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PROGRAMMA MINDFULNESS “IL FIORE DENTRO” per insegnare ai bambini a gestire lo stress e ad essere più felici ANTONELLA MONTANO SILVIA VILLANI ECLIPSI

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PROGRAMMA MINDFULNESS“IL FIORE DENTRO”

per insegnare ai bambini a gestire lo stress e ad essere più felici

ANTONELLA MONTANO

SILVIA VILLANI

ECLIPSI

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Collana Scienze Cognitive e Psicoterapia, con la Supervisione ScientiÞ ca dell’Istituto di Psicologia e Psicoterapia Comportamentale e Cognitiva (IPSICO, Firenze)

PROGRAMMA MINDFULNESS “IL FIORE DENTRO”Per insegnare ai bambini a gestire lo stress e ad essere più felici

Antonella Montano e Silvia Villani

Disegni: Barbara Civilini

Editing e correzione di bozze: Andrea Pioli

Videoimpaginazione: Gesp srl

Copyright © 2016 Eclipsi srl

Via Mannelli, 139

50132 Firenze

Tel. 055-2466460

www.eclipsi.it

ISBN: 978-88-89627-33-4

I diritti di traduzione, di riproduzione, di memorizzazione elettronica, di adattamento

totale e parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microÞ lm e le copie fotostatiche) sono riservati

per tutti i paesi.

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SOMMARIOIntroduzione V

I bambini e la mindfulness 7

Il programma MBSR “Il Þ ore dentro”: generalità 19

IL PROGRAMMA “IL FIORE DENTRO”

Incontro di orientamento con i genitori 41

Incontro 1: C’è un giardino segreto dentro di me 45

Incontro 2: La mente del principiante 65

Incontro 3: Un pensiero è un pensiero 79

Incontro 4: I colori delle emozioni 99

Incontro 5: Gli eventi stressanti 115

Incontro 6: La consapevolezza prima di agire 135

Incontro 7: Io e l’altro da me 157

Incontro 8: Il Þ ore dentro 177

Considerazioni Þ nali 193

BibliograÞ a 197

Approfondimenti 201

SitograÞ a 209

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INTRODUZIONENon puoi trasmettere saggezza e visione profonda a un’altra persona. Quei semi sono già

presenti in lei; un buon insegnante li tocca e permette loro di risvegliarsi, di germogliare e di

crescere.

-Thich Nhat Hanh

Il libro che avete tra le mani è una guida strutturata all’applicazione di un programma per l’apprendimento della meditazione di consapevolezza (mindfulness) rivolto a bambini dai 6 ai 12 anni. È un testo per coloro che - insegnanti, educatori, psicoterapeuti - consci dei beneÞ ci derivanti dalla pratica in prima persona della mindfulness, intendano offrire ai più piccoli questa opportunità di auto-conoscenza e di crescita interiore.

Il programma si chiama “Il Þ ore dentro” e mira a dare ai bambini la possibilità di accedere a una modalità nuova di stare al mondo: più consapevole, emotivamente equilibrata e più compassionevole. Una modalità che funga da antidoto alla frenesia e allo stress imposti alla nostra infanzia da una cultura materialistica e competitiva, e li metta in condizione di crescere in una più profonda connessione con se stessi, con gli altri e con il mondo, sviluppando doti quali la pazienza, la gentilezza e la Þ ducia.

Conosco bene l’importanza di cambiare alla base le radici educative della nostra società, e ho potuto toccare con mano la differenza che - in tal senso - può fare il lavoro dedicato e costante con i bambini volto a ediÞ care un background culturale adatto a innestare il cambiamento. Aiutare gli educatori e le famiglie, nonché chiunque sia a contatto coi bambini in varie forme e maniere, a guardare all’esistenza in modo diverso apre una possibilità di modiÞ cazione dell’assetto sociale nell’avvenire e fornisce speranze per il futuro. Se esiste infatti l’opportunità di creare condizioni adeguate a una società che prosperi in assenza di pregiudizio, discriminazione, oppositività, violenza, antagonismo sterile, competitività insana, sfruttamento e sessismo, essa esiste solo in virtù dell’educazione dei nostri Þ gli. Un’educazione che passi per una visione della vita non scevra dal concetto di reciprocità: un concetto positivo in un mondo altamente globalizzato, che rende palese al cuore, prima ancora che alla comprensione intellettuale, la necessità e l’indispensabilità di una catena umana e ambientale dentro la quale tutti siano anelli identici ma non per forza intercambiabili.

È importante partire dalle famiglie e dagli insegnanti per trasmettere messaggi costruttivi ai bambini, così come è determinante il coinvolgimento delle principali

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istituzioni sociali per piantare il seme della consapevolezza in questi ultimi, che diventeranno così degli adulti più attenti al loro destino e a quello dell’umanità tutta.

Il programma “Il Þ ore dentro” può essere proposto come progetto formativo in ambito scolastico o come attività indipendente extra-scolastica. È concepito per il piccolo gruppo, ma, con i necessari adattamenti, è applicabile anche al bambino singolo.

È stato da noi sviluppato sulla base delle più importanti esperienze internazionali in questo campo e sulla base delle nostre personali esperienze come maestre del porre attenzione.

Si ispira ai programmi Mindfulness-Based Stress Reduction (MBSR) e al lavoro di Jon Kabat-Zinn, Saki Santorelli e colleghi del Center for Mindfulness in Medicine,

Health Care and Society, ma soprattutto ai lavori di Amy Saltzman, Susan Kaiser Greenland, Rendye J. Semple, Jennifer Lee e Thich Nhat Hanh, che hanno compreso le potenzialità della mindfulness insegnata ai più piccoli e hanno ideato protocolli ad hoc riconosciuti e applicati con successo negli Stati Uniti e in altre parti del mondo.

“Il Þ ore dentro” rappresenta il primo adattamento di quei protocolli ai bambini italiani.

Il libro è diviso sostanzialmente in due parti: la prima spiega le ragioni per cui può essere importante la mindfulness in età evolutiva; la seconda offre, capitolo dopo capitolo, suggerimenti e indicazioni su come condurre un corso mindfulness-

based di 8 settimane rivolto a bambini in età scolare. Tali suggerimenti e indicazioni non sono da intendere come prescrizioni,

quanto piuttosto come proposte tra le quali l’insegnante di mindfulness potrà scegliere ciò che gli appare più idoneo per i bambini che ha di fronte e le speciÞ che circostanze in cui l’intervento viene offerto.

Antonella Montano

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Quest’opera nasce dall’unione di due miei grandi interessi e passioni; la mindfulness e la psicologia infantile. Quando con Antonella abbiamo deciso di lavorare a questo progetto, abbiamo voluto colmare un vuoto presente in Italia rispetto alla pubblicazione di un manuale sulla mindfulness in età evolutiva.

In effetti, mentre ormai sono di grande diffusione anche in Italia i libri sulla mindfulness e i protocolli MBSR per adulti, difÞ coltà enormi si incontrano quando andiamo a cercare libri e materiale sia teorico che pratico sulla mindfulness per l’infanzia.

Ma, con grande sapienza, siamo riuscite ad andare oltre alla stesura di un manuale e a elaborare e produrre un protocollo personale per i bambini.

Alcuni anni fa iniziai gratuitamente nelle scuole primarie a condividere con i bambini della mia città pratiche di consapevolezza estrapolate in parte da protocolli americani speciÞ ci per l’età evolutiva (come ad esempio quello della Greenland o della Saltzman) e in parte dalle mie esperienze di pratiche meditative per genitori di Thic Nhat Hanh.

Pian piano mi accorsi di come i bambini dessero sempre più spazio a tali pratiche nel corso della loro vita, coinvolgendo sempre più i genitori e i fratelli e facendo risultare così il protocollo coinvolgente e interessante sia per loro stessi che per gli insegnanti. Da allora non ho più smesso di dedicarmi allo studio e alla “diffusione” della mindfulness.

Questo manuale nasce quindi con il preciso scopo di poter trasmettere la “consapevolezza” dagli adulti (insegnanti, operatori, genitori) ai bambini, con la speranza che questi “insegnamenti” possano contribuire a formare un domani adulti più felici e consapevoli.

Un particolare ringraziamento va inÞ ne ad Antonella, grande esempio per me di costanza, passione e conoscenza.

Silvia Villani

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I bambini e la mindfulness 1

I BAMBINI E LAMINDFULNESS

COS’È LA MINDFULNESSLe deÞ nizioni della parola “mindfulness” sono le più disparate, e sovente le distanze

tra l’una e l’altra riguardano soltanto lievi sfumature applicative.Con “mindfulness” traduciamo in inglese un termine-concetto che nella lingua Pali

è chiamato “sati” e, in sanscrito, “smrti”, che indica “la capacità di tenere a mente, o riportare alla mente, un compito, un tema o un’esperienza nel momento presente”.

In italiano tale termine viene correntemente reso con “consapevolezza”, “presenza mentale”, “attenzione consapevole”, come diretto opposto della distrazione, della dispersione mentale o dell’assenza di un contatto pieno con quanto avviene dentro e attorno a noi.

“Sati” è quindi uno stato mentale di consapevolezza vigile del momento presente, che è ben diverso dall’attenzione funzionale e ordinaria (designata per lo più dal termine “manasikara”), in quanto è caratterizzato da gratuità, assenza di giudizio e intellettualizzazione e si associa a qualità etiche come la Þ ducia, la compassione e l’equanimità.

Secondo la deÞ nizione di Jon Kabat-Zinn, la prima che ho appreso, mindfulness signiÞ ca “porre attenzione in un modo particolare: intenzionalmente, nel momento presente e in modo non giudicante” (Kabat-Zinn, 1994, p. 63). Si tratta in altre parole di dirigere volontariamente la propria attenzione a quello che accade nella propria mente, nel proprio corpo e intorno a sé, momento per momento, ascoltando più accuratamente la propria esperienza e osservandola per quello che è senza valutarla o criticarla, ma restando semplicemente in ascolto di quello che c’è nel momento in cui accade.

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Programma mindfulness “Il Þ ore dentro”2

La mindfulness è quindi caratterizzata da due componenti strettamente interconnesse tra loro: 1) l’abilità di dirigere l’attenzione al momento presente (autoregolazione dell’attenzione) e 2) l’attitudine con cui lo si fa, caratterizzata da curiosità, apertura e accettazione (Bishop et al., 2004).

Essa non è quindi solo uno stato mentale, ma anche un tratto, un’attitudine generosa e accettante nei confronti dei contenuti della mente.

Ciò a cui si può prestare attenzione in maniera mindful sono le proprie percezioni sensoriali (Þ siche e psicologiche e appartenenti agli ampi domini del piacevole, dello spiacevole, del misto e del neutro), le formazioni mentali (ad esempio la rabbia, il dolore o la compassione) e gli oggetti della mente (ogni formazione mentale ha un oggetto: si è arrabbiati con qualcuno e per qualcosa ecc.).

Diventare mindful signiÞ ca essere capaci di mantenere la mente ferma sull’oggetto - sia esso un respiro, una sensazione Þ sica, un’emozione, un sentimento, un’immagine, un pensiero o un fatto accidentale della vita - senza distrazioni e in uno stato di autentica calma non reattiva, nel quale si accetta ciò che viene osservato per quello che è, indipendentemente dalle sue caratteristiche attraenti, sgradevoli o neutre, consentendo all’esperienza di svelarsi naturalmente, senza ostacolarla né promuoverla ed evitando dunque resistenza o giudizio.

L’utilità del raggiungimento di uno stato mentale mindful è legata al fatto che gran parte dei processi mentali a cui ci afÞ diamo nella vita quotidiana è guidata dal “pilota automatico”, cioè supportata da meccanismi automatici di pensiero spontanei e spesso del tutto inconsapevoli (Bargh & Chartrand, 1999) basati su routine e abitudini consolidatesi nel tempo.

L’attitudine a reagire agli stimoli esterni, soprattutto stressanti, inserendo il pilota automatico può condurre alla lunga a un automatismo di ritorno: l’incapacità di separare l’evento dalle reazioni che l’individuo ha avuto, lasciandolo preda dell’idea che non ci sia altro da fare se non ciò che sta già facendo per affrontare quanto gli accade. In altre parole, le risposte automatiche riducono la percezione individuale della scelta libera e dell’esercizio del controllo, e producono sensazioni di inadeguatezza, incapacità e impotenza che sono alla base di una vasta serie di compromissioni psicologiche come ansia (Chorpita & Barlow, 1998), depressione e dipendenza (Forsyth, Parker, & FInley, 2003) e un numero variegatissimo di disturbi da stress.

Negli stati mentali non mindful (“mindlessness”) si realizza poi un’identiÞ cazione e una fusione con i processi psichici (“Io sono la mia rabbia, io sono il mio dolore”) che fa ritenere, a torto, che per alleviare la sofferenza sia necessario agire un controllo strenuo sui propri contenuti mentali, all’interno di un incessante processo doloroso di giudizio e di autovalutazione.

La mindfulness ci consente invece, attraverso una “introspezione metacognitiva”

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I bambini e la mindfulness 3

(Teasdale, 1999), di entrare in contatto con pensieri, sentimenti, emozioni e sensazioni corporee, e di decentrarci e disidentiÞ carci da essi valutandoli per quello che sono: eventi mentali transitori e non entità fattuali in grado di agirci, guidarci e controllarci (Segal, Williams, & Teasdale, 2002; Vansteenkiste & Ryan, 2013).

Come è facile intuire, si tratta di qualcosa di più che un mero riß ettere sui propri stati mentali e giudicarli - un processo che chiamiamo più correttamente “conoscenza metacognitiva”(Teasdale et al., 1995) -; si tratta, piuttosto, di acquisire la capacità di frapporre una distanza salutare tra il sé e le emozioni e i pensieri che lo abitano, garantendoci così l’opportunità di osservare e di renderci pienamente conto della nostra tendenza abituale alla risposta automatica. Questa osservazione fornisce al singolo la scelta di rispondere consciamente e consapevolmente con un numero crescente di opzioni anziché reagire automaticamente allo stimolo insorto.

Mentre osserviamo, siamo inoltre consapevoli del “sé come processo” (Brown & Ryan, 2004): semplicemente noi non siamo quello che pensiamo né la rabbia e il dolore che proviamo, ma possiamo cercare di stare insieme ad essi osservandone il movimento continuo, aprendoci all’esperienza di quanto c’è nel momento presente.

La mindfulness non conferisce necessariamente al singolo un maggior controllo mentale, ma gli rende possibile notare e seguire i processi mentali innescati, così da consentirgli di comprendere cosa sia controllabile e modiÞ cabile e cosa no (Kang, Gruber, & Gray, 2014).

Tale concreto cambiamento nelle modalità di funzionamento della mente diviene la base per l’acquisizione di importantissime competenze emotive e relazionali quali la capacità di auto-controllo, la regolazione dei sentimenti negativi, la resilienza, l’empatia e la compassione (Baer, 2003; Salmon et al., 2004).

Ma come si fa a diventare più mindful? La risposta la troviamo nella pratica quotidiana di speciÞ che tecniche di meditazione.

Il legame tra mindfulness e meditazione è talmente stretto che a volte ci si riferisce alla prima intendendola come pratica meditativa (il che aggiunge un altro signiÞ cato al termine “mindfulness”: non solo “stato mentale” e “tratto”, ma anche “pratica”; Rainone, 2012).

La pratica meditativa giornaliera consentirà di potenziare la consapevolezza, l’accettazione e l’apertura verso il proprio ß usso di coscienza in modo sempre più facile e duraturo. D’altronde, recenti studi di neuroimaging supportano questa tesi (Luders, 2012).

I protocolli di training sistematico alla meditazione mindfulness sono noti come programmi Mindfulness-Based Stress Reduction (MBSR) e sono stati ideati da Jon Kabat-Zinn e collaboratori.

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Programma mindfulness “Il Þ ore dentro”4

MBSR: GLI ESORDI E LE PRINCIPALI APPLICAZIONI NEGLI ADULTI

Jon Kabat-Zinn nasce come biologo molecolare al Massachusetts Institute

of Technology, ma presto viene fortemente attratto dai saperi umanistici e comincia a interessarsi all’approccio meditativo e Þ losoÞ co del buddhismo Theravada. Deciso a ricondurre alla medicina comportamentale le acquisizioni mutuate dalla Þ losoÞ a orientale, egli concettualizza, all’inizio degli anni ’70, un programma di gruppo relativamente intensivo alla meditazione mindfulness per insegnare alle persone a prendersi cura di se stesse e a vivere in modo più sano, imparando ad adattarsi alle circostanze della vita e a gestire lo stress. Tale programma, denominato inizialmente “Stress Reduction and Relaxation Program”,

e in seguito “Mindfulness-Based Stress Reduction” (MBSR), è centrato sul paziente e ha natura essenzialmente esperienziale, ma anche educativa. Mira infatti a insegnare alle persone ad essere responsabili del proprio benessere e a prendersi cura di sé adottando uno stile di vita più salutare (Kabat-Zinn, 1996), oltre che a rispondere agli stimoli stressogeni con un’attitudine mentale differente (mindful).

Il programma è articolato in 8 incontri di gruppo, da un minimo di 10 a un massimo di 40 partecipanti; ciascun incontro, con cadenza settimanale, dura dalle 2 ore e mezza alle 3 ore e mezza ed è condotto da un insegnante qualiÞ cato (Kabat-Zinn, 1982; Kabat-Zinn & Chapman-Waldrop, 1988; Kabat-Zinn, Lipworth, & Burney, 1985; Kabat-Zinn et al., 1992).

L’accesso al programma è aperto da sessioni di orientamento di gruppo o da colloqui individuali, ed è preceduto da una valutazione generale della salute psicoÞ sica di ciascun partecipante. Durante la sesta settimana è prevista un’intera giornata di “ritiro” della durata di circa 7 ore e mezza in cui si rispetta il silenzio. Alla conclusione degli 8 incontri, vengono somministrati strumenti di autovalutazione che permettono di valutare l’efÞ cacia dell’intervento e di effettuare i successivi follow-up. Fra i più noti strumenti di assessment citiamo la Philadelphia Mindfulness Scale (Cardaciotto et al., 2008), il Five Facet Mindfulness

Questionnaire (FFMQ) (Baer et al., 2008), il Freiburg Mindfulness Inventory (Walach et al., 2006), o la Mindful Attention Awareness Scale (MAAS) (Brown & Ryan, 2003), oltre ad altre scale sintomatologiche speciÞ che.

La pratica meditativa insegnata nei programmi MBSR ha due forme:

• strutturata (o formale), ovvero esercitata in un tempo stabilito e in un setting silenzioso;

• non strutturata (o informale), ovvero esercitata in diversi momenti della quotidianità, senza la necessità di un setting particolare.

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I bambini e la mindfulness 5

Le pratiche formali di consapevolezza sono: 1) il body scan o “scansione del corpo”; 2) la sitting meditation o “meditazione seduta”; 3) l’hatha yoga e 4) la walking meditation o “meditazione camminata”.

- Il body scan consiste nell’eseguire una rotazione sistematica dell’attenzione di consapevolezza sulle varie parti del corpo, con l’obiettivo di “sentire” autenticamente ogni parte e soffermarsi su ciascuna osservandone le sensazioni che emergono, ci siano o non ci siano. La tecnica prende spunto da un’antichissima pratica yogica: lo yoga nidra. È un metodo che, se applicato in modo costante e sistematico, induce anche un completo rilassamento Þ sico, mentale ed emozionale.

- La sitting meditation (meditazione seduta) consiste nell’assumere una posizione seduta dignitosa, su una sedia o un panchetto da meditazione o per terra aiutati da un cuscino (zafu), e nel porre attenzione a tutti i fenomeni mentali e corporei percepiti nel momento presente così come appaiono: ad esempio il proprio respiro, le sensazioni corporee, i suoni e altri stimoli ambientali, le emozioni e i pensieri, riportando gentilmente la consapevolezza sul presente aiutandosi col respiro a ogni distrazione.

- L’hatha yoga consiste in una serie di esercizi Þ sici della tradizione yogica. Si tratta di speciÞ che posture e piccoli stiramenti atti a stimolare una maggiore consapevolezza e a bilanciare la tensione dei muscoli, a cui si accompagnano l’attenzione sul respiro e/o sulle sensazioni corporee e l’atteggiamento generale di accettazione di ciò che siamo, così come siamo, qui e ora.

- La walking meditation (meditazione camminata) consiste nel coltivare l’osservazione interna e la consapevolezza delle proprie sensazioni corporee, ma anche dei propri pensieri e delle proprie emozioni così come appaiono, senza giudicarli, mentre si cammina con passi misurati concentrandosi su ciascun passo.

Le pratiche di meditazione non strutturata hanno lo scopo di generalizzare ed estendere questa particolare modalità di “porre attenzione” a tutte le situazioni e i contesti della propria vita. Ci riferiamo, in particolare, alla consapevolezza intenzionale posta su attività abituali e spesso “automatiche” quali il mangiare, il guidare, il lavare i piatti, il fare la doccia ecc.

Un incontro MBSR è tipicamente suddiviso in momenti di pratica meditativa e in momenti didattici di natura psico-educazionale, in cui l’insegnante affronta temi quali: l’interconnessione, il “pilota automatico”, la Þ siologia dello stress, le comunicazioni difÞ cili, e così via. Seguono inoltre discussioni e commenti di gruppo o di coppia, Þ nalizzati alla condivisione delle esperienze.

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Programma mindfulness “Il Þ ore dentro”6

In aggiunta agli incontri di gruppo, il protocollo prevede che i praticanti esercitino un minimo di 45 minuti al giorno di pratica strutturata e almeno 5-15 minuti di pratica non strutturata, 6 giorni a settimana per l’intero corso.

Il programma prevede inÞ ne l’assegnazione di ulteriori homework, quali la compilazione di diari - ad esempio quello degli eventi piacevoli o spiacevoli -, la lettura di Þ abe e l’esercizio di abilità assertive per le comunicazioni difÞ cili, portando l’impegno complessivo richiesto ai partecipanti a circa 35 ore.

Dal 1979 a oggi più di 20.000 persone, limitandoci alla sola UMASS (University of Massachusetts), hanno partecipato a un programma MBSR, e il protocollo è stato ripetutamente testato ed è oggi ritenuto efÞ cace per il trattamento complementare di un gran numero di disturbi Þ sici e psichici.

Studi clinici hanno testimoniato come i partecipanti ai protocolli MBSR - indipendentemente dalle ragioni che li hanno spinti a sottoporsi alle session e dai risultati che speravano di conseguire -, abbiano beneÞ ciato, assecondando la pratica per brevi sedute quotidiane, di una signiÞ cativa decrescita dell’intensità e della reattività emotiva negativa, in risposta anche a stimoli difÞ cili da gestire o a situazioni particolarmente stressanti (Arch & Craske, 2006).

I programmi di training alla meditazione mindfulness hanno trovato efÞ cace e fruttuoso impiego soprattutto in disturbi nei quali l’emotività disregolata esercita un ruolo di primaria importanza, come ad esempio: disturbi gastro-intestinali, asma, mal di testa, cancro, disturbi cardiovascolari, dolore o malattia cronica, pressione alta, disturbi della pelle, Þ bromialgia, ansia, depressione, attacchi di panico, disturbi alimentari, disturbo post-traumatico da stress, fatica cronica, disturbi del sonno, stress lavorativo e familiare (per una rassegna si veda de Vibe et al., 2012).

La mindfulness ha dimostrato inoltre di produrre un beneÞ co impatto anche sulle competenze cognitive, migliorando l’attenzione sostenuta, la memoria visuo-spaziale, la memoria di lavoro e la concentrazione (Chambers et al., 2008; Jha et al., 2007; Zeidan et al., 2010).

Diversi studi hanno evidenziato l’impatto del protocollo sulla riduzione dei sintomi da stress (Baer et al., 2012; Geary & Rosenthal, 2011), anche in soggetti con gravi patologie organiche quali il cancro (Bränström et al., 2012).

Il programma MBSR viene oggi proposto negli ospedali di tutto il mondo nel contesto della medicina integrativa, ma negli anni ha trovato spazio anche in programmi di intervento nelle aziende, nelle organizzazioni, nelle scuole e nelle carceri, in quanto non è soltanto rivolto a persone che presentano una patologia Þ sica o un disturbo psicologico, ma in generale a tutti coloro che hanno l’impressione di “aver perso il controllo non solo del proprio corpo, ma di tutta la loro vita” (Kabat-Zinn, 1990, p. 7). La mindfulness sembra essere la risposta giusta per chi, in salute o in malattia, desideri raggiungere un più alto livello di benessere psicoÞ sico.

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I bambini e la mindfulness 7

Il programma MBSR ha tuttavia anche dei limiti. Richiede infatti un cospicuo impegno ai partecipanti, che devono coltivare una grande motivazione interna e investire in esso tempo ed energie. Purtroppo non tutti, per i motivi più disparati, hanno questa possibilità, e ciò può rappresentare un serio ostacolo all’adesione. Carmody (2008) ha rilevato come il 45% dei partecipanti abbandoni il programma per mancanza di tempo. In un gruppo di soggetti sani, gay e lesbiche, circa il 30% ha interrotto la partecipazione al programma per gli stessi motivi (Montano, 2008). Ma il tempo non rappresenta l’unico ostacolo: i pazienti ospedalizzati ad esempio, affetti da alcune particolari forme di cancro o da patologie cardiovascolari (Carmody, 2009), possono avere un’ottima motivazione ma essere impediti dalle stesse condizioni Þ siche in cui versano.

Per tali ragioni, la ricerca scientiÞ ca sta valutando l’efÞ cacia di programmi MBSR di minore durata, e i risultati preliminari sono in questo senso incoraggianti. Klatt in particolare, nel 2009, ha introdotto il concetto di “MBSR low-dose” (MBSR-ld), ovvero di un programma caratterizzato da una durata più breve, che si adatterebbe meglio ai soggetti con limitazioni Þ siche e/o con poco tempo a disposizione. Nella stessa direzione vanno anche i protocolli MBSR per bambini, di cui parleremo a breve, i quali mirano ad adeguare in intensità e durata la struttura originaria del programma a questa particolare fascia di popolazione.

LO STRESS NEI BAMBINI L’idea che l’infanzia sia scevra da stress è del tutto sbagliata. Essa non è

riducibile infatti, come alcuni credono, a un periodo di innocenza e noncuranza, di lunghe vacanze e di sicurezze familiari e amicali.

Nel corso della stessa, infatti, possono veriÞ carsi non solo eventi maggiori che cambiano per sempre la famiglia del bambino, come il divorzio dei genitori o la morte o la malattia di uno di essi, ma anche eventi “minori” come il dover fronteggiare dei coetanei bulli a scuola, il trasferirsi in un altro quartiere o in un’altra città, l’ottenere una cattiva performance nello sport, l’avere un problema con i compiti scolastici ecc.

Anche in assenza di eventi stressanti speciÞ ci, i bambini vivono una condizione esistenziale non semplice: non hanno diritti reali sul denaro e sulla proprietà, sono soggetti a regole arbitrarie e spesso inconsistenti imposte da altri, vengono sommariamente puniti per offese che non sono consapevoli di aver commesso e hanno poca scelta su come gestire il proprio tempo, dal momento che vivono in un mondo in cui viene continuamente detto loro cosa fare: a che ora svegliarsi, a che ora andare a scuola, come svolgere le singole attività scolastiche. Questa mancanza di libertà di azione li stressa e li conduce a muoversi nelle loro routine giornaliere senza la consapevolezza di quello che stanno facendo e di come lo stanno facendo.

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Programma mindfulness “Il Þ ore dentro”8

Spesso le attività di ogni giorno Þ niscono col ridursi a inÞ nite catene di montaggio, dentro le quali i più piccoli perdono il gusto di assaporare profondamente ciò a cui si dedicano. In questo modo, l’aspetto ludico dello svago viene completamente ignorato o rimosso in favore di una costante sensazione di “dover fare” e di “dover fare bene”, con speditezza e celerità; questo inchioda i bambini a un precoce istinto alla competitività e a una visione della vita in termini di vittoria e sconÞ tta.

Che lo desiderino o meno, i bambini e gli adolescenti sono costretti a sottoporsi a una serie di prove ed esami dai quali dipende il loro futuro ma soprattutto l’immagine che hanno di sé; sono tenuti non solo ad apprendere i contenuti dell’educazione formale, ma anche ad esplorare temi psicologici e sociali che hanno a che fare con l’autocoscienza, l’identità personale e il comportamento morale. I bambini si “preoccupano”, come e in qualche misura più degli adulti, per il benessere dei propri genitori, per ciò che la famiglia e gli insegnanti pensano di loro, per gli amici o per la mancanza di amici, per la propria sicurezza e per quella di coloro che amano, per gli oggetti che possiedono e per i loro animali, indugiando anche in pensieri sulla morte, sul luogo da dove vengono, sulla propria salute e sul futuro.

Molti psicologi (APA, 2013) ritengono che i bambini del nostro tempo si confrontino con una quantità di stress decisamente maggiore rispetto a quella affrontata da quelli delle precedenti generazioni, e deÞ niscono la società odierna come “generation stress”, a indicare un sistema sociale e familiare che produce una quantità enorme di frustrazioni e difÞ coltà da risolvere e gestire ogni giorno.

Innanzitutto, la struttura familiare è profondamente cambiata: in passato era normale crescere in grandi famiglie allargate che comprendevano non solo entrambi i genitori, ma anche zie, zii e nonni e che si rivelavano per ovvie ragioni molto supportive. Oggi, al contrario, vi è un’alta incidenza di famiglie monoparentali, anche a seguito dei frequenti divorzi. Questo ha drasticamente alterato l’esperienza dell’infanzia, e milioni di bambini e ragazzi hanno dovuto adattarsi a tali cambiamenti.

Anche nelle famiglie integre e stabili, spesso i due genitori lavorano a tempo pieno, il che costringe i bambini a stare di più nei programmi di dopo-scuola o a casa da soli. Per alcuni questa riduzione del tempo trascorso con i propri genitori si è rivelata abbastanza stressante, così come stressante si è dimostrata la responsabilità di prendersi cura di se stessi, della famiglia e talvolta anche del fratellino più piccolo dopo la scuola.

A ciò si aggiunga l’iperconnettività dei genitori, che invade prepotentemente lo spazio relazionale limitando complessivamente il tempo autenticamente dedicato alla relazione con i bambini. I nuovi media e social networks, sovente impiegati anche nei rapporti di lavoro, penetrano all’interno degli ambienti familiari con

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I bambini e la mindfulness 9

violenza e ne pregiudicano i momenti di ritrovo, come i pasti o le chiacchiere del dopo cena. Ciò implica una diversità anche nella presenza dei genitori dentro lo spazio della casa: spesso il padre e la madre stanno Þ sicamente assieme ai Þ gli, ma la loro attenzione è esclusivamente dedicata a questioni lavorative, che anni addietro avrebbero rimandato al giorno seguente.

Molti bambini sono stressati dalle molteplici attività extrascolastiche (sportive, artistiche, relative alle lingue straniere) che, a cadenza plurisettimanale, riempiono quello che dovrebbe essere il loro “tempo libero”. Si tratta di attività regolate dalla disponibilità di un familiare o di un delegato (sovente i nonni ma, sempre più spesso, una babysitter o un collaboratore domestico), scandite in maniera meno libera e più caotica di una volta, che riducono notevolmente la possibilità di ritagliarsi qualche pomeriggio di autentico svago. Tali attività extrascolastiche, quali il calcio, il nuoto e la danza, oltre a erodere i “tempi morti” della vita dei bambini, rappresentano stressanti arene prestazionali. Le pressioni genitoriali e sociali verso il successo rendono infatti questi ultimi oggetto di aspettative e standard di performance sempre più elevati, tanto che talvolta, al Þ ne di ottenere l’attenzione familiare che suppongono di meritare, essi si impegnano duramente per conseguire obiettivi molteplici e sempre più faticosi. Il panorama familiare caotico e l’assenza di riferimenti affettivi percepiti come concreti e supportivi contribuiscono a impedire agli stessi di manifestare il proprio disagio, ampliÞ cando di conseguenza la fatica.

Alcuni genitori tendono poi a responsabilizzare eccessivamente i bambini in alcuni ambiti, facendoli crescere più in fretta, e a deresponsabilizzarli in altri, impedendo loro di commettere errori che, invece, sarebbero necessari a uno sviluppo adeguato. Li inducono a immaginare che commettere errori non sia concesso, allevando così dei perfezionisti, il che non rappresenta né un bene né un merito: ci sono infatti bambini che, per paura di fallire, preferiscono mollare anziché impegnarsi al primo segno di difÞ coltà, oppure trovare strategie per divincolarsi dallo stress che l’ansia da prestazione procura loro.

Una potente fonte di stress per i bambini è rappresentata poi dallo stress dei genitori. Molti adulti credono che i bambini in età scolare non siano consapevoli delle tensioni presenti intorno a loro o ne siano in qualche modo immuni. La verità è che questi ultimi sono eccezionalmente sensibili ai cambiamenti che si realizzano intorno a loro, soprattutto ai sentimenti e alle reazioni dei genitori, anche se non sono comunicati verbalmente. Se un genitore ad esempio perde il lavoro, realtà non più così tanto rara nella società contemporanea, il bambino deve adattarsi alla crisi Þ nanziaria della famiglia, non solo in termini di riduzione del budget a disposizione, ma anche di modiÞ che peggiorative dello stato d’animo dei familiari.

I bambini di oggi sono inÞ ne maggiormente esposti a rischi relativi alla

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propria incolumità, motivo per cui vengono costantemente ammoniti ad essere cauti e prudenti rispetto a ipotetici adescamenti, abusi sessuali e altri reati (anche online). La percezione - tangibile o evocata - di vivere in un mondo non sicuro è di conseguenza una costante fonte di stress per alcuni di essi.

Naturalmente i bambini possono essere molto diversi tra loro nella capacità di gestire lo stress e le difÞ coltà quotidiane: alcuni sono accomodanti e si adattano facilmente a eventi e situazioni nuove, altri invece sono maggiormente suscettibili a ciò che accade loro. Sicuramente l’età del bambino contribuisce a determinare quanto stressante sarà percepita una determinata situazione: cambiare insegnanti a metà anno può rappresentare un evento importante per un bambino di prima elementare e solo un fastidio per uno di quinta; essere sovrappeso può rappresentare un problema secondario per un bambino di 5 o 6 anni, ma una fonte di imbarazzo quotidiano per un adolescente.

Le modalità con cui un bambino percepisce e risponde allo stress dipendono dal suo temperamento e dallo sviluppo cognitivo ed emotivo che ha raggiunto.

Alcuni bambini, già da piccoli, possono cominciare ad attivare il cosiddetto “pilota automatico”, ossia ad assecondare la tendenza tipica dell’età adulta di compiere gesti e azioni abituali senza essere davvero coscienti di ciò che si sta facendo. Anche i bambini possono mangiare ad esempio in maniera distratta, quasi meccanicamente, tanto da non poter ricordare, se sollecitati, l’aspetto, il sapore, il grado di calore, la consistenza e tutte le altre innumerevoli caratteristiche del cibo appena ingerito. Pur essendo vigili, almeno nel senso comune del termine, la loro mente è altrove.

Anche i bambini possono sviluppare un’attitudine a occupare la mente con pensieri riferibili al passato o al futuro anziché al presente. Possono pertanto divenire rimuginativi di fronte agli eventi stressanti, perdere il contatto con le proprie emozioni - anche per l’assenza di strumenti lessicali o espressivi atti a manifestare i propri sentimenti - e adottare modalità di comportamento schematiche e rigide che non consentono soluzioni innovative ed efÞ caci.

La maniera in cui essi si pongono in relazione con le proprie preoccupazioni può essere inoltre inß uenzata dalle esperienze che hanno fatto: tutti i bambini migliorano la propria capacità di gestire lo stress se hanno soddisfatto il loro bisogno di autonomia, se in precedenza sono riusciti a gestire le sÞ de, e se hanno avvertito di avere il sostegno emotivo della famiglia e degli amici. Quelli che hanno un chiaro senso di competenza personale, e che si sentono amati e sostenuti, in genere mostrano maggior resilienza. Tuttavia, persino un’esperienza sorta dal contatto con qualcosa che il cervello abbia elaborato come positivo può essere successivamente distorta e divenire ostacolante. Ad esempio, l’esperienza di un’attività dove riescono facilmente a primeggiare può limitare l’accessibilità ad altre situazioni potenzialmente positive. Se giocare a tennis risulta

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loro particolarmente semplice e riescono a battere senza fatica i loro avversari, potrebbero tendere a limitare le esperienze di gioco coi compagni, perché non desidereranno misurarsi con altro che con il tennis, per timore di veder vaniÞ cata quella sensazione di vantaggio e di imbattibilità che tale sport suscita in loro. Anche queste circostanze costituiscono pertanto elementi stressogeni.

A maggior ragione, la maniera in cui essi si pongono in relazione con le proprie preoccupazioni è inß uenzata dalle loro esperienze negative. Se ne hanno accumulate molte, ogni volta che si appresteranno ad alzarsi per un’interrogazione, a tuffarsi in una piscina o a riordinare la loro camera, proveranno una sensazione che sembra radicata nel presente - cioè suscitata dall’immediatezza della circostanza - ma che in verità è anticipata dagli accadimenti del passato. Sperimenteranno cioè nel corpo e nella mente sensazioni Þ siche e stati d’animo che appartengono al loro passato. Sono le cosiddette “associazioni condizionate” (Semple & Lee, 2011), che possono agire prepotentemente sul corpo anche in assenza dello stimolo concreto. Esse esercitano un’inß uenza così violenta sulle emozioni e sul comportamento da essere in grado di alterare persino alcune funzioni basilari - come le pulsazioni, il ritmo respiratorio, la sudorazione o le deiezioni - al solo evocare la circostanza che le ha provocate una prima volta e poi successivamente (Semple & Lee, 2011). Ad esempio, nel caso di un bambino che manifesti fobia sociale con ansia anticipatoria, il piccolo cadrà preda della tachicardia al solo pensiero di dover entrare in una stanza piena di sconosciuti.

Non tutti gli stress sono però negativi: una quota ragionevole di stress imposta per esempio dall’insegnante o dall’allenatore può infatti motivare il bambino a fare meglio a scuola o a partecipare con più impegno alle attività sportive. Importanti fattori di protezione nei confronti dello stress sono rappresentati poi dalla corretta alimentazione e dalla qualità del sonno: bambini che si nutrono in maniera disordinata e sbilanciata o non osservano le regole basiche di igiene del sonno sono più vulnerabili agli effetti dello stesso, sia Þ sici che psicologici. Se le fonti di stress sono intense e perduranti, i bambini ne pagheranno le relative conseguenze.

LE CONSEGUENZE DELLO STRESS NEI BAMBINILo stress è “la risposta non speciÞ ca dell’organismo a ogni richiesta effettuata su

di esso” (Seyle, 1936). Nelle situazioni di stress acuto, quando cioè ci confrontiamo con un imprevisto, si genera una reazione aspeciÞ ca di adattamento che potremmo articolare come segue:

• Avvertiamo una sensazione di freddo, quasi di raggelamento. Ciò è dovuto al restringimento dei vasi sanguigni periferici, temporaneamente dispensati dal trasporto capillare del sangue che pulsa verso gli organi maggiori e i muscoli.

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• La pressione sanguigna aumenta e il cuore pulsa più forte, cedendo alla tachicardia e provocando una sensazione di scalpitio nel petto.

• I muscoli si tendono, come se si preparassero a un combattimento o alla fuga.

• Il respiro si fa più profondo e frequente, al Þ ne di condurre una maggiore quantità di ossigeno ai tessuti.

• Le pupille si dilatano, per mettere a fuoco più in fretta e rendere più acuta la visione.

• Cominciamo a sudare, per consentire al corpo di smaltire tossine.• Le mani e i piedi si raffreddano, giacché il sangue è condotto ben lontano

dalle estremità.• Diveniamo meno sensibili al dolore; nel caso fossimo feriti, il corpo

dispone afÞ nché possiamo trovare le risorse per sopravvivere.• Manifestiamo una minore capacità di concentrazione su elementi che non

riguardino direttamente la situazione di pericolo che ci affanna.• InÞ ne, siamo in grado di osservare quello che ci investe come ne fossimo

spettatori non coinvolti, perché il ß usso di sangue verso il cervello è inibito.

Tutti abbiamo provato almeno una volta queste sensazioni e sappiamo quanto siano utili in una situazione di pericolo concreto: servono infatti né più né meno a salvarci la pelle.

Cosa accade, però, quando lo stress diventa cronico e le risposte ad esso si attivano oltre le soglie legittime anche in condizioni non pericolose per la nostra esistenza? E, soprattutto, cosa accade se ciò investe in modo duraturo e pervasivo la quotidianità di un bambino, per natura meno incline a porsi quelle speciÞ che domande che metterebbero in guardia un adulto avvisandolo che qualcosa non sta funzionando per il meglio?

Quando le risposte del sistema nervoso compaiono in maniera estemporanea e persistente in condizioni improprie, possono insorgere patologie derivate dalla cronicizzazione dei meccanismi di difesa dallo stress. Spesso tali meccanismi Þ niscono col mettersi in atto in quasi tutti i momenti più o meno critici di una giornata (il trafÞ co, il ritardo che accumuliamo, una riunione o - nel caso dei bambini -, un compito in classe per il quale non si sentono pronti, il sollevarsi di una paura improvvisa, un carico eccessivo di compiti) e farci sentire pieni di impegni, in un perenne sentimento di impaccio e di difÞ coltà. Ciò accade perché perdiamo la capacità di accedere a una parte del cervello, la corteccia frontale, che ci permette di elaborare pensieri risolutivi, di riß ettere con chiarezza e di manifestare attenzione verso coloro che ci circondano. Diviene impossibile essere propositivi, il problem solving risulta inapplicabile e subentrano difÞ coltà

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nella messa a fuoco delle questioni da sbrigare e dell’ordine in cui affrontarle. Nel caso dei bambini, la perdita di gestione adeguata delle risposte allo stress,

specie se lungamente protratta e scevra da un contenimento da parte dei genitori e da altri adulti della famiglia, può evolvere rapidamente producendo una serie di effetti collaterali persistenti e condizionanti: sbalzi di umore, problemi di attenzione e concentrazione, ansia, aggressività, iperreattività, difÞ coltà nella memoria a breve termine, problemi legati alle funzioni dell’apparato gastrointestinale e respiratorio, indebolimento del sistema immunitario, disordini del sonno, perdita o aumento di appetito, riduzione del rendimento scolastico.

In alcuni casi, più rari, i bambini e gli adolescenti possono andare incontro a disturbi psicologici conclamati, a seguito o meno di periodi stressanti. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il 2% dei bambini in età scolare (fra i 6 e i 12 anni) mostra evidenti sintomi di depressione. Con la pubertà, la percentuale aumenta Þ no a circa il 4%. Secondo i dati riferiti all’Europa, la depressione nei bambini di età inferiore ai 14 anni rappresenta la quinta concausa di malattia, e il suicidio in età adolescenziale la seconda causa di morte (CiofÞ et al., 2010).

Oltre alla depressione, sono molto diffusi tra i bambini l’ansia cronica, i disturbi alimentari, l’ADHD e l’autolesionismo. Inoltre, sono in allarmante crescita tra gli adolescenti comportamenti di bullismo e violenza nei confronti dei coetanei (Saltzman, 2010).

Le statistiche formulate ogni anno rilevano percentuali signiÞ cative di ricorso all’abuso di stupefacenti e alcolici1, senza considerare la dipendenza da social

networks, navigazione in rete, televisione e videogames2. Questo fenomeno riguarda soprattutto i bambini più piccoli, ovvero la fascia di età compresa tra i sette e i dodici anni, i quali, invece di fronteggiare la propria ansia e risolvere i propri problemi, si rifugiano passivamente davanti alle immagini della televisione.

È evidente come i bambini che imparano precocemente a condurre uno stile di vita passivo e sedentario, senza volizione e con una forte inclinazione all’evitamento, seguiteranno a indugiare in uno stato simile per il resto della vita, con gravi conseguenze sul piano della salute mentale e Þ sica: obesità, diabete, incapacità di tollerare lo stress, inclinazione alla violenza e all’uso di stupefacenti sono solamente alcuni tra gli esiti più lampanti di un comportamento malsano perpetuato e fuori controllo.

A dispetto di uno scenario così preoccupante, si fa oggi troppo poco per aiutare i bambini a gestire la loro vita interiore, a usare l’energia mentale in maniera

1 Relazione annuale al Parlamento 2014 sull’uso di sostanze stupefacenti e sulle tossicodipendenze in Italia - settembre 2014, pubblicata dal Dipartimento Politiche Antidroga - Presidenza del Con-siglio dei Ministri.2 XIII Indagine nazionale sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza, realizzata dall’Eurispes e dal Telefono Azzurro (2012).

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produttiva invece di dissiparla dietro a paure o pensieri erratici. Troppo spesso questi ultimi, che fanno più fatica ad articolare comprensibilmente il loro disagio e, soprattutto, ad essere presi sul serio, soffrono in silenzio, consolidando così nel tempo disturbi che li accompagneranno per tutta la vita.

I genitori, a loro volta, sono inclini a commettere errori di prospettiva: nel vano tentativo di relativizzare e, sovente, di eludere i problemi che afß iggono le proprie famiglie, credono che col tempo tutto si sistemerà da sé. Ripercorrendo all’indietro le proprie esistenze, si convincono di aver superato qualsiasi problema in autonomia e con l’aiuto di un po’ di fortuna e di pazienza, nutrendo la certezza e la Þ ducia che altrettanto accadrà ai loro Þ gli. Ciò senza considerare in che modo e quanto profondamente la vita contemporanea abbia modiÞ cato le strutture psicologiche di base e le essenze costitutive delle relazioni sociali e familiari.

È invece quanto mai saggio e opportuno, una volta presa coscienza della presenza di fonti di stress o di un problema psicologico nei bambini, vagliare opportunamente le possibili soluzioni disponibili. La frequenza di programmi Mindfulness-Based Stress Reduction dedicati alla popolazione infantile rappresenta una di queste possibilità, che nasce proprio per rispondere a queste esigenze sia in un’ottica di prevenzione delle sindromi da stress, sia per il trattamento sintomatologico dei disturbi psicologici più comuni come depressione, ansia, ADHD e autolesionismo.

LA MINDFULNESS PER BAMBINICome abbiamo già accennato, la mindfulness è uno stato mentale di auto-

regolazione dell’attenzione e un’attitudine generosa verso i propri contenuti mentali che consente di prendere consapevolezza dei pensieri, delle emozioni e delle sensazioni, di osservarli senza giudizio e di elaborare risposte consapevoli e appropriate piuttosto che produrre reazioni automatiche o caotiche.

Abbiamo visto come anche i bambini siano sottoposti a innumerevoli fonti di stress e possano subire le conseguenze mediche e psicologiche di una risposta psicoÞ sica dell’organismo non congrua e reiterata nel tempo.

È apparso pertanto ragionevole e opportuno tentare di coinvolgere anche questi ultimi in protocolli di training sistematico alla mindfulness (tra i più famosi citiamo i programmi Inner Kids, Inner Resilience, Mindful Schools, MindUP, Still Quiet

Place, Wellness Works in Schools™) e valutarne gli esiti. In realtà, negli ultimi 10 anni, sono state loro proposte varie pratiche meditative

(non soltanto la mindfulness), dallo yoga alle tecniche di rilassamento basate sul respiro. A ben vedere, come fa notare Lillard (2011), già Maria Montessori (1870-1952), nel suo metodo pedagogico per l’infanzia, aveva proposto agli inizi del secolo scorso degli esercizi pratici di tipo mindful volti ad aumentare l’attenzione

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al momento presente e la concentrazione nei bambini, come il posizionamento preciso e ordinato dei materiali sul tavolo al mattino o l’atto di apparecchiare e sparecchiare concentrandosi su quello che si sta facendo. Fabbro e Muratori (2012) ricordano come nel gioco del silenzio montessoriano i bambini abbiano la consegna di rimanere a occhi chiusi senza parlare, prestando attenzione a tutto quel che accade: vince chi rimane in silenzio più a lungo e racconta più dettagli di quello che ha sperimentato. Un altro gioco montessoriano prevede che gli stessi camminino lungo una linea mantenendosi in equilibrio e concentrandosi per non cadere, sviluppando così coordinazione e consapevolezza del proprio corpo. Alcuni semi di mindfulness sono quindi già contenuti nei metodi educativi più tradizionali.

Nei paesi orientali, inoltre, la mindfulness è da tempo presente per cultura e tradizione nel bagaglio della formazione dei bambini in età scolare.

Dal punto di vista squisitamente cognitivo, lo stato mentale mindful è molto più vicino alle caratteristiche della condizione naturale della mente infantile di quanto non lo sia a quelle della mente adulta. I bambini sono maggiormente predisposti ad avere un rapporto più genuino e immediato con la propria esperienza, dal momento che tendono facilmente a mantenere il contatto con il momento presente ed esprimono più direttamente le emozioni senza preoccuparsi del giudizio degli altri.

Non sorprende quindi che la meditazione di consapevolezza abbia trovato consenso e un’efÞ cace applicazione anche tra questi, nonostante la loro quotidianità dettata da ritmi pressanti in cui incasellare un gran numero di impegni; ritmi che sembrerebbero rendere utopica la possibilità di dedicare uno spazio a un’attività apparentemente senza scopo come quella meditativa.

I bambini hanno dimostrato, invece, come il training sistematico alla mindfulness sia per loro un’attività gradita, beneÞ ca, facile da realizzare, alla portata in una vasta gamma di contesti ed efÞ cace nell’aiutarli a sviluppare prospettive diverse sui propri pensieri e le proprie emozioni, e a gettare le basi per una comprensione profonda e accettante di sé.

Questo, sebbene i risultati in letteratura siano ancora esigui, si è rivelato non soltanto protettivo nei confronti della psicopatologia o dei disturbi psicoÞ sici stress-correlati, ma anche promotore di importanti abilità cognitive.

Studi scientiÞ ci (per una rassegna si vedano Burke, 2009; Harnett & Dawe, 2012) hanno evidenziato infatti come il training alla mindfulness sia in grado di migliorare il benessere generale dei bambini (la loro salute mentale, emotiva, sociale e Þ sica), riducendone lo stress, l’ansia, la reattività e il cattivo comportamento. Importanti miglioramenti sono stati ottenuti con riferimento alla qualità del sonno, all’autostima, alla capacità di gestire il comportamento e le emozioni, alla consapevolezza di sé e all’empatia.

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Più nel dettaglio, la mindfulness appare efÞ cace nel:

• aumentare il benessere, la calma, la qualità del sonno, la cura e la consapevolezza di sé, il senso di connessione con la natura (Broderick & Metz, 2009; Huppert & Johnson, 2010; Wall, 2005);

• potenziare la resilienza, il benessere, la motivazione, la Þ ducia, la competenza e l’efÞ cacia (Hennelly, 2011);

• incrementare l’ottimismo, le emozioni positive e la competenza emotiva e sociale e diminuire l’aggressività e il comportamento oppositivo (Schonert-Reichl & Lawlor, 2010);

• alleviare sintomi di depressione e ansia (Joyce et al., 2010; Lau & Hue, 2011; Liehr & Diaz, 2010);

• migliorare il comportamento e l’ansia nei bambini con ADHD (Napoli, Krech, & Holley, 2005) e aumentare l’attenzione sostenuta, la felicità e la consapevolezza (Bogels et al., 2008);

• promuovere il funzionamento globale, l’autostima e la qualità del sonno in bambini con psicopatologia (Biegel et al., 2009; Mendelson et al., 2010).

La mindfulness si è dimostrata inoltre in grado di contribuire direttamente allo sviluppo di abilità cognitive quali il prestare maggiore attenzione, l’essere più concentrati, il pensare in maniera più innovativa, l’utilizzare le conoscenze esistenti in modo più efÞ cace, nonché di migliorare la memoria di lavoro, la pianiÞ cazione, il problem solving e la capacità di ragionamento (Flook et al., 2010; Hutchins & Patterson, 2008; Saltzman & Goldin, 2008; Schonert-Reichl & Hymel, 2007; Semple et al., 2010).

Come abbiamo già accennato, la letteratura a riguardo non è enorme, e gli studi più validi non sono privi di difetti e avvertenze, dovuti soprattutto all’assenza di gruppi di controllo. I risultati paiono tuttavia nel loro insieme promettenti, e, con il forte sostegno delle evidenze scientiÞ che ottenute con gli adulti, suggeriscono l’opportunità di diffondere la partecipazione ai programmi MBSR per bambini, visti anche l’alto grado di accettazione dei partecipanti e la dimostrata assenza di “effetti collaterali”.

Da parte nostra siamo convinte che, anche in assenza di problematiche concrete e conclamate e di picchi elevati di stress, l’esercizio della mindfulness possa garantire migliori capacità di gestione delle semplici difÞ coltà del quotidiano, degli imprevisti e delle piccole frustrazioni, e offrire alle famiglie il beneÞ cio di un clima rilassato e semplice, fondato sulla propensione all’ascolto generoso e alla risoluzione del bisogno. Riteniamo anzi che tanto più precoce sarà l’abitudine alla consapevolezza, tanto più signiÞ cativo si dimostrerà nel tempo il cambiamento di atteggiamento rispetto alle circostanze della vita, anche a quelle stressanti.

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Addestrare i bambini alla mindfulness signiÞ ca infatti, al di là dello stress e dei suoi effetti, dare loro una chance per strutturare la propria esistenza di adulti in maniera consapevole, gioiosa, propositiva, accogliente e aperta, immune da preconcetti e pregiudizi.