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Dispense per il corso di: STRUMENTAZIONE ELETTRONICA DI MISURA II Prof. D'ANTONA GABRIELE A cura di Ugo Ambrosetti e Massmiliano Galli

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Page 1: STRUMENTAZIONE ELETTRONICA DI MISURA II - Tesionline · 1.3.2 Rappresentazione di processi aleatori: Anche nel caso in cui il segnale non è noto a priori, e dunque è impossibile

Dispense per il corso di:

STRUMENTAZIONE ELETTRONICA DI MISURA II

Prof. D'ANTONA GABRIELE

A cura di

Ugo Ambrosetti e

Massmiliano Galli

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Dispensa del corso di “Strumentazione Elettronica di Misura II” a cura di Ugo Ambrosetti e Massimiliano Galli

Indice :

Sezione 1 – Introduzione al Corso

1.1 - Trasmissione dell’informazione 1.2 - Trasmissioni numerico 1.3 - Segnali analogici, certi ed aleatori

1.3.1 - Rappresentazione di segnali analogici 1.3.2 - Rappresentazione di processi aleatori

1.4 - Segnali numerici 1.5 - Teoria delle probabilità 1.6 - Segnali e sistemi

1.6.1 - Caratteristiche dei sistemi 1.6.2 - Caratteristiche dei segnali 1.6.3 - Aspetti fisici delle grandezze energetiche

2.1 - Serie di Fourier

2.1.1 - Segnali reali 2.1.1.1 - Simmetria coniugata 2.1.1.2 - Interpretazione degli Xn come fasori 2.1.1.3 - Serie Trigonometrica

2.1.2 - Serie di Fourier a banda limitata 2.2 - Teorema di Parseval

2.2.1 - Spettro di Potenza per segnali periodici 2.3 - Esempi di Sviluppi in Serie di Fourier

3.1 - Definizione T.d.F. 3.2 - Densità di energia 3.3 - Appendici

3.3.1 - Sintesi delle proprietà della trasformata di Fourier 3.3.2 - Trasformate di segnali

4.1 - Teorema del Campionamento

4.1.1 - Aliasing 4.1.2 - Energia di un segnale campionato 4.1.3 - Uso pratico

4.2 - Trasformata discreta di Fourier 4.2.1 - Relazione tra DFT e trasformata Z 4.2.2 - Filtraggio numerico via DFT

5.1 - Teoria delle probabilità 5.1.1 - Assiomi delle probabilità 5.1.2 - Teoremi di base 5.1.3 - Probabilità condizionali 5.1.4 - Teorema di Bayes 5.1.5 - Indipendenza statistica

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5.2 - Variabili aleatorie 5.2.1 - Funzioni di densità e di distribuzione di probabilità 5.2.2 - Medie, momenti e momenti centrati 5.2.3 - Variabile aleatoria a distribuzione uniforme 5.3 - Processi Stazionari ed Ergodici 5.3.1 - Media di insieme 5.3.2 - Medie temporali 5.3.3 - Medie temporali calcolate come medie di insieme 5.3.4 - Processi stazionari 5.3.5 - Processi stazionari ed erodici 5.3.6 - Riassumendo 5.3.7 - Processo ad aleatorietà parametrica 6.1 - Correlazione e Covarianza

6.1.1 - Correlazione 6.1.2 - Covarianza e Indipendenza Statistica 6.1.3 - Statistiche dei Processi

6.1.4 - Autocorrelazione 6.1.4.1 - Proprietà dell’autocorrelazione

6.2 - Densità Spettrale 6.2.1 - Teorema di Wiener 6.2.2 - Esempi

6.3 - Stima spettrale

Sezione 2 – Meccanismi di Rumore

7.1 - Introduzione 7.2 - Rumore termico 7.3 - Rumore shot (equazione di Schottky) 7.4 - Rumore 1/f (excess noise)

7.4.1 - Proprietà statistiche del rumore 1/f 7.4.1.1 - Stazionarietà 7.4.1.2 - Gaussianità 7.4.1.3 - I processi di rumore 1/f sono presenti all’equilibrio termico?

8.1 - Rumore nei bipoli passivi 8.2 - Rapporto segnale rumore dei generatori 8.3 - Rumore nelle reti due porte

8.3.1 - Reti passive 8.3.2 - Rapporto SNR in uscita 8.3.3 - Fattore di rumore 8.3.4 - Reti attive 8.3.5 - Fattore di rumore per reti in cascata

9.1 - Gli amplificatori operazionali

9.1.1 - Il componente ideale 9.1.2 - Configurazioni lineari

9.1.2.1 - Amplificatore in configurazione invertente 9.1.2.2 - Circuito integratore e derivatore

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9.1.3 - Configurazioni a scatto 9.1.3.1 - Il comparatore 9.1.3.2 - Comparatore con isteresi 9.1.3.2 - Multivibratore astabile

9.2 - L’amplificatore differenziale 9.2.1 - La reiezione del modo comune

9.3 - L’amplificatore per strumentazione 9.3.1 - Schema circuitale 9.3.2 - Il bilanciamento degli ingressi

9.4 - Il rumore negli amplificatori operazionali 9.4.1 - Circuito equivalente (modo differenziale) 9.4.2 - Il rumore nell’amplificatore operazionale 9.4.3 - Circuito equivalente per Offset e Derive 9.4.4 - Bias e Offset all’uscita di una generica configurazione 9.4.5 - Progetto a basso rumore

Sezione 3 – Rivelazione dei segnali

10.1 - Filtraggio 10.1.1 - Filtro del primo ordine

10.1.2 - Filtro a “finestra mobile” 10.1.3 - Filtraggio lineare ottimo

10.1.3.1 - Filtro di Wiener 10.1.3.2 - Filtro adattato

10.2 - Tecniche di correlazione 10.3 - Rivelazione del segnale (Riassunto) 10.4 - BoxCar sampling gate 10.5 - Lock-in

Sezione 4 – PLL (Phase Locked Loop)

11.1 - Principio di funzionamento 11.2 - Introduzione ai blocchi fondamentali

11.2.1 - Phase Detector 11.2.2 - Phase-Frequency Detector e Charge Pump 11.2.3 - Voltage-Controlled Oscillator 11.2.4 - Low-Pass Filter

11.3 - Dinamica del Phase-Locked Loop

Sezione 5 – Collegamenti e mezzi trasmissivi

12.1 - Dimensionamento di un collegamento 12.2 - Collegamenti in cavo

12.2.1 - Costanti distribuite, grandezze derivate, e condizioni generali 12.2.2 - Trasmissione in cavo

12.2.2.1 - Casi limite 12.2.3 - Tipologie di cavi

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12.2.3.1 - Coppie simmetriche 12.2.3.2 - Cavo coassiale

12.3 - Collegamenti in fibra ottica 12.3.1 - Generalità 12.3.2 - Propagazione luminosa 12.3.3 - Multiplazione a divisione di lunghezza d’onda – WDM 12.3.4 - Ridondanza e pericoli naturali 12.3.5 - Sonet

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Dispensa del corso di “Strumentazione Elettronica di Misura II” – Ambrosetti , Galli Sezione 1: Introduzione al corso

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CAPITOLO 1 – INTRODUZIONE: 1.1 Trasmissione dell’informazione: L’origine del segnale da trasmettere è indicata come sorgente, di tipo analogico o numerico per i due tipi di segnale. Ciò che giace tra sorgente e destinatario viene descritto da una entità astratta denominata canale di comunicazione, le cui caratteristiche condizionano i messaggi trasmessi. Il canale può ad esempio imporre una limitazione alla banda di frequenze del segnale in transito; cause fisiche ineliminabili producono inoltre, al lato ricevente, l’insorgere di un segnale di disturbo additivo, comunemente indicato con il termine di rumore, che causa la ricezione di un segnale diverso da quello stesso presente all’uscita del canale. Pertanto, ci si preoccupa di caratterizzare il canale in modo da scegliere i metodi di trasmissione più idonei a rendere minima l’alterazione sul messaggio trasmesso. L’entità delle alterazioni subite dal messaggio viene spesso quantificata in termini di rapporto segnale rumore (SNR o SIGNAL-TO-NOISE RATIO), che rappresenta un indice di qualità del collegamento stesso, e che per ora definiamo genericamente come il rapporto tra l’entità del segnale utile ricevuto e quello del rumore ad esso sovrapposto (n = segnale utile ricevuto / rumore). La linea di trasmissione è costituita da un mezzo trasmissivo su cui si propaga un segnale di natura elettrica, occorrono perciò un sistema di traduzione e dei dispositivi di adattamento (es. equalizzatori, amplificatori, codificatori di linea..) per rendere le caratteristiche del segnale adatte a quelle della linea. 1.2 Trasmissioni numerico: Qualora si desideri trasmettere un segnale numerico, questo deve in generale essere convertito in un segnale analogico mediante l’utilizzo di dispositivi chiamati Modem, come rappresentato dalla figura seguente.

Il progetto del canale numerico è caratterizzato da un fattore di qualità individuato dalla probabilità di errore che è definita come la frequenza con cui i simboli ricevuti differiscono da quelli trasmessi. Nelle trasmissioni numeriche, si può introdurre una ridondanza nella sequenza trasmessa, inviando più simboli di quanti non ne produca la sorgente; i simboli in più sono scelti con criteri che li rendono dipendenti tra loro, per rendere possibile la riduzione della probabilità d’errore: il ricevitore è in grado di accorgesi che si è verificato un errore (se non c’è la dipendenza) e può attuare delle contromisure (es. correzione dell’errore isolato FEC, oppure può chiedere la ritrasmissione). Queste trasformazioni di codifica devono poi essere rimosse all’uscita con un decodificatore. Poniamoci ora il problema di utilizzare un canale numerico per effettuare una trasmissione analogica. Il vantaggio di tale “contorsione” è da ricercarsi nel migliore comportamento delle trasmissioni numeriche rispetto ai disturbi, nonché alla loro generalità. Per ottenere il risultato desiderato, occorre applicare alla sorgente analogica un procedimento di campionamento, prelevandone i valori ad istanti discreti, e quindi di quantizzazione, rappresentando tali valori mediante un insieme finito di simboli. Il risultato è una sequenza numerica che può essere di nuovo convertita nel segnale originario, utilizzando un dispositivo di conversione digitale-analogica (DAC) dal lato del ricevitore.

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La riduzione dei valori campionati ad un numero finito di elementi introduce un’ulteriore distorsione. L’entità del rumore di quantizzazione è inversamente legata alla risoluzione. CLAUDE SHANNON, enunciò negli anni ’50 una serie di teoremi, che sono la base dell’analisi dei sistemi di comunicazione:

• Un qualsiasi canale pone un limite al massimo flusso informativo che transita in esso. Il limite deriva dai vincoli che il canale impone sulla massima banda B del segnale in transito, sulla massima potenza di segnale S ricevuta, e sulla potenza di rumore N presente al ricevitore. Il massimo flusso di informazione in transito prende il nome di capacità di canale C, e può essere espresso come:

C = B log2 (1 + S/N) [bit/sec]

• Una qualsiasi sorgente produce un flusso informativo in bit/secondo tanto più elevato quanto minore è la distorsione introdotta dal processo di quantizzazione.

• Considerando una coppia sorgente + canale, dato che il canale limita il massimo flusso

informativo prodotto dalla sorgente, quest’ultima verrà necessariamente riprodotta con una distorsione tanto maggiore quanto minore è la capacità di canale.

1.3 Segnali analogici, certi ed aleatori: I segnali analogici, indicati con s (t) rappresentano l’andamento nel tempo di una grandezza elettrica (es. segnale vocale: in cui un’onda trasversale di pressione-velocità è convertita in una tensione da un microfono, oppure segnale di immagine, che è bidimensionale, e definito su di un piano anziché nel tempo, rappresentato da una grandezza S (x, y) che ne individua la luminanza, e scandito per linee generando un segnale temporale. Un segnale può anche assumere valori complessi, in questo caso il segnale assume contemporaneamente due diversi valori: parte reale e parte immaginaria, oppure modulo e fase). E’ importante distinguere tra i segnali cosiddetti certi e quelli aleatori. Un esempio di segnale certo può essere una cosinusoide di cui sia nota sia l’ampiezza che la fase, mentre un segnale aleatorio non è noto con esattezza prima che questo venga prodotto (ad esempio il rumore di un ruscello, o le notizie presenti in un telegiornale). L’insieme di tutti i segnali aleatori appartenenti ad una medesima classe viene indicato nel suo complesso come processo aleatorio, ed un segnale particolare di questo insieme come una sua realizzazione. 1.3.1 Rappresentazione di segnali analogici: Lo studio delle proprietà dei segnali si articola prendendo in considerazione per gli stessi rappresentazioni alternative, scelte in modo da poter valutare più agevolmente le alterazioni subite dai segnali nel passaggio attraverso sistemi fisici. In particolare, sarà definito lo sviluppo in serie di Fourier per la rappresentazione dei segnali periodici, e quindi la trasformata di Fourier che descrive una classe più ampia di segnali. L’analisi di Fourier consente di definire il concetto di banda occupata da un segnale, nonché di come la sua potenza e/o energia si distribuisce in frequenza; quest’ultimo andamento viene indicato con il termine di Spettro di Densità di Potenza (o di Energia). 1.3.2 Rappresentazione di processi aleatori: Anche nel caso in cui il segnale non è noto a priori, e dunque è impossibile calcolarne la trasformata di Fourier in forma chiusa, si può ugualmente giungere ad una rappresentazione che caratterizzi le realizzazioni del processo nei termini della distribuzione (statistica) in frequenza della potenza di segnale. Ciò è possibile considerando la funzione di autocorrelazione, che esprime il grado di interdipendenza statistica tra i valori assunti in istanti diversi dalle realizzazioni del processo, e che costituisce un elemento unificante ai fini della stima spettrale dei segnali (processi molto correlati

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siano caratterizzati da una densità di potenza di tipo colorato che indica la prevalenza di alcune frequenze su altre, mentre processi scarsamente correlati saranno identificati da una densità di potenza di tipo bianco ovvero la presenza di tutte le lunghezze d’onda in ugual misura). 1.4 Segnali numerici Sono indicati con la notazione s [k], per evidenziare che il loro dominio è l’insieme dei numeri interi. Sono valide le stesse definizioni fornite a riguardo dei segnali analogici, relativamente ai concetti di potenza, energia e periodicità, utilizzando qui delle sommatorie in luogo degli integrali. Un segnale viene chiamato numerico quando assume valori appartenenti ad un insieme finito di simboli; per questo motivo, la sua essenza è indicata anche come sequenza simbolica. Segnali tempo-discreti: si può alternativamente rappresentare ogni carattere con un diverso valore di tensione, ottenendo un segnale analogico che è una rappresentazione a più livelli di tensione della sequenza originaria. Il concetto di occupazione di banda, applicabile ai segnali analogici, è qui sostituito da quello di velocità di emissione, espressa in simboli/secondo, ed indicata come frequenza di simbolo. Una sequenza prodotta da una sorgente numerica si presta facilmente ad essere trasformata in un’altra, con un diverso alfabeto ed una differente frequenza di simbolo. 1.5 Teoria delle probabilità: Molti dei concetti utilizzati per trattare i processi aleatori, per definire la quantità di informazione di un messaggio, le prestazioni di un canale, il dimensionamento di reti di comunicazione, sono fondati sulla conoscenza della teoria delle probabilità, che verrà pertanto illustrata, almeno nei suoi concetti fondamentali nel proseguo della dispensa. 1.6 Segnali e sistemi: Un sistema è un gruppo di oggetti che interagiscono armoniosamente, e che sono combinati in modo da conseguire un obbiettivo desiderato. Un segnale è un evento che veicola un contenuto informativo. Nel nostro caso, possiamo interessarci alla risposta di un sistema ad un dato segnale. A volte, un sistema è descritto unicamente in termini della sua risposta a determinati segnali. 1.6.1 Caratteristiche dei sistemi: Idealizziamo ora un sistema come una trasformazione T [.], tale che ad ogni segnale di ingresso x (t) corrisponda una uscita y (t):

T [x (t)] = y (t) In base a tale formalismo, riportiamo alcune caratteristiche dei sistemi, che ne descrivono il comportamento in termini più generali:

• Linearità: un sistema è lineare quando l’uscita associata ad una combinazione lineare di ingressi, è la combinazione lineare delle uscite previste per ogni singolo ingresso:

Al contrario, un legame ingresso-uscita senza memoria14 del tipo y (t) = g (x (t)), in cui g (.) è una generica funzione non lineare, non è lineare !

• Stazionarietà o Permanenza: un sistema è permanente (o stazionario) se l’uscita associata

ad un ingresso traslato nel tempo, è la traslazione temporale dell’uscita che si avrebbe per lo stesso ingresso non traslato, ovvero se:

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T [x (t)] = y (t), allora T [x (t − ζ )] = y (t −ζ)

Nel caso contrario, il sistema è detto tempo-variante.

• Casualità o Realizzabilità fisica: determina l’impossibilità di osservare un’uscita, prima di aver applicato un qualunque ingresso. Una definizione alternativa asserisce che i valori di uscita y (t) ad un istante t = t0, non possono dipendere da valori di ingresso x (t) per t > t0.

• Stabilità: è definita come la proprietà di fornire uscite limitate (in ampiezza) per ingressi

limitati. 1.6.2 Caratteristiche dei segnali: Da un punto di vista analitico, un segnale è una funzione del tempo per il quale si possono operare le classificazioni:

• Segnale di potenza: un segnale analogico può avere una estensione temporale limitata, oppure si può immaginare che si estenda da meno infinito a infinito. Nel secondo caso il segnale si dice di potenza se ne esiste (ed è diversa da zero) la media quadratica:

Un segnale di potenza è inoltre detto Segnale periodico di periodo T, nel caso in cui si verifichi che

s (t) = s (t + T) per qualsiasi valore di t.

• Segnale di energia: un segnale di durata limitata o illimitata, se esiste il valore:

In particolare, se un segnale ha durata limitata, ovvero è nullo per t al di fuori di un intervallo [t1, t2] , allora è anche di energia.

• Segnale impulsivo: un segnale di energia, che tende a zero come (o più velocemente di 1/t)

Riassumendo: • Un segnale impulsivo è di energia; • Un segnale a durata limitata è impulsivo, e di energia; • Un segnale periodico non è di energia, ma di potenza;

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1.6.3 Aspetti fisici delle grandezze energetiche:

• Potenza istantanea: se consideriamo una resistenza R, ed applichiamo ai suoi capi una tensione v (t), in essa scorre una corrente i (t) = v(t) / R, e la potenza ceduta alla resistenza ad ogni istante t è pari a:

p (t) = v (t) i (t)

che si misura in Watt (equivalente a Joule/secondo), e che rappresenta la potenza istantanea assorbita.

• Energia: se integriamo p (t) su di un intervallo temporale T, si ottiene l’energia complessiva

assorbita da R nell’intervallo T:

nello stesso intervallo T, la resistenza assorbe una potenza:

[Watt]

che costituisce una media a breve termine dell’energia assorbita nell’intervallo T. Se un segnale x (t) è periodico con periodo T, i valori di eT (t) = pT (t) coincidono con quelli calcolabili con T comunque grande. Se R = 1 , tali valori coincidono inoltre con le definizioni di potenza ed energia del segnale:

• Potenza dissipata: se la resistenza è diversa da 1 le due quantità non coincidono più. Nelle misure fisiche in genere si ottiene la potenza dissipata sullo strumento di misura (o irradiata dall’antenna, o dagli altoparlanti) espressa in Watt. Per risalire alla potenza/energia di segnale delle grandezze elettriche presenti ai suoi capi (tensione o corrente) occorre dividere (o moltiplicare) la potenza in Watt per R.

• Valore efficace: si indica allora come valore efficace quel livello di segnale continuo che

produrrebbe lo stesso effetto energetico.

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CAPITOLO 2 – SERIE DI FOURIER: 2.1 Serie di Fourier: Come anticipato, un segnale periodico x (t) è un segnale di potenza, che assume ripetutamente gli stessi valori a distanza multipla di un intervallo temporale T denominato periodo, ovvero tale che:

x (t) = x (t + T)

L’inverso di T è detto frequenza fondamentale F = 1 / T o prima armonica di x (t), espressa in Hertz, dimensionalmente pari all’inverso di un tempo [sec−1]. Per i segnali periodici esiste una forma di rappresentazione basata sulla conoscenza di una serie infinita di coefficienti complessi Xn denominati coefficienti di Fourier, calcolabili a partire da un periodo del segnale come:

e che permettono la ricostruzione di x (t), sotto forma di una combinazione lineare di infinite funzioni esponenziali complesse , mediante l’espressione nota come serie di Fourier:

Osserviamo che: • La conoscenza di Xn equivale a quella di x (t) e viceversa, esistendo il modo di passare dall’una all’altra rappresentazione; • Le funzioni della base di rappresentazione sono funzioni trigonometriche a frequenza multipla (n-esima) della fondamentale, detta anche n-esima armonica. • I termini sono chiamati componenti armoniche di x (t) a frequenza f = nF;

• Il coefficiente rappresenta la componente continua (o valor medio) di x (t); • La serie di Fourier dà valori esatti in tutti i punti in cui x (t) è continuo, mentre in corrispondenza di discontinuità di prima specie fornisce un valore pari alla media dei valori agli estremi, cosicché il valore dell’energia di un periodo è preservato; • I coefficienti di Fourier Xn possono essere calcolati anche per un segnale di estensione finita T. Antitrasformando, il segnale diventa periodico! • Se poniamo nF = f (con f variabile continua), possiamo interpretare le componenti armoniche come i valori campionati di una funzione (complessa) delle frequenza: Xn = X (nF). Ad X (f) si dà il nome di

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inviluppo dello spettro di ampiezza di x (t), che si ottiene estendendo la definizione dei coefficienti di Fourier:

• I coefficienti Xn sono valori complessi. Al loro posto si possono usare, in alternativa:

essendo:

2.1.1 segnali reali: 2.1.1.1 Simmetria coniugata: I coefficienti della serie di Fourier possono essere calcolati anche per segnali complessi; nel caso particolare di x (t) reale i coefficienti di Fourier risultano godere della proprietà di simmetria coniugata, espressa come

e che significa che i coefficienti con indice n negativo possiedono una parte reale uguale a quella dei coefficienti con (uguale) indice positivo, e parte immaginaria cambiata di segno. Ciò comporta una proprietà analoga per il modulo e la fase di Xn, e dunque possiamo scrivere:

Tali relazioni evidenziano che:

• Se x (t) è reale, i coefficienti Xn risultano avere modulo pari e fase dispari, ovvero parte reale pari e parte immaginaria dispari.

Un corollario di questo risultato è che:

• Se x (t) è reale pari, i coefficienti Xn sono reali (pari), mentre se x (t) è reale dispari, gli Xn sono immaginari (dispari).

2.1.1.2 Interpretazione degli Xn come fasori: Confrontando la formula di ricostruzione:

e quella:

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ricavata per il caso di un coseno, e tenendo conto della proprietà di simmetria coniugata , si nota come un segnale reale possa essere pensato composto a partire da un insieme infinito di fasori (pari al doppio dei coefficienti Xn), rotante ognuno con una velocità angolare multipla della frequenza fondamentale. 2.1.1.3 Serie Trigonometrica: Nel caso in cui gli Xn abbiano simmetria coniugata, la formula di ricostruzione può scriversi:

ovvero in forma di serie di coseni; si noti che X0 è necessariamente reale, in quanto la fase deve risultare una funzione dispari della frequenza. In modo simile, le proprietà relative alle parti reale ed immaginaria permettono di scrivere:

in cui:

Pertanto, nel caso in cui x (t) sia un segnale reale, la serie di Fourier si riduce ad uno sviluppo in termini di funzioni trigonometriche, ed in particolare ad una serie di soli coseni nel caso in cui x (t) sia pari, oppure una serie di soli seni, nel caso in cui sia dispari. 2.1.2 Serie di Fourier a banda limitata: Consideriamo un’onda quadra con duty-cycle del 50%:

rappresentata mediante una serie troncata di Fourier in cui si considerano solo i coefficienti Xn con indice

Sappiamo che e per =T/2 si ottiene , che risulta diversa da zero solo con n dispari e quindi:

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Essendo inoltre x (t) reale pari, sappiamo che può essere espresso come serie di coseni:

2.2 Teorema di Parseval: Stabilisce l’equivalenza di due rappresentazioni del segnale dal punto di vista energetico. La potenza, infatti, è calcolabile in modo simile in entrambi i domini del tempo e della frequenza, risultando:

Sviluppiamo i calcoli che danno luogo al risultato mostrato:

Ortogonalità degli esponenziali complessi: nei precedenti calcoli si è fatto uso del risultato:

che deriva dalla circostanza che la funzione integranda (per n m) è periodica con periodo uguale o sotto-multiplo di T, e quindi a valor medio nullo; per n = m invece essa vale = 1, e dunque il risultato. Questo prende il nome di Proprietà di Ortogonalità degli esponenziali complessi. 2.2.1 Spettro di Potenza per segnali periodici: L’integrale seguente, oltre a misurare la potenza del segnale periodico x (t), ne misura la norma quadratica da un punto di vista algebrico.

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Tornando ad esaminare il risultato espresso dal teorema di Parseval, notiamo che è la potenza di una singola componente armonica di x (t):

e quindi osserviamo che:

La potenza totale di un segnale periodico x (t) è pari alla somma delle potenze delle sue componenti armoniche

Si presti attenzione che il risultato è una diretta conseguenza dell’ortogonalità della base di rappresentazione. In generale, la potenza di una somma non è pari alla somma delle potenze; l’uguaglianza ha luogo solo nel caso di in cui gli addendi siano ortogonali. La successione rappresenta come la potenza totale si ripartisce tra le diverse armoniche a frequenza f = nF, e prende il nome di Spettro di Potenza del segnale x (t). Osserviamo che necessariamente i termini risultano reali e positivi. Inoltre, se x (t) è reale, risulta , e quindi si ottiene ; pertanto un segnale reale è caratterizzato da uno spettro di potenza pari. 2.3 Esempi di Sviluppi in Serie di Fourier:

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CAPITOLO 3 – TRASFORMATA DI FOURIER: Abbiamo già osservato che lo sviluppo in serie di Fourier può essere applicato ad un segnale limitato nel tempo, e che l’uso della formula di ricostruzione rende periodico il segnale originario. Se però facciamo tendere ad infinito il periodo “fittizio” T su cui sono calcolati i coefficienti Xn, le armoniche della serie di Fourier tendono ad infittirsi, fino ad arrivare ad una distanza infinitesima; allo stesso tempo, la periodicizzazione del segnale ricostruito tende via via a scomparire.

3.1 Definizione: La trasformata di Fourier serve a rappresentare quei segnali per i quali non sussiste una struttura periodica, ed è un operatore funzionale che, applicato ad un segnale definito nel dominio del tempo, ne individua un altro nel dominio della variabile continua frequenza (a differenza della serie discreta di Fourier, idonea al caso in cui siano presenti solo armoniche della fondamentale). L’operazione di trasformazione è spesso indicata con la simbologia X (f) = F x (t), ed il segnale trasformato si indica con la stessa variabile di quello nel tempo, resa maiuscola. La sua definizione formale dal punto di vista analitico è:

la cui esistenza è garantita per segnali x (t) impulsivi (ovvero per i quali cioè assolutamente sommabili). Un segnale impulsivo è anche di energia, mentre non è sempre vero il viceversa. Spesso però, X (f) esiste anche per segnali di energia; vedremo inoltre che può essere definita (grazie ad operazioni di passaggio al limite) anche per segnali di potenza periodici. L’antitrasformata di Fourier è l’operatore analitico che svolge l’associazione inversa a ,e che consente di ottenere, a partire da un segnale definito nel dominio della frequenza, quel segnale nel dominio del tempo la cui trasformata è il primo segnale. L’operazione di antitrasformazione è definita come:

e vale ovunque x (t) sia continuo, mentre nelle discontinuità di prima specie fornisce il valor medio di x (t). Il risultato della trasformata è anche detto spettro di ampiezza complessa, mentre M (f) ed sono detti spettri di modulo e fase. La formula di ricostruzione, se messa a confronto con la serie di Fourier, può essere pensata come una somma integrale di infinite componenti di ampiezza (complessa) infinitesima, evidenziando come ora siano presenti tutte le frequenze e non solo le armoniche. Una seconda analogia con la serie di Fourier deriva dal considerare un segnale x (t) di durata limitata T, e calcolare per . In tal caso, è facile verificare che risulta

con Xn pari all’n-esimo coefficiente di Fourier calcolato per x (t) su quello stesso periodo.

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3.2 Densità di energia: Similmente al caso dei segnali periodici, viene ora stabilita una relazione tra l’energia di un segnale, e la distribuzione della stessa nel dominio della frequenza. Definiamo come prodotto scalare tra i segnali di energia x (t) e y (t) (detto anche energia incrociata) il valore:

che, nel caso in cui x (t) = y (t), coincide con l’energia di x (t). Se entrambi x (t) e y (t) possiedono trasformata di Fourier possiamo scrivere:

Il risultato:

esprime il teorema di Parseval per segnali di energia, ed implica che le trasformate di segnali ortogonali, sono anch’esse ortogonali. Ponendo ora x (t) = y (t), si ottiene:

Esaminando quest’ultima espressione, possiamo indicare:

come lo spettro di densità di energia di x (t). Infatti, l’integrale rappresenta il contributo all’energia totale di x (t), limitatamente alla banda di frequenze comprese tra f1 ed f2.

3.3 Appendici: 3.3.1 Sintesi delle proprietà della trasformata di Fourier:

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3.3.2 Trasformate di segnali:

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CAPITOLO 4 – CENNI SUL CAMPIONAMENTO E L’ELABORAZIONE NUMERICA DEI SEGNALI 4.1 Teorema del Campionamento:

Un segnale con spettro nullo a frequenze maggiori di W, è univocamente definito a partire dai valori che assume agli istanti t = n / 2W , con n intero.

La frequenza 2W è chiamata frequenza di Nyquist. In virtù del teorema, l’andamento di un segnale x (t) limitato in banda tra −W e W può essere ricostruito in base ai suoi campioni, presi a frequenza doppia della sua banda a frequenze positive, per mezzo della formula:

in cui la funzione sinc (2Wt) è mostrata in figura, assieme ad una sua replica traslata.

Per dimostrare il risultato, studiamo il circuito riportato in figura che mostra uno schema simbolico che (come vedremo) realizza le stesse operazioni della formula di ricostruzione, operando un campionamento con periodo Tc = 1/ 2W .

Calcoliamo innanzitutto lo spettro di ampiezza X• (f) del segnale che esce dal moltiplicatore, che ha subito un’alterazione notevole rispetto a quello di X (f) in ingresso. Infatti, il segnale:

ha uno spettro di ampiezza:

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dove il penultimo passaggio scambia l’integrale di una somma con una somma di integrali, e l’ultimo passaggio tiene conto della proprietà di convoluzione con un impulso. In definitiva si è mostrato che X• (f) è costituito dalle repliche di X (f) centrate a multipli della frequenza di campionamento. Pertanto, il filtro passa-basso H (f) (chiamato anche con il nome di filtro di restituzione) lascia passare solo una delle repliche spettrali, e dunque è evidente come:

Per quanto riguarda la formula di ricostruzione che fa uso dei campioni x(n/2W) e delle funzioni sinc(2Wt), deriva anch’essa dallo schema illustrato, e può essere interpretata con l’aiuto della figura sotto. Infatti, y (t) è il risultato della convoluzione tra x• (t) e h (t), e dunque ogni impulso di cui è composto x• (t), quando convoluto con h (t), trasla la forma d’onda h (t) all’istante nTc a cui è centrato l’impulso.

In formule:

con:

Questo risultato mostra come il teorema del campionamento definisca essenzialmente una formula di interpolazione: i valori del segnale ricostruito hanno l’esatto valore dei campioni di segnale negli istanti di campionamento, mentre negli istanti intermedi il valore si forma dalla somma di tutte le “code” dei sinc adiacenti. Il processo di costruzione grafica ora descritto è riportato nella figura precedente. 4.1.1 Aliasing: Questo termine ha origine dalla parola inglese alias (copia, clone) e sta ad indicare il fenomeno che si produce nell’applicare il teorema del campionamento quando i requisiti non sono soddisfatti, e cioè

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quando la frequenza di campionamento è inferiore alla frequenza di Nyquist, ossia fc = 1/Tc < 2W (ovvero Tc > 1 / 2W ). In questo caso le repliche spettrali che compongono X• (f) sono più ravvicinate, e si sovrappongono (l’aliasing è indicato anche come fold-over, ripiegamento). Quando questo avviene, il filtro passa-basso di restituzione non è più in grado di estrarre la replica centrata in f = 0, e dunque alla sua uscita è presente y (t) ≠ x (t), che si differenzia da x (t) in particolar modo per i contenuti energetici nella regione delle frequenze più elevate. In un segnale audio, ad esempio, ci si accorge che c’è aliasing quando è udibile una distorsione (rumore) congiuntamente ai passaggi con maggior contenuto di alte frequenze. Il fenomeno dell’aliasing può insorgere, oltre che nel caso in cui si commetta il banale errore di adottare Tc > 1 / 2W , anche a causa di una imperfetta limitazione in banda di x (t) (che viene in genere filtrato proprio per accertarsi che sia

Altri problemi possono essere causati dal filtro di restituzione H (f), che difficilmente si riesce a realizzare ideale. Questo può presentare infatti una regione di transizione tra banda passante e banda soppressa di larghezza non nulla (vedi figura sotto). In questo caso occorre sovracampionare con periodo Tc = 1 / 2W0 < 1 2W , in modo che le repliche spettrali siano più distanziate tra loro, e quindi il filtro di ricostruzione possa isolare la replica centrale.

4.1.2 Energia di un segnale campionato: Si può dimostrare che le funzioni sinc costituiscono una base di rappresentazione ortogonale, in quanto:

Pertanto, il valore dell’energia di un segnale limitato in banda è calcolabile a partire dai suoi campioni, e vale:

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4.1.3 Uso pratico: Lo schema proposto a inizio capitolo aveva il solo scopo di visualizzare gli aspetti teorico-matematici del teorema del campionamento. Per coglierne i lati pratici, consideriamo innanzitutto che non viene generato il segnale X• (f), in quanto il campionamento di x (t) è realizzato per mezzo di un circuito Sample and Hold (S&H, ovvero campiona e mantieni) il quale produce una uscita costante (per un tempo τ ), pari al valore assunto dall’ingresso negli istanti di campionamento (detti di clock = orologio); l’uscita del S&H viene quindi quantizzata, ovvero misurata e convertita in un valore numerico dal dispositivo Q(·) .

I valori così ottenuti possono essere memorizzati, oppure trasmessi. Per ricostruire il segnale originario si adotta un DAC (Digital to Analog Converter, ossia Convertitore Digitale-Analogico) che può essere realizzato dai tre componenti mostrati in figura, ossia un dispositivo che per ogni diverso valore numerico genera un segnale di ampiezza pari ad uno dei livelli di quantizzazione, un S&H ed un filtro passa-basso di restituzione. Osserviamo ora come il S&H “emuli” il segnale x• (t), realizzando al suo posto il segnale x° (t), mediante un treno di impulsi rettangolari modulati in ampiezza, in accordo allo schema di principio disegnato al suo interno. Pertanto, il filtro di ricostruzione non è alimentato da x• (t), ma dal segnale x° (t) . Per determinare quale sia in questo caso l’uscita del filtro di restituzione H (f), scriviamo l’ ingresso x° (t) come:

e dunque:

Osserviamo quindi che usare rettangoli di base τ < Tc al posto degli impulsi, equivale a moltiplicare X• (f) per un inviluppo di tipo (sin x)/x che, seppur con τ << Tc non causa grossi inconvenienti (gli zeri posti ad 1/τ si allontanano dall’origine e (sin x)/x vicino ad x = 0 è quasi costante), per τ prossimo a Tc produce una alterazione dell’ampiezza della replica in banda base. In tal caso (τ è noto) il filtro di ricostruzione può essere realizzato in modo da avere un andamento inverso a quello del (sin x)/x , e tale che H (f) · τ sinc (f τ ) = costante. Infatti, questo accorgimento prende il nome di (sin x)/x correction.

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4.2 Trasformata discreta di Fourier L’analisi in frequenza di un segnale, può essere condotta mediante a programmi di elaborazione a computer, utilizzando i campioni xm = x (mTc) estratti dallo stesso, prelevati ad intervalli fissi Tc. Disponendo di una sequenza di N valori xm, m = 0, 1, ...,N − 1, si definisce DISCRETE FOURIER TRANSFORM (DFT) la nuova sequenza:

univocamente definita per n = 0, 1, ...,N−1, e che costituisce una approssimazione della sequenza di campioni della trasformata X (f) = F x (t), calcolata per f = n / NTc , e divisa per Tc:

Notiamo subito che la prima formula è valida per qualsiasi n, ed ha un andamento periodico con periodo N, a cui corrisponde una frequenza f = 1/Tc , in accordo con la separazione tra le repliche spettrali prevista dal teorema del campionamento; per questo motivo, qualora il segnale originario x (t) contenga componenti a frequenze maggiori di 1/2Tc , gli Xn con indici prossimi ad N/2 presentano errore di aliasing. Allo scopo di concretizzare le differenze tra la trasformata di Fourier ed i valori forniti dalla DFT, in figura sono riportati i valori |Xn| per la DFT di una sinusoide, adottando due diverse finestre di analisi, prelevando alla medesima frequenza di campionamento (100 Hz) un numero variabile di campioni (mostrato in figura), e ponendo i rimanenti a zero, per calcolare in tutti i casi la medesima DFT a 256 punti. Il risultato è quindi confrontato con quello ottenibile per via analitica calcolando la F-trasformata dello stesso segnale, adottando le medesime finestre temporali, di durata uguale al primo caso. Le curve relative al caso di 8 campioni (ed 8 msec) si ottengono a partire da meno di un periodo di segnale, e mostrano la presenza di un forte componente continua. Aumentando la durata della finestra, l’approssimazione di calcolare una F mediante la DFT migliora, anche se persiste un ridotto potere di risoluzione spettrale.

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Il passaggio dai campioni xm alla sequenza Xn è invertibile, ricorrendo alla INVERSE DISCRETE FOURIER TRASFORM (IDFT)

che per m esterno a [0 , N−1] continua a valere, ed assume valori periodici, coerentemente a quanto accade per lo sviluppo in serie di Fourier. Infatti, i valori Xn sono anche equivalenti ai rispettivi coefficienti di Fourier, calcolati su di una finestra temporale del segnale x (t) limitato in banda, come se questa fosse un periodo di un segnale periodico. Per approfondire le implicazioni di questa affermazione, affrontiamo la sezione successiva. 4.2.1 Relazione tra DFT e trasformata Z: Così come per i segnali analogici sussiste una relazione tra la trasformata di FOURIER e quella di LAPLACE, così nel contesto delle sequenze, esistono legami tra DFT e trasformata zeta, definita come:

che, nel caso in cui la serie converga per |z| = 1, permette di definire la trasformata di Fourier per sequenze X (ejω), ottenuta calcolando X (z) sul cerchio unitario z = ejω:

che, se la sequenza x (n) è ottenuta per campionamento, con periodo T ≤ 1/2W , di un segnale x(t) limitato in banda tra ±W, coincide (per −π ≤ ω < π) con la trasformata:

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calcolata in − 1/2T ≤ f < 1/2T . Al di fuori di tale intervallo, X (ejω) è periodica in ω con periodo 2π, analogamente a ciò che risulta per la trasformata di Fourier X• (f) di un segnale campionato; in particolare, se x (m) è ottenuta campionando con periodo T > 1/2W , allora X (ejω) corrisponde proprio ad:

affetta da aliasing. Se la X (z), ottenuta per una sequenza x (n) aperiodica, è campionata in N punti equispaziati e disposti sul cerchio unitario, ossia per

con k = 0, 1, . . . ,N − 1, si ottiene una sequenza periodica:

a cui è possibile applicare la IDFT per ottenere una nuova sequenza di valori nel tempo, periodica di periodo N, espressa come:

I valori (n) dipendono da quelli x (n) = x (t)|t=nT del segnale originario x (t), campionato agli istanti t = nT, mediante la relazione:

4.2.2 Filtraggio numerico via DFT: La definizione di DFT illustrata al ben si presta a calcolare il risultato relativo ad un integrale di convoluzione, a patto di seguire alcune accortezze. Convoluzione discreta: Dati due segnali x (t) e h (t) limitati in banda tra −W e W, anche il risultato della convoluzione y (t) = x (t) * h (t) è limitata in banda, ed i suoi campioni h (n) = h (nTc) (con Tc > 1/2W ) possono essere calcolati a partire da quelli di x (t) e h (t) come:

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Convoluzione circolare: Date due sequenze x (n) ed h (n) di durata finita N, il prodotto Y (k) = X (k) H (k) delle rispettive DFT :

possiede antitrasformata:

periodica in n di periodo N, e pari a:

in cui (n) e (n) sono le sequenze periodiche di periodo N ottenute replicando infinitamente le sequenze originali x (n) ed h (n). La convoluzione è detta circolare perché è possibile immaginare le sequenze x (n) ed h (n) incollate su due cilindri concentrici, e la somma svolta sui prodotti degli elementi coincidenti. Ad ogni valore di n, corrisponde una diversa rotazione relativa (con angolo multiplo di 2π/N) dei cilindri, ed il campione di h (.) che era allineato ad x (N − 1) rientra dall’altro lato, per corrispondere con x (0). Convoluzione tra sequenze limitate: Sappiamo che la convoluzione produce un risultato di durata pari alla somma delle durate degli operandi; per l’esattezza, nel caso di due sequenze x (n) ed h (n) di durata N ed M, il risultato della convoluzione discreta:

ha estensione N+M−1. Pertanto, perché la convoluzione circolare produca lo stesso effetto di una convoluzione discreta, occorre costruire delle sequenze x0(n) e h0(n) di lunghezza almeno pari ad N+M−1, ottenute a partire dai valori di x (n) ed h (n), a cui si aggiungono M−1 ed N−1 valori nulli, rispettivamente. In tal modo, il prodotto X0(k) H0(k) tra le DFT ad N+M−1 punti di queste due nuove sequenze, può essere antitrasformato, per fornire il risultato corretto. Convoluzione di segnali via DFT: Due segnali x(t) e h(t) limitati in banda non possono, a rigore, essere limitati nel tempo; viceversa, una finestra di segnale non può, a rigore, essere rappresentata dai suoi campioni. Infatti, l’effetto della convoluzione in frequenza tra la trasformata della finestra (nominalmente illimitata in banda) e lo spettro del segnale, produce una dispersione frequenziale di quest’ultimo. Ciononostante, disponendo di un numero di campioni sufficientemente elevato, si può assumere che la trasformata della finestra si attenui, fino a rendersi trascurabile, oltre ad una certa frequenza. Inoltre, l’adozione di una

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frequenza di campionamento più elevata, provoca un allontanamento delle repliche spettrali del segnale campionato. In queste due ipotesi, è lecito ritenere l’elaborazione condotta sui campioni di segnale equivalente a quella da svolgere sul segnale originario. Consideriamo ora il caso di operare su campioni prelevati alla frequenza opportuna, e di voler determinare la risposta di un filtro caratterizzato dalla propria h(n) di durata finita M, ad un ingresso x(n) di durata indefinita. Per applicare i risultati fin qui descritti, occorre suddividere la sequenza x(n) in segmenti xq(n) di lunghezza L.

in modo che:

ed operare una successione di convoluzioni discrete

in modo da ottenere:

per la linearità della convoluzione. Osserviamo ora che ognuno dei termini yq(n) risulta di estensione N=M+L−1 punti, e può essere calcolato mediante una DFT inversa ad N punti del prodotto X0q(k) H0(k) tra le DFT ad N punti delle versioni allungate con zero (ZERO PADDED) di xq(n) ed h(n). Infine, notiamo che l’estensione N=M+L−1 dei termini yq(n) è maggiore di quella dei segmenti originali xq(n), di lunghezza L: pertanto la sequenza y(n) si ottiene sommando ai primi M−1 valori di ognuna delle yq (n), gli ultimi M−1 valori risultanti dalle operazioni precedenti. Per questo motivo, il metodo prende il nome di OVERLAP AND ADD.

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CAPITOLO 5 – PROBABILITA’ E PROCESSI: 5.1 Teoria delle probabilità: Tratta delle caratteristiche regolari di fenomeni irregolari o casuali. Una prima definizione di probabilità è quella fornita dalla teoria frequentistica, la quale asserisce che se, ripetendo N volte un esperimento, si verifica la circostanza A per nA volte, per essa si osserva una frequenza relativa nA/N, da cui si deriva la probabilità di A come:

In termini più astratti, l’insieme di tutte le circostanze possibili può essere pensato come un insieme algebrico, i cui elementi (o punti) sono appunto le diverse circostanze. I punti possono essere raggruppati in sottoinsiemi (eventualmente vuoti o di un solo punto) per i quali valgono le proprietà di unione, intersezione, complemento, inclusione... I fenomeni fisici sono posti in relazione con i punti degli insiemi suddetti mediante il concetto di spazio campione , che è l’unione di tutti i possibili risultati di un fenomeno aleatorio. Sottoinsiemi dello spazio campione sono detti eventi. L’intero spazio è l’evento certo, mentre l’insieme vuoto corrisponde all’evento impossibile (od evento nullo). Una unione di eventi, corrisponde all’evento che si verifica ogni qualvolta se ne verifichi un suo componente, mentre l’intersezione è verificata se tutti i componenti lo sono. 5.1.1 Assiomi delle probabilità:

Costituiscono le basi su cui sono costruiti i teoremi seguenti, ed affermano che: • : la probabilità di un evento è compresa tra 0 ed 1; • : la probabilità dell’evento certo è 1; • Se allora : la probabilità dell’unione di eventi mutuamente indipendenti è la somma delle singole probabilità. 5.1.2 Teoremi di base: • : la probabilità dell’evento impossibile è nulla. • : un evento ed il suo complemento riempiono lo spazio (detto anche teorema delle probabilità totali1) • : la probabilità dell’evento intersezione si conta una volta sola.

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• Se allora : quando l’evento B è contenuto in A il verificarsi del primo implica il secondo. 5.1.3 Probabilità condizionali: Può avvenire che il verificarsi di un evento influenzi il verificarsi o meno di un altro: Si dice allora che lo condiziona, ovvero che l’evento influenzato è condizionato. La probabilità che avvenga A, noto che B si sia verificato, si scrive , e si legge probabilità (condizionata) di A dato B, che è definita come:

in cui è la probabilità congiunta che A e B si verifichino entrambi, ed a patto che (altrimenti anche Pr (A/B) è zero!). A partire dalla precedente definizione, si ottiene quella della probabilità congiunta:

; inoltre, gli eventi condizionante e condizionato possono invertire i rispettivi ruoli, permettendo di scrivere anche: . Eguagliando le due espressioni, si ottiene:

e anche:

Come ultima definizione, ricordiamo che le probabilità Pr (A) e Pr (B) sono indicate come marginali. 5.1.4 Teorema di Bayes: A volte, non tutti i possibili eventi sono direttamente osservabili: in tal caso la probabilità marginale Pr (A) è indicata come probabilità a priori. Qualora l’evento A sia in qualche modo legato ad un secondo evento B, che invece possiamo osservare, la probabilità condizionata Pr (A/B) prende il nome di probabilità a posteriori perché, a differenza di quella a priori, rappresenta un valore di probabilità valutata dopo la conoscenza di B. In generale, però, si conosce solamente Pr (A) e Pr (B/A) (queste ultime sono dette probabilità condizionate in avanti), e per calcolare Pr (A/B) occorre conosce anche Pr (B). Quest’ultima quantità si determina saturando la probabilità congiunta Pr (A,B) rispetto a tutti gli eventi marginali Ai possibili:

a patto che risulti cioè che l’insieme degli Ai costituisca una partizione dello spazio degli eventi . Tale circostanza è mostrata in figura. L’ultima relazione ci permette di enunciare il teorema di Bayes, che mostra come ottenere le probabilità a posteriori a partire da quelle a priori e da quelle condizionate in avanti:

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5.1.5 Indipendenza statistica: Si verifica quando:

in quanto il verificarsi di B non influenza A. Come conseguenza, per due eventi statisticamente indipendenti avviene che:

5.2 Variabili aleatorie: Finora si è parlato di eventi in modo astratto, mentre spesso ci si trova ad associare ad ogni punto dello spazio campione un valore numerico: lo spazio campione diventa allora l’insieme dei numeri e prende il nome di variabile aleatoria. La realizzazione di un evento corrisponde ora all’assegnazione di un valore (tra i possibili) alla variabile aleatoria; tale valore “prescelto” prende dunque il nome di realizzazione della v.a. Distinguiamo inoltre tra variabili aleatorie discrete e continue, a seconda se la grandezza che descrivono abbia valori numerabili o continui. La caratterizzazione della variabile aleatoria, in termini probabilistici, si ottiene indicando come la “massa di probabilità” si distribuisce sull’insieme di valori che la variabile aleatoria può assumere, per mezzo delle 2 funzioni di variabile aleatoria seguenti. 5.2.1 Funzioni di densità e di distribuzione di probabilità: Così come un oggetto non omogeneo è più o meno denso in regioni differenti del suo volume complessivo, così la densità di probabilità mostra su quali valori della variabile aleatoria si concentra la probabilità. Così, ad esempio, la densità della v.a. discreta associata al lancio di un dado può essere scritta: il cui significato discutiamo subito, con l’aiuto dei due grafici seguenti. D e x indicano rispettivamente la v.a. (il numero che uscirà) ed una sua realizzazione (una delle 6 facce). I 6 impulsi centrati in x = n rappresentano una concentrazione di probabilità nei sei possibili valori; l’area di tali impulsi è proprio pari alla probabilità di ognuno dei sei risultati. E’ facile verificare che:

e che risulta:

ovvero pari alla probabilità che la v.a. D assuma un valore tra a e b. In particolare, non potendosi verificare na probabilità negativa, si con . na funzione di v.a. strettamente collegata alla densità è la funzione distribuzione di probabilità, definita come:

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che risulta una funzione non decrescente di x, limitata ad un massimo valore di 1, ed il cui andamento mostriamo sotto alla pD (x), nel caso dell’esempio del lancio del dado. Le definizioni date mantengono validità nel caso di v.a. continua, originando le curve mostrate nei due grafici a lato. Ora è ancora piú evidente la circostanza che pX (x) è una densità, e diviene una probabilità solo quando moltiplicata per un intervallo di x. Istogramma: Citiamo infine la stretta relazione che intercorre tra la densità di probabilità e l’istogramma.

Quest’ultimo può essere realizzato se si dispone di una serie di realizzazioni della v.a., e si ottiene suddividendo il campo di variabilità della grandezza X in sottointervalli, e disegnando rettangoli verticali, ognuno di altezza pari al numero di volte che (nell’ambito del campione statistico a disposizione) X assume un valore in quell’intervallo. Dividendo l’altezza di ogni rettangolo per il numero di osservazioni N, si ottiene una approssimazione di pX (x), via via più precisa con , e con una conseguente riduzione dell’estensione degli intervalli. 5.2.2 Medie, momenti e momenti centrati: Indichiamo con g (x) una funzione di una variabile aleatoria . Si definisce valore atteso (o media, media di insieme, media statistica) di g (x) rispetto alla variabile aleatoria X la quantità:

che corrisponde ad una media (integrale) pesata dei diversi valori g (x), ognuno con peso pari alla probabilità pX (x) dx; la notazione EX . indica quindi tale operazione di media integrale, assieme alla v.a. (x) rispetto a cui eseguirla. Nel caso in cui , il valore atteso prende il nome di momento di ordine n, che corrisponde quindi al valore atteso della n-esima potenza della v.a., e che si indica come:

Verifichiamo subito che . Il momento di primo ordine:

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prende il nome di media della v.a. X (a volte denominata centroide), mentre con n = 2 si ha la media

quadratica . Nel caso di variabili aleatorie discrete, i momenti sono definiti come , in cui

, pesando quindi le possibili realizzazioni xi con le rispettive probabilità. Nel caso in cui , il relativo valore atteso è chiamato momento centrato di ordine n, ed indicato come:

E’ immediato constatare che e che . Il momento centrato del 2° ordine prende il nome di varianza, e si indica:

Una relazione notevole che lega i primi due momenti (centrati e non) è:

La radice quadrata della varianza, , prende il nome di deviazione standard. Mentre la media mX indica dove si colloca il “centro statistico” della densità di probabilità, indica quanto le singole determinazioni della v.a. siano disperse attorno ad mx.

5.2.3 Variabile aleatoria a distribuzione uniforme: Applichiamo le definizioni dei momenti ad un caso pratico: la variabile aleatoria uniforme è caratterizzata da uno stesso valore di probabilità per tutta la gamma di realizzazioni possibili, limitate queste ultime ad un unico intervallo non disgiunto; pertanto, la densità di probabilità è esprimibile mediante una funzione rettangolare:

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in cui rappresenta l’estensione dell’intervallo di esistenza della variabile aleatoria. E’ facile verificare che il parametro mX, che indica l’ascissa a cui è centrato il rettangolo, corrisponde esattamente al

momento di primo ordine di X. Il calcolo della varianza invece fornisce: 5.3 Processi Stazionari ed Ergodici: Dopo aver descritto come caratterizzare statisticamente singoli valori (denominati variabili aleatorie), occupiamoci del caso in cui si voglia descrivere da un punto di vista probabilistico un intero segnale, la cui reale identità non sia nota a priori. Un segnale siffatto viene detto membro (o realizzazione) di un processo aleatorio, e può essere indicato come , che corrisponde ad una descrizione formale che prevede una coppia di insiemi: il primo di questi è l’insieme degli istanti temporali (tipicamente un intervallo) su cui sono definiti i membri del processo; il secondo è relativo ad una variabile aleatoria

, i cui valori identificano ognuno una particolare realizzazione del processo. Pertanto, una singola realizzazione = , per cosí dire, indicizza il processo, le cui istanze effettive

, con , sono note solo dopo la conoscenza di . Il processo aleatorio è quindi definito come l’insieme dei segnali , con e . Se viceversa fissiamo un particolare istante temporale tj , il valore è una variabile aleatoria, la cui realizzazione dipende da quella di ; pertanto, è definita la densità (indipendente da ), che possiamo disegnare in corrispondenza dell’istante tj in cui è prelevato il campione; a tale riguardo, si faccia riferimento alla figura sotto, che mostra le densità di probabilità definite a partire dai membri di un processo.

Figura 4.1: Un processo non ergodico

5.3.1 Media di insieme: E’ definita come il valore atteso di una potenza n-esima dei valori del segnale, ossia un suo momento, eseguito rispetto alla variabilità dovuta a , ed è pertanto calcolata come:

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in cui l’ultima eguaglianza evidenzia come una media di insieme dipenda dalla distribuzione di per tutti i , mostrata in basso in figura. Notiamo che in linea di principio, la media di insieme dipende dall’istante tj in cui è prelevato un valore.

5.3.2 Medie temporali: In alternativa, possiamo fissare una particolare realizzazione di , e quindi identificare un singolo membro , che è ora un segnale certo; per lo stesso, possono quindi essere calcolate le medie temporali, indicate con una linea sopra alla quantità di cui si calcola la media :

In particolare, ritroviamo il valore medio:

e la potenza (media quadratica):

Notiamo che una generica media temporale: • non dipende dal tempo; • è una variabile aleatoria (dipende infatti dalla realizzazione di ). 5.3.3 Medie temporali calcolate come medie di insieme: L’estrazione da di un valore ad un istante casuale , definisce una ulteriore variabile aleatoria, descritta dalla densità di probabilità (condizionata) , che disegniamo a fianco dei singoli membri mostrati in figura 4.1. Qualora la sia nota, le medie temporali di ordine n possono essere calcolate (per quel membro) come i momenti:

Ciò equivale infatti ad effettuare una media ponderata, in cui ogni possibile valore di x è pesato per la sua probabilità dx. 5.3.4 Processi stazionari: Qualora non dipenda da tj , ma risulti per qualsiasi , il processo

è detto stazionario in senso stretto. In tal caso tutte le medie di insieme non dipendono piú dal tempo, ossia per , e le in basso in figura 4.1 sono tutte uguali. Se invece solamente le prime due medie di insieme e non dipendono da t, il processo

è detto stazionario in media ed in media quadratica, od anche stazionario in senso lato. Supponiamo ora di suddividere il membro in piú intervalli temporali, e di calcolare per ciascuno di essi le medie temporali, limitatamente al relativo intervallo. Nel caso in cui queste risultino uguali tra

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loro, e di conseguenza uguali alla media temporale , il membro è (individualmente) stazionario. Ovviamente, se tutti i membri sono individualmente stazionari, lo è anche il processo a cui appartengono. 5.3.5 Processi stazionari ed ergodici: Questa importante sottoclasse di processi stazionari identifica la circostanza che ogni membro del processo è statisticamente rappresentativo di tutti gli altri. Ciò si verifica quando la densità di probabilità (a destra in figura 4.1) dei valori estratti da un singolo membro è sempre la stessa, indipendentemente dal particolare , ottenendo in definitiva indipendentemente dalla realizzazione e, per la stazionarietà, anche , e dunque

. In questo caso le medie temporali , calcolabili come momenti sulla singola realizzazione, sono identiche per tutti i membri , ed identiche anche alle medie di insieme

calcolate per un qualunque istante. Enunciamo pertanto la definizione:

Un processo stazionario è ergodico se la media temporale calcolata su di una qualunque realizzazione del processo, coincide con la media di insieme relativa ad una variabile aleatoria estratta ad un istante qualsiasi (per la stazionarietà) da una realizzazione qualsiasi (per l’ergodicità).

Esempio: la potenza di segnale: Mostriamo come il calcolo della potenza di un membro di un processo ergodico sia equivalente a quello del momento di 2° ordine del processo:

Questo risultato mostra come sia possibile calcolare la potenza di una realizzazione di un processo, senza conoscerne la forma d’onda. In particolare osserviamo che, essendo , per i segnali a media nulla (mx = 0) si ottiene ed il valore efficace coincide con la deviazione standard . La radice della potenza è inoltre spesso indicata come valore RMS (ROOT

MEAN SQUARE), definito come , ovvero la radice della media quadratica (nel tempo). Se il segnale è a media nulla, xRMS coincide con il valore efficace; se x (t) è membro di un processo ergodico a media nulla, xRMS coincide con la deviazione standard. 5.3.6 Riassumendo: • Se un processo è ergodico, è anche stazionario, ma non il viceversa. Esempio: se pari ad una costante (aleatoria), allora è senz’altro stazionario, ma , e quindi non ergodico.

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• Se un processo è ergodico è possibile: - Calcolare le medie di insieme in forma di medie temporali a partire da una singola realizzazione oppure - Ottenere le medie temporali di una qualunque realizzazione a partire dalle medie di insieme, disponendo della statistica pX (x).

• Se l’eguaglianza tra medie di insieme e temporali sussiste solo fino ad un determinato ordine e non oltre, il processo non è ergodico in senso stretto. Per ciò che concerne le Telecomunicazioni, è spesso sufficiente la proprietà di ergodicità in senso lato, ovvero limitata al 2°ordine, che garantisce

, e . 5.3.7 Processo ad aleatorietà parametrica: Questo è il nome dato a processi per quali il parametro µ compare in modo esplicito nella espressione analitica dei segnali membri. Come esempio, il segnale periodico:

rappresentato in figura, ha come parametro un ritardo , che è una variabile aleatoria che ne rende imprecisata la fase iniziale. Se è una v.a. uniformemente distribuita tra 0 e T, ovvero

, allora il processo è stazionario, ergodico, e la sua densità di probabilità risulta:

Il valor medio mX = E x è pari alla media temporale , la varianza è quella della d.d.p. uniforme

e la potenza vale:

Se la fosse stata diversa, il processo avrebbe potuto perdere ergodicità. Se ad esempio

si sarebbe persa la stazionarietà: infatti prendendo ad esempio , tutte

le realizzazioni avrebbero valori minori del valor medio . Processo armonico: Si tratta di un processo ad aleatorietà parametrica, i cui membri hanno espressione:

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dove µ è una v.a. uniforme con d.d.p. . In tal caso il processo è stazionario ed ergodico, e si ottiene che una valore estratto a caso da un membro qualsiasi è una v.a. con d.d.p.

.

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CAPITOLO 6 – DENSITA’ SPETTRALE: Descriviamo qui l’effetto del passaggio di un segnale, o di un processo, attraverso un sistema fisico, concentrando l’attenzione sulle modifiche subite dallo spettro di densità di potenza, o di energia. Mentre per i segnali periodici e di energia siamo già in grado di determinare lo spettro di ampiezza dell’uscita come , e da questo ottenere lo spettro di densità di potenza o di energia come , nel caso in cui x (t) rappresenti una generica realizzazione di un processo, prima di giungere ad un risultato analogo occorre quantomeno definire lo spettro di potenza del generico ingresso ; ora cercheremo di esprimere i concetti precedentemente definiti per giungere alla definizione della funzione di autocorrelazione, la cui trasformata di Fourier è pari appunto alla densità cercata (teorema di WIENER). 6.1 Correlazione e Covarianza: Abbiamo precedentemente osservato come la caratterizzazione statistica del primo ordine pX (x) un

processo stazionario ergodico, consenta il calcolo di valor medio mx e varianza , nonchédella potenza , valida per una qualunque realizzazione del processo. Definiamo ora una statistica del secondo ordine che permetterà di determinare anche lo spettro di densità di potenza delle realizzazioni del processo. La statistica di secondo ordine si basa sulla considerazione di 2 istanti (vedi prima figura a destra) t1 e t2, in corrispondenza dei quali estraiamo, da una realizzazione di un processo , due variabili aleatorie

. Al variare della realizzazione campionata, tutte le coppie di valori estratti sono altrettante determinazioni di una variabile aleatoria bidimensionale, descritta da una densità di probabilità congiunta , che in linea di principio dipende anche dagli istanti t1 e t2. La seconda figura esemplifica come la densità congiunta sottenda un volume unitario, e descriva con il suo andamento le regioni del piano x1x2 in cui cadono un maggior numero di coppie (ovvero dove la probabilità è più densa).

6.1.1 Correlazione: Questa grandezza dipende dalla definizione di un valore atteso, formalmente analogo a quanto già visto per il caso unidimensionale, che prende il nome di momento misto di ordine (i, j) e che risulta:

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e che nel caso in cui i = j = 1 prende il nome di correlazione e si indica come:

Prima di proseguire, soffermiamoci un istante per meglio comprendere il significato di . La correlazione fra due variabili aleatorie è indicativo del legame che esiste tra le due, nel senso di quanto l’una ha un valore che dipende da quello dell’altra, ed ha un valore assoluto tanto più elevato quanto più i valori di x1 e x2 sono legati in modo deterministico in effetti però, non sempre questo accade, e pertanto è opportuno basarsi sull’uso di momenti centrati come descritto al punto successivo. 6.1.2 Covarianza e Indipendenza Statistica: Nel caso in cui le due variabili aleatorie siano statisticamente indipendenti, e cioè si possa scrivere

, l’integrale che definisce la correlazione si fattorizza e pertanto:

Definendo ora la covarianza come il momento misto centrato, di espressione:

possiamo verificare che:

Se due variabili aleatorie x1 ed x2 sono statisticamente indipendenti, queste si dicono INCORRELATE, in quanto la covarianza è nulla.

La proprietà esposta ha valore in una sola direzione, in quanto se due variabili aleatorie esibiscono

non è detto che siano statisticamente indipendenti. L’unico caso in cui ciò si verifica, è quello relativo alle variabili aleatorie estratte da un processo gaussiano. 6.1.3 Statistiche dei Processi: Nel caso in cui il processo da cui si estraggono x1 ed x2 sia stazionario, si ottiene che:

e cioè la correlazione dipende solo dall’intervallo . Infatti se un processo è stazionario, le proprietà statistiche non dipendono da traslazioni temporali. Nel caso in cui il processo sia anche ergodico, allora le medie di insieme hanno lo stesso valore delle corrispondenti medie temporali, e

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dunque la correlazione (media di insieme) può essere calcolata in base alla sua media temporale equivalente, a partire da una qualunque realizzazione del processo

Ovviamente è vero anche l’inverso, e cioè: il valor medio del prodotto tra due campioni, estratti (a caso) a distanza a partire da una specifica realizzazione7, ha un valore che è calcolabile come media di insieme a partire dalla conoscenza della densità di probabilità congiunta

. 6.1.4 Autocorrelazione: La media temporale appena introdotta prende il nome di integrale di autocorrelazione, ed è definito anche per segnali di energia, come:

in cui l’operatore di coniugato generalizza l’operazione anche al caso di segnali complessi. Simile, ma diversa, è la definizione di integrale di intercorrelazione, che esprime lo stesso calcolo, ma relativo a due segnali x (t) ed y (t) processi diversi:

L’integrale di autocorrelazione è anche detto funzione di autocorrelazione, in quanto il suo argomento è un tempo (l’intervallo tra due campioni) e dunque può essere visto come un segnale (funzione di anzichè di t). Nello studio abbiamo già incontrato un integrale (di convoluzione) il cui risultato è una funzione del tempo; la somiglianza tra i due è più profonda di una semplice analogia, in quanto si può scrivere

in cui è il consueto simbolo di convoluzione8. In base a quest’ultima osservazione otteniamo che la costruzione grafica, che fornisce il risultato dell’integrale di autocorrelazione, è del tutto simile a quella già illustrata per la convoluzione, con la differenza che ora non si effettuano ribaltamenti di asse. La figura sotto ne illustra l’applicazione ad un caso noto, per il quale , e che fornisce quindi lo stesso risultato di .

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6.1.4.1 Proprietà dell’autocorrelazione: Elenchiamo ora alcune caratteristiche della funzione di autocorrelazione:

• Traslazioni temporali: Se consideriamo i segnali , le rispettive

autocorrelazioni ed sono identiche. Questo risultato mostra come l’autocorrelazione non tenga conto dell’informazione legata alla fase dei segnali: infatti x (t) e y (t) hanno la stessa densità spettrale, a meno di un contributo di fase lineare, ed hanno uguale autocorrelazione.

• Durata Limitata: La funzione di autocorrelazione di un segnale di durata limitata è anch’essa a durata limitata, e di estensione doppia rispetto alla durata del segnale originario.

• Segnali Periodici: L’autocorrelazione di un segnale periodico di periodo T è anch’essa

periodica, con lo stesso periodo. Infatti per il secondo fattore integrando è traslato di un numero intero di periodi.

Illustriamo ora invece due proprietà fondamentali:

• Massimo nell’origine: La calcolata in fornisce il valore massimo di per qualunque altro valore di In particolare, è uguale alla potenza del segnale x (t), od all’energia se x (t) è di energia.

in cui l’ultimo segno risulta = per se x (t) è periodico.

• Simmetria coniugata: è possibile verificare che risulta , da cui osserviamo

subito che è reale. Nel caso in cui x (t) è reale, si ottiene , ovvero l’autocorrelazione di un segnale reale è reale pari.

6.2 Densità Spettrale Mostriamo ora il metodo con cui determinare lo spettro di densità di potenza nel caso di processi, questo stesso strumento è valido anche per gli altri tipi di segnale: 6.2.1 Teorema di Wiener

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Lo spettro di densità di potenza (o di energia ) di x (t) è uguale alla trasformata di Fourier della sua funzione di autocorrelazione . La dimostrazione del teorema è la seguente, per segnali di energia si scrive:

in cui abbiamo prima applicato il teorema di Parseval, poi la proprietà di traslazione nel tempo, e quindi espresso come . Per segnali di potenza la dimostrazione è del tutto simile, e valida anche per realizzazioni di processi. In particolare, se il processo è ergodico, la media di insieme

risulta uguale alla media temporale calcolata per ogni realizzazione del processo, e pertanto lo spettro di densità di potenza di un processo si ottiene trasformando la funzione di autocorrelazione calcolata come media di insieme, oppure trasformando quella calcolata come media temporale per una delle sue realizzazioni. Pertanto, grazie al Teorema di Wiener, è possibile ottenere anche per processi, oppure fare “la prova del nove” per segnali di energia o periodici.

6.2.2 Esempi: Processo armonico: E’ definito in base ad una sua generica realizzazione

che, se il parametro µ è una variabile aleatoria uniformemente distribuita tra − e (ossia

, descrive un processo ergodico. Sappiamo che una sua realizzazione (ad esempio quella con = 0) ha una densità di potenza . Possiamo quindi ottenere l’autocorrelazione senza dover svolgere l’integrale:

Il risultato trovato, conferma che l’autocorrelazione di un segnale periodico è periodica; riflettiamo dunque sulla circostanza che anche un seno, od un coseno con qualunque altra fase, avrebbe avuto la stessa Rx (t). Ciò è d’altra parte evidente, avendo tutti questi segnali uguali densità Px (f).

Processo gaussiano bianco limitato in banda: Il processo n (t) è chiamato bianco perché costante in frequenza, e descritto da una densità di potenza pari a

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in cui W è l’occupazione di banda a frequenze positive. In tali ipotesi otteniamo:

In particolare, campioni presi a distanza sono in correlati (ed essendo il processo gaussiano anche statisticamente indipendenti); questo risultato giustifica, almeno da un punto di vista teorico, una ipotesi che viene spesso fatta: quella di trovare sovrapposti ai campioni di segnale, dei campioni di rumore statisticamente indipendenti.

All’aumentare di W, tende a zero più rapidamente, cosicchè il rumore si mantiene correlato per un tempo sempre minore, ovvero due campioni estratti ad una stessa distanza t hanno una correlazione sempre minore. Un risultato simile vale anche più in generale, in quanto l’autocorrelazione di un qualsiasi processo (tranne nel caso periodico, riconducibile ad una combinazione di processi armonici) tende a 0 con , ovvero da un certo t in poi la correlazione è trascurabile.

Segnale dati: Abbiamo già descritto un generico segnale numerico come una somma di repliche di una funzione g (t), con ampiezze an rappresentative dei valori da trasmettere:

La presenza della variabile aleatoria a distribuzione uniforme tra (per cui ), rende x (t) un processo ergodico. Nelle ipotesi in cui le ampiezze an siano determinazioni di variabili aleatorie indipendenti ed identicamente distribuite, a media nulla e varianza , l’autocorrelazione di x

(t) vale in cui è l’autocorrelazione di g (t), e dunque:

Osserviamo innanzitutto che è per questa via che si sono caratterizzate le densità di potenza proprie dei codici di linea. Limitandoci a voler interpretare il risultato, notiamo che è la densità di

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energia di una singola replica di g (t). La sua ripetizione, con periodo T, fornisce una densità di

potenza media . Se ogni replica di g (t) è moltiplicata per una v.a. indipendente a media nulla e varianza (potenza) , la densità di potenza aumenta di egual misura. 6.3 Stima spettrale: Il teorema di Wiener ci aiuta qualora di desideri conoscere la densità di potenza per un processo, di cui siamo in grado di stimare o postulare un . Spesso però si ha a che fare con segnali di cui, pur ricorrendo le ipotesi di appartenenza ad un processo ergodico, si ignorano le statistiche di insieme. Un altro caso tipico è quello di un segnale che, pur se rappresentativo di molti altri, non presenta caratteristiche spettrali costanti nel tempo, e sono proprio le variazioni di queste ultime ad interessare. In questi casi, tutto ciò che si può fare è di tentare una stima dello spettro di potenza del segnale, a partire da un suo segmento temporale. Esistono al riguardo tecniche differenti che non prenderemo in esame.

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CAPITOLO 7 – MECCANISMI DI RUMORE: 7.1 Introduzione: Il rumore può essere classificato nelle seguenti forme:

• Rumore bianco: associato a processi di agitazione termica o a processi di tipo Poissoniano. • Rumore 1/f: il suo nome deriva da una distribuzione spettrale con andamento proporzionale

a 1/fα con α~1. E’ anche conosciuto come rumore di flicker o rumore rosa. • Passeggiata casuale (1/f2): detto anche random-walk, processo di Wiener, moto

Browniano. 1- Rumore Bianco:

• Rumore termico (Johnson – Nyquist): Il rumore termico è causato dal moto termico casuale del portatori di carica nel conduttore e dipende dalla temperatura assoluta. Fu osservato sperimentalmente nel 1927 da J.B. Johnson (Bell Telephone Laboratories) misurando il rumore termico sui resistori, nell’anno successivo H. Nyquist fornì un’analisi teorica del fenomeno in base ai principi della termodinamica e della meccanica statistica. Il fenomeno è caratterizzato dalla temperatura T dei portatori di carica in agitazione termica. La frazione di portatori con energia hv è data da:

Per hv / kT << 1, possiamo linearizzare questa equazione da cui risulta:

per cui la densità spettrale unilatera di potenza disponibile è:

Questa espressione afferma che le fluttuazioni spontanee ai capi di un conduttore mantenuto in equilibrio termico alla temperatura T sono indipendenti dal meccanismo di conduzione, dalla natura del materiale, dalla geometria e dalla resistenza del conduttore stesso, dipende solo dalla temperatura. L’affermare che hv / kT << 1 significa che a temperatura ambiente (T=300 K) possiamo considerare costante la densità spettrale di potenza disponibile: kT = 4,1x10-21 W/Hz fino alla frequenza per cui:

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A bassa temperatura possiamo ancora considerare costante la distribuzione spettrale, ma fino a frequenze più basse:

• Rumore shot: Questo processo di rumore è legato alla granulosità dei portatori di carica. La loro distribuzione è di tipo Poissoniano ed è quindi caratterizzata dal numero medio di eventi µ per intervallo di tempo. La varianza di questo processo è quindi µq2, dove q è la carica dei portatori. La densità spettrale unilatera di potenza disponibile è 2µq2. Ma Io=µq è il valor medio della corrente, per cui:

Anche in questo caso (almeno per le frequenze per le quali è trascurabile il tempo di transito dei portatori di carica) la distribuzione spettrale è bianca ed è proporzionale alla corrente media.

2- Rumore 1/f (flicker, pink noise): Si manifesta in una grande varietà di fenomeni fisici ma la sua origine non è del tutto chiara. Il contributo flicker cresce in modo inversamente proporzionale alla frequenza per cui tende a dominare sul rumore bianco e frequenze di Fourier sufficientemente basse, cioè per tempi di misura (integrazione) lunghi:

Il rumore flicker pone un limite alla riduzione dell’incertezza di misura al crescere del tempo di misura (flicker floor).

3- Passeggiata casuale:. È un processo di diffusione casuale. La sua distribuzione spettale S(f) è proporzionale a 1/f2, tende quindi a prevalere sul rumore flicker a frequenze ancora più basse rispetto a quelle in cui esso domina. La varianza del processo aumenta in modo proporzionale al tempo.

Occorre inoltre tener in considerazione la presenza di: Derive (drift): sono fenomeni d’invecchiamento (nel misurando o nello strumento di misura), variazioni molto lente, di solito monotone, del risultato della misura. Per strumenti di precisione vengono spesso indicate le derive temporali massime del sistema (es. deriva di offset per amplificatori operazionali, deriva di frequenza per oscillatori piezoelettrici).

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7.2 Rumore termico: Prendiamo in considerazione una linea di trasmissione priva di perdite, terminata ad entrambi i lati con un resistore di valore pari alla sua impedenza caratteristica Zo=R.

All’equilibrio termico alla temperatura T, la potenza di rumore media N generata da ciascun resistore si propaga lungo la linea di trasmissione e viene completamente assorbita dall’altra estremità:

cortocircuitando istantaneamente entrambe le estremità della linea di trasmissione la potenza di rumore prodotta da ciascun resistore si propaga lungo la linea e viene riflessa ad ogni estremità, producendo onde stazionarie. L’energia viene immagazzinata in un oscillatore armonico unidimensionale, la lunghezza d’onda del modo m-esimo è:

dove l è la lunghezza della linea, f è la frequenza propria del modo e v è la velocità di fase dell’onda e.m. Il numero di modi Δm in una banda di frequenza Δf=B è:

La potenza di rumore media N generata da ogni resistore si propaga per un tempo t = l / v prima di essere riflessa. L’energia media ΔW immagazzinata nella linea di trasmissione è:

Dalla fisica statistica, secondo la legge di equipartizione, ad ogni grado di libertà (modo d’oscillazione) corrisponde un ugual energia media pari a kT (metà sotto forma di campo elettrico e metà sotto forma di campo magnetico). Perciò per i Δm modi considerati abbiamo un energia pari a:

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quindi:

le fluttuazioni spontanee ai capi di un conduttore magnetico in equilibrio termico alla temperatura T sono indipendenti dal meccanismo di conduzione, dalla natura del materiale, dalla geometria e dalla resistenza R del conduttore. Dipendono solo dalla temperatura. L’energia media di un oscillatore armonico unidimensionale è:

quindi l’approssimazione di Nyquist è corretta a basse frequenze e a temperature non troppo basse.

7.3 Rumore shot (equazione di Schottky): Il rumore di shot è prodotto dal passaggio casuale di elettroni (o lacune) attraverso una barriera di potenziale. L’arrivo di ogni carica dà luogo ad un impulso di corrente I (t). La forma effettiva dell’impulso di corrente è inessenziale fino a quando il tempo di osservazione T è sufficientemente maggiore al tempo di transito attraverso la barriera di potenziale e l’impulso può essere considerato come una funzione delta di Dirac. Nel caso più complicato, in cui l’impulso può essere approssimato con una forma d’onda rettangolare g(t) di durata τ ampiezza e/ τ ; la sua trasformata di Fourier è:

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La sua densità spettrale di energia è:

Solo dove il prodotto f τ, frequenza per tempo di transito è sufficientemente piccolo, allora la densità spettrale di energia può essere considerata costante e ci si riduce al caso precedente:

Se n è il numero medio di elettroni che attraversano la barriera di potenziale nel tempo T, allora la corrente di rumore è:

dove . 7.4 Rumore 1/f (excess noise): Fu osservato sperimentalmente per la prima volta nel 1925 di J.B. Johnson come fluttuazione casuale di corrente nelle emissioni termiche delle valvole:

Un aspetto stupefacente è la sua ubiquità: si presenta in una vasta classe di processi di trasporto, moto degli elettroni in un resistore, battito cardiaco, intensità delle macchie solari, rumore sismico, flusso stradale, livello delle piene del Nilo, correnti oceaniche, correnti nelle fibre nervose e molto altri processi simili… Lo spettro di potenza del processo diverge, alle basse frequenze, in modo inversamente proporzionale alla frequenza:

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Andiamo ora ad analizzare la divergenza. La potenza totale di rumore tende all’infinito:

per uno spettro di rumore 1/f il contributo all’integrale per decade (f2/f1 = 10) [oppure per ottava (f2/f1 = 2)] è costante. La frequenza più bassa che possiamo pensare di osservare è pari all’inverso dell’età dell’universo circa 2x109 anni, ovvero circa 6x1016 secondi, da cui f1 10-17 Hz. Mentre l’intervallo di tempo più breve che possiamo pensare di osservare è ad esempio quello impiegato da un elettrone per percorrere un spazio pari alla lunghezza d’onda di Compton λc alla velocità della luce c,

che corrisponde ad una frequenza massima f2 1021 Hz. Ci sono quindi 38 decadi fra la massima e la minima frequenza osservabile e la potenza di rumore flicker è al più 38 volte la potenza di rumore flicker contenuta nella decade tra 1 Hz e 10 Hz. Se anche estendiamo questa argomentazione fino a considerare il tempo di Plance come intervallo di tempo più breve osservabile:

otterremmo f2 1043 Hz, che conduce a prendere in considerazione 59 decadi in totale. La conclusione di questo discorso è che sostanzialmente non dobbiamo preoccuparci della divergenza matematica prodotta dal rumore 1/f. Nel 1926 W. Schottky tentò di darne un modello teorico studiando il contributo alla corrente della valvola termoionica da parte di trappole superficiali sul catodo che rilasciano elettroni secondo una legge esponenziale:

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La trasformata di Fourier di ogni singolo processo di rilassamento è:

Nel caso di un treno di questi impulsi di rilassamento otteniamo:

la densità spettrale è:

dove n è il “rate” medio di impulsi e <…> indicano una media d’insieme. Questo spettro però presenta una regione piatta e dopo una zona di transizione diventa proporzionale a nella regione ad alta frequenza. Per Schottky questo era sufficiente a spiegare le osservazioni di Johnson. Un singolo processo di rilassamento non era sufficiente: consideriamo allora la sovrapposizione di diversi processi di rilassamento con costanti di tempo uniformemente distribuite tra λ1 e λ2, e di ampiezza costante.

per frequenze comprese tra λ 1 e λ2 lo spettro presenta un comportamento del tipo 1/f. Da simulazioni numeriche lo spettro non è sensibile a piccole deviazioni da una distribuzione perfettamente uniforme dei tempi di rilassamento, questi possono essere distribuiti secondo altre leggi, per esempio possono avere:

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in questo caso è possibile integrare esattamente lo spettro e ottenere:

dove:

è la funzione ipergeometrica. Senza utilizzare l’espressione completa possiamo comunque ricavare il comportamento delle spettro tra la regione di frequenze λ 1 < λ < λ2 con la seguente approssimazione:

ottenendo così un intera classe di processi di rumore flicker con esponenti diversi. 7.4.1 Proprietà statistiche del rumore 1/f: Il comportamento spettrale del rumore è un aspetto importante ma non è l’unico: la densità spettrale di potenza caratterizza completamente un processo stocastico se questo è stazionario (ergodico) e gaussiano. 7.4.1.1 Stazionarietà:

non dipendono da t. Nel 1969 Brophy verifica che la statistica dei passaggi per lo zero è poissoniana, come atteso per un processo stazionario, nello stesso anno però Greenstein e lo stesso Brophy riportano tracce di non stazionarietà. Nel 1975 Stosiek e Wolf trovano che le proprietà statistiche del rumore 1/f sono completamente consistenti con le assunzioni di stazionarietà. 7.4.1.2 Gaussianità: Un processo gaussiano è completamente caratterizzato dalla media e dalla densità spettrale. Processi lineari come processi di diffusione sono sempre gaussiani: questa caratteristica è un indicazione della linearità del processo a livello microscopico. Nel 1978, R.F. Voss cerca di misurare sperimentalmente queste caratteristiche in conduttori e semiconduttori. L’esperimento verifica il comportamento gaussiano di questi sistemi ma non lo loro linearità.

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7.4.1.3 I processi di rumore 1/f sono presenti all’equilibrio termico? I processi di rumore 1/f sono associati ad un processo di conduzione nel campione. Nel 1976 Voss e Clarke hanno misurato la densità spettrale di tensione misurata ai capi di film metallico e i risultati suggeriscono che il rumore sia il risultato delle fluttuazioni della temperatura di equilibrio che modulano la resistenza. Le fluttuazioni di resistenza sono quindi presenti anche in assenza di una corrente. Alla stessa conclusione giungono anche Beck e Spruit nel 1978. Non vi è però alcuna garanzia di equilibrio termico in questi esperimenti.

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CAPITOLO 8 – RUMORE TERMICO: 8.1 Rumore nei bipoli passivi: Ai capi di un resistore R a temperatura T è presente una tensione a vuoto n (t), realizzazione di un processo gaussiano a media nulla, che è l’effetto del moto caotico degli elettroni all’interno della resistenza. Lo spettro di densità di potenza della tensione a vuoto ha espressione:

in cui k = 1.38x10−23 Joule/°K è la costante di Boltzman ed h = 6.62x10−34 Joule·sec è la costante di Plank: questi valori fanno sì che l’approssimazione Pn (f) 2kTR sia valida ad ogni frequenza di interesse.

In un bipolo passivo di impedenza Z (f) = R (f) + j X (f), solamente la parte reale (componente resistiva) concorre a generare il processo di rumore termico, che pertanto possiede una densità di potenza Pn (f) 2KTR(f). Nel caso in cui il bipolo contenga più resistori a temperature diverse, si può definire una temperatura equivalente Te (f); un bipolo passivo equivale pertanto allo stesso bipolo non rumoroso (a temperatura zero), con in serie un generatore di rumore con densità di potenza Pn (f) 2kTe(f) R(f). Questo generatore equivalente, è quindi descritto da una potenza disponibile di rumore pari a:

8.2 Rapporto segnale rumore dei generatori:

Un generatore di tensione Vg (f), che possiede una propria impedenza interna Zg (f) a temperatura equivalente Tg (f), produce anch’esso un processo di rumore in virtù della componente reale Rg (f) = RZg (f) di Zg (f), e Zg (f) può quindi schematizzarsi con il circuito equivalente mostrato in figura. Pertanto, oltre alla potenza disponibile di segnale Wdg (f) = Pg(f) / 4Rg(f) , troviamo anche una potenza disponibile di rumore Wdn (f) = 1/2kTg (f), e dunque un rapporto segnale rumore disponibile:

che come osserviamo dipende da f, sia a causa di Wdg (f) che di Tg (f).

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8.3 Rumore nelle reti due porte: Se colleghiamo un generatore rumoroso a temperatura Tg all’ingresso di una rete due porte a temperatura TQ, è lecito aspettarsi all’uscita della rete un processo di rumore dipendente sia dal generatore che dalla rete, e la cui potenza disponibile Wdnu (f) può essere espressa in funzione di una temperatura equivalente di uscita Teu (f), tale che:

D’altra parte a Teu (f) concorrono sia la temperatura del generatore Tg (f), che la rete con una propria TQu

(f) “equivalente di uscita”; scriviamo dunque:

in cui la potenza disponibile in ingresso alla rete con guadagno disponibile Gd (f) è riportata in uscita, moltiplicandola per Gd (f). Se effettuiamo l’operazione inversa per il contributo di rumore dovuto a TQu, otteniamo:

in cui:

ovvero:

in cui:

è detta anche temperatura di sistema Ts = Tei , poiché riporta in ingresso alla rete tutti i contributi al rumore di uscita, dovuti sia al generatore che alla rete. Siamo però rimasti con un problema irrisolto: che dire a riguardo di TQi e TQu ?

8.3.1 Reti passive:

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Supponiamo ora tutti i componenti alla stessa temperatura TQ. In questo caso si può mostrare che risulta:

in modo a poter scrivere:

Questo risultato evidenzia come per una rete passiva (con 0 Gd 1), la temperatura di rumore equivalente in uscita sia una media pesata delle temperature del generatore e della rete. Nei casi limite in cui Gd = 0 oppure 1, la Teu (f) è pari rispettivamente a TQ e Tg (f); infatti i due casi corrispondono ad una “assenza” della rete oppure ad una rete che non attenua. 8.3.2 Rapporto SNR in uscita: Se si valuta il rapporto segnale rumore in uscita alla rete, otteniamo:

Ricordando che il generatore in ingresso presenta un SNRi (f) pari a:

Possiamo valutare il peggioramento prodotto dalla presenza della rete:

8.3.3 Fattore di rumore:

Il coefficiente F (f) è chiamato fattore di rumore della rete passiva, e rappresenta il peggioramento dell’SNR dovuto alla sua presenza. Notiamo subito che se Tg (f) = TQ, allora F = Ad: una rete passiva che si trova alla stessa temperatura del generatore, esibisce quindi un fattore di rumore pari all’attenuazione. Infatti, mentre la potenza disponibile di rumore è la stessa (essendo generatore e rete alla stessa temperatura), il segnale si attenua di un fattore Ad. 8.3.4 Reti attive: In questo caso il rumore introdotto dalla rete ha origine non solo dai resistori, e dunque non è più vero che TQu (f) = [1 − Gd (f)] TQ. Inoltre, il guadagno disponibile può assumere valori Gd > 1. In questo caso, si può esprimere l’SNR in uscita dalla rete come:

ed il peggioramento come:

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Quest’ultima espressione dipende ancora da Tg. Allo scopo di ottenere una grandezza che dipenda solamente dalla rete due porte, di definisce ora fattore di rumore il valore:

che rappresenta il peggioramento di SNR causato dalla rete quando il generatore è a temperatura ambiente T0 = 290°K = 17°C. E’ proprio F (f) che viene fornito dal costruttore della rete due porte attiva, in modo da permettere il calcolo di TQi (f) = T0 [F (f) − 1], e dunque:

8.3.5 Fattore di rumore per reti in cascata:

Sappiamo che il guadagno disponibile dell’unica rete due porte equivalente alle N reti poste in cascata, è pari al prodotto dei singoli guadagni, ovvero:

Come determinare invece il fattore di rumore equivalente complessivo? Con riferimento alla figura sopra, il singolo contributo di rumore dovuto a ciascuna rete può essere riportato all’ingresso della rete stessa, individuando così una temperatura:

I singoli contributi possono quindi essere riportati a monte delle reti che li precedono, dividendo la potenza (ovvero la temperatura) per il guadagno disponibile delle reti “scavalcate”. Dato che i contributi di rumore sono indipendenti, le loro potenze si sommano, e dunque è lecito sommare le singole temperature riportate all’ingresso, in modo da ottenere un unico contributo complessivo di valore:

in cui, sostituendo le espressioni per i si ottiene:

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sapendo che:

si ottiene:

che costituisce proprio l’espressione cercata:

Il risultato si presta alle seguenti considerazioni: • La prima rete due porte deve avere un F più piccolo possibile, in quanto quest’ultimo non può essere ridotto in alcun modo e contribuisce per intero ad F(T); • la prima rete deve avere Gd più elevato possibile, in quanto quest’ultimo divide tutti i contributi di rumore delle reti seguenti. Pertanto l’elemento che determina in modo preponderante il rumore prodotto da una cascata di reti due porte è la prima rete della serie, ed il suo progetto deve essere eseguito con cura particolare, anche tenendo conto del fatto che le due esigenze sopra riportate sono spesso in contrasto tra loro. E’ inoltre appena il caso di ricordare che l’espressione ottenuta non è in dB, mentre spesso F è fornito appunto in dB; pertanto per il calcolo di F(T) occorre prima esprimere tutti gli Fi in unità lineari.

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CAPITOLO 9 – RUMORE NEI DISPOSITIVI ELETTRONICI: 9.1 Gli amplificatori operazionali: L'amplificatore operazionale come circuito integrato è uno dei circuiti lineari maggiormente usati. Grazie alla produzione in larghissima scala, il suo prezzo è sceso a livelli talmente bassi da renderne conveniente l'uso in quasi tutte le possibili aree applicative. L'amplificatore operazionale è un amplificatore in continua: ciò significa che esiste una continuità elettrica fra ingresso e uscita; il nome di "operazionale" è dovuto all'uso per cui era nato tale amplificatore, e cioè il funzionamento all'interno di elaboratori analogici per l'esecuzione di operazioni matematiche. Un amplificatore operazionale ideale dovrebbe avere, in particolare, amplificazione e resistenza d'ingresso elevatissime (praticamente infinite) e resistenza di uscita bassissima (uguale a zero); gli amplificatori operazionali reali si avvicinano in parte a tali caratteristiche, per cui hanno una resistenza d'ingresso molto grande, una resistenza di uscita molto piccola ed una amplificazione, ovvero un guadagno in tensione, moto alto ma pur sempre limitato. A titolo di esempio, uno dei più usati, il µA741, ha un guadagno di 200000, una resistenza d'ingresso di 2 MΩ ed una resistenza di uscita di 75 Ω. La corrente che un amplificatore operazionale può fornire in uscita in genere non supera i 25 mA. Consideriamo l'aspetto esterno di un amplificatore operazionale, vale a dire la forma in cui esso si presenta pronto all'uso. Uno degli amplificatori operazionali più conosciuti, come già detto, è il 741, disponibile abitualmente in contenitore metallico tondo oppure in contenitore plastico DIL; la sua sigla cambia a seconda dei costruttori, diventando LM741, oppure µA741, o altro ancora.

9.1.1 Il componente ideale: L’amplificatore operazionale è un dispositivo che presenta due morsetti in ingresso e uno in uscita Nella forma più diffusa dispone inoltre di due alimentazioni, di solito simmetriche V+ (+Eb) e V- (-Eb). Tutti i segnali in ingresso e in uscita, nonché le alimentazioni, sono riferiti al medesimo potenziale di massa, morsetto comune.

La tensione in ingresso e quella in uscita a vuoto sono definite dalle seguenti relazioni:

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dove Av rappresenta il guadagno in tensione dell’amplificatore operazionale. I morsetti in ingresso sono detti rispettivamente invertente quello contrassegnato con il segno meno (-) e non invertente quello contrassegnato con il segno più (+). Con le convenzioni assunte, se la tensione in ingresso vin risulta positiva (v1>v2), la tensione d’uscita vout risulta negativa. Pertanto il guadagno proprio Av è negativo. Come sopra citato, l’amplificatore operazionale ideale presenta un guadagno proprio Av infinitamente grande; gli ingressi sono perfettamente bilanciati e le caratteristiche di funzionamento non variano nel tempo. Inoltre, in un comportamento ideale, la resistenza di ingresso Rin risulta infinitamente grande, la resistenza di uscita Rout è nulla e la banda passante deve intendersi infinitamente estesa. Nella pratica il comportamento reale dell’amplificatore operazionale si discosta più o meno dalle caratteristiche ideali. Si producono pertanto moltissimi tipi di amplificatori operazionali integrati che ottimizzano una o più delle caratteristiche in relazione all’applicazione cui sono destinati. Di norma l’amplificatore operazionale (a parte casi specifici) è reazionato, cioè una parte della tensione o della corrente in uscita viene riportata in ingresso tramite opportune reti di reazione; per tale motivo il guadagno Av è detto anche guadagno ad anello aperto. 9.1.2 Configurazioni lineari: 9.1.2.1 Amplificatore in configurazione invertente: Di particolare importanza per il funzionamento lineare è la reazione negativa, controreazione. Nel seguito vengono esaminate alcune applicazioni tipiche in controreazione, con riferimento ad amplificatori operazionali a comportamento ideale. Si consideri lo schema circuitale sotto rappresentato, dove l’uscita viene riportata al morsetto invertente (-) tramite la resistenza R2. Nell’ipotesi che l’amplificatore operazionale abbia un comportamento ideale, il morsetto invertente (-) assume il potenziale del morsetto non invertente (+) che è posto a massa. Infatti, nel funzionamento lineare, se il guadagno intrinseco dell’amplificatore operazionale è infinitamente grande, a una tensione finita in uscita vout deve corrispondere una tensione nulla in ingresso, fra i morsetti invertente e non invertente. Si dice usualmente che il morsetto invertente (-) è a massa virtuale.

Inoltre, essendo la resistenza di ingresso Rin del solo amplificatore infinitamente grande, la corrente i1 che giunge al nodo invertente non può entrare nell’amplificatore e pertanto sarà tutta deviata nella resistenza di reazione R2. Risulta quindi:

Il guadagno in tensione dell’amplificatore reazionato è pertanto Avf=-R2/R1 (da cui la denominazione di configurazione invertente). La resistenza di ingresso dello stadio completo è invece Rin = vin/i1=R1.

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Il circuito riportato sopra è un’estensione del caso in precedente e realizza la funzione di sommatore. Per esso risulta infatti:

essendo Rf la resistenza di retroazione (feedback). Quanto detto per i valori istantanei, si può generalizzare al regime sinusoidale, sostituendo alle resistenze R1 ed R2 le impedenze generiche Z1 e Z2. In tal caso il guadagno della configurazione reazionata AVf = -Z2 / Z1 risulta funzione della frequenza. 9.1.2.2 Circuito integratore e derivatore: Fra le configurazioni che realizzano funzioni di elaborazione analogica dei segnali ricordiamo i classici circuiti integratore e derivatore, riportati in figura:

Dall’analisi di tali schemi, si ottiene facilmente: Caso (A) - integratore:

avendo indicato con vC0 il valore iniziale della tensione ai capi del condensatore C. Caso (B) - derivatore:

Lo stadio integratore, in particolare, trova largo impiego negli strumenti di misura.

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9.1.2.3 Amplificatore in configurazione non invertente:

Si consideri ora lo schema circuitale mostrato sopra. Nell’ipotesi che l’amplificatore operazionale presenti un comportamento ideale, si deduce facilmente che:

Dalla questa configurazione si ottiene, ponendo R1= e R2= 0, la configurazione a “inseguitore di tensione”:

In pratica si pone in corto circuito l’uscita vout con il morsetto invertente (-) in ingresso. Tale configurazione costituisce un’importante realizzazione, in quanto consente di disaccoppiare il segnale di misura. In tal modo, infatti, il generatore di segnale vin non viene caricato e la potenza fornita al carico da vout viene prelevata dalle alimentazioni dell’amplificatore operazionale. Il circuito prende il nome di inseguitore di tensione (voltage follower, buffer) poiché la tensione in uscita vout riproduce quella in ingresso (essendo unitario il guadagno Avf). 9.1.3 Configurazioni a scatto: 9.1.3.1 Il comparatore: Il comparatore è un componente diffusamente impiegato per realizzare numerosi schemi circuitali adottati nelle campo delle misure. Il comparatore, nel funzionamento ideale riassunto in figura, è un dispositivo la cui uscita vo può assumere solo due stati (da cui il nome di bistabile) in relazione al valore della tensione in ingresso vi rispetto alla tensione di riferimento VR. Nell’esempio i valori possibili dell’uscita sono dati dalle tensioni di alimentazione Eb

+ ed Eb-.

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Il morsetto non invertente (+), cui è applicata la tensione di riferimento VR, può anche essere collegato a massa: in tal caso si parla di comparatori di zero, in quanto la tensione di riferimento risulta VR = 0. Infine, si può scegliere la logica del comparatore, scambiando gli ingressi vi e VR. In tal modo, la caratteristica ingresso-uscita (vi v0) viene ribaltata rispetto all’asse delle ascisse. Talvolta, a causa dell’inevitabile rumore sovrapposto ai segnali, si potrebbero avere scatti impropri del comparatore. In questi casi è utile dotare il comparatore di una certa isteresi. 9.1.3.2 Comparatore con isteresi: Il comparatore con isteresi è un dispositivo dotato di reazione positiva, che consente di ottenere due soglie di scatto differenti: VL per valori in discesa del segnale vi applicato e VH per valori in salita del segnale d’ingresso. Lo schema sotto si riferisce a un comparatore con isteresi attorno allo zero: VR=0.

Dall’esame dello schema circuitale si deduce che una parte della tensione in uscita vo viene riportata sul morsetto non invertente tramite il partitore (R1 R2). Anche tale dispositivo presenta in uscita solo due stati stabili Eb+ ed Eb-. Pertanto i valori possibili per la tensione al morsetto non invertente risultano:

Infatti, supponendo che l’uscita si trovi in uno dei due stati possibili, per esempio vo= Eb-, la tensione al morsetto non invertente risulta v+= VL= βEb-. D’altra parte, perché ciò accada deve essere vi > v+= VL = βEb-. Quando la tensione applicata vi diventa minore di tale valore il comparatore scatta e la sua uscita si porta al valore Eb+. Ulteriori diminuzioni della vi non hanno alcun effetto, anzi rafforzano tale condizione. Supponiamo ora che la tensione in ingresso vi riprenda a crescere, partendo dalla condizione in cui vo= Eb+. La tensione al morsetto non invertente risulta v+= VH= βEb+ e il comparatore scatta solo quando la tensione applicata raggiunge e supera tale soglia.

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Sotto (figura A) è rappresentato l’effetto sulla commutazione del bistabile dovuto a un disturbo sovrapposto al segnale applicato vi. Nella figura B è mostrato l’effetto benefico dell’isteresi: sono evitate le commutazioni ravvicinate e indesiderate. La fascia di isteresi deve tuttavia essere coordinata con l’ampiezza del disturbo affinché non si perda la correlazione con la soglia di scatto nominale.

9.1.3.2 Multivibratore astabile: Il comparatore a isteresi, opportunamente reazionato anche sul morsetto invertente con una rete RC, non permane indefinitamente in nessuno dei due stati possibili e costituisce pertanto un multivibratore astabile. Nella figura è mostrato anche il suo funzionamento come oscillatore a onda quadra. Per analizzare il comportamento a regime, si supponga che l’uscita del dispositivo, nell’istante t0, commuti passando dal valore Eb- al valore Eb+. Da tale istante la tensione in uscita vo = Eb+ carica il condensatore C attraverso la resistenza R, con costante di tempo RC. L’esponenziale di carica tende asintoticamente al valore della tensione di alimentazione Eb+. La tensione sul morsetto non invertente risulta invece v+= VH= βEb+. Quando la tensione vc sul condensatore, procedendo per valori positivi, raggiunge e supera nell’istante t1 il valore di tensione VH, si ha la commutazione dell’astabile e la sua uscita passa dal valore Eb+ al valore Eb-. La tensione di riferimento v+ al morsetto non invertente diventa ora VL e il condensatore comincia a scaricarsi, con un esponenziale ad andamento decrescente, che tende asintoticamente al valore Eb-, finché al tempo t2 si ha una nuova commutazione dell’uscita vo dal valore Eb- al valore Eb+. Il risultato di questa successione di commutazioni porta alla generazione di un’onda quadra.

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9.2 L’amplificatore differenziale: Lo scopo di un amplificatore differenziale è quello di amplificare, con guadagno AD, solo la differenza fra i due segnali v1 e v2 applicati ai suoi due ingressi:

Nell’espressione precedente le tensioni v1 e v2 sono considerate riferite a un punto comune. In pratica, può essere difficile amplificare solo la tensione differenziale, a causa della tensione di modo comune, ossia di quella componente di v1 e v2 che può ritenersi applicata contemporaneamente e in ugual misura ai due ingressi.

Per chiarire questo fatto, definiamo:

Allora i due segnali in ingresso possono esprimersi nella forma:

Questa scomposizione è utile per analizzare il comportamento dell’amplificatore differenziale. In particolare, si può applicare il principio di sovrapposizione degli effetti, considerando i contributi sull’uscita vout dovuti separatamente agli ingressi v1 e v2 e tenendo conto del noto funzionamento degli operazionali ideali.

Caso A) - Considero solo la presenza di v1 . Si ha:

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Caso B) - Considero solo la presenza di v2 . La tensione sul morsetto non invertente (+) risulta:

e quindi:

In definitiva, la tensione complessiva è:

Dove sono stati introdotti i guadagni A1 e A2 con cui le tensioni in ingresso v1 e v2 si presentano sull’uscita vout. Se ora si esprimono le tensioni in ingresso v1 e v2 in funzione delle componenti di modo comune vC e differenziale vD si ottiene:

I guadagni di modo comune AC e differenziale AD risultano allora:

Da tali espressioni si può dedurre la condizione tipica per un comportamento rigorosamente differenziale, caratterizzato da un guadagno nullo per il modo comune (AC=0). Tale condizione risulta evidentemente:

Se viene realizzata la condizione precedente sui rapporti fra le diverse resistenze, viene amplificata (e invertita) solo la differenza vD fra i segnali in ingresso, mentre nessun contributo della tensione di modo comune vC è presente sull’uscita. In molte applicazioni può accadere che, a fronte di una piccola tensione differenziale vD, sia presente un elevato valore della tensione di modo comune vC. In questi casi è necessario garantire una completa reiezione del modo comune e quindi tendere ad annullare il guadagno AC. In pratica può risultare difficile soddisfare esattamente la condizione precedente sui rapporti fra le resistenze, a causa delle inevitabili tolleranze sui valori delle resistenze. Per ovviare all’inconveniente, spesso può bastare la sostituzione di una delle quattro resistenze, per esempio R4, con un potenziometro multigiri: in tal modo, variando la resistenza R4, si possono compensare entro certi limiti le tolleranze sui valori delle resistenze commerciali.

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9.2.1 La reiezione del modo comune: La reiezione del modo comune viene espressa di solito mediante il CMRR (Common Mode Rejection Ratio). Questo è definito come il rapporto fra i moduli dei guadagni differenziale e di modo comune; spesso viene dato anche in dB (Common Mode Rejection, CMR):

In pratica bisognerà tener presente che, oltre al disadattamento delle resistenze esterne, lo stesso amplificatore operazionale, nel suo funzionamento reale, determina la comparsa di componenti di modo comune sull’uscita. Gli elementi per una caratterizzazione al riguardo sono forniti dai costruttori nei data-sheet. Per concludere osserviamo alcuni limiti dell’amplificatore differenziale. Lo schema di richiede di variare due resistenze (R2 e R1) per la regolazione del guadagno differenziale; contemporaneamente, al fine di soddisfare sempre la reiezione del modo comune, è necessario controllare anche le altre due resistenze (R3 e R4). Un ulteriore vincolo, nella definizione delle resistenze, è rappresentato dalle resistenze d’ingresso, che dovrebbero risultare sempre sufficientemente elevate. Per esempio, la resistenza di ingresso al segnale differenziale vD è costituita dalla somma delle resistenze R1 e R3. Assumere troppo elevati questi valori, potrebbe creare difficoltà nella scelta di R2 e R4, soprattutto se è richiesto un alto guadagno. In pratica, questi inconvenienti possono essere efficacemente superati con l’amplificatore per strumentazione. 9.3 L’amplificatore per strumentazione: 9.3.1 Schema circuitale: L’amplificatore per strumentazione è un dispositivo che presenta molti dei requisiti richiesti a un buon amplificatore differenziale. Essenzialmente è costituito da due stadi non invertenti (OP1 e OP2), montati secondo una struttura bilanciata:

Per l’analisi del dispositivo osserviamo che, se gli amplificatori operazionali OP1 e OP2 hanno un comportamento ideale, esiste un corto circuito virtuale ai loro ingressi. Pertanto la corrente nella resistenza Rg risulta:

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Le tensioni in uscita da OP1 e OP2 sono applicate allo stadio differenziale successivo, contenente l’amplificatore OP3:

La tensione in uscita da OP3, se le resistenze R3 ed R4 sono perfettamente bilanciate, risulta in definitiva:

Il guadagno differenziale AD può così essere stabilito agendo su una sola resistenza Rg. La resistenza di ingresso per entrambi i canali v1 e v2 è particolarmente elevata (in teoria infinitamente grande). Il dispositivo è di norma disponibile su circuito integrato e ciò limita notevolmente le derive dovute a fenomeni termici e consente di ottenere, con opportune tecnologie costruttive, un accurato valore degli elementi resistivi interni. Il controllo del guadagno avviene mediante il resistore Rg esterno al circuito integrato. In molti integrati, tale resistenza può essere variata in modo programmabile (PGIA, Programmable Gain Instrumentation Amplifier). Riguardo al funzionamento dell’amplificatore per strumentazione, si noti ancora che, se consideriamo una tensione di modo comune vC in ingresso, cioè se risulta v1 = v2 = vC, allora, per effetto del corto circuito virtuale in ingresso, dovuto alla presenza della controreazione, anche il morsetto non invertente di entrambi gli operazionali OP1 e OP2, che costituiscono lo stadio di ingresso simmetrico, presenta la tensione vC di modo comune. Allora non circola corrente nella resistenza Rg e quindi neppure nelle resistenze di reazione R2. Pertanto le uscite degli operazionali OP1 e OP2 risultano vo1 = vC e vo2 = vC, e questi si comportano, nei riguardi del modo comune, come degli inseguitori di tensione. Da queste considerazioni consegue che la facoltà di reiezione del modo comune è completamente affidata al successivo stadio differenziale e alla sua corretta realizzazione. Si osservi infine che la reiezione del modo comune varia con la frequenza. Infatti, talvolta sono presenti nei circuiti elementi volutamente non resistivi, per ottenere particolari funzioni di trasferimento; in altri casi dobbiamo considerare gli elementi parassiti (capacità e induttanze) nei circuiti equivalenti, le cui impedenze assumono rilievo al crescere della frequenza. 9.3.2 Il bilanciamento degli ingressi: L’amplificatore per strumentazione è una struttura bilanciata e il migliore comportamento complessivo, nei riguardi della reiezione del modo comune, si ottiene quando anche il resto del circuito risulta il più possibile bilanciato. Per valutare la reiezione del modo comune dell’amplificatore per strumentazione, in relazione al bilanciamento degli ingressi, riferiamoci allo schema in figura:

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In figura, H ed L sono i morsetti di ingresso dell’amplificatore per strumentazione; V1 e V2 i segnali di ingresso; R1 e R2 le resistenze complessive dei generatori equivalenti di segnale e dei cavi di collegamento. Come noto, le tensioni applicate V1 e V2 possono esprimersi in funzione delle componenti di modo comune VC e differenziali VD (vedi figura B). Così, considerando solo la tensione di modo comune VC, che qui ci interessa, il circuito di figura B diventa quello di figura A. In questo schema, ZD è l’impedenza differenziale fra i due ingressi H ed L, mentre ZCH e ZCL sono le impedenze che ciascun ingresso presenta verso massa. Nei casi pratici, le impedenze ZD, ZCH e ZCL presentano valori estremamente elevati e dello stesso ordine di grandezza. Un valore tipico è 109Ω in parallelo con 2pF. Si può valutare l’effetto della tensione di modo comune VC cominciando a calcolare il suo contributo direttamente sugli ingressi H ed L, ai capi dell’impedenza ZD.

Il generatore equivalente di Thevenin fra i morsetti H ed L sarà caratterizzato dai seguenti parametri VT e ZT:

Poiché nella pratica le impedenze verso massa degli ingressi possono ritenersi uguali: ZCH= ZCL= ZC e molto maggiori di R1 ed R2; si ha:

avendo posto ∆R=R2-R1. Il generatore equivalente di Thevenin risulta applicato all’impedenza differenziale ZD (con ZD>>ZT), dove si stabilisce praticamente tutta la tensione a vuoto VT dovuta al modo comune. Questa tensione equivalente VT viene amplificata con guadagno differenziale AD, proprio dell’amplificatore per strumentazione, e produce sull’uscita un contributo:

Da cui si deduce che la reiezione del modo comune, complessiva del sistema, migliora al diminuire dello sbilanciamento delle resistenze di ingresso ∆R = R2-R1. Oltre che dalla differenza ∆R, il CMRR dipende anche da numerosi altri fattori. Pertanto i costruttori di amplificatori per strumentazione forniscono usualmente il CMRR ottenibile con il dispositivo, per un assegnato valore dello sbilanciamento delle resistenze (tipicamente ∆R = 1kΩ) e per assegnati valori del guadagno differenziale AD e della banda passante B.

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9.4 Il rumore negli amplificatori operazionali: 9.4.1 Circuito equivalente (modo differenziale):

9.4.2 Il rumore nell’amplificatore operazionale:

per questa configurazione il guadagno è G = 1 + R2/R1. La funzione rumore può essere così scritta:

9.4.3 Circuito equivalente per Offset e Derive:

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9.4.4 Bias e Offset all’uscita di una generica configurazione:

Il contributo della tensione di offset è pesato per il guadagno, non posso quindi fare nulla. Posso però cancellare il contributo delle correnti di polarizzazione:

R3 = R1 // R2 In questo caso avrei:

Negli amplificatori operazionali con cancellazione della corrente di polarizzazione R3 non serve, in tal caso scriviamo:

Contributo di voff:

Contributo di ib e ioff:

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Il rumore vale:

dove R3 comprende la resistenza di sorgente, nel caso in cui R3 sia impiegata per compensare la corrente di polarizzazione delle stadio d’ingresso:

Data la presenza di rumore termico nei resistori occorre scegliere una R1 sufficientemente bassa. 9.4.5 Progetto a basso rumore: Dato un sensore con caratteristiche note (funzione di trasferimento, impedenza e rumore propagato) come si può ottimizzate il progetto per ottenere il rumore equivalente in ingesso più basso possibile? L’amplificatore deve essere adattato al sensore. Nel progetto devono essere soddisfatte diverse specifiche: guadagno, banda passate, impedenza d’ingresso e uscita, stabilità, tipologia di alimentazione altre ad altre richieste sul rumore. Il progetto di solito viene solitamente affrontato partendo dalle specifiche sul guadagno e sulla banda passante, le richieste sul rumore sono usualmente le ultime che vengono prese in considerazione. Nel caso in cui sia importante realizzare un sistema a baso rumore è necessario tener conto di questo aspetto sin dalle prime scelte di progetto. In funzione della sorgente si sceglie il dispositivo (bjt, jfet,IC) più appropriato. Va in seguito scelto il punto di lavoro ottimale del dispositivo dal punto di vista del rumore e in fine occorre scegliere la configurazione (retroazione) che soddisfi le richieste di guadagno e banda passante. La ricerca progettuale del minimo rumore ottenibile può proseguire fino alla condizione limite NF = 3 dB per cui amplificatore e sorgente contribuiscono in ugual misura al rumore totale E’ importante la scelta del dispositivo attivo, eseguita secondo questi criteri:

per resistenze di sorgente di valore molto basso può risultare conveniente l’utilizzo di un trasformatore d’adattamento. Amplificatori oppure IC a transistori bipolari sono preferibili per valori di resistenza di sorgente medio-bassi; la corrente di polarizzazione d’ingresso non può essere trascurabile. Per valori più elevati di resistenza di sorgente sono preferibili dispositivi a transistori jfet oppure MOS. Dispositivi tipo MOS presentano tuttavia livelli di rumore di flicker più elevati rispetto agli altri dispositivi. Per sorgenti con elevata impedenza interna è utile scegliere amplificatori con bassa in; viceversa per sorgenti a bassa impedenza interna è meglio impiegare amplificatori a bassa en.

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CAPITOLO 10 – RIVELAZIONE DEI SEGNALI: Nella rivelazione (misura) di segnali deboli dobbiamo curare due aspetti fondamentali: l’elettronica a basso rumore (schermi, ritorni di massa,...) e la “rivelazione del segnale”(signal recovery) per riuscire a distinguere fra segnale e rumore questi devono avere qualche caratteristica che li differenzia. Questo può essere fatto a seconda delle esigenze del caso impiegando due tecniche:

• Filtraggio (teoria statistica della stima): occorre nel caso si debba ricostruire la forma originale del segnale per consentire la stima di alcuni parametri quali ampiezza, periodo,…

• Correlazione (teoria statistica della rivelazione): utile per rivelare la presenza di un segnale

di forma nota senza ricostruire la sua forma. Il problema che cercheremo di risolvere in questo capitolo è la ricostruzione o la rivelazione di un segnale s(t) attraverso una sua osservazione sperimentale x(t) con x(t) = s(t) + n(t) dove n(t) è il rumore additivo. La soluzione dipende dal tipo di segnale: armonico, impulsivo,… 10.1 Filtraggio: Il compito del filtro è quello di eliminare le componenti spettrali del segnale x(t) che non contengono alcuna informazione su s(t) che intendiamo stimare. È importante fare attenzione, nella scelta del filtro, ad alcune sue caratteristiche fondamentali quali il suo comportamento al rumore e ai disturbi.

Il metodo di Gauss (minimi quadrati) consente la stima di una grandezza costante s avendo a disposizione una serie di misure x = x1, x2,…,xj,…,xn in modo da minimizzare il valore atteso della scarto quadratico:

Questo approccio richiede, almeno in linea di principio, la conoscenza di infiniti valori di misura xj, in pratica la stima si compie su un numero finito di osservazioni sperimentali e quindi con un incertezza, se i campioni sono indipendenti, pari a:

Minimizzando il valore assoluto dello scarto avremmo ottenuto la mediana anziché il valore medio. Nel caso avessimo un segnale x(t) = s + n(t) con n(t) processo casuale e con E[n] = 0, dovremmo analizzare la media temporale (in linea di principio per un tempo infinito, in pratica su un’osservazione sperimentale temporalmente finita). La varianza della stima di s dipenderà dal tempo di filtro e dalla statistica del rumore:

dove H(f) è la funzione di trasferimento del filtro e Sn(f) è la densità spettrale del rumore n(t).

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10.1.1 Filtro del primo ordine: Un caso interessante, sebbene poco realistico, è il caso di rumore bianco a spettro limitato (spettro bilatero):

per e nulla altrove la funzione di autocorrelazione è:

la funzione di autocorrelazione si annulla per τi = 1 / B (con i intero > 0) I campioni del rumore a distanza Δτ = 1 / B sono fra loro correlati. Sommando n di questi campioni, presi sul tempo totale T = n / B, oppure integrando su questo intervallo di tempo, la varianza della stima di s è:

Per un rumore con spettro arbitrario le cose si complicano; è possibile dimostrare che la varianza della stima è data dall’espressione:

per intervalli di tempo di osservazione T sufficientemente lunghi possiamo approssimare l’espressione con:

che per T → ∞ si annulla (stima di s consistente, non polarizzata), come è desiderabile che avvenga. Esempio: Un caso più realistico è quello di un rumore bianco filtrato da un filtro passabasso del primo ordine:

in questo caso la varianza della stima di s, all’uscita del filtro è:

che si riduce a:

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nel caso in cui il tempo d’integrazione T è molto maggiore della costante di tempo caratteristica RC (tempo di correlazione del rumore n(t)) Questo ci conduce al risultato che la banda equivalente di rumore per un sistema del primo ordine è Bn = 1 / 4RC = (π/2) f -3dB Questa tipologia di filtri è usata anche quando il segnale s non è una costante ma una funzione del tempo lentamente variabile rispetto al tempo d’integrazione. 10.1.2 Filtro a “finestra mobile”: La forma più semplice di filtro che possiamo considerare è un integratore su un intervallo di tempo T (voltmetro, contatore elettronico):

la risposta all’impulso per questo tipo di filtro è:

a cui corrisponde una funzione di trasferimento:

Il filtro svolge la funzione principale di eliminare componenti di alta frequenza del rumore.

Il tempo d’integrazione T deve essere sufficientemente piccolo rispetto alla rapidità di variazione del segnale.

La figura riporta un segnale ad onda quadra di ampiezza unitaria a cui è stato sommato del rumore con distribuzione d’ampiezza di tipo gaussiano con varianza pari a uno. Sono riportati alcuni

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esempi di filtraggio con media mobile per tempi d’integrazione T crescenti, quando il tempo d’integrazione è confrontabile con il periodo dell’onda quadra la deformazione dei fronti di salita e discesa è evidente. Il filtro si comporta bene nel caso di fluttuazioni casuali; quando sono invece presenti disturbi impulsivi di grande ampiezza entra in crisi, la sua risposta contiene ancora questi contributi impulsivi. In questo caso possono risultare preferibili filtri non lineari,ad esempio, il filtro a mediana che qui vediamo confrontato con quello a media mobile in presenza dell’impulso:

Si possono fare altri esempi di filtri non lineari: il filtro α calcola il valor medio dei dati nell’intervallo T escludendo i valori nella cosa della distribuzione locale [F(x) < α ; F(x) > 1 - α]. I filtri non lineari offrono una gamma di soluzioni ad hoc per problemi particolari, la teoria a loro relativa non ha carattere generale come invece è per i filtri lineari. 10.1.3 Filtraggio lineare ottimo: Possiamo progettare un filtro che sfrutti in modo ottimale la diversa distribuzione in frequenza del segnale e del rumore. Torniamo a considerare la stima di una costante s a partire da n osservazioni x = x1, x2,…,xj,…,xn

devo determinare le costanti ai in modo da minimizzare l’errore quadratico medio Q = E [(s- )2] Principio di ortogonalità: minQ equivale a determinare le costanti ai in modo tale che lo scarto (errore) sia ortogonale ai dati E [(s- )2xi]=0 per ogni i. Passando al caso più generale della stima dell’andamento del segnale s(t) in base all’osservazione dell’andamento di x(t)=s(t)+n(t) in un certo intervallo di tempo t є [a,b]; sia il segnale da stimare sia il segnale misurato (l’osservazione) sono funzione del tempo. In questo problema di filtraggio non abbiamo una combinazione lineare di variabili casuali, ma un integrale del prodotto dell’osservazione per una funzione di pesatura h(t), di cui dobbiamo determinare la forma:

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La forma della funzione pesatura si ottiene imponendo la minimizzazione dell’errore quadratico medio attraverso il principio di ortogonalità:

nell’ipotesi di stazionarietà, otteniamo:

10.1.3.1 Filtro di Wiener (1942): È possibile ricavare la funzione pesatura h(t) da questa equazione integrale. Molti lavori seguirono al lavoro iniziale di Wiener e Kolmogoroff sui filtri, il maggior contributo fu dato da Kalman (nel 1960) che introdusse un filtro tempo discreto ricorsivo, con esso la miglior stima del segnale s(t) soddisfa un’equazione differenziale “guidata” dal segnale x(t). Il filtro di Kalman non è caratterizzato da un espressione esplicita per la risposta impulsiva del filtro ma da un algoritmo adattativo. Supponiamo di conoscere l’osservazione x(t) sull’intero asse dei tempi; supponiamo che i processi coinvolti (segnale s(t) e rumore n(t)) siano stazionari. Scriviamo la stima del segnale come integrale di convoluzione di x(t) con la funzione di pesatura h(t):

Lo stimatore del processo può essere interpretato come la risposta di un sistema lineare e stazionario con la risposta all’impulso h(t), il cui ingresso è il segnale x(t). Questo sistema non è causale, cioè non è fisicamente realizzabile perché ad ogni istante, per la stima, si richiede la conoscenza del futuro oltre che del passato (h(t)≠0 per t<0) Significato fisico del filtro di Wiener (dominio della frequenza di Fourier) Applicando il principio di ortogonalità e ponendo τ = t - ξ ricavo l’equazione integrale:

trasformando secondo Fourier ambo i membri ottengo:

cioè la funzione di trasferimento cercata è:

la sua antitrasformata ci fornisce h(t).

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Nel caso in cui di nuovo segnale e rumore siano indipendenti (Ssn(f)=0) allora:

arriviamo alla forma:

L’errore di stima si calcola dell’espressione Q = E [(s- ) ]:

Concludendo:

• L’errore di stima si annulla quando segnale e rumore occupano regioni spettrali differenti (non si sovrappongono) Sss(f) Snn(f) = 0; in questo caso H(f)=1 dove Sss(f)≠0 e H(f)=0 dove Sss(f)=0.

• In assenza di rumore n(t)=0 il filtro ottimo ha un modulo costante e un comportamento lineare della fase sullo spettro del segnale x(t).

• In presenza di rumore la banda del filtro viene ridotta per ridurre il rumore all’uscita del filtro; si riduce così anche il segnale all’uscita del filtro; il valore ottimale della banda passante è quello al di sotto del quale il segnale all’uscita si riduce più rapidamente del rumore.

Il filtro di Wiener è insensibile alla fase del segnale di ingesso; la funzione h(t) è legata alla funzioni di autocorrelazione. Un approccio che tiene conto invece di questo aspetto è il filtro adattato.

10.1.3.2 Filtro adattato: Conoscendo la forma dell’impulso del segnale s(t) l’obiettivo è quello di determinare l’occorrenza si un evento impulsivo, la sua ampiezza A e l’istante di occorrenza to.

Calcoliamo il prodotto di convoluzione tra il segnale x(t) e una funzione di filtro w(t):

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Si dimostra che quando w(t)=s(-t), ovvero la risposta impulsiva del filtro uguale alla forma del segnale invertito nel tempo, la funzione di trasferimento del filtro W(f) è ovviamente la trasformata di Fourier di w(t)=s(-t), cioè W(f)=S*(f). Il filtro inoltre fornisce il miglior rapporto segnale rumore (nel caso di rumore bianco). Significato fisico - il modulo: l’espressione W(f)=S*(f) indica che il modulo della funzione di trasferimento del filtro è massima proprio per quelle frequenze a cui abbiamo il maggior contributo del segnale e allo stesso modo, dove il segnale ha un contenuto spettrale trascurabile la funzione di trasferimento del filtro è bassa. Significato fisico – la fase:

A partire dal segnale impulsivo a sinistra, tutte le componenti spettrali sono in fase all’istante t=0; il filtro con funzione di trasferimento s(t) produce uno sfasamento fra le componenti spettrali in modo da costruire il segnale s(t). il ritardo di fase introdotto dal filtro adattato cancella esattamente quelle dovute al primo filtro, riportando in fase tutte le componenti spettrali. Nota storica: La teoria del filtro adattato (così come per quello di Wiener) è stata sviluppata durante la seconda guerra mondiale per la rivelazione di segnali radar, segnali di forma nota, di cui interessa misurare soprattutto il ritardo in ricezione per stabilire la distanza del bersaglio. Rapporto segnale rumore: segnale: il quadrato del valore massimo del segnale m(t), all’uscita del filtro, cioè m2(t0) rumore: la varianza σ2 del rumore all’uscita del filtro

SNR = m2(t0) / σ2

Il segnale di uscita per l’ingresso A s (t- t0) sarà l’antitrasformata del prodotto:

A W(f) S(f) e (-j2πfto) La varianza del rumore sarà data dall’integrale dello spettro del rumore di uscita:

Sn(f) | W(f) |2

Il rapporto segnale rumore sarà quindi:

se il rumore è bianco (Sn(f) = cost), si dimostra che SNR è massimo per W(f)=S*(f ) e vale:

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Quando consideriamo un segnale sinusoidale al posto di un segnale impulsivo, queste considerazioni ci dicono che la funzione peso ottimale è un segnale sinusoidale alla stessa frequenza, così come per un onda quadra la funzione peso ottimale risulta essere un’onda quadra alla stessa frequenza (lock-in). 10.2 Tecniche di correlazione: Le tecniche di correlazione si diversificano in base ai casi che dobbiamo affrontare:

• Individuare la presenza di un segnale disponendo di un segnale di riferimento (correlazione incrociata con segnale di riferimento).

• Individuare la presenza di un segnale in assenza di riferimento, sfruttando la correlazione fra osservazioni diverse allo stesso segnale: a tempi diversi (autocorrelazione)

oppure allo stesso tempo, utilizzando due o più misure dello stesso segnale (Twiss-Brown)

Analizziamo un esempio: l’estrazione di un segnale sinusoidale dal rumore, con segnale di riferimento, usando il primo metodo (correlazione incrociata):

conosciamo la frequenza ma non la fase ne l’ampiezza del segnale e vogliamo stimare quest’ultima. Il segnale di riferimento r(t) = sin (2πft) ha la stessa frequenza. Eseguo la correlazione incrociata tra i due segnali:

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Posso ora determinare sia l’ampiezza A che la fase φ. In pratica l’osservazione del segnale avverrà su un tempo finito T e quindi anche la stima di RXT(τ) sarà incerta; l’incertezza nasce dalle fluttuazioni del termine che nasce dalla media temporale (su un tempo finito) del prodotto n(t)r(t). Incertezza nella stima delle funzioni di correlazione: in generale abbiamo:

per 0 ≤ τ < T. dove si suppone di avere a disposizione un’osservazione sperimentale su un intervallo di tempo T + τ, per il valore massimo di τ a cui siamo interessati. L’incertezza sulla stima sarà:

dove entrano in gioco i momenti statistici del quarto ordine. Se i processi x(t) e y(t) (statistica del secondo ordine) allora questa espressione si riduce alla forma:

Si annulla per T che tende a infinito (stima consistente), mentre per T sufficientemente grande l’espressione si riduce a :

per τ = 0 l’integrando si riduce a 2RXX(ξ), mentre per τ sufficientemente grande l’integrando si riduce a RXX(ξ) sfruttando la relazione:

Nel caso in cui due processi x(t) e y(t) sono a media nulla e a banda limitata, B si ottiene:

Twiss-Brown: Un caso particolare è quello in cui possiamo scrivere i due processi come:

dove i due processi di rumore non sono fra loro correlati, e con il segnale, e la loro varianza è rispettivamente N e M. È il caso della misura della stessa grandezza con due sensori diversi.

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Tornando al caso particolare dell’estrazione di una sinusoide di frequenza f nota con un riferimento ideale y(t) = r(t) = m(t) = 0 (senza rumore)

per misurare a bassi rapporti segnale-rumore A2/2σn

2 << 1 otteniamo:

Nel caso in cui non è disponibile un segnale di riferimento consideriamo il caso in cui non si conosca né la frequenza né l’ampiezza del segnale sinusoidale immerso nel rumore e si voglia stimare questi parametri. Eseguiamo allora l’autocorrelazione del segnale misurato:

da cui determiniamo i parametri incogniti (frequenza e ampiezza) ma non la fase.

Per ritardi sufficientemente grandi possiamo agevolmente stimare i parametri della sinusoide. Anche in questo caso devo ricordarmi che sto effettuando una misura su un tempo finito quindi avrò delle fluttuazioni sulla stima. Tecnica Twiss-Brown: Quando due sensori che misurano lo stesso segnale con rumori tra loro indipendenti:

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La correlazione incrociata di questi processi fornisce la varianza del segnale RXY(0)=S. L’errore di stima, dove effettivamente non ci sia alcuna correlazione tra i rumori associati alle due osservazioni attraverso i due sensori (dal caso di un processo di rumore a banda limitata):

Nel caso di nostro interesse diventa:

in condizioni di basso rapporto segnale-rumore, dove N = M (sensori tra loro uguali), allora:

La varianza si riduce con la radice quadrata del tempo d’integrazione T. Questa tecnica è impiegata in varie discipline (radioastronomia, termometria di rumore, … , misure di rumore di fase negli oscillatori). Il suo grande pregio sta nella capacità di ridurre l’incertezza di misura del sistema a correlazione al di sotto del rumore proprio del singolo canale del sistema. 10.3 Rivelazione del segnale (Riassunto): Ipotesi: rumore additivo x = s(t) + n(t)

• Filtraggio: Il compito del filtro è quello di eliminare le componenti spettrali del segnale x(t) che non contengono alcun informazione sul segnale s(t) che intendiamo stimare. Attenzione nella scelta del filtro, al suo comportamento imprevisto verso il rumore o disturbi ad esempio impulsivi.

• Correlazione: 1.Nel caso si un segnale x(t) e di un riferimento ideale Rnr(τ):

dove T = intervallo di tempo dell’osservazione (integrazione) di x(t).

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2. Quando abbiamo a disposizione un segnale di riferimento Rxx(τ)

3. Tecnica Twiss-Brown:

10.4 BoxCar sampling gate: Il caso del filtro adatto è la soluzione ottimale dal punto di vista del rapporto SNR, tuttavia in molte situazioni il miglioramento rispetto al caso di un integrazione sulla durata di un impulso può risultare modesto rispetto alla complicazione e alla specificità dell’implementazione di un filtro adatto. Una soluzione alternativa molto interessante e relativamente semplice da implementare è quella di integrare su impulsi successivi.

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L’interruttore del circuito è chiuso in corrispondenza di ogni impulso integrando il segnale all’ingresso; quando l’interruttore invece rimane aperto la tensione ai capi del condensatore non cambia. Questa semplice soluzione consente di accumulare il segnale in corrispondenza del picco migliorando il rapporto segnale-rumore. Questa tecnica funziona anche nel caso di una forma del segnale più generale, di cui si intende ricostruire la forma; in questo caso occorre integrare su un piccolo intervallo di tempo rispetto alla durata del segnale e accumulare su più eventi successivi; cambiare la regione d’integrazione e di nuovo accumulare…

la ricostruzione della forma del segnale richiede un tempo proporzionale al numero di medie che si effettuano su ogni intervallo di tempo su cui è suddiviso il segnale e dal loro numero. Importante notare che mi serve un segnale di riferimento.

È ovviamente possibile realizzare una scansione automatica del ritardo rispetto all’inizio del segnale.

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10.5 Lock-in: Per aggirare i problemi causati dal remore 1/f, derive e offset una tecnica efficace e di largo impiego è quella della rivelazione sincrona; il segnale viene opportunamente modulato in modo tale da spostare spettralmente l’informazione del nostro esperimento dalla d.c. bassa frequenza a una frequenza f lontana dai termini di deriva, rumore 1/f.

• Sorgente segnale modulato a frequenza f; • Amplificatore a.c.: • Rivelazione sincrona.

Lo schema di principio è il seguente:

Consideriamo di voler misurare una sinusoide di frequenza e fase nota, in presenza di rumore. Il segnale di controllo è un onda quadra sincrona con la sinusoide applicata all’ingresso. L’effetto della commutazione sincrona è quello di rettificare il segnale sinusoidale collegandosi all’uscita dell’amplificatore che in quell’istante fornisce un uscita positiva. L’uscita del filtro è un segnale costante proporzionale all’ampiezza della sinusoide. Il processo di rettificazione risulta ininfluente sul rumore; all’ingresso del filtro avremo ancora del rumore con le stesse proprietà statistiche. Si può migliorare a piacere il rapporto segnale-rumore aumentando il tempo d’integrazione del filtro.

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Potendo così misurare l’ampiezza dell’onda sinusoidale di debolissima intensità immersa nel rumore. L’eventuale amplificazione del segnale avviene alla frequenza di modulazione lontano dalla continua (e dal rumore 1/f); gli effetti di eventuali offset di questo componente sono ininfluenti.

Confronto tra misure d.c. e con lock-in in presenza di rumore bianco:

Nota storica: radiometro di Dicke: L’introduzione di questa tecnica di misura è comunemente attribuita a Dicke. Il suo problema era quello di effettuare misure di debolissime potenze a microonde (radiazione termica).

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Per aggirare il problema della stabilità del sistema di amplificazione del segnale misurava la differenza del segnale prodotto dalla sorgente in studio e una sorgente di riferimento (terminazione a temperatura nota) Altre descrizioni equivalenti del funzionamento del Lock-in:

• Strumento che esegue l’analisi spettrale del segnale al suo ingresso alla frequenza del segnale di riferimento; la continua comunicazione tra le due posizioni del deviatore è equivalente a moltiplicare il segnale d’ingresso per un onda quadra (fondamentale + armoniche dispari).

• Correlazione incrociata tra il segnale e un riferimento periodico. • Traslazione in frequenza dello spettro del segnale d’ingresso; le componenti spettrali del

segnale attorno alla frequenza del segnale di riferimento vengono traslate a bassa frequenza.

• Demodulatore di un segnale modulato in ampiezza. Tornando al nostro schema di principio, quando la sinusoide d’ingresso è in fase con il segnale di riferimento, l’uscita dal filtro è massima. In generale l’uscita sarà proporzionale al coseno della differenza di fase tra riferimento e segnale. Di solito sono disponibili due canali d’uscita; uno per la componente in fase, l’altro per la componente in quadratura.

consideriamo un filtro del primo ordine:

assumiamo che il rivelatore sincrono esegua il prodotto tra il segnale x(t) ed il riferimento r(t); prendiamo in considerazione questa volta un riferimento sinusoidale a frequenza fissa fr.

r(t) = cos (2π fr t) L’uscita del rivelatore sincrono è:

u(t) = x(t) r(t) L’operazione prodotto è evidentemente un operazione non lineare tra i due segnali. Consideriamo il comportamento di questo componente rispetto a due diversi segnali d’ingresso:

• Segnali periodici:

non necessariamente alla stessa frequenza del riferimento ; A(t) è lentamente variabile nel

tempo rispetto al tempo d’integrazione del filtro. • Processo casuale con spettro Sn(f)

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Per quanto riguarda il primo tipo di contributi, il segnale di uscita dal rivelatore sincrono è:

quando ∆f = 0, il segnale ha la stessa frequenza del riferimento:

all’uscita del filtro rimane:

i(t) = A(t) cos Φ nel caso di un segnale a frequenza diversa da quella del riferimento (Φ = 0):

all’uscita del filtro rimane il contributo A(t) cos (2 π ∆f t) se ∆f rientra nella banda passante del filtro, altrimenti verrà attenuata. Per quanto riguarda la parte casuale eseguiamo l’autocorrelazione del segnale prodotto tra riferimento e segnale casuale, ricordando che moltiplicare due segnali nel dominio del tempo significa, nel dominio della frequenza di Fourier, eseguire la loro convoluzione. Se n(t), componente casuale in ingresso, e r(t) riferimento sono indipendenti all’uscita del rivelatore abbiamo:

a cui corrisponde lo spettro:

che corrisponde alla traslazione dello spettro del processo casuale:

in questo caso stiamo facendo riferimento a spettri bilaterali.

lo spettro ottenuto viene poi filtrato:

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La varianza del rumore prodotta dal processo casuale a ciascuna delle due uscite si calcola immediatamente integrando sulla banda del filtro. Se il rumore ha uno spettro costante attorno ad fr e ricordandoci della banda equivalente del filtro del primo ordine otteniamo:

esempi:

- Amplificatori a chopper: questa tecnica era largamente utilizzata per realizzare amplificatori in continua ad altro guadagno, di precisione. Il segnale d’ingresso viene modulato moltiplicandolo per un onda quadra di frequenza fissa e ampiezza costante; l’onda quadra così ottenuta viene amplificata e demodulata per riottenere un segnale in continua.

- Modulazione derivata: in questo caso si modula non il fascio di luce ma una variabile indipendente, la lunghezza d’onda del monocromatore.

la tecnica prende il nome di modulazione derivata perché il segnale d’uscita rappresenta la derivata prima del picco di assorbimento.

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CAPITOLO 11 – PLL (Phase Locked Loop) 11.1 Principio di funzionamento: Gli elementi che compongono un PLL in una configurazione generica sono : un comparatore o rivelatore di fase (PD: Phase Detector), un filtro d'anello (LPF: Low-Pass Filter), un VCO (Voltage Controlled Oscillator).

Il Phase Detector è un circuito che produce un'uscita media, Vout, che è linearmente proporzionale alla differenza di fase, ΔΦ, applicata ai suoi due ingressi. Definiamo la pendenza della linea guadagno del PD, indicata con KΦ ed espressa in [V/rad]. Un Voltage Controlled Oscillator ideale è un circuito la cui frequenza di uscita è funzione lineare della sua tensione di controllo

KVCO denota il guadagno o la sensibilità del circuito, espressa in [rad=s=V ]. Per introdurre il concetto di aggancio di fase, si consideri il problema di allineare la fase della frequenza di uscita di un VCO con la fase di un clock di riferimento. Come mostrato nella figura sotto, il fronte di salita di VVCO è in ritardo di Δt secondi rispetto a VCK e lo scopo che ci prefiggiamo è quello di eliminare questo errore. Ipotizzando che il VCO abbia un solo ingresso di controllo, Vcont si può notare che per variare la fase bisogna variare la frequenza di oscillazione e calcolare l'integrale:

La fase di uscita del VCO può essere allineata con la fase del riferimento se: la frequenza del VCO è cambiata momentaneamente o un mezzo di comparazione delle due fasi, cioè un phase detector, è utilizzato per determinare quando il VCO e il segnale riferimento sono allineati. L'operazione di allineamento della fase del segnale di uscita del VCO con quella del segnale di riferimento è appunto chiamata aggancio di fase. Da queste osservazioni, possiamo riassumere che un PLL consiste semplicemente in un PD e in un VCO inseriti in un anello retroazionato.

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Il PD compara le fasi di Vout e Vin e genera un errore che varia la frequenza del VCO finché le due fasi non sono allineate, cioè fino a quando l'anello non è agganciato. Questa topologia, comunque, deve essere modificata perché la forma d'onda all'uscita del PD consiste in una componente continua (desiderabile) e in una componente in alta frequenza (non voluta). Inoltre la tensione di controllo dell'oscillatore deve rimanere fissata a regime, cioè l'uscita del PD deve essere filtrata. Si deve così interporre un filtro passa basso (LPF) tra il PD e il VCO. Questo filtro deve sopprimere le componenti in alta frequenza del segnale di uscita del PD e estrarre solo la componente continua che sarà la tensione di controllo del VCO. E' importante ricordare che l'anello di retroazione compara le fasi dell'ingresso e dell'uscita. Se il guadagno dell'anello è abbastanza elevato, in condizioni di regime, la differenza tra la fase di ingresso Φin e la fase di uscita Φout si riduce fino ad un valore molto piccolo, permettendo l'allineamento della fase. Se l'anello è agganciato, si può affermare che Φout - Φin è costante e preferibilmente piccolo. Si definisce allora anello agganciato in fase se Φout - Φin non cambia con il tempo. Da questo segue che:

e perciò:

In conclusione possiamo affermare che, quando agganciato, un PLL produce una uscita che ha un piccolo errore di fase rispetto all'ingresso ma esattamente la stessa frequenza. Si supponga, come mostrato in figura, che il segnale d'ingresso sperimenti un gradino di fase Φin = ω1t+Φ1u(t-t1). Siccome l'uscita del LPF non può cambiare istantaneamente, il VCO inizialmente continua a oscillare alla frequenza ω1. L'aumento della differenza di fase tra l'ingresso e l'uscita crea larghi impulsi all'uscita del PD, forzando Vcont a crescere gradualmente. Come risultato, la frequenza del VCO comincia a cambiare, cercando di minimizzare l'errore di fase. Si nota anche che il loop non è agganciato durante il transitorio perché l'errore di fase varia con il tempo. Si possono fare due osservazioni:

• Dopo che il sistema è ritornato in condizioni di aggancio, tutti i parametri (eccetto la fase totale di ingresso e di uscita) sono ritornati alle condizioni iniziali, cioè Φout - Φin, Vcont e la frequenza del VCO non sono cambiati;

• La tensione di controllo dell'oscillatore può servire come punto di osservazione nell'analisi del PLL.

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Supponiamo ora che la frequenza del segnale di ingresso del PLL sperimenti un piccolo salto Δω all'istante t = t1. Come nel caso del salto di fase, il VCO inizialmente continua ad oscillare alla frequenza ω1, ma il PD genera impulsi sempre più lunghi e Vcont aumenta con il tempo. Come ωout si avvicina a (ω1+ Δω), la larghezza degli impulsi generati dal PD diminuisce, fermandosi al valore che produce una componente continua uguale a (ω1+ Δω - ω0) / KVCO. In contrasto al gradino di fase, questo caso produce un cambiamento permanente sia sulla tensione di controllo che sull'errore di fase. Analizzando i due casi, si può affermare che affinché il transitorio del sistema sia esaurito, sia la fase che la frequenza devono avere raggiunto i rispettivi valori di regime. In conclusione i Phase Locked Loop sono sistemi dinamici, cioè la loro risposta dipende dai valori passati dell'ingresso e dell'uscita, questo a causa della presenza del LPF e del VCO che introducono dei poli e degli zeri nella funzione di trasferimento di anello.

11.2 Introduzione ai blocchi fondamentali: Prima di analizzare l'evoluzione temporale di un PLL analogico è opportuno introdurre i blocchi fondamentali che costituiscono l'anello. 11.2.1 Phase Detector: Il Phase Detector è un dispositivo che produce un'uscita media, Vout, che è linearmente proporzionale alla differenza di fase, ΔΦ, applicata ai suoi due ingressi. Un esempio di PD è rappresentato dalla porta logica OR esclusivo o XOR.

Con riferimento alla figura, se la differenza di fase tra gli ingressi varia, così fa la larghezza degli impulsi di uscita, generando una tensione continua proporzionale a ΔΦ. Questo circuito produce un impulso ad entrambi i fronti di salita e di discesa. Se la differenza di fase aumenta da zero fino

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a ΔΦ radianti, l'area sotto ogni impulso aumenta di V0ΔΦ. Siccome ogni periodo contiene due impulsi, il valore medio della tensione di uscita aumenta di 2V0ΔΦ / (2π), producendo un guadagno di V0/π. Si può notare che il guadagno è indipendente dalla frequenza di ingresso. La relazione ingresso-uscita si può desumere osservando che la tensione di uscita media Vout vale (V0/π)(π/2)=V0/2 per ΔΦ=π/2 e V0 per ΔΦ=π. Se ΔΦ>π, la tensione media inizia a calare, scendendo a V0/2 per ΔΦ=3π/2 e zero per ΔΦ=2π. La caratteristica è quindi periodica, avendo guadagni sia negativi che positivi. Affinché la porta XOR funzioni correttamente da PD è necessario sottrarre un offset di tensione pari a V0/2 ai segnali d'ingresso, ottenendo la caratteristica mostrata in figura. Questa f.d.t. attraversa l'asse delle ascisse in π/2, evidenziando che l'eventuale sistema, a transitorio esaurito, avrà un offset di fase pari proprio a π/2. La caratteristica di figura rappresenta anche la funzione di trasferimento di una cella di Gilbert o moltiplicatore analogico (figura sotto), che veniva usata come rivelatore di fase qualora ai due ingressi venivano applicati segnali non modulati di uguale pulsazione. Il circuito genera un'uscita la cui componente continua è proporzionale alla differenza di fase tra i due ingressi.

11.2.2 Phase-Frequency Detector e Charge Pump: La transizione del sistema retroazionato dalla condizione di non aggancio a quella di aggancio è un fenomeno non lineare perché agli ingressi del Phase Detector ci sono due segnali con frequenze differenti. L'implementazione del solo Phase Detector ha come limite proprio l'intervallo di acquisizione ristretto e si può dimostrare che questo è nell'ordine di ωLPF , cioè il loop si aggancia solo se la differenza tra ωin e ωout è meno che ωLPF , cioè la frequenza di taglio del filtro d'anello. Se da una parte si vorrebbe ridurre la frequenza di taglio ωLPF per ridurre il ripple sulla tensione di controllo, dall'altra diminuisce il range di acquisizione. Si può notare che anche se la frequenza di ingresso ha un valore preciso e controllato, un ampio range di acquisizione è spesso necessario perché la frequenza centrale del VCO può variare considerevolmente con il processo e la temperatura. Per rimediare al problema del limitato range di acquisizione, si può introdurre, oltre ad un Phase Detector, un Frequency Detector: l'idea alla base è quella di comparare ωin e ωout e per mezzo di un FD generare una componente continua VLPF2 proporzionale a ωin-ωout, utilizzarla come ingresso al VCO e retroazionare negativamente il sistema in una anello. All'inizio il FD guida ωout verso ωin mentre l'uscita del PD rimane ininfluente. Quando la differenza |ωin-ωout| è sufficientemente piccola, il Phase-Locked Loop si trova in condizioni di aggancio. Tale schema incrementa il range di acquisizione per tutto il range di funzionamento del VCO.

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Per segnali periodici è possibile unire i due loop utilizzando un dispositivo che è sensibile alla differenza sia della fase sia della frequenza. Chiamato Phase-Frequency Detector (PFD) il circuito è costituito da logica sequenziale per creare tre stati e risponde al fronte di salita, o di discesa, dei due ingressi. Questo circuito può essere realizzato in diverse topologie, ma la più semplice consiste in due flip-flop di tipo D, resettabili e sensibili al fronte di salita. L'ingresso D viene mantenuto sempre al livello logico 1 e gli ingressi di interesse A e B, sono il clock dei dispositivi. Se QA = QB = 0 e A sale, allora QA assume il livello 1. Se questo evento è seguito da una transizione in salita di B allora anche QB sale a 1 e la porta AND azzera entrambi i flip-flop. In altre parole, QA e QB sono simultaneamente alti per brevi periodi di tempo, ma la differenza tra i loro valori rappresenta l'informazione corretta di fase o di frequenza.

E' interessante tracciare il grafico della caratteristica input-output del PFD; definendo l'output come la differenza tra il valore medio di QA e QB quando ωA = ωB e trascurando gli effetti dello stretto impulso di reset, si può notare che l'uscita varia simmetricamente come |ΔΦ| inizia da zero. Per ΔΦ = ±360°, Vout raggiunge il suo massimo o il suo minimo e successivamente cambia segno.

Siccome l'informazione utile è la differenza tra i valori medi di QA e QB, le due uscite possono essere filtrate con un LPF indipendentemente l'una dall'altra e poi prelevare il segnale differenziale. Un approccio più comune è quello di interporre una Charge Pump (CP) tra il PFD e il LPF.

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Una Charge Pump consiste in due generatori di corrente uguali che pompano carica nel filtro di loop o la estraggono. Queste due situazioni sono comandate dal PFD attraverso le sue uscite logiche denominate UP e DOWN. In figura si riporta una pompa di carica comandata da un PFD che insiste su di una capacità. Se QA = QB = 0, allora S1 e S2 sono aperti e Vout rimane costante. Se QA è alto e QB è basso, allora I1 carica Cp. Al contrario, se QA è basso e QB è alto, allora I2 scarica Cp. Così se per esempio A è in anticipo rispetto a B, allora QA continua a produrre impulsi e Vout continua a salire. Questo circuito possiede una caratteristica importante: se A è in anticipo su B di una quantità finita, allora QA produrrà un treno di impulsi indefinito, permettendo alla CP di iniettare I1 in Cp e forzando Vout a salire costantemente, fino a raggiungere +∞ nel caso ideale. Questo comportamento, che è dovuto alla presenza della capacità nel sistema che introduce un polo nell'origine, indica che la fase quando il sistema è agganciato sarà esattamente zero; in contrasto con quello che succede se implementassimo solo un semplice PD. Tale implementazione è sensibile alla differenza di fase e di frequenza e attiva la CP opportunamente. Quando il loop si accende, ωout può essere lontana da ωin e il PFD e la CP variano la tensione di controllo del VCO in modo che ωout si avvicini a ωin. Quando la frequenza di ingresso e di uscita sono sufficientemente vicine, il PFD opera come un PD, realizzando l'aggancio di fase. Il sistema si aggancia quando la differenza di fase si annulla e la CP rimane relativamente inattiva. Si vuole ora determinare una relazione lineare che lega la differenza di fase e la carica immessa nella capacità nell'unità di tempo. Questo permette poi di ricavare la funzione di trasferimento del blocco PFD/CP da inserire nel sistema retroazionato.

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Il sistema in figura è non lineare, ma si può verificare che ogni volta che è presente un errore di fase φ0, la tensione d'uscita presenta una rampa descritta dall'equazione Ip = Cp dV/dt, mentre per il resto del periodo la tensione d'uscita rimane invariata . Si può allora pensare il segnale φ0 come una funzione a gradino u(t) posizionato nell'origine temporale, mentre l'uscita è una rampa della quale si vuole individuare la pendenza.

dove Tin è il periodo del segnale di ingresso. Di questo sistema si conosce la risposta Y(s) ad un ingresso X(s), quindi è possibile risalire alla funzione di trasferimento imponendo H’(s)=Y(s)=X(s). Nel dominio s:

mentre X(s) è un gradino di ampiezza φ0, X(s) = φ0/s. Infine:

a funzione di trasferimento del PFD/CP con la capacità possiede un polo nell'origine, in contrasto con il semplice PD/LPF. L'equazione che definisce H’(s) è la funzione di trasferimento tra l'errore di fase φ0 e la tensione ai capi della capacità Cp, invece la f.d.t. cercata vuole mettere in relazione la differenza di fase con la corrente erogata dalla CP. Questa precisazione permette di eliminare completamente dalla f.d.t. del blocco PFD/CP il tipo di filtro inserito. Con riferimento all'equazione sopra scritta, si può notare che è presente il termine 1/sCp che rappresenta l'impedenza della capacità, cioè la f.d.t. del filtro utilizzato nella modellizzazione del blocco. Un ulteriore passo di astrazione consiste nel togliere questo termine, individuando così la funzione di trasferimento cercata:

dove Ip(s) è la corrente erogata dalla Charge-Pump e Φ0(s) è l'errore di fase. 11.2.3 Voltage-Controlled Oscillator: La definizione di voltage-controlled oscillator data nell'equazione ωout = ω0 + KVCOVcont specifica la relazione tra la tensione di controllo e la frequenza di uscita. La dipendenza è detta senza memoria perché un cambiamento in Vcont determina un cambiamento immediato in !out. Consideriamo la forma d'onda V0(t) = Vm sin ω0t. L'argomento della sinusoide è chiamato fase totale del segnale e in questo caso la fase varia linearmente con il tempo, mostrando una pendenza uguale a ω0. Possiamo affermare anche che più velocemente varia la fase, più alta sarà la frequenza della sinusoide, suggerendo che la frequenza possa essere definita come la derivata della fase nel tempo:

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Questa equazione indica che, se la frequenza di una forma d'onda è conosciuta come funzione del tempo, allora la fase può essere calcolata come:

In particolare, siccome per un VCO, ωout = ω0 + KVCOVcont, si ha:

La fase iniziale Φ0 non è importante e si può assumere uguale a zero. Se il VCO è utilizzato in un PLL, allora solo il secondo termine della fase totale nell'equazione è d'interesse. Questo termine

KVCO ∫ Vcont dt è chiamato eccesso di fase, Φe, infatti nell'analisi di un PLL, si può vedere il VCO come un sistema che ha come ingresso la tensione di controllo e come uscita l'eccesso di fase

Il VCO opera quindi come un integratore ideale, avente una funzione di trasferimento:

In questa sezione si è presa come riferimento una forma d'onda sinusoidale, ma nell'applicazione d'interesse l'uscita del VCO sarà un'onda quadra che rappresenterà uno degli ingressi del PFD. Dato che la tensione di controllo del VCO deve essere una quantità lentamente variabile nel tempo è necessario l'introduzione di un filtro passa basso per eliminare le componenti in alta frequenza di Vcont. 11.2.4 Low-Pass Filter:

La figura mostra il modello lineare di un PLL e l'equazione che segue è la sua funzione di anello aperto:

Siccome il guadagno d'anello aperto ha due poli nell'origine e ciascuno di questi contribuisce con una perdita di fase nel diagramma di Bode di 90°, il sistema non possiede una margine di fase sufficiente per garantire la stabilità. Al fine di stabilizzare il sistema, si deve modificare la caratteristica di fase in modo tale che la fase sia meno di 180° alla frequenza di taglio ωLPF. Questo

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può essere realizzato introducendo uno zero nel guadagno d'anello, cioè posizionando un resistore in serie con la capacità Cp come in figura.

La funzione di trasferimento ad anello aperto vale:

Il sistema presenta un problema significativo: dato che la corrente della Charge Pump insiste sulla serie della resistenza e della capacità, ogni volta che viene iniettata della carica nel filtro d'anello, la tensione di controllo del VCO subisce un grande variazione. Anche in condizioni di aggancio, sia la differenza tra le correnti I1 e I2, sia l'iniezione di carica e sia il clock feedthrough di S1 e S2 introducono una variazione considerevole in Vcont. Il ripple risultante disturba notevolmente il VCO, degradando la fase di uscita. Per risolvere questo problema, si introduce una seconda capacità in parallelo a Rp e Cp, come mostrato nello schema seguente, che ha la funzione di sopprimere il gradino iniziale.

Il filtro d'anello ora è del secondo ordine, causando un PLL del terzo ordine e rendendo la stabilità del sistema più complessa. Ciò nonostante, se C2 è circa un quinto o un decimo di Cp, la risposta

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in frequenza e il tempo di aggancio rimangono relativamente gli stessi. La funzione di trasferimento del sistema PFD/CP/LPF risultante vale:

11.3 Dinamica del Phase-Locked Loop: Per determinare le condizioni di aggancio e sgancio di un PLL in regime di funzionamento statico o dinamico, si definiscono due parametri:

• Pull-in Range: è l’intervallo di frequenze in cui il PLL può raggiungere l'aggancio da qualsiasi condizione di partenza, in un tempo che potrebbe essere anche molto lungo. Prima che avvenga l'aggancio si verificano delle oscillazioni non lineari della frequenza di uscita del VCO. Nel caso si utilizzi un PFD/CP questo stato si estende per l'intero range di funzionamento del VCO.

• Lock Range Banda di acquisizione dell'aggancio: questo è l'intervallo di frequenze nel

quale il PLL raggiunge l'aggancio senza che si verifichino comportamenti non lineari della frequenza di uscita del VCO.

Il Pull-in Range si estende per un più ampio intervallo di frequenze rispetto al Lock Range, infatti quest'ultimo è caratterizzato dal fatto che in questo intervallo non interviene il Frequency Detector, cioè la differenza di fase non supera i 360°. L'analisi che segue è valida solo nell'ultimo caso con la condizione ulteriore che il ripple sulla tensione di controllo del VCO sia sufficientemente piccolo. Per garantire anche quest'ultima condizione è necessario che la frequenza di taglio del PLL, nelle condizioni peggiori, cioè quando il divisore N è minimo, sia almeno dieci volte più piccola della frequenza nominale del PFD.

Possiamo identificare la funzione di anello come:

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E' possibile ricavare un'espressione approssimata di ωLPF ipotizzando che quest'ultima sia più grande della pulsazione dello zero e più piccola della pulsazione del polo:

Nel grafico viene riportato l'andamento dell'approssimazione trovata, confrontato con quello della frequenza di taglio trascurando solo lo zero della f.d.t.. Quest'ultima espressione può essere derivata dall'equazione della funzione di anello ponendo |(1+sτs)|s=jω ≈ ωτs

Chiudendo l'anello del sistema in si ricava una funzione di trasferimento del 3° ordine:

Non è possibile trovare i poli della funzione di anello chiuso in forma chiusa, così si rende necessaria un'approssimazione: si suppone che i termini di ordine maggiore siano trascurabili rispetto a quelli di ordine inferiore. Le conseguenze ignorando questi termini sono più evidenti sulle caratteristiche iniziali, come overshoot, mentre sono meno evidenti sul tempo di aggancio. Trascurando il termine in s3 si ottiene:

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Questa equazione può essere riscritta come:

avendo posto:

Per analizzare il comportamento nel tempo della f.d.t., è meglio esprimerla in una forma più intuitiva: la frequenza istantanea di una forma d'onda è uguale alla derivata nel tempo della fase, ω=dΦ/dt e siccome la fase e la frequenza sono relazionate tramite un operatore lineare, si può esprimere la funzione di trasferimento come rapporto tra un ingresso ed un'uscita in frequenza:

Si consideri ora un PLL, il quale è inizialmente agganciato alla frequenza ω0 e il divisore N viene cambiato in modo che la nuova frequenza di funzionamento del PLL sia ωf . Bisogna precisare che il valore per N che è usato in tutte queste equazioni è il valore di N tale da generare in uscita un segnale alla pulsazione ωf . Questo equivale a cambiare la frequenza di riferimento da ω0/N a ωf/N, cioè l'ingresso del sistema è costituito da una funzione gradino (ωf - ω0) / N u(t) = Δω u(t). Lo zero presente nella funzione di trasferimento ha un effetto rilevante sull'overshoot e sul tempo di salita, ma ha un piccolo effetto sul tempo di aggancio, quindi l'equazione risultante nel dominio del tempo, avendo trascurato anche lo zero, è data da:

Il sistema esibisce la stessa risposta se un gradino di fase è applicato come ingresso. Proseguendo con l'analisi si può scrivere:

cioè si vuole raggiungere ωf - ω0 a meno di un errore toll. Al fine di minimizzare il tempo di aggancio è necessario massimizzare i termini ξ e ωn. Questi due parametri però non sono liberi, soprattutto ξ determina la stabilità del sistema.

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quindi il tempo di aggancio è inversamente proporzionale alla frequenza di taglio del sistema secondo la relazione seguente:

Il risultato qui ottenuto è valido solo se il PLL si trova in condizioni di aggancio e la frequenza nominale del PFD è almeno dieci volte più grande della frequenza di taglio. L'analisi teorica fin qui condotta non prende in considerazione lo stato di non aggancio. E' possibile darne una spiegazione intuitiva analizzando più in dettaglio i ripple della tensione di controllo del VCO. Le equazioni qui trovate si riferiscono comunque ad una condizione di aggancio dell'anello, ma nel capitolo successivo verranno modificate opportunamente per estenderne la validità. Le componenti in alta frequenza sovrapposte alla componente continua della tensione di controllo del VCO (in figura) possono essere modellizzate calcolando la funzione di trasferimento tra la corrente della CP e Vcont, nell' ipotesi di non chiudere l'anello di retroazione.

la f.d.t. è:

Imponendo un gradino di corrente I0/s e antitrasformando si ricava l'equazione:

L'equazione così trovata relaziona la tensione di controllo del VCO e la corrente mediata sul periodo erogata dalla CP e il termine I0 rappresenta proprio quest'ultimo coefficiente:

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CAPITOLO 12 – COLLEGAMENTI E MEZZI TRASMISSIVI 12.1 Dimensionamento di un collegamento: Introduciamo subito alcune definizioni e concetti, che aiutano a meglio analizzare il problema del dimensionamento di un collegamento. I parametri fondamentali del collegamento sono espressi dalla potenza disponibile del trasmettitore WdT , dalla minima potenza che occorre ricevere WRMin (spesso indicata come sensibilità) e dall’attenuazione disponibile Ad del mezzo di trasmissione che si intende utilizzare. Determinazione di WRMin : Si ottiene in base alla conoscenza del livello di rumore NO/2 in ingresso al ricevitore e dell’SNR o della Pe che si desidera ottenere. Nel caso analogico, se:

risulta:

mentre in quello numerico, in cui la Pe determina il valore di Eb/No = WB / FbNo, si ottiene:

Benché la valutazione delle prestazioni svolta ai precedenti capitoli consideri potenze di segnale, lo stesso valore SNR esprime anche un rapporto tra potenze disponibili, dato che sia segnale che rumore hanno origine da generatori che condividono la stessa impedenza interna. Infatti:

così come l’SNR non varia se, anziché le potenze disponibili, si considerano quelle assorbite da un carico (lo stadio di ingresso del ricevitore), dato che segnale e rumore subiscono il medesimo rapporto di partizione. Guadagno di Sistema:

Questo rapporto è detto Guadagno di sistema e rappresenta il massimo valore di attenuazione Ad che è possibile superare. La differenza in decibel GsdB = WdT [dBW] − WRMin [dBW] rappresenta la stessa quantità, in una forma che rende più intuitivo il suo utilizzo nel determinare un limite alla massima attenuazione disponibile: deve infatti risultare:

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Margine di sistema: La differenza tra GsdB ed AddB , che per quanto appena detto deve risultare maggiore o uguale a 0, prende il nome di Margine di sistema, e rappresenta l’eccesso di potenza (in dB) che viene trasmessa, rispetto alla minima indispensabile:

Attenuazione supplementare: L’eccesso di potenza MdB deve comunque risultare maggiore della somma (in dB) di tutte le possibili ulteriori cause di attenuazione del segnale, indicate collettivamente come attenuazioni supplementari:

In questa categoria rientrano tutte le cause di attenuazione non previste nella situazione ideale e che possono, ad esempio, avere origine dal fallimento delle condizioni per il massimo trasferimento di potenza, oppure essere causate da un fenomeno piovoso in un collegamento radio, o dipendere dalla perdita di segnale dovuta alla giunzione tra tratte in fibra ottica.... Grado di servizio: Il concetto di grado di servizio è stato associato al valore di probabilità con cui può verificarsi un fenomeno di blocco in un elemento di commutazione. Un concetto del tutto analogo sussiste, qualora le attenuazioni supplementari siano grandezze aleatorie, e la loro somma possa superare il valore del margine a disposizione: in tal caso, la potenza ricevuta si riduce sotto la minima WRMin , ed il collegamento “va fuori specifiche”. Pertanto, in sede di dimensionamento di un collegamento, indichiamo con grado di servizio la percentuale di tempo per la quale si mantiene WR > WRMin , ovvero la probabilità che le attenuazioni supplementari non superino il margine, ossia:

12.2 Collegamenti in cavo: 12.2.1 Costanti distribuite, grandezze derivate, e condizioni generali: Un conduttore elettrico uniforme e di lunghezza infinita, è descritto in base ad un modello a costanti distribuite, espresso in termini delle costanti primarie costituite dalla resistenza r, la conduttanza g, la capacità c e l’induttanza l per unità di lunghezza. La teoria delle linee uniformi definisce quindi due grandezze derivate dalle costanti primarie: l’impedenza caratteristica Z0 (f) e la costante di propagazione γ (f).

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Impedenza caratteristica: E’ definita come:

e rappresenta il rapporto tra V (f) ed I (f) in un generico punto del cavo, permettendo di scrivere:

Costante di propagazione: E’ definita come:

mentre la grandezza rappresenta il rapporto dei valori di tensione presenti tra due punti di un cavo di lunghezza infinita, distanti d, permettendo di scrivere:

Condizioni di chiusura: Qualora il cavo di lunghezza d sia chiuso ai suoi estremi su di un generatore con impedenza Zg (f) e su di un carico Zc (f), risultano definiti i coefficienti di riflessione del generatore e del carico:

Osserviamo subito che nel caso in cui Zg (f) = Zc (f) = Z0 (f), risulta rg (f) = rc (f) = 0. Quadripolo equivalente: L’impedenza vista dai morsetti di ingresso e di uscita di un cavo, interposto tra generatore e carico, vale rispettivamente:

Allo stesso tempo, la funzione di trasferimento intrinseca risulta:

Condizioni di adattamento: Nel caso in cui Zg (f) = Zc (f) = Z0 (f), come sappiamo, il quadripolo si comporta in modo perfetto. In tal caso, risultando rg (f) = rc (f) = 0, si ottiene che Zi (f) = Zu (f) = Z0 (f) e Hq (f) = Vq(f) / Vi(f) =

: il cavo si comporta allora come se avesse lunghezza infinita. In tal caso, inoltre, risulta che Hi (f) = 1/2 ed Rg (f) = Ru (f); pertanto il guadagno disponibile risulta:

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Condizione di Heaviside: Nel caso in cui i valori delle costanti primarie siano tali da risultare r · c = l · g, relazione nota come condizione di Heaviside, allora per la costante di propagazione si ottiene:

pertanto, α(f) è costante e β(f) cresce linearmente con la frequenza, realizzando così le condizioni di un canale perfetto, in quanto:

Allo stesso tempo, l’impedenza caratteristica:

è solo resistiva ed indipendente dalla frequenza, rendendo semplice realizzare la condizione di adattamento Zg (f) = Zc (f) = R0, che determina al contempo anche il massimo trasferimento di potenza. In definitiva, la funzione di trasferimento complessiva Hq (f) = Hi (f) Hq (f) Hu (f) vale in questo caso:

equivalente quindi ad un canale perfetto con guadagno:

e ritardo:

al contempo, l’attenuazione disponibile risulta indipendente da f, e pari a:

12.2.2 Trasmissione in cavo: In generale, le costanti primarie del cavo non soddisfano le condizioni di Heaviside, e le impedenze di chiusura non sono adattate. In tal caso si ha rg (f) ≠ 0 e/o rc (f) ≠ 0, e devono essere applicate le equazioni del quadripolo equivalente. Cavo molto lungo: Se il cavo è sufficientemente lungo da poter porre , ossia:

le equazioni:

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divengono e posso scrivere:

mentre la funzione di trasferimento intrinseca si semplifica in:

nel caso generale risulta pertanto:

che mostra due cause di distorsione lineare. La prima dipende dal disadattamento di impedenze in ingresso ed uscita. Qualora si realizzi invece la condizione Zg (f) = Zc (f) = Z0 (f), si ottiene:

La seconda causa di distorsione dipende dal comportamento non perfetto di Hq (f) = , che in teoria può essere completamente corretto, solo nel caso in cui le costanti primarie soddisfino le condizioni di Heaviside. In pratica, però, il risultato è diverso, perché le “costanti primarie” non sono costanti. Effetto pelle: Si tratta di un fenomeno legato all’addensamento del moto degli elettroni verso la superficie del cavo, al crescere della frequenza. Per questo motivo, si riduce la superficie del conduttore realmente attraversata da corrente elettrica, a cui corrisponde un aumento della resistenza per unità di lunghezza r. Si può mostrare che, per frequenze maggiori di 50-100 KHz, la resistenza per

unità di lunghezza r aumenta proporzionalmente a , e quindi si può scrivere , in cui la costante dipende dal tipo di cavo. In tali condizioni, l’attenuazione disponibile risulta:

a cui corrisponde un valore in dB pari a:

Il valore A0 riassume in sè tutte le costanti coinvolte, prende il nome di attenuazione chilometrica, ed è espresso in db/Km, ad una determinata frequenza (ad es. 1 MHz). Pertanto, poiché nell’applicare la formula occorre mantenere congruenza dimensionale, si ottiene in definitiva:

in cui fR rappresenta la frequenza di riferimento per la quale è disponibile il valore si A0. Questo risultato può essere usato come formula di progetto, e mette in evidenza come l’attenuazione in dB dei cavi sia linearmente proporzionale alla lunghezza.

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Equalizzazione: In presenza di effetto pelle, la funzione di trasferimento intrinseca:

presenta una dipendenza da f tutt’altro che perfetta, causando potenzialmente distorsioni lineari sui segnali in transito. Un problema analogo sorge, anche in assenza di effetto pelle, qualora si manifesti un disadattamento di impedenze ed il cavo non sia sufficientemente lungo. Se la banda di segnale è sufficientemente estesa da causare una distorsione lineare non trascurabile, o se la particolare natura del segnale (ad es. numerico) richiede la presenza di un ritardo strettamente costante con f, è necessario prevedere uno stadio di equalizzazione. Diafonia: La diafonia, indicata in inglese con il termine di crosstalk, consiste nei fenomeni di interferenza tra i messaggi trasportati su cavi disposti in prossimità reciproca, e dovuti a fenomeni di induzione elettromagnetica ed accoppiamenti elettrostatici. Il fenomeno è particolarmente rilevante in tutti i casi in cui molti cavi giacciono fasciati in una medesima canalizzazione, condividendo un lunghezza significativa di percorso. Nel caso di comunicazioni foniche, la diafonia può causare l’ascolto indesiderato di altre comunicazioni; nel caso di trasmissioni numeriche o di segnali modulati, la diafonia produce un disturbo additivo supplementare, che peggiora le prestazioni espresse in termini di probabilità di errore o di SNR.

Con riferimento allo schema della figura soprastante, consideriamo un collegamento D-C su cui gravano due cause di interferenza di diafonia: il collegamento da E ad F produce il fenomeno di paradiafonia (in inglese NEXT, near end crosstalk), mentre il collegamento da B ad A produce il fenomeno di telediafonia (FEXT, far end crosstalk). Nel primo caso, il segnale disturbante ha origine in prossimità del punto di prelievo del segnale disturbato, mentre nel secondo ha origine in prossimità del punto di immissione. L’entità del disturbo è quantificata mediante un valore di attenuazione di diafonia tra le sorgenti disturbanti e l’estremo disturbato. La circostanza che, nei rispettivi punti di immissione, i segnali disturbanti hanno la stessa potenza della sorgente che emette il segnale disturbato, permette di definire lo scarto di paradifonia.

come la differenza in dB tra l’attenuazione di paradiafonia AEC|dB e l’attenuazione del collegamento ADC|dB . Il livello di potenza del segnale disturbante proveniente da E ed osservato al punto C risulta quindi pari a:

ossia di ∆AEC dB inferiore al segnale utile. Una definizione del tutto analoga risulta per la telediafonia (FEXT), per la quale il livello di potenza del segnale disturbante proveniente da B ed osservato al punto C risulta:

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in cui lo scarto di telediafonia ha il valore:

12.2.2.1 Casi limite: Cavo a basse perdite: E’ un modello applicabile per tutte quelle frequenze per cui risulti r << 2πfl e g << 2πfc. In tal caso si ha:

Di conseguenza, è facile realizzare Zg = Zc = R0, che determina:

quindi il cavo non presenta distorsioni di ampiezza, ha una attenuazione trascurabile, e manifesta una distorsione di fase lineare in f, realizzando quindi le condizioni di canale perfetto. Cavo corto: E’ il caso di collegamenti interni agli apparati, o tra un trasmettitore-ricevitore e la relativa antenna. La ridotta lunghezza del cavo permette di scrivere:

in quanto:

12.2.3 Tipologie di cavi: Descriviamo i principali tipi di cavo utilizzati, per i quali forniamo in tabella i valori tipici delle grandezze essenziali, nelle condizioni illustrate nel testo che segue.

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12.2.3.1 Coppie simmetriche: Linee aeree:

Sono costituite da una coppia di conduttori nudi, di bronzo od acciaio rivestito in rame, con diametro Φ da 2 a 4 mm, sostenuti da una palificazione che li mantiene a distanza di 15 - 30 cm. L’uso delle linee aeree è andato estinguendosi con il tempo, ma rimane largamente diffuso nei paesi più poveri. I valori riportati in tabella sono riferiti a conduttori con Φ = 3 mm, a frequenza di 1 KHz; la r già a 100 KHz cresce al valore di 20 Ω/Km, mentre la conduttanza g a 100 KHz e con tempo molto umido, può crescere fino a decine di volte il suo valore nominale ad 1 KHz. I valori riportati mostrano come le condizioni di Heaviside non siano rispettate, in quanto rc >> lg, anche se lo scarto è inferiore rispetto al caso delle coppie ritorte. L’impedenza caratteristica riportata in tabella, di circa 600 Ω, è ottenuta applicando il modello a basse perdite, con le costanti primarie indicate. Coppie ritorte:

Sono costituite da una coppia di conduttori in rame, con Φ da 0.4 ad 1.3 mm, rivestiti di materiale isolante, ed avvolti tra loro secondo eliche con passo grande rispetto al diametro. Un numero variabile di tali coppie (tra qualche decina e qualche centinaio) sono poi raggruppate assieme, e rivestite con guaine protettive isolanti o metalliche; il risultato dell’operazione è interrato o sospeso mediante una fune in acciaio. L’uso delle coppie ritorte, nato allo scopo di realizzare il collegamento tra utente e centrale telefonica, si è esteso al cablaggio di reti locali (LAN) con topologia a stella (IEEE 802.3); in tale contesto, i cavi sono indicati come UTP (unshielded twisted pair). I valori riportati in tabella sono riferiti a conduttori con Φ = 0.7 mm, a frequenza di 1 KHz; la r a 100 KHz è circa doppia. La g dipende sostanzialmente dall’isolante utilizzato, mentre l’aumento di c è evidentemente legato alla vicinanza dei conduttori. Anche in questo caso, risulta rc >> lg, e dunque le condizioni di Heaviside non sono verificate. Nel passato, si è fatto largo uso dell’espediente di innalzare artificialmente l, collocando ad intervalli regolari una induttanza “concentrata” (le cosiddette bobine Pupin), realizzando così nella banda del canale telefonico un comportamento approssimativamente perfetto. Al crescere della frequenza, però, le bobine Pupin producono un effetto passabasso, aumentando di molto il valore di attenuazione; attualmente, le stesse coppie ritorte sono utilizzate per la trasmissione di segnali numerici PCM, e dunque le bobine Pupin sono state rimosse, ed al loro posto inseriti ripetitori rigenerativi. L’impedenza caratteristica riportata in tabella, di circa 600 Ω, è valida a frequenze audio, con cavi Φ = .7 mm. Prevalendo l’aspetto capacitivo, al crescere della frequenza Z0 si riduce a 100-200Ω, con fase di -10 gradi. L’attenuazione chilometrica riportata, è sempre relativa al caso Φ = .7 mm; per diametri di 1.3 mm si ottengono valori circa dimezzati, mentre con Φ = .4 mm il valore di A0 risulta maggiore. Una ultima osservazione deve essere fatta, per spiegare che l’avvolgimento della coppia su se stessa ha lo scopo di ridurre i disturbi di diafonia. Infatti, se il passo dell’elica è diverso tra le coppie affasciate in unico cavo, le tensioni e correnti indotte da una coppia su di un’altra non interessano sempre lo stesso conduttore, ma entrambi in modo alternato. L’avvolgimento della coppia disturbante, inoltre, produce una alternanza dei conduttori in vicinanza della coppia disturbata, aggiungendo una ulteriore alternanza del verso del fenomeno di disturbo. Con questi accorgimenti, si trovano attenuazioni di diafonia a frequenze vocali, dell’ordine di 80-90 dB su 6 Km. All’aumentare della frequenza, e della lunghezza del percorso comune, l’attenuazione di diafonia diminuisce (e quindi l’interferenza aumenta), fino a mostrare valori di 60-70 dB a 750 KHz su 1.6 Km.

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12.2.3.2 Cavo coassiale: Un conduttore centrale è ricoperto di dielettrico, su cui è avvolto il secondo conduttore, intrecciato a formare una sorta di calza, e racchiuso a sua volta in una guaina isolante. La particolare conformazione del cavo lo rende molto più resistente ai fenomeni di interferenza; indicando con Φ il diametro del conduttore interno e con D quello esterno, la teoria mostra che si determina un minimo di attenuazione se D/Φ = 3.6; per questo sono stati normalizzati i diametri mostrati nella tabella. Il tipo con Φ/D = 8.4/38 mm è sottomarino, e presenta la minima attenuazione chilometrica; A0 aumenta al diminuire della sezione del cavo. Finché D/Φ = 3.6, l’impedenza caratteristica dipende solo dal dielettrico, con l’espressione generale fornita in tabella, ottenendo i valori di 50 e 75 Ω con dielettrico aria e polietilene rispettivamente. I valori delle costanti primarie riportati in tabella sono ottenuti facendo uso delle seguenti relazioni:

in cui si è posto f (in Hz nelle formule) pari a 1 MHz, D e d sono espressi in metri, εr è la costante dielettrica, e tanδ è l’angolo di perdita del dielettrico; nel caso del polietilene, risulta εr = 2.3 e tanδ = 3 · 10−4. 12.3 Collegamenti in fibra ottica 12.3.1 Generalità: Natura fisica della fibra Una fibra ottica è realizzata in vetro o silicio fuso, ovvero qualunque materiale dielettrico trasparente alla luce, tanto che può essere realizzata anche in plastica. Il suo utilizzo è quello di trasportare energia luminosa in modo guidato. Una caratteristica che deriva direttamente dalla sua natura, è l’immunità della fibra ottica ai disturbi di natura elettromagnetica; tale proprietà impedisce fenomeni di interferenza (diafonia), così come non permette di prelevare segnale dall’esterno (intercettazione). Il segnale luminoso:

Le lunghezze d’onda delle radiazioni elettromagnetiche nel campo del visibile sono comprese tra 50 nm (1 nm =10−9 metri) dell’ultravioletto fino a circa 100 µm dell’infrarosso, che corrispondono a frequenze (ricordando ancora che f = c/λ) che vanno da 6·1015 Hz a 3·1012 Hz. Questi valori individuano una banda passante veramente notevole se comparata ad altri mezzi trasmissivi: supponiamo infatti di effettuare una modulazione che occupi una banda pari allo 0.1% della frequenza portante. Se f0 = 1 GHz, si ha 1 MHz di banda; ma se f0 = 1014, si ha una banda di 100 GHz. Trasmissione ottica: Anche se sono teoricamente possibili schemi di modulazione analogici, le fibre ottiche sono usate prevalentemente per trasportare informazione di natura numerica, in cui la luce emessa da una sorgente è accesa o spenta (ovvero modulata in ampiezza con uno schema ON/OFF).

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All’altro estremo della fibra, un fotorivelatore effettua una rivelazione incoerente dell’energia luminosa, che viene nuovamente convertita in un segnale elettrico. Le prime fibre ottiche risalgono al 1970, e fornivano attenuazioni dell’ordine di 20 dB/Km. Attualmente si sono raggiunti valori di attenuazione di 0.2 dB/Km, pari ad un quarto di quella dei migliori cavi coassiali. D’altra parte, a differenza del rame, il materiale utilizzato per le fibre (vetro o silicio) è largamente disponibile in natura. Inoltre, a parità di diametro, una fibra ottica trasporta un numero anche 1000 volte maggiore di comunicazioni rispetto ad un cavo coassiale, fornendo quindi anche un risparmio di spazio.

Propagazione luminosa e indice di rifrazione: Lo spazio libero è il mezzo di propagazione in cui la luce viaggia più velocemente. Il rapporto tra c=3·108 m/sec, e la velocità di propagazione v di un mezzo trasparente, è l’indice di rifrazione n del mezzo stesso. Quando un raggio luminoso incontra un mezzo con diverso indice n (ad esempio, da n1 ad n2 < n1) una parte di energia si riflette con angolo uguale a quello incidente, e la restante parte continua nell’altro mezzo, ma con diverso angolo. Risulta n2 / n1 = cos θ1 / cos θ2, e dunque il raggio rifratto è più inclinato nel mezzo con n inferiore (dove viaggia più veloce). Esiste un valore θc = arccos (n2 / n1) sotto il quale non si ha rifrazione, ma tutto il raggio viene riflesso.

E’ proprio su questo fenomeno che si basa l’attitudine delle fibre ottiche di trasportare energia luminosa. La fibra ottica è infatti costituita da un nucleo (core) centrale con indice di rifrazione n1, circondato da un rivestimento (cladding) con indice n2 < n1; entrambi racchiusi in una guaina (jacket) di materiale opaco. Quando una sorgente luminosa è posta davanti alla fibra, l’energia si propaga mediante diversi modi di propagazione, definiti nel contesto della meccanica quantistica, e identificabili in chiave di ottica geometrica come i diversi angoli di incidenza. Il modo principale è quello che si propaga lungo l’asse rettilineo, mentre i modi secondari sono quelli con angolo < θc, che si riflettono completamente al confine tra core e cladding. I modi associati ad angoli più elevati di θc vengono progressivamente assorbiti dalla guaina, e dunque non si propagano. Il valore:

prende il nome di apertura numerica, e permette di risalire al massimo angolo di incidenza mediante la relazione θc = arcsin ∆/n1. Come si vede, ∆ è tanto più piccolo quanto più n1 ed n2 sono simili; al diminuire di ∆, si riduce anche la potenza luminosa che viene immessa nella fibra ottica, ma si ottiene il beneficio illustrato di seguito.

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12.3.2 Propagazione luminosa: Dispersione modale: Questo fenomeno è dovuto al fatto che i modi propagazione relativi agli angoli di incidenza più elevati, percorrono di fatto più strada, e dunque impiegano più tempo per giungere a destinazione. Pertanto, ogni singolo impulso luminoso presente in ingresso produce in uscita più impulsi distanziati nel tempo, uno per ogni modo di propagazione. Dato che inoltre avviene un continuo scambio di energia tra i diversi modi, si ottiene che l’uscita sarà un segnale con una sagomatura allargata.

L’entità della dispersione temporale (differenza tra ritardo max e min) sarà tanto maggiore quanto più il collegamento è lungo, e quanti più modi partecipano alla propagazione. L’effetto più appariscente del fenomeno descritto consiste nella limitazione della massima frequenza con cui gli impulsi luminosi possono essere posti in ingresso alla fibra; impulsi troppo vicini risulterebbero infatti indistinguibili in uscita. Pertanto la massima frequenza di segnalazione in una fibra ottica, dipende dalla lunghezza della fibra stessa. Si chiamano fibre multimodo le fibre ottiche in cui sono presenti più modi di propagazione. Queste sono del tipo STEP INDEX se n cambia in modo brusco, o GRADED INDEX se il core ha un indice graduato. Nel secondo caso la dispersione temporale è ridotta; infatti quando i modi secondari attraversano la sezione periferica del core, incontrano un indice di rifrazione n ridotto, e quindi viaggiano più veloci. Una diversa (e drastica) soluzione al problema della dispersione temporale, è fornita dalle fibre ottiche monomodo: queste sono realizzate con un core di diametro così piccolo, da permettere la propagazione del solo modo primario. Ovviamente le ultime due soluzioni (graded index e fibra monomodo) si sono rese possibili grazie ai progressi nei processi di fabbricazione. Per concretizzare il discorso, è sufficiente citare che il diametro del core passa dai 50 µm per le fibre multimodo, a circa 8 µm nel caso monomodo. Attenuazione: In modo simile ai cavi elettrici, anche le fibre ottiche sono mezzi dissipativi, in quanto parte dell’energia in transito viene assorbita dalla fibra stessa e trasformata in calore. I fenomeni di assorbimento sono legati alla presenza di impurità chimiche, che possono ridurre la trasparenza oppure avere dimensioni (a livello molecolare) comparabili con le lunghezze d’onda in gioco. Per questi motivi, la caratteristica di attenuazione chilometrica ha un andamento fortemente

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dipendente da λ, e sono stati individuati 3 intervalli di lunghezze d’onda (detti finestre) per i quali l’assorbimento è ridotto, ed in cui sono effettuate le trasmissioni ottiche.

La prima finestra (con attenuazione maggiore) è stata l’unica disponibile agli inizi, a causa dell’assenza di trasduttori affidabili a frequenze inferiori, ed è tuttora usata per collegamenti economici e scarsamente critici. La seconda finestra ha iniziato ad essere usata assieme alle fibre monomodo, grazie all’evoluzione tecnologica dei trasduttori, mentre l’uso della terza finestra si è reso possibile dopo essere riusciti a limitare la dispersione cromatica delle fibre. Un’altra fonte di attenuazione può avere origine dalle giunzioni tra tratte di fibre ottiche: l’uso di connettori produce una perdita di 0.4 ÷ 1 dB, ed i giunti meccanici circa 0.2 dB oppure anche 0,05 dB se ottimizzati per via strumentale. Si possono infine fondere tra loro le fibre, con perdite tra 0,01 e 0,1 dB.

Dispersione cromatica e trasduttori elettro-ottici: Dopo aver ridotto od eliminato il fenomeno di dispersione modale, si è individuata una ulteriore causa di dispersione temporale dell’energia immessa nella fibra ottica: il problema si verifica se il segnale di ingresso non è perfettamente monocromatico, ovvero sono presenti diverse lunghezze d’onda. Dato che il valore dell’indice di rifrazione dipende dalla lunghezza d’onda, λ diverse si propagano con velocità differenti e raggiungono l’altro estremo della fibra in tempi successivi. La dispersione cromatica nominale D0 della fibra si misura in [psec / Km·nm], e dà luogo ad una dispersione temporale D = D0 · L · ∆λ tanto maggiore quanto più è lunga la fibra, e quanto più è estesa la gamma cromatica ∆λ della sorgente. Per ridurre il fenomeno è possibile:

• Utilizzare una lunghezza d’onda λ per la quale la dispersione cromatica è ridotta. Ad esempio, una fibra di silicio produce una dispersione cromatica 15 volte inferiore a 1.3 µm che non a 1.5 µm.

• Scegliere una sorgente con la minima estensione cromatica ∆λ possibile. Per ciò che riguarda il secondo punto, i trasduttori usati per primi sono stati gli economici LED (Light Emitting Diode), che richiedono una circuiteria di interfaccia semplice, sono poco sensibili alle condizioni ambientali, e quindi risultano affidabili. D’altra parte, i LED emettono luce su più lunghezze d’onda, mentre per limitare la dispersione cromatica (e quindi raggiungere frequenze di segnalazione più elevate) occorre ricorrere ai Diodi Laser (LD). I laser forniscono anche una maggiore potenza, e quindi divengono indispensabili per coprire distanze maggiori. D’altra parte sono più costosi, hanno vita media ridotta rispetto ai LED, e richiedono condizioni di lavoro più controllate. Notiamo inoltre che una fibra ottica posta inizialmente in opera mediante sorgenti LED, può essere potenziata (in termini di banda) sostituendo il LED con il laser. L’uso di sorgenti che operano in III finestra, che (presentando una attenuazione ridotta) permette di operare con tratte

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più lunghe, obbliga in generale a ridurre la frequenza di segnalazione, a causa della maggiore dispersione cromatica. Quest’ultima limitazione è stata rimossa da un particolare tipo di fibra, detta dispersion shifted, che presenta un minimo di dispersione cromatica D in III finestra anziché in II, e che raggiunge valori migliori di 3.5 psec/Km·nm.

Prodotto Banda-Lunghezza e Codici di linea: Come anticipato, la dispersione cromatica D risulta proporzionale alla lunghezza del collegamento L ed all’estensione cromatica ∆λ della sorgente. Se pensiamo di effettuare una trasmissione con codici NRZ e periodo T = 1/fL , ed imponiamo che la dispersione temporale sia non maggiore di TL/4, otteniamo D0 · L · ∆λ ≤ 0.25 · T, in cui D0 è la dispersione cromatica [psec/Km·nm], L è la lunghezza [Km], ∆λ è l’estensione cromatica della sorgente [nm], e T è la durata di un bit [psec]. Associando ora il concetto di banda B alla frequenza di segnalazione fs = 1/Ts , si può affermare che il prodotto della banda per la lunghezza è pari al valore:

che è una grandezza dipendente dalla coppia fibra-sorgente. Inserendo i valori di ∆λ (della sorgente) e D0 (della fibra), si ottiene una costante da usare per calcolare la banda (frequenza) massima trasmissibile per una data lunghezza (o viceversa). Qualora si usi un codice RZ, i cui simboli hanno durata metà del periodo di bit T, la dispersione temporale tollerabile può essere elevata al 50% di T, e quindi in questo caso il prodotto banda-lunghezza risulta doppio rispetto al caso precedente:

La tabella che segue riporta i valori di PBLNRZ per alcune coppie fibra-sorgente:

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Trasduttori ottico-elettrici: La conversione del segnale uscente dalla fibra ottica meriterebbe una ampia trattazione approfondita, ma qui ci limitiamo a riferire esclusivamente poche cose fondamentali. Il trasduttore utilizzato fin dall’inizio, economico ed affidabile, è il diodo P-I-N, che però non è adatto all’impiego con λ più elevate. Un secondo tipo di trasduttore molto usato è il diodo APD (Avalanche Photo Detector), caratterizzato da un “effetto valanga” che lo rende più sensibile di 10-15 dB rispetto ai P-I-N; d’altra parte però gli APD sono più delicati, e più sensibili alla temperatura. La tabella che segue riporta i valori di sensibilità WR (ossia la minima potenza che è necessario ricevere) di diversi fotorivelatori, per una probabilità di errore per bit Pe = 10−11.

Nella tabella è riportato anche il valore della frequenza di segnalazione fb a cui si riferisce la sensibilità, in quanto le prestazioni conseguite dal decisore che si trova a valle del trasduttore dipendono, come noto, da Eb / N0 , in cui Eb è l’energia per bit che vale Eb = WR · Tb = WR / Fb . Pertanto, i trasduttori dimezzano la sensibilità (che aumenta di 3 dB) se la velocità fb raddoppia, in quanto si dimezza l’energia per bit Eb. La sensibilità a frequenze diverse da quelle in tabella può quindi essere calcolata come:

12.3.3 Multiplazione a divisione di lunghezza d’onda – WDM: Abbiamo visto come nelle fibre ottiche siano presenti tre diverse finestre di valori di lunghezza d’onda per cui si ha una bassa attenuazione; è possibile effettuare allora tre diverse comunicazioni nella stessa fibra, ognuna nella propria finestra.

L’acronimo WDM (Wavelength Division Multiplex) identifica proprio questa tecnica di multiplazione, estesa al caso in cui le diverse comunicazioni avvengano anche nella medesima finestra. Il modo più semplice ed intuitivo di realizzare la multiplazione di lunghezza d’onda è di adottare dei rifrattori prismatici, realizzando un circuito ottico del tipo illustrato in figura. I dispositivi di multiplazione di forma d’onda del tipo descritto vengono detti passivi e reversibili, in quanto non necessitano di alimentazione, ed uno stesso apparato può indifferentemente svolgere una funzione e la sua inversa. La passività del WDM rende questa tecnica attraente, qualora si pensi di distribuire fibre ottiche di casa in casa: ognuno avrebbe una sua lunghezza d’onda λi, e la fibra sarebbe una per tutto il condominio.

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Se le λi sono troppo vicine tra loro (con una spaziatura dell’ordine di 0.015 nm), allora i prismi non riescono più nel compito di separazione geometrica, e conviene ricorrere ad una separazione della potenza (si fa uscire parte di segnale luminoso da jacket) ed un filtraggio (realizzato otticamente mediante gelatine) di ognuna delle λi. Così facendo però si perde molta potenza. 12.3.4 Ridondanza e pericoli naturali: Le fibre vengono normalmente interrate, e per questo sono esposte ai pericoli di essere mangiate da talpe e topi, o di essere interrotte a causa di lavori stradali od agricoli. Quelle sottomarine sono a rischio per via di squali e reti a strascico. E’ più che opportuno prevedere una adeguata ridondanza, in modo che in caso di interruzione di un collegamento sia possibile deviare tutto il traffico su di un altro collegamento. 12.3.5 Sonet: Questo è l’acronimo di Synchronous Optical Network ed è uno standard mondiale definito allo scopo di permettere l’interconnessione diretta tra reti in fibra ottica. Lo stesso standard è noto anche come Synchronous Digital Hierarchy (SDH). L’unità di multiplazione fondamentale è un flusso numerico da 51.84 Mbps, ovvero 3 volte tanto (155,52 Mbps) per l’Europa.