strut ture
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Claude Rosselet Georg Senoner
Strutture del Successo La prassi delle costellazioni sistemiche e altre metodologie per la gestione della complessità in azienda
con contributi di Riccardo Benardon Marco Matera Marisa Vecchi
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Per Helen
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Strutture del successo
La prassi delle costellazioni sistemiche e altre metodologie per la ge-
stione della complessità in azienda
Claude Rosselet e Georg Senoner
Con contributi di Riccardo Benardon, Marco Matera e Marisa Vecchi
Indice
Prefazione di Gunthard Weber
Prefazione all’edizione italiana di Giampaolo Galli
Ringraziamenti
Introduzione
Parte I Costellazione sistemica – la messa in scena del sapere
1 Costellazione sistemica e complessità
1.1 Andare a fondo della questione
1.2 Cosa avviene in una costellazione sistemica
1.2.1 Il rappresentante come cassa di risonanza del sapere implicito
1.2.2 Il processo della costellazione sistemica
1.3 Esempio di una costellazione
1.4 La messa in scena come „manifestazione” dell’intelligenza collettiva
1.5 Costellazione sistemica e learning organization
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1.6 Costellazione sistemica – un normalissimo strumento del manage-
ment?
1.6.1 Costellazione sistemica – un oracolo moderno?
1.6.2 Le “verità” delle immagini di una costellazione
1.6.3 Costellazione sistemica e modelli di management
2 La costellazione come modalità espressiva del pensiero sistemico
2.1. Il pensiero sistemico come fondamento a un reale approccio sistemico
2.2 Le persone nel cambiamento continuo e dinamico
2.3 Decidere nell’ incertezza
2.4 Arte del cambiamento
2.5 Un intervento per accrescere le capacità di autoregolazione
dell’azienda
3 Il mormorio del sapere implicito
3.1. Sapere implicito ed esplicito
3.2 La rinuncia all’illusione del sapere nozionistico
3.3 Dai dati al sapere – dal sapere ai dati
3.4 Il sapere come atto di valutazione complesso – i principi di ordinamen-
to nelle organizzazioni
3.4.1 Ciò che tiene insieme un’organizzazione
3.5 Regole e routine
3.6 Le regole nei sistemi sociali
3.6.1 Le regole grammaticali
3.6.2 Le regole informali
4
3.6.3 Le regole tecniche
3.7 La costellazione come recettore del sapere sociale implicito
4 Le costellazioni sistemiche come processo di sensemaking
4.1 Il modello di sensemaking di Karl Weick
4.2 L’organizzazione secondo la teoria di Karl Weick
4.3 Costellazione sistemica come processo collettivo di sensemaking
4.4 Le peculiarità del approccio Management Constellations
Parte II Linee guida per le costellazioni sistemiche manageriali
5 Presupposti per il successo
5.1 L’appartenenza
5.2 Rispetto per l’ordine di successione
5.3 Riconoscere la responsabilità e l’impegno
5.4 Sviluppare il potenziale degli individui e dei team
6 I diversi setting per una costellazione sistemica
6.1 Team-setting – Management Constellations
6.1.1 La costellazione sistemica in ambito aziendale
6.1.2 L’oggetto delle Management Constellations
6.1.3 Prospettiva e workshop-design delle Management Constellations
6.1.4 La costellazione con persone direttamente coinvolte
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6.1.5 L’inserimento in un processo di intervento
6.1.6 Management Constellations: una pratica di intervento innovativa
6.2 Seminari „aperti”
6.3 Il setting individuale
6.3.1 Costellazione al tavolo
6.3.2 Costellazione sul pavimento
7 Il decorso di una costellazione sistemica
7.1 Il ruolo del facilitatore
7.2 Formulare la domanda
7.3 Determinazione gli elementi da costellare
7.4 Scegliere e mettere in scena i rappresentanti
7.5 Interpretare la costellazione
7.6 Interventi
7.7 Conclusione
8 Schemi interpretativi e relativi formati di costellazione
8.1 Management e leadership
8.1.1 Il modello di management di San Gallo
8.1.2 Il modello Epidauros
8.1.3 Il triangolo dei valori e delle risorse
8.1.4 Il modello TZI (Interazione Centrata sul Tema)
8.2 Strategia e innovazione
8.2.1 Strategy maps
6
8.2.2 Il modello della farfalla
8.2.3 Il quadrato dei valori
8.2.4 Lo sviluppo del potenziale
8.3 Soluzione del problema e processo decisionale
8.3.1 Il Tetralemma
8.3.2 La struttura del problema
8.3.3 Un approccio alla soluzione del conflitto
8.3.4 Miracle Scaling
9 Metodi e tecniche complementari
9.1 Il Dialogo
9.2 World Café
9.3 Open Space
9.4 L’intervista dialogica
9.5 Fish Bowl
9.6 La domanda ripetuta
9.7 Le quattro stanze del cambiamento
9.8 Il Solution Focused Approach
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Prefazione di Gunthard Weber
Quando lessi il manoscritto del presente volume mi ritornarono alla mente due
versi di una poesia di Börries von Münchhausen:
“Ma quando il giorno giunse piano attraverso i giardini, il candido lillà era sboc-
ciato...”
Mi permetto di ricorrere a quest’immagine poetica supponendo che, almeno
inizialmente, questo libro raggiungerà solo pochi manager. Per ora, infatti, lo
vedo più che altro in mano a consulenti aziendali e formatori.
Al momento il “candido lillà” delle costellazioni sistemiche in ambito manage-
riale è considerato più che altro come un suggerimento confidenziale. E sebbe-
ne il lillà stia appena iniziando a sbocciare, il presente lavoro mostra come il
particolarissimo metodo di consulenza di cui trattiamo stia ormai giungendo
attraverso i giardini, mentre disegna i nuovi possibili scenari qualora la sua
forza chiarificatrice, la sua efficacia e bellezza si potessero sviluppare
all’interno di molte aziende. Come nel 1975 molti colleghi mi chiedevano: “Sei
già stato da Bert Hellinger?” - allora erano solo in pochi a conoscerlo -, così oggi
può accadere che di fronte all’insorgere di problematiche all’interno
dell’azienda si chieda: “Hai già provato con la costellazione sistemica?”
Di questo libro mi piacciono molte cose. È esaustivo ma compatto, è di facile
lettura anche per coloro che essendo molto impegnati hanno poco tempo a
disposizione. Gli autori espongono i contenuti in modo ordinato e sfaccettato e
ricco di esempi pratici. La descrizione dei concetti affini di C. O. Scharmer o di
K. E. Weick è stimolante; il confronto con i processi propri alle Management
Constellations mostra da un lato come filoni di consulenza simili si siano svilup-
pati in contesti diversi, dall’altro mette in risalto peculiarità della costellazione
sistemica quali il linguaggio della rappresentazione nello spazio e altre modalità
di percezione.
Senza indulgere ad ardori missionari, il libro, in maniera sobria e misurata,
cerca di convincere i lettori delle possibilità uniche che offre questo nuovo
metodo. Spiega dettagliatamente quali sono le sfide cui vanno incontro sia il
consulente sia il management team che intendano applicare la costellazione
sistemica. Infine prova quanto questa pratica sia impegnativa e sottolinea che il
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consulente aziendale necessita di solide conoscenze di fondo e di grande espe-
rienza, molto più di quanto non possa apparire in un primo momento.
Altrettanto efficaci sono i capitoli che trattano delle possibilità simultanee,
offerte dalle Management Constellations. di attingere alle informazioni oppure
di crearle, così pure i capitoli dedicati alle trasposizioni dal linguaggio verbale
alla rappresentazione corporea e viceversa, queste arricchendosi reciproca-
mente risultano indispensabili sia per la formulazione di ipotesi sia per la messa
in atto di concrete strategie operative.
Teoria e pratica si coniugano nel migliore dei modi ma l’applicazione nella pra-
tica resta in primo piano. A una speculazione, fortunatamente molto contenu-
ta, corrisponde una descrizione vivace ed esaustiva della prassi. I lettori trove-
ranno molti spunti di riflessione e d’azione e certamente questo volume, così
come quello pubblicato in precedenza dagli autori Rosselet, Senoner e Lingg
(2007), darà impulso a intense discussioni e a ulteriori sviluppi creativi. Per chi
lavora con le costellazioni il presente contributo è innovativo e offre un valido
orientamento. Esso dimostra come ci si possa avvicinare al linguaggio e alle
aspettative del management mediante un metodo, che, pur apparendo ini-
zialmente lontano e avulso da quel mondo, si può invece efficacemente asso-
ciare ad altri metodi di consulenza manageriale e di gruppo, rendendolo in tal
modo ancora più effettivo e sostenibile nel tempo.
Nonostante il metodo delle costellazioni aziendali e delle Management Con-
stellations venga praticato già da anni, e in molti casi con successo, esso è an-
cora in fase di sviluppo. A nostro avviso le sue potenzialità sono state ricono-
sciute e sperimentate solo in minima parte. Pertanto auspichiamo che questo
metodo, capace di innestare la spinta verso processi di management di succes-
so si possa sviluppare al meglio. A ciò potrà contribuire questo libro che rite-
niamo essere la migliore introduzione al lavoro con le Management Constella-
tions e con le costellazioni sistemiche in genere, attualmente in circolazione.
Per questo motivo merita tutta la considerazione che sinceramente gli augu-
riamo.
“In molti giardini nel mondo il candido lillà è già fiorito.”
Gunthard Weber
Wiesloch, luglio 2010
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Prefazione all’edizione italiana di Giampaolo Galli
Conosco uno degli autori di questo libro, Georg Senoner, dai primi anni settan-
ta quando ci incontrammo all’Università Bocconi. Di questo alto-atesino, che
parlava un buon italiano con un forte accento tedesco, apprezzavo
l’intelligenza, il rigore analitico, la determinazione. Era il compagno di studi
ideale, specie per uno come me che, al pari di molti ragazzi di quella genera-
zione, tendeva a considerare lo studio ancillare rispetto al più serio impegno
politico. Senoner mi obbligava a stare a tavolino sino a che non eravamo certi
di aver capito ogni singolo teorema del calcolo differenziale o dell’economia.
Da quando ha iniziato la sua avventura come consulente aziendale, Senoner mi
ha parlato spesso del metodo delle Costellazioni Sistemiche che sono al centro
di questo libro. Cercava di spiegarmi che l’azienda vera è molto diversa da
quella che avevamo studiato nei corsi di microeconomia, che essa è fatta di
persone in carne ed ossa, con le loro passioni, i loro pregiudizi, le loro relazioni.
Sin qui non fu difficile convincermi. Mi sembrava anzi ovvio che fosse così. Le
aziende sono organizzazioni complesse fatte di persone, non solo macchine per
massimizzare il valore degli azionisti. In quanto tali, richiedono strumenti anali-
tici appropriati per essere comprese e aiutate. Dove avevo più difficoltà a se-
guirlo era quando cercava di spiegarmi che un metodo che era stato applicato
con grande successo alle relazioni famigliari potesse essere adattato a realtà e
tipologie di relazioni di natura totalmente diversa.
Avevo in mente concetti come quelli espressi con particolare efficacia a un
workshop del top management di Alitalia da Gordon Bethune, il Ceo di Conti-
nental che, fra il 1996 e il 1997, é stato l’artefice di uno spettacolare turn
around dell’azienda. Dopo una lunga sessione di “autocoscienza” in cui era
emerso chiaramente che Alitalia non funzionava anche per via di radicate e
profonde rivalità fra le persone, i consulenti esterni portarono la discussione
sul tema del parallelismo azienda-famiglia. Come era prevedibile, la discussione
si incapricciò ancor di più. Finché intervenne Bethune che disse più o meno: “In
America non facciamo le cose in questo modo. Voi sbagliate tutto. L’azienda è
diversa dalla famiglia. Di famiglia ne abbiamo una e ci basta. In azienda non
importa se le persone si vogliono bene o si odiano. Ciò che conta è che tutti
lavorino per gli obiettivi dell’azienda: massimizzare il valore, Questo in pratica
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significa due cose molto semplici: far partire gli aerei in orario e essere gentili
con i clienti”. Poi, rivolto all’amministratore delegato, aggiunse poche parole
che gelarono l’audience e misero fine ad ogni discussione: “Questi obiettivi
dipendono soprattutto dai piloti e dagli stewards. Sono questi che devi invitare
al workshop, se vuoi che le cose funzionino”.
Quello di Bethune mi sembrò, e tuttora mi sembra, un approccio condivisibile,
sul piano logico e anche come filosofia di vita.
Avevo altre perplessità sulle Costellazioni Sistemiche. Mi sembrava un metodo rischioso per il top management che in qualche misura si deve mettere in gio-co. E avevo un po’ di timore di fronte ad espressioni, che ricorrono in questo libro, come: rappresentazione teatrale, emozioni, percezioni corporee, dinami-che nascoste, conoscenze implicite. Non capivo come si potesse convincere un manager a mettere in scena la rappresentazione della propria azienda, parten-do da com’essa è e arrivando, nel giro di poche ore o giorni, a come essa do-vrebbe essere. Mi sembrava un approccio troppo ambizioso ed esposto al ri-schio di errori nelle diagnosi e, soprattutto, nell’indicazione delle terapie. La stessa espressione “Costellazioni sistemiche” non mi piaceva e tuttora non mi piace. Le “costellazioni” evocano l’astrologia, gli oracoli, le soluzioni miracolisti-che. Il termine “sistemico” fa pensare ad approcci integralisti e poco laici.
Invito il lettore non specialista che condivida queste perplessità a leggere il paragrafo 1.3 e poi decidere se andare avanti e leggere il resto. Qui c’è la de-scrizione di un caso in cui il metodo delle costellazioni è stato applicato con successo ad un’azienda con problemi molto concreti e piuttosto comuni: diffi-coltà di rapporti fra diverse unità di produzione e fra di esse e le catene di di-stribuzione, incertezze circa i ruoli del management italiano rispetto al mana-gement europeo e la casa madre giapponese.
Forse la lettura di questo paragrafo non fugherà tutti i dubbi e tutti i timori. Ma credo che sia sufficiente a fugare i principali fra quelli che ho espresso in que-sta pagina. L’approccio è del tutto compatibile con la cultura laica e razionalista che caratterizza in tutto il mondo, oggi anche in oriente, le scuole di manage-ment. Da questo punto di vista il nome e l’origine storica delle “Costellazioni Sistemiche” sono parecchio fuorvianti.
Rispetto al lettore che si avvicini per la prima volta a questo tema, io ho il van-taggio di aver partecipato ad alcune rappresentazioni come quella citata sopra. Posso dunque aggiungere una considerazione. Se il consulente che conduce la rappresentazione è bravo, l’esperienza può essere molto intensa anche sul
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piano emotivo. Tutt’altra cosa rispetto all’usuale brainstorming aziendale. Non è un’aspirina. È un antibiotico forte. Si consiglia di consultare il proprio medico di fiducia.
Giampaolo Galli
Roma, aprile 2011
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Ringraziamenti
Ringraziamo innanzitutto il caro amico e mentore, Gunthard Weber, gran-
de fautore dell’utilizzo delle costellazioni sistemiche per temi organizzativi
e aziendali, che tanto ha sostenuto il nostro lavoro. Rivolgiamo un caloro-
so ringraziamento anche ai nostri clienti, che prestandosi a un esperimen-
to insolito ci hanno permesso di apprendere molto.
Abbiamo sviluppato le Management Constellations negli incontri e nei
workshop con Henriette K. Lingg che ha partecipato alla stesura del nostro
primo libro.
Ciò che abbiamo appreso si basa anche sulle conoscenze di molti maestri e
colleghi, tra cui Guni Leila Baxa, Michael Blumenstein, Christine Essen,
Siegfried Essen, Stefan Hausner, Albrecht Mahr, Peter Müller Egloff, Bernd
Schmid, Gunther Schmidt, Sneh Viktoria Schnabel, Jakob e Sieglinde Sch-
neider, Fritz Simon, Kuno Sohm, Gerhard Stey, Jan Jakob e Bibi Stam e Insa
Sparrer e Matthias Varga von Kibed. In particolare Sparrer e Varga von
Kibed hanno elaborato nel corso degli anni Novanta una „grammatica
delle costellazioni sistemiche strutturali” che ci è stata di grande aiuto sia
dal punto di vista teorico che per l’applicazione pratica. Parte del loro pre-
zioso lavoro è fluito in maniera più o meno consapevole nella nostra prati-
ca di consulenti e nel presente volume.
Ringraziamo Marisa Vecchi, Riccardo Benardon e Marco Matera che con i
loro contributi hanno arricchito l’edizione italiana del libro.
Infine vorremmo rivolgere un particolare ringraziamento anche a Anne
Savio per la traduzione e Sandro Ottoni per il lavoro di editing.
Claude Rosselet e Georg Senoner
Männedorf e Bolzano, maggio 2011
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Introduzione
Buona pare della letteratura sul management è dedicata alla ricerca delle chia-
vi del successo. Ne sono nati parecchi modelli manageriali di comprovata utili-
tà, però a tutti sfugge un aspetto decisivo, ovvero quella facoltà misteriosa che
chiamiamo “intuizione”.
In questo libro andiamo alla scoperta di questa competenza essenziale per il
successo e presentiamo un approccio che permette, almeno in parte, di deco-
dificare le strutture del sapere nascosto che stanno alla base dell’intuizione.
Questo approccio è noto come “Costellazioni Sistemiche” e, a dire il vero, ha
origine antiche. Si basa sulla rappresentazione scenica della realtà che incon-
triamo già nel teatro greco. Infatti, per gli antichi Greci il teatro non era mera
finizione e divertimento bensì uno strumento importante per comprendere le
dinamiche profonde della società. La tecnica della messa in scena è stata risco-
perta per l’analisi e la cura di sistemi sociali e in particolar modo dei sistemi
familiari, da studiosi come Virginia Satir (Parts Party) e Jacob Moreno (Psico-
drama e Sociodrama) e soprattutto da Bert Hellinger (Costellazioni Familiari) il
cui approccio si è diffuso rapidamente non solo in Europa ma anche in parecchi
Paesi dell’Asia e delle Americhe. Nel 1994 due consulenti d’impresa, Thomas
Siefer e Michael Wingenfeld, ebbero l’intuizione che il metodo potesse rivelarsi
utile anche nella consulenza aziendale, invitarono quindi Bert Hellinger a inter-
venire ad un workshop con imprenditori e manager. Questo fu l’inizio delle
“Costellazioni Sistemiche Manageriali”. Vari studiosi, tra i quali merita un par-
ticolare riconoscimento Gunthard Weber, e poi Siegfried Essen, Matthias Varga
von Kibèd e Insa Sparrerr hanno elaborato le basi scientifiche, esplorato i campi
di applicazione e sviluppato gli accorgimenti tecnici per ricavare uno strumento
estremamente versatile ed efficace per affrontare una vasta gamma di temati-
che aziendali.
Concordo con l’amico Giampaolo Galli che il termine “costellazioni” non è tra i
più felici perché rischia di richiamare l’astrologia con la quale non ha proprio
niente a che fare se non per un’analogia formale:: i segni zodiacali nascono
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dalle connessioni che tracciamo tra le varie stelle così come l’immagine di una
costellazione sistemica rappresenta le connessioni tra i vari elementi. Il termine
ormai è diffuso a livello mondiale e abbiamo deciso di accordarci nel mantener-
lo.
Lo scopo principale del metodo è quello di esternalizzare e rendere visibile e
comprensibile il sapere tacito codificato nelle mappe mentali delle persone. Il
chimico e filosofo ungherese Michaly Polanyi ha dimostrato come una parte
rilevante del nostro sapere è inaccessibile al pensiero logico-analitico: sappia-
mo più di quanto riusciamo ad esprimere con parole e numeri. Per questa par-
te del sapere Polanyi ha coniato il termine “tacit knowing” che potremmo tra-
durre come sapere implicito o sapere tacito o anche intuizione. Da questo si
sono sviluppati svariati filoni di ricerca con l’intento di comprendere e sviluppa-
re tale parte nascosta del sapere.
In Neurobiologia, per esempio, si dimostra come il nostro cervello funzioni sulla
base di immagini variamente interconnesse che condizionano le nostre perce-
zioni, il nostro pensiero e le interazioni tra le persone (Gerald Hüther 2009). Ma
non si tratta di immagini fisse, bensì di strutture che vengono continuamente
riprodotte e modificate. Se il nostro sapere è strutturato per immagini, la rap-
presentazione scenica si propone come strumento naturale per portare
all’esterno queste immagini interiori. Esse contengono un’elevata densità di
informazioni che così vengono rese accessibili alla comunicazione verbale.
A questo punto dobbiamo rivolgere la nostra attenzione su un altro aspetto
cruciale: la dimensione collettiva del sapere. Il processo che, partendo dal sa-
pere implicito degli individui, costruisce il know-how collettivo di un’azienda è
stato studiato a fondo da Nonaka e Takeuchi. Il loro lavoro ha ispirato il filone
scientifico del knwoledge management. Anche il metodo delle costellazioni
sistemiche sta dando un contributo importante in questo campo. Le mappe
sistemiche derivate dalla messa in scena delle immagini interiori dei manager
forniscono un quadro sintetico e pregnante del know-how aziendale: mostrano
come il management interpreta e affronta i vari fattori dell’ambiente in cui
opera.
Se a questo punto i concetti possono apparire ancora astratti, i casi aziendali
che presentiamo nelle pagine seguenti ne illustreranno il valore pratico.
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È descritto, per esempio, il caso di un’azienda acquisita da un gruppo interna-
zionale la quale trova la maniera per integrarsi nella nuova struttura organizza-
tiva e sviluppare appieno il proprio potenziale.
Narriamo come il conflitto tra due dirigenti, che inizialmente sembrava insana-
bile, si risolve in una collaborazione proficua. Illustriamo come un’impresa
riconosce le dinamiche che provocano un aumento dei reclami dei clienti e
trova una soluzione al problema.
Ci soffermiamo su come il primario di un reparto ospedaliero capisce l’origine
dell’insoddisfazione dei suoi collaboratori e trova un rapido rimedio. E altri casi
ancora, tratti dalla nostra esperienza professionale, daranno concretezza alla
teoria.
La metodologia nota con il nome di “costellazioni sistemiche” nasce dalla com-
binazione di svariate tecniche. Abbiamo già menzionato come elemento princi-
pale la rappresentazione scenica delle immagini interiori. Un altro elemento
importante è la particolare forma di comunicazione nota come “dialogo di
Bohm”. David Bohm, un fisico famoso per i suoi contributi alla teoria quantisti-
ca, ha studiato le condizioni che permettono ad un gruppo di persone di comu-
nicare in modo che i loro cervelli interagiscano in un processo unico e simulta-
neo di elaborazione della conoscenza. Nel corso di una costellazione sistemica
accade proprio questo: prendendo letteralmente posizione rispetto a un de-
terminato tema i membri di un team sviluppano una visione comune della
realtà e una strategia condivisa per affrontarla.
Nella “Theory-U” Otto Scharmer descrive le varie fasi di questo processo che
apre lo spazio alla creatività partendo dalle convinzioni e dagli automatismi dei
singoli manager, attraverso il confronto con la complessità della situazione
reale e con il coraggio di varcare idealmente la soglia che separa il passato
(noto) dal futuro (ignoto?).
Tra le tecniche per favorire l’innovazione, le costellazioni sistemiche trovano un
posto di crescente rilievo. Da un lato permettono di superare agilmente i limiti
dei preconcetti, dall’altro riescono a condensare la complessità di una situazio-
ne in una forma che ne preserva i tratti essenziali.
Possiamo suddividere il processo della costellazione sistemica in tre fasi:
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La precisazione degli obiettivi del team e l’individuazione dei fattori rilevanti
del problema.
La rappresentazione scenica delle mappe mentali e la loro elaborazione.
La traduzione delle nuove informazioni e intuizioni emerse in forma simboli-
ca in decisioni e piani aziendali.
In quest’ultima fase si è rilevato utile il modello del “sensemaking” elaborato
dal noto teorico dell’organizzazione Karl Weick. Esso descrive i meccanismi con
i quali nuove esperienze e informazioni vengono integrate in un sistema codifi-
cato del sapere di un’organizzazione.
Ovviamente l’approccio è permeato dal pensiero sistemico. Esso privilegia la
visione d’insieme e cerca di comprendere gli schemi di interazione tra
un’organizzazione, il suo ambiente e il suo mercato. Focalizza l’attenzione sulle
strutture che danno forma e continuità alle interrelazioni tra gli elementi di un
sistema. Rivolge l’attenzione principalmente al movimento, al flusso, alle di-
namiche.
Anche le relazioni causa-effetto sono viste sotto una prospettiva diversa. Da un
lato causa ed effetto sono separati da un lasso di tempo la cui durata non è
prevedibile a priori. Dall’altro le cause sono sempre molteplici ed esercitano la
loro influenza solitamente in maniera non lineare. Piccoli mutamenti possono
produrre grandi effetti e a volte grossi sforzi producono benefici trascurabili.
Tutto ciò può essere sperimentato “dal vivo” in una costellazione sistemica.
Ciò che presentiamo in questo libro non è un’ennesima teoria che tenta di
spiegare i meccanismi che portano al successo. Presentiamo invece un approc-
cio che, in una situazione specifica, permette di riconoscere le strutture delle
mappe mentali di chi decide e governa l’impresa. In altre parole: permette di
portare alla luce l’intuizione e il sapere tacito, ma anche le trappole, i vicoli
ciechi e i circoli viziosi nei quali il management può incappare seguendo le
proprie immagini interiori. Ma l’approccio permette di andare ancora oltre:
permette di simulare soluzioni alternative e valutarne la fattibilità. In questo
modo una costellazione sistemica è uno strumento per individuare e scegliere
in una situazione specifica il passo avanti verso il successo.
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Manager e consulenti devono continuamente prendere atto che molto di
quanto previsto nei piani aziendali non si realizza, mentre per contro possono
verificarsi successi mai previsti in alcun business plan. Evidentemente il punto
d’intersezione tra la pianificazione e la realizzazione si sottrae a una gestione
puramente razionale. Ciò si avverte in maniera particolarmente dolorosa ove
siano in gioco cambiamenti radicali. È rarissimo che innovazioni fondamentali
possano essere sollecitate solo mediante un programma elaborato a tavolino.
Le forze motrici dell’innovazione, infatti, si celano per la maggior parte nel
sapere tacito delle organizzazioni, in ciò che chiamiamo le “strutture del suc-
cesso”.
Gli approcci meccanicistici al processo decisionale hanno la tendenza di ridurre
e banalizzare la prospettiva escludendo sistematicamente „fattori di successo”
come: i sogni, i desideri, l’intuizione, l’esperienza, tutti quegli elementi dunque
sui quali si fonda l’eccellenza. Spesso l’eccellenza non è riconosciuta perché
non si manifesta in maniera chiassosa e supponente, bensì è frutto di una pra-
tica più discreta basata su costanza e disciplina.
Per affrontare qualsiasi rinnovamento è necessario guardare a “ciò che è” in
maniera lucida e immediata evitando così la tentazione di una valutazione
affrettata. Allo sguardo attento e paziente si rivelano le dinamiche che hanno
plasmato una determinata realtà. Di conseguenza gli elementi in gioco acqui-
stano una plasticità che permette di modellare un’immagine del futuro coeren-
te con il passato. In ciò sta, a nostro avviso, il segreto dell’innovazione:
l’armonia tra il nuovo e la sua origine.
Ciò non significa che la pianificazione diventi superflua. Corredare ogni proget-
to di risorse – di cui non si dispone illimitatamente – è uno dei compiti centrali
del management, un caso in cui il raziocinio è richiesto eccome. Tuttavia la
pianificazione acquista un senso solo laddove si è creato un quadro vivido del
futuro che tenga conto sia del potenziale che dei limiti. Dove questo manca ci si
riduce ad una mera riproduzione del vecchio in veste nuova.
La prassi della costellazione, come avverte Gunthard Weber, non trova facile
accesso ai piani dirigenziali delle imprese. A nostro avviso ciò è dovuto ad alcu-
ni ostacoli di fondo. Annoverandoli qui di seguito non intendiamo certo scorag-
giare in partenza i nostri lettori. Al contrario, è proprio conoscendo gli ostacoli
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che i consulenti e i manager che apprezzano la costellazione possono applicarla
più efficacemente.
Cosa dunque dobbiamo considerare?
Il rischio che la costellazione sistemica metta in luce alcune dinamiche na-
scoste è a volte percepito come inquietante, tanto che si preferisce mante-
nere l’ambiguità piuttosto che fare chiarezza.
La focalizzazione sulla percezione corporea e sulle emozioni contrasta con
le convenzioni della comunicazione aziendale e può provocare imbarazzo.
Quando sono in gioco decisioni importanti che comportano un alto margine
di rischio, si preferisce affidarsi a strumenti comunemente ritenuti scientifi-
camente comprovati.
Alcuni manager ritengono questa pratica troppo impegnativa perché richie-
de un particolare setting e un facilitatore che introduca e applichi il metodo
in maniera competente. La costellazione non si attua così facilmente come
per esempio un classico brain storming.
Tuttavia riteniamo che l‘ostacolo maggiore risieda nello scetticismo che molti
manager, ma anche consulenti abituati a utilizzare metodi razionalistici, hanno
nei confronti dell’intuizione, dell’intelligenza emotiva e corporea. Di conse-
guenza alcuni operatori tendono a svalutare il metodo delle costellazioni fa-
cendolo passare, ovviamente tra le righe, per un giochetto psicologizzante, una
pratica esoterica, ecc. Di fronte a queste obiezioni la via migliore per avere
successo è mantenere un atteggiamento sereno e, invece di accanirsi nel tenta-
tivo di convertire gli scettici al „metodo miracoloso”, si può rompere il ghiaccio
lanciando al momento giusto l’invito a fare un esperimento.
Il libro si rivolge sia a imprenditori e manager desiderosi di conoscere nuovi
strumenti che facilitano il loro lavoro, sia a consulenti che vogliono acquisire
una nuova competenza per facilitare i processi di sviluppo dei loro clienti. I
primi saranno indotti a rivolgere la loro attenzione verso fattori critici per il
successo, dei quali forse non hanno sempre tenuto debitamente conto, e a
dare più fiducia alla intuizioni proprie e dei loro collaboratori. I secondi potran-
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no facilmente integrare le tecniche esposte nei loro approcci soprattutto se
hanno già avuto modo di conoscere il metodo delle costellazioni sistemiche.
Nella prima parte presentiamo il metodo e lo inquadriamo nelle varie teorie
sulle quali è fondato. Nella seconda parte abbiamo voluto raggruppare i princi-
pali accorgimenti, modelli e tecniche necessari per utilizzare il metodo in ambi-
to aziendale.
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Parte I Costellazioni sistemiche – la messa in scena del sapere
Iniziamo la nostra trattazione presentando tre brevi episodi tratti dalla normale
quotidianità aziendale, episodi che hanno tutti qualcosa in comune: un team di
manager si trova a dover affrontare una questione di difficile soluzione. I me-
todi di problem solving tradizionali non sortiscono alcun risultato, le discussioni
si avvitano su loro stesse, si crea una situazione di stallo mentre si diffonde
gradualmente lo sconforto.
Il sano buon senso trascurato
Un noto parco per il tempo libero, già fiore all’occhiello di un colosso della
grande distribuzione organizzata, dotato di vasti impianti balneari, numerosi
centri commerciali e un complesso alberghiero, è ormai obsoleto. Pertanto la
direzione decide di rinnovarlo completamente, compreso il complesso alber-
ghiero che registra un calo vistoso delle presenze.
Vari comparti dell’azienda sono coinvolti nel progetto. Sulla base di un nuovo
piano di marketing si intende rilanciare l’intero sito. L’obiettivo è quello di
riallacciarsi all’immagine prestigiosa di cui la struttura aveva goduto nella sua
fase di massimo splendore. Ma l’operazione non decolla: il piano di marketing
rimane frammentario, si realizzano solo singole iniziative scollegate tra loro. A
quel punto la direzione decide di riunire tutte le attività in un unico progetto
globale per accelerare i tempi di realizzazione. Ma avviene l’esatto contrario:
sulla carta il rilancio assume dimensioni ciclopiche e improvvisamente sorgono
disaccordi tra le varie istanze coinvolte. Rassegnato, il project manager getta la
spugna e la direzione si trova davanti a un cumulo di macerie.
Poi accade qualcosa che nessuno avrebbe ritenuto possibile.
Il team responsabile del progetto viene sciolto. Immediatamente si risolvono le
divergenze tra i manager che si accordano su un piano d’azione e al contempo
dichiarano il progetto di competenza della direzione centrale. Specialmente il
direttore delle finanze, a cui fino a quel momento era toccato il ruolo di capro
22
espiatorio, è molto soddisfatto perché finalmente gli sono riconosciuti i suoi
meriti in questa vicenda.
La comunicazione trascurata
Una divisione di un’impresa di produzione perde un cliente importante a causa
della insufficiente qualità dei prodotti. In seguito a un impegnativo processo di
sviluppo si riesce a migliorarla notevolmente, tanto da superare persino la
qualità del concorrente che nel frattempo era subentrato. Ciononostante
l’impresa non riesce a riguadagnare il cliente perso. Ormai disperato il mana-
gement team, che secondo le sue stesse affermazioni aveva „già tentato di
tutto”, a quel punto vuole capire ad ogni costo dove ha sbagliato.
Poi accade qualcosa che nessuno avrebbe ritenuto possibile.
La ditta di produzione invia nello stabilimento del cliente un esperto di sviluppo
del prodotto. L’esperto, che ha ottime competenze comunicative, collabora
con il cliente direttamente sul posto. Insieme con i colleghi in loco riescono a
mettere a punto la qualità dei prodotti in base alle concrete esigenze
dell’azienda. Risultato: dopo un anno l’impresa riguadagna la commessa. Suc-
cessivamente rafforza la collaborazione per sviluppare in comune i nuovi pro-
dotti. Oggi l’impresa di produzione è il fornitore chiave di questo cliente.
L’elemento „comunicazione” è diventato una componente d’eccellenza del
marketing-mix della „divisione”: i progettisti non si concentrano più solo sulle
caratteristiche tecniche del prodotto ma coinvolgono direttamente il cliente in
modo da capire e soddisfare le sue reali esigenze.
La speranza perduta
La filiale italiana di una ditta tedesca è stata rilevata, così come la casa madre,
da un gruppo giapponese. Il direttore generale, molto sicuro di sé, inizia a ra-
gionare insieme al suo gruppo dirigente su come la filiale italiana potrà rivestire
un ruolo di rilievo nella nuova configurazione. Nel corso di varie riunioni però, il
direttore avverte chiaramente lo scetticismo con cui i suoi manager guardano a
questa possibilità. Cosa impedirà ai Giapponesi di trasferire la produzione di un
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prodotto relativamente standardizzato in un paese con un costo del lavoro
basso e di smantellare la fabbrica in Italia? I timori e le paure dei manager si
fondano soprattutto su pregiudizi piuttosto che su misure concrete prese dai
Giapponesi ma questo atteggiamento non è certo una buona premessa per
sviluppare strategie per il futuro.
Poi accade qualcosa che nessuno avrebbe ritenuto possibile.
I manager decidono di allearsi con la produzione della precedente casa madre
tedesca, cosa che in passato sarebbe stato impensabile! Inoltre scorporano la
struttura di distribuzione italiana dalla produzione italiana, soprattutto concen-
trata sulla commercializzazione dei prodotti realizzati nel proprio Paese, e la
integrano con le altre strutture distributive del gruppo. Questa decisione è
perfettamente in sintonia con la strategia di distribuzione europea introdotta
dai Giapponesi. I manager italiani, che erano già stati preparati a questo passo,
collaborano all’implementazione senza le solite reticenze e in maniera costrut-
tiva.
In tutti e tre gli episodi abbiamo volutamente omesso un determinato passag-
gio del processo: cos’è accaduto in quel momento decisivo capace di determi-
nare una svolta verso una soluzione nuova e inaspettata?
Innanzitutto i manager hanno finito per riconoscere che il problema si sarebbe
potuto risolvere solo se tutti avessero partecipato insieme alla ricerca di una
soluzione condivisa. Così hanno rotto con alcune vecchie abitudini come ad
esempio passarsi a turno la patata bollente o cercare una soluzione ognuno per
conto proprio e tramare di nascosto per creare alleanze.
Inoltre i manager hanno maturato la convinzione che non dovevano destinare
ulteriori risorse ad analisi, perizie e piani, dato che il team disponeva già di
sufficiente esperienza per giungere a soluzioni plausibili e condivisibili da parte
di tutti. Difatti troppe pile di carte avevano distolto l’attenzione dall’essenziale.
Infine i manager hanno scelto un procedimento con l’aiuto del quale possono
mettere in gioco „l’intelligenza collettiva” dell’intero team. Hanno infatti com-
preso una cosa: quando si tratta di questioni che riguardano il futuro, spesso
non serve fare riferimento esclusivamente ad approcci razionalistici, cosa pe-
raltro comprovata anche dagli ultimi esiti in campo neurobiologico: i desideri,
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gli aneliti, l’intuizione e l’esperienza temprata dalla pratica assumono un ruolo
centrale nelle decisioni che riguardano il futuro. Tuttavia, questi „fattori di
successo” inviano solo segnali deboli che spesso vengono ulteriormente svalu-
tati da persone che credono di „sapere come vanno le cose”.
25
1. Costellazione sistemica e complessità
Quali strumenti sono abbastanza sensibili da rilevare anche le conoscenze
nascoste, ovvero il cosiddetto sapere implicito? E quali sono al contempo suffi-
cientemente intelligenti da riuscire a dare un senso ai dati rilevati per ricavarne
informazioni capaci di orientare l’azione futura? Con lo strumento delle costel-
lazioni sistemiche il management ha a disposizione un metodo per valutare
meglio i margini di rischio in situazioni confuse e creare un orientamento chia-
ro – e dunque certezze – per le persone che devono prendere una decisione.
La costellazione sistemica appartiene ai procedimenti scenici: eventi concreti
vengono rappresentati nel tempo e nello spazio. Ne scaturisce una sorta di
quadro „in movimento” dal quale si possono trarre conclusioni sulle dinamiche
che sottendono a un determinato evento.
Il desiderio di voler rappresentare in una messa in scena rapporti e relazioni
complicate o complesse è antico. Forse per questo il teatro è uno dei pilastri di
molte culture. Esso testimonia come l’uomo sia affascinato sin dai tempi remo-
ti dall’atto del „mettere in scena”, ovvero l’arte di condensare e rappresentare
in un segmento spazio-temporale l’essenza degli eventi.
La rappresentazione scenica rende possibile ciò che nessun resoconto, scritto o
verbale, è in grado di fare: essa trasmette l’essenza di una situazione mediante
una vivida sequenza di immagini. Ma essa offre al manager ben più di un singo-
lo fotogramma: partendo da un’origine indica la via verso un possibile futuro
dando espressione a un movimento coerente sia con il potenziale del sistema
che con le intenzioni del management.
1.1. Andare a fondo della questione
Al fine di comprendere a fondo le diverse situazioni nella loro complessità ab-
biamo bisogno, oltre al sapere esplicito, anche del sapere implicito ovvero di
un tipo di conoscenza che, pur essendo disponibile, non è facilmente accessibi-
le neanche mediante una riflessione mirata. Pertanto ci risulta difficile fare
delle considerazioni su questo tipo di sapere, sebbene gran parte della qualità
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e dell’eccellenza risiedano proprio in questa dimensione della conoscenza: la
genialità del team di ricerca, l’intuizione del manager, la meticolosità del mec-
canico di precisione, la velocità della centometrista, il sesto senso del terapeu-
ta, la forza innovativa dell’impresa ecc. sono difficilmente codificabili in un
manuale.
In senso figurato, il sapere esplicito corrisponde alla parte emergente di un
iceberg; la parte significativamente più grande si sottrae allo sguardo
dell’osservatore che può solo intuirne le dimensioni gigantesche e le enormi
tensioni presenti al suo interno. In particolare i sistemi classici di monitoraggio
economico-aziendale non fanno quasi riferimento al sapere implicito ma sono
focalizzati soprattutto sul sapere esplicito. Così facendo fotografano solo una
minima parte di quello che determina una situazione in tutti i suoi aspetti.
In molti casi è utile procurarsi un quadro d’insieme ed è proprio qui che entra
in gioco la costellazione sistemica. Grazie a essa è possibile ottenere informa-
zioni, altrimenti difficilmente accessibili, sullo stato di fatto, in maniera effica-
ce, veloce e anticonvenzionale. Anche in situazioni di elevata incertezza e ri-
schio questo procedimento permette di prendere decisioni fondate proprio
perché contempla tutte le dimensioni del sapere.
Una prassi orientata alle risorse e alle soluzioni, che includa anche l’intelligenza
collettiva, favorisce contemporaneamente la coesione del team, aspetto parti-
colarmente importante quando si impongono decisioni difficili. Un confronto
costruttivo e basato sulla fiducia reciproca favorisce il committment di ciascun
manager a supportare le decisioni prese di comune accordo, anche quelle più
scomode.
1.2. Cosa avviene in una costellazione sistemica
Nelle costellazioni sistemiche si rappresentano vari aspetti di una situazione
problematica collocando nello spazio i cosiddetti „rappresentanti”. In una sorta
di gioco di ruolo si giunge a un duplice chiarimento: da un lato la visualizzazio-
ne della situazione di partenza permette di formulare una diagnosi, dall’altro lo
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sviluppo di svariati scenari possibili permette di elaborare creativamente nuove
soluzioni. In questo capitolo spieghiamo come si possano ottenere informazioni
in situazioni decisionali complesse usando questo metodo insolito. Inoltre di-
mostriamo sulla base di un caso esemplare come un team di manager abbia
potuto individuare la risposta ad una domanda difficile grazie a una costella-
zione.
1.2.1. Il rappresentante come corpo di risonanza del sapere implicito
Contrariamente ai classici giochi di ruolo o roleplay – abbastanza diffusi
nell’ambito della formazione manageriale – nella costellazione sistemica i rap-
presentanti non ricevono alcuna indicazione su ciò che dovranno fare. Una
regia in senso classico, infatti, li porterebbe a esprimere innanzitutto il sapere
esplicito. I rappresentanti attingono il loro „copione” direttamente dalla „per-
cezione rappresentativa” che emerge dalla scena (Kibéd e Sparrer, 2000, p. 98)
assumendo letteralmente la funzione di „corpo di risonanza” del sapere impli-
cito. Saranno precisamente le loro percezioni corporee a fornire i dati dai quali
sarà possibile trarre le informazioni su una determinata circostanza. A differen-
za del sociogramma, non ci si concentra qui su un’immagine statica ma su una
sequenza d’immagini che indica la via verso una soluzione.
La costellazione produce una sorta di spazio comunicativo o, per dirla con Al-
brecht Mahr, un „campo del sapere” in cui ogni singolo rappresentante può
percepire le dinamiche più profonde della situazione analizzata, mentre la sua
specifica collocazione nello spazio rispecchia fedelmente le relazioni tra i vari
elementi di un sistema.
Ad oggi non esiste una teoria che spieghi in maniera esaustiva il meccanismo
che fa emergere il sapere implicito nell’ambito di una costellazione. Per farcene
un’idea dobbiamo attingere a diverse teorie, dalla filosofia del linguaggio alla
sociologia, dalla psicologia alla neurofisiologia. La teoria dell’immagine o dei
giochi linguistici, formulata dal filosofo Ludwig Wittgenstein, offre qualche
indicazione sul funzionamento della „grammatica di base” che agisce nelle
costellazioni (Sparrer, 2006, p. 81 ss). Secondo tale teoria il linguaggio „rispec-
chia” le strutture della realtà in maniera adeguata. Un’altra possibile spiegazio-
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ne si cerca nel concetto di „risonanza morfica”, sviluppato dal biochimico Ru-
pert Sheldrake sulla base della teoria del campo morfogenetico (Sheldrake,
1981). Alcuni tra i più recenti tentativi d’interpretazione fanno riferimento alla
fisica quantistica (Schneider, 2007, p. 18 ss). Ovviamente anche le conoscenze
in campo neurobiologico contribuiscono a spiegare il fenomeno della trasmis-
sione di informazioni da un sistema all’altro. Da tutte queste teorie si deduce
che l’intelligenza collettiva è insita non tanto nei singoli elementi di un sistema
quanto nei rapporti degli elementi tra loro ovvero nella rete delle relazioni. I
singoli elementi si limitano a percepire ed esprimere gli effetti e la qualità di
questi rapporti.
1.2.2. Il processo della costellazione sistemica
Le costellazioni sistemiche offrono rappresentazioni pratiche degli effetti delle
interrelazioni tra elementi di sistemi sociali quali ad esempio le aziende. Per
giungere alla soluzione di problemi decisionali complessi le costellazioni siste-
miche usano come „strumento di navigazione” il linguaggio del corpo e dello
spazio. Gli aspetti di una situazione da analizzare vengono messi in scena nello
spazio, o appunto costellati, con l’aiuto di rappresentanti.
In genere si procede come segue: una persona o un intero team che affrontano
una problematica concreta – un problema irrisolto o una questione difficile –
scelgono nella cerchia dei presenti al workshop coloro che andranno a rappre-
sentare aspetti o elementi rilevanti della questione. A seconda del tema da
affrontare questi elementi possono riferirsi a singoli individui o a gruppi di
persone, per esempio alle parti coinvolte in un conflitto, ma possono essere
anche elementi astratti come ad esempio le risposte contraddittorie a un di-
lemma oppure gli obiettivi e gli ostacoli che determinano una situazione di
stallo. Si sceglie inoltre una figura che rappresenti il cosiddetto „focus”, cioè la
persona o il gruppo interessati alla soluzione che procederanno alla disposizio-
ne dei rappresentanti nello spazio seguendo la propria intuizione o „immagine
interiore” (Weber, 1995, p. 181 ss). Nella fase successiva il consulente che
guida la costellazione chiede a tutti i rappresentanti di descrivere a turno le
proprie percezioni corporee. Sulla base delle „percezioni rappresentative” o
„risonanza corporea” è possibile scoprire le dinamiche che sottendono a una
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situazione problematica: di regola si tratta di schemi disfunzionali che inibisco-
no lo sviluppo. Riposizionando i rappresentanti e interrogandoli di volta in volta
sulle loro sensazioni, le possibili soluzioni emergono spontaneamente. Gli in-
terventi del conduttore avvengono in base alle risonanze corporee descritte dai
rappresentanti; a volte anche spostamenti minimi sono in grado di provocare
cambiamenti nelle percezioni corporee degli altri rappresentanti. Ciò offre
un’indicazione per ulteriori spostamenti di uno o più rappresentanti. Nel corso
della costellazione si cerca di raggiungere una disposizione in cui tutti i rappre-
sentanti si sentono a loro agio nella relazione con l’altro. Fisicamente questa
condizione è percepita attraverso una sensazione di „sollievo”, di „rilassamen-
to” o di „liberazione”. In genere un simile processo dura all’incirca mezz’ora ma
può essere anche più breve o, al contrario, in situazioni complesse può richie-
dere molto più tempo. Man mano che si procede, si dischiudono prospettive
sorprendenti che indicano nuove vie verso possibili soluzioni proprio perché il
metodo contempla anche aspetti non verbali ed emotivi solitamente ignorati.
Affrontare il problem solving con una modalità del genere richiede un apposito
contesto. Innanzitutto ci vuole un gruppo di persone che si rendano disponibili
a rappresentare o „incarnare” di volta in volta i diversi aspetti di una situazio-
ne. In secondo luogo ci vogliono persone abbastanza aperte e flessibili, pronte
ad accogliere anche risposte inconsuete alle loro domande. Infine serve un
consulente che, in veste di facilitatore, crei un clima di fiducia, aiuti a chiarire la
domanda o la tematica da affrontare, accompagni il processo di risoluzione e
faciliti l’applicazione delle indicazioni emerse nella realtà aziendale.
1.3. Esempio di una costellazione
Al fine di illustrare concretamente una costellazione riprendiamo il terzo episo-
dio riportato nel capitolo introduttivo: si trattava dell’acquisizione di
un’impresa tedesca, compresa la filiale italiana, da parte di un gruppo giappo-
nese e degli sforzi dell’amministratore delegato e del suo team direttivo di
accompagnare la fase critica dell’integrazione post merger con l’aiuto di un
consulente.
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L’ amministratore delegato ha così formulato l’obiettivo: sviluppare insieme ai
suoi manager una strategia che non solo assicuri la sopravvivenza della filiale
italiana all’interno del nuovo assetto aziendale ma che la renda indispensabile
anche in futuro. All’inizio del primo workshop si avvertono chiaramente le
perplessità e lo scetticismo dei manager rispetto a questi obiettivi. Il consulen-
te riflette su come distoglierli dalle loro preoccupazioni relative a un futuro
incerto focalizzando l’attenzione sulla realtà attuale dell’impresa. Ritiene indi-
spensabile che i manager riconoscano le opportunità e le sfide che il nuovo
assetto proprietario porta con sé. In un primo intervento, il consulente elabora
insieme al direttivo un quadro realistico della nuova situazione in base alle
informazioni al momento disponibili. In una fase successiva propone di esplora-
re possibili spazi d’azione come base su cui costruire una nuova strategia: per
fare ciò la costellazione sistemica gli appare come il metodo più efficace.
Dopo aver spiegato in poche parole il funzionamento di una costellazione si-
stemica, il consulente avvia l’intervento suggerendo la seguente metafora:
„Immaginatevi che il contesto nel quale operate sia un campo da gioco sul
quale la vostra impresa disputa un incontro insieme ad altri giocatori e agli
avversari, la vostra sopravvivenza e il vostro successo economico saranno la
posta in gioco. Da quando l’impresa è passata ai Giapponesi sono cambiati sia il
campo da gioco che i giocatori e in parte perfino il gioco stesso. Ci proponiamo
ora di raffigurare questa nuova situazione. Dobbiamo dunque chiederci: quali
sono i giocatori o le istanze più importanti con cui intendiamo collaborare o
confrontarci?”
I manager individuano i seguenti elementi:
il team di direzione della filiale italiana
la produzione italiana
la distribuzione italiana
la produzione tedesca
le restanti reti di distribuzione
il gruppo giapponese
la centrale europea del gruppo
i clienti
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Si passa dunque a mettere in scena la situazione attuale. Chiarisce il consulen-
te: „Anche se in un primo momento questo esperimento può sembrarvi strano,
vi chiedo semplicemente di partecipare senza essere prevenuti e di osservare
cosa ne risulta. Per prima cosa scegliete due persone che, a nome di tutto il
team, dispongano insieme nello spazio i rappresentanti degli elementi prece-
dentemente definiti, creando così un quadro della situazione. È del tutto irrile-
vante chi scegliete, a patto che i prescelti siano d’accordo e siano disposti a
partecipare all’esperimento”.
Questo particolare procedimento, far disporre congiuntamente da due persone
una costellazione iniziale, presenta il seguente vantaggio: nel quadro di parten-
za confluiscono due percezioni individuali probabilmente non del tutto identi-
che pertanto i colleghi non potranno opporre la critica che si tratta di una vi-
sione puramente soggettiva.
Quindi, rivolgendosi ai manager presenti, il consulente continua: „Quelli di voi
che verranno scelti come rappresentanti devono semplicemente far attenzione
a cosa cambia per loro nel momento in cui vengono messi in scena e via via che
si aggiungono gli altri rappresentanti. Quando i due colleghi vi collocheranno in
un determinato punto sul campo da gioco immaginario, vi accorgerete che le
vostre percezioni corporee, le vostre sensazioni e i vostri pensieri cambieranno.
Può darsi che avvertiate anche degli impulsi motori concreti che vi prego di
tenere presenti.”
Una volta scelti tutti i rappresentanti, il consulente invita i due incaricati a col-
locarsi alle spalle del rappresentante del team direttivo e ad accompagnarlo in
un punto della stanza che ambedue avvertono come „giusto”. Suggerisce quin-
di ai due: „Accordatevi su una posizione che vada bene per entrambi senza
comunicare verbalmente. Non ragionate troppo, lasciatevi piuttosto portare
dalle vostre gambe e guidare dall’intuito; quando avrete trovato il punto giusto
ve ne accorgerete. Distanza, direzione e collocazione nello spazio dovrebbero
corrispondere alla relazione tra gli elementi. Provate e confidate nel fatto che
riconoscerete intuitivamente quando la posizione rispecchierà fedelmente la
situazione reale.”
I due manager, con un’attenzione e una determinazione impressionanti, di-
spongono nello spazio i successivi rappresentanti. Passo dopo passo si viene a
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creare il quadro della situazione, l’atmosfera nella stanza cambia improvvisa-
mente, scende un gran silenzio e la tensione cresce.
Dopo aver collocato l’ultimo rappresentante, il consulente chiede ai due mana-
ger se vogliono fare un ultimo aggiustamento. Dice loro di prendersi il tempo
necessario per verificare se quel quadro, a loro avviso, corrisponde alla situa-
zione nella quale si trova al momento l’impresa. I due spostano di poco un
rappresentante e poi dichiarano che per loro va bene così. (fig. 1)
fig. 1 Integrazione post merger – quadro iniziale
TD: team direttivo (focus) PI: produzione italiana DI: distribuzione italiana
PT: produzione tedesca AD: altre reti di distribuzione CE: centrale europea
GG: gruppo giapponese Cl: clienti
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Il consulente osserva il quadro e immediatamente nota alcune posizioni sor-
prendenti:
la produzione italiana, il team direttivo e la distribuzione italiana formano
un gruppo isolato al margine del campo;
la produzione tedesca e quella italiana guardano in direzioni diverse;
la centrale europea non ha nessun contatto visivo con la distribuzione
italiana.
Dopo avere fatto queste riflessioni inizia a interrogare i rappresentanti uno ad
uno.
CONSULENTE: „Proviamo ora a vedere come percepite la vostra posizione. Vi
interrogherò seguendo l’ordine con cui siete stati costellati. Cos’é cambiato per
il team direttivo della filiale italiana nel corso della costellazione e com’è il suo
rapporto con gli altri elementi?”
TEAM DIRETTIVO: „Man mano che si aggiungevano elementi aumentava la mia
sensazione di oppressione. Mi sento emarginato e avverto soprattutto la pres-
sione della produzione italiana. I Giapponesi sono talmente lontani che li vedo
solo se mi volto. Ci sono troppe persone davanti a me e non so su chi concen-
trarmi.”
CONSULENTE: „Quali cambiamenti nella percezione corporea, nelle sensazioni e
nei pensieri, ha avvertito il rappresentante della produzione italiana?”
PRODUZIONE ITALIANA: „Mi sento isolato, vorrei voltarmi… Cerco sostegno nel
team direttivo ma non sono sicuro di potermi fidare. Davanti a me vedo la
nostra distribuzione ma non mi pare molto convinta. In sostanza questa posi-
zione è molto scomoda.”
CONSULENTE: „Cosa ne pensa la distribuzione italiana?”
DISTRIBUZIONE ITALIANA: „Qui mi trovo nel posto sbagliato, i giochi si fanno laggiù.
Sono particolarmente curioso di sapere cosa ha in mente di fare la centrale
europea.”
CONSULENTE: „Cos’è cambiato per la produzione tedesca?”
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PRODUZIONE TEDESCA: „Mi sento insicuro e isolato. I clienti sono lontani e non
hanno nessun contatto con me.”
CONSULENTE: „Cosa accade con le altre reti di distribuzione?”
RETI DI DISTRIBUZIONE: „Sono disorientato. Sento in particolare l’influenza della
centrale ma mi chiedo anche cosa sarà della produzione, cosa vogliono quelli lá
in Giappone? Più che altro sto aspettando.”
CONSULENTE: „E come si sente la centrale europea?”
CENTRALE: „Devo ancora prendere in mano l’intera situazione, l’attenzione prin-
cipale è rivolta ai clienti. Le produzioni sono troppo lontane per me. È faticoso
ma mi sento forte e determinato anche se molto teso.”
CONSULENTE: „Bene, e come la vedono in Giappone?”
GRUPPO GIAPPONESE: „In effetti mi sento molto lontano, sono calmo e molto
attento, guardo alla centrale europea, tutto il resto lo vedo piuttosto sfocato.”
CONSULENTE: „Come reagiscono i clienti?”
CLIENTI: „Il tutto mi lascia piuttosto indifferente, tutt’al più mi interessa la cen-
trale europea.”
A questo punto il consulente si rivolge all’amministratore delegato e ai mana-
ger che stanno osservando la rappresentazione dall’esterno: „Sentendo queste
affermazioni avete l’impressione che corrispondano alla realtà o siamo fuori
strada?” Tutti si dicono molto colpiti dalla misura in cui la costellazione e le
dichiarazioni dei rappresentanti coincidano con la loro propria percezione della
situazione.
Il consulente prosegue chiedendo quali informazioni e indicazioni per possibili
azioni possono trarre da questo primo quadro.
„Il team direttivo deve trovare ad ogni costo una posizione dalla quale avere un
contatto migliore con la centrale e i clienti”, osserva uno dei manager, „e del
resto, la distribuzione ha già detto che vuole cambiare posizione.”
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„La nostra distribuzione deve collaborare di più con le altre reti di distribuzio-
ne”, sostiene un altro manager, „ma il problema più grande ce l’ha la produzio-
ne, è ovvio, solo che al momento non vedo alcuna soluzione.”
Il consulente annota questi commenti e li collega con le affermazioni dei rap-
presentanti e con le sue proprie impressioni, formula poi una prima ipotesi: il
team direttivo appare in qualche modo incastrato tra la produzione e la distri-
buzione italiane e distaccato dalla centrale europea. Da questa posizione è
difficile dirigere l’impresa. Partendo da questa riflessione propone dunque un
primo intervento: „Proviamo a vedere cosa succede se cambiamo alcune posi-
zioni. Iniziamo col team direttivo: avverte qualche impulso a spostarsi altrove?”
Il rappresentante si concentra sulle sue sensazioni e sembra essere fortemente
sotto pressione. Dopo un po’ afferma: „Mi sento come paralizzato.”
„Allora vediamo se riusciamo a trovare un posto migliore per lei”, risponde il
consulente. Lo accompagna in un punto situato tra la centrale europea e la
produzione italiana, quindi chiede: „Qui come si sente? Meglio, peggio, come
prima o diversamente?”
„Mi sento decisamente meglio, più libero e con una visuale più aperta e, so-
prattutto, ora vedo bene i clienti”, risponde il rappresentante visibilmente
sollevato.
Il consulente si rivolge agli altri rappresentanti e chiede: „Chi di voi ha avvertito
dei cambiamenti in seguito a questo spostamento?”
„Io mi sento peggio di prima!” comunica immediatamente la produzione italia-
na. (fig. 2)
Il consulente ha già pronte varie opzioni per cambiare la costellazione ma vuole
affidarsi interamente al sapere implicito, all’intelligenza collettiva dei rappre-
sentanti costellati. Così va dal rappresentante della produzione italiana e lo
invita a cercarsi un posto migliore, eventualmente provando diverse varianti.
Dapprima il rappresentante si muove con esitazione nello spazio, quindi dice:
„Mi sentirei di avvicinarmi alla produzione tedesca. Che cosa strana, considera-
to che finora è sempre stata il nostro nemico numero uno, il nostro principale
concorrente!”
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fig. 2 Integrazione post merger – Stadio intermedio
TD: team direttivo (focus) PI: produzione italiana DI: distribuzione italiana PT: produzione tedesca
AD: altre reti di distribuzione CE: centrale europea GG: gruppo giapponese Cl: clienti
Allora, il rappresentante della produzione tedesca si rivolge spontaneamente
alla produzione italiana dicendo che è così anche per lui. Pur sentendosi anco-
ra scettico avverte che questa posizione è decisamente migliore.
In questo modo „co-creativo” – con il consulente che in parte indica nuove
collocazioni ai rappresentanti e in parte li invita a seguire il loro impulso per
cercarsi una posizione migliore – si sviluppa una nuova costellazione che tutti i
partecipanti percepiscono come nettamente migliore e più carica di energia.
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È dunque giunto il momento per un primo bilancio. Il consulente chiede ai
rappresentanti come stanno vivendo la nuova costellazione.
„Ho subito capito che il mio posto è qui con le altre reti di distribuzione”, esor-
disce la distribuzione italiana, „ma non pensavo che sarebbe stato così difficile
staccarmi dalla produzione italiana. Mi è riuscito solo dopo che si è allontanato
anche il team direttivo e che si è avvicinata la produzione tedesca.”
„Così va molto meglio, tutto è più disteso”, afferma la centrale europea, „ma i
rappresentanti delle produzioni sono ancora un po’ troppo distanti per me.”
„Mi sento combattuto”, dice il team direttivo, „da un lato dovrei stare più vici-
no alla centrale europea, dall’altro la produzione italiana ha bisogno di me.”
Sentendo l’espressione „combattuto” il consulente si allerta: lo legge come un
segnale che lascia supporre la presenza di due tendenze contrastanti rappre-
sentate nel ruolo del team direttivo.
Nel corso di una costellazione si cerca di eliminare simili tendenze contrastanti
che, con ogni probabilità, producono comportamenti ambigui e possono causa-
re delle situazioni di stallo. Con l’aiuto di una tecnica specifica è possibile chiari-
re le ambivalenze e distinguere le tendenze opposte.
„Voglio fare un esperimento”, interviene il consulente rivolgendosi a uno dei
manager seduti in cerchio. „Può darsi che il ruolo del team direttivo comporti
due o più compiti contrastanti tra loro che non si lasciano gestire tanto facil-
mente. Perciò scelgo un nuovo rappresentante per l’altra parte del team diret-
tivo e lo colloco accanto al team direttivo che si sente combattuto.”
„Sta cambiando qualcosa?” chiede il consulente dopo aver collocato un rappre-
sentante accanto al team direttivo; questo avverte un rafforzamento e insieme
una netta sensazione di sollievo. L’altra parte del team direttivo invece sente
l’impulso di avvicinarsi maggiormente alla produzione italiana.
„Ora posso finalmente avvicinarmi alla centrale europea,” afferma il rappresen-
tante del team direttivo. La centrale europea, a sua volta. è assolutamente
d’accordo: „Così è molto meglio!” (fig. 3)
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fig. 3 Integrazione post merger – quadro finale
TD: Team direttivo (focus) TD2: Parte del team direttivo PI: Produzione italiana DI: Distribuzione italiana PT: Produzione tedesca
AD: Altre reti di distribuzione CE: Centrale europea GG: Gruppo giapponese Cl: Clienti
Il consulente ha l’impressione che l’ultima costellazione risultante dagli spo-
stamenti effettuati sia congruente. Inoltre, nel corso dei numerosi cambiamen-
ti è emersa una grande quantità di informazioni. Tuttavia vuole sentire
un’ultima volta i rappresentanti con cui non ha lavorato direttamente a propo-
sito delle loro percezioni.
I clienti sostengono di stare bene e che ora tutti sono concentrati su di loro. Il
gruppo giapponese fa la seguente considerazione: „Se la situazione si sviluppa
così bene, io non mi intrometto. Non mi sono mosso, sto bene dove sto.”
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Il consulente termina la costellazione, ringrazia tutti i rappresentanti e li prega
di uscire dal ruolo che hanno interpretato. Poi annuncia che, dopo una breve
pausa, avrebbero condiviso in un dialogo aperto le conclusioni che ciascuno
aveva tratto dall’esercizio e concordato le misure da attuare.
In una prima tornata dello scambio ogni manager illustra cosa lo ha maggior-
mente colpito della costellazione, dopodiché iniziano a elaborare insieme i
primi passi concreti.
L’evidenza più importante alla quale sono giunti è che una collaborazione tra la
produzione tedesca e quella italiana sarebbe stata una soluzione non solo pos-
sibile ma anche sensata. Per i manager della filiale italiana un simile passo
rappresenta una vera e propria rivoluzione, considerato che fino a quel mo-
mento hanno sempre vissuto la produzione della casa madre tedesca come un
rivale, come il principale concorrente, quello che si prende i prodotti con il
margine migliore lasciando a loro i progetti più difficili. Per questa ragione
hanno tenuto „i Tedeschi” all’oscuro delle loro innovazioni il più a lungo possi-
bile, per non giocarsi il proprio vantaggio competitivo. L’idea di avviare una
cooperazione era talmente lontana dai manager che difficilmente avrebbe
potuto prendere forma in una discussione „tradizionale”, inevitabilmente con-
dizionata dalla vecchia mentalità.
Il processo costellativo ha decisamente colpito i manager ed essi ritengono le
soluzioni emerse in quell’ambito molto sensate. Il direttore generale e il diret-
tore di produzione decidono di recarsi immediatamente in Germania presso la
casa madre per sottoporle una proposta di cooperazione.
Da questo avvicinamento nasce il piano di avviare, in quello stesso anno, un
centro di produzione comune in Polonia presso il quale trasferire la produzione
dei prodotti con elevata incidenza di manodopera.
Un altro impulso importante emerso nel corso della costellazione è il distacco
della rete di distribuzione italiana dalla produzione italiana nonché il suo avvi-
cinamento alle altre strutture di distribuzione del gruppo. Fino a quel momento
la distribuzione italiana si era concentrata unicamente sulla commercializzazio-
ne degli articoli prodotti in loco. La nuova posizione emersa dalla costellazione
suggerisce una cooperazione più stretta con le strutture distributive degli altri
40
Paesi; questo giova a tutti i partner perché permette di offrire l’intera gamma
di prodotti, col medesimo impegno, in tutti i Paesi europei.
Di fatto, alcuni mesi più tardi, la riorganizzazione della distribuzione sarebbe
rientrata fra le prime misure decise dalla centrale giapponese. Gli Italiani, che a
quel punto erano stati già preparati, collaborarono in maniera costruttiva e
senza le precedenti resistenze alla ristrutturazione.
La misura di suddividere il team direttivo in due unità, una dedicata alla centra-
le europea e l’altra alla produzione italiana, è accolta dai manager come uno
stimolo importante. Discutono di come potrebbero rafforzare la loro presenza
nella centrale europea per sostenere efficacemente gli interessi italiani, senza
trascurare la conduzione della filiale italiana. Fino a quel momento il direttore
generale era stato fortemente coinvolto nell’operatività quotidiana. In seguito
al nuovo orientamento strategico si devono rivedere i suoi compiti delegando-
ne una parte ai membri del team direttivo.
Infine, anche l’affermazione del rappresentante del gruppo giapponese, che nel
corso della costellazione ha sostenuto di seguire gli sviluppi con grande atten-
zione seppure da debita distanza, contribuisce a dissolvere le iniziali paure di
una chiusura immediata della produzione italiana. I manager prendono corag-
gio e, nell’ambito del workshop successivo, riescono a sviluppare con maggiore
convinzione la loro visione del futuro e a decidere misure strategiche adeguate.
Questa costellazione è stata dunque l’inizio di un’integrazione post-merger di
grande successo. La costellazione sistemica ha prodotto un radicale mutamen-
to del clima. I manager hanno superato la paralisi nella quale erano caduti a
causa delle loro congetture catastrofiche sulle conseguenze del passaggio di
proprietà. Nel corso della costellazione hanno potuto sondare i loro margini
d’azione e così sono in grado di sfruttarli abilmente per trovare una buona
collocazione all’interno del gruppo giapponese.
Dopo appena due anni, la conduzione dell’intera produzione europea è stata
affidata all’amministratore delegato della filiale italiana. Lo stesso ha riferito
con orgoglio che a quel punto la sede italiana riforniva i mercati asiatici con
alcuni dei suoi prodotti di punta.
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Per una migliore comprensione dello svolgimento ricapitoliamo le fasi più im-
portanti della costellazione:
Siamo partiti da un bisogno chiaramente definito dal cliente. Nel caso su espo-
sto l’obiettivo di creare condizioni favorevoli per poter sviluppare una strategia
che assicurasse la sopravvivenza dell’impresa italiana era stato concordato in
precedenza e nel dettaglio con l’amministratore delegato.
Seguendo un approccio sistemico il consulente ha cercato di individuare i fatto-
ri di contesto rilevanti e i principali attori coinvolti.
Ha affrontato il problema con un atteggiamento improntato al solution focus,
partendo dal presupposto che il sistema cliente disponesse già delle risorse
necessarie per trovare una soluzione adeguata. Ha dato per scontato che gli
impulsi risolutivi fossero „dormienti” nel sapere implicito del team e che basta-
va risvegliarli con l’aiuto di interventi mirati. Per questo motivo il consulente,
nel corso della costellazione, ha continuamente esortato i rappresentanti a
seguire i propri impulsi e a provare nuove posizioni.
Il primo passo per ridurre la complessità della situazione in modo da poterla
rappresentare e analizzare è stato quello di scegliere una prospettiva sistemica
adeguata a raffigurare le dinamiche rilevanti. Il consulente ha scelto di impo-
stare la messa in scena dal punto di vista del team direttivo – in gergo questo
elemento è chiamato „focus” – aggiungendo poi le principali unità funzionali
dell’impresa e quelle del nuovo contesto organizzativo del gruppo giapponese.
Per illustrare la sua scelta il consulente ha usato la metafora della partita di
calcio: al fine di effettuare con successo le mosse tattiche di gioco, i giocatori
devono disporsi in campo secondo un’abile strategia.
Il momento centrale dell’intervento è stato il lavoro scenico. La costellazione
ha permesso ai manager di sperimentare personalmente aspetti importanti del
loro nuovo contesto. In questo modo, affidandosi all’intelligenza collettiva del
team, è stato possibile anticipare una situazione, a modo suo concreta, che si
sarebbe verificata in futuro. Già David Bohm ha sottolineato che il pensiero
collettivo è più potente del pensiero individuale (Bohm, 2002/2, p. 43).
42
La traduzione delle informazioni dal linguaggio analogico della rappresentazio-
ne scenica al linguaggio logico-sequenziale dei ragionamenti dei manager è
stata altrettanto importante. Ciò è avvenuto in parte già nel corso della costel-
lazione ma soprattutto nel dialogo che è seguito. I partecipanti hanno raccolto
passaggi scenici importanti e, verbalizzandoli, li hanno resi disponibili per il
successivo processo decisionale.
1.4. La messa in scena come „manifestazione” dell’intelligenza collettiva
Nel corso degli ultimi anni sono state introdotte numerose tecniche per utiliz-
zare l’„intelligenza collettiva“ nei processi decisionali delle aziende. Alcune di
queste come l’Open Space (Harrison Owen), il World Café (Juanita Brown) e il
Dialogo (David Bohm) sono già piuttosto diffuse.
Anche la costellazione sistemica si allaccia ai metodi di fruizione
dell’intelligenza collettiva, per un verso servendosi di un gruppo di interpreti
che „stanno per” una determinata tematica, per altro verso creando uno spazio
di comunicazione „sociale”. In quest’ultimo aspetto entra in gioco un tipo di
sapere molto specifico: il sapere esperienziale. Per usare le parole di Dirk Baec-
ker (Baecker, 1999, p. 78), si tratta di un sapere insito nelle circostanze, una
sorta di „struttura latente di significati”. Tra le particolarità che lo contraddi-
stinguono vi è quella di non essere espresso attraverso la parola.
La costellazione sistemica rende le situazioni trasparenti anche la dove la paro-
la incontra i suoi limiti. Grazie al menzionato fenomeno della „percezione rap-
presentativa” si sperimenta in maniera immediata e sostanziale, a livello fisico
ed emotivo, la qualità delle relazioni. Con la costellazione sistemica è stato
acquisito un nuovo codice che ci permette di accedere a dimensioni della realtà
che altrimenti rimarrebbero nascoste. Questo codice si attiva inserendo una
persona, per un breve spazio di tempo, all’interno di una scena e invitandola a
sentirsi parte della stessa. La linea di demarcazione tra soggetto e oggetto, che
tutti ben conosciamo, è sospesa per qualche attimo e le persone si immedesi-
mano nell’oggetto che rappresentano.
In parte, la costellazione sistemica presenta analogie con i metodi
dell’ermeneutica oggettiva e dell’intervista narrativa. Tali procedimenti tenta-
43
no di far esperire il „sociale” di per sé, ovvero non attraverso l’interpretazione
del singolo individuo. Specialmente nell’intervista narrativa si parte dal presup-
posto che esista un’„omologia tra la costituzione narrativa e quella esperienzia-
le” (Heinz Bude). Ciò significa che un narratore riporta la (sua) storia così come
l’ha vissuta, ovvero riproduce la sua esperienza nella narrazione con tutti quegli
aspetti rilevanti e quei punti di vista che costituiscono la sua identità e deter-
minano le sue azioni” (Bohnsack, 1999, p. 57). Un’analoga riproduzione di
aspetti individuali o collettivi rilevanti avviene anche quando i rappresentanti si
mettono in relazione l’uno con l’altro nelle varie sequenze di una costellazione
sistemica.
Da questo punto di vista la costellazione sistemica di un determinato evento
potrebbe essere definita come la sua „traduzione scenica”. In un processo
comunicativo co-creativo tra rappresentanti e facilitatore viene elaborata una
soluzione in linea con le „forze propulsive” che sono alla base della situazione
rappresentata scenicamente.
1.5. Costellazione sistemica e learning organization
Il metodo della costellazione sistemica si inserisce, a tutti gli effetti, tra le più
recenti tecniche ispirate al concetto della learning organization. Così,
l’approccio con cui Claus Otto Scharmer evoca visioni per il futuro nel contesto
aziendale sembra quasi un invito al lavoro di costellazione. „Per operare con
successo nell’ambito dei nuovi business, i dirigenti devono possedere la capaci-
tà di fiutare il futuro emergente, metterlo in atto e incarnarlo”. (Scharmer,
2000, p. 5). Qui, pur non menzionandola, Scharmer sembra fare riferimento
alla costellazione sistemica. In effetti, nel processo di trasformazione (U-
process) da lui ideato, la costellazione permette di accedere alle dimensioni del
Sensing e del Presencing che stanno alla base di ogni genere di sviluppo
nell’impresa (grafica 1).
Oggi, per conquistare questo sapere, esistono solo pochi metodi che, in genere,
richiedono tempi lunghi. La costellazione sistemica invece rappresenta una
soluzione rapida, semplice – ma non semplicistica.
44
Grafica 1: Processo a „U” secondo Claus Otto Scharmer
Nel suo libro intitolato Leading from the Future as it Emerges, Carl Otto Schar-
mer indaga su come rendere accessibili a livello sistemico le strutture nascoste
di entità sociali – imprese, stati, comunità ecc. L’idea che lo guida è quella
dell’esistenza di un punto cardine su cui s’impernia la svolta della struttura di
un sistema; una sorta di „punto pitagorico” che egli colloca all’interno del cam-
po di attenzione di un osservatore, questi può essere un singolo dirigente, un
team o un’intera impresa. Scharmer distingue quattro diversi livelli
dell’attenzione e, strettamente collegate a questi, quattro categorie di intenti
d’azione. Tra questi quattro livelli è possibile spostarsi e il risultato dell’azione
sarà ogni volta completamente diverso. Scharmer così lo descrive: „Se mi met-
to in ascolto al primo livello, la discussione si congela in vecchi modelli del
passato (downloading). Se mi metto in ascolto al secondo livello, mi rapporto
agli altri in maniera discorsiva (reflecting). Se mi metto in ascolto al terzo livel-
lo, evoco un campo dialogico nel quale vivo il contatto diretto, il collegamento
e la comunione con gli altri, un campo in cui le barriere tra me e l’altro si dis-
solvono (imagining). Se mi metto in ascolto al quarto livello inizio a partecipare
45
alla costruzione di un nuovo spazio interno, attraverso questo una presenza
creativa silenziosa e una risonanza diretta inizieranno a diventare esperibili e
produttive (presencing).” (Scharmer, 2005, p. 8 ss)
La ricerca di percorsi innovativi per affrontare il futuro richiede agli individui, ai
team e alle organizzazioni, di concentrarsi maggiormente sul terzo e sul quarto
livello. Sotto questo punto di vista Scharmer è del tutto consapevole del fatto
che il suo percorso „verso l’interno” potrebbe essere inusuale per molti. Indica
pertanto anche i tre maggiori ostacoli da superare: il giudizio affrettato (fino
alla denigrazione), il cinismo e la mancanza di coraggio.
1.6. Costellazione sistemica – un normalissimo strumento di management?
Il fatto che la costellazione sistemica permetta di gettare lo sguardo su aspetti
nascosti di determinati eventi potrebbe indurre più d’uno a utilizzare il metodo
con l’intento di ricavarne previsioni per il futuro prossimo e lontano. In
un’epoca che si affaccia su una grande varietà di possibili scenari futuri, i ma-
nager e i loro consulenti sono alla ricerca di metodologie che riducono le incer-
tezze affidandosi a vari procedimenti che vanno dalle più raffinate tecniche di
visioning fino alle più disparate pratiche divinatorie.
1.6.1 Costellazione sistemica – un oracolo moderno?
La costellazione sistemica punta alle disposizioni di fondo di un’organizzazione
o, usando un’analogia, si potrebbe anche dire al suo DNA. In questo modo essa
può dare indicazioni sui passi verso uno sviluppo adeguato del sistema, coeren-
te con la natura stessa dell’organizzazione. Pertanto, più che pronosticare il
futuro, la costellazione indica quali possono essere i prossimi passi utili da
compiere per affrontare un determinato problema.
Proprio per questo la costellazione sistemica non è un oracolo. Essa non solleva
il management dal prendere decisioni né gli garantisce il verificarsi di risultati
certi, bensì favorisce un discorso sulle premesse che stanno alla base di una
decisione. Rimandando alle strutture che determinano la dinamica degli eventi
in azienda, la costellazione sistemica contribuisce a gestire in maniera più con-
46
sapevole la complessità. Favorisce inoltre una cultura della riflessione, in ac-
cordo con la migliore tradizione del pensiero illuministico.
Più che con l’oracolo, la costellazione sistemica è imparentata con il teatro:
anche qui uno spazio viene aperto per poi essere modellato dai movimenti
dell’uomo per esprimere un significato. Nella forma primigenia, così come in
seguito nella forma illuminata del teatro, il sapere che risiede nelle relazioni
sociali e private si manifesta sotto forma di scene variamente intitolate. Questo
sapere a volte è palese e a volte nascosto. Il lavoro drammaturgico e quello
costellativo permettono entrambi di spiegare il sapere nascosto dei sistemi
sociali rappresentandolo senza verbalizzarlo e dunque razionalizzarlo. Ed è
proprio questo che comporta la particolarità e la fascinazione dei due media.
1.6.2. La „verità” delle immagini di una costellazione
Ogni procedura diagnostica, a un certo punto, non può fare a meno di chiedersi
in che cosa consista la sua verità, cercando di chiarire la relazione tra l’originale
e la rappresentazione. In altre parole dobbiamo affrontare la domanda: „su
cosa può fare – veramente – affidamento un manager che scelga di impiegare
la costellazione sistemica come metodo di analisi e di problem solving?”
Come già brevemente accennato in precedenza, la costellazione fa riferimento
a quanto si trova nella memoria individuale e collettiva. L’esperienza acquisita
è iscritta nell’organismo e coordina i suoi movimenti verso un determinato
obiettivo. Tuttavia essa resta invisibile manifestandosi esclusivamente nello
svolgimento concreto di un’azione; attraverso la riflessione si trasmette sotto
forma di „sapere esperienziale” agli attori interessati. Certo, nella comunica-
zione di questo sapere stesso resta solo l’impronta dell’esperienza e sarebbe
un fatale errore confondere l’impronta con l’esperienza stessa.
Per lo stesso motivo sarebbe assurdo tentare di trasporre il quadro risolutivo di
una costellazione sistemica pari pari nella realtà quotidiana; sarebbe
l’equivalente di una superficiale operazione di „copia-incolla”. Nel lavoro co-
stellativo non si tratta certo di questo; all’osservatore attento della rappresen-
tazione si dischiude piuttosto una visione d’insieme su tutto ciò che in questa
costellazione ha lasciato traccia.
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Per utilizzare un’analogia con l’arte figurativa, l’artista si esprime, in senso lato,
nella sua opera d’arte ma non vi si riproduce mai in „carne e ossa”. Con ciò è
definito anche il limite della rappresentazione che, sebbene sia come un calco
di ciò che rappresenta, non è mai il rappresentato stesso. L’orma nella neve
non è l’animale in fuga, il ritratto non è la persona e il menu non è la pietanza.
Esistono comunque delle equivalenze, ma sono su un piano strutturale. Ed è
esattamente questa dimensione strutturale che il lavoro di costellazione mette
in risalto.
I vari aspetti qui accennati e di cui si occupa la teoria della conoscenza saranno
approfonditi nel capitolo successivo.
1.6.3. Costellazione sistemica e modelli di management
Per finire vorremo sottolineare la differenza tra la costellazione sistemica e gli
strumenti di management più tradizionali come ad esempio la pianificazione
strategica. Questi ultimi si fissano su „calchi” (totalmente astratti) della prassi
aziendale realmente vissuta, ovvero sulle cifre. Così facendo, tuttavia, chi vi
ricorre paga un prezzo in quanto non coglie più le singole circostanze concrete.
La prassi aziendale quotidiana viene trasformata in una sorta di astrazione
quantitativa, totalmente scollegato dalla condizione originale. Non ultimo, per
questa ragione, negli anni recenti sono spesso sorti dei dubbi rispetto alla que-
stione se il classico insieme di cifre contenuto nei bilanci potesse rispecchiare
adeguatamente, ossia in maniera corrispondente ai fatti, lo stato di
un’impresa.
Come abbiamo visto la costellazione sistemica si concentra sul piano struttura-
le ma senza tralasciare i fatti concreti, creando sempre un rapporto diretto con
la situazione rappresentata. Un ulteriore vantaggio che offre il metodo è il fatto
di generare, contrariamente ai sistemi di management convenzionali, impulsi
all’azione nell’immediato.
Grazie all’espressione essenziale e condensata degli aspetti di fondo di una
determinata situazione, le informazioni ottenute restano sempre disponibili;
infatti i partecipanti si ricordano a lungo delle sensazioni fisiche che hanno
provato interpretando i vari ruoli. Anche le sequenze dei movimenti più signifi-
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cativi restano impresse. Tutto ciò conferisce alla costellazione sistemica la forza
di una visione che induce immediatamente all’azione.
Naturalmente non sostituisce i processi decisionali, né i colloqui con i collabo-
ratori, compresi quelli difficili (!). Le decisioni relative alla gestione del persona-
le, per esempio, andrebbero prese utilizzando gli strumenti e le procedure
tradizionali. Ci teniamo a ribadire che la costellazione sistemica non è un oraco-
lo moderno.
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2. La costellazione come modalità espressiva del pensiero sistemico
Peter Senge fece notare nel suo scritto “La quinta disciplina” come la logica causa-effetto permei la percezione dei problemi, riportando ogni considerazione in uno schema lineare.
Ne consegue una prevalenza di soluzioni, pertinenti rispetto al problema specifico, ma in una visione a breve termine. Per esempio, in una situazione di crisi, mirare al puro contenimento dei costi riducendo in vario modo anche il costo del personale può favorire nel breve la salvaguardia del margine ma, nel medio termine, rischia sia di compromettere la qualità (anche di quella percepita) sia di ridurre la capacità di acquisto, quindi della domanda, aggravando di fatto il problema che si voleva risolvere.
Sinteticamente si può dire che spesso: “i problemi di oggi sono figli delle decisioni di ieri”.
Come si sa il linguaggio è isomorfo al pensiero in quanto rappresenta una diversa forma espressiva di una stessa struttura cognitiva; visto nella nostra ottica, risulta evidente la carenza di un modo diffuso di agire e di pensare sistemicamente.
2.1 Il pensiero sistemico come fondamento a un reale approccio sistemico
Per chiarire l’importanza di un approccio sistemico si ripropongono i concetti chiave della teoria sistemica per calarci poi nelle sue implicazioni rispetto alla lettura e all’intervento in contesti organizzativi.
Un sistema, come si sa, è un qualsiasi insieme di elementi (variabili e/o perso-
ne) che interagiscono in modo interdipendente tendendo a uno stato di equili-
brio; gli elementi che compongono un sistema sono essi stessi sistemi sia com-
posti da altri elementi che componenti di altri sistemi, come ad esempio una
famiglia o un’azienda.
Il pensiero sistemico si focalizza pertanto non sui singoli elementi ma sulle
relazioni tra di essi, da ciò scaturisce il concetto di interdipendenza secondo cui
qualsiasi variazione di un elemento innesca variazioni negli altri a lui connessi.
Ne consegue che i comportamenti di un sistema non sono effetto della somma-
toria delle sue parti, ma la risultante delle interazioni tra di esse: un sistema
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dunque non è un agglomerato ma una rete comunicativa che opera simulta-
neamente a più livelli, quindi si comporta come un qualcosa di unitario, una
totalità che genera e si muove, secondo Lewin, all’interno di un “campo”.
Il pensiero sistemico sviluppa così una visione reticolare e circolare degli scam-
bi, governati dalla capacità di autoregolazione del sistema tramite i processi di
feedback, ovvero i reciproci impatti delle interazioni che si attivano tra gli ele-
menti presenti al suo interno.
In questo modo il sistema genera dei principi organizzatori, ovvero delle linee
guida implicite e spesso inconsapevoli che danno struttura, quindi organicità e
unitarietà ai fenomeni che in esso si producono: in altre parole la teoria dei
sistemi complessi afferma che, anche se i singoli eventi non possono essere
previsti con certezza, i sistemi stessi in linea di massima cercheranno di muo-
versi entro parametri tendenti alla stabilità; tenderanno cioè nel lungo periodo
a stabilizzarsi *autopoietismo+. La forza organizzatrice all’opera dietro questo
fenomeno, detta streng attractor (o principio organizzatore), catalizza il siste-
ma e lo conduce verso una struttura durevole e regolare che si riproduce su
diversi livelli.
Al di là delle specificità del singolo sistema, in generale il suo equilibrio e il suo
benessere dipendono da un lato dalla capacità di ottimizzare il proprio scambio
con l’esterno e dall’altro dal grado di flessibilità nella gestione della dinamica
interna tra due spinte complementari: omeostasi, che tende a mantenere lo
“status quo” ed evoluzione, che persegue l’espansione, aumentando la com-
plessità.
I processi di cambiamento possono quindi essere attivati talora da eventi
esterni talaltra da spinte interne alla crescita.
Le modalità di gestione di questa dinamica possono indurre, rispetto agli even-
ti, una reazione difensiva oppure proattiva. Partendo dall’assunto che non
esistono problemi ma situazioni con cui il sistema si confronta, il problema è
semplicemente l’effetto dell’incapacità del sistema di trasformare
un’esperienza in occasione di crescita, a causa del suo persistere in schemi di
interazione inadeguati anziché avviare un processo di auto-riorganizzazione.
51
Per questo una situazione di crisi è persino necessaria quando si tratta di
“schiodare” un equilibrio inadeguato, e talora è da parte di un agente esterno
(ad esempio un consulente) che serve introdurre qualche perturbazione di una
certa entità per stimolare, in un’azienda o una famiglia, quel cambiamento che
non riescono a operare da sé per uscire dalla crisi. In questo caso è determi-
nante individuare come e dove agire per produrre un effetto leva, ossia quella
variazione che produce una sorta di “effetto domino” sugli elementi significati-
vi del sistema, tendendo a indurre il massimo di cambiamento con il minimo
intervento.
Peraltro, pur tendendo all'equilibrio, nei processi di cambiamento i sistemi
possono presentare un comportamento oscillatorio, caotico, con conseguente
crescita o decadimento esponenziale: va infatti integrata la visione circolare
con la dimensione tempo perché, ad esempio, una linea di sviluppo che favori-
sce il benessere in una certa fase, se protratta, può portare al suo rovesciamen-
to, come sta mostrando attualmente l’esasperata tendenza al consumismo che,
se per un certo periodo ha prodotto sviluppo, oggi mette a rischio il pianeta.
Riassumendo un sistema è un insieme integrato, complesso e dinamico, che
interagisce come un'unità strutturata, che evolve nel tempo tramite un proces-
so continuo di autoregolazione.
Il pensiero sistemico, se applicato alla lettura di un’organizzazione, coglie velo-
cemente come un cambiamento in un'area possa influenzarne altre nel presen-
te e/o nel futuro, così come, nell’analizzare un problema guarda all'intero si-
stema e quindi, oltre ai dati in entrata, anche a processi, risultati, retroazione e
controlli.
Inoltre, incorporando la dimensione temporale di qualsiasi decisione, anziché
vedere i problemi come "istantanee" separate e conchiuse in certi istanti di
tempo, una metodologia sistemica ci consentirà di cogliere la dinamica del
cambiamento nel tempo, vedendo (e prevedendo) i problemi come elementi di
un processo organico in continua riorganizzazione, come attesta la vita azien-
dale rispetto all’attuale contesto economico.
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2.2 Le persone nel cambiamento continuo e dinamico
La globalizzazione ha aperto nuove frontiere di mercato, la competitività ha
ridotto drasticamente i tempi e accelerato l’evoluzione della domanda, la tec-
nologia favorisce i processi di comprensione, adattamento e quindi di evoluzio-
ne organizzativa e culturale. Ciò significa che per restare competitivi sul merca-
to, è fondamentale capire che l'evoluzione deve essere costante nel tempo.
Nel mondo del lavoro è ormai chiaro che per sopravvivere è importante moni-torare il contesto e comprendere come interagirvi: per riuscirci è utile dare peso al feedback che viene dal mercato, imparando continuamente ad aggiu-stare il tiro, nell'instancabile ricerca di uno scambio soddisfacente tra dentro e fuori, ovvero di un equilibrio dinamico.
È pertanto importante adeguare gli aspetti hard dell’organizzazione (processi, procedure, sistemi ecc), ma lo è ancora di più far crescere la professionalità del personale, sviluppando competenze ed orientamenti adatti a gestire la crescen-te complessità.
Uno degli orientamenti più significativi è l’attitudine a pensare in modo circolare, ovvero a decidere dopo aver valutato tutti gli impatti indotti da una scelta anche nel medio termine: in effetti è solo così che ci si può rendere conto sia di come qualunque scelta produce effetti che prima o poi ricadono anche sul decisore, sia del suo reale impatto (risolutivo o peggiorativo) sulle molteplici variabili in gioco.
Semprè più diventa evidente che la logica lineare ci sta stringendo in angolo di fronte a problemi complessi come quelli presenti nell’attuale quadro economico, sociale, ecologico e che le soluzioni adottate sia a livello aziendale che sociale, appaiono frequentemente come soluzioni tampone .
Si parla spesso di un cambio di paradigmi epocale, talora con smarrimento
talaltra con lo slancio di chi spera in una spinta innovativa: certo, questa è una
condizione problematica “multifattoriale”, ma se pure può suonare scontato, in
quest’ambito è necessario sottolineare una difficoltà di concettualizzazione che
porta a valutare le situazioni in modo riduttivo, come testimonia l’attuale crisi
economica prodotta da una gestione di prodotti finanziari di elevata redditività
nel breve, che ha poi generato un rovinoso rovesciamento delle cose. Serve per
questo una visione circolare quindi interattiva, in cui ogni attore di una
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situazione è consapevole che contribuisce in qualche modo a generare il flusso
degli eventi: da un lato questo ci dà una responsabilità (cui spesso ci illudiamo
di sfuggire rifugiandoci nel ruolo di vittime), dall’altra ci apre all’esplorazione
del nostro spazio di “potere reale”, cioè di quel grado di influenza che di fatto
esercitiamo, che lo sappiamo o no.
Si aggancia a questo una diversa visione del funzionamento delle relazioni. In
genere ci muoviamo in base al presupposto che ciascuno di noi è un individuo
separato e indipendente. Ciò rende facile immaginare che, se qualcosa accade
lontano nel tempo o nello spazio, può non toccarci quindi … possiamo
serenamente disinteressarcene. Ma quando, ad esempio, arriviamo a renderci
conto che l’aver liquidato in malo modo il fondatore di un‘azienda è in
correlazione con il clima collettivo che gradualmente era sfociato nella sfiducia,
il reticolo di interdipendenze comincia a rivelarsi, anche in generale rispetto a
ogni situazione problematica. .In questo modo di vedere le cose risulta molto
pertinente l’utilizzo dello strumento delle costellazioni sistemiche, esse
sembrano in effetti darci una possibilità di esplorazione dei problemi mediante
le specificità del pensiero sistemico. Le costellazioni sistemiche rendono infatti
evidente come il cambiare di un elemento influisca sugli altri e quindi rendono
visibile il reticolo delle interazioni tra gli elementi di una situazione complessa,
sia nello spazio sia nel tempo.
Si tratta di uno strumento che, nel far affiorare con immediatezza l’intreccio
delle variabili che sottende il problema, spesso conferma qualcosa che aveva-
mo intuito ma non riuscivamo a verbalizzare.
Questo modo di rappresentare una situazione problematica, infatti, sembra far
emergere quel che si sa – ma non si sa – di sapere: in breve fa accedere a un
sapere “sommerso”, spesso percepito come inatteso perché, essendo intuitivo,
viene mantenuto “sotto soglia”. Nel contempo, sembra avere un interessante
impatto sulle strutture cognitive, proprio perché stimola letture nuove di una
situazione allena la flessibilità percettiva, aiutando a guardare “oltre”, ovvero
da angolazioni normalmente trascurate.
Lo strumento è quindi particolarmente adatto a rendere efficace il processo decisionale laddove serve ampliare la visione delle variabili chiave e nel contempo selezionare in modo puntuale le informazioni utili rispetto al
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“rumore di fondo” dei molti stimoli che spesso ci disorientano.
2.3 Decidere nell’incertezza
In un mercato turbolento e sempre meno prevedibile, il ruolo principale del
manager aziendale è quello di leggere ed utilizzare i “segnali deboli” per aiuta-
re la struttura ad anticipare i problemi e cogliere prontamente nuove opportu-
nità. In questo processo gioca un ruolo cruciale l’intuito, quale talento che
permette alla persona di comprendere ed interagire con il contesto in modo
tempestivo, influenzando la direzione del cambiamento organizzativo. Sembra
quindi urgente stimolare un habitus mentale che sviluppi la comprensione e
fusione dei due elementi “intuito” e “ragione”, utile sia a un’evoluzione costan-
te della persona, che a un’interazione “intelligente” con l’ambiente. Caratteri-
stica dell'intuito è infatti la capacità di agire fluidamente in condizioni
d’incertezza.
Integrare metodo e intuizione nella gestione della complessità sembra infatti
consentire una visione globale del reticolo che muove le variabili in gioco e
delle loro dinamiche nel tempo, individuando come influenzarle anche in modi
non prevedibili .
Spesso però l’intuizione non viene apprezzata perché poco condivisibile, poco
dimostrabile. In tal senso tornano particolarmente utili le costellazioni
sistemiche perché, per come funzionano, ridonano dignità a fonti informative
sottovalutate da una cultura che riconosce come unico riferimento attendibile
la mente razionale, rendono possibile una “diversa visione” più articolata e
quindi una modalità di esplorazione più pertinente alla complessità dei
problemi.
Questo approccio dà infatti rilievo anche alle sensazioni corporee dalle quali
consente di estrarre un apporto informativo che si rivela decisivo per arrivare ai
nodi problematici della situazione in esame.
Si introduce così, come variabile determinante nel processo decisionale, la
“dimensione emozionale”: dimensione a lungo “epurata” nei contesti
organizzativi ma attualmente rivalutata anche come una potente risorsa
mobilitante e motivante.
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Su questo piano in particolare, le costellazioni riescono a evidenziare con
grande chiarezza come, per fare scelte consistenti, sia determinante cogliere
quanto e in quali modi il reticolo emozionale sottostante incide nel generare e
mantenere la situazione che si vuol cambiare. Per questo, alla fine della
costellazione, proprio le emozioni che circolano rappresentano il più affidabile
test di efficacia della soluzione indicata dal processo di lavoro svolto.
Per tali diverse ragioni, questa tecnica d’intervento e soluzione di problemi
risulta essere un’innovativa modalità di significativa efficacia, oggi, senza nulla
togliere all’utilità dell’approccio prettamente razionale di tipo “causa-effetto”,
che resta ottimale per certe tipologie di problemi, tuttavia … ”se hai solo il
martello nella tua cassetta degli attrezzi, rischi di trattare tutti i problemi come
se ci volessero dei chiodi”.
2.4 Arte del cambiamento
Prima di passare a presentare l’applicazione di quanto detto a un caso azienda-
le che si basa sul concetto di sistema autopoietico, riteniamo necessario fare
una breve premessa.
I facilitatori del cambiamento possono svolgere un ruolo significativo nel soste-
nere l’azienda a determinare la direzione che un’organizzazione, un’impresa o
una famiglia potrebbero prendere nel futuro. Oggi è importante aiutare i ma-
nager a vivere anche in assenza di vincoli preordinati, a fare ordine nel caos e
persino a utilizzare il caos per produrre cambiamenti sani e durevoli.
E’ però necessario individuare le forze che tendono a favorire l’omeostasi
dell’azienda, riflettere su cosa la sta trattenendo dal cercare un nuovo equili-
brio e come stimolarla a liberarsi dai vincoli per metterla in condizione di atti-
vare potenzialità creative che inneschino un’auto-riorganizzazione soddisfacen-
te.
Per l’attivatore del cambiamento, il primo passo consiste nell’indagare / stimo-
lare l’area dell’ “aspettativa”, in modo da mobilitare il desiderio di evoluzione.
Significa iniziare a chiedere e a chiedersi:
56
Quali sono gli elementi principali
che definiscono il sistema?
Identità, vision, modello di gover-
nance, immagine, ecc.
Ci sono fattori che ostacolano il
cambiamento?
Tecnico-tecnologici, culturali, ecc.
Quali forze stanno dietro ai fattori
che ostacolano il cambiamento?
Abitudini o incapacità?
Da dove si può iniziare a interveni-
re?
Dove e come posso trovare le “risor-
se strategiche” in azienda, che per-
mettono il cambiamento?
Quali sono le iniziative che possia-
mo prendere allo stato attuale?
L’importante è trovare il punto giu-
sto su cui fare leva e riconoscere
quali sono le dinamiche più ricorren-
ti. Come possiamo fare per indirizzare
il sistema verso il cambiamento
voluto?
Dopo questa fase di diagnosi il processo di cambiamento va avviato il prima
possibile e con passi sicuri, iniziando a sperimentare su piccola scala per testare
la validità di un diverso assetto e, soprattutto, notandone i successi.
Spesso il cambiamento è attivato da una situazione di crisi: come detto, dal
momento che i sistemi complessi oscillano tra lo stato di quiete e quello di
disordine, è proprio la situazione di disorganizzazione, quindi di caos, che forni-
sce terreno fertile per le iniziative e le scoperte che generano evoluzione.
Quando è gestita con la dovuta attenzione, l’esperienza di non poter fare affi-
damento sulle routine consolidate può essere generativa: nuove idee, nuovi
comportamenti e prassi innovative rivitalizzano le relazioni e definiscono una
nuova normativa comportamentale. Per questo alcuni studiosi sostengono che
per stimolare le persone ad accettare il cambiamento può essere d’aiuto creare
una situazione di tensione, per esempio cambiando le regole del gioco.
57
2.5 Un intervento per accrescere le capacità di autoregolazione dell’azienda
L’ azienda di cui presentiamo l’intervento, per competere nell’attuale scenario
socio-economico necessitava di apprendere velocemente le dinamiche evoluti-
ve del suo business; i cambiamenti delle esigenze dei clienti stavano diventan-
do così veloci che i tradizionali approcci alla riorganizzazione non erano più
adeguati. Era doveroso trovare una nuova modalità di risposta all'evoluzione
del mercato. Tra le diverse ipotesi studiate, l'azienda ha deciso di investire sulle
persone.
A tal proposito sono state avviate queste iniziative:
a) è stato impostato un piano di sviluppo e valorizzazione di quello che è il
fondamentale fattore produttivo e competitivo aziendale: le “persone strategi-
che”, cioè quelle che l'azienda riteneva potessero crescere managerialmente
(velocemente e semi-velocemente).
b) sono stati disegnati diversi percorsi di crescita sia individuali sia di squadra,
focalizzati alla loro distintività.
c) è stato impostato un progetto di apprendimento organizzativo che ha coin-
volto persone a tutti i livelli gerarchici, con momenti d'aula, lavoro di squadra,
coaching , executive coaching e counselling (l'inserimento di una counsellor si è
dimostrato tanto efficace che, da allora, tutte le persone attivate in piani di
carriera, sono supportate psicologicamente).
d) è stato progettato un development center interno, in fase di realizzazione e
di cui oggi funziona in modo incisivo il laboratorio manageriale.
Questo tipo di politica aziendale, che è stata definita “Oltre la centralità delle
persone”, ha richiesto l’utilizzo congiunto di:
• gestione delle conoscenze, delle competenze, delle capacità, dei talenti e
della formazione
• controllo e monitoraggio dei processi e dell’organizzazione
• tecnologie di monitoraggio delle risorse umane, dei processi e
dell’organizzazione
58
• tecnologie per la capitalizzazione e condivisione delle conoscenze e per la
gestione dei processi formativi.
Grafica 2: il processo di cambiamento organizzativo
Ciò non significa che l'impresa non ha più bisogno di accedere a competenze
specifiche esterne per il modellamento stesso, ma che i manager responsabili
dell'organizzazione sono molto più presenti nelle decisioni organizzative: come
ha sottolineato il Presidente dell'azienda, è stato insegnato a “essere manager”
prima che a farlo.
Riteniamo necessario chiarire che si tratta di un’azienda che opera in un setto-
re particolarmente dinamico e che subisce continui impatti dovuti sia
all’aggressività della concorrenza sia all’incapacità di spesa, ricorrente, dei suoi
clienti.
59
Sistemicamente parlando si può presumere che il processo descritto dia origi-
ne, nel medio termine, a una costante crescita auto-alimentante.
Pertanto, così come per il modello consumistico si stanno cogliendo solo ora i
risvolti che rischiano di capovolgere il gioco in negativo e che ci portano a riflet-
tere sullo sviluppo sostenibile, allo stesso modo quest‘azienda avrebbe rischia-
to di entrare in un loop positivo, ovvero ingovernabile, schematizzabile in que-
sto modo:
Grafica 3: Il loop adeguamento professionale – implementazione organizzativa
Nella fattispecie, un incremento costante di professionalità , induce, nel medio
termine, un aumento delle attese di crescita che a loro volta impattano
sull’adeguamento professionale creando in prospettiva un eccesso sia quanti-
tativo che qualitativo di competenze, rispetto alle esigenze del mercato.
Per prevenire ciò il sistema in questione è stato dotato di strumenti di autore-
golazione, che tengono sotto controllo gli automatismi di cambiamento.
Lo sviluppo di questo modello di evoluzione, oltre alle capacità e competenze
delle persone, necessita dunque di un’infrastruttura *anche culturale], in grado
di supportarne non solo l’operatività ma anche la costante informazione, ade-
guamento, formazione e verifica delle performance (individuali, di squadra e
dell’azienda nel suo complesso); essa consente effettivamente di creare un
ambiente lavorativo che si adegua automaticamente alle necessità di cambia-
mento che l’impresa deve affrontare sui mercati.
60
Grafica 4: Elemento regolatore
Questo elemento regolatore è tuttora costituito da un team, composto da tutti
i top-manager, con il compito di tenere sotto controllo l’evoluzione complessi-
va, allinearla da una parte con le esigenze del mercato, dall’altra con le strate-
gie aziendali, decidendo di limitarne l’espansione all’occorrenza.
L’esistenza di un dispositivo di regolazione introduce limiti tramite decisioni
contenitive che rendono possibile una dinamica tendente alla stabilizzazione.
Quando parliamo di “Oltre la centralità delle persone”, intendiamo due cose
fondamentali e integrate:
- creare un modello flessibile e dinamico delle singole aree in funzione delle
“distintività” di chi ne sarà responsabile;
- stimolare la sensibilità di tutti i manager (individualmente) a operare in ottica
di sistema, a vedere cioè gli impatti di tutte le loro decisioni, sia spazialmente
(sulle altre funzioni) sia temporalmente (nel futuro).
Il fattore chiave del successo di questo progetto è stato nell’impegno di tutti a
mettersi in discussione al fine di far scaturire le reali distintività individuali, di
squadra e aziendali: ciò ha consentito di sviluppare attenzione al saper “esse-
re” oltre che al saper fare, aiutando tutti i manager a capire meglio se stessi e
l’azienda a cogliere l’importanza della motivazione, grazie a tangibili impatti
sulle prestazioni.
61
3. Il mormorio del sapere implicito
Il concetto di „sapere” è uno di quei termini oggi giorno inflazionati. Del resto,
in quanto membri della „società della conoscenza”, è praticamente d’obbligo
tirare in causa il „sapere” nelle occasioni più svariate. Tuttavia, l’ascoltatore
attento noterà ben presto che il termine circola con molti significati diversi e,
se andrà a chiedere cosa si intenda per „sapere”, quasi certamente scatenerà
un certo imbarazzo. La cosa è quantomeno curiosa: sebbene tutti noi dispo-
niamo di sapere, che in alcuni ambiti può essere anche molto vasto, non siamo
in grado di spiegare spontaneamente cosa sia!
In seguito ci occuperemo più approfonditamente della parte dinamica del sa-
pere, vale a dire del sapere esperienziale. Ne risulterà che l’esperienza segue
determinati schemi. Mostreremo poi che ogni sapere possiede una sorta di
rovescio della medaglia che non può essere né detto né documentato e pertan-
to divenire esplicito. Questo però non vuol dire che questo sapere „tacito” non
sia rilevante nella pratica, al contrario, ogni genere di maestria consiste in gran
parte proprio di questo aspetto del sapere. Con gli strumenti di diagnosi tradi-
zionali si riesce difficilmente a coglierlo proprio perché sfugge alle codificazioni
classiche basate sul linguaggio, su numeri e immagini.
Se partiamo da un concetto di sapere dinamico entrano in gioco molti fattori
che andremo ad analizzare nei prossimi capitoli: ad esempio il sapere come
potente forza produttiva, come risorsa per affrontare con successo la nostra
prassi quotidiana, oppure il collegamento diretto tra il sapere e „l’ordine delle
cose” (Foucault, 1966).
Torneremo quindi sull’affermazione, fatta nel 1. capitolo, che questo sapere
difficilmente esplicitabile può essere colto proprio per mezzo della costellazio-
ne sistemica e la approfondiremo per rendere ancora più chiara la sua utilità
per il management.
3.1 Sapere implicito ed esplicito
La information tecnology ci ha fornito un’enorme quantità di dati. Infatti, con i
potenti mezzi informatici di cui oggi disponiamo, diventa un gioco da ragazzi
62
raccogliere, elaborare e gestire dati. Nel frattempo però si è riconosciuto che i
dati hanno senso, o in atre parole diventano effettivamente conoscenza, solo
laddove possono essere iscritti in contesti conoscitivi ed esperienziali concreti.
Se invece il knowledge management pone il suo accento in maniera unilaterale
sulla gestione di dati, l’orizzonte conoscitivo ed esperienziale delle persone che
devono usarli si rivelerà come fattore limitante; in sostanza ci saranno troppi
dati e troppo poco sapere. Un manager ha così descritto questa discrepanza:
„Allo stato attuale i sistemi di management sono configurati in maniera tale da
fornire generalmente troppi dati e per giunta il più delle volte troppo tardi”. Un
knowledge management efficace sarebbe pertanto quello che attiva per ogni
situazione lo spettro di sapere essenziale per decidere e agire in modo coeren-
te.
Ma torniamo al sapere esperienziale. La difficoltà che si presenta nel cogliere il
fenomeno dell’„esperienza” è dovuta al fatto che una parte rilevante della
stessa avviene a livello inconscio. Specializzazione, eccellenza o maestria vera e
propria, che si tratti di individui, team o intere organizzazioni, sono difficilmen-
te definibili con parole, cifre o immagini. In realtà, questo significa che i nostri
strumenti di codificazione consueti non sono sufficienti per cogliere ed espri-
mere in modo appropriato ciò che veramente conta in un’attività professiona-
le. A quanto pare il vero talento si sottrae a ogni tentativo di rivendicazione da
parte di qualunque forma „classica” di knowledge management.
L’espressione „sapere implicito” è stata usata per la prima volta da Michael
Polanyi nella sua teoria della conoscenza e percezione. In questa, Polany parte
dall’assunto che l’intelligenza è già presente nell’agire stesso e non è invece
pilotata da un’istanza a parte che ne rappresenterebbe l'unica sede. Dunque
non sarebbe, per esempio, la testa a guidare consapevolmente la mano che
afferra la forchetta, sarebbe bensì la mano ad impugnare autonomamente la
posata. Tutti i processi di coordinamento complessi, volti a realizzare un de-
terminato intento, si svolgerebbero senza scomodare l’intelletto. Tali sequenze
complesse, insite nell’organismo, Michael Polanyi le descrive come „sapere
implicito”, di cui disponiamo naturalmente ma per il quale in genere non svi-
luppiamo una comprensione in termini concettuali. Questo si dimostra tutte le
volte in cui non sappiamo rispondere alla domanda su cosa sia e come si de-
63
termini esattamente la maestria o l’eccellenza: è come se sapessimo molto più
di quanto non siamo in grado di dire (Polanyi, 1985, p. 12).
Sebbene la sua opera graviti intorno al fenomeno del sapere implicito, il con-
cetto stesso non è al centro della teoria di Michael Polanyi. Ikuijro Nonaka e
Hirotaka Takeuchi invece, nel loro fondamentale contributo al knowledge ma-
nagement „L’organizzazione del sapere”, pongono il concetto del sapere impli-
cito al centro del processo di creazione di conoscenza all’interno di
un’organizzazione: „Indubbiamente è importante capire come le imprese svi-
luppino nuovi prodotti, nuove metodologie e nuove forme organizzative. Ma è
ancora più importante capire in che modo le imprese creino la nuova cono-
scenza che rende possibile tali sviluppi” (Nonaka e Takeuchi, 1997, p. 64).
In pratica i due autori equiparano il sapere implicito al sapere esperienziale
soggettivo, separandolo dal sapere intellettuale oggettivo o sapere esplicito,
intendendo per „sapere esplicito” tutto ciò che possiamo richiamare in qualun-
que momento da un qualsivoglia „serbatoio”, che si tratti della nostra memoria
o di qualche archivio.
Il loro concetto vuole spiegare in che modo l’eccellenza individuale, il „knowing
how” dei singoli individui possa essere reso fruibile per l’azienda nel suo insie-
me. L’idea si fonda sul presupposto che il sapere si crea e si amplia attraverso
l’interazione dei due ambiti del sapere implicito e del sapere esplicito (p. 73).
Su questa base i due autori costruiscono un modello dinamico di trasformazio-
ne del sapere come risposta a un quesito essenziale del knowledge manage-
ment, ovvero quello della creazione - e non solo della gestione - del sapere
nelle organizzazioni.
3.2 La rinuncia all’illusione del sapere nozionistico
Accanto alla somma di conoscenze teoriche il sapere include anche regole di
prassi quotidiana e istruzioni operative (Probst et al., 1997, p. 22), affermano
Gilbert Probst ed altri nella loro opera fondamentale per il knowledge mana-
gement. In un primo momento può apparire curioso che il sapere possa avere a
che fare con delle regole; quando pensiamo al „sapere” infatti lo paragoniamo
64
spontaneamente a tutto quanto è „salvato” nei libri, nelle biblioteche o nelle
banche dati elettroniche.
Quindi pensiamo che mandare avanti una determinata faccenda in maniera
„giusta” significhi semplicemente attingere da tali scorte di puro sapere nozio-
nistico, o knowing that.
Riflettendo bene dobbiamo tuttavia constatare che anche tutto quello che
sentiamo e vediamo quotidianamente possiede una qualità simile a quella dei
suddetti elementi „stoccati” nelle banche dati, una grande quantità ma pochis-
sima rilevanza, come se fossimo circondati sempre e ovunque da milioni di
„dati” che registriamo a nostra insaputa, tutti insieme. Il mondo intero sembra
essere nient’altro che una marea di stimoli che aspettano solo di essere deco-
dificati.
Non tutto di ciò che registriamo è però rilevante per noi: dalla moltitudine di
particolari che ci si presentano in una situazione concreta selezioniamo quelli
che ci appaiono importanti. E partendo da questa materia prima produciamo
„informazione” attribuendo significato e valore ai singoli dati. In questo modo
facciamo innanzitutto ordine. Il caos intorno a noi diventa „afferrabile”. Ma in
che relazione sta tutto ciò con il sapere? Riteniamo che stia in una relazione
molto diretta poiché non attribuiamo significato alle nostre percezioni senso-
riali a caso bensì in maniera sistematica.
Questo procedere ha effettivamente attinenza con il concetto di sapere dal
quale siamo partiti e che rispetto al lavoro di costellazione è rilevante. In que-
sto senso il sapere non è nulla di statico, non è un mucchio di dati, bensì è il
frutto di un processo dinamico.
„Sapere” è la maniera di attribuire senso ai fatti, basandosi su un preciso si-
stema di regole, al fine di poter fare un passo successivo verso un obiettivo,
uno scopo o un’intenzione prefissati.
3.3 Dai dati al sapere – dal sapere ai dati
I dati dunque non valgono ancora come sapere, prima devono essere „vivifica-
ti”. Ciò avviene mettendoli in una relazione significativa. Tali relazioni non sono
65
semplicemente presenti „di per sé” ma sono sempre collegate a un concreto
osservatore. Solo se visti dalla sua prospettiva i dati acquistano significato.
Dunque attraverso un osservatore i dati diventano informazioni, o come osser-
vò Gregory Bateson, diventano „differenze che fanno la differenza” (Bateson,
1985, p. 452). Nella sua introduzione al knowledge management sistemico,
Helmut Willke fa notare inoltre che possiamo parlare di informazioni solo
„quando un sistema osservatore dispone di criteri di rilevanza e attribuisce una
determinata rilevanza a un dato” (Willke, 2004, p. 31).
Nel modo in cui attribuiamo importanza ai dati si riflette anche il nostro sapere.
Continua Helmut Willke: „Il sapere nasce dall’inserimento di informazioni in
contesti esperienziali” (p. 34). Ogni individuo, team o impresa intende le cose
secondo la sua propria „visione del mondo”: essa viene dapprima forgiata,
quindi temprata dalle varie esperienze effettuate nel corso dell‘esistenza. La
tempra può avvenire nei modi più disparati: attraverso la ripetizione dello
stesso vissuto o anche mediante modelli teorici. Pertanto il sapere è essenzial-
mente collegato con la nascita, la riproduzione e la modificazione di un deter-
minato sistema.
Con ciò il sapere non è più equivalente alla teoria bensì diventa una prassi,
giustificata e confermata mediante la comunicazione (s.o., p. 33). Riportiamo
un breve esempio che raffigura questo „movimento” tra dati, informazione e
sapere: una lista che riporta cifre e concetti, dunque dati, di per sé non vale la
carta su cui è stampata. Essa acquisisce il proprio valore solamente nelle mani
della persona che la esamina e che mette in relazione tra loro le varie sequenze
di numeri con parole come „fatturato”, „margine di contribuzione 1” e „margi-
ne di contribuzione 2” oppure „delta rispetto all’anno precedente”. Secondo la
propria funzione all’interno dell’impresa, e dunque secondo l’orizzonte cono-
scitivo ed esperienziale, le persone hanno tuttavia criteri di rilevanza diversi.
Così avviene che i medesimi dati producono nei vari „osservatori”
un’informazione diversa. Non solo: da quell’informazione gli osservatori trag-
gono conclusioni diverse cui fanno seguire differenti azioni, legittimate con il
proprio sapere specifico. Significa che dalla stessa lista un responsabile marke-
ting trae conclusioni e persegue intenti del tutto diversi, per esempio, da una
responsabile di produzione.
66
3.4 Il sapere come atto di valutazione complesso – i principi di ordinamento
nelle organizzazioni
Una definizione del concetto di sapere che lo colleghi all’esperienza, al knowing
how, è senz’altro in linea con i più recenti concetti di teoria della comunicazio-
ne. Questi intendono il sapere come un processo oppure, per usare le parole di
Niklas Luhmann, come un „atto di valutazione complesso”. Il sapere è ciò di cui
si dispone a livello strutturale nelle operazioni volte a „chiarire quale differenza
faccia la differenza” o, più semplicemente, il sapere è la modalità attraverso la
quale individui, team e organizzazioni, nella loro gestione del quotidiano, per-
cepiscono e valutano un fatto e in tal modo lo comprendono. Il sapere poi non
deve essere appositamente richiamato, il sapere è già presente
nell’elaborazione delle informazioni intese come dati significativi. Per cui il
sapere è un preciso tipo di prassi fondata sull’esperienza.
L’esperienza stessa è, come abbiamo già detto, strutturata, vale a dire che
tende a creare modelli. I modelli vengono creati, validati e trasformati in base a
determinate regole. Ma esperienza e modelli sono due aspetti dello stesso
fenomeno: i modelli conferiscono al comportamento quotidiano una forma
coerente indirizzandolo verso il raggiungimento di determinati effetti e risulta-
ti; l’esperienza che nasce dall’azione viene a sua volta integrata nei modelli che
la strutturano.
Da questo punto possiamo creare un collegamento con i „principi di ordina-
mento” dei sistemi sociali (espressione coniata da Rüegg-Stürm – Rüegg-Stürm,
2002). I principi di ordinamento cercano ininterrottamente di imporre al caos
strutture chiare e gestibili, ovvero un’organizzazione. In questo modo tengono
insieme il mondo dell’organizzazione. Senza principi di ordinamento
l’organizzazione non potrebbe consistere. Essi sono una sorta d’insieme di
regole che configurano un gioco. Nelle regole il sapere si concretizza come un
condensato dell’esperienza vissuta sotto forma di specializzazione o di eccel-
lenza; le regole danno orientamento, creano coesione e insieme identità.
Con il concetto „principi di ordinamento” indichiamo un certo tipo di sapere: il
sapere sociale o organizzazionale. Senza voler qui entrare in merito alla que-
stione, se esista o meno un sapere dell’organizzazione o se si possa attribuirlo
67
solo agli individui all’interno della stessa, vogliamo chiarire meglio i termini di
„sapere individuale” e „sapere sociale” e le loro modalità di interazione.
Il sapere, così come le capacità e le abilità individuali, sono costantemente
richiamati dalle aspettative che esistono all’interno di un contesto sociale. Fare
qualcosa di sensato insieme agli altri significa rispondere alle aspettative che, in
una determinata circostanza, esistono in maniera latente oppure si manifesta-
no espressamente. Secondo Dirk Baecker, il sapere sociale altro non è che la
somma delle aspettative manifestate nei confronti dei singoli individui e da
questi corrisposte in maniera continuativa.. Tali aspettative derivano da mosse
di gioco che, ripetute regolarmente, determinano nel loro insieme la prassi
quotidiana. La complessa interazione che esiste tra il sapere che „risiede nelle
menti” e il sapere che „risiede nelle circostanze”, si può intendere come ac-
coppiamento strutturale (Baecker, 1999, p. 65 ss.). Lo sviluppo delle due forme
di sapere, che in realtà è molto difficile distinguere, avviene all’interno di un
processo coevolutivo.
Riferito a un’impresa ciò significa che tutti i collaboratori mobilitano e svilup-
pano esattamente quelle competenze – abilità e capacità – di cui hanno biso-
gno per affrontare il quotidiano; quotidiano che si tara col tempo, secondo le
capacità e le abilità disponibili. Ed è questa circolarità ad allungare i tempi del
cambiamento culturale: se da un lato qualsiasi intervento sull’apparato delle
regole fondamentali viene in genere pesantemente sanzionato, dall’altro tutti
gli appelli fatti a fin di bene non vengono ascoltati.
3.4.1 Ciò che tiene insieme un’organizzazione
Cosa sono esattamente i principi di ordinamento e come funzionano? I principi
di ordinamento creano diversi „pattern” o trame (Rüegg-Stürm, 2002, p. 23, 37
ss). Questi pattern non sono affatto rigidi, si modificano anzi gradualmente e di
pari passo con i vari livelli di sviluppo di un’organizzazione; anche quando i
collaboratori rispettano le regole si verificano devianze minime o significative.
Quando tali devianze prevalgono, ad esempio perché producono i risultati
desiderati, danno gradualmente luogo a nuove regole avviando così un proces-
so evolutivo.
68
Nella sua concettualizzazione dei principi di ordinamento, Rüegg-Stürm segue il
pensiero di Anthony Giddens: „Secondo un concetto dualistico di struttura, i
principi strutturanti sono sia il risultato che il mezzo delle prassi con le quali i
sistemi sociali si organizzano in maniera ricorsiva” (Giddens, 1995, p. 77), così
scrive Giddens nella sua opera più significativa sull’alternarsi di regole e prassi.
I modelli e i sistemi di regole che configurano un’organizzazione o, secondo
Giddens, una „struttura”, si condizionano reciprocamente. In questa accezione
l’organizzazione non è più nulla di statico ma diventa il movimento che si crea
in seguito al condizionamento reciproco tra regole e attuazione concreta delle
stesse (Grafica 2).
Grafica 5: Struttura circolare - Principi di ordinamento / Azione regolamentata
Generalmente i principi d’ordinamento vengono classificati nelle tre dimensio-
ni sovra esposte: strategia – struttura – cultura. Varie teorie e modelli cercano
di coglierne le interrelazioni e i meccanismi che generano nel concreto i vari
tipi di cultura, strategia e struttura. La sintesi, elaborata da Rüegg-Stürm nel
modello di management di S. Gallo, ci pare particolarmente adatta come
„strumento di navigazione” per il consulente che voglia usare l’approccio delle
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costellazioni. Pertanto la illustreremo più in dettaglio nella seconda parte del
libro.
L’orientamento strategico
Le strategie contengono un tipo di sapere che orienta le azioni focalizzandole
sugli aspetti decisivi per il successo. Inoltre le strategie contengono anche il
sapere riferito al potenziale interno ed esterno che può essere realizzato e che
deve essere quotidianamente riattivato.
L’agire quotidiano reclama una strategia che faccia da punto di riferimento cui
richiamarsi in ogni momento. Perciò in molte organizzazioni, specialmente in
tempi di cambiamenti, riecheggia la richiesta di una strategia esplicita e forma-
le. Grazie alla strategia ognuno sa di essere sulla strada „giusta” ossia quella del
successo. In questo senso la strategia assorbe l’insicurezza di tutte le parti
coinvolte. Si potrebbe perciò affermare che le strategie sono sistemi di regole
che determinano i campi d’azione e le risorse disponibili di un’organizzazione,
sempre con lo sguardo rivolto al conseguimento del successo.
Strutture coerenti
Le strutture fanno si che le reciproche aspettative di dirigenti e collaboratori,
che devono cooperare in un gioco comune, non vengano continuamente disat-
tese. Esse si manifestano nella „disposizione tattica della squadra in campo”
dalla quale tutti possono derivare il „sistema” di gioco con le sue mosse fon-
damentali per il successo e i rispettivi ambiti di competenza.
La struttura definisce altresì il comportamento (standard) più utile e sensato
per i singoli giocatori; allo stesso tempo la struttura viene consolidata dai com-
portamenti ricorrenti che le danno coerenza. Le strutture coerenti sono il risul-
tato di costanti processi di coordinamento e insieme determinano a loro volta
questi processi.
Da questa definizione si evince che, parlando di „struttura”, Rüegg-Stürm non
si riferisce solamente al risultato delle attività organizzative quali
l’organizzazione funzionale e gerarchica e alla sua espressione negli organi-
grammi e nelle procedure. A lui interessa anche il processo di strutturazione.
70
„L’ordine e l’organizzazione risultano (…) da processi di strutturazione ai quali
una moltitudine di persone partecipa in vario modo e in varia misura” (ibidem,
p. 53). Gli stessi processi di strutturazione si svolgono a loro volta secondo un
sistema di regole. Sono proprio le strutture che si sono evolute nel tempo a
limitare il margine di sviluppo di un’impresa. Molti (change-)manager hanno
già dovuto fare i conti con la farraginosità di tali strutture, specialmente laddo-
ve una nuova forma organizzativa è stata percepita dalle parti come „imposta
dall’alto” e pertanto rifiutata.
Anche per quanto riguarda il principio di ordinamento chiamato „struttura” si
può fare un collegamento con la tesi secondo cui le organizzazioni sono sistemi
di „pattern” che si sviluppano secondo regole precise. Le strutture sono sistemi
di regole che, nell’ambito dei campi d’azione di un’organizzazione, stabiliscono
da un lato una divisione del lavoro adeguata – permettendo così di ottenere un
guadagno in termini di efficienza e produttività –, dall’altro fanno si che le pre-
stazioni parziali possano essere coordinate e integrate in un tutto (ibidem, p.
48 s).
Questa accezione di struttura amplia lo sguardo verso una dinamica che non è
possibile fissare in un organigramma o in un piano procedurale. Intesa in que-
sto senso una struttura diventa l’equilibrio dinamico tra le regole che configu-
rano le relazioni lavorative e l’effettivo svolgimento del lavoro.
Cultura: un orizzonte di senso condiviso
Nell’ambito del sistema di regole che costituiscono i principi di ordinamento. si
sviluppa gradualmente anche l’identità dell’impresa che non è altro che un
orizzonte di senso condiviso. In linea con altri noti autori, come per esempio Ed
Schein, Rüegg-Stürm parla in questo caso di „cultura”.
Solo un comportamento capace di creare senso può essere attivato in maniera
continuativa nelle organizzazioni. Se degli individui, dei team o intere organiz-
zazioni non si identificano in qualche modo in quello che stanno facendo, prima
o poi lasceranno cadere il loro impegno trasformandosi in meri „esecutori
meccanici”. Il senso è pertanto una risorsa potente per creare e mantenere
coerenza e continuità.
71
La cultura è anche la patria della Weltanschauung che vale all’interno di
un’organizzazione; in essa sono iscritte le risposte tipiche a domande fonda-
mentali quali: „Come vogliamo contribuire al mondo?”, „Cosa ci sentiamo di
fare?”, „In che modo intendiamo trattare i nostri clienti?” e „Cosa pensiamo
dei nostri collaboratori, colleghi e dirigenti?”
Le risposte a queste domande seguono a loro volta una logica ben determinata
– anche le logiche sono sistemi di regole – condensandosi fino a diventare vere
e proprie teorie alle quali viene fatto ricorso ogni qualvolta delle valutazioni o
delle attività devono essere legittimate nei confronti di sé stessi o di terzi.
Non solo le teorie fanno parte della cultura ma anche le più svariate forme di
materializzazione all’interno di un’organizzazione. Sedi aziendali tipo maniero
feudale o tipo capannone di produzione ridotto all’essenziale, scolpite nella
pietra o colate nell’acciaio e nel cemento, manifestano in egual misura una
determinata appartenenza culturale. La cultura assume la sua forma peculiare
anche nell’allestimento degli ambienti di lavoro, nella rappresentazione di sé
stessa di fronte ai clienti e, molto più in generale, in tutti quegli aspetti secon-
dari che „arricchiscono” la quotidianità lavorativa.
3.5 Regole e routine
In base a quanto finora esposto, risulta evidente che i principi di ordinamento
condizionano tutti i nessi comunicativi e operativi, e dunque l’intera vita inter-
personale o sociale, all’interno di un’organizzazione. Da essi nascono sia un
insieme di ricette valide per determinate situazioni sia una tradizione che go-
verna in generale comportamenti e procedure. Attraverso la comunicazione si
crea un orizzonte di aspettative capace di conferire senso alle azioni dei parte-
cipanti e di coinvolgerli nell’organizzazione. „Quando si affrontano compiti e
sfide simili e ricorrenti facendo riferimento *…+ ai principi di ordinamento, con il
tempo si determinano modelli comunicativi e comportamentali tipici per ogni
impresa. Si parla di routinizzazione del flusso operativo *…+. Lo sviluppo dei
principi di ordinamento „strategia”, „strutture” e „cultura” e la routinizzazione
del flusso operativo formano in un certo qual senso le due facce della stessa
medaglia.” (ibidem, p. 61) Mentre una faccia della medaglia mostra il regola-
mento dell’organizzazione nel suo insieme, l’altra rappresenta il quotidiano
72
osservabile ed esperibile e le routine dell’organizzazione. Entrambe le facce si
condizionano a vicenda e stanno in un rapporto di ricorrenza. Gettando uno
sguardo frettoloso sull’organizzazione si coglie tuttavia solo il singolo evento
concreto e non le dinamiche che lo determinano.
Questo apparato di regole non sempre è chiaramente riconoscibile e in genere
viene formulato per iscritto solo parzialmente per poi essere inserito nelle linee
guida, nei manuali, nelle istruzioni ecc. Ma la parte di regole di gran lunga mag-
giore resta nell’ombra: esse attengono al sapere implicito e producono i loro
effetti senza che le parti ne siano consapevoli. È come se pilotassero le parti a
loro insaputa. „Perché si fa così e basta…” é la risposta alla domanda sul perché
qualcosa venga fatto in un certo modo anziché in un altro. Insistere ulterior-
mente sul „perché” e sull’„esattamente come” in genere provoca imbarazzo.
Il fatto che vi sia consapevolezza solo parziale dei principi di ordinamento non
ha conseguenze particolarmente drammatiche, dal momento che tutti reggono
il gioco. Le regole semplicemente „si eseguono”, anche perché l’esperienza ha
dimostrato che il rispetto „automatico” delle regole offre un certo sollievo
accrescendo la reciproca certezza che le aspettative saranno corrisposte.
Le difficoltà nascono solo quando cambia il gioco e ciò solitamente avviene
nell’ambito di un cambiamento della strategia e/o del assetto organizzativo. In
quel caso regole vecchie e nuove si scontrano e, poiché una parte delle vecchie
regole viene eseguita in maniera inconsapevole, l’„ordine precedente” presen-
ta una sua solidità. A ciò si aggiunge che le nuove regole, poichè non ancora
negoziate, risultano poco chiare oppure, quand’anche vengono messe in di-
scussione da una parte degli attori coinvolti, questi adottano un atteggiamento
paradossale che si potrebbe così riassumere: „Sì ai cambiamenti, ma a condi-
zione che il gioco consueto continui!”
3.6 Le regole nei sistemi sociali
Anche in un’azienda strettamente orientata ai risultati, il management avrà
piuttosto un vago sentore che una chiara consapevolezza dei complessi mecca-
nismi che attengono al conseguimento del successo. Nel quotidiano si presta
poca attenzione all’armonizzazione delle regole di base, ovvero alla „cultura”,
73
su di essa non si riflette in modo critico e pertanto il contributo delle regole per
la sopravvivenza dell’impresa resta in ombra. Di tanto in tanto singole persone
sfruttano abilmente tali regole per perseguire i propri interessi agendo, ovvia-
mente, in maniera non troppo palese.
Vale la pena di approfondire ulteriormente ciò che chiamiamo le regole, dato
che non tutte le regole producono gli stessi effetti. La loro efficacia si distingue
significativamente in base alla forma, alla portata e al contesto di applicazione.
Pertanto meritano l’attenzione di chi è interessato ad una gestione consapevo-
le dei principi d’ordinamento.
Parleremo in seguito brevemente della differente efficacia delle regole se-
guendo la teoria di Fritz B. Simon che, appoggiandosi agli studi antropologici di
Edward T. Halls, distingue tre livelli di regole: quelle grammaticali, quelle in-
formali e quelle tecniche. (Simon, 2004, p. 231 ss)
3.6.1 Le regole grammaticali
Il rispetto delle regole grammaticali è dato per scontato. Nessuno s’interroga
circa il loro senso e scopo. Senza perdere tempo in lunghe riflessioni o discus-
sioni, ognuno sa cosa è giusto e cosa è sbagliato, cosa va fatto e cosa no. In
particolare l’infrazione delle regole grammaticali è sanzionata in maniera for-
temente emotiva; dal livello emozionale delle reazioni si capisce quando si è
fatto un passo falso.
Nell’ambito del processo di socializzazione tali regole vengono interiorizzate
diventando una seconda natura. Un tipico esempio per spiegare le regole
grammaticali è la madrelingua: tutti la parliamo praticamente perfettamente
senza doverne conoscere le regole.
Il raggio di validità delle regole delimita inoltre l’appartenenza; chiunque in-
franga ripetutamente le regole grammaticali rischia di essere escluso. Queste
regole vengono interiorizzate automaticamente attraverso l’esperienza (trial
and error); determinano i confini di un sistema e producono un’elevata certez-
za che le aspettative saranno corrisposte.
74
Le regole grammaticali inducono cicli di retroazione negativa che hanno
l’effetto di consolidare la struttura. „Simili regole si modificano solo lentamen-
te; i loro schemi rappresentano la tradizione. Sono inflessibili, rigide e longeve
ma soprattutto generano identità per il sistema e per coloro che ne fanno par-
te.” (ibidem, p. 235).
3.6.2 Le regole informali
A differenza delle regole grammaticali quelle informali offrono più gioco
all’interpretazione. Per esse, giusto e sbagliato non sono definiti in maniera
così netta e, di fronte a possibili devianze, non vi sono reazioni né sempre pre-
vedibili né particolarmente violente. Cicli di retroazione positiva dirigono
l’attenzione su ciò che dovrebbe essere. Le regole vengono debitamente inte-
riorizzate mediante imitazione di schemi comportamentali che promettono
successo. Poiché le regole informali sono generalmente meno longeve di quelle
grammaticali, non sono altrettanto efficaci nel generare identità. Le regole
informali possono stare in relazione complementare, neutrale o conflittuale
con le grammaticali.
Entrambi i tipi di regole „interagiscono” implicitamente e sono percepite in
maniera poco o per nulla consapevole, ma ciò non diminuisce affatto il loro
effetto. Gli schemi comportamentali o strutture, routine, pratiche o abitudini
che ne derivano, si svolgono in maniera non mirata, auto-organizzata e sono in
continua evoluzione. Parlarne viene vissuto come un’interferenza e comporta
un certo rischio.
3.6.3 Le regole tecniche
Le regole tecniche, al contrario, stabiliscono le procedure mediante le quali si
dovranno raggiungere gli obiettivi concordati. Fanno parte del sapere esplicito
e pertanto se ne può parlare apertamente. La trasmissione di queste regole
avviene per mezzo di comunicazioni scritte e/o verbali, corsi di formazione,
colloqui individuali ecc., cosicché possono essere presentate e discusse anche
75
possibili alternative. Le regole tecniche danno istruzioni per un comportamento
concreto e danno un orientamento esplicito.
Le regole tecniche possono essere introdotte o abolite in maniera relativamen-
te rapida, è solo una questione di processi decisionali. Ciò fa si che le regole
tecniche siano lo strumento preferito di uno stile dirigenziale di tipo „ingegne-
ristico”. Sullo stesso piano delle regole tecniche si collocano i piani strategici
che corrono pertanto il rischio di arenarsi nei fondali insidiosi delle regole
grammaticali e informali.
3.7 La costellazione sistemica come ricettore del sapere sociale implicito
In base ai precedenti ragionamenti possiamo ora comprendere più chiaramen-
te cosa sia oggetto della costellazione sistemica e cosa offra esattamente. Con
la costellazione sistemica abbiamo trovato un metodo che ci permette di rico-
noscere le strutture che stanno dietro alle situazioni contingenti. Essa è un
codice che riesce a far esprimere ciò che a livello individuale abbiamo definito
come „maestria” e a livello aziendale come „eccellenza”. Entrambe hanno
tuttavia molto a che vedere con l’esperienza.
Può apparire paradossale che l’esperienza, in tempi di continuo cambiamento,
diventi un fattore determinante per il successo. Eppure, in situazioni difficili e
complesse, l’esperienza ci permette di muovere un primo passo. L’esperienza ci
trasmette certezza. Il sapere razionale invece provoca discussioni, fa sorgere
dubbi e richiede dispendiose analisi oppure spinge a fare grandi progetti cui
nessuno crede veramente. Le esperienze possono essere tutt’al più negate ma
non ingannate; ad ogni sapere teorico invece è inerente il dubbio. Perciò in
ambito aziendale vale più come „dato di fatto” o come „reale” ciò che è stato
„negoziato” di comune accordo. Il sapere specialistico „puro” ha sempre più
difficoltà a convincere.
Con la costellazione sistemica approdiamo giocoforza al sapere esperienziale,
già solo per il fatto che questo metodo ci induce a configurare il quadro di una
determinata costellazione e di „esperirne” la qualità specifica attraverso i rap-
presentanti. Ciò è possibile perché ogni essere umano dispone di una sensibili-
tà per percepire la qualità intrinseca di una situazione (Schlötter, 2005). A que-
76
sta percezione partecipa tutto il corpo; il processo è chiamato anche „intuizio-
ne”. Questo cosiddetto „sesto senso” ci mette in relazione con i momenti strut-
turali nascosti di una situazione, sia che essa sia nata „casualmente” nel corso
di una serie di eventi, sia che venga „riprodotta” nel corso di una costellazione.
Si potrebbe perciò dire che la costellazione sistemica dà „voce” ed „espressio-
ne” all’intuizione. Ciò presenta particolari implicazioni. I deboli segnali che
partono dal nostro contesto e che si trasmettono alla nostra intuizione posso-
no essere trasformati in dati, questi a loro volta si convertono in informazioni
affidabili grazie alla chiave di lettura della costellazione sistemica. Sotto questo
aspetto la costellazione è un metodo del tutto nuovo.
Mentre Ikuijro Nonaka e Hirotaka Takeuchi partono dal sapere individuale per
sviluppare concetti capaci di descrivere il percorso verso la condivisione di un
sapere collettivo o sociale, la costellazione manageriale punta direttamente
agli aspetti impliciti dell’intelligenza sociale. Essa apre la visuale sulle aspettati-
ve, gli schemi e le strutture che fondano o „routinizzano” una determinata
prassi e che sono alla base di ogni forma di eccellenza in un’impresa. Così per-
mette all’osservatore di intra-vedere l’apparato normativo sui cui si fondano i
sistemi sociali. A questo punto l’oggetto della costellazione sistemica in ambito
manageriale è esattamente delimitato come sapere implicito sociale o colletti-
vo (Grafica 6).
Grafica 6: L’oggetto d’indagine della costellazione sistemica manageriale
77
La costellazione sistemica, dunque, intercetta il sapere sociale implicito con
una sorta di „quarto codice” (essendo gli altri: le parole, le immagini, i numeri)
in grado di decodificare correttamente i dati che derivano direttamente
dall’intuizione dei rappresentanti. A livello metodologico ciò avviene in quanto
la costellazione sistemica riproduce, ri-costella, una situazione concreta
all’interno di uno spazio scenico. „Entrando in scena” i rappresentanti possono
vivere a livello emozionale e fisico la logica della costellazione stessa. In tal
modo la base del nostro sapere è ampliata di una dimensione decisiva: quella
delle emozioni e delle intenzioni.
Le costellazioni sistemiche in ambito manageriale aprono gli occhi al manage-
ment sugli ordinamenti impliciti, spostando lo sguardo dalla focalizzazione sul
risultato „puro” cioè espresso in cifre, alla dinamica che si viene a creare
nell’atto di „produrre” un risultato. Allora si possono rappresentare nello spa-
zio e simulare le mosse di gioco, in tal modo il „sistema” prende una forma
concreta e diventa improvvisamente comprensibile.
Con la costellazione, anche il pensiero sistemico e la teoria della comunicazione
entrano naturalmente a far parte del sapere manageriale. Concetti astratti
come „cultura aziendale”, „intelligenza sociale” o „eccellenza”, prendono vita
perché possono essere visti e vissuti. Per esempio diventa comprensibile il
perché strategie e programmi a volte cadano nel vuoto, pur essendo stati ela-
borati e decisi dalla direzione dell’azienda. Tali piani non sono altro che un
fascio di regole tecniche – nella migliore delle ipotesi prive di contraddizioni –
che faranno presa solo se saranno rese compatibili con le regole grammaticali e
informali. O al contrario potranno rivelarsi efficaci se, essendo in conflitto con
queste ultime, provocassero irritazioni tali da avviare un processo di riflessione
critica.
La costellazione sistemica offre inoltre una duplice visuale delle circostanze
nelle organizzazioni; non porta alla luce solo la loro concreta manifestazione
ma anche le condizioni per le loro possibili evoluzioni. Essa evidenzia il com-
plesso delle regole che condizionano una determinata azione e pertanto indica
al manager un nuovo livello d’intervento. Con l’aiuto della costellazione siste-
mica, il management può intervenire in maniera consapevole sulla configura-
78
zione del sistema di regole che caratterizzano la cultura aziendale. Il potenziale
di un simile management of rules è raramente sfruttato fino in fondo, in modo
da garantire efficacia ed efficienza dell’organizzazione. Nella frenesia quotidia-
na di inseguire gli obiettivi, inevitabilmente si perde di vista questa dimensione;
la focalizzazione sui soli contenuti fa dimenticare l’importanza della forma.
Qui sta il vantaggio decisivo che la costellazione sistemica offre al manage-
ment: distogliere lo sguardo dai contenuti concreti lo sposta sulle dinamiche
interne ai principi di ordinamento, dunque su ciò che sta alla base delle inten-
zioni e che condiziona la riuscita di un’azione. Allo stesso tempo la costellazio-
ne conserva un aggancio con i contenuti concreti; in questo modo le soluzioni
elaborate in maniera scenica possono essere ricollegate alla prassi.
„L’abbandono” del piano strategico
La seguente descrizione di una serie di costellazioni avvenute, nel corso di poco
più di sei mesi, con un team incaricato dello sviluppo e dell’implementazione di
una nuova strategia servirà a illustrare ulteriormente quanto sopra esposto.
In una costellazione si doveva verificare quale consenso avesse già ottenuto il
nuovo piano strategico elaborato dal gruppo dirigente e introdotto da poco. In
particolare il CEO (Chief Executive Officer) aveva i suoi dubbi in proposito, dub-
bi che si manifestavano attraverso il classico „mal di pancia” che era insieme
fisico e metaforico e voleva sapere se la sua preoccupazione era giustificata. La
disillusione fu grande: la costellazione fornì chiare indicazioni sul fatto che
nell’impresa i manager (inclusi i membri della direzione) erano motivati soprat-
tutto da alcuni grossi ordini conferiti da clienti chiave, non certo dal nuovo
piano strategico. Le pratiche organizzazionali, di conseguenza, erano orientate
a soddisfare individualmente i desideri concreti dei clienti. A livello operativo
tutto appariva piuttosto caotico. Le persone e gli uffici addetti avevano eviden-
temente raggiunto il limite del loro rendimento; ciononostante continuavano a
cavalcare l’onda dell’entusiasmo prodotta dal desiderio di esaudire le richieste
dei singoli clienti e, allo stesso tempo, erano fieri di „avercela fatta ancora una
volta nonostante tutto e a qualunque costo”.
79
All’inizio i membri del team manageriale restarono semplicemente senza paro-
le. L’irritazione era tale che non fu possibile mettersi d’accordo sulle conse-
guenze della situazione di cui avevano appena preso atto. Ma una cosa era
diventata chiara: evidentemente le routine quotidiane avevano dato luogo a
una cultura intrisa di teorie locali. Queste non permettevano di accogliere nuo-
ve regole formali, imposte in base ad una strategia il cui senso non si riusciva a
comprendere.
Due mesi più tardi il CEO, pieno d’orgoglio, presentò vari cartelli sui quali erano
rappresentate importanti tappe dello sviluppo dell’impresa, cartelli che furono
appesi negli uffici dell’azienda. La serie di immagini, riportanti scene caratteri-
stiche della quotidianità aziendale, segnava il percorso dal passato verso il
futuro. Il piano strategico e le opportunità, che queste immagini cercavano di
cogliere, avevano preso forma e se ne potevano riconoscere la logica e
l’origine. Nel corso dei vari incontri, dirigenti e collaboratori erano passati da-
vanti a questi „Quadri di un’esposizione” soffermandosi a parlare dei valori che
li guidavano.
Dopo qualche tempo una nuova costellazione confermò il sospetto che nella
prima fase la nuova strategia non aveva offerto alcun orientamento convincen-
te. Un progetto che prevedeva la produzione di piattaforme di prodotti stan-
dardizzati e che era stato avviato come misura per attuare la strategia rischiava
di naufragare clamorosamente. La costellazione doveva chiarire le cause
dell’insuccesso. L’immagine che si presentò ricordava un corteo funebre. Tra
l’altro mostrò che quasi nessuno aveva lo sguardo rivolto al progetto e che i
responsabili dell’implementazione trovavano pochissimo sostegno da parte del
management team. Divenne pertanto chiaro che, rispetto al nuovo orienta-
mento strategico, esisteva un conflitto inespresso. Nella discussione che fece
seguito alla costellazione, per la prima volta furono espressi chiaramente i
differenti punti di vista dei membri della direzione. Già durante questo scambio
iniziale furono prese in considerazione varie possibilità di ridimensionare la
standardizzazione radicale a favore di una maggiore collaborazione con i clienti
chiave nello sviluppo dei prodotti.
Era la prima volta che la direzione entrava in una discussione sulla coerenza dei
principi d’ordinamento della propria impresa. Grazie alla costellazione le fu
80
possibile avviare un dialogo approfondito sulle interrelazioni tra alcuni aspetti
della cultura d’impresa senza che si instaurasse una sensazione d’impotenza.
Sensazione che spesso si osserva quando si cerca di affrontare questioni ine-
renti le regole basilari del comportamento organizzazionale.
81
4 Le costellazioni sistemiche come processo di sensemaking
Ormai nessuno mette più seriamente in dubbio che le costellazioni sistemiche
producano degli effetti. Invece si è in disaccordo rispetto alla questione su cosa
avvenga di fatto in una costellazione, domanda per la quale esiste una lunga
serie di possibili spiegazioni. Si tratta forse di un oracolo moderno, come ha
sostenuto a mo’ di provocazione Michael Zirkler nell’ambito di un congresso? O
sarebbe piuttosto un linguaggio trans-verbale, come afferma Matthias Varga
von Kibéd? Sono il movimento dell’anima, come le vede oggi Bert Hellinger?
Oppure sono semplicemente occasioni per narrare storie con un inizio proble-
matico e un lieto fine?
Taluni suppongono che nelle costellazioni possa essere rappresentata la verità.
A questo proposito Jakob Schneider sostiene che „le costellazioni trattano della
verità” (Schneider, 2008, p. 17), anche se subito dopo aggiunge che tale affer-
mazione può apparire azzardata. In precedenza aveva posto il concetto della
verità sullo stesso piano con quello dell’amore, della forza, dell’ordine e
dell’anima. Si potrebbe dedurre che Schneider consideri la costellazione siste-
mica come una prassi al servizio di verità, bontà e bellezza, tanto da farlo rien-
trare – e con lui molti altri costellatori – in una tradizione di pensiero che si
ispira all’Idealismo tedesco.
Proponiamo qui, invece, un altro tipo di concettualizzazione del lavoro di co-
stellazione che si appoggia al pragmatismo di matrice americana. Non mettia-
mo in dubbio che la costellazione sistemica attivi modalità percettive e con
esse conoscenze molto specifiche; tuttavia sosteniamo che nel lavoro con le
costellazioni si tratta di sensemaking – cioè della creazione di senso – e non
tanto della rivelazione di un ordine spirituale superiore. E siccome siamo con-
sapevoli del fatto che l’espressione „creazione di senso” non rende esattamen-
te il significato del termine inglese, useremo il termine originale: sensemaking.
In genere si ricorre alle costellazioni sistemiche – specialmente in ambito lavo-
rativo – quando non si è riusciti altrimenti a trovare vie di uscita da situazioni
problematiche. Nel corso di un processo costellativo accade ciò che Claus Otto
Scharmer descrive nella sua U-Theory come „to sense, enact and embody the
82
future as it emerges”, in altri termini: si crea il futuro (Scharmer, 2000, p. 11).
Un futuro che non consiste nella riproduzione di quanto già noto bensì un futu-
ro realmente nuovo e liberatorio. Si spiegherebbe così anche la sensazione di
sollievo che i rappresentanti avvertono quando una costellazione volge verso la
soluzione. Il fruitore della costellazione non è più intrappolato in abitudini
limitanti, ha deposto i gravami del passato e si sente libero di fare quello che è
necessario nel qui e ora.
La costellazione, così come noi la intendiamo, mira a una soluzione pratica e ha
come obiettivo quello di liberare energie per muovere un primo passo in que-
sta direzione. Operare con il concetto di verità in un simile contesto ci appare
piuttosto delicato poiché una visione del futuro e l’impulso di realizzarla non
possono essere definiti come „veri” o „falsi” ma tutt’al più „plausibili” nel senso
di coerenti o sensati. E proprio l’essere plausibile rappresenta un aspetto cen-
trale nei processi di sensemaking.
4.1 Il modello di Karl Weick
Il sensemaking viene stimolato ogni qualvolta nel vissuto emergano aspetti che
catturano la nostra attenzione e che non riusciamo immediatamente a etichet-
tare e a collegare con il sapere preesistente. Così registriamo questi elementi
come dati che creano irritazione. Parlarne dà luogo a plurivocità e ambiguità
che provocano irrequietezza: i dati (ancora) non tornano. Inoltre una conse-
guenza rilevante nel contesto aziendale è che si blocca l’agire concertato dei
collaboratori.
Per uscire dall’empasse si tenterà allora di ridurre l’ambiguità cercando spiega-
zioni plausibili.
La comprensione del fenomeno si nutre in parte di spiegazioni che si erano già
rivelate utili in passato e in parte dell’intensa concentrazione sull’irritazione
causata dai nuovi dati. Se una nuova interpretazione possa così rientrare o
meno nel costrutto delle conoscenze già presenti – e pertanto essere conserva-
ta per altre evenienze – dipende dal fatto se sia o meno plausibile, ovvero
compatibile con tale sapere. Se invece è in contraddizione con esso, viene
semplicemente rimossa e dimenticata.
83
Karl E. Weick, sulle cui riflessioni si basa quanto sopra esposto, ha definito le
fasi del sensemaking come:
1. L’attivazione (enactment), ossia quel processo di interazione dell’individuo
con „l’ambiente ecologico”;
2. La selezione (selection), in base alla quale l’individuo opera delle scelte, eli-
minando le ambiguità contenute nei flussi dell’esperienza;
3. la ritenzione (retention), cioè la fase in cui le informazioni selezionate ven-
gono elaborate e integrate nelle „mappe cognitivo-normative”.
Grafica 7 : Fasi del sensemaking
Il concetto di „mutamento ecologico” indica quei cambiamenti che attirano
l’attenzione e avviano un processo di sensemaking rappresentandone allo
stesso tempo la materia prima. Infatti, finché tutto procede come d’abitudine,
non si presenta alcuna occasione per la creazione di senso. Il termine
enactment indica interazione cognitiva e operativa dei protagonisti con il loro
ambiente. Da una lato i protagonisti reagiscono ai cambiamenti estrapolando
determinati aspetti dal contesto e cercando di nominarli, dall’altro lato, con le
loro (re-)azioni provocano essi stessi dei cambiamenti. L’enactment produce
„discorsi plurivoci” che fungono da materia prima per il sensemaking. In un
secondo momento , le persone attribuiscono un senso compiuto. a tali „discor-
si” Ciò avviene nella fase della „selezione” in cui si applicano ordini e/o struttu-
re che hanno la forma di mappe causali. Esse contengono variabili la cui rile-
vanza è assicurata dalle precedenti esperienze. La „ritenzione” comporta la
memorizzazione dei risultati della selezione e la loro integrazione nelle mappe
causali che conferiscono un senso ai fenomeni osservati. Le tre fasi si condizio-
84
nano reciprocamente: il sapere salvato durante la ritenzione influisce sia
sull’interpretazione sia sulla percezione del „nostro” mondo. L’enactment in-
fluenza a sua volta la selezione e ci può indurre a modificare le nostre mappe
mentali.
Secondo Weick, il sensemaking presenta le seguenti peculiarità:
È un processo ininterrotto senza inizio e senza fine.
Crea l’identità di un sistema e si fonda esso stesso su tale identità.
Al processo partecipa un ampio numero di persone che stanno in un rap-
porto di scambio reciproco (community of practice).
È determinato più dalle azioni che dalle idee e dichiarazioni delle singole
persone.
Si basa su un numero ristretto di fattori selezionati tra una grande quantità
di fenomeni.
È un processo retrospettivo: vale a dire rivolge lo sguardo all’esperienza di
vita che abbiamo memorizzato.
Infine, come già detto, si basa sulla plausibilità delle spiegazioni e non
tanto sulla loro precisione o verità.
Il seguente esempio illustra quanto sopra elencato.
Al margine di un meeting dei responsabili commerciali, due capi area vendite
parlano di un calo del fatturato che non sembra rientrare nei parametri delle
fluttuazioni cicliche. Sul momento la loro osservazione non trova risonanza
poiché, durante l’incontro, il fenomeno non è mai menzionato dai colleghi.
Qualche mese più tardi, però, la situazione cambia. La statistica delle vendite
riporta cifre in calo su vasta scala senza che si riesca a dare una spiegazione del
fenomeno. La congiuntura è stabile e, in quanto leader del settore, l’azienda
ritiene di essere al sicuro. Forse i clienti non avevano digerito l’ultimo aumento
dei prezzi? Ancora una volta il fenomeno non è preso sul serio, ci si affida agli
schemi interpretativi consueti. Fino a quel momento, infatti, la strategia della
leadership dei prodotti aveva funzionato perfettamente.
Solo più tardi, irritati dal persistere di questo fenomeno inquietante, ci si do-
manda: „Forse ci sono sfuggite importanti innovazioni della concorrenza?”
Alcuni direttori delle vendite hanno appreso dai loro venditori che clienti di
85
vecchia data stanno ritardando gli ordini d’acquisto. Quale potrebbe mai essere
il motivo?
Così, finalmente, anche il direttore commerciale inizia a occuparsi del proble-
ma. Si effettuano interviste sistematiche ai clienti e poco alla volta i vari fram-
menti compongono un quadro che ha un senso. Un concorrente astuto era
riuscito a carpire clienti offrendo prestazioni accessorie innovative. Ora, dopo
essersi fatti una ragione della situazione, sono nuovamente in grado di elabora-
re interventi mirati per reagire.
Questo breve episodio rappresenta una situazione molto comune e dimostra
chiaramente che la crisi si avvicina „strisciando” e che le prime avvisaglie, seb-
bene vengano percepite da alcuni, finiscono con l’essere rimosse e riassorbite
dalle teorie prevalenti.
4.2 L’organizzazione secondo Karl Weick
Riteniamo utile per la pratica della costellazione in ambito manageriale appro-
fondire ulteriormente gli studi di Weick. La sua opera fondamentale „The Social
Psychology of Organizing” (1979, 1969) tratta della teoria organizzazionale e
illustra in maniera convincente che l’organizzazione emerge dai processi di
sensemaking. In tal modo si discosta nettamente dalle teorie delle scienze
economiche classiche che, finora, hanno inteso l’organizzazione come mezzo
per raggiungere determinati obiettivi. Per Weick l’organizzazione va intesa
piuttosto come „mappa mentale” collettiva che un gruppo di persone sovrap-
pone al flusso esperienziale per imprimergli temporaneamente un certo ordine
e senso; organizzare è visto come un processo collettivo di sensemaking. In tal
modo Weick anticipa un aspetto basilare della teoria organizzazionale sistemi-
ca. Egli si concentra radicalmente sull’atto creativo ovvero sull’aspetto proces-
suale dell’organizzazione.
Inizialmente tale concezione può apparire straniante perché siamo abituati a
vedere le aziende come entità costituite da persone, edifici, lunghi corridoi e
cumuli di pratiche piuttosto che da un intreccio di processi di comunicazione.
86
Di fatto, tuttavia, le aziende continuano anche, per esempio, quando un grup-
po di collaboratori a fine turno torna a dedicarsi ai propri interessi personali,
mentre un altro gruppo inizia un nuovo turno. Un’azienda, pur dipendendo
dalle persone che vi lavorano, non ne è semplicemente la somma. Le persone
sono risorse ma le aziende, di per sé, rappresentano solo la modalità con la
quale queste risorse si relazionano allo scopo di produrre senso insieme.
Edifici, impianti e pile di documenti sono solo „effetti secondari” dell’azienda,
ovvero sono ciò che risulta da decisioni prese in modo più o meno coordinato
all’interno dell’azienda stessa. E il processo decisionale è a sua volta sempre
compreso nei processi di produzione di senso.
Dobbiamo pertanto abbandonare l’idea che le organizzazioni siano entità ma-
teriali; un imponente palazzo che si affaccia su una famosa passeggiata lungo-
lago rappresenta, in uno stile „feudale”, un’azienda, ma l’azienda in sé non è
questo palazzo. Essa consiste essenzialmente in una serie di eventi fugaci più o
meno interdipendenti nell’ambito dei quali si elabora un senso (cosa che ad un
certo momento può portare anche alla costruzione di palazzi). A questo propo-
sito sostiene ancora Karl Weick: „Nelle aziende la maggior parte delle ,cose’
sono in realtà solo relazioni, ovvero variabili interconnesse in maniera sistemi-
ca” (ibidem p. 129).
4.3 Costellazioni come processo collettivo di sensemaking
Lasciamo le teorie di Karl E. Weick per tornare alle costellazioni portando tut-
tavia con noi il modello di sensemaking. Lo riteniamo infatti particolarmente
adatto a rappresentare la prassi costellativa e i processi comunicativi che la
sottendono. Arriviamo persino a sostenere che tra l’organizzare, il produrre
senso e il costellare a livello sistemico vi sia una forte affinità sul piano struttu-
rale. Come per il processo di sensemaking identifichiamo anche per le costella-
zioni quattro momenti.
1. I clienti mettono in scena la loro „immagine interiore” di una situazione
problematica creando così un contesto dinamico, o per usare le parole
di Weick, un „cambiamento ecologico” col quale devono interagire. In
questo senso è assolutamente corretto definire le costellazioni come
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simulazioni che, nella maggior parte dei casi, trattano di questioni inde-
cidibili. Heinz von Foerster definisce tali questioni come segue: „Quando
ci troviamo di fronte a questioni sostanzialmente indecidibili ci liberia-
mo da ogni imposizione, persino da quella della logica, assumendoci con
la libertà così conquistata anche la responsabilità della scelta. Tutti sia-
mo liberi di decidere chi vogliamo essere e insieme alla decisione ci as-
sumiamo anche la responsabilità per il nostro essere” (Foerster e Pörk-
sen, 1998, p. 157). Spesso, in queste simulazioni, affrontiamo anche si-
tuazioni apparentemente senza via d’uscita: semplicemente non era
possibile risolverle con gli strumenti abituali.
2. L’immagine della situazione messa in scena e le reazioni dei rappresen-
tanti, inizialmente, risultano irritanti rispetto alle mappe mentali tradi-
zionali. Nel comunicare la loro risonanza corporea i rappresentanti pro-
ducono frammenti di un „discorso plurivoco” che tocca il fatto rappre-
sentato e lo trascende. In tal modo genera la „materia prima” per una
successiva interpretazione che può includere pure aspetti nuovi. Anche
ciò che prima non era stato visto (forse perché rimosso o distorto) può
essere ora incluso nel processo di sensemaking, ciò che non serve invece
può essere tralasciato. La sensazione di sollievo che s’instaura gradual-
mente e i commenti rispetto alle differenze percepite dopo un cambio
di posizione dei rappresentanti offrono indicazioni per la direzione nella
quale muoversi per ridurre la plurivocità (enactment).
3. Nella fase di selezione (selection) i clienti interpretano quanto è emerso
dalla costellazione in base al loro sapere esperienziale precedente. In
questa fase della Management Constellation avviene il passaggio dal
medium scenico a quello verbale. Si consiglia di compiere tale passaggio
in maniera esplicita e chiara. È importante fare in modo che i segnali più
deboli che emergono attraverso la risonanza corporea vengano recepiti
e che non vengano date spiegazioni e interpretazioni affrettate basate
sui consueti costrutti razionali, non solo dei clienti ma anche del facilita-
tore. La capacità di sopportare il non-sapere a questo punto ci appare
molto importante.
88
4. Nel corso del dialogo i clienti si accordano progressivamente
sull’interpretazione che ritengono più rispondente. In parte essa con-
ferma il sapere preesistente e in parte lo mette in discussione. Avviene
dunque un processo di apprendimento. Come dimostra Andrea Berreth
in una sua ricerca sugli effetti delle costellazioni in azienda, inizialmente
i manager tendono a confermare le proprie teorie, eventualmente adat-
tandole, piuttosto che metterle in discussione innovandole (Berreth,
2009). Siamo dell’avviso che il tipo di apprendimento che sarà adottato
dal team manageriale – un semplice adattamento oppure un rinnova-
mento delle teorie d’azione – dipenda più dalla fase preliminare alla co-
stellazione che non dalla costellazione stessa. Dipende innanzitutto dalla
scelta del tema e del relativo segmento di sistema se la costellazione è
usata per confermare una determinata decisione, oppure per riflettere
in maniera critica sulle premesse per le scelte da compiere. Nel primo
caso si tenderà verso un apprendimento adattivo, nel secondo verso un
apprendimento volto al cambiamento.
Grafica 8: Affinità strutturale tra sensemaking e prassi costellativa
4.4 La peculiarità delle costellazioni manageriali
Dinnanzi a questo background teorico le peculiarità delle Management Con-
stellations risulta ancora più chiaro:
89
Oggetto centrale della costellazione sono le domande di un intero gruppo
o di un team rispetto al successo dell’azienda nel suo insieme o di un seg-
mento della stessa, non i temi di singoli individui e le loro interazioni.
L’attenzione è rivolta agli schemi comportamentali derivanti dai modelli
mentali collettivi piuttosto che agli attriti e irretimenti tra singoli individui.
Si cercano di individuare i primi passi verso una soluzione sostenibile e
congruente piuttosto che la configurazione di un „giusto ordine” delle co-
se. È più importante la concreta „applicabilità”, ovvero l’utilità delle solu-
zioni, piuttosto che una presunta verità o esattezza.
Il momento centrale è l’esperienza collettiva del passaggio dall’irritazione
all’informazione - cioè la creazione di senso - e non, come nelle costella-
zioni terapeutiche, la catarsi del protagonista principale che si produce
nell’ambito di un rituale di passaggio.
La costellazione in ambito manageriale è sempre integrata con altri metodi
dialogici basati sul concetto della Learning Organization, metodi che facili-
tano la traduzione a livello verbale delle esperienze corporee.
Di centrale importanza sono la scelta del segmento di sistema nonché del
modello euristico che ne rappresenta le dinamiche fondamentali.
Concludiamo la presente prospettiva con una citazione da Karl E. Weick (ibi-
dem p. 375) nella speranza che l’invito in essa contenuto possa essere uno
spunto per avviare un processo di sensemaking. „Le aziende offrono
un’occupazione, a volte anche divertente, permettono di fare una quantità di
esperienze, tengono la gente lontana dalla strada, offrono occasioni per rac-
contare storie e permettono loro di socializzare. A parte questo non hanno
nient’altro da offrire.” – E se sostituissimo il termine „aziende” con il termine
„costellazioni”?
90
Parte II Linee guida per le costellazioni sistemiche manageriali
Nella seconda parte del presente volume offriamo una panoramica sulla prassi
della costellazione sistemica, focalizzandoci sull’applicazione specifica in ambi-
to aziendale. Indichiamo le premesse teoriche più rilevanti e illustriamo i passi
metodologici e gli accorgimenti tecnici più comprovati nella pratica. Le indica-
zioni si rivolgono principalmente a consulenti che possiedono già una certa
dimestichezza con la prassi delle costellazioni sistemiche e che vorrebbero
approfondire le proprie competenze per l’applicazione in ambito manageriale.
Quindi, nell’ordine, introduciamo alcuni principi che condizionano lo sviluppo
di sistemi sociali validi anche per le aziende; parliamo della procedura della
costellazione sistemica con riferimento ai tre setting possibili; descriviamo le
singole fasi del processo tipico di una costellazione; offriamo una panoramica
degli schemi interpretativi cui fare riferimento a seconda delle tematiche da
affrontare che sono alla base dei diversi formati (vedi cap. 8) della costellazione
sistemica. A conclusione di questa seconda parte accenniamo a varie metodo-
logie complementari che impieghiamo per integrare la costellazione vera e
propria in un processo di consulenza.
91
5 Presupposti per il successo
Nel corso dell’esperienza con la metodologia delle costellazioni sistemiche
sono emersi, con crescente evidenza, alcuni principi fondamentali che condi-
zionano lo sviluppo dei sistemi sociali. Matthias Varga von Kibéd e Insa Sparrer
hanno proposto quattro principi che andiamo a esporre di seguito in ordine
d’importanza per la crescita e la riproduzione dei sistemi sociali (Sparrer e
Kibed, 2000, pag. 170).
5.1 L’appartenenza
I meccanismi che legano tra di loro i membri di un sistema sociale sono di fon-
damentale importanza per la sua sopravvivenza e capacità di svilupparsi con
successo. In un determinato sistema deve essere evidente chi ne fa parte e chi
no. In sistemi dai confini poco netti si crea confusione e l’impegno e la lealtà
dei loro membri è compromessa, si diffonde perciò un’irrequietezza improdut-
tiva in tutta l’organizzazione.
Nelle aziende l’appartenenza è regolata sostanzialmente dal contratto di lavo-
ro; tuttavia è importante anche una chiara descrizione della funzione e delle
mansioni, delle responsabilità e di un potere discrezionale che sia coerente con
la realtà dei fatti.
Pertanto dimissioni e assunzioni sono momenti molto critici cui non sempre è
prestata la necessaria attenzione all’interno dell’impresa. Le costellazioni si-
stemiche mettono chiaramente in luce le incongruenze riferite
all’appartenenza ed è possibile sperimentare quali passi siano più indicati, sia
per l’inserimento sia per la dimissione di un dipendente. Se, ad esempio, un
dipendente è licenziato senza motivi giustificati e riconosciuti dagli altri, molti
colleghi si sentiranno legati a lui da un sentimento di lealtà e ciò va a discapito
della loro lealtà verso l’azienda. Una comunicazione trasparente dei motivi, ma
anche un riconoscimento dei contributi apportati dalla persona licenziata du-
rante la sua permanenza, aiuta a „ristabilire l’integrità dei confini del sistema”.
I legami di appartenenza rischiano di essere un elemento critico, specialmente
quando un’organizzazione per progetti si sovrappone alla tradizionale struttura
92
gerarchica funzionale o nelle strutture organizzative a matrice. Nelle costella-
zioni sistemiche è emerso più volte che frizioni e conflitti, presenti specialmen-
te in forme d’organizzazione complesse, erano riconducibili a una regolamen-
tazione poco chiara dell’appartenenza e delle competenze e mansioni. Solo con
una comunicazione molto attenta e paziente si riesce a creare una visione
condivisa che assegna a ciascuno il suo „giusto” posto nell’organizzazione.
È consigliabile prestare attenzione ai legami di appartenenza anche nell’ambito
di ristrutturazioni e acquisizioni. Condizioni poco trasparenti rafforzano la ten-
denza al mobbing e rischiano di rendere impossibile l’integrarsi
nell’organizzazione persino di collaboratori particolarmente competenti.
L’aspetto relativo ai legami d’appartenenza è particolarmente delicato in pre-
senza di contratti di management interinale e interimistico.
5.2 Rispetto per l’ordine di successione
Il secondo principio è riferito alla crescita dei sistemi sociali, sia quella interna
attraverso la creazione di nuovi reparti, filiali ecc., sia quella esterna attraverso
la creazione di nuove consociate autonome. Nell‘ambito di una dinamica di
crescita interna vale il principio della „successione temporale diretta”. Significa
che, qualora si effettui un ampliamento dell’organizzazione inserendo nuove
figure o funzioni, il più anziano ha un certo diritto di precedenza sul più giova-
ne. Infatti, ogni allargamento toglie spazio e potere alle persone che c’erano
prima. Questo fatto deve essere riconosciuto e compensato almeno in forma
simbolica.
Il seguente esempio illustra tale dinamica: un responsabile di produzione poté
implementare le nuove idee e i nuovi concetti che aveva sviluppato in collabo-
razione con dirigenti più giovani e specialisti neoassunti, solo dopo che
l’operato dei collaboratori più anziani fu adeguatamente riconosciuto. Fino a
quel momento i collaboratori anziani non avevano voluto prendere atto delle
innovazioni proposte, seguendo ostinatamente le vecchie procedure. Fu duran-
te una costellazione sistemica che il responsabile di produzione riconobbe
questo principio. Risultò, infatti, che la generazione più anziana si sentiva sca-
valcata da quella più giovane e che questa dinamica era stata oltretutto raffor-
93
zata dall’atteggiamento del responsabile. Questi, considerato che gli anziani
facevano resistenza, aveva concentrato tutta la sua attenzione sui collaboratori
più giovani.
In relazione alla crescita esterna, per esempio nel caso della creazione di una
consociata, vale invece il principio della „successione temporale inversa” per il
quale, tra due sistemi, quello nuovo dovrà avere la precedenza su quello già
esistente. I sistemi infatti possono svilupparsi e raggiungere la loro indipenden-
za solo se forniti delle risorse adeguate e se protetti dalle ingerenze eccessive
dei sistemi preesistenti.
Anche questo principio può essere illustrato mediante un esempio: in
un’impresa era stato ridefinito il processo di sviluppo prodotti e creata una
nuova società autonoma per la ricerca e lo sviluppo di tecnologie innovative.
Fin dall’inizio si verificarono frizioni tra la casa madre e la nuova società. Nel
corso di una costellazione la situazione si calmò solo dopo che il direttore svi-
luppo prodotti, a cui era stata assegnata anche la gestione della nuova società,
abbandonò questa posizione per cederla a un giovane ingegnere che di fatto
deteneva le competenze distintive per la ricerca.
5.3 Riconoscere la responsabilità e l’impegno
Il terzo principio regola la rete di rapporti tra le persone e le funzioni in
un’organizzazione. Bisogna tenere conto sia della posizione sia dell’impegno di
un collaboratore, di un team o di un’unità organizzativa. Si tratta in particolare
di riconoscere l’assunzione di responsabilità per la stabilità interna e per
l’autonomia dell’organizzazione rispetto all’ambiente esterno. Insa Sparrer
ricorre alla metafora del sistema immunitario: nei sistemi sociali la forza im-
munitaria corrisponde „alla capacità comunicativa, all’assunzione di responsa-
bilità e alla disponibilità a impegnarsi”. Tanto più i membri di un sistema si
tengono in contatto l’uno con l’altro, tanto meglio fluisce l’informazione e
diventa possibile concentrare l’impegno là dove serve per far fronte alle sfide
che si presentano. In questo modo si assicura l’autonomia di un sistema.
La precedenza del maggiore impegno riveste un ruolo centrale: l’impegno co-
stante o singoli interventi straordinari effettuati da un collaboratore o da un
94
gruppo devono essere rispettati e riconosciuti indipendentemente dalla posi-
zione gerarchica. È interessante notare come spesso le persone o gli organi
maggiormente impegnati svolgano funzioni di guida in maniera non ufficiale.
„La gerarchia ufficiale rappresenta e difende l’organizzazione verso l’esterno,
mentre la gerarchia non ufficiale garantisce l’efficienza e protegge dai sabotag-
gi” (Sparrer, 2001, pag. 118). Sparrer parla qui del conflitto tra gerarchia forma-
le e informale correggendo quanto sostiene la teoria organizzativa classica per
la quale la gerarchia formale dovrebbe avere la precedenza su quella informa-
le.
Alle persone e ai team che si impegnano maggiormente per un’organizzazione
– fondatori e dirigenti ma anche persone e reparti con competenze chiave –
spetta il diritto di una maggiore influenza. Quando invece persone o reparti
rivendicano un potere maggiore rispetto al loro effettivo contributo al mante-
nimento e allo sviluppo del sistema, parliamo di potere arrogante. Le conse-
guenze sono disinteressamento e rassegnazione, persino sabotaggio, da parte
di coloro che subiscono tale arroganza; per altro verso notiamo spesso stress,
irritazione e calo di efficienza da parte di chi ambisce a una posizione per la
quale non detiene le competenze e la forza.
5.4 Sviluppare il potenziale degli individui e dei team
Il quarto principio attiene allo sviluppo individuale di persone o gruppi. Il rico-
noscimento delle prestazioni dei collaboratori favorisce la predisposizione a
maggiore produttività mentre il riconoscimento del potenziale permette lo
sviluppo delle risorse latenti. Il pari trattamento di differenti potenziali di ren-
dimento conduce generalmente a minori prestazioni e a un abbassamento
della volontà di apprendimento. Non si tratta tanto del riconoscimento eco-
nomico quanto soprattutto di concedere autonomia e spazio creativo nonché
coinvolgere le persone nei processi decisionali.
In molte aziende si attribuisce grande valore al rendimento prestando invece
poca attenzione agli altri principi fondamentali. Tra i quattro principi vi è un
chiaro ordine gerarchico: ignorare i principi primari vanifica gli effetti
dell’attenzione posta su quelli secondari. Lo sviluppo individuale deve essere
95
pertanto inserito in una cultura rivolta innanzitutto ad assicurare i legami di
appartenenza, l’ordine di successione, l’impegno e la responsabilità.
Questi quattro principi forniscono un utile fondamento per l’interpretazione di
una costellazione e per la ricerca di una soluzione. I manager più esperti in
genere li conoscono intuitivamente, è comunque utile farvi riferimento per
aiutarli a seguire e comprendere meglio le dinamiche della costellazione.
96
6 I diversi setting per una costellazione sistemica
La costellazione sistemica in origine è una forma di terapia di gruppo in cui i
partecipanti elaborano le loro problematiche all’interno di un seminario con-
dotto da un terapeuta. Lo scopo è quello di giungere a un’immagine risolutiva
partendo da un quadro iniziale (setting) che raffigura, in maniera condensata, i
vari blocchi e irretimenti nel sistema del cliente. „Passato, presente e futuro si
intrecciano nella ricerca di una soluzione” (Weber, 1998, p. 11). Similmente a
un rimedio omeopatico l’immagine finale sprigiona la sua forza risanante nel
corso del tempo.
Le prime costellazioni su temi aziendali hanno mutuato il setting dal lavoro
terapeutico. I clienti esponevano le loro problematiche di carattere lavorativo
in seminari „aperti”. Questo setting offre un contesto sicuro per elaborare
problematiche che hanno a che fare con il successo personale del cliente nel
suo contesto lavorativo. Solitamente tali costellazioni pongono in primo piano
le dinamiche interpersonali mentre le questioni più propriamente aziendali
fanno da sfondo alle problematiche che si affrontano.
Nelle costellazioni svolte con persone di una stessa azienda, le Management
Constellations, invece, quello che prima faceva da sfondo qui diventa il tema
centrale della costellazione. L’azienda è messa in primo piano mentre le que-
stioni relazionali tra singole persone, o quelle relative al successo personale,
finiscono sullo sfondo. La domanda non è più: „Come posso posizionarmi in
maniera più efficace all’interno dell’azienda nella mia funzione?”, bensì: „Quali
decisioni dobbiamo prendere in quanto team, affinché l’azienda nel suo insie-
me abbia (maggiore) successo?”. Già solo questo cambio di prospettiva deter-
mina una svolta decisiva nel lavoro con un team, senza contare che nelle que-
stioni relative agli ambiti manageriali si tratta innanzitutto di sensemaking,
ovvero di spiegare i meccanismi che sono all’origine di un determinato proble-
ma aziendale e non tanto di risolvere problemi psicologici personali. Più che al
quadro risolutivo in sé si guarda al processo che lo genera.
La costellazione sistemica si utilizza di regola anche nel setting individuale
nell’ambito di una consulenza individuale o di un coaching. Un vantaggio rile-
vante di un contesto tanto confidenziale è che favorisce l’assoluta franchezza
rispetto ai temi da affrontare. Accanto alle questioni riguardanti l’ambito lavo-
97
rativo, all’occorrenza, si possono tematizzare apertamente anche quelle relati-
ve alla biografia personale.
Nei seguenti capitoli entreremo nel merito dei tre diversi setting su esposti,
tratteggiandone più da vicino le rispettive caratteristiche. Iniziamo con una
descrizione dettagliata del team setting, passiamo poi a delineare la forma del
seminario aperto e finiamo col descrivere la costellazione nel setting individua-
le.
6.1 Team Setting – Management Constellations
Verso la fine degli anni Novanta, alcuni consulenti hanno impiegato per la pri-
ma volta la costellazione sistemica nel lavoro con i team aziendali ponendo
l’attenzione sia sulle dinamiche relazionali tra i singoli attori sia su questioni
manageriali molto specifiche come: la validazione di scelte strategiche, la simu-
lazione di cambiamenti all’interno dell’organizzazione, il miglioramento dei
rapporti tra i vari gruppi d’interlocutori ecc. Questi consulenti hanno inoltre
coinvolto nella costellazione, come rappresentanti, i dirigenti o i collaboratori
direttamente coinvolti nella questione proposta.
Si applicavano in quel periodo i formati sviluppati da Gunthard Weber insieme
ad altri consulenti, noti come Organisationsaufstellungen (costellazioni orga-
nizzative), e i formati elaborati da Insa Sparrer e Matthias Varga von Kibéd, da
loro chiamati Systemische Strukturaufstellungen (costellazioni sistemiche strut-
turali).
All’incirca dal 2000, collaborando in parte con altri consulenti, abbiamo iniziato
a utilizzare la costellazione sistemica nel corso del nostro lavoro di consulenza.
Da qui è nata gradualmente quella prassi d’intervento che ora porta il nome di
„Management-Constellation” e che attinge ai singoli formati della costellazione
sistemica, combinandoli con le metodologie pensate per la „learning organisa-
tion” (Chris Argyris, Peter Senge, Claus Otto Scharmer et. al) o anche con altri
procedimenti sistemici come, per esempio, il „group-field” (David Benz-
Chartrand) e il „dialogo” (David Bohm). Questa prassi d’intervento molto speci-
fica disvela, nel corso dei processi di sviluppo e di cambiamento, il sapere tacito
98
o implicito (Michael Polanyi), quindi, attraverso un processo pilotato di „sen-
semaking” (Karl E. Weick), conduce a un nuovo modo di pensare e di agire.
Le Management Constellations non solo rendono immediatamente esperibili e
conoscibili le inclinazioni nascoste o, usando un’analogia, il DNA di una deter-
minata prassi aziendale, ma suggeriscono la sequenza dei passi da compiere
per uno sviluppo coerente dell’impresa. Più che pronosticare un futuro astrat-
to, le costellazioni sistemiche offrono spunti su come affrontare una determi-
nata sfida in base all’eccellenza inerente al sistema. L’essere sempre orientati
verso quanto vi è di concreto facilita alle persone coinvolte l’elaborazione e
l’implementazione di soluzioni sostenibili.
6.1.1 La costellazione sistemica in ambito aziendale
Il potenziale della costellazione sistemica in ambito aziendale è ancora poco
esplorato. Tuttavia, per accedere al sapere implicito è inevitabile utilizzare
canali alternativi a quelli che trasmettono solo sapere esplicito. Chi accetta
l’uso di metodologie che rispondono a questo criterio potrà cogliere aspetti
sorprendenti del tacit knowledge insito nella propria impresa.
In ambito manageriale e lavorativo dedicarsi „anima e corpo” a una sfida é
sempre stato inteso in senso metaforico. Nella costellazione sistemica invece il
detto è preso alla lettera, e il corpo utilizzato come uno strumento di percezio-
ne altamente sensibile. Alcuni manager vivono questa nuova prassi con un
certo imbarazzo e di conseguenza sono (ancora) pochi i dirigenti che fanno uso
della costellazione sistemica per i processi decisionali.
I manager che si sono tuttavia affidati a questo metodo hanno descritto la loro
esperienza con parole come:
„Le costellazioni sistemiche dirigono l’attenzione sulle informazioni rilevanti;
una vera fortuna in un’epoca in cui una marea di dati ci distoglie continuamen-
te dall’essenziale”.
„Spesso nel corso di una costellazione sistemica si intravedono soluzioni sor-
prendenti. Grazie a questo metodo si riesce a cogliere molto più chiaramente il
99
nucleo delle questioni e le nuove misure si possono implementare con maggio-
re precisione ed efficacia, tra l’altro a beneficio dei costi“.
„Questo metodo permette di formulare diagnosi in maniera sorprendentemen-
te rapida, anche in situazioni particolarmente intricate. Inoltre la particolarità
della visualizzazione e della percezione corporea impediscono di dimenticarle
rapidamente”.
Includere la costellazione sistemica tra gli strumenti della consulenza aziendale
richiede un procedimento particolare. Questo non esisteva agli albori della
prassi di costellazione ma si è sviluppato progressivamente con l’esperienza.
Spieghiamo qui di seguito i vari aspetti particolari che caratterizzano le Mana-
gement Constellations e che le distinguono dalle costellazioni familiari e tera-
peutiche:
L’oggetto: temi collegati allo sviluppo e alla conduzione di imprese o di setto-
ri d’impresa e non temi di natura personale.
La prospettiva: le domande di un intero team e non solo di una singola per-
sona.
Il workshop-design: l’integrazione delle costellazioni sistemiche con altre
tecniche di learning organization e non l’utilizzo della costellazione siste-
mica come unica metodologia di intervento.
Il coinvolgimento dei manager: essi stessi assumono il ruolo di rappresen-
tanti nella costellazione.
Il contesto: solitamente il workshop fa parte di un progetto di sviluppo arti-
colato.
6.1.2 L’oggetto delle Management Constellations
Le Management Constellations focalizzano l’attenzione su tutti gli aspetti che
riguardano lo svolgimento efficace delle mansioni all’interno dell’azienda. In
altre parole spiegano le questioni centrali – la strutturazione, la gestione, lo
sviluppo – collegate al management di un’impresa. Pertanto contemplano
interdipendenze reciproche, quali ad esempio:
100
La sinergia tra il canale di vendita, la strategia di marketing, la gestione
della qualità e un progetto d’innovazione rispetto a determinati obiettivi di
vendita.
L’interazione tra le routine di produzione, il perfezionismo degli specialisti
di settore, un programma di abbassamento dei costi, un importante forni-
tore esterno e gli obiettivi di ROI (return on invstment).
Il facilitatore di Management Constellations affronta sin dall’inizio un elevato
grado di complessità. La problematica affrontata solitamente presenta nume-
rose stratificazioni, conflitti e incongruenze possono essere riscontrati a vari
livelli. Perciò è importante che il facilitatore riduca la complessità a un livello
gestibile, prima di iniziare con la costellazione vera e propria. La tematica pro-
posta viene, per così dire, „modellata” estrapolando tutte le sfaccettature
rilevanti in vista della costellazione.
In questa prima fase è utile avere a disposizione una sorta di mappa, o di griglia
euristica, che possa offrire un orientamento per il processo di modellamento.
Un modello di management facilita il lavoro di preparazione alla costellazione,
aiuta i partecipanti a scegliere la prospettiva più adatta e a formulare una do-
manda sufficientemente precisa per circoscrivere il sistema. Una volta chiariti
questi aspetti, il modello facilita anche l’individuazione degli elementi rilevanti
per la costellazione.
6.1.3 Prospettiva e workshop-design delle Management Constellations
Un’altra peculiarità delle Management Constellations è la scelta della prospet-
tiva o del punto di vista o anche, per usare il termine coniato da Varga von
Kibed, del focus. Nella costellazione classica il focus è sempre rappresentato
dall’ottica concreta di un singolo individuo, o meglio, da quella parte della
personalità di un individuo che è direttamente toccata da una determinata
tematica. Nelle costellazioni sistemiche in ambito aziendale solitamente è un
intero team che fa una particolare richiesta. In questo caso il focus non rappre-
senta più un’ottica individuale ma una prospettiva collettiva. Per questo è ne-
cessario mantenere allineati i punti di vista dei singoli manager sia prima che
dopo la costellazione.
101
Per iniziare è indispensabile chiarire, ad esempio in un’intervista dialogica (C.
O. Scharmer), la richiesta collettiva del management team. Questa fase è deci-
siva. Con l’ausilio per esempio di domande sistemiche e di un modello di ma-
nagement, bisogna estrapolare una domanda precisa e significativa alla quale si
cerca di rispondere; insieme al management team si definiscono poi gli ele-
menti e i limiti del sistema che si andrà a rappresentare.
All’interno di un setting terapeutico, parlare troppo della costellazione una
volta avvenuta non è ritenuto molto utile. Si teme che il troppo dire potrebbe
pregiudicare o quantomeno indebolire gli effetti della costellazione sul cliente.
In ambito manageriale, invece, la discussione all’interno del gruppo, immedia-
tamente successiva a una costellazione sistemica, è indispensabile. Essa, of-
frendo ai partecipanti l’occasione di scambiare le proprie impressioni, favorisce
la condivisione delle diverse prospettive e percezioni che si sono venute a crea-
re nel corso della costellazione, sia per i protagonisti che per gli osservatori. La
discussione conduce a una riflessione collettiva, aiuta a elaborare e metaboliz-
zare ciò che è stato esperito e a tradurre ciò che si è visualizzato in misure utili.
Per la riflessione comune è particolarmente adatta la forma del „dialogo” di
David Bohm. Il dialogo serve a condensare verbalmente le sensazioni raccolte
nel corso della costellazione. In un contesto dialogico si possono inoltre formu-
lare le prime idee per gli interventi da attivare in seguito, sia nei singoli settori
aziendali che nell’azienda in toto.
È interessante notare come la qualità del dialogo dopo la costellazione sia pro-
fondamente diversa rispetto alle discussioni condotte in precedenza sul mede-
simo argomento. Evidentemente la costellazione ricorda ai membri di un grup-
po che si possono assumere differenti prospettive e che il proprio punto di
vista non deve essere per forza imposto come l’unico valido.
Al termine della discussione un membro del management team è incaricato di
tenere in evidenza in agenda i temi da elaborare.
La nuova prassi d’intervento acquista una propria fisionomia anche grazie al
linguaggio usato dal facilitatore nel corso della costellazione; egli s’impegna ad
usare una modalità riflessiva più che direttiva, come è invece d’uso nelle co-
stellazioni familiari. Al posto di un protagonista emotivamente coinvolto viene
102
messo in scena un osservatore che riflette. Così facendo la costellazione perde,
almeno in parte, il potere suggestivo che è proprio di ogni atto rituale. In com-
penso diventa uno strumento che permette a tutto il team di prendere co-
scienza della qualità dei rapporti fra gli elementi del sistema, di osservare la
propria prassi di comunicazione e di discuterne per migliorarla.
6.1.4 La costellazione con persone direttamente coinvolte
„Perché dovrei investire tre giorni, se posso ottenere la risposta alla mia do-
manda in due ore?” Questa osservazione, pronunciata da un manager all’inizio
di un seminario, conteneva un suggerimento importante: se i manager indaffa-
rati non vengono ai seminari di costellazione allora bisognerà portare il metodo
delle costellazioni in azienda. All’applicazione pratica di questa idea si oppone-
va tuttavia una convinzione diffusa tra i costellatori familiari. Essi ritenevano
infatti che fosse inammissibile inserire come rappresentanti in una costellazio-
ne gli stessi membri di un sistema sociale direttamente toccati dal problema in
discussione: le persone coinvolte non parlerebbero apertamente delle sensa-
zioni provate nel ruolo di rappresentanti e tenderebbero invece a filtrarle se-
condo i propri schemi mentali.
Solo gradualmente taluni consulenti osarono mettere in scena i manager come
rappresentanti all’interno di costellazioni aziendali, tuttavia gli esiti si rivelaro-
no sorprendentemente buoni. In ogni caso la regola di non mettere in scena i
diretti interessati – come rappresentanti di loro stessi – è tuttora osservata.
6.1.5 L’inserimento in un processo di intervento
Una singola costellazione ha certamente la sua utilità in quanto evento specia-
le, certamente se ne trae un guadagno in termini di conoscenza e comprensio-
ne, inoltre il fenomeno della risonanza corporea affascina immancabilmente i
partecipanti. L’implementazione della soluzione avviene però in maniera diver-
sa all’interno di un’azienda rispetto a una famiglia, già solo perché i due sistemi
sociali seguono finalità e schemi di sviluppo completamente differenti.
103
Quanto detto dovrebbe trovare riscontro in un intervento di consulenza ade-
guato. In particolare, per quel che riguarda le questioni strategiche, serve un
progetto di change management come struttura portante per tradurre le im-
magini e le informazioni offerte dalla costellazione in concrete pratiche azien-
dali. Questo forma una sorta di architettura di base in cui si inseriscono le varie
misure d’intervento volte a guidare e a favorire il cambiamento.
In ambito manageriale le costellazioni sistemiche sono più efficaci se usate
ripetutamente. Gli esiti delle singole costellazioni possono essere ripresi in
costellazioni successive; è utile continuare a porsi la domanda: „quale cambia-
mento è stato (o non è stato) prodotto dalle misure adottate?” Confrontandosi
seriamente con gli esiti delle misure adottate, i manager possono trarre prezio-
se conclusioni sul funzionamento di quell’insieme di regole che costituiscono
cultura, struttura e strategia di un’azienda, e rendere più effettivo il manage-
ment of rules.
Le costellazioni sistemiche sono particolarmente utili laddove mettono in luce i
meccanismi che bloccano lo sviluppo. Spesso, infatti, le regole tecniche con le
quali la direzione cerca di guidare l’azienda si rivelano incoerenti e contraddit-
torie, oppure collidono con le regole di tipo grammaticale tipiche della specifica
cultura d’impresa, per cui può capitare che le resistenze blocchino quasi subito
ogni tentativo di cambiamento. Nella costellazione le persone coinvolte acqui-
stano una nuova comprensione del concetto di resistenza e, quel che più conta
per ogni manager, un nuovo approccio creativo alla soluzione dei blocchi: spes-
so si vede che gli ostacoli contengono preziose indicazioni di risorse latenti
inutilizzate.
6.1.6 Management Constellations: una pratica di intervento innovativa
Col suo ingresso in ambito manageriale, la costellazione si è trasformata in uno
strumento capace di mettere in moto la comunicazione tra i partecipanti su
circostanze fino a quel momento inafferrabili. La costellazione non ha qui più la
pretesa di risolvere il problema in un unico intervento, ma si lascia combinare
in maniera intelligente con altri strumenti per lo sviluppo d’impresa e acquista
una caratteristica decisiva: la trasparenza.
104
La Management Constellation è cambiata in base al nuovo scenario: si lavora
con le persone direttamente coinvolte; non più le loro relazioni di lavoro sono
al centro dell’attenzione, bensì gli aspetti problematici connessi alla divisione
del lavoro. La Management Constellation si inserisce in un contesto dialogico e
si integra con l’architettura del change management.
In questo contesto la costellazione ha perso parte della sua magia originaria, si
è lasciata alle spalle la forma di rituale di transizione. Tuttavia non è affatto
cambiata rispetto a un elemento: essa ci permette pur sempre di intuire le
dinamiche di fondo. Secondo le varie convinzioni filosofiche queste sono attri-
buite a un’istanza chiamata ad esempio: „anima” o „spirito” (Bert Hellinger),
oppure sono intese come predisposizione del nostro agire e chiamate „sapere
implicito”. L’intenzione della prassi costellativa è dunque rimasta la stessa,
quello che è cambiato è la prassi d’intervento, che ora risponde al nome di
Management Constellation.
6.2 Seminari „aperti”
All’inizio degli anni Novanta, Bert Hellinger applicò la costellazione a organizza-
zioni e aziende. Quasi contemporaneamente Matthias Varga von Kibéd e Insa
Sparrer stavano lavorando alla costellazione sistemica strutturale che „rappre-
senta l’ampliamento della prassi costellativa dal sistema famiglia ad altri conte-
sti” (Insa Sparrer, Matthias Varga von Kibéd in: Gunthard Weber, Praxis des
Familienstellens, 1998, p. 394).
Inizialmente tutti usavano il setting del seminario „aperto”. Di norma i seminari
sono aperti al pubblico e i partecipanti formulano richieste come ad esempio le
seguenti: „Perché ho poco riscontro (come superiore, come direttore del pro-
getto; come consulente…)? Perché nel mio gruppo sorgono ripetutamente
tensioni simili? Perché in una certa posizione i canditati reggono al massimo
qualche mese e si verifica un turn-over costante? Come posso liberarmi da
questo dilemma? Cosa m’impedisce di raggiungere i miei obiettivi?”
„Le esperienze migliori le abbiamo fatte con *…+ gruppi di 15-20 partecipanti
che provenivano dai più diversi settori produttivi e/o da aziende diverse, e che
non si conoscevano tra loro. In un simile contesto ognuno è protetto, è libero e
105
tutti si sentono alla pari. Tutti partecipano a un’ampia varietà di costellazioni e
dunque sperimentano anche un vasto spettro di soluzioni possibili. Per questi
*…+ seminari riteniamo ottimale una durata di 2-3 giorni” (Weber e Gross,
1998, p. 409).
In fase di sperimentazione delle costellazioni sistemiche organizzative, è acca-
duto ripetutamente che nel corso di una costellazione aziendale venissero alla
luce problemi personali. E varie volte ciò che era iniziato come costellazione
aziendale, finiva per diventare una costellazione famigliare. Evidentemente la
prassi costellativa può far emergere dinamiche che hanno le loro origini in altri
contesti. Matthias Varga von Kibéd e Insa Sparrer definiscono il fenomeno
come spostamento del livello strutturale. Lo stesso facilitatore può agevolare
consapevolmente un simile spostamento di Iivello quando decide di raccogliere
gli spunti offerti in tal senso dai rappresentanti. In questo modo può lavorare
efficacemente e a tutto vantaggio del cliente, ovviamente col suo assenso e in
un contesto adatto.
Riscontriamo il fenomeno dello spostamento di livello strutturale anche nella
normale comunicazione quotidiana durante la quale si può passare tranquilla-
mente da un tema all’altro. Ma qui disponiamo di strategie collaudate, utili a
far sì che argomenti sgraditi non vengano approfonditi. Queste strategie sono
meno efficaci nella rappresentazione scenica. Sta alla sensibilità e professiona-
lità del costellatore rispettare la volontà e la privacy del cliente.
La prassi costellativa ha messo in rilievo un aspetto interessante: il contesto
lavorativo invita a reiterare modelli comportamentali appresi nel corso del
processo di socializzazione, in particolare nella famiglia d’origine, modelli che
non sempre sono adeguati al contesto lavorativo: la persona pilotata dal pro-
gramma sbagliato adotta un comportamento disfunzionale senza rendersene
conto.
In un setting adeguato si possono analizzare parallelamente i due livelli, fami-
liare e lavorativo, per comprendere a fondo l’influenza di uno sull’altro. Per
esempio: il responsabile delle vendite riconosce che i suoi clienti lo devono
apprezzare come persona ma non devono per forza amarlo, giacché non po-
tranno supplire all’amore mancato dei genitori. Oppure: il giovane fisico di
talento sente di non dover più salvare dalla rovina il suo reparto, oggetto di un
106
intervento di ristrutturazione, ora riesce a differenziare la situazione attuale
dallo sforzo che gli era costato da ragazzo il tentare di tener unita la famiglia,
quando invece avrebbe avuto bisogno di un ambiente sicuro per la sua crescita.
Infine: la product manager brillante non deve più piacere per forza al „suo”
direttore generale, perché riesce finalmente a discernere tra il rapporto col suo
superiore e il rapporto col padre.
I seminari aperti non conoscono (quasi) limitazioni per quanto riguarda i temi
che si possono affrontare con profitto; è tuttavia compito del conduttore ri-
spettare la volontà del cliente e focalizzare gli aspetti indicati nella richiesta
iniziale.
6.3 Il setting individuale
La maggior parte delle annotazioni che abbiamo fatto, a proposito delle Mana-
gement Constellations e dei seminari aperti, valgono anche per il lavoro indivi-
duale con le costellazioni sistemiche. La differenza maggiore consiste nel modo
di rappresentare gli elementi del sistema; per tali modalità esiste una serie di
possibilità che esponiamo di seguito.
6.3.1 La pratica di costellazione al tavolo
Quando si tratta di inserire costellazioni sistemiche in un colloquio di coaching,
un aiuto ideale è rappresentato dalle frecce autoadesive Post-it® apposte su un
foglio formato A3. Il maggiore vantaggio consiste nel fatto che il cliente può
utilizzare uno strumento conosciuto. Nessuno si sente irritato se gli viene chie-
sto di annotare i nomi delle persone, o di altri elementi nominati durante il
colloquio, su un foglietto colorato. Questa tecnica offre anche altri vantaggi:
L’immagine rimane visibile sul tavolo durante l’intera durata del collo-
quio, ci si può ritornare in qualsiasi momento e simulare nuove varianti e
opzioni con semplici spostamenti.
È possibile conservare l’immagine iniziale, intermedia o risolutiva, foto-
copiandola o fotografandola e consegnandola direttamente al cliente alla
fine del colloquio.
107
Nel caso in cui la costellazione si basi su una griglia (come per esempio
nella costellazione della Farfalla, (vedi cap. 8.2.2), la si può semplicemente
tratteggiare sul foglio formato A3.
Al tavolo, si possono utilizzare anche oggetti che si trovano a portata di mano,
o anche determinate figure come: le figurine della Playmobil®, le pedine degli
scacchi, oppure figure appositamente create per esempio dalla casa editrice
Carl-Auer-Verlag e da altri. A differenza delle frecce Post-it®, bidimensionali, le
figure tridimensionali rendono più agevole per taluni clienti associare la figura
alla persona rappresentata e provare la risonanza corporea evocata dal posi-
zionamento all’interno del sistema rappresentato.
Quando si utilizzano gli oggetti che si trovano sul tavolo o nella stanza, questi
possono fungere da elemento di ‘ancoraggio’ che aiuta ad evocare facilmente
determinate immagini e stati d’animo anche dopo molto tempo.
6.3.2 La costellazione sul pavimento
Qualora le circostanze lo permettano, e specialmente nel caso di temi di una
certa complessità, è preferibile disporre gli elementi sul pavimento utilizzando
come rappresentanti, al posto di persone, dei segnaposto che vengono colloca-
ti in uno spazio delimitato e che possono essere dei fogli di carta, dei ritagli di
feltro o altro. S’invita il cliente a collocare i segnaposto sul pavimento nel punto
che ritiene più opportuno. In quest’azione il cliente è coinvolto con tutto il
corpo: deve alzarsi, spostarsi nello spazio e raggiungere il punto esatto in cui
vuole piazzare il segnaposto, può quindi sentire la risonanza corporea di quel
particolare posizionamento sistemandosi in piedi sui ritagli. L’effetto della
costellazione eseguita in questa forma è vissuto in maniera più intensa. In que-
sta modalità inoltre, per alcuni clienti, risulta più facile mettere in relazione tra
di loro i livelli cognitivo, emozionale e fisiologico dell’esperienza vissuta.
I cambiamenti nel corso del processo di costellazione possono avere un effetto
più duraturo quando sono esperiti con tutto il corpo piuttosto che con le mani
solamente. Ad alcune persone risulta inoltre più facile concentrarsi restando in
piedi e „conducendo” il segnaposto verso un determinato punto.
108
Una volta instaurato un buon contatto e un rapporto di fiducia, i clienti del
coaching accettano senz’altro di partecipare all’esperimento. Essi vengono
invitati a rappresentare l’immagine interiore che hanno dei rapporti tra gli
elementi del sistema, precedentemente identificati. Il coach può posizionarsi a
sua volta sui diversi punti segnati comunicando apertamente le sue percezioni
corporee, le emozioni, i pensieri e gli impulsi motori. Dopodiché invita il cliente
a mettersi al suo posto nelle diverse posizioni rappresentate. A questo punto si
possono iniziare a testare gli effetti degli spostamenti. È utile chiedere prima al
cliente quali spostamenti vorrebbe attuare e fare attenzione che sia lui stesso a
fare il primo passo.
Per evitare salti troppo frequenti dal ruolo di coach a quello di rappresentante,
rischiando di confondere il cliente, si può sondare il rapporto con i singoli ele-
menti mediante la cosiddetta „mano catalettica”. Con questa tecnica, sviluppa-
ta da Matthias Varga von Kibéd e Insa Sparrer, un elemento del sistema è rap-
presentato dalla mano del coach alzata ad altezza del volto (vedi oltre cap. 7.6).
Se il cliente è opportunamente concentrato, o già esperto di costellazioni, sarà
in grado di sperimentare anche le posizioni di altri rappresentanti; ciò può
essergli utile per comprendere meglio le rispettive collocazioni. Durante questo
processo bisogna fare attenzione che il cliente non si stanchi o non si confonda
per un eccesso di sperimentazioni e di spostamenti.
109
7 Il decorso della costellazione sistemica
Nel presente capitolo descriviamo i vari passi secondo cui una costellazione
procede e offriamo diversi suggerimenti per le singole sequenze che riteniamo
possano tornare utili al facilitatore.
7.1 Il ruolo del facilitatore
Un atteggiamento rispettoso verso il team, trasparenza nell’impiego dei metodi
e chiarezza rispetto all’obiettivo concordato sono i presupposti per il successo
del processo co-creativo della Management Constellation. È inoltre consigliabi-
le trovare un giusto equilibro tra la massima neutralità possibile per quanto
concerne i contenuti e la massima presenza possibile nella gestione del proces-
so, prestando attenzione a cogliere tutto ciò che si verifica sul momento. In
generale, per il facilitatore, valgono le massime: reggi la tensione che deriva dal
„non-sapere” e fai attenzione a quello che risuona attraverso la costellazione;
non avere fretta d’imporre la tua lettura delle immagini emerse; sii sempre
pronto a rivedere le tue ipotesi in base all’evidenza!
Questo non significa che il facilitatore non debba avere alcuna conoscenza
delle tematiche concrete che impegnano il team, anzi, è importante che sia
sufficientemente informato sui concetti manageriali cui fanno riferimento i
suoi clienti.
L’efficacia di una consulenza aumenta se il facilitatore dispone di un ampio
repertorio di metodi: le tecniche d’intervento standard si usurano presto e il
voler fare proselitismo per una metodologia „miracolosa” scatena subito un
(sano) scetticismo.
7.2 Formulare la domanda
Il primo passo di una costellazione sistemica consiste nel formulare con chia-
rezza la domanda per la quale si dovrà trovare una risposta. Per fare questo
bisogna determinare:
110
qual è il problema o l’argomento che si vuole elaborare nel corso della
costellazione,
per chi è rilevante la questione,
quali conseguenze si aspettano dalla soluzione del problema.
Tanto più la domanda iniziale sarà formulata in maniera concreta e precisa,
tanto più chiara sarà la risposta. Tuttavia anche domande volutamente generi-
che possono essere efficaci se l’obiettivo è quello di avviare un processo di
esplorazione che porti a nuove prospettive e visioni. L’intenzione dev’essere
però comunicata chiaramente per non creare false aspettative.
In una Management Constellation l’argomento trattato riguarda solitamente
l’intero team presente, anche quando viene esposto esplicitamente da una sola
persona. Il consulente deve accertarsi di essere autorizzato dal gruppo, e in
particolare dal capo, a trattare l’argomento formulato.
7.3 Determinare gli elementi da costellare
La scelta degli elementi da costellare è l’intervento più importante compiuto
dal facilitatore. Partiamo dal presupposto che le linee di un processo di ap-
prendimento vengano tracciate non già nella costellazione ma nelle due se-
quenze immediatamente precedenti la costellazione stessa. Dipende in manie-
ra decisiva dalla focalizzazione se la costellazione sarà utilizzata, ad esempio,
per confermare una strategia prescelta (p. es. „Come possiamo rafforzare la
cooperazione con i partner d’alleanza?”), o per riflettere in maniera critica sui
presupposti della decisione (p. es. „Abbiamo gli stessi interessi dei nostri part-
ner d’alleanza?”). Già solo per questi motivi vale la pena di investire abbastan-
za tempo in questa fase.
Il facilitatore determina insieme al cliente quali sono le caratteristiche che de-
scrivono più adeguatamente una certa situazione. In questo modo si escludono
inevitabilmente altre possibili chiavi di lettura, a queste può talvolta essere
necessario ritornare se la via prescelta non conduce ad una soluzione soddisfa-
cente. Il risultato di questa prima scelta è comunque una serie di variabili che
111
interagiscono tra di loro; le interdipendenze tra queste variabili emergeranno
successivamente nella costellazione.
La scelta degli elementi è il risultato di un processo iterativo. Partendo da una
domanda – sempre modificabile in seguito – ad esempio: „Come possiamo
aumentare il ritmo delle innovazioni?” - si svolgeranno i seguenti passaggi:
Determinare la prospettiva di osservazione: „Chi ha l’interesse primario alla
soluzione del problema? – Il direttore del reparto sviluppo interessato a
nuove tecnologie, oppure il product manager che vuole conquistare un
nuovo segmento di mercato?”
Scegliere il segmento di sistema da rappresentare: „Quali variabili includia-
mo nella rappresentazione del problema? – I reparti sviluppo e marketing
oppure i clienti e gli altri reparti dell’impresa?”
Scegliere il livello di focalizzazione: „A quali aspetti delle interazioni pre-
stiamo attenzione? –All’affiatamento tra gli attori che partecipano al pro-
cesso d’innovazione oppure all’influenza della cultura, struttura e strategia
dell’impresa?”
Determinare lo schema interpretativo: „Quale mappa causale, quale serie di
variabili ci permettono di spiegare i fenomeni osservati? – L’organigramma
dell’impresa e il modello di management di S. Gallo oppure il modello del
triangolo delle risorse?”
Le costellazioni sistemiche in ambito manageriale contengono sempre i se-
guenti elementi:
il focus, ossia la funzione o il settore d’impresa dal cui punto di vista si
osserva il tema;
un compito, un incarico o un obiettivo;
diversi attori, ossia funzioni, gruppi o settori d’impresa coinvolti che agi-
scono e/o subiscono la situazione;
112
fattori di contesto rilevanti interni (valori, strategie, ecc.) e/o esterni (leggi,
congiuntura di mercato, ecc.);
a volte anche opzioni di scelta (es. joint venture o fusione).
Un significato particolare attiene alla definizione del focus. Di norma la Mana-
gement Constellation lavora con un unico focus che rappresenta la prospettiva
dell’intero team, il cosiddetto „team-focus”. In presenza di interessi fortemen-
te discordanti si possono costellare due o più focus relativi alle diverse prospet-
tive.
È importante mantenere possibilmente ristretto e controllabile il numero degli
elementi. Se però il facilitatore intuisce che manca un elemento importante,
può aggiungere un rappresentante per „qualcos’altro, che potrebbe avere una
rilevanza”. Questo può avvenire sia all’inizio che nel corso della costellazione.
Nel definire gli elementi è consigliabile utilizzare gli stessi concetti usati dai
partecipanti durante la descrizione della situazione. In presenza di concetti con
una valenza negativa, il facilitatore dovrebbe proporre un’alternativa neutrale,
per facilitare il reframing (ri-contestualizzazione) nel corso della costellazione.
Quando si lavora in gruppi numerosi, è utile chiarire la domanda e scegliere gli
elementi solo con una parte del gruppo, per esempio facendo ricorso al setting
del „Fish Bowl”.
7.4 Scegliere e mettere in scena i rappresentanti
Nelle Management Constellations, ovvero nel team-setting, il team può incari-
care uno dei suoi membri di scegliere i rappresentanti e di posizionarli nello
spazio. Il membro del team così designato mette in scena i rappresentanti per
conto dell’intero gruppo. Qualora vi fossero schieramenti diversi si consiglia di
far scegliere al team due o anche tre membri che andranno a mettere in scena
congiuntamente gli elementi. I colleghi così delegati dal gruppo scelgono i rap-
presentanti di comune accordo. Dopodiché si mettono in due, o in tre, dietro al
rappresentante prescelto e, senza comunicare verbalmente tra loro, lo condu-
cono verso un punto che ritengono adeguato.
113
È preferibile scegliere come rappresentanti persone che non svolgono
nell’azienda la funzione che andranno a impersonare: pertanto, il responsabile
marketing non dovrebbe essere scelto per rappresentare il marketing-mix.
Questo per evitare commistioni inutili; inoltre può essere molto stimolante se
per una volta il controller rappresenta la prospettiva del marketing-mix .
Nelle Management Constellations si è dimostrato molto valido un altro modo
di procedere: si chiede a ciascun membro del team di scegliere un elemento
che desiderano rappresentare. In seguito ciascun rappresentante trova auto-
nomamente la propria collocazione sulla scena in base alla sua immagine inte-
riore; ciò può avvenire simultaneamente o in successione. Questo modo di
procedere rispecchia la normale prassi della discussione verbale dove ciascun
interlocutore prende posizione per l’argomento che gli sta più a cuore.
Un’altra possibilità è quella di posizionare sul pavimento dei segnaposto (fogli
di carta opportunamente marcati o pezzi di feltro colorato) per i vari elementi e
invitare i partecipanti a collocarsi sul segnaposto da cui si sentono particolar-
mente attratti. Questa tecnica si può scegliere anche quando non ci sono a
disposizione abbastanza persone per rappresentare tutti gli elementi.
Se un sistema da costellare presenta troppi elementi, questi possono essere
posizionati in fasi successive. Il facilitatore invita una prima parte di rappresen-
tanti (presecelti) a collocarsi, quindi li interroga e possibilmente attua un primo
aggiustamento; dopodiché lascia che si aggiungano altri rappresentanti. Grazie
a questo procedimento è più facile per tutti mantenere un buon controllo della
situazione.
Per ridurre la complessità della costellazione, è anche possibile non collocare in
scena tutti i rappresentanti ma chiedere ad alcuni di partecipare alla dinamica
dal margine della scena. Questi vengono interrogati di tanto in tanto ed even-
tualmente aggiunti alla costellazione in un secondo momento.
7.5 Interpretare la costellazione
Nel corso della costellazione l’attenzione del facilitatore è rivolta contempora-
neamente a diversi aspetti per cogliere in maniera possibilmente completa la
114
qualità e la dinamica della rappresentazione. In particolare egli presta atten-
zione alle seguenti circostanze:
geometrie tipiche della costellazione e il loro effetto sui rappresentanti;
impulsi motori sentiti dai rappresentanti;
la risonanza corporea che si traduce in emozioni e sensazioni fisiche dei
rappresentanti;
la sua propria risonanza corporea in diversi punti della costellazione;
intuizioni espresse dai rappresentanti o anche da osservatori esterni.
In base alla sua interpretazione della costellazione, il facilitatore formula conti-
nuamente ipotesi per spiegare le dinamiche che si rendono manifeste nel si-
stema rappresentato in seguito alle reazioni dei rappresentanti. La tabella n. 1,
che si basa sulle esperienze raccolte da vari costellatori, offre un supporto per
interpretare i modelli relazionali tipici tra due rappresentanti.
Lo schema riportato non vuole avere un carattere normativo ma semplicemen-
te aiutare il facilitatore a formulare le sue ipotesi. In ogni caso, le sensazioni
espresse dai rappresentanti in base alla risonanza corporea rimangono la cosa
più importante per la lettura della costellazione.
Le ipotesi guidano il facilitatore nei suoi interventi. Per rendere comprensibili
gli interventi ai partecipanti del workshop è utile dichiararle apertamente e
invitare i partecipanti a esporre a loro volta le proprie impressioni e idee.
La struttura delle immagini interiori pare seguire una certa logica che si riflette
nelle posizioni relative dei rappresentanti. Così, per esempio, il rappresentante
della direzione si colloca a destra del rappresentante di un reparto operativo
mentre una risorsa importante sta alle spalle del attore che ne trae profitto. La
grafica n. 9 descrive alcune tipiche possibilità d’interpretazione delle posizioni
dei rappresentanti.
115
Tabella n. 1: Il significato dell’angolazione e del posizionamento nella costella-
zione (secondo le indicazioni di Bert Hellinger e Gunthard Weber come anche
di Matthias Varga von Kibéd e Insa Sparrer, 2000, p. 171 ss.)
116
Grafica n. 9: Raffigurazione della logica delle posizioni relative
A seconda che si tratti di un rapporto tra il focus e un attore o tra il focus e un
valore oppure una risorsa, sono possibili le seguenti interpretazioni
Tab. N. 2: Possibili letture delle posizioni (secondo indicazioni di Bert Hellinger
e Gunthard Weber, Matthias Varga von Kibéd e Insa Sparrer)
117
7.6 Interventi
Con i suoi interventi il facilitatore cerca di far emergere nuove possibilità
d’azione per i suoi clienti; le seguenti sono le modalità più usate:
Interrogare i rappresentanti sulla loro risonanza corporea per ricavarne
indicazioni sulle dinamiche che emergono dalla struttura relazionale.
Modificare la costellazione per permettere al maggior numero possibile di
rappresentanti di migliorare i loro rapporti con gli altri elementi del siste-
ma. Laddove fosse necessario, introdurre rappresentanti per nuovi ele-
menti.
Invitare i rappresentanti ad assecondare i loro impulsi motori e a speri-
mentare nuovi posizionamenti.
Simulare e testare posizioni alternative per far sperimentare differenze
rilevanti.
Suggerire ai rappresentanti di pronunciare frasi rituali che esprimano la
qualità di una situazione. Per esempio: „Non vedo il senso di tutto questo”
oppure „Riconosco il tuo contributo all’azienda”.
Secondo la propria esperienza ciascun facilitatore sviluppa un proprio stile
d’intervento. Di seguito ci limitiamo a segnalare qualche suggerimento che si è
rivelato particolarmente utile nella pratica.
In un contesto aziendale è indicato avviare il cambiamento partendo dalla
posizione del focus, in accordo col fatto che anche nella realtà il cliente dovrà
prendersi la responsabilità di muovere il primo passo per indurre un cambia-
mento. Per sottolineare che la costellazione è un processo co-creativo che
coinvolge tutti i membri del team, si può chiedere anche alle persone non posi-
zionate nella costellazione di suggerire possibili primi passi.
Un intervento importante è quello che serve a separare elementi sovrapposti o
confusi. Se il facilitatore pensa di trovarsi di fronte ad un equivoco, può usare la
tecnica della „mano catalettica”, sviluppata da Insa Sparrer e Matthias Varga
von Kibéd, per separare gli aspetti sovrapposti. Si tiene una mano davanti o
dietro alla testa del rappresentante con cui il focus sente una relazione pro-
118
blematica, la si sposta quindi lentamente di lato spiegando questo gesto con
parole come: „Forse siamo di fronte ad un equivoco e lei sta confondendo
l’elemento che le sta di fronte con qualcos’altro che è rappresentato dalla mia
mano. Ora stacco, gradualmente questo aspetto dall’elemento con il quale è
confuso o sovrapposto. Adesso che lei può distinguere l’elemento rappresenta-
to dalla mia mano da quello rappresentato dal suo collega, qualcosa cambia?”
Se rappresentante e focus avvertono una sensazione di sollievo, è segno che
c’era stata una commistione o uno scambio; a quel punto per quel aspetto si
sceglie e si mette in scena un nuovo rappresentante.
La tecnica della „mano catalettica” è utile anche nel caso in cui il facilitatore
suppone che manchi un elemento importante nella costellazione, ciò può esse-
re testato con la mano catalettica prima di introdurre in scena un rappresen-
tante per questo elemento.
Per chiarire la natura di un rapporto conflittuale inspiegabile tra due rappre-
sentanti, può essere utile farli scambiare di posto. Esperendo la situazione dalla
prospettiva dell’altro, si ricavano spesso preziose indicazioni sulla natura del
conflitto.
Un'altra tecnica per separare elementi sovrapposti è il „rituale di restituzione”.
Consiste nel restituire un peso di cui ci si è fatti carico servendosi di un simbolo.
Al rappresentante „gravato” viene consegnato un oggetto pesante che lui resti-
tuirà al rappresentante dal cui retaggio il gravame proviene. Per esempio:
l’impresa che subentra a una ditta fallita potrebbe restituire la responsabilità
del fallimento all’impresa originaria qualora, nella costellazione, emergessero
segnali che i manager della nuova ditta si sentono gravati da una colpa che non
appartiene loro.
7.7 Conclusione
La decisione di terminare la costellazione e di approfondire gli aspetti emersi
nel corso di uno scambio dialogico è a discrezione del facilitatore. Generalmen-
te il quadro iniziale di una costellazione offre già una vasta serie d’informazioni
e i primi passi sono fondamentali per condurre il sistema fuori da una situazio-
ne di stallo. Siccome ogni cambiamento successivo della costellazione compor-
119
ta anche un allontanamento dalla realtà attuale verso un’ipotetica situazione
futura, non crediamo sia sempre utile insistere troppo nel ricercare la soluzione
perfetta. Una costellazione non può che rappresentare uno dei tantissimi
aspetti della realtà e, anche nel caso in cui si trovasse LA costellazione ottimale,
ciò non garantisce che questa sia funzionale nell’applicazione pratica.
Si è rivelato molto utile contrassegnare la costellazione risolutiva con dei se-
gnaposto e permettere quindi a tutti i membri di un team di percepirla dalle
varie prospettive, collocandosi nelle diverse posizioni.
Come abbiamo già ricordato alcune volte, al termine di una costellazione si
raccolgono le impressioni emerse e si condensano nell’ambito di un dialogo.
Esso permette di tradurre le impressioni dal livello „percettivo-sensoriale” al
livello verbale. Parallelamente le singole riflessioni individuali si concretizzano
e, confluendo, creano una visione d’insieme carica di significato: in questo
modo nasce un indirizzo comune. Il facilitatore partecipa attivamente al dialo-
go apportando la sua esperienza nella „lettura” della costellazione.
In base a quest’immagine condivisa si definiscono gli interventi utili per imple-
mentare la soluzione nella realtà aziendale. Ciò può avvenire in piccoli gruppi
oppure in un gruppo allargato, utilizzando per esempio il metodo del „World
Café” (Juanita Brown) o dell’„Open Space” (Harrison Owen); tali tecniche
d’intervento sono esposte in maniera più dettagliata nel capitolo 8.
120
8 Schemi interpretativi e relativi formati di costellazione
Come abbiamo appena visto, la messa in scena di una costellazione è sempre
preceduta dalla scelta consapevole del segmento di sistema che deve essere
osservato e della prospettiva d’osservazione. Per operare questa scelta si ricor-
re necessariamente, anche se non sempre consapevolmente, ad uno schema
interpretativo che guida il processo di ricerca come una sorta di mappa che
riporti i confini, gli elementi e le caratteristiche rilevanti ai fini
dell’individuazione di una soluzione. Durante tutta la costellazione, e anche
nella fase successiva, tale schema interpretativo funge da „navigatore”.
Ogni facilitatore sceglie dal suo repertorio di teorie ed esperienze una sequen-
za di variabili collegate tra loro che appaiono adatte alla situazione da analizza-
re. Specialmente in un contesto manageriale, riteniamo importante che il facili-
tatore sia consapevole delle proprie ipotesi e che, all’occorrenza, sappia anche
esplicitarle. Le ipotesi e lo schema interpretativo rappresentano la base per la
comunicazione tra facilitatore e manager quando si tratta di interpretare la
costellazione e dedurne le varie opzioni per le azioni possibili. Se da una parte
lo schema interpretativo prescelto dev’essere comprensibile per i manager,
dall’altra, per far emergere nuove soluzioni, deve lasciare spazio anche a nuove
prospettive e contenere qualche elemento di novità rispetto agli schemi comu-
nemente utilizzati.
Per „formato” di costellazione intendiamo la „ricetta” o „scaletta” per mettere
in scena un determinato schema interpretativo. Il formato stabilisce il „ cosa”,
ovvero gli elementi da inserire nella costellazione, e talvolta anche il „come”,
ovvero la procedura da adottare. Di seguito presentiamo una scelta di schemi
interpretativi con i relativi formati di costellazione che si sono dimostrati parti-
colarmente validi nella nostra prassi.
A questo punto vogliamo accennare a un’osservazione che abbiamo fatto ripe-
tutamente con gruppi di formazione e di “inter-visione” (supervisione tra pari):
alcuni facilitatori si affezionano un po’ troppo a certi formati usandoli in manie-
ra dogmatica. Pertanto invitiamo i nostri lettori a mantenere un atteggiamento
flessibile nei confronti dei formati. Infatti, per individuare una buona soluzione,
121
è preferibile confidare sulla propria intuizione e seguire il flusso degli eventi
piuttosto che assecondare rigidamente uno schema predefinito.
Per una migliore visione d’insieme raggruppiamo gli schemi interpretativi e i
formati in tre ambiti tematici:
Management e leadership
Strategie e innovazione
Problem solving e processo decisionale
Per offrire un’idea del ventaglio di tecniche che si potrebbero impiegare nel
corso di una costellazione, descriviamo in maniera particolareggiata situazioni
derivanti dalla nostra prassi d’intervento. Anche in questo caso vale quanto già
detto: non il metodo è in primo piano, bensì la capacità di entrare in risonanza
con ciò che emerge dalla costellazione. Il facilitatore dovrebbe aiutare i rappre-
sentanti a mantenere l’attenzione rivolta alle proprie sensazioni corporee e allo
spazio circostante, senza cadere nella tentazione di ritornare precocemente
verso il pensiero critico e razionale. L’attimo dell’ascolto introspettivo è centra-
le nel processo costellativo: dal silenzio e dall’attesa immobile emergono le
soluzioni veramente innovative e sostenibili.
8.1 Management e leadership
Molte tematiche manageriali riguardano l’interazione tra le singole unità fun-
zionali (reparti, team, organi direttivi, settori commerciali ecc.) in relazione a
un determinato obiettivo. Per questo tipo di questioni presentiamo quattro
schemi interpretativi con i relativi formati.
Quando si applica un modello bisogna anche ricordare che una costellazione
sistemica, così come ogni altra analisi, coglie sempre solo uno specifico aspetto
della realtà aziendale senza comprendere l’azienda in tutta la sua complessità.
L’esito di una costellazione non è pertanto da intendere come verità assoluta;
esso rappresenta solo la base per le ipotesi che servono a programmare gli
interventi necessari.
122
La costellazione può modificare l’idea che un manager si è fatto di un determi-
nato aspetto - determinando tutt’al più un cambiamento del suo atteggiamen-
to nei confronti di tale aspetto - ma le circostanze di per sé, quali che siano,
non cambiano in seguito alla costellazione. Gli interventi suggeriti dalla costel-
lazione devono essere tradotti dai diretti interessati in misure concrete per lo
sviluppo e la gestione della situazione reale; è necessario insistere particolar-
mente proprio su questo passaggio: la prassi della costellazione non sostituisce
l’azione individuale. Essa offre „unicamente” i criteri che stanno alla base di
tale agire.
8.1.1 Il modello di management di San Gallo
Il Modello di Management di San Gallo offre una descrizione differenziata ed
esplicativa del mix tra i principi d’ordinamento di un’azienda. Inoltre mette in
evidenza l’interdipendenza tra i principi d’ordine e le routine dei singoli proces-
si. (grafico 10)
Grafica 10: Modello di management di San Gallo
123
Il modello indica inoltre gli stakeholder (sostenitori) più importanti per
un’impresa, questi sono: i collaboratori, i clienti, i fornitori e i finanziatori. In
base al tema trattato è possibile attuare ulteriori distinzioni all’interno dei
gruppi indicati. Ad esempio, nel caso dei collaboratori, si può distinguere tra
funzioni direttive e operative, oppure tra collaboratori della distribuzione e
quelli della produzione o ancora tra collaboratori coinvolti in un progetto o
collaboratori con precise funzioni di linea ecc.
Inoltre il modello distingue diversi livelli all’interno dei processi: i processi di
business, i processi di management e i processi di supporto. In questo modo, ai
fini della costellazione, è possibile elaborare più concretamente le interrelazio-
ni tra i singoli compiti e le persone o i gruppi coinvolti. Quando un compito non
resta nel vago ma è definito per esempio come „sviluppo prodotti” oppure
„gestione delle commesse”, le parti coinvolte sono più facili da identificare ed
eventualmente da rappresentare all’interno della costellazione.
Inoltre il modello di San Gallo distingue tra attività che stabilizzano il sistema e
attività che lo modificano; questa distinzione serve specialmente quando si
vuole analizzare quali fattori di un progetto hanno un effetto stabilizzante e
quali invece un effetto innovativo.
Applicando questo modello, le risposte che emergono dalle costellazioni pos-
sono essere lette a livello normativo, strategico od operativo; in questo modo
si possono trarre conclusioni sull’effettiva portata di una determinata soluzione
ed è possibile avviare gli interventi programmati al giusto livello e in misura
adeguata.
Per attuare soluzioni a livello operativo, per esempio, è sufficiente un interven-
to di change management più limitato rispetto a quello che servirebbe a livello
strategico: per risolvere un problema operativo a volte basta anche solo un
impulso emerso da una singola costellazione. Invece, nel caso di un riorienta-
mento strategico, è necessario elaborare un progetto di project e change ma-
nagement più articolato.
Nelle costellazioni si può inoltre osservare con una certa frequenza come i
problemi che si manifestano a un determinato livello affondino le loro radici in
questioni rimaste irrisolte a un livello superiore. In un caso concreto le difficol-
124
tà nella scelta strategica erano dovute alle discrepanze a livello normativo: i
conflitti esistenti tra consiglio di amministrazione e presidenza riguardo alla
Corporate Governance, ai valori fondanti e alla mission, avevano impedito di
definire un chiaro posizionamento strategico dell’impresa sui mercati interna-
zionali.
Il modello di San Gallo può essere utilizzato anche come base per il formati
della „costellazione organizzativa” che analizza l’effetto della struttura organiz-
zativa sui processi aziendali e che generalmente si impiega per questioni come,
ad esempio:
Come si posizionano le funzioni rispetto all’obiettivo o all’incarico?
Com’è distribuito il potere tra le funzioni?
Tra quali funzioni sono in atto eventuali conflitti?
Quali funzioni sono escluse?
Che genere di aiuto ricevono le funzioni operative dalle funzioni manageriali
o di supporto?
Gli elementi tipici di questo formato sono:
1. Un incarico o una mansione con i relativi obiettivi.
2. Le funzioni con incarico formale o comunque coinvolte a vari livelli.
3. Ulteriori parti in causa coinvolte (stakeholder).
4. Fattori rilevanti di contesto come per esempio la strategia o determinati
valori.
Per identificare i singoli elementi da rappresentare nella costellazione può
essere utile riportare l’organigramma aziendale su una lavagna a fogli mobili.
Nell’utilizzo di questo formato bisogna evitare che l’attenzione scivoli verso gli
aspetti personali del rapporto tra i detentori delle varie funzioni, cercando di
mantenerla ferma sugli aspetti strutturali del rapporto tra le funzioni.
Un esempio:
Il direttore del reparto odontotecnico di una grossa impresa di produzione
lamentava resistenze nella messa in atto della nuova strategia. Nel corso di un
workshop con l’amministratore delegato (CEO), il team direzionale della divi-
sione e il responsabile per l’organizzazione e lo sviluppo del personale decisero
125
di cercare una soluzione mediante una costellazione sistemica. La costellazione
produsse il seguente quadro:
fig. 4: Attuazione di una nuova strategia – quadro iniziale
Str: Strategia CDA: Consiglio d’amministrazione DG: Direzione generale DBU: Direzione della divisione
PR: Produzione DI: Distribuzione SC: Servizio clienti AM: Amministrazione
La direzione della divisione (DBU) é rivolta verso la direzione generale (DG) che
ha elaborato e vuole mettere in atto la nuova strategia (Str), perdendo così di
vista gli attuali accadimenti nel proprio settore. Tra la distribuzione (DI) e il
servizio clienti (SC) è in atto un conflitto, mentre la produzione (PR) attende
con crescente irritazione che la direzione della divisione si occupi finalmente
dei gravi problemi operativi che ne derivano. L’amministrazione (AM) si man-
tiene a distanza e in posizione di attesa.
126
Il dilemma in cui si dibatte la direzione della divisione è evidente: come può
soddisfare le aspettative della direzione generale e allo stesso tempo sostenere
i propri collaboratori?
fig 5: Attuazione di una nuova strategia
Str: Strategia CDA: Consiglio d’amministrazione DG: Direzione generale DBU: Direzione della divisione
PR: Produzione DI: Distributori SC: Servizio clienti AM: Amministrazione
Il primo passo della direzione della divisione verso una soluzione è stato quello,
non facile, di esporre i propri dubbi sulla nuova strategia d’innanzi alla direzio-
ne generale e al CDA. Abbiamo quindi concordato di trattare l’argomento in un
workshop con i primi due livelli direttivo. In questo modo la direzione della
divisione ha conquistato il rispetto dei suoi collaboratori e ha potuto coinvol-
gerli in una discussione costruttiva sulla graduale attuazione della strategia.
127
8.1.2 Il modello Epidauros
Nel corso della loro attività di consulenza, Henriette K. Lingg e Georg Senoner
hanno potuto osservare come spesso le discussioni andassero a vuoto. L’ampio
spettro di risposte alla domanda: „In effetti di cosa stiamo parlando?” lasciava
intendere che le parti coinvolte nella discussione partivano da premesse diver-
se e sconosciute agli altri.
Queste premesse implicite si trovano in genere a sei livelli diversi:
La narrazione e interpretazione della storia dell’azienda
La percezione del sistema e del suo ambiente
La visione dello scopo dell’impresa
I valori e le regole fondanti
I processi aziendali e le strutture organizzative
Gli obiettivi e le azioni prioritarie
Grafica 11: Modello Epidauros
128
Abbiamo sviluppato un modello e un processo per esplicitare le premesse im-
plicite nelle mappe mentali dei manager: passando in rassegna i sei livelli del
modello emergono le incongruenze presenti nella strategia, struttura e cultura
dell’azienda.
Elenchiamo di seguito una sintesi delle domande utilizzate per esplorare i prin-
cipi di orientamento.
Storia
Intenti: Riconoscere le prestazioni delle singole persone. Riconoscere i modelli
comportamentali e considerare i loro effetti. Ricapitolare le fasi più importanti
della storia dell’azienda fino all’oggi.
Domande: Quali passi ci hanno condotto fino a qui? Quali sono state le espe-
rienze collettive e quali quelle personali? Quali sono le fonti che ci hanno ispi-
rato e quali le nostre radici?
Sistema/Ambiente
Intenti: Identificare gli attori rilevanti all’interno e all’esterno del sistema. Defi-
nire i confini del sistema. Mostrare i campi d’azione dell’azienda e le condizioni
ambientali.
Domande: Chi fa parte del sistema? I confini sono chiari? Da dove vengono le
nostre risorse? Quali sono le condizioni giuridiche, sociali ed economiche? Con
chi siamo in relazione? Chi sono i nostri clienti e fornitori?
Visione, missione e scopo
Intenti: Progettare una visione futura collettiva. Mostrare idee diverse e met-
terle in accordo tra loro.
Domande: Quali effetti vogliamo ottenere? Come si integrano le idee dei singoli
in un quadro complessivo? Come appare la nostra visione dalla prospettiva dei
vari stakeholder? Da dove vengono la nostra motivazione e la nostra forza?
129
Valori e regole fondanti
Intenti: Elaborare le regole come linee guida per l’azione.
Domande: In base a quali comportamenti, atteggiamenti e risultati ci distin-
guono? Quali sono i valori, le regole e i limiti che determinano la nostra identi-
tà?
Processi e struttura
Intenti: Progettare procedure efficaci ed efficienti. Definire responsabilità e
mansioni coerenti con i processi. Concordare le procedure decisionali.
Domande: Quali sono i processi essenziali per la realizzazione della nostra vi-
sione? Quali strutture sono necessarie per guidare questi processi? Quali com-
piti vengono delegati e a quali persone od organi? La struttura è idonea per
mettere in atto i nostri valori e la nostra visione?
Obiettivi e azioni prioritarie
Intenti: Progettare i passi attuativi e il feedback. Stabilire le priorità.
Domande: Quali attività sono necessarie? In quale ordine di priorità? In base a
cosa si vedono i risultati?
Applicazione
Da un lato, all’inizio di un processo più ampio, il modello funge da mappa per
chiarire i temi chiave. Esso include tutti i livelli importanti per lo sviluppo, il
modellamento e la gestione di un’organizzazione. Dall’altro, il modello indica la
sequenza logica dei passi da compiere per allineare strategia, struttura e cultu-
ra. Per esempio: prima di decidere a favore di una determinata strategia è utile
tematizzare eventuali punti di rottura nella storia dello sviluppo dell’azienda.
Il modello si presta molto bene per costellazioni a scopo diagnostico. Si metto-
no in scena il focus (ad esempio: i vertici aziendali, il team progettuale) e un
rappresentante per ognuno dei sei livelli del modello. Dalla costellazione emer-
130
ge chiaramente a quale livello sono presenti questioni irrisolte. Queste posso-
no essere affrontate successivamente in un’ulteriore costellazione specifica o
utilizzando altri strumenti.
L’Ill. 6 mostra la costellazione di un team appartenente al reparto di formazio-
ne del personale di un associazione professionale. Il clima di lavoro all’interno
del reparto si era deteriorato e i collaboratori si sentivano oberati. Il capo re-
parto era deciso ad ottimizzare ulteriormente i processi lavorativi. Il consulente
riuscì a convincerlo di verificare mediante un workshop, condotto secondo il
modello Epidauros, a quale livello avrebbe dovuto iniziare con l’ottimizzazione.
fig. 6: Clima di lavoro nel reparto di formazione del personale
FP: Reparto formazione del personale St: Storia Am: Ambiente
Vi: Vision Va: Valori PS: Processi/Strutture Ob: Obiettivi
131
Dalla costellazione emerse chiaramente che il team era talmente concentrato a
rispettare i processi interni che aveva perso il contatto con l’ambiente circo-
stante, ovvero con i membri dell’associazione professionale e le loro aspettati-
ve nei confronti della formazione, non ricevendo in tal modo più alcun ricono-
scimento dall’esterno. In sostanza era questa la causa per il calo di motivazio-
ne.
La domanda per individuare la soluzione del problema non era dunque: „Come
possiamo configurare i nostri processi lavorativi in maniera sempre più efficien-
te?”, bensì: „Come possiamo ristabilire un dialogo costruttivo con i membri
dell’associazione?”
8.1.3 Il triangolo dei valori e delle risorse
Ogni qualvolta si tratta di verificare quali risorse debbano essere attivate e
impiegate in una determinata circostanza, oppure quali valori debbano deter-
minare un preciso comportamento all’interno di un team o di un’azienda, il
„triangolo dei valori e delle risorse”, come lo abbiamo denominato, è un ausilio
di grande utilità. Fa riferimento al concetto delle „polarità delle credenze”,
sviluppato da Matthias Varga von Kibéd e Insa Sparrer, secondo cui in ogni
cultura sono rappresentati in misura diversa tre aspetti fondamentali: la cono-
scenza, la fiducia, l’ordine.
Mediante questi tre aspetti è altresì possibile riassumere nel suo insieme il
sistema valoriale di un individuo o di un’organizzazione. Ogni singolo valore
risulta dalla determinata combinazione dei tre aspetti che corrispondono alle
tre modalità essenziali dell’esistenza umana, ovvero il pensiero, la relazione e
l’azione. Una quarta modalità, che va a completare le prime tre, potremmo
definirla la „saggezza”.
Alle prime tre modalità possiamo abbinare rispettivamente gli aspetti della
„conoscenza”, della „fiducia” e dell’„ordine” insieme ad altri concetti equipol-
lenti:
132
Tabella 3: Polarità valoriali (secondo Matthias Varga von Kibéd e Insa Sparrer)
Descriviamo di seguito due possibili campi d’applicazione a titolo di esempio.
Nel primo caso si trattava di verificare quali valori venissero vissuti all’interno
di un team e come avrebbero potuto modificarsi nel corso di un processo di
sviluppo. Abbiamo collocato nello spazio tre tabelloni in modo tale da formare
un triangolo isoscele che lasciasse abbastanza libertà di movimento ai membri
del team. Ogni tabellone rappresentava uno dei valori fondanti, ossia la cono-
scenza, la fiducia e l’ordine. In una prima fase, i membri del team hanno anno-
tato sui rispettivi tabelloni i valori vissuti in quel momento all’interno
dell’impresa e del team. Ne è risultato un sistema di coordinate nel quale si
esprimeva la cultura di quell’impresa. I singoli membri del team hanno quindi
preso una posizione personale all’interno del sistema di coordinate, collocan-
dosi in un determinato punto nello spazio.
In una seconda fase, abbiamo sperimentato un possibile sviluppo invitando i
membri del team a rivolgersi verso un’altra combinazione di valori e a valutar-
ne gli effetti sul loro stato individuale e su quello dell’intero team. La costella-
zione ha prodotto numerosi risultati positivi: per iniziare i membri del team
hanno potuto rendersi conto della posizione che ognuno aveva assunto nel
team rispetto ai valori fondanti; in secondo luogo si è delineato un quadro
complessivo della cultura predominante nel team, riconoscibile ed esperibile
da tutti; in terzo luogo, si è sviluppata un’idea della direzione nella quale il
team sarebbe potuto crescere.
Nel seguente esempio i membri di un gruppo di lavoro all’interno di un ospeda-
le si sono disposti come segue:
133
fig. 7: Diagnosi all’inizio del workshop
F: Fiducia O: Ordine C: Conoscenza
Me: Medici Te: Terapeuti Inf: Infermieri
Si può vedere come la maggior parte dei membri del team sia orientata verso il
valore „fiducia” e quanto poco peso abbiano i valori „conoscenza” e „ordine”.
Da questo quadro sono emerse importanti indicazioni per modellare il succes-
sivo processo di sviluppo: il deficit stava evidentemente a livello dell’ordine e
perciò ci siamo concentrati sulla domanda: „Quali regole e strutture dobbiamo
concordare per poter collaborare efficacemente nel team?”
Nella seconda applicazione si è trattato di mettere un team di lavoro nella
condizione di passare da una discussione conflittuale a un dialogo produttivo. I
manager sono stati invitati a indicare gli elementi che secondo loro avrebbero
caratterizzato un buon risultato concreto della discussione. I concetti espressi
134
dai manager sono stati annotati sulla flipchart e associati alle modalità del
triangolo dei valori e delle risorse.
Cinque elementi rappresentati dai membri del team sono stati quindi collocati
nello spazio:
Il team
Il risultato desiderato
I valori inerenti la categoria della „conoscenza”
I valori inerenti la categoria della „fiducia”
I valori inerenti la categoria dell’„ordine”
fig. 8: Dialogo produttivo – Quadro iniziale
Te: Team Ri: Risultato Or: Ordine
Fi: Fiducia
Co: Conoscenza
135
Dalla costellazione si vede che la risorsa „fiducia” non è rivolta verso il team.
„Ordine” e „conoscenza” occupano invece una buona posizione, ma il team è
troppo concentrato sul risultato e ha una visuale limitata delle risorse.
Dopo che i rappresentanti si sono spostati liberamente alla ricerca di una collo-
cazione migliore, è risultato il seguente quadro:
fig. 9: Dialogo produttivo – quadro risolutivo
Te: Team Ri: Risultato Or: Ordine
Fi: Fiducia Co: Conoscenza
A questo punto si è creato un buon collegamento con tutte e tre le risorse e si
vede che la „fiducia” accompagna il cammino del team verso il risultato. In
seguito alle evidenze acquisite nel corso della costellazione sistemica, il dialogo
è potuto proseguire finalmente senza attriti e in maniera produttiva.
136
8.1.4 Il modello TZI Themenzentrierte Interaktion (Interazione Centrata sui
Temi)
Nell’analisi delle dinamiche nei team è utile porre l’attenzione non tanto ai
rapporti tra i singoli membri quanto al rapporto dell’intero team con il compi-
to, il capo, il contesto nel quale deve operare, così come allo scopo e senso più
ampio del compito. Per questo tipo di lavoro è particolarmente adatto un for-
mato di costellazione che si appoggia al modello TZI di Ruth Cohn (Cohn, 1975).
TZI sta per „Interazione Centrata sui Temi” – e comprende quattro fattori: Io (il
singolo individuo), Noi (il gruppo), Esso (il tema), Globe (il contesto).
Grafica 12: Modello TZI
Per il nostro lavoro abbiamo rinominato i quattro elementi come segue: il capo,
il team, il compito, il contesto e abbiamo aggiunto come quarto elemento la
finalità e lo scopo. Questi fattori determinano in misura decisiva la produttività.
In una situazione lavorativa ottimale il capo tiene bene in vista sia il team che il
compito; il contesto e la finalità sono percepiti come risorse di sostegno.
Esempio:
137
fig. 10: Situazione all’interno di un team direttivo
Te: Team Co: Compito Ca: Capo
Ct: Contesto F&S : Finalità e Scopo
La costellazione presenta la situazione all’interno del team direttivo (Te) del
reparto di ricerca e sviluppo di una impresa di produzione di notevoli dimen-
sioni. Il team si era venuto a trovare in grave ritardo con i suoi progetti e si
voleva capire il perché. La costellazione mostra come il capo (Ca) eccessiva-
mente concentrato sui compiti (Co) abbia perso di vista il team. La posizione
problematica del contesto (Ct) lascia intendere che una causa per la posizione
disfunzionale del capo e del team rispetto ai compiti è da ricercare con ogni
probabilità in fattori esterni al team. Dalla domanda se vi fossero possibili ele-
menti di disturbo, è risultato che il capo reparto era arrivato solo da pochi mesi
e che il suo predecessore aveva lasciato l’azienda dopo una lite con la direzione
sulla strategia dello sviluppo prodotti. Il nuovo orientamento strategico non era
138
stato discusso con i membri del team, cosa che si evince anche dalla posizione
del rappresentante di finalità e scopo (F&S).
fig. 11 Situazione in un team direttivo – Sviluppo
Te: Team Co: Compito Ca: Capo
Ct: Contesto F&S: Finalità e Scopo
Il primo passo verso una soluzione è stato dunque quello di parlare apertamen-
te dei retroscena relativi al cambio di direzione e delle controversie riguardanti
la strategia. Solo così team e capo si sono potuti avvicinare permettendo al
team di concentrarsi nuovamente sul proprio compito.
8.2 Strategia e innovazione
Per l’ambito tematico che comprende la validazione e lo sviluppo delle scelte
strategiche sono disponibili svariati modelli e concetti. Abbiamo scelto i modelli
139
che andremo a esporre qui di seguito sia perché offrono un ampio spettro
d’applicazione sia perché si differenziano nettamente tra loro.
8.2.1 Strategy Maps
Le Strategy Maps, un modello diffuso in tutto il mondo, sono state sviluppate
da Robert S. Kaplan e David P. Norton (2004) sulla base della Balanced Score-
card. Gli autori distinguono quattro prospettive dalle quali si può osservare
un’impresa:
1. La prospettiva finanziaria: essa descrive i risultati della strategia in termini
monetari secondo i parametri classici dell’economia aziendale.
2. La prospettiva del cliente: essa definisce l’apporto valoriale per il cliente
finale così come è riportato per esempio in un Marketing-Mix.
3. La prospettiva dei processi interni: essa comprende i processi di creazione
del valore aggiunto mediante i quali si genera il valore per il cliente.
4. La prospettiva dell’apprendimento e dello sviluppo: essa identifica i valori o
le potenzialità immateriali che sono importanti per la realizzazione della
strategia.
Grafica 13: Strategy Map, Robert S. Kaplan e David P. Norton, 2004, p.10
140
Nella sua declinazione il modello offre una griglia esaustiva utile a rilevare i
fattori più importanti per comprendere una determinata situazione e per pro-
gettare gli interventi strategici. Un aspetto significativo di questo modello è il
collegamento causale tra le quattro prospettive: gli obiettivi economici, per
esempio, possono essere raggiunti solo se l’impresa crea un valore per il quale i
clienti sono disposti a pagare un prezzo. Tale valore è a sua volta generato da
processi funzionali, coordinati tra loro, che dipendono dalle cosiddette risorse
immateriali, ovvero il capitale umano, informativo e organizzativo.
In particolare, per quanto riguarda la chiarificazione di interrogativi strategici,
le Strategy Maps – lo dice già il nome – offrono similmente a una carta geogra-
fica un buon orientamento per la definizione del segmento di sistema, del livel-
lo di osservazione e degli elementi da mettere in scena. Qualora si volesse, ad
esempio, verificare la consistenza di una strategia di leadership di prodotto
innovativa mediante una costellazione sistemica, non potranno mancare tra gli
elementi da rappresentare la qualità dei prodotti, i nuovi segmenti di clientela,
il processo innovativo, la perizia e la creatività.
8.2.2 Il modello della farfalla
Nelle diverse fasi che intercorrono tra l’ideazione e la realizzazione, i progetti
hanno bisogno di diverse risorse. Pertanto, è sensato analizzare in maniera
critica l’insieme dei progetti in corso e verificare di cosa hanno bisogno nella
fase di volta in volta attuale e chi debba assumere quale ruolo. Per elaborare
domande di questo tipo, Henriette Lingg (Rosselet, Senoner, Lingg, 2007, p.
161 ss.) ha sviluppato uno schema che contiene i seguenti componenti:
L’uovo – simbolizza la fase del processo ideativo.
Il bruco – rappresenta la fase di raccolta di informazioni, materiali e risorse.
La crisalide – indica la fase di trasformazione in cui il progetto assume la
sua forma concreta.
La farfalla – simboleggia il risultato, la realizzazione ma anche la transito-
rietà dell’idea.
Anche in questo caso spieghiamo il modello di costellazione con un esempio.
141
Un funzionario pubblico che doveva elaborare una proposta di legge per il
sostegno all’innovazione, voleva comprendere perché fosse così difficile trova-
re un consenso tra i vari rappresentanti dei gruppi d’interesse coinvolti. In un
gruppo di lavoro composto da collaboratori della Ripartizione Innovazione e
Sviluppo e dall’assessore incaricato, i consulenti avevano proposto e messo in
atto una costellazione basata sul modello della farfalla. In una griglia stesa sul
pavimento, riportante i quattro campi (l‘uovo, il bruco, la crisalide, la farfalla), i
rappresentanti si erano collocati in un punto scelto spontaneamente.
fig. 12: Sviluppo di una proposta di legge
PL: Proposta di legge Po: Politici Si: Sindacato Im: Imprenditori
Ci: Cittadini Fu: Funzionari IR: Istituti di ricerca Me: Media
Il quadro la diceva lunga: politica e sindacati erano tutti presi da questioni ideo-
logiche di fondo; gli imprenditori osservavano la situazione da grande distanza
142
e volevano più informazioni; i cittadini si erano collocati dietro ai funzionari e
non parevano particolarmente interessati al provvedimento di legge; i funzio-
nari erano totalmente concentrati sulla loro proposta; gli unici che guardavano
verso la legge da elaborare erano gli istituti di ricerca per i quali si prevedeva
un ruolo rilevante all’interno del processo d’innovazione; i media erano più che
altro interessati alle reazioni dei cittadini e consideravano la proposta di legge
come già bocciata.
I rappresentanti furono pregati di riposizionarsi nei quattro campi per simulare
il passo successivo nello sviluppo della proposta di legge.
fig. 13: Sviluppo di una proposta di legge
PL: Proposta di legge Po: Politici Si: Sindacato Im: Imprenditori
Ci: Cittadini Fu: Funzionari IR: Istituti di ricerca Me: Media
143
Il nuovo quadro chiarì la situazione. Il progetto di legge era arretrato nel campo del
bruco: „Bisogna raccogliere più informazioni, in particolare sulla situazione e sulle ne-
cessità degli imprenditori”. Il funzionario si era girato per poter entrare in dialogo con i
suoi interlocutori più importanti, gli imprenditori e gli istituti di ricerca. Gli istituti di
ricerca si erano posizionati a cavallo tra il campo della farfalla e il campo dell’uovo: „Da
un lato ho una visione ben definita della collaborazione ideale tra imprese e istituti di
ricerca, dall’altro forse i tempi non sono ancora maturi per attuarla”. Gli imprenditori
erano rimasti a distanza, pur essendo interessati al dialogo con i funzionari. I politici si
erano leggermente allontanati dal confronto con i sindacati, mentre questi ultimi conti-
nuavano a rimanere fissati sulla politica. I cittadini avevano abbandonato il centro, i
media continuavano a non mostrare particolare interesse per il progetto di legge.
Da questa costellazione il gruppo di lavoro aveva potuto trarre preziose indicazioni per i
successivi passi da compiere e la legge fu approvata solo pochi mesi più tardi.
Una variante del modello della farfalla prevede che le quattro fasi di sviluppo (uovo,
bruco, crisalide, farfalla) non vengano evidenziate sotto forma di campi in uno spazio,
bensì vengano messe in scena da rappresentanti. La metafora della farfalla ha il vantag-
gio di raffigurare in maniera molto comprensibile e convincente i passi necessari per lo
sviluppo di un progetto.
8.2.3 Il quadrato dei valori
I valori sono una componente importante nella cultura d’impresa in quanto orientano il
comportamento dei collaboratori. In genere si presuppone che ognuno sappia quali
siano i valori di riferimento. Friedemann Schulz von Thun (1989) dimostra, sulla base del
modello qui esposto, che un valore rappresenta un orientamento solo quando viene
messo in relazione da un lato con la sua esagerazione negativa e dall’altro con un valore
complementare.
Nel seguente esempio dimostriamo in che modo il modello di Schulz von Thun
possa essere impiegato come schema per una costellazione sistemica.
Il team addetto allo sviluppo del personale di un’azienda di trasporto pubblico
aveva elaborato un nuovo concetto per la formazione dei suoi dipendenti, il
management avevo tuttavia reagito con scarsa comprensione e consenso. I
consulenti posero la seguente domanda: „Qual è il valore sostanzialmente
nuovo sul quale si fonda il vostro progetto e in che cosa si differenzia dai vecchi
valori?”
144
Grafica 14: Quadrato dei valori
La nuova formazione proposta si doveva basare molto più sul dialogo, allo lo
scopo di elaborare insieme ai partecipanti soluzioni basate sull’esperienza,
piuttosto che sulla pura e semplice trasmissione di know-how tecnico mediante
la forma classica dell’insegnamento frontale. Per indicare il nuovo valore cen-
trale scelsero pertanto il termine „dialogo”; per la sua esagerazione
l’espressione „chiacchiere”; per il suo valore complementare la formula „fina-
lizzazione al risultato” e per il grado potenziato di quest’ultimo l’espressione
„semplificazione meccanicistica”.
I membri del team rappresentarono la situazione nel seguente modo:
145
fig. 14: Accettazione di un progetto di formazione permanente
PFP: Progetto di Formazione Permanente Tg: Target Dg: Dialogo Ch: Chiacchiere
FR: Finalizzazione al risultato SM: Semplificazione meccanicistica F&S: Finalità e Scopo
Nel quadro iniziale di questa costellazione si notano diversi aspetti:
l’eventualità di esagerare il „dialogo” (Dg) facendolo sfociare in „chiacchiere”
(Ch) non è contemplata; „finalizzazione al risultato” (FR) e „semplificazione
meccanicistica” (SM) sono percepiti come valori contrastanti tra i quali non
esistono compromessi; „finalità e scopo” (F&S) sono fissati unicamente sul
progetto di formazione permanente (PFP). In qualità di rappresentante
dell’elemento „finalità e scopo” la direttrice del reparto sviluppo del personale
fa il punto della situazione: „Mi sembra di essere concentrata solo su me stes-
sa”, mentre dalla posizione del „target” un membro del team dice: „Mi aspetto
146
che finalità e scopo della formazione permanente siano rivolti chiaramente
verso di me”.
Nel corso della costellazione i manager giungono alla seguente disposizione:
fig. 15: Accettazione di un programma per la formazione permanente – Sviluppi
PFP: Progetto di Formazione Perma-nente
Tg: Target Dg: Dialogo
Ch: Chiacchiere FR: Finalizzare al risultato SM: Semplificazione meccanicistica F&S: Finalità e Scopo
Tra i due valori complementari e le loro rispettive esagerazioni si può ricono-
scere un „quadrato di valori”: significa che viene a crearsi uno spazio in cui si
possono trovare vari compromessi.
La costellazione ha dimostrato ai membri del team che non avevano tenuto
sufficientemente conto dei valori e delle idee del loro target perché troppo
147
innamorati del nuovo concetto, e che pertanto il target non aveva potuto né
capire né accettare il progetto.
8.2.4 Sviluppo del potenziale
Il seguente formato di costellazione, elaborato per favorire lo sviluppo del
potenziale, si appoggia alla „costellazione autopoietica” sviluppata da Siegfried
Essen per rappresentare la capacità di auto-organizzazione di un sistema. Egli si
affida ai seguenti principi (Essen, 2003/2, p. 34):
1. Il sistema è completo. Nulla serve dall’esterno e nulla è superfluo.
2. Il significato delle varie parti del sistema nasce nell’azione.
3. Lo sviluppo non ha fine. Vi sono solo soluzioni temporanee.
Gli elementi fondamentali che abbiamo identificato per il nostro formato sono:
L’azienda nella sua peculiarità e forma attuale
Gli obiettivi strategici dell’azienda
Il potenziale di sviluppo dell’azienda
Vari fattori di contesto
La particolarità di questo formato è il modo in cui il processo di costellazione è
guidato dal consulente. I rappresentanti si dispongono nello spazio per mettere
in scena la situazione attuale, dopodiché iniziano a muoversi simultaneamente
e molto lentamente seguendo i loro impulsi per trovare una buona collocazio-
ne „nell’insieme”. Il facilitatore non interviene, se non per esortare periodica-
mente i rappresentanti a esprimere verbalmente quello che stanno provando.
Questo formato è adatto a sciogliere schemi di pensiero disfunzionali e crea
spazio per opzioni di sviluppo inattese.
Abbiamo potuto constatare che in determinate situazioni i manager tendono a
perdere di vista uno degli elementi.
Per esempio, nel corso di una costellazione per lo sviluppo del potenziale, il
direttivo di un’impresa rilevata da un gruppo internazionale si rese conto di
non essersi mai chiesto fino a quel momento quale potenziale avrebbe potuto
sviluppare nel nuovo ambito di cui era entrato a far parte. Fino a quel momen-
148
to era rimasto fissato unicamente sull’obiettivo di assicurare la attuale posizio-
ne sul mercato e di salvare lo stabilimento storico di produzione.
8.3 Soluzione del problema e processo decisionale
Si tratta qui di trovare una via d’uscita da una situazione di stallo e
d’interrompere uno schema d’interazione disfunzionale. Blocchi e conflitti
spesso nascono quando si trascurano, si mescolano o si confondono aspetti
importanti.
8.3.1 Tetralemma
Il „tetralemma” è uno schema per „categorizzare gli atteggiamenti e i punti di
vista”, che fa riferimento alla tradizione logica indiana (Sparrer e Kibéd, 2000,
p. 77). Il modello è utile quando si tratta di superare posizioni bloccate. Spe-
cialmente nel momento di prendere una decisione, sorge immancabilmente la
domanda su quale sia l’alternativa „giusta”. Per uscire dal dilemma è opportu-
no allora chiedersi se una possibilità di successo può nascere anche dalla com-
binazione delle alternative che paiono escludersi vicendevolmente o se invece
il successo va cercato piuttosto su un altro piano, al di là di tali alternative.
Mentre nel dilemma si contrappongono due posizioni, il Tetralemma ne con-
templa quattro:
1. La posizione dell’„uno”
2. La posizione del suo contrario, l’„altro“
3. La posizione „entrambe” che fa notare le possibili concordanze tra le prime
due posizioni. „Entrambe” può, ad esempio, voler dire che esiste un com-
promesso, che le posizioni possono essere attuate a turno, che la qualità
dell’alternativa scartata può confluire in quella prescelta, che le contraddi-
zioni sono tali solo in apparenza, che un collegamento inatteso tra l’uno e
l’altro produce una nuova alternativa.
4. La posizione „nessuno dei due” accenna al contesto in cui il contrasto ha le
sue origini. Per esempio può indicare che un aspetto importante è stato tra-
149
lasciato, che il contrasto è sorto in un determinato contesto e che al di fuori
da quello perde d’importanza.
Matthias Varga von Kibéd e Insa Sparrer integrano lo schema con una quinta
posizione (ibidem p. 89):
5. La posizione „niente di tutto ciò ma neppure questo!” invita a interrompere
continuamente modelli e schemi” (ibidem p. 90); significa saggezza o crea-
tività, è anche chiamata „elemento libero” perché può indicare una solu-
zione „miracolosa”, totalmente inattesa, su un altro livello.
Matthias Varga von Kibéd e Insa Sparrer descrivono numerose possibilità di
utilizzare il modello come formato di costellazione. Nella variante „classica” i
rappresentanti delle prime quattro posizioni vengono collocati in cerchio con lo
sguardo rivolto verso l’interno, in modo da formare gli angoli di un quadrato.
La quinta posizione, una volta messa in scena, può muoversi liberamente nello
spazio. Quindi il facilitatore passa per tutte le posizioni, insieme al focus, par-
tendo dalla „uno” e collocando il focus sempre prima a sinistra e poi a destra
della rispettiva posizione. Dopo ogni spostamento chiede di descrivere le diffe-
renze nella percezione. Pertanto il „tetralemma” è „un paesaggio che cambia
mentre lo attraversiamo e per il fatto stesso che lo attraversiamo” (ibidem p.
86).
Per l’utilizzo nel contesto manageriale è indicata anche la forma libera. Le cin-
que posizioni e il focus vengono collocati liberamente nello spazio secondo
l’immagine interiore dei manager. In genere in questo modo si evidenziano
anche le opzioni tralasciate; includendole si sgombera quindi la strada per
nuove idee e prospettive.
Il seguente esempio proviene dal processo di sviluppo della mission di un gran-
de ufficio di progettazione. I partecipanti avevano già formulato vari principi
fondanti quando, attorno al tema „responsabilità verso l’ambiente”, si è scate-
nata improvvisamente un’accesa discussione. Alcuni collaboratori nutrivano il
sospetto che, in un determinato progetto che era stato loro proposto, si potes-
se nascondere una speculazione ai danni dell’ambiente. „Quanto onesti pos-
siamo dire di essere”, chiese un ingegnere, „se prima facciamo della responsa-
bilità per l’ambiente la nostra bandiera e poi accettiamo un incarico come que-
150
sto?“ Abbiamo proposto di affrontare il dilemma: „accettare o meno l’incarico”
con una costellazione a „tetralemma”.
fig. 16: Decisione critica
Uff: Ufficio Acc: Accettare Rif: Rifiutare Ent: Entrambe
Ndd: Nessuna delle due Eli: Elemento libero „niente di tutto ciò, ma neppure questo”
L’esito della costellazione è stato sorprendente. Non appena tutti i rappresen-
tanti sono in scena, il rappresentante dell’elemento „ufficio” dice: „Non pos-
siamo rifiutare questo progetto”. Il rappresentante dell’opzione „rifiutare” a
sua volta afferma: „Ho scelto questa posizione perché sono sempre stato
dell’avviso che non dovremmo accettare questo progetto. Eppure, non appena
mi calo in questo ruolo, sento che rifiutarlo sarebbe un errore”. Parla il rappre-
sentante di „nessuna delle due”: „Se l’amministrazione comunale ha approvato
il progetto, in quanto ufficio di progettazione non siamo autorizzati a rifiutar-
151
lo”. Il rappresentante per „Entrambe” aggiunge: „Possiamo dare prova della
nostra consapevolezza ambientalista proponendo al costruttore alternative che
nell’ambito del progetto approvato possano salvaguardare al meglio
l’ambiente”.
Poiché tutte le posizioni sono presenti contemporaneamente nello spazio e
percepibili come un tutto, cosa che nell’ambito di una discussione difficilmente
avviene, risulta più facile prendere una decisione. A volte si ha addirittura la
sensazione che la decisione s’imponga da sé.
8.3.2 La struttura del problema
A monte di ogni problema vi è un obiettivo che si tenta di raggiungere. A que-
sto si aggiungono necessariamente gli ostacoli che si frappongono al conse-
guimento dell’obiettivo. Tuttavia, laddove vi siano le risorse necessarie, gli
ostacoli possono essere superati. L’interazione tra ostacolo e risorsa è un
aspetto importante al quale si può lavorare in una costellazione sistemica.
Negli ostacoli si possono riconoscere improvvisamente delle opportunità: il
potenziale delle risorse trascurate diventa visibile. Inoltre c’é sempre un van-
taggio più o meno nascosto nell’evitare di risolvere il problema. Nel momento
in cui si acquisisce consapevolezza di tutto questo, diventa visibile anche ciò
che fino ad allora aveva impedito di affrontare il problema. Del resto ogni
obiettivo è solo un passo verso la realizzazione di uno scopo più ampio. Per
ogni obiettivo esiste pertanto il „passo successivo” che colloca il problema in
un contesto allargato.
Per chiarire ulteriormente quanto su esposto riportiamo il seguente esempio:
un team di management aveva constatato che le lamentele della clientela,
relative all’efficienza del servizio di manutenzione, erano considerevolmente
aumentate. La qualità della manutenzione era sempre stata un importante
argomento di vendita. In un workshop con i responsabili del servizio manuten-
zione, della distribuzione, della produzione e della direzione, la discussione non
ha portato ad alcun risultato concreto. Sono state nominate molte cause possi-
bili ma non si è riusciti ad accordarsi su nessuna misura. Finalmente il consulen-
te ha proposto di sperimentare una costellazione sistemica.
152
I manager si sono accordati velocemente sull’obiettivo, che era quello di torna-
re a garantire un livello del servizio costante. Le prime difficoltà si sono presen-
tate nel tentativo di determinare chi fosse l’owner del tema: „Chi è responsabi-
le per il conseguimento di questo obiettivo? Il reparto di manutenzione? La
distribuzione? La direzione?” Alla fine il direttore di divisione ha dichiarato di
assumersi personalmente la responsabilità della questione.
Quindi sono stati elencati tutti gli ostacoli:
l’accresciuta complessità dei macchinari da quando erano state introdot-
te due nuove linee di prodotto:
la crescente impazienza dei clienti finali, particolarmente pressati
dall’imposizione di nuove regolamentazioni statali più severe;
il sovraccarico di lavoro dei collaboratori addetti alla manutenzione;
le difficoltà nella comunicazione tra manutenzione e distribuzione.
Le seguenti risorse avrebbero dovuto sostenere il raggiungimento
dell’obiettivo:
un numero sufficiente di tecnici manutentori;
la competenza dei venditori;
il supporto della Service-Hotline.
Il vantaggio nascosto del problema, in prima battuta, non era stato ben definito
e, anche a proposito del „passo successivo”, i manager non avevano ancora le
idee chiare.
Ognuno di questi elementi è stato appuntato su un foglio di carta e i manager
sono stati invitati a disporre i fogli per terra per rendere visibile la struttura del
problema Dopodiché i manager hanno occupato la posizione dalla quale si
sentivano maggiormente attratti (vedi fig. 17).
L’ordine sparso dei rappresentanti nel quadro iniziale rispecchiava chiaramente
la confusione della discussione che aveva preceduto la costellazione. Qualche
disfunzionalità era tuttavia già riconoscibile: la direzione (Di) era concentrata
unicamente sul livello del servizio (LS), viveva il sovraccarico dei tecnici con
fastidio, ma allo stesso tempo non voleva occuparsene.
153
fig. 17: Una situazione problematica
Di: Direzione (focus) LS: Livello del servizio (obiettivo) CS: Complessità dei macchinari (ostacolo) IM: Impazienza dei medici (ostacolo)
ST: Sovraccarico dei tecnici (ostacolo) Co: Comunicazione (ostacolo) TA: Tecnici aggiuntivi (risorsa) SV: Supporto dei venditori (risorsa)
SH: Service Hotline (risorsa) Pr: Prezzo PS: Passo successivo
Nell’elemento prezzo (Pr), alle spalle della direzione, i manager hanno ricono-
sciuto la „politica di blocco delle assunzioni” che era stata concordata in rispo-
sta alla crisi economica. Non entriamo qui nel dettaglio del processo di costel-
lazione, che durò ben 70 minuti, ma ci limitiamo a osservare la costellazione
finale:
154
fig. 18: Soluzione di una situazione problematica
Di: Direzione (focus) LS: Livello del servizio (obiettivo) CS: Complessità dei macchinari (ostacolo) IM: Impazienza dei medici (ostacolo) ST: Sovraccarico dei tecnici (ostacolo) Co: Comunicazione (ostacolo)
TA: Tecnici aggiuntivi (risorsa)
SV: Supporto dei venditori (risorsa) SH: Service Hotline (risorsa) Pr: Prezzo PS: Passo successivo
In sostanza, due sono state le considerazioni decisive: la politica di blocco delle
assunzioni è stata messa apertamente in discussione e il sovraccarico lavorati-
vo dei tecnici riconosciuto effettivamente come tale. In questo modo si sono
potute cercare e trovare delle alternative. Si è preso atto che il livello del servi-
zio non si sarebbe potuto mantenere senza aggiungere nuovi tecnici, quindi si è
155
presa in considerazione la possibilità di attingere personale da altri reparti.
Inoltre si è pensato di scaricare una parte dei costi della manutenzione sul
cliente mediante appositi contratti. Si è anche visto che i problemi di comuni-
cazione tra il servizio manutenzione e la distribuzione erano dovuti in primo
luogo al sovraccarico dei tecnici; pertanto i direttori della distribuzione e della
manutenzione sono stati incaricati di elaborare misure a sostegno dei venditori
e per migliorare la comunicazione con i clienti finali. Infine, il „passo successi-
vo” è stato interpretato come segue: „se ampliamo gradualmente la nostra
gamma di prodotti come programmato, dobbiamo tenere conto del servizio di
manutenzione sin dall’inizio”.
8.3.3 Un approccio alla soluzione del conflitto
Nella letteratura specialistica esistono una quantità di modelli che descrivono il
nascere di conflitti e la loro soluzione. Quello che ci interessava qui era di tro-
vare uno schema che riconducesse la dinamica conflittiva ai due fattori che, per
la nostra esperienza, sono di centrale importanza, ossia i desideri e i timori che
non sono espressi apertamente e/o di cui i diretti interessati spesso non sono
consapevoli. Con il seguente formato di costellazione possiamo dimostrare
come questi fattori conducano a un’escalation del conflitto:
Grafica 15: Approccio per la soluzione del conflitto
Questo formato di costellazione è adatto anche nei colloqui in cui le due parti
in conflitto sono sedute allo stesso tavolo. Per mezzo di simboli ognuna segnala
la propria posizione, i propri desideri e i timori. Dialogo e costellazione proce-
156
dono di pari passo, vale a dire che ogni spostamento dei simboli è messo in
relazione con la situazione reale e, viceversa, ogni dichiarazione è tradotta in
uno specifico movimento dei simboli. Il formato può essere applicato anche in
presenza di una sola delle due parti in conflitto.
Nel seguente esempio di un conflitto, tra un direttore di produzione (B) e un
direttore generale (A), mostriamo le forze propulsive che lo scatenano:
fig. 19: Dinamica di un conflitto – Quadro iniziale
TC: Tema del conflitto – Riduzione dei costi A: Parte in conflitto A – Direttore generale DA: Desideri di A – misure immediate e concrete
TA: Timori di A – direttore generale B: Parte in conflitto B – Direttore di produzione DB: Desideri di B - ? TB: Timori di B – Resistenza delle maestranze
Il conflitto riguarda le misure che l’impresa dovrebbe prendere per reagire a un
calo delle vendite. Il direttore generale rimprovera al direttore di produzione di
157
applicare misure troppo blande per ridurre i costi. Il direttore di produzione a
sua volta accusa il direttore generale di ragionare troppo a breve termine e di
sottovalutare gli effetti negativi delle misure di risparmio. Il direttore di produ-
zione (B) sente la pressione del suo desiderio alle spalle e tuttavia non riesce ad
articolare che cosa è che gli preme. Esprime in particolare il suo timore (TB) che
la probabile resistenza delle maestranze potrebbe rendere vane le misure di
risparmio. Il direttore generale (A) ha tematizzato esplicitamente i suoi deside-
ri, ovvero l’immediata applicazione di misure volte a ridurre i costi, ma il suo
atteggiamento all’interno del conflitto è fortemente influenzato dai timori (TB)
che non ha invece tematizzato e che lo distraggono e rendono più difficoltoso il
contatto con il direttore di produzione (B).
fig. 20: Dinamica di un conflitto – Situazione intermedia
TC: Tema del conflitto A: Parte in conflitto A – Direttore generale DA: Desideri di A – misure immediate e concrete TA: Timori di A – non è sicuro Rispetto al modo più efficace di affrontare la crisi
B: Parte in conflitto B – Direttore di produzione DB: Desideri di B – poter mante- nere il suo stile di conduzione collaborativa TB: Timori di B – Resistenza delle maestranze
158
In un primo passo le parti in conflitto si concentrano sui propri temi nascosti
per chiarirli prima di tutto a loro stessi e quindi per comunicarli all’altro.
Il direttore di produzione (B) si rende conto che vuole innanzitutto salvaguar-
dare il suo stile collaborativo di conduzione e il clima di lavoro costruttivo che si
era instaurato prima della crisi. Il direttore generale (A) comprende di non
essere convinto che le misure da lui richieste siano effettivamente la risposta
giusta alla crisi. Questo chiarimento modifica il colloquio in senso costruttivo e
infine ne risulta la seguente costellazione:
fig. 21: Dinamica di un conflitto – Soluzione
TC: Tema del conflitto A: Parte in conflitto A – Direttore generale DA: Desideri di A TA: Timori di A
B: Parte in conflitto B – Direttore di produzione DB: Desideri di B TB: Timori di B – resistenza delle maestranze
Il direttore generale è riuscito a esprimere apertamente i suoi timori (TA) ri-
guardo alle misure che aveva insistentemente richiesto e tiene finalmente nella
giusta considerazione i timori del direttore di produzione (TB). Insieme cercano
159
di trovare soluzioni sostenibili e il direttore di produzione può dichiarare aper-
tamente il suo stile di conduzione collaborativa (DB).
8.3.4 Miracle Scaling
Miracle scaling rappresenta una forma di costellazione sviluppata da Marco
Matera e Riccardo Benardon (M. Matera, R. Benardon 2007 pag. 37-41) come
integrazione tra la “time line” in PNL, la sezione delle scale nell’intervista foca-
lizzata alla soluzione di Steve de Shazer, e le costellazioni sistemiche.
Si è rivelata molto efficace per far percepire al cliente la forza necessaria, la
natura e le risorse utili per percorrere i passi essenziali al raggiungimento della
soluzione.
Gli elementi della costellazione sono tre:
1. il focus, rappresentato dal cliente stesso;
2. il miracolo, sogno o vantaggio dell’obiettivo;
3. il cordino, che rappresenta la scala ma anche il percorso verso il
miracolo e viene scelto e messo in scena dal cliente.
Una volta definito l’obiettivo da raggiungere attraverso l’intervista focalizzata
alla soluzione, il consulente supporta il cliente nella definizione dei vantaggi e
dei cambiamenti che il raggiungimento dell’obiettivo può portare. Nel processo
Solution Focus questo si identifica nella “Domanda del Miracolo”.
L’esplorazione mediante l’utilizzo della “Domanda del Miracolo” permette al
cliente di comprendere con maggior chiarezza, anche attraverso sensazioni
corporee, i vantaggi che la soluzione offre.
Come evidenziato nel cap. 9.8 l’utilizzo della scala aiuta il cliente a rendere
oggettiva la situazione e a intuire o razionalizzare i vari passi necessari per
raggiungere l’obiettivo, portando l’attenzione ai cambiamenti che possono
accadere. Come già osservato, il vantaggio di questa forma di costellazione
risiede nel fatto che il cliente stesso, camminando sulla sua scala rappresentata
da un cordino colorato, ha una percezione fisica dei vari passi.
160
Una volta che il cliente ha definito il suo “miracolo”, il consulente invita il clien-
te a scegliere un cordino colorato tra cordini di colori e lunghezze differenti. Il
cordino scelto viene posizionato a terra dal cliente e rappresenta la sua scala
da 1 a 10.
A questo punto il cliente sceglie un rappresentante per il suo miracolo e lo
mette in scena in relazione al cordino appena posizionato. Successivamente il
consulente invita il cliente a posizionarsi sul cordino.
La scelta del cordino e il posizionamento del rappresentante del miracolo forni-
scono al consulente diverse informazioni: cordini molto lunghi o molto corti,
miracoli posti fuori dal cordino e poi ritenuti dal cliente irraggiungibili o non
formulati in maniera sufficientemente precisa.
Una caratteristica importante della Miracle Scaling è la sua breve durata, al
massimo 5 minuti. La scelta di utilizzare un tempo così ridotto nasce
dall’esperienza di Victoria Sneh Schnabel; le sue costellazioni “espresso” e
“cappuccino”, rispettivamente di 2 e 3 minuti, dimostrano come i rappresen-
tanti possano trovare in un tempo così limitato utili passi, spesso veramente
risolutivi. Ridurre il tempo e gli elementi del sistema è un ottimo modo per
cogliere l’essenziale e la presenza del solo rappresentante del miracolo, oltre al
cliente, rende questa forma di costellazione leggera, semplice e profonda.
Si è rivelato utile e risolutivo far percepire al cliente le proprie risorse, a volte
esplicitandole.
Le seguenti domande si sono rivelate utili:
“come si sta lì?”: questo permette al cliente di sperimentare la sua
presenza nello stato attuale;
“come vede il miracolo?”: il cliente può percepire quanto vicino o lontano
sia l’obiettivo e quanto sia facilmente o meno raggiungibile;
“cosa prova guardando indietro (verso lo zero) e cosa fa per non
scendere?”: solitamente guardare alla strada percorsa fornisce al cliente una
sensazione di orgoglio rispetto ai passi che ha già fatto e gli dà una chiara
sensazione del percorso intrapreso e delle risorse che sono state utili. In
questa fase inoltre è importante esplorare, in pieno accordo con il protocollo
161
dell’intervista focalizzata alla soluzione (vedi cap. 9.8), eventuali eccezioni
individuando in tal modo risorse che si sono rivelate utili in passato. La
seconda parte della domanda fornisce al cliente una chiara sensazione del
fatto che l’apparente immobilismo risulta invece dalla ripetizione di
determinate azioni;
“quale potrebbe essere il primo piccolo passo verso il miracolo e che
significato avrebbe nella vita reale?”: a questo punto il cliente viene invitato
a fare un piccolo passo e, una volta esplorato come viene percepito questo
nuovo livello attraverso l’enunciazione delle differenze rispetto allo stato
attuale, la domanda permette di concretizzare e lasciar emergere insight
rispetto agli step necessari per raggiungere l’obiettivo;
“come sta il miracolo?”: questa domanda posta al rappresentante del
miracolo è utile per esplorare il tema portato dal cliente dal punto di vista del
“miracolo” e offre al cliente differenti chiavi di lettura. In questa fase si
esplorano tutti quei passi che possono aiutare il cliente a prendere
consapevolezza degli step necessari per raggiungere il miracolo.
Una particolare attenzione nella Miracle Scaling va dedicata agli atteggiamenti
del rappresentante del “Miracolo”: quando il “Miracolo” è ben posizionato, il
suo rappresentante assume un atteggiamento molto centrato. Quindi non si
muove autonomamente, e lo fa solo se richiesto dal cliente, non ha particolari
necessità, è neutro e parla per il bene del cliente.
Quando ciò non accade, in genere il cliente ha un’immagine del suo miracolo
confusa o sovrapposta con qualcos’altro. La gestione della confusione o della
sovrapposizione, da parte del consulente, può essere un intervento importante
per aprire la strada alla soluzione.
Caso:
Nel seguente esempio dimostriamo in che modo la tecnica Miracle Scaling
possa essere impiegata anche nel lavoro con un team.
Il CEO di una società di consulenza olandese insieme ai suoi partner richiese
una sessione per trovare un modo migliore per collaborare. All’incontro erano
162
presenti in cinque e, sebbene tutti interessati all’approccio, due di loro erano
piuttosto scettici rispetto ai risultati che si sarebbero raggiunti avendo cercato
varie volte di trovare una mediazione senza riuscirci.
Nel gruppo erano evidenti due differenti linee di pensiero e questo sembrava
essere il nodo da sciogliere. L’intervista, volta a trovare un obiettivo comune,
fece emergere due concetti che lo identificavano: sincronicità ed energia. La
parola “sinergia”, scelta come somma dei due concetti, trovò tutti d’accordo.
Venne scritta su un foglio che fu posizionato a terra. Ogni membro del gruppo
scelse un cordino colorato, lo mise a terra e si posizionò nella propria scala da 1
a 10, dove 10 era rappresentato dalla parola “Sinergia”, il loro obiettivo con-
cordato.
L’immagine iniziale permise a tutti di rendersi conto di quanto ogni membro
fosse in difficoltà rispetto all’obiettivo, ma anche di quanto tutti desiderassero
raggiungerlo. Mentre per alcuni era possibile fare un piccolo passo verso il 10,
per altri era impossibile a meno che qualcosa non cambiasse.
Il piccolo passo del CEO migliorò la situazione e permise a uno dei più scettici di
sentire la necessità di fare un passo verso il 10. Facendolo percepì l’importanza
del suo ruolo e da elemento di freno si trasformò in elemento di traino e da
tutti fu anche vissuto come un’utile risorsa. Emerse con chiarezza quanto le
azioni del CEO fossero decisive e, quando lui dichiarò con stupore ma determi-
nazione la necessità che fosse lui stesso ad agire per primo, ci fu una grossa
risata di sollievo. La questione era emersa varie volte ma a parole non c’era
stato modo di convincere il CEO a fare il primo passo.
163
9 Metodi e tecniche complementari
In ambito manageriale accompagniamo la costellazione con una serie di meto-
dologie, derivate dall’approccio della Learning Organization, che utilizzano in
primo luogo il linguaggio; serve infatti il linguaggio verbale per mettere a fuoco
un bisogno specifico di un team o di un gruppo, e serve sempre il linguaggio
verbale per condividere quanto si è percepito nell’ambito del lavoro di rappre-
sentazione affinché, alla fine, si possa creare un senso comune. Pertanto que-
ste metodologie, da un lato preparano il terreno per la costellazione chiarendo
il bisogno da indagare e determinando la sezione di sistema da rappresentare,
dall’altro servono per condividere i risultati della costellazione e per condurre a
un ulteriore approfondimento del tema o alla concretizzazione di singoli passi
risolutivi.
Spiegheremo di seguito i metodi più importanti impiegati in combinazione con
le Management Constellations, questi sono: il „Dialogo” (David Bohm), il
„World Café” (Juanita Brown), l’„Open Space” (Harrison Owen) così come le
tecniche dell’intervista dialogica, del „Fish Bowl” e della domanda ricorrente.
9.1 Il Dialogo
Il „dialogo” è un modo per condividere il pensiero sospendendo il giudizio indi-
viduale. Ciò produce una coscienza collettiva che orienta e legittima la succes-
siva azione del singolo o del gruppo – a questo proposito David Bohm parla
anche di „senso collettivo”. Nel dialogo la coscienza individuale assurge a co-
scienza collettiva, il dialogo permette dunque che la coscienza collettiva si
esprima.
Nella forma del dialogo i partecipanti siedono in cerchio. Al centro è collocata
una pietra o un altro oggetto che funge da moderatore „silenzioso”: chi racco-
glie la pietra ha facoltà di parlare finché non la rimetterà al suo posto al centro
o la passerà ad un altro partecipante. Questo modo di procedere ha uno scopo
preciso: quello di rallentare il colloquio in modo che le parole acquistino il loro
proprio peso. Nel dialogo, più che confrontarsi su vari argomenti, si cerca di
scoprire orizzonti comuni. In ciò il dialogo si distingue dal dibattito.
164
Le seguenti attitudini sono favorite dalla forma del dialogo:
Presentarsi come colui/colei che apprende e non come colui/colei che sa
Riconoscere e rispettare l’altro/a
Essere disponibili a comunicare sinceramente il proprio pensiero e le pro-
prie emozioni
Concentrarsi sull’essenziale
Ascoltare empaticamente
Sospendere il proprio giudizio – concentrarsi su dati e fatti
Battersi per qualcosa in maniera produttiva esponendo apertamente le
proprie ipotesi e i processi di pensiero e non solo le conclusioni
Esercitarsi in un atteggiamento di ricognizione
Osservare l’osservatore – percepire come reagiamo all’altro
„Di tanto in tanto, questa tribù”, racconta Bohm, „si riuniva in cerchio. Non
facevano altro che parlare, parlavano, parlavano, apparentemente senza risul-
tato. Non prendevano alcuna decisione. Non esistevano capi. E ognuno poteva
contribuire in qualche modo al dialogo. Probabilmente prestavano maggiore
attenzione alle parole degli uomini e delle donne più saggi - gli anziani - ma
tutti potevano esprimersi. L’incontro continuava fino a che non s’interrompeva
apparentemente senza motivo e il gruppo si disperdeva. Ciononostante, in
seguito, tutti parevano sapere esattamente cosa si dovesse fare, perché erano
parte di un tutto più grande e si capivano perfettamente. Quindi potevano
riunirsi in piccoli gruppi per agire o prendere delle decisioni.” (David Bohm, Der
Dialog, Stuttgart 1998, p. 49f)
9.2 World Café
Il modello del „World Café” è il modo più disinvolto di coinvolgere una quantità
di persone - anche se tra loro sconosciute - in uno scambio di idee informale e
tuttavia denso. Questo formato comunicativo si basa sull’osservazione che le
persone interessate possiedono, già in partenza, le necessarie conoscenze,
l’esperienza e la creatività per fare fronte anche alle sfide più difficili.
Il „World Café” offre la possibilità di svolgere una determinata tematica e di
condensarla nei suoi aspetti più rilevanti. Nel corso di più tornate di colloqui si
165
sviluppa un profondo sapere collettivo intorno ai possibili approcci creativi per
la soluzione del problema posto.
L’idea del „World Café” nasce dalla tradizione dei Café viennesi e parigini. In
discussioni serrate e accese gli avventori, visitatori abituali di questi caffè, idea-
rono allora un nuovo mondo e si ispirarono a vicenda nella creazione di opere
nuove.
Nella forma del „World Café” gli ospiti sono seduti intorno a tavolini tondi o
quadrati e discutono, a gruppi di 4-6 persone, una questione concreta in più
tornate - in genere tre. Le tornate durano da 20 minuti a mezz’ora e avvengono
in formazioni sempre nuove. Al termine di ogni tornata di discussione, tutti i
partecipanti – salvo uno – scelgono un nuovo tavolo al quale sedersi per discu-
tere. La persona rimasta invece espone brevemente ai nuovi convitati gli esiti
più significativi della precedente discussione, esiti che in genere vengono rac-
colti e ulteriormente sviluppati dal nuovo gruppo; naturalmente sorgono anche
nuove domande e riflessioni.
Attraverso questa „rete vivente di comunicazione” le idee esposte vengono
messe in relazione tra di loro per condensarsi gradualmente in primi approcci
risolutivi. Successivamente alle tornate di discussione, si raccolgono e visualiz-
zano i vari concetti espressi. Il risultato può essere la base di partenza per un
ulteriore approfondimento in una costellazione successiva.
L’etichetta di un „World Café” prescrive quanto segue:
Concentrati su ciò che sta succedendo adesso
Lascia che gli altri partecipino alle tue esperienze
Parla di quello che ti tocca al momento
Cerca di capire veramente l’altro
Raccogli le idee e collegale in un tutto più grande
Ascolta le sfumature
Disegna, scarabocchia, scrivi … sulla tovaglia di carta
In genere usiamo il metodo del „World Café” prima di una costellazione per far
emergere con chiarezza il tema centrale.
166
9.3 Open Space
Di tutte le forme di conferenza o d’intervento con grandi gruppi, l’„Open Spa-
ce” è quella che presenta la struttura più semplice. Gli unici elementi strutturali
obbligatori sono: la domanda centrale, il plenum e le sessioni di workshop
parallele che durano tra i 45 e i 90 minuti.
Nell’ambito di un tema stabilito in precedenza, i partecipanti presentano
nell’„Open Space” quegli aspetti che li riguardano e che vorrebbero approfon-
dire ed elaborare con persone che sono sulla loro stessa lunghezza d’onda.
Il formato dell’„Open Space” tende a lasciar agire il più liberamente possibile le
forze di autogestione dei gruppi. Di conseguenza gli interventi di pilotaggio
sono ridotti al minimo e si concentrano sostanzialmente su:
la definizione del tema;
la spiegazione della procedura e delle regole del gioco;
il rispetto dei tempi per lo scambio comune nel plenum.
L’inventore dell’„Open Space”, Harrison Owen, si è ispirato alle animate discus-
sioni che avvengono durante gli intervalli nei congressi specialistici e alla cultu-
ra dello scambio dialogico nelle società tribali.
Valgono le seguenti regole di base:
Tutti i presenti in un gruppo: sono esattamente le persone giuste.
Qualsiasi cosa accada: è l’unica cosa che può accadere.
Non importa quando inizierà: sarà comunque il momento giusto.
Quando è finito è finito. E quando non è finito non è finito.
Una volta che il facilitatore ha introdotto i partecipanti al tema e alle regole
dell’„Open Space”, questi scrivono uno o più temi che li riguardano su un foglio
di carta A4 e ne accennano brevemente i contenuti nel plenum. Dopodiché
attaccano i fogli con i temi su un pannello, su questo è riprodotta una griglia i
cui assi rappresentano rispettivamente le aule in cui si ritrovano i gruppi e i
tempi per la discussione. Nel passo successivo tutti i partecipanti si iscrivono ai
workshop che trattano i temi di loro interesse; questi verranno discussi e si
cercherà di trovare le prime soluzioni. I risultati saranno trascritti e messi a
disposizione di tutti i partecipanti. L’assemblea plenaria può avere luogo due
167
volte al giorno – all’inizio e al termine dell’attività lavorativa – e offre spazio per
lo scambio di informazioni e per annunciare workshop su nuovi temi emersi.
Inoltre vale la „regola dei due piedi”, ovvero: i partecipanti ad un Open Space
sono liberi di lasciare un workshop in corso o di unirsi ad un workshop già ini-
ziato (i cosiddetti „calabroni”), oppure di saltare singole sessioni di un work-
shop per andare a passeggiare, a riflettere o a chiacchierare con persone della
stessa opinione (le cosiddette „farfalle”). Ciascuno è responsabile di decidere
autonomamente dove e come passare il proprio tempo e dare il suo contribu-
to.
Utilizziamo spesso l’„Open Space”, per gruppi da 20 a 50 o più persone, al ter-
mine di una costellazione per approfondire i singoli aspetti emersi durante la
messa in scena.
9.4 L’intervista dialogica
Caratteristico di questa forma di colloquio è l’atteggiamento di chi va alla ricer-
ca d’informazioni con la curiosità dell’esploratore. Che si tratti di un singolo
interlocutore, o dei membri di un team o di un piccolo gruppo, il facilitatore
sonda il tema proposto nei suoi più svariati aspetti. È di centrale importanza
che egli sia ricettivo verso tutto ciò che agli interlocutori preme di comunicare.
Il facilitatore fa in modo che l’attenzione si rivolga progressivamente verso i
mutamenti che una buona soluzione potrebbe portare per le persone e i gruppi
coinvolti. Durante il colloquio iniziale, il facilitatore annota sulla lavagna a fogli
mobili le parole chiave che gli paiono importanti e che serviranno in seguito per
identificare gli elementi da mettere in scena.
9.5 Fish Bowl
La tecnica del fish bowl è particolarmente adatta, in un gruppo di medie di-
mensioni, per chiarire e definire il problema e per determinare gli elementi da
mettere in scena. Un piccolo gruppo di partecipanti discute di un determinato
argomento, circondato da un plenum più grande i cui partecipanti seguono la
discussione dall’esterno, senza intervenire direttamente. Se un membro del
168
cerchio esterno desidera dare il suo contributo può accomodarsi su una sedia
libera nel cerchio interno. Non appena la sua opinione sarà stata ascoltata e
compresa lascerà libero il posto sulla sedia. Il facilitatore è seduto nel cerchio
interno e dirige la discussione con le sue domande. Sarà d’aiuto se un parteci-
pante o un secondo facilitatore prenderanno nota degli esiti della discussione,
sia per iscritto che graficamente, su una lavagna.
9.6 La domanda ripetuta (recurring questioning)
La tecnica della „domanda ripetuta” può essere utile, prima di una costellazio-
ne, per evocare i vari aspetti di un tema. I partecipanti siedono a coppie l’uno
di fronte all’altro e a turno si pongono un’unica domanda, con l’aiuto di questa
entrano progressivamente in contatto con il loro modo di vedere una determi-
nata questione. Il partecipante che pone la domanda ascolta con attenzione la
risposta senza fare commenti; può ripetere la domanda più volte ma deve fare
attenzione a non interrompere il ragionamento dell’altro. Dopo dieci minuti
circa si cambia e tocca al partecipante, che fino a quel momento aveva esposto
liberamente i suoi pensieri, porre la stessa domanda al proprio collega; è pos-
sibile alternarsi ripetutamente. Successivamente si possono condividere le
esigenze emerse nei singoli colloqui per cogliere gli aspetti comuni al gruppo
usando la tecnica del dialogo di Bohm. Quindi si stabiliscono gli elementi da
mettere in scena.
9.7 Le quattro stanze del cambiamento
Claes Janssen ha sviluppato la sua teoria dei „Four Rooms of Change” (1996)
sulla base di una distinzione elementare: di fronte a un cambiamento possiamo
assumere due atteggiamenti, ovvero dire di no e rifiutare il cambiamento op-
pure dire di sì e accettarlo. Entrambe le possibilità possono essere caratterizza-
te da un atteggiamento positivo o negativo. Collegando posizioni e atteggia-
menti otteniamo la seguente matrice:
169
Tabella 4: Matrice degli atteggiamenti
Leggiamo sul sito di Claes Jannsen: „Con ogni cambiamento ci muoviamo dalla
soddisfazione che abbiamo perso verso una nuova condizione, passando per un
periodo di rifiuto in cui difendiamo la vecchia situazione e attraversando una
fase di smarrimento. Il punto di svolta che ci apre la strada a nuove possibilità
consiste nella rinuncia al vecchio.”
Janssen definisce il suo modello „Four Rooms of Change”, le „Quattro stanze
del cambiamento” o anche „The Four Rooms Appartment”, l’appartamento di
quattro stanze. La metafora delle stanze descrive nitidamente come percepia-
mo il mondo in ciascuna fase: le pareti limitano la nostra visuale del mondo
circostante e chi è soddisfatto non comprende chi è confuso, chi si trova nella
stanza del rifiuto non riesce a stabilire un contatto con chi porta avanti il cam-
biamento.
Seguendo la metafora delle stanze vediamo che le porte che collegano gli am-
bienti tra loro assumono una grande importanza. Come facciamo a passare
dallo smarrimento al rinnovamento? Come possiamo abbandonare la stanza
del rifiuto per progredire, attraverso un’inevitabile fase di confusione, verso
nuove possibilità? Le porte rappresentano quattro ulteriori parametri che van-
no ad aggiungersi al modello.
170
Una particolarità del rifiuto è che ci ostiniamo a non voler vedere che ne siamo
preda. Fingendoci soddisfatti ci aggrappiamo ai vecchi modelli; lasciarli andare
significherebbe sacrificare un pezzo della nostra identità. „Riconoscere quello
che è”, sta scritto sulla porta che ci conduce temporaneamente dalla stanza del
rifiuto alla stanza dell’insicurezza e dello smarrimento. „Lasciare andare ciò che
è passato” apre la porta per la stanza del rinnovamento. „Compromesso creati-
vo” ci permette di accedere alla stanza della contentezza; infine, per non incor-
rere nella tentazione di volervi sostare in eterno, c’è una porta che reca la scrit-
ta „Va tutto bene, può bastare”. Proprio quest’ultimo passo riesce difficile a
molte persone.
Grafica 16: Quattro stanze del cambiamento
Una delle caratteristiche più preziose di questo modello è che riesce a creare
consenso. Sostiene R.D. Laing: „Quando non riusciamo a creare un accordo,
l’unico inizio onesto e forse anche l’unica conclusione possibile dell’incontro, è
quello di trovare un accordo sul nostro disaccordo” (Janssen, 2009/12). Il mo-
dello delle „Quattro stanze del cambiamento” permette a ogni membro di un
171
team di prendere posizione senza esporsi al giudizio degli altri. Le quattro stan-
ze sono equivalenti, ognuna rappresenta una fase necessaria del cambiamento.
Per condividere le conoscenze emerse da una costellazione, a volte tracciamo
la griglia delle quattro stanze sul pavimento e invitiamo i manager a collocarsi
nel campo che corrisponde alla loro attuale condizione e a comunicare da lì le
loro riflessioni al gruppo. Oppure chiediamo loro di scrivere le proprie conside-
razioni su cartoncini e di collocarli nella stanza corrispondente. In questo modo
le barriere comunicative paiono come dissolte: vedendo da quale stanza il
collega si rivolge al gruppo, ognuno è in grado di mettere in relazione il suo
messaggio con il rispettivo contesto e di comprenderlo meglio. Spesso, chi si è
collocato nella stanza del „Sì”, si confronta con la propria ombra (in senso jun-
ghiano) guardando chi si è collocato nella stanza del „No”. Questo spiega per-
ché i due tendono a combattersi aspramente e perché al contempo si capisco-
no assai bene.
Quindi invitiamo i manager a spostarsi in un'altra stanza per esperire
„dall’interno” quanto hanno osservato „dall’esterno”. È uno spostamento che
di frequente li porta a dire: „Ora posso finalmente capire cosa intendi!”. I
membri del team comprendono in tal modo che ogni affermazione è legata a
una determinata prospettiva spazio-temporale e che in una fase successiva
questa può anche cambiare.
Il modello delle „Quattro stanze del cambiamento” aiuta a fissare l’aspetto
dinamico e la complessità delle informazioni scaturite dalla costellazione,
Una parte di quanto appreso (SI+) è subito chiara e può essere tradotta
immediatamente in azione.
Per nuove domande emerse nel corso della costellazione (SI-) è necessa-
rio trovare una risposta.
Nel caso si manifestassero resistenze (NO-), la loro utilità consiste nel
rendere i tempi del cambiamento più sopportabili, frenandoli.
Infine, si onora ciò che dev’essere conservato (SI+) perché rappresenta un
aspetto importante dell’identità.
172
Riconoscere le resistenze e l’atteggiamento di rifiuto a volte risulta difficile e
non è sempre facile ammettere lo smarrimento e l’insicurezza. Questo non ci
deve sorprendere: chi è sotto pressione per produrre risultati viene costante-
mente misurato in base alla propria capacità di avere subito pronta la soluzione
giusta per qualsiasi problema. Per questa ragione, il modello delle „Quattro
stanze” viene accolto con un certo sollievo perché da il „permesso” di manife-
stare anche scetticismo, ritrosia e rifiuto.
Il modello si è dimostrato valido anche nel setting individuale, sia per indivi-
duare gli elementi da mettere in scena sia per elaborare le informazioni scatu-
rite dalla costellazione stessa. È utile chiarire al cliente cosa può essere messo
in pratica subito, cosa deve ancora maturare e cosa può restare invariato.
9.8 Il Solution Focused Approach
Il Solution Focused Work (lavoro focalizzato alla soluzione) nasce negli
Stati Uniti d’America come tecnica di terapia breve ad opera di Steve de
Shazer, di sua moglie Insoo Kim Berg e dei suoi collaboratori.
Si tratta di una struttura di intervista che permette al cliente di ottenere
un differente punto di vista, quello appunto focalizzato alla soluzione.
Il problema viene esplorato solo marginalmente e tutta l’attenzione è
focalizzata alla discussione sugli obiettivi che si vogliono raggiungere e
sulle risorse che possono essere messe in campo. Si preferisce dare
forza alla descrizione delle cose che stanno già funzionando o che in
altri ambiti/momenti hanno funzionato e alle risorse/azioni pratiche
messe in atto in quelle occasioni, piuttosto che perdersi in lunghe spie-
gazioni su ciò che non va. In questo modo si esce dal circolo vizioso della
lamentela e ci si apre alla possibilità concreta di influire sulla situazione
trovando possibili soluzioni. La tecnica è di per sé molto semplice, ma
semplice non equivale a facile.
173
Nell’esperienza pratica spesso si nota quanto per i clienti immersi nel
problema sia difficile definire velocemente ciò che desiderano e/o si
prefiggono. Di solito pensano a come uscire dal problema e sono mossi
più dal desiderio di allontanarsi o scapparne piuttosto che essere attirati
da una possibile soluzione.
Oltre 30 anni di sperimentazione hanno dimostrato come sia davvero
possibile occuparsi delle soluzioni senza dover esplorare a fondo il pro-
blema. Quando si chiede a qualcuno di spiegare il suo problema, la pri-
ma cosa che fa è creare una cornice che contestualizza l'ambito. All'in-
terno di quella cornice inserirà tutta una serie di immagini e di cose che
non funzionano o che parlano del problema; in questo modo si trova
come intrappolato nel quadro che si è creato e gli sarà più difficile
uscirne.
La semplice domanda: “Supponga che il problema sia risolto, che cosa ci
sarebbe al suo posto?” sposta completamente il punto di vista, permet-
tendo al cliente di disegnare un’altra immagine che viene arricchita di
dettagli ogni volta che risponde alla domanda “e cos’altro?”. In questa
nuova immagine non c’è cornice, non c’è confine e questo permette di
espandere la visione, di accedere a piccole differenze che possono crea-
re la differenza, di trovare risorse. A volte già la descrizione dei vantaggi
legati alla soluzione porta a definire dei piccoli passi facilmente attuabili
che permettono di raggiungere l’obiettivo più speditamente.
I benefici di questa metodologia, che è per noi un vero e proprio ap-
proccio, sono legati principalmente al fatto che è mossa da una logica di
processo e non di contenuto. L’intervista è molto strutturata e non ri-
chiede una conoscenza del tema portato dal cliente, anzi, minori infor-
mazioni si hanno in merito, più efficace risulta l’intervento in quanto,
non solo permette al cliente di poter guardare alla situazione dall’alto,
ma gli permette di essere protagonista e lo tratta da effettivo esperto
del tema, quale in effetti è.
174
Pur avendo le stesse radici, l'approccio sviluppato da Steve de Shazer e
dai suoi collaboratori si differenzia dall’approccio sviluppato a Palo Alto
per il ruolo occupato dall’esperto nella relazione terapeuta-paziente.
Nell’approccio di Steve de Shazer l’”esperto” è il cliente, e questa a
nostro avviso è la differenza sostanziale.
Ciò permette al consulente di stare nello “spazio del non sapere” e
semplicemente accompagnare il cliente nell’esplorazione e nella ricerca
della propria soluzione. Quindi, il consulente non offre soluzioni ma
facilita al cliente l’accesso al suo sapere implicito, facendo emergere
così possibili soluzioni.
In breve tempo questo metodo di terapia breve si sviluppò anche in
campo aziendale e attualmente si è diffuso in tutto il mondo come ap-
proccio di coaching, dimostrandone l’efficacia. Per una trattazione ap-
profondita dell’Approccio Solution Focus rimandiamo ai testi di P. Jack-
son M. McKergow In questo capitolo vogliamo affrontare l'approccio
come utile integrazione al metodo delle costellazioni sistemiche. Ve-
diamone i principi salienti:
1. l’esperto è il cliente
2. se una cosa funziona, continuare ad applicarla
3. se una cosa non funziona, smettere di farla e fare dell'altro
4. in ciò che funziona ci sono risorse utili per il sistema
5. possiamo non sapere cos'è bene ma sappiamo cos'è meglio
6. per ottenere soluzioni è meglio partire da ciò che si vuole piuttosto
che da ciò che non si vuole
7. i cambiamenti avvengono per singoli piccoli passi
8. la semplicità aiuta l’efficacia
9. essere testimoni di ciò che sarà
175
Assodati questi principi base, il processo ruota intorno alle seguenti fasi:
esplorazione di ciò che c’è nella situazione attuale
definizione dell’obiettivo da raggiungere attraverso l’esplicitazione
delle differenze che si realizzeranno una volta raggiunta la soluzione,
rispetto allo stato attuale.
esplorazione delle risorse del cliente anche attraverso l’analisi di
ambiti diversi in cui si trovino soluzioni utili
concretizzazione dei piccoli progressi attraverso l’utilizzo di una scala
da 1 a 10, dove 1 rappresenta il massimo del problema e 10 la sua
massima soluzione.
definizione dei passi necessari al raggiungimento della soluzione e
concretizzazione dei risultati
L’esplicitazione delle differenze che si realizzeranno una volta raggiunta
la soluzione è direttamente connessa alla “domanda del Miracolo” che
caratterizza in modo sostanziale l’intero approccio.
La domanda recita:
“Adesso le vorrei fare una domanda un po’ strana e anche
difficile. Per rispondere occorre un po’ di fantasia ... Esatto!
Questa è una domanda difficile. Supponga che tutto quello
che abbiamo fatto sia utile. Dopo questo incontro lei va a
casa e fa ciò che fa di solito, magari parla con la sua fami-
glia, mangia qualcosa, legge un libro o fa qualche altra atti-
vità. Ad un certo punto si sente stanco e va a dormire …
Supponiamo che la notte succeda un miracolo ... E il miraco-
lo è che tutti i problemi per i quali lei è venuto qua oggi sono
risolti! ... Di un colpo, così! [gesto con la mano] ... E questo
sarebbe veramente un miracolo, no?...
176
Quando lei si sveglia la mattina, nessuno però le dice che è
successo un miracolo. Da che cosa lei si potrebbe allora ren-
dere conto che il miracolo è successo? ... Cosa ci sarebbe di
diverso? …. E cos’altro? ... C’è qualcun altro che potrebbe
rendersi conto del miracolo? ...”
La “domanda del Miracolo” è stata studiata e applicata a lungo ed è
importante che venga formulata dando enfasi alle pause in modo tale
che il cliente possa vivere in prima persona ciò che accade quando il
miracolo si avvera, diventando così testimone di ciò che sarà.
Un altro passaggio di fondamentale importanza è rappresentato dalla
sezione della scala. Porsi su una scala da 1 a 10 rende misurabile e
quindi più oggettivo sia lo stato attuale rispetto al problema, ma anche
tutti i passi precedenti ed i successivi passi necessari per raggiungere la
soluzione.
Il cliente viene invitato a dare un valore allo stato attuale, che è sempre
maggiore di 1 in quanto il problema non si verifica in quell’esatto mo-
mento. Il fatto stesso di aver deciso di rivolgersi ad un consulente è un
piccolo passo che necessariamente lo sposta verso l’alto della scala.
Nella fase successiva si analizza ciò che ha funzionato passando da 1 al
livello dello stato attuale (risorse, azioni concrete), per poi evidenziare
le differenze che emergono facendo avanzare il cliente sulla scala verso
la soluzione.
L’Approccio focalizzato alla Soluzione *SFA+ prevede un cambio di pro-
spettiva nell’affrontare i problemi. Questo prepara ad un cambio “cultu-
rale” nella vita quotidiana, cioè ad un nuovo modo di pensare.
il pensiero sistemico viene così integrato con un pensiero rivolto alla
soluzione.
177
Il Pensiero focalizzato alla Soluzione accoglie il problema chiave, ma
sposta immediatamente la sua focalizzazione verso la relativa soluzione.
Esso non è fondato su un esame minuzioso del problema. Non prende
in esame tutte le alternative, tutte le opinioni e tutte le cause. Al con-
trario semplifica, elimina le ridondanze e aiuta a orientarsi verso nuove
direzioni.
L’implementazione di questo differente modo di pensare permette di
accedere alla saggezza, alla sintesi e alla praticità della cooperazione,
ineguagliabili nella risoluzione efficace di problemi e di conflitti appa-
rentemente irrisolvibili.
La sua vera forza risiede nella combinazione tra cooperazione e compe-
titività, nella flessibilità e nella sottile capacità di identificare e sfruttare
le apparenti condizioni di avversità mutandole in propri vantaggi e punti
di forza.
Il metodo tende a considerare le varie possibili soluzioni, ad abbando-
nare la via che non funziona e focalizzarsi su quella che funziona e che si
dimostra essere adeguata allo scopo e a non considerare definitivi i
risultati raggiunti.
In questa ottica il Solution Focused Approach (SFA) può essere sviluppa-
to non tanto attraverso precise procedure addestrative, ma aiutando sia
l'individuo attraverso idoneo accompagnamento all'esperienza sia lavo-
rando sul clima aziendale, con modalità di comunicazione e stili educa-
tivi nuovi, in una direzione in cui tali tendenze siano incoraggiate a 360°,
appunto ciò che chiamiamo: Solution Focused Thinking.
178
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Praxis des Familienstellens. Beiträge zu systemischen Lösungen nach Bert Hel-
linger. Heidelberg (Carl-Auer), 3., überarb. Aufl . 2000.
Weber, G. (Hrsg.) (2001): Praxis der Organisationsaufstellungen. Grundlagen,
Prinzipien, Anwendungsbereiche. Heidelberg (Carl-Auer), 2., korr. Aufl. 2002.
Weber, G., G. Schmidt u. F. B. Simon (2005): Aufstellungsarbeit revisited ...
nach Bert Hellinger. Heidelberg (Carl-Auer).
Weick, K. E. (1979a): Social Psychology of Organizing (Topics in Social Psycholo-
gy) New York (Addison-Wesley).
Weick, K. E. (1995b): Senso e significato nell'organizzazione. Alla ricerca delle
ambiguità e delle contraddizioni nei processi organizzativi. Milano (Cortina
Raffaello).
Willke, H. (2004): Einführung in das systemische Wissensmanagement. Heidel-
berg (Carl-Auer).
Wimmer, R. (2003): Die Steigerung der Lernfähigkeit von Organisationen. In: M.
Zirkler u. W. R. Müller (Hrsg.): Die Kunst der Organisationsberatung. Bern
(Haupt).
Wittgenstein, L. (1971): Ricerche filosofiche. Torino (Einaudi).
Wittgenstein, L. (1984): Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916.
Torino (Einaudi).
183
184
Gli autori
Claude Rosselet
Nato nel 1952, laureato in economia aziendale presso
l’Università di S. Gallen (CH). Per molti anni ha svolto fun-
zioni direttive nell’area dello sviluppo risorse umane presso
importanti aziende della GDO. Nel 1994 inizia l’attività di
consulenza di sviluppo organizzativo e fonda INSCENA,
studio specializzato in un approccio sistemico. Insegna in
diversi istituti svizzeri e tedeschi, tra questi presso l’istituto parauniversitario
“Fachhochschule Westschweiz”. Fondatore e per parecchi anni membro del
consiglio di INFOSYON e membro della redazione della rivista “Praxis der Sy-
stemaufstellungen” . Con Georg Senoner e Henriette Lingg ha pubblicato “Ma-
nagement Constellations”, nonché vari articoli e contributi per libri e riviste di
management.
Georg Senoner
Nato nel 1953, laureato in economa aziendale presso
l’Università L. Bocconi di Milano, ha condotto per oltre 20
anni l’azienda di famiglia Sevi s.p.a., produttrice di giocatto-
li a livello internazionale. Nel 1998 inizia l’attività di consu-
lenza di direzione in collaborazione con un noto studio
milanese. In seguito fonda SysMaCon, un network di consu-
lenza e formazione di matrice sistemica. Si specializza in
sviluppo organizzativo, strategie ed executive coaching. Insegna la metodologia
delle costellazioni sistemiche presso Sistema Counseling a Milano e presso il
Hellinger Instituut di Groningen NL. Ha pubblicato vari articoli e contributi per
libri e riviste di management.
185
Riccardo Benardon
Nato nel 1949, ha frequentato il politecnico, diplomato alla
SDA-Bocconi. Change Manager via Executive Coaching.
Gestione della “Discontinuità” nel cambiamento organizza-
tivo e nel Passaggio Generazionale. Esperienza maturata sia
lavorando con e per primarie strutture private e pubbliche,
nazionali e multinazionali, sia partecipando a gruppi di
ricerca. Molteplici pubblicazioni e partecipazione attiva a convegni in Europa e
in America. Utilizza il metodo delle Costellazioni Sistemiche e collabora allo
sviluppo della loro integrazione con il Solution Focused Approach.
Marco Matera
Nato nel 1968, laureato in chimica industriale, parallela-
mente all’attività di chimico come dipendente in ARPAL
dove cura il processo di assicurazione qualità, si occupa di
coaching sistemico e formazione manageriale. Specializza-
to in Solution Focused Approach si occupa di ricerca appli-
cata. Dal 2008 è relatore internazionale e nel 2009 il suo
approccio è stato oggetto di tesi presso la facoltà di Facility Management
dell’NHTV di Breda (NL). Insieme a R. Benardon ha curato per Franco Angeli il
testo “Punta alla Soluzione” edizione italiana del testo inglese “The Solution
Focus”.
Marisa Clotilde Vecchi
Nata nel 1952 è psicologa di indirizzo sistemico e integra
diversi approcci( Psicoanalisi junghiana, Analisi Transaziona-
le, PNL, Enneagramma, EMDR, Somatic Experience,) .Dopo
un’esperienza aziendale in 3M ha operato in società di
consulenza aziendale occupandosi di progetti di sviluppo
delle competenze, di formazione e di counselling. Ha fatto
parte del direttivo dell’AIF ed ha coordinato un Master di
Formazione Formatori patrocinato dall’Enfapi di Genova. Ha prodotto numero-
si articoli su riviste specializzate. Dal 1999 è membro del Cepei, associazione di
psicoanalisti di Milano ed opera come psicoterapeuta in uno studio privato,
con particolare focalizzazione sulla cura del trauma.
186
www.sysmacon.com
Workshops di formazione Interventi di consulenza sistemica
Management Constellations
corsi per l’apprendimento della metodologia per principianti ed esperti
worksops tematici per l’applicazione della metodologia a specifiche situazioni aziendali
progetti di sperimentazione e approfondimento
Systemic Management
workshop aziendali concepiti su misura
workshop interaziendali con par-tecipanti selezionati
sviluppo dell’eccellenza del si-stema impresa
sviluppo della produttività dei team
sviluppo della competenza pro-fessionale
Diagnosi sistemica
riconoscere le strutture di fondo che condizionano il successo dell’azienda
Sviluppo organizzativo
valorizzare il know-how esplicito e implicito dell’azienda
sviluppo organico delle routine organizzative
ottimizzazione dell’efficienza del sistema
meccanismi di feedback e auto-regolazione
Sviluppo delle strategie
istaurare meccanismi di innova-zione continua
focalizzazione sulle competenze distintive e sul core business
cicli di aggiustamento periodico della strategia
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In questo libro gli autori vanno alla scoperta delle strutture di fondo che condi-
zionano il successo di un’azienda e presentano un approccio che permette,
almeno in parte, di decodificarle e di accedere a quella parte nascosta del sa-
pere che chiamiamo intuizione. Questo approccio è noto come “Costellazioni
Sistemiche” e, partendo dalla Germania dove è stato inizialmente sviluppato, si
sta gradualmente diffondendo in tutto il mondo.
Claude Rosselet e Georg Senoner hanno dato un contributo importante per
integrare la metodologia delle Costellazioni Sistemiche con altri approcci inno-
vativi di consulenza e di management. Il loro libro si rivolge sia a imprenditori e
manager desiderosi di trovare nuovi spunti, sia a consulenti che vogliono acqui-
sire nuovi strumenti. I primi saranno indotti a dare più fiducia alle intuizioni
proprie e dei loro collaboratori e a rivolgere la loro attenzione verso alcuni
fattori critici, dei quali forse non hanno sempre tenuto debitamente conto. I
secondi potranno facilmente integrare le tecniche esposte nel loro approccio
consueto.
“Di questo libro mi piacciono molte cose. È esaustivo ma compatto, è di facile
lettura anche per coloro che essendo molto impegnati hanno poco tempo a
disposizione. Gli autori espongono i contenuti in modo ordinato e sfaccettato e
ricco di esempi pratici. La descrizione dei concetti affini di C. O. Scharmer o di K.
E. Weick è stimolante; il confronto con i processi propri alle Management Con-
stellations mostra da un lato come filoni di consulenza simili si siano sviluppati
in contesti diversi, dall’altro mette in risalto peculiarità della costellazione si-
stemica quali il linguaggio della rappresentazione nello spazio e altre modalità
di percezione.”
Dalla prefazione di Gunthard Weber
“Le costellazioni sistemiche ci aiutano a vedere, sentire e comprendere le nostre
organizzazioni e gestirne i cambiamenti. Nel frattempo sono diventate per noi
uno strumento importante nei processi decisionali conciliando in maniera effi-
cace l’intelligenza della testa con quella della pancia.”
Karl Tragust, direttore della ripartizione famiglia e politiche sociali della Provin-
cia Autonoma di Bolzano