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Universit` a degli Studi di Napoli ”Federico II” Facolt ` a di Scienze MM.FF.NN. Corso di Laurea in Fisica Anno Accademico 2004-2005 Tesi di Laurea Sviluppo e progettazione dell’elettronica di acquisizione per un sistema di tempo di volo, per esperimenti nello spazio. Relatori: Prof. Giancarlo Barbarino Dott. Giuseppe Osteria Candidato: Luca Fiorillo Matr. 07/6288

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Universita degli Studi di Napoli”Federico II”

Facolta di Scienze MM.FF.NN.

Corso di Laurea in Fisica

Anno Accademico 2004-2005

Tesi di Laurea

Sviluppo e progettazionedell’elettronica

di acquisizione per un sistema

di tempo di volo,

per esperimenti nello spazio.

Relatori:

Prof. Giancarlo BarbarinoDott. Giuseppe Osteria

Candidato:

Luca FiorilloMatr. 07/6288

Indice

Introduzione 2

1 I raggi cosmici 3

1.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3

1.2 Composizione e spettro dei raggi cosmici . . . . . . . . . . . . 4

1.3 Metodi sperimentali per la ricerca dei raggi cosmici . . . . . . 9

1.4 Origine dei raggi cosmici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11

1.4.1 Raggi cosmici galattici . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11

1.4.2 Raggi cosmici solari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12

1.4.3 Raggi cosmici anomali o extragalattici . . . . . . . . . 13

1.5 L’antimateria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14

1.5.1 Antiprotoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15

1.5.2 Positroni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19

1.5.3 Antinuclei . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20

2 L’esperimento PAMELA 21

2.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21

2.2 Caratteristiche ed obiettivi dell’esperimento . . . . . . . . . . 22

2.2.1 Le origini di PAMELA . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22

2.2.2 Obiettivi scientifici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24

2.2.3 La missione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25

2.3 L’apparato sperimentale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26

2.3.1 Il sistema per la misura del tempo di volo . . . . . . . 28

2.3.2 Lo spettrometro magnetico . . . . . . . . . . . . . . . . 31

2.3.3 Il sistema di anticoincidenza . . . . . . . . . . . . . . . 32

I

II Indice

2.3.4 Il calorimetro ed il contatore di neutroni . . . . . . . . 33

2.3.5 Il contatore a scintillazione S4 . . . . . . . . . . . . . . 36

2.4 Grandezze misurabili con il sistema di tempo di volo . . . . . 39

2.4.1 La misura dell’impulso . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39

2.4.2 La misura del tempo di volo . . . . . . . . . . . . . . . 41

2.4.3 La carica elettrica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44

3 Il sistema per la misura del tempo di volo 47

3.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47

3.2 L’unita centrale di controllo di PAMELA . . . . . . . . . . . . 48

3.2.1 Il sistema PSCU di PAMELA . . . . . . . . . . . . . . 48

3.2.2 Il sistema I-DAQ di PAMELA . . . . . . . . . . . . . . 50

3.3 Il ToF in dettaglio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51

3.3.1 I contatori a scintillazione . . . . . . . . . . . . . . . . 51

3.3.2 Il sistema di front-end . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53

3.3.3 La scheda di trigger . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56

3.3.4 La scheda dsp . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62

3.4 Il modello tecnologico o di terra del ToF . . . . . . . . . . . . 66

4 Il progetto del sistema di acquisizione 71

4.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71

4.2 La trasmissione dei dati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 74

4.2.1 Codifica e decodifica data-strobe . . . . . . . . . . . . . 74

4.2.2 Lo standard lvds . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79

4.2.3 La scheda pci DIO-96 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80

4.3 L’interfaccia I-DAQ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82

4.4 Implementazione della i-daq su dispositivo fpga . . . . . . . . 85

4.4.1 Sistema pc → trigger/dsp . . . . . . . . . . . . . . . . 89

4.4.2 Sistema trigger/dsp → pc . . . . . . . . . . . . . . . . 93

4.5 Progettazione del software per il personal computer . . . . . . 96

4.6 Cablaggio e collaudo del sistema . . . . . . . . . . . . . . . . . 100

4.6.1 Cablaggio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102

4.6.2 Collaudo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103

Indice III

5 La calibrazione delle schede di front-end 107

5.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 107

5.2 La calibrazione delle soglie dei PMT . . . . . . . . . . . . . . 107

5.3 La calibrazione della sezione temporale . . . . . . . . . . . . . 109

5.4 La calibrazione della sezione di carica . . . . . . . . . . . . . . 114

Conclusioni 123

Bibliografia 131

Elenco delle figure 131

Introduzione

Il presente lavoro di tesi si inserisce nell’ambito dell’esperimento PAMELA

e prevede la progettazione e la realizzazione di un dispositivo elettronico in

grado di interfacciare il modello di terra del sistema di tempo di volo, realiz-

zato dal gruppo di Napoli, ad un personal computer, in modo da consentire

di effettuare il controllo del sistema e l’acquisizione dati.

La scopo di completare un sistema di terra, identico al modello di volo che

verra messo in orbita, e quello di verificare le diverse configurazioni di lavoro

del telescopio, in modo da ottenere indicazioni in tempo reale sul rendimento

e funzionalita, da utilizzare come parametri per il monitoraggio del sistema

gemello orbitante.

L’esperimento PAMELA (da ”a Payload for Antimatter Matter Explo-

ration and Lightnuclei Astrophisics), a cui hanno partecipato membri del

Dipartimento di Fisica dell’Universita di Napoli e della sezione locale dell’Is-

tituto Nazionale di Fisica Nucleare, e parte del programma di cooperazione

italo-russo RIM (Russian Italian Mission).

Attualmente, il sistema di tempo di volo di terra e costituito da tre piani

di scintillatori, ciascuno avente rispettivamente 28, 8 e 12 fotomoltiplicatori,

6 schede di FRONT-END, ciascuna avente 8 canali, una scheda di DSP per

il processing dei dati ed una scheda di TRIGGER. Il mio lavoro di tesi e

consistito nel cablaggio complessivo del sistema e nella progettazione e real-

izzazione di una scheda elettronica, denominata I-DAQ, in grado di gestire

le schede di DSP e TRIGGER mediante personal computer per la lettura e

l’immagazzinamento dei dati in memoria di massa.

Nel primo capitolo sara effettuata un’introduzione ai raggi cosmici ed

alla fisica solare, evidenziando l’interesse che il loro studio ha rivestito e

1

2 Introduzione

riveste tuttora nella ricerca delle origini dell’universo. In particolare, saranno

illustrati i risultati delle misure, effettuati da precedenti esperimenti, sulla

componente di antimateria nei raggi cosmici e le loro implicazioni di carattere

teorico.

Il secondo capitolo sara dedicato alla descrizione delle caratteristiche del-

l’esperimento PAMELA ed agli obiettivi scentifici che si intendono perseguire.

Dunque verra descritto l’apparato sperimentale nelle sue generalita ed il

modo in cui il telescopio sara in grado di effettuare le misure.

Nel terzo capitolo verra analizzato in maggior dettaglio il sistema di tempo

di volo atto a misurare la velocita e la carica delle particelle. Verra introdotto

il modello di terra e seguira quindi una descrizione particolareggiata di tutti

i suoi componenti illustrando il protocollo di funzionamento.

Il quarto capitolo sara invece dedicato alla descrizione delle specifiche

tecnice dell’eletronica del sistema di volo introducendo cosı le problematiche

progettuali della I-DAQ ed il modo in cui sono state affrontate e risolte.

Il quinto capitolo sara dedicato all’illustrazione delle fasi di collaudo dei

sistemi elettronici ed in seguito verrano riportate le metodologie sperimentali

utilizzate per la calibrazione delle schade di front end.

Capitolo 1

I raggi cosmici

1.1 Introduzione

A partire dalla loro scoperta, nel primo decennio del 1900, i raggi cosmici

sono stati un importante mezzo di indagine nell’ambito della fisica subnucle-

are. Dalla loro osservazione a terra furono per esempio scoperti il positrone

(Anderson, 1933 [1]), il muone (Anderson e Neddermeyer, 1937 [2]) e il pione

(Powell e Occhialini, 1947 [3]).

Ancora oggi i raggi cosmici sono oggetto di studio. Essi infatti sono

costituiti da particelle che hanno attraversato il mezzo interstellare e possono

quindi fornire informazioni sulla loro origine, sui meccanismi di propagazione

e in ultima analisi sull’evoluzione della Galassia.

Con lo scopo principale di studiare la componente di antimateria dei raggi

cosmici e stato concepito il progetto PAMELA che si avvale della esperienza

acquisita nei precedenti esperimenti su palloni (in particolare gli esperimenti

della serie MASS e CAPRICE) e in esperimenti prototipo su satellite (in

particolare quelli della serie NINA) per approfondire la conoscenza dei raggi

cosmici. L’aspetto innovativo del progetto PAMELA consiste nel fatto che

un rivelatore di dimensioni macroscopiche e dalle elevate prestazioni venga

collocato su un satellite per misurare i raggi cosmici fuori dall’atmosfera

durante un ampio intervallo di tempo (3 anni). Questo permettera di avere

dati con alta statistica in un grande intervallo di energie.

In questo capitolo vengono illustrate le caratteristiche dei raggi cosmici e

3

4 1.2 - Composizione e spettro dei raggi cosmici

alcune delle problematiche ancora aperte ad essi relative.

1.2 Composizione e spettro dei raggi cosmici

Negli ultimi decenni di studi sui raggi cosmici sono state ottenute numerose

informazioni riguardo la loro composizione e la loro distribuzione in energia.

Essi si distinguono in primari, prodotti direttamente da sorgenti galattiche

o extra-galattiche, e secondari che sono invece prodotti per interazione dei

primari con il mezzo interstellare.

I raggi cosmici primari sono costituiti da particelle cariche e neutre; il 98%

delle particelle cariche e formato da protoni e nuclei e il 2% da elettroni, con

tracce di antimateria (positroni ed antiprotoni). La componente adronica e

costituita per l’87 % da protoni, per il 12 % da nuclei di He e per il restante

1% da nuclei piu pesanti. La parte neutra e formata da neutrini e da fotoni

ad alta energia.

Di essi possiamo misurare:

1. lo spettro energetico;

2. l’abbondanza relativa;

3. la direzione di provenienza.

Uno degli aspetti piu interessanti dei raggi cosmici e il grande intervallo

energetico su cui si estendono. Per studiarne lo spettro, e opportuno ri-

portare in scala logaritmica il flusso differenziale, definito come il numero di

particelle dello stesso tipo che incidono su un elemento di superficie all’inter-

no dell’angolo solido dΩ per unita di tempo, in funzione dell’energia cinetica

per nucleone (figura 1.1). Relativamente a questo grafico possiamo fare le

seguenti osservazioni:

• lo spettro ha un massimo per energie intorno a 500 MeV/nucleone;

• per energie al di sotto di tali valori lo spettro subisce una attenuazione

che dipende dalla modulazione solare. L’attivita solare influisce forte-

mente sull’intensita del flusso di raggi cosmici che arriva a terra, infatti,

I raggi cosmici 5

Figura 1.1: Spettro energetico delle principali componenti dei raggi cosmici pri-mari [4], nuclei di H, He, C, Fe, in funzione dell’ energia cinetica per nucleone finoad un valore di circa 106 MeV/nucleone.

6 1.2 - Composizione e spettro dei raggi cosmici

nella corona solare, l’alta temperatura consente a far si che parte del

gas ionizzato che la riveste acquista energia cinetica tale da sfuggire

all’attrazione gravitazionale venendo diffusa nell’universo sotto forma

del cosı detto vento solare. Tale flusso investe la Terra deformandone

il campo magnetico proprio di dipolo e tale interazione risulta piu de-

terminante in quelle regioni in cui il campo magnetico terrestre risulta

piu debole, conferendo cosı alla magnetosfera la classica forma di goc-

cia allungata (fig.1.2). Tale fenomeno innesca dunque un complesso

meccanismo di interazione con i raggi cosmici, secondo il quale si ver-

ifica un’attenuazione del flusso a piu bassa energia. L’attivita solare

non e pero costante, conseguentemente, l’intensita del flusso e massima

quando la produzione di vento solare e al suo minimo e viceversa;

Figura 1.2: Disegno schematico della megnetosfera terrestre, con l’effetto delvento solare.

• per energie maggiori di 1 GeV/nucleone, fino a circa 3×107 eV/nucleone

lo spettro delle varie componenti dei raggi cosmici viene ben rappre-

sentato da una legge di potenza [4]:

dN

dE= KE−α

I raggi cosmici 7

dove E e l’energia cinetica per nucleone e α varia tra 2.5 e 2.7.

Il flusso dei raggi cosmici che arriva sulla Terra dipende anche dalla latitu-

dine di incidenza. La Terra presenta un campo magnetico con un andamento

in prima approssimazione dipolare. Quando una particella si avvicina alla

Terra, viene deviata a causa della forza di Lorentz che, nelle unita del Sistema

Internazionale, e data da:

−→F = Ze(−→v ×

−→B )

dove Ze e −→v sono rispettivamente carica e velocita della particella incidente

e B e il campo magnetico terrestre. L’intensita della forza di Lorentz cam-

bia a seconda della latitudine magnetica; infatti, per una particella incidente

perpendicolarmente alla superficie terrestre in prossimita dei poli−→F e prati-

camente nulla perche il campo magnetico e parallelo alla velocita, mentre,

per una particella con traiettoria gicente nel piano equatoriale,−→F e massima

perche velocita e campo sono ortogonali e quindi la particella viene devia-

ta maggiormente (figura 1.3). Tale effetto e tanto piu importante quanto

piu bassa e l’energia della particella. Questo fenomeno e detto taglio geo-

magnetico e, combinato con la modulazione solare, fa sı che l’intensita dello

spettro dei raggi cosmici dipenda dalla latitudine terrestre e dal momento

dell’osservazione.

La misura dell’abbondanza relativa degli elementi contenuti nei raggi cos-

mici, costituisce un potente mezzo di indagine sui meccanismi di produzione,

di accelerazione e di propagazione, e sulla materia attraversata dai raggi cos-

mici stessi. Di seguito, in figura 1.4, sono riportate le abbondanze relative

al silicio degli elementi nei raggi cosmici e nel sistema solare in funzione del

numero atomico. Oltre all’effetto pari-dispari per cui gli elementi con un

numero atomico pari sono piu abbondanti a causa della maggiore energia

di separazione, cioe dell’energia minima da fornire al nucleo per estrarre un

neutrone, si osservano anche le seguenti caratteristiche:

1. l’abbondanza relativa degli elementi con Z > 1 rispetto ai protoni e

generalmente maggiore nei raggi cosmici; la causa di questa differenza

non e ancora ben chiara;

8 1.2 - Composizione e spettro dei raggi cosmici

Figura 1.3: In figura e schematizzato l’andamento dipolare del campo magneti-co terrestre. A e B sono due direzioni di provenienza possibili della particella.A rappresenta la particella incidente al polo: la sua velocita e parallela al cam-po geomagnetico e quindi subira una deflessione trascurabile. B rappresenta in-vece la particella incidente, avente traiettoria nel piano dell’equatore, con velocitaortogonale al campo magnetico e quindi massima deflessione.

2. ci sono due gruppi di elementi Li, Be, B e Sc, Ti, V, Cr e Mn, che

sono piu abbondanti nei raggi cosmici rispetto a quelli solari. Questo

fa pensare che tali elementi non vengano prodotti per nucleosintesi ma

per frammentazione dei nuclei piu pesanti quali C, N, O e Fe. Dalla

misura della quantita di questi elementi si puo risalire alla quantita

media di materia attraversata dai raggi cosmici fino a terra che risulta

circa uguale a 10 g/cm2 [5].

Per quanto riguarda l’origine dei raggi cosmici, l’ipotesi piu accreditata e che

la maggior parte di essi venga prodotta nella fase di nucleosintesi di stelle

I raggi cosmici 9

Figura 1.4: Abbondanza relativa al Silicio degli elementi dall’Elio al Nichel neiraggi cosmici incidenti sulla Terra (pallini) e per gli elementi del Sistema Solare(stelline).

con massa almeno dieci volte maggiore di quella del Sole e poi accelerata in

seguito alla loro esplosioni nella fase di supernova.

1.3 Metodi sperimentali per la ricerca dei rag-

gi cosmici

L’intensita dei raggi cosmici, come visto, assume valori molto diversi e ne-

cessita di conseguenza di tecniche di misura sperimentale diversificate tra

loro. Fino ad energie dell’ordine di 100 TeV, la radiazione cosmica primaria

viene investigata mediante rivelatori posti su pallone in alta quota o a bordo

di satelliti, ovvero prima della sua interazione con l’atmosfera. Tale tecnica

10 1.3 - Metodi sperimentali per la ricerca dei raggi cosmici

di indagine diretta, non risulta piu particolarmente efficace per energie al

di sopra dei 100 TeV, in quanto, per tali valori energetici, si hanno valori

relativamente bassi del flusso e conseguentemente non si e in grado piu di

ottenere risultati con buona statistica, dilatando notevolmente i tempi di ac-

quisizione. Quindi, i raggi cosmici primari ad energie superiori ai 100 TeV

non vengono investigati direttamente ma mediante grossi apparati di scia-

mi che campionano i raggi cosmici secondari, prodotti dall’interazione dei

primari con l’atmosfera.

La radiazione cosmica primaria che possiede energia al di sopra dei 100

TeV circa e in grado di interagire con l’atmosfera terrestre producendo grandi

sciami atmosferici estesi denominati EAS (Exstensive Atmospheric Shower).

Infatti, l’atmosfera si comporta come un grosso calorimetro di densita vari-

abile. Man mano che un primario penetra al suo interno, perde energia

nella produzione di altre particelle dando luogo ad un fenomeno a cascata.

Un tale sviluppo dello sciame prosegue fino a che in media l’energia per-

sa per ionizzazione da parte delle particelle prodotte diviene confrontabile

con quella persa nella produzione della successiva generazione di particelle.

A partire da questo punto, dove lo sciame ha raggiunto il massimo del suo

sviluppo, il numero di particelle prodotte ad ogni generazione diminuisce fino

ad annullarsi. Per lo studio di tali radiazioni si applica dunque una misura

indiretta, cioe la misura della grandezza fisica in esame viene rimandata a

quella di altre grandezze fisiche legate alla grandezza originaria mediante una

relazione funzionale.

Le tecniche di misura diretta consistono nel rivelare i raggi cosmici prima

che la loro interazione con i nuclei dell’atmosfera possa modificarne le carat-

teristiche. In particolare, le radiazioni al disotto dei 10 TeV sono rilevabili

solo in quota con palloni o satelliti peche i loro sciami ed i relativi effetti

vengono interamente assorbiti dall’atmosfera terrestre.

Come precedentemente detto, i limiti di osservazione sono dati dal cut-

off geomagnetico e, se la rilevazione ha luogo mediante palloni alla cui quota

risulta ancora uno spessore residuo di atmosfera, da un cut-off atmosferico

addizionale. La componente di energia piu bassa e, inoltre, influenzata dalla

modulazione del vento solare presentando una forte variabilita.

I raggi cosmici 11

L’esperimento PAMELA (da a Payload for Antimatter-Matter Explo-

ration and Light nuclei Astrophisics) ha come obiettivo la ricerca e lo studio

della materia e dell’antimateria presente nei raggi cosmici da una parte e la

fisica del Sole dall’altra. Tale apparato, che verra ampiamente descritto nel

prossimo capitolo, verra masso in orbita a bordo di un satellite, coseguente-

mente esso effettuera misure dirette di radiazione cosmica primaria. Prima

di proseguire nella descrizione dell’apparato sperimentale e nel lavoro di tesi

svolto nell’ambito di tale esperimento e d’obbligo fornire ancora qualche in-

formazione sull’origine dei raggi cosmici, e sulla componente di antimateria

in essi contenuta.

1.4 Origine dei raggi cosmici

Fino a questo punto i raggi cosmici sono stati trattati senza considerare la

loro provenienza. Puo pero risultare interessante dare uno sguardo, seppur

superficiale, all’origine di questi flussi di particelle e tentare di compierne

una classificazione. In base a questo criterio i raggi cosmici possono essere

suddivisi in tre categorie:

1. raggi cosmici galattici;

2. raggi cosmici solari;

3. raggi cosmici anomali;

1.4.1 Raggi cosmici galattici

I raggi cosmici galattici sono le particelle che raggiungono la Terra con

maggiore frequenza risultando i piu abbondanti attorno al nostro pianeta.

Riguardo al luogo di produzione sono stati elaborati diversi modelli teori-

ci che collocano la loro origine molto al di fuori del sistema solare. Per

questo motivo lo studio di tali flussi di particelle risulta interessante anche

per ricevere informazioni in merito alla natura della materia da essi incontra-

ta. Viene stimato che la materia attraversata ha una densita di circa 5 ÷ 10

g/cm2 e considerando che la densita media del mezzo interstellare e di circa

12 1.4 - Origine dei raggi cosmici

1 nucleone/cm3 si puo dedurre che queste particelle hanno viaggiato per una

distanza dell’ordine di un megaparsec. Considerando che il disco galattico

ha uno spessore 1000 volte piu piccolo si puo dedurre che le particelle risul-

tano confinate nel campo magnetico galattico per un tempo di circa 107 anni

prima di sfuggire all’esterno della galassia.

Nei raggi cosmici galattici sono presenti gli isotopi stabili di idrogeno ed

elio: 1H, 2H, 3He, 4He; ma nonostante essi siano stati i primi nuclei rivelati

nella radiazione proveniente dal cosmo, ancora oggi le abbondanze relative

sono conosciute in intervalli di energia limitati. Si ritiene che gli isotopi piu

rari (2H ed 3He) siano prodotti secondari del processo di frammentazione

dell’ 4He e dei nuclei piu pesanti. La loro abbondanza e dunque riconducibile

alla quantita di materia attraversata nel percorso dalle sorgenti cosmiche

fino a noi, alle sezioni durto di produzione di 2H ed 3He ed alla modalita di

propagazione dei raggi cosmici nella Galassia.

In particolare la misura dei rapporti 3He/4He e 2H/4He risulta di partico-

lare interesse proprio per lo studio della dinamica di propagazione dei raggi

cosmici.

1.4.2 Raggi cosmici solari

I raggi cosmici solari (SCR) o particelle solari energetiche (SEP) sono il

risultato dell’attivita solare. Esse consistono in un flusso di particelle emesso

dalle superfici attive del Sole. Tali particelle vengono emesse in periodi di

intensa attivita solare in concomitanza con fenomeni quali brillamenti (flares)

ed eruzioni coronali e si sovrappongono alle particelle del vento solare. Lo

spettro di emissione dei SEP risulta facilmente distinguibile dal vento solare a

causa dello spettro di emissione delle particelle che si estende alle alte energie

raggiungendo centinaia di MeV/nucleone e a causa di un intenso rilascio di

radiazione X e γ.

I brillamenti solari furono osservati per la prima volta da Carrigton e

Hodgson nel 1859 e consistono in violente espulsioni di materia che possono

raggiungere una densita media per flare di 1022 particelle su m3 ed un emis-

sione totale di energia compresa tra i 1022 e 1025 J. La durata di un singolo

I raggi cosmici 13

Figura 1.5: Schema proposto da Fisk per spiegare lorigine dei raggi cosmicianomali [12].

brillamento e variabile da alcuni minuti a parecchie ore, mentre la loro fre-

quenza e correlata alle fasi di attivita solare e quindi al numero di macchie

presenti sulla superficie. Generalmente la classificazione dei flares avviene

riferendosi all’intensita ed alla durata delle emissioni X: si distinguono flares

graduali caratterizzati da un lungo rilascio di raggi X e flares impulsivi in

cui le emissioni X sono piu brevi e vengono accompagnate dall’emissione di

elettroni e nuclei pesanti.

Le eruzioni coronali sono violente espulsioni di materia proveniente dalla

corona e sono ritenute la causa principale dell’accelerazione delle particelle

solari. Spesso, ma non sempre, questi fenomeni si accompagnano ai flares

graduali e sono caratterizzati dall’espulsione di protoni e nuclei di He.

1.4.3 Raggi cosmici anomali o extragalattici

La componente anomala dei raggi cosmici fu scoperta per la prima volta

nel 1972 osservando un aumento del flusso differenziale per alcuni elementi

come 4He, N e O. Il modello piu accreditato per spiegarne l’origine e quello

elaborato da Fisk.

14 1.5 - L’antimateria

Secondo tale modello, rappresentato schematicamente in figura 1.5, ato-

mi neutri entrano nel Sistema Solare (a causa del moto rispetto al mezzo

interstellare) e vengono ionizzati singolarmente da radiazione ultravioletta o

da interazione con i protoni a bassa energia del Vento Solare.

Una volta ionizzate tali particelle vengono trasportate dal Vento Solare

al limite dell’eliosfera dove subiscono un’accelerazione secondo meccanismi

non ancora chiari. Le particelle raggiungono in questo modo energia pari

a qualche decina di MeV/nucleone. Una parte di questi nuclei accelerati

ritorna verso l’interno del sistema solare e viene modulata come accade per

la componente galattica. La differenza nell’intensita rispetto ai raggi cosmici

galattici e dovuta alla singola ionizzazione degli atomi anomali: avendo carica

piu bassa rispetto alle particelle galattiche essi riescono a penetrare piu in

profondita nella magnetosfera terrestre.

1.5 L’antimateria

Il concetto di antiparticella fu proposto per la prima volta nel 1928 da Dirac

[6, 7] che postulo l’esistenza di una particella con le stesse caratteristiche

dell’elettrone ma con carica elettrica di segno opposto. Dopo pochi anni

Anderson [1, 8] trovo nei raggi cosmici la particella ipotizzata da Dirac.

Alla fine degli anni ’70 in due esperimenti distinti, Golden [9] e Bogomolov

[10] scoprirono nei raggi cosmici l’antiprotone che era gia stato osservato nel

1955 in laboratorio da Chamberlain e Segre [11]. Di seguito, ne sorse una

questione fondamentale: assumendo che le condizioni iniziali dell’Universo

fossero simmetriche, come mai ora si osserva un Universo apparentemente

composto solo da materia e quindi asimmetrico? Per giustificare questa at-

tuale apparente asimmetria sono state formulate durante gli anni varie ipotesi

che possono essere riassunte in due modelli:

1. Modello asimmetrico in cui si ipotizza un meccanismo di rottura

della simmetria originale. Nel 1967 Sakharov [12] individuo 3 condizioni

necessarie perche tale asimmetria possa svilupparsi:

I raggi cosmici 15

• non equilibrio termodinamico: condizione soddisfatta da un Uni-

verso in espansione come il nostro;

• violazione di C (verificata nei decadimenti deboli per esempio del

pione) e di CP (scoperta nei decadimenti di K e K);

• non conservazione del numero barionico (tale ipotesi e ancora da

verificare sperimentalmente);

2. Modello simmetrico che ipotizza l’esistenza di dominii di materia

ed antimateria separati per cui si avrebbe una asimmetria solo lo-

cale. A supporto di questa ipotesi bisogna introdurre dei meccanismi

di separazione tra le regioni di materia e antimateria per giustificare la

mancata annichilazione;

Lo studio dell’antimateria nei raggi cosmici, in particolare degli antipro-

toni e degli antinuclei, potrebbe confermare o meno i modelli fino ad ora

ipotizzati. Infatti, confrontando la forma dello spettro misurato con quel-

lo previsto teoricamente, sara forse possibile risalire all’origine galattica o

extragalattica della componente di antimateria nei raggi cosmici.

1.5.1 Antiprotoni

Gli antiprotoni vennero osservati per la prima volta nei raggi cosmici alla fine

degli anni ’70 in due esperimenti diversi da Golden [9] e da Bogomolov [10]

da cui risulto un eccesso della frazione di antiprotoni rispetto alla quantita

ipotizzata per produzione secondaria.

Questa ipotesi di eccesso e stata poi ridimensionata dalle successive e piu

recenti misure. L’unico meccanismo di produzione attualmente accreditato

per gli antiprotoni e quello secondario dovuto all’interazione dei protoni (e

dei nuclei) dei raggi cosmici con il mezzo interstellare secondo una reazione

del tipo:

p + p = p + X

La situazione attuale per la misura del flusso di antiprotoni e quella rap-

presentata in figura 1.6 dove sono riportati i risultati sperimentali ottenuti

16 1.5 - L’antimateria

Figura 1.6: In figura e rappresentato a sinistra il flusso di antiprotoni in funzionedell’energia cinetica e a destra il rapporto tra il fusso di antiprotoni e quello diprotoni. In entrambi i grafici e stato riportato anche l’intervallo di energia in cuil’esperimento PAMELA e in grado di operare e le curve continue rappresentanola predizione per la sola produzione secondaria nel mezzo interstellare [13]. I datiriportati sono relativi ai seguenti esperimenti: quelli di Golden nel ’79 e nell’84 [9,14], Buffington nell’81 [15], quelli di Bogomolov nel ’79, ’87, ’90, ’03 [10, 16, 17,18], LEAP87 [19], PBAR 87 [20], MASS 91 [21], IMAX 92 [22], CAPRICE 94 [23],CAPRICE98 [13], HEAT-pbar 00 [24], BESS 93, BESS 95+97, BESS 99 e BESS00 [25, 26, 27].

per gli antiprotoni e per il rapporto antiprotoni/protoni tramite esperimenti

su pallone. Gli errori molto grandi, soprattutto ad alta energia, dipendono

dalla bassa statistica degli eventi, dovuta alla breve durata della presa dati.

Le curve continue rappresentano le previsioni teoriche per la sola produzione

secondaria. In entrambi i casi si puo osservare come l’esperimento PAMELA,

che viene descritto in dettaglio nel prossimo capitolo, sia in grado di esten-

dere l’intervallo di energie misurabili fino a valori mai ottenuti con le misure

su palloni aerostatici. Inoltre, data la lunga durata dell’esperimento, la sta-

tistica sara elevata anche ad alte energie permettendo cosı di ridurre l’errore

sui punti sperimentali.

Per valutare la produzione secondaria, sono state usate varie parametriz-

I raggi cosmici 17

Figura 1.7: In figura e rappresentato il tasso di produzione degli antiprotoni infunzione dell’energia cinetica per interazione con il mezzo interstellare. A e B sonodue possibili parametrizzazioni del flusso di protoni. Si osserva che in entrambi icasi la forma spettrale e la stessa con un massimo intorno a 2 GeV, ma il tassodi produzione puo variare anche del 50% al variare del tipo di parametrizzazione.La diminuzione a basse energie dipende dalla riduzione della sezione d’urto diproduzione di antiprotoni, mentre ad alte energie dipende dalla riduzione del ussodei raggi cosmici.

zazioni della sezione d’urto relative alla reazione precedente [28, 29]. La

sorgente secondaria di antiprotoni puo essere valutata secondo l’integrale

[28]:

Qp(E) = 4πη

∫Jp(E

′)dσ(E, E ′)

dEdE ′

che fornisce il numero di antiprotoni prodotti per unita di volume, di tem-

po e di energia per interazione dei raggi cosmici con il mezzo interstellare.

Nell’equazione, Jp(E′) e il flusso di protoni nel mezzo interstellare, η e un

fattore numerico che tiene conto della composizione del mezzo interstellare e

dei raggi cosmici. La quantita dσ(E, E ′) rappresenta la sezione d’urto per la

18 1.5 - L’antimateria

produzione di un antiprotone con energia compresa tra E ed E+dE quando

il protone incidente ha una energia E ′

In figura 1.7 e riportato l’andamento di Qp(E) in funzione dell’energia

cinetica, per due diverse parametrizzazioni del flusso primario di protoni.

L’energia di soglia per la produzione di antiprotoni e di circa 5.7 GeV, tut-

tavia la probabilita di produzione diventa apprezzabile solo oltre i 10 GeV.

E da notare che il flusso di protoni che genera antiprotoni per produzione

secondaria e un flusso demodulato in quanto la modulazione solare ha ef-

fetto per energie inferiori a 1 GeV, minori quindi della soglia di produzione

di antiprotoni. Qp(E) rappresenta la sorgente di antiprotoni diffusa in tut-

ta la Galassia e, tramite i processi di propagazione, da origine agli spettri

calcolati riportati in figura 1.6. Confrontando questi grafci si puo osservare

come la forma spettrale della sorgente viene riprodotta anche nell’andamen-

to del flusso di antiprotoni. Al di la della validita o meno di queste ipotesi,

risulta evidente come lo studio della componente di antiprotoni nei raggi

cosmici dia la possibilita di verificare ipotesi che riguardano sia la teoria

delle particelle elementari sia la cosmologia. Ognuna delle sorgenti primarie

che sono state ipotizzate dai vari modelli, produce uno spettro di antipro-

toni caratteristico della sorgente stessa, pertanto una misura dello spettro

di antiprotoni, eseguita con sufficiente precisione e in un ampio intervallo di

energie, puo fornire informazioni sul tipo di sorgenti che lo hanno generato.

A basse energie la presenza di una eventuale sorgente primaria sarebbe ben

individuabile a causa della soglia cinematica a 5.7 GeV per la produzione

secondaria di antiprotoni. Per energie maggiori, un eventuale eccesso di an-

tiprotoni rispetto alla produzione secondaria potrebbe indicare la presenza di

sorgenti primarie. Infatti, numerosi studi hanno confermato che la materia

luminosa, ovvero la materia visibile, sia solo una piccola parte della materia

che costituisce l’universo. Si e ipotizzato quindi la presenza della cosiddetta

materia oscura composta anche da particelle con massa elevata e debolmente

interagenti dette WIMP (Weak Interacting Massive Particles). Tra i candi-

dati piu accreditati ad appartenere a questa classe di particelle ci sono quelle

previste dalla teoria della super simmetria. Questa teoria, nata per risolvere

i limiti del Modello Standard, prevede che per ogni particella fondamen-

I raggi cosmici 19

tale conosciuta ne esista una supersimmetrica. Secondo la supersimmetria

la particella piu leggera e stabile sarebbe il neutralino χ. L’annichilazione

del neutralino, ottenuta dalla reazione χχ → p + p, sarebbe una possibile

altra sorgente di produzione di antiprotoni secondari. In conclusione questi

modelli prevedono delle sostanziali differenze nel flusso di antiprotoni di alta

energia rispetto a quelli attesi dai meccanismi di produzione finora conosciuti;

tuttavia non esistono dati sperimentali che possano confermare o smentire

nessuna di queste previsioni. Esperimenti condotti su satellite dovrebbero

aiutare a fare chiarezza su questi argomenti in quanto compiono misure su

intervalli di energia elevati accompagnati da una buona statistica dovuta

al lungo tempo di permanenza in volo. Tramite le misure dell’esperimento

PAMELA si potra contribuire a far luce sulle teorie riguardantil’origine degli

antiprotoni, in quanto le potenzialita di indagine e la permanenza in orbita

del telescopio risultano particolarmente adatti per perseguire tali obiettivi.

1.5.2 Positroni

Ai fini della ricerca di antimateria primaria, l’osservazione di positroni risulta

piu complicata a causa della abbondante produzione secondaria dovuta al

decadimento di π+ e K+ (prodotti in gran quantita dall’interazione dei raggi

cosmici con il mezzo interstellare).

L’attuale situazione sperimentale e rappresentata in figura 1.8, dove sono

riportate le misure fatte fino ad ora tramite esperimenti su pallone e l’anda-

mento previsto per la sola produzione secondaria: le incertezze molto grandi

sono da addurre alla bassa statistica. Fino ad energie di qualche GeV l’an-

damento dei dati sperimentali e in accordo con la produzione secondaria.

Oltre, la statistica non e sufficiente per poter trarre conclusioni, ma occorre

ampliare l’intervallo di energie misurate.

Anche nel caso della rivelazione dei positroni, PAMELA permettera di

eseguire delle misure migliori sia per la lunga durata dell’esperimento sia per

l’ampio intervallo di energie misurabili. Inoltre lo strumento si trovera al di

fuori dell’atmosfera limitando cosı il fondo di positroni atmosferici.

20 1.5 - L’antimateria

Figura 1.8: In figura sono riportate le misure del flusso di positroni fatte negliultimi anni da esperimenti su pallone. La curva rappresenta l’andamento del-lo spettro nell’ipotesi di produzione secondaria e i dati riportati sono relativi a:Golden ’87 [30], Muller and Tang ’87 [31], MASS 89 [32], MASS91 [33], TRAMP93 [34], AESOP 94 [35], CAPRICE 94 e 98 [36, 37], HEAT 94 e 95 [38].

1.5.3 Antinuclei

La probabilita di produzione di antinuclei per interazione dei raggi cosmici

con il mezzo interstellare e del tutto trascurabile (1011 volte inferiore rispet-

to agli antiprotoni). Pertanto l’osservazione di antinuclei nei raggi cosmi-

ci sarebbe una prova inconfutabile dell’esistenza di antimateria primaria a

supporto dei modelli simmetrici dell’Universo.

Capitolo 2

L’esperimento PAMELA

2.1 Introduzione

L’esperimento PAMELA raccoglie l’esperienza accumulata in oltre un trenten-

nio di ricerca sui raggi cosmici mediante l’utilizzo di palloni aerostatici e

satelliti artificiali.

Il secondo paragrafo e dunque orientato a fornire una panoramica sulle

origini di PAMELA, sugli obiettivi scientifici che si intendono perseguire e

sullo svolgimento della missione.

Di seguito, nel terzo paragrafo, una dettagliata descrizione dell’appara-

to sperimentale fornira informazioni utili a comprendere le potenzialita del

telescopio.

Il gruppo di Napoli, che negli ultimi anni ha collaborato attivamente con

il programma di ricerca RIM Russian Italian Mission, ha progettato e real-

izzato il sistema per il tempo di volo delle particelle dell’apparato PAMELA.

E’ in tale ambito che il seguente lavoro di tesi prende corpo, dunque, e utile

evidenziare come le misure di impulso, velocita e carica elettrica possono es-

sere effettuate mediante tale sistema. Il quarto paragrafo e dedicato pertanto

all’illustrazione di tali tematiche.

21

22 2.2 - Caratteristiche ed obiettivi dell’esperimento

2.2 Caratteristiche ed obiettivi dell’esperimen-

to

L’esperimento PAMELA (acronimo per a Payload for Antimatter-Matter Ex-

ploration and Light nuclei Astrophysics) ha come obiettivo principale lo stu-

dio dei raggi cosmici con particolare attenzione alla ricerca della componente

di antimateria presente in essi sotto forma di particelle e nuclei. Lo studio

dei raggi cosmici e sempre stato considerato utile sia per lo sviluppo della

fisica delle particelle elementari che per lo studio di vari oggetti e fenomeni

astrofisici.

2.2.1 Le origini di PAMELA

L’esperimento PAMELA e il passo piu importante di un esteso programma di

ricerca dedicato allo studio delle componenti nucleari ed isotopiche dei raggi

cosmici ed alla rilevazione di antimateria nello spazio.

Questa problematica divenne di grande attualita in seguito ai risultati

ottenuti nel 1979 [9] dallo scienziato Robert Golden della New Mexico State

University di Las Cruces, negli Stati Uniti. In un famoso volo su pallone a 40

Km di altezza, al limite dell’atmosfera terrestre, utilizzando per la prima vol-

ta nello spazio un magnete superconduttore, Robert Golden scoprı la presen-

za di antiprotoni nei raggi cosmici ad un’energia intorno ai 10 Gev. Inoltre,

cosa ancora piu interessante, trovo che questi antiprotoni erano molto di piu

di quelli attesi dall’interazione fra protoni primari ed il materiale interstellare.

Nel 1989, in seguito ai risultati ottenuti da Golden in collaborazione con

la National Science Foundation, la NASA approvo la missione Astromag sulla

stazione spaziale Americana Freedom, che era allora in fase di progetto. Per

lo studio della componente di antimateria con basso numero atomico, venne

selezionato l’esperimento WiZard [39] [40] proposto da una collaborazione

che si era formata attorno a Golden e che comprendeva 6 sezioni e laboratori

italiani dell’INFN, il Goddard Space Flight Center della NASA, l’Universita

Tedesca di Siegen [41] ed il Royal Institute of Tecnology di Stoccolma. La

mutata situazione internazionale porto alla cancellazione della Freedom ma

l’eredita di Astromag fu ripresa anni dopo da PAMELA.

L’esperimento PAMELA 23

Negli anni successivi, la collaborazione WiZard ha effettuato molti esper-

imenti su pallone, utilizzando rivelatori tipici delle particelle elementari quali

rivelatori di tracciamento composti da camere a fili e da camere a deriva, im-

mersi in potenti campi magnetici. Comune a tutti gli esperimenti era anche

un insieme di scintillatori che misuravano il tempo di volo e le perdite per ion-

izzazione e fornivano il trigger per l’esperimento. Il rivelatore era completato

da uno strumento che dava informazioni sulla velocita delle particelle e da un

calorimetro che forniva l’ immagini topologica del percorso della particella o

dello sciame prodotto e misurava l’energia da questi rilasciata al suo interno.

Il calorimetro ad immagine era composto da tubi a streamer di ottone o da

piani di silicio intervallati da tungsteno.

Tali esperimenti hanno prodotto importanti risultati per lo studio della

componente di antiprotoni e di positroni nei raggi cosmici in un intervallo

di energia molto ampio. Particolarmente rilevanti sono state le misure dei

muoni positivi e negativi in fase di ascesa del pallone nell’atmosfera e dei

protoni e dei nuclei di elio alla massima altezza.

Nel 1993 e iniziato un programma di ricerca comune tra i gruppi italiani di

WiZard e tre gruppi di ricerca russi [39]. Il programma chiamato RIM (Rus-

sian Italian Mission) nacque con l’obiettivo di studiare i diversi aspetti della

radiazione cosmica tramite esperimenti su satellite e sulle stazioni spaziali.

Le missioni RIM 0.1 e RIM 0.2 sono gia state effettuate a bordo della stazione

spaziale russa MIR, mentre la RIM 0.3 e in corso sulla stazione spaziale in-

ternazionale. Gli esperimenti compiuti nel corso di queste missioni, Si-Eye1,

Si-Eye2 e Alteino, hanno misurato la radiazione ionizzante all’interno delle

stazioni spaziali e hanno studiato la natura dei lampi di luce che gli astro-

nauti vedono nello spazio quando sono immersi nel buio. Le missioni RIM

1.1 NINA e RIM 1.2 NINA 1, hanno invece riguardato la misura delle com-

ponenti nucleari e isotopiche dei raggi cosmici galattici e solari, alle basse

energie e hanno monitorato il sole nel periodo della sua massima attivita,

durante il XXIII ciclo.

La missione RIM 2 e l’esperimento PAMELA che raccoglie l’esperienza di

tutta l’attivita di ricerca effettuata con i palloni e nello spazio. Su questo pro-

gramma sono confluiti la collaborazione internazionale WiZard al completo

24 2.2 - Caratteristiche ed obiettivi dell’esperimento

e i tre gruppi russi di RIM.

2.2.2 Obiettivi scientifici

Il telescopio PAMELA e volto ad identificare i diversi tipi di particelle e a

misurare l’energia in modo da poter studiare le relative abbondanze delle

componenti dei raggi cosmici ed i relativi spettri energetici.

La missione osservativa si vuole comunque concentrare sulla rilevazione

delle componenti di antimateria nell’Universo e quindi si e cercato di ottimiz-

zare il telescopio per raggiungere un’elevata sensibilita nella misurazione degli

spettri delle componenti rare, cioe antiprotoni, positroni e antinuclei leg-

geri che devono essere discriminati su di un fondo notevolmente superiore di

elettroni, protoni e nuclei leggeri.

Con questo obiettivo i vari rivelatori che costituiscono il telescopio PAMELA

devono poter identificare con alto potere discriminante il tipo di particelle.

Di seguito vengono elencati i principali obiettivi scientifici della missione:

• la misura dello spettro dei positroni e del rapporto e+/(e+ + e−) da 50

MeV fino a 270 GeV;

• lo studio della componente di protoni ed antiprotoni nei raggi cosmici,

la misura del loro spettro e del rapporto p/p nell’intervallo energetico

compreso tra 80 MeV e 190 GeV;

• la ricerca di eventuali antinuclei, con una sensibilita, nella misura del

rapporto He/He, di circa 6×10−8;

• il monitoraggio continuo, nell’arco della durata della missione, della

modulazione solare dei raggi cosmici;

• la misura dello spettro energetico e del profilo temporale delle particelle

emesse durante i brillamenti solari;

• l’analisi spettrale degli elementi nei raggi cosmici;

• lo studio della magnetosfera terrestre;

L’esperimento PAMELA 25

Figura 2.1: Schema del satellite Resurse-DK1. In rosso e possibile osservare ilcontainer che alloggia l’apparato PAMELA

2.2.3 La missione

Lo strumento PAMELA verra installato a bordo del satellite russo Resurs-

DK1 e sara messo in orbita da un vettore della classe Soyuz, dalla base russa

di Baykonur nel Kazakhistan.

Il satellite si muovera su orbite eccentriche, con altitudini comprese tra i

350 e 600 Km, e inclinazione quasi polare: 70,4. La missione avra la durata

di 3 anni. Il satellite Resurs-DK1 e alto circa 14 m e ha una massa di 6500

Kg. Ai suoi lati sono collocati due container pressurizzati a forma di cam-

pana. In uno di questi container verra posto l’apparato PAMELA. Durante

26 2.3 - L’apparato sperimentale

il lancio e le manovre di aggiustamento orbitale del satellite, il container sara

in posizione d’attesa, agganciato al satellite stesso con l’apparato PAMELA

che guarda verso la Terra. Al raggiungimento dell’orbita prevista, il braccio

di aggancio sollevera il container e PAMELA sara rivolto verso lo zenit (fig.

2.1). Questa posizione e ottimale per evitare interferenze dovute alla Terra

o a sciami di particelle prodotti nell’atmosfera terrestre.

Oltre a PAMELA, il satellite Resurs-DK1 avra al suo interno l’apparato

ARINA, del peso di circa 10 Kg, e rivelera particelle e nuclei di bassa energia

allargando l’intervallo esplorato da PAMELA. Uno degli obiettivi dell’esper-

imento ARINA e lo studio di eventuali correlazioni tra i terremoti terresrti e

le perturbazioni delle fasce di Van Allen. Queste perturbazioni sono causate

dall’emissione di onde elettromagnetiche che avviene alcune ore prima del

terremoto, nel periodo di frizione delle faglie terrestri. Il satellite Resurs ha

a bordo anche una sofisticata apparecchiatura ottica ed elettronica che con-

sentira di fotografare le superficie terrestre con una risoluzione inferiore al

metro per scopi civili ed industriali. I dati saranno memorizzati a bordo in

una memoria di 768 Gbit ed inviati a due stazioni di terra ad una velocita di

trasmissione di 300 Mbit per secondo. Le due stazioni sono collocate rispetti-

vamente a Mosca ed Hanty Mansijsk in Siberia. Il vettore Soyuz che mettera

in orbita il satellite Resurs-DK1 e alto 43,4 m e pesa 306 t in posizione di

lancio. Dopo il lancio e per un periodo di circa 5 mesi, saranno effettuate

tutte le operazioni di test, subito dopo il satellite sara messo a disposizione

dei ricercatori e degli operatori commerciali.

2.3 L’apparato sperimentale

Il disegno dell’apparato PAMELA segue l’idea concepita per l’esperimento

WiZard sulla stazione spaziale Freedom ed applicata sui vari voli su pallone.

Uno dei principali obiettivi di PAMELA e la misura degli spettri energetici

degli antiprotoni e dei positroni in un ampio intervallo di energia, con una

grande precisione ed un’elevata statistica. PAMELA e uno strumento es-

tremamente sensibile in grado di rilevare in modi diversi e contemporanei

eventi molto rari in mezzo ad un gran numero di particelle. E’ necessario

L’esperimento PAMELA 27

Figura 2.2: Veduta prospettica del telescopio PAMELA.

conoscere il segno ed il valore assoluto della carica elettrica delle particelle

che attraversano l’apparato, la massa, il momento e da qui l’energia.

L’apparato PAMELA e composto da:

• uno spettrometro magnetico formato da un magnete ed un sistema

di tracciamento idoneo a seguire la traccia della particella che lo at-

traversa. Il verso ed il valore assoluto della curvatura di una particella,

determinano il segno della sua carica elettrica e la sua rigidita, cioe il

suo momento diviso per la sua carica elettrica fino ad energie molto

elevate;

• un insieme di contatori a scintillazione chiamato ”tempo di volo” che

segnala rapidamente il passaggio della particella e da il comando di

28 2.3 - L’apparato sperimentale

lettura dei dati di tutti i rivelatori. I contatori misurano il tempo di

transito delle particelle all’interno del rivelatore, individuando quelle

che provengono dal basso e consentono di risalire al valore assoluto

della carica elettrica della particella. Integrando questi dati con le

informazioni dello spettrometro magnetico, e possibile ottenere il valore

della massa della particella;

• un rivelatore denominato ”calorimetro ad immagine” che misura l’en-

ergia rilasciata dalle particelle che lo attraversano e da quelle prodotte

dall’interazione dalle stesse particelle con il materiale del calorimetro.

Tale rivelatore permette anche di ricostruire la forma dello sciame

prodotto dalla particella che interagisce, oppure antiprotoni ed eventu-

ali antinuclei che annichilano;

• un rivelatore di neutroni che permette di misurare, indirettamente,

i protoni e gli elettroni di altissima energia che interagiscono con il

materiale del calorimerto;

• una serie di contatori a scintillazione che coprono i lati del sistema di

tracciamento e parzialmente la sommita, che permettono di escludere

dalle misure quelle particelle che entrano nell’apparato con un angolo

non corretto.

2.3.1 Il sistema per la misura del tempo di volo

Il sistema per la misura del tempo di transito delle particelle all’interno

dell’apparato PAMELA, detto anche ”tempo di volo” o ”ToF” (Time of

Flight) , e composto da contatori a scintillazione segmentati in varie strisce

e disposti su 3 piani. Per aumentare l’efficienza della raccolta di luce, le

estremita delle strisce dei contatori sono singolarmente accoppiate, tramite

delle guide di luce, a un fotomoltiplicatore, come mostrato in figura 2.4. Per

ottimizzare spazio, peso e potenza elettrica utilizzata, i fotomoltiplicatori ( o

brevemente PMT) di PAMELA hanno dimensione e consumi molto ridotti.

Ogni piano e composto da 2 strati di scintillatori e le strisce sono po-

sizionate in modo da formare tra di loro un angolo di 90.

L’esperimento PAMELA 29

Figura 2.3: Veduta dei 3 piani scintillatori S1, S2 ed S3.

L’ultimo piano (S3) e posizionato tra lo spettrometro ed il calorimetro.

Il primo strato e diviso in tre strisce di scintillatore, ognuna lunga 150 mm

e larga 60 mm. Il secondo ha lo stesso numero di strisce, ognuna lunga 180

mm e larga 50 mm.

Il secondo piano (S2) e installato tra il rivelatore di radiazione di tran-

sizione e lo spettrometro magnetico. Il primo strato e diviso in due strisce

di scintillatore, ognuna lunga 180 mm e larga 75 mm, il secondo ha lo stesso

numero di strisce, ognuna lunga 150 mm e larga 90 mm. Il primo piano (S1) si

trova in cima all’apparato. Il primo strato e diviso in 8 strisce di scintillatore,

ognuna lunga 330 mm e larga 51 mm, mentre, il secondo e diviso in 6 strisce,

ognuna lunga 408 mm e larga 55 mm.

Gli scintillatori del primo e del secondo piano sono spessi 3 mm, mentre,

quelli del terzo sono spessi 6 mm.

30 2.3 - L’apparato sperimentale

Figura 2.4: Il piano a scintillatori S3.

I segnali emessi dai fotomoltiplicatori accoppiati ai contatori a scintil-

lazione vengono raccolti e analizzati da circuiti elettronici molto veloci. In

questo modo e possibile distinguere le particelle che, entrando dall’alto, at-

traversano nell’ordine i primo, il secondo ed il terzo contatore, da quelle che

provengono dal basso, in modo da poter effettuare la reiezione delle par-

ticelle secondarie che attraversano lo spettrometro dal basso verso l’alto e

che dunque possono essere scambiate con le corrispondenti antiparticelle che

attraversano il rivelatore in verso opposto .

Il sistema consente anche di misurare il valore assoluto della carica elet-

trica delle particelle che attraversano l’apparato, infatti, l’energia rilascia-

ta dalle particelle che attraversano gli scintillatori e di conseguenza la luce

prodotta e rilevata dai fotomoltiplicatori, e proporzionale al quadrato del

valore della loro carica elettrica. I 6 strati di rivelatori forniscono pertanto 6

misure indipendenti della carica elettrica.

La rapidita di risposta dei contatori a scintillazione e dell’elettronica as-

sociata al passaggio della particella, permette anche di misurare il tempo che

questa impiega per passare dal primo al terzo piano di scintillatori e poiche

L’esperimento PAMELA 31

la distanza tra quest’ultimi e ben nota, e immediato risalire alla velocita

della particella dividendo lo spazio percorso per il tempo impiegato. Data

la precisione degli strumenti e la breve distanza tra i due piani, la determi-

nazione della velocita sara limitata solo per particelle non molto veloci; nel

caso di protoni si arrivera ad un’energia cinetica di circa 1 GeV, con tem-

pi di volo di circa 45 ns. Nei casi praticabili, pero, conoscendo la velocita

ed il valore assoluto della carica elettrica dati dai contatori a scintillazione

insieme alla rigidita misurata dallo spettrometro e possibile determinare in

modo indipendente la massa della particella.

Se una particella attraversa tutti e tre i piani di scintillatori, un disposi-

tivo elettronico, chiamato ”circuito di coincidenza”, collegato ai piani stessi,

fornisce un segnale molto rapido, detto ”segnale di trigger”. Il segnale di

trigger abilita la lettura e la memorizzazione delle informazioni di tutti i

rivelatori di PAMELA.

2.3.2 Lo spettrometro magnetico

Lo spettrometro magnetico e composto da un magnete permanente e da un

sistema di tracciamento al silicio.

Il magnete permanente e diviso in 5 moduli intervallati da 6 cornici alte

8 mm in cui sono posizionati i sensori al silicio. L’altezza totale dello spet-

trometro e di 445 mm con una cavita interna di 162 × 132 mm2, mentre il

peso e di 115 Kg.

Il materiale magnetico e composto da una lega sintetizzata di neodimio,

ferro e boro ed il valore interno del campo e di 4000 G e ha una buona omo-

geneita. Il sistema che permette la ricostruzione del percorso della particella

all’interno del magnete e costituito da un insieme di sensori di silicio. I riv-

elatori hanno una superficie di 70 × 53,3 cm2, uno spessore di 300 µm ed

entrambe le facce sono divise in 2048 mini strisce tra loro perpendicolari. In

questo modo e possibile determinare le coordinate x ed y della particella che

li attraversa.

Nell’apparato PAMELA, in particolare, la traccia della particella all’in-

terno del magnete viene misurata utilizzando 6 piani di rivelatori al silicio.

32 2.3 - L’apparato sperimentale

Figura 2.5: Sensore al silicio del sistema tracciante (a sinistra) e modulo delmagnete permanente (a destra).

La posizione di una particella che attraversa i piani e misurata con una pre-

cisione di 4 µm sulla coordinata che definisce la sua curvatura nel campo

magnetico, e di 15 µm sull’altra.

Questi rivelatori posti all’interno del magnete, permettono di determinare

la traiettorie delle particelle che attraversano lo spettrometro con grande pre-

cisione e di risalire alla rigidita della particella fino a 740 GV per carica. Essi

consentono anche di misurare il valore della carica elettrica delle particelle

fino a Z uguale a 4.

2.3.3 Il sistema di anticoincidenza

Durante il volo di PAMELA nello spazio e molto importante che siano ac-

quisite solo le informazioni dei vari strumenti relative a particelle che attraver-

sano l’apparato in modo corretto, in quanto, la possibilita di registrazione

a bordo e la trasmissione a terra dei dati ha limitazioni piuttosto stringen-

ti ed e quindi necessario riconoscere le particelle che entrando lateralmente

allo strumento, interagiscono con il materiale del magnete e producono altre

particelle. Queste ultime possono, infatti, raggiungere in modo casuale i 3

piani di scintillatori e simulare cosı il passaggio di una singola particella e

alterando di conseguenza i dati. Per questo motivo, il volume dello spet-

L’esperimento PAMELA 33

Figura 2.6: Piani scintillatori per il sistema di anticoincidenza (a sinistra) eveduta prospettica dell’intero sistema (a destra).

trometro magnetico e circondato da un insieme di contatori a scintillazione

che segnalano il passaggio di una particella lungo una direzione non valida

per una corretta analisi dei dati da parte dell’apparato PAMELA. Un primo

contatore posto sopra il secondo piano di scintillatori e costituito da un sin-

golo scintillatore a forma di stella, con una finestra rettangolare della stessa

dimensione della cavita del magnete. I segnali prodotti dal passaggio di una

particella sono rilevati da 8 fotomoltiplicatori. Questo rivelatore identifica

le particelle che entrano nello spettrometro fuori dell’angolo di accettanza,

cioe con una direzione che le porta inevitabilmente ad interagire con le pareti

interne del magnete.

Altri 4 scintillatori, posti ai lati del magnete, accoppiati singolarmente

con un fotomoltiplicatore, identificano le particelle che entrano lateralmente

all’apparato.

Se uno dei 5 rivelatori da un segnale in coincidenza con quello di trigger,

l’evento viene ignorato; per questo motivo che si dice che il loro segnale e

posto in anticoincidenza con il segnale di trigger.

2.3.4 Il calorimetro ed il contatore di neutroni

Il calorimetro di PAMELA si compone di un insieme di piani ognuno dei

quali e formato da una piastra di tungsteno spessa 2,6 mm e da 2 strati di

34 2.3 - L’apparato sperimentale

Figura 2.7: Fotografia del calorimetro ad immagine di PAMELA.

rivelatori al silicio posizionati sopra e sotto il tungsteno.

Ogni piano di silicio e composto da una matrice 3 × 3 di rivelatori, cias-

cuno con una superfice 8 × 8 cm2, spesso 380 µm e segmentato in 32 strip

larghe 2,4 mm. Poiche ogni strip e connessa a quella del rivelatore vicino,

si crea una striscia lunga 24 cm che viene letta da un circuito elettronico

dedicato.

I piani, in numero di 22, formano tra loro un angolo di 90 lungo la

direzione delle strisce di silicio, in modo da poter rivelare in sequenza le

coordinate x ed y delle particelle che l’ attraversano. L’alto numero atomico

del tungsteno ottimizza lo sviluppo degli sciami elettromagnetici.

Il calorimetro cosı realizzato effettua una misura precisa dell’energia totale

depositata, un’accurata ricostruzione dello sviluppo spaziale degli sciami, sia

lungo la direzione longitudinale che quella trasversale ed una misura della dis-

tribuzione dell’energia lungo lo sciame. Poiche gli sciami elettromagnetici ed

adronici si sviluppano in modo differente, le sole informazioni del calorimetro

consentono di identificare un positrone o un elettrone in un’insieme di oltre

10000 protoni. Tale dispositivo permette anche la determinazione dell’en-

L’esperimento PAMELA 35

ergia degli elettroni fino ad 1 TeV, ben oltre i limiti di operativita dello

spettrometro magnetico.

Quando adroni ed elettroni interagiscono con il materiale del calorimetro

di PAMELA vengono prodotti sciami di particelle. Tra i processi che e pos-

sibile osservare vi e l’evaporazione del nucleo, cioe la sua disgregazione in

protoni e neutroni. La probabilita che questo processo si verifichi e molto

piu alta se lo sciame e stato originato da un protone o da un’altro adrone. In

questo caso, infatti, il numero di neutroni prodotto risulta essere 10÷20 volte

maggiore di quello che si ottiene da una cascata indotta da un elettrone.

Lo strumento PAMELA e in grado di rilevare parte dei neutroni di evapo-

razione grazie ad un contatore di neutroni posto sotto al calorimetro, aumen-

tando quindi la propria capacita di discriminazione tra elettroni ed adroni

fino ad alcuni TeV.

Poiche i dati del calorimetro e del contatore di neutroni possono essere

letti anche in modo indipendente dal resto dell’apparato, saranno rilevate

tutte le particelle che interagiscono con il calorimetro provenienti da qualsiasi

direzione. In questo modo si avra un’aumento della capacita di osservazione

di circa 50 volte e sara possibile rilevare, in 3 anni di operativita, centinaia

di elettroni con energia superiore al TeV.

I neutroni non possono essere rivelati in modo diretto poiche, essendo

elettricamente neutri, non ionizzano il materiale attraversato. E’ allora nec-

essario utilizzare processi in cui il neutrone interagisce con il nucleo, dando

origine ad una particella secondaria carica. Tali particelle cariche, che pos-

sono essere rivelate direttamente, permettono di dedurre la presenza di un

neutrone. Il processo comunemente utilizzato per rivelare i neutroni e l’in-

terazione tra un neutrone ed un atomo di 3He, che da origine a un protone e

un trizio, elettricamente carichi e quindi direttamente osservabili:

n +3 He → p +3 H + 765KeV

Il contatore di neutroni di PAMELA e costituito da 36 tubicini pieni

di 3He, disposti su due piani uguali. All’interno di ogni tubicino vi e un

filo metallico molto sottile. Applicando un potenziale elettrico tra il filo ed

36 2.3 - L’apparato sperimentale

Figura 2.8: Rivelatore di neutroni.

il tubicino e possibile rilevare i protoni ed il trizi prodotti all’interno del

tubicino dall’interazione dei neutroni con l’3He. Poiche il processo di cattura

di un neutrone da parte dell’3He risulta efficiente solo per neutroni termici,

cioe molto lenti, i piani di rivelatori sono intervallati da strati di polietilene

che e un mteriale in grado di rallentare i neutroni.

La dimensione del contatore di neutroni e 66 × 550 × 150 mm3.

2.3.5 Il contatore a scintillazione S4

Tra il calorimetro ed il rivelatore di neutroni e posizionato un contatore a

scintillazione, S4, spesso 10 mm. Questo contatore rivela la parte dello sciame

innescato da elettroni e adroni primari che sfugge dal fondo del calorimetro.

Se lo sciame e stato prodotto da particelle che non hanno attraversato i con-

tatori di trigger, S4 da il segnale di comando per la lettura e memorizzazione

dei dati del calorimetro e del contatore di neutroni.

Tutti i rivelatori dell’apparato PAMELA operano in modo indipendente,

ma e l’insieme delle informazioni che permette di riconoscere con ragionev-

L’esperimento PAMELA 37

Figura 2.9: Il piano a scintillatori S4.

ole certezza una particolare particella e di misurare la sua energia, la sua

direzione e verso di provenienza.

Il flusso dei dati che arriva dai diversi strumenti, viene gestito central-

mente in modo da poter attribuire i dati allo stesso evento che deve essere

riconosciuto come valido prima di essere memorizzato. Per tanto, quando

tutti e tre gli scintillatori del sistema di tempo di volo segnalano il passaggio

di una particella viene elaborato un segnale rapido che comanda la lettura

di tutti i rivelatori. I dati vengono inviati in modo sequenziale a un sis-

tema di acquisizione che li trasferisce, dietro comando di un computer, a una

memoria.

Accanto a questa strumentazione, che e il cervello di PAMELA, esiste un

insieme di servizi indispensabile per l’operativita dell’apparato: un sistema

di alimentatori stabilizzati, comandato dal computer, fornisce la tensione ai

circuiti elettronici, mentre altri strumenti controllano, sempre mediante il

computer, il corretto funzionamento di tutti i rivelatori. In fine, un partico-

lare apparato gestisce il trasferimento dei dati della memoria di PAMELA a

quella del computer.

In fine, viene riportato un ultimo dato significativo dello strumento PAMELA

che riassume in due grafici (figura 2.10) le potenzialita di reiezione nell’in-

38 2.3 - L’apparato sperimentale

Figura 2.10: Capacita di discriminazione ottenuta con la combinazione dei varisotto-rivelatori in funzione dell’impulso delle particelle.

tervallo di energie da analizzare, cioe, se prendiamo per esempio il valore di

impulso pari a 10 GeV/c, vediamo che il rapporto e−

p−, per il calorimetro, e

pari a 104, ossia il rivelatore confonde un elettrone con un antiprotone, ogni

10.000 elettroni rivelati. Si puo osservare come l’apparato sia in grado di dis-

criminare bene le componenti di antiprotoni e positroni in tutto l’intervallo

di energie previsto, combinando le misure del ToF, a basse energie, con quelle

del calorimetro per le alte energie. Per confronto sono state riportate anche

le curve che forniscono i rapporti attesi secondo i modelli teorici MLBM e

CGM [39].

Questo insieme di rivelatori che lavorano in modo concorde sotto il con-

trollo di un unico cervello, permettera allo strumento PAMELA di cercare

l’antimateria nello spazio e di misurare la componente nucleare ed isotopica

dei raggi cosmici e gli spettri energetici dei positroni e degli elettroni in un

intervallo di energia e con una precisione mai raggiunti fino ad ora da altri

esperimenti su pallone o nello spazio.

L’esperimento PAMELA 39

2.4 Grandezze misurabili con il sistema di

tempo di volo

Precedentemente e stata fornita una panoramica generale sull’intero appa-

rato di rilevamento di PAMELA e si e visto come l’integrazione dei dati

provenienti da distinte sezioni del telescopio consente un piu ampio range di

identificazione delle particelle. In particolare, le particelle di bassa energia

vengono identificate in maniera cinematica, dunque e necessario conoscere la

carica (in segno e valore assoluto), l’impulso e la velocita. Il segno della car-

ica e l’impulso vengono misurati mediante il tracciatore al silicio all’interno

dello spettrometro magnetico, per la velocita viene utilizzato il misuratore

di tempo di volo, mentre, il valore assoluto della carica viene determinato da

entrambi i rivelatori. Mediante tali misure si ottiene indirettamente la massa

della particella e dunque la sua identificazione puo ritenersi conclusa.

Alle alte energie, non e piu possibile misurare l’impulso e la velocita con

sufficiente accuratezza, quindi l’identificazione avviene mediante il calorimetro

tramite tecnica ”distruttiva”, poiche riconosce la particella a seconda dello

sciame che essa produce quando interagisce con il materiale del calorimetro

stesso.

Il gruppo di Napoli ha interamente progettato e realizzato il sistema per

il tempo di volo ed il mio lavoro di tesi si integra in tale ambito. E’ quindi

interessante ed utile approfondire come vengono effettuate in dettaglio le

misure di impulso, −→p , velocita, −→v , e carica elettrica grazie all’accoppiamento

spettrometro-ToF.

2.4.1 La misura dell’impulso

Il principio di funzionamento di uno spettrometro magnetico e mostrato in

figura 2.11 . Quando una particella carica Ze, entra nel campo magnetico−→B

dello spettrometro, con velocita −→v , essa risente della forza di Lorentz:

−→F = Ze(−→v ×

−→B )

40 2.4 - Grandezze misurabili con il sistema di tempo di volo

Figura 2.11: Schema di pricipio per una particella in un campo magnetico.

In particolare, se il campo magnetico e perpendicolare al piano di volo

della particella e risulta omogeneo, la forza di Lorentz si riduce alla sola com-

ponente F = Ze(v ·B) costante ed ortogonale al campo stesso, che provoca

una curvatura del moto della particella.

E’ possibile ricavare da tale equazione la componente perpendicolare al

campo magnetico dell’impulso:

p⊥ ' 0, 3ZBr

dove −→p si esprime in GeV/c, B in Tesla ed il raggio di curvatura r in

metri.

Con il tracciatore al silicio e possibile misurare il raggio di curvatura r,

dunque a tal punto la grandezze impulso della particella risulta dipendente

dalle variabile carica, Ze, e velocita v.

Realmente, in un evento utile, la particella non entra nel campo mag-

netico con una traiettoria perpendicolare alle linee di forza, ma forma con

esse un angolo θ che comunque rientra all’interno del cono di accettanza, e

questo comporta una traiettoria all’interno della cavita del magnete ad elica

cilindrica con raggio r (o quantomeno, dati i parametri dello spettrometro,

compie un arco di elica cilindrica).

L’esperimento PAMELA 41

Figura 2.12: Schema del sistema per il tempo di volo.

2.4.2 La misura del tempo di volo

Un sistema per il tempo di volo e costituito da almeno due piani di contatori a

scintillazione posti ad una certa distanza D tra loro. Misurando la lunghazza

della traiettoria compiuta tra i due piani ed il tempo che una particella

impiega per percorrerla, e possibile determinare la sua velocita.

Uno schema di tale sistema e mostrato in figutra 2.12. Ogni piano di con-

tatore e costituito da due fotomoltiplicatori (o PMT), posti alle estremita

dello scintillatore. Quando una particella carica attraversa lo scintillatore,

rilascia in esso una certa quantita di energia che viene trasformata in ra-

diazione luminosa. Tale radiazione viene raccolta dai fotomoltiplicatori e

trasformata in segnali elettrici inviati ai rispettivi TDC (Time-Digital Con-

verter) ed ADC (Analogic-Digital Converter). Il primo dispositivo ha il

42 2.4 - Grandezze misurabili con il sistema di tempo di volo

compito di registrare il tempo, Ti, trascorso tra l’arrivo del segnale prodotto

dal PMT (indichiamo con ti tale istante) ed un segnale comune a tutti i TDC,

il trigger (indichiamo con tt l’istante in cui giunge tale segnale). In linea di

principio, sarebbe sufficiente munire ogni scintillatore con un unico PMT, ma

in tal modo si introdurrebbe indirettamente un’indeterminazione sulla reale

distanza che la particella percorre, in quanto il fotomoltiplicatore fornisce il

segnale di passaggio della particella non nell’istante in cui si ha realmente

l’interazione, ma dopo un tempo pari alla distanza che deve essere compiuta

per giungere dal punto di contatto con lo scintillatore, fino al PMT, diviso

la velocita con cui la radiazione luminoso si propaga nel mezzo. Dunque,

per due particelle identiche che impattano gli scintillatori in punti diversi, il

sistema fonirebbe due diverse misure della velocita. Utilizzano due PMT per

scintillatore e due TDC, si ottengono due misure di tempo per ogni piano

(prendendo in considerazione S1):

T1 = tt − t1

T2 = tt − t2

Possiamo esprimere:

t1 = tS1 +X

u+ c1

t2 = tS1 +L − X

u+ c2

dove tS1 indica il reale istante in cui la particella interagisce con lo scin-

tillatore, Xu

e L−Xu

rappresentano, rispettivamente, i tempi che la radiazione

impiega per giungere ai due PMT, considerando X come la coordinata del

punto d’interazione, L la lunghezza totale dello scintillatore ed u come la ve-

locita di propagazione nel mezzo. c1 e c2 sono i cosidetti ”piedistalli”, ossia

due grandezze caratteristiche che rappresentano i tempi di percorrenza dei

segnali elettrici dai fotomoltiplicatori ai TDC.

Osserviamo che effettuando la media tra i valori T1 e T2 forniti dai due

TDC, a meno di una costante, si ottiene proprio la misura del tempo trascorso

L’esperimento PAMELA 43

tra l’istante in cui la particella giunge realmente sullo scintillatore e l’istante

di tempo in cui giunge il segnale di trigger, in modo indipendente dalla

coordinata X di impatto.

Precisamente, si ottiene:

tt − tS1 =T1 + T2

2+ (

L

2u+

c1 + c2

2)

Sempre mediante le misure dei TDC e possibile risalire alla coordinata X

poiche si verifica facilmente che:

X =u

2(T2 − T1) +

u

2(c2 − c1) +

L

2

Effettuando la stessa misura con S2 ed elaborando similmente i dati forniti

dai relativi TDC, si ottiene il valore:

tt − tS2 =T3 + T4

2+ (

L

2u+

c3 + c4

2)

Tenendo conto che tS1 − tS2 e l’intervallo di tempo che intercorre tra

l’interazione dalla particella con i due piani S1 ed S2, e considerando S la

lunghezza della traiettoria che essa deve percorrere, e immediato scrivere la

velocita come

v =S

tS1 − tS2

ed esprimendo tS1 − tS2 mediante le due precedenti relazioni, si ha

v =2S

(T1 + T2 − T3 − T4) + (c1 + c2 − c3 − c4)

E’ da osservare che la lunghezza della traiettoria S si determina utiliz-

zando la distanza nota, D, tra i due piani, in concomitanza con l’angolo di

incidenza della particella su S1 e del raggio di curvatura che essa assume al-

l’interno dello spettrometro magnetico, grandezze ricavabili grazie al sistama

tracciante.

44 2.4 - Grandezze misurabili con il sistema di tempo di volo

2.4.3 La carica elettrica

La misura della carica elettrica della particella viene effettuata in due passi:

misura del valore assoluto della carica e determinazione del segno.

Il segno della carica si stabilisce mediante lo spettrometro magnetico, os-

servando la curvatura che la particella subisce mediante il campo magnetico.

Il valore assoluto della carica e ottenuto mediante la misura della perdi-

ta di energia dE/dx negli scintillatori del sistema di tempo di volo e nel

calorimetro. A tale scopo si utilizza la nota formula di Bethe-Bloch:

−dE

ρdx= z2 Z

Af(β)

Le grandezze ρ e Z/A rappresentano rispettivamente la densita ed il

rapporto tra numero e peso atomico del mezzo attraversato. Poiche tali

parametri risultano noti a priori possiamo affermare che, una volta fissato il

mezzo, la perdita di energia della particella, dE/dx, non dipende ne da queste

grandezze ne dalla sua massa, ma esclusivamente dal parametro β = vc. Il

grafico (-dE/dx in funzione di β) mostra questa dipendenza calcolata per al-

cuni mezzi. Per velocita molto minori della velocita della luce c, la funzione

varia come 1/β2 fino a raggiungere un minimo, corrispondente ad un valore

tipico di β = 0, 96 ed una perdita di energia pari a circa 2 MeV g−1cm2. Le

particelle in questa regione vengono dette particelle al minimo di ionizzazione

(minimum ionizing particle o mip). Per velocita superiori, la perdita di ener-

gia ha un andamento approssimativamente lineare rispetto alla velocita. In

definitiva, nota la velocita della particella e calcolata la perdita di energia,

mediante la formula e possibile ricavare la carica z. Per calcolare la perdita

di energia delle particelle mediante l’uso di scintillatori si usa il principio

secondo cui, per basse densita di ionizzazione, tale perdita e proporzionale

all’entita di emissione luminosa. Questa legge di proporzionalita e espressa

dalla regola di Birk che, in forma differenziale, risulta:

dL

dx= S

dE

dx

L’esperimento PAMELA 45

Figura 2.13: Perdita di energia −dEρdx

in funzione del parametro β.

dove L esprime l’entita dell’emissione luminosa, S e un coefficiente di pro-

porzionalita ed E rappresenta l’energia persa dalla particella che attraversa il

materiale. Poiche e possibile ottenere risposte lineari dai fotomoltiplicatori,

la carica elettrica che si preleva da essi risulta proporzionale all’energia persa.

Da un punto di vista pratico, la misura viene effettuata inviando gli impulsi

elettrici emessi dai PMT ad una sezione di carica costituita, sostanzialmente,

da un integratore ed un ADC.

Capitolo 3

Il sistema per la misura deltempo di volo

3.1 Introduzione

Nel precedente capitolo e stato descritto l’apparato sperimentale dell’esper-

imento PAMELA, fornendo cosı una panoramica generale delle potenzialita

di rilevamento del telescopio.

Un’aspetto decisamente importante, che si intende affrontare nel seguente

capitolo, e l’elettronica del sistema di acquisizione e di controllo dell’appara-

to. Preliminarmente, vedremo com’ e costituito il sistema PSCU (PAMELA

Storage Control Unit) di PAMELA, il cui compito e quello di controllare i

sottosistemi elettronici di servizio per le acquisizioni dei dati forniti dai vari

rivelatori, nonche la gestione stessa del flusso di informazioni raccolte e la

trasmissione verso Terra. Particolare attenzione sara data anche al modulo

I-DAQ (Intermediate-DAQ), atto all’interfacciamento dell’unita di controllo

e memorizzazione con i vari sottosistemi.

A tal punto, la descrizione del progetto PAMELA puo ritenersi esauriente

e l’attenzione verra spostata alla descrizione particolareggiata del sistema per

la misura del tempo di volo realizzato dal gruppo WIZARD dell’ INFN della

sezione di Napoli. Attualmente, in tali laboratori risiede il modello tecnologi-

co del suddetto sistema ed esso e costituito dagli stessi piani a scintillazione ed

elettronica del sistema gemello che verra messo in orbita. Il presente lavoro di

tesi prevede dunque una prima fase dedicata allo studio approfondito di tali

47

48 3.2 - L’unita centrale di controllo di PAMELA

componenti ai fini della progettazione e realizzazione di un sistema analogo

alla PSCU ed I-DAQ di PAMELA, ed ingrado di utilizzare, in laboratorio, il

modello tecnologico del ToF in tutte le sue potenzialita.

3.2 L’unita centrale di controllo di PAMELA

L’apparato PAMELA, che presto verra messo in orbita, e dotato di un’ar-

chitettura elettronica molto complessa. Il sistema prevede diverse modalita

di funzionamento, tra cui una modalita di acquisizione e telemetria, in

modo da consentire la raccolta dei dati e l’invio a verso terra. E’ questo

uno degli aspetti che maggiormente differenzia il modello di volo del telesco-

pio, dal modello di terra. E’ interessante notare che sia la comunicazione

da satellite verso la Terra che quella in verso opposto (dette rispettivamente

downsteam e upstream) possono avvenire solo quattro volte al giorno, cioe,

quando il satellite e sulla perpendicolare della stazione di telemetria di terra.

Una caratteristica molto interessante e che il sistema e in grado di rice-

vere comandi di configurazione e, all’occorenza, degli aggiornamenti software

utili alla correzione di eventuali problemi riscontrati in orbita. E’ proprio

tale caratteristica che ha reso necessario continuare a sviluppare, parallela-

mente al modello di volo, anche il modello di terra, in modo da consentire, in

laboratorio, di ottenere indicazioni in tempo reale sul rendimento e funzion-

alita, da utilizzare come parametri per il monitoraggio del sistema gemello

orbitante.

3.2.1 Il sistema PSCU di PAMELA

L’unita di controllo e memorizzazione di PAMELA o PSCU costituisce il liv-

ello piu alto della rete di controllo e acquisizione dei dati nonche l’interfaccia

principale verso il sistema di telemetria.

Questo sistema e composto da diverse parti (figura 3.1), tra cui fonda-

mentale risulta la memoria di massa. Essa e suddivisa in due blocchi: uno

utilizzato per la memorizzazione dei dati sperimentali raccolti dai vari rivela-

tori al termine di ogni evento e l’altro contenente i parametri di configurazione

ed i programmi che servono al funzionamento dei dispositivi elettronici del

Il sistema per la misura del tempo di volo 49

Figura 3.1: Schema a blocchi del sistema PSCU e della I-DAQ di PAMELA.

telescopio. Entrambe le parti della memoria vengono aggiornate solo quat-

tro volte al giorno, quindi e necessario conservare le informazioni in esse

contenute per lungo tempo. Se si tiene conto, inoltre, che le informazioni im-

magazzinate sono di vitale importanza per l’esperimento, risulta chiaro che

la PSCU e l’elemento piu critico di tutto il sistema PAMELA. Per questo

motivo la PSCU e stata completamente prodotta e certificata, secondo le

specifiche spaziali, da un’azienda specifica del settore (la LABEN). Come og-

ni processore di tipo general purpose, anche questo dispositivo necessita di un

programma che permette il funzionamento dell’elettronica in esso contenuta.

La realizzazione di tale software ha richiesto il lavoro di diverse sezioni della

collaborazione. Riassumendo, la PSCU e costituita da una CPU altamente

resistente alle radiazioni, una memoria di massa a stato solido avente una ca-

pacita di memorizzazione di 2 GigaByte e di una memoria EPROM FLASH

che contiene il programma precedentemente menzionato.

Il funzionamento di tale dispositivo e di vitale importanza ai fini del-

50 3.2 - L’unita centrale di controllo di PAMELA

l’esperimento, pertanto bisogna assicurarsi che anche i componenti hardware

funzionino correttamente per tutta la durata dell’esperimento. Poiche su di

essi non sara possibile intervenire a lancio avvenuto, si e pensato di ridondare

la PSCU. Cio significa che a bordo del satellite saranno presenti due copie

identiche di tale dispositivo. Da terra sara possibile decidere di volta in volta

quale mettere in funzione. La tecnica di ridondanza hardware, che consente di

aumentare l’affidabilita delle apparecchiature elettroniche, e stata utilizzata

per tutte le parti ”vitali” dell’esperimento.

3.2.2 Il sistema I-DAQ di PAMELA

La scheda i-daq garantisce la comunicazione tra la sezione di front-end di ogni

sottosistema e la PSCU. Come si evince sempre dalla figura 3.1, la scheda

rappresenta l’interfaccia della PSCU. Essa, infatti, da un lato e connessa con

l’unita di controllo e memorizzazione e dall’altra con l’elettronica dei vari

sottosistemi. La i-daq, infatti, tramite un demultiplexer invia i comandi,

generati dalla PSCU, verso i sottosistemi a cui sono destinati; tramite un

multiplexer, invece, raccoglie i dati generati dai front-end e li invia all’unita

di memorizzazione. La logica di controllo e costituita da una macchina a

stati microprogrammata che le consente di interrogare autonomamente tutti

i sottosistemi per la raccolta dei dati. All’arrivo di un segnale di trigger, essa

avvia una procedura che consente di estrarre tutti i dati relativi all’evento

da ogni sottorivelatore. Le informazioni ottenute vengono successivamente

trattate mediante una sezione specifica presente sulla scheda detta di dsp

(digital signal processor). Essa svolge sui dati una serie di operazioni tra

cui la soppressione degli zeri che consente di eliminare tutte le informazioni

inutili contenute nel set di dati in modo da risparmiare spazio nella memoria

di massa della PSCU.

In definitiva, la scheda i-daq di PAMELA e costituita da una sezione di

smistamento dati, costituita da un multiplexer e da un demultiplexer, da un

dsp che compie le operazioni sui dati e da due banchi di memoria che sono

utilizzati sia per la memorizzazione temporanea dei dati e dei programmi da

inviare alla PSCU ed ai sottosistemi, sia all’immagazzinamento del software

Il sistema per la misura del tempo di volo 51

necessario al funzionamento del dsp.

La scheda e connessa ai vari front-end mediante collegamenti seriali su

bus LVDS (da Low Voltage Differenzial Signaling). Tale protocollo e parti-

colarmente indicato per uso spaziale poiche assicura basso consumo, basso

rumore ed alta velocita di trasmissione.

Come la PSCU anche questa scheda necessita di un’elevata affidabilita

hardware e per questo motivo, a bordo del satellite, sono state previste due

copie gemelle attivabili mediante telemetria.

3.3 Il ToF in dettaglio

Il sistema di misura del tempo di volo (in breve ToF, da Time of Flight) e

costituito, come descritto nel paragrafo 2.3.2, da 3 piani scintillatori con 48 fo-

tomoltiplicatori. Di seguito verra fornita una descrizione generale delle parti

che compongono tali piani contatori. Successivamente, seguira la definizione

dei protocolli e le caratteristiche piu importanti della sezione elettronica.

3.3.1 I contatori a scintillazione

L’esperimento PAMELA ha richiesto lo sviluppo di un sistema di misura

del tempo di volo che garantisse una risoluzione temporale di circa 150 ps.

Cio e stato possibile utilizzando materiale scintillatore con elevata emissione

di fotoni, avente un tempo di risposta rapido e una grande lunghezza di

attenuazione in relazione alla propria lunghezza lineare . I fotomoltiplicatori

devono avere una contenuta fluttuazione nel tempo di transito e segnali di

uscita con breve tempo di salita.

Esistono fondamentalmente due classi di scintillatori: inorganici, costitu-

iti da cristalli alcalini contenenti una piccola frazione di impurita che funge

da attivatore, ed organici, composti da idrocarburi aromatici. Gli elevati

valori di densita e numero atomico dei primi implicano la perdita di una

grande quantita di energia da parte delle particelle che li attraversano garan-

dendo una buona risoluzione energetica. I secondi, avendo una costante di

decadimento relativamente bassa, sono particolarmente indicati per misura

di tempo. Gli scintillatori organici maggiormente utilizzati in fisica delle alte

52 3.3 - Il ToF in dettaglio

Figura 3.2: Uno scintillatore con guida di luce e fotomoltiplicatore del ToF.

energie sono quelli plastici, formati da soluzioni di scintillatore organico in

solventi plastici solidi. Per il ToF di PAMELA sono stati scelti gli scintillatori

BC-404 di tipo plastico, prodotti dalla Bicron ([42]).

I fotomoltiplicatori scelti per l’apparato sono gli R5900 prodotti dalla

Hamamatsu Photonic ([43]). Questo tipo di PMT e particolarmente adatto

alle applicazioni di tipo aereospaziali essendo di dimensioni ridotte e molto

leggeri (25g). La risposta spettrale si estende nell’intervallo di lunghezze

d’onda compreso tra i 300 nm e 600 nm con un massimo attorno ai 400

nm in corrispondenza del quale si ha un’efficienza quantica del 20%. Tale

caratteristica risulta essere in pieno accordo rispetto le specifiche degli scin-

tillatori BC-404. Il sistema di amplificazione e composto da una serie di 10

dinodi disposti in configurazione a ”tendina veneziana” (venetial blind), ad

un angolo di 45 rispetto all’asse della cascata di elettroni: questo consente

di avere una buona efficienza di raccolta nonostante le ridotte dimensioni

lineari.

Tali fotomoltiplicatori sono progettati in modo da presentare un’asse di

montaggio preferenziale, lungo il quale le interferenze dovute ai campi mag-

Il sistema per la misura del tempo di volo 53

Figura 3.3: Specifiche tecniche dello scintillatore Bicron-404.

netici a cui sono inevitabilmente sottoposti risultano meno dannose alla cate-

na di amplificazione. In aggiunta, un rivestimento di materiale ferromagneti-

co ne garantisce un rendimento costante.

3.3.2 Il sistema di front-end

Il ToF dell’apparato PAMELA prevede l’ausilio di 48 fotomoltiplicatori, con-

seguentemente, sono state realizzate 6 schede per il front-end, ognuna avente

8 canali. Descriviamo in dettaglio tale sezione, trascurando il protocollo

di funzionamento in quanto tali schede risultano essere gestite direttamente

dalla scheda di dsp trattata nel prossimo paragrafo. Ogni front-end prevede

una sezione analogica, per la misura di tempo e di carica dei segnali for-

niti da ognuno dei fotomoltiplicatori, e una sezione digitale per la gestione

dei dati e della stessa scheda. La sezione analogica per la misura di tem-

po prevede dei comparatori a doppia soglia e l’impiego di un convertitore

tempo-ampiezza-tempo (TATC) a doppia rampa per espandere l’intervallo

di tempo da misurare, mentre, la sezione analogica per la misura della carica

e basata su un convertitore di carica con controllo di gate. Poiche entrambe le

54 3.3 - Il ToF in dettaglio

Figura 3.4: Schema a blocchi dell’elettronica di front-end.

misure vengono convertite in una misura di tempo e stato sufficiente adoper-

are come unico componente un TDC digitale con il vantaggio di semplificare

l’architettura complessiva e minimizzare i consumi.

In figura 3.4 vediamo che ogni front-end acquisisce i segnali provenienti da

8 fotomoltiplicatori. Essi vengono doppiati ed inviati a 2 TDC, implementati

su logica programmabile fpga, ognuno dei quali gestisce 8 canali (dunque si ha

un TDC dedicato alla misura di tempo ed un TDC per la misura di carica).

In riferimento ai diagrammi temporali di figura 3.5, vediamo che all’arrivo

del segnale di ogni PMT ha inizio la fase di carica di una capacita (segnale

RAMP) in concomitanza all’attivazione di un segnale da inviare alla scheda

di trigger per la vidimazione dell’evento (segnale TO TRIGGER CARD).

Entro un tempo prefissato, i front-end attendono un segnale di trigger, gen-

erato dall’omonima scheda elettronica allor quando giungono ad essa i segnali

dei fotomoltiplicatori che concorrono a verificare una particolare condizione

logica preimpostata. L’arrivo del segnale di trigger interrompe la fase di cari-

ca della capacita e da il via alla fase di scarica ma con un tempo caratteristico

piu lento. I TDC misureranno quindi il tempo che la capacita impiega per

Il sistema per la misura del tempo di volo 55

Figura 3.5: Diagrammi temporali per il sistema di espansione a doppia rampadei TDC.

scaricarsi (TDC GATE ), tempo che risulta essere direttamente proporzionale

al tempo trascorso tra l’arrivo del segnale del PMT e la generazione del seg-

nale di trigger. Se il segnale di trigger non viene generato, allora l’evento

sara reputato non valido e le capacita sono scaricate rapidamente in modo

da ripristinare le condizioni iniziali (AUTO RESET ). I TDC realizzati oper-

ano conversioni digitali a 12 bit garantendo cosı una dinamica di 4095 passi

di conteggio. Ad ogni componente viene fornito un segnale di cadenza a

100 MHz che consente di avere una risoluzione temporale nominale di 10 ns

sul bit meno significativo (LSB). La dinamica temporale del componente e

dunque pari a 212× 10ns = 40950ns. L’espansore analogico a doppia rampa

asimmetrica realizza un fattore di espansione α ' 200, dunque si ha una

risoluzione nominale effettiva che corrisponde ad un LSB di:

LSB =10ns

α' 50ps

La sezione analogica dedicata alla misura della carica e costituita da un

preamplificatore di carica che si comporta come uno stadio cuscinetto per

l’espansore di impulso. Il segnale fornito dal PMT (tipicamente della durata

di 10 ns ed un’ampiezza che varia tra i 50 mV e 5 V, visibile nel tracciato

a) viene integrato da un amplificatore di carica (traccia b) e successivamene

56 3.3 - Il ToF in dettaglio

Figura 3.6: Diagrammi temporali per il sistema di misura impulso-tempo-carica.

inviato alla sezione di espansione, fornendo cosı il segnale TDC GATE (trac-

cia c) proporzionale all’intensita dell’impulso e dunque alla carica rilasciata

dalla particella. Un TDC, anche in questo caso, converte il segnale temporale

TDC GATE in una grandezza digitale che consente di risalire ad una misura

della carica.

3.3.3 La scheda di trigger

Le mansioni della scheda di trigger sono sostanzialmente:

1. fornire il segnale di trigger per l’acquisizione degli eventi utili;

2. fornire dati in merito al rate del trigger, misura del ”tempo vivo” e

”tempo morto” ed al conteggio dei segnali provenienti dai fotomoltipli-

catori.

Il sistema per la misura del tempo di volo 57

Il segnale di trigger viene generato per convalidare un evento utile e

dunque esso sara il veto per i dispositivi elettronici di memorizzazione affinche

acquisiscano i dati, relativi all’evento, di ogni rivelatore.

La scheda di trigger controlla i segnali provenienti da tutti i fotomoltipli-

catori del sistema ToF ed un’analisi molto rapida di essi permette di stabilire

se l’evento in esame puo ritenersi valido. Tale analisi e effettuata mediante

funzioni logiche preimpostate e selezionabili esclusivamente tramite un’op-

portuna configurazione. Con riferimento alla figura 2.3, ogni piano del ToF

e costituito da 2 semipiani di strisce di scintillatori, conseguentemente, sara

adottata la convenzione di indicare con S1, S2, S3 i piani e con S11 e S12

i primo ed il secondo semipiano relativi al piano S1. Analogamente verra

fatto per i rimanenti. Con il simbolo s11 si indichera, invece, l’OR logico tra

tutti i segnali degli scintillatori appartenenti al semipiano S11, mentre s12

rappresenta l’OR del secondo semipiano.

Poiche si e interessati al passaggio delle particelle attrverso i vari piani

del sistema di misura del tempo di volo, risulta chiaro che lo stato logico del

segnale s11 indichera, secondo la convenzione assunta, se una particella ha

attraversato o meno una qualsiasi delle strisce di scintillatore appartenenti

al primo semipiano di S1.

Di seguito sono riportate le 5 funzioni logiche preimpostate per l’analisi

degli eventi:

1. (s11 OR s12) AND (s21 OR s22) AND (s31 OR s32)

2. (s11 AND s12) AND (s21 AND s22) AND (s31 AND s32)

3. (s21 OR s22) AND (s31 OR s32)

4. (s21 AND s22) AND (s31 AND s32)

5. s12 AND (s21 AND s22)

Ovviamente, le funzioni sono selezionabili in maniera esclusiva mediante co-

mando diretto alla scheda di trigger. Si e ritenuto opportuno definire 5 diverse

funzioni logiche per la generazione del segnale di trigger poiche il telescopio

58 3.3 - Il ToF in dettaglio

Figura 3.7: Proiezioni teoriche della frequenza di trigger in configurazione 1.

Il sistema per la misura del tempo di volo 59

non lavorera sempre nelle medesime condizioni. Giustifichiamo quindi tali

scelte.

La condizione 1 e stata studiata per intercettare il maggior numero pos-

sibile di particelle, infatti tale equazione risulta la meno restrittiva, ma se da

un lato contribuisce ad ottenere una statistica elevata, puo non rappresentare

un filtro adeguato al rumore. Inoltre, un’elevata frequenza di trigger aumen-

ta il ”tempo morto” dell’apparato (cioe il tempo durante il quale il sistema e

occupato nelle procedure di acquisizione e memorizzazione dei dati) inibendo

cosı la rivelazione di ulteriori eventi possibili. In figura 3.7, possiamo vedere

la frequenza di trigger ottenibile mediante tale configurazione. Tale grafico

risulta essere una proiezione teorica della frequenza di trigger stimata in base

all’attivita solare e alla latitudine di osservazione, mostrando chiaramente le

anomalie che si verificano nel Sud Atlantico, dove vi e una grande presenza

di particelle intrappolate (principalmente protoni). Il numero e l’energia di

tali particelle hanno intensita tale da poter metter in crisi il telescopio.

La condizione 2, pur presentando gli stessi termini della 1, risulta piu

restrittiva e per certi versi piu realistica grazie alla presenza dell’AND logico

tra i vari semipiani. Infatti, una particella che attraversa un semipiano avra

un’elevatissima probabilita di attraversare anche il secondo semipiano avendo

questi ultimi la medesima superficie ed essendo a contatto tra loro.

Le condizioni 3 e 4 sono state studiate per contrastare gli effetti in-

desiderati che si avrebbero quando il telescopio transita nelle regioni di Van

Allen. Infatti, come si puo vedere dal grafico 3.8, in tali fasce, dove risiedono

un gran numero di particelle cariche intrappolate all’interno del campo mag-

netico terrestre, i piani scintillatori S11 e S12 possiedono una frequenza di

conteggio decisamente elevata. Essendo le particelle di tali regioni principal-

mente elettroni di bassa energia (fino a 5 MeV), molte di esse non riescono

a raggiungere i piani scintillatori S21 e successivi, dunque, l’esclusione dei

segnali s11 e s12 dalla funzione logica per la generazione del trigger comporta

una sostanziale diminuzione della frequenza di eventi utili che il sistema puo

rivelare, in quanto, il piano S1 si comporta da filtro per tali particelle poco

interessanti.

60 3.3 - Il ToF in dettaglio

Figura 3.8: Proiezioni teoriche della frequenza di trigger per i semipiani S1 e S2.

La condizione 5 e stata implementata per studiare le particelle di bassa

energia. Com’e possibile notare, in questa configurazione non e presente il

piano S3. In tal modo sara possibile studiare proprio le particelle intrappolate

presenti nelle fasce di radiazione. Anche questa configurazione e, comunque,

immune al rumore. L’assenza del segnale relativo al semipiano S11, permette

di eliminare dalla generazione del trigger il contributo di quelle particelle di

energia talmente bassa da essere assorbite dal materiale scintillante di cui e

composto il primo semipiano del ToF. In definitiva la rate attesa per le varie

configurazioni di trigger non dovrebbe superare la frequenza di 16 Hz, come

si evince dal grafico 3.9.

Come si evince da tale discussione, la scheda di trigger deve assolvere

anche l’importante compito di fornire informazioni riguardanti la frequenza

del segnale di trigger relativa alle diverse configurazioni e ai conteggi per

ognuno dei semipiani del ToF. Per adempiere a tali compiti, sulla cheda sono

stati implementati una serie di contatori in grado di fornire tali dati. Di

seguito viene riportato un elenco di tali dispositivi:

• contatori di singolo canale che hanno il compito di stabilire la fre-

Il sistema per la misura del tempo di volo 61

Figura 3.9: Proiezioni teoriche della frequenza di trigger.

quenza di rivelazione di ogni singolo canale del ToF, su una base di

tempo stabilita pari ad un secondo. Tali informazioni sono utili a

monitorare il comportamento funzionale di ogni fototubo;

• contatori di semipiano, che forniscono informazioni riguardo al nu-

mero di eventi rilevati per semipiano, dunque, saranno conteggiati i

segnali sij;

• contatori di funzione di trigger, per fornire la frequenza di ogni sin-

gola configurazione di trigger, utile al fine del calcolo del flusso di parti-

celle e per la diagnastica hardware della sezione stessa che implementa

tali funzioni logiche;

62 3.3 - Il ToF in dettaglio

• contatori di tempo vivo e di tempo morto per la misura del

tempo in cui l’apparato e impegnato nell’acquisizione dei dati relativi

ad un evento (tempo morto) e del tempo in cui si attende un nuo-

vo evento (tempo vivo). Tali informazioni, unitamente alle preceden-

ti, risultano indispensabili per stimare il flusso assoluto di particelle

che interagiscono con il telescopio, e l’efficienza hardware dell’intero

sistema.

Il sistema di acquisizione di terra, per il controllo e la gestione del ToF

del seguente progetto di tesi, e in grado di interfacciarsi e gestire la scheda

di trigger, sfruttando a pieno tutte le sue potenzialita. Il segnale di trig-

ger e chiaramente indispensabile per il funzionamento del sistema poiche

determina la fine del tempo vivo e l’inizio del tempo morto. Mediante tale

informazione propagata alla i-daq ed elaborata dal personal computer si e

in grado di decidere le operazioni successive da compiere. Precisamente, e

durante il tempo morto dell’esperimento che, tramite sistema, si possono

richiedere i dati contenuti nei vari contatori della scheda di trigger, nonche

quelli contenuti nei TDC dei front-end, riconfigurare i dispositivi per un nuo-

vo ciclo di acquisizione, e riattivare la scheda di trigger in attesa di rilevare

un nuovo evento utile.

3.3.4 La scheda dsp

La scheda di dsp e un controllore digitale per la gestione ed il controllo

dell’elettronica di front-end; si interfaccia da un lato con le schede di front-

end stesse e dall’altro con l’interfaccia i-daq. Tale dispositivo riceve dalla

i-daq i comandi per le operazioni che devono essere effettuate dall’elettronica

di front-end del ToF, e dunque necessario stabilire sia il protocollo che la

descrizione dei comandi che il dispositivo e in grado di eseguire.

La comunicazione dei dati, sia in ingresso che in uscita, avviene tramite

bus seriale di tipo data-strobe su 8 bit. L’inizio stesso dell’attivita delle

linee data e strobe determina l’inizio della trasmissione dei dati, mentre un

dispositivo di time out ne determina la fine se le linee restano inattive per

un periodo superiore a 3.2µs.

Il sistema per la misura del tempo di volo 63

A livello di pacchetto dati, la trasmissione da e verso la i-daq e protetta

mediante l’invio di un byte di CRC. Tali specifiche verrano riprese nel prossi-

mo capitolo in modo piu dettagliato fornendo una descrizione accurata di

come esse siano state soddisfatte nell’implementazione della i-daq.

Di seguito si vuole riportare invece una descrizione dei possibili coman-

di provenienti dalla i-daq che possono sostanzialmente essere divisi in due

categorie:

1. comandi di configurazione;

2. comandi diretti ai front end.

I comandi di configurazione del dispositivo si trovano descritti nella seguente

tabella:Command Bit 7÷4 (Hex) Bit 3÷0 (Hex)

Write Mask 4 FAlarm Read 3 FRaw Mode 1 FDSP Mode 2 F

Dopo ciascun byte di comando possono seguire una o piu parole di dato

necessarie per il completamento del comando stesso.

Il comando Write Mask consente di impostare il registro di maschera

interno alla scheda di dsp e relativo ai canali front-end. Qesto comando e

seguito da altri due byte che consentono di individuare quali canali di front

end non leggere e da altri due byte dummy che in realta non sono utilizzati.

64 3.3 - Il ToF in dettaglio

Il comando Alarm Read consente di leggere il registro degli allarmi

interno, e l’interpretazione dei campi del byte di risposta avviene mediante

tale schema:

bit 0 ÷ 11 : Time out front-end (campo FE Time out)

bit 12 : Time out dsp

bit 13 : CRC error

bit 14 : CMD error

bit 15 : Not used

Il campo FE Time out e costituito per i primi sei bit meno significativi

dal bit di timeout dei TDC1 di ciascun front-end ( bit0: TDC1 f-e 0,...,bit5:

TDC1 f-e 5) e per i successivi sei dal bit di timeout dei TDC2. Quando

si presenta una sorgente di errore tra quelle ammesse in legenda, il relati-

vo bit presente nel registro degli allarmi viene attivato, segnalando l’evento

propagando un segnale di allarme generale.

I comandi di Raw Mode e DSP Mode consentono l’utilizzo o meno

del dispositivo ”digital signal processor” presente sulla scheda.

I codici operativi del set di comandi per le schede di front-end sono i

seguenti:

Command Bit 7÷4 (Hex) Bit 3÷0 (Hex)

Front End Clear 0 FFront End Reset E FE IDWrite PMT B FE IDFront End AQ D FE ID

Come si puo notare, alcuni di questi codici operativi contengono un cam-

po variabile (indicato con la sigla FE ID) nei 4 bit meno significativi. Uti-

lizzando tali bit e possibile indirizzare il comando ad una specifica scheda

di front-end; i valori ammessi per tale campo sono compresi tra 0 e 5 e

precisamente si ha la corrispondenza: f-e 0 = bit0,...,f-e 5 = bit5.

Il comando Front End Clear e utilizzato per effettuare il reset hardware

contemporaneo delle 6 schede di front-end.

Il sistema per la misura del tempo di volo 65

Il comando Front End Reset ha la stessa funzione del precedente, ma

con differente modalita di attuazione. In questo caso il comando e seguito

da un ulteriore byte (di valore pari a C0) che costituisce il comando vero e

proprio da trasmettere alla sola scheda di front-end selezionata dal campo

FE ID. La sintassi del comando e dunque la seguente:

Il comando Write PMT permette, invece, di impostare le soglie dei

fotomoltiplicatori. In tal caso occorre inviare il codice operativo come in

tabella, l’indirizzo del front-end da impostare, il comando vero e proprio ed

infine i valori a cui si vogliono impostare le soglie (byte 2÷5):

Infine abbiamo il comando Front End AQ che consente di effettuare

l’acquisizione dati dalle schede di front-end. Ancora una volta il campo

variabile del comando consente di selezionere da quale delle 6 schede si vuole

effettuare l’acquisizione, mentre, un ulteriore byte consente di scegliere tra i

dati forniti dal TDC1 (tempo di volo) o quelli del TDC2 (misura di carica).

La sintassi del comando e la seguente:

Quando una scheda di front-end riceve il comando di lettura dei dati

acquisiti, essa risponde con un frame di 18 byte che vengono inseriti dalla

66 3.4 - Il modello tecnologico o di terra del ToF

scheda di dsp in un pacchetto la cui struttura e riportata in figura 3.10. Tale

pacchetto e successivamente trasferito alla i-daq, oppure, alla memoria dati

contenuta nel processore DSP a seconda della modalita di funzionamento

selezionata.

La scheda di dsp e in grado di fornire un segnale di busy alla scheda di

trigger in modo da far sapere che il segnale di trigger e stato ricevuto. Tale

segnale viene attivato basso e permane in tale stato fino alla ricezione del

comando di Front End Clear inviato dalla scheda i-daq.

Figura 3.10: Pacchetto dati di risposta dei front end al comando di acquisizione.

Nella pagina successiva e stata riportata una foto ad alta risoluzione delle

3 schede elettroniche del sistema ToF. Precisamente, partendo dall’alto verso

il basso, si vede una rappresentante delle 6 schede di front-end, la scheda di

trigger e la scheda di dsp.

3.4 Il modello tecnologico o di terra del ToF

Progetti sofisticati e complessi come PAMELA prevedono la realizzazione di

un prototipo che emula in dettaglio l’apparato che in seguito verra utilizzato.

Il sistema per la misura del tempo di volo 67

Figura 3.11: Schede elettroniche di front-end,trigger e dsp.

68 3.4 - Il modello tecnologico o di terra del ToF

Precisamente, i prototipi progettati e realizzati, al fine di verificare e svilup-

pare le diverse funzionalita dell’apparato finale, sono molteplici, infatti, per

PAMELA sono stati realizzati:

• modello meccanico e di massa;

• modello termico;

• modello tecnologico o di terra;

• modello di volo.

Il modello tecnologico o di terra e dedicato alla verifica delle compatibilita

software (protocolli di comunicazione e altro) e hardware (cavi, connettori e

altro), nonche a constatare le funzionalita e le potenzialita del sistema. In-

oltre, anche dopo il lancio del satellite tale modello continua ad essere molto

importante, in quanto eventuali anomalie del sistema di volo possono essere

riprodotte in laboratorio in modo da poter essere studiate al fine di trovare

soluzioni da trasferire telemetricamente al sistema orbitante, ed ancora, per

il modello di terra sono previste verifiche mediante fasci di particelle o nuclei

prodotti in ambiente controllato, che costituiscono un importante metodo per

proseguire nella caratterizzazione del sistema. Tale modello, a differenza degli

altri, puo anche essere sostanzialmente diverso nella forma e nella struttura

rispetto alla versione finale. Il modello tecnologico del sistema di misura del

tempo di volo e stato realizzato a Napoli, e per continuare ad essere utilizzato

necessita di un sistema di controllo e gestione che deve risultare sostanzial-

mentene diverso dal sistema PSCU ed i-daq adoperati per PAMELA. Basta

pensare che per il modello di terra, infatti, il flusso di dati non viene trasferito

in memoria di massa tramite telemetria. Lo schema in figura 3.12 fornisce

l’idea del sistema che e stato adottato e che costituisce il presente lavoro di

tesi. Osserviamo in particolare i moduli elettronici che costituiscono il ToF,

cioe le 6 schede di front-end, la scheda di trigger e la scheda dsp (manca una

rappresentazione dei piani scintillatori per completare il sistema), mentre,

in riquadro e possibile osservare il sistema di controllo e gestione, costituito

dal modulo i-daq da me realizzato per utilizzare il personal computer come

Il sistema per la misura del tempo di volo 69

Figura 3.12: Schema a blocchi del sistema elettronico per il sistema di misuradel tempo di volo. Nel riquadro si possono notare l’interfaccia i-daq ed il sistemadi gestione rappresentato dal personal computer.

sistema PSCU di terra. Nel prossimo capitolo viene discusso in dettaglio la

seconda fase del lavoro di tesi, focalizzando l’attenzione sulla progettazione

e la realizzazione dell’interfaccia i-daq e sul software ideato per utilizzare il

personal computer come annello finale della catena di acquisizione.

Capitolo 4

Il progetto del sistema diacquisizione

4.1 Introduzione

Nel seguente capitolo verra focalizzata l’attenzione sul sistema di acquisizione

e controllo del modello tecnologico del ToF, evidenziando gli aspetti piu in-

teressanti e le soluzioni adottate durante la progettazione e la realizzazione.

Lo schema a blocchi in figura 4.1, fornisce una veduta d’insieme dell’elet-

tronica del sistema e della modalita di interconnessione tra le varie schede.

E’ evidente come sia molto importante definire dapprima correttamente il

protocollo di trasmissione dati.

Le schede di trigger e di dsp utilizzano il protocollo di trasmissione seriale

data - strobe, il personal computer e invece in grado di effettuare lo scambio di

dati mediante una scheda di acquisizione pci, orientata alla trasmissione par-

allela dei bit. La scheda i-daq deve dunque provvedere a rendere compatibile

le due differenti modalita di trasmissione dati.

Un secondo aspetto molto importante che si e dovuto affrontare e quello

relativo alla temporizzazione differente con cui i dati vengono trasmessi. In-

fatti, le schede di trigger e dsp inviano i dati impacchettati un treno di byte,

all’interno di una finestra temporale definita da uno start ed uno stop. Tale

pacchetto dovra dunque essere ricevuto dalla i-daq e memorizzato all’interno

di una memoria fifo. Al termine del trasferimento, il pacchetto in memoria

71

72 4.1 - Introduzione

Figura 4.1: Interconnessioni tra le schede elettroniche del sistema di acquisizione.

e suddiviso in singoli byte ed inviato al personal computer rispettando le

specifiche temporali per l’ handshake con la scheda di acquisizione pci.

La gestione dei dati ed il loro trasferimento, rappresenta una mansione

molto importante della i-daq, ma essa si configura all’interno di un piu ampio

insieme di compiti che devono essere svolti, come la configurazione del sistema

affinche si dia l’avvio per l’acquisizione di eventi o la gestione degli allarmi.

E’ stato dunque necessario conferire alla i-daq un aspetto piu flessibile, cioe

essa e stata progettata come automa a stati finiti in grado di interpretare

istruzioni e di effettuare cicli predefiniti per l’esecuzione dei comandi.

Successivamente, e trattato il delicato aspetto della simulazione software

e del collaudo hardware, infatti, l’implementazione della i-daq su dispositivo

fpga e stato ampiamente simulato al calcolatore consentendo cosı di appurare

che tutte le funzionalita logiche fossero rispettate. Parallelamente alla sintesi

del programma i-daq sul dispositivo alloggiato su un’apposita scheda, si e

provveduto alla realizzazione dal software necessario al personal computer

per poter gestire la stessa i-daq e successivamente si e passati al cablaggio

Il progetto del sistema di acquisizione 73

dell’intero sistema ed al suo collaudo.

Di seguito e riportata una breve descrizione dei segnali che interessano in

primo piano l’interfaccia i-daq:

• DATA IN, STROBE IN: segnali per la trasmissione dei dati verso la

i-daq per il protocollo data - strobe

• DATA OUT, STROBE OUT: segnali per la trasmissione dei dati in

uscita dalla i-daq per il protocollo data - strobe

• DSP ALARM∗, TRG ALARM∗: segnali per la comunicazione dello

stato di allarme delle schede di dsp e di trigger. Tali allarmi sono

definiti come ”allarmi esterni”

• I-DAQ BUSY∗: segnale per la comunicazione dello stato di ”occupato”

della i-daq. Assegnando il valore logico basso a tale linea si disabilita

la scheda di trigger per la generazione di trigger d’eventi.

• TRIGGER∗: e il segnale dell’omonima scheda elettronica che indica il

verificarsi di un evento utile

• DATA: bus parallelo ad 8 bit per la trasmissione dei comandi e dei dati

da e verso il personal computer

• OBF∗, ACK∗, STB∗, IBF: segnali per l’handshakee dei dati del bus

parallelo DATA

• RESET: e il reset asincrono gestito tramite il personal computer

• FLAG TRIGGER: e il segnale che comunica al personal computer che

un nuovo evento utile e stato acquisito ed e disponibile attraverso la

lettura dei TDC della scheda di front - end e dei CONTATORI della

scheda di trigger

• READY: indica al personal computer che la i-daq e pronta per ricevere

un nuovo comando

• ALARM: questo segnale indica lo stato di allarme del sistema. Esso

indica sia un allarme di tipo esterno che interno alla i-daq.

74 4.2 - La trasmissione dei dati

4.2 La trasmissione dei dati

Il flusso di dati che la scheda di trigger e di dsp scambiano con la scheda

i-daq aderisce al protocollo di trasmissione seriale data - strobe. Esso risulta

essere conveniente da un punto di vista del consumo di potenza poiche, come

vedremo, non prevede commutazioni simultanee dei segnali presenti sulle

linee DATA e STROBE, permettendo comunque, al dispositivo a valle della

trasmissione, di ricostruire un segnale di clock col quale campionare il segnale

della linea DATA. Per rendere la trasmissione dei segnali elettrici immune da

rumore esterno si e ricorso allo standard lvds.

La scheda di acquisizione pci del personal computer, che consente la co-

municazione con la i-daq, e una interfaccia digitale parallela a 96 bit. Il

trasferimento dei dati tra le schede di trigger e dsp con la scheda i-daq,

avvengono con una velocita dell’ordine di centinaia di nano secondi per byte,

mentre il personal computer gestisce il flusso di dati con una velocita del-

l’ordine di decine di micro secondi per byte. Questa discrepanza di velocita

e dovuta al fatto che il processore del personal computer deve eseguire un

certo numero di cicli macchina per poter gestire la scheda di acquisizione pci.

4.2.1 Codifica e decodifica data-strobe

Incominciamo con il descrivere il protocollo di trasmissione seriale data -

strobe. Tale protocollo utilizza due linee di comunicazione: DATA e STROBE.

La linea DATA trasporta il dato vero e proprio, mentre il segnale STROBE e

utilizzato dal dispositivo ricevitore per produrre il clock seriale con cui cam-

pionare i dati che viaggiano sulla linea DATA. I segnali DATA e STROBE

sono generati in trasmissione in modo tale che il clock ricostruito, DATA xor

STROBE, abbia una frequenza di 10 MHz. Nel caso in cui due bit contigui

trasmessi sulla linea DATA non presentino variazioni, il segnale STROBE

subisce una transizione; nel caso invece in cui due bit contigui trasmessi sulla

linea DATA presentino una variazione, il segnale STROBE rimane inalterato

al valore precedente; il clock con cui il ricevitore campiona la linea DATA

puo essere allora ricostruito mediante lo xor dei segnali DATA e STROBE

(figura 4.2).

Il progetto del sistema di acquisizione 75

Figura 4.2: Protocollo data - strobe.

In condizioni di riposo, i segnali DATA e STROBE si trovano al livello

logico alto e pertanto nel caso in cui il primo bit ad essere trasmesso sia un

1 logico, il segnale di STROBE presentera una transizione da alto a basso

per segnalare l’inizio della trama. Le linee DATA e STROBE verranno poi

riportate nello stato logico di riposo alla fine della trasmissione di ciascun

pacchetto dati, mentre tra un byte ed il successivo (all’interno di un pac-

chetto) manterranno il valore assunto dall’ultimo bit trasmesso. Definito lo

standard data - strobe, si rende necessario stabilire lo start e lo stop del pac-

chetto di dati da trasmettere. Lo start, come da protocollo, e determinato

dalla prima transizione H→L delle linee DATA o STROBE, per determinare

lo stop si congela lo stato delle linee (in corrispondenza dell’ultimo bit da

trasmettere) per un tempo stabilito detto time out, allo scadere del quale, la

trasmissione e considerata conclusa.

Il diagramma temporale di figura 4.3 illustra le convenzioni adottate per

la scheda i-daq. Al termine della trasmissione del pacchetto dati, la i-daq

conserva lo stato delle linee secondo l’ultimo bit per un tempo di 3,2 µs,

tempo sufficientemente lungo per consentire al dispositivo ricevitore di con-

siderare conclusa la trasmissione. Contemporaneamente, la i-daq apre una

76 4.2 - La trasmissione dei dati

Figura 4.3: Convenzioni per il time out della i-daq.

propria ”finestra temporale”, della durata di 25 µs, durante la quale attende

l’eventuale risposta (e questo il tempo detto di time out). La trasmissione

della risposta puo essere ora intervallata da pause non piu lunghe di tale tem-

po, pena la conclusione della ricezione da parte della i-daq. L’inattivita delle

linee DATA e STROBE fornisce il via ad un contatore per il conteggio del

time out ed ogni commutazione di una di queste linee provoca l’azzeramento

del contatore.

E’ importante osservare che la i-daq, cosı come tutte le altre schede del sis-

tema, e stata progettata in modo da risultare sensibile soltanto alla ricezione

di pacchetti dati composti da un byte o multipli di un byte. Tale carat-

teristica consente di escludere bit indesiderati come quelli che sono generati

inevitabilmente quando le linee DATA e STROBE sono riportate nello stato

di riposo. La simultaneita delle transizioni che portano le due linee nello

stato di riposo e puramente teorico, in quanto uno skew dei due segnali e

inevitabile. Per convenienza, verranno indicati con DATA IN e STROBE IN

i segnali in ingresso alla i-daq, e con DATA OUT e STROBE OUT i seg-

nali in uscita. Come si puo notare dallo schematico seguente (figura 4.4),

la codifica dei dati seriali in formato data - strobe richiede l’ausilio di due

ulteriori segnali di controllo quali il PRESET, per tenere alto lo stato delle

linee quando non vi e trasmissione, e l’ENABLE che consente di congelare

l’ultimo bit trasmesso, durante l’attesa dello scadere del time out o tra un

Il progetto del sistema di acquisizione 77

Figura 4.4: Codifica data - strobe.

byte ed il successivo all’interno del pacchetto di dati. Il diagramma timing

mostra la temporizzazione corretta dei segnali PRESET ed ENABLE (figura

4.5). Il segnale SERIAL DATA, che in questo diagramma e composto di 2

gruppi di 4 bit contigui intervallati da un bit fittizio, risulta essere l’uscita

del flip - flop piu significativo di uno shift register.

Il clock della i-daq e stato impostato a 40 MHz (25 ns), dunque per

ottenere un clock ricostruito dai segnali DATA e STROBE di 10 MHz (100

ns) e necessario che lo shift register fornisca un bit ogni 50 ns e che il flip

- flop del segnale di STROBE sia abilitato con una frequenza di 20 MHz

(50 ns). L’azione del segnale ENABLE consente di ”filtrare” i bit fittizi,

infatti, come rappresentato nel diagramma temporale, in corrispondenza del

bit ”pausa” i flip -flop risultano essere disabilitati ( il segnale STROBE non

commuta per asserire la linea DATA in corrispondenza di tale bit).

La scelta di fornire alla i-daq un segnale di clock di 40 MHz e stata nec-

78 4.2 - La trasmissione dei dati

Figura 4.5: Diagramma temporale per il codificatore data - strobe.

essaria perche i segnali DATA e STROBE risultano essere asincroni rispetto

tale segnale di cadenza, conseguentemente, ricevendo tali segnali in modo

che il clock da essi ricostruito risulti di frequenza pari a 10 MHZ, si ha che

il loro corretto campionamento deve essere effettuato con una frequenza di

almeno 20 MHz. Un clock doppio rispetto la frequenza minima accettabile

fornisce dunque un margine di sicurezza piu che sufficiente.

Figura 4.6: Decodifica data - strobe.

La decodifica data - strobe richiede un doppio shift register (figura 4.6).

Il progetto del sistema di acquisizione 79

Figura 4.7: Trasmettitore e ricevitore lvds.

Il segnale DATA IN e campionato sia sui fronti di salita del clock ricostru-

ito, sia sui fronti di discesa o, analogamente, sui fronti di salita del clock

ricostruito: not (DATA IN xor STROBE IN). Nel progettare questo

particolare shift register, e stato considerato che il clock con cui si campiona

la linea DATA IN, e costruito con lo stesso segnale DATA IN, dunque per non

violare il tempo di setup e necessario introdurre un ritardo sufficientemente

lungo.

4.2.2 Lo standard lvds

Per permettere il trasferimento di dati a lunga distanza tra le schede di front-

end, trigger, dsp ed i-daq, si utilizzano dei trasmettitori e ricevitori lvds [44].

Lo standard elettrico di comunicazione lvds (lowe voltage differential signal),

introdotto dalla National Semiconductor, e caratterizzato dai bassi consu-

mi, bassa emissione elettromagnetica ed elevata velocita di trasmissione. Il

trasmettitore lvds consiste in un generatore di corrente (3.5 mA nominali)

che pilota un doppino differenziale con impedenza caratteristica di circa 100

Ω. Il ricevitore presenta un’alta impedenza di ingresso, cosicche la corrente

del trasmettitore passa nella resistenza di terminazione, anch’essa da 100 Ω,

provocando una caduta di tensione ai suoi capi di circa 350 mV che va in

80 4.2 - La trasmissione dei dati

ingresso al ricevitore. Quando il driver commuta, si inverte il verso di per-

correnza della corrente attraverso la resistenza di terminazione, cambiando

cosı lo stato logico del segnale in uscita dal ricevitore (figura 4.7).

Il segnale digitale TTL in ingresso al trasmettitore e trasformato in seg-

nale differenziale lvds, in tal modo esso puo essere trasmesso per distanze di

circa 10 m e riconvertito dal ricevitore di nuovo in segnale TTL, rispettando

lo stato logico del segnale di partenza.

Il vantaggio della trasmissione differenziale risiede nel fatto che se en-

trambi i cavi delle line di trasmissione sono interessati dal medesimo rumore

(rumore di modo comune), allora esso e annullato da ricevitore che vede solo

la differenza di potenziale dei due segnali.

4.2.3 La scheda pci DIO-96

La scheda per bus pci del personal computer, DIO-96 della National Instru-

ments [45], e un’interfaccia digitale a 96 bit paralleli, gestibili sia in input

che output. Essa e costituita da 4 PPI (Programmable Peripheral Interface),

ed ognuna controlla 3 porte ( byte) di input/output, a, b, c. Focalizziamo

l’attenzione sulla PPI A, in quanto le rimanenti B, C, e D prevedono un fun-

zionamento del tutto analogo. Le 3 porte vengono indicate con APa, APb e

APc, ed ognuna costituisce un byte, APx7 ÷ APx0. La porta c prevede un

utilizzo differente a seconda di come la relativa PPI e programmata, infatti,

essa puo essere utilizzata come semplice porta I/O a 8 bit (Modo 0) insieme

alle porte b e c, in modo da costituire un bus asincrono privo di segnali

per l’handshakee, o puo essere utilizzata come segnali per l’handshake per i

rimanenti byte a e b. In tale circostanza, i byte a e b possono essere unidi-

rezionali per l’input o per l’output (Modo 1), o possono essere bidirezionali

(Modo2). I bit della porta che, nel modo 1 e modo 2, non vengono utilizzati

per l’handshake, possono essere utilizzati come linee di stato general purpose

(figura 4.8). La scheda i-daq prevede l’utilizzo di due bus paralleli unidi-

rezionali, ognuno di un byte, per la trasmissione asincrona con handshake

dei dati in ingresso ed in uscita dal personal computer (figura 4.9). Il flusso

di dati dalla i-daq verso il pc e controllato dai segnali STB∗e IBF. Il fronte di

Il progetto del sistema di acquisizione 81

Figura 4.8: Assegnazione dei segnali della porta c della PPI.

Figura 4.9: Segnali per l’handshake.

salita del segnale STB∗ determina l’avvio del campionamento del dato pre-

sente sul bus, e la permanenza nello stato logico alto della linea IBF indica

che il processo di campionamento e in atto. La transizione allo stato logico

basso segnala che il processo di acquisizione e terminato.

Analogamente, il flusso di dati dal pc verso la i-daq e gestito mediante i

segnali OBF∗e ACK∗. I dati pronti nei buffer d’uscita della DIO-96 vengono

segnalati dalla transizione H→L della linea OBF∗, la i-daq puo dunque dare

l’avvio al campionamento delle linee dati, tenendo basso lo stato logico del

segnale ACK∗ e rilasciando tale stato al termine del processo, consentendo

cosı un nuovo ciclo di trasferimento dati (figura (4.10).

82 4.3 - L’interfaccia I-DAQ

Figura 4.10: Temporizzazione dei segnali di handshek.

4.3 L’interfaccia I-DAQ

La scheda i-daq (intermediate - DAQ) costituisce un anello molto importante

del sistema di acquisizione in quanto essa deve consentire alle schede di trigger

e di dsp di poter scambiare dati con il personal computer, configurare il

sistema per avviare l’acquisizione di eventi e gestire eventuali allarmi. Tali

mansioni devono essere svolte dalla i-daq tramite comandi inviati dal personal

computer, dunque, e stato necessario progettare tale componente in modo

che fosse in grado di eseguire dei cicli predefiniti che consentissero la ricezione

del comando, l’interpretazione e l’esecuzione. Ogni comando (figura 4.11) si

compone di 4 byte:

• op. code: tale byte si compone di 3 campi; il primo e composto dal

singolo bit QIN7 ed esso determina (se posto ad 1) se il comando da

eseguire comporta un’eventuale risposta da parte delle schede, compre-

sa un’eventuale risposta da parte della stessa i-daq. Il secondo campo,

composto dal bit QIN6, e utilizzato per il reset della flag di trigger. I

rimanenti bit, QIN5÷QIN0, costituiscono il campo contenete il codice

operativo del comando.

• id. device: tale byte costituisce l’indirizzo del dispositivo con cui si

Il progetto del sistema di acquisizione 83

Figura 4.11: Formato dei comandi per la i-daq.

vuole interagire. Un multiplexer dedicato interconnette direttamente

la i-daq con il dispositivo puntato

• num byte: Questo byte indica l’eventuale numero di byte che si intende

trasmettere alle schede di trigger o di dsp. In tal modo si comunica alla

i-daq il numero di cicli che devono essere compiuti per la trasmissione

di tutti gli n-byte

• crc : il crc e un byte di controllo, esso e confrontato con il byte di crc che

la i-daq calcola in base ad una definita espressione logica booleana ed

utilizzando come argomenti i precedenti byte giunti. Una discrepanza

tra crc inviato e crc calcolato indica un errore di trasmissione.

Il diagramma di flusso (figura 4.12) mostra come la i-daq esegue i co-

mandi dopo la loro interpretazione. La descrizione particolareggiata di come

sono implementati trasmissione/ricezione e acquisizione sara argomento del

prossimo paragrafo, di seguito invece, sara illustrata la gestione degli allarmi.

84 4.3 - L’interfaccia I-DAQ

Figura 4.12: Diagramma di flusso della i-daq.

Il progetto del sistema di acquisizione 85

La i-daq prevede due tipologie di allarmi:

1. allarmi esterni alla i-daq

2. allarmi interni alla i-daq

Gli allarmi esterni provengono dalle schede di trigger o di dsp e la i-

daq provvede, con delle flag dedicate, a segnalare quale dispositivo non sta

funzionando correttamente, in modo da poter inviare la richiesta di lettura

del registro degli allarmi secondo le modalita previste dai dispositivi ai fini

di effettuare una corretta diagnosi.

Gli allarmi interni alla i-daq possono essere di tre tipi:

1. allarme di crc errato

2. allarme di formato dei comandi errato

3. allarme di mancata risposta.

I primi due allarmi possono verificarsi solo al termine della trasmissione e

decodifica del pacchetto di byte di comando per la i-daq. In tale circostanza, il

dispositivo tenta di eseguire il comando in maniera fittizia per poi riportarsi

nello stato di standby, segnalando l’allarme generale. Lo stato di standby

ripristina il corretto funzionamento della i-daq che e cosı in grado di eseguire

un nuovo comando, eventualmente quello di lettura dei registri interni degli

allarmi che consentono una precisa diagnosi, nonche il rientro dell’allarme

generale.

L’allarme di mancata risposta richiede una gestione piu semplice, infatti,

al verificarsi di quest’ultimo, la i-daq si limita a segnalare l’allarme generale,

in attesa di un’eventuale lettura del registro degli allarmi del dispositivo che

non ha risposto.

4.4 Implementazione della i-daq su dispositi-

vo fpga

La i-daq e stata implementata su dispositivo fpga (field programmable gate

array) della Xilinx, precisamente su Spartan II xc2s100 [47]. Tale dispositi-

86 4.4 - Implementazione della i-daq su dispositivo fpga

Figura 4.13: Risorse logiche della Xilinx Spartan II xc2s100.

vo e stato configurato mediante linguaggio di programmazione ad alto livello

quale il VHDL [46]. Tale dispositivo offre prestazioni elevate unita ad un bas-

so costo, inoltre le abbondanti risorse logiche di cui dispone consentono di

poter implementare al meglio tutte le funzionalita richieste alla i-daq, inoltre,

tale dispositivo risulta essere riprogrammabile, poiche durante ogni fase di

start-up il dispositivo legge il programma di configurazione in un’apposita

EPROM esterna, consentendo all’utente di apportare modifiche con estreme

facilita ed e ovvio che in fase di progettazione tale opportunita risulta es-

sere molto importante. La famiglia delle Spartan II possiedono un’ampia

architettura di CLBs (Configurable Logic Blocks) programmabili, circondate

perifericamente da IOBs (Imput/Output Blocks). Sono previste inoltre 4

DLL (Delay-Locked Loops) disposte negli angoli e 2 colonne di blocchi RAM

(figura 4.14). Precisamente la xc2s100 prevede 10 blocchi di memoria RAM,

ognuno di 4096 bit, synchronus dual-portede, cioe ogni blocco prevede due

distinti insiemi di porte di controllo in modo da consentire operazioni di

lettura e scrittura, in distinte locazioni, simultaneamente. E’ comunque pre-

vista la modalita di funzionamento a single-port di ogni blocco e la figura

4.15 mostra i controlli e tutte le possibili configurazioni attuabili.

Nel caso specifico della i-daq e stato necessario configurare due blocchi di

RAM, ognuno avente 512 locazioni da un byte l’una, dunque si ha un data

bus di 8 bit ( DATA< 8 : 0 >) ed un addres da 9 bit (ADDR< 8 : 0 >). Di

seguito e riportata una breve descrizione dei segnali di gestione del blocco

RAM:

• CLK : ogni blocco RAM risulta essere completamente sincrono al seg-

nale di clock

Il progetto del sistema di acquisizione 87

Figura 4.14: Diagramma a blocchi di base per dispositivi della famiglia SpartanII.

• EN : il pin di enable consente di abilitare le operazioni di lettura,

scrittura e reset della memoria, se disabilitata, viene mantenuto

inalterato lo stato precedente delle uscite

• WE : questo pin se attivo consente di effettuare la scrittura nella lo-

cazione di memoria indirizzata dai bit ADDR< 8 : 0 > , disattivo

consente invece l’operazione di lettura

• RST : pin per il reset del byte d’uscita DATA< 7 : 0 >

• ADDR< 8 : 0 > : bus per l’indirizzamento delle locazioni di memoria

• DATA< 7 : 0 > : bus dati.

88 4.4 - Implementazione della i-daq su dispositivo fpga

Figura 4.15: Blocco RAM a singola porta (a, cofigurazioni attuabili (b,diagramma timing (c.

Il progetto della i-daq su fpga e stato concepito sulla base di tre sot-

tosistemi, distinti e con specifiche mansioni, ma capillarmente interconnessi

tra loro ai fini di omogeneizzare l’intero sistema in efficienza e solidita. Tali

sottosistemi sono facilmente individuabili all’interno dello schema a blocchi

(figura 4.16):

1. sistema per l’elaborazione del flusso di dati pc → trigger/dsp

2. sistema per l’elaborazione del flusso di dati trigger/dsp → pc

3. sistema per la gestione degli allarmi.

Il progetto del sistema di acquisizione 89

Figura 4.16: Schema a blocchi della i-daq.

4.4.1 Sistema pc → trigger/dsp

Tale sottosistema e stato concepito per consentire l’acquisizione dei dati/comandi

inviati dal personal computer mediante la scheda pci DIO-96 precedente-

mente descritta, la decodifica del comando e relativa esecuzione.

Il blocco ” DECODIFICA COMANDO E CONTROLLO” e costituito

principalmente da una macchina a stati finiti denominata fsm CDC, il cui

diagramma a bolle, riportato nelle 3 figure (figure 4.17, 4.18, 4.19), ne da

una minuziosa descrizione insieme al diagramma di flusso di figura 4.12.

Tale macchina scandisce le operazioni di acquisizione dati dal pc, gestendo

appunto i segnali di handshakee OBF∗ e ACK∗, dove il segnale NED (acron-

imo di negative edge detector) e lo stato d’uscita di una macchina in grado

di rilevare i fronti di discesa del segnale OBF∗. Inoltre, fornisce i segnali

che determinano il riconoscimento dei primi 4 byte che compongono il co-

90 4.4 - Implementazione della i-daq su dispositivo fpga

Figura 4.17: Macchina a stati finiti CDC - prima parte -.

Il progetto del sistema di acquisizione 91

Figura 4.18: Macchina a stati finiti CDC - seconda parte -.

92 4.4 - Implementazione della i-daq su dispositivo fpga

Figura 4.19: Macchina a stati finiti CDC - terza parte -.

Il progetto del sistema di acquisizione 93

mando (CE OC, CE ID, CE NB e CE CRC). Durante la permanenza dello

stato crc b, la macchina ”decide” l’operazione da eseguire in base allo stato

di segnali di flag precedentemente impostati dal modulo CMD decoder che

consente di interpretare i comandi inviati dal pc. Eventuali errori di crc o di

formato dei comandi vengono codificati e trasmessi al blocco ”GESTIONE

ALLARMI”. Il blocco ”MEMORIA A” contiene anch’esso una macchina a

stati finiti (figura 4.20 ), fsm MEMORY A, per l’implementazione di una

memoria fifo, ed il blocco RAM da 512 locazioni, ognuna composta da un

byte. La macchina consente la memorizzazione di eventuali byte da trasmet-

tere alle schede di trigger o di dsp, puntando le locazioni mediante un con-

tatore sequenziale. Al termine della memorizzazione dei dati, la macchina

consente di registrare il valore della locazione relativo all’ultimo byte, esegue

l’azzeramento del contatore di puntamento e scorre nuovamente la memoria

in modalita di lettura fino all’ultima locazione registrata. L’impiego di una

memoria fifo e resa necessaria della diversa temporizzazione dei protocolli di

comunicazioni.

Il blocco ”ACQUISIZIONE” controlla lo stato delle linee I-DAQ BUSY e

TRIGGER che, come da protocollo illustrato nel capitolo 3, sezione dedicata

alla scheda di trigger, controllano interamente le operazioni di acquisizione

d’evento da parte dei front-end.

4.4.2 Sistema trigger/dsp → pc

Il sistema denominato trigger/dsp → pc e dedicato alla gastione del flusso di

dati da immettere in memoria di massa del personal computer per le analisi

successive.

Il blocco ”GESTORE FLUSSO DATI VERSO IL PC” e necessario in

quanto, nel caso in cui il sistema debba trasferire dati all’esterno prevedendo

una risposta dal dispositivo ricevente, la sezione di controllo invia prevenri-

vamente il codice identificativo del dispositivo al blocco in questione, affinche

esso si prepari a ricevere i dati, aggiungendo il byte per il riconoscimento del

dispositivo che sta rispondendo. Inoltre, esso e necessario per il trasferimento

dei dati interni alla i-daq, cioe per trasferire il contenuto dei registri degli al-

94 4.4 - Implementazione della i-daq su dispositivo fpga

Figura 4.20: Macchina a stati finiti MEMORY A.

Il progetto del sistema di acquisizione 95

Figura 4.21: Macchina a stati finiti MEMORY B.

96 4.5 - Progettazione del software per il personal computer

larmi interno. Tale blocco e incaricato della segnalazione di mancata risposta

al gestore che codifica l’allarme e restituisce il relativo codice da inviare al

pc.

Il blocco ”MEMORIA B” contiene la macchina a stati finiti fsm MEMO-

RY B (figura 4.21) per la gestione della memoria fifo utilizzata per il flusso di

dati provenienti dalle schede di trigger e di dsp e diretti al personal computer.

Sostanzialmente, questo blocco e molto simile al precedente e differisce per

il fatto che qui e il segnale IBF proveniente dal pc che controlla le operazioni

di lettura dei dati memorizzati.

4.5 Progettazione del software per il personal

computer

Utilizzando le librerie Data Acquisition VI, fornite dalla stessa National In-

struments nel pacchetto software Lab VIEW, e stato possibile configurare

la scheda di acquisizione DIO-96 come strumento virtuale completamente

gestibile tramite software. In tal modo e stato possibile implementare tramite

i tool di sviluppo grafici, sempre in ambiente Lab VIEW, le procedure di con-

figurazione del sistema, l’invio dei comandi di acquisizione e lettura dati e

la gestione degli allarmi. Di seguito sono riportati alcuni esempi di pseudo-

codice relativi alla procedura di configurazione della scheda di trigger, ai cicli

di acquisizione e alla lettura del registro degli allarmi interno alla i-daq.

Configurazione scheda di trigger per inizio acquisizione

Tale procedura consiste nell’invio di 4 pacchetti di dati alla scheda di

trigger (fig 4.22). Osserviamo il primo pacchetto; i primi 4 byte contengono

il codice indispensabile alla i-daq per interpretare il comando che si intende

eseguire. Con riferimento alla figura 4.11, tale array istruisce la i-daq ad

effettuare il trasferimento di 12 byte dati (C0) verso la scheda di trigger

(02) senza attendere risposta (01). I 12 byte inviati contengono, nei prini 5

byte, istruzzioni per la scheda di trigger per effettuare la configurazione della

”maschera dei fotomoltiplicatori” che si intendono utilizzare, mentre, i suc-

cessivi 6 byte, costituiscono l’argomento dell’istruzione, cioe essi esprimono

Il progetto del sistema di acquisizione 97

Figura 4.22: Procedura di configurazione della scheda di trigger per l’avvio delleacquisizioni.

effettivamente quali fotomoltiplicatori mascherare (nell’esempio, FF FF FF

FF FF FF indica che tutti i pmt vengono mascherati). L’ultimo byte (48)

risulta essere il byte di crc.

Procedura di acquisizione

In figura 4.23 viene riportato lo pseudo-codice per effettuare la procedura

di acquisizione dei dati memorizzati nei TDC dopo un evento utile. Prima di

effettuare il ciclo REPEAT viene selezionato il numero di eventi che si inten-

dono acquisire mediante la variabile ′′num−eventi′′ e inizializzata la variabile

di conteggio degli eventi ′′count − eventi′′. Analizziamo ora un singolo ciclo

REPEAT. Inizialmene viene inviato l’array 02 00 00 D6 destinato alla scheda

i-daq, che dispone lo stato della linea I-DAQ BUSY in ”non occupato”. Con-

98 4.5 - Progettazione del software per il personal computer

Figura 4.23: Procedura di acquisizione.

seguentemente, il trigger e abilitato ad attendere una coincidenza dei piani

scintillatori secondo la precedente configurazione selezionata. L’avvenuta co-

incidenza e segnalata al personal computer mediante la ”flag trigger”, il cui

stato ad 1 consente di procedere nell’invio del successivo comando di lettura

dei TDC, di incrementare il numero di eventi di una unita e di effettuare un

controllo degli errori. Nell’eventualita che si verifichi un’ allarme , la variabile

count− eventi viene posta al valore della variabile num− eventi, condizione

che consente l’uscita forzata dal ciclo REPEAT. Seguentemente al control-

lo degli allarmi, si attende che la i-daq si porti nello stato di ”pronto”, cio

avviene quando i TDC sono stati letti e i dati trasferiti nella memoria di mas-

sa del pc. E’ da osservare che la i-daq e stata progettata in modo da riuscire

Il progetto del sistema di acquisizione 99

sempre a riportarsi nello stato di ”pronto”, anche al verificarsi di situazione

di allarme. Dopo aver effettuato il clear dei TDC, il programma controlla

la condizione di uscita dal ciclo, al termine del quale, invia l’istruzione al

trigger di interrompere le acquisizioni.

Lettura del registro degli allarmi

Figura 4.24: Procedura per la lettura del registro degli allarmi della i-daq.

Nella figura 4.24 viene riportata la procedura per la lettura del registro

degli allarmi interno alla i-daq e la legenda degli errori per l’interpretazione

del contenuto del registro.

100 4.6 - Cablaggio e collaudo del sistema

Figura 4.25: Fotografia del prototipo della scheda elettronica i-daq.

4.6 Cablaggio e collaudo del sistema

Il tool di simulazione software utilizzato e ModelSim XE II 5.0c, sviluppa-

to dalla Model Technology in collaborazione con la stessa Xilinx. Con tale

software e stato possibile implementare dispositivi che emulano sia il fun-

zionamanto delle schede di trigger e di dsp, che la scheda di acquisizione

DIO-96. Le simulazioni sono state effettuate in due fasi:

1. simulazioni behavioral

2. simulazioni post place & rout

La prima fase di simulazione segue immediatamente dopo aver realizza-

to la i-daq mediante cad, cioe quando il progetto si presenta ancora sotto

Il progetto del sistema di acquisizione 101

Figura 4.26: Assegnazione della piedinatura per la scheda elettronica i-daq.

forma di ”schematici”. A questo livello si collauda la funzionalita logica

del dispositivo, senza tenere in conto che, realmente stanziati nel cip, gli

elementi elettronici che implementano tale logica sono soggetti a ritardi di

propagazione dei segnali elettrici, nonche a ritardi intrinseci dovuti all’elabo-

razione degli stessi. Si rinvia all’appendice per una descrizione piu dettagliata

dei diagrammi temporali ottenuti durante tale fase di simulazione.

La seconda fase consiste, invece, nel simulare gli schematici dopo che

hanno superato con esito positivo la simulazione ”comportamentale”. Ora si

richiede al cad di generare la ”mappa” di quali elementi elettronici, disponi-

bili all’interno della fpga, saranno realmente utilizzati. In tal modo il software

di simulazione si avvale di ”stime” dei possibili ritardi di interconnessioni e

dichiarando il tipo di logica programmabile che si intende utilizzare, si for-

102 4.6 - Cablaggio e collaudo del sistema

niscono anche i ritardi di risposta che gli elementi elettronici presentano agli

stimoli d’ingresso. Questo livello di simulazione offre anche un dettaglia-

to resoconto delle risorse utilizzate ed una stima attendibile della frequen-

za massima di clock applicabile. Anche per questi dati tecnici si rimanda

all’appendice.

Terminata la simulazione software, si genera il programma di configu-

razione della fpga e si trasferisce in EPROM. In figura 4.25 e riportata un’il-

lustrazione di come si presenta il prototipo dell’interfaccia i-daq. Si puo

notare la sezione di alimentazione della fpga e della memoria EPROM dove

e contenuto il programma di configurazione, ed i connettori per l’ingres-

so/uscita dei dati. Di seguito viene riportata la piedinatura completa (figura

4.26).

4.6.1 Cablaggio

Dopo aver eseguito il flusso di lavoro indispensabile per ottenere l’interfaccia

i-daq su dispositivo fpga, e definita la piedinatura della schada di alloggia-

mento, si e passati al cablaggio del prototipo di sistema elettronico comp-

lessivo per l’acquisizione del telescopio (figura 4.27). Lo schema di figura 4.28

consente una comprensione particolareggiata.

L’utilizzo di 2 schede di front-end connesse alla scheda di dsp e utile per

verificare le procedure di indirizzamento dei 2 dispositivi. E’ da osservare

che i canali dei PMT risultano essere floating, infatti ai fini del collaudo

e sufficiente poter leggere il valore di fondoscala dei TDC e dei contatori,

provando il corretto invio ed esecuzione dei comandi mediante l’utilizzo di

oscilloscopi a campionamento.

La scheda di trigger non risulta connessa direttamente ai front-end poiche

essa e in grado di generare il segnale di trigger mediante esplicita richies-

ta, in qualsiasi momento, purche lo stato degli altri dispositivi sia di ”non

occupato”, secondo procedura.

Il sistema cosı costituito e in grado di eseguire tutti i comandi previsti ed e

dunque pronto per poter essere collaudato. Al termine di tale fase e previsto

l’alloggiamento delle schede elettroniche in un apposito crate provvisto di

Il progetto del sistema di acquisizione 103

Figura 4.27: Fotografia del prototipo del sistema elettronico di acquisizione deltelescopio.

moduli per l’alimentazione, e la connessione dei 48 PMT alle schede di front-

end.

4.6.2 Collaudo

Il collaudo del sistema e stato effettuato mediante oscilloscopi a campiona-

mento della tektronix. Le tracce riportate (figura 4.29)si riferiscono alla

verifica della procedura di richiesta di acquisizione di evento , cioe alla gen-

erazione del segnale di trigger mediante comando diretto e alla trasmissione

del comando di ”clear” per i TDC del front-end. In riferimento al campiona-

mento 1, la traccia di colore verde rappresenta il segnale I-DAQ BUSY∗. Lo

stato logico basso indica che la i-daq e occupata, dunque, la scheda di trigger

non e abilitata a segnalare gli eventi utili per l’acquisizione. Quando lo stato

di tale segnale diventa alto la i-daq e ritenuta ”libera” e, nella circostanza che

anche tutte le altre schede lo siano, la scheda di trigger e pronta a segnala il

primo evento utile acquisito. La segnalazione di eventi utili avviene mediante

104 4.6 - Cablaggio e collaudo del sistema

Figura 4.28: Schema a blocchi del prototipo del sistema elettronico diacquisizione del telescopio.

la propagazione di due segnali di trigger, uno veloce (traccia celeste ed il suo

complementare blue) destinato alla scheda di front-end, ed uno lento (traccia

magenta) destinato alla i-daq. L’arrivo del segnale riporta lo stato della linea

I-DAQ BUSY basso.

Le tracce del campinamento 2 sono un esempio di come vengono trasferiti

i dati in formato data - strobe. In particolare, la traccia magenta rappresenta

il segnale DATA e la traccia verde il segnale STROBE ed e facile interpretare

la stringa di bit 0001 1110, 0010 1101, che si sta inviando, in questo caso,

alla scheda di front end per il ”clear” dei TDC.

Il progetto del sistema di acquisizione 105

Figura 4.29: Procedura di acquisizione di evento (campionamento 1) ed inviocomando front-end clear (campionamento 2).

Capitolo 5

La calibrazione delle schede difront-end

5.1 Introduzione

Conclusa la fase di cablaggio e collaudo del sistema, occorre calibrare le

schede di front-end. Tale operazione risulta essenziale per caratterizzare

l’elettronica ai fini di ottenre importanti parametri di correzione da adottare

per le successive misure su fascio di particelle e nuclei noti.

Di seguito, dunque, e riportata la descrizione della fase di calibrazione

delle soglie dei fotomoltiplicatori e delle sezioni di elettronica dedicate alle

misure temporali e di carica.

5.2 La calibrazione delle soglie dei PMT

Le tensioni di soglia impiegate nei comparatori dedicati ai PMT sono config-

urabili tramite il comando Write PMT, riportato nel paragrafo (3.3.4). La

sintassi di tale comando prevede un codice operativo dell’istruzione e l’indi-

rizzamento del medesimo verso una precisa scheda di front-end. Di seguito,

devono essere inviati ulteriori 8 byte di configurazione delle soglie destinati ad

un DAC preposto per convertire il dato digitale in tensione. Si e dunque pre-

visto di utilizzare i primi 4 byte per selezionare la soglia alta da impostare e,

conseguentemente, di utilizzare i restanti byte per selezionare la soglia bassa.

E’ dunque chiaro a tal punto che si e reso necessario verificare la cor-

107

108 5.2 - La calibrazione delle soglie dei PMT

rispondenza tra i dati binari inviati tramite comando ed il reale valore di

tensione delle soglie che sono applicate ai comparatori.

Tale operazione viene eseguita inviando una serie di comandi di config-

urazione delle soglie con differenti valori dei byte di configurazione ed effet-

tuando, per ognuno di essi, una misura diretta delle tensione che il DAC

preposto fornisce ai comparatori.

Di seguito sono riportati i grafici che riassumono i risultati di tali misure

e che servono, in modo indicativo, a determinare la corrispondenza tra dato

digitale (nell’intervallo decimale corrispondente 0 ÷ 255, per ogni soglia) e

valore di tensione d’uscita del DAC (nell’intervallo 0÷2000mV , per le soglie

alte e 0 ÷ 700mV per le soglie basse).

Figura 5.1: Grafici per le impostazioni delle soglie alte e basse dei comparatori.

La calibrazione delle schede di front-end 109

5.3 La calibrazione della sezione temporale

Il TDC che serve il canale PMT effettua misure di tempo tra il segnale che

lo stesso PMT fornisce ed il segnale di trigger. L’elettronica discussa nel

paragrafo (3.3.2) che realizza tale misura prevede un’andamento lineare tra

il numero di conteggi che il TDC fornisce, indicato con nc, e l’intervallo di

tempo ∆t trascorso tra i due segnali. Precisamente essa risulta:

nc = A0 + α · ∆t (5.1)

dove A0 e una costante che dipende dal particolare TDC in uso e α rappre-

senta il fattore di espansione della rampa di discesa del TDC stesso (espressa

in can/ns). La calibrazione dell’elettronica dedicata alle misure temporali

consiste nel determinare sperimentalmente i parametri A0 ed α.

Figura 5.2: Diagramma temporale per il sistema di misura carica-tempo.

Con riferimento alla figura 5.2, osserviamo che tale verifica sperimentrale

e stata effettuata utilizzando segnali di PMT e segnali di trigger simulati da

un generatore di impulsi Agilent 81130A [48], dove l’IMPULSO 1 rappre-

senta il segnale fornito dal PMT e l’IMPULSO 2 rappresenta il segnale di

trigger. Il generatore di impulsi e in grado di fornire tali segnali a distanza

110 5.3 - La calibrazione della sezione temporale

di tempo variabile (∆t) e con una precisione pari al 0.1% di ∆t. Cambian-

do tale parametro, otteniamo variazioni lineari del tempo di attivazione del

segnale TDC GATE che abilita il TDC al conteggio. Conseguentemente, ef-

fettuando misure ripetute del numero di conteggi nc al variare dell’intervallo

temporale ∆t ed effettuando una regressione lineare di tali dati, si giunge

alla determinazione dei parametri richiesti.

In una prima fase si e deciso di effettuare misure impostando valori di ri-

tardo ∆t compresi nell’intervallo [10÷110]ns con passi di 50ps, ma graficando

le misure ottenute (figura 5.3) si osserva che si ha una fase di saturazione per

∆t > 100ns circa. Infatti, per tali valori di ritardo, la relazione (5.1) non

risulta piu lineare e cio e da attribuire al fatto che la capacita che si carica

e che da luogo alla rampa di fig. 5.2, non e piu in grado di caricarsi linear-

mente. Ovviamente, non tutti i TDC presentano lo stesso limite di linearita

in quanto i valori nominali dei componenti discreti che lo costituiscono vari-

ano all’interno di un intervallo di tolleranza. Conseguentemente, si e operato

un taglio delle misure ottenute per valori di ∆t > 95ns in modo da ottenere

una regressione lineare migliore. E’ da osservare che l’intervallo dei ritardi

[10ns ÷ 95ns] (10ns e il limite inferiore di risoluzione temporale della sezione

analogica del TDC) costituisce un range sufficiente ai fini di conferire all’elet-

tronica del ToF la risoluzione temporale richiesta. Di seguito e riportata la

tabella con i risultati della regressione lineare ed il relativo grafico (figure 5.4

e 5.5) effettuata per la scheda di front-end 1:

CANALE A0 σA0α σα

1 107.0 ±0.3 19.608 ±0.0062 121.2 ±0.3 19.713 ±0.0063 112.4 ±0.3 19.679 ±0.0064 132.8 ±0.3 19.845 ±0.0065 113.9 ±0.3 19.549 ±0.0066 129.0 ±0.3 19.704 ±0.0067 114.9 ±0.3 19.729 ±0.0068 118.3 ±0.3 19.538 ±0.006

Tabella 5.1: Risultati della regressione lineare (sezione di tempo).

La calibrazione delle schede di front-end 111

Figura 5.3: Grafici delle misure di conteggio dei TDC, in funzione dell’ intervallotemporale ∆t .

112 5.3 - La calibrazione della sezione temporale

Figura 5.4: Grafico della regressione lineare effettuata per la calibrazione del-l’elettronica della sezione di tempo, pei i canali CH 1 ÷ CH 4 della scheda difront-end 1.

La calibrazione delle schede di front-end 113

Figura 5.5: Grafico della regressione lineare effettuata per la calibrazione del-l’elettronica della sezione di tempo per i canali CH 6 ÷ CH 8, della scheda difront-end 1.

114 5.4 - La calibrazione della sezione di carica

Figura 5.6: Diagramma temporale per il sistema di misura carica-tempo-carica.

5.4 La calibrazione della sezione di carica

Anche la sezione di elettronica per la misura della carica, discussa nel para-

grafo (3.3.2), come per la sezione di misura del tempo necessiata di un’oper-

azione di calibrazione. In tal caso, la relazione lineare da determinare e tra

il numero di conteggi, nc, forniti da TDC e l’ampiezza del segnale fornito dal

fotomoltiplicatore, indicata con Vpmt:

nc = A0 + β · Vpmt (5.2)

Con riferimento alla figura 5.6, si osserva che la regressione lineare e stata

eseguita effettuando misure del numero nc al variare dell’ampiezza del segnale

IMPULSO, fornito dall’impulsatore e che simula i segnali dei PMT.

Di seguito, come per la sezione di tempo, e riportata la tabella contenete

i risultati ottenuti dalla regressione lineare ed il relativo grafico (figure 5.7 e

5.8), dove si sono ottenuti i parametri A0, dipendenti dal particolare TDC e

sezione analogica dedicata, e β, che rappresenta il fattore di espansione della

scarica del condensatore preposto ad immagazzinare l’ampiezza dell’impulso

fornito dal PMT. Anche in tal caso sono stati riportati i dati relativi alla

scheda di front-end 1.

La calibrazione delle schede di front-end 115

CANALE A0 σA0β σβ

1 26.0 ±1.4 0.589 ±0.0022 23.9 ±1.9 0.578 ±0.0033 26.9 ±1.3 0.585 ±0.0024 28.0 ±1.2 0.596 ±0.0015 25.4 ±1.3 0.585 ±0.0026 25.9 ±1.5 0.588 ±0.0027 22.2 ±2.6 0.585 ±0.0028 27.1 ±1.4 0.589 ±0.002

Tabella 5.2: Risultati della regressione lineare (sezione di carica).

116 5.4 - La calibrazione della sezione di carica

Figura 5.7: Risultati della regressione lineare effettuata per la calibrazione del-l’elettronica della sezione di carica, per i canali CH 1 ÷ CH 4 della scheda difront-end 1.

La calibrazione delle schede di front-end 117

Figura 5.8: Risultati della regressione lineare effettuata per la calibrazione del-l’elettronica della sezione di carica, per i canali CH 5 ÷ CH 8 della scheda difront-end 1.

Conclusioni

L’esperimento Pamela e finalizzato alla misura di spettri delle componenti

di positroni e antiprotoni nei raggi cosmici e alla ricerca di antinuclei con il

particolare intento di individuare eventuali sorgenti primarie di antimateria

nell’universo. L’esperimento verra posto al di fuori dell’atmosfera terrestre,

a bordo di un satellite.

Il gruppo di Napoli, presso il quale ho compiuto il mio lavoro di tesi,

ha proggettato e realizzato uno dei rivelatori dell’apparato, precisamente il

sistema di misura del tempo di volo (comunemente denominato: Time of

Flight).

Tale sistema puo essere suddiviso in due sezioni:

• i piani scintillatori (costituiti dalle strisce di materiale scintillatore,

accoppiate mediante le guide di luce ai fototubi ed il tutto alloggiato

in un’apposita meccanica di contenimento);

• l’elettronica di front-end e di trigger (per la lettura dei segnali forniti

dai fototubi e per generare il trigger dell’intero esperimento).

Il sistema e stato progettato per essere alloggiato a bordo di un satellite ed

il controllo e la gestione e affidata ad un’unita centrale (PSCU ed interfaccia

I-DAQ), in grado di trasferire flussi di dati e ricevere istruzioni tramite un

sistema di telemetria.

Parallelamente al sistema di rivelamento orbitante e stato realizzato un

sistema gemello tecnologoco, attualmente sito nei laboratori del gruppo WiZ-

ard di Napoli. Il mio lavoro di tesi e consistito dunque nella progettazione e

realizzazione di un sistema elettronico-informatico per la gestione e il control-

lo del ToF, costituito da una scheda elettronica per applicazioni full-custom

119

120 Conclusioni

sulla quale e alloggiata una logica programmabile FPGA, configurata in mo-

do da funzionare coma interfaccia tra il sistema ToF ed un personal computer

munito di scheda di acquisizione della National Instruments, gestibile tramite

software in ambiente di sviluppo LabVIEW.

Il flusso di lavoro svolto puo essere cosı riassunto nei seguenti passi:

1. studio dell’elettronica di front-end e di trigger del sistema per la misura

del tempo di volo (specifiche tecniche, protocollo di funzionamento

ecc.);

2. studio delle specifiche tecniche e del protocollo di funzionamento della

scheda di acquisizione dati PCI-DIO-96 della National Instruments ;

3. acquisizione delle competenze necessarie per la programmazione ad al-

to livello delle logiche FPGA (Spartan II xc2s100 della Xilinx), me-

diante linguaggio VHDL ed ambiente di sviluppo integrato ISE 6.0i

per l’esecuzione del flusso di lavoro atto alla configurazione della logica

citata;

4. sviluppo del software non convenzionale in ambiente LabVIEW per la

gestione e controllo del sistema completo;

5. cablaggio e collaudo del sistema completo, acquisizione di un set di

misure e collaborazione per l’analisi dei dati mediante software Root

per la calibrazione dell’elettronica di front-end.

Il sistema descritto e in grado di trasferire dati ad una velocita dell’or-

dine delle decine di microsecondi per byte, una stima precisa e difficile da

effettuare in quanto la National Instruments non rilascia tale specifica per

la propria scheda pci, in quanto, tali prestazioni sono fortemente dipendenti

dal tipo di processore che serve il personal computer su cui e installata.

E’ invece interessante osservare che la realizzazione del prototipo su banco

del sistema descritto dimostra l’estrema versatilita delle logiche programma-

bili FPGA, soprattutto se si considerano gli sviluppi effettuati dalle case

costruttrici di tali dispositivi, sia in termini di velocita (attualmente alcuni

Conclusioni 121

prodotti di punta della Xilinx sono ben al di sopra dei 400 MHz) che in termi-

ni di risorse logiche utilizzabili, grazie anche alle tecniche spinte di incisione

da altissima densita su silicio (la Xilinx produce le recenti FPGA Virtex-4

con tecnologia di fusione a 90 nm). Esse, infatti, sono tali da consentire l’im-

plementazione sullo stesso chip sia della logicha richiesta dal progettista che

di controller USB 2.0 o Ethernet PHY 10/100 (protocolli di trasferimento

dati decisamente piu veloci ed affidabili).

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Elenco delle figure

1.1 Spettro energetico delle principali componenti dei raggi cos-

mici primari [4], nuclei di H, He, C, Fe, in funzione dell’

energia cinetica per nucleone fino ad un valore di circa 106

MeV/nucleone. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5

1.2 Disegno schematico della megnetosfera terrestre, con l’effetto

del vento solare. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6

1.3 In figura e schematizzato l’andamento dipolare del campo mag-

netico terrestre. A e B sono due direzioni di provenienza pos-

sibili della particella. A rappresenta la particella incidente al

polo: la sua velocita e parallela al campo geomagnetico e quin-

di subira una deflessione trascurabile. B rappresenta invece la

particella incidente, avente traiettoria nel piano dell’equatore,

con velocita ortogonale al campo magnetico e quindi massima

deflessione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8

1.4 Abbondanza relativa al Silicio degli elementi dall’Elio al Nichel

nei raggi cosmici incidenti sulla Terra (pallini) e per gli elemen-

ti del Sistema Solare (stelline). . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9

1.5 Schema proposto da Fisk per spiegare lorigine dei raggi cosmici

anomali [12]. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13

127

128 Elenco delle figure

1.6 In figura e rappresentato a sinistra il flusso di antiprotoni in

funzione dell’energia cinetica e a destra il rapporto tra il fusso

di antiprotoni e quello di protoni. In entrambi i grafici e sta-

to riportato anche l’intervallo di energia in cui l’esperimento

PAMELA e in grado di operare e le curve continue rappresen-

tano la predizione per la sola produzione secondaria nel mezzo

interstellare [13]. I dati riportati sono relativi ai seguenti es-

perimenti: quelli di Golden nel ’79 e nell’84 [9, 14], Buffington

nell’81 [15], quelli di Bogomolov nel ’79, ’87, ’90, ’03 [10, 16,

17, 18], LEAP87 [19], PBAR 87 [20], MASS 91 [21], IMAX

92 [22], CAPRICE 94 [23], CAPRICE98 [13], HEAT-pbar 00

[24], BESS 93, BESS 95+97, BESS 99 e BESS 00 [25, 26, 27]. 16

1.7 In figura e rappresentato il tasso di produzione degli antipro-

toni in funzione dell’energia cinetica per interazione con il mez-

zo interstellare. A e B sono due possibili parametrizzazioni

del flusso di protoni. Si osserva che in entrambi i casi la for-

ma spettrale e la stessa con un massimo intorno a 2 GeV, ma

il tasso di produzione puo variare anche del 50% al variare

del tipo di parametrizzazione. La diminuzione a basse energie

dipende dalla riduzione della sezione d’urto di produzione di

antiprotoni, mentre ad alte energie dipende dalla riduzione del

usso dei raggi cosmici. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17

1.8 In figura sono riportate le misure del flusso di positroni fatte

negli ultimi anni da esperimenti su pallone. La curva rap-

presenta l’andamento dello spettro nell’ipotesi di produzione

secondaria e i dati riportati sono relativi a: Golden ’87 [30],

Muller and Tang ’87 [31], MASS 89 [32], MASS91 [33], TRAMP

93 [34], AESOP 94 [35], CAPRICE 94 e 98 [36, 37], HEAT 94

e 95 [38]. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20

2.1 Schema del satellite Resurse-DK1. In rosso e possibile osser-

vare il container che alloggia l’apparato PAMELA . . . . . . . 25

2.2 Veduta prospettica del telescopio PAMELA. . . . . . . . . . . 27

Elenco delle figure 129

2.3 Veduta dei 3 piani scintillatori S1, S2 ed S3. . . . . . . . . . . 29

2.4 Il piano a scintillatori S3. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30

2.5 Sensore al silicio del sistema tracciante (a sinistra) e modulo

del magnete permanente (a destra). . . . . . . . . . . . . . . . 32

2.6 Piani scintillatori per il sistema di anticoincidenza (a sinistra)

e veduta prospettica dell’intero sistema (a destra). . . . . . . . 33

2.7 Fotografia del calorimetro ad immagine di PAMELA. . . . . . 34

2.8 Rivelatore di neutroni. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36

2.9 Il piano a scintillatori S4. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37

2.10 Capacita di discriminazione ottenuta con la combinazione dei

vari sotto-rivelatori in funzione dell’impulso delle particelle. . 38

2.11 Schema di pricipio per una particella in un campo magnetico. 40

2.12 Schema del sistema per il tempo di volo. . . . . . . . . . . . . 41

2.13 Perdita di energia −dEρdx

in funzione del parametro β. . . . . . 45

3.1 Schema a blocchi del sistema PSCU e della I-DAQ di PAMELA. 49

3.2 Uno scintillatore con guida di luce e fotomoltiplicatore del ToF. 52

3.3 Specifiche tecniche dello scintillatore Bicron-404. . . . . . . . . 53

3.4 Schema a blocchi dell’elettronica di front-end. . . . . . . . . . 54

3.5 Diagrammi temporali per il sistema di espansione a doppia

rampa dei TDC. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55

3.6 Diagrammi temporali per il sistema di misura impulso-tempo-

carica. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56

3.7 Proiezioni teoriche della frequenza di trigger in configurazione

1. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58

3.8 Proiezioni teoriche della frequenza di trigger per i semipiani

S1 e S2. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60

3.9 Proiezioni teoriche della frequenza di trigger. . . . . . . . . . . 61

3.10 Pacchetto dati di risposta dei front end al comando di acqui-

sizione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66

3.11 Schede elettroniche di front-end,trigger e dsp. . . . . . . . . . 67

130 Elenco delle figure

3.12 Schema a blocchi del sistema elettronico per il sistema di

misura del tempo di volo. Nel riquadro si possono notare

l’interfaccia i-daq ed il sistema di gestione rappresentato dal

personal computer. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69

4.1 Interconnessioni tra le schede elettroniche del sistema di ac-

quisizione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72

4.2 Protocollo data - strobe. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75

4.3 Convenzioni per il time out della i-daq. . . . . . . . . . . . . . 76

4.4 Codifica data - strobe. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77

4.5 Diagramma temporale per il codificatore data - strobe. . . . . 78

4.6 Decodifica data - strobe. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 78

4.7 Trasmettitore e ricevitore lvds. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79

4.8 Assegnazione dei segnali della porta c della PPI. . . . . . . . . 81

4.9 Segnali per l’handshake. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81

4.10 Temporizzazione dei segnali di handshek. . . . . . . . . . . . . 82

4.11 Formato dei comandi per la i-daq. . . . . . . . . . . . . . . . . 83

4.12 Diagramma di flusso della i-daq. . . . . . . . . . . . . . . . . . 84

4.13 Risorse logiche della Xilinx Spartan II xc2s100. . . . . . . . . 86

4.14 Diagramma a blocchi di base per dispositivi della famiglia

Spartan II. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87

4.15 Blocco RAM a singola porta (a, cofigurazioni attuabili (b,

diagramma timing (c. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 88

4.16 Schema a blocchi della i-daq. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89

4.17 Macchina a stati finiti CDC - prima parte -. . . . . . . . . . . 90

4.18 Macchina a stati finiti CDC - seconda parte -. . . . . . . . . . 91

4.19 Macchina a stati finiti CDC - terza parte -. . . . . . . . . . . . 92

4.20 Macchina a stati finiti MEMORY A. . . . . . . . . . . . . . . 94

4.21 Macchina a stati finiti MEMORY B. . . . . . . . . . . . . . . 95

4.22 Procedura di configurazione della scheda di trigger per l’avvio

delle acquisizioni. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97

4.23 Procedura di acquisizione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 98

4.24 Procedura per la lettura del registro degli allarmi della i-daq. . 99

Elenco delle figure 131

4.25 Fotografia del prototipo della scheda elettronica i-daq. . . . . . 100

4.26 Assegnazione della piedinatura per la scheda elettronica i-daq. 101

4.27 Fotografia del prototipo del sistema elettronico di acquisizione

del telescopio. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103

4.28 Schema a blocchi del prototipo del sistema elettronico di ac-

quisizione del telescopio. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 104

4.29 Procedura di acquisizione di evento (campionamento 1) ed

invio comando front-end clear (campionamento 2). . . . . . . . 105

5.1 Grafici per le impostazioni delle soglie alte e basse dei com-

paratori. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 108

5.2 Diagramma temporale per il sistema di misura carica-tempo. . 109

5.3 Grafici delle misure di conteggio dei TDC, in funzione dell’

intervallo temporale ∆t . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111

5.4 Grafico della regressione lineare effettuata per la calibrazione

dell’elettronica della sezione di tempo, pei i canali CH 1 ÷ CH

4 della scheda di front-end 1. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 112

5.5 Grafico della regressione lineare effettuata per la calibrazione

dell’elettronica della sezione di tempo per i canali CH 6 ÷ CH

8, della scheda di front-end 1. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113

5.6 Diagramma temporale per il sistema di misura carica-tempo-

carica. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 114

5.7 Risultati della regressione lineare effettuata per la calibrazione

dell’elettronica della sezione di carica, per i canali CH 1 ÷ CH

4 della scheda di front-end 1. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 116

5.8 Risultati della regressione lineare effettuata per la calibrazione

dell’elettronica della sezione di carica, per i canali CH 5 ÷ CH

8 della scheda di front-end 1. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 117