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Erika Brandolisio TESTAMENTI DI DONNE A VENEZIA NELL’ANNO DELLA PESTE NERA 1348

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Erika Brandolisio

TESTAMENTI DI DONNE A VENEZIA NELL’ANNODELLA PESTE NERA 1348

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INDICE DELLA TESI

Elenco graficiElenco tabelle

PARTE PRIMA: PESTE, DONNE E TESTAMENTI A VENEZIA NEL 1348

Introduzione

1. Quando la peste colpisce: l’anno della peste nera in Europa e in Italia1.1. Testimonianze 1.2. Accenni storiografici1.3. La tesi di Samuel Cohn sulla peste nera 1.4. La peste in termini quantitativi: morti e testamenti nel 1348 nelle città

italiane e fuori d’Italia 1.5. Venezia e la peste nell’anno 1348

2. Testamenti e testatori: uno sguardo alle donne2.1. La libertà di testare2.2. Dislocazione geografica della clientela2.3. Stato civile delle testatrici2.4. Stato di salute al momento di testare2.5. Esecutori testamentari e beneficiari

3. Le donne e la famiglia3.1. Rapporti tra moglie e marito3.2. Rapporti tra genitori e figli3.2. Rapporti con la servitù

4. I lasciti4.1. I lasciti investiti nelle istituzioni statali4.2. Coscienza sociale4.3. Assistenza ai poveri e ai carcerati4.4. Lasciti pro anima4.5. I Procuratori di San Marco come esecutori beneficiari

Conclusioni

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PARTE SECONDA: CEDOLE TESTAMENTARIE DEL 1348

Premessa alla seconda parte 1. Testamento di Checchina moglie di Albertino de Rosis 2.Testamento di Donata moglie di Paladino Rosso 3.Testamento di Benvenuta vedova di ser Diodato Volpin 4.Testamento di Bartolomea moglie di Ludovico Murario 5. Testamento di Margherita moglie di Bertuccio Gruato 6.Testamento di Giovanna vedova di Filippo Tessitore 7. Testamento di Menega vedova di Arnazio 8.Testamento di Donata vedova di Bartolomeo 9.Testamento di Beriola moglie di Giovanni a cassellis 10.Testamento di Lucia moglie di Nicoletto Blanchier 11. Testamento di Costanza moglie di Benvenuto calegarius 12. Testamento di Cecilia moglie di Gasparino Rosso 13. Testamento di Elena moglie di Antonio Maccasana14. Testamento di Lucia moglie di Antonio Liberio15. Testamento di Paduana moglie di Guglielmo coroçarius 16. Testamento di Carissima moglie di ser Giacomo Bon 17. Testamento di Agnesina moglie di ser Pietro Marangon 18.Testamento di Caterina moglie di Mafeo Baroli 19. Testamento di Margherita moglie di Gasparino draperius 20.Testamento di Agnesina moglie di Benedetto de Alticherio21. Testamento di Menega moglie di ser Secondo Bon 22.Testamento di Gianna moglie di Fantino Carbaro23.Testamento di Francesca vedova di Matteo Cocco 24.Testamento di Francesca moglie di Graziano de Caceris 25.Testamento di Lucia moglie di Liberale Abanolio 26.Testamento di Lucia moglie di Francesco Vantari 27.Testamento di Caterina moglie di Giovanni Burfalis28.Testamento di Bonaventura vedova di Giorgio çuparius 29.Testamento di Cristina moglie di Antonio Buteglario30.Testamento di Agnese moglie di Giacomuccio de Benedico 31. Testamento di Lucia vedova di Andrea Rizo 32.Testamento di Margherita vedova di ser Donato Agadi 33.Testamento di Caterina vedova di Francesco Vesteblava34.Testamento di Maddalena vedova di ser Pietro de Scola 35.Testamento di Cataruccia Gradenigo vedova di Marco Gradenigo 36.Testamento di Maddaluccia moglie di Pietro Testa 37.Testamento di Franceschina moglie di Pietro fustagnarius 38.Testamento di Giacomina Contarini moglie di Stefano Contarini39.Testamento di Tommasina Boldù vedova di Coluccio Boldù 40.Testamento di Andriola vedova di Matteo Caxaroli 41. Testamento di Maria Barbarigo vedova

Bibliografia delle fonti

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Grafici

Figure1.1. Testamenti in sei città-stato dell’Umbria e della Toscana nel 13481.2. Testamenti a Firenze nel 13481.3. Testamenti a Roma nel 13481.4. Testamenti nella Court of Husting, Londra, nel 1348-91.5. Andamento dei testamenti a Venezia nel 13482.1. Testamenti rogati dai notai veneziani Lorenzo della Torre e Niccolò Rosso

nel 13482.2. Condizione di vedovanza delle testatrici secondo la data del testamento2.3. Stato di salute delle persone testanti

Tabelle1.1. Numero di testamenti rogati a Venezia nell’anno 13482.1. Stato civile delle persone testanti2.2. Stato di salute dei testanti nell’anno 13484.1. Le Scuole beneficiate nei testamenti del 13481. Tabella di riepilogo dei testamenti trascritti

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Sintesi della tesi

La tesi è divisa in due parti: nella prima si cerca di individuare la relazione tratestamenti e peste del 1348. Sono stati visionati 2073 testamenti di quell’anno,reperiti nell’Archivio di Stato di Venezia, e il loro numero aumenta sensibil-mente verso aprile e maggio del 1348, periodo in cui l’epidemia probabilmenteha il suo picco d’incidenza. Si sono poi presi in considerazione 100 testamentidel 1348 che sono serviti per capire come decidevano le donne, quali erano gliaffetti che le circondavano, chi erano i beneficiari scelti e che tipi di lasciti face-vano, ricerca che ha portato a comprendere che le donne beneficiavano i figli,che conoscevano le istituzioni statali a cui affidare il proprio denaro e che ave-vano una spiccata coscienza religiosa e sociale che le spingeva a fare numerosilasciti per i bisognosi. Nella seconda parte della tesi sono stati riportati qua-rantuno testamenti, quelli ritenuti più esemplificativi, dei cento studiati.

ANNO ACCADEMICO: 2003-2004RELATORE: Prof. Reinhold C. MuellerCORRELATORE: Prof.ssa Anna Maria Rapetti

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INTRODUZIONE

Samuel Cohn nel 2002 pubblica un libro intitolato The Black Death Transfor-med. Disease and Culture in Early Renaissance Europe1 in cui mette a con-fronto la peste moderna, chiamata “Third Pandemic”, (scoppiata nella penisoladello Yunnan e poi diffusa in gran parte dell’Asia a partire dalla seconda metàdell’Ottocento), con la peste che imperversò negli ultimi secoli del Medioevo.Cohn contesta le affermazioni di storici e scienziati secondo i quali la pestebubbonica moderna, quella causata dallo Yersinia pestis, è la stessa che imper-versò in Europa negli anni quaranta del Trecento e che il vettore del contagio,adesso come allora, è la pulce portata dai topi. Lo studioso si avvale sia dellefonti narrative – più di 450 tra cronache, vite dei santi e lettere di mercanti –sia di quelle archivistiche – circa 40.000 documenti tra cui testamenti, necro-logi di confraternite e monasteri e registri di funerali – per costruire una trama,un modello della peste basato sui cicli, la stagionalità e la mortalità e le sue ri-cerche lo portano a dimostrare che le similitudini tra le due pesti non sono poitante quante gli scienziati e gli storici hanno sempre pensato.Da un punto di vista quantitativo la ricerca di Cohn è alquanto ampia, pren-dendo in considerazione la quasi totalità dell’Europa, dove le fonti glielo per-mettono; così riporta dati raccolti per Francia, Germania, Fiandre, Inghilterra,Italia e per le Città Anseatiche. Ma manca Venezia. Il nostro studio quindi si pone innanzi tutto l’obbiettivo, seguendo il metodoillustrato da Cohn, di stabilire una connessione tra testamenti in generale e lapeste a Venezia. Utilizzando l’inventario di Bartolomeo Cecchetti,2 di fine Otto-cento, dell’Archivio di Stato di Venezia, si sono identificati 74 notai che hannorogato atti nell’anno 1348. Dei testamenti sopravvissuti sono stati schedati2073, distribuiti nell’arco temporale che va dal gennaio 1348 al dicembre dellostesso anno. Nella tabella 1.1. è riportato il numero di testamenti mese per mese

1 S. COHN, The Black Death Transformed. Disease and Culture in Early Renaissance Euro-pe, Londra 2002, pp. 1-4.2 B. CECCHETTI, Archivio di Stato in Venezia Statistica degli atti custoditi nella sezionenotarile, Venezia 1886.

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e su questi dati è basata la figura 1.1. La ripartizione dimostra come il numerodei testamenti aumenti considerevolmente a partire dal mese di marzo e rag-giunga il picco massimo a maggio, quando abbiamo addirittura 662 rogiti; perpoi ridiscendere abbastanza rapidamente nei mesi centrali dell’estate. Da ciò sidesume che nella città lagunare la peste si dimostra un fenomeno primaverile,in anticipo, cioè, sulla tesi di Samuel Cohn secondo cui la peste nelle zone me-diterranee è piuttosto un fenomeno estivo mentre nel nord Europa è autunnale.

Tabella 1.1. Numero di testamenti rogati a Venezia nell’anno 1348

Mese Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Sett Ott Nov DicN. test. 9 61 277 368 662 430 138 49 17 23 34 5

Totale 2073

Figura 1.1. Andamento dei testamenti a Venezia nel 1348

Il grafico si basa sulle date di 2073 testamenti veneziani di donne e uomini.

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TESTAMENTI E TESTATORI: UNO SGUARDO ALLE DONNE

2.1. La libertà di testare

Tentare di ricostruire la vita delle donne medievali, le loro attività, le loro scel-te, è un’impresa difficile soprattutto per la mancanza di testimonianze dirette.A quel tempo, infatti, le loro capacità d’azione a livello sociale erano alquantoridotte; sappiamo che si occupavano dei doveri domestici, che lavoravano ac-canto ai mariti, che spesso svolgevano delle attività retribuite anche fuori casa,ma la loro vita trascorreva prevalentemente tra le mura domestiche: quella erala loro sfera, il mondo esterno era invece di dominio maschile.3 Questo svan-taggio sociale delle donne trovava riscontro anche sul piano giuridico: era loropreclusa la possibilità di disporre liberamente dei propri beni; questi erano ge-stiti dal padre, o da altri tutori legali appositamente nominati, nel caso in cui ledonne fossero nubili; quando invece erano sposate, la gestione passava nellemani del marito. Dobbiamo però fare un’ulteriore precisazione a tal riguardo: ilcontratto matrimoniale prevedeva che la dote portata dalla moglie fosse data almarito per sostenerlo nel matrimonio. Il coniuge la gestiva, poteva godernel’usufrutto, ma doveva garantirne il valore, semmai in beni immobili, in mododa poterla restituire alla morte alla moglie, come una polizza assicurativa.4 Diverso era invece il destino delle dimissorie, porzioni di beni della moglie noncompresi nella costituzione della dote. Questo tipo di beni o erano stati riservatialla moglie nel contratto di matrimonio, oppure le pervenivano durante il ma-trimonio per successione o donazione e in questo caso prendevano il nome di«beni avventizi». Le dimissorie non potevano essere amministrate dal maritocontro la volontà della moglie anche se, per lo ius veneto, quelle che pervenivano

3 Per un approfondimento sul tema vedi: Donne e lavoro nell’Italia medievale, a cura di M. G.Muzzarelli, P. Galetti, B. Andreolli, Torino, 1991; D. Owen Hughes, Le mode femminili e illoro controllo, in G. DUBY, M. PERROT, Storia delle donne. Il Medioevo, a cura di C. Kla-pisch-Zuber, Roma-Bari 1990, pp.166-193.4 Dote, in Dizionario del diritto comune e veneto, a cura di Marco Ferro, vol. I.2, Venezia,1778-1781, Venezia 1845-1847, pp. 640-649.

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direttamente nelle mani del marito venivano calcolate come facenti parte delladote mentre, in caso contrario, le donne potevano liberamente disporne.5 Premesso questo, l’unico strumento decisionale che rimaneva in mano alledonne per gestire i propri averi era il testamento, a meno che, ovviamente, nonrimanessero vedove, nel qual caso entravano nel pieno possesso e godimentodella dote, del loro patrimonio e degli eventuali lasciti fatti dal defunto marito oda altre persone. Vediamo allora come lo utilizzavano.Il totale dei testamenti vagliati nel presente studio è 100 ed essi si distribuisco-no all’interno dell’anno 1348 nel modo indicato dal grafico che segue.

Figura 2.1. Testamenti rogati dai notai veneziani Lorenzo della Torre e Niccolò Rosso nel 1348

Questo grafico si basa sulle date di 100 testamenti di donne e uomini reperiti nelle bustedei notai Lorenzo della Torre e Niccolò Rosso di Venezia.

All’interno di questo nostro campione, il numero di testatori donne è pariall’80%: nella busta del primo notaio ci sono 58 donne e 18 uomini, mentre ilsecondo ha 28 clienti di sesso femminile e solo 2 di sesso maschile. La premi-nenza delle testatrici rispetto ai testatori non è una novità per gli studiosi chehanno svolto delle ricerche di questo tipo nell’archivio veneziano.6 Questi dati

5 Dimissoria, in ibid., pp. 596-597.6 Linda Guzzetti cita Bianca Betto e Stanley Chojnacki che hanno a loro volta osservato chenell’Archivio di Stato di Venezia i testamenti di donne sono più numerosi di quelli di uomini(GUZZETTI, Le donne a Venezia nel XIV secolo: uno studio sulla loro presenza nella societàe nella famiglia, in «Studi veneziani», a cura dell’Istituto di storia della società e dello Statoveneziano e dell’Istituto “Venezia e l’Oriente” della fondazione Giorgio Cini, N. S. XXXV, Pi-sa-Roma 1998, p. 21 nota 22).

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su Venezia avvallano le teorie di Samuel Cohn che, dopo aver studiato il caso disei città-stato in Umbria e Toscana, ipotizza che il numero dei testamenti didonne è proporzionale al diritto di proprietà che esse avevano: dove gli statutigarantivano la libertà testamentaria, le donne la usavano abbondantemente,mentre dove non era possibile, il numero di documenti intestati a donne cala,come nel caso di Firenze.7 Ne deriva che a Venezia la libertà testamentaria delledonne, indipendentemente dal loro stato civile, era tenuta in grande considera-zione dallo Stato che forniva garanzie e tutele per contrastare soprattutto la co-ercizione da parte del marito o di altri parenti della testatrice.

2.2. Dislocazione geografica della clientela

Andiamo ora a vedere dove abitavano i testatori e le testatrici. Le persone chedovevano fare testamento di solito si rivolgevano al notaio più vicino alla loroabitazione, ma non necessariamente; infatti Lorenzo della Torre pievano di S.Angelo, ha sia clienti che abitano dalle parti di S. Angelo, sia clienti che sono dialtre zone. Per essere più precisi ci sono: 22 testatori di S. Angelo; 17 di S. Mau-rizio; 6 di S. Vidal; 5 di S. Maria Zubanigo; 4 di S. Salvador; 2 pro qualibet di S.Patrignano, S. Samuel, S. Benedetto e S. Gervasio; infine 1 testatore pro quali-bet di S. Moisè, S. Ermacora, S. Giovanni in Bragora, S. Gregorio, S. Fantin, S.Geminiano, S. Polo e S. Margherita. Per Niccolò Rosso presbitero di S. Simeone Apostolo abbiamo: 7 testatori di S.Simeone Apostolo; 4 di S. Simeone Profeta; 4 della contrada di S. Croce; 3 di S.Lucia; 2 pro qualibet di S. Giacomo dell’Orio, S. Giovanni Decollato e S. Pan-talon; infine 1 testatore pro qualibet di S. Augustino, S. Cassiano, S. Barnaba, S.Giovanni a Rialto, S. Moisè e S. Polo.Il notaio, essendo quasi esclusivamente un ecclesiastico a Venezia e non poten-do avere un proprio studio, doveva recarsi a casa del cliente per redigere i te-stamenti, soprattutto quando la persona era in punto di morte, e ciò spiega per-ché, nell’intestazione dei documenti, compare sempre la formula che recita:«Vocari feci ad me…notarium ut hoc meum scriberet testamentum…». Nonsempre però avveniva così: in circostanze straordinarie, come durante i periodidi peste, la prassi cambiava. Luisa Chiappa Mauri, nel suo studio sui testamentilombardi durante la peste nera, parla di atti che il notaio roga nella propria ca-sa, in un refettorio d’ospedale e addirittura nella strada pubblica, soprattuttodopo lo scoppio dell’epidemia.8 Il notaio quindi era fortemente esposto al con-tagio, ma, stando alle parole della studiosa, continuava comunque a svolgere ilproprio lavoro come se si trovasse in un periodo di normalità.

7 Ibid., p. 22.8 L. CHIAPPA MAURI, Testamenti lombardi in tempo di peste, in Atti del XXX Convegnostorico internazionale, Todi, 10-13 ottobre 1993, pp. 215-251, sp. p. 235 in nota 60.

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C’è però un fatto da tener presente che potrebbe contrastare con la precedenteaffermazione: dei testamenti veneziani presi in considerazione in questo studio,in un certo periodo del 1348 ne compaiono di olografi e allografi – fogli scritti amano da testatori o da chi per essi – e il loro numero aumenta considerevol-mente nei mesi di maggio e giugno. Tra i documenti dei due notai sopra citati,infatti, troviamo 2 testamenti allografi e 18 olografi nella busta del primo e 2,olografi in quella del secondo. Questo ci potrebbe far pensare che dal momentoche la peste in quel periodo stava avendo il picco massimo di incidenza a Vene-zia,9 di conseguenza numerosi notai, (tra cui poteva esserci anche il nostro Lo-renzo della Torre), scappassero dalla città. A tal riguardo, infatti, ci sono deiprovvedimenti del Senato veneziano che tentano di arginare il fenomeno inquesto modo: agli impiegati pubblici e ai notai fuoriusciti si ordina di rientrarein città pena la perdita delle proprie funzioni pubbliche a Venezia e in tutto ilterritorio del dogado,10 provvedimenti che, tra l'altro, vengono estesi anche aimedici.11 Di sicuro il notaio Lorenzo della Torre era a Venezia nei mesi di maggio e giu-gno, perché nel suo protocollo compaiono testamenti “pubblicati” proprio inquei mesi, mentre dell’altro notaio non possiamo essere altrettanto sicuri; piùsemplicemente si può pensare che la presenza di testamenti olografi scritti tuttitra maggio e giugno sia sintomo dell’elevata mortalità che la peste causava inquei due mesi, tanto che i notai non riuscivano a recarsi da tutti i clienti chestavano per morire.

2.3. Stato civile delle testatrici

Nel basso medioevo la figura femminile viene completamente assorbita daquella maschile, a livello sociale, giuridico e lavorativo. Nei contratti di locazio-ne e nelle attività economiche, più in generale, scompaiono i nomi di donnecome parti attive.12 Nei testamenti la donna non viene mai nominata in basesolo al proprio nome e cognome, ma in relazione al marito, se sposata o vedova,o al padre se nubile: una donna è sempre uxor (moglie), relicta (vedova) o filia(figlia) di un uomo.Per quanto concerne gli uomini, nell’intestazione del documento si menzionasempre il padre, però è più difficile sapere se sono sposati, vedovi o celibi. Que-ste notizie talvolta le fornisce il corpo del testamento, dove magari la moglie

9 Vedi sopra, cap. 1, fig. 1.5.10 R. C. MUELLER, Aspetti sociali cit., pp. 71-77, part. pp. 72 e 79 (per l’indicazione del do-cumento).11 A. S. V., Senato, Misti, reg. 24, c. 80v, 5 luglio. Appendice n. 2, riportato in Catalogo dallareazione alla prevenzione, schede di R. C. Mueller, in Venezia e la peste cit., p. 79.12 M. G. MUZZARELLI, Un’introduzione dalla storiografia, in M. G. Muzzarelli, P. Galetti, B.Andreolli (a cura di ), Donne e lavoro cit., pp. 13-28.

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viene citata come esecutrice testamentaria o erede residuale; oppure il testatoreordina ai suoi commissari di fare lasciti pii per l’anima di sua moglie e qui sicapisce che il testatore è vedovo. Abbiamo invece meno sicurezze sul testatorecelibe: si potrebbe pensare che se un uomo non nomina né la moglie né i figlipossa essere celibe, ma può anche essere capitato che la sua famiglia sia mortaprima di lui e per questo non la menzioni.Nella tabella 2.1., alla voce nubili/celibi, si prendono in considerazione i te-stanti donne che non si dichiarano mogli o vedove di qualcuno e uomini chenon indicano consorti vive o morte né eredi diretti.

Tabella 2.1. Stato civile delle persone testanti

Testatrici TestatoriSposate/i 51 7Vedove/i 26 4Nubili/celibi 3 5In condizione religiosa - 4Totale 80 20

La tabella mostra che, nel campione studiato, il numero di donne sposate èelevato, anche se le vedove compaiono comunque numerose, e questo confermache a Venezia la libertà testamentaria era garantita indipendentemente dallostato civile. Inoltre, come indica il grafico che segue (Fig. 2.2.), è interessantecostatare che lo stato di vedovanza aumenta significativamente a maggio, non acaso nel periodo di più forte virulenza dell’epidemia.Per quanto riguarda gli uomini, quelli sposati sono poco più rispetto a quellipresumibilmente celibi tra cui figurano: Nicoleto Zecler, di S. Angelo, che no-mina suoi esecutori ser Ivan e ser Stefano Zecler e ser Giacomo Scudler, e lasciadei soldi alla nipote e ad altre persone, di cui non dice se siano della sua fami-glia, e che vuole che tutti i suoi legatari siano soddisfatti;13 Michele, figlio deldefunto Pietro Micherosso di S. Vitale, che nomina sua commissaria la sorellamonaca a San Nicola e fa dei lasciti per una cugina e per altri due amici;14 Mar-co Videto di S. Margherita, che ordina che tutto ciò che gli resta sia distribuitoper la sua anima, a discrezione dell’unico commissario Nicoletto de Fineto;15

Giovanni Lico di S. Giacomo dell’Orio che sceglie invece come esecutori il cognatoNicola Foscolo e la sorella Caterina e ordina loro di dare al prete della sua parrocchia50 soldi di piccoli, affinché questo preghi per lui, e di distribuire il residuo come me-glio credono;16 infine Bertuccio Tasso che nomina commissari la madre Betta, che è

13 N. T., b. 1062, notaio Lorenzo della Torre, test. n. 58, 30.05.1348.14 Ibid., test. n. 64, 08.06.1348. 15 Ibid., test. n. 80, 01.12.1348.16 N. T., b. 763/c, notaio Niccolò Rosso, test. n. 56, 07.04.1348.

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anche sua erede residuale, e un certo Soligo barbitunsore e lascia del denaro aquest’ultimo e alla propria servitrice Caterina.17

Figura 2.2. Condizione di vedovanza delle testatrici secondo la data del testamento

Il grafico si basa sul numero di 26 testatrici vedove riscontrato nel nostro campione di100 testamenti.

2.4. Stato di salute al momento di testare

Nell’intestazione dei documenti, dopo il nome della persona testante compare, ec-cetto che in rari casi, la sua condizione di salute fisica e mentale. Nel XIV secolo sem-pre più spesso le persone, sia donne che uomini, cominciano a fare testamento anchese godono di ottima salute, mentre precedentemente si rivolgevano ai notai soloquand’erano in punto di morte.18 Le donne, poi, facevano testamento più volte nelcorso della vita perché con le gravidanze era maggiore la possibilità di morire. 19

Tabella 2.2. Stato di salute dei testanti nell’anno 1348

Sana/oInferma/oNon dicono nulla

Testatrici144323

Testatori488

Totale 80 20

17 Ibid., test. n. 57, 16. 05. 1348.18 L. GUZZETTI, Le donne a Venezia cit., pp. 31-32.19 Ibid., p. 22.

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Nel nostro campione compaiono testatori ammalati, però non ci dicono di cosa,testatori sani e testatori che non fanno alcun riferimento al loro stato di salute.Solitamente le persone fisicamente inferme affermavano di avere la mente sanaper la validità giuridica del testamento. Per questa ragione nella tabella 2.2., sottola voce inferma/o, sono comprese sia le persone che si dichiarano inferme e ba-sta, sia quelle che dicono di avere il corpo infermo ma di essere sane di mente.Il numero di persone che testano perché malate è alto, ma nel caso delle donneè rilevante anche la stima di quelle sane. Anche i dati raccolti da Linda Guzzettisu 1200 testamenti veneziani da lei studiati indicano che «…coloro che fecerotestamento da malati fossero più numerosi che coloro che si dichiaravano sa-ni…», però aggiunge che la prassi di testare da sani continua a farsi strada so-prattutto verso la fine del XIV secolo, quando la percentuale delle testatrici sa-ne dal 14% passa al 39% e dal 21% al 37,5% quella dei testatori.20 Infine, perquanto concerne i dati del presente studio, in 69 casi su 100, i testanti fannoriferimento al proprio stato di salute, mentre gli altri 31 non ne fanno menzione.Come si è detto più volte, le fonti testamentarie non forniscono informazionisulla presenza o meno della peste, può però essere interessante il fatto che, manmano che i mesi trascorrono e si arriva verso aprile e maggio, il numero dei te-statori infirmi aumenti considerevolmente: di questi, che in totale sono 51, 15testano in aprile e 18 a maggio e sempre a maggio compaiono 11 testatori chenon fanno menzione del proprio stato di salute, forse perché il notaio avevatalmente fretta nello scrivere che dimenticava di riportarlo (Fig. 2.3.).

Figura 2.3. Stato di salute delle persone testanti

Il grafico si basa sui 51 donne e uomini che affermano di essere malati, più 31 che non si espri-mono a riguardo, al momento di testare. Dati ricavati dal nostro campione di 100 testamenti.

20 Ibid. p. 32.

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2.5. Esecutori testamentari e beneficiari

Il testamento aveva principalmente due funzioni: la prima era quella di tra-smettere i propri beni terreni; la seconda di provvedere alla propria anima e aquella dei congiunti.21 Per le donne poi assumeva un ulteriore significato: dalmomento che esse in vita non potevano disporre dei propri beni, pur mante-nendone la proprietà, e dovevano quindi affidarli alla gestione del padre o delmarito, il fatto di testare diventava per loro uno strumento per esprimere il le-game che avevano con i componenti della famiglia e un modo per premiare omeno la linea di condotta tenuta fino a quel momento dall’amministratore dellaloro dote, tanto che potevano anche scegliere di non lasciare nulla nemmeno alproprio consorte. Ecco perché coloro che venivano nominati in questi docu-menti come esecutori o semplici beneficiari dovevano avere un’importanzaparticolare per la persona testante.Gli esecutori testamentari dovevano essere persone fidate e in grado di rispetta-re i voleri del testatore: erano loro che si occupavano di cercare le persone be-neficiate; di scegliere le strutture ecclesiastiche cui venivano lasciati dei soldi;di distribuire le carità per i poveri, le vedove e prigionieri; di custodire, spesso, isoldi che venivano lasciati a figli minorenni – tutte decisioni che richiedevanoun certo impegno. Detto ciò, il fatto che sia donne che uomini affidino a donneil compito di far loro da commissari è un aspetto molto importante per capire ilruolo che le donne potevano rivestire nella società. Nel nostro campione, 49 te-statrici su 80 scelgono come esecutori altre donne, e quasi la metà di loro sce-glie la madre. Donata, vedova di Bartolomeo di S. Angelo, fa scrivere al notaio:«…constituo solam meam commissariam donam Çissam matrem meam dilec-tam…»;22 e come lei fanno, ad esempio, Beriola moglie di Giovanni a cassellis,23

Lucia moglie di Nicoletto Blanchier e tante altre. Di 20 uomini, invece, 7 nomi-nano esecutori delle donne e i restanti preferiscono loro i fratelli o dei cono-scenti uomini, un dato che conferma il trend già rilevato da Linda Guzzetti se-condo cui i testatori nominavano più uomini che donne, e che continua a ma-nifestarsi per tutta la seconda metà del Trecento.24 Francesco a carris, di S. An-gelo, nomina esecutori: «Catarinam uxorem meam, et Nicoletum filium meumatque Ursam dilectam filiam meam», dirigendo la sua scelta all’interno delproprio “nucleo” famigliare;25 Tommaso Venier di S. Samuele, nel testamentoallografo scritto dall’amico ser Prosdecimo Falier, dice: «Voio che sia mie co-mesari lo dito Prosdeçimo Falier e ser Antonio Bonçi e mia muier dona Bona-ventura»;26 la sua scelta ricade invece su persone, esclusa la moglie ovviamente,

21 L. GUZZETTI, Le donne a Venezia cit., p. 18.22 N. T., b. 1062, notaio Lorenzo della Torre, test. n. 13, 28.03.1348.23 Ibid., test. n. 14, 02.04.1348. 24 L. GUZZETTI, Le donne a Venezia cit., p. 54. 25 N. T., b. 1062, notaio Lorenzo della Torre, test. n. 41, 14.05.1348.26 Ibid., test. n. 75, 03.09.1348.

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che a quanto viene detto, o meglio, a quanto non si dice, sono presumibilmenteestranee alla cerchia famigliare del testatore. L’unico che nomina una donnacome unica esecutrice testamentaria, anche se non fa parte della sua famiglia, èGuglielmo figlio del defunto ser Guido, «olim de Padua nunc habitans Veneciisin confinio Sancti Cassiani», che fa il nome di «…dominam Catarinam Avenaluxorem domini Angeli Avenal de dicto confinio Sancti Cassiani».27 Molte volte gli esecutori nominati erano più di uno, in modo che potesseroportare a termine tutte le disposizioni lasciate dai testatori e, in caso di morte diun commissario, non ci fossero problemi per sostituirlo, soprattutto in un pe-riodo di alta mortalità come quello che stiamo trattando in questo studio. A ra-gione potremmo pensare che, con il diffondersi della peste, i testatori comin-ciassero a nominare più commissari per garantire l’esecuzione dei loro manda-ti; nei testamenti presi in esame questo invece non compare perché, anche neimesi di maggior impatto dell’epidemia, tante persone continuano ancora ad af-fidare le loro ultime volontà ad uno o due esecutori.Non si desume la presenza della peste nemmeno dalle disposizioni che riguar-dano i beneficiari dei testamenti. I primi ad essere citati come legatari risultanoi famigliari del testatore: prima di tutto vengono i figli (se ce ne sono), poi le so-relle e i fratelli, i genitori, (la madre più che il padre) e talvolta il coniuge. Solonel caso in cui il testatore sia celibe o nubile e non abbia nemmeno i genitori invita, allora godono dei suoi lasciti i conoscenti, che spesso, ma non necessaria-mente, abitano nella parrocchia in cui risiede il testatore, dato che rileva ancheLinda Guzzetti, sempre nel suo studio sui testamenti di donne a Venezia. Se-condo le sue valutazioni, fatte su un campione di 1200 testamenti raccolti per ilprimo e l’ultimo quarto del 1300,

Tra le non parenti che ricevevano legati in denaro dalle testatrici, in entrambi i periodistudiati circa il 20% abitava nella stessa parrocchia della testatrice e circa il 5% in unaconfinante, mentre circa il 25% nel primo periodo e il 20% nel secondo abitava in unaparrocchia distante da quella della testatrice. Quindi le testatrici beneficiavano con le-gati in denaro le donne della loro parrocchia con una frequenza più elevata che quelleabitanti in ogni singola altra parrocchia, ma non si può parlare di una concentrazionedei loro legati nella parrocchia di abitazione.28

Le formule che riguardano i beneficiari prevedono che una volta scritto il la-scito a favore di una determinata persona questo venga passato ad altri legatariman mano che le persone nominate non si trovino o siano morte; il testatore,però, poteva anche scegliere di fare un lascito ad una persona senza poi consi-derare se questa era ancora in vita al momento di ereditare. A riprova di ciòportiamo qui due esempi: quello di Donata, moglie di Paladino Rosso di S. Angelo,

27 N. T., b. 763/c, notaio Niccolò Rosso, test. n. 13, 28.03.1348.28 L. GUZZETTI, Le donne a Venezia cit., p. 60.

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che testa il 4 marzo 1348 e quello di Caterina, vedova di ser Michele Morosini,che testa il 27 maggio dello stesso anno. La prima scrive:

Item dimito done Zane, matri mee, ducatos quatuor auri quos denarios volo dari inmanibus suprascripte done Paduane, sororis et commissarie mee, ut ipsa subveniat dictematri mee in suis necessitatibus, secundum quod ei melius videbitur. Et si dicta matermea decessisset ante mortem meam, volo dictos ducatos quattuor devenire insuprascriptum Paladinum, virum et commissarium meum. Item dimito Franceschine,filie suprascripte Paduane sororis et commissarie mee, soldos viginti grossorum pro suomaritare. Et si suprascripta Franceschina decederet ante quam maritaretur, volo dictosdenarios devenire in suprascriptam Paduanam, sororem meam et commissariam meam.Et si dicta Paduana mater sue decessisset ante ipsam Franceschinam, tunc volo dictosdenarios devenire in suprascriptum Paladinum virum et commissarium meum.29

Come si può ben notare la testatrice prende in considerazione più voltel’eventualità che i suoi beneficiari muoiano prima di poter ricevere il lascito.Non altrettanto fa la seconda testatrice, Caterina, che dice:

…et ordino quod suprascriptus pater meus, dominus Iohannes Gradenico, et dominaPhylipa, mater mea, habere debeant libras centum denariorum venecialium pro quoli-bet ; et Marinelius, Ursius, Thomas et Lucas Gradenico, fratres mei, habere debeantalias libras centum denariorum venecialium equaliter inter ipsos dividendas. Item di-mito Crispine, Angele et Nicolete Gradenico, sororibus meis, libras quinquaginta dena-riorum venecialium pro qualibet. Item dimito suprascripte Çeçilie Poliani, sorori etcommissarie mee, libras ducentas denariorum venecialium.30

Queste scelte sono diverse tra loro ma comuni nella prassi testamentaria, per-ché le si ritrova anche in altri documenti per questo motivo non costituisconoun’elemento di prova della presenza della peste, anche se la brevità della for-mula scelta dalla seconda testatrice che chiama a sé il notaio nel mese di mag-gio, potrebbe far pensare che il pubblico ufficiale non volesse stare a lungopresso la donna per paura del contagio, dal momento che maggio, come è statodetto più volte, fu, a quanto pare, il periodo di più forte impatto dell’epidemia.

29 N. T., b. 1062, notaio Lorenzo della Torre, test. n. 12, 04.03.1348.30 Ibid., test. n. 56, 27.05.1348.

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LE DONNE E LA FAMIGLIA

3.1. Rapporti tra moglie e marito

La letteratura che si occupa del matrimonio ha sempre teso ad enfatizzare il suoruolo di contratto piuttosto che quello di legame affettivo tra due persone. Ilmatrimonio viene presentato come uno strumento delle famiglie, soprattutto diquelle dell’alta società, per costruire alleanze vantaggiose in grado di favoriregli interessi delle parti contraenti. Anche gli storici di Venezia hanno voluto co-gliere e studiare questo aspetto all’interno della classe dirigente della città.Queste considerazioni però non precludono la possibilità che tra gli sposi vi fos-sero delle intense e sincere relazioni affettuose che non avevano niente a chefare con le questioni contrattuali.31 I testamenti, come affermano anche Stanley Chojnacki32 e Linda Guzzetti,33 so-no fonti preziose per avere delle informazioni sui rapporti tra coniugi, anche sei sentimenti e le opinioni difficilmente affiorano in modo esplicito attraverso lafitta rete di formule notarili di cui sono costituiti questo tipo di documenti. AVenezia le testatrici, nei loro atti di ultima volontà, avevano la facoltà di dispor-re dei propri beni come meglio credevano e di scegliere gli esecutori e i benefi-ciari senza che vi fossero imposizioni o limiti di alcun genere; ed è proprio inbase a queste loro scelte che noi possiamo scorgere il tipo di legame che aveva-no instaurato con i mariti, con i figli e con altri componenti della famiglia.Le donne sposate, nel nostro campione, sono 51 e 32 di loro scelgono di nomi-nare il marito esecutore testamentario, cosa che può essere ritenuta indice dellafiducia che queste donne riponevano nei loro consorti i quali venivano rivestitidi un incarico importante ed impegnativo; inoltre gli affidano la propria animao si preoccupano, se vedove, di far celebrare delle preghiere per l’anima deldefunto. Lucia, di S. Salvador, nomina suo unico commissario ed erede resi

31 CHOJNACKI STANLEY, The Power of love: Wives and Husbands, in Women an Men inRenaissance Venice. Twelve essays on patrician society, Baltimore-London 2000, pp. 153-168.32 Ibid., p. 155.33 LINDA GUZZETTI, Le donne a Venezia cit., pp. 64-65.

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duale «Liberalem virum meum dilectum»;34 allo stesso modo si comporta Mar-garita, di S.Angelo, moglie di Nicoletto a carris.35 Maria Barbarigo, vedova, la-scia «le mese de sen Grigol per l’anema de mio mar<i>do, laso libre IIII».36

Caterina, vedova di ser Nicoletto Agrisolis, dispone che tutti i lasciti pii venganofatti per l’anima sua e di suo marito.37 Donata, moglie di Filippo Bondumiero diS. Giustina, nomina il consorte esecutore testamentario, erede residuale e lascia«l’anema mia in quela del dito mio marido».38 Clara moglie di Giacomello deGrancerdinis di S. Simeon, gli raccomanda la sua anima.39

Ci sono donne, poi, che nominano il marito esecutore a patto che lui rispettidelle condizioni che possono essere di tempo o di comportamento. Donata, mo-glie di Paladino Rosso, nomina il marito suo commissario ed erede residualeperò «…cum hac condicione quod ipse teneatur expedire et solvere totum illudquod superius dimito et ordino dari pro anima mea infra unum mensem…».40

Elena, moglie di Benedetto de Savina, lascia al marito il «residuum…tali condi-cione quod ipse faciat expensam mee sepolture honorifice».41 Mentre Lucia,moglie di Vittorio Liberio, che nomina commissari Nicola coreçario, suo padre,e Luca e Bonaccorso suoi fratelli, vuole ed ordina che i detti esecutori «…nonpossint molestare dictum Victorem virum meum de suprascriptis dimissoriis adie mortis mee usque ad unum annum».42 La testatrice, in questo caso, non sipreoccupa soltanto dei fastidi che i commissari potrebbero arrecare al marito,ma anche che lui si impegni a far rispettare le sue volontà al più tardi entro unanno. Franceschina, moglie di Pietro figlio di ser Bonomin, lascia che «…siatuto el rexidio de Piero mio marido ch’el posa far tuto quelo che i plaxe. Et se dequeste spexe alguna chosa avançase, sia tuto de mio marido Piero. Et chomesa-rio laso mio marido Piero…».43

Solitamente gli uomini nei loro testamenti inserivano delle clausole per le qualila moglie, qualora si fosse risposata, avrebbe perso i lasciti in suo favore. Ciòaccadeva perché una donna, quando cambiava consorte, lasciava la famiglia delmarito e, nel fare questo, causava delle modifiche al patrimonio su cui poiavrebbero contato i figli perché era nei suoi diritti richiedere la restituzionedella dote.44

34 N. T., b. 1062, LORENZO DELLA TORRE, test. n. 29, 20.04.1348.35 Ibid., test. n. 50, 20.05.1348.36 Ibid., test. n. 73, 28.07.1348.37 N. T., b.763/c, NICCOLÒ ROSSO, test. n. 70, 07.05.1348.38 N. T., b. 1062, LORENZO DELLA TORRE, test. n. 77, 07.09.1348.39 N. T., b.763/c, NICCOLÒ ROSSO, test. n. 18, 23.03.1348.40 N. T., b. 1062, LORENZO DELLA TORRE , test. n. 12, 04.03.1348.41 Ibid., test. n. 49, 20.05.1348.42 Ibid., test. n. 20, 10.04.1348.43 Ibid., test. n. 53, 23.05.1348.44 L. GUZZETTI, Le donne a Venezia cit., p. 67

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Secondo Linda Guzzetti, «Nei testamenti delle donne non si trova invece lacondizione di non risposarsi riferita ai mariti»45 perché, anche se il marito sifosse risposato, i figli delle sue mogli avrebbero sempre fatto parte di una stessafamiglia (ovviamente quella del padre) e il patrimonio non sarebbe stato intac-cato. Questa affermazione viene forse smentita in due dei documenti presi inconsiderazione in questo studio: infatti, in entrambi i casi, le testatrici fannoesplicitamente riferimento al fatto che non gradiscono che il marito si risposi.Maddaluccia, moglie di Pietro Testa di S. Maurizio, nomina sua commissaria lamadre Lucia Boali e le affida i figli e dispone che essi non vengano in possessodei beni lasciati finché non raggiungano la maggiore età; inoltre aggiunge che lamadre Lucia «…debeat subvenire eis, [i figli], si pater eorum eis non bene faceresi acciperet aliam uxorem ».46 La possibilità che il marito si risposi viene calco-lata anche da Nicoletta, moglie di Benedetto Adanis di S. Polo, la quale lascia alfiglio Paolo «soldos decem grossorum» con la condizione che essi rimangano inmano del marito finchè questo non si sarà risposato, nel qual caso i soldi do-vranno venire in mano dei commissari che li terranno finchè Paolo sarà giunto«ad etatem legitimam».47 Se i mariti di queste donne si fossero risposati, da unpunto di vista patrimoniale nella famiglia non ci sarebbero stati dei cambia-menti così drastici o pericolosi, però probabilmente esse temevano che i lorofigli sarebbero stati penalizzati economicamente a favore di quelli di secondoletto.Altre donne, ancora, non si limitano a nominare il marito esecutore testamen-tario, ma gli affidano anche la cura dei figli affinché provvedano alla loro salutee al loro futuro: come Margherita, moglie di Nicoletto piliçario di S. Samuel,che nomina il marito suo unico fedele commissario ed erede residuale, e gliraccomanda il figlio o la figlia, di cui al momento è gravida, affinché «…debeatbene retinere ipsum vel ipsam et ei bene facere»;48 invece Agnesina, moglie diser Benedetto de Alticherio, ordina che «...dictum rexiduum stare debeat inmanibus suprascipti viri et commissarii mei quousque filius meus fuerit adetatem legitimam et filie mee fuerint maritate ».49

Alcune testatrici mostrano nei confronti dei mariti un certo distacco: non linominano né esecutori testamentari, né eredi residuali o legatari; il nome delmarito in questi casi compare solo perché fornisce un’identità alla moglie. Avolte, poi, si preoccupano che il comportamento del coniuge non vada a lederealtre persone: ad esempio Francesca, moglie di Graziano de Caceris di S. Si-meone, lascia alla figlia Antonia «libras quinque grossorum» perché si sposi;ma: «…si pater eius de ipsa non bene haberet, tunc volo quod dicti commissariab ipso Graciano viro meo dictas libras quatuor accipia<n>t et ipsas se tenere

45 Ibid.46 N. T., b. 1062, LORENZO DELLA TORRE, test. n. 44, 15.05.1348.47 N. T., b.763/c, NICCOLÒ ROSSO, test. n. 88, 27.03.1348.48 N. T., b. 1062, LORENZO DELLA TORRE, test. n. 43, 15.05.1348.49 N. T., b.763/c, NICCOLÒ ROSSO, test. n. 37, 14.04.1348.

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debea<n>t quousque dicta filia mea fuerit maritata».50 Cristina, moglie di An-tonio Buteglario di S. Maurizio, invece cerca di tutelare la propria madre, no-minata sua esecutrice testamentaria, in quanto teme che suo marito Antoniopossa “molestarla” e non ridarle la repromissa della moglie, infatti dice:

Et si dictus Antonius non contentabitur dare et cedere dictam meam repromissam, etmolestaverit dictam meam commissariam, tunc volo quod licitum sit eidem done Marie,matri et commissarie mee, excutere totam meam repromissam et totum id quod ipsa eimutuavit.51

Il comportamento degli uomini quando testano è altrettanto indicativo dei rap-porti che avevano con le proprie mogli anche perché, solitamente, queste, unavolta rimaste vedove, non entravano direttamente in possesso dei beni del ma-rito per via successoria, ma solo se indicate espressamente come legatarie.52 Dalmomento che nel nostro campione il numero di testatori è esiguo, si può ripor-tare facilmente caso per caso le loro testimonianze. Natale Pacechario, di S.Giacomo dell’Orio, nomina la moglie sua commissaria insieme alla madre e aMaddalena moglie di ser Donato Grafo;53 Vincenzino preco di S. Patrignano,nomina la moglie sua esecutrice testamentaria ed erede residuale, assieme allafiglia, ma, aggiunge: «Et si uxor mea acciperet alium virum, volo quod non sitamplius mea commissaria nec habeat nihil de meo nisi suam repromissam quefuit librarum centum parvorum».54 Francesco a carris, di S. Angelo, nomina lamoglie commissaria, insieme ad altri, ed erede residuale; inoltre la nomina«domna et domina » della sua casa e ordina che non venga molestata dagli altricommissari e le affida quindi tutte le decisioni più importanti; ma poi dice «…siacciperet alium virum, volo quod non sit amplius mea commissaria nec quodhabeat aliquid de meo preter suam repromissam…».55 Questo testatore certa-mente lascia alla sua vedova un ruolo importante come quello di capofamiglia,ma lo lega alla condizione di non risposarsi, evitando così che la moglie si stac-casse dalla famiglia acquisita e chiedesse la restituzione della dote.Marco Cristoforo, di S. Simeone, nomina sua sola commissaria la moglie laquale dovrà gestire il denaro lasciato ai figli finché questi non avranno rag-giunto la maggiore età; se, però questa dovesse risposarsi o morire prima che ifigli crescano «…voleat instituere unum vel plures commissarios loco eius et ni-chil habeat de benis meis nisi suam repromissam et vadat in pacem ».56

Quasi tutti questi mariti si preoccupano di eventuali ulteriori nozze delle lorovedove e il loro comportamento si rivela unanime: la moglie potrà pure risposarsi

50 Ibid., test. n. 17, 16.04.1348.51 N. T., b. 1062, LORENZO DELLA TORRE, test. n. 34, 30.04.1348.52 L. GUZZETTI, Le donne a Venezia cit., p. 68.53 N. T., b.763/c, NICCOLÒ ROSSO, test. n. 69, 04.04.1348.54 N. T., b. 1062, LORENZO DELLA TORRE, test. n. 33, 29.04.1348.55 Ibid., test. n. 41, 14.05.1348.56 N. T., b.763/c, NICCOLÒ ROSSO, test. n. 51, 07.05.1348.

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ma che non si aspetti di ottenere altro se non la propria dote che doveva essererestituita per legge; allo stesso tempo escludevano categoricamente la cessionedi eventuali altri legati che avevano lasciato alle mogli nel testamento, in modoche il loro patrimonio rimanesse all’interno della loro famiglia e non passassenelle mani di secondi consorti.

3.2. Rapporti tra genitori e figli

Come è stato detto più volte, la preoccupazione maggiore di una persona chefaceva testamento era quella di mantenere il patrimonio all’interno del propriogruppo famigliare; per questo motivo gli eredi privilegiati erano i figli, megliopoi se maschi. Se invece il testatore o la testatrice non aveva eredi diretti, la sualibertà di disporre del proprio patrimonio era molto ampia e, allora, come le-gatari potevano comparire anche persone esterne alla cerchia famigliare. Sonoproprio i beneficiari nominati che ci fanno comprendere di quali persone il te-statore si circondasse.I figli, se ce ne sono, sono i primi ad essere ricordati nei testamenti dei genitori.Luisa Chiappa Mauri afferma che, in linea di massima, nei testamenti lombardi,i figli maschi venivano nominati eredi universali, mentre alle femmine venivaassicurata sempre e comunque la dote.57 Le donne quando si sposavano, entra-vano a far parte, fisicamente e giuridicamente, della famiglia del marito: neprendevano il cognome e cambiavano la residenza e, allo stesso tempo, perde-vano il legame con la famiglia d’origine. La successione prevedeva che i figlimaschi, che erano continuatori della famiglia e del nome, ricevessero dal padreil grosso dei beni; solo in assenza di questi ultimi, allora, potevano ereditare lefiglie femmine, ma questo era previsto solo nel diritto veneto.58 Le figlie, quin-di, ricevevano dal padre solo la dote e la moglie non riceveva nulla dal marito, ameno che lui espressamente non la nominasse sua unica erede. Questa potreb-be essere una spiegazione del fatto che molte donne, tramite i lasciti, privilegia-vano le figlie femmine a svantaggio dei maschi. A Venezia, almeno per quanto riguarda il campione studiato, la distinzione tra icomportamenti dei genitori verso i figli o le figlie non è così netta. Innanzi tuttodobbiamo dire che le donne sposate, o che lo erano state, sono nel totale 77 e, diqueste, 35 non nominano i figli; però non possiamo sapere se ne hanno avuti epoi sono morti, a meno che non siano loro stesse a dircelo come fanno MariaBarbarigo, che nel suo testamento lascia dei soldi per celebrare «le mese de senGrigol» per l’anima di sua figlia Franceschina e del figlio Andriol,59 e Benvenuta,

57 L. CHIAPPA MAURI, Testamenti lombardi in tempo di peste cit., p. 238.58 L. GUZZETTI, Le donne nello spazio urbano della Venezia del Trecento, estratto da Donnea Venezia, a cura di Susanne Winter, Roma, 2004, pp. 5-6.59 N. T., b. 1062, LORENZO DELLA TORRE, test. n. 73, 28.07.1348.

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vedova di ser Diodato Volpino di S. Simeone Apostolo, che lascia alla nipoteLucia, figlia di sua figlia Chechina, «…soldos viginti grossorum quos michi di-mixit Chechina filia mea ad hobitum suum…».60

Le testatrici che hanno dei figli adottano un comportamento equo nei confrontisia dei maschi che delle femmine.61 Alle femmine viene sempre garantito deldenaro per sposarsi o entrare in religione, ma anche quando ci sono altri legatioltre la dote, figli e figlie se li devono dividere in parti uguali: ad esempio Agne-sina, moglie di ser Benedetto de Alticherio di S. Barnaba, fa scrivere al notaio:

Rexiduum vero omnium bonorum meorum, mobilium et immobilium, quocumquemodo et forma michi spectancium et pertinencium, dimito filiis vel filiabus meis, quospost hobitum meum reperientur, ad dividendum equaliter interi eos, tali condicione etforma, quod si filii mei decederent ante etatem legitimam, pars decedentis deveniat insupraviventibus, tam masculis quam feminabus.62

Un ulteriore dato da rilevare è che, nei testamenti che appartengono al nostrocampione, la maggior parte delle persone testanti costruisce una fitta rete dieredi qualora dovessero venire a mancare quelli designati “in prima istanza”;ma non si può stabilire con certezza se questo modo di comportarsi fosse do-vuto al rispetto di prestabilite norme successorie oppure dipendesse da una si-tuazione straordinaria, come quella determinata dalla peste, che aumentava lapossibilità che i beneficiari, soprattutto i figli, morissero prima di ricevere i le-gati. I figli minorenni inoltre, e nel nostro caso ne compaiono molti, non potevanotoccare i lasciti di cui erano stati beneficiati finché non avessero raggiunto lamaggiore età, nel caso dei maschi, o finché non si fossero sposate nel caso dellefemmine. I soldi nel frattempo rimanevano nelle mani degli esecutori testa-mentari. In sostanza, come abbiamo detto più volte, secondo la pratica comunee secondo il diritto, le donne non avrebbero mai potuto gestire il denaro di cuierano beneficiarie, a meno che non fossero rimaste vedove e non si fossero piùrisposate, perché la somma o era custodita dai commissari nominati dai genito-ri, o veniva gestita dal marito, qualora si fossero sposate, o dall’ente monasticose entravano in religione. Vi sono però dei casi in cui, tramite il testamento, siriescono a fare delle scelte particolari: infatti Cristina, vedova di ser AndrioloZane di S. Angelo, lascia alla figlia Cataruccia 1000 libbre di denari veneziani edispone come segue:

60 N. T., b.763/c, NICCOLÒ ROSSO, test. n. 55, 07.03.1348.61 Questo modo di comportarsi delle testatrici segue la prassi giuridica secondo cui i beni dellamadre devono essere divisi equamente tra i figli, mentre quelli del padre vengono ereditatiesclusivamente dai figli maschi (vedi Linda Guzzetti, Le donne nello spazio urbano cit., p. 6quando cita gli Statuti Veneziani, nota 16).62 N. T., b.763/c, NICCOLÒ ROSSO, test. n. 37, 14.04.1348.

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…volo quod dicte libre milie ponantur ad Cameram imprestitorum et volo quod ipsa nonpossit habere nec removere dictos, nec prode ipsorum denariorum, donec ipsa nonhabuerit filium vel filiam. Et si ipsa haberet filium vel filiam, po<s>sit dictas libras milieet prode ipsarum ordinare…tamen volo quod <si> ipsa remaneret vidua vel devenire adnecessitatem, quod ipsa possit accipere prode ipsarum librarum milie pro sua necessi-tate non habendo tamen filium vel filiam.63

Gli aspetti singolari da rilevare di questo testamento sono due: la testatrice dauna parte vincola il possesso e la gestione del lascito al fatto che la figlia abbiadegli eredi; dall’altra sottrae questa somma al controllo del genero, che nonviene nemmeno nominato, per poterla assicurare intatta ai nipoti o alla figliastessa in caso di difficoltà economiche. Il testamento qui diviene addiritturauno strumento legale e valido per sollevarsi, (in questo caso sollevare la figlia)dall’ingerenza di un uomo, ma, ancora una volta, non implica che la figlia possagodere liberamente dei lasciti senza restrizioni.Infine non sono pochi i testamenti in cui il genitore lascia dei legati, oltre ai figligià nati, se ce ne sono, anche ai figli nascituri, sia quelli che si stanno per avere,sia quelli che si pensa potrebbero nascere in futuro. Margherita, moglie di Ga-sparino draperius di S. Maria Zubanigo, dice: «Residuum vero omnium bo-norum meorum, mobilium et immobilium, dimito suprascripto Gasparino, viroet commissario meo. Et si tempore mortis mee haberem filios vel filias, dimitoeidem filiis vel filiabus totum dictum residuum».64 La donna quando fa testa-mento dice di essere sana e non fa menzione di una gravidanza anche se nonesclude l’ipotesi di averne una o più prima di morire; invece Margherita, mogliedi Nicoletto piliçario di S. Samuele, lascia i beni residuali al marito e poi ag-giunge: «…cui recummendo filium vel filiam, de quo vel de qua ad presens sumgravida, ac quod debeat bene retinere ipsum vel ipsam et ei bene facere».65 Inquesto caso la testatrice non si preoccupa tanto di lasciare del denaro al figlionascituro, ma chiede al marito di prendersene cura, ed è proprio questo tipo didecisioni che ci fa capire che il testamento può rivelare, anche se velatamente, iltipo di legame che univa la persona testante con i suoi famigliari.

3.3. Rapporti con la servitù

Tra i beneficiari nominati nei testamenti, oltre al marito, ai figli, alla madre e aifratelli, compaiono spesso i domestici. Linda Guzzetti afferma che questo non èun caso sporadico. Nei documenti da lei studiati, compaiono numerosissimi ca-si in cui vengono nominati dei servitori, più donne che uomini, e tra questi ven-gono contati anche le balie, sia quelle delle persone testanti che quelle dei figli o

63 N. T., b. 1062, LORENZO DELLA TORRE, test. n. 76, 04.09.1348.64 Ibid., test. n. 24, 14.04.1348. 65 Ibid., test. n. 43, 15.05.1348.

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del coniuge. Dalle sue ricerche emerge, inoltre, che il numero di servitori bene-ficiati nei testamenti diminuisce tra il primo e l’ultimo quarto del XIV secolo eda ciò trae la conclusione che forse la base sociale delle persone testanti si eraallargata e molti non possedevano servitù; o forse, più semplicemente, vi erameno disponibilità a disperdere il patrimonio in numerosi legati.66

Nel campione da me considerato sono 6 i testatori che fanno dei lasciti ai loroservi: Maria Barbarigo, donna che apparteneva alla nobiltà veneziana per na-scita e non per matrimonio, lascia prima «libras VIII» a Sofia, la schiava di suopadre, poi, se rimane qualcosa del residuo dei suoi beni, dopo che sono stativenduti, lo destina a Margherita «la sclava che sta a Sen Chaxan in la chorte dacha’Michiel…».67 Un’altra nobildonna veneziana, Gacomina Contarini, moglie«domini Stephani Contareni», dona alla serva Rina che abita con lei «…librastres grossorum pro suo maritare tali condicione, quod dictus dominus Stepha-nus Contareni, vir meus, et dictus Andriolus Contareni, cognatus meus, fraterdicti domini Stephani Contareni, afranchentur ipsam et si ipsa erit bona feminasuis corporis».68 Quest’ultima dichiarazione probabilmente è stata fatta in baseall’uso veneto che prevedeva che il padre, o la sua vedova, diseredassero le figliese avessero peccato con il corpo prima di aver raggiunto i 25 anni; 69 in questocaso, però, abbiamo una serva che forse era talmente benvoluta dalla testatriceda essere considerata al pari di una figlia. Ma la testimonianza più sorprendente del fatto che a volte la persona testantenutriva sincero interesse per il proprio personale domestico è quella di Giovan-na, vedova di ser Filippo Tessitore la quale ordina che:

…si Franciscus, famulus meus, accipere voluerit in uxore Chataruciam, famulam meam,volo quod ipsa Chatarucia habeat, pro sua docte, totum rexiduum bonorum meorum. Etsi ipsa accipere voluerit per uxorem, tunc volo quod ipse Franciscus habere debeat, demeis benis, soldos septem grossorum, quinque quos ei tenuero et duo pro anima mea. Ettotum rexiduum bonorum meorum deveniat in suprascipta Chatarucia famula mea.70

Le considerazioni da fare in questo caso sono due: la prima è che donna Gio-vanna si preoccupa di far sposare due suoi domestici; la seconda è che, se sileggono attentamente le parole della testatrice appena riportate, si evince lapossibilità o meno, da parte della famula Cataruccia, di accettare il matrimoniocon il suo pari Francesco. Probabilmente, nelle classi sociali inferiori vi era unamaggiore libertà nel contrarre matrimonio rispetto a ciò che avveniva nelle

66 L. GUZZETTI, Le donne a Venezia cit., ,pp. 54-60.67 N. T., b. 1062, LORENZO DELLA TORRE, test. n. 73, 28.07.1348.68 N. T., b.763/c, NICCOLÒ ROSSO, test. n. 10, 27.05.1348.69 Dote, in Dizionario del diritto comune e veneto cit., pp. 640-649.70 Ibid., test. n. 19, 14.03.1348.

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famiglie nobili o in quelle ricche, dove a dettare le regole erano gli interessieconomici.71

Ancora abbiamo Francesca Petracha, moglie di ser Nicoletto Petracha, che or-dina: «Item dimito Agnesine ducatos tres, pro anima mea, et per servicio rece-pito ab ea in infirmitate mea»;72 e Caterina, vedova di ser Michele Morosini,che lascia alla serva Caterina 10 soldi di grossi per la sua anima;73 invece Fran-cesca, vedova di Matteo Cocco, lascia a Beatrice sua servitrice: «soldos vigintigrossorum et omnes panos tam laneos quam lineos a dorso suo» – e aggiunge –«Et si dicta Beatrix decederet ante filios meo<s>, volo quod ipsa possit ordina-re, de eo quod sibi dimito, in soldos decem grossorum et aliud residuum dictisui legati, devenire debeat in suprascriptos meos filios… ».74 Francesca pone lasua servitrice in condizione di fare dei legati con la metà del denaro che le la-scia, quando avrebbe potuto decidere di far tornare l’intera cifra nelle mani deipropri figli.Infine anche un uomo, il presbitero Giacomello Nannolo di S. Giovanni Decol-lato, lascia al suo servitore Gregorio ben 2 ducati aurei e numerosi e pregiaticapi di vestiario.75 Questo lascito è davvero consistente rispetto a quelli prece-dentemente riportati, però si può considerare “normale” se confrontato con glialtri legati dello stesso testamento, che sono più o meno tutti del valore di 1 o 2ducati aurei. Il famulo Gregorio doveva essere un uomo di fiducia del presbite-ro se quest’ultimo lo ricompensava con una somma che eguagliava, e a voltesuperava, quella di altre persone nominate come amiche dal testatore.Come abbiamo visto dagli esempi, i lasciti fatti ai servi erano abbastanza“importanti” da un punto di vista economico. Da un lato certamente questo di-pende dal fatto che i testatori erano persone benestanti, dal momento che pote-vano permettersi di avere dei domestici alle loro dipendenze, e quindil’ammontare dei loro legati è proporzionale al valore dei loro patrimoni;dall’altro lato però, anche se un testatore era ricco, poteva anche decidere di la-sciare al proprio servo poca cosa. Il modo quindi di ricompensare o meno undomestico e di metterlo in condizione addirittura di potersi sposare o di faretestamento, è elemento rivelatore del rapporto di affetto e gratitudine che spes-so legava la persona testante con il beneficiario.

71 Vedi sopra, cap. 3, par. 3.1.72 N. T., b. 1062, LORENZO DELLA TORRE, test. n. 69, 23.06.1348.73 Ibid., test. n. 56, 27.05.1348. 74 Ibid., test. n. 27, 15.04.1348.75 N. T., b.763/c, NICCOLÒ ROSSO, test. n. 62, 17.04.1348.

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