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Atlante digitale del '900 letterario www.anovecento.net Sergio Corazzini Il tono sommesso della poesia delle piccole cose Le tematiche e le atmosfere più care alla sensibilità crepuscolare trovano espressione nella poesia di Sergio Corazzini, unanimemente riconosciuto come caposcuola del Crepuscolarismo, ma spentosi troppo presto per poter assurgere al ruolo di maestro. Morì, infatti, a soli ventun anni, il 17 giugno 1907, dopo una breve esistenza devastata dalla tisi e senza poter portare a compimento la sua arte che, tuttavia, rimane un vero e proprio manifesto della letteratura crepuscolare. Un poeta istintivo, sincero e pieno di temperamento nel quale è evidente una assoluta identità tra arte e vita, al punto che taluni versi delle sue poesie riemergono con dolorosa coerenza nelle lettere scritte agli amici più cari. In una lettera del febbraio 1907 ad Aldo Palazzeschi da Nettuno, dove era ricoverato a causa delle sue gravi condizioni di salute, scrisse: «Questa è forse l’ultima crisi. Abbi pietà di me. Vorrei dirti tante cose, dolci e serene, ma non so che piangere». Alcune espressioni usate in una lettera a Giuseppe Caruso del 1906 riecheggiano, in modo evidente, la descrizione del fanciullo “disperatamente triste, in un angolo oscuro” (vv.41-42) immortalato da Corazzini nella poesia Desolazione del povero poeta sentimentale: «L’anima del poeta abita nell’anima di un fanciullo […] E i fanciulli che piangono, Giuseppe? E piangono torcendosi le piccole mani, ciechi di lacrime, tutti colmi del loro dolore, muti in un angolo!». La sua poesia, così segnata dalla malattia e dal presentimento della morte imminente, è espressione di un profondo disagio esistenziale che non si risolve mai nella rivolta, non si esprime in atteggiamenti maledetti, ma si configura, piuttosto, come una rievocazione dolce di cose tristi, tra l’elegia e l’idillio. Nessuno, tra i poeti crepuscolari, seppe interpretare meglio il senso di rinuncia alla vita, la tristezza e la solitudine, gli affetti più comuni, il ripiegarsi sulle cose quotidiane. Tra le sue raccolte poetiche un posto di rilievo occupa Piccolo libro inutile, il cui titolo polemicamente allude alla inutilità della poesia nella moderna società, al punto che il volume fu messo in vendita senza prezzo, pensando che nessuno avrebbe mai comperato un libro inutile. Corazzini intendeva dire che la poesia aveva ormai perso ogni sacralità ed era inutile in una società consumistica che aveva ridotto anche l’arte a merce. Come tutti i poeti crepuscolari il nostro autore mette in discussione il valore stesso della poesia e il ruolo del poeta che non ha più messaggi eccezionali da proporre, ma è pienamente consapevole della perdita della sua funzione sociale. All’immagine del vate e del veggente si sostituisce quella del poeta-fanciullo. In Desolazione del povero poeta sentimentale così canta sommessamente Corazzini: «Perché tu mi dici poeta? / Io non sono un poeta / Io non sono che un piccolo fanciullo che piange /». Il poeta, rivolgendosi ad un immaginario lettore, rifiuta anche solo il nome di poeta, identificandosi con un piccolo fanciullo che, con le sue lacrime, dà voce al dolore degli uomini. Il non sentirsi poeta non è, comunque, il rifiuto della poesia in genere, www.anovecento.net

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Atlante digitale del '900 letterario

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Sergio CorazziniIl tono sommesso della poesia dellepiccole cose

Le tematiche e le atmosfere più care allasensibilità crepuscolare trovano espressionenella poesia di Sergio Corazzini,unanimemente riconosciuto come caposcuoladel Crepuscolarismo, ma spentosi troppopresto per poter assurgere al ruolo dimaestro. Morì, infatti, a soli ventun anni, il 17giugno 1907, dopo una breve esistenzadevastata dalla tisi e senza poter portare acompimento la sua arte che, tuttavia, rimaneun vero e proprio manifesto della letteraturacrepuscolare. Un poeta istintivo, sincero epieno di temperamento nel quale è evidenteuna assoluta identità tra arte e vita, al puntoche taluni versi delle sue poesie riemergonocon dolorosa coerenza nelle lettere scritteagli amici più cari. In una lettera del febbraio1907 ad Aldo Palazzeschi da Nettuno, doveera ricoverato a causa delle sue gravicondizioni di salute, scrisse: «Questa è forsel’ultima crisi. Abbi pietà di me. Vorrei dirtitante cose, dolci e serene, ma non so chepiangere». Alcune espressioni usate in unalettera a Giuseppe Caruso del 1906riecheggiano, in modo evidente, ladescrizione del fanciullo “disperatamentetriste, in un angolo oscuro” (vv.41-42)immortalato da Corazzini nella poesiaDesolazione del povero poeta sentimentale:«L’anima del poeta abita nell’anima di unfanciullo […] E i fanciulli che piangono,Giuseppe? E piangono torcendosi le piccolemani, ciechi di lacrime, tutti colmi del lorodolore, muti in un angolo!». La sua poesia, così segnata dalla malattia edal presentimento della morte imminente, è

espressione di un profondo disagioesistenziale che non si risolve mai nellarivolta, non si esprime in atteggiamentimaledetti, ma si configura, piuttosto, comeuna rievocazione dolce di cose tristi, tral’elegia e l’idillio. Nessuno, tra i poeticrepuscolari, seppe interpretare meglio ilsenso di rinuncia alla vita, la tristezza e lasolitudine, gli affetti più comuni, il ripiegarsisulle cose quotidiane. Tra le sue raccolte poetiche un posto dirilievo occupa Piccolo libro inutile, il cui titolopolemicamente allude alla inutilità dellapoesia nella moderna società, al punto che ilvolume fu messo in vendita senza prezzo,pensando che nessuno avrebbe maicomperato un libro inutile. Corazziniintendeva dire che la poesia aveva ormaiperso ogni sacralità ed era inutile in unasocietà consumistica che aveva ridotto anchel’arte a merce. Come tutti i poeti crepuscolariil nostro autore mette in discussione il valorestesso della poesia e il ruolo del poeta chenon ha più messaggi eccezionali da proporre,ma è pienamente consapevole della perditadella sua funzione sociale. All’immagine delvate e del veggente si sostituisce quella delpoeta-fanciullo.In Desolazione del povero poetasentimentale così canta sommessamenteCorazzini:

«Perché tu mi dici poeta? / Io nonsono un poeta / Io non sono che unpiccolo fanciullo che piange /».

Il poeta, rivolgendosi ad un immaginariolettore, rifiuta anche solo il nome di poeta,identificandosi con un piccolo fanciullo che,con le sue lacrime, dà voce al dolore degliuomini. Il non sentirsi poeta non è,comunque, il rifiuto della poesia in genere,

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ma di quella tradizionale, aulica, in nome diun’arte nuova, in cui emozioni e sentimentisemplici si contrappongono alle esperienzeeccezionali del super-uomo:

«Io so che per esser detto poetaconviene / viver ben altra vita!» (vv. 52-53) La poesia, dunque, non assurge amonumento di bellezza, né diventaespressione di verità assoluta, ma dà voceall’uomo comune.Molte appaiono nel testo le suggestionipascoliane, compresa la figura del fanciulloche, diversamente da quello pascoliano chesvolge una funzione conoscitiva, è smarrito edolente, percepisce solo il senso di morte el’inutilità della vita: «Oggi io penso amorire. / Io voglio morire, solamente perchésono stanco». Questa immagine dell’uomostanco richiama alla mente una figura tipicadella letteratura dei primi del ’900, messa inrisalto da Gozzano e da un altrocontemporaneo come Svevo, ossia quella diun uomo inetto e malato:

«Oh, io sono veramente malato! / Emuoio un poco ogni giorno!» (vv.48-49)

«Io mi comunico del silenzio,cotidianamente, come di Gesù. / E isacerdoti del silenzio sono i romori, /poi che senza di essi io non avreicercato e trovato il Dio». (vv.30-32)

Sopraffatto da questo senso di angoscia chesfocia in un irreversibile cupio dissolvi, ilpoeta si rifugia in una sorta di consacrazionedel silenzio, unica sua certezza in unacondizione di drammatica aporia esasperatada un doloroso accenno di rassegnato

nichilismo: non si può dire nulla, tutto èinutile, esistono solo la solitudine e l’oblio. Lapoesia diventa, inevitabilmente, espressionedi un malessere profondo, simboleggiato,ancora una volta, dalla figura del fanciullino:«Mi sembrò di essere un piccolo e dolcefanciullo / dimenticato da tutti gli umani, /povera tenera preda del primo venuto;».(vv.34-36)Nella parte finale della poesia la stanchezzaesistenziale sembra trovare un lieve confortonel sentimento religioso, al punto che il poetaconclude, rassegnato, con l’invocazione a Dioe la nota formula liturgica «Amen».Sul piano formale la lirica è basata su undialogo fittizio, in realtà un monologo,dall’andamento discorsivo e prosastico, conprevalenza di versi liberi e la quasi assenza dirime, cosa che conferisce al testo il tono diuna confessione intima e privata.Lo stile, semplice e piano, si accompagna adun linguaggio quotidiano, anche se sonopresenti taluni arcaismi (lagrime, angioli,cotidianamente, etc.) indizio di una certaricercatezza letteraria. La sintassi ècaratterizzata da costrutti minimi e ilperiodare, talora, appare incerto e faticoso.Corazzini privilegia il verso libero in cui nontroviamo rime, ma qualche assonanza e laparola-rima.

Contributo

Gazzaneo Vincenzo, Montesano Stefano,Policastro Giuseppe, Genovese Francesco, Faviere

Fabio (classe V A, L. C. “A. Moro”, Praia a Mare(CS)

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