenti galattiche
o extra-galattiche, e secondari che sono invece prodotti per interazione dei
primari con il mezzo interstellare.
I raggi cosmici primari sono costituiti da particelle cariche e neutre; il 98%
delle particelle cariche e formato da protoni e nuclei e il 2% da elettroni, con
tracce di antimateria (positroni ed antiprotoni). La componente adronica e
costituita per l’87 % da protoni, per il 12 % da nuclei di He e per il restante
1% da nuclei piu pesanti. La parte neutra e formata da neutrini e da fotoni
ad alta energia.
Di essi possiamo misurare:
1. lo spettro energetico;
2. l’abbondanza relativa;
3. la direzione di provenienza.
Uno degli aspetti piu interessanti dei raggi cosmici e il grande intervallo
energetico su cui si estendono. Per studiarne lo spettro, e opportuno ri-
portare in scala logaritmica il flusso differenziale, definito come il numero di
particelle dello stesso tipo che incidono su un elemento di superficie all’inter-
no dell’angolo solido dΩ per unita di tempo, in funzione dell’energia cinetica
per nucleone (figura 1.1). Relativamente a questo grafico possiamo fare le
seguenti osservazioni:
• lo spettro ha un massimo per energie intorno a 500 MeV/nucleone;
• per energie al di sotto di tali valori lo spettro subisce una attenuazione
che dipende dalla modulazione solare. L’attivita solare influisce forte-
mente sull’intensita del flusso di raggi cosmici che arriva a terra, infatti,
I raggi cosmici 5
Figura 1.1: Spettro energetico delle principali componenti dei raggi cosmici pri-mari [4], nuclei di H, He, C, Fe, in funzione dell’ energia cinetica per nucleone finoad un valore di circa 106 MeV/nucleone.
6 1.2 - Composizione e spettro dei raggi cosmici
nella corona solare, l’alta temperatura consente a far si che parte del
gas ionizzato che la riveste acquista energia cinetica tale da sfuggire
all’attrazione gravitazionale venendo diffusa nell’universo sotto forma
del cosı detto vento solare. Tale flusso investe la Terra deformandone
il campo magnetico proprio di dipolo e tale interazione risulta piu de-
terminante in quelle regioni in cui il campo magnetico terrestre risulta
piu debole, conferendo cosı alla magnetosfera la classica forma di goc-
cia allungata (fig.1.2). Tale fenomeno innesca dunque un complesso
meccanismo di interazione con i raggi cosmici, secondo il quale si ver-
ifica un’attenuazione del flusso a piu bassa energia. L’attivita solare
non e pero costante, conseguentemente, l’intensita del flusso e massima
quando la produzione di vento solare e al suo minimo e viceversa;
Figura 1.2: Disegno schematico della megnetosfera terrestre, con l’effetto delvento solare.
• per energie maggiori di 1 GeV/nucleone, fino a circa 3×107 eV/nucleone
lo spettro delle varie componenti dei raggi cosmici viene ben rappre-
sentato da una legge di potenza [4]:
dN
dE= KE−α
I raggi cosmici 7
dove E e l’energia cinetica per nucleone e α varia tra 2.5 e 2.7.
Il flusso dei raggi cosmici che arriva sulla Terra dipende anche dalla latitu-
dine di incidenza. La Terra presenta un campo magnetico con un andamento
in prima approssimazione dipolare. Quando una particella si avvicina alla
Terra, viene deviata a causa della forza di Lorentz che, nelle unita del Sistema
Internazionale, e data da:
−→F = Ze(−→v ×
−→B )
dove Ze e −→v sono rispettivamente carica e velocita della particella incidente
e B e il campo magnetico terrestre. L’intensita della forza di Lorentz cam-
bia a seconda della latitudine magnetica; infatti, per una particella incidente
perpendicolarmente alla superficie terrestre in prossimita dei poli−→F e prati-
camente nulla perche il campo magnetico e parallelo alla velocita, mentre,
per una particella con traiettoria gicente nel piano equatoriale,−→F e massima
perche velocita e campo sono ortogonali e quindi la particella viene devia-
ta maggiormente (figura 1.3). Tale effetto e tanto piu importante quanto
piu bassa e l’energia della particella. Questo fenomeno e detto taglio geo-
magnetico e, combinato con la modulazione solare, fa sı che l’intensita dello
spettro dei raggi cosmici dipenda dalla latitudine terrestre e dal momento
dell’osservazione.
La misura dell’abbondanza relativa degli elementi contenuti nei raggi cos-
mici, costituisce un potente mezzo di indagine sui meccanismi di produzione,
di accelerazione e di propagazione, e sulla materia attraversata dai raggi cos-
mici stessi. Di seguito, in figura 1.4, sono riportate le abbondanze relative
al silicio degli elementi nei raggi cosmici e nel sistema solare in funzione del
numero atomico. Oltre all’effetto pari-dispari per cui gli elementi con un
numero atomico pari sono piu abbondanti a causa della maggiore energia
di separazione, cioe dell’energia minima da fornire al nucleo per estrarre un
neutrone, si osservano anche le seguenti caratteristiche:
1. l’abbondanza relativa degli elementi con Z > 1 rispetto ai protoni e
generalmente maggiore nei raggi cosmici; la causa di questa differenza
non e ancora ben chiara;
8 1.2 - Composizione e spettro dei raggi cosmici
Figura 1.3: In figura e schematizzato l’andamento dipolare del campo magneti-co terrestre. A e B sono due direzioni di provenienza possibili della particella.A rappresenta la particella incidente al polo: la sua velocita e parallela al cam-po geomagnetico e quindi subira una deflessione trascurabile. B rappresenta in-vece la particella incidente, avente traiettoria nel piano dell’equatore, con velocitaortogonale al campo magnetico e quindi massima deflessione.
2. ci sono due gruppi di elementi Li, Be, B e Sc, Ti, V, Cr e Mn, che
sono piu abbondanti nei raggi cosmici rispetto a quelli solari. Questo
fa pensare che tali elementi non vengano prodotti per nucleosintesi ma
per frammentazione dei nuclei piu pesanti quali C, N, O e Fe. Dalla
misura della quantita di questi elementi si puo risalire alla quantita
media di materia attraversata dai raggi cosmici fino a terra che risulta
circa uguale a 10 g/cm2 [5].
Per quanto riguarda l’origine dei raggi cosmici, l’ipotesi piu accreditata e che
la maggior parte di essi venga prodotta nella fase di nucleosintesi di stelle
I raggi cosmici 9
Figura 1.4: Abbondanza relativa al Silicio degli elementi dall’Elio al Nichel neiraggi cosmici incidenti sulla Terra (pallini) e per gli elementi del Sistema Solare(stelline).
con massa almeno dieci volte maggiore di quella del Sole e poi accelerata in
seguito alla loro esplosioni nella fase di supernova.
1.3 Metodi sperimentali per la ricerca dei rag-
gi cosmici
L’intensita dei raggi cosmici, come visto, assume valori molto diversi e ne-
cessita di conseguenza di tecniche di misura sperimentale diversificate tra
loro. Fino ad energie dell’ordine di 100 TeV, la radiazione cosmica primaria
viene investigata mediante rivelatori posti su pallone in alta quota o a bordo
di satelliti, ovvero prima della sua interazione con l’atmosfera. Tale tecnica
10 1.3 - Metodi sperimentali per la ricerca dei raggi cosmici
di indagine diretta, non risulta piu particolarmente efficace per energie al
di sopra dei 100 TeV, in quanto, per tali valori energetici, si hanno valori
relativamente bassi del flusso e conseguentemente non si e in grado piu di
ottenere risultati con buona statistica, dilatando notevolmente i tempi di ac-
quisizione. Quindi, i raggi cosmici primari ad energie superiori ai 100 TeV
non vengono investigati direttamente ma mediante grossi apparati di scia-
mi che campionano i raggi cosmici secondari, prodotti dall’interazione dei
primari con l’atmosfera.
La radiazione cosmica primaria che possiede energia al di sopra dei 100
TeV circa e in grado di interagire con l’atmosfera terrestre producendo grandi
sciami atmosferici estesi denominati EAS (Exstensive Atmospheric Shower).
Infatti, l’atmosfera si comporta come un grosso calorimetro di densita vari-
abile. Man mano che un primario penetra al suo interno, perde energia
nella produzione di altre particelle dando luogo ad un fenomeno a cascata.
Un tale sviluppo dello sciame prosegue fino a che in media l’energia per-
sa per ionizzazione da parte delle particelle prodotte diviene confrontabile
con quella persa nella produzione della successiva generazione di particelle.
A partire da questo punto, dove lo sciame ha raggiunto il massimo del suo
sviluppo, il numero di particelle prodotte ad ogni generazione diminuisce fino
ad annullarsi. Per lo studio di tali radiazioni si applica dunque una misura
indiretta, cioe la misura della grandezza fisica in esame viene rimandata a
quella di altre grandezze fisiche legate alla grandezza originaria mediante una
relazione funzionale.
Le tecniche di misura diretta consistono nel rivelare i raggi cosmici prima
che la loro interazione con i nuclei dell’atmosfera possa modificarne le carat-
teristiche. In particolare, le radiazioni al disotto dei 10 TeV sono rilevabili
solo in quota con palloni o satelliti peche i loro sciami ed i relativi effetti
vengono interamente assorbiti dall’atmosfera terrestre.
Come precedentemente detto, i limiti di osservazione sono dati dal cut-
off geomagnetico e, se la rilevazione ha luogo mediante palloni alla cui quota
risulta ancora uno spessore residuo di atmosfera, da un cut-off atmosferico
addizionale. La componente di energia piu bassa e, inoltre, influenzata dalla
modulazione del vento solare presentando una forte variabilita.
I raggi cosmici 11
L’esperimento PAMELA (da a Payload for Antimatter-Matter Explo-
ration and Light nuclei Astrophisics) ha come obiettivo la ricerca e lo studio
della materia e dell’antimateria presente nei raggi cosmici da una parte e la
fisica del Sole dall’altra. Tale apparato, che verra ampiamente descritto nel
prossimo capitolo, verra masso in orbita a bordo di un satellite, coseguente-
mente esso effettuera misure dirette di radiazione cosmica primaria. Prima
di proseguire nella descrizione dell’apparato sperimentale e nel lavoro di tesi
svolto nell’ambito di tale esperimento e d’obbligo fornire ancora qualche in-
formazione sull’origine dei raggi cosmici, e sulla componente di antimateria
in essi contenuta.
1.4 Origine dei raggi cosmici
Fino a questo punto i raggi cosmici sono stati trattati senza considerare la
loro provenienza. Puo pero risultare interessante dare uno sguardo, seppur
superficiale, all’origine di questi flussi di particelle e tentare di compierne
una classificazione. In base a questo criterio i raggi cosmici possono essere
suddivisi in tre categorie:
1. raggi cosmici galattici;
2. raggi cosmici solari;
3. raggi cosmici anomali;
1.4.1 Raggi cosmici galattici
I raggi cosmici galattici sono le particelle che raggiungono la Terra con
maggiore frequenza risultando i piu abbondanti attorno al nostro pianeta.
Riguardo al luogo di produzione sono stati elaborati diversi modelli teori-
ci che collocano la loro origine molto al di fuori del sistema solare. Per
questo motivo lo studio di tali flussi di particelle risulta interessante anche
per ricevere informazioni in merito alla natura della materia da essi incontra-
ta. Viene stimato che la materia attraversata ha una densita di circa 5 ÷ 10
g/cm2 e considerando che la densita media del mezzo interstellare e di circa
12 1.4 - Origine dei raggi cosmici
1 nucleone/cm3 si puo dedurre che queste particelle hanno viaggiato per una
distanza dell’ordine di un megaparsec. Considerando che il disco galattico
ha uno spessore 1000 volte piu piccolo si puo dedurre che le particelle risul-
tano confinate nel campo magnetico galattico per un tempo di circa 107 anni
prima di sfuggire all’esterno della galassia.
Nei raggi cosmici galattici sono presenti gli isotopi stabili di idrogeno ed
elio: 1H, 2H, 3He, 4He; ma nonostante essi siano stati i primi nuclei rivelati
nella radiazione proveniente dal cosmo, ancora oggi le abbondanze relative
sono conosciute in intervalli di energia limitati. Si ritiene che gli isotopi piu
rari (2H ed 3He) siano prodotti secondari del processo di frammentazione
dell’ 4He e dei nuclei piu pesanti. La loro abbondanza e dunque riconducibile
alla quantita di materia attraversata nel percorso dalle sorgenti cosmiche
fino a noi, alle sezioni durto di produzione di 2H ed 3He ed alla modalita di
propagazione dei raggi cosmici nella Galassia.
In particolare la misura dei rapporti 3He/4He e 2H/4He risulta di partico-
lare interesse proprio per lo studio della dinamica di propagazione dei raggi
cosmici.
1.4.2 Raggi cosmici solari
I raggi cosmici solari (SCR) o particelle solari energetiche (SEP) sono il
risultato dell’attivita solare. Esse consistono in un flusso di particelle emesso
dalle superfici attive del Sole. Tali particelle vengono emesse in periodi di
intensa attivita solare in concomitanza con fenomeni quali brillamenti (flares)
ed eruzioni coronali e si sovrappongono alle particelle del vento solare. Lo
spettro di emissione dei SEP risulta facilmente distinguibile dal vento solare a
causa dello spettro di emissione delle particelle che si estende alle alte energie
raggiungendo centinaia di MeV/nucleone e a causa di un intenso rilascio di
radiazione X e γ.
I brillamenti solari furono osservati per la prima volta da Carrigton e
Hodgson nel 1859 e consistono in violente espulsioni di materia che possono
raggiungere una densita media per flare di 1022 particelle su m3 ed un emis-
sione totale di energia compresa tra i 1022 e 1025 J. La durata di un singolo
I raggi cosmici 13
Figura 1.5: Schema proposto da Fisk per spiegare lorigine dei raggi cosmicianomali [12].
brillamento e variabile da alcuni minuti a parecchie ore, mentre la loro fre-
quenza e correlata alle fasi di attivita solare e quindi al numero di macchie
presenti sulla superficie. Generalmente la classificazione dei flares avviene
riferendosi all’intensita ed alla durata delle emissioni X: si distinguono flares
graduali caratterizzati da un lungo rilascio di raggi X e flares impulsivi in
cui le emissioni X sono piu brevi e vengono accompagnate dall’emissione di
elettroni e nuclei pesanti.
Le eruzioni coronali sono violente espulsioni di materia proveniente dalla
corona e sono ritenute la causa principale dell’accelerazione delle particelle
solari. Spesso, ma non sempre, questi fenomeni si accompagnano ai flares
graduali e sono caratterizzati dall’espulsione di protoni e nuclei di He.
1.4.3 Raggi cosmici anomali o extragalattici
La componente anomala dei raggi cosmici fu scoperta per la prima volta
nel 1972 osservando un aumento del flusso differenziale per alcuni elementi
come 4He, N e O. Il modello piu accreditato per spiegarne l’origine e quello
elaborato da Fisk.
14 1.5 - L’antimateria
Secondo tale modello, rappresentato schematicamente in figura 1.5, ato-
mi neutri entrano nel Sistema Solare (a causa del moto rispetto al mezzo
interstellare) e vengono ionizzati singolarmente da radiazione ultravioletta o
da interazione con i protoni a bassa energia del Vento Solare.
Una volta ionizzate tali particelle vengono trasportate dal Vento Solare
al limite dell’eliosfera dove subiscono un’accelerazione secondo meccanismi
non ancora chiari. Le particelle raggiungono in questo modo energia pari
a qualche decina di MeV/nucleone. Una parte di questi nuclei accelerati
ritorna verso l’interno del sistema solare e viene modulata come accade per
la componente galattica. La differenza nell’intensita rispetto ai raggi cosmici
galattici e dovuta alla singola ionizzazione degli atomi anomali: avendo carica
piu bassa rispetto alle particelle galattiche essi riescono a penetrare piu in
profondita nella magnetosfera terrestre.
1.5 L’antimateria
Il concetto di antiparticella fu proposto per la prima volta nel 1928 da Dirac
[6, 7] che postulo l’esistenza di una particella con le stesse caratteristiche
dell’elettrone ma con carica elettrica di segno opposto. Dopo pochi anni
Anderson [1, 8] trovo nei raggi cosmici la particella ipotizzata da Dirac.
Alla fine degli anni ’70 in due esperimenti distinti, Golden [9] e Bogomolov
[10] scoprirono nei raggi cosmici l’antiprotone che era gia stato osservato nel
1955 in laboratorio da Chamberlain e Segre [11]. Di seguito, ne sorse una
questione fondamentale: assumendo che le condizioni iniziali dell’Universo
fossero simmetriche, come mai ora si osserva un Universo apparentemente
composto solo da materia e quindi asimmetrico? Per giustificare questa at-
tuale apparente asimmetria sono state formulate durante gli anni varie ipotesi
che possono essere riassunte in due modelli:
1. Modello asimmetrico in cui si ipotizza un meccanismo di rottura
della simmetria originale. Nel 1967 Sakharov [12] individuo 3 condizioni
necessarie perche tale asimmetria possa svilupparsi:
I raggi cosmici 15
• non equilibrio termodinamico: condizione soddisfatta da un Uni-
verso in espansione come il nostro;
• violazione di C (verificata nei decadimenti deboli per esempio del
pione) e di CP (scoperta nei decadimenti di K e K);
• non conservazione del numero barionico (tale ipotesi e ancora da
verificare sperimentalmente);
2. Modello simmetrico che ipotizza l’esistenza di dominii di materia
ed antimateria separati per cui si avrebbe una asimmetria solo lo-
cale. A supporto di questa ipotesi bisogna introdurre dei meccanismi
di separazione tra le regioni di materia e antimateria per giustificare la
mancata annichilazione;
Lo studio dell’antimateria nei raggi cosmici, in particolare degli antipro-
toni e degli antinuclei, potrebbe confermare o meno i modelli fino ad ora
ipotizzati. Infatti, confrontando la forma dello spettro misurato con quel-
lo previsto teoricamente, sara forse possibile risalire all’origine galattica o
extragalattica della componente di antimateria nei raggi cosmici.
1.5.1 Antiprotoni
Gli antiprotoni vennero osservati per la prima volta nei raggi cosmici alla fine
degli anni ’70 in due esperimenti diversi da Golden [9] e da Bogomolov [10]
da cui risulto un eccesso della frazione di antiprotoni rispetto alla quantita
ipotizzata per produzione secondaria.
Questa ipotesi di eccesso e stata poi ridimensionata dalle successive e piu
recenti misure. L’unico meccanismo di produzione attualmente accreditato
per gli antiprotoni e quello secondario dovuto all’interazione dei protoni (e
dei nuclei) dei raggi cosmici con il mezzo interstellare secondo una reazione
del tipo:
p + p = p + X
La situazione attuale per la misura del flusso di antiprotoni e quella rap-
presentata in figura 1.6 dove sono riportati i risultati sperimentali ottenuti
16 1.5 - L’antimateria
Figura 1.6: In figura e rappresentato a sinistra il flusso di antiprotoni in funzionedell’energia cinetica e a destra il rapporto tra il fusso di antiprotoni e quello diprotoni. In entrambi i grafici e stato riportato anche l’intervallo di energia in cuil’esperimento PAMELA e in grado di operare e le curve continue rappresentanola predizione per la sola produzione secondaria nel mezzo interstellare [13]. I datiriportati sono relativi ai seguenti esperimenti: quelli di Golden nel ’79 e nell’84 [9,14], Buffington nell’81 [15], quelli di Bogomolov nel ’79, ’87, ’90, ’03 [10, 16, 17,18], LEAP87 [19], PBAR 87 [20], MASS 91 [21], IMAX 92 [22], CAPRICE 94 [23],CAPRICE98 [13], HEAT-pbar 00 [24], BESS 93, BESS 95+97, BESS 99 e BESS00 [25, 26, 27].
per gli antiprotoni e per il rapporto antiprotoni/protoni tramite esperimenti
su pallone. Gli errori molto grandi, soprattutto ad alta energia, dipendono
dalla bassa statistica degli eventi, dovuta alla breve durata della presa dati.
Le curve continue rappresentano le previsioni teoriche per la sola produzione
secondaria. In entrambi i casi si puo osservare come l’esperimento PAMELA,
che viene descritto in dettaglio nel prossimo capitolo, sia in grado di esten-
dere l’intervallo di energie misurabili fino a valori mai ottenuti con le misure
su palloni aerostatici. Inoltre, data la lunga durata dell’esperimento, la sta-
tistica sara elevata anche ad alte energie permettendo cosı di ridurre l’errore
sui punti sperimentali.
Per valutare la produzione secondaria, sono state usate varie parametriz-
I raggi cosmici 17
Figura 1.7: In figura e rappresentato il tasso di produzione degli antiprotoni infunzione dell’energia cinetica per interazione con il mezzo interstellare. A e B sonodue possibili parametrizzazioni del flusso di protoni. Si osserva che in entrambi icasi la forma spettrale e la stessa con un massimo intorno a 2 GeV, ma il tassodi produzione puo variare anche del 50% al variare del tipo di parametrizzazione.La diminuzione a basse energie dipende dalla riduzione della sezione d’urto diproduzione di antiprotoni, mentre ad alte energie dipende dalla riduzione del ussodei raggi cosmici.
zazioni della sezione d’urto relative alla reazione precedente [28, 29]. La
sorgente secondaria di antiprotoni puo essere valutata secondo l’integrale
[28]:
Qp(E) = 4πη
∫Jp(E
′)dσ(E, E ′)
dEdE ′
che fornisce il numero di antiprotoni prodotti per unita di volume, di tem-
po e di energia per interazione dei raggi cosmici con il mezzo interstellare.
Nell’equazione, Jp(E′) e il flusso di protoni nel mezzo interstellare, η e un
fattore numerico che tiene conto della composizione del mezzo interstellare e
dei raggi cosmici. La quantita dσ(E, E ′) rappresenta la sezione d’urto per la
18 1.5 - L’antimateria
produzione di un antiprotone con energia compresa tra E ed E+dE quando
il protone incidente ha una energia E ′
In figura 1.7 e riportato l’andamento di Qp(E) in funzione dell’energia
cinetica, per due diverse parametrizzazioni del flusso primario di protoni.
L’energia di soglia per la produzione di antiprotoni e di circa 5.7 GeV, tut-
tavia la probabilita di produzione diventa apprezzabile solo oltre i 10 GeV.
E da notare che il flusso di protoni che genera antiprotoni per produzione
secondaria e un flusso demodulato in quanto la modulazione solare ha ef-
fetto per energie inferiori a 1 GeV, minori quindi della soglia di produzione
di antiprotoni. Qp(E) rappresenta la sorgente di antiprotoni diffusa in tut-
ta la Galassia e, tramite i processi di propagazione, da origine agli spettri
calcolati riportati in figura 1.6. Confrontando questi grafci si puo osservare
come la forma spettrale della sorgente viene riprodotta anche nell’andamen-
to del flusso di antiprotoni. Al di la della validita o meno di queste ipotesi,
risulta evidente come lo studio della componente di antiprotoni nei raggi
cosmici dia la possibilita di verificare ipotesi che riguardano sia la teoria
delle particelle elementari sia la cosmologia. Ognuna delle sorgenti primarie
che sono state ipotizzate dai vari modelli, produce uno spettro di antipro-
toni caratteristico della sorgente stessa, pertanto una misura dello spettro
di antiprotoni, eseguita con sufficiente precisione e in un ampio intervallo di
energie, puo fornire informazioni sul tipo di sorgenti che lo hanno generato.
A basse energie la presenza di una eventuale sorgente primaria sarebbe ben
individuabile a causa della soglia cinematica a 5.7 GeV per la produzione
secondaria di antiprotoni. Per energie maggiori, un eventuale eccesso di an-
tiprotoni rispetto alla produzione secondaria potrebbe indicare la presenza di
sorgenti primarie. Infatti, numerosi studi hanno confermato che la materia
luminosa, ovvero la materia visibile, sia solo una piccola parte della materia
che costituisce l’universo. Si e ipotizzato quindi la presenza della cosiddetta
materia oscura composta anche da particelle con massa elevata e debolmente
interagenti dette WIMP (Weak Interacting Massive Particles). Tra i candi-
dati piu accreditati ad appartenere a questa classe di particelle ci sono quelle
previste dalla teoria della super simmetria. Questa teoria, nata per risolvere
i limiti del Modello Standard, prevede che per ogni particella fondamen-
I raggi cosmici 19
tale conosciuta ne esista una supersimmetrica. Secondo la supersimmetria
la particella piu leggera e stabile sarebbe il neutralino χ. L’annichilazione
del neutralino, ottenuta dalla reazione χχ → p + p, sarebbe una possibile
altra sorgente di produzione di antiprotoni secondari. In conclusione questi
modelli prevedono delle sostanziali differenze nel flusso di antiprotoni di alta
energia rispetto a quelli attesi dai meccanismi di produzione finora conosciuti;
tuttavia non esistono dati sperimentali che possano confermare o smentire
nessuna di queste previsioni. Esperimenti condotti su satellite dovrebbero
aiutare a fare chiarezza su questi argomenti in quanto compiono misure su
intervalli di energia elevati accompagnati da una buona statistica dovuta
al lungo tempo di permanenza in volo. Tramite le misure dell’esperimento
PAMELA si potra contribuire a far luce sulle teorie riguardantil’origine degli
antiprotoni, in quanto le potenzialita di indagine e la permanenza in orbita
del telescopio risultano particolarmente adatti per perseguire tali obiettivi.
1.5.2 Positroni
Ai fini della ricerca di antimateria primaria, l’osservazione di positroni risulta
piu complicata a causa della abbondante produzione secondaria dovuta al
decadimento di π+ e K+ (prodotti in gran quantita dall’interazione dei raggi
cosmici con il mezzo interstellare).
L’attuale situazione sperimentale e rappresentata in figura 1.8, dove sono
riportate le misure fatte fino ad ora tramite esperimenti su pallone e l’anda-
mento previsto per la sola produzione secondaria: le incertezze molto grandi
sono da addurre alla bassa statistica. Fino ad energie di qualche GeV l’an-
damento dei dati sperimentali e in accordo con la produzione secondaria.
Oltre, la statistica non e sufficiente per poter trarre conclusioni, ma occorre
ampliare l’intervallo di energie misurate.
Anche nel caso della rivelazione dei positroni, PAMELA permettera di
eseguire delle misure migliori sia per la lunga durata dell’esperimento sia per
l’ampio intervallo di energie misurabili. Inoltre lo strumento si trovera al di
fuori dell’atmosfera limitando cosı il fondo di positroni atmosferici.
20 1.5 - L’antimateria
Figura 1.8: In figura sono riportate le misure del flusso di positroni fatte negliultimi anni da esperimenti su pallone. La curva rappresenta l’andamento del-lo spettro nell’ipotesi di produzione secondaria e i dati riportati sono relativi a:Golden ’87 [30], Muller and Tang ’87 [31], MASS 89 [32], MASS91 [33], TRAMP93 [34], AESOP 94 [35], CAPRICE 94 e 98 [36, 37], HEAT 94 e 95 [38].
1.5.3 Antinuclei
La probabilita di produzione di antinuclei per interazione dei raggi cosmici
con il mezzo interstellare e del tutto trascurabile (1011 volte inferiore rispet-
to agli antiprotoni). Pertanto l’osservazione di antinuclei nei raggi cosmi-
ci sarebbe una prova inconfutabile dell’esistenza di antimateria primaria a
supporto dei modelli simmetrici dell’Universo.
Capitolo 2
L’esperimento PAMELA
2.1 Introduzione
L’esperimento PAMELA raccoglie l’esperienza accumulata in oltre un trenten-
nio di ricerca sui raggi cosmici mediante l’utilizzo di palloni aerostatici e
satelliti artificiali.
Il secondo paragrafo e dunque orientato a fornire una panoramica sulle
origini di PAMELA, sugli obiettivi scientifici che si intendono perseguire e
sullo svolgimento della missione.
Di seguito, nel terzo paragrafo, una dettagliata descrizione dell’appara-
to sperimentale fornira informazioni utili a comprendere le potenzialita del
telescopio.
Il gruppo di Napoli, che negli ultimi anni ha collaborato attivamente con
il programma di ricerca RIM Russian Italian Mission, ha progettato e real-
izzato il sistema per il tempo di volo delle particelle dell’apparato PAMELA.
E’ in tale ambito che il seguente lavoro di tesi prende corpo, dunque, e utile
evidenziare come le misure di impulso, velocita e carica elettrica possono es-
sere effettuate mediante tale sistema. Il quarto paragrafo e dedicato pertanto
all’illustrazione di tali tematiche.
21
22 2.2 - Caratteristiche ed obiettivi dell’esperimento
2.2 Caratteristiche ed obiettivi dell’esperimen-
to
L’esperimento PAMELA (acronimo per a Payload for Antimatter-Matter Ex-
ploration and Light nuclei Astrophysics) ha come obiettivo principale lo stu-
dio dei raggi cosmici con particolare attenzione alla ricerca della componente
di antimateria presente in essi sotto forma di particelle e nuclei. Lo studio
dei raggi cosmici e sempre stato considerato utile sia per lo sviluppo della
fisica delle particelle elementari che per lo studio di vari oggetti e fenomeni
astrofisici.
2.2.1 Le origini di PAMELA
L’esperimento PAMELA e il passo piu importante di un esteso programma di
ricerca dedicato allo studio delle componenti nucleari ed isotopiche dei raggi
cosmici ed alla rilevazione di antimateria nello spazio.
Questa problematica divenne di grande attualita in seguito ai risultati
ottenuti nel 1979 [9] dallo scienziato Robert Golden della New Mexico State
University di Las Cruces, negli Stati Uniti. In un famoso volo su pallone a 40
Km di altezza, al limite dell’atmosfera terrestre, utilizzando per la prima vol-
ta nello spazio un magnete superconduttore, Robert Golden scoprı la presen-
za di antiprotoni nei raggi cosmici ad un’energia intorno ai 10 Gev. Inoltre,
cosa ancora piu interessante, trovo che questi antiprotoni erano molto di piu
di quelli attesi dall’interazione fra protoni primari ed il materiale interstellare.
Nel 1989, in seguito ai risultati ottenuti da Golden in collaborazione con
la National Science Foundation, la NASA approvo la missione Astromag sulla
stazione spaziale Americana Freedom, che era allora in fase di progetto. Per
lo studio della componente di antimateria con basso numero atomico, venne
selezionato l’esperimento WiZard [39] [40] proposto da una collaborazione
che si era formata attorno a Golden e che comprendeva 6 sezioni e laboratori
italiani dell’INFN, il Goddard Space Flight Center della NASA, l’Universita
Tedesca di Siegen [41] ed il Royal Institute of Tecnology di Stoccolma. La
mutata situazione internazionale porto alla cancellazione della Freedom ma
l’eredita di Astromag fu ripresa anni dopo da PAMELA.
L’esperimento PAMELA 23
Negli anni successivi, la collaborazione WiZard ha effettuato molti esper-
imenti su pallone, utilizzando rivelatori tipici delle particelle elementari quali
rivelatori di tracciamento composti da camere a fili e da camere a deriva, im-
mersi in potenti campi magnetici. Comune a tutti gli esperimenti era anche
un insieme di scintillatori che misuravano il tempo di volo e le perdite per ion-
izzazione e fornivano il trigger per l’esperimento. Il rivelatore era completato
da uno strumento che dava informazioni sulla velocita delle particelle e da un
calorimetro che forniva l’ immagini topologica del percorso della particella o
dello sciame prodotto e misurava l’energia da questi rilasciata al suo interno.
Il calorimetro ad immagine era composto da tubi a streamer di ottone o da
piani di silicio intervallati da tungsteno.
Tali esperimenti hanno prodotto importanti risultati per lo studio della
componente di antiprotoni e di positroni nei raggi cosmici in un intervallo
di energia molto ampio. Particolarmente rilevanti sono state le misure dei
muoni positivi e negativi in fase di ascesa del pallone nell’atmosfera e dei
protoni e dei nuclei di elio alla massima altezza.
Nel 1993 e iniziato un programma di ricerca comune tra i gruppi italiani di
WiZard e tre gruppi di ricerca russi [39]. Il programma chiamato RIM (Rus-
sian Italian Mission) nacque con l’obiettivo di studiare i diversi aspetti della
radiazione cosmica tramite esperimenti su satellite e sulle stazioni spaziali.
Le missioni RIM 0.1 e RIM 0.2 sono gia state effettuate a bordo della stazione
spaziale russa MIR, mentre la RIM 0.3 e in corso sulla stazione spaziale in-
ternazionale. Gli esperimenti compiuti nel corso di queste missioni, Si-Eye1,
Si-Eye2 e Alteino, hanno misurato la radiazione ionizzante all’interno delle
stazioni spaziali e hanno studiato la natura dei lampi di luce che gli astro-
nauti vedono nello spazio quando sono immersi nel buio. Le missioni RIM
1.1 NINA e RIM 1.2 NINA 1, hanno invece riguardato la misura delle com-
ponenti nucleari e isotopiche dei raggi cosmici galattici e solari, alle basse
energie e hanno monitorato il sole nel periodo della sua massima attivita,
durante il XXIII ciclo.
La missione RIM 2 e l’esperimento PAMELA che raccoglie l’esperienza di
tutta l’attivita di ricerca effettuata con i palloni e nello spazio. Su questo pro-
gramma sono confluiti la collaborazione internazionale WiZard al completo
24 2.2 - Caratteristiche ed obiettivi dell’esperimento
e i tre gruppi russi di RIM.
2.2.2 Obiettivi scientifici
Il telescopio PAMELA e volto ad identificare i diversi tipi di particelle e a
misurare l’energia in modo da poter studiare le relative abbondanze delle
componenti dei raggi cosmici ed i relativi spettri energetici.
La missione osservativa si vuole comunque concentrare sulla rilevazione
delle componenti di antimateria nell’Universo e quindi si e cercato di ottimiz-
zare il telescopio per raggiungere un’elevata sensibilita nella misurazione degli
spettri delle componenti rare, cioe antiprotoni, positroni e antinuclei leg-
geri che devono essere discriminati su di un fondo notevolmente superiore di
elettroni, protoni e nuclei leggeri.
Con questo obiettivo i vari rivelatori che costituiscono il telescopio PAMELA
devono poter identificare con alto potere discriminante il tipo di particelle.
Di seguito vengono elencati i principali obiettivi scientifici della missione:
• la misura dello spettro dei positroni e del rapporto e+/(e+ + e−) da 50
MeV fino a 270 GeV;
• lo studio della componente di protoni ed antiprotoni nei raggi cosmici,
la misura del loro spettro e del rapporto p/p nell’intervallo energetico
compreso tra 80 MeV e 190 GeV;
• la ricerca di eventuali antinuclei, con una sensibilita, nella misura del
rapporto He/He, di circa 6×10−8;
• il monitoraggio continuo, nell’arco della durata della missione, della
modulazione solare dei raggi cosmici;
• la misura dello spettro energetico e del profilo temporale delle particelle
emesse durante i brillamenti solari;
• l’analisi spettrale degli elementi nei raggi cosmici;
• lo studio della magnetosfera terrestre;
L’esperimento PAMELA 25
Figura 2.1: Schema del satellite Resurse-DK1. In rosso e possibile osservare ilcontainer che alloggia l’apparato PAMELA
2.2.3 La missione
Lo strumento PAMELA verra installato a bordo del satellite russo Resurs-
DK1 e sara messo in orbita da un vettore della classe Soyuz, dalla base russa
di Baykonur nel Kazakhistan.
Il satellite si muovera su orbite eccentriche, con altitudini comprese tra i
350 e 600 Km, e inclinazione quasi polare: 70,4. La missione avra la durata
di 3 anni. Il satellite Resurs-DK1 e alto circa 14 m e ha una massa di 6500
Kg. Ai suoi lati sono collocati due container pressurizzati a forma di cam-
pana. In uno di questi container verra posto l’apparato PAMELA. Durante
26 2.3 - L’apparato sperimentale
il lancio e le manovre di aggiustamento orbitale del satellite, il container sara
in posizione d’attesa, agganciato al satellite stesso con l’apparato PAMELA
che guarda verso la Terra. Al raggiungimento dell’orbita prevista, il braccio
di aggancio sollevera il container e PAMELA sara rivolto verso lo zenit (fig.
2.1). Questa posizione e ottimale per evitare interferenze dovute alla Terra
o a sciami di particelle prodotti nell’atmosfera terrestre.
Oltre a PAMELA, il satellite Resurs-DK1 avra al suo interno l’apparato
ARINA, del peso di circa 10 Kg, e rivelera particelle e nuclei di bassa energia
allargando l’intervallo esplorato da PAMELA. Uno degli obiettivi dell’esper-
imento ARINA e lo studio di eventuali correlazioni tra i terremoti terresrti e
le perturbazioni delle fasce di Van Allen. Queste perturbazioni sono causate
dall’emissione di onde elettromagnetiche che avviene alcune ore prima del
terremoto, nel periodo di frizione delle faglie terrestri. Il satellite Resurs ha
a bordo anche una sofisticata apparecchiatura ottica ed elettronica che con-
sentira di fotografare le superficie terrestre con una risoluzione inferiore al
metro per scopi civili ed industriali. I dati saranno memorizzati a bordo in
una memoria di 768 Gbit ed inviati a due stazioni di terra ad una velocita di
trasmissione di 300 Mbit per secondo. Le due stazioni sono collocate rispetti-
vamente a Mosca ed Hanty Mansijsk in Siberia. Il vettore Soyuz che mettera
in orbita il satellite Resurs-DK1 e alto 43,4 m e pesa 306 t in posizione di
lancio. Dopo il lancio e per un periodo di circa 5 mesi, saranno effettuate
tutte le operazioni di test, subito dopo il satellite sara messo a disposizione
dei ricercatori e degli operatori commerciali.
2.3 L’apparato sperimentale
Il disegno dell’apparato PAMELA segue l’idea concepita per l’esperimento
WiZard sulla stazione spaziale Freedom ed applicata sui vari voli su pallone.
Uno dei principali obiettivi di PAMELA e la misura degli spettri energetici
degli antiprotoni e dei positroni in un ampio intervallo di energia, con una
grande precisione ed un’elevata statistica. PAMELA e uno strumento es-
tremamente sensibile in grado di rilevare in modi diversi e contemporanei
eventi molto rari in mezzo ad un gran numero di particelle. E’ necessario
L’esperimento PAMELA 27
Figura 2.2: Veduta prospettica del telescopio PAMELA.
conoscere il segno ed il valore assoluto della carica elettrica delle particelle
che attraversano l’apparato, la massa, il momento e da qui l’energia.
L’apparato PAMELA e composto da:
• uno spettrometro magnetico formato da un magnete ed un sistema
di tracciamento idoneo a seguire la traccia della particella che lo at-
traversa. Il verso ed il valore assoluto della curvatura di una particella,
determinano il segno della sua carica elettrica e la sua rigidita, cioe il
suo momento diviso per la sua carica elettrica fino ad energie molto
elevate;
• un insieme di contatori a scintillazione chiamato ”tempo di volo” che
segnala rapidamente il passaggio della particella e da il comando di
28 2.3 - L’apparato sperimentale
lettura dei dati di tutti i rivelatori. I contatori misurano il tempo di
transito delle particelle all’interno del rivelatore, individuando quelle
che provengono dal basso e consentono di risalire al valore assoluto
della carica elettrica della particella. Integrando questi dati con le
informazioni dello spettrometro magnetico, e possibile ottenere il valore
della massa della particella;
• un rivelatore denominato ”calorimetro ad immagine” che misura l’en-
ergia rilasciata dalle particelle che lo attraversano e da quelle prodotte
dall’interazione dalle stesse particelle con il materiale del calorimetro.
Tale rivelatore permette anche di ricostruire la forma dello sciame
prodotto dalla particella che interagisce, oppure antiprotoni ed eventu-
ali antinuclei che annichilano;
• un rivelatore di neutroni che permette di misurare, indirettamente,
i protoni e gli elettroni di altissima energia che interagiscono con il
materiale del calorimerto;
• una serie di contatori a scintillazione che coprono i lati del sistema di
tracciamento e parzialmente la sommita, che permettono di escludere
dalle misure quelle particelle che entrano nell’apparato con un angolo
non corretto.
2.3.1 Il sistema per la misura del tempo di volo
Il sistema per la misura del tempo di transito delle particelle all’interno
dell’apparato PAMELA, detto anche ”tempo di volo” o ”ToF” (Time of
Flight) , e composto da contatori a scintillazione segmentati in varie strisce
e disposti su 3 piani. Per aumentare l’efficienza della raccolta di luce, le
estremita delle strisce dei contatori sono singolarmente accoppiate, tramite
delle guide di luce, a un fotomoltiplicatore, come mostrato in figura 2.4. Per
ottimizzare spazio, peso e potenza elettrica utilizzata, i fotomoltiplicatori ( o
brevemente PMT) di PAMELA hanno dimensione e consumi molto ridotti.
Ogni piano e composto da 2 strati di scintillatori e le strisce sono po-
sizionate in modo da formare tra di loro un angolo di 90.
L’esperimento PAMELA 29
Figura 2.3: Veduta dei 3 piani scintillatori S1, S2 ed S3.
L’ultimo piano (S3) e posizionato tra lo spettrometro ed il calorimetro.
Il primo strato e diviso in tre strisce di scintillatore, ognuna lunga 150 mm
e larga 60 mm. Il secondo ha lo stesso numero di strisce, ognuna lunga 180
mm e larga 50 mm.
Il secondo piano (S2) e installato tra il rivelatore di radiazione di tran-
sizione e lo spettrometro magnetico. Il primo strato e diviso in due strisce
di scintillatore, ognuna lunga 180 mm e larga 75 mm, il secondo ha lo stesso
numero di strisce, ognuna lunga 150 mm e larga 90 mm. Il primo piano (S1) si
trova in cima all’apparato. Il primo strato e diviso in 8 strisce di scintillatore,
ognuna lunga 330 mm e larga 51 mm, mentre, il secondo e diviso in 6 strisce,
ognuna lunga 408 mm e larga 55 mm.
Gli scintillatori del primo e del secondo piano sono spessi 3 mm, mentre,
quelli del terzo sono spessi 6 mm.
30 2.3 - L’apparato sperimentale
Figura 2.4: Il piano a scintillatori S3.
I segnali emessi dai fotomoltiplicatori accoppiati ai contatori a scintil-
lazione vengono raccolti e analizzati da circuiti elettronici molto veloci. In
questo modo e possibile distinguere le particelle che, entrando dall’alto, at-
traversano nell’ordine i primo, il secondo ed il terzo contatore, da quelle che
provengono dal basso, in modo da poter effettuare la reiezione delle par-
ticelle secondarie che attraversano lo spettrometro dal basso verso l’alto e
che dunque possono essere scambiate con le corrispondenti antiparticelle che
attraversano il rivelatore in verso opposto .
Il sistema consente anche di misurare il valore assoluto della carica elet-
trica delle particelle che attraversano l’apparato, infatti, l’energia rilascia-
ta dalle particelle che attraversano gli scintillatori e di conseguenza la luce
prodotta e rilevata dai fotomoltiplicatori, e proporzionale al quadrato del
valore della loro carica elettrica. I 6 strati di rivelatori forniscono pertanto 6
misure indipendenti della carica elettrica.
La rapidita di risposta dei contatori a scintillazione e dell’elettronica as-
sociata al passaggio della particella, permette anche di misurare il tempo che
questa impiega per passare dal primo al terzo piano di scintillatori e poiche
L’esperimento PAMELA 31
la distanza tra quest’ultimi e ben nota, e immediato risalire alla velocita
della particella dividendo lo spazio percorso per il tempo impiegato. Data
la precisione degli strumenti e la breve distanza tra i due piani, la determi-
nazione della velocita sara limitata solo per particelle non molto veloci; nel
caso di protoni si arrivera ad un’energia cinetica di circa 1 GeV, con tem-
pi di volo di circa 45 ns. Nei casi praticabili, pero, conoscendo la velocita
ed il valore assoluto della carica elettrica dati dai contatori a scintillazione
insieme alla rigidita misurata dallo spettrometro e possibile determinare in
modo indipendente la massa della particella.
Se una particella attraversa tutti e tre i piani di scintillatori, un disposi-
tivo elettronico, chiamato ”circuito di coincidenza”, collegato ai piani stessi,
fornisce un segnale molto rapido, detto ”segnale di trigger”. Il segnale di
trigger abilita la lettura e la memorizzazione delle informazioni di tutti i
rivelatori di PAMELA.
2.3.2 Lo spettrometro magnetico
Lo spettrometro magnetico e composto da un magnete permanente e da un
sistema di tracciamento al silicio.
Il magnete permanente e diviso in 5 moduli intervallati da 6 cornici alte
8 mm in cui sono posizionati i sensori al silicio. L’altezza totale dello spet-
trometro e di 445 mm con una cavita interna di 162 × 132 mm2, mentre il
peso e di 115 Kg.
Il materiale magnetico e composto da una lega sintetizzata di neodimio,
ferro e boro ed il valore interno del campo e di 4000 G e ha una buona omo-
geneita. Il sistema che permette la ricostruzione del percorso della particella
all’interno del magnete e costituito da un insieme di sensori di silicio. I riv-
elatori hanno una superficie di 70 × 53,3 cm2, uno spessore di 300 µm ed
entrambe le facce sono divise in 2048 mini strisce tra loro perpendicolari. In
questo modo e possibile determinare le coordinate x ed y della particella che
li attraversa.
Nell’apparato PAMELA, in particolare, la traccia della particella all’in-
terno del magnete viene misurata utilizzando 6 piani di rivelatori al silicio.
32 2.3 - L’apparato sperimentale
Figura 2.5: Sensore al silicio del sistema tracciante (a sinistra) e modulo delmagnete permanente (a destra).
La posizione di una particella che attraversa i piani e misurata con una pre-
cisione di 4 µm sulla coordinata che definisce la sua curvatura nel campo
magnetico, e di 15 µm sull’altra.
Questi rivelatori posti all’interno del magnete, permettono di determinare
la traiettorie delle particelle che attraversano lo spettrometro con grande pre-
cisione e di risalire alla rigidita della particella fino a 740 GV per carica. Essi
consentono anche di misurare il valore della carica elettrica delle particelle
fino a Z uguale a 4.
2.3.3 Il sistema di anticoincidenza
Durante il volo di PAMELA nello spazio e molto importante che siano ac-
quisite solo le informazioni dei vari strumenti relative a particelle che attraver-
sano l’apparato in modo corretto, in quanto, la possibilita di registrazione
a bordo e la trasmissione a terra dei dati ha limitazioni piuttosto stringen-
ti ed e quindi necessario riconoscere le particelle che entrando lateralmente
allo strumento, interagiscono con il materiale del magnete e producono altre
particelle. Queste ultime possono, infatti, raggiungere in modo casuale i 3
piani di scintillatori e simulare cosı il passaggio di una singola particella e
alterando di conseguenza i dati. Per questo motivo, il volume dello spet-
L’esperimento PAMELA 33
Figura 2.6: Piani scintillatori per il sistema di anticoincidenza (a sinistra) eveduta prospettica dell’intero sistema (a destra).
trometro magnetico e circondato da un insieme di contatori a scintillazione
che segnalano il passaggio di una particella lungo una direzione non valida
per una corretta analisi dei dati da parte dell’apparato PAMELA. Un primo
contatore posto sopra il secondo piano di scintillatori e costituito da un sin-
golo scintillatore a forma di stella, con una finestra rettangolare della stessa
dimensione della cavita del magnete. I segnali prodotti dal passaggio di una
particella sono rilevati da 8 fotomoltiplicatori. Questo rivelatore identifica
le particelle che entrano nello spettrometro fuori dell’angolo di accettanza,
cioe con una direzione che le porta inevitabilmente ad interagire con le pareti
interne del magnete.
Altri 4 scintillatori, posti ai lati del magnete, accoppiati singolarmente
con un fotomoltiplicatore, identificano le particelle che entrano lateralmente
all’apparato.
Se uno dei 5 rivelatori da un segnale in coincidenza con quello di trigger,
l’evento viene ignorato; per questo motivo che si dice che il loro segnale e
posto in anticoincidenza con il segnale di trigger.
2.3.4 Il calorimetro ed il contatore di neutroni
Il calorimetro di PAMELA si compone di un insieme di piani ognuno dei
quali e formato da una piastra di tungsteno spessa 2,6 mm e da 2 strati di
34 2.3 - L’apparato sperimentale
Figura 2.7: Fotografia del calorimetro ad immagine di PAMELA.
rivelatori al silicio posizionati sopra e sotto il tungsteno.
Ogni piano di silicio e composto da una matrice 3 × 3 di rivelatori, cias-
cuno con una superfice 8 × 8 cm2, spesso 380 µm e segmentato in 32 strip
larghe 2,4 mm. Poiche ogni strip e connessa a quella del rivelatore vicino,
si crea una striscia lunga 24 cm che viene letta da un circuito elettronico
dedicato.
I piani, in numero di 22, formano tra loro un angolo di 90 lungo la
direzione delle strisce di silicio, in modo da poter rivelare in sequenza le
coordinate x ed y delle particelle che l’ attraversano. L’alto numero atomico
del tungsteno ottimizza lo sviluppo degli sciami elettromagnetici.
Il calorimetro cosı realizzato effettua una misura precisa dell’energia totale
depositata, un’accurata ricostruzione dello sviluppo spaziale degli sciami, sia
lungo la direzione longitudinale che quella trasversale ed una misura della dis-
tribuzione dell’energia lungo lo sciame. Poiche gli sciami elettromagnetici ed
adronici si sviluppano in modo differente, le sole informazioni del calorimetro
consentono di identificare un positrone o un elettrone in un’insieme di oltre
10000 protoni. Tale dispositivo permette anche la determinazione dell’en-
L’esperimento PAMELA 35
ergia degli elettroni fino ad 1 TeV, ben oltre i limiti di operativita dello
spettrometro magnetico.
Quando adroni ed elettroni interagiscono con il materiale del calorimetro
di PAMELA vengono prodotti sciami di particelle. Tra i processi che e pos-
sibile osservare vi e l’evaporazione del nucleo, cioe la sua disgregazione in
protoni e neutroni. La probabilita che questo processo si verifichi e molto
piu alta se lo sciame e stato originato da un protone o da un’altro adrone. In
questo caso, infatti, il numero di neutroni prodotto risulta essere 10÷20 volte
maggiore di quello che si ottiene da una cascata indotta da un elettrone.
Lo strumento PAMELA e in grado di rilevare parte dei neutroni di evapo-
razione grazie ad un contatore di neutroni posto sotto al calorimetro, aumen-
tando quindi la propria capacita di discriminazione tra elettroni ed adroni
fino ad alcuni TeV.
Poiche i dati del calorimetro e del contatore di neutroni possono essere
letti anche in modo indipendente dal resto dell’apparato, saranno rilevate
tutte le particelle che interagiscono con il calorimetro provenienti da qualsiasi
direzione. In questo modo si avra un’aumento della capacita di osservazione
di circa 50 volte e sara possibile rilevare, in 3 anni di operativita, centinaia
di elettroni con energia superiore al TeV.
I neutroni non possono essere rivelati in modo diretto poiche, essendo
elettricamente neutri, non ionizzano il materiale attraversato. E’ allora nec-
essario utilizzare processi in cui il neutrone interagisce con il nucleo, dando
origine ad una particella secondaria carica. Tali particelle cariche, che pos-
sono essere rivelate direttamente, permettono di dedurre la presenza di un
neutrone. Il processo comunemente utilizzato per rivelare i neutroni e l’in-
terazione tra un neutrone ed un atomo di 3He, che da origine a un protone e
un trizio, elettricamente carichi e quindi direttamente osservabili:
n +3 He → p +3 H + 765KeV
Il contatore di neutroni di PAMELA e costituito da 36 tubicini pieni
di 3He, disposti su due piani uguali. All’interno di ogni tubicino vi e un
filo metallico molto sottile. Applicando un potenziale elettrico tra il filo ed
36 2.3 - L’apparato sperimentale
Figura 2.8: Rivelatore di neutroni.
il tubicino e possibile rilevare i protoni ed il trizi prodotti all’interno del
tubicino dall’interazione dei neutroni con l’3He. Poiche il processo di cattura
di un neutrone da parte dell’3He risulta efficiente solo per neutroni termici,
cioe molto lenti, i piani di rivelatori sono intervallati da strati di polietilene
che e un mteriale in grado di rallentare i neutroni.
La dimensione del contatore di neutroni e 66 × 550 × 150 mm3.
2.3.5 Il contatore a scintillazione S4
Tra il calorimetro ed il rivelatore di neutroni e posizionato un contatore a
scintillazione, S4, spesso 10 mm. Questo contatore rivela la parte dello sciame
innescato da elettroni e adroni primari che sfugge dal fondo del calorimetro.
Se lo sciame e stato prodotto da particelle che non hanno attraversato i con-
tatori di trigger, S4 da il segnale di comando per la lettura e memorizzazione
dei dati del calorimetro e del contatore di neutroni.
Tutti i rivelatori dell’apparato PAMELA operano in modo indipendente,
ma e l’insieme delle informazioni che permette di riconoscere con ragionev-
L’esperimento PAMELA 37
Figura 2.9: Il piano a scintillatori S4.
ole certezza una particolare particella e di misurare la sua energia, la sua
direzione e verso di provenienza.
Il flusso dei dati che arriva dai diversi strumenti, viene gestito central-
mente in modo da poter attribuire i dati allo stesso evento che deve essere
riconosciuto come valido prima di essere memorizzato. Per tanto, quando
tutti e tre gli scintillatori del sistema di tempo di volo segnalano il passaggio
di una particella viene elaborato un segnale rapido che comanda la lettura
di tutti i rivelatori. I dati vengono inviati in modo sequenziale a un sis-
tema di acquisizione che li trasferisce, dietro comando di un computer, a una
memoria.
Accanto a questa strumentazione, che e il cervello di PAMELA, esiste un
insieme di servizi indispensabile per l’operativita dell’apparato: un sistema
di alimentatori stabilizzati, comandato dal computer, fornisce la tensione ai
circuiti elettronici, mentre altri strumenti controllano, sempre mediante il
computer, il corretto funzionamento di tutti i rivelatori. In fine, un partico-
lare apparato gestisce il trasferimento dei dati della memoria di PAMELA a
quella del computer.
In fine, viene riportato un ultimo dato significativo dello strumento PAMELA
che riassume in due grafici (figura 2.10) le potenzialita di reiezione nell’in-
38 2.3 - L’apparato sperimentale
Figura 2.10: Capacita di discriminazione ottenuta con la combinazione dei varisotto-rivelatori in funzione dell’impulso delle particelle.
tervallo di energie da analizzare, cioe, se prendiamo per esempio il valore di
impulso pari a 10 GeV/c, vediamo che il rapporto e−
p−, per il calorimetro, e
pari a 104, ossia il rivelatore confonde un elettrone con un antiprotone, ogni
10.000 elettroni rivelati. Si puo osservare come l’apparato sia in grado di dis-
criminare bene le componenti di antiprotoni e positroni in tutto l’intervallo
di energie previsto, combinando le misure del ToF, a basse energie, con quelle
del calorimetro per le alte energie. Per confronto sono state riportate anche
le curve che forniscono i rapporti attesi secondo i modelli teorici MLBM e
CGM [39].
Questo insieme di rivelatori che lavorano in modo concorde sotto il con-
trollo di un unico cervello, permettera allo strumento PAMELA di cercare
l’antimateria nello spazio e di misurare la componente nucleare ed isotopica
dei raggi cosmici e gli spettri energetici dei positroni e degli elettroni in un
intervallo di energia e con una precisione mai raggiunti fino ad ora da altri
esperimenti su pallone o nello spazio.
L’esperimento PAMELA 39
2.4 Grandezze misurabili con il sistema di
tempo di volo
Precedentemente e stata fornita una panoramica generale sull’intero appa-
rato di rilevamento di PAMELA e si e visto come l’integrazione dei dati
provenienti da distinte sezioni del telescopio consente un piu ampio range di
identificazione delle particelle. In particolare, le particelle di bassa energia
vengono identificate in maniera cinematica, dunque e necessario conoscere la
carica (in segno e valore assoluto), l’impulso e la velocita. Il segno della car-
ica e l’impulso vengono misurati mediante il tracciatore al silicio all’interno
dello spettrometro magnetico, per la velocita viene utilizzato il misuratore
di tempo di volo, mentre, il valore assoluto della carica viene determinato da
entrambi i rivelatori. Mediante tali misure si ottiene indirettamente la massa
della particella e dunque la sua identificazione puo ritenersi conclusa.
Alle alte energie, non e piu possibile misurare l’impulso e la velocita con
sufficiente accuratezza, quindi l’identificazione avviene mediante il calorimetro
tramite tecnica ”distruttiva”, poiche riconosce la particella a seconda dello
sciame che essa produce quando interagisce con il materiale del calorimetro
stesso.
Il gruppo di Napoli ha interamente progettato e realizzato il sistema per
il tempo di volo ed il mio lavoro di tesi si integra in tale ambito. E’ quindi
interessante ed utile approfondire come vengono effettuate in dettaglio le
misure di impulso, −→p , velocita, −→v , e carica elettrica grazie all’accoppiamento
spettrometro-ToF.
2.4.1 La misura dell’impulso
Il principio di funzionamento di uno spettrometro magnetico e mostrato in
figura 2.11 . Quando una particella carica Ze, entra nel campo magnetico−→B
dello spettrometro, con velocita −→v , essa risente della forza di Lorentz:
−→F = Ze(−→v ×
−→B )
40 2.4 - Grandezze misurabili con il sistema di tempo di volo
Figura 2.11: Schema di pricipio per una particella in un campo magnetico.
In particolare, se il campo magnetico e perpendicolare al piano di volo
della particella e risulta omogeneo, la forza di Lorentz si riduce alla sola com-
ponente F = Ze(v ·B) costante ed ortogonale al campo stesso, che provoca
una curvatura del moto della particella.
E’ possibile ricavare da tale equazione la componente perpendicolare al
campo magnetico dell’impulso:
p⊥ ' 0, 3ZBr
dove −→p si esprime in GeV/c, B in Tesla ed il raggio di curvatura r in
metri.
Con il tracciatore al silicio e possibile misurare il raggio di curvatura r,
dunque a tal punto la grandezze impulso della particella risulta dipendente
dalle variabile carica, Ze, e velocita v.
Realmente, in un evento utile, la particella non entra nel campo mag-
netico con una traiettoria perpendicolare alle linee di forza, ma forma con
esse un angolo θ che comunque rientra all’interno del cono di accettanza, e
questo comporta una traiettoria all’interno della cavita del magnete ad elica
cilindrica con raggio r (o quantomeno, dati i parametri dello spettrometro,
compie un arco di elica cilindrica).
L’esperimento PAMELA 41
Figura 2.12: Schema del sistema per il tempo di volo.
2.4.2 La misura del tempo di volo
Un sistema per il tempo di volo e costituito da almeno due piani di contatori a
scintillazione posti ad una certa distanza D tra loro. Misurando la lunghazza
della traiettoria compiuta tra i due piani ed il tempo che una particella
impiega per percorrerla, e possibile determinare la sua velocita.
Uno schema di tale sistema e mostrato in figutra 2.12. Ogni piano di con-
tatore e costituito da due fotomoltiplicatori (o PMT), posti alle estremita
dello scintillatore. Quando una particella carica attraversa lo scintillatore,
rilascia in esso una certa quantita di energia che viene trasformata in ra-
diazione luminosa. Tale radiazione viene raccolta dai fotomoltiplicatori e
trasformata in segnali elettrici inviati ai rispettivi TDC (Time-Digital Con-
verter) ed ADC (Analogic-Digital Converter). Il primo dispositivo ha il
42 2.4 - Grandezze misurabili con il sistema di tempo di volo
compito di registrare il tempo, Ti, trascorso tra l’arrivo del segnale prodotto
dal PMT (indichiamo con ti tale istante) ed un segnale comune a tutti i TDC,
il trigger (indichiamo con tt l’istante in cui giunge tale segnale). In linea di
principio, sarebbe sufficiente munire ogni scintillatore con un unico PMT, ma
in tal modo si introdurrebbe indirettamente un’indeterminazione sulla reale
distanza che la particella percorre, in quanto il fotomoltiplicatore fornisce il
segnale di passaggio della particella non nell’istante in cui si ha realmente
l’interazione, ma dopo un tempo pari alla distanza che deve essere compiuta
per giungere dal punto di contatto con lo scintillatore, fino al PMT, diviso
la velocita con cui la radiazione luminoso si propaga nel mezzo. Dunque,
per due particelle identiche che impattano gli scintillatori in punti diversi, il
sistema fonirebbe due diverse misure della velocita. Utilizzano due PMT per
scintillatore e due TDC, si ottengono due misure di tempo per ogni piano
(prendendo in considerazione S1):
T1 = tt − t1
T2 = tt − t2
Possiamo esprimere:
t1 = tS1 +X
u+ c1
t2 = tS1 +L − X
u+ c2
dove tS1 indica il reale istante in cui la particella interagisce con lo scin-
tillatore, Xu
e L−Xu
rappresentano, rispettivamente, i tempi che la radiazione
impiega per giungere ai due PMT, considerando X come la coordinata del
punto d’interazione, L la lunghezza totale dello scintillatore ed u come la ve-
locita di propagazione nel mezzo. c1 e c2 sono i cosidetti ”piedistalli”, ossia
due grandezze caratteristiche che rappresentano i tempi di percorrenza dei
segnali elettrici dai fotomoltiplicatori ai TDC.
Osserviamo che effettuando la media tra i valori T1 e T2 forniti dai due
TDC, a meno di una costante, si ottiene proprio la misura del tempo trascorso
L’esperimento PAMELA 43
tra l’istante in cui la particella giunge realmente sullo scintillatore e l’istante
di tempo in cui giunge il segnale di trigger, in modo indipendente dalla
coordinata X di impatto.
Precisamente, si ottiene:
tt − tS1 =T1 + T2
2+ (
L
2u+
c1 + c2
2)
Sempre mediante le misure dei TDC e possibile risalire alla coordinata X
poiche si verifica facilmente che:
X =u
2(T2 − T1) +
u
2(c2 − c1) +
L
2
Effettuando la stessa misura con S2 ed elaborando similmente i dati forniti
dai relativi TDC, si ottiene il valore:
tt − tS2 =T3 + T4
2+ (
L
2u+
c3 + c4
2)
Tenendo conto che tS1 − tS2 e l’intervallo di tempo che intercorre tra
l’interazione dalla particella con i due piani S1 ed S2, e considerando S la
lunghezza della traiettoria che essa deve percorrere, e immediato scrivere la
velocita come
v =S
tS1 − tS2
ed esprimendo tS1 − tS2 mediante le due precedenti relazioni, si ha
v =2S
(T1 + T2 − T3 − T4) + (c1 + c2 − c3 − c4)
E’ da osservare che la lunghezza della traiettoria S si determina utiliz-
zando la distanza nota, D, tra i due piani, in concomitanza con l’angolo di
incidenza della particella su S1 e del raggio di curvatura che essa assume al-
l’interno dello spettrometro magnetico, grandezze ricavabili grazie al sistama
tracciante.
44 2.4 - Grandezze misurabili con il sistema di tempo di volo
2.4.3 La carica elettrica
La misura della carica elettrica della particella viene effettuata in due passi:
misura del valore assoluto della carica e determinazione del segno.
Il segno della carica si stabilisce mediante lo spettrometro magnetico, os-
servando la curvatura che la particella subisce mediante il campo magnetico.
Il valore assoluto della carica e ottenuto mediante la misura della perdi-
ta di energia dE/dx negli scintillatori del sistema di tempo di volo e nel
calorimetro. A tale scopo si utilizza la nota formula di Bethe-Bloch:
−dE
ρdx= z2 Z
Af(β)
Le grandezze ρ e Z/A rappresentano rispettivamente la densita ed il
rapporto tra numero e peso atomico del mezzo attraversato. Poiche tali
parametri risultano noti a priori possiamo affermare che, una volta fissato il
mezzo, la perdita di energia della particella, dE/dx, non dipende ne da queste
grandezze ne dalla sua massa, ma esclusivamente dal parametro β = vc. Il
grafico (-dE/dx in funzione di β) mostra questa dipendenza calcolata per al-
cuni mezzi. Per velocita molto minori della velocita della luce c, la funzione
varia come 1/β2 fino a raggiungere un minimo, corrispondente ad un valore
tipico di β = 0, 96 ed una perdita di energia pari a circa 2 MeV g−1cm2. Le
particelle in questa regione vengono dette particelle al minimo di ionizzazione
(minimum ionizing particle o mip). Per velocita superiori, la perdita di ener-
gia ha un andamento approssimativamente lineare rispetto alla velocita. In
definitiva, nota la velocita della particella e calcolata la perdita di energia,
mediante la formula e possibile ricavare la carica z. Per calcolare la perdita
di energia delle particelle mediante l’uso di scintillatori si usa il principio
secondo cui, per basse densita di ionizzazione, tale perdita e proporzionale
all’entita di emissione luminosa. Questa legge di proporzionalita e espressa
dalla regola di Birk che, in forma differenziale, risulta:
dL
dx= S
dE
dx
L’esperimento PAMELA 45
Figura 2.13: Perdita di energia −dEρdx
in funzione del parametro β.
dove L esprime l’entita dell’emissione luminosa, S e un coefficiente di pro-
porzionalita ed E rappresenta l’energia persa dalla particella che attraversa il
materiale. Poiche e possibile ottenere risposte lineari dai fotomoltiplicatori,
la carica elettrica che si preleva da essi risulta proporzionale all’energia persa.
Da un punto di vista pratico, la misura viene effettuata inviando gli impulsi
elettrici emessi dai PMT ad una sezione di carica costituita, sostanzialmente,
da un integratore ed un ADC.
Capitolo 3
Il sistema per la misura deltempo di volo
3.1 Introduzione
Nel precedente capitolo e stato descritto l’apparato sperimentale dell’esper-
imento PAMELA, fornendo cosı una panoramica generale delle potenzialita
di rilevamento del telescopio.
Un’aspetto decisamente importante, che si intende affrontare nel seguente
capitolo, e l’elettronica del sistema di acquisizione e di controllo dell’appara-
to. Preliminarmente, vedremo com’ e costituito il sistema PSCU (PAMELA
Storage Control Unit) di PAMELA, il cui compito e quello di controllare i
sottosistemi elettronici di servizio per le acquisizioni dei dati forniti dai vari
rivelatori, nonche la gestione stessa del flusso di informazioni raccolte e la
trasmissione verso Terra. Particolare attenzione sara data anche al modulo
I-DAQ (Intermediate-DAQ), atto all’interfacciamento dell’unita di controllo
e memorizzazione con i vari sottosistemi.
A tal punto, la descrizione del progetto PAMELA puo ritenersi esauriente
e l’attenzione verra spostata alla descrizione particolareggiata del sistema per
la misura del tempo di volo realizzato dal gruppo WIZARD dell’ INFN della
sezione di Napoli. Attualmente, in tali laboratori risiede il modello tecnologi-
co del suddetto sistema ed esso e costituito dagli stessi piani a scintillazione ed
elettronica del sistema gemello che verra messo in orbita. Il presente lavoro di
tesi prevede dunque una prima fase dedicata allo studio approfondito di tali
47
48 3.2 - L’unita centrale di controllo di PAMELA
componenti ai fini della progettazione e realizzazione di un sistema analogo
alla PSCU ed I-DAQ di PAMELA, ed ingrado di utilizzare, in laboratorio, il
modello tecnologico del ToF in tutte le sue potenzialita.
3.2 L’unita centrale di controllo di PAMELA
L’apparato PAMELA, che presto verra messo in orbita, e dotato di un’ar-
chitettura elettronica molto complessa. Il sistema prevede diverse modalita
di funzionamento, tra cui una modalita di acquisizione e telemetria, in
modo da consentire la raccolta dei dati e l’invio a verso terra. E’ questo
uno degli aspetti che maggiormente differenzia il modello di volo del telesco-
pio, dal modello di terra. E’ interessante notare che sia la comunicazione
da satellite verso la Terra che quella in verso opposto (dette rispettivamente
downsteam e upstream) possono avvenire solo quattro volte al giorno, cioe,
quando il satellite e sulla perpendicolare della stazione di telemetria di terra.
Una caratteristica molto interessante e che il sistema e in grado di rice-
vere comandi di configurazione e, all’occorenza, degli aggiornamenti software
utili alla correzione di eventuali problemi riscontrati in orbita. E’ proprio
tale caratteristica che ha reso necessario continuare a sviluppare, parallela-
mente al modello di volo, anche il modello di terra, in modo da consentire, in
laboratorio, di ottenere indicazioni in tempo reale sul rendimento e funzion-
alita, da utilizzare come parametri per il monitoraggio del sistema gemello
orbitante.
3.2.1 Il sistema PSCU di PAMELA
L’unita di controllo e memorizzazione di PAMELA o PSCU costituisce il liv-
ello piu alto della rete di controllo e acquisizione dei dati nonche l’interfaccia
principale verso il sistema di telemetria.
Questo sistema e composto da diverse parti (figura 3.1), tra cui fonda-
mentale risulta la memoria di massa. Essa e suddivisa in due blocchi: uno
utilizzato per la memorizzazione dei dati sperimentali raccolti dai vari rivela-
tori al termine di ogni evento e l’altro contenente i parametri di configurazione
ed i programmi che servono al funzionamento dei dispositivi elettronici del
Il sistema per la misura del tempo di volo 49
Figura 3.1: Schema a blocchi del sistema PSCU e della I-DAQ di PAMELA.
telescopio. Entrambe le parti della memoria vengono aggiornate solo quat-
tro volte al giorno, quindi e necessario conservare le informazioni in esse
contenute per lungo tempo. Se si tiene conto, inoltre, che le informazioni im-
magazzinate sono di vitale importanza per l’esperimento, risulta chiaro che
la PSCU e l’elemento piu critico di tutto il sistema PAMELA. Per questo
motivo la PSCU e stata completamente prodotta e certificata, secondo le
specifiche spaziali, da un’azienda specifica del settore (la LABEN). Come og-
ni processore di tipo general purpose, anche questo dispositivo necessita di un
programma che permette il funzionamento dell’elettronica in esso contenuta.
La realizzazione di tale software ha richiesto il lavoro di diverse sezioni della
collaborazione. Riassumendo, la PSCU e costituita da una CPU altamente
resistente alle radiazioni, una memoria di massa a stato solido avente una ca-
pacita di memorizzazione di 2 GigaByte e di una memoria EPROM FLASH
che contiene il programma precedentemente menzionato.
Il funzionamento di tale dispositivo e di vitale importanza ai fini del-
50 3.2 - L’unita centrale di controllo di PAMELA
l’esperimento, pertanto bisogna assicurarsi che anche i componenti hardware
funzionino correttamente per tutta la durata dell’esperimento. Poiche su di
essi non sara possibile intervenire a lancio avvenuto, si e pensato di ridondare
la PSCU. Cio significa che a bordo del satellite saranno presenti due copie
identiche di tale dispositivo. Da terra sara possibile decidere di volta in volta
quale mettere in funzione. La tecnica di ridondanza hardware, che consente di
aumentare l’affidabilita delle apparecchiature elettroniche, e stata utilizzata
per tutte le parti ”vitali” dell’esperimento.
3.2.2 Il sistema I-DAQ di PAMELA
La scheda i-daq garantisce la comunicazione tra la sezione di front-end di ogni
sottosistema e la PSCU. Come si evince sempre dalla figura 3.1, la scheda
rappresenta l’interfaccia della PSCU. Essa, infatti, da un lato e connessa con
l’unita di controllo e memorizzazione e dall’altra con l’elettronica dei vari
sottosistemi. La i-daq, infatti, tramite un demultiplexer invia i comandi,
generati dalla PSCU, verso i sottosistemi a cui sono destinati; tramite un
multiplexer, invece, raccoglie i dati generati dai front-end e li invia all’unita
di memorizzazione. La logica di controllo e costituita da una macchina a
stati microprogrammata che le consente di interrogare autonomamente tutti
i sottosistemi per la raccolta dei dati. All’arrivo di un segnale di trigger, essa
avvia una procedura che consente di estrarre tutti i dati relativi all’evento
da ogni sottorivelatore. Le informazioni ottenute vengono successivamente
trattate mediante una sezione specifica presente sulla scheda detta di dsp
(digital signal processor). Essa svolge sui dati una serie di operazioni tra
cui la soppressione degli zeri che consente di eliminare tutte le informazioni
inutili contenute nel set di dati in modo da risparmiare spazio nella memoria
di massa della PSCU.
In definitiva, la scheda i-daq di PAMELA e costituita da una sezione di
smistamento dati, costituita da un multiplexer e da un demultiplexer, da un
dsp che compie le operazioni sui dati e da due banchi di memoria che sono
utilizzati sia per la memorizzazione temporanea dei dati e dei programmi da
inviare alla PSCU ed ai sottosistemi, sia all’immagazzinamento del software
Il sistema per la misura del tempo di volo 51
necessario al funzionamento del dsp.
La scheda e connessa ai vari front-end mediante collegamenti seriali su
bus LVDS (da Low Voltage Differenzial Signaling). Tale protocollo e parti-
colarmente indicato per uso spaziale poiche assicura basso consumo, basso
rumore ed alta velocita di trasmissione.
Come la PSCU anche questa scheda necessita di un’elevata affidabilita
hardware e per questo motivo, a bordo del satellite, sono state previste due
copie gemelle attivabili mediante telemetria.
3.3 Il ToF in dettaglio
Il sistema di misura del tempo di volo (in breve ToF, da Time of Flight) e
costituito, come descritto nel paragrafo 2.3.2, da 3 piani scintillatori con 48 fo-
tomoltiplicatori. Di seguito verra fornita una descrizione generale delle parti
che compongono tali piani contatori. Successivamente, seguira la definizione
dei protocolli e le caratteristiche piu importanti della sezione elettronica.
3.3.1 I contatori a scintillazione
L’esperimento PAMELA ha richiesto lo sviluppo di un sistema di misura
del tempo di volo che garantisse una risoluzione temporale di circa 150 ps.
Cio e stato possibile utilizzando materiale scintillatore con elevata emissione
di fotoni, avente un tempo di risposta rapido e una grande lunghezza di
attenuazione in relazione alla propria lunghezza lineare . I fotomoltiplicatori
devono avere una contenuta fluttuazione nel tempo di transito e segnali di
uscita con breve tempo di salita.
Esistono fondamentalmente due classi di scintillatori: inorganici, costitu-
iti da cristalli alcalini contenenti una piccola frazione di impurita che funge
da attivatore, ed organici, composti da idrocarburi aromatici. Gli elevati
valori di densita e numero atomico dei primi implicano la perdita di una
grande quantita di energia da parte delle particelle che li attraversano garan-
dendo una buona risoluzione energetica. I secondi, avendo una costante di
decadimento relativamente bassa, sono particolarmente indicati per misura
di tempo. Gli scintillatori organici maggiormente utilizzati in fisica delle alte
52 3.3 - Il ToF in dettaglio
Figura 3.2: Uno scintillatore con guida di luce e fotomoltiplicatore del ToF.
energie sono quelli plastici, formati da soluzioni di scintillatore organico in
solventi plastici solidi. Per il ToF di PAMELA sono stati scelti gli scintillatori
BC-404 di tipo plastico, prodotti dalla Bicron ([42]).
I fotomoltiplicatori scelti per l’apparato sono gli R5900 prodotti dalla
Hamamatsu Photonic ([43]). Questo tipo di PMT e particolarmente adatto
alle applicazioni di tipo aereospaziali essendo di dimensioni ridotte e molto
leggeri (25g). La risposta spettrale si estende nell’intervallo di lunghezze
d’onda compreso tra i 300 nm e 600 nm con un massimo attorno ai 400
nm in corrispondenza del quale si ha un’efficienza quantica del 20%. Tale
caratteristica risulta essere in pieno accordo rispetto le specifiche degli scin-
tillatori BC-404. Il sistema di amplificazione e composto da una serie di 10
dinodi disposti in configurazione a ”tendina veneziana” (venetial blind), ad
un angolo di 45 rispetto all’asse della cascata di elettroni: questo consente
di avere una buona efficienza di raccolta nonostante le ridotte dimensioni
lineari.
Tali fotomoltiplicatori sono progettati in modo da presentare un’asse di
montaggio preferenziale, lungo il quale le interferenze dovute ai campi mag-
Il sistema per la misura del tempo di volo 53
Figura 3.3: Specifiche tecniche dello scintillatore Bicron-404.
netici a cui sono inevitabilmente sottoposti risultano meno dannose alla cate-
na di amplificazione. In aggiunta, un rivestimento di materiale ferromagneti-
co ne garantisce un rendimento costante.
3.3.2 Il sistema di front-end
Il ToF dell’apparato PAMELA prevede l’ausilio di 48 fotomoltiplicatori, con-
seguentemente, sono state realizzate 6 schede per il front-end, ognuna avente
8 canali. Descriviamo in dettaglio tale sezione, trascurando il protocollo
di funzionamento in quanto tali schede risultano essere gestite direttamente
dalla scheda di dsp trattata nel prossimo paragrafo. Ogni front-end prevede
una sezione analogica, per la misura di tempo e di carica dei segnali for-
niti da ognuno dei fotomoltiplicatori, e una sezione digitale per la gestione
dei dati e della stessa scheda. La sezione analogica per la misura di tem-
po prevede dei comparatori a doppia soglia e l’impiego di un convertitore
tempo-ampiezza-tempo (TATC) a doppia rampa per espandere l’intervallo
di tempo da misurare, mentre, la sezione analogica per la misura della carica
e basata su un convertitore di carica con controllo di gate. Poiche entrambe le
54 3.3 - Il ToF in dettaglio
Figura 3.4: Schema a blocchi dell’elettronica di front-end.
misure vengono convertite in una misura di tempo e stato sufficiente adoper-
are come unico componente un TDC digitale con il vantaggio di semplificare
l’architettura complessiva e minimizzare i consumi.
In figura 3.4 vediamo che ogni front-end acquisisce i segnali provenienti da
8 fotomoltiplicatori. Essi vengono doppiati ed inviati a 2 TDC, implementati
su logica programmabile fpga, ognuno dei quali gestisce 8 canali (dunque si ha
un TDC dedicato alla misura di tempo ed un TDC per la misura di carica).
In riferimento ai diagrammi temporali di figura 3.5, vediamo che all’arrivo
del segnale di ogni PMT ha inizio la fase di carica di una capacita (segnale
RAMP) in concomitanza all’attivazione di un segnale da inviare alla scheda
di trigger per la vidimazione dell’evento (segnale TO TRIGGER CARD).
Entro un tempo prefissato, i front-end attendono un segnale di trigger, gen-
erato dall’omonima scheda elettronica allor quando giungono ad essa i segnali
dei fotomoltiplicatori che concorrono a verificare una particolare condizione
logica preimpostata. L’arrivo del segnale di trigger interrompe la fase di cari-
ca della capacita e da il via alla fase di scarica ma con un tempo caratteristico
piu lento. I TDC misureranno quindi il tempo che la capacita impiega per
Il sistema per la misura del tempo di volo 55
Figura 3.5: Diagrammi temporali per il sistema di espansione a doppia rampadei TDC.
scaricarsi (TDC GATE ), tempo che risulta essere direttamente proporzionale
al tempo trascorso tra l’arrivo del segnale del PMT e la generazione del seg-
nale di trigger. Se il segnale di trigger non viene generato, allora l’evento
sara reputato non valido e le capacita sono scaricate rapidamente in modo
da ripristinare le condizioni iniziali (AUTO RESET ). I TDC realizzati oper-
ano conversioni digitali a 12 bit garantendo cosı una dinamica di 4095 passi
di conteggio. Ad ogni componente viene fornito un segnale di cadenza a
100 MHz che consente di avere una risoluzione temporale nominale di 10 ns
sul bit meno significativo (LSB). La dinamica temporale del componente e
dunque pari a 212× 10ns = 40950ns. L’espansore analogico a doppia rampa
asimmetrica realizza un fattore di espansione α ' 200, dunque si ha una
risoluzione nominale effettiva che corrisponde ad un LSB di:
LSB =10ns
α' 50ps
La sezione analogica dedicata alla misura della carica e costituita da un
preamplificatore di carica che si comporta come uno stadio cuscinetto per
l’espansore di impulso. Il segnale fornito dal PMT (tipicamente della durata
di 10 ns ed un’ampiezza che varia tra i 50 mV e 5 V, visibile nel tracciato
a) viene integrato da un amplificatore di carica (traccia b) e successivamene
56 3.3 - Il ToF in dettaglio
Figura 3.6: Diagrammi temporali per il sistema di misura impulso-tempo-carica.
inviato alla sezione di espansione, fornendo cosı il segnale TDC GATE (trac-
cia c) proporzionale all’intensita dell’impulso e dunque alla carica rilasciata
dalla particella. Un TDC, anche in questo caso, converte il segnale temporale
TDC GATE in una grandezza digitale che consente di risalire ad una misura
della carica.
3.3.3 La scheda di trigger
Le mansioni della scheda di trigger sono sostanzialmente:
1. fornire il segnale di trigger per l’acquisizione degli eventi utili;
2. fornire dati in merito al rate del trigger, misura del ”tempo vivo” e
”tempo morto” ed al conteggio dei segnali provenienti dai fotomoltipli-
catori.
Il sistema per la misura del tempo di volo 57
Il segnale di trigger viene generato per convalidare un evento utile e
dunque esso sara il veto per i dispositivi elettronici di memorizzazione affinche
acquisiscano i dati, relativi all’evento, di ogni rivelatore.
La scheda di trigger controlla i segnali provenienti da tutti i fotomoltipli-
catori del sistema ToF ed un’analisi molto rapida di essi permette di stabilire
se l’evento in esame puo ritenersi valido. Tale analisi e effettuata mediante
funzioni logiche preimpostate e selezionabili esclusivamente tramite un’op-
portuna configurazione. Con riferimento alla figura 2.3, ogni piano del ToF
e costituito da 2 semipiani di strisce di scintillatori, conseguentemente, sara
adottata la convenzione di indicare con S1, S2, S3 i piani e con S11 e S12
i primo ed il secondo semipiano relativi al piano S1. Analogamente verra
fatto per i rimanenti. Con il simbolo s11 si indichera, invece, l’OR logico tra
tutti i segnali degli scintillatori appartenenti al semipiano S11, mentre s12
rappresenta l’OR del secondo semipiano.
Poiche si e interessati al passaggio delle particelle attrverso i vari piani
del sistema di misura del tempo di volo, risulta chiaro che lo stato logico del
segnale s11 indichera, secondo la convenzione assunta, se una particella ha
attraversato o meno una qualsiasi delle strisce di scintillatore appartenenti
al primo semipiano di S1.
Di seguito sono riportate le 5 funzioni logiche preimpostate per l’analisi
degli eventi:
1. (s11 OR s12) AND (s21 OR s22) AND (s31 OR s32)
2. (s11 AND s12) AND (s21 AND s22) AND (s31 AND s32)
3. (s21 OR s22) AND (s31 OR s32)
4. (s21 AND s22) AND (s31 AND s32)
5. s12 AND (s21 AND s22)
Ovviamente, le funzioni sono selezionabili in maniera esclusiva mediante co-
mando diretto alla scheda di trigger. Si e ritenuto opportuno definire 5 diverse
funzioni logiche per la generazione del segnale di trigger poiche il telescopio
58 3.3 - Il ToF in dettaglio
Figura 3.7: Proiezioni teoriche della frequenza di trigger in configurazione 1.
Il sistema per la misura del tempo di volo 59
non lavorera sempre nelle medesime condizioni. Giustifichiamo quindi tali
scelte.
La condizione 1 e stata studiata per intercettare il maggior numero pos-
sibile di particelle, infatti tale equazione risulta la meno restrittiva, ma se da
un lato contribuisce ad ottenere una statistica elevata, puo non rappresentare
un filtro adeguato al rumore. Inoltre, un’elevata frequenza di trigger aumen-
ta il ”tempo morto” dell’apparato (cioe il tempo durante il quale il sistema e
occupato nelle procedure di acquisizione e memorizzazione dei dati) inibendo
cosı la rivelazione di ulteriori eventi possibili. In figura 3.7, possiamo vedere
la frequenza di trigger ottenibile mediante tale configurazione. Tale grafico
risulta essere una proiezione teorica della frequenza di trigger stimata in base
all’attivita solare e alla latitudine di osservazione, mostrando chiaramente le
anomalie che si verificano nel Sud Atlantico, dove vi e una grande presenza
di particelle intrappolate (principalmente protoni). Il numero e l’energia di
tali particelle hanno intensita tale da poter metter in crisi il telescopio.
La condizione 2, pur presentando gli stessi termini della 1, risulta piu
restrittiva e per certi versi piu realistica grazie alla presenza dell’AND logico
tra i vari semipiani. Infatti, una particella che attraversa un semipiano avra
un’elevatissima probabilita di attraversare anche il secondo semipiano avendo
questi ultimi la medesima superficie ed essendo a contatto tra loro.
Le condizioni 3 e 4 sono state studiate per contrastare gli effetti in-
desiderati che si avrebbero quando il telescopio transita nelle regioni di Van
Allen. Infatti, come si puo vedere dal grafico 3.8, in tali fasce, dove risiedono
un gran numero di particelle cariche intrappolate all’interno del campo mag-
netico terrestre, i piani scintillatori S11 e S12 possiedono una frequenza di
conteggio decisamente elevata. Essendo le particelle di tali regioni principal-
mente elettroni di bassa energia (fino a 5 MeV), molte di esse non riescono
a raggiungere i piani scintillatori S21 e successivi, dunque, l’esclusione dei
segnali s11 e s12 dalla funzione logica per la generazione del trigger comporta
una sostanziale diminuzione della frequenza di eventi utili che il sistema puo
rivelare, in quanto, il piano S1 si comporta da filtro per tali particelle poco
interessanti.
60 3.3 - Il ToF in dettaglio
Figura 3.8: Proiezioni teoriche della frequenza di trigger per i semipiani S1 e S2.
La condizione 5 e stata implementata per studiare le particelle di bassa
energia. Com’e possibile notare, in questa configurazione non e presente il
piano S3. In tal modo sara possibile studiare proprio le particelle intrappolate
presenti nelle fasce di radiazione. Anche questa configurazione e, comunque,
immune al rumore. L’assenza del segnale relativo al semipiano S11, permette
di eliminare dalla generazione del trigger il contributo di quelle particelle di
energia talmente bassa da essere assorbite dal materiale scintillante di cui e
composto il primo semipiano del ToF. In definitiva la rate attesa per le varie
configurazioni di trigger non dovrebbe superare la frequenza di 16 Hz, come
si evince dal grafico 3.9.
Come si evince da tale discussione, la scheda di trigger deve assolvere
anche l’importante compito di fornire informazioni riguardanti la frequenza
del segnale di trigger relativa alle diverse configurazioni e ai conteggi per
ognuno dei semipiani del ToF. Per adempiere a tali compiti, sulla cheda sono
stati implementati una serie di contatori in grado di fornire tali dati. Di
seguito viene riportato un elenco di tali dispositivi:
• contatori di singolo canale che hanno il compito di stabilire la fre-
Il sistema per la misura del tempo di volo 61
Figura 3.9: Proiezioni teoriche della frequenza di trigger.
quenza di rivelazione di ogni singolo canale del ToF, su una base di
tempo stabilita pari ad un secondo. Tali informazioni sono utili a
monitorare il comportamento funzionale di ogni fototubo;
• contatori di semipiano, che forniscono informazioni riguardo al nu-
mero di eventi rilevati per semipiano, dunque, saranno conteggiati i
segnali sij;
• contatori di funzione di trigger, per fornire la frequenza di ogni sin-
gola configurazione di trigger, utile al fine del calcolo del flusso di parti-
celle e per la diagnastica hardware della sezione stessa che implementa
tali funzioni logiche;
62 3.3 - Il ToF in dettaglio
• contatori di tempo vivo e di tempo morto per la misura del
tempo in cui l’apparato e impegnato nell’acquisizione dei dati relativi
ad un evento (tempo morto) e del tempo in cui si attende un nuo-
vo evento (tempo vivo). Tali informazioni, unitamente alle preceden-
ti, risultano indispensabili per stimare il flusso assoluto di particelle
che interagiscono con il telescopio, e l’efficienza hardware dell’intero
sistema.
Il sistema di acquisizione di terra, per il controllo e la gestione del ToF
del seguente progetto di tesi, e in grado di interfacciarsi e gestire la scheda
di trigger, sfruttando a pieno tutte le sue potenzialita. Il segnale di trig-
ger e chiaramente indispensabile per il funzionamento del sistema poiche
determina la fine del tempo vivo e l’inizio del tempo morto. Mediante tale
informazione propagata alla i-daq ed elaborata dal personal computer si e
in grado di decidere le operazioni successive da compiere. Precisamente, e
durante il tempo morto dell’esperimento che, tramite sistema, si possono
richiedere i dati contenuti nei vari contatori della scheda di trigger, nonche
quelli contenuti nei TDC dei front-end, riconfigurare i dispositivi per un nuo-
vo ciclo di acquisizione, e riattivare la scheda di trigger in attesa di rilevare
un nuovo evento utile.
3.3.4 La scheda dsp
La scheda di dsp e un controllore digitale per la gestione ed il controllo
dell’elettronica di front-end; si interfaccia da un lato con le schede di front-
end stesse e dall’altro con l’interfaccia i-daq. Tale dispositivo riceve dalla
i-daq i comandi per le operazioni che devono essere effettuate dall’elettronica
di front-end del ToF, e dunque necessario stabilire sia il protocollo che la
descrizione dei comandi che il dispositivo e in grado di eseguire.
La comunicazione dei dati, sia in ingresso che in uscita, avviene tramite
bus seriale di tipo data-strobe su 8 bit. L’inizio stesso dell’attivita delle
linee data e strobe determina l’inizio della trasmissione dei dati, mentre un
dispositivo di time out ne determina la fine se le linee restano inattive per
un periodo superiore a 3.2µs.
Il sistema per la misura del tempo di volo 63
A livello di pacchetto dati, la trasmissione da e verso la i-daq e protetta
mediante l’invio di un byte di CRC. Tali specifiche verrano riprese nel prossi-
mo capitolo in modo piu dettagliato fornendo una descrizione accurata di
come esse siano state soddisfatte nell’implementazione della i-daq.
Di seguito si vuole riportare invece una descrizione dei possibili coman-
di provenienti dalla i-daq che possono sostanzialmente essere divisi in due
categorie:
1. comandi di configurazione;
2. comandi diretti ai front end.
I comandi di configurazione del dispositivo si trovano descritti nella seguente
tabella:Command Bit 7÷4 (Hex) Bit 3÷0 (Hex)
Write Mask 4 FAlarm Read 3 FRaw Mode 1 FDSP Mode 2 F
Dopo ciascun byte di comando possono seguire una o piu parole di dato
necessarie per il completamento del comando stesso.
Il comando Write Mask consente di impostare il registro di maschera
interno alla scheda di dsp e relativo ai canali front-end. Qesto comando e
seguito da altri due byte che consentono di individuare quali canali di front
end non leggere e da altri due byte dummy che in realta non sono utilizzati.
64 3.3 - Il ToF in dettaglio
Il comando Alarm Read consente di leggere il registro degli allarmi
interno, e l’interpretazione dei campi del byte di risposta avviene mediante
tale schema:
bit 0 ÷ 11 : Time out front-end (campo FE Time out)
bit 12 : Time out dsp
bit 13 : CRC error
bit 14 : CMD error
bit 15 : Not used
Il campo FE Time out e costituito per i primi sei bit meno significativi
dal bit di timeout dei TDC1 di ciascun front-end ( bit0: TDC1 f-e 0,...,bit5:
TDC1 f-e 5) e per i successivi sei dal bit di timeout dei TDC2. Quando
si presenta una sorgente di errore tra quelle ammesse in legenda, il relati-
vo bit presente nel registro degli allarmi viene attivato, segnalando l’evento
propagando un segnale di allarme generale.
I comandi di Raw Mode e DSP Mode consentono l’utilizzo o meno
del dispositivo ”digital signal processor” presente sulla scheda.
I codici operativi del set di comandi per le schede di front-end sono i
seguenti:
Command Bit 7÷4 (Hex) Bit 3÷0 (Hex)
Front End Clear 0 FFront End Reset E FE IDWrite PMT B FE IDFront End AQ D FE ID
Come si puo notare, alcuni di questi codici operativi contengono un cam-
po variabile (indicato con la sigla FE ID) nei 4 bit meno significativi. Uti-
lizzando tali bit e possibile indirizzare il comando ad una specifica scheda
di front-end; i valori ammessi per tale campo sono compresi tra 0 e 5 e
precisamente si ha la corrispondenza: f-e 0 = bit0,...,f-e 5 = bit5.
Il comando Front End Clear e utilizzato per effettuare il reset hardware
contemporaneo delle 6 schede di front-end.
Il sistema per la misura del tempo di volo 65
Il comando Front End Reset ha la stessa funzione del precedente, ma
con differente modalita di attuazione. In questo caso il comando e seguito
da un ulteriore byte (di valore pari a C0) che costituisce il comando vero e
proprio da trasmettere alla sola scheda di front-end selezionata dal campo
FE ID. La sintassi del comando e dunque la seguente:
Il comando Write PMT permette, invece, di impostare le soglie dei
fotomoltiplicatori. In tal caso occorre inviare il codice operativo come in
tabella, l’indirizzo del front-end da impostare, il comando vero e proprio ed
infine i valori a cui si vogliono impostare le soglie (byte 2÷5):
Infine abbiamo il comando Front End AQ che consente di effettuare
l’acquisizione dati dalle schede di front-end. Ancora una volta il campo
variabile del comando consente di selezionere da quale delle 6 schede si vuole
effettuare l’acquisizione, mentre, un ulteriore byte consente di scegliere tra i
dati forniti dal TDC1 (tempo di volo) o quelli del TDC2 (misura di carica).
La sintassi del comando e la seguente:
Quando una scheda di front-end riceve il comando di lettura dei dati
acquisiti, essa risponde con un frame di 18 byte che vengono inseriti dalla
66 3.4 - Il modello tecnologico o di terra del ToF
scheda di dsp in un pacchetto la cui struttura e riportata in figura 3.10. Tale
pacchetto e successivamente trasferito alla i-daq, oppure, alla memoria dati
contenuta nel processore DSP a seconda della modalita di funzionamento
selezionata.
La scheda di dsp e in grado di fornire un segnale di busy alla scheda di
trigger in modo da far sapere che il segnale di trigger e stato ricevuto. Tale
segnale viene attivato basso e permane in tale stato fino alla ricezione del
comando di Front End Clear inviato dalla scheda i-daq.
Figura 3.10: Pacchetto dati di risposta dei front end al comando di acquisizione.
Nella pagina successiva e stata riportata una foto ad alta risoluzione delle
3 schede elettroniche del sistema ToF. Precisamente, partendo dall’alto verso
il basso, si vede una rappresentante delle 6 schede di front-end, la scheda di
trigger e la scheda di dsp.
3.4 Il modello tecnologico o di terra del ToF
Progetti sofisticati e complessi come PAMELA prevedono la realizzazione di
un prototipo che emula in dettaglio l’apparato che in seguito verra utilizzato.
Il sistema per la misura del tempo di volo 67
Figura 3.11: Schede elettroniche di front-end,trigger e dsp.
68 3.4 - Il modello tecnologico o di terra del ToF
Precisamente, i prototipi progettati e realizzati, al fine di verificare e svilup-
pare le diverse funzionalita dell’apparato finale, sono molteplici, infatti, per
PAMELA sono stati realizzati:
• modello meccanico e di massa;
• modello termico;
• modello tecnologico o di terra;
• modello di volo.
Il modello tecnologico o di terra e dedicato alla verifica delle compatibilita
software (protocolli di comunicazione e altro) e hardware (cavi, connettori e
altro), nonche a constatare le funzionalita e le potenzialita del sistema. In-
oltre, anche dopo il lancio del satellite tale modello continua ad essere molto
importante, in quanto eventuali anomalie del sistema di volo possono essere
riprodotte in laboratorio in modo da poter essere studiate al fine di trovare
soluzioni da trasferire telemetricamente al sistema orbitante, ed ancora, per
il modello di terra sono previste verifiche mediante fasci di particelle o nuclei
prodotti in ambiente controllato, che costituiscono un importante metodo per
proseguire nella caratterizzazione del sistema. Tale modello, a differenza degli
altri, puo anche essere sostanzialmente diverso nella forma e nella struttura
rispetto alla versione finale. Il modello tecnologico del sistema di misura del
tempo di volo e stato realizzato a Napoli, e per continuare ad essere utilizzato
necessita di un sistema di controllo e gestione che deve risultare sostanzial-
mentene diverso dal sistema PSCU ed i-daq adoperati per PAMELA. Basta
pensare che per il modello di terra, infatti, il flusso di dati non viene trasferito
in memoria di massa tramite telemetria. Lo schema in figura 3.12 fornisce
l’idea del sistema che e stato adottato e che costituisce il presente lavoro di
tesi. Osserviamo in particolare i moduli elettronici che costituiscono il ToF,
cioe le 6 schede di front-end, la scheda di trigger e la scheda dsp (manca una
rappresentazione dei piani scintillatori per completare il sistema), mentre,
in riquadro e possibile osservare il sistema di controllo e gestione, costituito
dal modulo i-daq da me realizzato per utilizzare il personal computer come
Il sistema per la misura del tempo di volo 69
Figura 3.12: Schema a blocchi del sistema elettronico per il sistema di misuradel tempo di volo. Nel riquadro si possono notare l’interfaccia i-daq ed il sistemadi gestione rappresentato dal personal computer.
sistema PSCU di terra. Nel prossimo capitolo viene discusso in dettaglio la
seconda fase del lavoro di tesi, focalizzando l’attenzione sulla progettazione
e la realizzazione dell’interfaccia i-daq e sul software ideato per utilizzare il
personal computer come annello finale della catena di acquisizione.
Capitolo 4
Il progetto del sistema diacquisizione
4.1 Introduzione
Nel seguente capitolo verra focalizzata l’attenzione sul sistema di acquisizione
e controllo del modello tecnologico del ToF, evidenziando gli aspetti piu in-
teressanti e le soluzioni adottate durante la progettazione e la realizzazione.
Lo schema a blocchi in figura 4.1, fornisce una veduta d’insieme dell’elet-
tronica del sistema e della modalita di interconnessione tra le varie schede.
E’ evidente come sia molto importante definire dapprima correttamente il
protocollo di trasmissione dati.
Le schede di trigger e di dsp utilizzano il protocollo di trasmissione seriale
data - strobe, il personal computer e invece in grado di effettuare lo scambio di
dati mediante una scheda di acquisizione pci, orientata alla trasmissione par-
allela dei bit. La scheda i-daq deve dunque provvedere a rendere compatibile
le due differenti modalita di trasmissione dati.
Un secondo aspetto molto importante che si e dovuto affrontare e quello
relativo alla temporizzazione differente con cui i dati vengono trasmessi. In-
fatti, le schede di trigger e dsp inviano i dati impacchettati un treno di byte,
all’interno di una finestra temporale definita da uno start ed uno stop. Tale
pacchetto dovra dunque essere ricevuto dalla i-daq e memorizzato all’interno
di una memoria fifo. Al termine del trasferimento, il pacchetto in memoria
71
72 4.1 - Introduzione
Figura 4.1: Interconnessioni tra le schede elettroniche del sistema di acquisizione.
e suddiviso in singoli byte ed inviato al personal computer rispettando le
specifiche temporali per l’ handshake con la scheda di acquisizione pci.
La gestione dei dati ed il loro trasferimento, rappresenta una mansione
molto importante della i-daq, ma essa si configura all’interno di un piu ampio
insieme di compiti che devono essere svolti, come la configurazione del sistema
affinche si dia l’avvio per l’acquisizione di eventi o la gestione degli allarmi.
E’ stato dunque necessario conferire alla i-daq un aspetto piu flessibile, cioe
essa e stata progettata come automa a stati finiti in grado di interpretare
istruzioni e di effettuare cicli predefiniti per l’esecuzione dei comandi.
Successivamente, e trattato il delicato aspetto della simulazione software
e del collaudo hardware, infatti, l’implementazione della i-daq su dispositivo
fpga e stato ampiamente simulato al calcolatore consentendo cosı di appurare
che tutte le funzionalita logiche fossero rispettate. Parallelamente alla sintesi
del programma i-daq sul dispositivo alloggiato su un’apposita scheda, si e
provveduto alla realizzazione dal software necessario al personal computer
per poter gestire la stessa i-daq e successivamente si e passati al cablaggio
Il progetto del sistema di acquisizione 73
dell’intero sistema ed al suo collaudo.
Di seguito e riportata una breve descrizione dei segnali che interessano in
primo piano l’interfaccia i-daq:
• DATA IN, STROBE IN: segnali per la trasmissione dei dati verso la
i-daq per il protocollo data - strobe
• DATA OUT, STROBE OUT: segnali per la trasmissione dei dati in
uscita dalla i-daq per il protocollo data - strobe
• DSP ALARM∗, TRG ALARM∗: segnali per la comunicazione dello
stato di allarme delle schede di dsp e di trigger. Tali allarmi sono
definiti come ”allarmi esterni”
• I-DAQ BUSY∗: segnale per la comunicazione dello stato di ”occupato”
della i-daq. Assegnando il valore logico basso a tale linea si disabilita
la scheda di trigger per la generazione di trigger d’eventi.
• TRIGGER∗: e il segnale dell’omonima scheda elettronica che indica il
verificarsi di un evento utile
• DATA: bus parallelo ad 8 bit per la trasmissione dei comandi e dei dati
da e verso il personal computer
• OBF∗, ACK∗, STB∗, IBF: segnali per l’handshakee dei dati del bus
parallelo DATA
• RESET: e il reset asincrono gestito tramite il personal computer
• FLAG TRIGGER: e il segnale che comunica al personal computer che
un nuovo evento utile e stato acquisito ed e disponibile attraverso la
lettura dei TDC della scheda di front - end e dei CONTATORI della
scheda di trigger
• READY: indica al personal computer che la i-daq e pronta per ricevere
un nuovo comando
• ALARM: questo segnale indica lo stato di allarme del sistema. Esso
indica sia un allarme di tipo esterno che interno alla i-daq.
74 4.2 - La trasmissione dei dati
4.2 La trasmissione dei dati
Il flusso di dati che la scheda di trigger e di dsp scambiano con la scheda
i-daq aderisce al protocollo di trasmissione seriale data - strobe. Esso risulta
essere conveniente da un punto di vista del consumo di potenza poiche, come
vedremo, non prevede commutazioni simultanee dei segnali presenti sulle
linee DATA e STROBE, permettendo comunque, al dispositivo a valle della
trasmissione, di ricostruire un segnale di clock col quale campionare il segnale
della linea DATA. Per rendere la trasmissione dei segnali elettrici immune da
rumore esterno si e ricorso allo standard lvds.
La scheda di acquisizione pci del personal computer, che consente la co-
municazione con la i-daq, e una interfaccia digitale parallela a 96 bit. Il
trasferimento dei dati tra le schede di trigger e dsp con la scheda i-daq,
avvengono con una velocita dell’ordine di centinaia di nano secondi per byte,
mentre il personal computer gestisce il flusso di dati con una velocita del-
l’ordine di decine di micro secondi per byte. Questa discrepanza di velocita
e dovuta al fatto che il processore del personal computer deve eseguire un
certo numero di cicli macchina per poter gestire la scheda di acquisizione pci.
4.2.1 Codifica e decodifica data-strobe
Incominciamo con il descrivere il protocollo di trasmissione seriale data -
strobe. Tale protocollo utilizza due linee di comunicazione: DATA e STROBE.
La linea DATA trasporta il dato vero e proprio, mentre il segnale STROBE e
utilizzato dal dispositivo ricevitore per produrre il clock seriale con cui cam-
pionare i dati che viaggiano sulla linea DATA. I segnali DATA e STROBE
sono generati in trasmissione in modo tale che il clock ricostruito, DATA xor
STROBE, abbia una frequenza di 10 MHz. Nel caso in cui due bit contigui
trasmessi sulla linea DATA non presentino variazioni, il segnale STROBE
subisce una transizione; nel caso invece in cui due bit contigui trasmessi sulla
linea DATA presentino una variazione, il segnale STROBE rimane inalterato
al valore precedente; il clock con cui il ricevitore campiona la linea DATA
puo essere allora ricostruito mediante lo xor dei segnali DATA e STROBE
(figura 4.2).
Il progetto del sistema di acquisizione 75
Figura 4.2: Protocollo data - strobe.
In condizioni di riposo, i segnali DATA e STROBE si trovano al livello
logico alto e pertanto nel caso in cui il primo bit ad essere trasmesso sia un
1 logico, il segnale di STROBE presentera una transizione da alto a basso
per segnalare l’inizio della trama. Le linee DATA e STROBE verranno poi
riportate nello stato logico di riposo alla fine della trasmissione di ciascun
pacchetto dati, mentre tra un byte ed il successivo (all’interno di un pac-
chetto) manterranno il valore assunto dall’ultimo bit trasmesso. Definito lo
standard data - strobe, si rende necessario stabilire lo start e lo stop del pac-
chetto di dati da trasmettere. Lo start, come da protocollo, e determinato
dalla prima transizione H→L delle linee DATA o STROBE, per determinare
lo stop si congela lo stato delle linee (in corrispondenza dell’ultimo bit da
trasmettere) per un tempo stabilito detto time out, allo scadere del quale, la
trasmissione e considerata conclusa.
Il diagramma temporale di figura 4.3 illustra le convenzioni adottate per
la scheda i-daq. Al termine della trasmissione del pacchetto dati, la i-daq
conserva lo stato delle linee secondo l’ultimo bit per un tempo di 3,2 µs,
tempo sufficientemente lungo per consentire al dispositivo ricevitore di con-
siderare conclusa la trasmissione. Contemporaneamente, la i-daq apre una
76 4.2 - La trasmissione dei dati
Figura 4.3: Convenzioni per il time out della i-daq.
propria ”finestra temporale”, della durata di 25 µs, durante la quale attende
l’eventuale risposta (e questo il tempo detto di time out). La trasmissione
della risposta puo essere ora intervallata da pause non piu lunghe di tale tem-
po, pena la conclusione della ricezione da parte della i-daq. L’inattivita delle
linee DATA e STROBE fornisce il via ad un contatore per il conteggio del
time out ed ogni commutazione di una di queste linee provoca l’azzeramento
del contatore.
E’ importante osservare che la i-daq, cosı come tutte le altre schede del sis-
tema, e stata progettata in modo da risultare sensibile soltanto alla ricezione
di pacchetti dati composti da un byte o multipli di un byte. Tale carat-
teristica consente di escludere bit indesiderati come quelli che sono generati
inevitabilmente quando le linee DATA e STROBE sono riportate nello stato
di riposo. La simultaneita delle transizioni che portano le due linee nello
stato di riposo e puramente teorico, in quanto uno skew dei due segnali e
inevitabile. Per convenienza, verranno indicati con DATA IN e STROBE IN
i segnali in ingresso alla i-daq, e con DATA OUT e STROBE OUT i seg-
nali in uscita. Come si puo notare dallo schematico seguente (figura 4.4),
la codifica dei dati seriali in formato data - strobe richiede l’ausilio di due
ulteriori segnali di controllo quali il PRESET, per tenere alto lo stato delle
linee quando non vi e trasmissione, e l’ENABLE che consente di congelare
l’ultimo bit trasmesso, durante l’attesa dello scadere del time out o tra un
Il progetto del sistema di acquisizione 77
Figura 4.4: Codifica data - strobe.
byte ed il successivo all’interno del pacchetto di dati. Il diagramma timing
mostra la temporizzazione corretta dei segnali PRESET ed ENABLE (figura
4.5). Il segnale SERIAL DATA, che in questo diagramma e composto di 2
gruppi di 4 bit contigui intervallati da un bit fittizio, risulta essere l’uscita
del flip - flop piu significativo di uno shift register.
Il clock della i-daq e stato impostato a 40 MHz (25 ns), dunque per
ottenere un clock ricostruito dai segnali DATA e STROBE di 10 MHz (100
ns) e necessario che lo shift register fornisca un bit ogni 50 ns e che il flip
- flop del segnale di STROBE sia abilitato con una frequenza di 20 MHz
(50 ns). L’azione del segnale ENABLE consente di ”filtrare” i bit fittizi,
infatti, come rappresentato nel diagramma temporale, in corrispondenza del
bit ”pausa” i flip -flop risultano essere disabilitati ( il segnale STROBE non
commuta per asserire la linea DATA in corrispondenza di tale bit).
La scelta di fornire alla i-daq un segnale di clock di 40 MHz e stata nec-
78 4.2 - La trasmissione dei dati
Figura 4.5: Diagramma temporale per il codificatore data - strobe.
essaria perche i segnali DATA e STROBE risultano essere asincroni rispetto
tale segnale di cadenza, conseguentemente, ricevendo tali segnali in modo
che il clock da essi ricostruito risulti di frequenza pari a 10 MHZ, si ha che
il loro corretto campionamento deve essere effettuato con una frequenza di
almeno 20 MHz. Un clock doppio rispetto la frequenza minima accettabile
fornisce dunque un margine di sicurezza piu che sufficiente.
Figura 4.6: Decodifica data - strobe.
La decodifica data - strobe richiede un doppio shift register (figura 4.6).
Il progetto del sistema di acquisizione 79
Figura 4.7: Trasmettitore e ricevitore lvds.
Il segnale DATA IN e campionato sia sui fronti di salita del clock ricostru-
ito, sia sui fronti di discesa o, analogamente, sui fronti di salita del clock
ricostruito: not (DATA IN xor STROBE IN). Nel progettare questo
particolare shift register, e stato considerato che il clock con cui si campiona
la linea DATA IN, e costruito con lo stesso segnale DATA IN, dunque per non
violare il tempo di setup e necessario introdurre un ritardo sufficientemente
lungo.
4.2.2 Lo standard lvds
Per permettere il trasferimento di dati a lunga distanza tra le schede di front-
end, trigger, dsp ed i-daq, si utilizzano dei trasmettitori e ricevitori lvds [44].
Lo standard elettrico di comunicazione lvds (lowe voltage differential signal),
introdotto dalla National Semiconductor, e caratterizzato dai bassi consu-
mi, bassa emissione elettromagnetica ed elevata velocita di trasmissione. Il
trasmettitore lvds consiste in un generatore di corrente (3.5 mA nominali)
che pilota un doppino differenziale con impedenza caratteristica di circa 100
Ω. Il ricevitore presenta un’alta impedenza di ingresso, cosicche la corrente
del trasmettitore passa nella resistenza di terminazione, anch’essa da 100 Ω,
provocando una caduta di tensione ai suoi capi di circa 350 mV che va in
80 4.2 - La trasmissione dei dati
ingresso al ricevitore. Quando il driver commuta, si inverte il verso di per-
correnza della corrente attraverso la resistenza di terminazione, cambiando
cosı lo stato logico del segnale in uscita dal ricevitore (figura 4.7).
Il segnale digitale TTL in ingresso al trasmettitore e trasformato in seg-
nale differenziale lvds, in tal modo esso puo essere trasmesso per distanze di
circa 10 m e riconvertito dal ricevitore di nuovo in segnale TTL, rispettando
lo stato logico del segnale di partenza.
Il vantaggio della trasmissione differenziale risiede nel fatto che se en-
trambi i cavi delle line di trasmissione sono interessati dal medesimo rumore
(rumore di modo comune), allora esso e annullato da ricevitore che vede solo
la differenza di potenziale dei due segnali.
4.2.3 La scheda pci DIO-96
La scheda per bus pci del personal computer, DIO-96 della National Instru-
ments [45], e un’interfaccia digitale a 96 bit paralleli, gestibili sia in input
che output. Essa e costituita da 4 PPI (Programmable Peripheral Interface),
ed ognuna controlla 3 porte ( byte) di input/output, a, b, c. Focalizziamo
l’attenzione sulla PPI A, in quanto le rimanenti B, C, e D prevedono un fun-
zionamento del tutto analogo. Le 3 porte vengono indicate con APa, APb e
APc, ed ognuna costituisce un byte, APx7 ÷ APx0. La porta c prevede un
utilizzo differente a seconda di come la relativa PPI e programmata, infatti,
essa puo essere utilizzata come semplice porta I/O a 8 bit (Modo 0) insieme
alle porte b e c, in modo da costituire un bus asincrono privo di segnali
per l’handshakee, o puo essere utilizzata come segnali per l’handshake per i
rimanenti byte a e b. In tale circostanza, i byte a e b possono essere unidi-
rezionali per l’input o per l’output (Modo 1), o possono essere bidirezionali
(Modo2). I bit della porta che, nel modo 1 e modo 2, non vengono utilizzati
per l’handshake, possono essere utilizzati come linee di stato general purpose
(figura 4.8). La scheda i-daq prevede l’utilizzo di due bus paralleli unidi-
rezionali, ognuno di un byte, per la trasmissione asincrona con handshake
dei dati in ingresso ed in uscita dal personal computer (figura 4.9). Il flusso
di dati dalla i-daq verso il pc e controllato dai segnali STB∗e IBF. Il fronte di
Il progetto del sistema di acquisizione 81
Figura 4.8: Assegnazione dei segnali della porta c della PPI.
Figura 4.9: Segnali per l’handshake.
salita del segnale STB∗ determina l’avvio del campionamento del dato pre-
sente sul bus, e la permanenza nello stato logico alto della linea IBF indica
che il processo di campionamento e in atto. La transizione allo stato logico
basso segnala che il processo di acquisizione e terminato.
Analogamente, il flusso di dati dal pc verso la i-daq e gestito mediante i
segnali OBF∗e ACK∗. I dati pronti nei buffer d’uscita della DIO-96 vengono
segnalati dalla transizione H→L della linea OBF∗, la i-daq puo dunque dare
l’avvio al campionamento delle linee dati, tenendo basso lo stato logico del
segnale ACK∗ e rilasciando tale stato al termine del processo, consentendo
cosı un nuovo ciclo di trasferimento dati (figura (4.10).
82 4.3 - L’interfaccia I-DAQ
Figura 4.10: Temporizzazione dei segnali di handshek.
4.3 L’interfaccia I-DAQ
La scheda i-daq (intermediate - DAQ) costituisce un anello molto importante
del sistema di acquisizione in quanto essa deve consentire alle schede di trigger
e di dsp di poter scambiare dati con il personal computer, configurare il
sistema per avviare l’acquisizione di eventi e gestire eventuali allarmi. Tali
mansioni devono essere svolte dalla i-daq tramite comandi inviati dal personal
computer, dunque, e stato necessario progettare tale componente in modo
che fosse in grado di eseguire dei cicli predefiniti che consentissero la ricezione
del comando, l’interpretazione e l’esecuzione. Ogni comando (figura 4.11) si
compone di 4 byte:
• op. code: tale byte si compone di 3 campi; il primo e composto dal
singolo bit QIN7 ed esso determina (se posto ad 1) se il comando da
eseguire comporta un’eventuale risposta da parte delle schede, compre-
sa un’eventuale risposta da parte della stessa i-daq. Il secondo campo,
composto dal bit QIN6, e utilizzato per il reset della flag di trigger. I
rimanenti bit, QIN5÷QIN0, costituiscono il campo contenete il codice
operativo del comando.
• id. device: tale byte costituisce l’indirizzo del dispositivo con cui si
Il progetto del sistema di acquisizione 83
Figura 4.11: Formato dei comandi per la i-daq.
vuole interagire. Un multiplexer dedicato interconnette direttamente
la i-daq con il dispositivo puntato
• num byte: Questo byte indica l’eventuale numero di byte che si intende
trasmettere alle schede di trigger o di dsp. In tal modo si comunica alla
i-daq il numero di cicli che devono essere compiuti per la trasmissione
di tutti gli n-byte
• crc : il crc e un byte di controllo, esso e confrontato con il byte di crc che
la i-daq calcola in base ad una definita espressione logica booleana ed
utilizzando come argomenti i precedenti byte giunti. Una discrepanza
tra crc inviato e crc calcolato indica un errore di trasmissione.
Il diagramma di flusso (figura 4.12) mostra come la i-daq esegue i co-
mandi dopo la loro interpretazione. La descrizione particolareggiata di come
sono implementati trasmissione/ricezione e acquisizione sara argomento del
prossimo paragrafo, di seguito invece, sara illustrata la gestione degli allarmi.
Il progetto del sistema di acquisizione 85
La i-daq prevede due tipologie di allarmi:
1. allarmi esterni alla i-daq
2. allarmi interni alla i-daq
Gli allarmi esterni provengono dalle schede di trigger o di dsp e la i-
daq provvede, con delle flag dedicate, a segnalare quale dispositivo non sta
funzionando correttamente, in modo da poter inviare la richiesta di lettura
del registro degli allarmi secondo le modalita previste dai dispositivi ai fini
di effettuare una corretta diagnosi.
Gli allarmi interni alla i-daq possono essere di tre tipi:
1. allarme di crc errato
2. allarme di formato dei comandi errato
3. allarme di mancata risposta.
I primi due allarmi possono verificarsi solo al termine della trasmissione e
decodifica del pacchetto di byte di comando per la i-daq. In tale circostanza, il
dispositivo tenta di eseguire il comando in maniera fittizia per poi riportarsi
nello stato di standby, segnalando l’allarme generale. Lo stato di standby
ripristina il corretto funzionamento della i-daq che e cosı in grado di eseguire
un nuovo comando, eventualmente quello di lettura dei registri interni degli
allarmi che consentono una precisa diagnosi, nonche il rientro dell’allarme
generale.
L’allarme di mancata risposta richiede una gestione piu semplice, infatti,
al verificarsi di quest’ultimo, la i-daq si limita a segnalare l’allarme generale,
in attesa di un’eventuale lettura del registro degli allarmi del dispositivo che
non ha risposto.
4.4 Implementazione della i-daq su dispositi-
vo fpga
La i-daq e stata implementata su dispositivo fpga (field programmable gate
array) della Xilinx, precisamente su Spartan II xc2s100 [47]. Tale dispositi-
86 4.4 - Implementazione della i-daq su dispositivo fpga
Figura 4.13: Risorse logiche della Xilinx Spartan II xc2s100.
vo e stato configurato mediante linguaggio di programmazione ad alto livello
quale il VHDL [46]. Tale dispositivo offre prestazioni elevate unita ad un bas-
so costo, inoltre le abbondanti risorse logiche di cui dispone consentono di
poter implementare al meglio tutte le funzionalita richieste alla i-daq, inoltre,
tale dispositivo risulta essere riprogrammabile, poiche durante ogni fase di
start-up il dispositivo legge il programma di configurazione in un’apposita
EPROM esterna, consentendo all’utente di apportare modifiche con estreme
facilita ed e ovvio che in fase di progettazione tale opportunita risulta es-
sere molto importante. La famiglia delle Spartan II possiedono un’ampia
architettura di CLBs (Configurable Logic Blocks) programmabili, circondate
perifericamente da IOBs (Imput/Output Blocks). Sono previste inoltre 4
DLL (Delay-Locked Loops) disposte negli angoli e 2 colonne di blocchi RAM
(figura 4.14). Precisamente la xc2s100 prevede 10 blocchi di memoria RAM,
ognuno di 4096 bit, synchronus dual-portede, cioe ogni blocco prevede due
distinti insiemi di porte di controllo in modo da consentire operazioni di
lettura e scrittura, in distinte locazioni, simultaneamente. E’ comunque pre-
vista la modalita di funzionamento a single-port di ogni blocco e la figura
4.15 mostra i controlli e tutte le possibili configurazioni attuabili.
Nel caso specifico della i-daq e stato necessario configurare due blocchi di
RAM, ognuno avente 512 locazioni da un byte l’una, dunque si ha un data
bus di 8 bit ( DATA< 8 : 0 >) ed un addres da 9 bit (ADDR< 8 : 0 >). Di
seguito e riportata una breve descrizione dei segnali di gestione del blocco
RAM:
• CLK : ogni blocco RAM risulta essere completamente sincrono al seg-
nale di clock
Il progetto del sistema di acquisizione 87
Figura 4.14: Diagramma a blocchi di base per dispositivi della famiglia SpartanII.
• EN : il pin di enable consente di abilitare le operazioni di lettura,
scrittura e reset della memoria, se disabilitata, viene mantenuto
inalterato lo stato precedente delle uscite
• WE : questo pin se attivo consente di effettuare la scrittura nella lo-
cazione di memoria indirizzata dai bit ADDR< 8 : 0 > , disattivo
consente invece l’operazione di lettura
• RST : pin per il reset del byte d’uscita DATA< 7 : 0 >
• ADDR< 8 : 0 > : bus per l’indirizzamento delle locazioni di memoria
• DATA< 7 : 0 > : bus dati.
88 4.4 - Implementazione della i-daq su dispositivo fpga
Figura 4.15: Blocco RAM a singola porta (a, cofigurazioni attuabili (b,diagramma timing (c.
Il progetto della i-daq su fpga e stato concepito sulla base di tre sot-
tosistemi, distinti e con specifiche mansioni, ma capillarmente interconnessi
tra loro ai fini di omogeneizzare l’intero sistema in efficienza e solidita. Tali
sottosistemi sono facilmente individuabili all’interno dello schema a blocchi
(figura 4.16):
1. sistema per l’elaborazione del flusso di dati pc → trigger/dsp
2. sistema per l’elaborazione del flusso di dati trigger/dsp → pc
3. sistema per la gestione degli allarmi.
Il progetto del sistema di acquisizione 89
Figura 4.16: Schema a blocchi della i-daq.
4.4.1 Sistema pc → trigger/dsp
Tale sottosistema e stato concepito per consentire l’acquisizione dei dati/comandi
inviati dal personal computer mediante la scheda pci DIO-96 precedente-
mente descritta, la decodifica del comando e relativa esecuzione.
Il blocco ” DECODIFICA COMANDO E CONTROLLO” e costituito
principalmente da una macchina a stati finiti denominata fsm CDC, il cui
diagramma a bolle, riportato nelle 3 figure (figure 4.17, 4.18, 4.19), ne da
una minuziosa descrizione insieme al diagramma di flusso di figura 4.12.
Tale macchina scandisce le operazioni di acquisizione dati dal pc, gestendo
appunto i segnali di handshakee OBF∗ e ACK∗, dove il segnale NED (acron-
imo di negative edge detector) e lo stato d’uscita di una macchina in grado
di rilevare i fronti di discesa del segnale OBF∗. Inoltre, fornisce i segnali
che determinano il riconoscimento dei primi 4 byte che compongono il co-
90 4.4 - Implementazione della i-daq su dispositivo fpga
Figura 4.17: Macchina a stati finiti CDC - prima parte -.
Il progetto del sistema di acquisizione 91
Figura 4.18: Macchina a stati finiti CDC - seconda parte -.
92 4.4 - Implementazione della i-daq su dispositivo fpga
Figura 4.19: Macchina a stati finiti CDC - terza parte -.
Il progetto del sistema di acquisizione 93
mando (CE OC, CE ID, CE NB e CE CRC). Durante la permanenza dello
stato crc b, la macchina ”decide” l’operazione da eseguire in base allo stato
di segnali di flag precedentemente impostati dal modulo CMD decoder che
consente di interpretare i comandi inviati dal pc. Eventuali errori di crc o di
formato dei comandi vengono codificati e trasmessi al blocco ”GESTIONE
ALLARMI”. Il blocco ”MEMORIA A” contiene anch’esso una macchina a
stati finiti (figura 4.20 ), fsm MEMORY A, per l’implementazione di una
memoria fifo, ed il blocco RAM da 512 locazioni, ognuna composta da un
byte. La macchina consente la memorizzazione di eventuali byte da trasmet-
tere alle schede di trigger o di dsp, puntando le locazioni mediante un con-
tatore sequenziale. Al termine della memorizzazione dei dati, la macchina
consente di registrare il valore della locazione relativo all’ultimo byte, esegue
l’azzeramento del contatore di puntamento e scorre nuovamente la memoria
in modalita di lettura fino all’ultima locazione registrata. L’impiego di una
memoria fifo e resa necessaria della diversa temporizzazione dei protocolli di
comunicazioni.
Il blocco ”ACQUISIZIONE” controlla lo stato delle linee I-DAQ BUSY e
TRIGGER che, come da protocollo illustrato nel capitolo 3, sezione dedicata
alla scheda di trigger, controllano interamente le operazioni di acquisizione
d’evento da parte dei front-end.
4.4.2 Sistema trigger/dsp → pc
Il sistema denominato trigger/dsp → pc e dedicato alla gastione del flusso di
dati da immettere in memoria di massa del personal computer per le analisi
successive.
Il blocco ”GESTORE FLUSSO DATI VERSO IL PC” e necessario in
quanto, nel caso in cui il sistema debba trasferire dati all’esterno prevedendo
una risposta dal dispositivo ricevente, la sezione di controllo invia prevenri-
vamente il codice identificativo del dispositivo al blocco in questione, affinche
esso si prepari a ricevere i dati, aggiungendo il byte per il riconoscimento del
dispositivo che sta rispondendo. Inoltre, esso e necessario per il trasferimento
dei dati interni alla i-daq, cioe per trasferire il contenuto dei registri degli al-
94 4.4 - Implementazione della i-daq su dispositivo fpga
Figura 4.20: Macchina a stati finiti MEMORY A.
96 4.5 - Progettazione del software per il personal computer
larmi interno. Tale blocco e incaricato della segnalazione di mancata risposta
al gestore che codifica l’allarme e restituisce il relativo codice da inviare al
pc.
Il blocco ”MEMORIA B” contiene la macchina a stati finiti fsm MEMO-
RY B (figura 4.21) per la gestione della memoria fifo utilizzata per il flusso di
dati provenienti dalle schede di trigger e di dsp e diretti al personal computer.
Sostanzialmente, questo blocco e molto simile al precedente e differisce per
il fatto che qui e il segnale IBF proveniente dal pc che controlla le operazioni
di lettura dei dati memorizzati.
4.5 Progettazione del software per il personal
computer
Utilizzando le librerie Data Acquisition VI, fornite dalla stessa National In-
struments nel pacchetto software Lab VIEW, e stato possibile configurare
la scheda di acquisizione DIO-96 come strumento virtuale completamente
gestibile tramite software. In tal modo e stato possibile implementare tramite
i tool di sviluppo grafici, sempre in ambiente Lab VIEW, le procedure di con-
figurazione del sistema, l’invio dei comandi di acquisizione e lettura dati e
la gestione degli allarmi. Di seguito sono riportati alcuni esempi di pseudo-
codice relativi alla procedura di configurazione della scheda di trigger, ai cicli
di acquisizione e alla lettura del registro degli allarmi interno alla i-daq.
Configurazione scheda di trigger per inizio acquisizione
Tale procedura consiste nell’invio di 4 pacchetti di dati alla scheda di
trigger (fig 4.22). Osserviamo il primo pacchetto; i primi 4 byte contengono
il codice indispensabile alla i-daq per interpretare il comando che si intende
eseguire. Con riferimento alla figura 4.11, tale array istruisce la i-daq ad
effettuare il trasferimento di 12 byte dati (C0) verso la scheda di trigger
(02) senza attendere risposta (01). I 12 byte inviati contengono, nei prini 5
byte, istruzzioni per la scheda di trigger per effettuare la configurazione della
”maschera dei fotomoltiplicatori” che si intendono utilizzare, mentre, i suc-
cessivi 6 byte, costituiscono l’argomento dell’istruzione, cioe essi esprimono
Il progetto del sistema di acquisizione 97
Figura 4.22: Procedura di configurazione della scheda di trigger per l’avvio delleacquisizioni.
effettivamente quali fotomoltiplicatori mascherare (nell’esempio, FF FF FF
FF FF FF indica che tutti i pmt vengono mascherati). L’ultimo byte (48)
risulta essere il byte di crc.
Procedura di acquisizione
In figura 4.23 viene riportato lo pseudo-codice per effettuare la procedura
di acquisizione dei dati memorizzati nei TDC dopo un evento utile. Prima di
effettuare il ciclo REPEAT viene selezionato il numero di eventi che si inten-
dono acquisire mediante la variabile ′′num−eventi′′ e inizializzata la variabile
di conteggio degli eventi ′′count − eventi′′. Analizziamo ora un singolo ciclo
REPEAT. Inizialmene viene inviato l’array 02 00 00 D6 destinato alla scheda
i-daq, che dispone lo stato della linea I-DAQ BUSY in ”non occupato”. Con-
98 4.5 - Progettazione del software per il personal computer
Figura 4.23: Procedura di acquisizione.
seguentemente, il trigger e abilitato ad attendere una coincidenza dei piani
scintillatori secondo la precedente configurazione selezionata. L’avvenuta co-
incidenza e segnalata al personal computer mediante la ”flag trigger”, il cui
stato ad 1 consente di procedere nell’invio del successivo comando di lettura
dei TDC, di incrementare il numero di eventi di una unita e di effettuare un
controllo degli errori. Nell’eventualita che si verifichi un’ allarme , la variabile
count− eventi viene posta al valore della variabile num− eventi, condizione
che consente l’uscita forzata dal ciclo REPEAT. Seguentemente al control-
lo degli allarmi, si attende che la i-daq si porti nello stato di ”pronto”, cio
avviene quando i TDC sono stati letti e i dati trasferiti nella memoria di mas-
sa del pc. E’ da osservare che la i-daq e stata progettata in modo da riuscire
Il progetto del sistema di acquisizione 99
sempre a riportarsi nello stato di ”pronto”, anche al verificarsi di situazione
di allarme. Dopo aver effettuato il clear dei TDC, il programma controlla
la condizione di uscita dal ciclo, al termine del quale, invia l’istruzione al
trigger di interrompere le acquisizioni.
Lettura del registro degli allarmi
Figura 4.24: Procedura per la lettura del registro degli allarmi della i-daq.
Nella figura 4.24 viene riportata la procedura per la lettura del registro
degli allarmi interno alla i-daq e la legenda degli errori per l’interpretazione
del contenuto del registro.
100 4.6 - Cablaggio e collaudo del sistema
Figura 4.25: Fotografia del prototipo della scheda elettronica i-daq.
4.6 Cablaggio e collaudo del sistema
Il tool di simulazione software utilizzato e ModelSim XE II 5.0c, sviluppa-
to dalla Model Technology in collaborazione con la stessa Xilinx. Con tale
software e stato possibile implementare dispositivi che emulano sia il fun-
zionamanto delle schede di trigger e di dsp, che la scheda di acquisizione
DIO-96. Le simulazioni sono state effettuate in due fasi:
1. simulazioni behavioral
2. simulazioni post place & rout
La prima fase di simulazione segue immediatamente dopo aver realizza-
to la i-daq mediante cad, cioe quando il progetto si presenta ancora sotto
Il progetto del sistema di acquisizione 101
Figura 4.26: Assegnazione della piedinatura per la scheda elettronica i-daq.
forma di ”schematici”. A questo livello si collauda la funzionalita logica
del dispositivo, senza tenere in conto che, realmente stanziati nel cip, gli
elementi elettronici che implementano tale logica sono soggetti a ritardi di
propagazione dei segnali elettrici, nonche a ritardi intrinseci dovuti all’elabo-
razione degli stessi. Si rinvia all’appendice per una descrizione piu dettagliata
dei diagrammi temporali ottenuti durante tale fase di simulazione.
La seconda fase consiste, invece, nel simulare gli schematici dopo che
hanno superato con esito positivo la simulazione ”comportamentale”. Ora si
richiede al cad di generare la ”mappa” di quali elementi elettronici, disponi-
bili all’interno della fpga, saranno realmente utilizzati. In tal modo il software
di simulazione si avvale di ”stime” dei possibili ritardi di interconnessioni e
dichiarando il tipo di logica programmabile che si intende utilizzare, si for-
102 4.6 - Cablaggio e collaudo del sistema
niscono anche i ritardi di risposta che gli elementi elettronici presentano agli
stimoli d’ingresso. Questo livello di simulazione offre anche un dettaglia-
to resoconto delle risorse utilizzate ed una stima attendibile della frequen-
za massima di clock applicabile. Anche per questi dati tecnici si rimanda
all’appendice.
Terminata la simulazione software, si genera il programma di configu-
razione della fpga e si trasferisce in EPROM. In figura 4.25 e riportata un’il-
lustrazione di come si presenta il prototipo dell’interfaccia i-daq. Si puo
notare la sezione di alimentazione della fpga e della memoria EPROM dove
e contenuto il programma di configurazione, ed i connettori per l’ingres-
so/uscita dei dati. Di seguito viene riportata la piedinatura completa (figura
4.26).
4.6.1 Cablaggio
Dopo aver eseguito il flusso di lavoro indispensabile per ottenere l’interfaccia
i-daq su dispositivo fpga, e definita la piedinatura della schada di alloggia-
mento, si e passati al cablaggio del prototipo di sistema elettronico comp-
lessivo per l’acquisizione del telescopio (figura 4.27). Lo schema di figura 4.28
consente una comprensione particolareggiata.
L’utilizzo di 2 schede di front-end connesse alla scheda di dsp e utile per
verificare le procedure di indirizzamento dei 2 dispositivi. E’ da osservare
che i canali dei PMT risultano essere floating, infatti ai fini del collaudo
e sufficiente poter leggere il valore di fondoscala dei TDC e dei contatori,
provando il corretto invio ed esecuzione dei comandi mediante l’utilizzo di
oscilloscopi a campionamento.
La scheda di trigger non risulta connessa direttamente ai front-end poiche
essa e in grado di generare il segnale di trigger mediante esplicita richies-
ta, in qualsiasi momento, purche lo stato degli altri dispositivi sia di ”non
occupato”, secondo procedura.
Il sistema cosı costituito e in grado di eseguire tutti i comandi previsti ed e
dunque pronto per poter essere collaudato. Al termine di tale fase e previsto
l’alloggiamento delle schede elettroniche in un apposito crate provvisto di
Il progetto del sistema di acquisizione 103
Figura 4.27: Fotografia del prototipo del sistema elettronico di acquisizione deltelescopio.
moduli per l’alimentazione, e la connessione dei 48 PMT alle schede di front-
end.
4.6.2 Collaudo
Il collaudo del sistema e stato effettuato mediante oscilloscopi a campiona-
mento della tektronix. Le tracce riportate (figura 4.29)si riferiscono alla
verifica della procedura di richiesta di acquisizione di evento , cioe alla gen-
erazione del segnale di trigger mediante comando diretto e alla trasmissione
del comando di ”clear” per i TDC del front-end. In riferimento al campiona-
mento 1, la traccia di colore verde rappresenta il segnale I-DAQ BUSY∗. Lo
stato logico basso indica che la i-daq e occupata, dunque, la scheda di trigger
non e abilitata a segnalare gli eventi utili per l’acquisizione. Quando lo stato
di tale segnale diventa alto la i-daq e ritenuta ”libera” e, nella circostanza che
anche tutte le altre schede lo siano, la scheda di trigger e pronta a segnala il
primo evento utile acquisito. La segnalazione di eventi utili avviene mediante
104 4.6 - Cablaggio e collaudo del sistema
Figura 4.28: Schema a blocchi del prototipo del sistema elettronico diacquisizione del telescopio.
la propagazione di due segnali di trigger, uno veloce (traccia celeste ed il suo
complementare blue) destinato alla scheda di front-end, ed uno lento (traccia
magenta) destinato alla i-daq. L’arrivo del segnale riporta lo stato della linea
I-DAQ BUSY basso.
Le tracce del campinamento 2 sono un esempio di come vengono trasferiti
i dati in formato data - strobe. In particolare, la traccia magenta rappresenta
il segnale DATA e la traccia verde il segnale STROBE ed e facile interpretare
la stringa di bit 0001 1110, 0010 1101, che si sta inviando, in questo caso,
alla scheda di front end per il ”clear” dei TDC.
Il progetto del sistema di acquisizione 105
Figura 4.29: Procedura di acquisizione di evento (campionamento 1) ed inviocomando front-end clear (campionamento 2).
Capitolo 5
La calibrazione delle schede difront-end
5.1 Introduzione
Conclusa la fase di cablaggio e collaudo del sistema, occorre calibrare le
schede di front-end. Tale operazione risulta essenziale per caratterizzare
l’elettronica ai fini di ottenre importanti parametri di correzione da adottare
per le successive misure su fascio di particelle e nuclei noti.
Di seguito, dunque, e riportata la descrizione della fase di calibrazione
delle soglie dei fotomoltiplicatori e delle sezioni di elettronica dedicate alle
misure temporali e di carica.
5.2 La calibrazione delle soglie dei PMT
Le tensioni di soglia impiegate nei comparatori dedicati ai PMT sono config-
urabili tramite il comando Write PMT, riportato nel paragrafo (3.3.4). La
sintassi di tale comando prevede un codice operativo dell’istruzione e l’indi-
rizzamento del medesimo verso una precisa scheda di front-end. Di seguito,
devono essere inviati ulteriori 8 byte di configurazione delle soglie destinati ad
un DAC preposto per convertire il dato digitale in tensione. Si e dunque pre-
visto di utilizzare i primi 4 byte per selezionare la soglia alta da impostare e,
conseguentemente, di utilizzare i restanti byte per selezionare la soglia bassa.
E’ dunque chiaro a tal punto che si e reso necessario verificare la cor-
107
108 5.2 - La calibrazione delle soglie dei PMT
rispondenza tra i dati binari inviati tramite comando ed il reale valore di
tensione delle soglie che sono applicate ai comparatori.
Tale operazione viene eseguita inviando una serie di comandi di config-
urazione delle soglie con differenti valori dei byte di configurazione ed effet-
tuando, per ognuno di essi, una misura diretta delle tensione che il DAC
preposto fornisce ai comparatori.
Di seguito sono riportati i grafici che riassumono i risultati di tali misure
e che servono, in modo indicativo, a determinare la corrispondenza tra dato
digitale (nell’intervallo decimale corrispondente 0 ÷ 255, per ogni soglia) e
valore di tensione d’uscita del DAC (nell’intervallo 0÷2000mV , per le soglie
alte e 0 ÷ 700mV per le soglie basse).
Figura 5.1: Grafici per le impostazioni delle soglie alte e basse dei comparatori.
La calibrazione delle schede di front-end 109
5.3 La calibrazione della sezione temporale
Il TDC che serve il canale PMT effettua misure di tempo tra il segnale che
lo stesso PMT fornisce ed il segnale di trigger. L’elettronica discussa nel
paragrafo (3.3.2) che realizza tale misura prevede un’andamento lineare tra
il numero di conteggi che il TDC fornisce, indicato con nc, e l’intervallo di
tempo ∆t trascorso tra i due segnali. Precisamente essa risulta:
nc = A0 + α · ∆t (5.1)
dove A0 e una costante che dipende dal particolare TDC in uso e α rappre-
senta il fattore di espansione della rampa di discesa del TDC stesso (espressa
in can/ns). La calibrazione dell’elettronica dedicata alle misure temporali
consiste nel determinare sperimentalmente i parametri A0 ed α.
Figura 5.2: Diagramma temporale per il sistema di misura carica-tempo.
Con riferimento alla figura 5.2, osserviamo che tale verifica sperimentrale
e stata effettuata utilizzando segnali di PMT e segnali di trigger simulati da
un generatore di impulsi Agilent 81130A [48], dove l’IMPULSO 1 rappre-
senta il segnale fornito dal PMT e l’IMPULSO 2 rappresenta il segnale di
trigger. Il generatore di impulsi e in grado di fornire tali segnali a distanza
110 5.3 - La calibrazione della sezione temporale
di tempo variabile (∆t) e con una precisione pari al 0.1% di ∆t. Cambian-
do tale parametro, otteniamo variazioni lineari del tempo di attivazione del
segnale TDC GATE che abilita il TDC al conteggio. Conseguentemente, ef-
fettuando misure ripetute del numero di conteggi nc al variare dell’intervallo
temporale ∆t ed effettuando una regressione lineare di tali dati, si giunge
alla determinazione dei parametri richiesti.
In una prima fase si e deciso di effettuare misure impostando valori di ri-
tardo ∆t compresi nell’intervallo [10÷110]ns con passi di 50ps, ma graficando
le misure ottenute (figura 5.3) si osserva che si ha una fase di saturazione per
∆t > 100ns circa. Infatti, per tali valori di ritardo, la relazione (5.1) non
risulta piu lineare e cio e da attribuire al fatto che la capacita che si carica
e che da luogo alla rampa di fig. 5.2, non e piu in grado di caricarsi linear-
mente. Ovviamente, non tutti i TDC presentano lo stesso limite di linearita
in quanto i valori nominali dei componenti discreti che lo costituiscono vari-
ano all’interno di un intervallo di tolleranza. Conseguentemente, si e operato
un taglio delle misure ottenute per valori di ∆t > 95ns in modo da ottenere
una regressione lineare migliore. E’ da osservare che l’intervallo dei ritardi
[10ns ÷ 95ns] (10ns e il limite inferiore di risoluzione temporale della sezione
analogica del TDC) costituisce un range sufficiente ai fini di conferire all’elet-
tronica del ToF la risoluzione temporale richiesta. Di seguito e riportata la
tabella con i risultati della regressione lineare ed il relativo grafico (figure 5.4
e 5.5) effettuata per la scheda di front-end 1:
CANALE A0 σA0α σα
1 107.0 ±0.3 19.608 ±0.0062 121.2 ±0.3 19.713 ±0.0063 112.4 ±0.3 19.679 ±0.0064 132.8 ±0.3 19.845 ±0.0065 113.9 ±0.3 19.549 ±0.0066 129.0 ±0.3 19.704 ±0.0067 114.9 ±0.3 19.729 ±0.0068 118.3 ±0.3 19.538 ±0.006
Tabella 5.1: Risultati della regressione lineare (sezione di tempo).
La calibrazione delle schede di front-end 111
Figura 5.3: Grafici delle misure di conteggio dei TDC, in funzione dell’ intervallotemporale ∆t .
112 5.3 - La calibrazione della sezione temporale
Figura 5.4: Grafico della regressione lineare effettuata per la calibrazione del-l’elettronica della sezione di tempo, pei i canali CH 1 ÷ CH 4 della scheda difront-end 1.
La calibrazione delle schede di front-end 113
Figura 5.5: Grafico della regressione lineare effettuata per la calibrazione del-l’elettronica della sezione di tempo per i canali CH 6 ÷ CH 8, della scheda difront-end 1.
114 5.4 - La calibrazione della sezione di carica
Figura 5.6: Diagramma temporale per il sistema di misura carica-tempo-carica.
5.4 La calibrazione della sezione di carica
Anche la sezione di elettronica per la misura della carica, discussa nel para-
grafo (3.3.2), come per la sezione di misura del tempo necessiata di un’oper-
azione di calibrazione. In tal caso, la relazione lineare da determinare e tra
il numero di conteggi, nc, forniti da TDC e l’ampiezza del segnale fornito dal
fotomoltiplicatore, indicata con Vpmt:
nc = A0 + β · Vpmt (5.2)
Con riferimento alla figura 5.6, si osserva che la regressione lineare e stata
eseguita effettuando misure del numero nc al variare dell’ampiezza del segnale
IMPULSO, fornito dall’impulsatore e che simula i segnali dei PMT.
Di seguito, come per la sezione di tempo, e riportata la tabella contenete
i risultati ottenuti dalla regressione lineare ed il relativo grafico (figure 5.7 e
5.8), dove si sono ottenuti i parametri A0, dipendenti dal particolare TDC e
sezione analogica dedicata, e β, che rappresenta il fattore di espansione della
scarica del condensatore preposto ad immagazzinare l’ampiezza dell’impulso
fornito dal PMT. Anche in tal caso sono stati riportati i dati relativi alla
scheda di front-end 1.
La calibrazione delle schede di front-end 115
CANALE A0 σA0β σβ
1 26.0 ±1.4 0.589 ±0.0022 23.9 ±1.9 0.578 ±0.0033 26.9 ±1.3 0.585 ±0.0024 28.0 ±1.2 0.596 ±0.0015 25.4 ±1.3 0.585 ±0.0026 25.9 ±1.5 0.588 ±0.0027 22.2 ±2.6 0.585 ±0.0028 27.1 ±1.4 0.589 ±0.002
Tabella 5.2: Risultati della regressione lineare (sezione di carica).
116 5.4 - La calibrazione della sezione di carica
Figura 5.7: Risultati della regressione lineare effettuata per la calibrazione del-l’elettronica della sezione di carica, per i canali CH 1 ÷ CH 4 della scheda difront-end 1.
La calibrazione delle schede di front-end 117
Figura 5.8: Risultati della regressione lineare effettuata per la calibrazione del-l’elettronica della sezione di carica, per i canali CH 5 ÷ CH 8 della scheda difront-end 1.
Conclusioni
L’esperimento Pamela e finalizzato alla misura di spettri delle componenti
di positroni e antiprotoni nei raggi cosmici e alla ricerca di antinuclei con il
particolare intento di individuare eventuali sorgenti primarie di antimateria
nell’universo. L’esperimento verra posto al di fuori dell’atmosfera terrestre,
a bordo di un satellite.
Il gruppo di Napoli, presso il quale ho compiuto il mio lavoro di tesi,
ha proggettato e realizzato uno dei rivelatori dell’apparato, precisamente il
sistema di misura del tempo di volo (comunemente denominato: Time of
Flight).
Tale sistema puo essere suddiviso in due sezioni:
• i piani scintillatori (costituiti dalle strisce di materiale scintillatore,
accoppiate mediante le guide di luce ai fototubi ed il tutto alloggiato
in un’apposita meccanica di contenimento);
• l’elettronica di front-end e di trigger (per la lettura dei segnali forniti
dai fototubi e per generare il trigger dell’intero esperimento).
Il sistema e stato progettato per essere alloggiato a bordo di un satellite ed
il controllo e la gestione e affidata ad un’unita centrale (PSCU ed interfaccia
I-DAQ), in grado di trasferire flussi di dati e ricevere istruzioni tramite un
sistema di telemetria.
Parallelamente al sistema di rivelamento orbitante e stato realizzato un
sistema gemello tecnologoco, attualmente sito nei laboratori del gruppo WiZ-
ard di Napoli. Il mio lavoro di tesi e consistito dunque nella progettazione e
realizzazione di un sistema elettronico-informatico per la gestione e il control-
lo del ToF, costituito da una scheda elettronica per applicazioni full-custom
119
120 Conclusioni
sulla quale e alloggiata una logica programmabile FPGA, configurata in mo-
do da funzionare coma interfaccia tra il sistema ToF ed un personal computer
munito di scheda di acquisizione della National Instruments, gestibile tramite
software in ambiente di sviluppo LabVIEW.
Il flusso di lavoro svolto puo essere cosı riassunto nei seguenti passi:
1. studio dell’elettronica di front-end e di trigger del sistema per la misura
del tempo di volo (specifiche tecniche, protocollo di funzionamento
ecc.);
2. studio delle specifiche tecniche e del protocollo di funzionamento della
scheda di acquisizione dati PCI-DIO-96 della National Instruments ;
3. acquisizione delle competenze necessarie per la programmazione ad al-
to livello delle logiche FPGA (Spartan II xc2s100 della Xilinx), me-
diante linguaggio VHDL ed ambiente di sviluppo integrato ISE 6.0i
per l’esecuzione del flusso di lavoro atto alla configurazione della logica
citata;
4. sviluppo del software non convenzionale in ambiente LabVIEW per la
gestione e controllo del sistema completo;
5. cablaggio e collaudo del sistema completo, acquisizione di un set di
misure e collaborazione per l’analisi dei dati mediante software Root
per la calibrazione dell’elettronica di front-end.
Il sistema descritto e in grado di trasferire dati ad una velocita dell’or-
dine delle decine di microsecondi per byte, una stima precisa e difficile da
effettuare in quanto la National Instruments non rilascia tale specifica per
la propria scheda pci, in quanto, tali prestazioni sono fortemente dipendenti
dal tipo di processore che serve il personal computer su cui e installata.
E’ invece interessante osservare che la realizzazione del prototipo su banco
del sistema descritto dimostra l’estrema versatilita delle logiche programma-
bili FPGA, soprattutto se si considerano gli sviluppi effettuati dalle case
costruttrici di tali dispositivi, sia in termini di velocita (attualmente alcuni
Conclusioni 121
prodotti di punta della Xilinx sono ben al di sopra dei 400 MHz) che in termi-
ni di risorse logiche utilizzabili, grazie anche alle tecniche spinte di incisione
da altissima densita su silicio (la Xilinx produce le recenti FPGA Virtex-4
con tecnologia di fusione a 90 nm). Esse, infatti, sono tali da consentire l’im-
plementazione sullo stesso chip sia della logicha richiesta dal progettista che
di controller USB 2.0 o Ethernet PHY 10/100 (protocolli di trasferimento
dati decisamente piu veloci ed affidabili).
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Elenco delle figure
1.1 Spettro energetico delle principali componenti dei raggi cos-
mici primari [4], nuclei di H, He, C, Fe, in funzione dell’
energia cinetica per nucleone fino ad un valore di circa 106
MeV/nucleone. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
1.2 Disegno schematico della megnetosfera terrestre, con l’effetto
del vento solare. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6
1.3 In figura e schematizzato l’andamento dipolare del campo mag-
netico terrestre. A e B sono due direzioni di provenienza pos-
sibili della particella. A rappresenta la particella incidente al
polo: la sua velocita e parallela al campo geomagnetico e quin-
di subira una deflessione trascurabile. B rappresenta invece la
particella incidente, avente traiettoria nel piano dell’equatore,
con velocita ortogonale al campo magnetico e quindi massima
deflessione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8
1.4 Abbondanza relativa al Silicio degli elementi dall’Elio al Nichel
nei raggi cosmici incidenti sulla Terra (pallini) e per gli elemen-
ti del Sistema Solare (stelline). . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9
1.5 Schema proposto da Fisk per spiegare lorigine dei raggi cosmici
anomali [12]. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
127
128 Elenco delle figure
1.6 In figura e rappresentato a sinistra il flusso di antiprotoni in
funzione dell’energia cinetica e a destra il rapporto tra il fusso
di antiprotoni e quello di protoni. In entrambi i grafici e sta-
to riportato anche l’intervallo di energia in cui l’esperimento
PAMELA e in grado di operare e le curve continue rappresen-
tano la predizione per la sola produzione secondaria nel mezzo
interstellare [13]. I dati riportati sono relativi ai seguenti es-
perimenti: quelli di Golden nel ’79 e nell’84 [9, 14], Buffington
nell’81 [15], quelli di Bogomolov nel ’79, ’87, ’90, ’03 [10, 16,
17, 18], LEAP87 [19], PBAR 87 [20], MASS 91 [21], IMAX
92 [22], CAPRICE 94 [23], CAPRICE98 [13], HEAT-pbar 00
[24], BESS 93, BESS 95+97, BESS 99 e BESS 00 [25, 26, 27]. 16
1.7 In figura e rappresentato il tasso di produzione degli antipro-
toni in funzione dell’energia cinetica per interazione con il mez-
zo interstellare. A e B sono due possibili parametrizzazioni
del flusso di protoni. Si osserva che in entrambi i casi la for-
ma spettrale e la stessa con un massimo intorno a 2 GeV, ma
il tasso di produzione puo variare anche del 50% al variare
del tipo di parametrizzazione. La diminuzione a basse energie
dipende dalla riduzione della sezione d’urto di produzione di
antiprotoni, mentre ad alte energie dipende dalla riduzione del
usso dei raggi cosmici. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17
1.8 In figura sono riportate le misure del flusso di positroni fatte
negli ultimi anni da esperimenti su pallone. La curva rap-
presenta l’andamento dello spettro nell’ipotesi di produzione
secondaria e i dati riportati sono relativi a: Golden ’87 [30],
Muller and Tang ’87 [31], MASS 89 [32], MASS91 [33], TRAMP
93 [34], AESOP 94 [35], CAPRICE 94 e 98 [36, 37], HEAT 94
e 95 [38]. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20
2.1 Schema del satellite Resurse-DK1. In rosso e possibile osser-
vare il container che alloggia l’apparato PAMELA . . . . . . . 25
2.2 Veduta prospettica del telescopio PAMELA. . . . . . . . . . . 27
Elenco delle figure 129
2.3 Veduta dei 3 piani scintillatori S1, S2 ed S3. . . . . . . . . . . 29
2.4 Il piano a scintillatori S3. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30
2.5 Sensore al silicio del sistema tracciante (a sinistra) e modulo
del magnete permanente (a destra). . . . . . . . . . . . . . . . 32
2.6 Piani scintillatori per il sistema di anticoincidenza (a sinistra)
e veduta prospettica dell’intero sistema (a destra). . . . . . . . 33
2.7 Fotografia del calorimetro ad immagine di PAMELA. . . . . . 34
2.8 Rivelatore di neutroni. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36
2.9 Il piano a scintillatori S4. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37
2.10 Capacita di discriminazione ottenuta con la combinazione dei
vari sotto-rivelatori in funzione dell’impulso delle particelle. . 38
2.11 Schema di pricipio per una particella in un campo magnetico. 40
2.12 Schema del sistema per il tempo di volo. . . . . . . . . . . . . 41
2.13 Perdita di energia −dEρdx
in funzione del parametro β. . . . . . 45
3.1 Schema a blocchi del sistema PSCU e della I-DAQ di PAMELA. 49
3.2 Uno scintillatore con guida di luce e fotomoltiplicatore del ToF. 52
3.3 Specifiche tecniche dello scintillatore Bicron-404. . . . . . . . . 53
3.4 Schema a blocchi dell’elettronica di front-end. . . . . . . . . . 54
3.5 Diagrammi temporali per il sistema di espansione a doppia
rampa dei TDC. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55
3.6 Diagrammi temporali per il sistema di misura impulso-tempo-
carica. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56
3.7 Proiezioni teoriche della frequenza di trigger in configurazione
1. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58
3.8 Proiezioni teoriche della frequenza di trigger per i semipiani
S1 e S2. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60
3.9 Proiezioni teoriche della frequenza di trigger. . . . . . . . . . . 61
3.10 Pacchetto dati di risposta dei front end al comando di acqui-
sizione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66
3.11 Schede elettroniche di front-end,trigger e dsp. . . . . . . . . . 67
130 Elenco delle figure
3.12 Schema a blocchi del sistema elettronico per il sistema di
misura del tempo di volo. Nel riquadro si possono notare
l’interfaccia i-daq ed il sistema di gestione rappresentato dal
personal computer. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69
4.1 Interconnessioni tra le schede elettroniche del sistema di ac-
quisizione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72
4.2 Protocollo data - strobe. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75
4.3 Convenzioni per il time out della i-daq. . . . . . . . . . . . . . 76
4.4 Codifica data - strobe. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77
4.5 Diagramma temporale per il codificatore data - strobe. . . . . 78
4.6 Decodifica data - strobe. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 78
4.7 Trasmettitore e ricevitore lvds. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79
4.8 Assegnazione dei segnali della porta c della PPI. . . . . . . . . 81
4.9 Segnali per l’handshake. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81
4.10 Temporizzazione dei segnali di handshek. . . . . . . . . . . . . 82
4.11 Formato dei comandi per la i-daq. . . . . . . . . . . . . . . . . 83
4.12 Diagramma di flusso della i-daq. . . . . . . . . . . . . . . . . . 84
4.13 Risorse logiche della Xilinx Spartan II xc2s100. . . . . . . . . 86
4.14 Diagramma a blocchi di base per dispositivi della famiglia
Spartan II. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87
4.15 Blocco RAM a singola porta (a, cofigurazioni attuabili (b,
diagramma timing (c. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 88
4.16 Schema a blocchi della i-daq. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89
4.17 Macchina a stati finiti CDC - prima parte -. . . . . . . . . . . 90
4.18 Macchina a stati finiti CDC - seconda parte -. . . . . . . . . . 91
4.19 Macchina a stati finiti CDC - terza parte -. . . . . . . . . . . . 92
4.20 Macchina a stati finiti MEMORY A. . . . . . . . . . . . . . . 94
4.21 Macchina a stati finiti MEMORY B. . . . . . . . . . . . . . . 95
4.22 Procedura di configurazione della scheda di trigger per l’avvio
delle acquisizioni. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97
4.23 Procedura di acquisizione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 98
4.24 Procedura per la lettura del registro degli allarmi della i-daq. . 99
Elenco delle figure 131
4.25 Fotografia del prototipo della scheda elettronica i-daq. . . . . . 100
4.26 Assegnazione della piedinatura per la scheda elettronica i-daq. 101
4.27 Fotografia del prototipo del sistema elettronico di acquisizione
del telescopio. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103
4.28 Schema a blocchi del prototipo del sistema elettronico di ac-
quisizione del telescopio. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 104
4.29 Procedura di acquisizione di evento (campionamento 1) ed
invio comando front-end clear (campionamento 2). . . . . . . . 105
5.1 Grafici per le impostazioni delle soglie alte e basse dei com-
paratori. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 108
5.2 Diagramma temporale per il sistema di misura carica-tempo. . 109
5.3 Grafici delle misure di conteggio dei TDC, in funzione dell’
intervallo temporale ∆t . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111
5.4 Grafico della regressione lineare effettuata per la calibrazione
dell’elettronica della sezione di tempo, pei i canali CH 1 ÷ CH
4 della scheda di front-end 1. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 112
5.5 Grafico della regressione lineare effettuata per la calibrazione
dell’elettronica della sezione di tempo per i canali CH 6 ÷ CH
8, della scheda di front-end 1. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113
5.6 Diagramma temporale per il sistema di misura carica-tempo-
carica. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 114
5.7 Risultati della regressione lineare effettuata per la calibrazione
dell’elettronica della sezione di carica, per i canali CH 1 ÷ CH
4 della scheda di front-end 1. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 116
5.8 Risultati della regressione lineare effettuata per la calibrazione
dell’elettronica della sezione di carica, per i canali CH 5 ÷ CH
8 della scheda di front-end 1. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 117