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www.deportati.it euro 2,50 Giornale a cura dell’Associazione nazionale ex deportati nei Campi nazisti e della Fondazione Memoria della Deportazione Nuova serie - anno XXIX Numero 1-3 . Gennaio-Marzo 2013 Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT T R I A N G O L O R O S S O I GRANDI DELLA DEPORTAZIONE ELLEKAPPA ...e con la rete lo dico anche a casa e a scuola Viaggio, imparo e racconto Ada Buffulini Prigioniera nel lager diede vita e azione assieme ad altri a un CLN clandestino Ripristinare nella sua integrità il Patto Costituzionale La richiesta degli ex deportati nei campi di sterminio Il discorso di Gianfranco Maris in piazza Duomo a Milano il 25 aprile Da Reggio Emilia in mille visitano Terezin (da pagina 10)

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w w w. d e p o rt a t i . i teuro 2,50

Giornale a cura dell’Associazione nazionaleex deportati nei Campi nazisti e della Fondazione Memoria della Deport a z i o n e

Nuova serie - anno XXIXNumero 1-3 . Gennaio-Marzo 2013Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/clegge 662/96 - Filiale di Milano

ITT R I A N G O L OR O S S O

I GRANDIDELLADEPORTAZIONE

ELLEKAPPA

...e con larete lo dicoanche a casa e a scuola

Vi a g g i o ,i m p a ro er a c c o n t o

A d aB u ffulini

Prigioniera nellager diede vita e azione assiemead altri a unCLN clandestino

R i p r i s t i n a re nella sua i n t e g r i t àil Patto C o s t i t u z i o n a l e

La richiesta degli ex deportati neicampi di sterminio

Il discorso di GianfrancoMaris in piazza Duomo a Milano il 25 aprile

D a Reggio Emilia inmille visitano Terezin

(da p a g i n a1 0 )

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QUESTO NUMERO

Pag. 3 R i p r i s t i n a re nella sua integrità il patto Costituzionaledi Gianfranco Maris

Pag. 6 Gli scioperi del marzo 1943, l’inizio della fine del regime...di Carlo Ghezzi

I GRANDI DELLA DEPORTAZIONEPag.10 Ada Buffulini

di Dario Ve n e g o n i

Pag. 16 Gli incontri della Fondazione Memoria della Deportazione con le nuove generazioni delle scuole milanesi

di Massimo Castoldi

LE NOSTRE STORIEPag. 18 Calogero Marrone finalmente riconosciuto dallo Yad Vashem “Giusto

fra le Nazioni” di Franco GiannantoniPag. 22 “ L’eroica opera delle suore di “Casa San Giuseppe” nel salvataggio

degli ebrei al confine italo-svizzero di Franco GiannantoniP ag. 30 L’ultimo volo del deportato Guido Focacci, partigiano. Il ricordo e la

storia parallela dell’amico Marcello Martini di Alessandra Mart i n iPag. 32 Arpad Weisz, allenatore. In Italia vinse tre scudetti: ebreo, emigrò in

Olanda e fu ucciso ad A u s c h w i t z di Mara MarantonioPag. 34 Quei due orecchini, tutto il mio tesoro, salvati per due anni e mezzo

nello spavento del Lager di Romolo Vi t e l l iPag. 36 L’amaro esodo spagnolo: da Angoulême deportati in 927 a

Mauthausen. Ma tornano solo le donne di Pietro RamellaPag. 40 G i o rgio Labò, critico d’arte e partigiano medaglia d’oro.

Fabbricava bombe con Gianfanco Mattei di Ibio Paolucci

DOSSIERPag. 43 Teresa Mattei ci ha lasciato il 12 marzo a 92 anni

Partigiana combattente, giovanissima fece parte dell’Assemblea Costituente

Pag. 44 La giovane allieva ci indicò chi era il professore.Teresa Mattei sull’uc-cisione di Giovanni Gentile di Giancarlo Maniga

Pag. 46 Nel nuovo film di Margarethe von Trotta “Hannah Arendt”. La filosofa e la storia di Sauro Bore l l i

Pag. 48 Letteratura e Resistenza. L’inflessibile memoria di Vittorio Serenidi Vincenzo Vi o l a

Pag. 50 Tra censura e consenso. Le vicende dell’editoria nell’Italia fascistadi Massimo Castoldi

Pag. 52 Nel campo di Ravensbrück per la festa della Liberazionedi Giovanna Massariello

VIAGGI DELLA M E M O R I APag. 54 Vado, imparo e con la rete lo racconto alla città di Adriano A r a t iPag. 56 Anno dopo anno sono montagne di ricordi di Marco Balestra

B I B L I O T E C APag. 58 Lettere e poesie da Theresienstadt di Ilse We b e r

di Susanne Bart aPag. 60 Ritrovato un diario sull’assedio di Leningrado

di Ibio PaolucciPag. 62 Vittorio Tredici, di Iglesias, “Il fascista che salvò gli ebrei”

di Paolo PulinaPag. 64 Suggerimenti di lettura a cura

di Franco Giannantoni

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ITTriangolo RossoPeriodico dell’Associazione nazionale ex deportati nei Campi nazisti e della Fondazione Memoria della Deportazionee-mail: s e g r e t e r i a @ f o n d a z i o n e m e m o r i a . i t

Una copia euro 2,50, abbonamento euro 10,00Inviare un vaglia a: A n e d - via San Marco 49 - 20121 MilanoTelefono 02 76 00 64 49e-mail Aned nazionale: [email protected] Aned di Milano: [email protected]

Direttore Gianfranco MarisComitato di presidenza dell’AnedGianfranco Maris p r e s i d e n t eTiziana Va l p i a n a vice presidenteDario Ve n e g o n i vice presidenteGuido Lore n z e t t i t e s o r i e r eMiuccia Gigante segretario generale

Triangolo Rosso Comitato di redazioneGiorgio Banali, Angelo Ferranti, Franco Giannantoni, Ibio Paolucci (coordinatore), Pietro RamellaSegreteria di redazione Elena Gnagnetti

Gli organismi dellaFondazione Memoria della Deport a z i o n eBiblioteca A rchivio Pina e Aldo RavelliVia Dogana 3, 20123 Milano- Tel. 02 87 38 32 40Gianfranco Maris p r e s i d e n t eGiovanna Massariello vice presidenteElena Gnagnetti segreteria e bibliotecaMassimo Castoldi attività didatticaVanessa Matta a r c h i v i o

Consiglio di amministrazione Gianfranco Maris p r e s i d e n t eMaria Chiara Acciarini, Ionne Biffi, Divo Capelli, Alessio Ducci, Guido Lore n z e t t i ,Floriana Maris, Giovanna Massariello, Anna SteinerComitato storico scientificoGianfranco Maris p r e s i d e n t eA l f redo Canavero, Claudio Dellavalle,Brunello Mantelli, Gianni Pero n a

Collegio dei revisori dei contiRiccardo Ferrante p r e s i d e n t eGiuseppe Calstelnovo, Giuseppe Valota Comitato dei garanti Osvaldo Corazza, Raffaele Maruff i

Collaborazione editorialeFranco Malaguti, Isabella Cavasino g r a f i c a t o rr i @ t i n . i tChiuso in redazione il 6 maggio 2013Stampato da Stamperia scrl - Parma

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IT

R i p r i s t i n a re nella sua integrità

il patto Costituzionale

La richiesta degli ex deportati nei campi di sterminio

Milano 2013

Nei primi giorni dell’aprile del1944, 70 anni fa, gli operaiitaliani entrarono decisamente

nella Resistenza, con uno sciopero cheil Comitato Segreto, che lo org a n i z z ò ,definì “insurrezionale”, perché conquesta scelta non solo gli operai siponevano al fianco dei combattentidella guerra di liberazione,legittimandola e denunciando lacriminalità, le rapine e losfruttamento del lavoro da parte deinazisti e dei fascisti, ma chiamavaanche tutta la società civile aschierarsi a sostegno della Resistenza.

Il discorso di Gianfranco Maris a Milano in piazza del Duomo il 25 aprile 2013

Milano 25 aprile 1945, la festa della Liberazione

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Questa azione, unica in un Paesemesso a ferro e fuoco e ridotto allafame dai nazisti e dai fascisti, suscitò

l’ammirato consenso di tutte le forze democratichee indusse il New York Ti m e s a darne informazioneal mondo. Gli operai furono arrestati a migliaia in tutta l’Italiaoccupata e tutti gli arrestati, nessuno escluso,furono deportati nel campo di annientamento diMauthausen, dove il 70% di loro lasciò la vita,eliminati dalla criminalità del lavoro stesso e dalle camere a gas.

L’attuale spaventosa crisi economica, chedilacera il nostro Paese, colpendo soprattuttoil lavoro, ci impone di non dimenticare il

ruolo che gli operai italiani ebbero nella lotta per lalibertà, dalla quale nacquero il 2 giugno 1946 laRepubblica e il 1° gennaio 1948 la Costituzione,legge che avrebbe dovuto immediatamenterimuovere dalla nostra comunità tutti gli ostacoliche impediscono agli uomini di essere uguali e ailavoratori di partecipare alla direzione politica delP a e s e .

Ma alla Resistenza e ai lavoratori fu subitoimpedito di realizzare la comunitàdemocratica di cui il Paese aveva bisogno.

Fu invocata la continuità dello Stato,contrabbandando, in questa prospettiva giuridica,una vera e propria restaurazione: amministrativa,diplomatica, militare e, per molto tempo, ancheg i u d i z i a r i a .

Per la cosiddetta continuità tutti ritornarono inservizio: tutti i Prefetti, tutti i Questori, tutti gliAmbasciatori, tutti i Generali e tutti gli

Ammiragli che avevano servito il fascismo, fedeliservitori della dittatura.E imprenditori e banchieri ripresero, tramite costoro,a imporre al Paese soltanto i propri interessi disempre, ben consenzienti perché la continuitàamministrativa fascista corrispondeva esattamente ailoro interessi.E la Costituzione fu calpestata.

Le leggi, chiamate a regolare i rapporti con tuttii cittadini, furono quelle fasciste: il testo unicodelle norme di pubblica sicurezza varato nel

Gli stessi imprenditori e gli stessi banchieri ripresero dir

...e dal 1945 la fasulla continuità dello Stato fu sostenuta co

Ma fu subito impedito alla Resistenza di realizzare la co

Alcune foto di Ando Gilard i( p a rtigiano e deportato) chegirò l’Italia del dopoguer -ra, ritratta con un’otticache la immaginava pro i e t -tata in un futuro migliore. Vi si affacciano donne ebambini: sorrisi per “sep -p e l l i re” l’arroganza di unp o t e re inesorabile e inva -dente. Un momento magico e irr i -petibile, nella storia delleclassi lavoratrici. S g u a rdo insolito, sull’Italiadella ricostruzione e del -l’inizio del boom, da part edi un testimone contempo -r a n e o .Dal volume “olive e bullo-ni”per concessione dellaFototeca Storica Nazionale-Ando Gilardi

IT

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1931 da Alfredo Rocco, il giurista che costruì le basigiuridiche della dittatura fascista.

Il potere esecutivo disattese il preciso dovere chela Costituzione gli imponeva, di creare la CorteCostituzionale e il Consiglio Superiore della

Magistratura. Per la Corte Costituzionale attese ilmarzo del 1953 e per il Consiglio Superiore dellaMagistratura il marzo 1958.

Quando le forze democratiche riuscirono aimpugnare le norme del testo unico dellalegge di pubblica sicurezza davanti alla Corte

Costituzionale, con ben 30 ordinanze di Pretori ditutto il Paese, il potere esecutivo mandò l’Av v o c a t u r adello Stato a difendere davanti alla Corte il propriointeresse di utilizzare, anziché le norme dellaCostituzione, la legge di pubblica sicurezza e diignorare totalmente gli articoli 13, 17, 18, 21 e 25della Costituzione, tutte di immediata applicazione,predisposte proprio perché tutti i cittadini italianifossero immediatamente ammessi a manifestareliberamente il proprio pensiero, a riunirsi liberamenteed a partecipare direttamente alla direzione politicadella comunità.

Non solo, ma dall’estate del 1945, fino aiprimi anni 60, questa fasulla e verg o g n o s acosiddetta continuità dello Stato fu sostenuta

con una diffusa offensiva giudiziaria contro ipartigiani, incriminati come se avessero compiutoreati e non atti di guerra, per le azioni da loro postiin essere durante la lotta di liberazione, ai qualiveniva negata la connessione delle loro azioni con laguerra di liberazione, così contestando la legittimitàstessa della Resistenza.Questa non è soltanto storia remota.Ancora oggi la Costituzione non è per tutti la leggedelle leggi.

In questo 25 aprile noi chiediamo che quel pattofondamentale sul quale si reggono la storia e lamemoria della nostra lotta antifascista sia

integralmente rispettato.

La Costituzione è la nostra legge, la nostrademocrazia, il nostro bene comune, di cuivogliamo l’assoluta osservanza da parte di

tutti i cittadini e di tutti i rappresentanti politici. Gianfranco Maris, Presidente dell’Aned

o direttamente nelle loro mani gli interessi di sempre...

ta con una diffusa offensiva giudiziaria contro i part i g i an i

la comunità democratica di cui il Paese aveva bisogno.

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Il 5 marzo del `43 le fab-briche di Torino comin-ciarono a fermarsi. Tu t t o

iniziò alle 10 del mattinon e l l ' o fficina 19 quando glioperai della Fiat Mirafioridiedero il via allo sciopero.In pochi giorni centomila la-voratori incrociano le brac-cia: fu la prima grande ri-bellione operaia che si este-se rapidamente in tutte lefabbriche del Nord. Fu uncrescendo che fece impaz-zire la Questura e il PartitoNazionale Fascista e giun-

se al blocco di Torino il 12marzo. Poi l'estensione del-lo sciopero a Milano,all'Emilia, al Veneto e allaToscana dove gli scioperiproseguirono fino a fine me-se. I rapporti inviati dalle au-torità a Roma trasudava-no di incredulità per q u a n-to avvenuto; quanto ac-cadde era ritenuto impos-s i b i l e . Scioperare costitui-va allora un grave reato equelle mobilitazioni im-pressionarono anche la gran-

de stampa internazionale.Fu reso manifesto il disfa-cimento del regime fascistae del suo sistema di con-senso. Fu un colpo terribileper la credibilità di Mus-solini. Il fascismo aveva pre c i p i-tato il paese nell’a v v e n t u-ra più tremenda, la guer-ra a fianco di Hitler. Unaguerra non sentita che, dopola resistenza di Stalingradoalle truppe di Hitler e le scon-fitte inflitte dagli inglesi aitedeschi in Africa dalla fi-ne del 1942, venne avverti-ta da gran parte del paesecome persa. Molti settoridella società italiana quali

la Corona, l’imprenditoria,gli intellettuali, l’esercito,la Chiesa, parti dello stessofascismo si interrogaronosu come uscire dalla trage-dia nella quale era finito ilp a e s e .N e l l ’ i n c e rtezza sulle pro-spettive dell’Italia perònon si mosse nessuno. Simossero solo i lavoratori,da sempre trattati come sov-versivi ogni qual volta simobilitavano per la loroemancipazione, da sempreduramente repressi e tenutia margine dalla direzionedell'Italia; costoro diederouna spallata decisiva al fa-scismo e ne disvelarono le

di Carlo GhezziS e g retario della Fondazione Di Vi t t o r i o

Gli scioperidel marzo1943, l’iniziodella finedel regime...

...partonorapportiincredulidelleautoritàfasciste

Sono passati settant’anni da quell’ evento st

Il controllo del Fascio sui lavoratori: una sfilata di giovani operai specializzatidella Fiat organizzata dalla Gioventù Italiana del Littorio (Gil) il 18 ottobre 1941.

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debolezze dopo che la guer-ra ne aveva messo in lucetutte le contraddizioni.Quelle lotte operaie chie-devano l’aumento dei com-pensi, delle razioni dei vi-veri nelle mense, chiedeva-no la possibilità di eleggerei propri rappresentanti. Machiedevano in buona so-stanza la fine della guerra. Emerse in tali forme unavasta opposizione di mas-sa ai fascisti e ai nazisti conun carattere partecipato, aviso aperto, armato solodella propria determina-zione di aff e r m a re i pro-pri diritti. Un fatto che nonebbe eguali per ampiezza inEuropa in quei drammaticianni. Solo gli scioperi delmarzo del 1944 videro unadimensione partecipativapiù vasta. Quegli avvenimenti pas-sati alla storia come "gliscioperi del marzo 1943",s e g n a rono l'inizio del cro l-lo del regime fascista e rap-presentarono il primo, veroe corale episodio dellaResistenza antifascista.Furono la scintilla che die-de avvio a quel grande pro-cesso storico con il qualel'Italia avrebbe riconquista-to, oltre alla libertà, anchela sua dignità.Già negli ultimi mesi del`42 dalle fabbriche tori-nesi e milanesi erano giun-te sul tavolo dei gerarc h iromani alcuni rapporti al-larmanti che parlano diprime fermate spontanee,di rischi di sabotaggio, did i ffusa disaffezione al la-voro e al regime. In quei me-si Umberto Massola, un di-rigente comunista rientratoin Italia con lo scopo di ri-costituire il centro internodel suo partito più voltesmantellato dalla polizia po-litica, nella città della Fiataveva riannodato la rete deimilitanti clandestini e ave-va puntato sulle fabbriche esopratutto su Mirafiori.L'intuizione fu quella di pre-parare una sorta di piat-

taforma sindacale conte-nente delle rivendicazioniche potessero raccogliere ilconsenso delle masse ope-raie. Non più dunque unacospirazione di carattere pa-ramilitare, ma la prepara-zione clandestina di una lot-ta di massa. Nei primi mesi del ̀ 43 pic-cole fermate spontanee al-le Ferriere, alla Diatto, al-la Fiat Spa e in altre fab-briche fecero capire cheera giunto il tempo di unos c i o p e ro vero e pro p r i oc o n t ro la guerra, la mise-ria delle condizioni di vi-ta e di lavoro, il re g i m e . L eparole d'ordine furono: pa-ne, pace e libertà. La reteclandestina divenne semprepiù fitta, ma non avrebbe po-tuto stringersi senza quellapredisposizione covata a lun-go nelle osterie della bar-riera torinese, cresciuta spon-taneamente sotto i bombar-damenti e nelle lunghe ore dilavoro militarizzato.La piattaforma chiedeval'estensione a ogni lavora-t o re di quella gratifica eco-nomica, 192 ore di salario,data agli operai sfollati dal-le città in conseguenza deib o m b a r d a m e n t i. Chiedevala fine della militarizzazio-ne delle officine. Chiedevala possibilità di eleggere leproprie Commissioni In-terne. Ciascuna fabbrica ciaggiungeva qualcosa, so-prattutto su orario e condi-zioni di lavoro. Alcuni avan-zavano anche diverse altrepiccole rivendicazioni co-me ad esempio i ricambi deipneumatici per la propria bi-cicletta. Con queste richie-ste partì dapprima lo scio-pero del 5 marzo in alcunireparti di Mirafiori. Nellostesso giorno si fermaronole Officine Rasetti, la Mi-crotecnica e lo sciopero te-se a dilagare.Nei giorni successivi si mos-sero altre fabbriche torinesi:Grandi Motori, Fiat A e r o-nautica, Savigliano, Lancia,Riv e Lingotto. Mirafiori si

fermò completamente an-che il 12 marzo insieme aitramvieri e a tutte le altre in-dustrie torinesi, stavolta nonalle 10 del mattino ma do-po la pausa di mezzogior-no. Gli operai non rientraro-no nelle officine e il salo-ne della mensa che ospita-va i 15 mila addetti dellapiù grande fabbrica ita-liana divenne il teatro didecine di comizi e capan-n e l li. Di li il movimento cre-scerà e si allargherà nei gior-ni successivi a tutto il Nord,soprattutto a Milano dovescioperarono la Falk, laBreda, la Marelli, la Pirelli

Bicocca, l'Alfa Romeo e laBorletti. Si fermarono an-che Marghera, la Ducati diBologna, la Galileo e laNuova Pignone di Firenze.Le forze del lavoro asse-s t a rono al fascismo un col-po davvero formidabile eil regime crollerà via v i asubendo un altro colpo pe-sante con lo sbarco degli al-leati anglo-americani inSicilia, con i bombardamentisubiti da tante città italia-ne, con il 25 luglio e la de-stituzione di Mussolini, l'8settembre, la Resistenza, fi-no allo sciopero insurre-zionale del 25 aprile del1945.

o storico straordinario. Rileggiamoli

Fu il primo passoverso la Resistenza.Cominciò cosìil camminodei lavoratori per diventare classe dirigenteTra i grandi soggetti sociali il lavoro, nella sua acce-

zione ampia, fu in quella difficile fase storica unodei pochi soggetti appropriati a una legittimazione

democratica e nazionale in un paese circondato daprofonde riserve, da sospetti e con pochi titoli di creditotra le mani. Fu il lavoro ad aprire la strada della democra-zia e ad imporre alle altre classi dirigenti, bisognose diuna rilegittimazione, la necessità di fare i conti con le pro-prie istanze politiche e sociali contribuendo notevolmentea cambiare i termini del confronto in atto con l’interventodelle grandi lotte operaie sulla scena di una Italia impe-gnata nel conflitto. E questo divenne anche la “dinamicadi contrattazione” sul quale si costruì la mediazione allabase della Carta Costituzionale. segue

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Dopo, riconquistata la libertà e la democrazia, venne lasconfitta della monarchia e vi fu l'approvazione dellaCostituzione. Quelle lotte della Resistenza e del lavo-

ro portarono ad un patto nazionale le cui radici sociali furononette e ben visibili. Quella Costituzione, quel patto e quelleradici sociali che oggi molti intendono mettere in discussionein controtendenza con l’Europa nella quale nessuno pensa dirivedere la propria carta fondamentale ma si discute invece didefinire una Costituzione europea.La nostra Costituzione, che costituisce l’approdo importantedi quella fase storica, è il patto che il lavoro ha imposto alleclassi dirigenti compromesse col fascismo per potersi rilegit-timare. Al primo punto la Costituzione afferma che: “l’Italiaè una Repubblica democratica fondata sul lavoro” e da pienoriconoscimento al valore del lavoro, riconosce piena cittadi-nanza a coloro i quali per lunghi decenni furono consideratidei “sovversivi” contro la collettività, con il gendarme schie-rato regolarmente contro di loro e dalla parte degli agrari,degli imprenditori e dei crumiri ogni qual volta erano incampo iniziative per ottenere il riconoscimento dei diritti deil a v o r a t o r i .

Oggi da parte di molti si cerca insistentemente di rac-contare di un paese nel quale nel corso del '900 tuttihanno sbagliato qualcosa, tutti hanno avuto delle

pesanti e disdicevoli responsabilità sulle proprie spalle. Nelquale nessuno è più responsabile di niente, tutti sono sullostesso piano, tutti sono assolti dal loro passato, tutti sonouguali; nessuno deve più rispondere all’Italia delle responsa-bilità gravissime che la sua parte si è assunta. Per tutti si puòe si deve voltare pagina ed andare avanti come se la storiadell’Italia cominciasse oggi. Senza storia ne memoria delpassato, senza coscienza del proprio presente, senza prospet-tive per il proprio futuro. Bisogna invece ricordare, analizza-re, capire, far si che gli errori e gli orrori non si ripetano.Il fascismo aveva attaccato negli anni venti una democraziafragile che aveva scelto di tener fuori le masse cattoliche e le

masse lavoratrici di orientamento socialista dalla partecipa-zione alla vita dello Stato. Aveva usato una feroce violenza eaveva abilmente giocato sulle divisioni e sugli errori dei par-titi democratici ed era riuscito ad imporsi. La Resistenzainvece fu resa possibile e più forte dal fatto che le grandiforze popolari seppero trovare la loro unità, a differenza diquanto accadde nel 1922, e seppero coinvolgere tantissimiitaliani.

Èassurda la descrizione che taluni commentatori fannodi una Italia dove vi erano pochi fascisti, pochi antifa-scisti e una massa grigia, inerte ed indifferente della

stragrande maggioranza della popolazione. La Resistenza fucombattuta da 250 mila partigiani che poterono operare gra-zie alla solidarietà delle tante persone che li aiutavano e lisostenevano, ma fu sorretta anche dai 650 mila militari ita-liani internati perchè si rifiutarono di servire nellaRepubblica di Salò. Resistenza fu la scelta di una parteimportante dell’Esercito italiano di schierarsi con gli A l l e a t ie che fu pagata sanguinosamente con massacri orribili comequello di Cefalonia. Resistenza furono: la rete dei militanti del Cln operanti neipaesi, nei quartieri delle nostre città, nei luoghi di lavoro. Fuil contributo dato da tante parrocchie con 250 sacerdotideportati e 210 fucilati. Tanti variegati movimenti ed asso-ciazioni che si sono spesso spontaneamente formati. Furonogruppi di difesa della donna, il fronte della gioventù, furono icomitati di mobilitazione nelle aziende ed altro. Con la Resistenza e con chi si opponeva al fascismo eranosolidali tante famiglie angosciate per i loro cari al fronte acombattere una guerra ormai perduta, i sofferenti per la man-canza dei generi di prima necessità con i relativi prezzi allestelle, in città sottoposte notte dopo notte a martellanti bom-bardamenti, mentre molti lavoratori e molti macchinari veni-vano portati in modo coatto in Germania per alimentare letraballanti capacità produttive della macchina bellica tede-sca. Resistenza fu la partecipazione di oltre un milione di

Resistenza fu la partecipazione di oltre unmilione di lavoratori agli scioperi del 1943

Il fascismo aveva attaccato negli anni venti una democrazia fragile

Gli scioperidel marzo1943, l’iniziodella finedel regime...

...l’intervento delle lotte sindacali sulla scen

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...quelle persone che seppero scegliere settanta anni or sono con grande coraggio

Divisioni e tensioni sociali rischiano di amplificare ulteriormente le diff i c o l t à

lavoratori agli scioperi del marzo 1943. Allora ci rendiamoconto di quanta parte del popolo italiano chiedesse la finedella guerra, della occupazione straniera, il ritorno alla demo-crazia, alla pacifica convivenza civile, a una maggior giusti-zia sociale; ci rendiamo conto di quanta parte del popolo ita-liano era schierata contro i nazi-fascisti. I lavoratori assunsero per primi delle clamorose iniziative apartire dagli scioperi del marzo 1943 che li fecero divenireclasse dirigente, che permisero loro di svolgere una funzionenazionale, che li resero protagonisti determinanti per il desti-no del nostro paese. Alcuni storici minimizzano le conse-guenze di queste mobilitazioni declassandole a fisiologicheespressioni di protesta prodotte dal malcontento popolare inperiodo di guerra. Dagli operai di Londra bombardata ogninotte dalle V1 e dalle V2, oppure dalla popolazione diStalingrado stremata dall’assedio nazista, non venne avanzataalcuna richiesta di pace nè di cessazione della guerra ma sievidenziò invece la volontà di resistere e di sconfiggere inazisti. In Italia invece il lavoro fece sino in fondo la propriaparte e svolse una funzione straordinaria.

Quando terminò il conflitto in Europa i resistenti di tuttii paesi dichiararono solennemente: “mai più guerre ,mai più persecuzioni razziali”. Si aprivano in quella

primavera del 1945 degli scenari ricchi di passione e di spe-ranza nei singoli paesi e nel mondo. Sappiamo invece quantoè ancora lungo e irto di ostacoli il cammino verso la pace, latolleranza, la solidarietà, la giustizia sociale.Sono trascorsi tanti anni da allora, la nostra società ha fattoindubbiamente tanti passi in avanti, ma nuove sfide ci incal-zano a partire da una crisi economica che non ha pari se nonin quella del 1929. E’ andato in crisi un modello di globaliz-zazione senza regole basata sulla illusoria capacità dei merca-ti di autoregolamentarsi; un modello sviluppatosi grazie aduna colpevole lasciar fare in campo finanziario da parte diogni autorità preposta. E’ andata in crisi l’idea di fare i soldicon i soldi anziché con la produzione di ricchezza frutto del

lavoro e dei lavori. All’esplodere della crisi finanziaria hafatto seguito il crollo dei consumi e una crisi industriale desti-nati a durare a lungo. La recessione economica non si arrestae con essa l’espulsione dal sistema delle imprese di centinaiadi migliaia di precari come di lavoratori occupati nei settoriproduttivi e dei servizi. Divisioni e tensioni sociali rischianodi amplificare ulteriormente le difficoltà in un momento giàd i fficile per tutto il Paese. Sappiamo che ogni crisi contieneda sempre in se dei pericoli ma anche delle grandi opportu-nità che bisogna saper cogliere.

Vi è dunque l’urgenza e al tempo stesso l’occasione diavanzare una nuova idea di economia e di mercato, dia ffermare un equilibrato ruolo dello Stato, una più

avanzata idea di società, un modello di sviluppo sostenibile,una diversa giustizia sociale, una maggior eguaglianza. Unagrande sfida per i governi e per i popoli nel nostro paese e nelm o n d o .Sappiamo dei gravi problemi che incontra oggi la costruzionedi una Europa unita come delle sfide che vanno condotte inun mondo che deve saper costruire ovunque una politica dipace. Abbiamo più che mai bisogno di riferimenti e di valori forti,come li seppero costruire quelle persone che seppero sceglie-re settanta anni or sono con grande coraggio, abbiamo biso-gno di rinnovare le loro speranze. Anche i loro sogni.Abbiamo bisogno di donne e di uomini ancora capaci di indi-gnarsi di fronte alle ingiustizie, alla carenza di democrazia, dilibertà, di pace, abbiamo bisogno di organizzarci con intelli-genza, con tenacia, con determinazione per portare avantiquesti obbiettivi ripartendo dalla memoria dei passaggi piùd i fficili che il nostro paese ha saputo superare. Per riproporrei valori di solidarietà, di unità, di coesione civile, di riconosci-mento del grande valore sociale del lavoro e della sua centra-lità nella società moderna che sono posti alla base dellanostra Costituzione. Una carta fondamentale straordinaria,più che mai attuale. Da attuare pienamente e da difendere.

...il grandevalore sociale del lavoro e della suacentralitànella societàmoderna.

scena di una Italia impegnata nel conflitto

6 maggio 1945 a Torino: il gruppo delle squadre di azione patriottica(SAP) della Mirafiori posa a guerra finita in piazza Vittorio.

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I GRANDI DELLA DEPORTAZIONE

A d aB u ffulini

Di buona famiglia triestinaarrivò a Milano nel 1930 p e r iscriversi alla Facoltà

di Medicina della Statale.

Nel giro degli antifascistimilanesi nei giorni convulsidell’8 settembre 1943 conobbe

Lelio Basso.

Fece parte attiva dellaResistenza. A r restata a Milanoil 4 luglio del 1944 assieme a

Maria Arata e Laura Conti.

Dopo la detenzione nel carc e redi San Vi t t o re venne trasferitanel lager di Bolzano, dove

lavorò nell'infermeria, dirigendo un comitato clandestino diresistenza tra i deport a t i .

Ada Buffulini avreb-be da poco compiu-to un secolo. Nacque

infatti il 28 settembre 1912a Trieste, in una grande ca-sa con le finestre aff a c c i a t esul “Giardin pubblico”. Unacasa di proprietà della par-rocchia, che i Buff u l i n iavrebbero tenuto in aff i t t oper quasi un secolo. I geni-tori, Vittorio Buffulini eMària Castellari, formava-no una giovane coppia be-nestante. Lui era ingegne-re e lavorava in Comune, leiera maestra elementare. Lafamiglia nella quale A d acrebbe era irredentista, at-tenta alle buone maniere,alle convenzioni sociali, al-lineata. La casa era piena dilibri e anche di strumenti

musicali.I genitori non ba-davano a spese per quantoriguardava lo studio dei fi-gli (che infatti arrivaronoalla laurea). Si spendeva permangiare, per i libri, per lamusica, per i viaggi, per unabbigliamento più che de-c o r o s o .

Per il resto, il regime fa-miliare era impronta-to ad autentica fruga-

lità: lo spreco era aborrito,così come gli abiti vistosi,le spese inutili, i lussi.La svolta per Ada arrivò nel1930, subito dopo la matu-rità classica presa a pienivoti. Lei espresse l'inten-zione di studiare Medicina,e sua madre la autorizzò atrasferirsi a Milano, dove

di Dario Ve n e g o n i(figlio di Ada Buffulini e Carlo Ve n e g o n i )

Da sinistra i fratelli Ida,

Nedda, Tito eAda Buffulini

nel 1923. Vestiti uguali,

alla marinara...

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IT

aveva dei conoscenti cheavrebbero potuto costituireuna prima base d'appoggioper la ragazza, sola in unacittà sconosciuta.Ada giunse così a Milano,una delle pochissime ra-gazze iscritte alla facoltà diMedicina, e per una serie dicombinazioni entrò in un gi-ro di amicizie assai lontanoda quello ipotizzato dai suoigenitori: studenti, artisti, in-tellettuali affermati (o aspi-ranti tali), accomunati dauna grande leggerezza neirapporti interpersonali e daun comune - anche se nonidentico - sentimento soli-damente antifascista.

Furono anni di forma-zione: con l'aiuto ditanti amici, soprattut-

to triestini, a Milano Ada al-l a rgò notevolmente i propriorizzonti culturali, stac-candosi definitivamente dalproprio ambiente di origi-ne. Fu nei giorni convulsidell'8 settembre ’43 che A d a

conobbe Lelio Basso, il qua-le le chiese subito di colla-borare con lui: c’era tantoda fare, ed era ora di passa-re all'azione. E così Ada sibuttò anima e corpo nel-l'avventura socialista.

Prima si limitò a tra-durre per Basso alcu-ni scritti di Rosa

L u x e m b u rg, quindi rapida-mente passò alla redazionedi articoli e volantini, al-l ' o rganizzazione di corsi peri giovani, a un impegno pie-no per la diffusione delleidee dei socialisti nellaMilano in guerra, occupatadalle truppe tedesche.L'arresto, nel novembre1943, di Elena Moncalvi,sua amica e collaboratrice(oltre che moglie di A r i a l d oBanfi), determinò una nuo-va svolta. Se nei duri inter-rogatori ai quali si immagi-nava sarebbe stata sottopo-sta Elena avesse parlato, perAda sarebbe stata la fine. Ecosì, senza indugio, A d a

chiuse casa, annunciandoalla portinaia la partenzaper un lungo viaggio. In unavaligia radunò l'indispen-sabile (e quindi anche l'a-mata macchina da scrive-re), si tinse i capelli di bion-do e scomparveL ' o rganizzazione clande-stina la aiutò a trovare al-loggi di fortuna pressomembri della resistenza, edocumenti falsi coi qualicoprire la propria vera iden-t i t à .Dal novembre 1943 al lu-glio 1944 la ragazza dellabuona famiglia triestina vis-se in clandestinità, cam-biando nome e abitazioneinnumerevoli volte; scri-vendo, organizzando, tra-ducendo, tenendo i contat-ti con le bande partigiane,trasportando stampa clan-destina, volantini, armi at-traverso la metropoli. “A n n it e rribili e magnifici”, scri-verà poi, nel dopoguerra,ricordando quel periododrammatico. Anni nei qua-

li, paradossalmente, brac-cata dalle Camicie Nere edalla Gestapo, coprendosisotto nomi di fantasia, ca-m u ffando il più possibile lapropria fisionomia, non po-tendo contare su alcun red-dito certo, senza casa, senzalavoro, lontana dagli amicidi un tempo, lei fu certa direalizzare per la prima vol-ta pienamente la propria per-sonalità, trovando un auto-nomo ruolo nel mondo.

Ada fu arrestata aMilano il 4 luglio1944, in casa di

Maria Arata (la mamma diGiovanna Massariello, og-gi vicepresidente dellaFondazione Memoria dellaDeportazione), nel corso diun incontro con alcuni stu-denti delle facoltà scientifi-che della Statale. Alla riu-nione partecipò anche LauraConti, che non sapeva di es-sere da qualche tempo pe-dinata. Seguendo lei, fu fa-cile per i fascisti fare irru-

Tra i protagonisti della rete clandestina...Una rara immagine diLelio Basso senza barba,in un suo documentofalso del ’44, intestato a Luigi Bianchi. Basso fu a capo della struttura che da Milano forniva alCLN di Bolzano gli aiutip e r i deportati (vestiario,viveri, medicinali, danaro ,e stampa clandestina).

Armando Sacchetta, 23anni, partigiano, ferito inuno scontro a fuoco, subìl’amputazione di unagamba. Nel campop a rtecipò fino all'ultimoal comitato clandestino diresistenza. Morì unasettimana dopo il ritornoa Milano, dopo unintervento per f e r m a re lan e c rosi alla gamba.

N e p p u re alle donne furisparmiata lad e p o rtazione nei lagerdella morte. Maria A r a t afu deportata aR a v e n s b r ü c k .

Manlio Longon coordinòle iniziative politiche, disoccorso e militari finoa l l ’ a r re s t o :fu “impiccato” il 1°gennaio 1945 ai tubi delsotterraneo del Corpod ’ A r m a t a .

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I GRANDI DELLA DEPORTAZIONE Il primo incontro alla partenza p e r il lager di BolzanoAll’alba del 7 settembre 1944, in uno dei cortili diSan Vittore, tra le centinaia di uomini e donne in par-tenza verso il Lager di Bolzano Ada incontrò per laprima volta Carlo Venegoni, un uomo sui 40 anni,molto più alto della media, un dirigente comunista dicui lei aveva spesso parlato con Lelio Basso, che loconosceva bene da molti anni.Ada e Carlo non avrebbero potuto essere più diversi.Per età (lui aveva 10 anni più di lei), ma soprattuttoper origini familiari e per esperienze di vita.

zione in casa di Maria A r a t ae arrestare tutti i presenti.Il gruppo fu portato via suun camion di quelli usati perla spazzatura. Dopo qual-che giorno nella casermadel “Gruppo Filzi”, la for-mazione che aveva portatoa termine l’operazione, tut-ti i fermati furono trasferi-ti a San Vi t t o r e .“L’è ‘rivada un’altra vaca”fu il saluto con il quale unaprigioniera diede il benve-nuto ad Ada nella cella nel-la quale già si ammassava-no altre otto donne, dete-nute comuni. L'aff o l l a m e n t odella cella era tale che per unpaio di settimane la nuovaarrivata fu costretta a dor-mire su un pagliericcio get-tato a terra, in mezzo a in-setti di ogni tipo.

Sottoposta per diversigiorni a interrogatorida parte dell’Uff i c i o

Politico Investigativo, A d asi preoccupò di far cono-scere a Lelio Basso e ai suoicompagni ancora in libertàquanto avveniva in carce-re. Nel giro di poche ore in-dividuò un canale clande-stino di comunicazione conl’esterno. Per questa via –che purtroppo non cono-sciamo nei dettagli – lei riu-scì a fare sapere fuori quan-to le prigioniere andavanoraccontando all’UPI, perminimizzare le proprie re-sponsabilità politiche. Solodopo diversi giorni e diverselettere clandestine Ada sipiegò a chiedere ai compa-gni di portarle in carcereuna “polvere cimicida” euna camicetta di ricambio,essendo rimasta ancora –nel torrido luglio milanese– con la sola camicetta “e xb i a n c a” indossata la matti-na dell’arresto. In un altrobiglietto chiese di farle ar-

rivare in cella di nascosto,a pezzi, una copia del gior-nale clandestino La Com -pagna da lei fondato e re-datto fino all’arresto.

Al termine degli in-terrogatori gli stu-denti che partecipa-

vano alla riunione furonorilasciati, mentre A d aB u ffulini, Maria Arata eLaura Conti vennero trat-tenute. Poco prima di esse-re trasferita al reparto tede-sco del carcere, in vista del-la deportazione, Ada scris-se a Lelio Basso: (Il tenen-te Garofalo dell'UPI) "i e r imi ha detto che in campo diconcentramento starò be -ne, perché farò il medico"(e in effetti Ada a Bolzanolavorerà poi nell’inferme-ria). In una lettera prece-dente, al contrario, avevaespresso le proprie preoc-cupazioni e la pena per

Maria Arata: “Per lei è sta -ta fatta una pessima re l a -zione, in cui la si considerao rganizzatrice e istigatricedi tutti, in rapporto con ele -menti sovversivi e giudaicie non so che altro”. In se-guito a quella “pessima re -l a z i o n e” Maria Arata ven-ne classificata come peri-colosa, e fu deportata aRavensbrück.

Il 7 settembre 1944, al-l’alba, Ada fu fatta scen-dere con circa altri 300

prigionieri nei cortili delcarcere e costretta a saliresu degli autobus del-l’Azienda dei trasporti, condestinazione Bolzano. A l l avigilia della partenza per ilL a g e r, lei scrisse un’ultimalettera clandestina: “u n aspecie di testamento”, a ri-prova dello spirito con ilquale affrontava quella par-tenza verso l’ignoto.

Ferdinando Visco Gilardi“Giacomo”. Evangelicometodista, libraio/editoreantifascista e dirigenteindustriale, ful ’ o r g a n i z z a t o re dellastruttura clandestinaesterna al campo. Av e v a41 anni e 5 bambiniquando si gettò, insiemealla moglie Mariuccia“ M a rcella”, in questaavventura.

Laura Conti. Studentessain medicina, aderente alP S I U P, fece parte delF ronte della Gioventù conincarichi di propaganda .A r restata nel luglio 1944assieme ad Ada Buff u l i n ie a Maria Arata, duranteuna riunione in casa diquest’ultima, rimase aSan Vi t t o re fino al 7s e t t e m b re, quando tutte et re vennero deportate nell a g e r di Bolzano.

Ada e Carlo

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ADA BUFFULINI

Prigioniera nel lagerdiede vita e azione assieme ad altri a un CLN clandestino

A Bolzano Ada Buffulini e Carlo Venegoni, in-sieme a un ristretto gruppetto di antifascisti co-nosciuti, diedero vita a una specie di CLN clan-destino del campo, decisi a resistere comunque,anche in quelle condizioni estreme. In pochigiorni entrarono in contatto con l’org a n i z z a-

zione costruita proprio in quelle settimane in città daFerdinando Visco Gilardi, in relazione con il CLNAI diMilano. Iniziò nelle due direzioni, da e per il campo, un fit-to scambio di lettere, tanto che dal settembre 1944 al gior-no della Liberazione, alla fine di aprile 1945, Ada, prigio-niera delle SS, riuscì a mantenere incredibilmente una cor-rispondenza diretta con Lelio Basso, che viveva in clande-stinità a Milano. Arrestato infatti Ferdinando Visco Gilardi,rinchiuso a sua volta nelle celle del Lager, a Bolzano, il suoruolo venne assunto da Franca Turra, che sotto il nome di“Anita” diresse fino alla liberazione l’attività dei resisten-ti bolzanini a sostegno dei prigionieri del campo.Coordinatrice del comitato clandestino all’interno del Lager,Ada scrisse di nascosto decine e decine di biglietti, solle-citando aiuti per questo o quel prigioniero (non una solavolta, va detto, per sé), cercando di concordare piani di fu-ga, informando l’esterno sulle novità nella vita del Lager,sugli arrivi e sulle partenze.

Questi e altri biglietti usciti clandestinamente,a grave rischio per i “postini”, costituiscono do-cumenti irrinunciabili per ricostruire quanto av-venne a Bolzano, dopo la distruzione da parte del-le SS di tutti i documenti ufficiali. È un patrimoniodocumentario che segna il capolavoro del grup-

Lui era nato in una famiglia operaia poverissima, eraandato a lavorare in fabbrica a 12 anni, avendo termi-nato solo le elementari. Giovane attivista socialista aLegnano (Milano), aveva aderito al PCd’I nel 1921. Nel 1924 aveva partecipato al V congresso dell’Inter-nazionale comunista a Mosca, dove aveva conosciutoi massimi leader comunisti del mondo. Nel 1926 era stato eletto nel Comitato Centrale delpartito. Arrestato a Torino nel 1927, era stato condan-nato a 10 anni di carcere. Aveva conosciuto la prigione, la vigilanza speciale, ilcampo di concentramento fascista di Colfiorito.Adesso i due si trovavano vicini, all’inizio di unviaggio in comune che solo la morte di lui, nel 1983,avrebbe interrotto.

IT

Un biglietto di Virginia Scalarini ad Ada Buffulini. Sopra: una immagined’eccezione, della lottanella clandestinità:Virginia Scalarini e lap a rtigiana Mira Baldi,r i p rese a Milanonell’aprile ’45 da unfotografo di strada,m e n t re nascondono nella borsa 1 milione in contanti per conto del CLN.

A l l ’ i n i z i odel 1947Ada lasciail PSI e aderisceal PCI. La vediamo al fiancodel marito m e n t re vota a lc o n g re s s odel ’56 .Ada e Carlo

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po di resistenti che pur prigionieri delle SS non accettaro-no di arrendersi, e che combatterono, con i pochissimi mez-zi che avevano a disposizione, a prezzo di rischi enormi. Innessun altro Lager gestito dalle SS, del resto, è possibile do-cumentare una attività tanto vasta e continuativa.Don Andrea Gaggero, il prete genovese arrestato per le sueamicizie partigiane, pagò con la deportazione a Mauthausenil proprio ruolo di “postino” per il comitato clandestino.Godendo di una certa libertà di movimento, ed essendo in-viato fuori del campo a seguire dei lavori per conto dellostesso tenente Karl Tito, comandante del Lager, si prestòa portare corrispondenza clandestina dentro e fuori il cam-po. Scoperto, fu immediatamente messo in lista per il pri-mo convoglio diretto a Mauthausen.In una occasione il comitato cladestino riuscì persino a sot-trarre all’elenco dei partenti per la Germania il registaEmilio Scarpa, socialista, il cui nome era già tra quelli diun trasporto. Un successo effimero, a dire il vero: Scarpafu inserito nel trasporto successivo, deportato e infine uc-ciso a Mauthausen.

In un altro caso fu Ada Buffulini a convincere unmedico sudtirolese, responsabile dell’inferme-ria del campo, dove anche lei lavorava, a farsi par-te attiva per evitare la deportazione in Germaniadi un altro prigioniero, il dottor Virgilio Ferrari,primario dell’Ospedale di Garbagnate (Milano):

con le precarie condizioni igieniche che abbiamo nel cam-po, spiegò Ada, non è il caso di privarsi del contributo delmaggiore specialista italiano nella lotta alla TBC… Il ten-tativo ebbe successo: Vi rgilio Ferrari restò a Bolzano e neldopoguerra fu sindaco di Milano.Non conosco altri successi di questa portata. Il comitatoclandestino non riuscì a far nulla di fronte alle deporta-zioni, neppure quelle dei propri componenti: oltre a Scarpadel PSI, Luciano Elmo del PLI (che però riuscì a fuggiredal treno diretto a Mauthausen), o gli "azionisti" To r n a g h ie Sanna.Riuscì in compenso a organizzare e portare a ter-mine diverse decine di fughe di uomini e donne, che inquesto modo si sottrassero alle angherie delle SS.Pur nel clima di terrore in cui si viveva, le lettere di Ada con-servano una grande leggerezza: a leggerle, la si trova sem-pre “di ottimo umore”. “Scoppio di salute” arrivò a scrivereuna volta annunciando l'intenzione di dimettersi “dalla fra-zione tubercolotica” del Partito socialista...

Per lei la prova più dura arrivò a metà febbraio1945, quando i sospetti su un suo coinvolgi-mento in una fuga indussero le SS a rinchiu-derla nelle Celle, la prigione del Lager, in atte-sa della deportazione verso la Germania. Inquelle celle, in isolamento, Ada trascorre due me-

si di terrore, con le SS Michael Seifert e Otto Sain, insie-me all'altoatesino Albino Cologna, che davano sfogo ogninotte alle peggiori perversioni torturando, violentando,uccidendo. Anche da quella cella Ada riuscì però a scrivereuna lettera a Lelio Basso, parlando dell'imminente finedel conflitto e dei mille progetti che coltivava per il do-p o g u e r r a .

I GRANDI DELLA DEPORTAZIONE

Bolzano dedica una via ad Ada Buffulini, ex deportata in via ResiaL’Amministrazione comunale di Bolzano ha deciso nel2008 di dedicare una via ad Ada Buffulini, ex deport a t anel campo di via Resia, protagonista di primo pianocome si può leggere in queste pagine, dal settembre1944 alla fine di aprile 1945, del movimento diResistenza interno al Lager.

A n d rea Gaggero, pre t egenovese, internato nelcampo, fu sorpreso a re c a p i t a rec o r r i s p o n d e n z aclandestina. D e p o rtato aMauthausen, neldopoguerra entrò incollisione con lag e r a rchia cattolica e furidotto allo statolaicale. Fu unantesignano delmovimento pacifista.

Viene intervistatoalla radio il dottorVirginio Ferrari,sindaco di Milano.Rinchiuso aBolzano era in listap e r e s s e red e p o rtato. Fu Ada a convicereil medico sud-t i rolese a nonp r i v a re il campodella suae s p e r i e n z a .

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Liberata dal Lager alla fine di aprile del 1945, Ada tra-scorse la prima notte di libertà componendo e stampandoinsieme a Franca Turra e ad altri socialisti bolzanini unvolantino che fu distribuito tra i lavoratori dell'area indu-striale per il Primo Maggio, nella Bolzano ancora occupatadai nazisti.

Negli anni che seguirono, sposato CarloVenegoni il 4 luglio 1946, nel secondo anni-versario dell'arresto a Milano, Ada si dedicòalla professione di medico e alla politica atti-va, prima nel PSI e poi nel PCI. Negli ultimi de-cenni della sua vita si dedicò in particolare

all'Aned, l'associazione nella quale aveva ritrovato tanti com-pagni di quegli anni "terribili e magnifici". Fu lei nel 1975ad aprire un convegno a Bolzano, nel trentennale della li-berazione, con una relazione sulla storia del campo cheper decenni è rimasto uno dei pochi punti di riferimento cer-ti attorno a un Lager su cui troppo si è taciuto. Da medicopartecipò a diversi congressi internazionali sulle conse-guenze fisiche e psichiche della deportazione sui soprav-vissuti, e collaborò a ricerche e interviste coi sopravvissuti.Restano nella collezione del Triangolo Rosso i suoi arti-coli e le sue recensioni ai libri sull’argomento lungo l'ar-co di un ventennio.All'inizio degli anni Ottanta si impegnò a lungo nella tra-scrizione dei diari di Calogero Sparacino, un ex deporta-to siciliano a Dora: un paziente lavoro di mesi, che sfociònella pubblicazione di un estratto di quegli interminabiliquaderni: Diario di prigionia, edito da La Pietra nel 1984,e da molti anni integralmente online sul nostro sito w w w. d e-p o rt a t i . i tDella assidua presenza di Ada Buffulini nella sede mila-nese dell'Aned di via Bagutta, anche come vicepresiden-te della sezione di Milano, restano però soprattutto le cen-tinaia di appunti, lettere, annotazioni, relazioni, verbali diriunioni che punteggiano si può dire tutti i fascicoli personalidei deportati attivi in quegli anni, segno di una presenza co-stante e appassionata.“Da quando sei nato – scrisse Ada in un memoriale indi-rizzato a suo figlio Mauro, nato nel febbraio 1947 – ho in -dirizzato tutta la mia vita in modo che tu non ti debba ver -g o g n a re di me, in modo ch’io ti possa lasciare come uni -ca eredità l’esempio di una vita coere n t e”. Ed è proprio quel-lo che è avvenuto.

ADA BUFFULINI IT

Norina Brambilla,(a sinistra) staff e t t adei GAP m i l a n e s i ,insieme aErmelinda Roccoall’esterno delcampo in unai m m a g i n edell’aprile 1945.Indossano ipantaloni della tutare g o l a m e n t a re .

Franca Turra -Anita(1918-2003), moglie di un militare p r i g i o n i e ro degli inglesiin India, entrò nellaR e s i s t e n z aquando vide transitarep e r Bolzano decine dit reni carichi di soldatiitaliani deportati daitedeschi. Dire s s el'assistenza ai prigionieridel Lager dopo l'arresto diFerdinando Visco Gilardi.

" O l t re quel muro - La Resistenza nelcampo di Bolzano1944-45". Questo il titolo dellam o s t r ad o c u m e n t a r i arealizzata da DarioVenegoni eLeonardo Vi s c oGilardi per c o n t odella FondazioneMemoria dellaD e p o rtazione. Il lavoro ha beneficiato di un contributo della Commissione Europea. Il progetto grafico è di Franco e Silvia Malaguti.

In 26 pannelli vengono presentati per la primavolta decine e decine di documenti inediti chetestimoniano di un'incessante attività clandestinache coinvolse centinaia di persone dentro e fuori ilL a g e r di via Resia, in aperta sfida alle SS. Le organizzazioni e gli enti che desiderasserop resentarla possono scaricare dal sitow w w. d e p o rtati.it l'apposito modulo da pre s e n t a realla Fondazione Memoria della Deport a z i o n e .Contiene tutte le informazioni necessarie perp re d i s p o r re l'allestimento della mostra.

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Corone all’ex A l b e rg oRegina in ricordo delle deportazioni

Ve n e rdì 25 gennaio si è svolta una manifestazione uni -taria nel ricordo della deportazione nei campi di ster -minio nazisti, promossa dalla Fondazione Memoriadella Deportazione con la partecipazione dell’Aned,del Comune di Milano, della Comunità ebraica mila -nese e del Comitato permanente antifascista.

La manifestazione si è svolta in due momenti distinti.Alle ore 10 si è rinnovata la cerimonia di deposizionedi corone presso la lapide dell’ex-Albergo Regina (viaSilvio Pellico), sede del comando SS e quart i e re generaledella Gestapo negli anni 1943-1945.

Col coordinamento di Marco Cavallarin, sono inter -venuti Daniela Benelli (assessore del Comune diMilano), Walker Meghnagi (presidente ComunitàEbraica di Milano), Gianfranco Maris (pre s i d e n t eAned e Fondazione Memoria della Deport a z i o n e ) ,R o b e rto Cenati (presidente Anpi provinciale Milano),Gino Morrone (presidente regionale Fiap), GrazianoGorla (per la Segreteria della Camera del Lavoro). Per la prima volta da quando è stata istituita la ceri -monia (2010) si è notata la presenza tra il pubblico dip a recchi giovani studenti.

Trecento studentia l l ’ i n c o n t r ocon GianfrancoMaris, Goti Bauer,G i o v a n n aMassariello e con GiulianoP i s a p i a

Gli incontridella Fondazione Memoria dellaD e p o rt a z i o n econ le nuove g e n e r a z i o n idelle scuole m i l a n e s i

É importante stimolare nei giovaniuna sempre maggiore consapevo-lezza storica della vicenda concen-trazionaria e delle sue cause, al finedi favorire la crescita di una memo-ria attiva e operante, premessa indi-spensabile per una cosciente matu-razione civile. A tal fine si è cercato di avviare unaserie di nuovi contatti costruttivi eprogettuali con le scuole di Milano eprovincia, e di consolidare la rete deirapporti già instaurati in preceden-za. Si è deciso programmaticamente dinon guardare solo ai Licei milanesi,che già per proprio conto hanno svi-luppato attività volte a sensibilizza-re in tal senso i propri studenti, ma atutte le scuole di ogni ordine e grado,senza trascurare, anzi privilegiandoin molti casi, le scuole medie di pri-mo grado.

di Massimo Castoldi

Presso la Sala Convegnidi Palazzo Reale aMilano un incontro daltitolo “Il valore dellat e s t i m o n i a n z a ”

La decisione di dedicare nell’anno scolastico 2012-2013 gran parte degli sforzi all’eff e t t i v

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Il convegno del 25 gennaio con la partecipazione dei duetestimoni Goti Bauer, deportata ad Auschwitz, GianfrancoMaris, deportato a Mauthausen è stato introdotto daGiovanna Massariello, vice-presidente FondazioneMemoria della Deportazione, alla presenza del Sindacodi Milano Giuliano Pisapia.Anche in questo caso la grande novità dell’evento, ri -spetto alle manifestazioni degli anni precedenti, è stata lap a rtecipazione di quasi trecento studenti provenienti dascuole di orientamento diverso: dai licei scientifici mila -nesi Donatelli-Pascal e Vittorini, al liceo artistico diB rera, dalla Scuola ebraica, all’Istituto civico PA C L EManzoni, e alle scuole medie Manzoni-Benzi di Bresso eCarmelita Manara di Milano. Il sindaco per primo si è detto sorpreso per la presenza ditanti giovani in sala e ha voluto ringraziarli e richiamarli,cogliendo l’obiettivo principale dell’incontro, alla ne -cessità della consapevolezza storica, per poter afferma -re con coraggio le proprie idee e per non cadere nell’in -d i f f e renza e nel silenzio, che sono stati al tempo dellaSeconda guerra mondiale per molti italiani un segno dicomplicità con chi ha privato altri milioni di uomini del -la propria dignità.Ma gli studenti non sono stati soltanto spettatori, si è cer -cato di renderli partecipi, sia simbolicamente affidandol o ro la lettura di cento nomi di deportati nei lager na -zisti, scelti intenzionalmente tra quelli nati a Milano e

p rovincia, senza alcun altro criterio distintivo, sia in mo -do reale, offrendo loro la possibilità di dialogare coi te -stimoni pre s e n t i .Alcuni momenti di riflessione sono stati accompagnatida intervalli musicali di Bartolomeo Marchesi Dandoloe Carlo Mainardi, allievi del Conservatorio Musicale diMilano, coordinati dal prof. Marco Bernard i n .Molte sono state le domande, volte sia a chiarire episodin a rrati da Maris e Bauer, sia a compre n d e re il comples -so rapporto tra l’esperienza vissuta nel lager e il doveredella testimonianza, come lezione per una difesa assolu -ta della dignità dell’uomo, scevra da ogni pre g i u d i z i orazziale o culturale.

I ragazzi delle scuole secondarieall’incontro in Fondazione con Gianfranco MarisL’evento, come era nelle nostre intenzioni, ha indotto e stimolato ac o s t ru i re nuove proposte didattiche. Si sono così organizzati nuoviincontri nella sala convegni della Fondazione (via Dogana 3) tra chiscrive, l’avv. Gianfranco Maris, deportato a Mauthausen, e gli stu -denti delle scuole secondarie di primo Grado di Gessate (IstitutoC o m p rensivo “Alda Faipò”) e di Melzo (Scuola media statale “PietroMascagni”), rispettivamente nei giorni 7 e 12 marzo. Gli incontri,non episodici, sono stati il frutto di una collaborazione effettiva e pro -gettuale con le insegnanti Sara Spinella (Gessate), Paola Guidottie Raffaella Sala (Melzo) al fine di pre p a r a re gli studenti ad affro n -t a re consapevolmente le tematiche proposte, e vogliono essere co -stitutivi di un modello, che potrà essere in futuro ripetuto, moltipli -cato e ovviamente perfezionato.Con la Scuola media statale “Pietro Mascagni” di Melzo si sonoc o s t ruite le basi per l’avvio di un progetto più ampio, che sarà re a -lizzato a part i re dal prossimo anno scolastico, La stanza della me-moria: risorsa per c o s t r u i re una coscienza e una conoscenza sto-r i c a, e che coinvolgerà anche altri istituti scolastici, con il patro c i -nio e il contributo della Fondazione Cariplo.L’ i n c o n t ro del 25 gennaio è stato anche prologo per la costru z i o n edi un laboratorio sperimentale sulla Costituzione italiana, la suagenesi e i suoi principi fondamentali, nato da una collaborazione sulcampo con la prof. Daniela Di Vaio del Liceo scientifico Donatelli-Pascal di Milano, che aveva partecipato con la sua III D all’incon -t ro del giorno della memoria.

ffettivo coinvolgimento delle nuove generazioni in una maggiore consapevolezza storica

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C i n q u a n t a q u a t t ro anni di Favara(Agrigento), sposato, con quattro figli, dopol’8 settembre 1943 dal suo posto di lavorodistribuì a ebrei, partigiani e antifascisti, deci-

ne di carte d’identità in bianco. Tradito, fu consegnato il31 dicembre 1943 dal Podestà di Va rese al ComandoTedesco che il 7 gennaio 1944 lo arre s t ò .

Dopo brutali sevizie fu trasferito dal carc e redei Miogni a quello di Como, poi a quello diSan Vi t t o re e da qui, nell’ottobre del ’44, al“campo di polizia” di Bolzano Gries dove,

dopo un breve soggiorno, fu deportato nel lager d e lR e i c h .

Nel dicembre scorso, dopo la visita di Stato inIsraele del ministro della Giustizia PaolaSeverino, è stato finalmente onorato da Ya dVashem con il massimo riconoscimento dovu-

to “a chi contribuì a salvare la vita ai fratelli ebrei”.

Quando le speranze divedere riconosciutoa Calogero Marrone,

54 anni, siciliano di Favarapresso Agrigento, il capod e l l ’ U fficio Anagrafe eA ffari Civili del Comune diVarese, caduto a Dachau il15 febbraio 1945, il titolodi “Giusto fra le Nazioni”, ilmassimo tributo che Israele,attraverso Yad Vashem, con-cede a chi “a rischio dellavita aiutò gli ebrei negli an-ni dell’occupazione nazifa-scista”, si erano aff i e v o l i t e ,all’improvviso è giunto l’an-

Le nostres t o r i e

Il capo dell’Ufficio Anagrafe del Comune di Va rese morì a Dachau il 15 febbraio 19

C a l o g e ro Marrone finalmente riconosciutodallo Yad Va s h e m“Giusto fra le Nazioni”

nuncio. Una lettera inviataall’Ambasciatore d’Italia aTel Aviv Francesco MariaTalò dal direttore dello Ya dVashem Irena Steinfeldt eper conoscenza a chi scrivee a Ibio Paolucci (autori nel2002 del libro “Un eroe di -m e n t i c a t o”, la storia di que-st’uomo del Sud venuto alNord per lavorare) e a quat-tro altre personalità fra cuil’ex partigiano del “Frontedella Gioventù” QuintoBonazzola e l’Ambasciatoredi Israele in Italia Livia Link,ha reso noto che il 20 di-

di Franco Giannantoni Una piazzetta troppo “nascosta” in memoria di Calogero Marrone

Fra i compiti per la sua funzione e la passione per l earmi una rara foto di Marrone al poligono di tiro .

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io 1945- Era nato a Favara una cittadina a due passi da Agrigento il 12 maggio 1889

cembre 2012 la Commis-sione, presieduta da un giu-dice del Tribunale Supremodello Stato di Israele, ha de-ciso che Calogero Marronesia compreso nell’albo dei“Giusti fra le Nazioni” e deb-ba essere in eterno onoratocon la sua fotografia nelTempio dei Martiri accantoad altre centinaia di uominie donne che morirono per lacausa ebraica. In una cerimonia pubblica

che l’Ambasciata di Israelea Roma terrà presso ilComune di Varese sarannoconsegnate a DanielaMarrone, nipote del “Giu-sto”, in rappresentanza ditutti gli altri familiari, lagrande medaglia e il diplo-ma. Marrone uscito dalComune 70 anni fa per vo-lontà nazifascista rientracon il suo eletto spirito nel-lo stesso luogo con il mas-simo degli onori.

La figura di Marrone per de-cenni era stata completa-mente ignorata sino a quan-do il 1° ottobre 1994 per ini-ziativa del comandante par-tigiano della 121° brigatad’Assalto Garibaldi “Wa l t e rMarcobi” “Claudio” Mac-chi, dell’Anpi, del sindacoleghista Raimondo Fassa edell’avvocato Giorgio Cava-lieri a nome della ComunitàEbraica varesina, era stataa ffissa una lapide (che ri -p roduciamo qui a lato) pro-prio all’entrata dell’Uff i c i odi Palazzo Estense doveCalogero Marrone lavoròdal 1931, quando vincitoredi un concorso pubblico, sitrasferì dal proprio paese nelcuore del profondo Nord.Un viaggio inimmaginabi-le non solo fisicamente.Marrone era sposato e ave-va quattro figli, Filippa,Brigida, Salvatore e Dome-nico. Solo pochi anni fa

l’amministrazione di cen-tro-destra dell’avvocatoAttilio Fontana ha deciso,sotto la spinta popolare, diintitolare a Calogero Mar-rone una piazzetta-giardi-no alle spalle del LiceoMusicale nell’area Cagna,senza alcun numero civico,con una targa da cui è dif-ficile capire cosa feceMarrone definito “Giustofra i Giusti” (titolo non pre-visto nella terminologia del-la memorialistica ebraica),perché fu ucciso e chi lo per-seguitò. Una motivazioneche sembra volesse drib-blare la vera storia e celareil tratto della vittima. Recita infatti testualmente:“Capo Ufficio Anagrafe delComune di Varese offrì aiu-to e sostegno a centinaia difratelli (?) perseguitati dal-la tirannide (quale?).Tradito, arrestato (da chi?),deportato (da chi?) morì in

Circa 6 mila ebrei degli 8 mila presenti alNord riuscirono a riparare oltre c o n f i n e .

N e l l ’o t t o b re 2012 la delegazione italiana ha visitato Ya dVashem e il Tempio dei Martiri. Paola Severino (nellafoto) ha commentato: “Sono sconvolta e commossa”. Poi ha presentato le sue carte. In tempi rapidi l’annosae tormentata istruttoria si è conclusa. Yad Vashem ha ri -conosciuto nella lettera di conferimento il prezioso aiu -to del Governo italiano. La Commissione, presieduta daun giudice del Tribunale Supremo dello Stato di Israele,ha deciso che Calogero Marrone sia compreso nell’albodei “Giusti fra le Nazioni” e debba essere in eterno ono -rato con la sua fotografia nel Tempio dei Mart i r i .

La delegazione guidata dall’ex ministroSeverino ha ottenuto il riconoscimento

Una lapide della Comunità ebraica, dell’Anpi e delComune di Va rese ricorda davanti al suo posto di lavoro questa luminosa figura di antifascista.

un campo di concentramentotedesco (campo di stermi-nio!) senza mai abbando-nare la propria dirittura mo-rale e la propria dignità. LaCittà di Varese memore edeferente lo onora”.Il 12 e il 18 settembre 1943all’arrivo dei primi tedeschia Varese senza che venisseopposta alcuna resistenza(prima giunsero le SS diManfred Gauglitz, poi i mi-litari della Guardia di Poliziadi Frontiera del V° Grenz-wache di Innsbruck), Calo-gero Marrone iniziò la suacoraggiosa attività a favoredegli antifascisti e soprat-tutto degli ebrei che si am-massavano in zona, prove-nienti da ogni Comunità

dell’Alta Italia, per rag-giungere la Svizzera.Distribuiva carte d’identitàin bianco che una centrale dic o n t r a ffazione diretta dadon Franco Rimoldi e daNatale Motta, canonici del-la Basilica di Varese, prov-vedeva a compilare e falsi-ficare. Circa 6 mila ebreidegli 8 mila presenti al Nordriuscirono a riparare oltreil confine. Il Varesotto offriva, a dif-ferenza del Novarese, delComasco e della Va l t e l l i n a ,montagne relativamente fa-cili da superare e fiumi dimodesta portata da attra-versare. L’attività diMarrone durò circa tre me-si. Poi qualcuno all’interno

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d e l l ’ U fficio, forse una don-na, lo tradì. L’avvocato DomenicoCastelletti, il Podestà fa-scista di Varese, il 31 di-cembre 1943 lo sospesecautelativamente dal lavo-ro in attesa che le indaginiinterne, circa le accuse mos-se dal Comando tedesco(consegna di carte d’iden-

tità in bianco), fossero con-cluse. Marrone non fuggìper non mettere a repenta-glio la sua famiglia dall’a-bitazione di via DamianoChiesa (ora via Sempione)malgrado fosse stato infor-mato qualche ora prima dadon Luigi Locatelli, cano-nico di San Vittore, di unapossibile cattura.

Il 7 gennaio 1944 il Com-missario di Dogana We r n e rKnop accompagnato da al-tri due ufficiali, bussò allaporta di casa e lo arrestò.Marrone, prima di partire,chiese il tempo per fare lavaligia, mise dentro un pi-giama, il rasoio, lo spazzo-lino da denti, un maglion-cino, abbracciò la moglieGiuseppina e i tre figli(Salvatore era già passatoin Svizzera qualche giornoprima), salutò la signoraPedroletti, casualmente pre-sente, amica di famiglia, esi lasciò portar via, iniziandoquella che in una lettera dalcarcere definì la sua “Vi aCrucis” nella speranza, ag-giunse, che non dovesse ungiorno “salire il Golgota”.

In realtà il viaggio carcera-rio fu lungo e complesso,da Varese a Como, a SanVittore, a Bolzano-Gries al-la tappa finale di Dachau.Di Marrone alla fine dellaguerra, prima dell’oblio to-tale, si conoscono solo dueatti ufficiali: il primo, la de-libera del 28 aprile 1945,con cui la Giunta comuna-le del sindaco comunista di

Varese Enrico Bonfanti, nel-la presunzione di un suo ri-torno, revocò la sospensio-ne cautelativa dal grado edalle funzioni inflitta al ca-po ufficio, reintegrandolonel posto di lavoro e com-pensandolo degli stipendiperduti; il secondo, la let-tera, sempre di Bonfanti del15 giugno 1945 alla signo-ra Giuseppina Marrone conla notizia della morte delmarito “che ha spezzato dicolpo la fidente attesa delfedele prezioso collabora-tore di lavoro”.Posta la lapide circavent’anni fa, chi scrive, conil collega Ibio Paolucci, pen-sò di riportare alla luce co-me si trattasse di un’opera-zione archeologica la sto-ria di quest’uomo, radici si-ciliane proprio mentreesplodeva in Lombardia lavolgare canea leghista con-tro “terroni” e extracomu-nitari. Lo scopo era di far emer-gere il tratto generoso di unrappresentante meridiona-le che aveva sfidato il na-zifascismo a viso aperto perdare una mano ai soff e r e n-ti, tutti del Nord.

Le nostres t o r i e

C a l o g e roM a r rone finalmente r i c o n o s c i u t o“Giusto fra le Nazioni”

Uscì nel 2002 il libro già ci-tato “Un eroe dimenticato”stampato da Arterigere, unapiccola, rigorosa casa edi-trice locale, il libro andò be-ne (tre edizioni) ma in quel-la che definisco da sempre“la città di gomma” che in-cassa tutto, buono e cattivoche sia, senza un batter diciglia, non favorì come au-spicavamo un dibattito sul-le responsabilità italiane del-la Shoah. Silenzio da sinistraa destra. Tema spinoso, mal-grado il tempo trascorso.Seguì allora l’idea di batte-re la strada impervia ma do-

vuta di un riconoscimentoche definisse nel tempo enella Storia il ruolo diMarrone. La sola era cheYad Vashem, il Museodell’Olocausto di Gerusa-lemme, lo riconoscesse“Giusto fra le Nazioni”, ilmassimo titolo di Israele. Iltempo trascorso non favo-riva certo l’impresa soprat-tutto perché la Commissionedel tempo (era il 2003) ave-va fatto sapere attraversol’Ambasciata di Israele aRoma, dopo aver letto e giu-dicato positivamente il li-bro, che occorreva disporre

La lettera del 1945 alla signora Marronecon la notizia della morte del marito

...occorreva disporre di alcuni testimoni.Come fare? Dove potevano essere?

La famigia Marrone. Calogero erasposato e aveva quattro figli, Filippa,Brigida, Salvatore e Domenico. La decisione, dopo la visita di Stato inIsraele del ministro della Giustizia PaolaSeverino, sancisce che Marro n edebba essere in eterno onorato con lasua fotografia nel Tempio dei Mart i r i(immagine a destra) accanto ad altrecentinaia di uomini e donne chem o r i rono per la causa ebraica.

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di alcuni testimoni. Comefare? Dove potevano esse-re, se fossero stati vivi, i “be-neficati” da Marrone? Sierano salvati? Dove abita-vano? E come trovarli dalmomento che quando era-no andati in Comune si era-no presentati con generalitàfalse e presumibilmenteariane? La chiave per penetrare den-tro il grande mistero ci fuo fferta da un varesino, unebreo misto (figlio di ebreoe di ariana), l’ingegnerRenzo Russi, un amico, ul-traottantenne, scomparso daun anno. Figlio dell’inge-gner Ugo Russi, ebreo trie-stino, vice direttore della“Società Varesina ImpreseElettriche”, madre ariana ecattolica Carolina Stolfa, al-tri dieci fratelli, il 17 set-tembre 1943, appena di-ciottenne, riparò in Svizzera

passando da Saltrio. Gli al-tri fratelli divisi in due grup-pi, uno guidato dalla madrecon i figli più piccoli, l’al-tro dal padre con i più gran-di, rispettivamente da MonteOlimpino sopra Como e daCampocologno sopra Ti r a n odi Valtellina, si misero insalvo. Tutti con le carte diMarrone che ne coprivanol’identità ebraica.L’ingegner Renzo Russi re-dasse la sua testimonianzagiurata presso il notaio Vo l p edi Varese, così la sorellaRosanna, professoressa dilettere. Si aggiunse quelladi una cugina dell’avvoca-to Giorgio Cavalieri, LauraPizzo Centonze, che mal-grado avesse ottenuto i do-cumenti da Marrone procu-rati dal padre, preferì con ilfratello restare in Italia vi-vendo tutti i 600 giorni diSalò a Mondonico, un pae-sino in alta Valganna senzacorrere rischi.Gli ebrei testimoni diMarrone da presentare aGerusalemme erano dun-que tre. Gli altri sconosciu-ti, probabilmente lontani, inaltre città, deceduti.All’elenco dei tre facemmoaggiungere le testimonian-ze di due “ariani” che col-laborarono da vicino conMarrone, che di lui sapeva-no, che da lui avevano ri-cevuto non solo carte ma inun caso anche un’arma:Quinto Bonazzola, alloraventenne studente univer-sitario, figlio del dentistaCarlo, con studio in piazza

Monte Grappa, gappista aVarese e poi successore diEugenio Curiel nel “Frontedella Gioventù” a Milano(ricevette anche un mitra daMarrone in un bel pacco re-galo tipo-Natale in viaMercadante) e Elda Ve l i aBrusa Pasquè, coraggiosastudentessa, figlia di A l f r e d oBrusa Pasquè, una delle fi-gure più limpide dell’anti-fascismo varesino di fedesocialista.Cinque testimo-nianze che, giunte a Ya dVashem, furono lette, valu-

tate, apprezzate. Ma una te-lefonata del presidente del-la Commissione, mi rag-gelò: occorrevano altri “be-neficati”! Il carteggio eragiudicato misero. Ma dovetrovarli altri amici ancheperchè il tempo trascorsonon lasciava molte speran-ze. “P ro f e s s o re trovarne al -tri è un’impresa, risposi, co -munque cerc h e r ò”. Seguì ilsilenzio poco rassicurante.Domenico Marrone, l’ulti-mogenito di Calogero, chemi aveva aiutato nella ri-cerca documentaria per illibro, garbatamente e rego-larmente, mi telefonavaspesso per sapere della “pra-tica”. L’imbarazzo e la soff e r e n z aerano tante: “C a ro Dome -nico, nessuna nuova”. Yad Vashem dopo una riccainfornata di riconoscimen-ti a cavallo degli anni ’70-’80, aveva stretto i freni.Coloro che, come nel casodi Marrone, per ragioni nonsempre comprensibili, nonavevano mosso le acque inperiodi precedenti, eranoora fuori gioco.

Quest’estate la svolta inat-tesa e decisiva. In prepara-zione del viaggio di Statoprevisto per l’autunno ilMinistro della Giustizia av-vocato professor PaolaSeverino, il Sottosegretarioprofessor Salvatore Maz-zamuto (uno dei maggioricivilisti italiani) e il segre-tario, dottor FrancescoPatrone, magistrato, hannocompiuto una verifica dei“casi” ancora in sospesopresso Yad Vashem proce-dendo ad un’ulteriore istrut-toria a sostegno della giu-stezza delle richieste (conMarrone, le pratiche di donPietro Pappagallo, trucida-to alle Ardeatine, del mare-sciallo dei Carabinieri diPistoia Felice Faraglia, delnonno materno dell’onore-vole Veltroni, Cyril Kotnik). Il “caso” Marrone fu ridefi-

nito, arricchito, integrato.Soprattutto ebbe un peso ri-levante l’osservazione (so-stenuta da chi scrive) cheanni fa, nel 2001, un altrovaresino, la dottoressa A n n aSala, moglie dell’avvocatoMario Gallini, vice prefet-to della Liberazione, insi-gnita dello stesso titolo peraver salvato l’intera fami-glia del Rabbino capo diPadova Paolo Nissim, na-scosta a Cunardo e salvata-si, dichiarò che i documen-ti che servirono alla sua im-presa li aveva avuti proprioda Marrone! (elemento fat-to presente nella motiva-zione ufficiale). In tempi ra-pidi l’annosa e tormentataistruttoria si è conclusa.Yad Vashem ha riconosciutonella lettera di conferimentoil prezioso aiuto del Go-verno italiano.

Così il “caso” fu ridefinito, arricchito, integrato con molte testimonianze

Un eroe dimenticato

La copertina del libro di Paolucci e Giannantoniedizioni A rt e r i g e re

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Autunno 1943: la caccia antisemita dei delatori e dei tedeschi per c a t t u r a re tutti c

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Ha 92 anni, la mentelucida, il caratterefermo, la memoria

di ferro, madre ReginaZocchi, gallaratese diCardano al Campo, ospi-te, da quando è andata inpensione, della Casa SanGiuseppe di Viggiù- suc-cursale della casa madredi Varese- un piccolo cen-tro a due passi dal confi-ne svizzero, luogo rino-mato sino agli anni ’60 perun turismo residenziale diprim’ordine e capoluogodel grande contrabbandodi sigarette.Sono passati quasi set-tant’anni ma questa reli-giosa, allora novizia alleprime armi, una donna mi-nuta, dal carattere d’ac-ciaio, attraversata da unacordialità che contagia, ri-

percorre come in un im-maginario film i durissi-mi anni della guerra, lacaccia agli ebrei, il rischiodella vita per poterli sal-vare, le fatiche per so-pravvivere, la solidarietàdi tanta brava gente.

“Li ho davanti a me,un’immagine incancella -bile, armati fino ai denti,tedeschi e fascisti- esor-disce- entravano nel no -s t ro Istituto, non avevanore m o re, urlavano per far -ci paura, contro l l a v a n odove fossero i prigionierie b rei che avevano port a -to i loro camerati e ci mi -nacciavano. Guai a voi sescappasse qualcuno, ri -petevano battendo i pugnisul tavolo, chi sbaglierà,p a g h e r à”.

Le nostres t o r i e

L’ e roica opera delle suore di “Casa San Giuseppe” nel salvataggio degli ebre ial confine italo-svizzero

M a d re Regina Zocchi, oggi 92enne, alloragiovane novizia, rievoca quella drammaticastagione in cui a rischio della propria vita lereligiose della Congregazione di monsignor

Carlo Sonzini e di madre Lina Manni strapparono ainazifascisti intere famiglie loro affidate “in prigionia”p e r il sovraffollamento del carc e re giudiziario deiM i o g n i .

La storia emblematica della famiglia Balconee del piccolo Gabriele di 3 anni, portato conuno stratagemma in Ospedale per una fintaappendicite, “operato” e nascosto fra la

Brianza e il Comasco sino alla Liberazione.

La parola d’ordine del Fondatore: “b i s o g n aaiutare tutti”. Purt roppo qualcuno cadde nellemani degli aguzzini.

di Franco Giannantoni

M a d re Regina Zocchi, 92 anni, allora novizia di 22 anni, collaboratrice di madre Lina Manni. Assieme alle altre“ s o relle” si prodigò per m e t t e re in salvo intere famiglie di ebrei. Non sempre purt roppo le operazioni disalvataggio ebbero esito positivo. La foto è stata scattata nel corso dell’intervista nella sede periferica della “CasaSan Giuseppe Lavoratore” di Viggiù presso Va rese. A destra: il dottor Angelo Monti fra i più noti pro t a g o n i s t idella vita sociale e culturale di Va rese. Presente all’incontro con madre Zocchi, da lui organizzato.

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tti coloro che cercavano di espatriare in Svizzera per s f u g g i re dalle leggi razziali

“Casa Famiglia” delleCongregazione delleAncelle di San Giuseppe,una palazzina in via Griff inel cuore di Varese, retta damonsignor Carlo Sonzini,un audace sacerdote che inazifascisti nel 1944 ave-vano sollevato dall’incaricodi direttore de “Il Luce!”,periodico della Curia diMilano, per sospetto anti-fascismo, era diventata “laprigione degli ebrei”. Zeppo come un uovo il car-cere giudiziario dei Miogni,dove centinaia di antifasci-sti erano detenuti in attesadel loro destino, il ComandoTedesco della Piazza di

Varese aveva deciso di cu-stodire gli ebrei catturatilungo la fascia di confinefra Pino Tr o n z a n o - Z e n n a ,Luino, Porto Ceresio e sul-le montagne circostanti, nel-l’istituto religioso, primatappa di una “Via Crucis”che avrebbe dovuto con-cludersi ad Auschwitz nelcampo della morte.Il fenomeno degli ebrei infuga fra il 1943 e il 1944aveva assunto vaste pro-p o r z i o n i .La comunità ebrai-ca del Nord Italia, infatti,subito dopo l’8 settembredel ’43, con l’occupazio-ne delle truppe del Reich,le prime stragi di Meina e

di Merano, era diventata ilbersaglio della Polizia diFrontiera, un nucleo mili-tare specializzato che, giun-to da Innsbruck a Varese il18 settembre, si era postoal controllo della linea diconfine, con lo scopo diimpedire il passaggio inCanton Ticino della fiu-mana dei fuggiaschi ebreie la formazione di bandepartigiane. Erano migliaia

gli ebrei impegnati neldrammatico “viaggio del-la speranza”, fra i 6 e gli 8mila, di cui l’80% concen-trati nella provincia diVarese, scelta per la sua oro-grafia particolare fatta dimontagne meno aspre davalicare rispetto alNovarese, il Comasco e laValtellina e dalla Tresa, untorrente quasi sempre insecca.

Prima tappa di una “Via Crucis” che doveva concludersi ad A u s c h w i t z . . .

I timbri abilmente contraffatti dei Comandi tedeschi efascisti della Piazza di Va rese, utilizzatidall’organizzazione antifascista clandestina di don Franco Rimoldi, don Natale Motta, don A n d re aGhetti, Serafino Bianchi, tipografo e del capod e l l ’ U fficio Anagrafe del Comune di Va rese CalogeroM a r rone per i fuggiaschi ebrei o antifascisti inSvizzera. Interessanti, fra gli altri, l’annullo “ariana”con riferimento alla razza (a destra verso l’alto) e le firme falsificate del generale Hans Leyers del Ruk, del Dipartimento di contro l l oindustriale e del comandante SSdi Milano T h e o d o r S a e v e c k e . LA

FABBRICA DEI FALSI

La sede di “Casa SanGiuseppe Lavoratore” invia Griffi nel centro diVa rese nella quale furo n oaccolti gli ebrei in fuga

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Le nostres t o r i e

L’ e roica operadelle suore di “Casa SanGiuseppe” nel salvataggiodegli ebre ial confine italo-s v i z z e ro

“Per capire a fondo quale era la condizione in cui noisvolgevamo la nostra missione, quella di re l i g i o s eal servizio dei bisognosi, occorre tener presente la va -riabile imprevista ed imprevedibile della pre s e n z apoliziesca germanica. Noi non navigavamo nell’oro. Monsignor Sonzini,il fondatore della Congregazione, amato e stimato dal -la nostra gente, si faceva in quattro per raccoglierequel poco che servisse a far tirare avanti l’Istituto.Era impegnativo ma, in un modo o nell’altro, ce lafacevamo. Le ragazze che venivano da noi per tro v a re una si -stemazione lavorativa erano fuscelli al vento, pove -re in canna, disposte a tutto pur di raggranellare po -che lire . Malgrado i forti disagi ‘Casa Famiglia’re g -geva ai propri compiti. Suor Lina Manni, poi diven -tata la Madre superiore per moltissimi anni, era lanostra sorella maggiore. Una religiosa decisa, for -te, dolce, autorevole. Dicevo dei tedeschi e delle lo -ro persecuzioni. Gli esempi potre b b e ro essere deci -ne, ogni giorno ci trovavamo a risolvere un pro b l e -ma e non solo per gli ebrei affidati in regime di de -tenzione ma anche di quelli che venivano da noi spon -taneamente per avere un temporaneo rifugio, per ungiorno o addirittura qualche ora. Una storia fra tutte (la famiglia Balcone) d e f i n i s c emeglio il contesto della violenza nazifascista e di co -me noi riuscimmo concretamente a dare una mano achi ce la chiedeva” .

La tragedia della famiglia Balcone:aveva trattato il passaggio in Svizzera...

Ragazze povere in canna, disposte a tutto pur di raggranellare poche lire.

zione di controllo tedescoper la registrazione anagra-fica, poi il trasferimento aVarese e siccome il carcerenon poteva accoglierli tan-to era affollato, “Casa SanGiuseppe”, l’Istituto depu-tato per vocazione a dare untetto alle ragazze che dalBresciano, dalla Berg a m a s c ae dal Mantovano, ma so-prattutto dal Veneto, giun-gevano a Varese per trova-re un posto di lavoro comedomestiche, era elevata astruttura di supporto.Racconta madre ReginaZocchi, di famiglia operaia,il padre Giovanni, comuni-sta, operaio alla “Bellora”,storica fabbrica di tessuti,la madre Rosa, socialista,due sorelle, rapita dalla vo-cazione appena ventenne.Era il 1942. Una chiamata fulminea a cuila giovane Regina aveva ri-sposto con entusiasmo.

Prima destinazione Va r e s e .

Non sempre il tentativo dipassare il confine, o diret-tamente dai punti doganalio attraverso la boscaglia do-ve occorreva evitare di farsuonare i campanelli d’al-larme, aveva successo.Dotati di una documenta-zione falsa che attestava, nelcaso di un fermo, la loro arianità nel tratto daVarese alla frontiera, connelle tasche nello stesso tem-po anche i certificati che ri-marcavano la matrice ebrai-ca (questo valeva una voltagiunti al cospetto dei gen-darmi svizzeri), gli ebrei simuovevano in gruppi fami-liari o singolarmente, sfi-dando una realtà che non of-friva loro troppi margini disperanza. Troppo spesso la speranzasi trasformava in vere e pro-prie tragedie. Se cadevano nelle mani deiloro aguzzini, il destino pergli ebrei era segnato. Una sosta alla più vicina sta-

Nella saletta dove madreRegina Zocchi ci accoglie(con me, il dottor A n g e l oMonti, storica figura delvolontariato cattolico va-resino, sindaco di Va r e s eper pochi giorni, prima cheTangentopoli spazzasse viaun suo Assessore di cuiignorava i trascorsi), quat-tro sedie, un tavolino, unarmadio a muro, la luce cheillumina la sua figura dol-

ce e minuta mentre prendela parola per non smetteremai. Quella pagina della sualunga, operosa esistenza,tuttora la angustia ma nel-lo stesso tempo la inor-goglisce. E ’ la tragedia di un’interafamiglia, i Balcone.Milanesi, il padre A n g e l o ,40 anni, ariano, la moglieIrene Epstein, 31 anni,

Era impegnativo tirareavanti con l’Istituto

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...come per altri ebrei catturati nel boscoo traditi dai loro “accompagnatori”

ebrea austriaca, il figlioGabriele di 3 anni, ebreo-misto, una parente LuisaSc h l e s i n g e r, di 40 anni,ebrea austriaca, affetta dauna leggera zoppia, fruttodi una malattia infantile. AMilano il gruppo come so-litamente accadeva aveva“trattato” il passaggio inSvizzera con un delegatodei “salvatori”, degli spal-loni-contrabbandieri delLuinese. L’accordo presupponeva ilpagamento della quota pro-capite (10 mila lire in que-sto caso), la consegna deibiglietti ferroviari (linee del-la “Nord” fino a Varese) equelli dei tram (fino aLuino). L’8 dicembre 1943 iBalcone (a eccezione del ca-pofamiglia, ariano, rimastoa Milano per non dare trop-po nell’occhio) avevano fat-to tappa a Oronco, un borg o

alle pendici del Sacro Montesopra Varese. Due giorni do-po con lo stretto necessariodentro un paio di valige e al-cuni beni, orologi, ori, de-naro in un'altra (sarebberoserviti a garantire il sog-giorno in Svizzera) aveva-no preso il tram per Luino,un viaggio di poco più diun’ora. All’arrivo li atten-deva subito una brutta sor-presa: lo spallone incarica-to del passaggio in Svizzeraaveva preteso altre 10 milalire oltre alla somma già ver-sata di 30 mila lire. La si-gnora Epstein si era rifiuta-ta di versarle chiamando insoccorso per telefono il ma-rito che da Milano era giun-to a Luino nella tarda sera-ta. Il tentativo dell’agogna-to passaggio doveva rite-nersi a quel punto fallito.Occorreva trovare un luogodove pernottare prima di fartappa a Varese.

L’impresa non si presen-tava facile. Dopo aff a n n o-se ricerche era stato scel-to un alberghetto alle por-te di Luino, l’ “Impero” diGermignaga, defilato dalcentro della cittadina. Ilproprietario tale ElioCappelli, un toscano di 43anni, di Vinci, si era pre-murato, per tranquillizza-re la famigliola che avevarivelato incautamente lasua natura ebraica, di re-gistrare il gruppetto come“ariano”. All’alba quandoi Balcone erano scesi instrada per prendere il tram

avevano trovato nei pres-si della Trattoria del Pontead attenderli la polizia. Arrestat i, trasferiti aVarese, poi come per altrigruppi di ebrei catturatinelle boscaglie sul confineo traditi dai loro accom-pagnatori, dirottati a “CasaFamiglia”. Racconta ma-dre Regina Zocchi, con vo-ce alta e un gesticolare chefotografa bene il dramma:“R i c o rdo la scena come sefosse adesso. Mentre il pa -d re ariano era stato trat -tenuto ai “Miogni”, la mo -glie, il figlioletto e l’ami -

M a d re Lina Manni (in gioventù e in vecchiaia), lareligiosa della “Congregazione di San GiuseppeL a v o r a t o re” che coordinò l’attività di salvataggio deglie b rei giunti a Va rese per r a g g i u n g e re la vicinaSvizzera. Madre Manni con estremo coraggio favorìi n o l t re la fuga degli ebrei che i nazifascisti avevanotrasferito nell’Istituto nella condizione di “prigionieri”a seguito della loro cattura, stante il sovraff o l l a m e n t odel carc e re locale.

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Le nostres t o r i e

L’ e roica opera delle suore di “Casa San Giuseppe” nel salvataggio degli ebre ial confine i t a l o - s v i z z e ro

E c’è nell’armadio un brogliaccio con tutte le storie

Iracconti sono tanti, tutti contrassegnati di tentativialcuni non andati a buon fine. Madre Regina estraeda un armadio un brogliaccio dove sono elencate

le vicende di una comunità ebraica che nell’autunno del’43 fece della città-giardino la meta per poi program-mare il passo definitivo verso la Svizzera. Una sceltalegata alla relativa facilità di passare le montagne nelVaresotto non molto alte.

Nel suo titolo, c’é l’intera trama tessuta dalle religio-se in favore dei fuggiaschi: “Storia…. Ebraica dellaCasa San Giuseppe” con il volto disegnato di monsi-gnor Sonzini in primo piano seguito dalla scritta “U nmondo differente non può essere costruito da gentei n d i ff e r e n t e”. Una cinquantina di pagine tratte anchedal libro di Antonia Massarotto “Un apostolo moder -n o” e dalla raccolta del “L u c e” del 1945. Era una sin-tesi della pubblicazione che dal 18 maggio 1945 Sonziniaveva proposto ai lettori del “L u c e”, assolutamentesconosciuta. Nessuno sapeva niente. Accanto ai nomidi quei sacerdoti che si batterono per la libertà dei fra-telli ebrei ma anche degli antifascisti (con monsignorSonzini, don Ernesto Pisoni alias C r i s t o f o ro, don FrancoRimoldi, don Andrea Ghezzi, don Natale Motta, quel-li delle suore, da madre Lina Manni, alle Sorelle A d e l eBianchi, Agostina Ferraro, Felicita Laverda, ErminiaMaccagnan, Linda Gambarini (nda: oltre a ReginaZ o c c h i) e dei collaboratori, Ferdinando To r r e g g i a n i ,Mario Ossola, Francesco Moneta, ingegner Uccellini(tutti della squadra universitaria), il professor A m b r o g i oTenconi, Luigi Cavezzali, Amilcare Pisoni, GiannaBarigozzi Ganna.

Infine un’altra scritta: “Ebrei ospitati nella Casa SanG i u s e p p e” con indicazioni spesso sommarie per non la-sciare tracce: tre signore con tre nipoti (deportati);Elisa con due nipoti (deportata Elisa, salvi i nipoti);Gabriele (nda: Balcone) con mamma e signora amica(salvi Gabriele e mamma, amica deportata); Anna e

“Storia… Ebraica dellaCasa San Giuseppe”

“ E b rei ospitati nellaCasa San Giuseppe”

ca di famiglia erano statip o rtati da noi. Il coman -dante tedesco con il mitraspianato ci aveva ammoni -to come in altri casi. Se fugge qualcuno inGermania finirete voi.Detto dai tedeschi in unalingua che non capivamo,q u e l l ’ o rdine ci aveva fat -to tre m a re. La famigliola era stata in -filata in una stanza con ilsuggerimento di non fia -t a re. Il cibo, quel poco chec’era, glielo p o rt a v a m onoi. Come re s t a re insensibilial dramma della madre peril piccolo Gabriele? Fu allora che monsignorSonzini e suor Lina Mannie n t r a rono in azione. Erail 21 dicembre 1943.F i n s e ro che Gabriele do -vesse essere operato d’ur -genza per un’appendicitea c u t a .A rrivò una macchina cona bordo alcuni studentidella Fuci, l’org a n i z z a -

zione universitaria catto -lica di fede antifascista,formata da Mario Ossola,f u t u ro sindaco dc diVa rese, Francesco Moneta,Napoleone Rovera, LuigiCavezzali , l’ingegnerUccellini, A m i l c a re Pisoni,Gianna Barigozzi Ganna,che pre s e ro il bambino loc a r i c a rono in macchina di -rigendosi verso l’Ospeda -le di Circolo dove il pro -f e s s o r Tenconi, primarioc h i ru rgo, avvisato, era giàp ronto per interv e n i re. Una commedia che andòa buon fine. Dopo circa un’oraGabriele avvolto in unac o p e rta procurata da suorGiulia, la religiosa del re -p a rto, fu “rapito” dai suois o c c o rritori, preso in con -segna da quel coraggiosop rete che era don NataleMotta e trasferito in Brian -za, dalla sorella di donMotta, Rosetta e dall’in -gegner Uccellini, final -mente in salvo” .

sti. La seconda, per il ma-lanno alla gamba, fu gas-sata al suo arrivo aBirkenau .Ricorda madre ReginaZocchi: “Quella famiglianon mancò mai nel dopo -g u e rra di riconoscere i no -stri sacrifici. Madre Mannirestò in contatto con iBalcone che avevano sta -bilito nel frattempo fral’Italia e sé stessi il mas -simo della distanza. L apaura era grande. A n d a -rono infatti a vivere inA u s t r a l i a” .

Se Gabriele visse tranquillofino alla Liberazione al ri-paro nella casa delle so-relle di don Motta incon-trando ad ogni fine setti-mana il padre Angelo chenel frattempo era stato scar-cerato, verificata la suacondizione di “ariano”, noncosì andò a Irene Epsteine Luisa Schlesinger. La prima internata adAuschwitz e poi in altricampi di sterminio, so-pravvisse conoscendo il te-desco, e lavorando comesarta per gli ufficiali nazi-

I Balconi avevano messo tra se stessi e l’Italia il massimo della distanza...

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fratello (salvi); Anita Swartz e nipoti (salvi); Marg h e r i t a(salva); due signore polacche (deportate); Olga (salva);famiglia Tedeschi-Ancellasco, cinque persone (salvi);ospiti clandestini (diverse decine, salvi).

La “Storia… ebraica di Casa San Giuseppe” era pre-ceduta da un breve commento del fondatore dellaCongregazione. Un commento che appare inequivoco:“Noi abbiamo avuto sempre in orro re i tedeschi per lal o ro feroce tracotanza ma soprattutto per quella dia -bolica crudeltà che li ha portati a gesta atroci inimma -ginabili specialmente contro la povera razza ebraica. Perquesto siamo vissuti sempre in turbamento e angoscio -sa attesa che se ne andassero una buona volta, poichéla loro presenza era come quella di sinistri figuri checi opprimono anche solo colla loro vista. Noi avevamoperò una part i c o l a re ragione di temere e quindi di bra -m a re il loro allontanamento perché la Casa San Giuseppefu sempre rifugio dei poveri ebrei e fu più volte anche l’ar -ca di salvezza per quegli stessi che il Comando tedescoci mandava da alloggiare e………..custodire” .

“A c c o g l i e re tutti”, era la parola d’ordine di monsignorS o n z i n i .

Il brogliaccio riporta storie terribili. La prima riguardatre donne con tre-quattro bambini che “depositati” aCasa San Giuseppe da militi della Guardia NazionaleRepubblicana (Gnr) erano state riprese poche ore dopoe deportate. I nomi sono rimasti sconosciuti tanto l’o-perazione fu condotta con rapidità. Solo una nota: unodei bimbi vedendo sopra il petto di madre Manni unacroce chiese alla nonna cosa fosse. La nonna rispose:“E ’ la loro re l i g i o n e”. Le donne i bimbi, ebrei, scom-parvero per sempre prelevate “da una giovane donna inpantaloni dall’aria pre p o t e n t e” che a un tentativo dimadre Manni di trattenere almeno i piccoli, reagì conuna minaccia durissima: “non facciamo scherzi, sore l -l e !” .

Anna, 14 anni. Il fratello, 11. E’ il secondo brandello diun’altra storia atroce. I tedeschi li affidano a Casa San

Giuseppe. L’ordine è il solito. Custodirli fino a ordi-ne contrario. Impedire soprattutto la fuga. I due fratellinierano reduci da una dura esperienza: diretti verso ilconfine erano stati “traditi” dagli accompagnatori cheli avevano ceduti ai tedeschi, intascando un’altra mer-cede. I genitori arrivati sani e salvi in Svizzera per al-tra via, una volta giunti a destinazione si erano accor-ti d’aver perduto i loro figlioletti. La loro salvezza giunse una volta ospitati dalle suoredella Congregazione per opera di Fernando To r r e g g i a n i ,un cittadino di Gallarate, amico di famiglia, che ave-va organizzato un finto assalto partigiano a Casa SanGiuseppe, “minacciato” le suore e infine rapito i duebambini. Dalle suore fu inscenata una gazzarra pergiustificare l’azione proditoria il che provocò l’arrivodei militari. Il “piano” aveva funzionato e Anna e il fratellino, nel-le mani del Torreggiani, assistiti da don Ghetti, donPisoni e don Rimoldi, erano stati trasferiti oltre il con-fine. Torreggiani nel 2001 ricevette dallo Yad Va s h e mdi Gerusalemme, il Tempio dell’Olocausto, il presti-gioso riconoscimento di “Giusto fra le Nazioni” peraver salvato la vita ai fratelli ebrei.

Terza storia ricostruita nei suoi tratti generali sulla ba-se unicamente di qualche notizia. Protagonista Elisa, ebrea, proveniente dall’Istituto“ P rotezione della Giovane” di Gallarate, in compa-gnia di due nipoti, orfani di padre mentre la loro ma-dre (sorella di Elisa) era già nelle mani dei nazifasci-sti. L’obiettivo era raggiungere “la frontiera della spe-ranza” e arrivare in Canton Ticino. Elisa da Va r e s eaveva scritto al fratello residente a Torino invitando-lo a raggiungerla. Questi lo fa con la moglie (ariana)e una grossa valigia. Bloccato alla stazione ferrovia-ria di Varese, perquisito, viene arrestato con la mo-glie, poi liberata in quanto non ebrea. Elisa, la sorel-la, che si era portata nei pressi della stazione, viene asua volta fermata dai nazifascisti, vittima di un incautogesto compiuto dal congiunto che, vedendola, le ave-va inviato un bacio. Rimasti soli, i due nipoti sono messi dalle suore nellemani di don Natale Motta, il quale, in una notte di piog-gia dopo un primo tentativo fallito li fa scivolare oltrela “ramina”, la rete divisoria di confine, disattivato ilsistema elettrico d’allarme.

“ A c c o g l i e re tutti”, era la paro l ad’ordine di monsignor S o n z i n i .

Tre storie: la prima riguarda tredonne con tre - q u a t t ro bambini

Don Natale Motta in una notte di pioggia fa scivolare oltre la “ramina”

Anna e il fratello: secondo bran-dello di un’altra storia atroce.

Da sinistra il prevosto diVa rese monsignorA l e s s a n d ro Pro s e r p i o ,m o n s i g n o r Carlo Sonzinif o n d a t o re di “Casa SanGiuseppe” (al centro ) ,don Natale Motta ilsacerdote che siincaricava di port a re gli ebrei in salvo.

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Nel febbraio 1944 Casa SanGiuseppe ospitava fissi unaventina di ebrei, oltre aquelli “reclusi” dai tede-schi. Gli ebrei che definiamo “li-beri” erano portati da donFranco Rimoldi, il “donCarnera” per la sua moleimponente, un sacerdoteche più avanti per le sueimprese finirà a SanVittore. Il “brogliaccio”aiuta a sapere quello cheera accaduto in quella sta-gione e come scorrevanole giornate di coloro cheavevano trovato assistenzadalle straordinarie suorevaresine. C’erano la signora Mar-gherita, 80 anni, milanese,ebrea, abbandonata dallafamiglia già in salvo perchéimpossibilitata ad aff r o n-tare la faticosa marcia lun-go le montagne della fron-tiera; un’altra vecchia si-gnora con la figlia claudi-

cante; la signora Anita di30 anni “b runa, riccia,chiaramente di razza ebrai -c a” con due figlie in tene-ra età messe al sicuro pocolontano nel CollegioSant’Ambrogio retto da al-tre religiose; due signorepolacche, di mezz’età, sen-za uno straccio di docu-mento (furono consegnatiloro quelli contraffatti adarte da don Rimoldi e donPisoni con la collaborazio-ne grafica di LuigiCavezzali) coi rispettivimariti e figli deportati e di-spersi; la anziana signoraOlga “dai capelli candidi,dal fisico tipicamente ebrai -c o”. Una galleria di poveretteschiacciate dal terrore.

Racconta madre Regina,inesauribile nel cavare fuo-ri dalla sua memoria le espe-rienze vissute in prima per-sona in quella infernale sta-gione: “In Casa San Giu -seppe in quel febbraio del’44 era ospitata la famigliae b rea dei Tedeschi diMilano, il signor A m i l c a re ,sua moglie Laura, due figlie la nonna. Venivano daCocquio, un paesino a po -chi chilometri da Va rese. Ilg ruppo era raggiunto ognisettimana dalla segre t a r i adell’azienda dei Te d e s c h iche era rimasta a Milanoper seguire l’attività com -

m e rciale. Il soggiorno deiTedeschi fu tribolato. I n f a t t iad un certo punto la segre -taria, arrestata, fu port a t aa San Vi t t o re, detenuta.Nella cella fu messa una de -latrice che carpì alcuni se -g reti, compreso il luogo do -ve la famiglia Tedeschi eranascosta e il falso nome( A rc e l l i - A rcellasco) con cuiera stata coperta la loroidentità. Malgrado questoriuscimmo a org a n i z z a re ilsalvataggio, non quello del -le ospiti polacche sorpre s enella loro camera mentretedeschi e fascisti stavanoc e rcando la famiglia

Tedeschi. Questa per for -tuna quel giorno era as -sente, ai Giardini Pubblicia fare una passeggiata. Nonla nonna. Il pericolo erache i Tedeschi potessero es -s e re sorpresi mentre sta -vano tornando in Istituto.Mandammo in tutta fre t t adelle sorelle ad avvisarli.L’ i m p resa riuscì. La fami -glia fu trasferita adA rconate, un paese del le -gnanese nell’abitazione deip a renti di don Pisoni.Salvammo cinque persone,u n ’ i m p resa straord i n a r i a .A m i l c a re Tedeschi nel do -p o g u e rra fu eletto sindacodi A rc o n a t e ”. Un velo ditristezza accompagna le pa-role di madre Regina: “Delle due signore polac -

che non sapemmo più nulla.L’ultima immagine fu quel -la in cui furono fatte saliresul camion. Piangevano. Ai militi fa -scisti incaricati dell’ope -razione avevano gridato inun estremo tentativo di sal -vezza: voi italiani siete buo -ni, noi abbiamo il terro redei tedeschi. Non era valsoa niente. C redo siano finite in un cam -po di sterminio. Nel dopo -g u e rra il marito di una diesse venne da noi per re c u -p e r a re le poche cose lasciatedalla moglie e dell’altra pri -gioniera che era sua co -g n a t a” .A Casa San Giuseppe perovvi motivi non fu mai te-nuto il registro dei nomi de-gli ospiti né quello dei variitinerari seguiti dagli stes-si, provenienze e destina-zioni. Furono comunque fis-sati in modo indelebile nel-la mente e nel cuore di chi liaveva soccorsi.

“C ’ e r a-racconta madreR e g i n a -chi si pre s e n t a v aa l l ’ i m p rovviso per poi ri -p a rt i re la sera stessa, unavolta ottenuti i documentiche attestassero l’appart e -nenza alla razza “ariana”sino al confine nel viaggioda Va rese e a quella ebrai -ca da esibire alle autorità didogana svizzera.U n ’ i m p resa ardua affro n -tata da una “centrale” va -resina composta da sacer -doti e studenti, dotata ditimbri falsi. C’era inoltre chi doveva ri -m a n e re da noi qualche gior -no in più. C’erano poi gli

e b rei mandati dai tedeschie dall’Ufficio Investigativodella Gnr. A noi il compitocon i nostri collaboratori div a l u t a re il tragitto più con -veniente, quello viaGaggiolo, via Lavena PonteTresa, via Cremenaga, vialago Maggiore, via lagoC e resio, via Vo l d o m i n o -Luino dove operava quelgrande sacerdote che eradon Pietro Folli.S e m p re seguendo la paro -la d’ordine di monsignorSonzini, il fondatore dellanostra Casa: nessuno de -ve essere lasciato solo.Mai. E così fu” .

L’ultima immagine: furono fatte saliresul camion. Piangevano.

C’era inoltre chi doveva rimanere da noi qualche giorno in più

Uno degli sbarramenti“doganali” posti daglisvizzeri al confine conl’Italia. Il fort u n o s oattraversamento deif u g g i a s c h i .

Le nostres t o r i e

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Capita nel mese di marzo del 2013 che nel liceo ar-tistico romano Caravillani di piazza Risorg i m e n t o ,una ragazzina ebrea, afflitta da un forte mal di te-sta nel corso di una lezione di matematica, si sen-te rimproverare da una professoressa con questeorrende espressioni: “Fossi stata ad Auschwitz sa -resti stata più attenta”.

Per nostra fortuna, gli studenti di ambo i sessi, si so-no stretti alla compagna gridando alla prof che erauna razzista. Magnifica la solidarietà, condivisadalla preside dell'Istituto, Anna Maria Trapani, nonmeno indignata dei suoi allievi. Ma la storia nonfinisce qui e il peggio deve ancora venire. Per di-fendersi, infatti, l'insegnante di matematica, ha co-sì replicato: “Non sono antisemita. Ho detto quel -la frase per indicare un posto dove regnava l'ord i -ne”.

Capito? Avete capito bene? Certo, ha ragione laprofessoressa, nel campo di Auschwitz lo stermi-nio procedeva con ordine assoluto. Per esempio,quando le povere vittime scendevano stremate daitreni venivano divise in due parti: una a destra el'altra a sinistra. Una destinata a restare ancora unpo' in vita, costretta a lavori forzati, l'altra, senzaperdere tempo, diretta ai forni crematori, che fun-zionavano, senza soste, in maniera eccellente.

Il tutto, si capisce, in perfetto ordine, come direb-be la docente del liceo romano.“Arbeit macht fre i”, il lavoro rende libero, e difat-ti oltre sei milioni di ebrei in quei campi di ster-minio vennero liberati per sempre dalla vita. Riccardo Pacifici, presidente della Comunità Ebraica,si è rivolto agli studenti e alle studentesse di quel-l'istituto con queste parole: “La cultura di questiragazzi che sconfigge l'indifferenza credo che me -riti di essere premiata come accade ogni 27 gennaioal Quirinale. Come Comunità Ebraica ci fare m op romotori di segnalare questo splendido episodioalla presidenza della Repubblica”.

Iniziativa lodevole, alla quale la nostra rivista, or-gano degli ex deportati nei lager della morte, si as-socia pienamente. La docente è stata giustamentepunita con alcune settimane di sospensione, ma siè ammalata. A settembre, comunque, andrà in pen-sione e avrà così tempo e modo di dedicarsi, se lovorrà, anche a qualche lettura. Nell'augurarle pronta guarigione e lunga vita, noile suggeriremmo di leggere un libricino che si in-titola “Se questo è un uomo”. L'autore è uno che haconosciuto in presa diretta il funzionamento del-l'ordine che regnava nel luogo indicato dalla pro-fessoressa. i . p

Per la prof. romanaera A u s c h w i t z

la sede dell'ordine

Poi “fermiamo le braccia...Incolpevoli

Unschuldinge Ci arrangiamo, c'è, la guerr a .Facciamo il sale su lamiere che diventeranno cannoni.Scarpe con avanzi di cinghie per i forni dell'acciaio.Stiamo in fabbrica otto, dieci ore .Nelle gavette, portate dai figli, non c'è il rancio dei soldati.ma razioni della tessera.Non siamo contenti né eroi, qualcuno rema contro, non si vede.Poi voci “fermiamo le braccia”.Stamattina, al cambio di turno, ci hanno pre s i . . . . t u t t i .Come quando si spara nel mucchio.“Per il cuore inabile ai lavori pesanti” scrive il medico,p regato da una moglie disperata.Nessuno guarda il certificato. Per i ragionieri del terro re . . .contano solo i numeri.Così parto, arrivo e ...sono fumo con tanti.Ora figlio mi cerchi nella ultima, lontana, terr a .Vedi la madre: il dolore, l'attesa impotentedell'ombra che non sarebbe più tornata,il rimorso per l'incolpevole atto d'amore ,….................la mort e . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Sei ragazzo nascosto e ricercato per colpa di essere mio.Per la colpa di essere incolpevole un altro uomo muore ,questa volta di cuore .

In memoria di mio zio de-portato a Mauthausen emorto a Gusen, gasato trail 21 e il 22 aprile 1945, edella sua famiglia profon-damente segnata dagli an-ni d’angoscia e di doloreche seguiranno alla de-portazione e poi dalla co-noscenza del suo posto diprigionia e di morte da unsuperstite. Forse questo“Uomo” non è morto unavolta ma due, cento, millenelle evocazioni della mo-glie, nelle traversie del fi-glio (precocemente uomo),in ogni sguardo dato a co-se e luoghi che per loro era-

no dolorose catene di ri-cordi, pudiche a mostrarsima profonde ferite nei lo-ro esseri. Così gli incol-pevoli si moltiplicano e so-no non solo chi aveva lacolpa di essere un uomo li-bero ma anche altri e al-t r i … …Unschuldinge trad.Innocente: formato da“Un” (non) e “schuldin -ge” (colpevole)……..

Chiara Berretta è f a m i g l i a re del deport a-to Angelo Carlevarino,scioperante del marz o

1944 e assassinato aGusen nel 1945.

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Il 24 febbraio ci ha lasciato all'età di 98 anniGuido Focacci, ingegnere fiorentino, ex depor-tato a Mauthausen, mio caro amico ed esem-pio per tutti coloro che lo hanno conosciuto di

rettitudine ed equilibrio.

Schivo da ogni forma di esibizionismo e perso-nalismo, era sempre pronto a compre n d e re ,a p p o g g i a re ed aiutare chiunque fosse in diff i-c o l t à .

Pilota spericolato degli aereosiluranti durantela II Guerra Mondiale, dopo l'8 settembre '43passò alla Resistenza.

Fu catturato a Firenze con il gruppo di“Radio Cora” e torturato ferocemente daicomponenti della “Banda Carità” che colla-borava con le SS.

Senza saperlo, ( p a r l aM a rcello Mart i n i )anche io, quattordi-

cenne, facevo parte di“Radio Cora” in qualità dis t a ffetta, poiché mio pa-dre, il maggiore dell'eser-cito Mario Martini, era uncollaboratore del CLN fio-rentino. L'intero gruppo del CLNfu fucilato dai tedeschi ela mia famiglia arrestata.Fui trasferito a Fossoli do-ve rividi Guido che giàavevo conosciuto quandoera venuto a controllare l'i-

Le nostres t o r i e

Nella sua vita, aerei e il volo sono sempre stati la sua grande passione e vi ha p

L’ultimo volo del deportato Guido Focacci, partigiano. Il ricordo e la storia parallela dell’amico Marcello Mart i n i

doneità del campo di at-terraggio per un gruppo diradiotelegrafisti che si pa-racadutarono sulle collinedi Prato una notte del giu-gno del '44.A Fossoli co-minciò la nostra amicizia,che si saldò successiva-mente a Mauthausen ed aWiener Neustad dove fum-mo trasferiti a lavorare perla Rax Werke; in quelle ter-ribili circostanze la sua vi-cinanza ed il suo sostegnomorale sono stati fonda-mentali per la mia soprav-vivenza.

Per pura combinazione i no-stri numeri di matricola era-no composti dalle stesse ci-fre: 76430 io e 76340G u i d o .Fummo separati il 19 di-cembre del '44 e ad Hin-terbrul sentii profondamentela sua mancanza.Partecipammo entrambi al-la “marcia della morte”, vi-cini ma senza incontrarci egrazie ad un “passaparola”

riuscimmo a sapere che era-vamo entrambi sopravvis-suti nel periodo della no-stra separazione e questomi fu di grande conforto.Restammo divisi fino a do-po la liberazione, 5 maggiodel '45, quando riuscii a rag-giungerlo nel campo diGusen e, di nuovo insieme,rientrammo in Italia dovefortunatamente trovammosalve le nostre famiglie.

di Alessandra Mart i n i

Un passaparola ci conferma che siamovivi durante la “marcia della Morte”

Scrive l’autrice: mio padre (a sinistra) Marc e l l oM a rtini, soggetto poco incline all'uso di nuovetecnologie, mi ha delegata ad informarvi dellascomparsa recente dell'ingegnere Guido Focacci, suocompagno di deportazione a Mauthausen. Guido (perme "zio Guido") è stata una persona a tutti noi moltocara per le sue doti umane ed affettive e volentieri mifaccio portavoce della richiesta di mio padre, alla qualesi associa la nostra intera famiglia, per la pubblicazionesu "Triangolo Rosso" di un breve ricordo che allegounitamente a questa fotografia che li ritrae insieme.

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ha profuso competenza ed iniziativa, trasmettendo il suo entusiasmo ai giovani

a i

Anche dopo la devastanteesperienza del campo di con-centramento Guido, per mefino ad allora unico aff e t t o ,fu di grande aiuto nel gui-darmi a ristabilire il legamecon la famiglia.Nella sua vita, il volo è sta-to sempre la sua grande pas-sione e vi ha profuso com-petenza ed iniziativa, tra-smettendo il suo entusiasmoai giovani.Nel periodo in cui diresseuno stabilimento vicino aMassa si adoperò per rea-lizzare un piccolo aeropor-to ancora oggi funzionantee l'aeroclub Marina diMassa. In campo lavorati-vo creò dal nulla il settoreMotori Avio per l'Alfa Ro-meo di Pomigliano che inpochi anni si affermò comeuna delle migliori aziendenella revisione e messa apunto di motori aereonauti-ci civili e militari. Ho avu-to modo di apprezzare le suedoti umane e professionalilavorando con lui aPomigliano: un periodo chericordo tra i più belli dellamia vita anche se impegna-tivo e molto faticoso.Pur coprendo un ruolo di-rettivo, non imponeva maile proprie decisioni ma era

pronto al confronto ed allaconoscenza per condividerela soluzione di qualsiasi pro-blema; sapeva, cioè, creareintorno a sé un team di per-sone motivate e collaboran-ti, dote purtroppo rara negliambienti di lavoro.Un episodio esemplare: du-rante uno sciopero molto ac-ceso, l'auto su cui viaggiavail Direttore Generale fu ac-colta dagli operai che fian-cheggiavano il viale di ac-cesso allo stabilimento conuna sassaiola, rendendo ne-cessario l'intervento deiCarabinieri. Pochi minuti dopo, all'arri-vo di Guido, un lungo ap-plauso lo accompagnò finoal cancello di entrata.

Trasferitomi in Piemonte,non ho mai perso i contatticon lui essendo per me unamico più che fraterno, unpunto di riferimento e di ap-poggio sia per la mia vitalavorativa che familiare.Padre e marito esemplare,ha esercitato il suo carismaanche nelle generazioni suc-cessive: i nostri figli sonocresciuti insieme e man-tengono un saldo legame diamicizia reciproca .Gli ultimi anni della sua vi-ta lo hanno visto circonda-to dall'affetto e dalle curedella moglie, dei figli e del-le assistenti che hanno sol-

levato la sua sensazione di“essere di peso”, condizio-ne che più di tutte lo angu-s t i a v a .Ha peraltro mantenuto in-teresse per i fatti del mondo,lucidità e disponibilità neiconfronti degli altri finchéne avuto forza, incorag-giando le iniziative senzausare la retorica.La sua scomparsa, pur att e-sa in relazione all'età, halasciato comunque un gran-de vuoto dentro di me.Amico Guido, che hai sem-pre amato librarti nel cie-lo, vola ora senza limiti!A d d i o !

La “razza partigiana” sempre solidaletrasmette ai figli questi grandi valori

La prima separazione èavvenuta in Austria, doveM a rcello Martini ha lavo-rato per diversi mesi nellaS e e g rotte, campo satellitedel campo di concentra-mento di Mauthausen,a p e rto all'interno dellecaverne vicino alla cittadi-na di Hinterbruhl, inAustria nelle caverne sca-

vate da un lago sotterra-neo. Qui i prigionieri, suturni di dodici ore, cont e m p e r a t u re inferiori ai 10gradi e altissimi tassi diumidità, erano impegnatinella produzione di com-ponenti per moderni cac-cia a reazione che doveva-no essere l’ “arma segre t a ”del regime nazista.

l o c o m o t i v e - t e n d e r, ma sieseguiva anche, a part i redal 1943, l’assemblaggiodei missili A-4. Tutto que-sto fece in modo che lacittà venisse quasi comple-tamente distrutta durantela Seconda GuerraMondiale: circa 50.000bombe rasero al suolol’antica città deiB a b e n b e r g .Questa fabbrica è stato ilprimo luogo di deport a z i o-ne di Guido Focacci e del-l’amico Marcello Mart i n i .

La lapide che ricorda ip a rtigiani di “Radio Cora”INSIEME

NELLA FABBRICA DI LOCO-MOTIVE

SEPARATINELLA

FABBRICA DEI CACCIA TEDESCHI

L’inizio della storia è qui,n e l l ’ a p p a rtenenza al grup-po di Resistenza. Nelm a rzo del 1938, dopol’“annessione” dell’Austriaal Reich tedesco, a Wi e n e rNeustadt si verificò unaf o rte concentrazione del-l’industria bellica. Le“ Wi e n e r N e u s t ä d t e rFlugzeugwerke” fornivanogià nel 1940 un quarto ditutta la produzione deicaccia Me ( M e s s e r s c h m i t t ) -109, e negli impianti del-l’allora fabbrica di loco-motive “Rax-Werken” diWi e n e r Neustadt non veni-vano prodotte solamente

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C o s t retto a lasciare il nostro paese dalle leggirazziali promulgate da Mussolini, si rifugiòcon la moglie e i due figli prima in Francia epoi in Olanda, dove venne catturato con tutta

la famiglia e deportato ad Auschwitz. Qui moriro n otutti e quattro

La sua vicenda è raccontata nel volume delgiornalista Matteo Marani “Dallo scudetto adA u s c h w i t z”. Weisz sembrava essere scompar-so nel nulla, per decenni nessuno ha parlato

di lui, l’argomento era, per così dire, tabù.

Arpad Weisz era natoa Solt (Ungheria) il16 aprile 1896; do-

po un periodo di attività co-me calciatore, egli divieneallenatore, dapprima nellaterra d’origine, poi giungein Italia; preceduto da unafama di serio professioni-sta, dalla notevole espe-rienza (aveva compiuto, nel1928/29 uno stage in SudAmerica). Dopo un breveperiodo in club minori, ap-proda all’Ambrosiana, co-me allora si chiamava l'Inter,alla quale fa vincere lo scu-detto nel 1929/30. Weisz non è solo un tecni-co competente, ma un in-novatore: cura a fondo lapreparazione atletica deicalciatori, scendendo a suavolta in campo durante gliallenamenti (mai, prima dilui, si era visto un “mister”in tuta!), comprende l’im-portanza dei ritiri di squadrae del“fare spogliatoio”; è

un formidabile talent scout:valorizza e aiuta a crescereun diciassettenne di nomeGiuseppe Meazza. Insiemead Aldo Molinari (un diri-gente dell’Ambrosiana, spe-cializzato in calcio merca-to) scrive, nel 1930, un ma-nuale, Il Giuoco del calcio(con prefazione di Vi t t o r i oPozzo), notevole perché an-ticipatore di molte idee sulpallone, sui ruoli in campoe sulle metodologie di al-lenamento. Nel 1935, chiamato dallo“storico” presidente rosso-blu, Renato Dallara, egligiunge a Bologna, con lamoglie Elena e i figliRoberto e Clara, nati inItalia. Il libro di Marani siapre a Bologna, nella pri-mavera del 1938. Arpad è stimato ed amato,ma pervaso da una certa in-quietudine per gli eventitragici che si profilano al-l’orizzonte.

Si concentra sul lavoro, su-gli affetti familiari, quasi avoler dimenticare ciò che sista preparando per lui, peri suoi cari, per milioni di al-tri esseri umani innocenti.Matteo segue partecipe ecommosso, ripercorrendoogni luogo fino al tragicoepilogo, le vicende di que-sta famiglia, vicende che siintrecciano con l’intera tra-gedia del popolo ebraico:

dagli anni bolognesi, alla fu-ga dall’Italia nel gennaio1939, a seguito delle infa-mi leggi razziali (si dimetteda tecnico del Bologna, nel-l’ottobre 1938, non “vieneesonerato”, come aff e r m aqualcuno), al breve passag-gio a Parigi, al rifugio inOlanda, nella cittadina diDordrecht, dove Arpad al-lena la locale squadra di cal-cio con la consueta passio-

Le nostres t o r i e

Arpad Weisz, allenatore .In Italia vinse tre scudetti: e b reo, emigrò in Olandae fu ucciso ad A u s c h w i t z

di Mara Marantonio

Neppure riusciva a concepire quale ine-dita mostruosità stesse attuando Hitler

Le iniziative contro il razzismo negli stadi hanno riportato l’attenzione sulla fi

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ne e riproponendo i metodiusati da noi. Il libro è cor-redato da significative fo-tografie: ecco un signoredallo sguardo vivace, unpo’ironico, cravatta e cap-pello a lobbia, o magliettae calzoncini, a seconda deicasi; poi, nelle immaginiolandesi, gli si legge negliocchi una incredula dispe-razione. Vi sono anche alcune im-magini di Clara e Roberto;impossibile non pensare almilione di piccoli uccisi icui nomi sono scanditi inperenne memoria alCorridoio di Yad Va s h e m .Mi sono chiesta, durante lalettura, come mai Arpad nonsia fuggito lontano, quandoancora avrebbe potuto farlo,magari in Sud A m e r i c a .Forse la risposta sta nel fat-to che lui, uomo corretto epositivo, un signore, cre-sciuto in un ambiente co-

smopolita come l’Ungheriadi inizio Novecento, nep-pure riusciva a concepirequale inedita mostruositàstesse attuando Hitler con isuoi volonterosi carnefici,non solo tedeschi.“ Avevamo contro di noi lagioventù uscita dalle mi-gliori università dellaGermania” annota consconforto Elie Wiesel nellasua autobiografia. Innamorato del proprio la-voro, Weisz sperava forsein un miracolo. Quando haaperto gli occhi era troppotardi. All’alba del 2 agosto1942, gli stivali degli agen-ti della Gestapo battonoquindici colpi, tanti quantisono i gradini della casa diBethelehemplein 10 road.La famiglia è deportata, pri-ma nel campo di smista-mento di Westerbork, postoin una località nascosta, lon-tana da sguardi indiscreti,

indi è caricata su uno di“quei” treni. Elena e i figlivengono uccisi subito, al-l’arrivo ad Auschwitz, A r p a d“sopravviverà” fino al 31gennaio 1944. Grazie al volume/testimo-nianza di Matteo Marani èstata stracciata la coltre dioblio che aveva avvolto la fi-gura del valoroso tecnicou n g h e r e s e .

Matteo Marani

Dallo scudetto adAuschwitz. Vita e morte

di Arpad We i s z ,allenatore ebreo

E d i t o re A l i b e rti, 2007 e u ro 14,00

lla figura di Arpad Weisz, allenatore ebre o - u n g h e rese che vinse ben 4 scudetti

Il 15 gennaio scorso scorso a Milano si è giocata lap a rtita dei quarti di finale di coppa Italia tra Inter eBologna. Il dato più importante della serata non è sta -to il match ma il ricordo che entrambe le squadre han -no voluto dedicare a Arpad Weisz a un paio di settima -ne dalla Giornata della memoria. Allo stadio di SanS i ro è stata posizionata a cura del Comune di Milano unalapide in ricordo e preparata la maglia che ricorda ilgrande allenatore ucciso dai nazisti. A Bologna una ce -rimonia in ricordo di Weisz sotto alla lapide che lo ri -c o rda allo stadio Dallara

Negli stadi di Milano e Bologna un“No al razzismo” in ricordo di We i s z

Il Bologna ha vinto lo scu-detto del 1936-1937: lasquadra raccoglie l’ap-plauso festoso del pubbli-co, ma Arpad Weisz quar-to da sinistra, non guardacome tutti l’obiettivo delfotografo. Il suo pensiero èa l t ro v e .

La recensione completa diMara Marantonio sul librodi Marani è visibile su:w w w. s o l o l i b r i . n e tw w w. a n g o l o d i m a r a . c o min marzo 2007.

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Nel 1941 avevo diciassette anni ed ero con altristudenti a 400 chilometri dalla mia città,Mariupol, in Ucraina.

Eravamo vicino al fronte di guerra a costruiretrincee e buche per r i t a r d a re l'avanzata tede-sca.

L'Armata rossa una notte si ritirò all'impro v-viso e fum¬mo sorpresi, fatti prigionieri ec o s t retti a lavorare per le truppe naziste.

Riuscii a fuggire, maquando tornai a casala mia città era stata

occupata e venni nuova-mente fatta prigioniera edeportata in Germania aColonia, a lavorare in unafabbrica di armi. Non volevamo aiutare i na-zisti a vincere la guerra efacevamo di tutto per sa-botare la produzione belli-ca. Una sera mi si avvicinò ilcapo-operaio di guardia, uncivile tedesco e mi disse:

Le nostres t o r i e

Quella di Nadja è una storia singolare: rinchiusa in un gulag sovietico scappa. D

Quei due ore c c h i n i ,tutto il mio tesoro ,salvati per due anni e mezzonello spavento del Lager

«Sei stata scoperta, doma -ni verranno a pre n d e rti perf u c i l a rti, devi scappare que -sta notte! Ti lascerò aper -ta una finestra». Riuscii a fuggire insieme auna compagna e ad arriva-re, dopo un lungo viaggio,in Polonia.Bussammo a una casa dicontadini per chiedere ospi-t a l i t à .Credevamo di essere in sal-vo ma i polacchi, quandocapirono chi eravamo, ciconsegnarono alla Gestapo.

Nel 1942 venni internatanel lager di Ravensbrück, a80 chilometri a nord diBerlino. Vi restai due annie mezzo. Lo chiamavano«l'inferno delle donne» peril gran numero di interna-te femminili e le pesanticondizioni. Nel lager la vi-

ta era molto dura, le Kapoci colpivano selvaggia-mente. Tutto era vietato epunito nel campo. Se ave-vamo i pidocchi venivamopunite, se ci trovavano unfoglio di carta sotto la ca-sacca per proteggerci dalfreddo venivamo punite, se

eravamo sporche di fangovenivamo punite. Non sipoteva né chiacchierare népregare né cercare tra i ri-fiuti qualche rapa marcia.In genere si prendevano 25nerbate per una infrazioneindividuale o, se venivanopunite tutte le internate del-la baracca, si restava tuttesenza cibo per alcuni gior-ni. All'inizio fui mandata nel-lo stanzone dove c'erano gliabiti sottratti ai prigionieria controllare se vi fossero

nascosti preziosi, denari,gioielli, monete d'oro. I con-trolli all'entrata e all'uscitaerano severissimi: se aves-simo sottratto per noi unsolo grammo d'oro ci aspet-tava la fucilazione imme-diata. Un giorno dentro lafodera di un cappotto tro-vai due piccoli orecchinid'oro. Non ne avevo mai vi-sti di così belli. La mia va-nità femminile e giovanileebbe la meglio sulla pauradella morte, li presi e li na-scosi sotto la lingua.

di Romolo Vi t e l l i

A controllare se negli abiti sottratti ai prigionieri vi fossero nascosti preziosi

L’ex deportata Nadja Kalnizkaja mentre parla aglistudenti del liceo scientifico di Gavirate

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pa. Dodici anni dopo il nuovo incubo, questa volta nel lager nazista di Ravensbrück.

o

Al controllo mi perquisi-rono ma non trovarono nul-la. Quando tornai nella ba-racca dissi alla mia amicaaustriaca che mi fungevada mamma di aver sottrat-to due orecchini e lei: «Seipazza? Se ti prendono ti fu-cilano, riportali e conse-gnali subito!». Non lo feci: ero felice ditenerli e indossarli di na-scosto. Un giorno ebbi pau-ra di essere scoperta e li in-ghiottii prima dell'ispezio-n e .L'indomani alla latrina lirecuperai, li lavai con curae li nascosi sotto una pietra.Le truppe sovietiche dopoStalingrado cominciavanoad avanzare e i nazisti nonsentendosi più sicuri face-

vano evacuare i campi diconcentramento. Una mat-tina anche il nostro lagervenne abbandonato e co-minciammo una terribile«marcia della morte» peressere trasferite al nord, dadove dovevamo imbarcar-ci per il Sud America e con-tinuare i lavori forzati peri nazisti in Brasile. Molte morirono di stenti ofurono abbattute dalle guar-die. Un giorno mi avvici-nai a un tedesco che ci sor-vegliava e gli chiesi se nonci lasciasse andare. Era ungiovane che aveva persoun braccio in guerra.All'inizio rispose di no, ri-dendo, poi mi disse: «Nonora, ma quando a sera da-ranno da mangiare ai cani,

al mio cenno buttati roto-lando per la scarpata!».Scappai nuovamente conalcune compagne.Va g a v a-mo per i campi quando al-l'alba vedemmo una casci-na. La casa era stata ab-bandonata in tutta fretta:dentro c'erano pane, salu-mi, lardo e tanto vino.All'improvviso sentimmoparlare tedesco e guardan-do dalla finestra vedemmodei militari. Eravamo an-cora con le casacche del la-ger e il nostro numero: pen-savamo di essere perdute.Per nostra fortuna si tratta-

va di militari giovani chenulla sapevano dei lager.Ci allontanammo e na-scondemmo in una raduradall'erba alta dove ci ad-dormentammo. Fummosvegliate da scoppi di gra-nate. Eravamo in piena bat-taglia tra due fuochi: da unaparte i panzer tedeschi edall'altra i carri armati so-vietici. Poi la battaglia cessò e icarri si allontanarono. Unacompagna, che era uscitadi senno durante l'abban-dono del lager, si allontanòin cerca di aiuto.

Cercammo di trattenerla,ma non ci riuscimmo. Perstrada incontrò un coman-dante russo con un sidecara cui raccontò di noi.L'uomo prima la riportò danoi con la moto, poi tornòcon i suoi compagni del-l'Armata Rossa che ci por-tarono con un camion al lo-ro comando dove fummorifocillate e curate.Dopo un lungo viaggio intreno e a piedi arrivai a ca-sa dei nonni. Bussai alla porta: ero mol-to dimagrita e deperita.Venne mio nonno ad aprir-mi e mi disse: «Che vuoiragazza? Aspetta che tiprendo una patata lessa, nonabbiamo di più».Stava per chiudere la por-

ta quando la nonna gridò:«Ma non riconosci la vo-ce? È Nadja! È tornata!».Ci abbracciammo e pian-gemmo insieme per un belpo', la nonna non la smet-teva più di stringermi e dip i a n g e r e .Avevo sempre con me que-gli orecchini che avevo tro-vato nel lager ma un gior-no mentre li volevo indos-sare per andare a una festami accorsi di averne solouno; l'altro l'avevo smarri-to. La cosa mi rese moltotriste pensando a quanti pe-ricoli avevo passato per na-sconderli. Ora, l'unico ri-masto l'ho consegnato almuseo di Ravensbrück, do-ve in una teca un bigliettoracconta la sua storia.

Venne mio nonno ad aprirmi e mi disse: «Che vuoi ragazza?»

La baracca in cui venivae ffettuata la cernita deivestiti degli internati nelcampo alla ricerca dip reziosi nascosti negliabiti dai deportati. Fucosì che Nadia trovò glio recchini “pro t a g o n i s t i ”del suo racconto. In filap e r il gabinetto. Undisegno della deport a t aceca Nina Jirsikova.

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Il 20 agosto 1940, sessanta giorni dopo lafirma dell’armistizio franco-tedesco aCompiègne, i tedeschi deportano daAngoulême a Mauthausen 927 rifugiati spa-

gnoli (uomini, donne e bambini).In Francia per i n t e r n a re gli spagnoli fuggitidalla Catalogna occupata dalle truppe fran-chiste furono allestiti prima dei campi lungole spiagge del Roussillon, dove i profughi vis-

s e ro in situazioni disumane.

Con la creazione del-le Compagnies deTravailleurs Ètrangé-

res 60.000 uomini lascia-rono i campi, 15.000 si ar-ruolarono nella LegioneStraniera e 40.000 s’impie-garono nell’industria o nel-l’agricoltura. Questi ultimiriunitisi alle famiglie vi-vevano vicino al posto dilavoro sparsi per tutta laFrancia. Ad Angoulême, capitale del-la Charente, Sud-ovest del-la Francia, sorse il campo

Le nostres t o r i e

L’ a m a ro esodo spagnolo:da Angoulême deportati in 927 a Mauthausen. Ma tornano solo le donne

d’Alliers, costituito da ottobaracche per l’alloggia-mento, una per gli uff i c i ,una per le cucine e una perl’infermeria. Il 24 giugno1940 i tedeschi entrano incittà. Da quel giorno ini-ziano sabotaggi alla polve-riera di Angoulême, in cuilavoravano molti spagnoli,un tratto della ferroviaParigi-Bordeaux è distrut-to con la dinamite, infine,l’8 agosto, un soldato tede-sco è ferito alla testa da unabastonata.

Quando ai primi di lugliovengono interrotte le lineedi comunicazione tedeschegli occupanti pensano chegli autori siano dei Rossispagnoli, per cui impon-gono alle autorità francesidi radunare tutti i rifugiatidella zona in un campoprossimo alla ferrovia perconsegnarli alla Spagna.Successivamente proget-tano di trasferirli nella zo-

na libera della Francia con-trollata dal governo diVi c h y. Il 17 agosto il prefetto del-la Charente ordina al capodella Gendarmeria di cen-sire tutti gli spagnoli cheman mano sono internatinel campo d’Alliers e di se-g n a rgliene il numero pero rganizzare i treni per iltrasferimento. La notiziadella formazione dei con-

di Pietro Ramella

Il mattino del 20 agosto truppe tedesche circondano il campo

Angoulême: in questa città della Francia centro-occidentale i campi di raccolta p

Tedeschi della compagnia di propaganda occupanti la Francia affiggono manifesti che intimano agli ex prigionie-ri e ai rifugiati di recarsi immediatamente nei campi. A destra il controllo dei documenti di un giovane francese.

Un raduno di re s i s t e n t ifrancesi in memoria dicaduti di Sant Cyprien

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Il treno si ferma in un piccolo villaggiosulle rive del Danubio: Mauthausen.

l t a p e r i profughi fuggiti dalla Catalogna sotto l’incalzare delle truppe franchiste

vogli induce molti rifugia-ti a diffidare dei tedeschi ea nascondersi, alcuni pa-droni francesi sconsiglia-no i loro dipendenti dalrientrare al campo e li ospi-tano a casa loro. Il mattino del 20 agostotruppe tedesche circondanoil campo quindi fanno ir-ruzione nelle baracche e or-dinano agli occupanti diprendere quanto possono,

li mettono in fila davantialla baracca ufficio e li fan-no marciare fino alla sta-zione di Angoulême, dovetrovano un convoglio fer-roviario composto di oltreventi vagoni merci. Vi e n eordinato di salire in qua-ranta per ogni vagone. A l l aragazza che fungeva da in-terprete al campo viene or-dinato di contare vagoneper vagone gli spagnoli.

Un biglietto non datato con-servato negli Archivi di-partimentali della Charenteindica 437 femmine e 490uomini. La sosta si prolunga e si co-mincia a soffrire la sete, mai tedeschi non permettonodi scendere dai vagoni. È

distribuito del pane, scato-le di sardine e formaggio,sui vagoni viene stesa del-la paglia e sono dati alcunisecchi per i bisogni. Sulla destinazione del tre-no corrono le voci più di-sparate, si va nella zona li-bera, o addirittura in

Uno dei più valenti fotografi di tutti itempi esordì e testimoniò la guerra diSpagna dalla parte giusta, contribuendocon l’eccezionalità delle sue immagini af a r c o n o s c e re al mondo la lotta re p u b b l i-cana. La piccola rassegna presenta comeprima immagine proprio l’epilogo: unflic francese scorta una colonna di fuo-riusciti verso il campo di Argelais. Nellefoto piccole ecco la più famosa, un mili-ziano colpito durante l’assalto, lo sguar-do preoccupato degli abitanti diGuernica al rombo degli aerei tedeschiche bombarderanno la città. Qui sottoErnest Hemingway. Ultima foto: GerdaTa ro, compagna di Capa che moriràschiacciata da un carro armato. Gerdaaveva 26 anni. Robert Capa morì inVietnam saltando su una mina nel 1954.

L’obiettivo come arma: l ’ e roismo di Robert Capa

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Norvegia, Olanda o Russia,quella più temuta è laSpagna. Ametà pomeriggioil treno si muove, leggendoi nomi delle stazioni attra-versate: Poitiers, Orléans,Parigi appare chiaro che si vaa Nord. Il giorno dopo la si-tuazione nei vagoni si fa pe-sante, soprattutto per la man-canza d’acqua e d’aria. Ilterzo giorno si attraversa ilReno a Strasburgo, si passaper Kehl, poi Stoccarda eMonaco. Il treno si ferma a lungo inuna di queste stazioni doveè distribuita dell’acqua e una

zuppa. Si riparte per Sali-s b u rgo, si lascia la linea prin-cipale che porta a Vienna enella notte tra il 23 e il 24agosto il treno si ferma inun piccolo villaggio sulle ri-ve del Danubio: Mauthau-sen. Nel pomeriggio le porte deivagoni vengono aperte e de-gli ufficiali delle SS ordi-nano urlando ai maschi conpiù di 14 anni di scendere. I430 uomini sono radunati incoda al treno, sono contatie ricontati prima di riceverel’ordine di mettersi in mar-cia in fila cinque per cinque.

Sui vagoni sono rimaste ledonne e i figli con meno diquattordici anni che hannodelle crisi di pianto, poi, im-provvisamente il treno ri-parte. Gli uomini percorro-no i cinque chilometri cheli separano dal campo, di cuiignorano tutto, sotto le gri-

da delle SS e gli insulti e glisputi dei cittadini diM a u t h a u s e n .Iniziano le formalità previ-ste per i nuovi arrivati: to-satura, disinfestazione, doc-cia, abbigliamento e infineregistrazione. Ricevono unadivisa a righe o dei sempli-

ci vestiti di ricupero, è ta-tuato un numero di matrico-la (dal n. 3807 al n. 4237)contraddistinti dal triango-lo blu riservato agli apolidi(Franco li ha infatti privatidella cittadinanza spagnola)al cui interno vi è una S perSpanier (o Rotspanier). Ilpiù giovane è Felix Quesada,nato il 4 maggio 1926, il piùvecchio è Bautista Sabate,nato il 29 gennaio 1872. Il 60% è tra i 20 e i 40 anni,il 28% ha più di 40 anni e il12% ha meno di 20 anni, traloro17 hanno meno di 16 an-ni. Questi provenienti daAngoulême non sono però iprimi spagnoli internati, lihanno preceduti sempre nelmese di agosto circa 650 ap-partenenti alle C o m p a g n i e sdes Travailleurs Ètrangère scatturati in Francia e internatiin campi di prigionia per pri-gionieri di guerra, ai qualinon è stato riconosciuto los t a t u s di prigioniero di guer-ra ma quello di prigionieropolitico, non protetto dallaConvenzione di Ginevra.Sono inoltre in corso tratta-

tive tra la Germania e laSpagna per trasferirvi dallaFrancia tutti i rifugiati re-pubblicani, ma il Ministerodegli Esteri spagnolo nonda seguito all’iniziativa te-d e s c a .Progetto condiviso dal go-verno di Vichy che non ve-de l’ora di liberarsi di que-sti ospiti indesiderati. Dopoil periodo di quarantena, ipiù giovani sono destinatialla pulizia delle baracche,gli altri sono impiegati nel-la cava di granito (Wi e n e rGraben) all’estrazione delmateriale che poi devonopiù volte portare a spalla sui186 gradini della “scala del-la morte”. Le disumane condizioni dilavoro e la scarsa alimenta-zione fanno i primi morti,il 7 settembre vi è il primodecesso: Enrique RiosLlorente. Agli inizi del 1941circa il 90% degli spagnoliprovenienti da A n g o u l ê m esono trasferiti al sottocam-po di Gusen, qui le condi-zioni di vita sono peggioriche a Mauthausen.

Rimando per l’intera sto-ria sulla deportazione de-gli spagnoli nei lager n a-zisti ai miei articoli sulTriangolo Rosso:n. 1/2000 L’odissea deglispagnoli con il triangolob l u .n. 2/2001 Anche i lagerdella morte per la spieta -ta vendetta di Francoe altri.

Nei pressi di cittadinecome A r g e l è s - s u r- M e re Collioure il governo francese fece allestire i campi per a c c o g l i e re p rofughi e fuggiaschi spagnoli, campi spesso fatiscenti e privi di tuttodove la vita quotidiana erae s t remamente dura.

Le nostres t o r i e

Sotto le grida delle SS e gli insulti e gli sputi dei cittadini di Mauthausen

L’ a m a ro esodos p a g n o l o :da A n g o u l ê m ed e p o rtati in 927 aMauthausen. Ma tornano solo le donne

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La mortalità tocca punteestreme, aggiungendo ai 285morti realmente accertati(di cui 60 gasati al castellodi Hartheim) i 36 di cui nonsi conosce la sorte e i 65 nonregistrati sul sito dellaFondation de la Memoirede la Déportation ma i cuinumeri risultano essere sta-ti assegnati in successivi tra-sporti sempre di spagnoli,si ottiene la cifra di 386 de-

cessi, pari al 87% degli in-ternati, solo 55 ritroveran-no la libertà il 5 maggio1945. Il 24 agosto il treno haripreso la sua corsa con ledonne e i bambini, dapprimaviaggia verso Berlino, fa unasosta alla stazione di Für-s t e m b e rger dove sono di-stribuiti da donne con un ve-stito a righe vitto e acquapoi riprende la corsa per fer-marsi vicino al campo di

Ravensbrück, ma nessunoè fatto scendere. Riprende ilviaggio verso Ovest, rien-tra in Francia e ritorna adAngoulême, dove viene fat-ta scendere Dolores Martí-nez per la febbre molto al-ta per cui i tedeschi temo-no che possa contagiare lealtre. Il treno prosegue perla Spagna e l’11 settembrearriva alla stazione di Irun,da dove vengono trasferiteai luoghi d’origine salvo al-cune che sono imprigiona-te in attesa che qualcuno ga-rantisca per loro. A l l ’ a r r i v o

molte trovano le case oc-cupate e devono cercarsiuna nuova residenza senzapoter protestare presso leautorità. Sono, infatti, sem-pre strettamente sorveglia-te e devono una volta la set-timana presentarsi alla lo-cale caserma della G u a rd i aC i v i l. Fino al 1943 non ri-ceveranno notizie dai lorocongiunti, se ancora in vi-ta. Il 19 gennaio 2008 è sta-ta posta alla stazione diAngoulême una lapide a ri-cordo del tragico avveni-m e n t o .

Si ottiene la cifra di 386 decessi, pari al 87% degli internati

Soldato dell’esercito repubblicano ilgiovane Francisco finisce, come altrisettemila spagnoli al campo diMauthausen e diventa fotografo “uff i-ciale”. Kaltenbrunner, dal quale dipen-deva direttamente la Gestapo, aff e r m adi non essere mai stato in un lager;Verrà smascherato in una delle piùdrammatiche udienze dell'intero pro-cesso. Sul banco dei testi c’è FranciscoBoix. Aveva rischiato la vita per s t a m-p a re una copia in più delle foto piùsignificative e nasconderle. Ora lemostra alla Corte. Due di esse ritraggo-no Kaltenbrunner nell'interno del lager: una sull'Appellplatz e l'altra alla cavadi pietre, il peggior t e a t ro dei massacri.

L’obiettivo come accusaecco Francisco Boix