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La ciclosporina nelle patologie autoimmuni di interesse dermatologico A. Altomare, G. Altomare psoriasis I QUADERNI DI Editoriale Fernando Folini

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Articolo medico dermatologico che studia l'impiego della ciclosporina per affrontare diversi disturbi della pelle

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La ciclosporina nelle patologie autoimmuni di interesse dermatologicoA. Altomare, G. Altomare

psoriasisI QUADERNI DI

Editoriale Fernando Folini

I Quaderni di Psoriasis n. 1 - Speciale ciclosporina

Negli ultimi venti anni la ciclosporina è stata utilizzata in tutto il mondo in numerose patologie dermatologiche, dove la

sua attività immunomodulatrice o immunosoppressiva, a seconda delle dosi usate, si è rivelata utile per la gestione di forme cliniche anche gravi. Talora, anzi, ha rivoluzionato l’approccio terapeutico di forme particolarmente gravi, dove il rapporto rischio/beneficio è risultato molto favorevole.Fra la gran mole di lavori scientifici originali fin qui prodotti, mancava tuttavia un buon compendio degli usi dermatologici della ciclosporina, e dalla constatazione di questa lacuna è nato il compendio pratico sugli usi dermatologici della ciclosporina che viene qui pubblicato come Quaderno della rivista Psoriasis. La sua realizzazione è stata possibile sommando le esperienze cliniche degli Autori con una estesa metanalisi della letteratura scientifica, e il suo scopo dichiarato è fornire utili indicazioni pratiche per la gestione clinica del paziente, corredate da una sintetica bibliografia consigliata.Uno strumento di reference agile, ma senza dubbio prezioso per il clinico, quasi un prontuario da mantenere a portata di mano.

9 7 8 8 8 7 2 6 6 0 8 9 8

ISBN 9788872660898 euro 30,000 3 0 0 0

I Quaderni di Psoriasis nascono nel 2011 per ospitare lavori monografici di maggiore consistenza rispetto ai lavori clinici

abitualmente pubblicati nelle pagine della rivista, ma soprattutto hanno lo scopo di costruire nel tempo una serie di strumenti utili come reference e aggiornamento organico per lo specialista.Revisioni critiche di temi specifici, strumenti clinici per la diagnosi, la terapia, la gestione del paziente; approfondimenti su classi di farmaci o farmaci singoli, protocolli e linee guida.L’ambito di partenza è il medesimo della rivista Psoriasis, e come questa vede un necessario allargamento di prospettiva. Determinato dalla evoluzione delle ricerche sulla psoriasi, che hanno condotto a inquadrarla come manifestazione di una malattia sistemica che può presentarsi con psoriasi cutanea, artropatia, onicopatia, sindrome metabolica, malattie infiammatorie a carico dell’apparato digerente. I Quaderni di Psoriasis rifletteranno quindi lo stato delle conoscenze acquisite, con un approccio interdisciplinare utile a ricondurre i differenti approcci disciplinari all’unicità del paziente e della sua malattia.

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I Quaderni di Psoriasis n. 1

La ciclosporina nelle patologie autoimmuni di interesse dermatologico

Andrea AltomareUnità Operativa Dermatologia I.R.C.C.S. Istituto Ortopedico Galeazzi Università degli Studi di Milano

Gianfranco AltomareResponsabile Dermatologia I.R.C.C.S. Istituto Ortopedico Galeazzi Università degli Studi di Milano

© 2011 Editoriale Fernando Foliniun marchio di - an imprint of Fernando Folini ProductionsIl Battaglino, I-15052 Casalnoceto (AL) e-mail: [email protected] Indirizzo Internet: www.edifolini.com Progetto grafico copertina: Bob NoordaProgetto grafico interni: Emanuela ReggianiGrafica e impaginazione: TOTEM di Astolfi Andrea Segreteria editoriale: Maria-Chiara Panizza Redazione: Enrica Ferrari Finito di stampare nel mese di febbraio, 2011 presso Tipografia E. Canepa, Spinetta Marengo (AL)

ISBN 9788872660898

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La ciclosporinanelle patologieautoimmuni diinteresse dermatologico

Andrea AltomareGianfranco Altomare

Editoriale Fernando Folini

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Indice. Compendio pratico

La ciclosporina nelle patologie autoimmuni di interesse dermatologico 5Introduzione 6

Meccanismo d’azione 7Effetti avversi 7

Impiego (registrato e off-label) di ciclosporina nelle patologie dermatologiche immunomediate 9Alopecia areata 9Dermatite atopica 10Dermatomiosite 13Granuloma anulare 15Lichen ruber planus 16Lupus eritematoso 18Malattia di Behçet 21Malattie bollose autoimmuni 23Orticaria autoimmune 28Pioderma gangrenoso 29Pitiriasi lichenoide cronica 31Sarcoidosi 32Sindrome di Sweet 33Psoriasi 35

Bibliografia consigliata 39

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Compendio pratico

La ciclosporina nelle patologie autoimmuni di interesse dermatologicoNegli ultimi venti anni la ci-

closporina è stata utilizzata in tutto il mondo in numerose patologie dermatologiche, dove la sua attività immunomodulatri-ce o immunosoppressiva, a se-conda delle dosi usate, si è rive-lata utile per la gestione di forme cliniche anche gravi. Talora, an-zi, ha rivoluzionato l’approccio terapeutico di forme particolar-mente gravi, dove il rapporto ri-

schio/beneficio è risultato molto favorevole.Fra la gran mole di lavori scien-tifici originali prodotti, manca tut-tavia un buon compendio degli usi dermatologici della ciclospo-rina ed è da questa constatazio-ne che siamo partiti per realizza-re questo lavoro, che trae origi-ne dalla somma delle nostre esperienze cliniche con una estesa metanalisi della lettera-

tura scientifica. Il suo scopo è fornire indicazioni pratiche per la gestione clinica del paziente, rimandando a specifici appro-fondimenti gli aspetti più pun-tuali e le analisi minute. Abbia-mo quindi cercato di fare cosa utile corredandolo di una biblio-grafia consigliata, dove presen-tiamo i lavori che riteniamo più interessanti e/o importanti su ogni specifico argomento.

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Fig. 1 Struttura della ciclosporina.

Introduzione

La ciclosporina (originaria-mente denominata ciclospo-

rina A o CsA) è un undecapepti-de a conformazione ciclica (da qui il prefisso “ciclo-”) (figura 1) per la prima volta descritto agli inizi degli anni Settanta nelle spore (“-sporina”) del fungo Tolypocladium inflatum.La prima e tuttora principale indi-cazione all’impiego di ciclospori-na è nell’ambito della trapianto-logia allogenica come farmaco immunosoppressivo antirigetto; l’esperienza ottenuta in questo campo ha però permesso nel corso degli anni di estendere il suo impiego nel trattamento di svariate patologie immunome-diate. In ambito dermatologico, per esempio, la ciclosporina tro-va valida applicazione nella tera-pia di numerose malattie, oltre

che in virtù dei diversi e articolati effetti sul sistema immunitario che verranno discussi in seguito, anche in funzione dell’ottimo rapporto rischio/beneficio, del-l’estrema duttilità delle indicazio-ni e soprattutto della scarsità di effetti avversi. È noto che la ci-closporina rappresenta il farma-co di prima scelta per la terapia della psoriasi volgare di grado da moderato a grave, in pazienti che non rispondano più ai tratta-menti topici e/o alla fototerapia. La sua approvazione per tale in-dicazione risale al 1993. Sareb-be però estremamente riduttivo non considerare l’ampio spettro di possibilità di impiego di tale farmaco in numerose altre pato-logie autoimmuni con manifesta-zioni esclusivamente dermatolo-giche e sistemiche con coinvol-

gimento cutaneo. Di seguito presentiamo un elenco (in ordi-ne alfabetico) delle principali malattie autoimmuni di interes-se dermatologico, nelle quali la terapia con ciclosporina è indi-cata o per le quali è stato propo-sto un suo impiego:

Alopecia areataDermatite atopicaDermatomiositeGranuloma anulareLichen planusLupus eritematosoMalattia di BehçetMalattia di DarierMalattie bollose autoimmuniOrticaria autoimmunePioderma gangrenosoPitiriasi lichenoide cronicaPitiriasi rubra pilarePrurito nodulareReazioni avverse da farmaciSarcoidosiSindrome di SweetSindrome ipereosinofilaStomatite aftosaVasculiti leucocitoclasiche

La presente trattazione si foca-lizza sulla gestione pratica, con riferimenti anche all’esperienza personale, di quelle patologie autoimmuni con interessamen-to cutaneo (esclusivo e non) nelle quali l’impiego di ciclospo-rina si è dimostrato efficace, sia in monoterapia sia in associa-zione ad altri trattamenti.

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Meccanismo d’azione

La ciclosporina (CsA) è in gra-do di diffondere passivamen-

te attraverso le membrane cellu-lari, legandosi quindi a un recet-tore citosolico, la ciclofillina (CpN), proteina appartenente alle immunofilline. Il complesso CsA-CpN si lega, a sua volta, al-la calcineurina inibendola. La calcineurina è una proteina citosolica con attività fosfatasica dipendente dalla concentrazio-ne intracellulare di calcio. Attra-verso il suo legame con la cal-modulina infatti il calcio presen-te all’interno della cellula attiva la calcineurina, la cui attività fo-sfatasica principale è quella di defosforilare il fattore di trascri-zione NFAT (Nuclear Factor of Activated T-cells). In condizioni fisiologiche, la defosforilazione di NFAT provoca un cambia-mento conformazionale del fat-tore stesso, tale da consentirne il legame con un’importina, che

ne determina il trasferimento nel nucleo. All’interno del nucleo (in presenza di cofattori derivati dal-l’attivazione di altre cascate di segnale) NFAT si lega al DNA inducendo la trascrizione di nu-merosi geni tra cui per esempio quello per l’interleuchina 2 (IL2) e quello per la catena γ del re-cettore per l’IL2 (che passa dal-la forma costitutiva a bassa affi-nità αβ alla forma ad alta affinità αβγ), entrambi fondamentali per l’attivazione dei linfociti T. L’inibi-zione farmacologica della calci-neurina, operata dalla ciclospo-rina, blocca l’attivazione delle cellule linfocitarie e causa uno stato di immunosoppressione “selettiva” che previene per esempio lo sviluppo di reazioni di rigetto nei pazienti trapiantati. Tale effetto della ciclosporina è reversibile e il farmaco non ha né proprietà mielotossiche né proprietà mutagene.

La calcineurina è pressoché ubi-quitaria nell’organismo (costitui-sce lo 0,1-0,4% di tutte le protei-ne del citosol), il che spiega gli effetti terapeutici molteplici (e quelli indesiderati) della ciclo-sporina. Oltre alla già descritta inibizione della sintesi di IL-2 e alla conseguente inibizione del-l’attivazione dei linfociti T, tale farmaco riduce anche l’attivazio-ne delle cellule B T-dipendenti e quindi la produzione di anticorpi; riduce inoltre l’adesione all’en-dotelio vascolare dei neutrofili, con conseguente effetto antin-fiammatorio, e inibisce l’attività dei mastociti. Conseguentemen-te vi è riduzione di tutte le cito-chine prodotte dalle cellule im-munitarie la cui attività, come abbiamo visto, viene inibita dal-la ciclosporina (TNFα, IFNγ, IL-3, IL-4, IL-5, IL-6, IL-17, etc.).

Effetti avversi

Gli effetti indesiderati legati al-l’impiego di ciclosporina so-

no tempo- e dose-dipendenti. I più frequenti e conosciuti sono sicuramente quelli a carico del rene. L’aumento della creatinine-mia e della kaliemia sono segni di danno renale (reversibile) e devono essere perciò controllati frequentemente. Se la creatini-nemia supera del 30% i valori di base (e la filtrazione glomerulare è ridotta di oltre il 20%), la CsA andrà ridotta di 0,5-1 mg/kg/die finché i valori rientrano nella nor-malità, altrimenti il trattamento dovrà essere sospeso. Una volta sospeso il farmaco, la nefropatia non è progressiva. Alterazioni strutturali a livello renale sono

state dimostrate dopo periodi di almeno 2 anni di trattamento continuo al dosaggio di 2,5-6 mg/kg/die e la loro gravità corre-lava con la durata del trattamen-to. Per tale ragione, si racco-manda di evitare cicli estrema-mente prolungati di terapia conti-nuata o, in caso contrario, di controllare più assiduamente la funzione renale. L’ipertensione arteriosa è un’al-tra condizione frequentemente causata dalla CsA. Se la pres-sione diastolica presenta stabil-mente valori uguali o superiori a 95 mmHg, è necessario ridurre il dosaggio; in caso di mancato rientro alla normalità si può ri-correre a un trattamento anti-

pertensivo, preferibilmente con nifedipina. Anche se la CsA è considerata un agente immunosoppressivo, il rischio di infezione o di neoplasie non sembra frequente, per lo meno in base ai dati finora dispo-nibili. Neoplasie cutanee maligne sono state descritte solo in sog-getti che erano stati precedente-mente sottoposti a vari cicli di fo-toterapia o PUVA-terapia. Per-tanto, in pazienti trattati con que-ste modalità terapeutiche si sconsiglia l’uso, contemporaneo o in tempi diversi, della CsA. La frequenza di neoplasie nei sog-getti trapiantati che fanno uso di CsA non è superiore a quella os-servata per altri trattamenti. Il ri-

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schio di neoplasia nei trapiantati potrebbe tra l’altro essere condi-zionato dagli alti dosaggi del far-maco e dall’associazione con al-tri agenti immunosoppressivi.La tossicità della CsA è spesso legata all’uso contemporaneo di altri presidi terapeutici che pos-sono ridurne il metabolismo e aumentarne di conseguenza i li-velli plasmatici. Di contro, altre sostanze capaci di esaltare il metabolismo epatico della CsA ne abbassano le concentrazioni attive e possono quindi ridurne l’efficacia.

La formulazione in microemul-sione (Sandimmun-Neoral®) ren-de più costante e regolare l’as-sorbimento della CsA e maggio-re biodisponibilità. In tal modo vengono mantenute elevate per più tempo concentrazioni farma-cologicamente attive del farma-co, consentendo un’azione più rapida ed efficace, ma allo stes-so tempo può aumentare il ri-schio di tossicità. La determina-zione della ciclosporinemia non è considerata attualmente utile né necessaria, anche grazie al miglior profilo farmacocinetico

raggiunto con la nuova formula-zione, e può essere riservata tut-t’al più a pochi casi selezionati (per esempio in caso di sospette interazioni con altri farmaci). Il trattamento con CsA è di solito ben tollerato e accettato dai pa-zienti. Il farmaco non è né mielo-tossico né teratogeno, anche se sconsigliato in gravidanza, an-corché non si abbiano segnala-zioni di danni fetali (terapia rac-comandata).

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Impiego (registrato e off-label) di ciclosporina nelle patologie dermatologiche immunomediate

Con il termine “alopecia” si in-dica in senso letterale la

completa assenza di peli in un distretto corporeo che normal-mente li possiede, ma per esten-sione viene usato anche per in-dicare un semplice diradamento dei peli stessi o, in regioni come il capillizio, una loro trasforma-zione in peli folletti cosmetica-mente insignificanti.L’alopecia areata (o area celsi) appartiene al gruppo delle alo-pecie acquisite non cicatriziali, insieme ad altre patologie quali, per esempio, l’alopecia andro-genetica e il telogen effluvium. Presenta un’incidenza di 17 ca-si/100.000 abitanti/anno, senza predilezioni di sesso; circa il 60% dei casi si manifesta prima dei 20 anni, eccezionalmente può essere presente alla nasci-ta. L’incidenza è aumentata nei soggetti atopici e in questi casi la prognosi è più sfavorevole.È probabilmente una malattia multifattoriale ed eterogenea, im-

le, 5% dei casi). Questa forma può associarsi alla caduta di tut-ti i peli del corpo, definendo così il quadro clinico denominato alo-pecia areata universale (5% di tutti i casi).In generale, la cute alopecica non presenta alcun segno di in-fiammazione o di alterazione epidermica. Manca la sintoma-tologia soggettiva. Nelle forme gravi sono frequenti le alterazioni ungueali: depres-sioni puntiformi, striature, opaci-tà e avvallamenti delle lamine, e talora perdita completa di una o più unghie.

Reperti di laboratorioLa diagnosi è clinica. Possono essere eseguiti nei casi dubbi (molto rari) l’esame istologico e/o il tricogramma. Non si ac-compagna ad alterazioni degli esami ematochimici, da richie-dersi unicamente per escludere la presenza di una concomitan-te tiroidite autoimune.

plicante una predisposizione ge-netica e meccanismi autoimmu-nitari diretti contro antigeni espressi dai componenti dell’an-nesso pilifero. Il soggetto con alopecia areata può presentare altre affezioni a patogenesi au-toimmune, come la vitiligine, l’anemia perniciosa e malattie a carico della tiroide. In alcuni pa-zienti la componente psicologica partecipa inconfutabilmente allo scatenamento della patologia.

Aspetti cliniciLa malattia si manifesta con una caduta improvvisa dei capelli e/o dei peli a livello di un’unica chiazza (nel 20% circa dei casi) o in più zone (60%); tali chiazze appaiono ben circoscritte, soli-tamente di forma circolare (figu-re 2 e 3), di dimensioni variabili, con tendenza all’estensione centrifuga. Per effetto della pro-gressione della patologia, l’inte-ro cuoio capelluto può risultare denudato (alopecia areata tota-

Alopecia areata

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Impiego di ciclosporinaL’evoluzione della malattia è im-prevedibile; senza trattamento si osserva la guarigione sponta-nea in circa un terzo dei casi dell’adulto, pertanto è opportu-

no astenersi in un primo tempo da trattamenti potenzialmente nocivi.La persistenza delle chiazze per oltre 1-2 anni riduce la possibilità di ricrescita, oltre i 5 anni si con-siglia l’astensione terapeutica.

La terapia con ciclosporina, seb-bene rapidamente efficace, è poco utilizzata perché gravata da effetti collaterali e da una fre-quente altrettanto rapida ricadu-ta alla sospensione del tratta-mento. Recentemente sono stati proposti nuovi schemi terapeuti-ci per le forme più gravi (alope-cia totale e universale) che pre-vedono l’impiego associato di ci-closporina e metilprednisolone. Risultati incoraggianti sono stati osservati soprattutto con la som-ministrazione di ciclosporina al dosaggio di 2,5 mg/kg/die per un periodo di 5-8 mesi in asso-ciazione a metilprednisolone 500 mg e.v. per 3 giorni/mese. Tale trattamento si è dimostrato efficace e non gravato da recidi-va della patologia alla sospen-sione.

Fig. 2 Alopecia areata del capillizio.

Fig. 3 Localizzazione alla barba.

Dermatite atopica

La Dermatite Atopica (DA) è un’affezione di natura ecze-

matosa, geneticamente determi-nata, con andamento cronico o cronico-recidivante, con caratte-ristiche cliniche eterogenee e va-riabili a seconda dell’età del pa-ziente, ma sempre intensamente pruriginosa. I primi sintomi com-paiono solitamente durante l’in-fanzia (50-60% dei casi diagno-sticati entro il 1° anno di vita). La patologia persiste fino all’età adulta in meno di un terzo dei pa-zienti colpiti in età pediatrica. La dermatite atopica ha pertanto una prevalenza del 10-20% nei bambini e dell’1-3% negli adulti; questi dati sono in progressivo aumento. Esiste una lieve predi-lezione per il sesso femminile.La patogenesi della dermatite atopica risulta essere molto complessa e non ancora del tut-to chiarita. Fattori genetici colla-borano con fattori ambientali nel determinare quelle che sono le 3 caratteristiche principali di

questa patologia, e cioè: l’ab-norme sensibilità al prurito, le anomalie immunologiche (pre-dominanza dei linfociti Th2 sui Th1) e le alterazioni della barrie-ra epidermica (come vedremo in seguito, la DA colpisce preva-lentemente le aree dove lo stra-to corneo è più sottile). Questi elementi generano uno stato di “iperattività infiammatoria della cute” a stimoli esterni e interni al paziente: i cosiddetti fattori sca-tenanti, i quali con meccanismi immunomediati e non provoca-no le riacutizzazioni della pato-logia. I principali fattori scate-nanti sono: gli aeroallergeni, gli agenti infettivi, sostanze o mate-riali irritanti a contatto con la cu-te, fattori climatici e ambientali, lo stress psichico. Discusso è ancora il ruolo degli alimenti.

Aspetti cliniciCome accennato in preceden-za, il quadro clinico della DA è estremamente variabile a se-

conda dell’età del paziente. Cri-terio diagnostico fondamentale è però la presenza del prurito che accompagna sempre que-sta patologia, indipendentemen-te dagli anni di vita del soggetto affetto (figura 4).

Dermatite atopica del lattante e dei primi 2 anni di vitaCaratteristica di questa fase so-no le classiche chiazze di ecze-ma acuto, che si presentano co-me lesioni eritematose, edema-tose, con desquamazione fine e a volte essudanti, ricoperte da squamo-croste, a margini sfuma-ti. Le sedi tipiche sono il viso (fronte, guance e mento) e il ca-pillizio, ma anche il tronco e gli arti (figure 5 e 6). In rari casi si in-staura uno stato eritrodermico.Frequente a questa età è la so-vrainfezione batterica (solita-mente da Stafilococco aureo) delle chiazze (“impetiginizzazio-ne”); in questo caso l’essudazio-ne si presenta sierosa e gialla-

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stra, raramente si accompagna a rialzo termico. Le riacutizzazioni hanno una du-rata variabile da alcuni giorni a settimane, e la patologia proce-de a poussées senza l’aspetto di affezione cronica, tipica delle epoche successive.

Dermatite atopica del bambi-no e dell’adolescenteLe lesioni eczematose in que-st’epoca della vita interessano più spesso le pieghe (pieghe dei go-miti, cavi poplitei e collo) e/o deter-minate sedi tipiche, come il dorso delle mani, i polsi, le caviglie, i ca-

pezzoli e i solchi retroauricolari. Le lesioni assumono un aspetto me-no essudante e più infiltrato (liche-nificazione = aumento di spessore dell’epidermide, la quale risulta du-ra, secca, con accentuazione dei normali solchi e rilievi), perché so-no più persistenti e spesso croni-che (figure 7, 8, 9 e 10).

Fig. 4 Lesioni da grattamento in paziente affetta da DA; cute diffu-samente secca (“xerotica”) e liche-nificata.

Fig. 5 DA dell’età infantile: lesioni eczematose del volto nelle sedi ti-piche; da notare il caratteristico ri-sparmio dell’area determinata dalle pieghe naso-labiali.

Fig. 6 DA dell’età infantile: lesioni eczematose del volto e degli arti superiori.

Fig. 7-10 DA del bambino e dell’adolescente: lesioni e sedi tipiche.

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Sono tipiche le riaccensioni sta-gionali, per lo più in autunno e in inverno.

Dermatite atopica dell’adultoLa malattia assume ancora mag-gior tendenza alla persistenza. Si osservano placche lichenifica-te a volte accompagnate da pa-pule eritematose di pochi milli-metri, ben definite, ecoriate alla sommità per il grattamento inten-so (figure 11 e 12). In questa fase il prurito può infatti interessare l’intera superficie cutanea, che appare xerotica. Oltre alle sedi già citate per le altre epoche della vita, che co-munque possono essere inte-ressate anche nell’età adulta, in questa fase le regioni corporee maggiormente interessate so-no: il dorso delle mani, la nuca, lo scroto e le caviglie.Le forme più gravi possono as-sumere, nei casi estremi, aspetti eritrodermici o più frequente-mente di “prurigo lichenificata” (figura 4).A qualsiasi età, poi, possono es-sere presenti alcuni segni clinici caratteristici che si accompa-gnano alle classiche lesioni ec-zematose. Questi segni sono secondari rispetto alle manife-stazioni cliniche fin qui descritte, ma sono molto utili per porre la diagnosi definitiva di dermatite

atopica e a volte rappresentano delle vere e proprie “stigmate” per il paziente atopico. Secondo la vecchia classificazione di Ha-nifin e Rajka del 1980, oggi non più utilizzata, questi segni veni-vano raccolti sotto il nome di cri-teri diagnostici minori. Tra questi ricordiamo: la piega sottopalpe-brale di Dennie-Morgan (figura 13), la già citata secchezza/xe-rosi cutanea diffusa, l’iperchera-tosi follicolare (figura 14), la piti-riasi alba (figura 15) e il dermo-grafismo bianco (figura 16).

Fig. 11-12 DA dell’adulto: placche lichenificate accompagnate da pa-pule eritematose di pochi millimetri di diametro, escoriate alla sommità a causa del grattamento cronico.

Fig. 13 Piega di Dennie-Morgan.

Fig. 14 Ipercheratosi follicolare.

Fig. 15 Pitiriasi alba del volto.

Fig. 16 Alopecia areata del capilli-zio.

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Reperti di laboratorioI livelli sierici di IgE totali sono aumentati nella maggior parte dei pazienti (PRIST test) e ap-prossimativamente l’85% risulta positivo al RAST test, cioè la ri-cerca di IgE specifiche dirette verso determinati allergeni. In questo caso, la dermatite atopi-ca viene definita “estrinseca”, ma esiste anche la possibilità che il paziente affetto presenti valori normali di IgE totali o spe-cifiche: si parlerà allora di der-matite atopica “intrinseca”.La maggior parte dei pazienti presenta anche aumento del nu-mero di eosinofili nel sangue pe-riferico, rilevabile con un sempli-ce emocromo.Sono stati studiati molti altri “marcatori solubili” di patologia, come citochine, leucotrieni, mo-lecole di adesione e proteine contenute nei granuli dei poli-morfonucleati e dei mastociti, ma nessuno di questi ha attual-mente un ruolo codificato nella pratica clinica.

Impiego di ciclosporinaNelle fasi di quiescenza della malattia, il paziente dovrà evita-

re i fattori scatenanti e mantene-re la giusta idratazione della cu-te con emollienti specifici. Per riacutizzazioni modeste è molto utile l’impiego di steroidi locali e soprattutto degli inibitori topici della calcineurina. Nelle forme più gravi e non controllabili con la sola terapia locale, trovano in-dicazione svariati trattamenti si-stemici e la fototerapia.L’efficacia e la sicurezza della te-rapia con ciclosporina nella der-matite atopica grave è ben docu-mentata sia negli adulti sia nei bambini, anche a lungo termine. Il farmaco viene impiegato a una dose iniziale d’attacco di 4-5 mg/kg/die per 2 settimane, per poi passare alla terapia di man-tenimento a dosaggio inferiore (1,5-3 mg/kg/die) per 6-12 mesi. In alcuni soggetti la malattia reci-diva alla sospensione del farma-co, ma l’osservazione secondo la quale tali recidive sarebbero meno gravi rispetto all’esordio della patologia ne suggerisce la somministrazione intermittente (cicli di 8-12 settimane al dosag-gio di 2,5-5 mg/kg/die).La terapia delle forme gravi di dermatite atopica è stata lette-

ralmente rivoluzionata dall’intro-duzione della ciclosporina.Il suo meccanismo d’azione nel-la DA è ancora in gran parte sconosciuto, tuttavia è possibile ritenere che il farmaco agisca a livello dei fenomeni di trascrizio-ne delle citochine coinvolte nei processi infiammatori cutanei. Appare infatti ormai chiaro che, come accennato in precedenza, l’elemento fisiopatologico fon-damentale della malattia è es-senzialmente rappresentato dal-l’espansione di cellule Th2 e dalla produzione delle relative citochine (IL-4, IL-13, IL-5). Tut-tavia, se queste ultime sono cru-ciali per dare inizio a un quadro di DA, durante i fenomeni di cro-nicizzazione diventano determi-nanti anche altre citochine, qua-li IFNγ, prodotte dai linfociti Th1. I già citati effetti della ciclospori-na sul sistema immunitario, tra cui l’inibizione dell’espansione e della proliferazione dei linfociti T, della sintesi di alcune citochine (tra cui IL-4 e IL-5) e della libera-zione dei mediatori da parte dei mastociti, possono pertanto spie-gare la sua efficacia nel tratta-mento di questa patologia.

Dermatomiosite

La dermatomiosite è una ma-lattia rara (5 casi per milione

di abitanti, con prevalenza del sesso femminile) ma grave; si colloca al terzo posto tra le con-nettiviti maggiori, dopo il lupus eritematoso (vedi in seguito) e la sclerodermia. In realtà con il termine “dermatomiosite” si fa ri-ferimento a un gruppo eteroge-neo di malattie infiammatorie che interessano la muscolatura scheletrica e la cute con diffe-renti manifestazioni cliniche e reperti di laboratorio. La classifi-cazione di queste patologie comprende 5 quadri principali (polimiosite, dermatomiosite

dell’adulto, dermatomiosite pa-raneoplastica, dermatomiosite giovanile, dermatomiosite asso-ciata ad altre patologie del con-nettivo) e altre forme più rare.Anche per questa patologia è stata dimostrata una predisposi-zione genetica la quale, in asso-ciazione all’esposizione ai raggi ultravioletti e/o a infezioni virali (o alla presenza di una neoplasia nelle forme paraneoplastiche), è alla base di una perdita di tolle-ranza verso il “self” da parte del sistema immunitario del pazien-te, con formazione di autoanti-corpi ed espansione dei linfociti T autoreattivi; questa “sregolazio-

ne” immunitaria, attraverso vari processi patogenetici, porta alle manifestazioni cliniche della pa-tologia.

Aspetti clinici

Manifestazioni cutaneeL’interessamento cutaneo è un elemento indispensabile per po-ter porre diagnosi di dermato-miosite; quando questo è as-sente, si parla di polimiosite. Nel 70% dei casi l’esordio della pa-tologia è cutaneo.Le lesioni elementari caratteri-stiche sono: l’eritema eliotropo (così chiamato per il peculiare

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colorito rosso-lilla), che predilige le zone fotoesposte, in partico-lare le palpebre, l’edema perior-bitale (figura 17), l’ipercheratosi, localizzata soprattutto alle mani, le teleangectasie periungueali e le papule di Gottron (figura 18). Queste ultime sono piccole pa-pule violacee, rotondeggianti, localizzate alla superficie dorsa-le o dorso-laterale delle articola-zioni interfalangee o metacarpo-falangee; vengono considerate patognomoniche e sono presen-ti nel 70% dei pazienti affetti da dermatomiosite. Altre manife-stazioni cutanee tipiche della dermatomiosite sono le chiazze eritemato-violacee associate ad aree atrofiche o teleangectasi-che, localizzate più frequente-mente in modo simmetrico a go-miti, ginocchia e regioni malleo-lari mediali (segno di Gottron). Con il termine “segno dello scial-

le” si indica invece la presenza di chiazze eritematose, con alte-razioni pigmentarie, telean-gectasie e aree atrofiche (poi-chilodermia) nelle regioni del collo, delle spalle e alla radice degli arti superiori.Possono completare il quadro clinico cutaneo della dermato-miosite alcune manifestazioni comuni anche alle altre connet-tiviti e quindi aspecifiche, come il fenomeno di Raynaud (spa-smo arteriolare che interessa le estremità del corpo), la calcinosi cutanea (depositi sottocutanei di sali di calcio), la formazione di bolle, la presenza di porpora cu-tanea, di chiazze sclerodermi-che, di lesioni mucose, etc.

Manifestazioni muscolari e si-stemicheLa debolezza muscolare è un elemento essenziale, ma l’inte-

ressamento della muscolatura scheletrica può essere assente (10% dei casi) o subclinico, quindi rilevabile soltanto per mezzo degli esami di laboratorio (vedi capitolo seguente). Nella fase acuta può essere doloroso. Sono tipicamente coinvolti in modo simmetrico i muscoli pros-simali, in particolare quelli del cingolo scapolare e pelvico. So-lo in fase tardiva sopraggiunge atrofia muscolare. La miosite può colpire la muscolatura mimi-ca e interessare anche i musco-li che governano la deglutizione, provocando disfagia, e la respi-razione. Non esiste alcuna cor-relazione con l’estensione delle lesioni cutanee e la gravità del coinvolgimento muscolare.Il quadro clinico generale della dermatomiosite può essere com-plicato da manifestazioni extra-cutanee (più frequenti nella for-ma giovanile); possono essere interessati in particolare l’appa-rato respiratorio (polmonite inter-stiziale, bronchiolite obliterante, etc.), quello cardiaco (anomalie della conduzione, aritmie, mio-carditi, etc.), il tratto gastroenteri-co e l’apparato oculare.

Reperti di laboratorioIl rilevamento di alterazioni degli enzimi di derivazione muscolare è uno dei presupposti principali per poter porre diagnosi di der-matomiosite. I livelli di creatina-fosfochinasi (CPK) correlano anche con l’andamento clinico della malattia. L’innalzamento della concentrazione ematica di tale enzima però non è specifi-co, perché CPK aumenta anche in seguito a traumi o a esercizio muscolare, e nelle fasi iniziali della malattia i suoi livelli posso-no essere normali. Più sensibi-le, soprattutto agli esordi, è la determinazione dell’escrezione urinaria di creatina, che può rag-giungere anche 1g/24 ore. Per la diagnosi corretta del coinvol-gimento muscolare sono fonda-mentali l’elettromiografia (EMG),

Fig. 17 Eritema eliotropo palpebrale associato ad edema in paziente con der-matomiosite.

Fig. 18 Nella stessa paziente di Fig. 17, papule di Gottron localizzate sulla cute sovrastante le articolazioni interfalangee prossimali e distali.

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che presenta tracciati caratteri-stici, e la biopsia muscolare, da eseguirsi su un muscolo colpito clinicamente o il cui coinvolgi-mento sia stato rivelato dal-l’EMG.La ricerca di anticorpi circolanti specifici presenta scarso inte-resse dal punto di vista diagno-stico; gli anticorpi anti-Mi-1 e an-ti-Mi-2 sono altamente specifici per la dermatomiosite, ma sono presenti solo nel 10 e nel 20% dei casi, rispettivamente; gli an-ticorpi anti-Jo-1 sono invece più specifici per la polimiosite.Il quadro istologico cutaneo non è caratteristico e anche l’immu-nofluorescenza diretta riveste un ruolo secondario per la dia-gnosi.In definitiva, per poter formulare la diagnosi di dermatomiosite è utile il ricorso ai criteri diagnosti-ci di Bohan et al. (1977), che in pratica riassumono quanto detto finora. Secondo tali criteri è pos-sibile porre una diagnosi certa se, oltre alle lesioni cutanee tipi-che, il paziente presenta altri 3 dei seguenti aspetti peculiari della malattia: astenia progres-siva della muscolatura simmetri-ca prossimale, miopatia infiam-matoria alla biopsia muscolare, livelli elevati degli enzimi mu-

scolari e quadro compatibile con miopatia all’esame elettromio-grafico. La diagnosi di dermato-miosite è invece probabile se vengono soddisfatti altri 2 dei suddetti criteri, ed è infine possi-bile se ne viene soddisfatto solo 1, sempre in presenza di lesioni cutanee tipiche.Dal momento che la forma para-neoplastica rappresenta circa il 60% di tutte le dermatomiositi, è d’obbligo eseguire uno scree-ning per escludere eventuali neo-plasie associate in tutti i pazienti affetti, da ripetersi ogni 6 mesi per 3 anni dalla diagnosi. I tumo-ri più frequentemente rilevabili in associazione a dermatomiosite sono: carcinoma ovarico, polmo-nare, mammario, gastrico, uteri-no e del colon. Per definizione, la dermatomiosite paraneoplastica presenta un’evoluzione legata al trattamento del tumore.

Impiego di ciclosporinaL’approccio terapeutico è condi-zionato dall’entità del quadro cli-nico cutaneo e muscolare, dal-l’eventuale associazione di una neoplasia e dalla presenza di coinvolgimento viscerale.In prima battuta, la terapia della dermatomiosite è fondata sul-l’impiego di corticosteroidi siste-

mici per periodi di tempo anche prolungati (2-3 anni); qualora gli effetti indesiderati della cortico-terapia si facciano troppo impe-gnativi e/o si manifesti una certa resistenza all’azione degli ste-roidi, è necessario ricorrere ad altri trattamenti, quali il meto-tressato, l’azatioprina o la ciclo-fosfamide.Il razionale biologico all’uso del-la ciclosporina nella dermato-miosite/polimiosite è rappresen-tato dall’inibizione della prolife-razione dei linfociti T e delle cito-chine da questi prodotte. La ciclosporina viene impiegata so-prattutto nei bambini al dosag-gio di 2,5 mg/kg/die e nelle der-matomiositi acute dell’adulto, non rispondenti ai corticosteroi-di e ai farmaci immunosoppres-sivi sopraindicati, alla dose di 5 mg/kg/die, rappresentando una valida alternativa terapeutica. In particolare l’efficacia di questo farmaco è stata dimostrata sulla componente muscolare.Altre opzioni sono rappresenta-te dalla somministrazione e.v. di immunoglobuline e dal micofe-nolato mofetile; recentemente sono state proposte terapie con i farmaci anti-TNF o anti-CD20 (rituximab).

Granuloma anulare

I l granuloma anulare è una dermatite granulomatosa cro-

nica, che si manifesta con ele-menti nodulari, più spesso loca-lizzati alle mani, ai gomiti e alle ginocchia, frequentemente rag-gruppati in configurazioni ad anello. È di riscontro abbastan-za comune e si osserva nel ses-so femminile con una frequenza lievemente maggiore rispetto a quello maschile. Qualsiasi epo-ca della vita può essere colpita, ma circa i due terzi dei casi com-paiono prima dei trent’anni.

È un’affezione che viene classi-ficata nei granulomi cutanei a palizzata, così definiti perché si presentano istologicamente co-me reazioni infiammatorie gra-nulomatose nodulari che si di-spongono a palizzata attorno a focolai di alterazione del tessuto conettivo dermo-epidermico.L’eziologia del granuloma anu-lare è ignota. Esistono forme fa-miliari. Nelle forme generalizza-te o a evoluzione prolungata, è opportuno un dettagliato inqua-dramento diabetologico, dal mo-

mento che in queste forme ap-pare frequente l’associazione di un diabete mellito latente o clini-camente manifesto.L’evoluzione delle lesioni è im-prevedibile, ma sempre beni-gna. Le forme tipiche guarisco-no spontaneamente nel volgere di alcuni mesi (fino a 2-3 anni).

Aspetti cliniciLa presentazione clinica è molto variabile. Nella sua forma tipica localizzata, il granuloma anulare è costituito da piccoli noduli duri,

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intradermici, rotondeggianti, ben delimitati, non dolenti, del colori-to della cute normale, eritemato-si o violacei. Con il tempo le le-sioni si moltiplicano e si dispon-gono in anelli, completi o incom-pleti, che si allargano in senso centrifugo (figura 19). Queste lesioni si localizzano abitual-mente sulle superfici dorsali e sui lati delle dita, sul dorso delle mani (figura 20) e dei piedi, sulle sporgenze articolari degli arti, sulle orecchie, sulla nuca. La forma localizzata è frequente nei bambini e negli adolescenti.Il granuloma anulare generaliz-zato si osserva solitamente nei bambini piccoli o negli adulti con più di 40 anni di età e si manife-sta con decine o centinaia di ele-

menti di 1-2 mm di diametro che vanno dal colore della cute nor-male al violaceo. Talora queste lesioni rimangono isolate, altre volte formano molteplici anelli completi o incompleti, che si al-largano in senso centrifugo. L’eruzione è abitualmente sim-metrica; sono colpiti le superfici flessorie degli arti, il collo, le spal-le e il dorso, molto più raramente il volto, le regioni palmo-plantari e le mucose visibili (figura 21).Esistono altre forme più rare, che sono il granuloma anulare sottocutaneo, perché le lesioni sono più profonde rispetto alle forme fin qui descritte, e il gra-nuloma anulare perforante, in cui sono presenti ulcerazioni. Esiste anche una forma fotosen-sibile, che si localizza nelle zone fotoesposte. Eccezionali le for-me eritematose circinate, in cui manca una chiara infiltrazione.

Reperti di laboratorio I risultati degli esami di laborato-rio sono solitamente normali,

sebbene si possa riscontrare, come accennato in precedenza, un’intolleranza glucidica o un franco diabete mellito, soprattut-to nei pazienti con le forme ge-neralizzate.L’istologia è variabile a seconda delle diverse fasi di evoluzione delle lesioni.

Impiego di ciclosporinaIn ragione del carattere sponta-neamente risolutivo delle lesio-ni, raramente è richiesta una te-rapia.Per le forme estese e/o atipiche i trattamenti più efficaci e sicuri, secondo l’esperienza della no-stra Clinica, sono la fototerapia UVA-1, eccezion fatta ovvia-mente per le forme fotosensibili, e la ciclosporina, al dosaggio di 4 mg/kg/die per 8-12 settimane, riducendo gradualmente la dose ogni 2 settimane prima della so-spensione, con un miglioramen-to clinico atteso dopo 6 settima-ne di trattamento.

Fig. 19 Granuloma anulare localiz-zato.

Fig. 20 Localizzazione tipica al dor-so della mano.

Fig. 21 Granuloma anulare disseminato.

Lichen ruber planus

I l Lichen Planus (LP) è un’affe-zione cutanea e/o mucosa be-

nigna, frequente (prevalenza 0,5%), spesso cronica e recidi-

vante; abitualmente sulla cute si manifesta con papule violacee di forma poligonale, che possono confluire in placche e che risolvo-

no con transitori esiti pigmentari. Il prurito è sempre molto intenso.Non ha predilezione né di razza né di sesso e si osserva di solito

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in individui adulti, con un picco di incidenza intorno alla quarta decade; molto rara in soggetti con meno di 10 anni di età.L’eziologia non è nota; i casi fami-liari sono di eccezionale riscontro. Le argomentazioni più convincen-ti attualmente sono a favore di una causa autoimmune.L’associazione con un’epatopa-tia cronica è di frequente riscon-tro, in particolar modo con l’epa-tite cronica attiva HCV-correlata.

Aspetti cliniciLa lesione elementare è una pa-pula di consistenza dura, poligo-nale, di aspetto brillante se illumi-

nata con luce radente, di colore variabile dal rosso-rosa al viola-ceo scuro, a seconda della fase di evoluzione, del diametro di 1-3 mm. La superficie appare lie-vemente depressa al centro ed è percorsa da esili strie grigiastre, formanti il cosiddetto reticolo di Wickam. Dopo la regressione della papula, compare una pig-mentazione peculiare di colore grigio-brunastro persistente.Le papule possono rimanere isolate o possono confluire in placche ovalari dai contorni irre-golari, policiclici, a volte “dise-gnando” anelli (lichen anulare), strie (lichen lineare e lichen zo-steriforme) o arabeschi. Le sedi corporee più colpite sono la su-perficie anteriore dei polsi e de-gli avambracci, gli arti inferiori e la regione lombare; il viso è ge-neralmente risparmiato (figure 22 e 23).Il prurito, come abbiamo detto, è uno dei sintomi cardinali della malattia. Il grattamento da esso indotto favorisce l’insorgenza di nuove papule disposte in strie li-neari (fenomeno di Koebner).Esistono forme atipiche, così definite perché possono presen-tare morfologia atipica delle pa-

pule (follicolari, vescico-bollose, erosive, etc.), per la disposizio-ne delle lesioni e per la sede in cui si manifestano.Il lichen planus colpisce le mu-cose nei due terzi dei casi, più frequentemente quelle buccali; questa localizzazione può rap-presentare anche l’unica mani-festazione della patologia. L’in-teressamento mucoso spesso evolve più cronicamente rispet-to a quello cutaneo. Si manife-sta con lesioni bianche di aspet-to reticolato, soprattutto a livello della porzione postero-inferiore delle guance e sulla lingua (figu-ra 24).Nel 10% dei pazienti sono pre-senti, infine, alterazioni unguea-li; occasionalmente si verifica la caduta di una o più unghie.

Reperti di laboratorioLa diagnosi è solitamente facile in base ai soli dati clinici. Nelle for-me clinicamente atipiche, l’aspet-to istologico, che è patognomoni-co, conferma la diagnosi. Non esistono altri criteri diagnostici.È raccomandato eseguire la ri-cerca dell’HCV-RNA nel siero dei pazienti per i quali si formula la diagnosi di lichen planus.

Fig. 22-23 Lichen ruber planus: le-sioni papulari tipiche nelle sedi clas-siche; le singole papule confluisco-no in placche di varie forme.

Fig. 24 Lichen planus mucoso: localizzazione alla porzione postero-inferiore del-le guance.

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Impiego di ciclosporinaLa prognosi è favorevole nella maggior parte dei casi; le lesioni regrediscono, a volte sponta-neamente, dopo un decorso di 12-15 mesi; le recidive, talora a distanza di diversi anni, insorgo-no nel 15-20% dei casi.Esistono tuttavia forme croniche che decorrono a tempo indefini-to, con possibili evoluzioni iper-trofiche o erosive a livello della cute e delle mucose. In queste forme e, in generale, nelle forme più gravi si rende necessaria la terapia sistemica.

La ciclosporina viene impiegata con successo nelle forme recidi-vanti o particolarmente aggressi-ve (lichen erosivo) di lichen pla-nus e rappresenta una valida al-ternativa nei casi che non rispon-dono alla terapia steroidea o nei quali tale terapia è controindicata. Il dosaggio consigliato è di 5 mg/kg/die per 6-8 settimane, riducen-do la dose di 50 mg ogni due set-timane prima della sospensione, con miglioramento atteso dopo 4 settimane di terapia.La ciclosporina è particolarmen-te indicata, secondo la nostra

esperienza, anche nelle forme HCV-correlate, poiché è stato dimostrato che tale farmaco è in grado di indurre la riduzione del-la carica virale. Questa azione inibitoria sulla replicazione vira-le è dose-dipendente e sembra non essere correlata all’azione immunosoppressiva del farma-co, che invece andrebbe a inibi-re direttamente l’attività enzima-tica della ciclofillina, cruciale nel processo di maturazione delle proteine virali.

Lupus eritematoso

Il Lupus Eritematoso (LE) è una malattia autoimmune a eziolo-

gia sconosciuta, ma certamente multifattoriale, intervenendo in essa fattori genetici, immunologi-ci e anche ambientali, in partico-lar modo le radiazioni UV.In base al decorso della patolo-gia, si distinguono tre forme di lupus eritematoso, cronico, su-bacuto e acuto, che presentano differenze per quanto riguarda le manifestazioni cliniche, i crite-ri diagnostici, l’impegno sistemi-co e di conseguenza l’approccio terapeutico. Sono possibili evo-luzioni dall’una all’altra forma e quadri clinici overlap. Il Lupus Eritematoso Cronico (LEC), nella sua forma classi-ca “discoide”, presenta manife-stazioni esclusivamente cuta-nee, mentre il Lupus Eritema-toso acuto o Sistemico (LES) può colpire pressoché tutti gli organi. Nel LES l’interessa-mento cutaneo è presente nel 20% dei pazienti all’esordio della malattia, mentre può comparire durante il suo de-corso nel 60-70% dei casi. Nel-lo SCLE (Subacute Cutaneous Lupus Erythematosus), o lupus eritematoso subacuto, posso-no essere presenti segni di im-

pegno sistemico, ma di minor gravità rispetto al LES. Esisto-no peraltro forme di LEC, co-me il lupus panniculitis/lupus profundus o il chilblains lupus, in cui sono rare o possibili le manifestazioni internistiche.

Aspetti cliniciNelle varie forme di lupus si di-stinguono, secondo la classifica-zione di Gilliam, manifestazioni cutanee “specifiche”, i cui aspetti clinici e istologici sono patogno-monici della malattia, consenten-do una diagnosi sicura di LE, e “non specifiche”, in quanto posso-no presentarsi al di fuori della ma-lattia lupica, soprattutto ma non esclusivamente, nel contesto di altre connettiviti (dermatomiosite, sclerodermia). Le manifestazioni specifiche sono l’espressione del-l’aggressione della giunzione der-mo-epidermica e dello strato ba-sale da parte del processo au-toimmune. Quelle aspecifiche, in-vece, sono dovute a una vasculite da immunocomplessi, a una va-scolopatia di tipo differente o an-cora a una reazione tissutale più complessa; esse sono a volte in-dicatrici dell’attività sistemica del-la malattia, e la loro presenza im-pone pertanto la necessità di un

attento screening per un possibi-le coinvolgimento sistemico. Le manifestazioni legate ad altera-zioni vascolari, in particolare, so-no sempre associate a un LES con possibilità di impegno splac-nico grave e prognosi infausta; appartengono a questo gruppo le vasculiti leucocitoclasiche, le tromboflebiti, il fenomeno di Ray-naud, l’orticaria vasculite, le ulce-razioni, le gangrene periferiche, la livedo reticularis e le telean-gectasie. Altre manifestazioni non specifiche, non associate ad alterazioni vascolari, sono le alo-pecie non cicatriziali (telogen ef-fluvium, alopecia areata), la scle-rodattilia, l’orticaria, le calcinosi cutanee, le lesioni mucose (ulce-razioni), le alterazioni della pig-mentazione, il lichen planus, etc.Di seguito tratteremo le manife-stazioni cutanee specifiche per ciascuna forma di lupus erite-matoso.

Lupus eritematoso cutaneo cronicoIl LEC non è una malattia rara nella pratica dermatologica. La forma più comune, non solo tra quelle cutanee, ma in generale tra le diverse varietà di lupus eri-tematoso, è il LED (Lupus Erite-

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matoso Discoide), così definito per l’aspetto tipico delle lesioni. Il sesso femminile è più frequente-mente coinvolto e per questo motivo si ritiene che fattori ormo-nali contribuiscano all’eziopato-genesi della malattia. Colpisce soprattutto gli adulti, in particolar modo tra i 30 e i 50 anni, ma nel 2% dei casi esordisce sotto i 10 anni di età. Fattori scatenanti, oltre ai già citati raggi UV, posso-no essere il freddo, i traumi fisici e il fumo di sigaretta. L’esordio è progressivo e il decorso è, per definizione, cronico con evolu-zione cicatriziale delle lesioni.Le manifestazioni specifiche del LED sono chiazze rotondeg-gianti e ben delimitate (“discoi-di”), non dolenti, localizzate nel-le zone fotoesposte. Si distin-guono una forma localizzata, con una o più lesioni in genere non simmetriche al volto, al ca-pillizio (dove provocano sempre un’alopecia cicatriziale) e al col-lo, e una forma disseminata che coinvolge anche le spalle, gli ar-ti superiori e il dorso delle mani; questa variante può evolvere nel 20% dei casi in un LES. Le chiazze del LED comprendono tre lesioni fondamentali che si combinano variamente tra loro: l’eritema, che è di tipo congesti-zio e a volte si associa a telean-gectasie, l’ipercheratosi localiz-zata in corrispondenza degli osti follicolari, che punteggia l’erite-ma e conferisce alla chiazza un aspetto “picchiettato” bianco e ruvido alla palpazione, e l’atrofia cicatriziale, più tardiva, che pre-domina al centro delle lesioni ed è la causa dell’alopecia (figura 25). Nel 25% dei casi sono pre-senti manifestazioni mucose, più raramente ungueali.Varianti più rare di LEC sono il lupus tumidus nel quale le lesio-ni sono eritemato-edematose, ma mancano sia l’ipercheratosi follicolare sia l’atrofia, il lupus ipertrofico/verrucoso con lesioni papulo-nodulari ipercheratosi-che, il lupus panniculitis in cui

sono presenti esclusivamente noduli sottocutanei fissi (panni-culite lobulare), il lupus profun-dus, che associa alla panniculite della forma precedente le tipi-che lesioni del discoide, e il chil-blains lupus caratterizzato da chiazze violacee, infiltrate, pruri-ginose o doloranti alle estremità del corpo esposte al freddo (dita di mani e piedi, talloni, naso, pa-diglioni auricolari). Il 20% dei pa-zienti con quest’ultima forma sviluppa un LES.È importante sottolineare che cir-ca il 25% dei pazienti affetti da LES manifesta lesioni cutanee ti-po LED e che nel 15% dei casi queste lesioni ne costituiscono la manifestazione clinica d’esordio. Infine, un paziente con LED loca-lizzato ha comunque il 5-10% di possibilità di evoluzione verso la forma sistemica.

Il lupus eritematoso discoide di-viene spontaneamente inattivo nel 40% dei pazienti dopo un periodo da 1 a 5 anni.

Lupus eritematoso subacutoSi tratta di un aspetto anatomo-clinico di LE, che si manifesta in pazienti presentanti particolari caratteristiche genetiche (HLA-DR3) e sierologiche (presenza di anticorpi anti-Ro/SS-A nel 70-90% dei casi). Lo SCLE è 4 vol-te più frequente nel sesso fem-minile, con un rapporto ancor più sbilanciato rispetto al LEC.Le lesioni cutanee possono es-sere papulo-desquamanti o placche anulari policicliche (a volte le due manifestazioni coe-sistono nello stesso paziente) e sono disseminate, spesso sim-metricamente, nelle zone fotoe-sposte: volto, scollato, parte su-periore del dorso e superfici estensorie degli arti superiori (fi-gura 26). Contrariamente al LED, manca l’ipercheratosi folli-colare e le lesioni risolvono sen-za esiti cicatriziali.Nei pazienti anziani spesso può essere causato dall’assunzione di farmaci, quali: i diuretici tiazi-dici, i calcio-antagonisti, gli ACE-inibitori, i beta-bloccanti, i sali d’oro, la penicillamina, l’interfe-rone, la terbinafina, la procaina-mide, gli anti-TNFα.Malgrado la possibile presenza di segni clinici o biologici di diffu-sione sistemica, il rischio di ma-nifestazioni internistiche gravi

Fig. 25 Lupus eritematoso discoide: lesioni classiche. Ben visibile l’erite-ma e l’ipercheratosi osteofollicolare in alcune chiazze; assenza di atrofia (più tardiva).

Fig. 26 Lupus eritematoso subacuto: placche policicliche confluenti.

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(renali o neurologiche) è minore che nel LES.

Lupus eritematoso sistemicoÈ una malattia multisistemica con interessamento di diversi organi viscerali. Le manifesta-zioni cutanee nel LES (specifi-che e non) sono presenti nel 20% dei casi al momento della diagnosi e si possono presenta-re durante il decorso della ma-lattia nel 60-70% dei pazienti.Anche questa forma è più frequen-te nel sesso femminile, con una prevalenza 8 volte superiore a quella maschile nei soggetti di pel-le chiara e 5 volte in quelli di pelle scura. La fascia di età più colpita è quella che va dai 18 ai 35 anni.Le lesioni cutanee specifiche sono rappresentate da chiazze eritematose o eritemato-edema-tose, a volte maculo-papulose, senza atrofia né ipercheratosi follicolare, localizzate tipicamen-te al dorso del naso e agli zigo-mi (aspetto a “farfalla”), ma an-che alla fronte, al mento e allo scollato; caratteristico è il rispar-mio delle pieghe nasolabiali (fi-gura 27). Talora l’interessamen-to è monolaterale. Possono es-sere colpite anche le regioni pal-mo-plantari e le superfici interne di gomiti e ginocchia. Queste le-sioni provocano una sensazione di “cociore” ma non sono mai pruriginose; sembrano seguire il ritmo dell’attività della malattia,

che ha un decorso acuto, e scompaiono senza lasciare ci-catrici. Talvolta sono possibili addirittura scollamenti bollosi (forme bolloso-necrotiche).Come già accennato in prece-denza, nel LES sono frequenti le lesioni cutanee aspecifiche, soprattutto quelle legate ad alte-razioni vascolari.Tutti gli organi e apparati posso-no essere coinvolti nel LES, in particolar modo l’apparato mu-scolo-scheletrico, con mialgie, artralgie e artriti non erosive (il 90% dei pazienti lamenta sintomi articolari), il cuore, con pericarditi ed endocarditi, il polmone, con pleuriti e polmoniti interstiziali, il rene, con il quadro caratteristico della nefropatia lupica, il sistema nervoso, con polineuropatie, epi-lessie e psicosi, e il sistema emo-linfopoietico, con anemia emoliti-ca, leucopenia, linfopenia, trom-bocitopenia e linfadenopatia. Si associano quasi sempre astenia, cefalea, febbre, perdita di peso e disturbi gastrointestinali.

Reperti di laboratorioIl laboratorio è di fondamentale importanza per il clinico nella diagnosi e nella gestione del lupus eritematoso in tutte le sue forme.La diagnosi si avvale di criteri clinici, istopatologici e immuno-patologici.Nel LED la clinica è solitamente sufficiente per formulare una dia-gnosi definitiva; nei casi dubbi, l’esame istologico può essere diri-mente. Nelle forme tipiche, gli esami ematochimici non mostra-no alterazioni di rilievo perché, come abbiamo detto, l’impegno sistemico è generalmente assen-te. Possono essere presenti anti-corpi anti-nucleo (ANA) a basso titolo nel 30-40% dei pazienti; in percentuale maggiore (70-75%) nelle forme più gravi, come il lupus profundus. Questo non esi-me il medico dall’effettuare co-munque delle indagini di laborato-rio perché esiste, come già riferi-

to, la possibilità che un LES si manifesti con le lesioni cutanee del LED e che un LEC evolva in una forma sistemica. I pazienti da monitorare con maggiore atten-zione, perché presentano il ri-schio di evoluzione in LES, sono quelli con proteinuria maggiore di 0,4 g/l, con ematuria, con artralgie (2 volte alla settimana per almeno 3 mesi) e con presenza di ANA ad alto titolo (maggiore o uguale a 1:320). Inoltre l’aumento della VES e/o la comparsa di alterazio-ni dell’emocromo (anemia, leuco-penia, trombocitopenia, etc.) pos-sono essere indicativi di un inizia-le coinvolgimento sistemico. È perciò fondamentale la sorve-glianza clinica e paraclinica con visite e controlli annuali in tutti i pazienti con diagnosi di LEC.Un esame importante per porre diagnosi di lupus eritematoso e per differenziarlo nelle sue varie forme è l’immunofluorescenza diretta (lupus band test). Questa indagine risulta positiva in sede di lesione cutanea nell’80-90% dei pazienti con LEC e con LES, mentre solo nel 50% dei pazien-ti affetti da SCLE. Reperto spe-cifico per il LES (e, con minore frequenza, per lo SCLE) è la po-sitività del test anche su cute sa-na fotoesposta (50% dei casi) e coperta (30% dei casi).Anche la diagnosi lupus erite-matoso subacuto si basa sulla clinica e sull’esame istologico ma, rispetto al LEC, è di fonda-mentale importanza anche la sierologia. Il marker sierologi-co specifico per lo SCLE è la presenza degli anticorpi anti-Ro/SS-A, che sono positivi nel 70-90% dei pazienti. Gli ANA sono solitamente presenti nel 60-80% dei casi, con positività degli anticorpi anti-DNA nativo (anti-ds-DNA) nel 10% dei ca-si; tali anticorpi sono sempre assenti nel LEC. Nello SCLE vi può essere positività anche per gli anticorpi anti-La/SS-B, con una frequenza del 30-50%, e del fattore reumatoide (30%

Fig. 27 Lupus eritematoso sistemi-co: eritema a “farfalla” tipico, con coinvolgimento del dorso del naso e degli zigomi, risparmiate le pieghe nasolabiali.

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dei pazienti). Molto importante è la ricerca di segni clinici e biolo-gici di un possibile coinvolgi-mento sistemico; più frequente rispetto ad altri indicatori di inte-ressamento viscerale è il riscon-tro nello SCLE di leucopenia. Questo dato, insieme alla pre-senza di lesioni papulo-squamo-se, di ANA maggiori di 1:160 e di anticorpi anti-ds-DNA, sono se-gni prognostici sfavorevoli di possibile evoluzione in LES.La diagnosi di lupus eritematoso sistemico si basa invece sulla presenza, contemporanea o successiva, di elementi atti a soddisfare almeno 4 degli 11 cri-teri proposti dall’Associazione dei Reumatologi Americani (ARA), che sono: l’eritema a “farfalla”, l’eritema discoide, la fotosensibilità (rash conseguen-te all’esposizione a raggi UV, osservata dal paziente o dal me-dico), le ulcere mucose, le artriti non erosive interessanti almeno 2 articolazioni periferiche, le sie-rositi (pleurite o pericardite), le

alterazioni della funzionalità re-nale, le alterazioni neurologiche (convulsioni o psicosi), le già de-scritte alterazioni ematologiche, la presenza di anticorpi anti-ds-DNA ad alto titolo o di anticorpi anti-SM (specifici per il LES) o anti-fosfolipidi, la presenza di ANA ad alto titolo. La sorveglian-za dei pazienti affetti da LES si basa essenzialmente sulla clini-ca, sulla valutazione delle con-dizioni del rene, sui livelli sierici del complemento e degli anti-corpi anti-DNA nativo.

Impiego di ciclosporinaL’approccio terapeutico alle va-rie forme di lupus eritematoso è sostanzialmente simile e deriva, innanzitutto, dal riscontro di un eventuale coinvolgimento degli organi viscerali.I pazienti devono essere prima-riamente istruiti sui rischi legati alla fotoesposizione e al fumo di sigaretta, raccomandando l’astensione da entrambi. La te-rapia locale si basa sull’uso di

corticosteroidi a media/elevata potenza, mentre quella sistemi-ca si avvale di molte alternati-ve, quali gli antimalarici di sin-tesi (attivi nella prevenzione e nel trattamento delle lesioni cu-tanee), i corticosteroidi, il dap-sone, la talidomide (che sono i farmaci di scelta), il metotres-sato, l’aziatropina, la ciclofosfa-mide, il micofenolato mofetile e più recentemente il rituximab.La ciclosporina trova indicazio-ne nel trattamento di tutte le for-me di lupus eritematoso, svol-gendo il suo effetto terapeutico mediante l’inibizione della IL-2 e di numerose altre citochine coin-volte nella patogenesi della ma-lattia. Viene impiegata al dosag-gio di 3-5 mg/kg/die spesso in associazione con altri farmaci antinfiammatori o immunosop-pressivi, e offre il vantaggio di li-mitare l’uso dei corticosteroidi. La ciclosporina si è dimostrata efficace anche nel trattamento della nefropatia lupica e del-l’anemia emolitica lupica.

Malattia di Behçet

La malattia di Behçet è un’af-fezione plurisistemica, con-

siderata come una vasculite a eziologia ignota. Deve il nome al dermatologo turco Hulusu Behçet che nel 1937 descrisse una triade che associava aftosi orale, aftosi genitale e uveite. Da allora numerosi altri segni e sintomi sono stati associati a questa patologia, soprattutto per quanto riguarda le localizzazioni viscerali, ma le manifestazioni cutaneo-mucose costituiscono tuttora elementi fondamentali dei criteri diagnostici internazio-nali attualmente definiti.È una sindrome rara, con una prevalenza di 5-10 volte mag-giore nel sesso maschile e con esordio più frequente nella terza

decade. È ubiquitaria, ma parti-colarmente frequente nel bacino del Mediterraneo e in Giappone (la “via della seta”). L’esistenza di forme familiari e persino neo-natali sottolinea l’importanza dei fattori genetici (HLA-B5 riscon-trato nel 60-80% dei casi, a se-conda degli studi). L’intervento di fattori ambientali è possibile: l’ipotesi che la malattia sia la conseguenza di un’infezione vi-rale è oggi abbandonata a van-taggio della possibilità che tale sindrome sia il risultato di una reazione ritardata a un’infezione da streptococco, con un mecca-nismo di reattività crociata.La malattia di Behçet evolve per imprevedibili riaccensioni suc-cessive, più o meno regressive,

nel corso delle quali un nuovo organo può essere interessato. Il rischio maggiore è la possibile cecità dovuta all’uveite. La pato-logia può anche portare a delle conseguenze mortali. È un ele-mento prognostico favorevole l’adesione rigorosa del paziente alla terapia farmacologica per tutta la durata del trattamento.

Aspetti cliniciLa malattia di Behçet causa afte orogenitali e manifestazioni di-verse: cutanee, oculari, nervo-se, articolari e vascolari.Le manifestazioni cutaneo-mu-cose comprendono l’aftosi buc-cale, quelle genitali, le pseudo-follicoliti e i noduli dermo-epider-mici a tipo eritema nodoso.

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Le afte della mucosa orale sono costantemente presenti e pos-sono restare a lungo le uniche manifestazioni della malattia; sono indistinguibili dalle afte vol-gari, non cioè correlate alla sin-drome di Behçet (figura 28). Le afte genitali colpiscono il 60% dei pazienti e interessano preva-lentemente lo scroto; lasciano ci-catrici permanenti, che costitui-scono un importante elemento per la diagnosi quando la malattia è quiescente. Le pseudofollicoliti necrotiche sono pustole non folli-colari, sterili precedute da uno stadio papulovescicolare; sono l’equivalente cutaneo delle afte e si localizzano sia sugli arti sia sul tronco (figura 29). Possono esse-re riprodotte da iniezioni durante la fase attiva (test patergico).Per quanto riguarda le altre ma-nifestazioni, l’uveite, per lo più generalizzata, è presente nel 60% dei pazienti e rappresenta un aspetto tipico e grave della malattia di Behçet, in quanto le sue riaccensioni progressive la-

sciano esiti irreversibili che sono causa di cecità. Si possono inol-tre avere manifestazioni a livello neurologico (meningoencefalite o meningoencefalomielite), arti-colare, vascolare (trombosi ve-nose), cardiaco, pleuropolmo-nare e intestinale (lesioni simili al morbo di Crohn).

Reperti di laboratorioNella malattia di Behçet non vi sono alterazioni specifiche degli esami ematochimici, se non co-me indice del coinvolgimento si-stemico e quindi dipendenti dal-le manifestazioni cliniche della patologia.Esistono dei criteri che permet-tono di formulare con certezza la diagnosi di malattia di Behçet; questi prevedono la presenza obbligatoria di ulcerazioni orali ricorrenti, recidivanti almeno 3 volte in un anno, in associa-zione ad almeno 2 delle seguen-ti manifestazioni: ulcerazioni ge-nitali ricorrenti, lesioni oculari (uveite o vasculite retinica), le-sioni cutanee (eritema nodoso o pseudofollicoliti) e positività al test della patergia descritto in precedenza.

Impiego di ciclosporinaLa patogenesi della malattia è ancora in gran parte sconosciu-ta. Alcuni dati suggeriscono un ruolo fondamentale giocato dai linfociti T. Questi ultimi, stimolati da anti-geni di probabile origine batteri-ca (o virale), come accennato

precedentemente andrebbero incontro a espansione, produ-cendo IFNγ e chemochine (in collaborazione con i macrofagi) in grado di reclutare granulociti neutrofili in sede di lesione, la cui degranulazione provoche-rebbe il danno tissutale.È facile comprendere come la ci-closporina possa avere un ruolo determinante nell’inibire questo tipo di processo, dato il suo più volte citato meccanismo d’azio-ne. Il farmaco è in grado di inter-venire infatti non solo nelle prime fasi della risposta immunitaria, inibendo la risposta delle cellule T, ma anche successivamente ri-ducendo l’afflusso dei neutrofili.Da un punto di vista clinico, la terapia della malattia di Behçet deve essere sostanzialmente volta a ridurre l’infiammazione, specialmente durante i primi an-ni di malattia ovvero quando possono insorgere più frequen-temente i danni d’organo irre-versibili. Accanto ai corticoste-roidi sistemici vengono pertanto impiegati diversi immunosop-pressori, fra cui la ciclosporina che rientra tra i farmaci di prima scelta per il trattamento di molte manifestazioni della patologia, in particolare le localizzazioni oculari e vascolari.L’impiego di ciclosporina deve essere il più precoce possibile, iniziando generalmente con do-si di 4-5 mg/kg/die che verranno gradualmente ridotte fino a iden-tificare la dose minima efficace. La sospensione del trattamento va effettuata molto gradualmen-te, per evitare fenomeni di re-bound, e soltanto quando vi sia-no evidenze a favore di una rea-le quiescenza della malattia. In generale, pertanto, la terapia viene sospesa dopo 2 anni dalla remissione, ma spesso bisogna continuare anche per periodi più lunghi, il che comporta la neces-sità di seguire con estrema at-tenzione il paziente per il mag-gior rischio di insorgenza di ef-fetti indesiderati.

Fig. 28 Malattia di Behçet: aftosi della mucosa orale.

Fig. 29 Malattia di Behçet: pseudo follicoliti.

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Malattie bollose autoimmuni

La formazione di una bolla può dipendere da un difetto

del sistema di coesione tra il derma e l’epidermide (bolla sot-toepidermica) o tra i cheratinoci-ti (bolla intraepidermica). Tale difetto può essere primario, e quindi di origine genetica, o se-condario, cioè di origine immu-nologica, metabolica o tossica.Le malattie bollose autoimmuni sono un gruppo eterogeneo di patologie che riconoscono come momento eziopatogenetico pri-mario proprio un difetto del siste-ma di coesione (dermo-epider-mica o intracheratinocitaria) su base immunologica. Apparten-gono a questa categoria di affe-zioni: il pemfigo nelle sue varie forme, tutte caratterizzate da bol-le intraepidermiche, le malattie del gruppo del pemfigoide, la dermatosi a IgA lineari, la derma-tite erpetiforme di Dühring e l’epi-dermiolisi bollosa acquisita (così definita per differenziarla dalle epidermolisi bollose ereditarie), che invece presentano scolla-menti bollosi a livello della giun-zione dermo-epidermica.I sistemi di coesione intracellula-ri o sottoepidermici sono struttu-re molto complesse, costituite da varie componenti proteiche che, nel caso delle suddette ma-lattie, diventano bersaglio (anti-geni self) di un processo autoim-mune (autoanticorpi di classe IgG o IgA), in grado di provoca-re, sia direttamente sia indiretta-mente, un danno tissutale che si manifesta clinicamente con la formazione di bolle.

PemfigoSi distinguono due tipi di pemfi-go autoimmune secondo la se-de preferenziale del clivaggio in-traepidermico: il pemfigo profon-do, che comprende il pemfigo volgare e il pemfigo vegetante, nel quale il clivaggio è situato a livello sovrabasale dell’epider-

mide, e il pemfigo superficiale, che si distingue in pemfigo erite-matoso (o seborroico) e pemfigo foliaceo, nel quale lo scollamen-to è più “alto” nel contesto del-l’epidermide, e cioè a livello del-lo strato granuloso. Ciò avviene a causa dell’intervento di au-toanticorpi con specificità diver-sa in ciascuna delle due forme, cioè per antigeni espressi, ri-spettivamente, negli strati basali e in quelli più alti dell’epidermi-de. I differenti livelli del piano di clivaggio rendono ragione dei differenti aspetti dei due tipi cli-nici di pemfigo autoimmune. Il pemfigo volgare è una malat-tia cutaneo-mucosa grave, mor-tale prima dell’avvento della corti-coterapia, che colpisce soprattut-to i soggetti tra i 40 e i 70 anni di età. Esordisce solitamente in mo-do insidioso con lesioni erosive al cavo orale (figura 30), più fre-quentemente, alle mucose geni-tali o in sede congiuntivale, oppu-re con lesioni cutanee essudative e crostose. Il riconoscimento di tali manifestazioni e una conse-guente diagnosi precoce posso-no modificare radicalmente il de-corso della patologia, grazie al-l’impiego di trattamenti farmaco-logici aggressivi che in questa fase risultano molto più efficaci. Dopo settimane o mesi dall’esor-dio localizzato, si manifesta la classica eruzione bollosa gene-ralizzata. La bolla del pemfigo

volgare è caratteristicamente a contenuto limpido e insorge su cute non eritematosa (figura 31), si rompe rapidamente e lascia un’erosione la cui riparazione può essere molto lenta. L’eruzio-ne è poco pruriginosa e si distri-buisce a tutto il tegumento, predi-ligendo le aree sottoposte a mag-gior pressione. Nel pemfigo infat-ti la pressione o lo sfregamento della pelle determinano il distac-co degli strati epiteliali superficiali (segno di Nikolski). Lo stato ge-nerale è compromesso, talora in maniera sproporzionata all’esten-sione delle lesioni cutaneo-mu-cose.Gli antigeni epidermici bersaglio degli autoanticorpi del pemfigo vol-gare sono la desmogleina 3 pre-sente a livello sia cutaneo sia mu-coso, e la desmogleina 1 presente solo nella cute, che sono due pro-teine costituenti i desmosomi, cioè uno dei principali complessi di ade-sione dei cheratinociti. Il pemfigo vegetante è invece una variante della patologia ca-ratterizzata da chiazze ipertrofi-che “umide”, essudanti e crosto-se, localizzate prevalentemente alle pieghe maggiori; può essere colpita anche la mucosa orale. Le lesioni ipertrofiche possono essere la conseguenza della rie-pitelizzazione delle erosioni post-bollose del pemfigo volgare (for-ma di Neumann), oppure posso-no essere successive a chiazze

Fig. 30 Pemfigo volgare: erosioni al cavo orale.

Fig. 31 Pemfigo volgare: bolla flac-cida, a contenuto limpido, che insor-ge su cute non eritematosa.

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pustolose (forma di Hallopeau). Come nel volgare, gli anticorpi IgG circolanti sono rivolti contro le desmogleine 1 e 2.Il pemfigo eritematoso, defini-to anche “seborroico” per le lo-calizzazioni tipiche al volto e al tronco (zone seborroiche), si presenta solitamente con chiaz-ze eritemato-squamo-crostose, talvolta pruriginose, che rappre-sentano l’evoluzione di effimere bolle superficiali. Le mucose so-no generalmente rispettate. Il segno di Nikolski è spesso net-tamente evidenziabile nelle vici-nanze delle suddette chiazze. Gli autoanticorpi IgG, in questo caso, sono diretti contro la de-smogleina 1, che viene espres-sa preferenzialmente negli strati più superficiali dell’epidermide ed è assente a livello delle mu-cose. Questo spiega il clivaggio a livello del granuloso e le con-seguenti bolle sottocornee tipi-che di questa forma, che abbia-mo definito “superficiale”, e an-che l’assenza di manifestazioni mucose. Il pemfigo eritematoso è pertanto considerato meno grave di quello volgare ed è ge-neralmente localizzato.Secondo molti Autori, il pemfigo foliaceo altro non sarebbe se non una forma disseminata di pemfigo eritematoso. È di ecce-zionale riscontro in Europa; esi-stono delle forme endemiche in alcune regioni del Brasile, della Colombia e del Nord Africa. Nel pemfigo foliaceo le chiazze eri-tematose essudanti squamo-crostose, descritte in preceden-za, diffuse su tutto il tegumento, confluiscono fino a determinare un quadro di eritrodermia esfo-liativa essudativa. Anche in que-sto caso le mucose sono rispet-tate. L’antigene bersaglio degli autoanticorpi IgG è sempre la desmogleina 1. La gravità di questa forma è simile a quella del pemfigo volgare.Esistono delle varietà di pemfi-go che si possono presentare con le caratteristiche sia delle

forme profonde sia di quelle su-perficiali, anche nello stesso pa-ziente; si tratta del pemfigo er-petiforme, del pemfigo IgA e di quello paraneoplastico.Il pemfigo erpetiforme si pre-senta clinicamente come la der-matite erpetiforme di Dühring (che tratteremo più avanti), dalla quale si differenzia per il tipo di autoanticorpi coinvolti – IgG e non IgA come nella dermatite erpetiforme – e per il livello del clivaggio, che è intracheratinoci-tario come nelle altre patologie del gruppo del pemfigo autoim-mune. La diagnosi differenziale tra le 2 forme è possibile per mezzo dell’esame istologico e di indagini immunopatologiche (di-scusse in seguito).Il pemfigo a IgA è un’entità rara che si può presentare con qua-dri clinici variabili, tipo pemfigo foliaceo o volgare, o anche co-me una pustolosi subcornea. La grossa differenza rispetto alle forme fin qui descritte è rappre-sentata dalla classe di autoanti-corpi coinvolti che sono IgA, sempre diretti contro la desmo-gleina 1 e 3.Infine, il pemfigo paraneopla-stico è caratterizzato dalla pre-senza di autoanticorpi diretti contro un particolare complesso di antigeni epidermici apparte-nenti principalmente alla fami-glia delle plachine, proteine che insieme alle desmogleine contri-buiscono alla composizione dei desmosomi. Viene denominato paraneoplastico in ragione della sua frequente associazione a proliferazioni linfoidi maligne, in particolare, e anche a tumori so-lidi. È una patologia grave sia per la neoplasia associata che per l’entità e la resistenza ai trat-tamenti delle lesioni cutanee e soprattutto mucose.

Malattie bollose autoimmuni sottoepidermicheLe dermatosi bollose autoimmu-ni sottoepidermiche costituisco-no un gruppo di malattie acqui-

site caratterizzate dalla presen-za di autoanticorpi che vanno a fissarsi in vivo a livello delle pro-teine di struttura che assicurano la coesione dermo-epidermica; la conseguenza clinica principa-le di questo fenomeno è, come già spiegato, la formazione di bolle, dovute allo scollamento focale non più intracheratinoci-tario – come nelle varie forme di pemfigo – ma a livello della giun-zione tra derma ed epidermide. Si distinguono attualmente 6 di-verse patologie appartenenti a questa categoria.Il pemfigoide bolloso è sicura-mente la patologia più frequente di questo gruppo, rappresentan-do oltre il 70% di tutte le malattie bollose autoimmuni sottoepider-miche; è caratteristico dell’età avanzata (oltre i 70 anni). Dopo un esordio con manifestazioni aspecifiche, tipicamente prurito, chiazze eczematose od orticario-di, insorgono le bolle che, a diffe-renza di quelle del pemfigo, ap-paiano tese, sono spesso di grandi dimensioni e generalmen-te insorgono su cute eritemato-sa. Si associano macule, papule, croste ed erosioni conseguenti alla rottura delle bolle (figure 32 e 33). Il prurito è molto marcato. Le lesioni insorgono simmetrica-mente più spesso sulle regioni flessorie degli arti, sulla superfi-cie anteromediale delle cosce e sull’addome. La mucosa orale è colpita nel 10-20% dei casi. Il se-

Fig. 32 Pemfigoide bolloso: tipiche bolle tese, a contenuto limpido, insorte su cute eritematosa. Il “tetto” delle bol-le è costituito dall’intera epidermide.

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gno di Nikolski è negativo. La prognosi del pemfigoide bolloso è tendenzialmente riservata, sia per quanto concerne le manife-stazioni cutanee (possibilità di resistenza alla terapia e di recidi-ve), sia in termini generali (mor-talità a 1 anno compresa tra il 12 e il 30%). Nel pemfigoide bolloso è ormai chiaramente dimostrato che il bersaglio degli autoanticorpi è l’emidesmosoma, che è il costi-tuente fondamentale delle struttu-re che assicurano la coesione dermo-epidermica. In particolare, le molecole riconosciute a livello dell’emidesmosoma dagli autoan-ticorpi, che anche in questa pato-logia sono di classe IgG, sono de-nominate BP230 e BP180.Il pemfigoide cicatriziale è in-vece caratterizzato dalla predi-lezione per le mucose e dal sus-seguente sviluppo di cicatrici atrofiche (da qui il nome). È più raro, ma anch’esso più frequen-te nelle età avanzate. Ha evolu-zione cronica, lentamente ingra-vescente.La mucosa del cavo orale è inte-ressata nell’80-90% dei casi da un aspetto di gengivite erosiva, nella maggior parte dei casi, alla quale si possono aggiungere elementi bollosi i quali, rompen-dosi, lasciano erosioni che ripa-

rano con esiti cicatriziali e talora con formazione di sinechie. Può aversi inoltre un’estensione alla faringe e/o alla laringe con sin-tomi di disfagia, disfonia e diffi-coltà respiratorie. La localizza-zione congiuntivale (50-70% dei casi) esordisce con una con-giuntivite con marcata iperemia per poi evolvere verso una for-ma erosiva, con possibile com-parsa di aderenze fra congiunti-va bulbare e palpebrale. Col tempo viene coinvolta la cor-nea, che si vascolarizza e va in-contro a opacizzazione, con ri-schio di cecità. Quelle oculari sono sicuramente le manifesta-zioni potenzialmente più gravi del pemfigoide cicatriziale. Di-scretamente frequente (15% dei pazienti) è infine la localizzazio-ne ai genitali esterni, che si può manifestare con una balanite o una vulvite bollosa, a volte bol-losa e successivamente sine-chiante. Per quanto riguarda le lesioni a carico della cute (os-servate nel 23% dei casi), esse possono essere analoghe a quelle del pemfigoide bolloso, ma in genere meno numerose e localizzate; la loro evoluzione è sempre atrofico-cicatriziale.L’herpes gestationis (o pemfi-goide gravidico) è una forma clini-ca particolare di pemfigoide bollo-so che insorge durante la gesta-zione (dopo il primo trimestre) o dopo il parto, solitamente nel cor-so della prima gravidanza. Tende a regredire spontaneamente a di-stanza di 1 o 2 mesi dal parto. Può recidivare, generalmente con forme più gravi e più precoci, alle gravidanze successive. Non sono stati dimostrati incrementi del ri-schio di aborto né di mortalità pe-rinatale. Gli autoanticorpi coinvolti in questa forma sono IgG rivolti contro l’antigene BP180, che è rappresentato anche nella pla-centa, ma espresso solo dopo il primo trimestre; l’autoimmunizza-zione potrebbe conseguire, per-tanto, alla perdita della tollerabilità nei suoi confronti.

La dermatite erpetiforme (di Dühring) viene classificata in que-sto gruppo di affezioni, anche se in realtà è una patologia con le-sioni cutanee di tipo vescicolare più che bolloso. Nella quasi totali-tà dei casi si associa all’enteropa-tia glutine-sensibile (celiachia), seguendone il decorso. È una patologia caratterizzata da intenso prurito e da un’eruzione papulo-vescicolare simmetrica, che predilige le superfici esten-sorie degli arti, i gomiti (figura 34), le ginocchia e i glutei. Le bol-le vere e proprie sono rare, per lo più di piccole dimensioni e dispo-ste in raggruppamenti erpetifor-mi. Le manifestazioni cliniche del malassorbimento (diarrea croni-ca, dolori addominali, dimagra-mento) sono nella pratica di raro riscontro.La malattia è cronica, con rare remissioni spontanee; se non trattata, procede per riaccensio-ni successive. L’eziopatogenesi della dermati-te erpetiforme non è del tutto chiarita. È noto che il danno tis-sutale è innescato da anticorpi di classe IgA che si depositano nel derma; è probabile che IgA anti-gliadina e anti-transglutami-nasi tissutale, prodotti a livello enterico, riconoscano a livello della giunzione dermo-epider-mica degli antigeni simili (tran-sglutaminasi epidermica, retico-lina) e pertanto si localizzino a questo livello.La dermatosi a IgA lineari è, tra le malattie bollose autoimmuni

Fig. 33 Pemfigoide bolloso: lesioni orticariodi diffuse ed erosioni cro-stose conseguenti alla rottura delle bolle.

Fig. 34 Dermatite erpetiforme: eru-zione simmetrica tipica ai gomiti.

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sottoepidermiche, la più frequen-te nell’infanzia. Il deposito di im-munoglobuline a livello della giunzione dermo-epidermica è li-neare (da qui il nome), mentre nella dermatite erpetiforme il de-posito è granulare all’apice delle papille dermiche, come vedremo in seguito nei reperti di laborato-rio, a proposito dell’immunofluo-rescenza diretta.Nel bambino soprattutto l’aspet-to clinico è molto stereotipato, con lesioni per lo più a carattere vescicolare disposte a coccarda o in piccoli raggruppamenti er-petiformi, senza particolare pre-dilezione di sede. Nell’adulto, ol-tre a questa presentazione tipi-ca, l’eruzione cutanea può es-sere più polimorfa, con bolle di dimensioni variabili, a volte di-sposte in raggruppamenti erpe-tiformi che possono insorgere su cute sia indenne sia eritema-tosa. Il prurito non è costante e l’interessamento mucoso, se presente, è solitamente grave, con manifestazioni che ricorda-no il pemfigoide cicatriziale.L’Epidermolisi Bollosa Acqui-sita (EBA), infine, è un’affezione molto rara, caratterizzata dalla sintesi di autoanticorpi (IgG) di-retti contro il collagene di tipo VII, che è un componente delle fibrille di ancoraggio del derma superficiale: il clivaggio in que-sta patologia è pertanto molto profondo. L’EBA è una malattia che interessa soprattutto l’adul-to, sebbene siano stati descritti casi pediatrici. La presentazione tipica dell’EBA è la forma defini-ta cronica acrale, che si manife-sta con lesioni bollose insorgen-ti su cute indenne, soprattutto nelle aree del corpo sottoposte a sfregamento, come il dorso delle mani (figura 35), i gomiti, le ginocchia e i calcagni. Tali bolle possono essere indotte anche da traumatismi minimi e risolvo-no lasciando cicatrici atrofiche. Frequentemente si associano distrofie ungueali e interessa-mento delle mucose. L’EBA si

associa nel 70% dei casi al mor-bo di Crohn.

Reperti di laboratorioLa diagnosi delle malattie bollo-se autoimmuni si avvale di ac-certamenti peculiari che devono essere effettuati in laboratori specializzati. In primo luogo, è utile eseguire l’esame citologico del materiale raccolto per ra-schiamento dal fondo di un’ero-sione e dal tetto di una bolla (ci-todiagnostico di Tzanck). Que-sto esame può servire come elemento orientativo prima della biopsia e fornisce informazioni importanti in tempi molto brevi. Nelle patologie del gruppo del pemfigo sono visibili le cosiddet-te cellule acantolitiche, cioè cel-lule arrotondate con nucleo grande e citoplasma condensa-to alla periferia, che derivano dai cheratinociti che hanno per-so la loro coesione con le altre cellule epidermiche per lisi pri-mitiva dei desmosomi (fenome-no che è stato descritto in pre-cedenza). Nelle altre patologie bollose autoimmuni si rilevano principalmente cellule infiamma-torie, in particolare gli eosinofili nel pemfigoide e i neutrofili nella dermatite erpetiforme.L’esame istologico effettuato su prelievo bioptico proveniente da una lesione bollosa permette di distinguere tra i differenti livel-li del clivaggio ed è sempre ne-cessario per una diagnosi diffe-renziale definitiva tra le varie pa-tologie bollose.

L’esame all’immunofluorescen-za diretta (IFD) di un frammento bioptico escisso da cute peribol-losa e congelato in azoto liquido riveste un’importanza fondamen-tale nella diagnosi di queste ma-lattie che, come abbiamo visto, sono tutte caratterizzate dalla presenza di depositi di immuno-globuline (e anche di frazioni del complemento) a livello delle di-verse strutture cutanee. Gli anti-corpi vengono coniugati con fluo-resceina e quindi cimentati con il pezzo bioptico, che viene poi analizzato al microscopio ottico a luce ultravioletta. Gli autoanticor-pi marcati si depositano a livello della specifica struttura cutanea contro la quale sono diretti, an-dando a delineare dei pattern ca-ratteristici per ciascuna affezione bollosa. Nelle patologie del grup-po del pemfigo si rinvengono de-positi di immunoglobuline (so-prattutto IgG, o IgA nel pemfigo a IgA) alla superficie dei cheratino-citi, configurando il tipico aspetto “a maglie di rete” (figura 36). Nel-le forme superficiali, lo stesso aspetto è riscontrabile prevalen-temente negli strati alti dell’epi-dermide, mentre nel pemfigo pa-raneoplastico si associano an-che depositi lineari o granulosi, discontinui, di IgG e frazione 3 del complemento (C3) lungo la giunzione dermo-epidermica. Nel-la dermatite erpetiforme possiamo osservare, come già anticipato, depositi granulari di IgA all’apice delle papille dermiche (figura 37). La dermatosi a IgA lineari deve in-

Fig. 35 Fig. 35a - Dermatosi ad IgA lineari: lesioni “a coccarda” del dorso.Fig. 35b - Epidermolisi bollosa acquisita: forma acrale cronica.

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vece il nome proprio al suo aspetto immunopatologico, caratterizzato da un deposito lineare e continuo di IgA lungo la giunzione dermo-epidermica. Infine, la diagnosi dif-ferenziale mediante IFD tra pemfi-goide bolloso ed EBA, entrambi caratterizzati da depositi lineari di IgG lungo la giunzione, è possibile attraverso alcuni particolari accor-gimenti nell’esecuzione della tec-nica.L’immunofluorescenza indiret-ta è concettualmente simile al test precedente, ma tecnicamente è l’opposto dell’IFD. In questo caso è il siero del paziente a essere saggiato con un substrato (solita-mente un tessuto eterologo) che esprima tutti i possibili (auto-)anti-geni bersaglio. Pertanto gli au-toanticorpi eventualmente pre-senti nel siero si fissano ai loro bersagli (le proteine cutanee) pre-senti nel substrato. Rispetto al-l’IFD, che è solo qualitativa, l’im-munofluorescenza indiretta è an-che quantitativa perché, attraver-

so diluizioni progressive del siero da saggiare, consente di definire il titolo degli anticorpi circolanti. Oltre a rappresentare una confer-ma dei risultati ottenuti con l’esa-me diretto, questa tecnica per-mette quindi di monitorare l’anda-mento clinico della patologia e la risposta al trattamento attraverso la fluttuazione del titolo stesso.Le tecniche di immunostampa (Western blot, ELISA, etc.) sono invece impiegate per determina-re la specificità degli autoanti-corpi circolanti nei confronti de-gli antigeni cutanei in esame (desmogleina 1 e 3 nel pemfigo volgare, BP180 e BP230 nel pemfigoide bolloso, etc.). Que-ste tecniche sono molto sensibi-li e specifiche, e superiori all’im-munofluorescenza indiretta sia per la diagnosi sia per il follow-up delle varie affezioni.Nella dermatite erpetiforme, la ricerca di anticorpi circolanti an-ti-membrana basale epidermica risulta costantemente negativa tanto all’immunofluorescenza indiretta quanto con il Western blot. La presenza di enteropatia associata, che risulta asintoma-tica nel 95% dei casi, è confer-mata dall’esame istologico sulla mucosa intestinale, ma può es-sere spesso messa in evidenza con la ricerca nel siero del pa-ziente di anticorpi anti-transglu-taminasi, anti-endomisio e anti-gliadina.

Le indagini ematochimiche stan-dard non presentano alterazioni utili alla diagnosi o al follow-up delle patologie bollose autoim-muni; solo nel pemfigoide bollo-so si può frequentemente ri-scontrare un’ipereosinofilia an-che marcata, talvolta associata a un innalzamento delle IgE sie-riche.La clinica, l’esame istologico e l’impiego mirato delle tecniche im-munopatologiche rendono possi-bile la diagnosi differenziale tra le diverse forme.

Impiego di ciclosporinaPrima dell’avvento dei cortico-steroidi, il pemfigo volgare era quasi inevitabilmente mortale; il pemfigo foliaceo, invece, aveva esito infausto nel 60% dei casi. La terapia steroidea rappresen-ta tuttora il trattamento di scelta per queste forme. La ciclospori-na è indicata nelle forme resi-stenti o per ridurre l’impiego di corticosteroidi.Nel pemfigo paraneoplastico la ciclosporina è invece proposta da alcuni Autori come trattamen-to di scelta da preferire, cioè, in prima istanza agli steroidi.La figura 38 presenta un caso di pemfigo erpetiforme resistente alla terapia steroidea, trattato ef-ficacemente con ciclosporina al dosaggio di 4 mg/kg/die; i primi risultati sono riscontrabili già do-po 2 settimane.

Fig. 36 IFD nel pemfigo volgare: le IgG marcate si depositano lungo la superficie dei cheratinociti (aspetto “a maglie di rete”).

Fig. 37 IFD nella dermatite erpeti-forme: le frecce indicano i depositi granulari di IgA all’apice delle papille dermiche.

Fig. 38 Pemfigo erpetiforme (a sinistra): l’immagine di destra mostra la stes-sa paziente dopo solo 2 settimane di terapia con ciclosporina al dosaggio di 4 mg/kg/die.

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Per quanto riguarda le patologie bollose sottoepidermiche, la ci-closporina svolge un ruolo se-condario rispetto agli steroidi o, per alcune forme, al dapsone, a esclusione dell’epidermolisi bol-

losa acquisita. L’EBA è general-mente molto complessa da trat-tare, poiché i pazienti sono spes-so refrattari a tutti i trattamenti proposti (corticosteroidi, azatio-prina, colchicina, metotressato e

ciclofosfamide). La ciclosporina, al contrario, ha dimostrato una buona efficacia, portando a un rapido controllo delle manifesta-zioni cutanee e mucose al do-saggio di 4-6 mg/kg/die.

Orticaria autoimmune

Le dermatiti del gruppo dell’or-ticaria (dal latino urtica, che

significa ortica) sono patologie di frequente riscontro, accomunate sul piano clinico da una tipica manifestazione eruttiva cutanea caratterizzata dal “pomfo”, lesio-ne elementare che corrisponde a edema dermico circoscritto. L’orticaria è il risultato di mecca-nismi complessi, al centro dei quali intervengono i mastociti e l’istamina. Il primo passo dal punto di vista patogenetico è in-fatti la degranulazione dei ma-stociti e la conseguente libera-zione da parte di queste cellule dei cosiddetti mediatori, tra cui appunto l’istamina. I meccanismi attivanti la degranulazione ma-stocitaria vengono distinti in im-munologici (ipersensibilità reagi-nica, IgG anti-recettore ad alta affinità per le IgE, immunocom-plessi e attivazione del comple-mento, citochine) e non immu-nologici (farmacologico, attiva-zione del complemento, difetto-sa regolazione dei mediatori, fenomeni locali). Una volta libe-rati, i mediatori, soprattutto l’ista-mina, determinano l’insorgenza e l’evoluzione delle lesioni orti-cariose attraverso modificazioni vascolari (vasodilatazione) e in-filtrazione locale di diversi tipi di cellule infiammatorie (linfociti, polimorfonucleati neutrofili ed eosinofili). Sulla base dei vari meccanismi implicati nella degranulazione mastocitaria, l’orticaria può quin-di presentare numerose cause, che in alcuni casi sono banali e facilmente riscontrabili, mentre

altre volte risultano poco acces-sibili agli accertamenti diagno-stici. Una volta che sono state scartate tutte le possibili cause note, l’orticaria viene definita idiopatica, che in realtà è un ter-mine che testimonia l’insufficien-za delle nostre conoscenze. Per esempio, l’evidenziazione nel siero di pazienti affetti da ortica-ria cronica di autoanticorpi IgG diretti contro il recettore ad alta affinità per le IgE (FcεRI) o con-tro le IgE fissate sulla superficie dei mastociti (vedere sopra nei meccanismi attivanti la degranu-lazione) ha permesso di definire autoimmuni circa la metà delle orticarie prima classificate come idiopatiche.L’orticaria autoimmune è una forma di orticaria cronica che può essere, nelle sue forme più gravi, estremamente invalidante per il paziente e inoltre risulta spesso resistente ai trattamenti.

Aspetti cliniciL’orticaria autoimmune si mani-festa con eruzioni pomfoidi non distinguibili dalle altre forme tipi-che di orticaria cronica. Per defi-nizione, tali eruzioni sono mono-morfe, fugaci, migranti e prurigi-nose.L’eruzione viene definita mono-morfa in quanto costituita esclusi-vamente da pomfi che confluisco-no a formare lesioni più estese ma ben delimitate, dai contorni ar-rotondati e policiclici. Variabili nel-le dimensioni (da alcuni millimetri a 10, 20 o anche più centimetri) e di numero, queste lesioni assu-mono un colorito roseo, più mar-

cato alla periferia che al centro (fi-gura 39). La palpazione consente di apprezzare una superficie liscia e una consistenza elastica, legata all’importante componente ede-matosa. Ciascun elemento com-pare improvvisamente e persiste per alcuni minuti o per qualche ora prima di scomparire senza la-sciare traccia: l’eruzione è pertan-to definita fugace (N.B.: la cronici-tà della manifestazione si riferisce esclusivamente al decorso dell’af-fezione e non all’evoluzione dei pomfi). Mentre su una zona del tegumento le lesioni risolvono, ne compaiono altre in altri distretti: tale comportamento clinico viene definito migrante. I pomfi sono sempre accompagnati da intenso prurito.È possibile, così come in altre forme di orticaria, la presenza di angioedema, cioè la diffusione dell’edema nell’ipoderma, più frequentemente nei distretti ca-ratterizzati da lassità del tessuto

Fig. 39 Eruzione orticariosa: lesioni pomfoidi classiche.

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sottocutaneo (palpebre, labbra, genitali esterni, mucose), ma an-che in altre sedi. Questa orticaria profonda è caratterizzata da tu-mefazione consistente alla pal-pazione e colorito pallido, può essere estesa e persistente e si accompagna a sensazione di tensione più che a prurito. L’in-sorgenza di angioedema al-l’estremità cefalica deve far te-mere un coinvolgimento faringo-laringeo potenzialmente letale se non trattato tempestivamente.

Reperti di laboratorioDopo aver posto diagnosi di orti-caria cronica (è fissato arbitra-riamente a 6 mesi il limite tem-porale che separa le forme acu-te da quelle croniche), è impor-tante ricercare il fattore causale, essendo però consapevoli del fatto che la maggior parte dei casi di orticaria cronica rimane “idiopatica”. Non esiste un con-senso riguardante gli accerta-menti da eseguire in tal senso; è opportuno pertanto effettuare

scelte adeguate ai singoli casi e aggiungere opportunamente di volta in volta ulteriori accerta-menti in funzione delle circo-stanze. Così, se esistono argo-menti in favore di un’orticaria da cause sistemiche, sono racco-mandate una biopsia cutanea per esame istologico e una per immunofluorescenza, come an-che valutazioni più generali (emocromo con formula, funzio-nalità epatica e renale, marker dell’epatite, marker neoplastici, ANA, anticorpi anti-tiroidei, RX torace, etc.). Se l’anamnesi o le manifestazioni associate sugge-riscono un’orticaria da causa al-lergica o fisica (orticaria da pres-sione, solare, acqua genica, etc.) sono rispettivamente indi-cate una valutazione allergolo-gica e i test di provocazione. Test rapido e affidabile per l’orti-caria autoimmune è quello eseguito tramite iniezione intra-dermica di siero autologo del paziente (test intradermico con siero autologo). Il procedimento

è semplice: si esegue un prelie-vo ematico in una provetta e si attende che la parte liquida (sie-ro) si separi da quella corpus colata, quindi si procede con l’iniezione intradermica di 0,1 cc di siero non diluito del paziente. Dopo 30 minuti si effettua la let-tura della reazione. Se il test è positivo, è possibile porre dia-gnosi di orticaria autoimmune con una sensibilità che va dal 65 al 71% e con una specificità che va dal 78 all’81%, a seconda dei diversi Autori. L’entità della ri-sposta correla con la gravità del-la malattia.

Impiego di ciclosporinaLa ciclosporina rappresenta una valida alternativa terapeutica nei casi di orticaria autoimmune re-frattaria alla terapia con antista-minici. Il dosaggio iniziale consi-gliato è di 4-5 mg/kg/die e la te-rapia deve essere protratta per almeno 6 mesi. La risposta clini-ca è attesa entro 4 settimane dall’inizio del trattamento.

Pioderma gangrenoso

Il pioderma gangrenoso è una patologia rara che viene clas-

sificata, insieme a diverse altre condizioni morbose (tra cui la sindrome di Sweet, che verrà trattata successivamente), tra le dermatosi neutrofile, così de-finite in quanto accomunate dall’infiltrazione cutanea quasi esclusiva da parte di polimorfo-nucleati neutrofili, in assenza di agenti infettivi. Le dermatosi neutrofile sono spesso associa-te a una malattia sistemica, specialmente emopatie e ma-lattie infiammatorie intestinali, oppure si accompagnano a le-sioni neutrofile a localizzazione viscerale (ascessi asettici degli organi profondi); pertanto, ven-gono oggi considerate come manifestazioni cutanee di una cosiddetta “malattia neutrofila”,

il che impone un’attenta ricerca del possibile coinvolgimento si-stemico.Il livello della localizzazione del-l’infiltrato nel contesto della cute e l’intensità delle distruzioni tis-sutali ad opera delle diverse so-stanze liberate dai neutrofili de-terminano la presentazione cli-nica delle varie dermatosi neu-trofile, che potranno manifestarsi come pustolosi superficiali, scol-lamenti vescico-bollosi dermo-epidermici, edemi subepidermici massivi e conseguenti placche infiammatorie (come nella sin-drome di Sweet) oppure, infine, come una necrosi tissutale che distrugge l’epidermide e il der-ma superficiale, come avviene nel pioderma gangrenoso.Il pioderma gangrenoso rappre-senta pertanto la forma ulcerati-

va delle malattie neutrofile, in quanto è caratterizzata da una o più ulcerazioni croniche della cu-te; si associa molto spesso a una patologia interna e a volte può ri-velare la malattia sottostante.

Aspetti cliniciCiascuna lesione all’esordio so-litamente si presenta come un nodulo doloroso, che successi-vamente si ulcera al centro, o come una pustola di grosse di-mensioni, che evolve sempre in senso ulcerativo. L’ulcerazione che progredisce per estensione centrifuga è superficiale, a con-torni circolari nettamente delimi-tati da un orletto che sembra tracciato con il compasso e mar-gini sottominati. Mancano le lin-foadenomegalie e la linfangite. Il dolore è variabile, talvolta molto

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intenso; le mucose sono rara-mente interessate. Le lesioni possono insorgere in sede di trauma (patergia). Le lesioni ri-solvono lentamente, in diversi mesi o anni, con esiti cicatriziali (cicatrice “cribriforme”, che con-sente la diagnosi retrospettiva).Il quadro clinico del pioderma gan-grenoso è piuttosto variabile in re-lazione alla sede, all’estensione, alla profondità e all’evoluzione delle lesioni. Esiste una forma ul-cerativa caratterizzata in genere da un unico elemento di grandi di-mensioni (fino a 10-20 cm), che spesso risulta associata a una pa-tologia infiammatoria cronica del-l’intestino (morbo di Crohn o retto-colite ulcerosa). La cosiddetta for-ma pustolosa invece è costituita da un’eruzione pustolosa con le-sioni multiple, con aspetti simili al-le pustolosi neutrofile subcornee accennate in precedenza, ma connotata da maggior aggressivi-tà ed evoluzione ulcerativa (figura 40), per la componente vasculiti-ca; anche questa forma risulta più spesso associata a malattie inte-stinali. Si distingue poi una forma più profonda nodulare, una forma bollosa ed emorragica, cui si può associare un’emopatia (leucemia) e una forma granulomatosa su-perficiale localizzata (a volte defi-nita “vegetante”), caratterizzata da ulcerazione superficiale a mar-gini non sottominati, non dolorosa e scarsamente evolutiva. Tutte le regioni corporee possono essere colpite, ma esiste una predilezio-

ne per gli arti inferiori; le mucose sono generalmente risparmiate, ma un loro coinvolgimento è pos-sibile e a volte massivo.In più della metà dei casi il qua-dro clinico è complicato dall’as-sociazione di una patologia inter-na, senza una relazione patoge-netica apparente. Il pioderma a volte rivela la malattia sottostan-te, in altri casi costituisce un evento intercorrente nel decorso di una patologia già nota, della quale può seguire il decorso. Il controllo della malattia associata non sempre porta alla guarigione delle manifestazioni cutanee. Le associazioni più comuni sono rappresentate da patologie ga-stroenteriche (colite ulcerosa e morbo di Crohn), artrite reuma-toide e artriti sieronegative, gam-mopatie (in particolare gammo-patia monoclonale a IgA) e leu-cemie, soprattutto mieloide acu-ta o cronica; più raramente tumori solidi, diabete ed epatiti croniche. Sono state descritte associazioni poco comuni o rare con svariate altre patologie.

Reperti di laboratorioLa diagnosi di pioderma gangre-noso è essenzialmente clinica e si basa sulla presenza di lesioni ulcerative sterili (almeno al-l’esordio, perché poi sono possi-bili sovrainfezioni) con i tipici bordi sottominati, sull’esclusio-ne di altre patologie ulcerative (infezioni, ulcere trofiche, vascu-liti, etc.), sull’evidenziazione al-l’esame istologico di un infiltrato dermico ricco di neutrofili con segni di vasculite e sull’eventua-le presenza di una patologia in-terna associata. La risposta cli-nica delle lesioni a un trattamen-to sistemico immunosoppressi-vo rappresenta un’importante conferma della diagnosi.Non esistono alterazioni specifi-che degli esami di laboratorio. Sono sempre presenti un au-mento della velocità di eritrose-dimentazione (VES) e del nu-mero dei leucociti circolanti.

Impiego di ciclosporinaNei pazienti con una sottostante patologia interna, il trattamento deve focalizzarsi non solo sulle manifestazioni cutanee, ma an-che e soprattutto sul disordine sistemico anche se, come già anticipato, non sempre alla riso-luzione di quest’ultimo conse-gue la guarigione del pioderma gangrenoso.Le terapie locali delle ulcere so-no poco efficaci, a esclusione dell’impiego degli inibitori topici della calcineurina. Sebbene i corticosteroidi siste-mici rappresentino il trattamento di scelta, la ciclosporina risulta molto efficace nel trattamento del pioderma gangrenoso, an-che nei casi più gravi e/o non ri-spondenti alla corticoterapia. Mi-glioramenti significativi sono visi-bili già entro poche settimane (fi-gura 41) di trattamento al dosaggio 4-6 mg/kg/die, con una remissione della malattia previ-sta in 1-3 mesi. Alcuni casi ri-chiedono una terapia di mante-nimento a basso dosaggio. Mol-to efficace è anche l’associazio-ne di ciclosporina a 3 mg/kg/die con cortisonici sistemici. Recen-temente è stato anche descritto il caso di una forma acuta e pro-gressiva di pioderma gangreno-so refrattario alla terapia steroi-dea, trattato con successo trami-te infusione endovenosa di ciclo-

Fig. 40 Pioderma gangrenoso, forma pustolosa: le pustole rompendosi esi-tano in ulcerazioni emorragiche; lo-calizzazione al malleolo interno in un paziente affetto da morbo di Crohn.

Fig. 41 Pioderma gangrenoso: l’im-magine raffigura lo stesso paziente di figura 40 dopo solo 15 giorni di terapia con ciclosporina al dosaggio di 4 mg/kg/die.

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sporina al dosaggio di 3 mg/kg/die per 7 giorni consecutivi.Una prospettiva interessante è rappresentata dalle terapie con

anticorpi anti-TNFα; attualmente impiegati con successo nel trat-tamento della colite ulcerosa e del morbo di Crohn, questi agen-

ti si sono dimostrati efficaci an-che nel pioderma gangrenoso.

Pitiriasi lichenoide cronica

La pitiriasi lichenoide è una malattia a eziologia ignota

caratterizzata dall’insorgenza di una particolare manifestazione cutanea di tipo papuloso. Tale manifestazione può essere cro-nicamente presente e si parla al-lora di Pitiriasi Lichenoide Croni-ca (PLC), può insorgere acuta-mente (Pitiriasi Lichenoide e Va-rioliforme Acuta - PLEVA), oppure può decorrere in forma iperacuta (PLEVA ulceronecrotica). Esisto-no forme intermedie di questi dif-ferenti aspetti della medesima malattia e lesioni caratteristiche delle diverse forme possono coe-sistere nello stesso paziente.L’eziologia è ignota. Diversi Au-tori hanno sottolineato la possi-bile associazione con alcuni agenti infettivi (infezioni virali o batteriche delle alte vie respira-torie, mononucleosi da EBV, to-xoplasmosi e infezione da HIV), ipotizzando il coinvolgimento di una reazione immunologica e/o da ipersensibilità all’agente in-fettivo stesso nel determinismo delle lesioni cutanee, che sono il risultato di una vasculite linfoci-taria superficiale.La PLC è sicuramente la forma più frequente; è caratteristica del giovane adulto, con una cer-ta predilezione per il sesso ma-schile.

Aspetti cliniciLa lesione fondamentale della pitiriasi lichenoide cronica è una papula asintomatica di consi-stenza relativamente dura, di colore rosso-brunastro, del dia-metro da 2 a 10 mm e superficie liscia che, evolvendosi, tende ad allargarsi e ad appiattirsi, e

viene ricoperta da una squama aderente al centro e distaccata ai margini, che può essere ri-mossa in blocco con un colpo di curette. Ogni singola lesione ri-solve in 4-6 settimane, talvolta lasciando un esito ipocromico, soprattutto nei pazienti di pelle scura (figure 42 e 43); le lesioni possono confluire in elementi di maggiori dimensioni. L’eruzione delle papule procede per gettate subentranti e pertanto, nello stesso soggetto, coesistono le-sioni a vari stadi evolutivi. Il de-corso è cronico e recidivante.Le sedi del corpo maggiormente interessate sono il tronco e le regioni prossimali degli arti, in modo simmetrico, generalmente con risparmio delle regioni pal-mo-plantari e del volto; occasio-

nali le localizzazioni mucose e al cuoio capelluto. Non vi è compromissione delle condizioni generali. La dermato-si insorge spesso durante il de-corso di un’influenza o di una malattia batterica febbrile. La PLEVA (o malattia di Mucha-Habermann) esordisce in modo improvviso ed è caratterizzata da papule edematose, a volte con aspetto emorragico, che evolvono in piccole lesioni ulce-rative e quindi crostose, e risol-vono con cicatrici varioliformi. Dopo uno o più accessi la ma-lattia tende alla risoluzione, ma è possibile la transizione alla forma cronica.La PLEVA ulcero-necrotica è una forma iperacuta, rara, che colpisce soprattutto i bambini e rappresenta una variante grave della precedente, con compro-missione dello stato generale.

Reperti di laboratorioLa diagnosi di pitiriasi lichenoi-de in tutte le sue forme è clini-

Fig. 42 Pitiriasi lichenoide cronica: lesioni papulose in vari stadi evolu-tivi ed esiti ipopigmentari in una pa-ziente somala; localizzazione tipica alla radice degli arti inferiori [Clinica Dermatologica della Fondazione I.R.C.C.S. Policlinico San Matteo – Università di Pavia].

Fig. 43 Pitiriasi lichenoide cronica in paziente caucasico: papule rosso-brunastre in diverso stadio evolutivo.

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ca. Il quadro istologico è carat-teristico e simile in tutte le for-me, anche se nelle varianti acu-te le compromissioni sono maggiori; permette la conferma diagnostica.Nella forma iperacuta il labora-torio mostra aumento aspecifico degli indici di flogosi. È utile la ricerca dell’eventuale focolaio infettivo.

Impiego di ciclosporinaIn primo luogo bisogna ricercare ed eliminare i possibili fattori scatenanti.Le possibilità terapeutiche sono molteplici: fototerapia UVB-nb o UVA-1 (se disponibile, fotoche-mioterapia [PUVA-terapia]), cor-tisonici topici, tetracicline o eri-tromicina, metotressato, ciclo-sporina e retinoidi.

La ciclosporina e gli altri trattamen-ti sistemici sono riservati alle forme più gravi o estese. Nella PLC l’im-piego di ciclosporina a dosaggi bassi (3 mg/kg/die) porta a una ri-duzione graduale delle manifesta-zioni e accorcia il decorso della malattia, che senza trattamento può protrarsi anche per 1 o 2 anni; il miglioramento è atteso dopo 3 settimane dall’inizio della terapia.

Sarcoidosi

La sarcoidosi è una patologia sistemica nella quale le lesio-

ni cutanee sono presenti nel 10-40% dei casi; a volte costituisco-no l’unica manifestazione della malattia. Nelle forme con coin-volgimento interno, le manifesta-zioni dermatologiche possono essere molto importanti per la diagnosi.È universalmente diffusa, ma è più frequente in alcune parti del mondo (paesi nordici, razza ne-groide, Antille); colpisce più spes-so la donna con un picco di fre-quenza tra i 40 e i 50 anni. Sono possibili anche se rare le forme familiari, soprattutto nella razza nera. Le forme a insorgenza gio-vanile sono più gravi, sebbene fortunatamente poco frequenti.Istologicamente si può osserva-re che tutte le lesioni cutanee e viscerali della sarcoidosi sono costituite da piccoli noduli di cel-lule epitelioidi circondati da una fitta corona di linfociti e macrofa-gi; questa struttura prende il no-me di “granuloma”. Il granuloma è una lesione proliferativa che si forma in risposta a un’infiamma-zione cronica di tipo infettivo, come per esempio nella tuber-colosi, o non infettivo, come i granulomi da corpo estraneo. Solitamente l’agente che ha causato l’infiammazione cronica e quindi il granuloma si trova al centro dello stesso, sia esso un agente infettivo (micobatterio

delle tubercolosi) o un corpo estraneo. Non è ancora stato identificato però l’antigene che causa la formazione dei granu-lomi sarcoidei.Nelle forme attive di malattia si può osservare un aumento dei linfociti T CD4+ attivati negli or-gani colpiti, con aumentata pro-duzione di IL-2. In contrasto si osserva un deficit di linfociti T cir-colanti; questo è spiegabile con il sequestro di queste cellule (in-sieme ai macrofagi) nei siti di in-fiammazione, dove vanno a co-stituire il granuloma sarcoideo.

Aspetti cliniciL’interessamento cutaneo nella sarcoidosi si distingue in lesioni specifiche e aspecifiche.Le manifestazioni specifiche sono di tipo nodulare o in plac-ca, di consistenza dura, a su-perficie liscia o moderatamente desquamante, di colorito dal giallo ocra al rosso-bruno, al vio-laceo, non pruriginose. Esistono anche forme più rare in cui la sarcoidosi si presenta con lesio-ni maculari desquamanti, papu-lo-necrotiche, ulcerative, alope-ciche.Le lesioni nodulari possono es-sere micronodulari (1-3 mm di diametro), isolate o multiple, tal-volta eruttive, oppure macrono-dulari (5-10 mm). In entrambi i casi i noduli sono duri e lisci, di colorito rosso-bruno o violaceo,

ma appaiono giallastri alla vitro-pressione; interessano preva-lentemente il viso, le spalle, il to-race e gli arti superiori e posso-no assumere disposizione anu-lare (figura 44) o serpiginosa.

Fig. 44 Sarcoidosi cutanea: lesioni nodulari; a sinistra: micronoduli del viso, a destra: le lesioni disposte in forma anulare.

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Risolvono con cicatrici piane te-leangectasiche.Talora possono essere presenti noduli di grosse dimensioni, so-litamente in numero di 1 o 2, di forma emisferica, localizzati ai lati della piramide nasale, sulla fronte o sulle guance, dissemi-nati di teleangectasie; questa variante prende il nome di an-giolupoide (di Brocq-Pautrier).Le placche invece si localizzano prevalentemente sulle spalle, in regione glutea e sulle cosce; so-no infiltrazioni diffuse, con su-perficie spesso disseminata da noduli e con bordi abitualmente serpiginosi.Il lupus pernio (figura 45) è una manifestazione specifica di più raro riscontro. È costituito da noduli o placche di colorito vio-laceo, distribuiti simmetrica-mente sul naso, sulle guance, sui padiglioni auricolari e, talo-ra, anche sul dorso delle mani e delle dita.

Altre manifestazioni specifiche sono le nodosità profonde (sar-coidi ipodermici) e le forme post-traumatiche, cioè sarcoidi che si manifestano in sede di pregres-si traumatismi o cicatrici chirur-giche. Possono essere presenti alterazioni ungueali.L’eritema nodoso è invece una manifestazione aspecifica di sarcoidosi. Può rappresentare l’esordio della malattia e, in que-sto caso, generalmente la sar-coidosi ha un’evoluzione più be-nigna. L’eritema nodoso è una piodermite con andamento acu-to o subacuto che si manifesta con sintomi generali (febbre, do-lori articolari, astenia, etc.) e con nodosità ipodermiche, più spes-so localizzate agli arti inferiori. Oltre che alla sarcoidosi, può associarsi a infezioni batteriche, virali o micotiche, all’assunzione di determinati farmaci e ad altre malattie sistemiche, come per esempio la colite ulcerosa e il morbo di Crohn.La malattia può colpire qualsiasi organo o apparato, ma più spes-so i polmoni (adenopatie ilari bi-laterali e alterazioni parenchi-mali), il fegato (epatomegalia), la milza (splenomegalia), i linfo-nodi, gli occhi (cheratocongiun-tivite, uveite posteriore e iridoci-clite), le ghiandole salivari (iper-trofia) e le ossa delle mani e dei piedi.

Reperti di laboratorioIl 60% dei pazienti con malattia attiva presenta un innalzamento dei valori dell’enzima angioten-sin-convertasi (ACE), i cui livelli correlano con l’estensione della

malattia, ma può dare falsi posi-tivi nel 10% dei casi.Esiste un test, non ancora en-trato nella pratica clinica, deno-minato di Kveim-Siltzbach, che risulta essere positivo fino al 92% dei casi di sarcoidosi. È un test cutaneo in cui tessuto sple-nico proveniente da un paziente con sarcoidosi viene iniettato nella cute del soggetto che si sospetta essere affetto. Questo test, insieme alla determinazio-ne dei livelli sierici dell’ACE, do-vrebbe permettere di risolvere i casi dubbi, in cui la clinica e l’istologia non sono sufficienti a porre diagnosi definitiva.Anche la radiografia del torace è un esame importante, sia per la diagnosi sia per la prognosi del-la malattia. A seconda degli organi e degli apparati coinvolti, si renderanno necessarie ulteriori indagini da valutare caso per caso.

Impiego di ciclosporinaIl trattamento di scelta per le for-me di sarcoidosi con coinvolgi-mento viscerale è la corticotera-pia sistemica.Sono stati proposti numerosi trattamenti generali, tra cui gli antimalarici di sintesi, il meto-tressato e la talidomide, con ri-sultati molto variabili.Alcuni Autori hanno proposto anche la terapia con ciclospori-na, ma anche in questo caso i ri-sultati non sono concordi. Nella sarcoidosi tale trattamento deve essere impiegato alla dose di 5 mg/kg/die con risultati attesi almeno 3 settimane dopo l’inizio della terapia.

Fig. 45 Sarcoidosi: lupus pernio.

Sindrome di Sweet

Definita anche “dermatosi acuta febbrile neutrofila”, la

sindrome di Sweet è caratteriz-zata da un’infiltrazione improvvi-

sa del derma superficiale da parte di polimorfonucleati neu-trofili in assenza di infezione. La patogenesi è ignota. L’affezione

è spesso isolata ma può asso-ciarsi, come già detto a proposi-to del pioderma gangrenoso e delle altre dermatosi neutrofile,

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a diverse condizioni patologiche interne.La sindrome di Sweet è diffusa in tutto il mondo e non ha predi-lezione di razza.Si riconoscono 3 varianti di que-sta patologia, caratterizzate da differenze epidemiologiche e di presentazione clinica: la forma classica, o idiopatica, che è la più frequente e può associarsi a infezioni delle alte vie respirato-rie o del tratto gastroenterico, a malattie infiammatorie croniche intestinali o alla gravidanza; la forma paraneoplastica, che vie-ne così definita in quanto l’esor-dio e/o le riaccensioni della pa-tologia si associano alla presen-za di una neoplasia; e la forma farmaco-indotta che consegue all’assunzione di determinati far-maci, in particolare con fattori di crescita emopoietici (per il trat-tamento delle leucemie), ma an-che antibiotici, antiepilettici, an-tipertensivi, contraccettivi orali o retinoidi. La sindrome di Sweet idiopatica e farmaco-indotta col-piscono prevalentemente le donne tra i 30 e i 50 anni. La for-ma paraneoplastica invece non ha predilezione di sesso e soli-tamente si associa a leucemia mieloide acuta o ad altre emo-patie maligne, ma anche a tu-mori solidi. L’eziologia della sindrome di Sweet non è nota.

Aspetti cliniciLe lesioni cutanee tipiche sono rappresentate da papule o no-duli di colorito rosso o rosso-vio-laceo (figura 46) o anche da placche dermiche e ipodermi-che infiltrate. Queste lesioni so-no dolorose, limitate di numero o molteplici, asimmetriche al-l’esordio e poi simmetriche. Queste manifestazioni sono spesso accompagnate da sinto-mi sistemici quali febbre (fino a 40 °C), artralgie e congiuntivite. Le condizioni generali possono essere molto compromesse, tanto che a volte il paziente vie-

ne ricoverato d’urgenza in ospe-dale. Una fase prodromica con febbre e malessere generale può precedere l’eruzione cuta-nea di circa 1-3 settimane. Le sedi predilette sono il viso e la nuca, la superficie estensoria degli avambracci, il dorso delle mani e delle dita, il tronco (più raramente il dorso) (figura 46). Nelle forme farmaco-indotte e paraneoplastiche vi è anche in-teressamento degli arti inferiori e della mucosa orale. Può esse-re presente patergia con lesioni che insorgono in sede di iniezio-ni o di traumi recenti. In genera-le le manifestazioni della sindro-me di Sweet associata a neo-plasie sono più gravi.La fase di stato dura 4-5 setti-mane. La guarigione spontanea si realizza in 4-6 settimane; una

pigmentazione residua rivela l’ubicazione delle pregresse le-sioni cutanee. Le ricadute non sono eccezionali (quasi il 50% dei pazienti); in caso di recidiva le lesioni si riproducono nelle medesime localizzazioni.Manifestazioni extracutanee pos-sono coinvolgere le ossa, il siste-ma nervoso centrale, il tratto ga-stroenterico, la milza, il fegato e il polmone.

Reperti di laboratorioLe alterazioni classiche rilevabili con le indagini di laboratorio so-no l’aumento della VES e la leu-cocitosi periferica con aumento dei neutrofili. Nelle forme para-neoplastiche vi può anche esse-re anemia e anormalità del nu-mero di piastrine, mentre i neu-trofili possono essere in percen-tuale normale o addirittura ridotta. Nelle forme con coinvol-gimento renale è spesso evi-denziabile proteinuria.La diagnosi si basa sulla pre-senza di lesioni cutanee tipiche per aspetto e sede e sull’esame istologico, che mostra un infiltra-to dermico costituito soprattutto da neutrofili in assenza di va-sculite. Questi dati rappresenta-no i 2 criteri maggiori ai quali, per una diagnosi certa, si devo-no aggiungere almeno 2 criteri minori tra: presenza dei prodro-mi descritti o di una patologia associata (malattia infiammato-ria cronica intestinale, emopatia maligna, infezioni, tumori solidi) o di gravidanza, febbre maggio-re di 38 °C e malessere genera-le, aumento degli indici di flogosi (VES o PCR) leucocitosi e neu-trofilia e, infine, risposta rapida al trattamento con corticosteroi-di o con ioduro di potassio.

Impiego di ciclosporinaSolitamente i cortisonici sistemi-ci esercitano un effetto imme-diato e spettacolare. Altri farma-ci attivi sono lo ioduro di potas-sio, la colchicina, l’indometacina e l’acitretina. Anche la ciclospo-

Fig. 46 Sindrome di Sweet: papule e noduli multipli con localizzazioni, nella stessa paziente, al tronco e alla superficie estensoria dell’arto superiore.

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Fig. 47 Sindrome di Sweet: l’imma-gine mostra la stessa paziente della figura 46 dopo 4 settimane di tera-pia con ciclosporina al dosaggio di 4 mg/kg/die.

rina, da sola o in associazione ai corticosteroidi, mostra una buo-na efficacia nel controllo delle manifestazioni della sindrome di Sweet. Il dosaggio raccomanda-to, se impiegata da sola, è di 4-5 mg/kg/die (figura 47).

Qualsiasi trattamento deve esse-re proseguito per almeno 3-4 set-timane, quindi il dosaggio deve essere ridotto lentamente e in modo progressivo per evitare le recidive o l’effetto rebound, en-trambi molto frequenti.

Psoriasi

M alattia infiammatoria a ca-rattere cronico-recidivan-

te, su base genetica, condiziona-ta dal sistema immunitario, ca-ratterizzata da un’aumentata pro-liferazione epidermica che nella forma volgare, cioè la modalità espressiva più comune, porta al-la formazione di chiazze eritema-tose tondeggianti o ovalari, a margini netti, ricoperte da squa-me argentee, lamellari, compat-te, poco aderenti e facili a sfal-darsi. Tutte le parti del corpo pos-sono essere interessate dalla psoriasi, esistono però delle zo-ne in cui la malattia si localizza elettivamente, come capillizio, gomiti, ginocchia, regione lom-bo-sacrale (zone estensorie), e può essere associata a prurito e bruciore. Considerata fino a qual-che tempo fa una patologia di esclusivo interesse dermatologi-co, viene giustamente interpreta-ta oggi come una malattia a ca-rattere sistemico per il coinvolgi-mento di molteplici organi e ap-parati con pesanti ripercussioni sulla vita sociale e di relazione.La psoriasi viene riscontrata nel-lo 0,3-4,6% della popolazione mondiale. Risulta essere meno frequente nelle popolazioni che vivono nelle aree tropicali e su-btropicali rispetto a quelle che ri-siedono alle latitudini più tempe-rate. La razza bianca appare più colpita, mentre lo sono meno quella orientale e in particolare la razza nera. Dai pochi dati epi-

demiologici italiani pare che cir-ca il 2,7% della popolazione adulta sia colpito dalla psoriasi e di questi circa il 10% sia colpito da una forma grave con un im-patto significativo sulla qualità della vita dei pazienti.La storia naturale della malattia prevede possibili peggioramenti nei mesi invernali e in seguito a stress psicologici, mentre i mesi estivi con l’esposizione al sole possono indurre anche migliora-menti clinici consistenti. Alla comparsa della psoriasi concor-rono infatti una predisposizione genetica e l’influenza di fattori ambientali, quali il fumo di siga-retta, l’assunzione di alcuni far-maci specifici, il consumo di al-col, gli agenti infettivi, etc. I trau-mi possono indurre la comparsa delle lesioni (isomorfismo reatti-vo o fenomeno di Koebner). La patogenesi è immunomediata con coinvolgimento del sistema immunitario innato (cellule pre-sentanti l’antigene: Plasmocitoid Dendritic Cells, neutrofili, mono-citi) e adattativo (attivazione lin-fociti T-memoria e secrezione di citochine e monochine di tipo Th1, Th17, Th22, IL 12, IL23, TNFα, IFNγ, con attivazione di altri stipiti cellulari e altre citochi-ne a formare un network cellula-re-molecolare molto complesso) in cui fattori genetici di suscettibi-lità interagiscono con fattori am-bientali scatenanti che portano a un’iperproliferazione ed errata

differenziazione dei cheratinociti. Dal punto di vista genetico, la psoriasi deve essere considerata un modello poligenico con una modalità di trasmissione eredita-ria complessa. I loci associati con la malattia sono stati definiti PSORS (PSORiasis Susceptibi-lity), si trovano sul braccio corto del cromosoma 6 (p21), conten-gono geni HLA-B e HLA-C (Cw6) e alcuni codificano per proteine espresse a livello dell’epidermi-de (come la corneodesmosina). Una recente scoperta, alla quale hanno contribuito genetisti italia-ni, ha permesso di individuare nel cromosoma 1 l’assenza dei geni LCE3B e LCE3C, ai quali è attribuita l’importante funzione di protezione da aggressioni ester-ne da parte di batteri, virus, stress chimici e fisici, con ripristi-no delle funzioni di difesa della cute. Tale scoperta deve essere considerata una conferma che la malattia sia geneticamente tra-smessa e che i “traumi” svolgano un ruolo importante nell’insor-genza delle lesioni (isomorfismo reattivo) (figura 48).

Aspetti clinici

Psoriasi volgareCome già accennato in prece-denza, rappresenta la forma di psoriasi più comune (80% dei casi). È caratterizzata da chiaz-ze o placche eritematose con tonalità variabile dal roseo al

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rosso intenso, a margini arroton-dati netti, sovente riconoscibile alla periferia, ricoperte da squa-me di colorito biancastro madre-perlaceo, tipicamente pluristrati-ficate, di dimensioni e spessore ineguali: piccole e fini di tipo piti-riasico più frequentemente la-mellari o rupioidi (figura 49). Il numero e le dimensioni delle le-sioni è estremamente variabile e in casi estremi può coinvolge-re tutto il tegumento (PsO eritro-dermica). Le lesioni possono presentarsi in ogni regione della superficie corporea, ma tipica-mente si riscontrano sulle su-perfici estensorie, spesso in ma-niera simmetrica. La malattia però comprende diverse forme alle quali corrispondono altret-tante diverse manifestazioni.

Psoriasi del cuoio capellutoIl cuoio capelluto è frequente-mente coinvolto nei pazienti af-fetti da psoriasi volgare e può rappresentare l’unica sede colpi-ta. Le lesioni eritematose, arro-tondate a margini netti, sono ri-

coperte da squame bianco-ar-gentee ma possono confluire a formare una vera e propria calot-ta che riveste tutto il capillizio spesso associate a lesioni squa-mo-crostose da grattamento (fi-gura 50). A volte le lesioni si pos-sono presentare come una coro-na eritematosa in sede fronto-temporale e retroauricolare con diffusa desquamazione pitiriasi-ca secca simil-furfuracea, tanto da rendere difficile la diagnostica differenziale dagli stati seborroici semplici del cuoio capelluto.

Psoriasi del voltoIl coinvolgimento del volto è con-siderato un indice di malattia estesa-grave. Caratteristico il coinvolgimento delle palpebre con piccole chiazze ricoperte da fine desquamazione; raramente si possono osservare piccole le-sioni guttate isolate specie in cor-so di psoriasi eruttive. Manifesta-zioni esclusivamente localizzate nelle aree seborroiche (solchi naso-genieni, gabella, sopracci-glia, conca del padiglione aurico-lare e regione retroauricolare), a volte accompagnate da interes-samento presternale e medio-dorsale (seboriasi), sono consi-derate come forme legate all’irri-tazione da parte di lieviti (Malas-sezie: specie globosa e restricta) in pazienti con evidente seborrea (fenomeno di Koebner).

Psoriasi palmo-plantareLocalizzazione frequente e a vol-te di difficile differenziazione da altre dermatiti quali quelle da

contatto irritativo o allergico e ipercheratosi di varia natura. Le lesioni insorgono specialmente nelle aree di pressione con chiaz-ze nettamente delimitate ricoper-te da squame giallastre o con elementi lenticolari (chiodi pso-riasici) circondati da alone erite-matoso. A volte l’aspetto iperche-ratosico è diffuso, rendendosi più evidente in sede calcaneare o nelle eminenza tenar e ipotenar fino alla cute del polso, compli-candosi con fissurazioni profon-de dolorose e invalidanti. Il coin-volgimento della superficie dor-sale delle dita è frequente e inte-ressa il perionichio comportando una maggiore gravità delle alte-razioni ungueali.

Psoriasi unguealeIl coinvolgimento delle unghie è molto frequente (40-45% dei pa-zienti affetti da psoriasi volgare e fino all’87% di quelli con artropa-tia, dove può rappresentare l’uni-ca manifestazione cutanea). Se-condo alcuni Autori, l’unghia ri-sulta funzionalmente legata alle strutture distali ossee, tendinee e legamentose delle falangi. Il ten-dine estensore delle dita in parti-colare, continuandosi con la ma-trice ungueale, dopo la sua in-serzione nell’osso forma un si-stema integrato con i legamenti. Il coinvolgimento dell’unghia può suggerire quindi un importante link tra psoriasi e artrite, spiegan-do così la gravità di alcune mani-festazioni articolari. Le alterazio-ni più frequentemente interessa-no la lamina, con depressioni puntiformi (unghia a ditale da cu-cito, nail pitting) o con striature trasversali legate alla desqua-mazione di cellule paracheratosi-che nelle porzioni prossimali del-la matrice. Si possono evidenzia-re inoltre discromie (leuconichie e aree rotondeggianti di colorito giallo-brunastro “a goccia d’olio”), ipercheratosi subungueale con sollevamento distale dell’unghia e aree di onicolisi fino alla com-pleta distruzione della lamina.

Fig. 48 Lesione psoriasica su cica-trice da parto cesareo: fenomeno di Koebner.

Fig. 49 Psoriasi volgare: lesione ti-pica.

Fig. 50 Psoriasi del cuoio capelluto.

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Psoriasi delle mucoseDi rara osservazione. Può esse-re colpita la mucosa linguale in sede dorsale con aree di disepi-telizzazione o aree eritematose e lisce per perdita delle papille, più frequente nelle psoriasi pu-stolose generalizzate (lingua a carta geografica) o con profon-de solcature longitudinali (lingua scrotale). Il coinvolgimento delle (pseudo)mucose colpisce fre-quentemente il glande e/o il sol-co balano-prepuziale o la vulva, con lesioni eritematose a margi-ni netti in genere non desqua-manti e non infiltrate.

Psoriasi delle pieghe (o inver-tita)Le lesioni in questa forma colpi-scono le pieghe inguinali, sotto-mammarie, interglutee, ombeli-cali e con minor frequenza i cavi ascellari, specie nei soggetti obesi a causa del maggior sfre-gamento delle superfici cuta-nee. Le chiazze appaiono fran-camente eritematose, lisce, po-co o nulla desquamanti.

Psoriasi pustolosaLa psoriasi pustolosa può esse-re localizzata o generalizzata. La lesione elementare è una pu-stola di grandezza variabile da 1 a 5 mm, biancastra, amicrobica, che generalmente evolve in una crosta giallastra.Esistono due varianti di psoriasi pustolosa localizzata: la psoriasi palmo-plantare di Barber e l’acro-dermatite continua di Hallopeau. La prima è caratterizzata dalla comparsa a poussées di elemen-ti pustolosi sul palmo delle mani e sulla pianta dei piedi, circonda-ti da un alone eritematoso, asso-ciati a intenso prurito e sintoma-tologia urente; la seconda inizia generalmente con pustole peri- e subungueali che in un secondo momento convergono fra loro, formando delle squame che coin-volgono interamente le unghie e le falangi distali. Nelle forme più gravi si possono verificare feno-

meni di osteolisi che portano alla mutilazione dell’ultima falange.La psoriasi pustolosa generaliz-zata invece è una grave varian-te clinica che comprende un gruppo eterogeneo di manife-stazioni, la più importante delle quali è la forma acuta di von Zumbush. Essa si manifesta con la comparsa improvvisa di numerose pustole superficiali bianco-giallastre, amicrobiche, che si raggruppano in ampie raccolte di pus alla periferia del-le chiazze psoriasiche con evo-luzione in croste brunastre. La superficie cutanea interessata è solitamente estesa anche per più del 60%, portando spesso a una condizione di sub-eritroder-mia. È comune una forte com-promissione dello stato genera-le con febbre elevata, poliartral-gie, alterazioni elettrolitiche e ipoalbuminemia.Altre più rare forme pustolose generalizzate sono l’impetigo erpetiforme (tipica del terzo tri-mestre di gravidanza), la psoria-si pustolosa generalizzata anu-lare e la psoriasi pustolosa ge-neralizzata esantematica.

Psoriasi eritrodermicaScatenata principalmente da reazioni a farmaci (litio, β-bloc-canti, interferon-α, antimalarici, antinfiammatori, tetracicline e ACE-inibitori), sospensione im-provvisa di terapia steroidea to-pica e sistemica, infezioni acute o stress emozionali molto inten-si. La psoriasi eritrodermica col-pisce più del 90% della superfi-cie corporea.Clinicamente è caratterizzata da eritema generalizzato, fine de-squamazione superficiale, ede-ma diffuso, fissurazioni e grave distrofia ungueale. Vi è intensa sintomatologia associata, con prurito, senso di freddo, limitazio-ne nei movimenti e malessere ge-neralizzato, talvolta complicato da febbre, linfoadenopatia superfi-ciale, perdita di peso, disidrata-zione e oliguria. Se l’eritrodermia

persiste per alcuni giorni, si pos-sono manifestare ipoalbumine-mia, iposideremia, iponatriemia, con ripercussioni importanti per la termoregolazione e l’emodinami-ca, fino ad arrivare a uno scom-penso cardiocircolatorio.Temibili complicanze sono le in-fezioni sistemiche da stafilococ-co, che possono portare a uno shock settico, e le polmoniti di origine virale o batterica.

Psoriasi del bambinoRaro l’esordio nel primo decen-nio di vita e in questi casi l’anam-nesi familiare è spesso positiva.La clinica è simile a quella del-l’adulto, anche se le dimensioni delle lesioni sono di solito minori e vi è una prevalenza dell’erite-ma rispetto alla desquamazione (figura 51). Il volto è più colpito che nell’adulto, così come le aree intertriginose, gomiti, ginocchia, unghie e cuoio capelluto.Una variante tipica ed esclusiva dei bambini al di sotto dei due anni di età è la psoriasi dell’area del pannolino, con lesioni a mar-gini netti, eritematose e che coinvolgono le pieghe inguinali.La forma più comune nei bambi-ni è la psoriasi guttata, spesso preceduta da un’infezione farin-gea da streptococco.

Fig. 51 Psoriasi del bambino: lesioni di minori dimensioni rispetto alle for-me dell’adulto e predominanza della componente eritematosa su quella desquamativa.

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L’eritrodermia, la psoriasi pusto-losa e l’artrite psoriasica sono rarissime nell’infanzia.

Psoriasi artropatica (PsA)Può essere definita come una osteo-artro-entesopatia infiam-matoria associata con la psoriasi o con una predisposizione per la psoriasi, che può coinvolgere il compartimento osteoarticolare sia assiale sia periferico. È clas-sificata fra le spondiloartriti siero-negative e presenta una vasta eterogeneità per tipo di presen-tazione (sintomi comuni ad altre spondiloartriti, all’artrite reuma-toide o ad altre artropatie), de-corso clinico e articolazioni colpi-te. Fino a qualche anno fa si rite-neva che la PsA fosse un’artro-patia relativamente benigna, con sinovite di breve durata e scarso danno articolare residuo. Oggi è considerata una malattia invali-dante, associata a una significa-tiva progressione radiologica e a una rilevante compromissione dello stato funzionale. I pazienti, nelle forme più comuni, presentano all’esordio un coinvol-gimento asimmetrico delle artico-lazioni interfalangee distali, ente-siti a vari livelli, con possibile inte-ressamento della colonna verte-brale e/o delle articolazioni sacroiliache. Il coinvolgimento cu-taneo e articolare spesso non so-no contemporanei perché più fre-quentemente la psoriasi precede anche di anni l’interessamento delle articolazioni.Dal punto di vista radiografico, l’artrite psoriasica si manifesta principalmente con erosioni e ap-posizioni ossee che interessano le articolazioni distali, associati talvolta a infiammazione ed ede-ma del periostio. Il coinvolgimen-to assiale può rimanere asinto-matico per anni, colpendo più frequentemente il rachide cervi-cale e meno quello lombare. Il processo infiammatorio si esten-de alle articolazioni interapofisa-rie e ai legamenti intervertebrali con comparsa di ponti ossei fra

una vertebra e l’altra (sindesmo-fiti) con marcata perdita della mobilità del rachide. Sono stati proposti diversi criteri diagnostici, quelli di Moll e Wri-ght del 1973 sono stati per anni i più utilizzati e discussi per la classificazione di questa forma di artrite. Ultimamente la Classi-fication criteria of psoriatic ar-thritis (CASPAR) ha sviluppato dei nuovi e più adeguati criteri per definire la psoriasi artropati-ca con una specificità del 98,7% e una sensibilità del 91,4%. La PsA è presente in circa il 30% dei pazienti affetti da psoriasi e in un elevato numero di casi è responsabile di disabilità e ridu-zione della qualità della vita.

Reperti di laboratorioLa diagnosi si basa quasi esclu-sivamente sugli aspetti clinici della malattia e nei casi dubbi sull’esame istologico, non es-sendoci indagini specifiche di la-boratorio.

Impiego di ciclosporinaLa terapia sistemica della psoriasi viene riservata alle forme più gra-vi con estensione a più del 10% della superficie cutanea o all’inte-ressamento di zone particolari (“problematiche”) come il volto, le mani e i genitali. I farmaci mag-giormente impiegati sono: i reti-noidi (acitretina), il metotressato, la ciclosporina A e da qualche an-no i farmaci biologici anti-TNFα (etanercept, infliximab, adalimu-mab e ultimamente il golimumab solo per la psoriasi artropatica) o anti-IL12/23 (ustekinumab).L’utilità della CsA nel trattamento della psoriasi fu scoperta casual-mente nel 1979 e da allora, in ol-tre 30 anni, si sono raccolte nu-merosissime testimonianze atte-stanti la sua efficacia in tutte le va-rianti cliniche della malattia. Le indicazioni principali sono rappre-sentate da: psoriasi eritrodermi-ca, psoriasi pustolosa generaliz-zata, artropatia psoriasica e pso-riasi generalizzata persistente.

Risultano responsive anche la psoriasi pustolosa palmo-planta-re, le forme localizzate al cuoio capelluto e le distrofie ungueali. Al dosaggio di 3-5 mg/kg/die è un farmaco molto attivo e rapido nel-l’azione. Alcuni autori preferisco-no partire da dosi quotidiane di 2,5 mg/kg, aumentandole gra-dualmente di 0,5 mg/kg/die ogni 2 settimane in caso di mancata ri-sposta. Più elevato è il dosaggio, più rapida è la risposta clinica. Considerati gli studi più significati-vi, PASI 75 viene raggiunto in ol-tre il 76% dei pazienti trattati con 4-5 mg/kg/die in 1-2 mesi. Co-munque è consigliabile non supe-rare la dose di 5 mg/kg/die, al di sopra della quale aumenta note-volmente il rapporto rischio/bene-ficio. Una volta ottenuta la remis-sione clinica, che al dosaggio me-dio di 4 mg/kg/die si osserva in media entro 1-2 mesi di terapia, si deve passare a un dosaggio di mantenimento. In seguito la dose viene ridotta progressivamente fi-no a raggiungere quella più bassa ancora dotata di efficacia, cercan-do di mantenere il grado della ma-lattia entro livelli contenuti. La CsA può essere utilizzata anche in modo intervallato, soprattutto in casi meno gravi. In ogni caso si consigliano cicli di trattamento per un periodo non superiore ai 6 me-si, da ripetersi successivamente in caso di recidiva, utilizzando il dosaggio che in precedenza si è mostrato efficace e tollerato. PASI 75 viene raggiunto invece in circa il 50% dei pazienti dopo 8 setti-mane di trattamento alla dose di 3 mg/kg/die.Recentemente sono stati pubbli-cati i risultati incoraggianti di uno studio (denominato PREWENT) riguardante l’impiego di ciclospo-rina al dosaggio di mantenimen-to di 5 mg/kg/die per 2 giorni con-secutivi alla settimana per un pe-riodo totale di 24 settimane, allo scopo di prolungare il periodo di remissione dalla patologia in pa-zienti già in terapia con tale far-maco.

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I Quaderni di Psoriasis n. 1

La ciclosporina nelle patologie autoimmuni di interesse dermatologico

Andrea AltomareUnità Operativa Dermatologia I.R.C.C.S. Istituto Ortopedico Galeazzi Università degli Studi di Milano

Gianfranco AltomareResponsabile Dermatologia I.R.C.C.S. Istituto Ortopedico Galeazzi Università degli Studi di Milano

© 2011 Editoriale Fernando Foliniun marchio di - an imprint of Fernando Folini ProductionsIl Battaglino, I-15052 Casalnoceto (AL) e-mail: [email protected] Indirizzo Internet: www.edifolini.com Progetto grafico copertina: Bob NoordaProgetto grafico interni: Emanuela ReggianiGrafica e impaginazione: TOTEM di Astolfi Andrea Segreteria editoriale: Maria-Chiara Panizza Redazione: Enrica Ferrari Finito di stampare nel mese di febbraio, 2011 presso Tipografia E. Canepa, Spinetta Marengo (AL)

ISBN 9788872660898

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Page 44: Speciale Ciclosporina - Quaderni Psoriasis1

La ciclosporina nelle patologie autoimmuni di interesse dermatologicoA. Altomare, G. Altomare

psoriasisI QUADERNI DI

Editoriale Fernando Folini

I Quaderni di Psoriasis n. 1 - Speciale ciclosporina

Negli ultimi venti anni la ciclosporina è stata utilizzata in tutto il mondo in numerose patologie dermatologiche, dove la

sua attività immunomodulatrice o immunosoppressiva, a seconda delle dosi usate, si è rivelata utile per la gestione di forme cliniche anche gravi. Talora, anzi, ha rivoluzionato l’approccio terapeutico di forme particolarmente gravi, dove il rapporto rischio/beneficio è risultato molto favorevole.Fra la gran mole di lavori scientifici originali fin qui prodotti, mancava tuttavia un buon compendio degli usi dermatologici della ciclosporina, e dalla constatazione di questa lacuna è nato il compendio pratico sugli usi dermatologici della ciclosporina che viene qui pubblicato come Quaderno della rivista Psoriasis. La sua realizzazione è stata possibile sommando le esperienze cliniche degli Autori con una estesa metanalisi della letteratura scientifica, e il suo scopo dichiarato è fornire utili indicazioni pratiche per la gestione clinica del paziente, corredate da una sintetica bibliografia consigliata.Uno strumento di reference agile, ma senza dubbio prezioso per il clinico, quasi un prontuario da mantenere a portata di mano.

9 7 8 8 8 7 2 6 6 0 8 9 8

ISBN 9788872660898 euro 30,000 3 0 0 0

I Quaderni di Psoriasis nascono nel 2011 per ospitare lavori monografici di maggiore consistenza rispetto ai lavori clinici

abitualmente pubblicati nelle pagine della rivista, ma soprattutto hanno lo scopo di costruire nel tempo una serie di strumenti utili come reference e aggiornamento organico per lo specialista.Revisioni critiche di temi specifici, strumenti clinici per la diagnosi, la terapia, la gestione del paziente; approfondimenti su classi di farmaci o farmaci singoli, protocolli e linee guida.L’ambito di partenza è il medesimo della rivista Psoriasis, e come questa vede un necessario allargamento di prospettiva. Determinato dalla evoluzione delle ricerche sulla psoriasi, che hanno condotto a inquadrarla come manifestazione di una malattia sistemica che può presentarsi con psoriasi cutanea, artropatia, onicopatia, sindrome metabolica, malattie infiammatorie a carico dell’apparato digerente. I Quaderni di Psoriasis rifletteranno quindi lo stato delle conoscenze acquisite, con un approccio interdisciplinare utile a ricondurre i differenti approcci disciplinari all’unicità del paziente e della sua malattia.

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