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Claude Rosselet Georg Senoner Strutture del Successo La prassi delle costellazioni sistemiche e altre metodologie per la gestione della complessità in azienda con contributi di Riccardo Benardon Marco Matera Marisa Vecchi

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Claude Rosselet Georg Senoner

Strutture del Successo La prassi delle costellazioni sistemiche e altre metodologie per la gestione della complessità in azienda

con contributi di Riccardo Benardon Marco Matera Marisa Vecchi

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1

Per Helen

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Strutture del successo

La prassi delle costellazioni sistemiche e altre metodologie per la ge-

stione della complessità in azienda

Claude Rosselet e Georg Senoner

Con contributi di Riccardo Benardon, Marco Matera e Marisa Vecchi

Indice

Prefazione di Gunthard Weber

Prefazione all’edizione italiana di Giampaolo Galli

Ringraziamenti

Introduzione

Parte I Costellazione sistemica – la messa in scena del sapere

1 Costellazione sistemica e complessità

1.1 Andare a fondo della questione

1.2 Cosa avviene in una costellazione sistemica

1.2.1 Il rappresentante come cassa di risonanza del sapere implicito

1.2.2 Il processo della costellazione sistemica

1.3 Esempio di una costellazione

1.4 La messa in scena come „manifestazione” dell’intelligenza collettiva

1.5 Costellazione sistemica e learning organization

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3

1.6 Costellazione sistemica – un normalissimo strumento del manage-

ment?

1.6.1 Costellazione sistemica – un oracolo moderno?

1.6.2 Le “verità” delle immagini di una costellazione

1.6.3 Costellazione sistemica e modelli di management

2 La costellazione come modalità espressiva del pensiero sistemico

2.1. Il pensiero sistemico come fondamento a un reale approccio sistemico

2.2 Le persone nel cambiamento continuo e dinamico

2.3 Decidere nell’ incertezza

2.4 Arte del cambiamento

2.5 Un intervento per accrescere le capacità di autoregolazione

dell’azienda

3 Il mormorio del sapere implicito

3.1. Sapere implicito ed esplicito

3.2 La rinuncia all’illusione del sapere nozionistico

3.3 Dai dati al sapere – dal sapere ai dati

3.4 Il sapere come atto di valutazione complesso – i principi di ordinamen-

to nelle organizzazioni

3.4.1 Ciò che tiene insieme un’organizzazione

3.5 Regole e routine

3.6 Le regole nei sistemi sociali

3.6.1 Le regole grammaticali

3.6.2 Le regole informali

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3.6.3 Le regole tecniche

3.7 La costellazione come recettore del sapere sociale implicito

4 Le costellazioni sistemiche come processo di sensemaking

4.1 Il modello di sensemaking di Karl Weick

4.2 L’organizzazione secondo la teoria di Karl Weick

4.3 Costellazione sistemica come processo collettivo di sensemaking

4.4 Le peculiarità del approccio Management Constellations

Parte II Linee guida per le costellazioni sistemiche manageriali

5 Presupposti per il successo

5.1 L’appartenenza

5.2 Rispetto per l’ordine di successione

5.3 Riconoscere la responsabilità e l’impegno

5.4 Sviluppare il potenziale degli individui e dei team

6 I diversi setting per una costellazione sistemica

6.1 Team-setting – Management Constellations

6.1.1 La costellazione sistemica in ambito aziendale

6.1.2 L’oggetto delle Management Constellations

6.1.3 Prospettiva e workshop-design delle Management Constellations

6.1.4 La costellazione con persone direttamente coinvolte

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5

6.1.5 L’inserimento in un processo di intervento

6.1.6 Management Constellations: una pratica di intervento innovativa

6.2 Seminari „aperti”

6.3 Il setting individuale

6.3.1 Costellazione al tavolo

6.3.2 Costellazione sul pavimento

7 Il decorso di una costellazione sistemica

7.1 Il ruolo del facilitatore

7.2 Formulare la domanda

7.3 Determinazione gli elementi da costellare

7.4 Scegliere e mettere in scena i rappresentanti

7.5 Interpretare la costellazione

7.6 Interventi

7.7 Conclusione

8 Schemi interpretativi e relativi formati di costellazione

8.1 Management e leadership

8.1.1 Il modello di management di San Gallo

8.1.2 Il modello Epidauros

8.1.3 Il triangolo dei valori e delle risorse

8.1.4 Il modello TZI (Interazione Centrata sul Tema)

8.2 Strategia e innovazione

8.2.1 Strategy maps

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6

8.2.2 Il modello della farfalla

8.2.3 Il quadrato dei valori

8.2.4 Lo sviluppo del potenziale

8.3 Soluzione del problema e processo decisionale

8.3.1 Il Tetralemma

8.3.2 La struttura del problema

8.3.3 Un approccio alla soluzione del conflitto

8.3.4 Miracle Scaling

9 Metodi e tecniche complementari

9.1 Il Dialogo

9.2 World Café

9.3 Open Space

9.4 L’intervista dialogica

9.5 Fish Bowl

9.6 La domanda ripetuta

9.7 Le quattro stanze del cambiamento

9.8 Il Solution Focused Approach

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Prefazione di Gunthard Weber

Quando lessi il manoscritto del presente volume mi ritornarono alla mente due

versi di una poesia di Börries von Münchhausen:

“Ma quando il giorno giunse piano attraverso i giardini, il candido lillà era sboc-

ciato...”

Mi permetto di ricorrere a quest’immagine poetica supponendo che, almeno

inizialmente, questo libro raggiungerà solo pochi manager. Per ora, infatti, lo

vedo più che altro in mano a consulenti aziendali e formatori.

Al momento il “candido lillà” delle costellazioni sistemiche in ambito manage-

riale è considerato più che altro come un suggerimento confidenziale. E sebbe-

ne il lillà stia appena iniziando a sbocciare, il presente lavoro mostra come il

particolarissimo metodo di consulenza di cui trattiamo stia ormai giungendo

attraverso i giardini, mentre disegna i nuovi possibili scenari qualora la sua

forza chiarificatrice, la sua efficacia e bellezza si potessero sviluppare

all’interno di molte aziende. Come nel 1975 molti colleghi mi chiedevano: “Sei

già stato da Bert Hellinger?” - allora erano solo in pochi a conoscerlo -, così oggi

può accadere che di fronte all’insorgere di problematiche all’interno

dell’azienda si chieda: “Hai già provato con la costellazione sistemica?”

Di questo libro mi piacciono molte cose. È esaustivo ma compatto, è di facile

lettura anche per coloro che essendo molto impegnati hanno poco tempo a

disposizione. Gli autori espongono i contenuti in modo ordinato e sfaccettato e

ricco di esempi pratici. La descrizione dei concetti affini di C. O. Scharmer o di

K. E. Weick è stimolante; il confronto con i processi propri alle Management

Constellations mostra da un lato come filoni di consulenza simili si siano svilup-

pati in contesti diversi, dall’altro mette in risalto peculiarità della costellazione

sistemica quali il linguaggio della rappresentazione nello spazio e altre modalità

di percezione.

Senza indulgere ad ardori missionari, il libro, in maniera sobria e misurata,

cerca di convincere i lettori delle possibilità uniche che offre questo nuovo

metodo. Spiega dettagliatamente quali sono le sfide cui vanno incontro sia il

consulente sia il management team che intendano applicare la costellazione

sistemica. Infine prova quanto questa pratica sia impegnativa e sottolinea che il

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consulente aziendale necessita di solide conoscenze di fondo e di grande espe-

rienza, molto più di quanto non possa apparire in un primo momento.

Altrettanto efficaci sono i capitoli che trattano delle possibilità simultanee,

offerte dalle Management Constellations. di attingere alle informazioni oppure

di crearle, così pure i capitoli dedicati alle trasposizioni dal linguaggio verbale

alla rappresentazione corporea e viceversa, queste arricchendosi reciproca-

mente risultano indispensabili sia per la formulazione di ipotesi sia per la messa

in atto di concrete strategie operative.

Teoria e pratica si coniugano nel migliore dei modi ma l’applicazione nella pra-

tica resta in primo piano. A una speculazione, fortunatamente molto contenu-

ta, corrisponde una descrizione vivace ed esaustiva della prassi. I lettori trove-

ranno molti spunti di riflessione e d’azione e certamente questo volume, così

come quello pubblicato in precedenza dagli autori Rosselet, Senoner e Lingg

(2007), darà impulso a intense discussioni e a ulteriori sviluppi creativi. Per chi

lavora con le costellazioni il presente contributo è innovativo e offre un valido

orientamento. Esso dimostra come ci si possa avvicinare al linguaggio e alle

aspettative del management mediante un metodo, che, pur apparendo ini-

zialmente lontano e avulso da quel mondo, si può invece efficacemente asso-

ciare ad altri metodi di consulenza manageriale e di gruppo, rendendolo in tal

modo ancora più effettivo e sostenibile nel tempo.

Nonostante il metodo delle costellazioni aziendali e delle Management Con-

stellations venga praticato già da anni, e in molti casi con successo, esso è an-

cora in fase di sviluppo. A nostro avviso le sue potenzialità sono state ricono-

sciute e sperimentate solo in minima parte. Pertanto auspichiamo che questo

metodo, capace di innestare la spinta verso processi di management di succes-

so si possa sviluppare al meglio. A ciò potrà contribuire questo libro che rite-

niamo essere la migliore introduzione al lavoro con le Management Constella-

tions e con le costellazioni sistemiche in genere, attualmente in circolazione.

Per questo motivo merita tutta la considerazione che sinceramente gli augu-

riamo.

“In molti giardini nel mondo il candido lillà è già fiorito.”

Gunthard Weber

Wiesloch, luglio 2010

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Prefazione all’edizione italiana di Giampaolo Galli

Conosco uno degli autori di questo libro, Georg Senoner, dai primi anni settan-

ta quando ci incontrammo all’Università Bocconi. Di questo alto-atesino, che

parlava un buon italiano con un forte accento tedesco, apprezzavo

l’intelligenza, il rigore analitico, la determinazione. Era il compagno di studi

ideale, specie per uno come me che, al pari di molti ragazzi di quella genera-

zione, tendeva a considerare lo studio ancillare rispetto al più serio impegno

politico. Senoner mi obbligava a stare a tavolino sino a che non eravamo certi

di aver capito ogni singolo teorema del calcolo differenziale o dell’economia.

Da quando ha iniziato la sua avventura come consulente aziendale, Senoner mi

ha parlato spesso del metodo delle Costellazioni Sistemiche che sono al centro

di questo libro. Cercava di spiegarmi che l’azienda vera è molto diversa da

quella che avevamo studiato nei corsi di microeconomia, che essa è fatta di

persone in carne ed ossa, con le loro passioni, i loro pregiudizi, le loro relazioni.

Sin qui non fu difficile convincermi. Mi sembrava anzi ovvio che fosse così. Le

aziende sono organizzazioni complesse fatte di persone, non solo macchine per

massimizzare il valore degli azionisti. In quanto tali, richiedono strumenti anali-

tici appropriati per essere comprese e aiutate. Dove avevo più difficoltà a se-

guirlo era quando cercava di spiegarmi che un metodo che era stato applicato

con grande successo alle relazioni famigliari potesse essere adattato a realtà e

tipologie di relazioni di natura totalmente diversa.

Avevo in mente concetti come quelli espressi con particolare efficacia a un

workshop del top management di Alitalia da Gordon Bethune, il Ceo di Conti-

nental che, fra il 1996 e il 1997, é stato l’artefice di uno spettacolare turn

around dell’azienda. Dopo una lunga sessione di “autocoscienza” in cui era

emerso chiaramente che Alitalia non funzionava anche per via di radicate e

profonde rivalità fra le persone, i consulenti esterni portarono la discussione

sul tema del parallelismo azienda-famiglia. Come era prevedibile, la discussione

si incapricciò ancor di più. Finché intervenne Bethune che disse più o meno: “In

America non facciamo le cose in questo modo. Voi sbagliate tutto. L’azienda è

diversa dalla famiglia. Di famiglia ne abbiamo una e ci basta. In azienda non

importa se le persone si vogliono bene o si odiano. Ciò che conta è che tutti

lavorino per gli obiettivi dell’azienda: massimizzare il valore, Questo in pratica

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significa due cose molto semplici: far partire gli aerei in orario e essere gentili

con i clienti”. Poi, rivolto all’amministratore delegato, aggiunse poche parole

che gelarono l’audience e misero fine ad ogni discussione: “Questi obiettivi

dipendono soprattutto dai piloti e dagli stewards. Sono questi che devi invitare

al workshop, se vuoi che le cose funzionino”.

Quello di Bethune mi sembrò, e tuttora mi sembra, un approccio condivisibile,

sul piano logico e anche come filosofia di vita.

Avevo altre perplessità sulle Costellazioni Sistemiche. Mi sembrava un metodo rischioso per il top management che in qualche misura si deve mettere in gio-co. E avevo un po’ di timore di fronte ad espressioni, che ricorrono in questo libro, come: rappresentazione teatrale, emozioni, percezioni corporee, dinami-che nascoste, conoscenze implicite. Non capivo come si potesse convincere un manager a mettere in scena la rappresentazione della propria azienda, parten-do da com’essa è e arrivando, nel giro di poche ore o giorni, a come essa do-vrebbe essere. Mi sembrava un approccio troppo ambizioso ed esposto al ri-schio di errori nelle diagnosi e, soprattutto, nell’indicazione delle terapie. La stessa espressione “Costellazioni sistemiche” non mi piaceva e tuttora non mi piace. Le “costellazioni” evocano l’astrologia, gli oracoli, le soluzioni miracolisti-che. Il termine “sistemico” fa pensare ad approcci integralisti e poco laici.

Invito il lettore non specialista che condivida queste perplessità a leggere il paragrafo 1.3 e poi decidere se andare avanti e leggere il resto. Qui c’è la de-scrizione di un caso in cui il metodo delle costellazioni è stato applicato con successo ad un’azienda con problemi molto concreti e piuttosto comuni: diffi-coltà di rapporti fra diverse unità di produzione e fra di esse e le catene di di-stribuzione, incertezze circa i ruoli del management italiano rispetto al mana-gement europeo e la casa madre giapponese.

Forse la lettura di questo paragrafo non fugherà tutti i dubbi e tutti i timori. Ma credo che sia sufficiente a fugare i principali fra quelli che ho espresso in que-sta pagina. L’approccio è del tutto compatibile con la cultura laica e razionalista che caratterizza in tutto il mondo, oggi anche in oriente, le scuole di manage-ment. Da questo punto di vista il nome e l’origine storica delle “Costellazioni Sistemiche” sono parecchio fuorvianti.

Rispetto al lettore che si avvicini per la prima volta a questo tema, io ho il van-taggio di aver partecipato ad alcune rappresentazioni come quella citata sopra. Posso dunque aggiungere una considerazione. Se il consulente che conduce la rappresentazione è bravo, l’esperienza può essere molto intensa anche sul

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piano emotivo. Tutt’altra cosa rispetto all’usuale brainstorming aziendale. Non è un’aspirina. È un antibiotico forte. Si consiglia di consultare il proprio medico di fiducia.

Giampaolo Galli

Roma, aprile 2011

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Ringraziamenti

Ringraziamo innanzitutto il caro amico e mentore, Gunthard Weber, gran-

de fautore dell’utilizzo delle costellazioni sistemiche per temi organizzativi

e aziendali, che tanto ha sostenuto il nostro lavoro. Rivolgiamo un caloro-

so ringraziamento anche ai nostri clienti, che prestandosi a un esperimen-

to insolito ci hanno permesso di apprendere molto.

Abbiamo sviluppato le Management Constellations negli incontri e nei

workshop con Henriette K. Lingg che ha partecipato alla stesura del nostro

primo libro.

Ciò che abbiamo appreso si basa anche sulle conoscenze di molti maestri e

colleghi, tra cui Guni Leila Baxa, Michael Blumenstein, Christine Essen,

Siegfried Essen, Stefan Hausner, Albrecht Mahr, Peter Müller Egloff, Bernd

Schmid, Gunther Schmidt, Sneh Viktoria Schnabel, Jakob e Sieglinde Sch-

neider, Fritz Simon, Kuno Sohm, Gerhard Stey, Jan Jakob e Bibi Stam e Insa

Sparrer e Matthias Varga von Kibed. In particolare Sparrer e Varga von

Kibed hanno elaborato nel corso degli anni Novanta una „grammatica

delle costellazioni sistemiche strutturali” che ci è stata di grande aiuto sia

dal punto di vista teorico che per l’applicazione pratica. Parte del loro pre-

zioso lavoro è fluito in maniera più o meno consapevole nella nostra prati-

ca di consulenti e nel presente volume.

Ringraziamo Marisa Vecchi, Riccardo Benardon e Marco Matera che con i

loro contributi hanno arricchito l’edizione italiana del libro.

Infine vorremmo rivolgere un particolare ringraziamento anche a Anne

Savio per la traduzione e Sandro Ottoni per il lavoro di editing.

Claude Rosselet e Georg Senoner

Männedorf e Bolzano, maggio 2011

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Introduzione

Buona pare della letteratura sul management è dedicata alla ricerca delle chia-

vi del successo. Ne sono nati parecchi modelli manageriali di comprovata utili-

tà, però a tutti sfugge un aspetto decisivo, ovvero quella facoltà misteriosa che

chiamiamo “intuizione”.

In questo libro andiamo alla scoperta di questa competenza essenziale per il

successo e presentiamo un approccio che permette, almeno in parte, di deco-

dificare le strutture del sapere nascosto che stanno alla base dell’intuizione.

Questo approccio è noto come “Costellazioni Sistemiche” e, a dire il vero, ha

origine antiche. Si basa sulla rappresentazione scenica della realtà che incon-

triamo già nel teatro greco. Infatti, per gli antichi Greci il teatro non era mera

finizione e divertimento bensì uno strumento importante per comprendere le

dinamiche profonde della società. La tecnica della messa in scena è stata risco-

perta per l’analisi e la cura di sistemi sociali e in particolar modo dei sistemi

familiari, da studiosi come Virginia Satir (Parts Party) e Jacob Moreno (Psico-

drama e Sociodrama) e soprattutto da Bert Hellinger (Costellazioni Familiari) il

cui approccio si è diffuso rapidamente non solo in Europa ma anche in parecchi

Paesi dell’Asia e delle Americhe. Nel 1994 due consulenti d’impresa, Thomas

Siefer e Michael Wingenfeld, ebbero l’intuizione che il metodo potesse rivelarsi

utile anche nella consulenza aziendale, invitarono quindi Bert Hellinger a inter-

venire ad un workshop con imprenditori e manager. Questo fu l’inizio delle

“Costellazioni Sistemiche Manageriali”. Vari studiosi, tra i quali merita un par-

ticolare riconoscimento Gunthard Weber, e poi Siegfried Essen, Matthias Varga

von Kibèd e Insa Sparrerr hanno elaborato le basi scientifiche, esplorato i campi

di applicazione e sviluppato gli accorgimenti tecnici per ricavare uno strumento

estremamente versatile ed efficace per affrontare una vasta gamma di temati-

che aziendali.

Concordo con l’amico Giampaolo Galli che il termine “costellazioni” non è tra i

più felici perché rischia di richiamare l’astrologia con la quale non ha proprio

niente a che fare se non per un’analogia formale:: i segni zodiacali nascono

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dalle connessioni che tracciamo tra le varie stelle così come l’immagine di una

costellazione sistemica rappresenta le connessioni tra i vari elementi. Il termine

ormai è diffuso a livello mondiale e abbiamo deciso di accordarci nel mantener-

lo.

Lo scopo principale del metodo è quello di esternalizzare e rendere visibile e

comprensibile il sapere tacito codificato nelle mappe mentali delle persone. Il

chimico e filosofo ungherese Michaly Polanyi ha dimostrato come una parte

rilevante del nostro sapere è inaccessibile al pensiero logico-analitico: sappia-

mo più di quanto riusciamo ad esprimere con parole e numeri. Per questa par-

te del sapere Polanyi ha coniato il termine “tacit knowing” che potremmo tra-

durre come sapere implicito o sapere tacito o anche intuizione. Da questo si

sono sviluppati svariati filoni di ricerca con l’intento di comprendere e sviluppa-

re tale parte nascosta del sapere.

In Neurobiologia, per esempio, si dimostra come il nostro cervello funzioni sulla

base di immagini variamente interconnesse che condizionano le nostre perce-

zioni, il nostro pensiero e le interazioni tra le persone (Gerald Hüther 2009). Ma

non si tratta di immagini fisse, bensì di strutture che vengono continuamente

riprodotte e modificate. Se il nostro sapere è strutturato per immagini, la rap-

presentazione scenica si propone come strumento naturale per portare

all’esterno queste immagini interiori. Esse contengono un’elevata densità di

informazioni che così vengono rese accessibili alla comunicazione verbale.

A questo punto dobbiamo rivolgere la nostra attenzione su un altro aspetto

cruciale: la dimensione collettiva del sapere. Il processo che, partendo dal sa-

pere implicito degli individui, costruisce il know-how collettivo di un’azienda è

stato studiato a fondo da Nonaka e Takeuchi. Il loro lavoro ha ispirato il filone

scientifico del knwoledge management. Anche il metodo delle costellazioni

sistemiche sta dando un contributo importante in questo campo. Le mappe

sistemiche derivate dalla messa in scena delle immagini interiori dei manager

forniscono un quadro sintetico e pregnante del know-how aziendale: mostrano

come il management interpreta e affronta i vari fattori dell’ambiente in cui

opera.

Se a questo punto i concetti possono apparire ancora astratti, i casi aziendali

che presentiamo nelle pagine seguenti ne illustreranno il valore pratico.

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È descritto, per esempio, il caso di un’azienda acquisita da un gruppo interna-

zionale la quale trova la maniera per integrarsi nella nuova struttura organizza-

tiva e sviluppare appieno il proprio potenziale.

Narriamo come il conflitto tra due dirigenti, che inizialmente sembrava insana-

bile, si risolve in una collaborazione proficua. Illustriamo come un’impresa

riconosce le dinamiche che provocano un aumento dei reclami dei clienti e

trova una soluzione al problema.

Ci soffermiamo su come il primario di un reparto ospedaliero capisce l’origine

dell’insoddisfazione dei suoi collaboratori e trova un rapido rimedio. E altri casi

ancora, tratti dalla nostra esperienza professionale, daranno concretezza alla

teoria.

La metodologia nota con il nome di “costellazioni sistemiche” nasce dalla com-

binazione di svariate tecniche. Abbiamo già menzionato come elemento princi-

pale la rappresentazione scenica delle immagini interiori. Un altro elemento

importante è la particolare forma di comunicazione nota come “dialogo di

Bohm”. David Bohm, un fisico famoso per i suoi contributi alla teoria quantisti-

ca, ha studiato le condizioni che permettono ad un gruppo di persone di comu-

nicare in modo che i loro cervelli interagiscano in un processo unico e simulta-

neo di elaborazione della conoscenza. Nel corso di una costellazione sistemica

accade proprio questo: prendendo letteralmente posizione rispetto a un de-

terminato tema i membri di un team sviluppano una visione comune della

realtà e una strategia condivisa per affrontarla.

Nella “Theory-U” Otto Scharmer descrive le varie fasi di questo processo che

apre lo spazio alla creatività partendo dalle convinzioni e dagli automatismi dei

singoli manager, attraverso il confronto con la complessità della situazione

reale e con il coraggio di varcare idealmente la soglia che separa il passato

(noto) dal futuro (ignoto?).

Tra le tecniche per favorire l’innovazione, le costellazioni sistemiche trovano un

posto di crescente rilievo. Da un lato permettono di superare agilmente i limiti

dei preconcetti, dall’altro riescono a condensare la complessità di una situazio-

ne in una forma che ne preserva i tratti essenziali.

Possiamo suddividere il processo della costellazione sistemica in tre fasi:

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La precisazione degli obiettivi del team e l’individuazione dei fattori rilevanti

del problema.

La rappresentazione scenica delle mappe mentali e la loro elaborazione.

La traduzione delle nuove informazioni e intuizioni emerse in forma simboli-

ca in decisioni e piani aziendali.

In quest’ultima fase si è rilevato utile il modello del “sensemaking” elaborato

dal noto teorico dell’organizzazione Karl Weick. Esso descrive i meccanismi con

i quali nuove esperienze e informazioni vengono integrate in un sistema codifi-

cato del sapere di un’organizzazione.

Ovviamente l’approccio è permeato dal pensiero sistemico. Esso privilegia la

visione d’insieme e cerca di comprendere gli schemi di interazione tra

un’organizzazione, il suo ambiente e il suo mercato. Focalizza l’attenzione sulle

strutture che danno forma e continuità alle interrelazioni tra gli elementi di un

sistema. Rivolge l’attenzione principalmente al movimento, al flusso, alle di-

namiche.

Anche le relazioni causa-effetto sono viste sotto una prospettiva diversa. Da un

lato causa ed effetto sono separati da un lasso di tempo la cui durata non è

prevedibile a priori. Dall’altro le cause sono sempre molteplici ed esercitano la

loro influenza solitamente in maniera non lineare. Piccoli mutamenti possono

produrre grandi effetti e a volte grossi sforzi producono benefici trascurabili.

Tutto ciò può essere sperimentato “dal vivo” in una costellazione sistemica.

Ciò che presentiamo in questo libro non è un’ennesima teoria che tenta di

spiegare i meccanismi che portano al successo. Presentiamo invece un approc-

cio che, in una situazione specifica, permette di riconoscere le strutture delle

mappe mentali di chi decide e governa l’impresa. In altre parole: permette di

portare alla luce l’intuizione e il sapere tacito, ma anche le trappole, i vicoli

ciechi e i circoli viziosi nei quali il management può incappare seguendo le

proprie immagini interiori. Ma l’approccio permette di andare ancora oltre:

permette di simulare soluzioni alternative e valutarne la fattibilità. In questo

modo una costellazione sistemica è uno strumento per individuare e scegliere

in una situazione specifica il passo avanti verso il successo.

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Manager e consulenti devono continuamente prendere atto che molto di

quanto previsto nei piani aziendali non si realizza, mentre per contro possono

verificarsi successi mai previsti in alcun business plan. Evidentemente il punto

d’intersezione tra la pianificazione e la realizzazione si sottrae a una gestione

puramente razionale. Ciò si avverte in maniera particolarmente dolorosa ove

siano in gioco cambiamenti radicali. È rarissimo che innovazioni fondamentali

possano essere sollecitate solo mediante un programma elaborato a tavolino.

Le forze motrici dell’innovazione, infatti, si celano per la maggior parte nel

sapere tacito delle organizzazioni, in ciò che chiamiamo le “strutture del suc-

cesso”.

Gli approcci meccanicistici al processo decisionale hanno la tendenza di ridurre

e banalizzare la prospettiva escludendo sistematicamente „fattori di successo”

come: i sogni, i desideri, l’intuizione, l’esperienza, tutti quegli elementi dunque

sui quali si fonda l’eccellenza. Spesso l’eccellenza non è riconosciuta perché

non si manifesta in maniera chiassosa e supponente, bensì è frutto di una pra-

tica più discreta basata su costanza e disciplina.

Per affrontare qualsiasi rinnovamento è necessario guardare a “ciò che è” in

maniera lucida e immediata evitando così la tentazione di una valutazione

affrettata. Allo sguardo attento e paziente si rivelano le dinamiche che hanno

plasmato una determinata realtà. Di conseguenza gli elementi in gioco acqui-

stano una plasticità che permette di modellare un’immagine del futuro coeren-

te con il passato. In ciò sta, a nostro avviso, il segreto dell’innovazione:

l’armonia tra il nuovo e la sua origine.

Ciò non significa che la pianificazione diventi superflua. Corredare ogni proget-

to di risorse – di cui non si dispone illimitatamente – è uno dei compiti centrali

del management, un caso in cui il raziocinio è richiesto eccome. Tuttavia la

pianificazione acquista un senso solo laddove si è creato un quadro vivido del

futuro che tenga conto sia del potenziale che dei limiti. Dove questo manca ci si

riduce ad una mera riproduzione del vecchio in veste nuova.

La prassi della costellazione, come avverte Gunthard Weber, non trova facile

accesso ai piani dirigenziali delle imprese. A nostro avviso ciò è dovuto ad alcu-

ni ostacoli di fondo. Annoverandoli qui di seguito non intendiamo certo scorag-

giare in partenza i nostri lettori. Al contrario, è proprio conoscendo gli ostacoli

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che i consulenti e i manager che apprezzano la costellazione possono applicarla

più efficacemente.

Cosa dunque dobbiamo considerare?

Il rischio che la costellazione sistemica metta in luce alcune dinamiche na-

scoste è a volte percepito come inquietante, tanto che si preferisce mante-

nere l’ambiguità piuttosto che fare chiarezza.

La focalizzazione sulla percezione corporea e sulle emozioni contrasta con

le convenzioni della comunicazione aziendale e può provocare imbarazzo.

Quando sono in gioco decisioni importanti che comportano un alto margine

di rischio, si preferisce affidarsi a strumenti comunemente ritenuti scientifi-

camente comprovati.

Alcuni manager ritengono questa pratica troppo impegnativa perché richie-

de un particolare setting e un facilitatore che introduca e applichi il metodo

in maniera competente. La costellazione non si attua così facilmente come

per esempio un classico brain storming.

Tuttavia riteniamo che l‘ostacolo maggiore risieda nello scetticismo che molti

manager, ma anche consulenti abituati a utilizzare metodi razionalistici, hanno

nei confronti dell’intuizione, dell’intelligenza emotiva e corporea. Di conse-

guenza alcuni operatori tendono a svalutare il metodo delle costellazioni fa-

cendolo passare, ovviamente tra le righe, per un giochetto psicologizzante, una

pratica esoterica, ecc. Di fronte a queste obiezioni la via migliore per avere

successo è mantenere un atteggiamento sereno e, invece di accanirsi nel tenta-

tivo di convertire gli scettici al „metodo miracoloso”, si può rompere il ghiaccio

lanciando al momento giusto l’invito a fare un esperimento.

Il libro si rivolge sia a imprenditori e manager desiderosi di conoscere nuovi

strumenti che facilitano il loro lavoro, sia a consulenti che vogliono acquisire

una nuova competenza per facilitare i processi di sviluppo dei loro clienti. I

primi saranno indotti a rivolgere la loro attenzione verso fattori critici per il

successo, dei quali forse non hanno sempre tenuto debitamente conto, e a

dare più fiducia alla intuizioni proprie e dei loro collaboratori. I secondi potran-

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no facilmente integrare le tecniche esposte nei loro approcci soprattutto se

hanno già avuto modo di conoscere il metodo delle costellazioni sistemiche.

Nella prima parte presentiamo il metodo e lo inquadriamo nelle varie teorie

sulle quali è fondato. Nella seconda parte abbiamo voluto raggruppare i princi-

pali accorgimenti, modelli e tecniche necessari per utilizzare il metodo in ambi-

to aziendale.

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Parte I Costellazioni sistemiche – la messa in scena del sapere

Iniziamo la nostra trattazione presentando tre brevi episodi tratti dalla normale

quotidianità aziendale, episodi che hanno tutti qualcosa in comune: un team di

manager si trova a dover affrontare una questione di difficile soluzione. I me-

todi di problem solving tradizionali non sortiscono alcun risultato, le discussioni

si avvitano su loro stesse, si crea una situazione di stallo mentre si diffonde

gradualmente lo sconforto.

Il sano buon senso trascurato

Un noto parco per il tempo libero, già fiore all’occhiello di un colosso della

grande distribuzione organizzata, dotato di vasti impianti balneari, numerosi

centri commerciali e un complesso alberghiero, è ormai obsoleto. Pertanto la

direzione decide di rinnovarlo completamente, compreso il complesso alber-

ghiero che registra un calo vistoso delle presenze.

Vari comparti dell’azienda sono coinvolti nel progetto. Sulla base di un nuovo

piano di marketing si intende rilanciare l’intero sito. L’obiettivo è quello di

riallacciarsi all’immagine prestigiosa di cui la struttura aveva goduto nella sua

fase di massimo splendore. Ma l’operazione non decolla: il piano di marketing

rimane frammentario, si realizzano solo singole iniziative scollegate tra loro. A

quel punto la direzione decide di riunire tutte le attività in un unico progetto

globale per accelerare i tempi di realizzazione. Ma avviene l’esatto contrario:

sulla carta il rilancio assume dimensioni ciclopiche e improvvisamente sorgono

disaccordi tra le varie istanze coinvolte. Rassegnato, il project manager getta la

spugna e la direzione si trova davanti a un cumulo di macerie.

Poi accade qualcosa che nessuno avrebbe ritenuto possibile.

Il team responsabile del progetto viene sciolto. Immediatamente si risolvono le

divergenze tra i manager che si accordano su un piano d’azione e al contempo

dichiarano il progetto di competenza della direzione centrale. Specialmente il

direttore delle finanze, a cui fino a quel momento era toccato il ruolo di capro

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espiatorio, è molto soddisfatto perché finalmente gli sono riconosciuti i suoi

meriti in questa vicenda.

La comunicazione trascurata

Una divisione di un’impresa di produzione perde un cliente importante a causa

della insufficiente qualità dei prodotti. In seguito a un impegnativo processo di

sviluppo si riesce a migliorarla notevolmente, tanto da superare persino la

qualità del concorrente che nel frattempo era subentrato. Ciononostante

l’impresa non riesce a riguadagnare il cliente perso. Ormai disperato il mana-

gement team, che secondo le sue stesse affermazioni aveva „già tentato di

tutto”, a quel punto vuole capire ad ogni costo dove ha sbagliato.

Poi accade qualcosa che nessuno avrebbe ritenuto possibile.

La ditta di produzione invia nello stabilimento del cliente un esperto di sviluppo

del prodotto. L’esperto, che ha ottime competenze comunicative, collabora

con il cliente direttamente sul posto. Insieme con i colleghi in loco riescono a

mettere a punto la qualità dei prodotti in base alle concrete esigenze

dell’azienda. Risultato: dopo un anno l’impresa riguadagna la commessa. Suc-

cessivamente rafforza la collaborazione per sviluppare in comune i nuovi pro-

dotti. Oggi l’impresa di produzione è il fornitore chiave di questo cliente.

L’elemento „comunicazione” è diventato una componente d’eccellenza del

marketing-mix della „divisione”: i progettisti non si concentrano più solo sulle

caratteristiche tecniche del prodotto ma coinvolgono direttamente il cliente in

modo da capire e soddisfare le sue reali esigenze.

La speranza perduta

La filiale italiana di una ditta tedesca è stata rilevata, così come la casa madre,

da un gruppo giapponese. Il direttore generale, molto sicuro di sé, inizia a ra-

gionare insieme al suo gruppo dirigente su come la filiale italiana potrà rivestire

un ruolo di rilievo nella nuova configurazione. Nel corso di varie riunioni però, il

direttore avverte chiaramente lo scetticismo con cui i suoi manager guardano a

questa possibilità. Cosa impedirà ai Giapponesi di trasferire la produzione di un

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prodotto relativamente standardizzato in un paese con un costo del lavoro

basso e di smantellare la fabbrica in Italia? I timori e le paure dei manager si

fondano soprattutto su pregiudizi piuttosto che su misure concrete prese dai

Giapponesi ma questo atteggiamento non è certo una buona premessa per

sviluppare strategie per il futuro.

Poi accade qualcosa che nessuno avrebbe ritenuto possibile.

I manager decidono di allearsi con la produzione della precedente casa madre

tedesca, cosa che in passato sarebbe stato impensabile! Inoltre scorporano la

struttura di distribuzione italiana dalla produzione italiana, soprattutto concen-

trata sulla commercializzazione dei prodotti realizzati nel proprio Paese, e la

integrano con le altre strutture distributive del gruppo. Questa decisione è

perfettamente in sintonia con la strategia di distribuzione europea introdotta

dai Giapponesi. I manager italiani, che erano già stati preparati a questo passo,

collaborano all’implementazione senza le solite reticenze e in maniera costrut-

tiva.

In tutti e tre gli episodi abbiamo volutamente omesso un determinato passag-

gio del processo: cos’è accaduto in quel momento decisivo capace di determi-

nare una svolta verso una soluzione nuova e inaspettata?

Innanzitutto i manager hanno finito per riconoscere che il problema si sarebbe

potuto risolvere solo se tutti avessero partecipato insieme alla ricerca di una

soluzione condivisa. Così hanno rotto con alcune vecchie abitudini come ad

esempio passarsi a turno la patata bollente o cercare una soluzione ognuno per

conto proprio e tramare di nascosto per creare alleanze.

Inoltre i manager hanno maturato la convinzione che non dovevano destinare

ulteriori risorse ad analisi, perizie e piani, dato che il team disponeva già di

sufficiente esperienza per giungere a soluzioni plausibili e condivisibili da parte

di tutti. Difatti troppe pile di carte avevano distolto l’attenzione dall’essenziale.

Infine i manager hanno scelto un procedimento con l’aiuto del quale possono

mettere in gioco „l’intelligenza collettiva” dell’intero team. Hanno infatti com-

preso una cosa: quando si tratta di questioni che riguardano il futuro, spesso

non serve fare riferimento esclusivamente ad approcci razionalistici, cosa pe-

raltro comprovata anche dagli ultimi esiti in campo neurobiologico: i desideri,

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gli aneliti, l’intuizione e l’esperienza temprata dalla pratica assumono un ruolo

centrale nelle decisioni che riguardano il futuro. Tuttavia, questi „fattori di

successo” inviano solo segnali deboli che spesso vengono ulteriormente svalu-

tati da persone che credono di „sapere come vanno le cose”.

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1. Costellazione sistemica e complessità

Quali strumenti sono abbastanza sensibili da rilevare anche le conoscenze

nascoste, ovvero il cosiddetto sapere implicito? E quali sono al contempo suffi-

cientemente intelligenti da riuscire a dare un senso ai dati rilevati per ricavarne

informazioni capaci di orientare l’azione futura? Con lo strumento delle costel-

lazioni sistemiche il management ha a disposizione un metodo per valutare

meglio i margini di rischio in situazioni confuse e creare un orientamento chia-

ro – e dunque certezze – per le persone che devono prendere una decisione.

La costellazione sistemica appartiene ai procedimenti scenici: eventi concreti

vengono rappresentati nel tempo e nello spazio. Ne scaturisce una sorta di

quadro „in movimento” dal quale si possono trarre conclusioni sulle dinamiche

che sottendono a un determinato evento.

Il desiderio di voler rappresentare in una messa in scena rapporti e relazioni

complicate o complesse è antico. Forse per questo il teatro è uno dei pilastri di

molte culture. Esso testimonia come l’uomo sia affascinato sin dai tempi remo-

ti dall’atto del „mettere in scena”, ovvero l’arte di condensare e rappresentare

in un segmento spazio-temporale l’essenza degli eventi.

La rappresentazione scenica rende possibile ciò che nessun resoconto, scritto o

verbale, è in grado di fare: essa trasmette l’essenza di una situazione mediante

una vivida sequenza di immagini. Ma essa offre al manager ben più di un singo-

lo fotogramma: partendo da un’origine indica la via verso un possibile futuro

dando espressione a un movimento coerente sia con il potenziale del sistema

che con le intenzioni del management.

1.1. Andare a fondo della questione

Al fine di comprendere a fondo le diverse situazioni nella loro complessità ab-

biamo bisogno, oltre al sapere esplicito, anche del sapere implicito ovvero di

un tipo di conoscenza che, pur essendo disponibile, non è facilmente accessibi-

le neanche mediante una riflessione mirata. Pertanto ci risulta difficile fare

delle considerazioni su questo tipo di sapere, sebbene gran parte della qualità

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e dell’eccellenza risiedano proprio in questa dimensione della conoscenza: la

genialità del team di ricerca, l’intuizione del manager, la meticolosità del mec-

canico di precisione, la velocità della centometrista, il sesto senso del terapeu-

ta, la forza innovativa dell’impresa ecc. sono difficilmente codificabili in un

manuale.

In senso figurato, il sapere esplicito corrisponde alla parte emergente di un

iceberg; la parte significativamente più grande si sottrae allo sguardo

dell’osservatore che può solo intuirne le dimensioni gigantesche e le enormi

tensioni presenti al suo interno. In particolare i sistemi classici di monitoraggio

economico-aziendale non fanno quasi riferimento al sapere implicito ma sono

focalizzati soprattutto sul sapere esplicito. Così facendo fotografano solo una

minima parte di quello che determina una situazione in tutti i suoi aspetti.

In molti casi è utile procurarsi un quadro d’insieme ed è proprio qui che entra

in gioco la costellazione sistemica. Grazie a essa è possibile ottenere informa-

zioni, altrimenti difficilmente accessibili, sullo stato di fatto, in maniera effica-

ce, veloce e anticonvenzionale. Anche in situazioni di elevata incertezza e ri-

schio questo procedimento permette di prendere decisioni fondate proprio

perché contempla tutte le dimensioni del sapere.

Una prassi orientata alle risorse e alle soluzioni, che includa anche l’intelligenza

collettiva, favorisce contemporaneamente la coesione del team, aspetto parti-

colarmente importante quando si impongono decisioni difficili. Un confronto

costruttivo e basato sulla fiducia reciproca favorisce il committment di ciascun

manager a supportare le decisioni prese di comune accordo, anche quelle più

scomode.

1.2. Cosa avviene in una costellazione sistemica

Nelle costellazioni sistemiche si rappresentano vari aspetti di una situazione

problematica collocando nello spazio i cosiddetti „rappresentanti”. In una sorta

di gioco di ruolo si giunge a un duplice chiarimento: da un lato la visualizzazio-

ne della situazione di partenza permette di formulare una diagnosi, dall’altro lo

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sviluppo di svariati scenari possibili permette di elaborare creativamente nuove

soluzioni. In questo capitolo spieghiamo come si possano ottenere informazioni

in situazioni decisionali complesse usando questo metodo insolito. Inoltre di-

mostriamo sulla base di un caso esemplare come un team di manager abbia

potuto individuare la risposta ad una domanda difficile grazie a una costella-

zione.

1.2.1. Il rappresentante come corpo di risonanza del sapere implicito

Contrariamente ai classici giochi di ruolo o roleplay – abbastanza diffusi

nell’ambito della formazione manageriale – nella costellazione sistemica i rap-

presentanti non ricevono alcuna indicazione su ciò che dovranno fare. Una

regia in senso classico, infatti, li porterebbe a esprimere innanzitutto il sapere

esplicito. I rappresentanti attingono il loro „copione” direttamente dalla „per-

cezione rappresentativa” che emerge dalla scena (Kibéd e Sparrer, 2000, p. 98)

assumendo letteralmente la funzione di „corpo di risonanza” del sapere impli-

cito. Saranno precisamente le loro percezioni corporee a fornire i dati dai quali

sarà possibile trarre le informazioni su una determinata circostanza. A differen-

za del sociogramma, non ci si concentra qui su un’immagine statica ma su una

sequenza d’immagini che indica la via verso una soluzione.

La costellazione produce una sorta di spazio comunicativo o, per dirla con Al-

brecht Mahr, un „campo del sapere” in cui ogni singolo rappresentante può

percepire le dinamiche più profonde della situazione analizzata, mentre la sua

specifica collocazione nello spazio rispecchia fedelmente le relazioni tra i vari

elementi di un sistema.

Ad oggi non esiste una teoria che spieghi in maniera esaustiva il meccanismo

che fa emergere il sapere implicito nell’ambito di una costellazione. Per farcene

un’idea dobbiamo attingere a diverse teorie, dalla filosofia del linguaggio alla

sociologia, dalla psicologia alla neurofisiologia. La teoria dell’immagine o dei

giochi linguistici, formulata dal filosofo Ludwig Wittgenstein, offre qualche

indicazione sul funzionamento della „grammatica di base” che agisce nelle

costellazioni (Sparrer, 2006, p. 81 ss). Secondo tale teoria il linguaggio „rispec-

chia” le strutture della realtà in maniera adeguata. Un’altra possibile spiegazio-

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ne si cerca nel concetto di „risonanza morfica”, sviluppato dal biochimico Ru-

pert Sheldrake sulla base della teoria del campo morfogenetico (Sheldrake,

1981). Alcuni tra i più recenti tentativi d’interpretazione fanno riferimento alla

fisica quantistica (Schneider, 2007, p. 18 ss). Ovviamente anche le conoscenze

in campo neurobiologico contribuiscono a spiegare il fenomeno della trasmis-

sione di informazioni da un sistema all’altro. Da tutte queste teorie si deduce

che l’intelligenza collettiva è insita non tanto nei singoli elementi di un sistema

quanto nei rapporti degli elementi tra loro ovvero nella rete delle relazioni. I

singoli elementi si limitano a percepire ed esprimere gli effetti e la qualità di

questi rapporti.

1.2.2. Il processo della costellazione sistemica

Le costellazioni sistemiche offrono rappresentazioni pratiche degli effetti delle

interrelazioni tra elementi di sistemi sociali quali ad esempio le aziende. Per

giungere alla soluzione di problemi decisionali complessi le costellazioni siste-

miche usano come „strumento di navigazione” il linguaggio del corpo e dello

spazio. Gli aspetti di una situazione da analizzare vengono messi in scena nello

spazio, o appunto costellati, con l’aiuto di rappresentanti.

In genere si procede come segue: una persona o un intero team che affrontano

una problematica concreta – un problema irrisolto o una questione difficile –

scelgono nella cerchia dei presenti al workshop coloro che andranno a rappre-

sentare aspetti o elementi rilevanti della questione. A seconda del tema da

affrontare questi elementi possono riferirsi a singoli individui o a gruppi di

persone, per esempio alle parti coinvolte in un conflitto, ma possono essere

anche elementi astratti come ad esempio le risposte contraddittorie a un di-

lemma oppure gli obiettivi e gli ostacoli che determinano una situazione di

stallo. Si sceglie inoltre una figura che rappresenti il cosiddetto „focus”, cioè la

persona o il gruppo interessati alla soluzione che procederanno alla disposizio-

ne dei rappresentanti nello spazio seguendo la propria intuizione o „immagine

interiore” (Weber, 1995, p. 181 ss). Nella fase successiva il consulente che

guida la costellazione chiede a tutti i rappresentanti di descrivere a turno le

proprie percezioni corporee. Sulla base delle „percezioni rappresentative” o

„risonanza corporea” è possibile scoprire le dinamiche che sottendono a una

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situazione problematica: di regola si tratta di schemi disfunzionali che inibisco-

no lo sviluppo. Riposizionando i rappresentanti e interrogandoli di volta in volta

sulle loro sensazioni, le possibili soluzioni emergono spontaneamente. Gli in-

terventi del conduttore avvengono in base alle risonanze corporee descritte dai

rappresentanti; a volte anche spostamenti minimi sono in grado di provocare

cambiamenti nelle percezioni corporee degli altri rappresentanti. Ciò offre

un’indicazione per ulteriori spostamenti di uno o più rappresentanti. Nel corso

della costellazione si cerca di raggiungere una disposizione in cui tutti i rappre-

sentanti si sentono a loro agio nella relazione con l’altro. Fisicamente questa

condizione è percepita attraverso una sensazione di „sollievo”, di „rilassamen-

to” o di „liberazione”. In genere un simile processo dura all’incirca mezz’ora ma

può essere anche più breve o, al contrario, in situazioni complesse può richie-

dere molto più tempo. Man mano che si procede, si dischiudono prospettive

sorprendenti che indicano nuove vie verso possibili soluzioni proprio perché il

metodo contempla anche aspetti non verbali ed emotivi solitamente ignorati.

Affrontare il problem solving con una modalità del genere richiede un apposito

contesto. Innanzitutto ci vuole un gruppo di persone che si rendano disponibili

a rappresentare o „incarnare” di volta in volta i diversi aspetti di una situazio-

ne. In secondo luogo ci vogliono persone abbastanza aperte e flessibili, pronte

ad accogliere anche risposte inconsuete alle loro domande. Infine serve un

consulente che, in veste di facilitatore, crei un clima di fiducia, aiuti a chiarire la

domanda o la tematica da affrontare, accompagni il processo di risoluzione e

faciliti l’applicazione delle indicazioni emerse nella realtà aziendale.

1.3. Esempio di una costellazione

Al fine di illustrare concretamente una costellazione riprendiamo il terzo episo-

dio riportato nel capitolo introduttivo: si trattava dell’acquisizione di

un’impresa tedesca, compresa la filiale italiana, da parte di un gruppo giappo-

nese e degli sforzi dell’amministratore delegato e del suo team direttivo di

accompagnare la fase critica dell’integrazione post merger con l’aiuto di un

consulente.

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L’ amministratore delegato ha così formulato l’obiettivo: sviluppare insieme ai

suoi manager una strategia che non solo assicuri la sopravvivenza della filiale

italiana all’interno del nuovo assetto aziendale ma che la renda indispensabile

anche in futuro. All’inizio del primo workshop si avvertono chiaramente le

perplessità e lo scetticismo dei manager rispetto a questi obiettivi. Il consulen-

te riflette su come distoglierli dalle loro preoccupazioni relative a un futuro

incerto focalizzando l’attenzione sulla realtà attuale dell’impresa. Ritiene indi-

spensabile che i manager riconoscano le opportunità e le sfide che il nuovo

assetto proprietario porta con sé. In un primo intervento, il consulente elabora

insieme al direttivo un quadro realistico della nuova situazione in base alle

informazioni al momento disponibili. In una fase successiva propone di esplora-

re possibili spazi d’azione come base su cui costruire una nuova strategia: per

fare ciò la costellazione sistemica gli appare come il metodo più efficace.

Dopo aver spiegato in poche parole il funzionamento di una costellazione si-

stemica, il consulente avvia l’intervento suggerendo la seguente metafora:

„Immaginatevi che il contesto nel quale operate sia un campo da gioco sul

quale la vostra impresa disputa un incontro insieme ad altri giocatori e agli

avversari, la vostra sopravvivenza e il vostro successo economico saranno la

posta in gioco. Da quando l’impresa è passata ai Giapponesi sono cambiati sia il

campo da gioco che i giocatori e in parte perfino il gioco stesso. Ci proponiamo

ora di raffigurare questa nuova situazione. Dobbiamo dunque chiederci: quali

sono i giocatori o le istanze più importanti con cui intendiamo collaborare o

confrontarci?”

I manager individuano i seguenti elementi:

il team di direzione della filiale italiana

la produzione italiana

la distribuzione italiana

la produzione tedesca

le restanti reti di distribuzione

il gruppo giapponese

la centrale europea del gruppo

i clienti

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Si passa dunque a mettere in scena la situazione attuale. Chiarisce il consulen-

te: „Anche se in un primo momento questo esperimento può sembrarvi strano,

vi chiedo semplicemente di partecipare senza essere prevenuti e di osservare

cosa ne risulta. Per prima cosa scegliete due persone che, a nome di tutto il

team, dispongano insieme nello spazio i rappresentanti degli elementi prece-

dentemente definiti, creando così un quadro della situazione. È del tutto irrile-

vante chi scegliete, a patto che i prescelti siano d’accordo e siano disposti a

partecipare all’esperimento”.

Questo particolare procedimento, far disporre congiuntamente da due persone

una costellazione iniziale, presenta il seguente vantaggio: nel quadro di parten-

za confluiscono due percezioni individuali probabilmente non del tutto identi-

che pertanto i colleghi non potranno opporre la critica che si tratta di una vi-

sione puramente soggettiva.

Quindi, rivolgendosi ai manager presenti, il consulente continua: „Quelli di voi

che verranno scelti come rappresentanti devono semplicemente far attenzione

a cosa cambia per loro nel momento in cui vengono messi in scena e via via che

si aggiungono gli altri rappresentanti. Quando i due colleghi vi collocheranno in

un determinato punto sul campo da gioco immaginario, vi accorgerete che le

vostre percezioni corporee, le vostre sensazioni e i vostri pensieri cambieranno.

Può darsi che avvertiate anche degli impulsi motori concreti che vi prego di

tenere presenti.”

Una volta scelti tutti i rappresentanti, il consulente invita i due incaricati a col-

locarsi alle spalle del rappresentante del team direttivo e ad accompagnarlo in

un punto della stanza che ambedue avvertono come „giusto”. Suggerisce quin-

di ai due: „Accordatevi su una posizione che vada bene per entrambi senza

comunicare verbalmente. Non ragionate troppo, lasciatevi piuttosto portare

dalle vostre gambe e guidare dall’intuito; quando avrete trovato il punto giusto

ve ne accorgerete. Distanza, direzione e collocazione nello spazio dovrebbero

corrispondere alla relazione tra gli elementi. Provate e confidate nel fatto che

riconoscerete intuitivamente quando la posizione rispecchierà fedelmente la

situazione reale.”

I due manager, con un’attenzione e una determinazione impressionanti, di-

spongono nello spazio i successivi rappresentanti. Passo dopo passo si viene a

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creare il quadro della situazione, l’atmosfera nella stanza cambia improvvisa-

mente, scende un gran silenzio e la tensione cresce.

Dopo aver collocato l’ultimo rappresentante, il consulente chiede ai due mana-

ger se vogliono fare un ultimo aggiustamento. Dice loro di prendersi il tempo

necessario per verificare se quel quadro, a loro avviso, corrisponde alla situa-

zione nella quale si trova al momento l’impresa. I due spostano di poco un

rappresentante e poi dichiarano che per loro va bene così. (fig. 1)

fig. 1 Integrazione post merger – quadro iniziale

TD: team direttivo (focus) PI: produzione italiana DI: distribuzione italiana

PT: produzione tedesca AD: altre reti di distribuzione CE: centrale europea

GG: gruppo giapponese Cl: clienti

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Il consulente osserva il quadro e immediatamente nota alcune posizioni sor-

prendenti:

la produzione italiana, il team direttivo e la distribuzione italiana formano

un gruppo isolato al margine del campo;

la produzione tedesca e quella italiana guardano in direzioni diverse;

la centrale europea non ha nessun contatto visivo con la distribuzione

italiana.

Dopo avere fatto queste riflessioni inizia a interrogare i rappresentanti uno ad

uno.

CONSULENTE: „Proviamo ora a vedere come percepite la vostra posizione. Vi

interrogherò seguendo l’ordine con cui siete stati costellati. Cos’é cambiato per

il team direttivo della filiale italiana nel corso della costellazione e com’è il suo

rapporto con gli altri elementi?”

TEAM DIRETTIVO: „Man mano che si aggiungevano elementi aumentava la mia

sensazione di oppressione. Mi sento emarginato e avverto soprattutto la pres-

sione della produzione italiana. I Giapponesi sono talmente lontani che li vedo

solo se mi volto. Ci sono troppe persone davanti a me e non so su chi concen-

trarmi.”

CONSULENTE: „Quali cambiamenti nella percezione corporea, nelle sensazioni e

nei pensieri, ha avvertito il rappresentante della produzione italiana?”

PRODUZIONE ITALIANA: „Mi sento isolato, vorrei voltarmi… Cerco sostegno nel

team direttivo ma non sono sicuro di potermi fidare. Davanti a me vedo la

nostra distribuzione ma non mi pare molto convinta. In sostanza questa posi-

zione è molto scomoda.”

CONSULENTE: „Cosa ne pensa la distribuzione italiana?”

DISTRIBUZIONE ITALIANA: „Qui mi trovo nel posto sbagliato, i giochi si fanno laggiù.

Sono particolarmente curioso di sapere cosa ha in mente di fare la centrale

europea.”

CONSULENTE: „Cos’è cambiato per la produzione tedesca?”

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PRODUZIONE TEDESCA: „Mi sento insicuro e isolato. I clienti sono lontani e non

hanno nessun contatto con me.”

CONSULENTE: „Cosa accade con le altre reti di distribuzione?”

RETI DI DISTRIBUZIONE: „Sono disorientato. Sento in particolare l’influenza della

centrale ma mi chiedo anche cosa sarà della produzione, cosa vogliono quelli lá

in Giappone? Più che altro sto aspettando.”

CONSULENTE: „E come si sente la centrale europea?”

CENTRALE: „Devo ancora prendere in mano l’intera situazione, l’attenzione prin-

cipale è rivolta ai clienti. Le produzioni sono troppo lontane per me. È faticoso

ma mi sento forte e determinato anche se molto teso.”

CONSULENTE: „Bene, e come la vedono in Giappone?”

GRUPPO GIAPPONESE: „In effetti mi sento molto lontano, sono calmo e molto

attento, guardo alla centrale europea, tutto il resto lo vedo piuttosto sfocato.”

CONSULENTE: „Come reagiscono i clienti?”

CLIENTI: „Il tutto mi lascia piuttosto indifferente, tutt’al più mi interessa la cen-

trale europea.”

A questo punto il consulente si rivolge all’amministratore delegato e ai mana-

ger che stanno osservando la rappresentazione dall’esterno: „Sentendo queste

affermazioni avete l’impressione che corrispondano alla realtà o siamo fuori

strada?” Tutti si dicono molto colpiti dalla misura in cui la costellazione e le

dichiarazioni dei rappresentanti coincidano con la loro propria percezione della

situazione.

Il consulente prosegue chiedendo quali informazioni e indicazioni per possibili

azioni possono trarre da questo primo quadro.

„Il team direttivo deve trovare ad ogni costo una posizione dalla quale avere un

contatto migliore con la centrale e i clienti”, osserva uno dei manager, „e del

resto, la distribuzione ha già detto che vuole cambiare posizione.”

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„La nostra distribuzione deve collaborare di più con le altre reti di distribuzio-

ne”, sostiene un altro manager, „ma il problema più grande ce l’ha la produzio-

ne, è ovvio, solo che al momento non vedo alcuna soluzione.”

Il consulente annota questi commenti e li collega con le affermazioni dei rap-

presentanti e con le sue proprie impressioni, formula poi una prima ipotesi: il

team direttivo appare in qualche modo incastrato tra la produzione e la distri-

buzione italiane e distaccato dalla centrale europea. Da questa posizione è

difficile dirigere l’impresa. Partendo da questa riflessione propone dunque un

primo intervento: „Proviamo a vedere cosa succede se cambiamo alcune posi-

zioni. Iniziamo col team direttivo: avverte qualche impulso a spostarsi altrove?”

Il rappresentante si concentra sulle sue sensazioni e sembra essere fortemente

sotto pressione. Dopo un po’ afferma: „Mi sento come paralizzato.”

„Allora vediamo se riusciamo a trovare un posto migliore per lei”, risponde il

consulente. Lo accompagna in un punto situato tra la centrale europea e la

produzione italiana, quindi chiede: „Qui come si sente? Meglio, peggio, come

prima o diversamente?”

„Mi sento decisamente meglio, più libero e con una visuale più aperta e, so-

prattutto, ora vedo bene i clienti”, risponde il rappresentante visibilmente

sollevato.

Il consulente si rivolge agli altri rappresentanti e chiede: „Chi di voi ha avvertito

dei cambiamenti in seguito a questo spostamento?”

„Io mi sento peggio di prima!” comunica immediatamente la produzione italia-

na. (fig. 2)

Il consulente ha già pronte varie opzioni per cambiare la costellazione ma vuole

affidarsi interamente al sapere implicito, all’intelligenza collettiva dei rappre-

sentanti costellati. Così va dal rappresentante della produzione italiana e lo

invita a cercarsi un posto migliore, eventualmente provando diverse varianti.

Dapprima il rappresentante si muove con esitazione nello spazio, quindi dice:

„Mi sentirei di avvicinarmi alla produzione tedesca. Che cosa strana, considera-

to che finora è sempre stata il nostro nemico numero uno, il nostro principale

concorrente!”

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fig. 2 Integrazione post merger – Stadio intermedio

TD: team direttivo (focus) PI: produzione italiana DI: distribuzione italiana PT: produzione tedesca

AD: altre reti di distribuzione CE: centrale europea GG: gruppo giapponese Cl: clienti

Allora, il rappresentante della produzione tedesca si rivolge spontaneamente

alla produzione italiana dicendo che è così anche per lui. Pur sentendosi anco-

ra scettico avverte che questa posizione è decisamente migliore.

In questo modo „co-creativo” – con il consulente che in parte indica nuove

collocazioni ai rappresentanti e in parte li invita a seguire il loro impulso per

cercarsi una posizione migliore – si sviluppa una nuova costellazione che tutti i

partecipanti percepiscono come nettamente migliore e più carica di energia.

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È dunque giunto il momento per un primo bilancio. Il consulente chiede ai

rappresentanti come stanno vivendo la nuova costellazione.

„Ho subito capito che il mio posto è qui con le altre reti di distribuzione”, esor-

disce la distribuzione italiana, „ma non pensavo che sarebbe stato così difficile

staccarmi dalla produzione italiana. Mi è riuscito solo dopo che si è allontanato

anche il team direttivo e che si è avvicinata la produzione tedesca.”

„Così va molto meglio, tutto è più disteso”, afferma la centrale europea, „ma i

rappresentanti delle produzioni sono ancora un po’ troppo distanti per me.”

„Mi sento combattuto”, dice il team direttivo, „da un lato dovrei stare più vici-

no alla centrale europea, dall’altro la produzione italiana ha bisogno di me.”

Sentendo l’espressione „combattuto” il consulente si allerta: lo legge come un

segnale che lascia supporre la presenza di due tendenze contrastanti rappre-

sentate nel ruolo del team direttivo.

Nel corso di una costellazione si cerca di eliminare simili tendenze contrastanti

che, con ogni probabilità, producono comportamenti ambigui e possono causa-

re delle situazioni di stallo. Con l’aiuto di una tecnica specifica è possibile chiari-

re le ambivalenze e distinguere le tendenze opposte.

„Voglio fare un esperimento”, interviene il consulente rivolgendosi a uno dei

manager seduti in cerchio. „Può darsi che il ruolo del team direttivo comporti

due o più compiti contrastanti tra loro che non si lasciano gestire tanto facil-

mente. Perciò scelgo un nuovo rappresentante per l’altra parte del team diret-

tivo e lo colloco accanto al team direttivo che si sente combattuto.”

„Sta cambiando qualcosa?” chiede il consulente dopo aver collocato un rappre-

sentante accanto al team direttivo; questo avverte un rafforzamento e insieme

una netta sensazione di sollievo. L’altra parte del team direttivo invece sente

l’impulso di avvicinarsi maggiormente alla produzione italiana.

„Ora posso finalmente avvicinarmi alla centrale europea,” afferma il rappresen-

tante del team direttivo. La centrale europea, a sua volta. è assolutamente

d’accordo: „Così è molto meglio!” (fig. 3)

Page 39: Strut Ture

38

fig. 3 Integrazione post merger – quadro finale

TD: Team direttivo (focus) TD2: Parte del team direttivo PI: Produzione italiana DI: Distribuzione italiana PT: Produzione tedesca

AD: Altre reti di distribuzione CE: Centrale europea GG: Gruppo giapponese Cl: Clienti

Il consulente ha l’impressione che l’ultima costellazione risultante dagli spo-

stamenti effettuati sia congruente. Inoltre, nel corso dei numerosi cambiamen-

ti è emersa una grande quantità di informazioni. Tuttavia vuole sentire

un’ultima volta i rappresentanti con cui non ha lavorato direttamente a propo-

sito delle loro percezioni.

I clienti sostengono di stare bene e che ora tutti sono concentrati su di loro. Il

gruppo giapponese fa la seguente considerazione: „Se la situazione si sviluppa

così bene, io non mi intrometto. Non mi sono mosso, sto bene dove sto.”

Page 40: Strut Ture

39

Il consulente termina la costellazione, ringrazia tutti i rappresentanti e li prega

di uscire dal ruolo che hanno interpretato. Poi annuncia che, dopo una breve

pausa, avrebbero condiviso in un dialogo aperto le conclusioni che ciascuno

aveva tratto dall’esercizio e concordato le misure da attuare.

In una prima tornata dello scambio ogni manager illustra cosa lo ha maggior-

mente colpito della costellazione, dopodiché iniziano a elaborare insieme i

primi passi concreti.

L’evidenza più importante alla quale sono giunti è che una collaborazione tra la

produzione tedesca e quella italiana sarebbe stata una soluzione non solo pos-

sibile ma anche sensata. Per i manager della filiale italiana un simile passo

rappresenta una vera e propria rivoluzione, considerato che fino a quel mo-

mento hanno sempre vissuto la produzione della casa madre tedesca come un

rivale, come il principale concorrente, quello che si prende i prodotti con il

margine migliore lasciando a loro i progetti più difficili. Per questa ragione

hanno tenuto „i Tedeschi” all’oscuro delle loro innovazioni il più a lungo possi-

bile, per non giocarsi il proprio vantaggio competitivo. L’idea di avviare una

cooperazione era talmente lontana dai manager che difficilmente avrebbe

potuto prendere forma in una discussione „tradizionale”, inevitabilmente con-

dizionata dalla vecchia mentalità.

Il processo costellativo ha decisamente colpito i manager ed essi ritengono le

soluzioni emerse in quell’ambito molto sensate. Il direttore generale e il diret-

tore di produzione decidono di recarsi immediatamente in Germania presso la

casa madre per sottoporle una proposta di cooperazione.

Da questo avvicinamento nasce il piano di avviare, in quello stesso anno, un

centro di produzione comune in Polonia presso il quale trasferire la produzione

dei prodotti con elevata incidenza di manodopera.

Un altro impulso importante emerso nel corso della costellazione è il distacco

della rete di distribuzione italiana dalla produzione italiana nonché il suo avvi-

cinamento alle altre strutture di distribuzione del gruppo. Fino a quel momento

la distribuzione italiana si era concentrata unicamente sulla commercializzazio-

ne degli articoli prodotti in loco. La nuova posizione emersa dalla costellazione

suggerisce una cooperazione più stretta con le strutture distributive degli altri

Page 41: Strut Ture

40

Paesi; questo giova a tutti i partner perché permette di offrire l’intera gamma

di prodotti, col medesimo impegno, in tutti i Paesi europei.

Di fatto, alcuni mesi più tardi, la riorganizzazione della distribuzione sarebbe

rientrata fra le prime misure decise dalla centrale giapponese. Gli Italiani, che a

quel punto erano stati già preparati, collaborarono in maniera costruttiva e

senza le precedenti resistenze alla ristrutturazione.

La misura di suddividere il team direttivo in due unità, una dedicata alla centra-

le europea e l’altra alla produzione italiana, è accolta dai manager come uno

stimolo importante. Discutono di come potrebbero rafforzare la loro presenza

nella centrale europea per sostenere efficacemente gli interessi italiani, senza

trascurare la conduzione della filiale italiana. Fino a quel momento il direttore

generale era stato fortemente coinvolto nell’operatività quotidiana. In seguito

al nuovo orientamento strategico si devono rivedere i suoi compiti delegando-

ne una parte ai membri del team direttivo.

Infine, anche l’affermazione del rappresentante del gruppo giapponese, che nel

corso della costellazione ha sostenuto di seguire gli sviluppi con grande atten-

zione seppure da debita distanza, contribuisce a dissolvere le iniziali paure di

una chiusura immediata della produzione italiana. I manager prendono corag-

gio e, nell’ambito del workshop successivo, riescono a sviluppare con maggiore

convinzione la loro visione del futuro e a decidere misure strategiche adeguate.

Questa costellazione è stata dunque l’inizio di un’integrazione post-merger di

grande successo. La costellazione sistemica ha prodotto un radicale mutamen-

to del clima. I manager hanno superato la paralisi nella quale erano caduti a

causa delle loro congetture catastrofiche sulle conseguenze del passaggio di

proprietà. Nel corso della costellazione hanno potuto sondare i loro margini

d’azione e così sono in grado di sfruttarli abilmente per trovare una buona

collocazione all’interno del gruppo giapponese.

Dopo appena due anni, la conduzione dell’intera produzione europea è stata

affidata all’amministratore delegato della filiale italiana. Lo stesso ha riferito

con orgoglio che a quel punto la sede italiana riforniva i mercati asiatici con

alcuni dei suoi prodotti di punta.

Page 42: Strut Ture

41

Per una migliore comprensione dello svolgimento ricapitoliamo le fasi più im-

portanti della costellazione:

Siamo partiti da un bisogno chiaramente definito dal cliente. Nel caso su espo-

sto l’obiettivo di creare condizioni favorevoli per poter sviluppare una strategia

che assicurasse la sopravvivenza dell’impresa italiana era stato concordato in

precedenza e nel dettaglio con l’amministratore delegato.

Seguendo un approccio sistemico il consulente ha cercato di individuare i fatto-

ri di contesto rilevanti e i principali attori coinvolti.

Ha affrontato il problema con un atteggiamento improntato al solution focus,

partendo dal presupposto che il sistema cliente disponesse già delle risorse

necessarie per trovare una soluzione adeguata. Ha dato per scontato che gli

impulsi risolutivi fossero „dormienti” nel sapere implicito del team e che basta-

va risvegliarli con l’aiuto di interventi mirati. Per questo motivo il consulente,

nel corso della costellazione, ha continuamente esortato i rappresentanti a

seguire i propri impulsi e a provare nuove posizioni.

Il primo passo per ridurre la complessità della situazione in modo da poterla

rappresentare e analizzare è stato quello di scegliere una prospettiva sistemica

adeguata a raffigurare le dinamiche rilevanti. Il consulente ha scelto di impo-

stare la messa in scena dal punto di vista del team direttivo – in gergo questo

elemento è chiamato „focus” – aggiungendo poi le principali unità funzionali

dell’impresa e quelle del nuovo contesto organizzativo del gruppo giapponese.

Per illustrare la sua scelta il consulente ha usato la metafora della partita di

calcio: al fine di effettuare con successo le mosse tattiche di gioco, i giocatori

devono disporsi in campo secondo un’abile strategia.

Il momento centrale dell’intervento è stato il lavoro scenico. La costellazione

ha permesso ai manager di sperimentare personalmente aspetti importanti del

loro nuovo contesto. In questo modo, affidandosi all’intelligenza collettiva del

team, è stato possibile anticipare una situazione, a modo suo concreta, che si

sarebbe verificata in futuro. Già David Bohm ha sottolineato che il pensiero

collettivo è più potente del pensiero individuale (Bohm, 2002/2, p. 43).

Page 43: Strut Ture

42

La traduzione delle informazioni dal linguaggio analogico della rappresentazio-

ne scenica al linguaggio logico-sequenziale dei ragionamenti dei manager è

stata altrettanto importante. Ciò è avvenuto in parte già nel corso della costel-

lazione ma soprattutto nel dialogo che è seguito. I partecipanti hanno raccolto

passaggi scenici importanti e, verbalizzandoli, li hanno resi disponibili per il

successivo processo decisionale.

1.4. La messa in scena come „manifestazione” dell’intelligenza collettiva

Nel corso degli ultimi anni sono state introdotte numerose tecniche per utiliz-

zare l’„intelligenza collettiva“ nei processi decisionali delle aziende. Alcune di

queste come l’Open Space (Harrison Owen), il World Café (Juanita Brown) e il

Dialogo (David Bohm) sono già piuttosto diffuse.

Anche la costellazione sistemica si allaccia ai metodi di fruizione

dell’intelligenza collettiva, per un verso servendosi di un gruppo di interpreti

che „stanno per” una determinata tematica, per altro verso creando uno spazio

di comunicazione „sociale”. In quest’ultimo aspetto entra in gioco un tipo di

sapere molto specifico: il sapere esperienziale. Per usare le parole di Dirk Baec-

ker (Baecker, 1999, p. 78), si tratta di un sapere insito nelle circostanze, una

sorta di „struttura latente di significati”. Tra le particolarità che lo contraddi-

stinguono vi è quella di non essere espresso attraverso la parola.

La costellazione sistemica rende le situazioni trasparenti anche la dove la paro-

la incontra i suoi limiti. Grazie al menzionato fenomeno della „percezione rap-

presentativa” si sperimenta in maniera immediata e sostanziale, a livello fisico

ed emotivo, la qualità delle relazioni. Con la costellazione sistemica è stato

acquisito un nuovo codice che ci permette di accedere a dimensioni della realtà

che altrimenti rimarrebbero nascoste. Questo codice si attiva inserendo una

persona, per un breve spazio di tempo, all’interno di una scena e invitandola a

sentirsi parte della stessa. La linea di demarcazione tra soggetto e oggetto, che

tutti ben conosciamo, è sospesa per qualche attimo e le persone si immedesi-

mano nell’oggetto che rappresentano.

In parte, la costellazione sistemica presenta analogie con i metodi

dell’ermeneutica oggettiva e dell’intervista narrativa. Tali procedimenti tenta-

Page 44: Strut Ture

43

no di far esperire il „sociale” di per sé, ovvero non attraverso l’interpretazione

del singolo individuo. Specialmente nell’intervista narrativa si parte dal presup-

posto che esista un’„omologia tra la costituzione narrativa e quella esperienzia-

le” (Heinz Bude). Ciò significa che un narratore riporta la (sua) storia così come

l’ha vissuta, ovvero riproduce la sua esperienza nella narrazione con tutti quegli

aspetti rilevanti e quei punti di vista che costituiscono la sua identità e deter-

minano le sue azioni” (Bohnsack, 1999, p. 57). Un’analoga riproduzione di

aspetti individuali o collettivi rilevanti avviene anche quando i rappresentanti si

mettono in relazione l’uno con l’altro nelle varie sequenze di una costellazione

sistemica.

Da questo punto di vista la costellazione sistemica di un determinato evento

potrebbe essere definita come la sua „traduzione scenica”. In un processo

comunicativo co-creativo tra rappresentanti e facilitatore viene elaborata una

soluzione in linea con le „forze propulsive” che sono alla base della situazione

rappresentata scenicamente.

1.5. Costellazione sistemica e learning organization

Il metodo della costellazione sistemica si inserisce, a tutti gli effetti, tra le più

recenti tecniche ispirate al concetto della learning organization. Così,

l’approccio con cui Claus Otto Scharmer evoca visioni per il futuro nel contesto

aziendale sembra quasi un invito al lavoro di costellazione. „Per operare con

successo nell’ambito dei nuovi business, i dirigenti devono possedere la capaci-

tà di fiutare il futuro emergente, metterlo in atto e incarnarlo”. (Scharmer,

2000, p. 5). Qui, pur non menzionandola, Scharmer sembra fare riferimento

alla costellazione sistemica. In effetti, nel processo di trasformazione (U-

process) da lui ideato, la costellazione permette di accedere alle dimensioni del

Sensing e del Presencing che stanno alla base di ogni genere di sviluppo

nell’impresa (grafica 1).

Oggi, per conquistare questo sapere, esistono solo pochi metodi che, in genere,

richiedono tempi lunghi. La costellazione sistemica invece rappresenta una

soluzione rapida, semplice – ma non semplicistica.

Page 45: Strut Ture

44

Grafica 1: Processo a „U” secondo Claus Otto Scharmer

Nel suo libro intitolato Leading from the Future as it Emerges, Carl Otto Schar-

mer indaga su come rendere accessibili a livello sistemico le strutture nascoste

di entità sociali – imprese, stati, comunità ecc. L’idea che lo guida è quella

dell’esistenza di un punto cardine su cui s’impernia la svolta della struttura di

un sistema; una sorta di „punto pitagorico” che egli colloca all’interno del cam-

po di attenzione di un osservatore, questi può essere un singolo dirigente, un

team o un’intera impresa. Scharmer distingue quattro diversi livelli

dell’attenzione e, strettamente collegate a questi, quattro categorie di intenti

d’azione. Tra questi quattro livelli è possibile spostarsi e il risultato dell’azione

sarà ogni volta completamente diverso. Scharmer così lo descrive: „Se mi met-

to in ascolto al primo livello, la discussione si congela in vecchi modelli del

passato (downloading). Se mi metto in ascolto al secondo livello, mi rapporto

agli altri in maniera discorsiva (reflecting). Se mi metto in ascolto al terzo livel-

lo, evoco un campo dialogico nel quale vivo il contatto diretto, il collegamento

e la comunione con gli altri, un campo in cui le barriere tra me e l’altro si dis-

solvono (imagining). Se mi metto in ascolto al quarto livello inizio a partecipare

Page 46: Strut Ture

45

alla costruzione di un nuovo spazio interno, attraverso questo una presenza

creativa silenziosa e una risonanza diretta inizieranno a diventare esperibili e

produttive (presencing).” (Scharmer, 2005, p. 8 ss)

La ricerca di percorsi innovativi per affrontare il futuro richiede agli individui, ai

team e alle organizzazioni, di concentrarsi maggiormente sul terzo e sul quarto

livello. Sotto questo punto di vista Scharmer è del tutto consapevole del fatto

che il suo percorso „verso l’interno” potrebbe essere inusuale per molti. Indica

pertanto anche i tre maggiori ostacoli da superare: il giudizio affrettato (fino

alla denigrazione), il cinismo e la mancanza di coraggio.

1.6. Costellazione sistemica – un normalissimo strumento di management?

Il fatto che la costellazione sistemica permetta di gettare lo sguardo su aspetti

nascosti di determinati eventi potrebbe indurre più d’uno a utilizzare il metodo

con l’intento di ricavarne previsioni per il futuro prossimo e lontano. In

un’epoca che si affaccia su una grande varietà di possibili scenari futuri, i ma-

nager e i loro consulenti sono alla ricerca di metodologie che riducono le incer-

tezze affidandosi a vari procedimenti che vanno dalle più raffinate tecniche di

visioning fino alle più disparate pratiche divinatorie.

1.6.1 Costellazione sistemica – un oracolo moderno?

La costellazione sistemica punta alle disposizioni di fondo di un’organizzazione

o, usando un’analogia, si potrebbe anche dire al suo DNA. In questo modo essa

può dare indicazioni sui passi verso uno sviluppo adeguato del sistema, coeren-

te con la natura stessa dell’organizzazione. Pertanto, più che pronosticare il

futuro, la costellazione indica quali possono essere i prossimi passi utili da

compiere per affrontare un determinato problema.

Proprio per questo la costellazione sistemica non è un oracolo. Essa non solleva

il management dal prendere decisioni né gli garantisce il verificarsi di risultati

certi, bensì favorisce un discorso sulle premesse che stanno alla base di una

decisione. Rimandando alle strutture che determinano la dinamica degli eventi

in azienda, la costellazione sistemica contribuisce a gestire in maniera più con-

Page 47: Strut Ture

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sapevole la complessità. Favorisce inoltre una cultura della riflessione, in ac-

cordo con la migliore tradizione del pensiero illuministico.

Più che con l’oracolo, la costellazione sistemica è imparentata con il teatro:

anche qui uno spazio viene aperto per poi essere modellato dai movimenti

dell’uomo per esprimere un significato. Nella forma primigenia, così come in

seguito nella forma illuminata del teatro, il sapere che risiede nelle relazioni

sociali e private si manifesta sotto forma di scene variamente intitolate. Questo

sapere a volte è palese e a volte nascosto. Il lavoro drammaturgico e quello

costellativo permettono entrambi di spiegare il sapere nascosto dei sistemi

sociali rappresentandolo senza verbalizzarlo e dunque razionalizzarlo. Ed è

proprio questo che comporta la particolarità e la fascinazione dei due media.

1.6.2. La „verità” delle immagini di una costellazione

Ogni procedura diagnostica, a un certo punto, non può fare a meno di chiedersi

in che cosa consista la sua verità, cercando di chiarire la relazione tra l’originale

e la rappresentazione. In altre parole dobbiamo affrontare la domanda: „su

cosa può fare – veramente – affidamento un manager che scelga di impiegare

la costellazione sistemica come metodo di analisi e di problem solving?”

Come già brevemente accennato in precedenza, la costellazione fa riferimento

a quanto si trova nella memoria individuale e collettiva. L’esperienza acquisita

è iscritta nell’organismo e coordina i suoi movimenti verso un determinato

obiettivo. Tuttavia essa resta invisibile manifestandosi esclusivamente nello

svolgimento concreto di un’azione; attraverso la riflessione si trasmette sotto

forma di „sapere esperienziale” agli attori interessati. Certo, nella comunica-

zione di questo sapere stesso resta solo l’impronta dell’esperienza e sarebbe

un fatale errore confondere l’impronta con l’esperienza stessa.

Per lo stesso motivo sarebbe assurdo tentare di trasporre il quadro risolutivo di

una costellazione sistemica pari pari nella realtà quotidiana; sarebbe

l’equivalente di una superficiale operazione di „copia-incolla”. Nel lavoro co-

stellativo non si tratta certo di questo; all’osservatore attento della rappresen-

tazione si dischiude piuttosto una visione d’insieme su tutto ciò che in questa

costellazione ha lasciato traccia.

Page 48: Strut Ture

47

Per utilizzare un’analogia con l’arte figurativa, l’artista si esprime, in senso lato,

nella sua opera d’arte ma non vi si riproduce mai in „carne e ossa”. Con ciò è

definito anche il limite della rappresentazione che, sebbene sia come un calco

di ciò che rappresenta, non è mai il rappresentato stesso. L’orma nella neve

non è l’animale in fuga, il ritratto non è la persona e il menu non è la pietanza.

Esistono comunque delle equivalenze, ma sono su un piano strutturale. Ed è

esattamente questa dimensione strutturale che il lavoro di costellazione mette

in risalto.

I vari aspetti qui accennati e di cui si occupa la teoria della conoscenza saranno

approfonditi nel capitolo successivo.

1.6.3. Costellazione sistemica e modelli di management

Per finire vorremo sottolineare la differenza tra la costellazione sistemica e gli

strumenti di management più tradizionali come ad esempio la pianificazione

strategica. Questi ultimi si fissano su „calchi” (totalmente astratti) della prassi

aziendale realmente vissuta, ovvero sulle cifre. Così facendo, tuttavia, chi vi

ricorre paga un prezzo in quanto non coglie più le singole circostanze concrete.

La prassi aziendale quotidiana viene trasformata in una sorta di astrazione

quantitativa, totalmente scollegato dalla condizione originale. Non ultimo, per

questa ragione, negli anni recenti sono spesso sorti dei dubbi rispetto alla que-

stione se il classico insieme di cifre contenuto nei bilanci potesse rispecchiare

adeguatamente, ossia in maniera corrispondente ai fatti, lo stato di

un’impresa.

Come abbiamo visto la costellazione sistemica si concentra sul piano struttura-

le ma senza tralasciare i fatti concreti, creando sempre un rapporto diretto con

la situazione rappresentata. Un ulteriore vantaggio che offre il metodo è il fatto

di generare, contrariamente ai sistemi di management convenzionali, impulsi

all’azione nell’immediato.

Grazie all’espressione essenziale e condensata degli aspetti di fondo di una

determinata situazione, le informazioni ottenute restano sempre disponibili;

infatti i partecipanti si ricordano a lungo delle sensazioni fisiche che hanno

provato interpretando i vari ruoli. Anche le sequenze dei movimenti più signifi-

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cativi restano impresse. Tutto ciò conferisce alla costellazione sistemica la forza

di una visione che induce immediatamente all’azione.

Naturalmente non sostituisce i processi decisionali, né i colloqui con i collabo-

ratori, compresi quelli difficili (!). Le decisioni relative alla gestione del persona-

le, per esempio, andrebbero prese utilizzando gli strumenti e le procedure

tradizionali. Ci teniamo a ribadire che la costellazione sistemica non è un oraco-

lo moderno.

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2. La costellazione come modalità espressiva del pensiero sistemico

Peter Senge fece notare nel suo scritto “La quinta disciplina” come la logica causa-effetto permei la percezione dei problemi, riportando ogni considerazione in uno schema lineare.

Ne consegue una prevalenza di soluzioni, pertinenti rispetto al problema specifico, ma in una visione a breve termine. Per esempio, in una situazione di crisi, mirare al puro contenimento dei costi riducendo in vario modo anche il costo del personale può favorire nel breve la salvaguardia del margine ma, nel medio termine, rischia sia di compromettere la qualità (anche di quella percepita) sia di ridurre la capacità di acquisto, quindi della domanda, aggravando di fatto il problema che si voleva risolvere.

Sinteticamente si può dire che spesso: “i problemi di oggi sono figli delle decisioni di ieri”.

Come si sa il linguaggio è isomorfo al pensiero in quanto rappresenta una diversa forma espressiva di una stessa struttura cognitiva; visto nella nostra ottica, risulta evidente la carenza di un modo diffuso di agire e di pensare sistemicamente.

2.1 Il pensiero sistemico come fondamento a un reale approccio sistemico

Per chiarire l’importanza di un approccio sistemico si ripropongono i concetti chiave della teoria sistemica per calarci poi nelle sue implicazioni rispetto alla lettura e all’intervento in contesti organizzativi.

Un sistema, come si sa, è un qualsiasi insieme di elementi (variabili e/o perso-

ne) che interagiscono in modo interdipendente tendendo a uno stato di equili-

brio; gli elementi che compongono un sistema sono essi stessi sistemi sia com-

posti da altri elementi che componenti di altri sistemi, come ad esempio una

famiglia o un’azienda.

Il pensiero sistemico si focalizza pertanto non sui singoli elementi ma sulle

relazioni tra di essi, da ciò scaturisce il concetto di interdipendenza secondo cui

qualsiasi variazione di un elemento innesca variazioni negli altri a lui connessi.

Ne consegue che i comportamenti di un sistema non sono effetto della somma-

toria delle sue parti, ma la risultante delle interazioni tra di esse: un sistema

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dunque non è un agglomerato ma una rete comunicativa che opera simulta-

neamente a più livelli, quindi si comporta come un qualcosa di unitario, una

totalità che genera e si muove, secondo Lewin, all’interno di un “campo”.

Il pensiero sistemico sviluppa così una visione reticolare e circolare degli scam-

bi, governati dalla capacità di autoregolazione del sistema tramite i processi di

feedback, ovvero i reciproci impatti delle interazioni che si attivano tra gli ele-

menti presenti al suo interno.

In questo modo il sistema genera dei principi organizzatori, ovvero delle linee

guida implicite e spesso inconsapevoli che danno struttura, quindi organicità e

unitarietà ai fenomeni che in esso si producono: in altre parole la teoria dei

sistemi complessi afferma che, anche se i singoli eventi non possono essere

previsti con certezza, i sistemi stessi in linea di massima cercheranno di muo-

versi entro parametri tendenti alla stabilità; tenderanno cioè nel lungo periodo

a stabilizzarsi *autopoietismo+. La forza organizzatrice all’opera dietro questo

fenomeno, detta streng attractor (o principio organizzatore), catalizza il siste-

ma e lo conduce verso una struttura durevole e regolare che si riproduce su

diversi livelli.

Al di là delle specificità del singolo sistema, in generale il suo equilibrio e il suo

benessere dipendono da un lato dalla capacità di ottimizzare il proprio scambio

con l’esterno e dall’altro dal grado di flessibilità nella gestione della dinamica

interna tra due spinte complementari: omeostasi, che tende a mantenere lo

“status quo” ed evoluzione, che persegue l’espansione, aumentando la com-

plessità.

I processi di cambiamento possono quindi essere attivati talora da eventi

esterni talaltra da spinte interne alla crescita.

Le modalità di gestione di questa dinamica possono indurre, rispetto agli even-

ti, una reazione difensiva oppure proattiva. Partendo dall’assunto che non

esistono problemi ma situazioni con cui il sistema si confronta, il problema è

semplicemente l’effetto dell’incapacità del sistema di trasformare

un’esperienza in occasione di crescita, a causa del suo persistere in schemi di

interazione inadeguati anziché avviare un processo di auto-riorganizzazione.

Page 52: Strut Ture

51

Per questo una situazione di crisi è persino necessaria quando si tratta di

“schiodare” un equilibrio inadeguato, e talora è da parte di un agente esterno

(ad esempio un consulente) che serve introdurre qualche perturbazione di una

certa entità per stimolare, in un’azienda o una famiglia, quel cambiamento che

non riescono a operare da sé per uscire dalla crisi. In questo caso è determi-

nante individuare come e dove agire per produrre un effetto leva, ossia quella

variazione che produce una sorta di “effetto domino” sugli elementi significati-

vi del sistema, tendendo a indurre il massimo di cambiamento con il minimo

intervento.

Peraltro, pur tendendo all'equilibrio, nei processi di cambiamento i sistemi

possono presentare un comportamento oscillatorio, caotico, con conseguente

crescita o decadimento esponenziale: va infatti integrata la visione circolare

con la dimensione tempo perché, ad esempio, una linea di sviluppo che favori-

sce il benessere in una certa fase, se protratta, può portare al suo rovesciamen-

to, come sta mostrando attualmente l’esasperata tendenza al consumismo che,

se per un certo periodo ha prodotto sviluppo, oggi mette a rischio il pianeta.

Riassumendo un sistema è un insieme integrato, complesso e dinamico, che

interagisce come un'unità strutturata, che evolve nel tempo tramite un proces-

so continuo di autoregolazione.

Il pensiero sistemico, se applicato alla lettura di un’organizzazione, coglie velo-

cemente come un cambiamento in un'area possa influenzarne altre nel presen-

te e/o nel futuro, così come, nell’analizzare un problema guarda all'intero si-

stema e quindi, oltre ai dati in entrata, anche a processi, risultati, retroazione e

controlli.

Inoltre, incorporando la dimensione temporale di qualsiasi decisione, anziché

vedere i problemi come "istantanee" separate e conchiuse in certi istanti di

tempo, una metodologia sistemica ci consentirà di cogliere la dinamica del

cambiamento nel tempo, vedendo (e prevedendo) i problemi come elementi di

un processo organico in continua riorganizzazione, come attesta la vita azien-

dale rispetto all’attuale contesto economico.

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2.2 Le persone nel cambiamento continuo e dinamico

La globalizzazione ha aperto nuove frontiere di mercato, la competitività ha

ridotto drasticamente i tempi e accelerato l’evoluzione della domanda, la tec-

nologia favorisce i processi di comprensione, adattamento e quindi di evoluzio-

ne organizzativa e culturale. Ciò significa che per restare competitivi sul merca-

to, è fondamentale capire che l'evoluzione deve essere costante nel tempo.

Nel mondo del lavoro è ormai chiaro che per sopravvivere è importante moni-torare il contesto e comprendere come interagirvi: per riuscirci è utile dare peso al feedback che viene dal mercato, imparando continuamente ad aggiu-stare il tiro, nell'instancabile ricerca di uno scambio soddisfacente tra dentro e fuori, ovvero di un equilibrio dinamico.

È pertanto importante adeguare gli aspetti hard dell’organizzazione (processi, procedure, sistemi ecc), ma lo è ancora di più far crescere la professionalità del personale, sviluppando competenze ed orientamenti adatti a gestire la crescen-te complessità.

Uno degli orientamenti più significativi è l’attitudine a pensare in modo circolare, ovvero a decidere dopo aver valutato tutti gli impatti indotti da una scelta anche nel medio termine: in effetti è solo così che ci si può rendere conto sia di come qualunque scelta produce effetti che prima o poi ricadono anche sul decisore, sia del suo reale impatto (risolutivo o peggiorativo) sulle molteplici variabili in gioco.

Semprè più diventa evidente che la logica lineare ci sta stringendo in angolo di fronte a problemi complessi come quelli presenti nell’attuale quadro economico, sociale, ecologico e che le soluzioni adottate sia a livello aziendale che sociale, appaiono frequentemente come soluzioni tampone .

Si parla spesso di un cambio di paradigmi epocale, talora con smarrimento

talaltra con lo slancio di chi spera in una spinta innovativa: certo, questa è una

condizione problematica “multifattoriale”, ma se pure può suonare scontato, in

quest’ambito è necessario sottolineare una difficoltà di concettualizzazione che

porta a valutare le situazioni in modo riduttivo, come testimonia l’attuale crisi

economica prodotta da una gestione di prodotti finanziari di elevata redditività

nel breve, che ha poi generato un rovinoso rovesciamento delle cose. Serve per

questo una visione circolare quindi interattiva, in cui ogni attore di una

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situazione è consapevole che contribuisce in qualche modo a generare il flusso

degli eventi: da un lato questo ci dà una responsabilità (cui spesso ci illudiamo

di sfuggire rifugiandoci nel ruolo di vittime), dall’altra ci apre all’esplorazione

del nostro spazio di “potere reale”, cioè di quel grado di influenza che di fatto

esercitiamo, che lo sappiamo o no.

Si aggancia a questo una diversa visione del funzionamento delle relazioni. In

genere ci muoviamo in base al presupposto che ciascuno di noi è un individuo

separato e indipendente. Ciò rende facile immaginare che, se qualcosa accade

lontano nel tempo o nello spazio, può non toccarci quindi … possiamo

serenamente disinteressarcene. Ma quando, ad esempio, arriviamo a renderci

conto che l’aver liquidato in malo modo il fondatore di un‘azienda è in

correlazione con il clima collettivo che gradualmente era sfociato nella sfiducia,

il reticolo di interdipendenze comincia a rivelarsi, anche in generale rispetto a

ogni situazione problematica. .In questo modo di vedere le cose risulta molto

pertinente l’utilizzo dello strumento delle costellazioni sistemiche, esse

sembrano in effetti darci una possibilità di esplorazione dei problemi mediante

le specificità del pensiero sistemico. Le costellazioni sistemiche rendono infatti

evidente come il cambiare di un elemento influisca sugli altri e quindi rendono

visibile il reticolo delle interazioni tra gli elementi di una situazione complessa,

sia nello spazio sia nel tempo.

Si tratta di uno strumento che, nel far affiorare con immediatezza l’intreccio

delle variabili che sottende il problema, spesso conferma qualcosa che aveva-

mo intuito ma non riuscivamo a verbalizzare.

Questo modo di rappresentare una situazione problematica, infatti, sembra far

emergere quel che si sa – ma non si sa – di sapere: in breve fa accedere a un

sapere “sommerso”, spesso percepito come inatteso perché, essendo intuitivo,

viene mantenuto “sotto soglia”. Nel contempo, sembra avere un interessante

impatto sulle strutture cognitive, proprio perché stimola letture nuove di una

situazione allena la flessibilità percettiva, aiutando a guardare “oltre”, ovvero

da angolazioni normalmente trascurate.

Lo strumento è quindi particolarmente adatto a rendere efficace il processo decisionale laddove serve ampliare la visione delle variabili chiave e nel contempo selezionare in modo puntuale le informazioni utili rispetto al

Page 55: Strut Ture

54

“rumore di fondo” dei molti stimoli che spesso ci disorientano.

2.3 Decidere nell’incertezza

In un mercato turbolento e sempre meno prevedibile, il ruolo principale del

manager aziendale è quello di leggere ed utilizzare i “segnali deboli” per aiuta-

re la struttura ad anticipare i problemi e cogliere prontamente nuove opportu-

nità. In questo processo gioca un ruolo cruciale l’intuito, quale talento che

permette alla persona di comprendere ed interagire con il contesto in modo

tempestivo, influenzando la direzione del cambiamento organizzativo. Sembra

quindi urgente stimolare un habitus mentale che sviluppi la comprensione e

fusione dei due elementi “intuito” e “ragione”, utile sia a un’evoluzione costan-

te della persona, che a un’interazione “intelligente” con l’ambiente. Caratteri-

stica dell'intuito è infatti la capacità di agire fluidamente in condizioni

d’incertezza.

Integrare metodo e intuizione nella gestione della complessità sembra infatti

consentire una visione globale del reticolo che muove le variabili in gioco e

delle loro dinamiche nel tempo, individuando come influenzarle anche in modi

non prevedibili .

Spesso però l’intuizione non viene apprezzata perché poco condivisibile, poco

dimostrabile. In tal senso tornano particolarmente utili le costellazioni

sistemiche perché, per come funzionano, ridonano dignità a fonti informative

sottovalutate da una cultura che riconosce come unico riferimento attendibile

la mente razionale, rendono possibile una “diversa visione” più articolata e

quindi una modalità di esplorazione più pertinente alla complessità dei

problemi.

Questo approccio dà infatti rilievo anche alle sensazioni corporee dalle quali

consente di estrarre un apporto informativo che si rivela decisivo per arrivare ai

nodi problematici della situazione in esame.

Si introduce così, come variabile determinante nel processo decisionale, la

“dimensione emozionale”: dimensione a lungo “epurata” nei contesti

organizzativi ma attualmente rivalutata anche come una potente risorsa

mobilitante e motivante.

Page 56: Strut Ture

55

Su questo piano in particolare, le costellazioni riescono a evidenziare con

grande chiarezza come, per fare scelte consistenti, sia determinante cogliere

quanto e in quali modi il reticolo emozionale sottostante incide nel generare e

mantenere la situazione che si vuol cambiare. Per questo, alla fine della

costellazione, proprio le emozioni che circolano rappresentano il più affidabile

test di efficacia della soluzione indicata dal processo di lavoro svolto.

Per tali diverse ragioni, questa tecnica d’intervento e soluzione di problemi

risulta essere un’innovativa modalità di significativa efficacia, oggi, senza nulla

togliere all’utilità dell’approccio prettamente razionale di tipo “causa-effetto”,

che resta ottimale per certe tipologie di problemi, tuttavia … ”se hai solo il

martello nella tua cassetta degli attrezzi, rischi di trattare tutti i problemi come

se ci volessero dei chiodi”.

2.4 Arte del cambiamento

Prima di passare a presentare l’applicazione di quanto detto a un caso azienda-

le che si basa sul concetto di sistema autopoietico, riteniamo necessario fare

una breve premessa.

I facilitatori del cambiamento possono svolgere un ruolo significativo nel soste-

nere l’azienda a determinare la direzione che un’organizzazione, un’impresa o

una famiglia potrebbero prendere nel futuro. Oggi è importante aiutare i ma-

nager a vivere anche in assenza di vincoli preordinati, a fare ordine nel caos e

persino a utilizzare il caos per produrre cambiamenti sani e durevoli.

E’ però necessario individuare le forze che tendono a favorire l’omeostasi

dell’azienda, riflettere su cosa la sta trattenendo dal cercare un nuovo equili-

brio e come stimolarla a liberarsi dai vincoli per metterla in condizione di atti-

vare potenzialità creative che inneschino un’auto-riorganizzazione soddisfacen-

te.

Per l’attivatore del cambiamento, il primo passo consiste nell’indagare / stimo-

lare l’area dell’ “aspettativa”, in modo da mobilitare il desiderio di evoluzione.

Significa iniziare a chiedere e a chiedersi:

Page 57: Strut Ture

56

Quali sono gli elementi principali

che definiscono il sistema?

Identità, vision, modello di gover-

nance, immagine, ecc.

Ci sono fattori che ostacolano il

cambiamento?

Tecnico-tecnologici, culturali, ecc.

Quali forze stanno dietro ai fattori

che ostacolano il cambiamento?

Abitudini o incapacità?

Da dove si può iniziare a interveni-

re?

Dove e come posso trovare le “risor-

se strategiche” in azienda, che per-

mettono il cambiamento?

Quali sono le iniziative che possia-

mo prendere allo stato attuale?

L’importante è trovare il punto giu-

sto su cui fare leva e riconoscere

quali sono le dinamiche più ricorren-

ti. Come possiamo fare per indirizzare

il sistema verso il cambiamento

voluto?

Dopo questa fase di diagnosi il processo di cambiamento va avviato il prima

possibile e con passi sicuri, iniziando a sperimentare su piccola scala per testare

la validità di un diverso assetto e, soprattutto, notandone i successi.

Spesso il cambiamento è attivato da una situazione di crisi: come detto, dal

momento che i sistemi complessi oscillano tra lo stato di quiete e quello di

disordine, è proprio la situazione di disorganizzazione, quindi di caos, che forni-

sce terreno fertile per le iniziative e le scoperte che generano evoluzione.

Quando è gestita con la dovuta attenzione, l’esperienza di non poter fare affi-

damento sulle routine consolidate può essere generativa: nuove idee, nuovi

comportamenti e prassi innovative rivitalizzano le relazioni e definiscono una

nuova normativa comportamentale. Per questo alcuni studiosi sostengono che

per stimolare le persone ad accettare il cambiamento può essere d’aiuto creare

una situazione di tensione, per esempio cambiando le regole del gioco.

Page 58: Strut Ture

57

2.5 Un intervento per accrescere le capacità di autoregolazione dell’azienda

L’ azienda di cui presentiamo l’intervento, per competere nell’attuale scenario

socio-economico necessitava di apprendere velocemente le dinamiche evoluti-

ve del suo business; i cambiamenti delle esigenze dei clienti stavano diventan-

do così veloci che i tradizionali approcci alla riorganizzazione non erano più

adeguati. Era doveroso trovare una nuova modalità di risposta all'evoluzione

del mercato. Tra le diverse ipotesi studiate, l'azienda ha deciso di investire sulle

persone.

A tal proposito sono state avviate queste iniziative:

a) è stato impostato un piano di sviluppo e valorizzazione di quello che è il

fondamentale fattore produttivo e competitivo aziendale: le “persone strategi-

che”, cioè quelle che l'azienda riteneva potessero crescere managerialmente

(velocemente e semi-velocemente).

b) sono stati disegnati diversi percorsi di crescita sia individuali sia di squadra,

focalizzati alla loro distintività.

c) è stato impostato un progetto di apprendimento organizzativo che ha coin-

volto persone a tutti i livelli gerarchici, con momenti d'aula, lavoro di squadra,

coaching , executive coaching e counselling (l'inserimento di una counsellor si è

dimostrato tanto efficace che, da allora, tutte le persone attivate in piani di

carriera, sono supportate psicologicamente).

d) è stato progettato un development center interno, in fase di realizzazione e

di cui oggi funziona in modo incisivo il laboratorio manageriale.

Questo tipo di politica aziendale, che è stata definita “Oltre la centralità delle

persone”, ha richiesto l’utilizzo congiunto di:

• gestione delle conoscenze, delle competenze, delle capacità, dei talenti e

della formazione

• controllo e monitoraggio dei processi e dell’organizzazione

• tecnologie di monitoraggio delle risorse umane, dei processi e

dell’organizzazione

Page 59: Strut Ture

58

• tecnologie per la capitalizzazione e condivisione delle conoscenze e per la

gestione dei processi formativi.

Grafica 2: il processo di cambiamento organizzativo

Ciò non significa che l'impresa non ha più bisogno di accedere a competenze

specifiche esterne per il modellamento stesso, ma che i manager responsabili

dell'organizzazione sono molto più presenti nelle decisioni organizzative: come

ha sottolineato il Presidente dell'azienda, è stato insegnato a “essere manager”

prima che a farlo.

Riteniamo necessario chiarire che si tratta di un’azienda che opera in un setto-

re particolarmente dinamico e che subisce continui impatti dovuti sia

all’aggressività della concorrenza sia all’incapacità di spesa, ricorrente, dei suoi

clienti.

Page 60: Strut Ture

59

Sistemicamente parlando si può presumere che il processo descritto dia origi-

ne, nel medio termine, a una costante crescita auto-alimentante.

Pertanto, così come per il modello consumistico si stanno cogliendo solo ora i

risvolti che rischiano di capovolgere il gioco in negativo e che ci portano a riflet-

tere sullo sviluppo sostenibile, allo stesso modo quest‘azienda avrebbe rischia-

to di entrare in un loop positivo, ovvero ingovernabile, schematizzabile in que-

sto modo:

Grafica 3: Il loop adeguamento professionale – implementazione organizzativa

Nella fattispecie, un incremento costante di professionalità , induce, nel medio

termine, un aumento delle attese di crescita che a loro volta impattano

sull’adeguamento professionale creando in prospettiva un eccesso sia quanti-

tativo che qualitativo di competenze, rispetto alle esigenze del mercato.

Per prevenire ciò il sistema in questione è stato dotato di strumenti di autore-

golazione, che tengono sotto controllo gli automatismi di cambiamento.

Lo sviluppo di questo modello di evoluzione, oltre alle capacità e competenze

delle persone, necessita dunque di un’infrastruttura *anche culturale], in grado

di supportarne non solo l’operatività ma anche la costante informazione, ade-

guamento, formazione e verifica delle performance (individuali, di squadra e

dell’azienda nel suo complesso); essa consente effettivamente di creare un

ambiente lavorativo che si adegua automaticamente alle necessità di cambia-

mento che l’impresa deve affrontare sui mercati.

Page 61: Strut Ture

60

Grafica 4: Elemento regolatore

Questo elemento regolatore è tuttora costituito da un team, composto da tutti

i top-manager, con il compito di tenere sotto controllo l’evoluzione complessi-

va, allinearla da una parte con le esigenze del mercato, dall’altra con le strate-

gie aziendali, decidendo di limitarne l’espansione all’occorrenza.

L’esistenza di un dispositivo di regolazione introduce limiti tramite decisioni

contenitive che rendono possibile una dinamica tendente alla stabilizzazione.

Quando parliamo di “Oltre la centralità delle persone”, intendiamo due cose

fondamentali e integrate:

- creare un modello flessibile e dinamico delle singole aree in funzione delle

“distintività” di chi ne sarà responsabile;

- stimolare la sensibilità di tutti i manager (individualmente) a operare in ottica

di sistema, a vedere cioè gli impatti di tutte le loro decisioni, sia spazialmente

(sulle altre funzioni) sia temporalmente (nel futuro).

Il fattore chiave del successo di questo progetto è stato nell’impegno di tutti a

mettersi in discussione al fine di far scaturire le reali distintività individuali, di

squadra e aziendali: ciò ha consentito di sviluppare attenzione al saper “esse-

re” oltre che al saper fare, aiutando tutti i manager a capire meglio se stessi e

l’azienda a cogliere l’importanza della motivazione, grazie a tangibili impatti

sulle prestazioni.

Page 62: Strut Ture

61

3. Il mormorio del sapere implicito

Il concetto di „sapere” è uno di quei termini oggi giorno inflazionati. Del resto,

in quanto membri della „società della conoscenza”, è praticamente d’obbligo

tirare in causa il „sapere” nelle occasioni più svariate. Tuttavia, l’ascoltatore

attento noterà ben presto che il termine circola con molti significati diversi e,

se andrà a chiedere cosa si intenda per „sapere”, quasi certamente scatenerà

un certo imbarazzo. La cosa è quantomeno curiosa: sebbene tutti noi dispo-

niamo di sapere, che in alcuni ambiti può essere anche molto vasto, non siamo

in grado di spiegare spontaneamente cosa sia!

In seguito ci occuperemo più approfonditamente della parte dinamica del sa-

pere, vale a dire del sapere esperienziale. Ne risulterà che l’esperienza segue

determinati schemi. Mostreremo poi che ogni sapere possiede una sorta di

rovescio della medaglia che non può essere né detto né documentato e pertan-

to divenire esplicito. Questo però non vuol dire che questo sapere „tacito” non

sia rilevante nella pratica, al contrario, ogni genere di maestria consiste in gran

parte proprio di questo aspetto del sapere. Con gli strumenti di diagnosi tradi-

zionali si riesce difficilmente a coglierlo proprio perché sfugge alle codificazioni

classiche basate sul linguaggio, su numeri e immagini.

Se partiamo da un concetto di sapere dinamico entrano in gioco molti fattori

che andremo ad analizzare nei prossimi capitoli: ad esempio il sapere come

potente forza produttiva, come risorsa per affrontare con successo la nostra

prassi quotidiana, oppure il collegamento diretto tra il sapere e „l’ordine delle

cose” (Foucault, 1966).

Torneremo quindi sull’affermazione, fatta nel 1. capitolo, che questo sapere

difficilmente esplicitabile può essere colto proprio per mezzo della costellazio-

ne sistemica e la approfondiremo per rendere ancora più chiara la sua utilità

per il management.

3.1 Sapere implicito ed esplicito

La information tecnology ci ha fornito un’enorme quantità di dati. Infatti, con i

potenti mezzi informatici di cui oggi disponiamo, diventa un gioco da ragazzi

Page 63: Strut Ture

62

raccogliere, elaborare e gestire dati. Nel frattempo però si è riconosciuto che i

dati hanno senso, o in atre parole diventano effettivamente conoscenza, solo

laddove possono essere iscritti in contesti conoscitivi ed esperienziali concreti.

Se invece il knowledge management pone il suo accento in maniera unilaterale

sulla gestione di dati, l’orizzonte conoscitivo ed esperienziale delle persone che

devono usarli si rivelerà come fattore limitante; in sostanza ci saranno troppi

dati e troppo poco sapere. Un manager ha così descritto questa discrepanza:

„Allo stato attuale i sistemi di management sono configurati in maniera tale da

fornire generalmente troppi dati e per giunta il più delle volte troppo tardi”. Un

knowledge management efficace sarebbe pertanto quello che attiva per ogni

situazione lo spettro di sapere essenziale per decidere e agire in modo coeren-

te.

Ma torniamo al sapere esperienziale. La difficoltà che si presenta nel cogliere il

fenomeno dell’„esperienza” è dovuta al fatto che una parte rilevante della

stessa avviene a livello inconscio. Specializzazione, eccellenza o maestria vera e

propria, che si tratti di individui, team o intere organizzazioni, sono difficilmen-

te definibili con parole, cifre o immagini. In realtà, questo significa che i nostri

strumenti di codificazione consueti non sono sufficienti per cogliere ed espri-

mere in modo appropriato ciò che veramente conta in un’attività professiona-

le. A quanto pare il vero talento si sottrae a ogni tentativo di rivendicazione da

parte di qualunque forma „classica” di knowledge management.

L’espressione „sapere implicito” è stata usata per la prima volta da Michael

Polanyi nella sua teoria della conoscenza e percezione. In questa, Polany parte

dall’assunto che l’intelligenza è già presente nell’agire stesso e non è invece

pilotata da un’istanza a parte che ne rappresenterebbe l'unica sede. Dunque

non sarebbe, per esempio, la testa a guidare consapevolmente la mano che

afferra la forchetta, sarebbe bensì la mano ad impugnare autonomamente la

posata. Tutti i processi di coordinamento complessi, volti a realizzare un de-

terminato intento, si svolgerebbero senza scomodare l’intelletto. Tali sequenze

complesse, insite nell’organismo, Michael Polanyi le descrive come „sapere

implicito”, di cui disponiamo naturalmente ma per il quale in genere non svi-

luppiamo una comprensione in termini concettuali. Questo si dimostra tutte le

volte in cui non sappiamo rispondere alla domanda su cosa sia e come si de-

Page 64: Strut Ture

63

termini esattamente la maestria o l’eccellenza: è come se sapessimo molto più

di quanto non siamo in grado di dire (Polanyi, 1985, p. 12).

Sebbene la sua opera graviti intorno al fenomeno del sapere implicito, il con-

cetto stesso non è al centro della teoria di Michael Polanyi. Ikuijro Nonaka e

Hirotaka Takeuchi invece, nel loro fondamentale contributo al knowledge ma-

nagement „L’organizzazione del sapere”, pongono il concetto del sapere impli-

cito al centro del processo di creazione di conoscenza all’interno di

un’organizzazione: „Indubbiamente è importante capire come le imprese svi-

luppino nuovi prodotti, nuove metodologie e nuove forme organizzative. Ma è

ancora più importante capire in che modo le imprese creino la nuova cono-

scenza che rende possibile tali sviluppi” (Nonaka e Takeuchi, 1997, p. 64).

In pratica i due autori equiparano il sapere implicito al sapere esperienziale

soggettivo, separandolo dal sapere intellettuale oggettivo o sapere esplicito,

intendendo per „sapere esplicito” tutto ciò che possiamo richiamare in qualun-

que momento da un qualsivoglia „serbatoio”, che si tratti della nostra memoria

o di qualche archivio.

Il loro concetto vuole spiegare in che modo l’eccellenza individuale, il „knowing

how” dei singoli individui possa essere reso fruibile per l’azienda nel suo insie-

me. L’idea si fonda sul presupposto che il sapere si crea e si amplia attraverso

l’interazione dei due ambiti del sapere implicito e del sapere esplicito (p. 73).

Su questa base i due autori costruiscono un modello dinamico di trasformazio-

ne del sapere come risposta a un quesito essenziale del knowledge manage-

ment, ovvero quello della creazione - e non solo della gestione - del sapere

nelle organizzazioni.

3.2 La rinuncia all’illusione del sapere nozionistico

Accanto alla somma di conoscenze teoriche il sapere include anche regole di

prassi quotidiana e istruzioni operative (Probst et al., 1997, p. 22), affermano

Gilbert Probst ed altri nella loro opera fondamentale per il knowledge mana-

gement. In un primo momento può apparire curioso che il sapere possa avere a

che fare con delle regole; quando pensiamo al „sapere” infatti lo paragoniamo

Page 65: Strut Ture

64

spontaneamente a tutto quanto è „salvato” nei libri, nelle biblioteche o nelle

banche dati elettroniche.

Quindi pensiamo che mandare avanti una determinata faccenda in maniera

„giusta” significhi semplicemente attingere da tali scorte di puro sapere nozio-

nistico, o knowing that.

Riflettendo bene dobbiamo tuttavia constatare che anche tutto quello che

sentiamo e vediamo quotidianamente possiede una qualità simile a quella dei

suddetti elementi „stoccati” nelle banche dati, una grande quantità ma pochis-

sima rilevanza, come se fossimo circondati sempre e ovunque da milioni di

„dati” che registriamo a nostra insaputa, tutti insieme. Il mondo intero sembra

essere nient’altro che una marea di stimoli che aspettano solo di essere deco-

dificati.

Non tutto di ciò che registriamo è però rilevante per noi: dalla moltitudine di

particolari che ci si presentano in una situazione concreta selezioniamo quelli

che ci appaiono importanti. E partendo da questa materia prima produciamo

„informazione” attribuendo significato e valore ai singoli dati. In questo modo

facciamo innanzitutto ordine. Il caos intorno a noi diventa „afferrabile”. Ma in

che relazione sta tutto ciò con il sapere? Riteniamo che stia in una relazione

molto diretta poiché non attribuiamo significato alle nostre percezioni senso-

riali a caso bensì in maniera sistematica.

Questo procedere ha effettivamente attinenza con il concetto di sapere dal

quale siamo partiti e che rispetto al lavoro di costellazione è rilevante. In que-

sto senso il sapere non è nulla di statico, non è un mucchio di dati, bensì è il

frutto di un processo dinamico.

„Sapere” è la maniera di attribuire senso ai fatti, basandosi su un preciso si-

stema di regole, al fine di poter fare un passo successivo verso un obiettivo,

uno scopo o un’intenzione prefissati.

3.3 Dai dati al sapere – dal sapere ai dati

I dati dunque non valgono ancora come sapere, prima devono essere „vivifica-

ti”. Ciò avviene mettendoli in una relazione significativa. Tali relazioni non sono

Page 66: Strut Ture

65

semplicemente presenti „di per sé” ma sono sempre collegate a un concreto

osservatore. Solo se visti dalla sua prospettiva i dati acquistano significato.

Dunque attraverso un osservatore i dati diventano informazioni, o come osser-

vò Gregory Bateson, diventano „differenze che fanno la differenza” (Bateson,

1985, p. 452). Nella sua introduzione al knowledge management sistemico,

Helmut Willke fa notare inoltre che possiamo parlare di informazioni solo

„quando un sistema osservatore dispone di criteri di rilevanza e attribuisce una

determinata rilevanza a un dato” (Willke, 2004, p. 31).

Nel modo in cui attribuiamo importanza ai dati si riflette anche il nostro sapere.

Continua Helmut Willke: „Il sapere nasce dall’inserimento di informazioni in

contesti esperienziali” (p. 34). Ogni individuo, team o impresa intende le cose

secondo la sua propria „visione del mondo”: essa viene dapprima forgiata,

quindi temprata dalle varie esperienze effettuate nel corso dell‘esistenza. La

tempra può avvenire nei modi più disparati: attraverso la ripetizione dello

stesso vissuto o anche mediante modelli teorici. Pertanto il sapere è essenzial-

mente collegato con la nascita, la riproduzione e la modificazione di un deter-

minato sistema.

Con ciò il sapere non è più equivalente alla teoria bensì diventa una prassi,

giustificata e confermata mediante la comunicazione (s.o., p. 33). Riportiamo

un breve esempio che raffigura questo „movimento” tra dati, informazione e

sapere: una lista che riporta cifre e concetti, dunque dati, di per sé non vale la

carta su cui è stampata. Essa acquisisce il proprio valore solamente nelle mani

della persona che la esamina e che mette in relazione tra loro le varie sequenze

di numeri con parole come „fatturato”, „margine di contribuzione 1” e „margi-

ne di contribuzione 2” oppure „delta rispetto all’anno precedente”. Secondo la

propria funzione all’interno dell’impresa, e dunque secondo l’orizzonte cono-

scitivo ed esperienziale, le persone hanno tuttavia criteri di rilevanza diversi.

Così avviene che i medesimi dati producono nei vari „osservatori”

un’informazione diversa. Non solo: da quell’informazione gli osservatori trag-

gono conclusioni diverse cui fanno seguire differenti azioni, legittimate con il

proprio sapere specifico. Significa che dalla stessa lista un responsabile marke-

ting trae conclusioni e persegue intenti del tutto diversi, per esempio, da una

responsabile di produzione.

Page 67: Strut Ture

66

3.4 Il sapere come atto di valutazione complesso – i principi di ordinamento

nelle organizzazioni

Una definizione del concetto di sapere che lo colleghi all’esperienza, al knowing

how, è senz’altro in linea con i più recenti concetti di teoria della comunicazio-

ne. Questi intendono il sapere come un processo oppure, per usare le parole di

Niklas Luhmann, come un „atto di valutazione complesso”. Il sapere è ciò di cui

si dispone a livello strutturale nelle operazioni volte a „chiarire quale differenza

faccia la differenza” o, più semplicemente, il sapere è la modalità attraverso la

quale individui, team e organizzazioni, nella loro gestione del quotidiano, per-

cepiscono e valutano un fatto e in tal modo lo comprendono. Il sapere poi non

deve essere appositamente richiamato, il sapere è già presente

nell’elaborazione delle informazioni intese come dati significativi. Per cui il

sapere è un preciso tipo di prassi fondata sull’esperienza.

L’esperienza stessa è, come abbiamo già detto, strutturata, vale a dire che

tende a creare modelli. I modelli vengono creati, validati e trasformati in base a

determinate regole. Ma esperienza e modelli sono due aspetti dello stesso

fenomeno: i modelli conferiscono al comportamento quotidiano una forma

coerente indirizzandolo verso il raggiungimento di determinati effetti e risulta-

ti; l’esperienza che nasce dall’azione viene a sua volta integrata nei modelli che

la strutturano.

Da questo punto possiamo creare un collegamento con i „principi di ordina-

mento” dei sistemi sociali (espressione coniata da Rüegg-Stürm – Rüegg-Stürm,

2002). I principi di ordinamento cercano ininterrottamente di imporre al caos

strutture chiare e gestibili, ovvero un’organizzazione. In questo modo tengono

insieme il mondo dell’organizzazione. Senza principi di ordinamento

l’organizzazione non potrebbe consistere. Essi sono una sorta d’insieme di

regole che configurano un gioco. Nelle regole il sapere si concretizza come un

condensato dell’esperienza vissuta sotto forma di specializzazione o di eccel-

lenza; le regole danno orientamento, creano coesione e insieme identità.

Con il concetto „principi di ordinamento” indichiamo un certo tipo di sapere: il

sapere sociale o organizzazionale. Senza voler qui entrare in merito alla que-

stione, se esista o meno un sapere dell’organizzazione o se si possa attribuirlo

Page 68: Strut Ture

67

solo agli individui all’interno della stessa, vogliamo chiarire meglio i termini di

„sapere individuale” e „sapere sociale” e le loro modalità di interazione.

Il sapere, così come le capacità e le abilità individuali, sono costantemente

richiamati dalle aspettative che esistono all’interno di un contesto sociale. Fare

qualcosa di sensato insieme agli altri significa rispondere alle aspettative che, in

una determinata circostanza, esistono in maniera latente oppure si manifesta-

no espressamente. Secondo Dirk Baecker, il sapere sociale altro non è che la

somma delle aspettative manifestate nei confronti dei singoli individui e da

questi corrisposte in maniera continuativa.. Tali aspettative derivano da mosse

di gioco che, ripetute regolarmente, determinano nel loro insieme la prassi

quotidiana. La complessa interazione che esiste tra il sapere che „risiede nelle

menti” e il sapere che „risiede nelle circostanze”, si può intendere come ac-

coppiamento strutturale (Baecker, 1999, p. 65 ss.). Lo sviluppo delle due forme

di sapere, che in realtà è molto difficile distinguere, avviene all’interno di un

processo coevolutivo.

Riferito a un’impresa ciò significa che tutti i collaboratori mobilitano e svilup-

pano esattamente quelle competenze – abilità e capacità – di cui hanno biso-

gno per affrontare il quotidiano; quotidiano che si tara col tempo, secondo le

capacità e le abilità disponibili. Ed è questa circolarità ad allungare i tempi del

cambiamento culturale: se da un lato qualsiasi intervento sull’apparato delle

regole fondamentali viene in genere pesantemente sanzionato, dall’altro tutti

gli appelli fatti a fin di bene non vengono ascoltati.

3.4.1 Ciò che tiene insieme un’organizzazione

Cosa sono esattamente i principi di ordinamento e come funzionano? I principi

di ordinamento creano diversi „pattern” o trame (Rüegg-Stürm, 2002, p. 23, 37

ss). Questi pattern non sono affatto rigidi, si modificano anzi gradualmente e di

pari passo con i vari livelli di sviluppo di un’organizzazione; anche quando i

collaboratori rispettano le regole si verificano devianze minime o significative.

Quando tali devianze prevalgono, ad esempio perché producono i risultati

desiderati, danno gradualmente luogo a nuove regole avviando così un proces-

so evolutivo.

Page 69: Strut Ture

68

Nella sua concettualizzazione dei principi di ordinamento, Rüegg-Stürm segue il

pensiero di Anthony Giddens: „Secondo un concetto dualistico di struttura, i

principi strutturanti sono sia il risultato che il mezzo delle prassi con le quali i

sistemi sociali si organizzano in maniera ricorsiva” (Giddens, 1995, p. 77), così

scrive Giddens nella sua opera più significativa sull’alternarsi di regole e prassi.

I modelli e i sistemi di regole che configurano un’organizzazione o, secondo

Giddens, una „struttura”, si condizionano reciprocamente. In questa accezione

l’organizzazione non è più nulla di statico ma diventa il movimento che si crea

in seguito al condizionamento reciproco tra regole e attuazione concreta delle

stesse (Grafica 2).

Grafica 5: Struttura circolare - Principi di ordinamento / Azione regolamentata

Generalmente i principi d’ordinamento vengono classificati nelle tre dimensio-

ni sovra esposte: strategia – struttura – cultura. Varie teorie e modelli cercano

di coglierne le interrelazioni e i meccanismi che generano nel concreto i vari

tipi di cultura, strategia e struttura. La sintesi, elaborata da Rüegg-Stürm nel

modello di management di S. Gallo, ci pare particolarmente adatta come

„strumento di navigazione” per il consulente che voglia usare l’approccio delle

Page 70: Strut Ture

69

costellazioni. Pertanto la illustreremo più in dettaglio nella seconda parte del

libro.

L’orientamento strategico

Le strategie contengono un tipo di sapere che orienta le azioni focalizzandole

sugli aspetti decisivi per il successo. Inoltre le strategie contengono anche il

sapere riferito al potenziale interno ed esterno che può essere realizzato e che

deve essere quotidianamente riattivato.

L’agire quotidiano reclama una strategia che faccia da punto di riferimento cui

richiamarsi in ogni momento. Perciò in molte organizzazioni, specialmente in

tempi di cambiamenti, riecheggia la richiesta di una strategia esplicita e forma-

le. Grazie alla strategia ognuno sa di essere sulla strada „giusta” ossia quella del

successo. In questo senso la strategia assorbe l’insicurezza di tutte le parti

coinvolte. Si potrebbe perciò affermare che le strategie sono sistemi di regole

che determinano i campi d’azione e le risorse disponibili di un’organizzazione,

sempre con lo sguardo rivolto al conseguimento del successo.

Strutture coerenti

Le strutture fanno si che le reciproche aspettative di dirigenti e collaboratori,

che devono cooperare in un gioco comune, non vengano continuamente disat-

tese. Esse si manifestano nella „disposizione tattica della squadra in campo”

dalla quale tutti possono derivare il „sistema” di gioco con le sue mosse fon-

damentali per il successo e i rispettivi ambiti di competenza.

La struttura definisce altresì il comportamento (standard) più utile e sensato

per i singoli giocatori; allo stesso tempo la struttura viene consolidata dai com-

portamenti ricorrenti che le danno coerenza. Le strutture coerenti sono il risul-

tato di costanti processi di coordinamento e insieme determinano a loro volta

questi processi.

Da questa definizione si evince che, parlando di „struttura”, Rüegg-Stürm non

si riferisce solamente al risultato delle attività organizzative quali

l’organizzazione funzionale e gerarchica e alla sua espressione negli organi-

grammi e nelle procedure. A lui interessa anche il processo di strutturazione.

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70

„L’ordine e l’organizzazione risultano (…) da processi di strutturazione ai quali

una moltitudine di persone partecipa in vario modo e in varia misura” (ibidem,

p. 53). Gli stessi processi di strutturazione si svolgono a loro volta secondo un

sistema di regole. Sono proprio le strutture che si sono evolute nel tempo a

limitare il margine di sviluppo di un’impresa. Molti (change-)manager hanno

già dovuto fare i conti con la farraginosità di tali strutture, specialmente laddo-

ve una nuova forma organizzativa è stata percepita dalle parti come „imposta

dall’alto” e pertanto rifiutata.

Anche per quanto riguarda il principio di ordinamento chiamato „struttura” si

può fare un collegamento con la tesi secondo cui le organizzazioni sono sistemi

di „pattern” che si sviluppano secondo regole precise. Le strutture sono sistemi

di regole che, nell’ambito dei campi d’azione di un’organizzazione, stabiliscono

da un lato una divisione del lavoro adeguata – permettendo così di ottenere un

guadagno in termini di efficienza e produttività –, dall’altro fanno si che le pre-

stazioni parziali possano essere coordinate e integrate in un tutto (ibidem, p.

48 s).

Questa accezione di struttura amplia lo sguardo verso una dinamica che non è

possibile fissare in un organigramma o in un piano procedurale. Intesa in que-

sto senso una struttura diventa l’equilibrio dinamico tra le regole che configu-

rano le relazioni lavorative e l’effettivo svolgimento del lavoro.

Cultura: un orizzonte di senso condiviso

Nell’ambito del sistema di regole che costituiscono i principi di ordinamento. si

sviluppa gradualmente anche l’identità dell’impresa che non è altro che un

orizzonte di senso condiviso. In linea con altri noti autori, come per esempio Ed

Schein, Rüegg-Stürm parla in questo caso di „cultura”.

Solo un comportamento capace di creare senso può essere attivato in maniera

continuativa nelle organizzazioni. Se degli individui, dei team o intere organiz-

zazioni non si identificano in qualche modo in quello che stanno facendo, prima

o poi lasceranno cadere il loro impegno trasformandosi in meri „esecutori

meccanici”. Il senso è pertanto una risorsa potente per creare e mantenere

coerenza e continuità.

Page 72: Strut Ture

71

La cultura è anche la patria della Weltanschauung che vale all’interno di

un’organizzazione; in essa sono iscritte le risposte tipiche a domande fonda-

mentali quali: „Come vogliamo contribuire al mondo?”, „Cosa ci sentiamo di

fare?”, „In che modo intendiamo trattare i nostri clienti?” e „Cosa pensiamo

dei nostri collaboratori, colleghi e dirigenti?”

Le risposte a queste domande seguono a loro volta una logica ben determinata

– anche le logiche sono sistemi di regole – condensandosi fino a diventare vere

e proprie teorie alle quali viene fatto ricorso ogni qualvolta delle valutazioni o

delle attività devono essere legittimate nei confronti di sé stessi o di terzi.

Non solo le teorie fanno parte della cultura ma anche le più svariate forme di

materializzazione all’interno di un’organizzazione. Sedi aziendali tipo maniero

feudale o tipo capannone di produzione ridotto all’essenziale, scolpite nella

pietra o colate nell’acciaio e nel cemento, manifestano in egual misura una

determinata appartenenza culturale. La cultura assume la sua forma peculiare

anche nell’allestimento degli ambienti di lavoro, nella rappresentazione di sé

stessa di fronte ai clienti e, molto più in generale, in tutti quegli aspetti secon-

dari che „arricchiscono” la quotidianità lavorativa.

3.5 Regole e routine

In base a quanto finora esposto, risulta evidente che i principi di ordinamento

condizionano tutti i nessi comunicativi e operativi, e dunque l’intera vita inter-

personale o sociale, all’interno di un’organizzazione. Da essi nascono sia un

insieme di ricette valide per determinate situazioni sia una tradizione che go-

verna in generale comportamenti e procedure. Attraverso la comunicazione si

crea un orizzonte di aspettative capace di conferire senso alle azioni dei parte-

cipanti e di coinvolgerli nell’organizzazione. „Quando si affrontano compiti e

sfide simili e ricorrenti facendo riferimento *…+ ai principi di ordinamento, con il

tempo si determinano modelli comunicativi e comportamentali tipici per ogni

impresa. Si parla di routinizzazione del flusso operativo *…+. Lo sviluppo dei

principi di ordinamento „strategia”, „strutture” e „cultura” e la routinizzazione

del flusso operativo formano in un certo qual senso le due facce della stessa

medaglia.” (ibidem, p. 61) Mentre una faccia della medaglia mostra il regola-

mento dell’organizzazione nel suo insieme, l’altra rappresenta il quotidiano

Page 73: Strut Ture

72

osservabile ed esperibile e le routine dell’organizzazione. Entrambe le facce si

condizionano a vicenda e stanno in un rapporto di ricorrenza. Gettando uno

sguardo frettoloso sull’organizzazione si coglie tuttavia solo il singolo evento

concreto e non le dinamiche che lo determinano.

Questo apparato di regole non sempre è chiaramente riconoscibile e in genere

viene formulato per iscritto solo parzialmente per poi essere inserito nelle linee

guida, nei manuali, nelle istruzioni ecc. Ma la parte di regole di gran lunga mag-

giore resta nell’ombra: esse attengono al sapere implicito e producono i loro

effetti senza che le parti ne siano consapevoli. È come se pilotassero le parti a

loro insaputa. „Perché si fa così e basta…” é la risposta alla domanda sul perché

qualcosa venga fatto in un certo modo anziché in un altro. Insistere ulterior-

mente sul „perché” e sull’„esattamente come” in genere provoca imbarazzo.

Il fatto che vi sia consapevolezza solo parziale dei principi di ordinamento non

ha conseguenze particolarmente drammatiche, dal momento che tutti reggono

il gioco. Le regole semplicemente „si eseguono”, anche perché l’esperienza ha

dimostrato che il rispetto „automatico” delle regole offre un certo sollievo

accrescendo la reciproca certezza che le aspettative saranno corrisposte.

Le difficoltà nascono solo quando cambia il gioco e ciò solitamente avviene

nell’ambito di un cambiamento della strategia e/o del assetto organizzativo. In

quel caso regole vecchie e nuove si scontrano e, poiché una parte delle vecchie

regole viene eseguita in maniera inconsapevole, l’„ordine precedente” presen-

ta una sua solidità. A ciò si aggiunge che le nuove regole, poichè non ancora

negoziate, risultano poco chiare oppure, quand’anche vengono messe in di-

scussione da una parte degli attori coinvolti, questi adottano un atteggiamento

paradossale che si potrebbe così riassumere: „Sì ai cambiamenti, ma a condi-

zione che il gioco consueto continui!”

3.6 Le regole nei sistemi sociali

Anche in un’azienda strettamente orientata ai risultati, il management avrà

piuttosto un vago sentore che una chiara consapevolezza dei complessi mecca-

nismi che attengono al conseguimento del successo. Nel quotidiano si presta

poca attenzione all’armonizzazione delle regole di base, ovvero alla „cultura”,

Page 74: Strut Ture

73

su di essa non si riflette in modo critico e pertanto il contributo delle regole per

la sopravvivenza dell’impresa resta in ombra. Di tanto in tanto singole persone

sfruttano abilmente tali regole per perseguire i propri interessi agendo, ovvia-

mente, in maniera non troppo palese.

Vale la pena di approfondire ulteriormente ciò che chiamiamo le regole, dato

che non tutte le regole producono gli stessi effetti. La loro efficacia si distingue

significativamente in base alla forma, alla portata e al contesto di applicazione.

Pertanto meritano l’attenzione di chi è interessato ad una gestione consapevo-

le dei principi d’ordinamento.

Parleremo in seguito brevemente della differente efficacia delle regole se-

guendo la teoria di Fritz B. Simon che, appoggiandosi agli studi antropologici di

Edward T. Halls, distingue tre livelli di regole: quelle grammaticali, quelle in-

formali e quelle tecniche. (Simon, 2004, p. 231 ss)

3.6.1 Le regole grammaticali

Il rispetto delle regole grammaticali è dato per scontato. Nessuno s’interroga

circa il loro senso e scopo. Senza perdere tempo in lunghe riflessioni o discus-

sioni, ognuno sa cosa è giusto e cosa è sbagliato, cosa va fatto e cosa no. In

particolare l’infrazione delle regole grammaticali è sanzionata in maniera for-

temente emotiva; dal livello emozionale delle reazioni si capisce quando si è

fatto un passo falso.

Nell’ambito del processo di socializzazione tali regole vengono interiorizzate

diventando una seconda natura. Un tipico esempio per spiegare le regole

grammaticali è la madrelingua: tutti la parliamo praticamente perfettamente

senza doverne conoscere le regole.

Il raggio di validità delle regole delimita inoltre l’appartenenza; chiunque in-

franga ripetutamente le regole grammaticali rischia di essere escluso. Queste

regole vengono interiorizzate automaticamente attraverso l’esperienza (trial

and error); determinano i confini di un sistema e producono un’elevata certez-

za che le aspettative saranno corrisposte.

Page 75: Strut Ture

74

Le regole grammaticali inducono cicli di retroazione negativa che hanno

l’effetto di consolidare la struttura. „Simili regole si modificano solo lentamen-

te; i loro schemi rappresentano la tradizione. Sono inflessibili, rigide e longeve

ma soprattutto generano identità per il sistema e per coloro che ne fanno par-

te.” (ibidem, p. 235).

3.6.2 Le regole informali

A differenza delle regole grammaticali quelle informali offrono più gioco

all’interpretazione. Per esse, giusto e sbagliato non sono definiti in maniera

così netta e, di fronte a possibili devianze, non vi sono reazioni né sempre pre-

vedibili né particolarmente violente. Cicli di retroazione positiva dirigono

l’attenzione su ciò che dovrebbe essere. Le regole vengono debitamente inte-

riorizzate mediante imitazione di schemi comportamentali che promettono

successo. Poiché le regole informali sono generalmente meno longeve di quelle

grammaticali, non sono altrettanto efficaci nel generare identità. Le regole

informali possono stare in relazione complementare, neutrale o conflittuale

con le grammaticali.

Entrambi i tipi di regole „interagiscono” implicitamente e sono percepite in

maniera poco o per nulla consapevole, ma ciò non diminuisce affatto il loro

effetto. Gli schemi comportamentali o strutture, routine, pratiche o abitudini

che ne derivano, si svolgono in maniera non mirata, auto-organizzata e sono in

continua evoluzione. Parlarne viene vissuto come un’interferenza e comporta

un certo rischio.

3.6.3 Le regole tecniche

Le regole tecniche, al contrario, stabiliscono le procedure mediante le quali si

dovranno raggiungere gli obiettivi concordati. Fanno parte del sapere esplicito

e pertanto se ne può parlare apertamente. La trasmissione di queste regole

avviene per mezzo di comunicazioni scritte e/o verbali, corsi di formazione,

colloqui individuali ecc., cosicché possono essere presentate e discusse anche

Page 76: Strut Ture

75

possibili alternative. Le regole tecniche danno istruzioni per un comportamento

concreto e danno un orientamento esplicito.

Le regole tecniche possono essere introdotte o abolite in maniera relativamen-

te rapida, è solo una questione di processi decisionali. Ciò fa si che le regole

tecniche siano lo strumento preferito di uno stile dirigenziale di tipo „ingegne-

ristico”. Sullo stesso piano delle regole tecniche si collocano i piani strategici

che corrono pertanto il rischio di arenarsi nei fondali insidiosi delle regole

grammaticali e informali.

3.7 La costellazione sistemica come ricettore del sapere sociale implicito

In base ai precedenti ragionamenti possiamo ora comprendere più chiaramen-

te cosa sia oggetto della costellazione sistemica e cosa offra esattamente. Con

la costellazione sistemica abbiamo trovato un metodo che ci permette di rico-

noscere le strutture che stanno dietro alle situazioni contingenti. Essa è un

codice che riesce a far esprimere ciò che a livello individuale abbiamo definito

come „maestria” e a livello aziendale come „eccellenza”. Entrambe hanno

tuttavia molto a che vedere con l’esperienza.

Può apparire paradossale che l’esperienza, in tempi di continuo cambiamento,

diventi un fattore determinante per il successo. Eppure, in situazioni difficili e

complesse, l’esperienza ci permette di muovere un primo passo. L’esperienza ci

trasmette certezza. Il sapere razionale invece provoca discussioni, fa sorgere

dubbi e richiede dispendiose analisi oppure spinge a fare grandi progetti cui

nessuno crede veramente. Le esperienze possono essere tutt’al più negate ma

non ingannate; ad ogni sapere teorico invece è inerente il dubbio. Perciò in

ambito aziendale vale più come „dato di fatto” o come „reale” ciò che è stato

„negoziato” di comune accordo. Il sapere specialistico „puro” ha sempre più

difficoltà a convincere.

Con la costellazione sistemica approdiamo giocoforza al sapere esperienziale,

già solo per il fatto che questo metodo ci induce a configurare il quadro di una

determinata costellazione e di „esperirne” la qualità specifica attraverso i rap-

presentanti. Ciò è possibile perché ogni essere umano dispone di una sensibili-

tà per percepire la qualità intrinseca di una situazione (Schlötter, 2005). A que-

Page 77: Strut Ture

76

sta percezione partecipa tutto il corpo; il processo è chiamato anche „intuizio-

ne”. Questo cosiddetto „sesto senso” ci mette in relazione con i momenti strut-

turali nascosti di una situazione, sia che essa sia nata „casualmente” nel corso

di una serie di eventi, sia che venga „riprodotta” nel corso di una costellazione.

Si potrebbe perciò dire che la costellazione sistemica dà „voce” ed „espressio-

ne” all’intuizione. Ciò presenta particolari implicazioni. I deboli segnali che

partono dal nostro contesto e che si trasmettono alla nostra intuizione posso-

no essere trasformati in dati, questi a loro volta si convertono in informazioni

affidabili grazie alla chiave di lettura della costellazione sistemica. Sotto questo

aspetto la costellazione è un metodo del tutto nuovo.

Mentre Ikuijro Nonaka e Hirotaka Takeuchi partono dal sapere individuale per

sviluppare concetti capaci di descrivere il percorso verso la condivisione di un

sapere collettivo o sociale, la costellazione manageriale punta direttamente

agli aspetti impliciti dell’intelligenza sociale. Essa apre la visuale sulle aspettati-

ve, gli schemi e le strutture che fondano o „routinizzano” una determinata

prassi e che sono alla base di ogni forma di eccellenza in un’impresa. Così per-

mette all’osservatore di intra-vedere l’apparato normativo sui cui si fondano i

sistemi sociali. A questo punto l’oggetto della costellazione sistemica in ambito

manageriale è esattamente delimitato come sapere implicito sociale o colletti-

vo (Grafica 6).

Grafica 6: L’oggetto d’indagine della costellazione sistemica manageriale

Page 78: Strut Ture

77

La costellazione sistemica, dunque, intercetta il sapere sociale implicito con

una sorta di „quarto codice” (essendo gli altri: le parole, le immagini, i numeri)

in grado di decodificare correttamente i dati che derivano direttamente

dall’intuizione dei rappresentanti. A livello metodologico ciò avviene in quanto

la costellazione sistemica riproduce, ri-costella, una situazione concreta

all’interno di uno spazio scenico. „Entrando in scena” i rappresentanti possono

vivere a livello emozionale e fisico la logica della costellazione stessa. In tal

modo la base del nostro sapere è ampliata di una dimensione decisiva: quella

delle emozioni e delle intenzioni.

Le costellazioni sistemiche in ambito manageriale aprono gli occhi al manage-

ment sugli ordinamenti impliciti, spostando lo sguardo dalla focalizzazione sul

risultato „puro” cioè espresso in cifre, alla dinamica che si viene a creare

nell’atto di „produrre” un risultato. Allora si possono rappresentare nello spa-

zio e simulare le mosse di gioco, in tal modo il „sistema” prende una forma

concreta e diventa improvvisamente comprensibile.

Con la costellazione, anche il pensiero sistemico e la teoria della comunicazione

entrano naturalmente a far parte del sapere manageriale. Concetti astratti

come „cultura aziendale”, „intelligenza sociale” o „eccellenza”, prendono vita

perché possono essere visti e vissuti. Per esempio diventa comprensibile il

perché strategie e programmi a volte cadano nel vuoto, pur essendo stati ela-

borati e decisi dalla direzione dell’azienda. Tali piani non sono altro che un

fascio di regole tecniche – nella migliore delle ipotesi prive di contraddizioni –

che faranno presa solo se saranno rese compatibili con le regole grammaticali e

informali. O al contrario potranno rivelarsi efficaci se, essendo in conflitto con

queste ultime, provocassero irritazioni tali da avviare un processo di riflessione

critica.

La costellazione sistemica offre inoltre una duplice visuale delle circostanze

nelle organizzazioni; non porta alla luce solo la loro concreta manifestazione

ma anche le condizioni per le loro possibili evoluzioni. Essa evidenzia il com-

plesso delle regole che condizionano una determinata azione e pertanto indica

al manager un nuovo livello d’intervento. Con l’aiuto della costellazione siste-

mica, il management può intervenire in maniera consapevole sulla configura-

Page 79: Strut Ture

78

zione del sistema di regole che caratterizzano la cultura aziendale. Il potenziale

di un simile management of rules è raramente sfruttato fino in fondo, in modo

da garantire efficacia ed efficienza dell’organizzazione. Nella frenesia quotidia-

na di inseguire gli obiettivi, inevitabilmente si perde di vista questa dimensione;

la focalizzazione sui soli contenuti fa dimenticare l’importanza della forma.

Qui sta il vantaggio decisivo che la costellazione sistemica offre al manage-

ment: distogliere lo sguardo dai contenuti concreti lo sposta sulle dinamiche

interne ai principi di ordinamento, dunque su ciò che sta alla base delle inten-

zioni e che condiziona la riuscita di un’azione. Allo stesso tempo la costellazio-

ne conserva un aggancio con i contenuti concreti; in questo modo le soluzioni

elaborate in maniera scenica possono essere ricollegate alla prassi.

„L’abbandono” del piano strategico

La seguente descrizione di una serie di costellazioni avvenute, nel corso di poco

più di sei mesi, con un team incaricato dello sviluppo e dell’implementazione di

una nuova strategia servirà a illustrare ulteriormente quanto sopra esposto.

In una costellazione si doveva verificare quale consenso avesse già ottenuto il

nuovo piano strategico elaborato dal gruppo dirigente e introdotto da poco. In

particolare il CEO (Chief Executive Officer) aveva i suoi dubbi in proposito, dub-

bi che si manifestavano attraverso il classico „mal di pancia” che era insieme

fisico e metaforico e voleva sapere se la sua preoccupazione era giustificata. La

disillusione fu grande: la costellazione fornì chiare indicazioni sul fatto che

nell’impresa i manager (inclusi i membri della direzione) erano motivati soprat-

tutto da alcuni grossi ordini conferiti da clienti chiave, non certo dal nuovo

piano strategico. Le pratiche organizzazionali, di conseguenza, erano orientate

a soddisfare individualmente i desideri concreti dei clienti. A livello operativo

tutto appariva piuttosto caotico. Le persone e gli uffici addetti avevano eviden-

temente raggiunto il limite del loro rendimento; ciononostante continuavano a

cavalcare l’onda dell’entusiasmo prodotta dal desiderio di esaudire le richieste

dei singoli clienti e, allo stesso tempo, erano fieri di „avercela fatta ancora una

volta nonostante tutto e a qualunque costo”.

Page 80: Strut Ture

79

All’inizio i membri del team manageriale restarono semplicemente senza paro-

le. L’irritazione era tale che non fu possibile mettersi d’accordo sulle conse-

guenze della situazione di cui avevano appena preso atto. Ma una cosa era

diventata chiara: evidentemente le routine quotidiane avevano dato luogo a

una cultura intrisa di teorie locali. Queste non permettevano di accogliere nuo-

ve regole formali, imposte in base ad una strategia il cui senso non si riusciva a

comprendere.

Due mesi più tardi il CEO, pieno d’orgoglio, presentò vari cartelli sui quali erano

rappresentate importanti tappe dello sviluppo dell’impresa, cartelli che furono

appesi negli uffici dell’azienda. La serie di immagini, riportanti scene caratteri-

stiche della quotidianità aziendale, segnava il percorso dal passato verso il

futuro. Il piano strategico e le opportunità, che queste immagini cercavano di

cogliere, avevano preso forma e se ne potevano riconoscere la logica e

l’origine. Nel corso dei vari incontri, dirigenti e collaboratori erano passati da-

vanti a questi „Quadri di un’esposizione” soffermandosi a parlare dei valori che

li guidavano.

Dopo qualche tempo una nuova costellazione confermò il sospetto che nella

prima fase la nuova strategia non aveva offerto alcun orientamento convincen-

te. Un progetto che prevedeva la produzione di piattaforme di prodotti stan-

dardizzati e che era stato avviato come misura per attuare la strategia rischiava

di naufragare clamorosamente. La costellazione doveva chiarire le cause

dell’insuccesso. L’immagine che si presentò ricordava un corteo funebre. Tra

l’altro mostrò che quasi nessuno aveva lo sguardo rivolto al progetto e che i

responsabili dell’implementazione trovavano pochissimo sostegno da parte del

management team. Divenne pertanto chiaro che, rispetto al nuovo orienta-

mento strategico, esisteva un conflitto inespresso. Nella discussione che fece

seguito alla costellazione, per la prima volta furono espressi chiaramente i

differenti punti di vista dei membri della direzione. Già durante questo scambio

iniziale furono prese in considerazione varie possibilità di ridimensionare la

standardizzazione radicale a favore di una maggiore collaborazione con i clienti

chiave nello sviluppo dei prodotti.

Era la prima volta che la direzione entrava in una discussione sulla coerenza dei

principi d’ordinamento della propria impresa. Grazie alla costellazione le fu

Page 81: Strut Ture

80

possibile avviare un dialogo approfondito sulle interrelazioni tra alcuni aspetti

della cultura d’impresa senza che si instaurasse una sensazione d’impotenza.

Sensazione che spesso si osserva quando si cerca di affrontare questioni ine-

renti le regole basilari del comportamento organizzazionale.

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81

4 Le costellazioni sistemiche come processo di sensemaking

Ormai nessuno mette più seriamente in dubbio che le costellazioni sistemiche

producano degli effetti. Invece si è in disaccordo rispetto alla questione su cosa

avvenga di fatto in una costellazione, domanda per la quale esiste una lunga

serie di possibili spiegazioni. Si tratta forse di un oracolo moderno, come ha

sostenuto a mo’ di provocazione Michael Zirkler nell’ambito di un congresso? O

sarebbe piuttosto un linguaggio trans-verbale, come afferma Matthias Varga

von Kibéd? Sono il movimento dell’anima, come le vede oggi Bert Hellinger?

Oppure sono semplicemente occasioni per narrare storie con un inizio proble-

matico e un lieto fine?

Taluni suppongono che nelle costellazioni possa essere rappresentata la verità.

A questo proposito Jakob Schneider sostiene che „le costellazioni trattano della

verità” (Schneider, 2008, p. 17), anche se subito dopo aggiunge che tale affer-

mazione può apparire azzardata. In precedenza aveva posto il concetto della

verità sullo stesso piano con quello dell’amore, della forza, dell’ordine e

dell’anima. Si potrebbe dedurre che Schneider consideri la costellazione siste-

mica come una prassi al servizio di verità, bontà e bellezza, tanto da farlo rien-

trare – e con lui molti altri costellatori – in una tradizione di pensiero che si

ispira all’Idealismo tedesco.

Proponiamo qui, invece, un altro tipo di concettualizzazione del lavoro di co-

stellazione che si appoggia al pragmatismo di matrice americana. Non mettia-

mo in dubbio che la costellazione sistemica attivi modalità percettive e con

esse conoscenze molto specifiche; tuttavia sosteniamo che nel lavoro con le

costellazioni si tratta di sensemaking – cioè della creazione di senso – e non

tanto della rivelazione di un ordine spirituale superiore. E siccome siamo con-

sapevoli del fatto che l’espressione „creazione di senso” non rende esattamen-

te il significato del termine inglese, useremo il termine originale: sensemaking.

In genere si ricorre alle costellazioni sistemiche – specialmente in ambito lavo-

rativo – quando non si è riusciti altrimenti a trovare vie di uscita da situazioni

problematiche. Nel corso di un processo costellativo accade ciò che Claus Otto

Scharmer descrive nella sua U-Theory come „to sense, enact and embody the

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82

future as it emerges”, in altri termini: si crea il futuro (Scharmer, 2000, p. 11).

Un futuro che non consiste nella riproduzione di quanto già noto bensì un futu-

ro realmente nuovo e liberatorio. Si spiegherebbe così anche la sensazione di

sollievo che i rappresentanti avvertono quando una costellazione volge verso la

soluzione. Il fruitore della costellazione non è più intrappolato in abitudini

limitanti, ha deposto i gravami del passato e si sente libero di fare quello che è

necessario nel qui e ora.

La costellazione, così come noi la intendiamo, mira a una soluzione pratica e ha

come obiettivo quello di liberare energie per muovere un primo passo in que-

sta direzione. Operare con il concetto di verità in un simile contesto ci appare

piuttosto delicato poiché una visione del futuro e l’impulso di realizzarla non

possono essere definiti come „veri” o „falsi” ma tutt’al più „plausibili” nel senso

di coerenti o sensati. E proprio l’essere plausibile rappresenta un aspetto cen-

trale nei processi di sensemaking.

4.1 Il modello di Karl Weick

Il sensemaking viene stimolato ogni qualvolta nel vissuto emergano aspetti che

catturano la nostra attenzione e che non riusciamo immediatamente a etichet-

tare e a collegare con il sapere preesistente. Così registriamo questi elementi

come dati che creano irritazione. Parlarne dà luogo a plurivocità e ambiguità

che provocano irrequietezza: i dati (ancora) non tornano. Inoltre una conse-

guenza rilevante nel contesto aziendale è che si blocca l’agire concertato dei

collaboratori.

Per uscire dall’empasse si tenterà allora di ridurre l’ambiguità cercando spiega-

zioni plausibili.

La comprensione del fenomeno si nutre in parte di spiegazioni che si erano già

rivelate utili in passato e in parte dell’intensa concentrazione sull’irritazione

causata dai nuovi dati. Se una nuova interpretazione possa così rientrare o

meno nel costrutto delle conoscenze già presenti – e pertanto essere conserva-

ta per altre evenienze – dipende dal fatto se sia o meno plausibile, ovvero

compatibile con tale sapere. Se invece è in contraddizione con esso, viene

semplicemente rimossa e dimenticata.

Page 84: Strut Ture

83

Karl E. Weick, sulle cui riflessioni si basa quanto sopra esposto, ha definito le

fasi del sensemaking come:

1. L’attivazione (enactment), ossia quel processo di interazione dell’individuo

con „l’ambiente ecologico”;

2. La selezione (selection), in base alla quale l’individuo opera delle scelte, eli-

minando le ambiguità contenute nei flussi dell’esperienza;

3. la ritenzione (retention), cioè la fase in cui le informazioni selezionate ven-

gono elaborate e integrate nelle „mappe cognitivo-normative”.

Grafica 7 : Fasi del sensemaking

Il concetto di „mutamento ecologico” indica quei cambiamenti che attirano

l’attenzione e avviano un processo di sensemaking rappresentandone allo

stesso tempo la materia prima. Infatti, finché tutto procede come d’abitudine,

non si presenta alcuna occasione per la creazione di senso. Il termine

enactment indica interazione cognitiva e operativa dei protagonisti con il loro

ambiente. Da una lato i protagonisti reagiscono ai cambiamenti estrapolando

determinati aspetti dal contesto e cercando di nominarli, dall’altro lato, con le

loro (re-)azioni provocano essi stessi dei cambiamenti. L’enactment produce

„discorsi plurivoci” che fungono da materia prima per il sensemaking. In un

secondo momento , le persone attribuiscono un senso compiuto. a tali „discor-

si” Ciò avviene nella fase della „selezione” in cui si applicano ordini e/o struttu-

re che hanno la forma di mappe causali. Esse contengono variabili la cui rile-

vanza è assicurata dalle precedenti esperienze. La „ritenzione” comporta la

memorizzazione dei risultati della selezione e la loro integrazione nelle mappe

causali che conferiscono un senso ai fenomeni osservati. Le tre fasi si condizio-

Page 85: Strut Ture

84

nano reciprocamente: il sapere salvato durante la ritenzione influisce sia

sull’interpretazione sia sulla percezione del „nostro” mondo. L’enactment in-

fluenza a sua volta la selezione e ci può indurre a modificare le nostre mappe

mentali.

Secondo Weick, il sensemaking presenta le seguenti peculiarità:

È un processo ininterrotto senza inizio e senza fine.

Crea l’identità di un sistema e si fonda esso stesso su tale identità.

Al processo partecipa un ampio numero di persone che stanno in un rap-

porto di scambio reciproco (community of practice).

È determinato più dalle azioni che dalle idee e dichiarazioni delle singole

persone.

Si basa su un numero ristretto di fattori selezionati tra una grande quantità

di fenomeni.

È un processo retrospettivo: vale a dire rivolge lo sguardo all’esperienza di

vita che abbiamo memorizzato.

Infine, come già detto, si basa sulla plausibilità delle spiegazioni e non

tanto sulla loro precisione o verità.

Il seguente esempio illustra quanto sopra elencato.

Al margine di un meeting dei responsabili commerciali, due capi area vendite

parlano di un calo del fatturato che non sembra rientrare nei parametri delle

fluttuazioni cicliche. Sul momento la loro osservazione non trova risonanza

poiché, durante l’incontro, il fenomeno non è mai menzionato dai colleghi.

Qualche mese più tardi, però, la situazione cambia. La statistica delle vendite

riporta cifre in calo su vasta scala senza che si riesca a dare una spiegazione del

fenomeno. La congiuntura è stabile e, in quanto leader del settore, l’azienda

ritiene di essere al sicuro. Forse i clienti non avevano digerito l’ultimo aumento

dei prezzi? Ancora una volta il fenomeno non è preso sul serio, ci si affida agli

schemi interpretativi consueti. Fino a quel momento, infatti, la strategia della

leadership dei prodotti aveva funzionato perfettamente.

Solo più tardi, irritati dal persistere di questo fenomeno inquietante, ci si do-

manda: „Forse ci sono sfuggite importanti innovazioni della concorrenza?”

Alcuni direttori delle vendite hanno appreso dai loro venditori che clienti di

Page 86: Strut Ture

85

vecchia data stanno ritardando gli ordini d’acquisto. Quale potrebbe mai essere

il motivo?

Così, finalmente, anche il direttore commerciale inizia a occuparsi del proble-

ma. Si effettuano interviste sistematiche ai clienti e poco alla volta i vari fram-

menti compongono un quadro che ha un senso. Un concorrente astuto era

riuscito a carpire clienti offrendo prestazioni accessorie innovative. Ora, dopo

essersi fatti una ragione della situazione, sono nuovamente in grado di elabora-

re interventi mirati per reagire.

Questo breve episodio rappresenta una situazione molto comune e dimostra

chiaramente che la crisi si avvicina „strisciando” e che le prime avvisaglie, seb-

bene vengano percepite da alcuni, finiscono con l’essere rimosse e riassorbite

dalle teorie prevalenti.

4.2 L’organizzazione secondo Karl Weick

Riteniamo utile per la pratica della costellazione in ambito manageriale appro-

fondire ulteriormente gli studi di Weick. La sua opera fondamentale „The Social

Psychology of Organizing” (1979, 1969) tratta della teoria organizzazionale e

illustra in maniera convincente che l’organizzazione emerge dai processi di

sensemaking. In tal modo si discosta nettamente dalle teorie delle scienze

economiche classiche che, finora, hanno inteso l’organizzazione come mezzo

per raggiungere determinati obiettivi. Per Weick l’organizzazione va intesa

piuttosto come „mappa mentale” collettiva che un gruppo di persone sovrap-

pone al flusso esperienziale per imprimergli temporaneamente un certo ordine

e senso; organizzare è visto come un processo collettivo di sensemaking. In tal

modo Weick anticipa un aspetto basilare della teoria organizzazionale sistemi-

ca. Egli si concentra radicalmente sull’atto creativo ovvero sull’aspetto proces-

suale dell’organizzazione.

Inizialmente tale concezione può apparire straniante perché siamo abituati a

vedere le aziende come entità costituite da persone, edifici, lunghi corridoi e

cumuli di pratiche piuttosto che da un intreccio di processi di comunicazione.

Page 87: Strut Ture

86

Di fatto, tuttavia, le aziende continuano anche, per esempio, quando un grup-

po di collaboratori a fine turno torna a dedicarsi ai propri interessi personali,

mentre un altro gruppo inizia un nuovo turno. Un’azienda, pur dipendendo

dalle persone che vi lavorano, non ne è semplicemente la somma. Le persone

sono risorse ma le aziende, di per sé, rappresentano solo la modalità con la

quale queste risorse si relazionano allo scopo di produrre senso insieme.

Edifici, impianti e pile di documenti sono solo „effetti secondari” dell’azienda,

ovvero sono ciò che risulta da decisioni prese in modo più o meno coordinato

all’interno dell’azienda stessa. E il processo decisionale è a sua volta sempre

compreso nei processi di produzione di senso.

Dobbiamo pertanto abbandonare l’idea che le organizzazioni siano entità ma-

teriali; un imponente palazzo che si affaccia su una famosa passeggiata lungo-

lago rappresenta, in uno stile „feudale”, un’azienda, ma l’azienda in sé non è

questo palazzo. Essa consiste essenzialmente in una serie di eventi fugaci più o

meno interdipendenti nell’ambito dei quali si elabora un senso (cosa che ad un

certo momento può portare anche alla costruzione di palazzi). A questo propo-

sito sostiene ancora Karl Weick: „Nelle aziende la maggior parte delle ,cose’

sono in realtà solo relazioni, ovvero variabili interconnesse in maniera sistemi-

ca” (ibidem p. 129).

4.3 Costellazioni come processo collettivo di sensemaking

Lasciamo le teorie di Karl E. Weick per tornare alle costellazioni portando tut-

tavia con noi il modello di sensemaking. Lo riteniamo infatti particolarmente

adatto a rappresentare la prassi costellativa e i processi comunicativi che la

sottendono. Arriviamo persino a sostenere che tra l’organizzare, il produrre

senso e il costellare a livello sistemico vi sia una forte affinità sul piano struttu-

rale. Come per il processo di sensemaking identifichiamo anche per le costella-

zioni quattro momenti.

1. I clienti mettono in scena la loro „immagine interiore” di una situazione

problematica creando così un contesto dinamico, o per usare le parole

di Weick, un „cambiamento ecologico” col quale devono interagire. In

questo senso è assolutamente corretto definire le costellazioni come

Page 88: Strut Ture

87

simulazioni che, nella maggior parte dei casi, trattano di questioni inde-

cidibili. Heinz von Foerster definisce tali questioni come segue: „Quando

ci troviamo di fronte a questioni sostanzialmente indecidibili ci liberia-

mo da ogni imposizione, persino da quella della logica, assumendoci con

la libertà così conquistata anche la responsabilità della scelta. Tutti sia-

mo liberi di decidere chi vogliamo essere e insieme alla decisione ci as-

sumiamo anche la responsabilità per il nostro essere” (Foerster e Pörk-

sen, 1998, p. 157). Spesso, in queste simulazioni, affrontiamo anche si-

tuazioni apparentemente senza via d’uscita: semplicemente non era

possibile risolverle con gli strumenti abituali.

2. L’immagine della situazione messa in scena e le reazioni dei rappresen-

tanti, inizialmente, risultano irritanti rispetto alle mappe mentali tradi-

zionali. Nel comunicare la loro risonanza corporea i rappresentanti pro-

ducono frammenti di un „discorso plurivoco” che tocca il fatto rappre-

sentato e lo trascende. In tal modo genera la „materia prima” per una

successiva interpretazione che può includere pure aspetti nuovi. Anche

ciò che prima non era stato visto (forse perché rimosso o distorto) può

essere ora incluso nel processo di sensemaking, ciò che non serve invece

può essere tralasciato. La sensazione di sollievo che s’instaura gradual-

mente e i commenti rispetto alle differenze percepite dopo un cambio

di posizione dei rappresentanti offrono indicazioni per la direzione nella

quale muoversi per ridurre la plurivocità (enactment).

3. Nella fase di selezione (selection) i clienti interpretano quanto è emerso

dalla costellazione in base al loro sapere esperienziale precedente. In

questa fase della Management Constellation avviene il passaggio dal

medium scenico a quello verbale. Si consiglia di compiere tale passaggio

in maniera esplicita e chiara. È importante fare in modo che i segnali più

deboli che emergono attraverso la risonanza corporea vengano recepiti

e che non vengano date spiegazioni e interpretazioni affrettate basate

sui consueti costrutti razionali, non solo dei clienti ma anche del facilita-

tore. La capacità di sopportare il non-sapere a questo punto ci appare

molto importante.

Page 89: Strut Ture

88

4. Nel corso del dialogo i clienti si accordano progressivamente

sull’interpretazione che ritengono più rispondente. In parte essa con-

ferma il sapere preesistente e in parte lo mette in discussione. Avviene

dunque un processo di apprendimento. Come dimostra Andrea Berreth

in una sua ricerca sugli effetti delle costellazioni in azienda, inizialmente

i manager tendono a confermare le proprie teorie, eventualmente adat-

tandole, piuttosto che metterle in discussione innovandole (Berreth,

2009). Siamo dell’avviso che il tipo di apprendimento che sarà adottato

dal team manageriale – un semplice adattamento oppure un rinnova-

mento delle teorie d’azione – dipenda più dalla fase preliminare alla co-

stellazione che non dalla costellazione stessa. Dipende innanzitutto dalla

scelta del tema e del relativo segmento di sistema se la costellazione è

usata per confermare una determinata decisione, oppure per riflettere

in maniera critica sulle premesse per le scelte da compiere. Nel primo

caso si tenderà verso un apprendimento adattivo, nel secondo verso un

apprendimento volto al cambiamento.

Grafica 8: Affinità strutturale tra sensemaking e prassi costellativa

4.4 La peculiarità delle costellazioni manageriali

Dinnanzi a questo background teorico le peculiarità delle Management Con-

stellations risulta ancora più chiaro:

Page 90: Strut Ture

89

Oggetto centrale della costellazione sono le domande di un intero gruppo

o di un team rispetto al successo dell’azienda nel suo insieme o di un seg-

mento della stessa, non i temi di singoli individui e le loro interazioni.

L’attenzione è rivolta agli schemi comportamentali derivanti dai modelli

mentali collettivi piuttosto che agli attriti e irretimenti tra singoli individui.

Si cercano di individuare i primi passi verso una soluzione sostenibile e

congruente piuttosto che la configurazione di un „giusto ordine” delle co-

se. È più importante la concreta „applicabilità”, ovvero l’utilità delle solu-

zioni, piuttosto che una presunta verità o esattezza.

Il momento centrale è l’esperienza collettiva del passaggio dall’irritazione

all’informazione - cioè la creazione di senso - e non, come nelle costella-

zioni terapeutiche, la catarsi del protagonista principale che si produce

nell’ambito di un rituale di passaggio.

La costellazione in ambito manageriale è sempre integrata con altri metodi

dialogici basati sul concetto della Learning Organization, metodi che facili-

tano la traduzione a livello verbale delle esperienze corporee.

Di centrale importanza sono la scelta del segmento di sistema nonché del

modello euristico che ne rappresenta le dinamiche fondamentali.

Concludiamo la presente prospettiva con una citazione da Karl E. Weick (ibi-

dem p. 375) nella speranza che l’invito in essa contenuto possa essere uno

spunto per avviare un processo di sensemaking. „Le aziende offrono

un’occupazione, a volte anche divertente, permettono di fare una quantità di

esperienze, tengono la gente lontana dalla strada, offrono occasioni per rac-

contare storie e permettono loro di socializzare. A parte questo non hanno

nient’altro da offrire.” – E se sostituissimo il termine „aziende” con il termine

„costellazioni”?

Page 91: Strut Ture

90

Parte II Linee guida per le costellazioni sistemiche manageriali

Nella seconda parte del presente volume offriamo una panoramica sulla prassi

della costellazione sistemica, focalizzandoci sull’applicazione specifica in ambi-

to aziendale. Indichiamo le premesse teoriche più rilevanti e illustriamo i passi

metodologici e gli accorgimenti tecnici più comprovati nella pratica. Le indica-

zioni si rivolgono principalmente a consulenti che possiedono già una certa

dimestichezza con la prassi delle costellazioni sistemiche e che vorrebbero

approfondire le proprie competenze per l’applicazione in ambito manageriale.

Quindi, nell’ordine, introduciamo alcuni principi che condizionano lo sviluppo

di sistemi sociali validi anche per le aziende; parliamo della procedura della

costellazione sistemica con riferimento ai tre setting possibili; descriviamo le

singole fasi del processo tipico di una costellazione; offriamo una panoramica

degli schemi interpretativi cui fare riferimento a seconda delle tematiche da

affrontare che sono alla base dei diversi formati (vedi cap. 8) della costellazione

sistemica. A conclusione di questa seconda parte accenniamo a varie metodo-

logie complementari che impieghiamo per integrare la costellazione vera e

propria in un processo di consulenza.

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91

5 Presupposti per il successo

Nel corso dell’esperienza con la metodologia delle costellazioni sistemiche

sono emersi, con crescente evidenza, alcuni principi fondamentali che condi-

zionano lo sviluppo dei sistemi sociali. Matthias Varga von Kibéd e Insa Sparrer

hanno proposto quattro principi che andiamo a esporre di seguito in ordine

d’importanza per la crescita e la riproduzione dei sistemi sociali (Sparrer e

Kibed, 2000, pag. 170).

5.1 L’appartenenza

I meccanismi che legano tra di loro i membri di un sistema sociale sono di fon-

damentale importanza per la sua sopravvivenza e capacità di svilupparsi con

successo. In un determinato sistema deve essere evidente chi ne fa parte e chi

no. In sistemi dai confini poco netti si crea confusione e l’impegno e la lealtà

dei loro membri è compromessa, si diffonde perciò un’irrequietezza improdut-

tiva in tutta l’organizzazione.

Nelle aziende l’appartenenza è regolata sostanzialmente dal contratto di lavo-

ro; tuttavia è importante anche una chiara descrizione della funzione e delle

mansioni, delle responsabilità e di un potere discrezionale che sia coerente con

la realtà dei fatti.

Pertanto dimissioni e assunzioni sono momenti molto critici cui non sempre è

prestata la necessaria attenzione all’interno dell’impresa. Le costellazioni si-

stemiche mettono chiaramente in luce le incongruenze riferite

all’appartenenza ed è possibile sperimentare quali passi siano più indicati, sia

per l’inserimento sia per la dimissione di un dipendente. Se, ad esempio, un

dipendente è licenziato senza motivi giustificati e riconosciuti dagli altri, molti

colleghi si sentiranno legati a lui da un sentimento di lealtà e ciò va a discapito

della loro lealtà verso l’azienda. Una comunicazione trasparente dei motivi, ma

anche un riconoscimento dei contributi apportati dalla persona licenziata du-

rante la sua permanenza, aiuta a „ristabilire l’integrità dei confini del sistema”.

I legami di appartenenza rischiano di essere un elemento critico, specialmente

quando un’organizzazione per progetti si sovrappone alla tradizionale struttura

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92

gerarchica funzionale o nelle strutture organizzative a matrice. Nelle costella-

zioni sistemiche è emerso più volte che frizioni e conflitti, presenti specialmen-

te in forme d’organizzazione complesse, erano riconducibili a una regolamen-

tazione poco chiara dell’appartenenza e delle competenze e mansioni. Solo con

una comunicazione molto attenta e paziente si riesce a creare una visione

condivisa che assegna a ciascuno il suo „giusto” posto nell’organizzazione.

È consigliabile prestare attenzione ai legami di appartenenza anche nell’ambito

di ristrutturazioni e acquisizioni. Condizioni poco trasparenti rafforzano la ten-

denza al mobbing e rischiano di rendere impossibile l’integrarsi

nell’organizzazione persino di collaboratori particolarmente competenti.

L’aspetto relativo ai legami d’appartenenza è particolarmente delicato in pre-

senza di contratti di management interinale e interimistico.

5.2 Rispetto per l’ordine di successione

Il secondo principio è riferito alla crescita dei sistemi sociali, sia quella interna

attraverso la creazione di nuovi reparti, filiali ecc., sia quella esterna attraverso

la creazione di nuove consociate autonome. Nell‘ambito di una dinamica di

crescita interna vale il principio della „successione temporale diretta”. Significa

che, qualora si effettui un ampliamento dell’organizzazione inserendo nuove

figure o funzioni, il più anziano ha un certo diritto di precedenza sul più giova-

ne. Infatti, ogni allargamento toglie spazio e potere alle persone che c’erano

prima. Questo fatto deve essere riconosciuto e compensato almeno in forma

simbolica.

Il seguente esempio illustra tale dinamica: un responsabile di produzione poté

implementare le nuove idee e i nuovi concetti che aveva sviluppato in collabo-

razione con dirigenti più giovani e specialisti neoassunti, solo dopo che

l’operato dei collaboratori più anziani fu adeguatamente riconosciuto. Fino a

quel momento i collaboratori anziani non avevano voluto prendere atto delle

innovazioni proposte, seguendo ostinatamente le vecchie procedure. Fu duran-

te una costellazione sistemica che il responsabile di produzione riconobbe

questo principio. Risultò, infatti, che la generazione più anziana si sentiva sca-

valcata da quella più giovane e che questa dinamica era stata oltretutto raffor-

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93

zata dall’atteggiamento del responsabile. Questi, considerato che gli anziani

facevano resistenza, aveva concentrato tutta la sua attenzione sui collaboratori

più giovani.

In relazione alla crescita esterna, per esempio nel caso della creazione di una

consociata, vale invece il principio della „successione temporale inversa” per il

quale, tra due sistemi, quello nuovo dovrà avere la precedenza su quello già

esistente. I sistemi infatti possono svilupparsi e raggiungere la loro indipenden-

za solo se forniti delle risorse adeguate e se protetti dalle ingerenze eccessive

dei sistemi preesistenti.

Anche questo principio può essere illustrato mediante un esempio: in

un’impresa era stato ridefinito il processo di sviluppo prodotti e creata una

nuova società autonoma per la ricerca e lo sviluppo di tecnologie innovative.

Fin dall’inizio si verificarono frizioni tra la casa madre e la nuova società. Nel

corso di una costellazione la situazione si calmò solo dopo che il direttore svi-

luppo prodotti, a cui era stata assegnata anche la gestione della nuova società,

abbandonò questa posizione per cederla a un giovane ingegnere che di fatto

deteneva le competenze distintive per la ricerca.

5.3 Riconoscere la responsabilità e l’impegno

Il terzo principio regola la rete di rapporti tra le persone e le funzioni in

un’organizzazione. Bisogna tenere conto sia della posizione sia dell’impegno di

un collaboratore, di un team o di un’unità organizzativa. Si tratta in particolare

di riconoscere l’assunzione di responsabilità per la stabilità interna e per

l’autonomia dell’organizzazione rispetto all’ambiente esterno. Insa Sparrer

ricorre alla metafora del sistema immunitario: nei sistemi sociali la forza im-

munitaria corrisponde „alla capacità comunicativa, all’assunzione di responsa-

bilità e alla disponibilità a impegnarsi”. Tanto più i membri di un sistema si

tengono in contatto l’uno con l’altro, tanto meglio fluisce l’informazione e

diventa possibile concentrare l’impegno là dove serve per far fronte alle sfide

che si presentano. In questo modo si assicura l’autonomia di un sistema.

La precedenza del maggiore impegno riveste un ruolo centrale: l’impegno co-

stante o singoli interventi straordinari effettuati da un collaboratore o da un

Page 95: Strut Ture

94

gruppo devono essere rispettati e riconosciuti indipendentemente dalla posi-

zione gerarchica. È interessante notare come spesso le persone o gli organi

maggiormente impegnati svolgano funzioni di guida in maniera non ufficiale.

„La gerarchia ufficiale rappresenta e difende l’organizzazione verso l’esterno,

mentre la gerarchia non ufficiale garantisce l’efficienza e protegge dai sabotag-

gi” (Sparrer, 2001, pag. 118). Sparrer parla qui del conflitto tra gerarchia forma-

le e informale correggendo quanto sostiene la teoria organizzativa classica per

la quale la gerarchia formale dovrebbe avere la precedenza su quella informa-

le.

Alle persone e ai team che si impegnano maggiormente per un’organizzazione

– fondatori e dirigenti ma anche persone e reparti con competenze chiave –

spetta il diritto di una maggiore influenza. Quando invece persone o reparti

rivendicano un potere maggiore rispetto al loro effettivo contributo al mante-

nimento e allo sviluppo del sistema, parliamo di potere arrogante. Le conse-

guenze sono disinteressamento e rassegnazione, persino sabotaggio, da parte

di coloro che subiscono tale arroganza; per altro verso notiamo spesso stress,

irritazione e calo di efficienza da parte di chi ambisce a una posizione per la

quale non detiene le competenze e la forza.

5.4 Sviluppare il potenziale degli individui e dei team

Il quarto principio attiene allo sviluppo individuale di persone o gruppi. Il rico-

noscimento delle prestazioni dei collaboratori favorisce la predisposizione a

maggiore produttività mentre il riconoscimento del potenziale permette lo

sviluppo delle risorse latenti. Il pari trattamento di differenti potenziali di ren-

dimento conduce generalmente a minori prestazioni e a un abbassamento

della volontà di apprendimento. Non si tratta tanto del riconoscimento eco-

nomico quanto soprattutto di concedere autonomia e spazio creativo nonché

coinvolgere le persone nei processi decisionali.

In molte aziende si attribuisce grande valore al rendimento prestando invece

poca attenzione agli altri principi fondamentali. Tra i quattro principi vi è un

chiaro ordine gerarchico: ignorare i principi primari vanifica gli effetti

dell’attenzione posta su quelli secondari. Lo sviluppo individuale deve essere

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95

pertanto inserito in una cultura rivolta innanzitutto ad assicurare i legami di

appartenenza, l’ordine di successione, l’impegno e la responsabilità.

Questi quattro principi forniscono un utile fondamento per l’interpretazione di

una costellazione e per la ricerca di una soluzione. I manager più esperti in

genere li conoscono intuitivamente, è comunque utile farvi riferimento per

aiutarli a seguire e comprendere meglio le dinamiche della costellazione.

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96

6 I diversi setting per una costellazione sistemica

La costellazione sistemica in origine è una forma di terapia di gruppo in cui i

partecipanti elaborano le loro problematiche all’interno di un seminario con-

dotto da un terapeuta. Lo scopo è quello di giungere a un’immagine risolutiva

partendo da un quadro iniziale (setting) che raffigura, in maniera condensata, i

vari blocchi e irretimenti nel sistema del cliente. „Passato, presente e futuro si

intrecciano nella ricerca di una soluzione” (Weber, 1998, p. 11). Similmente a

un rimedio omeopatico l’immagine finale sprigiona la sua forza risanante nel

corso del tempo.

Le prime costellazioni su temi aziendali hanno mutuato il setting dal lavoro

terapeutico. I clienti esponevano le loro problematiche di carattere lavorativo

in seminari „aperti”. Questo setting offre un contesto sicuro per elaborare

problematiche che hanno a che fare con il successo personale del cliente nel

suo contesto lavorativo. Solitamente tali costellazioni pongono in primo piano

le dinamiche interpersonali mentre le questioni più propriamente aziendali

fanno da sfondo alle problematiche che si affrontano.

Nelle costellazioni svolte con persone di una stessa azienda, le Management

Constellations, invece, quello che prima faceva da sfondo qui diventa il tema

centrale della costellazione. L’azienda è messa in primo piano mentre le que-

stioni relazionali tra singole persone, o quelle relative al successo personale,

finiscono sullo sfondo. La domanda non è più: „Come posso posizionarmi in

maniera più efficace all’interno dell’azienda nella mia funzione?”, bensì: „Quali

decisioni dobbiamo prendere in quanto team, affinché l’azienda nel suo insie-

me abbia (maggiore) successo?”. Già solo questo cambio di prospettiva deter-

mina una svolta decisiva nel lavoro con un team, senza contare che nelle que-

stioni relative agli ambiti manageriali si tratta innanzitutto di sensemaking,

ovvero di spiegare i meccanismi che sono all’origine di un determinato proble-

ma aziendale e non tanto di risolvere problemi psicologici personali. Più che al

quadro risolutivo in sé si guarda al processo che lo genera.

La costellazione sistemica si utilizza di regola anche nel setting individuale

nell’ambito di una consulenza individuale o di un coaching. Un vantaggio rile-

vante di un contesto tanto confidenziale è che favorisce l’assoluta franchezza

rispetto ai temi da affrontare. Accanto alle questioni riguardanti l’ambito lavo-

Page 98: Strut Ture

97

rativo, all’occorrenza, si possono tematizzare apertamente anche quelle relati-

ve alla biografia personale.

Nei seguenti capitoli entreremo nel merito dei tre diversi setting su esposti,

tratteggiandone più da vicino le rispettive caratteristiche. Iniziamo con una

descrizione dettagliata del team setting, passiamo poi a delineare la forma del

seminario aperto e finiamo col descrivere la costellazione nel setting individua-

le.

6.1 Team Setting – Management Constellations

Verso la fine degli anni Novanta, alcuni consulenti hanno impiegato per la pri-

ma volta la costellazione sistemica nel lavoro con i team aziendali ponendo

l’attenzione sia sulle dinamiche relazionali tra i singoli attori sia su questioni

manageriali molto specifiche come: la validazione di scelte strategiche, la simu-

lazione di cambiamenti all’interno dell’organizzazione, il miglioramento dei

rapporti tra i vari gruppi d’interlocutori ecc. Questi consulenti hanno inoltre

coinvolto nella costellazione, come rappresentanti, i dirigenti o i collaboratori

direttamente coinvolti nella questione proposta.

Si applicavano in quel periodo i formati sviluppati da Gunthard Weber insieme

ad altri consulenti, noti come Organisationsaufstellungen (costellazioni orga-

nizzative), e i formati elaborati da Insa Sparrer e Matthias Varga von Kibéd, da

loro chiamati Systemische Strukturaufstellungen (costellazioni sistemiche strut-

turali).

All’incirca dal 2000, collaborando in parte con altri consulenti, abbiamo iniziato

a utilizzare la costellazione sistemica nel corso del nostro lavoro di consulenza.

Da qui è nata gradualmente quella prassi d’intervento che ora porta il nome di

„Management-Constellation” e che attinge ai singoli formati della costellazione

sistemica, combinandoli con le metodologie pensate per la „learning organisa-

tion” (Chris Argyris, Peter Senge, Claus Otto Scharmer et. al) o anche con altri

procedimenti sistemici come, per esempio, il „group-field” (David Benz-

Chartrand) e il „dialogo” (David Bohm). Questa prassi d’intervento molto speci-

fica disvela, nel corso dei processi di sviluppo e di cambiamento, il sapere tacito

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98

o implicito (Michael Polanyi), quindi, attraverso un processo pilotato di „sen-

semaking” (Karl E. Weick), conduce a un nuovo modo di pensare e di agire.

Le Management Constellations non solo rendono immediatamente esperibili e

conoscibili le inclinazioni nascoste o, usando un’analogia, il DNA di una deter-

minata prassi aziendale, ma suggeriscono la sequenza dei passi da compiere

per uno sviluppo coerente dell’impresa. Più che pronosticare un futuro astrat-

to, le costellazioni sistemiche offrono spunti su come affrontare una determi-

nata sfida in base all’eccellenza inerente al sistema. L’essere sempre orientati

verso quanto vi è di concreto facilita alle persone coinvolte l’elaborazione e

l’implementazione di soluzioni sostenibili.

6.1.1 La costellazione sistemica in ambito aziendale

Il potenziale della costellazione sistemica in ambito aziendale è ancora poco

esplorato. Tuttavia, per accedere al sapere implicito è inevitabile utilizzare

canali alternativi a quelli che trasmettono solo sapere esplicito. Chi accetta

l’uso di metodologie che rispondono a questo criterio potrà cogliere aspetti

sorprendenti del tacit knowledge insito nella propria impresa.

In ambito manageriale e lavorativo dedicarsi „anima e corpo” a una sfida é

sempre stato inteso in senso metaforico. Nella costellazione sistemica invece il

detto è preso alla lettera, e il corpo utilizzato come uno strumento di percezio-

ne altamente sensibile. Alcuni manager vivono questa nuova prassi con un

certo imbarazzo e di conseguenza sono (ancora) pochi i dirigenti che fanno uso

della costellazione sistemica per i processi decisionali.

I manager che si sono tuttavia affidati a questo metodo hanno descritto la loro

esperienza con parole come:

„Le costellazioni sistemiche dirigono l’attenzione sulle informazioni rilevanti;

una vera fortuna in un’epoca in cui una marea di dati ci distoglie continuamen-

te dall’essenziale”.

„Spesso nel corso di una costellazione sistemica si intravedono soluzioni sor-

prendenti. Grazie a questo metodo si riesce a cogliere molto più chiaramente il

Page 100: Strut Ture

99

nucleo delle questioni e le nuove misure si possono implementare con maggio-

re precisione ed efficacia, tra l’altro a beneficio dei costi“.

„Questo metodo permette di formulare diagnosi in maniera sorprendentemen-

te rapida, anche in situazioni particolarmente intricate. Inoltre la particolarità

della visualizzazione e della percezione corporea impediscono di dimenticarle

rapidamente”.

Includere la costellazione sistemica tra gli strumenti della consulenza aziendale

richiede un procedimento particolare. Questo non esisteva agli albori della

prassi di costellazione ma si è sviluppato progressivamente con l’esperienza.

Spieghiamo qui di seguito i vari aspetti particolari che caratterizzano le Mana-

gement Constellations e che le distinguono dalle costellazioni familiari e tera-

peutiche:

L’oggetto: temi collegati allo sviluppo e alla conduzione di imprese o di setto-

ri d’impresa e non temi di natura personale.

La prospettiva: le domande di un intero team e non solo di una singola per-

sona.

Il workshop-design: l’integrazione delle costellazioni sistemiche con altre

tecniche di learning organization e non l’utilizzo della costellazione siste-

mica come unica metodologia di intervento.

Il coinvolgimento dei manager: essi stessi assumono il ruolo di rappresen-

tanti nella costellazione.

Il contesto: solitamente il workshop fa parte di un progetto di sviluppo arti-

colato.

6.1.2 L’oggetto delle Management Constellations

Le Management Constellations focalizzano l’attenzione su tutti gli aspetti che

riguardano lo svolgimento efficace delle mansioni all’interno dell’azienda. In

altre parole spiegano le questioni centrali – la strutturazione, la gestione, lo

sviluppo – collegate al management di un’impresa. Pertanto contemplano

interdipendenze reciproche, quali ad esempio:

Page 101: Strut Ture

100

La sinergia tra il canale di vendita, la strategia di marketing, la gestione

della qualità e un progetto d’innovazione rispetto a determinati obiettivi di

vendita.

L’interazione tra le routine di produzione, il perfezionismo degli specialisti

di settore, un programma di abbassamento dei costi, un importante forni-

tore esterno e gli obiettivi di ROI (return on invstment).

Il facilitatore di Management Constellations affronta sin dall’inizio un elevato

grado di complessità. La problematica affrontata solitamente presenta nume-

rose stratificazioni, conflitti e incongruenze possono essere riscontrati a vari

livelli. Perciò è importante che il facilitatore riduca la complessità a un livello

gestibile, prima di iniziare con la costellazione vera e propria. La tematica pro-

posta viene, per così dire, „modellata” estrapolando tutte le sfaccettature

rilevanti in vista della costellazione.

In questa prima fase è utile avere a disposizione una sorta di mappa, o di griglia

euristica, che possa offrire un orientamento per il processo di modellamento.

Un modello di management facilita il lavoro di preparazione alla costellazione,

aiuta i partecipanti a scegliere la prospettiva più adatta e a formulare una do-

manda sufficientemente precisa per circoscrivere il sistema. Una volta chiariti

questi aspetti, il modello facilita anche l’individuazione degli elementi rilevanti

per la costellazione.

6.1.3 Prospettiva e workshop-design delle Management Constellations

Un’altra peculiarità delle Management Constellations è la scelta della prospet-

tiva o del punto di vista o anche, per usare il termine coniato da Varga von

Kibed, del focus. Nella costellazione classica il focus è sempre rappresentato

dall’ottica concreta di un singolo individuo, o meglio, da quella parte della

personalità di un individuo che è direttamente toccata da una determinata

tematica. Nelle costellazioni sistemiche in ambito aziendale solitamente è un

intero team che fa una particolare richiesta. In questo caso il focus non rappre-

senta più un’ottica individuale ma una prospettiva collettiva. Per questo è ne-

cessario mantenere allineati i punti di vista dei singoli manager sia prima che

dopo la costellazione.

Page 102: Strut Ture

101

Per iniziare è indispensabile chiarire, ad esempio in un’intervista dialogica (C.

O. Scharmer), la richiesta collettiva del management team. Questa fase è deci-

siva. Con l’ausilio per esempio di domande sistemiche e di un modello di ma-

nagement, bisogna estrapolare una domanda precisa e significativa alla quale si

cerca di rispondere; insieme al management team si definiscono poi gli ele-

menti e i limiti del sistema che si andrà a rappresentare.

All’interno di un setting terapeutico, parlare troppo della costellazione una

volta avvenuta non è ritenuto molto utile. Si teme che il troppo dire potrebbe

pregiudicare o quantomeno indebolire gli effetti della costellazione sul cliente.

In ambito manageriale, invece, la discussione all’interno del gruppo, immedia-

tamente successiva a una costellazione sistemica, è indispensabile. Essa, of-

frendo ai partecipanti l’occasione di scambiare le proprie impressioni, favorisce

la condivisione delle diverse prospettive e percezioni che si sono venute a crea-

re nel corso della costellazione, sia per i protagonisti che per gli osservatori. La

discussione conduce a una riflessione collettiva, aiuta a elaborare e metaboliz-

zare ciò che è stato esperito e a tradurre ciò che si è visualizzato in misure utili.

Per la riflessione comune è particolarmente adatta la forma del „dialogo” di

David Bohm. Il dialogo serve a condensare verbalmente le sensazioni raccolte

nel corso della costellazione. In un contesto dialogico si possono inoltre formu-

lare le prime idee per gli interventi da attivare in seguito, sia nei singoli settori

aziendali che nell’azienda in toto.

È interessante notare come la qualità del dialogo dopo la costellazione sia pro-

fondamente diversa rispetto alle discussioni condotte in precedenza sul mede-

simo argomento. Evidentemente la costellazione ricorda ai membri di un grup-

po che si possono assumere differenti prospettive e che il proprio punto di

vista non deve essere per forza imposto come l’unico valido.

Al termine della discussione un membro del management team è incaricato di

tenere in evidenza in agenda i temi da elaborare.

La nuova prassi d’intervento acquista una propria fisionomia anche grazie al

linguaggio usato dal facilitatore nel corso della costellazione; egli s’impegna ad

usare una modalità riflessiva più che direttiva, come è invece d’uso nelle co-

stellazioni familiari. Al posto di un protagonista emotivamente coinvolto viene

Page 103: Strut Ture

102

messo in scena un osservatore che riflette. Così facendo la costellazione perde,

almeno in parte, il potere suggestivo che è proprio di ogni atto rituale. In com-

penso diventa uno strumento che permette a tutto il team di prendere co-

scienza della qualità dei rapporti fra gli elementi del sistema, di osservare la

propria prassi di comunicazione e di discuterne per migliorarla.

6.1.4 La costellazione con persone direttamente coinvolte

„Perché dovrei investire tre giorni, se posso ottenere la risposta alla mia do-

manda in due ore?” Questa osservazione, pronunciata da un manager all’inizio

di un seminario, conteneva un suggerimento importante: se i manager indaffa-

rati non vengono ai seminari di costellazione allora bisognerà portare il metodo

delle costellazioni in azienda. All’applicazione pratica di questa idea si oppone-

va tuttavia una convinzione diffusa tra i costellatori familiari. Essi ritenevano

infatti che fosse inammissibile inserire come rappresentanti in una costellazio-

ne gli stessi membri di un sistema sociale direttamente toccati dal problema in

discussione: le persone coinvolte non parlerebbero apertamente delle sensa-

zioni provate nel ruolo di rappresentanti e tenderebbero invece a filtrarle se-

condo i propri schemi mentali.

Solo gradualmente taluni consulenti osarono mettere in scena i manager come

rappresentanti all’interno di costellazioni aziendali, tuttavia gli esiti si rivelaro-

no sorprendentemente buoni. In ogni caso la regola di non mettere in scena i

diretti interessati – come rappresentanti di loro stessi – è tuttora osservata.

6.1.5 L’inserimento in un processo di intervento

Una singola costellazione ha certamente la sua utilità in quanto evento specia-

le, certamente se ne trae un guadagno in termini di conoscenza e comprensio-

ne, inoltre il fenomeno della risonanza corporea affascina immancabilmente i

partecipanti. L’implementazione della soluzione avviene però in maniera diver-

sa all’interno di un’azienda rispetto a una famiglia, già solo perché i due sistemi

sociali seguono finalità e schemi di sviluppo completamente differenti.

Page 104: Strut Ture

103

Quanto detto dovrebbe trovare riscontro in un intervento di consulenza ade-

guato. In particolare, per quel che riguarda le questioni strategiche, serve un

progetto di change management come struttura portante per tradurre le im-

magini e le informazioni offerte dalla costellazione in concrete pratiche azien-

dali. Questo forma una sorta di architettura di base in cui si inseriscono le varie

misure d’intervento volte a guidare e a favorire il cambiamento.

In ambito manageriale le costellazioni sistemiche sono più efficaci se usate

ripetutamente. Gli esiti delle singole costellazioni possono essere ripresi in

costellazioni successive; è utile continuare a porsi la domanda: „quale cambia-

mento è stato (o non è stato) prodotto dalle misure adottate?” Confrontandosi

seriamente con gli esiti delle misure adottate, i manager possono trarre prezio-

se conclusioni sul funzionamento di quell’insieme di regole che costituiscono

cultura, struttura e strategia di un’azienda, e rendere più effettivo il manage-

ment of rules.

Le costellazioni sistemiche sono particolarmente utili laddove mettono in luce i

meccanismi che bloccano lo sviluppo. Spesso, infatti, le regole tecniche con le

quali la direzione cerca di guidare l’azienda si rivelano incoerenti e contraddit-

torie, oppure collidono con le regole di tipo grammaticale tipiche della specifica

cultura d’impresa, per cui può capitare che le resistenze blocchino quasi subito

ogni tentativo di cambiamento. Nella costellazione le persone coinvolte acqui-

stano una nuova comprensione del concetto di resistenza e, quel che più conta

per ogni manager, un nuovo approccio creativo alla soluzione dei blocchi: spes-

so si vede che gli ostacoli contengono preziose indicazioni di risorse latenti

inutilizzate.

6.1.6 Management Constellations: una pratica di intervento innovativa

Col suo ingresso in ambito manageriale, la costellazione si è trasformata in uno

strumento capace di mettere in moto la comunicazione tra i partecipanti su

circostanze fino a quel momento inafferrabili. La costellazione non ha qui più la

pretesa di risolvere il problema in un unico intervento, ma si lascia combinare

in maniera intelligente con altri strumenti per lo sviluppo d’impresa e acquista

una caratteristica decisiva: la trasparenza.

Page 105: Strut Ture

104

La Management Constellation è cambiata in base al nuovo scenario: si lavora

con le persone direttamente coinvolte; non più le loro relazioni di lavoro sono

al centro dell’attenzione, bensì gli aspetti problematici connessi alla divisione

del lavoro. La Management Constellation si inserisce in un contesto dialogico e

si integra con l’architettura del change management.

In questo contesto la costellazione ha perso parte della sua magia originaria, si

è lasciata alle spalle la forma di rituale di transizione. Tuttavia non è affatto

cambiata rispetto a un elemento: essa ci permette pur sempre di intuire le

dinamiche di fondo. Secondo le varie convinzioni filosofiche queste sono attri-

buite a un’istanza chiamata ad esempio: „anima” o „spirito” (Bert Hellinger),

oppure sono intese come predisposizione del nostro agire e chiamate „sapere

implicito”. L’intenzione della prassi costellativa è dunque rimasta la stessa,

quello che è cambiato è la prassi d’intervento, che ora risponde al nome di

Management Constellation.

6.2 Seminari „aperti”

All’inizio degli anni Novanta, Bert Hellinger applicò la costellazione a organizza-

zioni e aziende. Quasi contemporaneamente Matthias Varga von Kibéd e Insa

Sparrer stavano lavorando alla costellazione sistemica strutturale che „rappre-

senta l’ampliamento della prassi costellativa dal sistema famiglia ad altri conte-

sti” (Insa Sparrer, Matthias Varga von Kibéd in: Gunthard Weber, Praxis des

Familienstellens, 1998, p. 394).

Inizialmente tutti usavano il setting del seminario „aperto”. Di norma i seminari

sono aperti al pubblico e i partecipanti formulano richieste come ad esempio le

seguenti: „Perché ho poco riscontro (come superiore, come direttore del pro-

getto; come consulente…)? Perché nel mio gruppo sorgono ripetutamente

tensioni simili? Perché in una certa posizione i canditati reggono al massimo

qualche mese e si verifica un turn-over costante? Come posso liberarmi da

questo dilemma? Cosa m’impedisce di raggiungere i miei obiettivi?”

„Le esperienze migliori le abbiamo fatte con *…+ gruppi di 15-20 partecipanti

che provenivano dai più diversi settori produttivi e/o da aziende diverse, e che

non si conoscevano tra loro. In un simile contesto ognuno è protetto, è libero e

Page 106: Strut Ture

105

tutti si sentono alla pari. Tutti partecipano a un’ampia varietà di costellazioni e

dunque sperimentano anche un vasto spettro di soluzioni possibili. Per questi

*…+ seminari riteniamo ottimale una durata di 2-3 giorni” (Weber e Gross,

1998, p. 409).

In fase di sperimentazione delle costellazioni sistemiche organizzative, è acca-

duto ripetutamente che nel corso di una costellazione aziendale venissero alla

luce problemi personali. E varie volte ciò che era iniziato come costellazione

aziendale, finiva per diventare una costellazione famigliare. Evidentemente la

prassi costellativa può far emergere dinamiche che hanno le loro origini in altri

contesti. Matthias Varga von Kibéd e Insa Sparrer definiscono il fenomeno

come spostamento del livello strutturale. Lo stesso facilitatore può agevolare

consapevolmente un simile spostamento di Iivello quando decide di raccogliere

gli spunti offerti in tal senso dai rappresentanti. In questo modo può lavorare

efficacemente e a tutto vantaggio del cliente, ovviamente col suo assenso e in

un contesto adatto.

Riscontriamo il fenomeno dello spostamento di livello strutturale anche nella

normale comunicazione quotidiana durante la quale si può passare tranquilla-

mente da un tema all’altro. Ma qui disponiamo di strategie collaudate, utili a

far sì che argomenti sgraditi non vengano approfonditi. Queste strategie sono

meno efficaci nella rappresentazione scenica. Sta alla sensibilità e professiona-

lità del costellatore rispettare la volontà e la privacy del cliente.

La prassi costellativa ha messo in rilievo un aspetto interessante: il contesto

lavorativo invita a reiterare modelli comportamentali appresi nel corso del

processo di socializzazione, in particolare nella famiglia d’origine, modelli che

non sempre sono adeguati al contesto lavorativo: la persona pilotata dal pro-

gramma sbagliato adotta un comportamento disfunzionale senza rendersene

conto.

In un setting adeguato si possono analizzare parallelamente i due livelli, fami-

liare e lavorativo, per comprendere a fondo l’influenza di uno sull’altro. Per

esempio: il responsabile delle vendite riconosce che i suoi clienti lo devono

apprezzare come persona ma non devono per forza amarlo, giacché non po-

tranno supplire all’amore mancato dei genitori. Oppure: il giovane fisico di

talento sente di non dover più salvare dalla rovina il suo reparto, oggetto di un

Page 107: Strut Ture

106

intervento di ristrutturazione, ora riesce a differenziare la situazione attuale

dallo sforzo che gli era costato da ragazzo il tentare di tener unita la famiglia,

quando invece avrebbe avuto bisogno di un ambiente sicuro per la sua crescita.

Infine: la product manager brillante non deve più piacere per forza al „suo”

direttore generale, perché riesce finalmente a discernere tra il rapporto col suo

superiore e il rapporto col padre.

I seminari aperti non conoscono (quasi) limitazioni per quanto riguarda i temi

che si possono affrontare con profitto; è tuttavia compito del conduttore ri-

spettare la volontà del cliente e focalizzare gli aspetti indicati nella richiesta

iniziale.

6.3 Il setting individuale

La maggior parte delle annotazioni che abbiamo fatto, a proposito delle Mana-

gement Constellations e dei seminari aperti, valgono anche per il lavoro indivi-

duale con le costellazioni sistemiche. La differenza maggiore consiste nel modo

di rappresentare gli elementi del sistema; per tali modalità esiste una serie di

possibilità che esponiamo di seguito.

6.3.1 La pratica di costellazione al tavolo

Quando si tratta di inserire costellazioni sistemiche in un colloquio di coaching,

un aiuto ideale è rappresentato dalle frecce autoadesive Post-it® apposte su un

foglio formato A3. Il maggiore vantaggio consiste nel fatto che il cliente può

utilizzare uno strumento conosciuto. Nessuno si sente irritato se gli viene chie-

sto di annotare i nomi delle persone, o di altri elementi nominati durante il

colloquio, su un foglietto colorato. Questa tecnica offre anche altri vantaggi:

L’immagine rimane visibile sul tavolo durante l’intera durata del collo-

quio, ci si può ritornare in qualsiasi momento e simulare nuove varianti e

opzioni con semplici spostamenti.

È possibile conservare l’immagine iniziale, intermedia o risolutiva, foto-

copiandola o fotografandola e consegnandola direttamente al cliente alla

fine del colloquio.

Page 108: Strut Ture

107

Nel caso in cui la costellazione si basi su una griglia (come per esempio

nella costellazione della Farfalla, (vedi cap. 8.2.2), la si può semplicemente

tratteggiare sul foglio formato A3.

Al tavolo, si possono utilizzare anche oggetti che si trovano a portata di mano,

o anche determinate figure come: le figurine della Playmobil®, le pedine degli

scacchi, oppure figure appositamente create per esempio dalla casa editrice

Carl-Auer-Verlag e da altri. A differenza delle frecce Post-it®, bidimensionali, le

figure tridimensionali rendono più agevole per taluni clienti associare la figura

alla persona rappresentata e provare la risonanza corporea evocata dal posi-

zionamento all’interno del sistema rappresentato.

Quando si utilizzano gli oggetti che si trovano sul tavolo o nella stanza, questi

possono fungere da elemento di ‘ancoraggio’ che aiuta ad evocare facilmente

determinate immagini e stati d’animo anche dopo molto tempo.

6.3.2 La costellazione sul pavimento

Qualora le circostanze lo permettano, e specialmente nel caso di temi di una

certa complessità, è preferibile disporre gli elementi sul pavimento utilizzando

come rappresentanti, al posto di persone, dei segnaposto che vengono colloca-

ti in uno spazio delimitato e che possono essere dei fogli di carta, dei ritagli di

feltro o altro. S’invita il cliente a collocare i segnaposto sul pavimento nel punto

che ritiene più opportuno. In quest’azione il cliente è coinvolto con tutto il

corpo: deve alzarsi, spostarsi nello spazio e raggiungere il punto esatto in cui

vuole piazzare il segnaposto, può quindi sentire la risonanza corporea di quel

particolare posizionamento sistemandosi in piedi sui ritagli. L’effetto della

costellazione eseguita in questa forma è vissuto in maniera più intensa. In que-

sta modalità inoltre, per alcuni clienti, risulta più facile mettere in relazione tra

di loro i livelli cognitivo, emozionale e fisiologico dell’esperienza vissuta.

I cambiamenti nel corso del processo di costellazione possono avere un effetto

più duraturo quando sono esperiti con tutto il corpo piuttosto che con le mani

solamente. Ad alcune persone risulta inoltre più facile concentrarsi restando in

piedi e „conducendo” il segnaposto verso un determinato punto.

Page 109: Strut Ture

108

Una volta instaurato un buon contatto e un rapporto di fiducia, i clienti del

coaching accettano senz’altro di partecipare all’esperimento. Essi vengono

invitati a rappresentare l’immagine interiore che hanno dei rapporti tra gli

elementi del sistema, precedentemente identificati. Il coach può posizionarsi a

sua volta sui diversi punti segnati comunicando apertamente le sue percezioni

corporee, le emozioni, i pensieri e gli impulsi motori. Dopodiché invita il cliente

a mettersi al suo posto nelle diverse posizioni rappresentate. A questo punto si

possono iniziare a testare gli effetti degli spostamenti. È utile chiedere prima al

cliente quali spostamenti vorrebbe attuare e fare attenzione che sia lui stesso a

fare il primo passo.

Per evitare salti troppo frequenti dal ruolo di coach a quello di rappresentante,

rischiando di confondere il cliente, si può sondare il rapporto con i singoli ele-

menti mediante la cosiddetta „mano catalettica”. Con questa tecnica, sviluppa-

ta da Matthias Varga von Kibéd e Insa Sparrer, un elemento del sistema è rap-

presentato dalla mano del coach alzata ad altezza del volto (vedi oltre cap. 7.6).

Se il cliente è opportunamente concentrato, o già esperto di costellazioni, sarà

in grado di sperimentare anche le posizioni di altri rappresentanti; ciò può

essergli utile per comprendere meglio le rispettive collocazioni. Durante questo

processo bisogna fare attenzione che il cliente non si stanchi o non si confonda

per un eccesso di sperimentazioni e di spostamenti.

Page 110: Strut Ture

109

7 Il decorso della costellazione sistemica

Nel presente capitolo descriviamo i vari passi secondo cui una costellazione

procede e offriamo diversi suggerimenti per le singole sequenze che riteniamo

possano tornare utili al facilitatore.

7.1 Il ruolo del facilitatore

Un atteggiamento rispettoso verso il team, trasparenza nell’impiego dei metodi

e chiarezza rispetto all’obiettivo concordato sono i presupposti per il successo

del processo co-creativo della Management Constellation. È inoltre consigliabi-

le trovare un giusto equilibro tra la massima neutralità possibile per quanto

concerne i contenuti e la massima presenza possibile nella gestione del proces-

so, prestando attenzione a cogliere tutto ciò che si verifica sul momento. In

generale, per il facilitatore, valgono le massime: reggi la tensione che deriva dal

„non-sapere” e fai attenzione a quello che risuona attraverso la costellazione;

non avere fretta d’imporre la tua lettura delle immagini emerse; sii sempre

pronto a rivedere le tue ipotesi in base all’evidenza!

Questo non significa che il facilitatore non debba avere alcuna conoscenza

delle tematiche concrete che impegnano il team, anzi, è importante che sia

sufficientemente informato sui concetti manageriali cui fanno riferimento i

suoi clienti.

L’efficacia di una consulenza aumenta se il facilitatore dispone di un ampio

repertorio di metodi: le tecniche d’intervento standard si usurano presto e il

voler fare proselitismo per una metodologia „miracolosa” scatena subito un

(sano) scetticismo.

7.2 Formulare la domanda

Il primo passo di una costellazione sistemica consiste nel formulare con chia-

rezza la domanda per la quale si dovrà trovare una risposta. Per fare questo

bisogna determinare:

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110

qual è il problema o l’argomento che si vuole elaborare nel corso della

costellazione,

per chi è rilevante la questione,

quali conseguenze si aspettano dalla soluzione del problema.

Tanto più la domanda iniziale sarà formulata in maniera concreta e precisa,

tanto più chiara sarà la risposta. Tuttavia anche domande volutamente generi-

che possono essere efficaci se l’obiettivo è quello di avviare un processo di

esplorazione che porti a nuove prospettive e visioni. L’intenzione dev’essere

però comunicata chiaramente per non creare false aspettative.

In una Management Constellation l’argomento trattato riguarda solitamente

l’intero team presente, anche quando viene esposto esplicitamente da una sola

persona. Il consulente deve accertarsi di essere autorizzato dal gruppo, e in

particolare dal capo, a trattare l’argomento formulato.

7.3 Determinare gli elementi da costellare

La scelta degli elementi da costellare è l’intervento più importante compiuto

dal facilitatore. Partiamo dal presupposto che le linee di un processo di ap-

prendimento vengano tracciate non già nella costellazione ma nelle due se-

quenze immediatamente precedenti la costellazione stessa. Dipende in manie-

ra decisiva dalla focalizzazione se la costellazione sarà utilizzata, ad esempio,

per confermare una strategia prescelta (p. es. „Come possiamo rafforzare la

cooperazione con i partner d’alleanza?”), o per riflettere in maniera critica sui

presupposti della decisione (p. es. „Abbiamo gli stessi interessi dei nostri part-

ner d’alleanza?”). Già solo per questi motivi vale la pena di investire abbastan-

za tempo in questa fase.

Il facilitatore determina insieme al cliente quali sono le caratteristiche che de-

scrivono più adeguatamente una certa situazione. In questo modo si escludono

inevitabilmente altre possibili chiavi di lettura, a queste può talvolta essere

necessario ritornare se la via prescelta non conduce ad una soluzione soddisfa-

cente. Il risultato di questa prima scelta è comunque una serie di variabili che

Page 112: Strut Ture

111

interagiscono tra di loro; le interdipendenze tra queste variabili emergeranno

successivamente nella costellazione.

La scelta degli elementi è il risultato di un processo iterativo. Partendo da una

domanda – sempre modificabile in seguito – ad esempio: „Come possiamo

aumentare il ritmo delle innovazioni?” - si svolgeranno i seguenti passaggi:

Determinare la prospettiva di osservazione: „Chi ha l’interesse primario alla

soluzione del problema? – Il direttore del reparto sviluppo interessato a

nuove tecnologie, oppure il product manager che vuole conquistare un

nuovo segmento di mercato?”

Scegliere il segmento di sistema da rappresentare: „Quali variabili includia-

mo nella rappresentazione del problema? – I reparti sviluppo e marketing

oppure i clienti e gli altri reparti dell’impresa?”

Scegliere il livello di focalizzazione: „A quali aspetti delle interazioni pre-

stiamo attenzione? –All’affiatamento tra gli attori che partecipano al pro-

cesso d’innovazione oppure all’influenza della cultura, struttura e strategia

dell’impresa?”

Determinare lo schema interpretativo: „Quale mappa causale, quale serie di

variabili ci permettono di spiegare i fenomeni osservati? – L’organigramma

dell’impresa e il modello di management di S. Gallo oppure il modello del

triangolo delle risorse?”

Le costellazioni sistemiche in ambito manageriale contengono sempre i se-

guenti elementi:

il focus, ossia la funzione o il settore d’impresa dal cui punto di vista si

osserva il tema;

un compito, un incarico o un obiettivo;

diversi attori, ossia funzioni, gruppi o settori d’impresa coinvolti che agi-

scono e/o subiscono la situazione;

Page 113: Strut Ture

112

fattori di contesto rilevanti interni (valori, strategie, ecc.) e/o esterni (leggi,

congiuntura di mercato, ecc.);

a volte anche opzioni di scelta (es. joint venture o fusione).

Un significato particolare attiene alla definizione del focus. Di norma la Mana-

gement Constellation lavora con un unico focus che rappresenta la prospettiva

dell’intero team, il cosiddetto „team-focus”. In presenza di interessi fortemen-

te discordanti si possono costellare due o più focus relativi alle diverse prospet-

tive.

È importante mantenere possibilmente ristretto e controllabile il numero degli

elementi. Se però il facilitatore intuisce che manca un elemento importante,

può aggiungere un rappresentante per „qualcos’altro, che potrebbe avere una

rilevanza”. Questo può avvenire sia all’inizio che nel corso della costellazione.

Nel definire gli elementi è consigliabile utilizzare gli stessi concetti usati dai

partecipanti durante la descrizione della situazione. In presenza di concetti con

una valenza negativa, il facilitatore dovrebbe proporre un’alternativa neutrale,

per facilitare il reframing (ri-contestualizzazione) nel corso della costellazione.

Quando si lavora in gruppi numerosi, è utile chiarire la domanda e scegliere gli

elementi solo con una parte del gruppo, per esempio facendo ricorso al setting

del „Fish Bowl”.

7.4 Scegliere e mettere in scena i rappresentanti

Nelle Management Constellations, ovvero nel team-setting, il team può incari-

care uno dei suoi membri di scegliere i rappresentanti e di posizionarli nello

spazio. Il membro del team così designato mette in scena i rappresentanti per

conto dell’intero gruppo. Qualora vi fossero schieramenti diversi si consiglia di

far scegliere al team due o anche tre membri che andranno a mettere in scena

congiuntamente gli elementi. I colleghi così delegati dal gruppo scelgono i rap-

presentanti di comune accordo. Dopodiché si mettono in due, o in tre, dietro al

rappresentante prescelto e, senza comunicare verbalmente tra loro, lo condu-

cono verso un punto che ritengono adeguato.

Page 114: Strut Ture

113

È preferibile scegliere come rappresentanti persone che non svolgono

nell’azienda la funzione che andranno a impersonare: pertanto, il responsabile

marketing non dovrebbe essere scelto per rappresentare il marketing-mix.

Questo per evitare commistioni inutili; inoltre può essere molto stimolante se

per una volta il controller rappresenta la prospettiva del marketing-mix .

Nelle Management Constellations si è dimostrato molto valido un altro modo

di procedere: si chiede a ciascun membro del team di scegliere un elemento

che desiderano rappresentare. In seguito ciascun rappresentante trova auto-

nomamente la propria collocazione sulla scena in base alla sua immagine inte-

riore; ciò può avvenire simultaneamente o in successione. Questo modo di

procedere rispecchia la normale prassi della discussione verbale dove ciascun

interlocutore prende posizione per l’argomento che gli sta più a cuore.

Un’altra possibilità è quella di posizionare sul pavimento dei segnaposto (fogli

di carta opportunamente marcati o pezzi di feltro colorato) per i vari elementi e

invitare i partecipanti a collocarsi sul segnaposto da cui si sentono particolar-

mente attratti. Questa tecnica si può scegliere anche quando non ci sono a

disposizione abbastanza persone per rappresentare tutti gli elementi.

Se un sistema da costellare presenta troppi elementi, questi possono essere

posizionati in fasi successive. Il facilitatore invita una prima parte di rappresen-

tanti (presecelti) a collocarsi, quindi li interroga e possibilmente attua un primo

aggiustamento; dopodiché lascia che si aggiungano altri rappresentanti. Grazie

a questo procedimento è più facile per tutti mantenere un buon controllo della

situazione.

Per ridurre la complessità della costellazione, è anche possibile non collocare in

scena tutti i rappresentanti ma chiedere ad alcuni di partecipare alla dinamica

dal margine della scena. Questi vengono interrogati di tanto in tanto ed even-

tualmente aggiunti alla costellazione in un secondo momento.

7.5 Interpretare la costellazione

Nel corso della costellazione l’attenzione del facilitatore è rivolta contempora-

neamente a diversi aspetti per cogliere in maniera possibilmente completa la

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114

qualità e la dinamica della rappresentazione. In particolare egli presta atten-

zione alle seguenti circostanze:

geometrie tipiche della costellazione e il loro effetto sui rappresentanti;

impulsi motori sentiti dai rappresentanti;

la risonanza corporea che si traduce in emozioni e sensazioni fisiche dei

rappresentanti;

la sua propria risonanza corporea in diversi punti della costellazione;

intuizioni espresse dai rappresentanti o anche da osservatori esterni.

In base alla sua interpretazione della costellazione, il facilitatore formula conti-

nuamente ipotesi per spiegare le dinamiche che si rendono manifeste nel si-

stema rappresentato in seguito alle reazioni dei rappresentanti. La tabella n. 1,

che si basa sulle esperienze raccolte da vari costellatori, offre un supporto per

interpretare i modelli relazionali tipici tra due rappresentanti.

Lo schema riportato non vuole avere un carattere normativo ma semplicemen-

te aiutare il facilitatore a formulare le sue ipotesi. In ogni caso, le sensazioni

espresse dai rappresentanti in base alla risonanza corporea rimangono la cosa

più importante per la lettura della costellazione.

Le ipotesi guidano il facilitatore nei suoi interventi. Per rendere comprensibili

gli interventi ai partecipanti del workshop è utile dichiararle apertamente e

invitare i partecipanti a esporre a loro volta le proprie impressioni e idee.

La struttura delle immagini interiori pare seguire una certa logica che si riflette

nelle posizioni relative dei rappresentanti. Così, per esempio, il rappresentante

della direzione si colloca a destra del rappresentante di un reparto operativo

mentre una risorsa importante sta alle spalle del attore che ne trae profitto. La

grafica n. 9 descrive alcune tipiche possibilità d’interpretazione delle posizioni

dei rappresentanti.

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115

Tabella n. 1: Il significato dell’angolazione e del posizionamento nella costella-

zione (secondo le indicazioni di Bert Hellinger e Gunthard Weber come anche

di Matthias Varga von Kibéd e Insa Sparrer, 2000, p. 171 ss.)

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116

Grafica n. 9: Raffigurazione della logica delle posizioni relative

A seconda che si tratti di un rapporto tra il focus e un attore o tra il focus e un

valore oppure una risorsa, sono possibili le seguenti interpretazioni

Tab. N. 2: Possibili letture delle posizioni (secondo indicazioni di Bert Hellinger

e Gunthard Weber, Matthias Varga von Kibéd e Insa Sparrer)

Page 118: Strut Ture

117

7.6 Interventi

Con i suoi interventi il facilitatore cerca di far emergere nuove possibilità

d’azione per i suoi clienti; le seguenti sono le modalità più usate:

Interrogare i rappresentanti sulla loro risonanza corporea per ricavarne

indicazioni sulle dinamiche che emergono dalla struttura relazionale.

Modificare la costellazione per permettere al maggior numero possibile di

rappresentanti di migliorare i loro rapporti con gli altri elementi del siste-

ma. Laddove fosse necessario, introdurre rappresentanti per nuovi ele-

menti.

Invitare i rappresentanti ad assecondare i loro impulsi motori e a speri-

mentare nuovi posizionamenti.

Simulare e testare posizioni alternative per far sperimentare differenze

rilevanti.

Suggerire ai rappresentanti di pronunciare frasi rituali che esprimano la

qualità di una situazione. Per esempio: „Non vedo il senso di tutto questo”

oppure „Riconosco il tuo contributo all’azienda”.

Secondo la propria esperienza ciascun facilitatore sviluppa un proprio stile

d’intervento. Di seguito ci limitiamo a segnalare qualche suggerimento che si è

rivelato particolarmente utile nella pratica.

In un contesto aziendale è indicato avviare il cambiamento partendo dalla

posizione del focus, in accordo col fatto che anche nella realtà il cliente dovrà

prendersi la responsabilità di muovere il primo passo per indurre un cambia-

mento. Per sottolineare che la costellazione è un processo co-creativo che

coinvolge tutti i membri del team, si può chiedere anche alle persone non posi-

zionate nella costellazione di suggerire possibili primi passi.

Un intervento importante è quello che serve a separare elementi sovrapposti o

confusi. Se il facilitatore pensa di trovarsi di fronte ad un equivoco, può usare la

tecnica della „mano catalettica”, sviluppata da Insa Sparrer e Matthias Varga

von Kibéd, per separare gli aspetti sovrapposti. Si tiene una mano davanti o

dietro alla testa del rappresentante con cui il focus sente una relazione pro-

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118

blematica, la si sposta quindi lentamente di lato spiegando questo gesto con

parole come: „Forse siamo di fronte ad un equivoco e lei sta confondendo

l’elemento che le sta di fronte con qualcos’altro che è rappresentato dalla mia

mano. Ora stacco, gradualmente questo aspetto dall’elemento con il quale è

confuso o sovrapposto. Adesso che lei può distinguere l’elemento rappresenta-

to dalla mia mano da quello rappresentato dal suo collega, qualcosa cambia?”

Se rappresentante e focus avvertono una sensazione di sollievo, è segno che

c’era stata una commistione o uno scambio; a quel punto per quel aspetto si

sceglie e si mette in scena un nuovo rappresentante.

La tecnica della „mano catalettica” è utile anche nel caso in cui il facilitatore

suppone che manchi un elemento importante nella costellazione, ciò può esse-

re testato con la mano catalettica prima di introdurre in scena un rappresen-

tante per questo elemento.

Per chiarire la natura di un rapporto conflittuale inspiegabile tra due rappre-

sentanti, può essere utile farli scambiare di posto. Esperendo la situazione dalla

prospettiva dell’altro, si ricavano spesso preziose indicazioni sulla natura del

conflitto.

Un'altra tecnica per separare elementi sovrapposti è il „rituale di restituzione”.

Consiste nel restituire un peso di cui ci si è fatti carico servendosi di un simbolo.

Al rappresentante „gravato” viene consegnato un oggetto pesante che lui resti-

tuirà al rappresentante dal cui retaggio il gravame proviene. Per esempio:

l’impresa che subentra a una ditta fallita potrebbe restituire la responsabilità

del fallimento all’impresa originaria qualora, nella costellazione, emergessero

segnali che i manager della nuova ditta si sentono gravati da una colpa che non

appartiene loro.

7.7 Conclusione

La decisione di terminare la costellazione e di approfondire gli aspetti emersi

nel corso di uno scambio dialogico è a discrezione del facilitatore. Generalmen-

te il quadro iniziale di una costellazione offre già una vasta serie d’informazioni

e i primi passi sono fondamentali per condurre il sistema fuori da una situazio-

ne di stallo. Siccome ogni cambiamento successivo della costellazione compor-

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119

ta anche un allontanamento dalla realtà attuale verso un’ipotetica situazione

futura, non crediamo sia sempre utile insistere troppo nel ricercare la soluzione

perfetta. Una costellazione non può che rappresentare uno dei tantissimi

aspetti della realtà e, anche nel caso in cui si trovasse LA costellazione ottimale,

ciò non garantisce che questa sia funzionale nell’applicazione pratica.

Si è rivelato molto utile contrassegnare la costellazione risolutiva con dei se-

gnaposto e permettere quindi a tutti i membri di un team di percepirla dalle

varie prospettive, collocandosi nelle diverse posizioni.

Come abbiamo già ricordato alcune volte, al termine di una costellazione si

raccolgono le impressioni emerse e si condensano nell’ambito di un dialogo.

Esso permette di tradurre le impressioni dal livello „percettivo-sensoriale” al

livello verbale. Parallelamente le singole riflessioni individuali si concretizzano

e, confluendo, creano una visione d’insieme carica di significato: in questo

modo nasce un indirizzo comune. Il facilitatore partecipa attivamente al dialo-

go apportando la sua esperienza nella „lettura” della costellazione.

In base a quest’immagine condivisa si definiscono gli interventi utili per imple-

mentare la soluzione nella realtà aziendale. Ciò può avvenire in piccoli gruppi

oppure in un gruppo allargato, utilizzando per esempio il metodo del „World

Café” (Juanita Brown) o dell’„Open Space” (Harrison Owen); tali tecniche

d’intervento sono esposte in maniera più dettagliata nel capitolo 8.

Page 121: Strut Ture

120

8 Schemi interpretativi e relativi formati di costellazione

Come abbiamo appena visto, la messa in scena di una costellazione è sempre

preceduta dalla scelta consapevole del segmento di sistema che deve essere

osservato e della prospettiva d’osservazione. Per operare questa scelta si ricor-

re necessariamente, anche se non sempre consapevolmente, ad uno schema

interpretativo che guida il processo di ricerca come una sorta di mappa che

riporti i confini, gli elementi e le caratteristiche rilevanti ai fini

dell’individuazione di una soluzione. Durante tutta la costellazione, e anche

nella fase successiva, tale schema interpretativo funge da „navigatore”.

Ogni facilitatore sceglie dal suo repertorio di teorie ed esperienze una sequen-

za di variabili collegate tra loro che appaiono adatte alla situazione da analizza-

re. Specialmente in un contesto manageriale, riteniamo importante che il facili-

tatore sia consapevole delle proprie ipotesi e che, all’occorrenza, sappia anche

esplicitarle. Le ipotesi e lo schema interpretativo rappresentano la base per la

comunicazione tra facilitatore e manager quando si tratta di interpretare la

costellazione e dedurne le varie opzioni per le azioni possibili. Se da una parte

lo schema interpretativo prescelto dev’essere comprensibile per i manager,

dall’altra, per far emergere nuove soluzioni, deve lasciare spazio anche a nuove

prospettive e contenere qualche elemento di novità rispetto agli schemi comu-

nemente utilizzati.

Per „formato” di costellazione intendiamo la „ricetta” o „scaletta” per mettere

in scena un determinato schema interpretativo. Il formato stabilisce il „ cosa”,

ovvero gli elementi da inserire nella costellazione, e talvolta anche il „come”,

ovvero la procedura da adottare. Di seguito presentiamo una scelta di schemi

interpretativi con i relativi formati di costellazione che si sono dimostrati parti-

colarmente validi nella nostra prassi.

A questo punto vogliamo accennare a un’osservazione che abbiamo fatto ripe-

tutamente con gruppi di formazione e di “inter-visione” (supervisione tra pari):

alcuni facilitatori si affezionano un po’ troppo a certi formati usandoli in manie-

ra dogmatica. Pertanto invitiamo i nostri lettori a mantenere un atteggiamento

flessibile nei confronti dei formati. Infatti, per individuare una buona soluzione,

Page 122: Strut Ture

121

è preferibile confidare sulla propria intuizione e seguire il flusso degli eventi

piuttosto che assecondare rigidamente uno schema predefinito.

Per una migliore visione d’insieme raggruppiamo gli schemi interpretativi e i

formati in tre ambiti tematici:

Management e leadership

Strategie e innovazione

Problem solving e processo decisionale

Per offrire un’idea del ventaglio di tecniche che si potrebbero impiegare nel

corso di una costellazione, descriviamo in maniera particolareggiata situazioni

derivanti dalla nostra prassi d’intervento. Anche in questo caso vale quanto già

detto: non il metodo è in primo piano, bensì la capacità di entrare in risonanza

con ciò che emerge dalla costellazione. Il facilitatore dovrebbe aiutare i rappre-

sentanti a mantenere l’attenzione rivolta alle proprie sensazioni corporee e allo

spazio circostante, senza cadere nella tentazione di ritornare precocemente

verso il pensiero critico e razionale. L’attimo dell’ascolto introspettivo è centra-

le nel processo costellativo: dal silenzio e dall’attesa immobile emergono le

soluzioni veramente innovative e sostenibili.

8.1 Management e leadership

Molte tematiche manageriali riguardano l’interazione tra le singole unità fun-

zionali (reparti, team, organi direttivi, settori commerciali ecc.) in relazione a

un determinato obiettivo. Per questo tipo di questioni presentiamo quattro

schemi interpretativi con i relativi formati.

Quando si applica un modello bisogna anche ricordare che una costellazione

sistemica, così come ogni altra analisi, coglie sempre solo uno specifico aspetto

della realtà aziendale senza comprendere l’azienda in tutta la sua complessità.

L’esito di una costellazione non è pertanto da intendere come verità assoluta;

esso rappresenta solo la base per le ipotesi che servono a programmare gli

interventi necessari.

Page 123: Strut Ture

122

La costellazione può modificare l’idea che un manager si è fatto di un determi-

nato aspetto - determinando tutt’al più un cambiamento del suo atteggiamen-

to nei confronti di tale aspetto - ma le circostanze di per sé, quali che siano,

non cambiano in seguito alla costellazione. Gli interventi suggeriti dalla costel-

lazione devono essere tradotti dai diretti interessati in misure concrete per lo

sviluppo e la gestione della situazione reale; è necessario insistere particolar-

mente proprio su questo passaggio: la prassi della costellazione non sostituisce

l’azione individuale. Essa offre „unicamente” i criteri che stanno alla base di

tale agire.

8.1.1 Il modello di management di San Gallo

Il Modello di Management di San Gallo offre una descrizione differenziata ed

esplicativa del mix tra i principi d’ordinamento di un’azienda. Inoltre mette in

evidenza l’interdipendenza tra i principi d’ordine e le routine dei singoli proces-

si. (grafico 10)

Grafica 10: Modello di management di San Gallo

Page 124: Strut Ture

123

Il modello indica inoltre gli stakeholder (sostenitori) più importanti per

un’impresa, questi sono: i collaboratori, i clienti, i fornitori e i finanziatori. In

base al tema trattato è possibile attuare ulteriori distinzioni all’interno dei

gruppi indicati. Ad esempio, nel caso dei collaboratori, si può distinguere tra

funzioni direttive e operative, oppure tra collaboratori della distribuzione e

quelli della produzione o ancora tra collaboratori coinvolti in un progetto o

collaboratori con precise funzioni di linea ecc.

Inoltre il modello distingue diversi livelli all’interno dei processi: i processi di

business, i processi di management e i processi di supporto. In questo modo, ai

fini della costellazione, è possibile elaborare più concretamente le interrelazio-

ni tra i singoli compiti e le persone o i gruppi coinvolti. Quando un compito non

resta nel vago ma è definito per esempio come „sviluppo prodotti” oppure

„gestione delle commesse”, le parti coinvolte sono più facili da identificare ed

eventualmente da rappresentare all’interno della costellazione.

Inoltre il modello di San Gallo distingue tra attività che stabilizzano il sistema e

attività che lo modificano; questa distinzione serve specialmente quando si

vuole analizzare quali fattori di un progetto hanno un effetto stabilizzante e

quali invece un effetto innovativo.

Applicando questo modello, le risposte che emergono dalle costellazioni pos-

sono essere lette a livello normativo, strategico od operativo; in questo modo

si possono trarre conclusioni sull’effettiva portata di una determinata soluzione

ed è possibile avviare gli interventi programmati al giusto livello e in misura

adeguata.

Per attuare soluzioni a livello operativo, per esempio, è sufficiente un interven-

to di change management più limitato rispetto a quello che servirebbe a livello

strategico: per risolvere un problema operativo a volte basta anche solo un

impulso emerso da una singola costellazione. Invece, nel caso di un riorienta-

mento strategico, è necessario elaborare un progetto di project e change ma-

nagement più articolato.

Nelle costellazioni si può inoltre osservare con una certa frequenza come i

problemi che si manifestano a un determinato livello affondino le loro radici in

questioni rimaste irrisolte a un livello superiore. In un caso concreto le difficol-

Page 125: Strut Ture

124

tà nella scelta strategica erano dovute alle discrepanze a livello normativo: i

conflitti esistenti tra consiglio di amministrazione e presidenza riguardo alla

Corporate Governance, ai valori fondanti e alla mission, avevano impedito di

definire un chiaro posizionamento strategico dell’impresa sui mercati interna-

zionali.

Il modello di San Gallo può essere utilizzato anche come base per il formati

della „costellazione organizzativa” che analizza l’effetto della struttura organiz-

zativa sui processi aziendali e che generalmente si impiega per questioni come,

ad esempio:

Come si posizionano le funzioni rispetto all’obiettivo o all’incarico?

Com’è distribuito il potere tra le funzioni?

Tra quali funzioni sono in atto eventuali conflitti?

Quali funzioni sono escluse?

Che genere di aiuto ricevono le funzioni operative dalle funzioni manageriali

o di supporto?

Gli elementi tipici di questo formato sono:

1. Un incarico o una mansione con i relativi obiettivi.

2. Le funzioni con incarico formale o comunque coinvolte a vari livelli.

3. Ulteriori parti in causa coinvolte (stakeholder).

4. Fattori rilevanti di contesto come per esempio la strategia o determinati

valori.

Per identificare i singoli elementi da rappresentare nella costellazione può

essere utile riportare l’organigramma aziendale su una lavagna a fogli mobili.

Nell’utilizzo di questo formato bisogna evitare che l’attenzione scivoli verso gli

aspetti personali del rapporto tra i detentori delle varie funzioni, cercando di

mantenerla ferma sugli aspetti strutturali del rapporto tra le funzioni.

Un esempio:

Il direttore del reparto odontotecnico di una grossa impresa di produzione

lamentava resistenze nella messa in atto della nuova strategia. Nel corso di un

workshop con l’amministratore delegato (CEO), il team direzionale della divi-

sione e il responsabile per l’organizzazione e lo sviluppo del personale decisero

Page 126: Strut Ture

125

di cercare una soluzione mediante una costellazione sistemica. La costellazione

produsse il seguente quadro:

fig. 4: Attuazione di una nuova strategia – quadro iniziale

Str: Strategia CDA: Consiglio d’amministrazione DG: Direzione generale DBU: Direzione della divisione

PR: Produzione DI: Distribuzione SC: Servizio clienti AM: Amministrazione

La direzione della divisione (DBU) é rivolta verso la direzione generale (DG) che

ha elaborato e vuole mettere in atto la nuova strategia (Str), perdendo così di

vista gli attuali accadimenti nel proprio settore. Tra la distribuzione (DI) e il

servizio clienti (SC) è in atto un conflitto, mentre la produzione (PR) attende

con crescente irritazione che la direzione della divisione si occupi finalmente

dei gravi problemi operativi che ne derivano. L’amministrazione (AM) si man-

tiene a distanza e in posizione di attesa.

Page 127: Strut Ture

126

Il dilemma in cui si dibatte la direzione della divisione è evidente: come può

soddisfare le aspettative della direzione generale e allo stesso tempo sostenere

i propri collaboratori?

fig 5: Attuazione di una nuova strategia

Str: Strategia CDA: Consiglio d’amministrazione DG: Direzione generale DBU: Direzione della divisione

PR: Produzione DI: Distributori SC: Servizio clienti AM: Amministrazione

Il primo passo della direzione della divisione verso una soluzione è stato quello,

non facile, di esporre i propri dubbi sulla nuova strategia d’innanzi alla direzio-

ne generale e al CDA. Abbiamo quindi concordato di trattare l’argomento in un

workshop con i primi due livelli direttivo. In questo modo la direzione della

divisione ha conquistato il rispetto dei suoi collaboratori e ha potuto coinvol-

gerli in una discussione costruttiva sulla graduale attuazione della strategia.

Page 128: Strut Ture

127

8.1.2 Il modello Epidauros

Nel corso della loro attività di consulenza, Henriette K. Lingg e Georg Senoner

hanno potuto osservare come spesso le discussioni andassero a vuoto. L’ampio

spettro di risposte alla domanda: „In effetti di cosa stiamo parlando?” lasciava

intendere che le parti coinvolte nella discussione partivano da premesse diver-

se e sconosciute agli altri.

Queste premesse implicite si trovano in genere a sei livelli diversi:

La narrazione e interpretazione della storia dell’azienda

La percezione del sistema e del suo ambiente

La visione dello scopo dell’impresa

I valori e le regole fondanti

I processi aziendali e le strutture organizzative

Gli obiettivi e le azioni prioritarie

Grafica 11: Modello Epidauros

Page 129: Strut Ture

128

Abbiamo sviluppato un modello e un processo per esplicitare le premesse im-

plicite nelle mappe mentali dei manager: passando in rassegna i sei livelli del

modello emergono le incongruenze presenti nella strategia, struttura e cultura

dell’azienda.

Elenchiamo di seguito una sintesi delle domande utilizzate per esplorare i prin-

cipi di orientamento.

Storia

Intenti: Riconoscere le prestazioni delle singole persone. Riconoscere i modelli

comportamentali e considerare i loro effetti. Ricapitolare le fasi più importanti

della storia dell’azienda fino all’oggi.

Domande: Quali passi ci hanno condotto fino a qui? Quali sono state le espe-

rienze collettive e quali quelle personali? Quali sono le fonti che ci hanno ispi-

rato e quali le nostre radici?

Sistema/Ambiente

Intenti: Identificare gli attori rilevanti all’interno e all’esterno del sistema. Defi-

nire i confini del sistema. Mostrare i campi d’azione dell’azienda e le condizioni

ambientali.

Domande: Chi fa parte del sistema? I confini sono chiari? Da dove vengono le

nostre risorse? Quali sono le condizioni giuridiche, sociali ed economiche? Con

chi siamo in relazione? Chi sono i nostri clienti e fornitori?

Visione, missione e scopo

Intenti: Progettare una visione futura collettiva. Mostrare idee diverse e met-

terle in accordo tra loro.

Domande: Quali effetti vogliamo ottenere? Come si integrano le idee dei singoli

in un quadro complessivo? Come appare la nostra visione dalla prospettiva dei

vari stakeholder? Da dove vengono la nostra motivazione e la nostra forza?

Page 130: Strut Ture

129

Valori e regole fondanti

Intenti: Elaborare le regole come linee guida per l’azione.

Domande: In base a quali comportamenti, atteggiamenti e risultati ci distin-

guono? Quali sono i valori, le regole e i limiti che determinano la nostra identi-

tà?

Processi e struttura

Intenti: Progettare procedure efficaci ed efficienti. Definire responsabilità e

mansioni coerenti con i processi. Concordare le procedure decisionali.

Domande: Quali sono i processi essenziali per la realizzazione della nostra vi-

sione? Quali strutture sono necessarie per guidare questi processi? Quali com-

piti vengono delegati e a quali persone od organi? La struttura è idonea per

mettere in atto i nostri valori e la nostra visione?

Obiettivi e azioni prioritarie

Intenti: Progettare i passi attuativi e il feedback. Stabilire le priorità.

Domande: Quali attività sono necessarie? In quale ordine di priorità? In base a

cosa si vedono i risultati?

Applicazione

Da un lato, all’inizio di un processo più ampio, il modello funge da mappa per

chiarire i temi chiave. Esso include tutti i livelli importanti per lo sviluppo, il

modellamento e la gestione di un’organizzazione. Dall’altro, il modello indica la

sequenza logica dei passi da compiere per allineare strategia, struttura e cultu-

ra. Per esempio: prima di decidere a favore di una determinata strategia è utile

tematizzare eventuali punti di rottura nella storia dello sviluppo dell’azienda.

Il modello si presta molto bene per costellazioni a scopo diagnostico. Si metto-

no in scena il focus (ad esempio: i vertici aziendali, il team progettuale) e un

rappresentante per ognuno dei sei livelli del modello. Dalla costellazione emer-

Page 131: Strut Ture

130

ge chiaramente a quale livello sono presenti questioni irrisolte. Queste posso-

no essere affrontate successivamente in un’ulteriore costellazione specifica o

utilizzando altri strumenti.

L’Ill. 6 mostra la costellazione di un team appartenente al reparto di formazio-

ne del personale di un associazione professionale. Il clima di lavoro all’interno

del reparto si era deteriorato e i collaboratori si sentivano oberati. Il capo re-

parto era deciso ad ottimizzare ulteriormente i processi lavorativi. Il consulente

riuscì a convincerlo di verificare mediante un workshop, condotto secondo il

modello Epidauros, a quale livello avrebbe dovuto iniziare con l’ottimizzazione.

fig. 6: Clima di lavoro nel reparto di formazione del personale

FP: Reparto formazione del personale St: Storia Am: Ambiente

Vi: Vision Va: Valori PS: Processi/Strutture Ob: Obiettivi

Page 132: Strut Ture

131

Dalla costellazione emerse chiaramente che il team era talmente concentrato a

rispettare i processi interni che aveva perso il contatto con l’ambiente circo-

stante, ovvero con i membri dell’associazione professionale e le loro aspettati-

ve nei confronti della formazione, non ricevendo in tal modo più alcun ricono-

scimento dall’esterno. In sostanza era questa la causa per il calo di motivazio-

ne.

La domanda per individuare la soluzione del problema non era dunque: „Come

possiamo configurare i nostri processi lavorativi in maniera sempre più efficien-

te?”, bensì: „Come possiamo ristabilire un dialogo costruttivo con i membri

dell’associazione?”

8.1.3 Il triangolo dei valori e delle risorse

Ogni qualvolta si tratta di verificare quali risorse debbano essere attivate e

impiegate in una determinata circostanza, oppure quali valori debbano deter-

minare un preciso comportamento all’interno di un team o di un’azienda, il

„triangolo dei valori e delle risorse”, come lo abbiamo denominato, è un ausilio

di grande utilità. Fa riferimento al concetto delle „polarità delle credenze”,

sviluppato da Matthias Varga von Kibéd e Insa Sparrer, secondo cui in ogni

cultura sono rappresentati in misura diversa tre aspetti fondamentali: la cono-

scenza, la fiducia, l’ordine.

Mediante questi tre aspetti è altresì possibile riassumere nel suo insieme il

sistema valoriale di un individuo o di un’organizzazione. Ogni singolo valore

risulta dalla determinata combinazione dei tre aspetti che corrispondono alle

tre modalità essenziali dell’esistenza umana, ovvero il pensiero, la relazione e

l’azione. Una quarta modalità, che va a completare le prime tre, potremmo

definirla la „saggezza”.

Alle prime tre modalità possiamo abbinare rispettivamente gli aspetti della

„conoscenza”, della „fiducia” e dell’„ordine” insieme ad altri concetti equipol-

lenti:

Page 133: Strut Ture

132

Tabella 3: Polarità valoriali (secondo Matthias Varga von Kibéd e Insa Sparrer)

Descriviamo di seguito due possibili campi d’applicazione a titolo di esempio.

Nel primo caso si trattava di verificare quali valori venissero vissuti all’interno

di un team e come avrebbero potuto modificarsi nel corso di un processo di

sviluppo. Abbiamo collocato nello spazio tre tabelloni in modo tale da formare

un triangolo isoscele che lasciasse abbastanza libertà di movimento ai membri

del team. Ogni tabellone rappresentava uno dei valori fondanti, ossia la cono-

scenza, la fiducia e l’ordine. In una prima fase, i membri del team hanno anno-

tato sui rispettivi tabelloni i valori vissuti in quel momento all’interno

dell’impresa e del team. Ne è risultato un sistema di coordinate nel quale si

esprimeva la cultura di quell’impresa. I singoli membri del team hanno quindi

preso una posizione personale all’interno del sistema di coordinate, collocan-

dosi in un determinato punto nello spazio.

In una seconda fase, abbiamo sperimentato un possibile sviluppo invitando i

membri del team a rivolgersi verso un’altra combinazione di valori e a valutar-

ne gli effetti sul loro stato individuale e su quello dell’intero team. La costella-

zione ha prodotto numerosi risultati positivi: per iniziare i membri del team

hanno potuto rendersi conto della posizione che ognuno aveva assunto nel

team rispetto ai valori fondanti; in secondo luogo si è delineato un quadro

complessivo della cultura predominante nel team, riconoscibile ed esperibile

da tutti; in terzo luogo, si è sviluppata un’idea della direzione nella quale il

team sarebbe potuto crescere.

Nel seguente esempio i membri di un gruppo di lavoro all’interno di un ospeda-

le si sono disposti come segue:

Page 134: Strut Ture

133

fig. 7: Diagnosi all’inizio del workshop

F: Fiducia O: Ordine C: Conoscenza

Me: Medici Te: Terapeuti Inf: Infermieri

Si può vedere come la maggior parte dei membri del team sia orientata verso il

valore „fiducia” e quanto poco peso abbiano i valori „conoscenza” e „ordine”.

Da questo quadro sono emerse importanti indicazioni per modellare il succes-

sivo processo di sviluppo: il deficit stava evidentemente a livello dell’ordine e

perciò ci siamo concentrati sulla domanda: „Quali regole e strutture dobbiamo

concordare per poter collaborare efficacemente nel team?”

Nella seconda applicazione si è trattato di mettere un team di lavoro nella

condizione di passare da una discussione conflittuale a un dialogo produttivo. I

manager sono stati invitati a indicare gli elementi che secondo loro avrebbero

caratterizzato un buon risultato concreto della discussione. I concetti espressi

Page 135: Strut Ture

134

dai manager sono stati annotati sulla flipchart e associati alle modalità del

triangolo dei valori e delle risorse.

Cinque elementi rappresentati dai membri del team sono stati quindi collocati

nello spazio:

Il team

Il risultato desiderato

I valori inerenti la categoria della „conoscenza”

I valori inerenti la categoria della „fiducia”

I valori inerenti la categoria dell’„ordine”

fig. 8: Dialogo produttivo – Quadro iniziale

Te: Team Ri: Risultato Or: Ordine

Fi: Fiducia

Co: Conoscenza

Page 136: Strut Ture

135

Dalla costellazione si vede che la risorsa „fiducia” non è rivolta verso il team.

„Ordine” e „conoscenza” occupano invece una buona posizione, ma il team è

troppo concentrato sul risultato e ha una visuale limitata delle risorse.

Dopo che i rappresentanti si sono spostati liberamente alla ricerca di una collo-

cazione migliore, è risultato il seguente quadro:

fig. 9: Dialogo produttivo – quadro risolutivo

Te: Team Ri: Risultato Or: Ordine

Fi: Fiducia Co: Conoscenza

A questo punto si è creato un buon collegamento con tutte e tre le risorse e si

vede che la „fiducia” accompagna il cammino del team verso il risultato. In

seguito alle evidenze acquisite nel corso della costellazione sistemica, il dialogo

è potuto proseguire finalmente senza attriti e in maniera produttiva.

Page 137: Strut Ture

136

8.1.4 Il modello TZI Themenzentrierte Interaktion (Interazione Centrata sui

Temi)

Nell’analisi delle dinamiche nei team è utile porre l’attenzione non tanto ai

rapporti tra i singoli membri quanto al rapporto dell’intero team con il compi-

to, il capo, il contesto nel quale deve operare, così come allo scopo e senso più

ampio del compito. Per questo tipo di lavoro è particolarmente adatto un for-

mato di costellazione che si appoggia al modello TZI di Ruth Cohn (Cohn, 1975).

TZI sta per „Interazione Centrata sui Temi” – e comprende quattro fattori: Io (il

singolo individuo), Noi (il gruppo), Esso (il tema), Globe (il contesto).

Grafica 12: Modello TZI

Per il nostro lavoro abbiamo rinominato i quattro elementi come segue: il capo,

il team, il compito, il contesto e abbiamo aggiunto come quarto elemento la

finalità e lo scopo. Questi fattori determinano in misura decisiva la produttività.

In una situazione lavorativa ottimale il capo tiene bene in vista sia il team che il

compito; il contesto e la finalità sono percepiti come risorse di sostegno.

Esempio:

Page 138: Strut Ture

137

fig. 10: Situazione all’interno di un team direttivo

Te: Team Co: Compito Ca: Capo

Ct: Contesto F&S : Finalità e Scopo

La costellazione presenta la situazione all’interno del team direttivo (Te) del

reparto di ricerca e sviluppo di una impresa di produzione di notevoli dimen-

sioni. Il team si era venuto a trovare in grave ritardo con i suoi progetti e si

voleva capire il perché. La costellazione mostra come il capo (Ca) eccessiva-

mente concentrato sui compiti (Co) abbia perso di vista il team. La posizione

problematica del contesto (Ct) lascia intendere che una causa per la posizione

disfunzionale del capo e del team rispetto ai compiti è da ricercare con ogni

probabilità in fattori esterni al team. Dalla domanda se vi fossero possibili ele-

menti di disturbo, è risultato che il capo reparto era arrivato solo da pochi mesi

e che il suo predecessore aveva lasciato l’azienda dopo una lite con la direzione

sulla strategia dello sviluppo prodotti. Il nuovo orientamento strategico non era

Page 139: Strut Ture

138

stato discusso con i membri del team, cosa che si evince anche dalla posizione

del rappresentante di finalità e scopo (F&S).

fig. 11 Situazione in un team direttivo – Sviluppo

Te: Team Co: Compito Ca: Capo

Ct: Contesto F&S: Finalità e Scopo

Il primo passo verso una soluzione è stato dunque quello di parlare apertamen-

te dei retroscena relativi al cambio di direzione e delle controversie riguardanti

la strategia. Solo così team e capo si sono potuti avvicinare permettendo al

team di concentrarsi nuovamente sul proprio compito.

8.2 Strategia e innovazione

Per l’ambito tematico che comprende la validazione e lo sviluppo delle scelte

strategiche sono disponibili svariati modelli e concetti. Abbiamo scelto i modelli

Page 140: Strut Ture

139

che andremo a esporre qui di seguito sia perché offrono un ampio spettro

d’applicazione sia perché si differenziano nettamente tra loro.

8.2.1 Strategy Maps

Le Strategy Maps, un modello diffuso in tutto il mondo, sono state sviluppate

da Robert S. Kaplan e David P. Norton (2004) sulla base della Balanced Score-

card. Gli autori distinguono quattro prospettive dalle quali si può osservare

un’impresa:

1. La prospettiva finanziaria: essa descrive i risultati della strategia in termini

monetari secondo i parametri classici dell’economia aziendale.

2. La prospettiva del cliente: essa definisce l’apporto valoriale per il cliente

finale così come è riportato per esempio in un Marketing-Mix.

3. La prospettiva dei processi interni: essa comprende i processi di creazione

del valore aggiunto mediante i quali si genera il valore per il cliente.

4. La prospettiva dell’apprendimento e dello sviluppo: essa identifica i valori o

le potenzialità immateriali che sono importanti per la realizzazione della

strategia.

Grafica 13: Strategy Map, Robert S. Kaplan e David P. Norton, 2004, p.10

Page 141: Strut Ture

140

Nella sua declinazione il modello offre una griglia esaustiva utile a rilevare i

fattori più importanti per comprendere una determinata situazione e per pro-

gettare gli interventi strategici. Un aspetto significativo di questo modello è il

collegamento causale tra le quattro prospettive: gli obiettivi economici, per

esempio, possono essere raggiunti solo se l’impresa crea un valore per il quale i

clienti sono disposti a pagare un prezzo. Tale valore è a sua volta generato da

processi funzionali, coordinati tra loro, che dipendono dalle cosiddette risorse

immateriali, ovvero il capitale umano, informativo e organizzativo.

In particolare, per quanto riguarda la chiarificazione di interrogativi strategici,

le Strategy Maps – lo dice già il nome – offrono similmente a una carta geogra-

fica un buon orientamento per la definizione del segmento di sistema, del livel-

lo di osservazione e degli elementi da mettere in scena. Qualora si volesse, ad

esempio, verificare la consistenza di una strategia di leadership di prodotto

innovativa mediante una costellazione sistemica, non potranno mancare tra gli

elementi da rappresentare la qualità dei prodotti, i nuovi segmenti di clientela,

il processo innovativo, la perizia e la creatività.

8.2.2 Il modello della farfalla

Nelle diverse fasi che intercorrono tra l’ideazione e la realizzazione, i progetti

hanno bisogno di diverse risorse. Pertanto, è sensato analizzare in maniera

critica l’insieme dei progetti in corso e verificare di cosa hanno bisogno nella

fase di volta in volta attuale e chi debba assumere quale ruolo. Per elaborare

domande di questo tipo, Henriette Lingg (Rosselet, Senoner, Lingg, 2007, p.

161 ss.) ha sviluppato uno schema che contiene i seguenti componenti:

L’uovo – simbolizza la fase del processo ideativo.

Il bruco – rappresenta la fase di raccolta di informazioni, materiali e risorse.

La crisalide – indica la fase di trasformazione in cui il progetto assume la

sua forma concreta.

La farfalla – simboleggia il risultato, la realizzazione ma anche la transito-

rietà dell’idea.

Anche in questo caso spieghiamo il modello di costellazione con un esempio.

Page 142: Strut Ture

141

Un funzionario pubblico che doveva elaborare una proposta di legge per il

sostegno all’innovazione, voleva comprendere perché fosse così difficile trova-

re un consenso tra i vari rappresentanti dei gruppi d’interesse coinvolti. In un

gruppo di lavoro composto da collaboratori della Ripartizione Innovazione e

Sviluppo e dall’assessore incaricato, i consulenti avevano proposto e messo in

atto una costellazione basata sul modello della farfalla. In una griglia stesa sul

pavimento, riportante i quattro campi (l‘uovo, il bruco, la crisalide, la farfalla), i

rappresentanti si erano collocati in un punto scelto spontaneamente.

fig. 12: Sviluppo di una proposta di legge

PL: Proposta di legge Po: Politici Si: Sindacato Im: Imprenditori

Ci: Cittadini Fu: Funzionari IR: Istituti di ricerca Me: Media

Il quadro la diceva lunga: politica e sindacati erano tutti presi da questioni ideo-

logiche di fondo; gli imprenditori osservavano la situazione da grande distanza

Page 143: Strut Ture

142

e volevano più informazioni; i cittadini si erano collocati dietro ai funzionari e

non parevano particolarmente interessati al provvedimento di legge; i funzio-

nari erano totalmente concentrati sulla loro proposta; gli unici che guardavano

verso la legge da elaborare erano gli istituti di ricerca per i quali si prevedeva

un ruolo rilevante all’interno del processo d’innovazione; i media erano più che

altro interessati alle reazioni dei cittadini e consideravano la proposta di legge

come già bocciata.

I rappresentanti furono pregati di riposizionarsi nei quattro campi per simulare

il passo successivo nello sviluppo della proposta di legge.

fig. 13: Sviluppo di una proposta di legge

PL: Proposta di legge Po: Politici Si: Sindacato Im: Imprenditori

Ci: Cittadini Fu: Funzionari IR: Istituti di ricerca Me: Media

Page 144: Strut Ture

143

Il nuovo quadro chiarì la situazione. Il progetto di legge era arretrato nel campo del

bruco: „Bisogna raccogliere più informazioni, in particolare sulla situazione e sulle ne-

cessità degli imprenditori”. Il funzionario si era girato per poter entrare in dialogo con i

suoi interlocutori più importanti, gli imprenditori e gli istituti di ricerca. Gli istituti di

ricerca si erano posizionati a cavallo tra il campo della farfalla e il campo dell’uovo: „Da

un lato ho una visione ben definita della collaborazione ideale tra imprese e istituti di

ricerca, dall’altro forse i tempi non sono ancora maturi per attuarla”. Gli imprenditori

erano rimasti a distanza, pur essendo interessati al dialogo con i funzionari. I politici si

erano leggermente allontanati dal confronto con i sindacati, mentre questi ultimi conti-

nuavano a rimanere fissati sulla politica. I cittadini avevano abbandonato il centro, i

media continuavano a non mostrare particolare interesse per il progetto di legge.

Da questa costellazione il gruppo di lavoro aveva potuto trarre preziose indicazioni per i

successivi passi da compiere e la legge fu approvata solo pochi mesi più tardi.

Una variante del modello della farfalla prevede che le quattro fasi di sviluppo (uovo,

bruco, crisalide, farfalla) non vengano evidenziate sotto forma di campi in uno spazio,

bensì vengano messe in scena da rappresentanti. La metafora della farfalla ha il vantag-

gio di raffigurare in maniera molto comprensibile e convincente i passi necessari per lo

sviluppo di un progetto.

8.2.3 Il quadrato dei valori

I valori sono una componente importante nella cultura d’impresa in quanto orientano il

comportamento dei collaboratori. In genere si presuppone che ognuno sappia quali

siano i valori di riferimento. Friedemann Schulz von Thun (1989) dimostra, sulla base del

modello qui esposto, che un valore rappresenta un orientamento solo quando viene

messo in relazione da un lato con la sua esagerazione negativa e dall’altro con un valore

complementare.

Nel seguente esempio dimostriamo in che modo il modello di Schulz von Thun

possa essere impiegato come schema per una costellazione sistemica.

Il team addetto allo sviluppo del personale di un’azienda di trasporto pubblico

aveva elaborato un nuovo concetto per la formazione dei suoi dipendenti, il

management avevo tuttavia reagito con scarsa comprensione e consenso. I

consulenti posero la seguente domanda: „Qual è il valore sostanzialmente

nuovo sul quale si fonda il vostro progetto e in che cosa si differenzia dai vecchi

valori?”

Page 145: Strut Ture

144

Grafica 14: Quadrato dei valori

La nuova formazione proposta si doveva basare molto più sul dialogo, allo lo

scopo di elaborare insieme ai partecipanti soluzioni basate sull’esperienza,

piuttosto che sulla pura e semplice trasmissione di know-how tecnico mediante

la forma classica dell’insegnamento frontale. Per indicare il nuovo valore cen-

trale scelsero pertanto il termine „dialogo”; per la sua esagerazione

l’espressione „chiacchiere”; per il suo valore complementare la formula „fina-

lizzazione al risultato” e per il grado potenziato di quest’ultimo l’espressione

„semplificazione meccanicistica”.

I membri del team rappresentarono la situazione nel seguente modo:

Page 146: Strut Ture

145

fig. 14: Accettazione di un progetto di formazione permanente

PFP: Progetto di Formazione Permanente Tg: Target Dg: Dialogo Ch: Chiacchiere

FR: Finalizzazione al risultato SM: Semplificazione meccanicistica F&S: Finalità e Scopo

Nel quadro iniziale di questa costellazione si notano diversi aspetti:

l’eventualità di esagerare il „dialogo” (Dg) facendolo sfociare in „chiacchiere”

(Ch) non è contemplata; „finalizzazione al risultato” (FR) e „semplificazione

meccanicistica” (SM) sono percepiti come valori contrastanti tra i quali non

esistono compromessi; „finalità e scopo” (F&S) sono fissati unicamente sul

progetto di formazione permanente (PFP). In qualità di rappresentante

dell’elemento „finalità e scopo” la direttrice del reparto sviluppo del personale

fa il punto della situazione: „Mi sembra di essere concentrata solo su me stes-

sa”, mentre dalla posizione del „target” un membro del team dice: „Mi aspetto

Page 147: Strut Ture

146

che finalità e scopo della formazione permanente siano rivolti chiaramente

verso di me”.

Nel corso della costellazione i manager giungono alla seguente disposizione:

fig. 15: Accettazione di un programma per la formazione permanente – Sviluppi

PFP: Progetto di Formazione Perma-nente

Tg: Target Dg: Dialogo

Ch: Chiacchiere FR: Finalizzare al risultato SM: Semplificazione meccanicistica F&S: Finalità e Scopo

Tra i due valori complementari e le loro rispettive esagerazioni si può ricono-

scere un „quadrato di valori”: significa che viene a crearsi uno spazio in cui si

possono trovare vari compromessi.

La costellazione ha dimostrato ai membri del team che non avevano tenuto

sufficientemente conto dei valori e delle idee del loro target perché troppo

Page 148: Strut Ture

147

innamorati del nuovo concetto, e che pertanto il target non aveva potuto né

capire né accettare il progetto.

8.2.4 Sviluppo del potenziale

Il seguente formato di costellazione, elaborato per favorire lo sviluppo del

potenziale, si appoggia alla „costellazione autopoietica” sviluppata da Siegfried

Essen per rappresentare la capacità di auto-organizzazione di un sistema. Egli si

affida ai seguenti principi (Essen, 2003/2, p. 34):

1. Il sistema è completo. Nulla serve dall’esterno e nulla è superfluo.

2. Il significato delle varie parti del sistema nasce nell’azione.

3. Lo sviluppo non ha fine. Vi sono solo soluzioni temporanee.

Gli elementi fondamentali che abbiamo identificato per il nostro formato sono:

L’azienda nella sua peculiarità e forma attuale

Gli obiettivi strategici dell’azienda

Il potenziale di sviluppo dell’azienda

Vari fattori di contesto

La particolarità di questo formato è il modo in cui il processo di costellazione è

guidato dal consulente. I rappresentanti si dispongono nello spazio per mettere

in scena la situazione attuale, dopodiché iniziano a muoversi simultaneamente

e molto lentamente seguendo i loro impulsi per trovare una buona collocazio-

ne „nell’insieme”. Il facilitatore non interviene, se non per esortare periodica-

mente i rappresentanti a esprimere verbalmente quello che stanno provando.

Questo formato è adatto a sciogliere schemi di pensiero disfunzionali e crea

spazio per opzioni di sviluppo inattese.

Abbiamo potuto constatare che in determinate situazioni i manager tendono a

perdere di vista uno degli elementi.

Per esempio, nel corso di una costellazione per lo sviluppo del potenziale, il

direttivo di un’impresa rilevata da un gruppo internazionale si rese conto di

non essersi mai chiesto fino a quel momento quale potenziale avrebbe potuto

sviluppare nel nuovo ambito di cui era entrato a far parte. Fino a quel momen-

Page 149: Strut Ture

148

to era rimasto fissato unicamente sull’obiettivo di assicurare la attuale posizio-

ne sul mercato e di salvare lo stabilimento storico di produzione.

8.3 Soluzione del problema e processo decisionale

Si tratta qui di trovare una via d’uscita da una situazione di stallo e

d’interrompere uno schema d’interazione disfunzionale. Blocchi e conflitti

spesso nascono quando si trascurano, si mescolano o si confondono aspetti

importanti.

8.3.1 Tetralemma

Il „tetralemma” è uno schema per „categorizzare gli atteggiamenti e i punti di

vista”, che fa riferimento alla tradizione logica indiana (Sparrer e Kibéd, 2000,

p. 77). Il modello è utile quando si tratta di superare posizioni bloccate. Spe-

cialmente nel momento di prendere una decisione, sorge immancabilmente la

domanda su quale sia l’alternativa „giusta”. Per uscire dal dilemma è opportu-

no allora chiedersi se una possibilità di successo può nascere anche dalla com-

binazione delle alternative che paiono escludersi vicendevolmente o se invece

il successo va cercato piuttosto su un altro piano, al di là di tali alternative.

Mentre nel dilemma si contrappongono due posizioni, il Tetralemma ne con-

templa quattro:

1. La posizione dell’„uno”

2. La posizione del suo contrario, l’„altro“

3. La posizione „entrambe” che fa notare le possibili concordanze tra le prime

due posizioni. „Entrambe” può, ad esempio, voler dire che esiste un com-

promesso, che le posizioni possono essere attuate a turno, che la qualità

dell’alternativa scartata può confluire in quella prescelta, che le contraddi-

zioni sono tali solo in apparenza, che un collegamento inatteso tra l’uno e

l’altro produce una nuova alternativa.

4. La posizione „nessuno dei due” accenna al contesto in cui il contrasto ha le

sue origini. Per esempio può indicare che un aspetto importante è stato tra-

Page 150: Strut Ture

149

lasciato, che il contrasto è sorto in un determinato contesto e che al di fuori

da quello perde d’importanza.

Matthias Varga von Kibéd e Insa Sparrer integrano lo schema con una quinta

posizione (ibidem p. 89):

5. La posizione „niente di tutto ciò ma neppure questo!” invita a interrompere

continuamente modelli e schemi” (ibidem p. 90); significa saggezza o crea-

tività, è anche chiamata „elemento libero” perché può indicare una solu-

zione „miracolosa”, totalmente inattesa, su un altro livello.

Matthias Varga von Kibéd e Insa Sparrer descrivono numerose possibilità di

utilizzare il modello come formato di costellazione. Nella variante „classica” i

rappresentanti delle prime quattro posizioni vengono collocati in cerchio con lo

sguardo rivolto verso l’interno, in modo da formare gli angoli di un quadrato.

La quinta posizione, una volta messa in scena, può muoversi liberamente nello

spazio. Quindi il facilitatore passa per tutte le posizioni, insieme al focus, par-

tendo dalla „uno” e collocando il focus sempre prima a sinistra e poi a destra

della rispettiva posizione. Dopo ogni spostamento chiede di descrivere le diffe-

renze nella percezione. Pertanto il „tetralemma” è „un paesaggio che cambia

mentre lo attraversiamo e per il fatto stesso che lo attraversiamo” (ibidem p.

86).

Per l’utilizzo nel contesto manageriale è indicata anche la forma libera. Le cin-

que posizioni e il focus vengono collocati liberamente nello spazio secondo

l’immagine interiore dei manager. In genere in questo modo si evidenziano

anche le opzioni tralasciate; includendole si sgombera quindi la strada per

nuove idee e prospettive.

Il seguente esempio proviene dal processo di sviluppo della mission di un gran-

de ufficio di progettazione. I partecipanti avevano già formulato vari principi

fondanti quando, attorno al tema „responsabilità verso l’ambiente”, si è scate-

nata improvvisamente un’accesa discussione. Alcuni collaboratori nutrivano il

sospetto che, in un determinato progetto che era stato loro proposto, si potes-

se nascondere una speculazione ai danni dell’ambiente. „Quanto onesti pos-

siamo dire di essere”, chiese un ingegnere, „se prima facciamo della responsa-

bilità per l’ambiente la nostra bandiera e poi accettiamo un incarico come que-

Page 151: Strut Ture

150

sto?“ Abbiamo proposto di affrontare il dilemma: „accettare o meno l’incarico”

con una costellazione a „tetralemma”.

fig. 16: Decisione critica

Uff: Ufficio Acc: Accettare Rif: Rifiutare Ent: Entrambe

Ndd: Nessuna delle due Eli: Elemento libero „niente di tutto ciò, ma neppure questo”

L’esito della costellazione è stato sorprendente. Non appena tutti i rappresen-

tanti sono in scena, il rappresentante dell’elemento „ufficio” dice: „Non pos-

siamo rifiutare questo progetto”. Il rappresentante dell’opzione „rifiutare” a

sua volta afferma: „Ho scelto questa posizione perché sono sempre stato

dell’avviso che non dovremmo accettare questo progetto. Eppure, non appena

mi calo in questo ruolo, sento che rifiutarlo sarebbe un errore”. Parla il rappre-

sentante di „nessuna delle due”: „Se l’amministrazione comunale ha approvato

il progetto, in quanto ufficio di progettazione non siamo autorizzati a rifiutar-

Page 152: Strut Ture

151

lo”. Il rappresentante per „Entrambe” aggiunge: „Possiamo dare prova della

nostra consapevolezza ambientalista proponendo al costruttore alternative che

nell’ambito del progetto approvato possano salvaguardare al meglio

l’ambiente”.

Poiché tutte le posizioni sono presenti contemporaneamente nello spazio e

percepibili come un tutto, cosa che nell’ambito di una discussione difficilmente

avviene, risulta più facile prendere una decisione. A volte si ha addirittura la

sensazione che la decisione s’imponga da sé.

8.3.2 La struttura del problema

A monte di ogni problema vi è un obiettivo che si tenta di raggiungere. A que-

sto si aggiungono necessariamente gli ostacoli che si frappongono al conse-

guimento dell’obiettivo. Tuttavia, laddove vi siano le risorse necessarie, gli

ostacoli possono essere superati. L’interazione tra ostacolo e risorsa è un

aspetto importante al quale si può lavorare in una costellazione sistemica.

Negli ostacoli si possono riconoscere improvvisamente delle opportunità: il

potenziale delle risorse trascurate diventa visibile. Inoltre c’é sempre un van-

taggio più o meno nascosto nell’evitare di risolvere il problema. Nel momento

in cui si acquisisce consapevolezza di tutto questo, diventa visibile anche ciò

che fino ad allora aveva impedito di affrontare il problema. Del resto ogni

obiettivo è solo un passo verso la realizzazione di uno scopo più ampio. Per

ogni obiettivo esiste pertanto il „passo successivo” che colloca il problema in

un contesto allargato.

Per chiarire ulteriormente quanto su esposto riportiamo il seguente esempio:

un team di management aveva constatato che le lamentele della clientela,

relative all’efficienza del servizio di manutenzione, erano considerevolmente

aumentate. La qualità della manutenzione era sempre stata un importante

argomento di vendita. In un workshop con i responsabili del servizio manuten-

zione, della distribuzione, della produzione e della direzione, la discussione non

ha portato ad alcun risultato concreto. Sono state nominate molte cause possi-

bili ma non si è riusciti ad accordarsi su nessuna misura. Finalmente il consulen-

te ha proposto di sperimentare una costellazione sistemica.

Page 153: Strut Ture

152

I manager si sono accordati velocemente sull’obiettivo, che era quello di torna-

re a garantire un livello del servizio costante. Le prime difficoltà si sono presen-

tate nel tentativo di determinare chi fosse l’owner del tema: „Chi è responsabi-

le per il conseguimento di questo obiettivo? Il reparto di manutenzione? La

distribuzione? La direzione?” Alla fine il direttore di divisione ha dichiarato di

assumersi personalmente la responsabilità della questione.

Quindi sono stati elencati tutti gli ostacoli:

l’accresciuta complessità dei macchinari da quando erano state introdot-

te due nuove linee di prodotto:

la crescente impazienza dei clienti finali, particolarmente pressati

dall’imposizione di nuove regolamentazioni statali più severe;

il sovraccarico di lavoro dei collaboratori addetti alla manutenzione;

le difficoltà nella comunicazione tra manutenzione e distribuzione.

Le seguenti risorse avrebbero dovuto sostenere il raggiungimento

dell’obiettivo:

un numero sufficiente di tecnici manutentori;

la competenza dei venditori;

il supporto della Service-Hotline.

Il vantaggio nascosto del problema, in prima battuta, non era stato ben definito

e, anche a proposito del „passo successivo”, i manager non avevano ancora le

idee chiare.

Ognuno di questi elementi è stato appuntato su un foglio di carta e i manager

sono stati invitati a disporre i fogli per terra per rendere visibile la struttura del

problema Dopodiché i manager hanno occupato la posizione dalla quale si

sentivano maggiormente attratti (vedi fig. 17).

L’ordine sparso dei rappresentanti nel quadro iniziale rispecchiava chiaramente

la confusione della discussione che aveva preceduto la costellazione. Qualche

disfunzionalità era tuttavia già riconoscibile: la direzione (Di) era concentrata

unicamente sul livello del servizio (LS), viveva il sovraccarico dei tecnici con

fastidio, ma allo stesso tempo non voleva occuparsene.

Page 154: Strut Ture

153

fig. 17: Una situazione problematica

Di: Direzione (focus) LS: Livello del servizio (obiettivo) CS: Complessità dei macchinari (ostacolo) IM: Impazienza dei medici (ostacolo)

ST: Sovraccarico dei tecnici (ostacolo) Co: Comunicazione (ostacolo) TA: Tecnici aggiuntivi (risorsa) SV: Supporto dei venditori (risorsa)

SH: Service Hotline (risorsa) Pr: Prezzo PS: Passo successivo

Nell’elemento prezzo (Pr), alle spalle della direzione, i manager hanno ricono-

sciuto la „politica di blocco delle assunzioni” che era stata concordata in rispo-

sta alla crisi economica. Non entriamo qui nel dettaglio del processo di costel-

lazione, che durò ben 70 minuti, ma ci limitiamo a osservare la costellazione

finale:

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154

fig. 18: Soluzione di una situazione problematica

Di: Direzione (focus) LS: Livello del servizio (obiettivo) CS: Complessità dei macchinari (ostacolo) IM: Impazienza dei medici (ostacolo) ST: Sovraccarico dei tecnici (ostacolo) Co: Comunicazione (ostacolo)

TA: Tecnici aggiuntivi (risorsa)

SV: Supporto dei venditori (risorsa) SH: Service Hotline (risorsa) Pr: Prezzo PS: Passo successivo

In sostanza, due sono state le considerazioni decisive: la politica di blocco delle

assunzioni è stata messa apertamente in discussione e il sovraccarico lavorati-

vo dei tecnici riconosciuto effettivamente come tale. In questo modo si sono

potute cercare e trovare delle alternative. Si è preso atto che il livello del servi-

zio non si sarebbe potuto mantenere senza aggiungere nuovi tecnici, quindi si è

Page 156: Strut Ture

155

presa in considerazione la possibilità di attingere personale da altri reparti.

Inoltre si è pensato di scaricare una parte dei costi della manutenzione sul

cliente mediante appositi contratti. Si è anche visto che i problemi di comuni-

cazione tra il servizio manutenzione e la distribuzione erano dovuti in primo

luogo al sovraccarico dei tecnici; pertanto i direttori della distribuzione e della

manutenzione sono stati incaricati di elaborare misure a sostegno dei venditori

e per migliorare la comunicazione con i clienti finali. Infine, il „passo successi-

vo” è stato interpretato come segue: „se ampliamo gradualmente la nostra

gamma di prodotti come programmato, dobbiamo tenere conto del servizio di

manutenzione sin dall’inizio”.

8.3.3 Un approccio alla soluzione del conflitto

Nella letteratura specialistica esistono una quantità di modelli che descrivono il

nascere di conflitti e la loro soluzione. Quello che ci interessava qui era di tro-

vare uno schema che riconducesse la dinamica conflittiva ai due fattori che, per

la nostra esperienza, sono di centrale importanza, ossia i desideri e i timori che

non sono espressi apertamente e/o di cui i diretti interessati spesso non sono

consapevoli. Con il seguente formato di costellazione possiamo dimostrare

come questi fattori conducano a un’escalation del conflitto:

Grafica 15: Approccio per la soluzione del conflitto

Questo formato di costellazione è adatto anche nei colloqui in cui le due parti

in conflitto sono sedute allo stesso tavolo. Per mezzo di simboli ognuna segnala

la propria posizione, i propri desideri e i timori. Dialogo e costellazione proce-

Page 157: Strut Ture

156

dono di pari passo, vale a dire che ogni spostamento dei simboli è messo in

relazione con la situazione reale e, viceversa, ogni dichiarazione è tradotta in

uno specifico movimento dei simboli. Il formato può essere applicato anche in

presenza di una sola delle due parti in conflitto.

Nel seguente esempio di un conflitto, tra un direttore di produzione (B) e un

direttore generale (A), mostriamo le forze propulsive che lo scatenano:

fig. 19: Dinamica di un conflitto – Quadro iniziale

TC: Tema del conflitto – Riduzione dei costi A: Parte in conflitto A – Direttore generale DA: Desideri di A – misure immediate e concrete

TA: Timori di A – direttore generale B: Parte in conflitto B – Direttore di produzione DB: Desideri di B - ? TB: Timori di B – Resistenza delle maestranze

Il conflitto riguarda le misure che l’impresa dovrebbe prendere per reagire a un

calo delle vendite. Il direttore generale rimprovera al direttore di produzione di

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157

applicare misure troppo blande per ridurre i costi. Il direttore di produzione a

sua volta accusa il direttore generale di ragionare troppo a breve termine e di

sottovalutare gli effetti negativi delle misure di risparmio. Il direttore di produ-

zione (B) sente la pressione del suo desiderio alle spalle e tuttavia non riesce ad

articolare che cosa è che gli preme. Esprime in particolare il suo timore (TB) che

la probabile resistenza delle maestranze potrebbe rendere vane le misure di

risparmio. Il direttore generale (A) ha tematizzato esplicitamente i suoi deside-

ri, ovvero l’immediata applicazione di misure volte a ridurre i costi, ma il suo

atteggiamento all’interno del conflitto è fortemente influenzato dai timori (TB)

che non ha invece tematizzato e che lo distraggono e rendono più difficoltoso il

contatto con il direttore di produzione (B).

fig. 20: Dinamica di un conflitto – Situazione intermedia

TC: Tema del conflitto A: Parte in conflitto A – Direttore generale DA: Desideri di A – misure immediate e concrete TA: Timori di A – non è sicuro Rispetto al modo più efficace di affrontare la crisi

B: Parte in conflitto B – Direttore di produzione DB: Desideri di B – poter mante- nere il suo stile di conduzione collaborativa TB: Timori di B – Resistenza delle maestranze

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158

In un primo passo le parti in conflitto si concentrano sui propri temi nascosti

per chiarirli prima di tutto a loro stessi e quindi per comunicarli all’altro.

Il direttore di produzione (B) si rende conto che vuole innanzitutto salvaguar-

dare il suo stile collaborativo di conduzione e il clima di lavoro costruttivo che si

era instaurato prima della crisi. Il direttore generale (A) comprende di non

essere convinto che le misure da lui richieste siano effettivamente la risposta

giusta alla crisi. Questo chiarimento modifica il colloquio in senso costruttivo e

infine ne risulta la seguente costellazione:

fig. 21: Dinamica di un conflitto – Soluzione

TC: Tema del conflitto A: Parte in conflitto A – Direttore generale DA: Desideri di A TA: Timori di A

B: Parte in conflitto B – Direttore di produzione DB: Desideri di B TB: Timori di B – resistenza delle maestranze

Il direttore generale è riuscito a esprimere apertamente i suoi timori (TA) ri-

guardo alle misure che aveva insistentemente richiesto e tiene finalmente nella

giusta considerazione i timori del direttore di produzione (TB). Insieme cercano

Page 160: Strut Ture

159

di trovare soluzioni sostenibili e il direttore di produzione può dichiarare aper-

tamente il suo stile di conduzione collaborativa (DB).

8.3.4 Miracle Scaling

Miracle scaling rappresenta una forma di costellazione sviluppata da Marco

Matera e Riccardo Benardon (M. Matera, R. Benardon 2007 pag. 37-41) come

integrazione tra la “time line” in PNL, la sezione delle scale nell’intervista foca-

lizzata alla soluzione di Steve de Shazer, e le costellazioni sistemiche.

Si è rivelata molto efficace per far percepire al cliente la forza necessaria, la

natura e le risorse utili per percorrere i passi essenziali al raggiungimento della

soluzione.

Gli elementi della costellazione sono tre:

1. il focus, rappresentato dal cliente stesso;

2. il miracolo, sogno o vantaggio dell’obiettivo;

3. il cordino, che rappresenta la scala ma anche il percorso verso il

miracolo e viene scelto e messo in scena dal cliente.

Una volta definito l’obiettivo da raggiungere attraverso l’intervista focalizzata

alla soluzione, il consulente supporta il cliente nella definizione dei vantaggi e

dei cambiamenti che il raggiungimento dell’obiettivo può portare. Nel processo

Solution Focus questo si identifica nella “Domanda del Miracolo”.

L’esplorazione mediante l’utilizzo della “Domanda del Miracolo” permette al

cliente di comprendere con maggior chiarezza, anche attraverso sensazioni

corporee, i vantaggi che la soluzione offre.

Come evidenziato nel cap. 9.8 l’utilizzo della scala aiuta il cliente a rendere

oggettiva la situazione e a intuire o razionalizzare i vari passi necessari per

raggiungere l’obiettivo, portando l’attenzione ai cambiamenti che possono

accadere. Come già osservato, il vantaggio di questa forma di costellazione

risiede nel fatto che il cliente stesso, camminando sulla sua scala rappresentata

da un cordino colorato, ha una percezione fisica dei vari passi.

Page 161: Strut Ture

160

Una volta che il cliente ha definito il suo “miracolo”, il consulente invita il clien-

te a scegliere un cordino colorato tra cordini di colori e lunghezze differenti. Il

cordino scelto viene posizionato a terra dal cliente e rappresenta la sua scala

da 1 a 10.

A questo punto il cliente sceglie un rappresentante per il suo miracolo e lo

mette in scena in relazione al cordino appena posizionato. Successivamente il

consulente invita il cliente a posizionarsi sul cordino.

La scelta del cordino e il posizionamento del rappresentante del miracolo forni-

scono al consulente diverse informazioni: cordini molto lunghi o molto corti,

miracoli posti fuori dal cordino e poi ritenuti dal cliente irraggiungibili o non

formulati in maniera sufficientemente precisa.

Una caratteristica importante della Miracle Scaling è la sua breve durata, al

massimo 5 minuti. La scelta di utilizzare un tempo così ridotto nasce

dall’esperienza di Victoria Sneh Schnabel; le sue costellazioni “espresso” e

“cappuccino”, rispettivamente di 2 e 3 minuti, dimostrano come i rappresen-

tanti possano trovare in un tempo così limitato utili passi, spesso veramente

risolutivi. Ridurre il tempo e gli elementi del sistema è un ottimo modo per

cogliere l’essenziale e la presenza del solo rappresentante del miracolo, oltre al

cliente, rende questa forma di costellazione leggera, semplice e profonda.

Si è rivelato utile e risolutivo far percepire al cliente le proprie risorse, a volte

esplicitandole.

Le seguenti domande si sono rivelate utili:

“come si sta lì?”: questo permette al cliente di sperimentare la sua

presenza nello stato attuale;

“come vede il miracolo?”: il cliente può percepire quanto vicino o lontano

sia l’obiettivo e quanto sia facilmente o meno raggiungibile;

“cosa prova guardando indietro (verso lo zero) e cosa fa per non

scendere?”: solitamente guardare alla strada percorsa fornisce al cliente una

sensazione di orgoglio rispetto ai passi che ha già fatto e gli dà una chiara

sensazione del percorso intrapreso e delle risorse che sono state utili. In

questa fase inoltre è importante esplorare, in pieno accordo con il protocollo

Page 162: Strut Ture

161

dell’intervista focalizzata alla soluzione (vedi cap. 9.8), eventuali eccezioni

individuando in tal modo risorse che si sono rivelate utili in passato. La

seconda parte della domanda fornisce al cliente una chiara sensazione del

fatto che l’apparente immobilismo risulta invece dalla ripetizione di

determinate azioni;

“quale potrebbe essere il primo piccolo passo verso il miracolo e che

significato avrebbe nella vita reale?”: a questo punto il cliente viene invitato

a fare un piccolo passo e, una volta esplorato come viene percepito questo

nuovo livello attraverso l’enunciazione delle differenze rispetto allo stato

attuale, la domanda permette di concretizzare e lasciar emergere insight

rispetto agli step necessari per raggiungere l’obiettivo;

“come sta il miracolo?”: questa domanda posta al rappresentante del

miracolo è utile per esplorare il tema portato dal cliente dal punto di vista del

“miracolo” e offre al cliente differenti chiavi di lettura. In questa fase si

esplorano tutti quei passi che possono aiutare il cliente a prendere

consapevolezza degli step necessari per raggiungere il miracolo.

Una particolare attenzione nella Miracle Scaling va dedicata agli atteggiamenti

del rappresentante del “Miracolo”: quando il “Miracolo” è ben posizionato, il

suo rappresentante assume un atteggiamento molto centrato. Quindi non si

muove autonomamente, e lo fa solo se richiesto dal cliente, non ha particolari

necessità, è neutro e parla per il bene del cliente.

Quando ciò non accade, in genere il cliente ha un’immagine del suo miracolo

confusa o sovrapposta con qualcos’altro. La gestione della confusione o della

sovrapposizione, da parte del consulente, può essere un intervento importante

per aprire la strada alla soluzione.

Caso:

Nel seguente esempio dimostriamo in che modo la tecnica Miracle Scaling

possa essere impiegata anche nel lavoro con un team.

Il CEO di una società di consulenza olandese insieme ai suoi partner richiese

una sessione per trovare un modo migliore per collaborare. All’incontro erano

Page 163: Strut Ture

162

presenti in cinque e, sebbene tutti interessati all’approccio, due di loro erano

piuttosto scettici rispetto ai risultati che si sarebbero raggiunti avendo cercato

varie volte di trovare una mediazione senza riuscirci.

Nel gruppo erano evidenti due differenti linee di pensiero e questo sembrava

essere il nodo da sciogliere. L’intervista, volta a trovare un obiettivo comune,

fece emergere due concetti che lo identificavano: sincronicità ed energia. La

parola “sinergia”, scelta come somma dei due concetti, trovò tutti d’accordo.

Venne scritta su un foglio che fu posizionato a terra. Ogni membro del gruppo

scelse un cordino colorato, lo mise a terra e si posizionò nella propria scala da 1

a 10, dove 10 era rappresentato dalla parola “Sinergia”, il loro obiettivo con-

cordato.

L’immagine iniziale permise a tutti di rendersi conto di quanto ogni membro

fosse in difficoltà rispetto all’obiettivo, ma anche di quanto tutti desiderassero

raggiungerlo. Mentre per alcuni era possibile fare un piccolo passo verso il 10,

per altri era impossibile a meno che qualcosa non cambiasse.

Il piccolo passo del CEO migliorò la situazione e permise a uno dei più scettici di

sentire la necessità di fare un passo verso il 10. Facendolo percepì l’importanza

del suo ruolo e da elemento di freno si trasformò in elemento di traino e da

tutti fu anche vissuto come un’utile risorsa. Emerse con chiarezza quanto le

azioni del CEO fossero decisive e, quando lui dichiarò con stupore ma determi-

nazione la necessità che fosse lui stesso ad agire per primo, ci fu una grossa

risata di sollievo. La questione era emersa varie volte ma a parole non c’era

stato modo di convincere il CEO a fare il primo passo.

Page 164: Strut Ture

163

9 Metodi e tecniche complementari

In ambito manageriale accompagniamo la costellazione con una serie di meto-

dologie, derivate dall’approccio della Learning Organization, che utilizzano in

primo luogo il linguaggio; serve infatti il linguaggio verbale per mettere a fuoco

un bisogno specifico di un team o di un gruppo, e serve sempre il linguaggio

verbale per condividere quanto si è percepito nell’ambito del lavoro di rappre-

sentazione affinché, alla fine, si possa creare un senso comune. Pertanto que-

ste metodologie, da un lato preparano il terreno per la costellazione chiarendo

il bisogno da indagare e determinando la sezione di sistema da rappresentare,

dall’altro servono per condividere i risultati della costellazione e per condurre a

un ulteriore approfondimento del tema o alla concretizzazione di singoli passi

risolutivi.

Spiegheremo di seguito i metodi più importanti impiegati in combinazione con

le Management Constellations, questi sono: il „Dialogo” (David Bohm), il

„World Café” (Juanita Brown), l’„Open Space” (Harrison Owen) così come le

tecniche dell’intervista dialogica, del „Fish Bowl” e della domanda ricorrente.

9.1 Il Dialogo

Il „dialogo” è un modo per condividere il pensiero sospendendo il giudizio indi-

viduale. Ciò produce una coscienza collettiva che orienta e legittima la succes-

siva azione del singolo o del gruppo – a questo proposito David Bohm parla

anche di „senso collettivo”. Nel dialogo la coscienza individuale assurge a co-

scienza collettiva, il dialogo permette dunque che la coscienza collettiva si

esprima.

Nella forma del dialogo i partecipanti siedono in cerchio. Al centro è collocata

una pietra o un altro oggetto che funge da moderatore „silenzioso”: chi racco-

glie la pietra ha facoltà di parlare finché non la rimetterà al suo posto al centro

o la passerà ad un altro partecipante. Questo modo di procedere ha uno scopo

preciso: quello di rallentare il colloquio in modo che le parole acquistino il loro

proprio peso. Nel dialogo, più che confrontarsi su vari argomenti, si cerca di

scoprire orizzonti comuni. In ciò il dialogo si distingue dal dibattito.

Page 165: Strut Ture

164

Le seguenti attitudini sono favorite dalla forma del dialogo:

Presentarsi come colui/colei che apprende e non come colui/colei che sa

Riconoscere e rispettare l’altro/a

Essere disponibili a comunicare sinceramente il proprio pensiero e le pro-

prie emozioni

Concentrarsi sull’essenziale

Ascoltare empaticamente

Sospendere il proprio giudizio – concentrarsi su dati e fatti

Battersi per qualcosa in maniera produttiva esponendo apertamente le

proprie ipotesi e i processi di pensiero e non solo le conclusioni

Esercitarsi in un atteggiamento di ricognizione

Osservare l’osservatore – percepire come reagiamo all’altro

„Di tanto in tanto, questa tribù”, racconta Bohm, „si riuniva in cerchio. Non

facevano altro che parlare, parlavano, parlavano, apparentemente senza risul-

tato. Non prendevano alcuna decisione. Non esistevano capi. E ognuno poteva

contribuire in qualche modo al dialogo. Probabilmente prestavano maggiore

attenzione alle parole degli uomini e delle donne più saggi - gli anziani - ma

tutti potevano esprimersi. L’incontro continuava fino a che non s’interrompeva

apparentemente senza motivo e il gruppo si disperdeva. Ciononostante, in

seguito, tutti parevano sapere esattamente cosa si dovesse fare, perché erano

parte di un tutto più grande e si capivano perfettamente. Quindi potevano

riunirsi in piccoli gruppi per agire o prendere delle decisioni.” (David Bohm, Der

Dialog, Stuttgart 1998, p. 49f)

9.2 World Café

Il modello del „World Café” è il modo più disinvolto di coinvolgere una quantità

di persone - anche se tra loro sconosciute - in uno scambio di idee informale e

tuttavia denso. Questo formato comunicativo si basa sull’osservazione che le

persone interessate possiedono, già in partenza, le necessarie conoscenze,

l’esperienza e la creatività per fare fronte anche alle sfide più difficili.

Il „World Café” offre la possibilità di svolgere una determinata tematica e di

condensarla nei suoi aspetti più rilevanti. Nel corso di più tornate di colloqui si

Page 166: Strut Ture

165

sviluppa un profondo sapere collettivo intorno ai possibili approcci creativi per

la soluzione del problema posto.

L’idea del „World Café” nasce dalla tradizione dei Café viennesi e parigini. In

discussioni serrate e accese gli avventori, visitatori abituali di questi caffè, idea-

rono allora un nuovo mondo e si ispirarono a vicenda nella creazione di opere

nuove.

Nella forma del „World Café” gli ospiti sono seduti intorno a tavolini tondi o

quadrati e discutono, a gruppi di 4-6 persone, una questione concreta in più

tornate - in genere tre. Le tornate durano da 20 minuti a mezz’ora e avvengono

in formazioni sempre nuove. Al termine di ogni tornata di discussione, tutti i

partecipanti – salvo uno – scelgono un nuovo tavolo al quale sedersi per discu-

tere. La persona rimasta invece espone brevemente ai nuovi convitati gli esiti

più significativi della precedente discussione, esiti che in genere vengono rac-

colti e ulteriormente sviluppati dal nuovo gruppo; naturalmente sorgono anche

nuove domande e riflessioni.

Attraverso questa „rete vivente di comunicazione” le idee esposte vengono

messe in relazione tra di loro per condensarsi gradualmente in primi approcci

risolutivi. Successivamente alle tornate di discussione, si raccolgono e visualiz-

zano i vari concetti espressi. Il risultato può essere la base di partenza per un

ulteriore approfondimento in una costellazione successiva.

L’etichetta di un „World Café” prescrive quanto segue:

Concentrati su ciò che sta succedendo adesso

Lascia che gli altri partecipino alle tue esperienze

Parla di quello che ti tocca al momento

Cerca di capire veramente l’altro

Raccogli le idee e collegale in un tutto più grande

Ascolta le sfumature

Disegna, scarabocchia, scrivi … sulla tovaglia di carta

In genere usiamo il metodo del „World Café” prima di una costellazione per far

emergere con chiarezza il tema centrale.

Page 167: Strut Ture

166

9.3 Open Space

Di tutte le forme di conferenza o d’intervento con grandi gruppi, l’„Open Spa-

ce” è quella che presenta la struttura più semplice. Gli unici elementi strutturali

obbligatori sono: la domanda centrale, il plenum e le sessioni di workshop

parallele che durano tra i 45 e i 90 minuti.

Nell’ambito di un tema stabilito in precedenza, i partecipanti presentano

nell’„Open Space” quegli aspetti che li riguardano e che vorrebbero approfon-

dire ed elaborare con persone che sono sulla loro stessa lunghezza d’onda.

Il formato dell’„Open Space” tende a lasciar agire il più liberamente possibile le

forze di autogestione dei gruppi. Di conseguenza gli interventi di pilotaggio

sono ridotti al minimo e si concentrano sostanzialmente su:

la definizione del tema;

la spiegazione della procedura e delle regole del gioco;

il rispetto dei tempi per lo scambio comune nel plenum.

L’inventore dell’„Open Space”, Harrison Owen, si è ispirato alle animate discus-

sioni che avvengono durante gli intervalli nei congressi specialistici e alla cultu-

ra dello scambio dialogico nelle società tribali.

Valgono le seguenti regole di base:

Tutti i presenti in un gruppo: sono esattamente le persone giuste.

Qualsiasi cosa accada: è l’unica cosa che può accadere.

Non importa quando inizierà: sarà comunque il momento giusto.

Quando è finito è finito. E quando non è finito non è finito.

Una volta che il facilitatore ha introdotto i partecipanti al tema e alle regole

dell’„Open Space”, questi scrivono uno o più temi che li riguardano su un foglio

di carta A4 e ne accennano brevemente i contenuti nel plenum. Dopodiché

attaccano i fogli con i temi su un pannello, su questo è riprodotta una griglia i

cui assi rappresentano rispettivamente le aule in cui si ritrovano i gruppi e i

tempi per la discussione. Nel passo successivo tutti i partecipanti si iscrivono ai

workshop che trattano i temi di loro interesse; questi verranno discussi e si

cercherà di trovare le prime soluzioni. I risultati saranno trascritti e messi a

disposizione di tutti i partecipanti. L’assemblea plenaria può avere luogo due

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167

volte al giorno – all’inizio e al termine dell’attività lavorativa – e offre spazio per

lo scambio di informazioni e per annunciare workshop su nuovi temi emersi.

Inoltre vale la „regola dei due piedi”, ovvero: i partecipanti ad un Open Space

sono liberi di lasciare un workshop in corso o di unirsi ad un workshop già ini-

ziato (i cosiddetti „calabroni”), oppure di saltare singole sessioni di un work-

shop per andare a passeggiare, a riflettere o a chiacchierare con persone della

stessa opinione (le cosiddette „farfalle”). Ciascuno è responsabile di decidere

autonomamente dove e come passare il proprio tempo e dare il suo contribu-

to.

Utilizziamo spesso l’„Open Space”, per gruppi da 20 a 50 o più persone, al ter-

mine di una costellazione per approfondire i singoli aspetti emersi durante la

messa in scena.

9.4 L’intervista dialogica

Caratteristico di questa forma di colloquio è l’atteggiamento di chi va alla ricer-

ca d’informazioni con la curiosità dell’esploratore. Che si tratti di un singolo

interlocutore, o dei membri di un team o di un piccolo gruppo, il facilitatore

sonda il tema proposto nei suoi più svariati aspetti. È di centrale importanza

che egli sia ricettivo verso tutto ciò che agli interlocutori preme di comunicare.

Il facilitatore fa in modo che l’attenzione si rivolga progressivamente verso i

mutamenti che una buona soluzione potrebbe portare per le persone e i gruppi

coinvolti. Durante il colloquio iniziale, il facilitatore annota sulla lavagna a fogli

mobili le parole chiave che gli paiono importanti e che serviranno in seguito per

identificare gli elementi da mettere in scena.

9.5 Fish Bowl

La tecnica del fish bowl è particolarmente adatta, in un gruppo di medie di-

mensioni, per chiarire e definire il problema e per determinare gli elementi da

mettere in scena. Un piccolo gruppo di partecipanti discute di un determinato

argomento, circondato da un plenum più grande i cui partecipanti seguono la

discussione dall’esterno, senza intervenire direttamente. Se un membro del

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168

cerchio esterno desidera dare il suo contributo può accomodarsi su una sedia

libera nel cerchio interno. Non appena la sua opinione sarà stata ascoltata e

compresa lascerà libero il posto sulla sedia. Il facilitatore è seduto nel cerchio

interno e dirige la discussione con le sue domande. Sarà d’aiuto se un parteci-

pante o un secondo facilitatore prenderanno nota degli esiti della discussione,

sia per iscritto che graficamente, su una lavagna.

9.6 La domanda ripetuta (recurring questioning)

La tecnica della „domanda ripetuta” può essere utile, prima di una costellazio-

ne, per evocare i vari aspetti di un tema. I partecipanti siedono a coppie l’uno

di fronte all’altro e a turno si pongono un’unica domanda, con l’aiuto di questa

entrano progressivamente in contatto con il loro modo di vedere una determi-

nata questione. Il partecipante che pone la domanda ascolta con attenzione la

risposta senza fare commenti; può ripetere la domanda più volte ma deve fare

attenzione a non interrompere il ragionamento dell’altro. Dopo dieci minuti

circa si cambia e tocca al partecipante, che fino a quel momento aveva esposto

liberamente i suoi pensieri, porre la stessa domanda al proprio collega; è pos-

sibile alternarsi ripetutamente. Successivamente si possono condividere le

esigenze emerse nei singoli colloqui per cogliere gli aspetti comuni al gruppo

usando la tecnica del dialogo di Bohm. Quindi si stabiliscono gli elementi da

mettere in scena.

9.7 Le quattro stanze del cambiamento

Claes Janssen ha sviluppato la sua teoria dei „Four Rooms of Change” (1996)

sulla base di una distinzione elementare: di fronte a un cambiamento possiamo

assumere due atteggiamenti, ovvero dire di no e rifiutare il cambiamento op-

pure dire di sì e accettarlo. Entrambe le possibilità possono essere caratterizza-

te da un atteggiamento positivo o negativo. Collegando posizioni e atteggia-

menti otteniamo la seguente matrice:

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169

Tabella 4: Matrice degli atteggiamenti

Leggiamo sul sito di Claes Jannsen: „Con ogni cambiamento ci muoviamo dalla

soddisfazione che abbiamo perso verso una nuova condizione, passando per un

periodo di rifiuto in cui difendiamo la vecchia situazione e attraversando una

fase di smarrimento. Il punto di svolta che ci apre la strada a nuove possibilità

consiste nella rinuncia al vecchio.”

Janssen definisce il suo modello „Four Rooms of Change”, le „Quattro stanze

del cambiamento” o anche „The Four Rooms Appartment”, l’appartamento di

quattro stanze. La metafora delle stanze descrive nitidamente come percepia-

mo il mondo in ciascuna fase: le pareti limitano la nostra visuale del mondo

circostante e chi è soddisfatto non comprende chi è confuso, chi si trova nella

stanza del rifiuto non riesce a stabilire un contatto con chi porta avanti il cam-

biamento.

Seguendo la metafora delle stanze vediamo che le porte che collegano gli am-

bienti tra loro assumono una grande importanza. Come facciamo a passare

dallo smarrimento al rinnovamento? Come possiamo abbandonare la stanza

del rifiuto per progredire, attraverso un’inevitabile fase di confusione, verso

nuove possibilità? Le porte rappresentano quattro ulteriori parametri che van-

no ad aggiungersi al modello.

Page 171: Strut Ture

170

Una particolarità del rifiuto è che ci ostiniamo a non voler vedere che ne siamo

preda. Fingendoci soddisfatti ci aggrappiamo ai vecchi modelli; lasciarli andare

significherebbe sacrificare un pezzo della nostra identità. „Riconoscere quello

che è”, sta scritto sulla porta che ci conduce temporaneamente dalla stanza del

rifiuto alla stanza dell’insicurezza e dello smarrimento. „Lasciare andare ciò che

è passato” apre la porta per la stanza del rinnovamento. „Compromesso creati-

vo” ci permette di accedere alla stanza della contentezza; infine, per non incor-

rere nella tentazione di volervi sostare in eterno, c’è una porta che reca la scrit-

ta „Va tutto bene, può bastare”. Proprio quest’ultimo passo riesce difficile a

molte persone.

Grafica 16: Quattro stanze del cambiamento

Una delle caratteristiche più preziose di questo modello è che riesce a creare

consenso. Sostiene R.D. Laing: „Quando non riusciamo a creare un accordo,

l’unico inizio onesto e forse anche l’unica conclusione possibile dell’incontro, è

quello di trovare un accordo sul nostro disaccordo” (Janssen, 2009/12). Il mo-

dello delle „Quattro stanze del cambiamento” permette a ogni membro di un

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171

team di prendere posizione senza esporsi al giudizio degli altri. Le quattro stan-

ze sono equivalenti, ognuna rappresenta una fase necessaria del cambiamento.

Per condividere le conoscenze emerse da una costellazione, a volte tracciamo

la griglia delle quattro stanze sul pavimento e invitiamo i manager a collocarsi

nel campo che corrisponde alla loro attuale condizione e a comunicare da lì le

loro riflessioni al gruppo. Oppure chiediamo loro di scrivere le proprie conside-

razioni su cartoncini e di collocarli nella stanza corrispondente. In questo modo

le barriere comunicative paiono come dissolte: vedendo da quale stanza il

collega si rivolge al gruppo, ognuno è in grado di mettere in relazione il suo

messaggio con il rispettivo contesto e di comprenderlo meglio. Spesso, chi si è

collocato nella stanza del „Sì”, si confronta con la propria ombra (in senso jun-

ghiano) guardando chi si è collocato nella stanza del „No”. Questo spiega per-

ché i due tendono a combattersi aspramente e perché al contempo si capisco-

no assai bene.

Quindi invitiamo i manager a spostarsi in un'altra stanza per esperire

„dall’interno” quanto hanno osservato „dall’esterno”. È uno spostamento che

di frequente li porta a dire: „Ora posso finalmente capire cosa intendi!”. I

membri del team comprendono in tal modo che ogni affermazione è legata a

una determinata prospettiva spazio-temporale e che in una fase successiva

questa può anche cambiare.

Il modello delle „Quattro stanze del cambiamento” aiuta a fissare l’aspetto

dinamico e la complessità delle informazioni scaturite dalla costellazione,

Una parte di quanto appreso (SI+) è subito chiara e può essere tradotta

immediatamente in azione.

Per nuove domande emerse nel corso della costellazione (SI-) è necessa-

rio trovare una risposta.

Nel caso si manifestassero resistenze (NO-), la loro utilità consiste nel

rendere i tempi del cambiamento più sopportabili, frenandoli.

Infine, si onora ciò che dev’essere conservato (SI+) perché rappresenta un

aspetto importante dell’identità.

Page 173: Strut Ture

172

Riconoscere le resistenze e l’atteggiamento di rifiuto a volte risulta difficile e

non è sempre facile ammettere lo smarrimento e l’insicurezza. Questo non ci

deve sorprendere: chi è sotto pressione per produrre risultati viene costante-

mente misurato in base alla propria capacità di avere subito pronta la soluzione

giusta per qualsiasi problema. Per questa ragione, il modello delle „Quattro

stanze” viene accolto con un certo sollievo perché da il „permesso” di manife-

stare anche scetticismo, ritrosia e rifiuto.

Il modello si è dimostrato valido anche nel setting individuale, sia per indivi-

duare gli elementi da mettere in scena sia per elaborare le informazioni scatu-

rite dalla costellazione stessa. È utile chiarire al cliente cosa può essere messo

in pratica subito, cosa deve ancora maturare e cosa può restare invariato.

9.8 Il Solution Focused Approach

Il Solution Focused Work (lavoro focalizzato alla soluzione) nasce negli

Stati Uniti d’America come tecnica di terapia breve ad opera di Steve de

Shazer, di sua moglie Insoo Kim Berg e dei suoi collaboratori.

Si tratta di una struttura di intervista che permette al cliente di ottenere

un differente punto di vista, quello appunto focalizzato alla soluzione.

Il problema viene esplorato solo marginalmente e tutta l’attenzione è

focalizzata alla discussione sugli obiettivi che si vogliono raggiungere e

sulle risorse che possono essere messe in campo. Si preferisce dare

forza alla descrizione delle cose che stanno già funzionando o che in

altri ambiti/momenti hanno funzionato e alle risorse/azioni pratiche

messe in atto in quelle occasioni, piuttosto che perdersi in lunghe spie-

gazioni su ciò che non va. In questo modo si esce dal circolo vizioso della

lamentela e ci si apre alla possibilità concreta di influire sulla situazione

trovando possibili soluzioni. La tecnica è di per sé molto semplice, ma

semplice non equivale a facile.

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173

Nell’esperienza pratica spesso si nota quanto per i clienti immersi nel

problema sia difficile definire velocemente ciò che desiderano e/o si

prefiggono. Di solito pensano a come uscire dal problema e sono mossi

più dal desiderio di allontanarsi o scapparne piuttosto che essere attirati

da una possibile soluzione.

Oltre 30 anni di sperimentazione hanno dimostrato come sia davvero

possibile occuparsi delle soluzioni senza dover esplorare a fondo il pro-

blema. Quando si chiede a qualcuno di spiegare il suo problema, la pri-

ma cosa che fa è creare una cornice che contestualizza l'ambito. All'in-

terno di quella cornice inserirà tutta una serie di immagini e di cose che

non funzionano o che parlano del problema; in questo modo si trova

come intrappolato nel quadro che si è creato e gli sarà più difficile

uscirne.

La semplice domanda: “Supponga che il problema sia risolto, che cosa ci

sarebbe al suo posto?” sposta completamente il punto di vista, permet-

tendo al cliente di disegnare un’altra immagine che viene arricchita di

dettagli ogni volta che risponde alla domanda “e cos’altro?”. In questa

nuova immagine non c’è cornice, non c’è confine e questo permette di

espandere la visione, di accedere a piccole differenze che possono crea-

re la differenza, di trovare risorse. A volte già la descrizione dei vantaggi

legati alla soluzione porta a definire dei piccoli passi facilmente attuabili

che permettono di raggiungere l’obiettivo più speditamente.

I benefici di questa metodologia, che è per noi un vero e proprio ap-

proccio, sono legati principalmente al fatto che è mossa da una logica di

processo e non di contenuto. L’intervista è molto strutturata e non ri-

chiede una conoscenza del tema portato dal cliente, anzi, minori infor-

mazioni si hanno in merito, più efficace risulta l’intervento in quanto,

non solo permette al cliente di poter guardare alla situazione dall’alto,

ma gli permette di essere protagonista e lo tratta da effettivo esperto

del tema, quale in effetti è.

Page 175: Strut Ture

174

Pur avendo le stesse radici, l'approccio sviluppato da Steve de Shazer e

dai suoi collaboratori si differenzia dall’approccio sviluppato a Palo Alto

per il ruolo occupato dall’esperto nella relazione terapeuta-paziente.

Nell’approccio di Steve de Shazer l’”esperto” è il cliente, e questa a

nostro avviso è la differenza sostanziale.

Ciò permette al consulente di stare nello “spazio del non sapere” e

semplicemente accompagnare il cliente nell’esplorazione e nella ricerca

della propria soluzione. Quindi, il consulente non offre soluzioni ma

facilita al cliente l’accesso al suo sapere implicito, facendo emergere

così possibili soluzioni.

In breve tempo questo metodo di terapia breve si sviluppò anche in

campo aziendale e attualmente si è diffuso in tutto il mondo come ap-

proccio di coaching, dimostrandone l’efficacia. Per una trattazione ap-

profondita dell’Approccio Solution Focus rimandiamo ai testi di P. Jack-

son M. McKergow In questo capitolo vogliamo affrontare l'approccio

come utile integrazione al metodo delle costellazioni sistemiche. Ve-

diamone i principi salienti:

1. l’esperto è il cliente

2. se una cosa funziona, continuare ad applicarla

3. se una cosa non funziona, smettere di farla e fare dell'altro

4. in ciò che funziona ci sono risorse utili per il sistema

5. possiamo non sapere cos'è bene ma sappiamo cos'è meglio

6. per ottenere soluzioni è meglio partire da ciò che si vuole piuttosto

che da ciò che non si vuole

7. i cambiamenti avvengono per singoli piccoli passi

8. la semplicità aiuta l’efficacia

9. essere testimoni di ciò che sarà

Page 176: Strut Ture

175

Assodati questi principi base, il processo ruota intorno alle seguenti fasi:

esplorazione di ciò che c’è nella situazione attuale

definizione dell’obiettivo da raggiungere attraverso l’esplicitazione

delle differenze che si realizzeranno una volta raggiunta la soluzione,

rispetto allo stato attuale.

esplorazione delle risorse del cliente anche attraverso l’analisi di

ambiti diversi in cui si trovino soluzioni utili

concretizzazione dei piccoli progressi attraverso l’utilizzo di una scala

da 1 a 10, dove 1 rappresenta il massimo del problema e 10 la sua

massima soluzione.

definizione dei passi necessari al raggiungimento della soluzione e

concretizzazione dei risultati

L’esplicitazione delle differenze che si realizzeranno una volta raggiunta

la soluzione è direttamente connessa alla “domanda del Miracolo” che

caratterizza in modo sostanziale l’intero approccio.

La domanda recita:

“Adesso le vorrei fare una domanda un po’ strana e anche

difficile. Per rispondere occorre un po’ di fantasia ... Esatto!

Questa è una domanda difficile. Supponga che tutto quello

che abbiamo fatto sia utile. Dopo questo incontro lei va a

casa e fa ciò che fa di solito, magari parla con la sua fami-

glia, mangia qualcosa, legge un libro o fa qualche altra atti-

vità. Ad un certo punto si sente stanco e va a dormire …

Supponiamo che la notte succeda un miracolo ... E il miraco-

lo è che tutti i problemi per i quali lei è venuto qua oggi sono

risolti! ... Di un colpo, così! [gesto con la mano] ... E questo

sarebbe veramente un miracolo, no?...

Page 177: Strut Ture

176

Quando lei si sveglia la mattina, nessuno però le dice che è

successo un miracolo. Da che cosa lei si potrebbe allora ren-

dere conto che il miracolo è successo? ... Cosa ci sarebbe di

diverso? …. E cos’altro? ... C’è qualcun altro che potrebbe

rendersi conto del miracolo? ...”

La “domanda del Miracolo” è stata studiata e applicata a lungo ed è

importante che venga formulata dando enfasi alle pause in modo tale

che il cliente possa vivere in prima persona ciò che accade quando il

miracolo si avvera, diventando così testimone di ciò che sarà.

Un altro passaggio di fondamentale importanza è rappresentato dalla

sezione della scala. Porsi su una scala da 1 a 10 rende misurabile e

quindi più oggettivo sia lo stato attuale rispetto al problema, ma anche

tutti i passi precedenti ed i successivi passi necessari per raggiungere la

soluzione.

Il cliente viene invitato a dare un valore allo stato attuale, che è sempre

maggiore di 1 in quanto il problema non si verifica in quell’esatto mo-

mento. Il fatto stesso di aver deciso di rivolgersi ad un consulente è un

piccolo passo che necessariamente lo sposta verso l’alto della scala.

Nella fase successiva si analizza ciò che ha funzionato passando da 1 al

livello dello stato attuale (risorse, azioni concrete), per poi evidenziare

le differenze che emergono facendo avanzare il cliente sulla scala verso

la soluzione.

L’Approccio focalizzato alla Soluzione *SFA+ prevede un cambio di pro-

spettiva nell’affrontare i problemi. Questo prepara ad un cambio “cultu-

rale” nella vita quotidiana, cioè ad un nuovo modo di pensare.

il pensiero sistemico viene così integrato con un pensiero rivolto alla

soluzione.

Page 178: Strut Ture

177

Il Pensiero focalizzato alla Soluzione accoglie il problema chiave, ma

sposta immediatamente la sua focalizzazione verso la relativa soluzione.

Esso non è fondato su un esame minuzioso del problema. Non prende

in esame tutte le alternative, tutte le opinioni e tutte le cause. Al con-

trario semplifica, elimina le ridondanze e aiuta a orientarsi verso nuove

direzioni.

L’implementazione di questo differente modo di pensare permette di

accedere alla saggezza, alla sintesi e alla praticità della cooperazione,

ineguagliabili nella risoluzione efficace di problemi e di conflitti appa-

rentemente irrisolvibili.

La sua vera forza risiede nella combinazione tra cooperazione e compe-

titività, nella flessibilità e nella sottile capacità di identificare e sfruttare

le apparenti condizioni di avversità mutandole in propri vantaggi e punti

di forza.

Il metodo tende a considerare le varie possibili soluzioni, ad abbando-

nare la via che non funziona e focalizzarsi su quella che funziona e che si

dimostra essere adeguata allo scopo e a non considerare definitivi i

risultati raggiunti.

In questa ottica il Solution Focused Approach (SFA) può essere sviluppa-

to non tanto attraverso precise procedure addestrative, ma aiutando sia

l'individuo attraverso idoneo accompagnamento all'esperienza sia lavo-

rando sul clima aziendale, con modalità di comunicazione e stili educa-

tivi nuovi, in una direzione in cui tali tendenze siano incoraggiate a 360°,

appunto ciò che chiamiamo: Solution Focused Thinking.

Page 179: Strut Ture

178

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Torino (Einaudi).

Page 184: Strut Ture

183

Page 185: Strut Ture

184

Gli autori

Claude Rosselet

Nato nel 1952, laureato in economia aziendale presso

l’Università di S. Gallen (CH). Per molti anni ha svolto fun-

zioni direttive nell’area dello sviluppo risorse umane presso

importanti aziende della GDO. Nel 1994 inizia l’attività di

consulenza di sviluppo organizzativo e fonda INSCENA,

studio specializzato in un approccio sistemico. Insegna in

diversi istituti svizzeri e tedeschi, tra questi presso l’istituto parauniversitario

“Fachhochschule Westschweiz”. Fondatore e per parecchi anni membro del

consiglio di INFOSYON e membro della redazione della rivista “Praxis der Sy-

stemaufstellungen” . Con Georg Senoner e Henriette Lingg ha pubblicato “Ma-

nagement Constellations”, nonché vari articoli e contributi per libri e riviste di

management.

Georg Senoner

Nato nel 1953, laureato in economa aziendale presso

l’Università L. Bocconi di Milano, ha condotto per oltre 20

anni l’azienda di famiglia Sevi s.p.a., produttrice di giocatto-

li a livello internazionale. Nel 1998 inizia l’attività di consu-

lenza di direzione in collaborazione con un noto studio

milanese. In seguito fonda SysMaCon, un network di consu-

lenza e formazione di matrice sistemica. Si specializza in

sviluppo organizzativo, strategie ed executive coaching. Insegna la metodologia

delle costellazioni sistemiche presso Sistema Counseling a Milano e presso il

Hellinger Instituut di Groningen NL. Ha pubblicato vari articoli e contributi per

libri e riviste di management.

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185

Riccardo Benardon

Nato nel 1949, ha frequentato il politecnico, diplomato alla

SDA-Bocconi. Change Manager via Executive Coaching.

Gestione della “Discontinuità” nel cambiamento organizza-

tivo e nel Passaggio Generazionale. Esperienza maturata sia

lavorando con e per primarie strutture private e pubbliche,

nazionali e multinazionali, sia partecipando a gruppi di

ricerca. Molteplici pubblicazioni e partecipazione attiva a convegni in Europa e

in America. Utilizza il metodo delle Costellazioni Sistemiche e collabora allo

sviluppo della loro integrazione con il Solution Focused Approach.

Marco Matera

Nato nel 1968, laureato in chimica industriale, parallela-

mente all’attività di chimico come dipendente in ARPAL

dove cura il processo di assicurazione qualità, si occupa di

coaching sistemico e formazione manageriale. Specializza-

to in Solution Focused Approach si occupa di ricerca appli-

cata. Dal 2008 è relatore internazionale e nel 2009 il suo

approccio è stato oggetto di tesi presso la facoltà di Facility Management

dell’NHTV di Breda (NL). Insieme a R. Benardon ha curato per Franco Angeli il

testo “Punta alla Soluzione” edizione italiana del testo inglese “The Solution

Focus”.

Marisa Clotilde Vecchi

Nata nel 1952 è psicologa di indirizzo sistemico e integra

diversi approcci( Psicoanalisi junghiana, Analisi Transaziona-

le, PNL, Enneagramma, EMDR, Somatic Experience,) .Dopo

un’esperienza aziendale in 3M ha operato in società di

consulenza aziendale occupandosi di progetti di sviluppo

delle competenze, di formazione e di counselling. Ha fatto

parte del direttivo dell’AIF ed ha coordinato un Master di

Formazione Formatori patrocinato dall’Enfapi di Genova. Ha prodotto numero-

si articoli su riviste specializzate. Dal 1999 è membro del Cepei, associazione di

psicoanalisti di Milano ed opera come psicoterapeuta in uno studio privato,

con particolare focalizzazione sulla cura del trauma.

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186

www.sysmacon.com

Workshops di formazione Interventi di consulenza sistemica

Management Constellations

corsi per l’apprendimento della metodologia per principianti ed esperti

worksops tematici per l’applicazione della metodologia a specifiche situazioni aziendali

progetti di sperimentazione e approfondimento

Systemic Management

workshop aziendali concepiti su misura

workshop interaziendali con par-tecipanti selezionati

sviluppo dell’eccellenza del si-stema impresa

sviluppo della produttività dei team

sviluppo della competenza pro-fessionale

Diagnosi sistemica

riconoscere le strutture di fondo che condizionano il successo dell’azienda

Sviluppo organizzativo

valorizzare il know-how esplicito e implicito dell’azienda

sviluppo organico delle routine organizzative

ottimizzazione dell’efficienza del sistema

meccanismi di feedback e auto-regolazione

Sviluppo delle strategie

istaurare meccanismi di innova-zione continua

focalizzazione sulle competenze distintive e sul core business

cicli di aggiustamento periodico della strategia

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In questo libro gli autori vanno alla scoperta delle strutture di fondo che condi-

zionano il successo di un’azienda e presentano un approccio che permette,

almeno in parte, di decodificarle e di accedere a quella parte nascosta del sa-

pere che chiamiamo intuizione. Questo approccio è noto come “Costellazioni

Sistemiche” e, partendo dalla Germania dove è stato inizialmente sviluppato, si

sta gradualmente diffondendo in tutto il mondo.

Claude Rosselet e Georg Senoner hanno dato un contributo importante per

integrare la metodologia delle Costellazioni Sistemiche con altri approcci inno-

vativi di consulenza e di management. Il loro libro si rivolge sia a imprenditori e

manager desiderosi di trovare nuovi spunti, sia a consulenti che vogliono acqui-

sire nuovi strumenti. I primi saranno indotti a dare più fiducia alle intuizioni

proprie e dei loro collaboratori e a rivolgere la loro attenzione verso alcuni

fattori critici, dei quali forse non hanno sempre tenuto debitamente conto. I

secondi potranno facilmente integrare le tecniche esposte nel loro approccio

consueto.

“Di questo libro mi piacciono molte cose. È esaustivo ma compatto, è di facile

lettura anche per coloro che essendo molto impegnati hanno poco tempo a

disposizione. Gli autori espongono i contenuti in modo ordinato e sfaccettato e

ricco di esempi pratici. La descrizione dei concetti affini di C. O. Scharmer o di K.

E. Weick è stimolante; il confronto con i processi propri alle Management Con-

stellations mostra da un lato come filoni di consulenza simili si siano sviluppati

in contesti diversi, dall’altro mette in risalto peculiarità della costellazione si-

stemica quali il linguaggio della rappresentazione nello spazio e altre modalità

di percezione.”

Dalla prefazione di Gunthard Weber

“Le costellazioni sistemiche ci aiutano a vedere, sentire e comprendere le nostre

organizzazioni e gestirne i cambiamenti. Nel frattempo sono diventate per noi

uno strumento importante nei processi decisionali conciliando in maniera effi-

cace l’intelligenza della testa con quella della pancia.”

Karl Tragust, direttore della ripartizione famiglia e politiche sociali della Provin-

cia Autonoma di Bolzano