sostenibilità in pillole

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Sostenibilità in pillole, per imparare a vivere su un solo pianeta. A cura di Gianfranco Bologna,prefazione di Piero Angela.

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sostenibilità in pillole

Per imparare a vivere su un solo pianeta

g i a n f r a n c o b o l o g n a

prefazione di piero Angela

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Gianfranco Bolognasostenibilità in pilloleper imparare a vivere su un solo pianeta

realizzazione editorialeEdizioni Ambiente srlwww.edizioniambiente.it

coordinamento redazionale: Diego Tavazziprogetto grafico:  GrafCo3 Milano impaginazione: Roberto Gurdo immagine di copertina: Shutterstock

© 2013, Edizioni Ambiente via Natale Battaglia 10, 20127 Milanotel. 02.45487277, fax 02.45487333

Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, comprese fotocopie, registrazioni o qualsiasi supporto senza il permesso scritto dell’editore.

ISBN 978-88-6627-039-3

Finito di stampare nel mese di aprile 2013presso Grafiche del Liri – Isola del Liri (FR)

Stampato in Italia – Printed in ItalyQuesto libro è stampato su carta riciclata 100%

i siti di edizioni ambientewww.edizioniambiente.itwww.nextville.itwww.reteambiente.itwww.puntosostenibile.itwww.freebookambiente.it

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sommario

prefazione 7di Piero Angela

1. premessa 15

2. introduzione 23

3. la sostenibilità è scienza 57

4. la sostenibilità è complessità 63

5. la sostenibilità è resilienza 73

6. la sostenibilità e il sistema terra 81

7. la sostenibilità e l’antropocene 99

8. la sostenibilità e gli antromi 105

9. la sostenibilità e la popolazione 109

10. la sostenibilità e i limiti della nostra crescita 119

11. la sostenibilità e i “confini planetari” 127

12. la sostenibilità e l’economia 139

13. la sostenibilità e l’energia 165

14. la sostenibilità e il clima 171

15. la sostenibilità e la biodiversità 187

16. la sostenibilità è efficienza, efficacia e sufficienza 203

17. la sostenibilità e gli indicatori 211

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18. la sostenibilità e i nuovi indicatori di progresso e benessere 215

19. la sostenibilità e i flussi di materia 225

20. la sostenibilità e l’impronta ecologica 233

21. la sostenibilità e l’impronta idrica 239

22. la sostenibilità, l’impronta di carbonio e l’impronta di azoto 245

23. la sostenibilità e le città 249

24. la sostenibilità e il cibo 255

25. la sostenibilità e i passi concreti per attuarla 263

note 275

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2. introduzione

Stiamo attraversando un periodo affascinante per quanto riguarda la no-stra capacità di comprendere ciò che ci circonda. Il nostro sapere è in una fase di ebollizione, i confini disciplinari si fanno inevitabilmente sempre più labili. Stiamo facendo progressi straordinari nella conoscenza ma, nello stesso tempo, siamo sempre più consa-pevoli che soffriamo di un sapere fortemente parcellizzato, separa-to, diviso. Siamo di fronte a tanti tasselli di un mosaico, e abbiamo seri problemi a concepirlo nella sua interezza.Più sappiamo, più conosciamo, più ci sforziamo di ridurre, di-stinguere, separare, limitati an-che dalle nostre capacità di com-prendere le dimensioni di insieme e le connessioni. Sempre più ci ri-esce difficile collegare, connette-re, inquadrare la nostra conoscen-za in una dimensione complessiva che metta insieme i diversi com-ponenti della nostra conoscenza piuttosto che separarli.

La sfida che ci proviene dal-la sostenibilità, cioè di co-me rendere compatibile la

nostra presenza e il nostro sviluppo economico e sociale su

questo pianeta senza distruggere, co-me stiamo facendo ora, i sistemi natu-rali dai quali deriviamo e, senza i quali non possiamo vivere, tocca in pieno il problema degli attuali difetti della no-stra cultura divisa e parcellizzata. La sostenibilità si occupa proprio della conoscenza delle interrelazioni tra i si-stemi naturali e i sistemi sociali (che gli studiosi anglosassoni definiscono SES, Socio-Ecological Systems), delle loro dinamiche e del loro sviluppo, e cerca di capire come governarle nel miglior modo possibile per garantire loro un’e-voluzione dinamica e armonica, che non comprometta le basi della soprav-vivenza dei nostri sistemi sociali. Quella della sostenibilità è senza alcun dubbio la sfida maggiore che si pone all’umanità oggi e dovrebbe essere collocata al primo posto delle agende politiche internazionali.

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Si tratta anche di una vera sfida alla comprensione della complessità (te-ma che approfondirò più avanti). Ed è una vera sfida a costruire un fu-turo diverso con un impegno senza precedenti nella nostra storia.

Stephen Palumbi, biologo dell’U-niversità di Stanford, mostra con numerosi esempi come l’interven-to della nostra specie stia accele-rando i ritmi dell’evoluzione bio-logica, soprattutto tra le specie con cui viviamo a più stretto contat-to: quelle che costituiscono i no-stri alimenti e i nostri parassiti. Pa-lumbi scrive:3 “Il nostro impatto sull’evoluzione è aumentato con i farmaci, con il controllo chimico dei parassiti e la capacità di pla-smare l’ambiente fisico e biologico per soddisfare i nostri bisogni. Co-sì, siamo diventati la forza evoluti-va più potente della Terra. A parte forse il meteorite che si ritiene ab-bia provocato l’estinzione dei di-nosauri, siamo i migliori candida-ti a vincere la medaglia d’oro per lo sconquasso planetario, il giorno che sarà considerato ufficialmente uno sport da Olimpiadi”.

Come ricorda Christopher Flavin, del Worldwatch Institute: “Negli ultimi cinquant’anni il consumismo si è imposto quale cultura domi-nante in un paese dopo l’altro. È diventato uno dei motori dell’inar-restabile crescita della domanda di risorse e della produzione di rifiu-ti che sono il marchio distintivo della nostra epoca. L’attuale portata degli impatti ambientali è di certo legata a fattori quali un’esplosione demografica senza precedenti, la diffusione di un certo livello di ric-

Edward Wilson, della Har-vard University, uno dei maggiori esperti di biodiver-

sità al mondo, che ha dedica-to l’intera vita ad approfondire

la conoscenza della straordinaria ric-chezza della vita presente sul nostro pianeta, in particolare dell’incredibile mondo delle formiche, ha scritto2 in uno dei suoi libri: “Poche persone osa-no dubitare che il genere umano si sia creato un problema di dimensioni planetarie. Anche se nessuno lo deside-rava siamo la prima specie a essere di-ventata una forza geofisica in grado di alterare il clima della Terra, ruolo pre-cedentemente riservato alla tettonica, alle reazioni cromosferiche e ai cicli glaciali. Dopo il meteorite di dieci chi-lometri di diametro che precipitò nello Yucatan, ponendo fine all’era dei rettili sessantacinque milioni di anni fa, i più grandi distruttori della vita siamo noi. Con la sovrappopolazione ci siamo cre-ati il pericolo di finire il cibo e l’acqua. Ci attende dunque una scelta tipica-mente faustiana: accettare il nostro comportamento corrosivo e rischioso come prezzo inevitabile della crescita demografica ed economica, oppure rianalizzare noi stessi e andare alla ri-cerca di una nuova etica ambientale”.

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chezza e benessere, e una serie di scoperte epocali in campo scientifico e tecnologico. Ma è altrettanto innegabile che il consumismo è corresponsabile di questa situa-zione, in quanto ha contribuito a incentivare – e ad amplificare oltre misura – le altre forze che hanno permesso alle nostre ci-viltà di crescere oltre il limite di sopportazione dei rispettivi con-testi ecologici”.4 Per modificare questa situazio-ne è perciò necessaria una vera e propria rivoluzione culturale i cui elementi, già in atto, in tan-te società in tutto il mondo, so-no stati individuati da numero-si autori di diversa cultura e pro-venienza.E proprio in merito a questo te-ma, Paul e Anne Ehrlich, ecolo-gi alla Stanford University, co-sì hanno scritto nel box che han-no predisposto per lo State of the World 2010 del Worldwatch In-stitute:6 “Sembra evidente che la sola consapevolezza del pericolo biofisico che sta correndo la no-stra civiltà sia insufficiente a sti-molare i cambiamenti necessari per evitarne il collasso. Occorre una comprensione più ampia del modo in cui le culture si modi-ficano, il che sottolinea l’urgen-

Scrive Amory Lovins, fisi-co, fondatore del Rocky Mountain Institute e inven-

tore di tecnologie e approcci per ridurre l’utilizzo di materie

prime ed energia:5 “L’umanità è nel mezzo della più grande trasformazio-ne infrastrutturale mai verificatasi, risultante dalla fusione delle tecnolo-gie per l’informazione con il settore dell’energia, oltre che dalla combina-zione di trasformazioni tecnologiche e sociali. Tutto ciò provoca raffiche di sconvolgimenti, e i prossimi dieci anni saranno quelli in cui verranno formu-late le scommesse più azzardate, in cui si porranno le basi per la loro riuscita e in cui si darà avvio alla trasformazio-ne di metà del XXI secolo. Il Business As Usual non è più un opzione: stan-no cambiando troppe cose, e stanno cambiando troppo in fretta. Siamo già nella nuova era dell’energia: il nostro sguardo deve diventare più acuto, la nostra capacità di comprensione più profonda. Dobbiamo pianificare con più umiltà e agire con più coraggio. [...] La trasformazione non sarà facile, ma sarà molto meglio che non fare niente. Assieme a grandi opportunità, ci sa-ranno grandi incertezze, grandi rischi e grandi pericoli. [...] L’audacia nel giudi-zio è un’opportunità e una responsabi-lità per ogni leader che disponga delle risorse e dell’immaginazione necessaria a usarle. E adesso non abbiamo biso-gno solo di capacità manageriali ma soprattutto di leadership. Un sistema energetico sta morendo e un altro sta lottando per emergere. Nel mezzo di una simile tempesta, stare immobili sembra la cosa più semplice. Come ha scritto T.S. Eliot ‘fra l’idea / e la realtà / fra il movimento / e l’atto / cade l’Om-bra’. Tuttavia il terreno di gioco sta cambiando e non è più possibile stare fermi”.

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za da parte della società globale di concentrarsi sulla necessità di una ri-voluzione culturale”.Proprio per questo scopo Ehrlich, insieme a tanti altri studiosi, ha da-to l’avvio a un’iniziativa di ricerca, il MAHB (Millennium Assessment of Human Behavior), che si è poi tramutata nella Millennium Alliance for Humanity and the Biosphere, che ha come obiettivo proprio quel-lo di comprendere a fondo come sia possibile attuare questa rivoluzio-ne culturale.7

La palese dimostrazione scientifica dell’impossibilità di far vivere l’uma-nità al di sopra dei limiti biofisici del nostro pianeta sembra ormai mol-to più diffusa di qualche decennio fa, quando alcuni pionieri iniziarono a porre con forza questo problema.

Insieme a due studiosi delle scienze del sistema Terra, Paul Crutzen, premio Nobel per la chimica, e Willy Steffen, John McNeill ha scritto un articolo sulla rivista Ambio della Royal Swedish Academy of Sciences (l’Accademia scientifica che ogni anno assegna i Premi Nobel). I tre studiosi si sono concentrati sul fatto che le prove scientifiche sin qui acquisite documentano che ci troviamo in un periodo geologi-co che possiamo definire Antro-

pocene (proposta fatta per la prima volta dall’ecologo Eugene Stoermer e da Paul Crutzen nel 20009 e che approfondiremo adeguatamente in seguito), tanto sono evidenti i segni e la pressione dell’intervento uma-no a livello planetario su tutte le “sfere” (l’atmosfera, la pedosfera, la ge-osfera, l’idrosfera e la biosfera) nelle quali abbiamo artificialmente sud-diviso le componenti della nostra Terra.10

Il problema che si pone oggi all’intera umanità è come mantenere quegli equilibri dinamici che hanno consentito lo svilupparsi delle nostre civil-

John McNeill, professore al-la Georgetown University, nella sua analisi della storia

dell’ambiente del XX secolo scrive:8 “Inconsapevolmente, il

genere umano ha sottoposto la Ter-ra a un esperimento non controllato di dimensioni gigantesche. Penso che, con il passare del tempo, questo si ri-velerà l’aspetto più importante della storia del XX secolo: più della Seconda guerra mondiale, dell’avvento del co-munismo, dell’alfabetizzazione di mas-sa, della diffusione della democrazia, della progressiva emancipazione delle donne”.

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tà e che hanno condotto al nostro successo come specie, cercando di far sì che tutti gli esseri umani imparino a vivere nei limiti di un solo piane-ta, cioè cercando di praticare, nel concreto, la sostenibilità.Per questo motivo sono fonda-mentali le ricerche che vengono effettuate per analizzare i PAGES (Past Global Changes), cioè i nu-merosissimi cambiamenti globali che si sono verificati nel passato, e per paragonarli alle situazioni at-tuali, per comprendere le even-tuali necessità e capacità di reazio-ne che le società umane potreb-bero esercitare nei loro confronti.Un tema particolarmente interes-sante riguarda gli studi sui cam-biamenti globali del sistema cli-matico del passato. La modifica-zione della composizione chimica dell’atmosfera, dovuta all’inter-vento umano, provoca l’incre-mento dell’effetto serra naturale, e costituisce attualmente uno dei fat-tori di maggiore rischio per il nostro futuro, come vedremo più in det-taglio nel capitolo “La sostenibilità e il clima”.Purtroppo, il mondo politico ed economico non sembra avere familiarità con le conoscenze delle scienze del sistema Terra e con le ricerche delle paleoscienze che cercano di comprendere come si è modificato il nostro pianeta per cercare di comprendere, tra l’altro, quali paragoni possono essere ammissibili tra la situazione attuale e quelle passate.La cosa più singolare è che il mondo politico ed economico sembra igno-rare che gli stravolgimenti che si sono verificati nel passato, e che la scien-za sta spiegando con sempre maggiore accuratezza, non si sono certo ve-rificati in presenza di una popolazione umana di più di sette miliardi di persone (che dovrebbero diventare nove entro il 2045) che hanno colo-

Oggi ci troviamo nel pie-no di un fenomeno che gli scienziati definiscono GEC

(Global Environmental Chan-ge), cioè un cambiamento di di-

mensioni globali che si sta verificando sulla Terra, indotto da una sola specie, la nostra (da cui appunto la proposta di un nuovo periodo geologico da de-finirsi Antropocene) e i cui effetti so-no equivalenti a quelli prodotti dalle grandi forze della natura che hanno modificato la nostra Terra in tutta la sua storia.La nostra specie invece che essere pro-tagonista di un cambiamento ambien-tale globale che, paradossalmente, potrebbe condurre persino alla nostra estinzione, dovrebbe cercare di fare di tutto per salvaguardare gli equilibri di-namici che, appunto, le hanno consen-tito la capacità di civilizzazione.

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nizzato ormai in maniera fisicamente osservabile, attraverso i satelliti, al-meno la metà della superficie delle terre emerse.È molto interessante seguire tra i tanti programmi di ricerca quelli sui cambiamenti globali del passato, perché possono fornirci formidabili chiavi di lettura sulle similitudini con fenomeni che si stanno verifican-do anche adesso.Nell’ambito del programma di ricerca International Geosphere Bio-sphere Programme, a sua volta inserito nell’Earth System Science Part-nership, esiste un apposito programma di ricerche definito Past Global Changes,11 che riunisce gli studiosi che lavorano per comprendere come e perché hanno avuto luogo i grandi cambiamenti globali del passato (e quali effetti hanno prodotto).12

Nell’ambito dell’ultima era individuata dal Geological Time Scale, cioè dalla scala dei tempi geologici del nostro pianeta che sono analizzati, individuati e aggiornati dalla International Stratigraphic Commision, e che viene de-finita Era Cenozoica (la cui durata va da 65,5 milioni di anni fa a oggi), si ritiene che il cambiamento più significativo nelle condizioni della super-ficie terrestre sia quello che ha avuto inizio in corrispondenza del passag-gio tra il Paleocene e l’Eocene, verificatosi all’incirca 55 milioni di anni fa. L’importanza di questo evento, noto con il termine di PETM (Paleoce-ne-Eocene Thermal Maximum, Massimo termico del Paleocene-Eoce-ne), in particolare in relazione agli attuali cambiamenti globali indotti dall’intervento umano, riguarda il fatto che produsse un rapido riscalda-mento globale del sistema climatico, importanti modificazioni negli eco-sistemi e significative modifiche del ciclo del carbonio.Il PETM fu caratterizzato da un aumento delle temperature globali di cir-ca 6 °C nell’arco di circa 20.000 anni. Questo evento è oggetto di studi approfonditi che cercano di identificare le cause che lo hanno prodotto e le possibili correlazioni con il successivo incremento della concentra-zione di gas a effetto serra verificatosi nel corso dei millenni.Durante l’Eocene, la configurazione degli oceani e dei continenti era di-versa da quella attuale. Il livello di concentrazione atmosferica dell’ani-dride carbonica (CO2) del periodo era significativamente più elevato di quello odierno. Inoltre, non erano presenti calotte glaciali.

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Le temperature della superficie terrestre, come abbiamo visto, aumen-tarono di circa 6 °C a partire dalla fine del Paleocene e per tutta la pri-ma parte dell’Eocene. A questo graduale incremento, che ha avuto luogo su tempi lunghi, si sovrapposero almeno due picchi di incremento del-la temperatura, caratterizzati da un rapido riscaldamento globale, signi-ficativi cambiamenti ambientali e notevoli aumenti del livello di carbo-nio nell’atmosfera. Di questi, il PETM fu il più intenso e probabilmen-te fu il primo fenomeno di questo tipo che ebbe luogo nel Cenozoico. Un altro incremento di temperatura si registrò circa 53,7 milioni di anni fa (Ma) e viene identificato come ETM-2 (Eocene Thermal Maximum 2, Massimo termico dell’Eocene 2). È possibile che si siano verificate al-tre situazioni simili, e oggi il numero, la definizione, la datazione pre-cisa e il relativo impatto globale di questi incrementi delle temperature dell’Eocene sono oggetto di intense attività di ricerca.Nel corso di quei periodi il ciclo del carbonio ha subito significative mo-difiche e, in base ai dati disponibili, le stime dell’incremento di carbo-nio oscillano tra 2.500 e 6.800 miliardi di tonnellate nell’arco di un pe-riodo di circa 20.000 anni. Il clima, oltre che più caldo, dovrebbe anche essere diventato più umi-do, con un aumento del tasso di evaporazione che raggiunse il picco nei tropici. Anche in mancanza dell’apporto idrico derivante dalla fusione dei ghiac-ci, data l’assenza di calotte ghiacciate, il livello dei mari dovrebbe essere salito a causa del fenomeno dell’espansione termica.Il PETM ha causato un’estinzione di massa di percentuali significative di alcuni gruppi di organismi marini come i foraminiferi bentonici, che sono organismi unicellulari (Protozoi) che vivono nel fondo degli ocea-ni, mentre per quanto riguarda animali come i mammiferi sembra che abbia favorito la formazione di nuove specie. Diversi gruppi di mammi-feri, come gli artiodattili (animali come i cervi), i perissodattili (animali come i cavalli) e i primati (le scimmie) apparvero e si diffusero in tutto il globo tra i 13.000 e i 22.000 anni dopo l’avvio del PETM.Si ritiene che il PETM abbia avuto molteplici cause, tra cui l’incremen-to delle attività vulcaniche, gli assestamenti tettonici delle superfici del-

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le terre emerse (dovuti agli spostamenti delle placche che modificano la struttura, la posizione e la geografia dei continenti), le eventuali variazio-ni dell’eccentricità dell’orbita terrestre (che modificano la distanza della Terra dal Sole a causa delle variazioni dell’orbita ellittica del nostro pia-neta), l’eventuale impatto sulla Terra di una cometa ricca di carbonio, la fusione dei clatrati di metano (un mix di metano e ghiaccio presente nel suolo ghiacciato delle zone circumpolari la cui fusione produce l’emis-sione di grandi quantità di metano nell’atmosfera) ecc.Comparando la situazione attuale con quella del PETM, è possibile com-prendere meglio quali possano essere i livelli accettabili, per gli effetti che possono derivarne sulla civiltà umana, di anidride carbonica nell’at-mosfera. Queste ricerche hanno condotto studiosi come il climatologo James Han-sen, direttore del Goddard Institute for Space Studies della NASA e pro-fessore alla Columbia University,13 a indicare una concentrazione in atmo-sfera di 350 parti per milione (ppm) di anidride carbonica come “confine planetario” (tornerò successivamente su questo tema), che non dovremo superare, pena effetti devastanti per le società umane.14 Come sappiamo, oggi siamo a oltre 390. Hansen sottolinea le scale temporali nell’ambito delle quali ha luogo l’incremento della concentrazione dell’anidride car-bonica nella composizione chimica dell’atmosfera (per cause naturali o antropiche) e scrive: “La sorgente naturale di emissioni di CO2 dal sot-tosuolo ai pozzi di superficie, quando divisa tra oceano, atmosfera e bio-sfera, ammonta a pochi decimillesimi di ppm all’anno. Il pozzo natura-le, la decomposizione, è dello stesso ordine di grandezza. La sorgente e il pozzo naturali possono essere squilibrati, come quando l’India si sta-va muovendo attraverso quello che è oggi l’Oceano Indiano, ma questo valore si aggira tipicamente attorno a un decimillesimo di ppm all’an-no. In un milione di anni tale squilibrio modifica la concentrazione di CO2 in atmosfera di 100 ppm, che è davvero un cambiamento enorme. Ma l’uomo, bruciando i combustibili fossili, sta facendo aumentare la concentrazione di CO2 in atmosfera di 2 ppm l’anno. In altre parole, la forzante climatica indotta dall’uomo è di quattro ordini di grandezza – diecimila volte – più potente della forzante naturale. [...] L’uomo ha il

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controllo del clima futuro, sebbene in questo contesto la frase ‘ha il con-trollo’ sia fuori luogo.” Le indicazioni di James Hansen e di tanti altri climatologi hanno ispira-to una mobilitazione internazionale (che fa capo al sito web www.350.org) per cercare di riportare la concentrazione di anidride carbonica a 350 ppm.

La pressione umana sui sistemi naturali è divenuta ormai insostenibile.Il già citato John McNeill15 riassume come, dal decennio del 1890 al de-cennio del 1990, la pressione umana sulle risorse è andata crescendo in maniera straordinaria: la popolazione umana è aumentata di un fatto-re 4, la popolazione urbana di un fattore 13, l’economia mondiale di un fattore 14, l’output industriale di un fattore 40, l’uso dell’energia di un fattore 16, la produzione di carbone di un fattore 7, le emissioni di ani-dride carbonica di un fattore 17, l’uso dell’acqua di un fattore 9, la pe-sca delle risorse ittiche di un fattore 35.Dai dati desunti dalle analisi dei cosiddetti Vital Signs (i “segni vitali”, cioè quegli indicatori che danno conto dell’evoluzione della situazione complessiva delle nostre società dal punto di vista ambientale, sociale ed economico), così come li ha definiti il Worldwatch Institute, che pub-blica un rapporto annuale con questo titolo dal 1992, possiamo verifi-care come tutte le nostre attività di produzione e consumo di risorse ed energia continuino inesorabilmente a crescere.Prendiamo, per esempio, le automobili che circolano sulle strade di tut-to il pianeta.Secondo i dati del Vital Signs 2012, la “flotta” mondiale di automobili ha raggiunto i 669 milioni di vetture. Nel 1992 erano 413 milioni e nel 2000 500. Le automobili presenti sul pianeta erano invece, nel 1950, 53 milioni.Se includiamo anche i camion, grandi e piccoli, sulle strade di tutto il mondo oggi circolano 949 milioni di veicoli tra auto e camion.16 Nel 1992 in totale erano 559 milioni. Dal 2009 la Cina è diventata la prima produttrice di automobili.La Cina ha continuato a espandere sia la sua produzione di autoveico-

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li sia il numero di automobili possedute dai suoi abitanti. Attualmente si calcola che sulle strade cinesi vi siano più di 50 milioni di autoveicoli, una cifra simile a quella presente negli Stati Uniti nel 1947.Il settore trasporti è responsabile, a livello mondiale, di circa un quarto dell’utilizzo energetico e presenta la crescita più rapida di emissioni di carbonio rispetto a qualsiasi altro settore dell’economia. Il trasporto su strada pesa oggi per il 74% di tutte le emissioni di anidride carbonica dovute complessivamente al settore trasporti a livello mondiale.

È evidente che non è possibile continuare su questa strada.È proprio la scienza dell’ambiente che lancia un allarme: il nostro in-tervento sulla natura sta intaccando il funzionamento delle basi natura-li che garantiscono la sopravvivenza dei nostri sistemi sociali, così come sono presenti sul nostro pianeta.

Edward Wilson17 scrive: “Consideriamo l’essenza dell’ambientalismo co-me è stata definita dalla scienza. La Terra, a differenza degli altri pianeti del sistema solare, non è in equilibrio fisico. Dipende dal suo guscio che

è vivo e crea le particolari condizioni in cui la vita è sostenibile. Il suolo, l’acqua e l’atmosfera sulla superficie si sono evoluti nel corso di centinaia

di milioni di anni fino alla loro condizione attuale grazie all’attività della biosfe-ra, uno strato meravigliosamente complesso di creature viventi le cui attività sono collegate tra loro in cicli globali precisi, ma fragili, di energia e materia organica trasformata. La biosfera ricrea il nostro mondo speciale ogni giorno, ogni minuto e lo mantiene in un eccezionale e scintillante disequilibrio fisico. Di questo disequili-brio la specie umana è completamente schiava. Quando modifichiamo la biosfera in una qualsiasi direzione, allontaniamo l’ambiente dalla danza delicata della bio-logia. Quando distruggiamo ecosistemi e annientiamo le specie, degradiamo il più grande patrimonio che questo pianeta abbia da offrire e in tal modo minacciamo la nostra stessa esistenza. Non siamo scesi su questo mondo come esseri angelici. Né siamo alieni che hanno colonizzato la Terra. La nostra specie si è evoluta qui, una fra molte, nel corso di milioni di anni ed esiste in quanto miracolo organico, collegato ad altri miracoli organici. L’ambiente naturale che trattiamo con tanta insensata ignoranza e sconsideratezza è stato la nostra culla, il nostro asilo, la no-stra scuola e continua a essere la nostra unica casa. Siamo profondamente adat-tati alle sue particolari condizioni, in ogni singola fibra del corpo e in ogni singo-lo processo biochimico che ci dà la vita. Questa è l’essenza dell’ambientalismo, il principio ispiratore di quanti si occupano della salute del pianeta. Ma non è ancora una visione del mondo molto diffusa – evidentemente è ancora troppo poco per-suasiva per distogliere molti dai diversivi primari dello sport, della politica, della religione e delle ricchezze personali”.

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