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GIUSEPPE BRIENZA

L’equiparazione della famiglia alle “unioni di fatto”: derive europee e nord-europee

Ci sono almeno altre tre ragioni che giustificano il disinteresse dello Stato e delle comunità politiche nei confronti del fenomeno delle “unioni civili”, riferendomi con tale dizione sia a quelle “naturali” (cioè fondate sul legame affettivo di un uomo ed una donna) sia a quelle contro natura.

1.Le funzioni che solo la famiglia può svolgere

La sterilità è il primo argomento che si oppone all’equiparazione giuridica e politica delle “coppie di fatto” omosessuali rispetto alla famiglia fondata sul matrimonio. Anche riguardando a quell’altra forma di fecondità, strettamente connessa alla biologica, che potremmo definire generazione spirituale (consistente nella socializzazione ed educazione dei figli), vediamo però emergere validi argomenti contrari al riconoscimento di una eguale dignità a tutte le forme di coppie “irregolari” rispetto a quelle legate dal vincolo matrimoniale. Solo queste ultime, infatti, sono in grado di dar vita ad una relazione familiare complementare e stabile che assume la valenza di punto di snodo tra i sessi e le generazioni, “iniziando” pertanto ogni nuovo essere umano alla socialità. La famiglia è infatti una relazione di mediazione sociale, in cui si attua l’essenziale “composizione” tra l’individuo ed il consorzio sociale in cui esso è/dovrà essere inserito. Ma la comunità familiare tradizionale non assume solo questa funzione di carattere socializzativo, essendo allo stesso tempo e con pari importanza titolare di un primato educativo sui figli, ciò che ne fa (o ne dovrebbe fare) il centro d’imputazione di qualsiasi decisione fondamentale loro riguardante.

La sola famiglia naturale fondata sul matrimonio possiede quindi le credenziali per instaurare un serio “patto educativo” con le altre realtà sociali

Relazione tenuta al seminario di studio su: Coppie di fatto e “Dico”. Cui prodest? Le nuove sfide all’istituzione familiare, Parrocchia “S. Maria di Nazareth”, Roma 28 aprile 2007.

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“generative” (nel senso spirituale sopra accennato), che sono in primo luogo la chiesa e la scuola, poiché per stipulare questo “patto”, è necessario che i “contraenti” sappiano relazionarsi con tutte le “modalità d’essere” delle istituzioni sociali in cui il bambino o giovane è immerso. Ad esempio i ruoli presenti nel mondo scolastico dicono relazione non solo alla femminilità/maternità ma anche alla mascolinità/paternità, e lo stesso può dirsi per le figure esistenti ne gruppi catechistici, ricreativi, ecc.

Ecco quindi un secondo argomento che giustifica una doverosa indifferenza dello Stato e dell’ordinamento giuridico nei confronti delle “coppie di fatto” omosessuali: mancando in esse la diversità/complementarietà nella sensibilità pedagogica e relazionalità psicologico-culturale, le loro performance educative e socializzanti mancano delle premesse minime di efficacia. Anche a causa dell’inesistenza di un legame intergenerazionale completo nell’ambito di tali “unioni”, non si può inoltre parlare nei loro confronti in termini di istituzioni sociali.

Per quanto riguarda invece le “coppie di fatto” eterosessuali, osta ad un interesse pubblico al loro riconoscimento (che implicherebbe valorizzazione) la circostanza per cui, rifiutando esse soggettivamente la stabilità ed istituzionalità del legame, non potrebbero vedersi riconosciuta dalle altre realtà “generative” sociali, che si presentano come autonome e responsabili dal punto di vista relazionale ed “operativo”, questi due appena accennati attributi, e quindi anche una posizione comparativamente “alla pari”.

Infine il terzo argomento, la precarietà (nel senso di non affidabilità temporale) del legame e l’individualismo dei suoi componenti (che rimangono socialmente delle “monadi”, non giudicando la loro comunione tanto importante da tradursi in un impegno per la vita) che non consente ai conviventi di nessun “genere” di vedersi riconosciuti come garanti del patto educativo, non disponendo innanzitutto delle necessarie risorse simboliche ed autoritative.

La famiglia dispone originariamente di queste risorse ma, a causa del suo indebolimento attuale, è sempre meno in grado di attivarle, e lo Stato ed i politici, anche perché maggiormente occupati degli pseudo-diritti delle “nuove famiglie”, non considerano più la rivitalizzazione dell’istituzione familiare un loro interesse primario.

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2.Il cambiamento di “strategia” nella guerra contro la famiglia

A causa della guerra da decenni scatenata contro la famiglia tradizionale1, all’origine della sua crisi, la maggior parte dei giovani che, alle prese con società competitive e relativistiche come quelle occidentali, cercano di “tornarvi” come all’unico vero luogo dei significati e dei sentimenti, la trovano così spesso incapace di svolgere i propri compiti. Essi si trovano infatti di fronte ad una comunità familiare «[…] che dà maggiore sicurezza della società esterna, ma non ha energia progettuale: rinuncia ad assumersi responsabilità etiche e a responsabilizzare i figli; brancola nel buio quando deve individuare quale sia il “bene” dei figli»2.

Gli ambienti culturali, politici ed economici dominanti nei mass-media, dal principio dell’età post-ideologica successiva al 1989, hanno cambiato atteggiamento nella loro strategia di contrapposizione alla famiglia. In Europa, perlomeno da un decennio3, è difficile trovare infatti delle lobbies o circoli che pensano e sostengono come in passato di poter realmente fare a meno di essa. Sono così venuti meno fronti espliciti in aperta contrapposizione con la famiglia, aumentando la confusione e l’ambiguità della lotta comunque ancora in atto contro di essa: «Se prima il conflitto era tra chi sosteneva la famiglia e chi la voleva “evolutivamente” eliminare, oggi il conflitto ri-entra dal lato della famiglia, che si generalizza nel concetto di “familiare” o di “famiglie” per includere sia ciò che è famiglia sia ciò che non lo è. Non potendo eliminare la 1 In realtà è da almeno il periodo “preparatorio” della Rivoluzione detta francese del 1789 che trae origine il processo di scardinamento dell’istituzione familiare. Consistendo infatti l’obiettivo centrale dell’Illuminismo la liberazione degli esseri umani dalle “catene” della tradizione, «Non sorprende che la famiglia fosse percepita come un problema per la realizzazione di questo progetto: senza dubbio essa è una delle istituzioni più tradizionali. Per la maggior parte dei pensatori illuministi, come Locke in Inghilterra, Rousseau in Francia, Paine in America, il progetto certamente non includeva l’abolizione della famiglia ma, piuttosto, la sua riforma nello spirito della nuova umanità che doveva essere costruita» [PETER L. BERGER-BRIGITTE BERGER, In difesa della famiglia borghese, (trad. it. di The War over the Family. Capturing the Middle Ground, Anchor Press/Dobleday, New York 1983) il Mulino, Bologna 1984, p. 14]. 2 GIOVANNA ROSSI SCIUMÉ, Il processo di socializzazione, in PIERPAOLO DONATI (a cura di), Lezioni di sociologia: le categorie fondamentali per la comprensione della società, Cedam, Padova 1998, (pp. 121-160) p. 155.3 La situazione è differente negli Stati Uniti dove, già a partire dalla seconda metà degli anni Settanta, «[…] è comparso tra i professionisti un atteggiamento più positivo nei confronti della famiglia. Parte di esso può essere il risultato di ricerche secondo le quali la famiglia è una istituzione che ha una capacità di recupero maggiore di quanto molti pensavano» (P. L. BERGER-B. BERGER, In difesa della famiglia borghese, op. cit., p. 54).

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relazione familiare la si vuole generalizzare a tal punto da rendere il suo significato “indifferente”, talmente astratto da potervi includere tutto e, contemporaneamente, da lasciare agli individui la scelta di cosa essa sia (privatizzazione)»4.

Questo politeismo familiare passa anche attraverso un uso distorto delle tecnologie della fecondazione umana, le quali stanno sempre più spingendo per trasformare la donna e la famiglia da “luogo” dell’amore, dell’attesa e della naturalità, in “materia” e veicolo della manipolazione, dell’utilitarismo e della libido di potere dello scientismo.

3. Il matrimonio, all’origine di tutte le civilizzazioni

Oltre alla mancanza di fecondità biologico-naturale e spirituale, una ulteriore argomentazione contraria all’equiparazione delle coppie di fatto alla famiglia tradizionale consiste nel disfacimento dell’istituzione matrimoniale che essa consoliderebbe, ed uso il verbo “consolidare” poiché tale processo è già in parte realizzato con la perdita della dignità di sacramento del matrimonio operata dal protestantesimo del XVI secolo e poi generalizzata, nel XIX e XX secolo, con l’introduzione anche nei Paesi cattolici del c.d. “matrimonio civile”. Quest’ultimo ha già realizzato la secolarizzazione e de-sacralizzazione del legame matrimoniale5, ed un riconoscimento pubblico del fatto che un’unione fra due persone possa essere sancita anche da un mero “accoppiamento” (conseguenza di una più o meno stabile coabitazione) accrescerebbe la convinzione che il matrimonio coincida in fondo con una mera procedura burocratica (un “pezzo di carta”, come si sente spesso dire). Di essa si potrà (ed in futuro si dovrà) quindi fare a meno, avendo l’unione di un uomo e di una donna poco o nulla a che fare con la procreazione e la sacralità dell’esistenza.

4 RICCARDO PRANDINI, La famiglia italiana tra processi di in-distinzione e di ri-distinzione relazionale. Perché osservare la famiglia come relazione sociale “fa la differenza”, in P. DONATI-IVO COLOZZI (a cura di), Il paradigma relazionale nelle scienze sociali: le prospettive sociologiche, il Mulino, Bologna 2006, (pp. 115-157) pp. 117-118. 5 I dati più recenti evidenziano infatti che in Paesi come l’Italia, uno di quelli in cui i valori religiosi e familiari “tengono” più di altri, un matrimonio su tre è ormai officiato con rito civile: il 32,4% di tutti i matrimoni celebrati nel 2004, laddove solo 10 anni fa’ questa percentuale non arrivava al 20% (cfr. ISTITUTO NAZIONALE DI STATISTICA, Il matrimonio in Italia: un’istituzione in mutamento, Nota informativa, Roma, 12 febbraio 2007 .

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Portando a tale decadimento l’Occidente violerebbe ulteriormente quella “ontologia della famiglia” che, fondata sulla natura umana, in tutte le culture e religioni ha sempre circondato l’unione matrimoniale di un profondo senso sacrale. Così «[…] il fuoco sacro è simbolo della funzione procreativa della famiglia in congiunzione con la volontà divina, come si può costatare presso il matrimonio indù (regolato dalle antichissime leggi del legislatore quasi mitico Manava o Manù del IV sec. a. C.), presso il matrimonio africano, preceduto da segrete iniziazioni della futura madre, e – per venire più dappresso a noi – nel culto dei Penati [antiche divinità protettrici della casa, della famiglia e dello Stato] presso i Romani antichi. La ragione naturale insomma ha sempre concepito l’enigma della procreazione e perciò della famiglia in rapporto alla divinità»6.

Sul piano delle strutture delle società umane, dall’opera di uno dei padri dell’antropologia contemporanea, Claude Lévi-Strauss7, risulta chiaramente come l’unione più o meno durevole, socialmente approvata, di un uomo ed una donna ed i loro figli, sia da considerarsi come un fenomeno universale, presente in qualunque tipo di comunità8. «Quando passiamo in rassegna l’immenso repertorio delle società umane, dalle quattro alle cinquemila, sulle quali possediamo, fin da Erodoto, informazioni di valore variabile - afferma lo studioso francese -, tutto ciò che possiamo dire è che la famiglia coniugale sembra assai frequente e che in tutti i casi in cui ne viene alterata la forma si ha a che fare con società in cui l’evoluzione sociale, politica, economica e religiosa ha seguito un corso particolare»9.

Oltre che l’antropologia anche la sociologia della famiglia contemporanea la descrive come una unione eterosessuale fondata sul matrimonio10. Persino 6 DARIO COMPOSTA S.D.B. [(1917-2002)], La famiglia nella tempesta, Pontificia Università Urbaniana, Roma 1987, p. 24.7 Per un breve profilo bio-bibliografico dell’etnologo francese (sebbene nato a Bruxelles, nel 1908), la cui opera è giudicata «[…] un punto di svolta senza precedenti nella storia del pensiero antropologico» (ENRICO COMBA, Introduzione a Lévi-Strauss, GLF editori Laterza, Roma/Bari 2000, p. 135), cfr. SILVANA BORUTTI, Lévi-Strauss, Claude, in FONDAZIONE DEL CENTRO DI STUDI FILOSOFICI DI GALLARATE (a cura di), Enciclopedia Filosofica, terza edizione, Bompiani, Milano 2006, Volume settimo, pp. 6372-6373.8 Cfr. CLAUDE LÉVI-STRAUSS, Le strutture elementari della parentela, Feltrinelli, Milano 1969 [trad. it. di: Le structures éleméntaires de la parenté, nouv. éd., Mouton, La Haye-Paris 1967].9 C. LÉVI-STRAUSS, Prefazione, in ANDRÉ BURGUIÈRE ET AL., Storia universale della famiglia, ed. italiana a cura di Albarosa Leone, A. Mondadori, Milano 1987, (pp. 9-13) p. 12.10 Accettiamo di attingere alle risultanze della contemporanea sociologia della famiglia con due avvertenze. La prima consiste nel tener presente che tale disciplina, nonostante i suoi quasi due secoli di storia, non ha ancora trovato né unità di metodo, né di oggetto, derivandone una sua persistente «[…] frammentazione e varietà delle conclusioni, peraltro incerte e spesso in

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nel recente Dizionario di Sociologia curato da uno degli studiosi più “quotati” negli ambienti progressisti italiani, il prof. Luciano Gallino, in passato vicino al P.C.I. ed oggi assiduo editorialista del quotidiano “la Repubblica”, alla voce “Famiglia” è possibile leggere: «[…] unità fondamentale dell’organizzazione sociale composta, al minimo, da due individui di sesso opposto, che convivono stabilmente in una stessa abitazione a seguito di qualche tipo di matrimonio, […] la cui convivenza, le relazioni sessuali ed affettive, la cooperazione economica, sono approvati e riconosciuti legittimi dalla società di cui fanno parte»11.

E’ importante però far luce su un tipo di “apertura” teoretica che impostazioni sociologiche come quelle di Gallino offrono alle coppie omosessuali al fine di rivendicare una loro qualificazione come “famiglie”. Si tratta di un errore di prospettiva che è compiuto talvolta anche da studiosi d’ispirazione cattolica e che consiste nel considerare le coppie eterosessuali sposate senza figli tout court come famiglie, alla stessa stregua cioè di quelle che hanno prole. A prescindere dalla motivazione, oggettiva o soggettiva della mancanza di figli, equiparare queste coppie geneticamente o spiritualmente sterili12 alla famiglia qua talis offre l’insidiosa possibilità di dubitare, come fa lo stesso Gallino, che «[…] la famiglia debba sempre includere, oltre alla esistenza di rapporti sessuali, anche la possibilità di procreazione o anzi l’esistenza effettiva di progenie», poiché da quello che il sociologo torinese definisce «Il privilegiamento della esistenza di progenie» derivano «[…] le resistenze a riconoscere come famiglie le coppie omosessuali, pure nei casi in

continuo conflitto e superamento» (D. COMPOSTA, La famiglia nella tempesta, op. cit., p. 95). La seconda consiste nella distinzione, da operare necessariamente prima di proporne un approccio scientifico, tra la vera sociologia, come scienza moderna della famiglia, e quel sociologismo materialistico di autori che «[…] non si limitano a descrivere la famiglia attuale cercando di indovinarne la proiezione nel domani, ma si atteggiano a profeti della famiglia futura, ritenendo, tra l’altro, che l’urbanizzazione, la burocratizzazione, la tecnologia assorbiranno tutte le istituzioni sociali». (Ibid., pp. 94-95). Ottimo esempio della prima corrente sociologica sia ha in Italia con la scuola del prof. Pierpaolo Donati (del quale cfr., soprattutto da punto di vista sistematico della materia: Manuale di sociologia della famiglia, Laterza, Roma-Bari 1998).11 LUCIANO GALLINO, Sociologia della Famiglia, in Dizionario di Sociologia, 2a ed. riveduta ed aggiornata, Utet Libreria, Torino 2004, (pp. 289-298) p. 289.12 Mi riferisco con questa dizione a quelle coppie sposate che, pur disponendo della capacità fisica di generare, rinuncino a farlo per motivi economici od ideologici ed anche a quelle che, biologicamente sterili, rinuncino all’adozione per motivi superabili e sempre che l’assenza di figli, nell’un caso o nell’altro, non sia la conseguenza di una specifica vocazione laicale di carattere etico-religioso.

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cui queste presentano una organizzazione affettiva ed economica non dissimile da quella comune alle coppie eterosessuali»13.

Questo dubbio è purtroppo divenuto certezza in molti ordinamenti europei che, a partire dalla fine degli anni ’80, hanno con passaggi graduali riconosciuto le “unioni di fatto”, comprese quelle omosessuali, equiparandole nel trattamento giuridico e sociale a quelle fondate sul matrimonio.

4.La deriva europea sulle “coppie di fatto”

Particolare influenza in questo processo hanno avuto le istituzioni dell’U.E., soprattutto il Parlamento Europeo che, a partire dalla Risoluzione approvata l’8 febbraio del 1994 “sulla parità dei diritti degli omosessuali nella Comunità”, non ha smesso negli anni successivi di fare pressione sui governi e parlamenti nazionali affinché assumano politiche filo-omosessualiste. Tale Risoluzione raccomanda infatti di eliminare gli ostacoli frapposti dai rispettivi ordinamenti al matrimonio degli omosessuali, o ad istituti giuridici equivalenti, e di togliere qualsiasi limitazione del diritto degli stessi di adottare o ricevere in affidamento dei bambini. Sebbene priva di forza giuridica vincolante per gli Stati membri, la Risoluzione del ‘94 è stata assunta come un punto di riferimento comune - esplicitamente nei preamboli o dichiarazioni di intenzioni delle leggi - dalla maggior parte delle legislazioni europee che hanno deciso di intervenire in materia.

Una successiva Risoluzione “sulla parità di diritti per gli omosessuali”, approvata il 17 settembre 1998, con obiettivi molto più puntuali, è arrivata persino a chiedere ad uno Stato sovrano come l’Austria, allora da poco entrato nell’Unione europea, di abrogare un articolo del suo Codice penale perché prevedeva un'età superiore agli omosessuali per avere rapporti sessuali non punibili. Lo stesso Paese, che ha dovuto alla fine accondiscendere ad una tale richiesta14, si è però segnalato nel 2005 per aver rigettato una proposta di 13 L. GALLINO, Famiglia…, art. cit., in Dizionario di Sociologia, op. cit., citazioni rispettivamente alle pp. 289 e 290.14 L’articolo 209 del Codice Penale Austriaco (Strafgestezbuch), che puniva gli adulti colpevoli di atti omosessuali con minori di 18 anni consensuali, è stato abrogato dal Parlamento di Vienna con legge del 2002. Il caso usato per scardinare tale norma è stato quello di due omosessuali condannati rispettivamente a 18 mesi e 3 mesi con la condizionale in ragione di rapporti condannati dal suddetto articolo. Dopo le pressioni dell’U.E. e l’abrogazione dell’art. 209 la

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legge nazionale che avrebbe sancito l’equiparazione delle coppie di fatto, comprese quelle omosessuali, alla famiglia15. Si tratta di un indirizzo che potrà forse inaugurare, soprattutto se sarà seguito dall’Italia nella sua resistenza ai “Di.Co.”16, quell’inversione di marcia che promette bene per un riscatto della famiglia in Europa.

Prospettive meno rosee da questo punto di vista sono invece d’attendersi dallo stesso Europarlamento che, negli ultimi anni, ha approvato altre due clamorose Risoluzioni filo-omosessualiste. Nella prima, “sull’omofobia in Europa”, del 18 gennaio 2006, ribadendo l’appello “ai Governi dei Paesi membri dell’Unione Europea perché rivedano la loro legislazione sulle coppie dello stesso sesso”, ha proposto “metodi educativi” contro la discriminazione dell’omosessualità nelle istituzioni pubbliche degli Stati-membri. Nella seconda (26 aprile 2007), nel condannare pretesi “commenti discriminatori contro gli omosessuali pronunciati da leader politici e religiosi”, il Parlamento europeo si è spinto in affermazioni irritali e di dubbia legittimità dal punto di vista del

situazione di entrambi si è però completamente “ribaltata”. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha infatti stabilito (con sentenza del 2 giugno 2005) che la legislazione austriaca sul punto contenesse un’aperta violazione dell'art. 14 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (particolarmente nei punti in cui vieta ogni tipo di discriminazione razziale e sessuale) e quindi la Repubblica austriaca ha dovuto non solo annullare la condanna penale nei confronti dei due omosessuali, ma anche riparare economicamente i danni morali che hanno subito a causa dell’intera vicenda.15 L’allora ministro della giustizia austriaco, Karin Gastinger, aveva infatti lanciato la proposta di un nuovo «Zivilpakt», un “patto di solidarietà civile” per regolamentare le convivenze sia etero che omosessuali, nonché le famiglie allargate. Una forma di riconoscimento giuridico da affiancare all'istituzione del matrimonio, che ha visto però il Governo formato da una coalizione di centro-destra (composta dal Partito Popolare di Wolfgang Schuessel e dal Partito della Libertà a cui apparteneva Joerg Haider, che è stato in carica fino alle ultime elezioni del 1° Ottobre 2006) dissociarsi completamente dalla proposta (cfr. Austria. Ministro propone i Pacs: unanime il rifiuto, in Avvenire, 16 settembre 2005).16 Con questo acronimo è ormai d’uso in Italia sintetizzare il titolo del disegno di legge governativo sui “DIritti e doveri delle persone stabilmente COnviventi”, che ha iniziato il suo iter parlamentare in Senato il 21 febbraio 2007. La “resistenza” a questo tipo di progetti che cercano sottilmente d’avviare una progressiva equiparazione dello status giuridico delle convivenze a quello della famiglia fondata sul matrimonio è animata dalla Chiesa italiana che li ha denunciati fin dal principio come «[…] il frutto dell’ideologia dominante del “genere” nella società occidentale, in forza della quale non esisterebbe alcuna struttura oggettiva “naturale”, ma tutto sarebbe frutto di libera opzione culturale, che permetterebbe di scegliere all’interno di una vasta gamma di opzioni libere: matrimonio tra omosessuali, convivenza libera tra eterosessuali, unione tra omosessuali e così via» [MICHELE SIMONE S.I., Le cosiddette Unioni di fatto, in La Civiltà Cattolica, anno 158, 3 marzo 2007, quaderno 3761, (pp. 495-502) p. 500]. In questo senso cfr. anche la Nota del Consiglio Episcopale Permanente della Conferenza Episcopale Italiana “a riguardo della famiglia fondata sul matrimonio e di iniziative legislative in materia di unioni di fatto”, approvata a Roma il 28 marzo 2007, nella quale si ribadisce come di fronte a «[…] un progetto di legge favorevole al riconoscimento legale delle unioni omosessuali, il parlamentare cattolico ha il dovere morale di esprimere chiaramente e pubblicamente il suo disaccordo e votare contro il progetto di legge» (cfr. il sito della C.E.I.: http://www.chiesacattolica.it/cci_new/documenti_cei/2007-03/30-16/Nota_famiglia2007.pdf).

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diritto internazionale come quella per cui “la proibizione delle marce dell'orgoglio gay e l'eventuale mancata protezione dei partecipanti contravvengono ai principi tutelati dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo”17.

Tutto questo accade mentre nella Magna Europa, cioè in quell’Europa figlia della civiltà europea che vive però al di fuori del Vecchio continente18, numerosi ordinamenti stanno “blindando” le loro legislazioni per evitare anche da loro tentativi per l’equiparazione del matrimonio all’unione omosessuale. Così alla metà degli 2000 sono diventati trenta gli Stati degli Stati Uniti i quali hanno emanato leggi che stabiliscono il matrimonio come unione legale tra un uomo e una donna19. Sempre nel mondo anglosassone l’Australia ha nel 2006 derogato la Legge del Territorio di Canberra che ammetteva il matrimonio tra persone dello stesso sesso e subito dopo il Governo neo-eletto del Canada ha manifestato la sua volontà di annullare la legge del “matrimonio” omosessuale approvata dall’Esecutivo precedente. Anche Paesi latinoamericani come l’Honduras, il Guatemala, il Costa Rica ed El Salvador hanno recentemente adottato misure legali e giurisprudenziali per evitare che i “matrimoni” omosessuali celebrati in altri ordinamenti producano effetti nel loro territorio20.

Nei Paesi europei fuoriusciti dal comunismo il fronte anti-“matrimonio” omosessuale è saldissimo, tanto che per evitare future ingerenze di organismi

17 “Completa” la Risoluzione l’assurda proposta di istituire il 17 maggio di ogni anno come “Giornata internazionale contro l'omofobia” (cfr. Reazioni alla Risoluzione dell’Europarlamento che condanna i leader religiosi per “omofobia”, in Agenzia Zenit, 27 aprile 2007).18 Sulla categoria storico-politica di “Magna Europa” cfr. GIOVANNI CANTONI-FRANCESCO PAPPALARDO (a cura di), Magna Europa: l'Europa fuori dall'Europa, D'Ettoris Editori, Crotone 2006.19 Ciò ha indotto come noto il presidente americano George W. Bush a proporre nel giugno 2006 un emendamento alla costituzione che vieti le unioni omosessuali. La proposta, finora non accolta dal Senato, risponde comunque all’opinione della maggioranza degli americani, come ha dimostrato un sondaggio condotto l’anno scorso dall'istituto demoscopico nazionale Gallup, secondo il quale il 59% dei cittadini statunitensi sarebbero contrari ai matrimoni tra persone dello stesso sesso (cfr. Usa/Bush, emendamento contro le unioni omosessuali, in Il Legno Storto, 3 giugno 2006). Anche nelle consultazioni ufficiali tenutesi negli scorsi anni, ampie percentuali di cittadini americani si sono pronunciate contro il “matrimonio” omosessuale. Si veda ad es. il referendum che si è avuto nel marzo 2000 nello Stato californiano e che ha fatto registrare una maggioranza del 61% sul quesito se “In California è valido o riconosciuto solo il matrimonio tra un uomo e una donna’”. L’esito di questa votazione ha indotto in seguito il Governatore Arnold Schwarzenegger a porre il veto su un progetto di riconoscimento del “matrimonio” fra persone dello stesso sesso che l’Assemblea californiana aveva approvato nel settembre 2005 (cfr. Il Governatore della California Schwarzenegger pone il veto sulla questione del matrimonio omosessuale, in Agenzia Zenit, 8 settembre 2006).20 Tali misure sono la conseguenza dell’introduzione, da parte di alcune grandi municipalità latinoamericane, a partire da Buenos Aires e Città del Messico, di forme di “unione civili” comprendenti anche persone dello stesso sesso nell’ambito delle loro legislazioni amministrative.

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sopranazionali europeisti la Lettonia ha ammesso recentemente un emendamento alla Costituzione per impedire questo tipo di matrimonio21.

5.L’equiparazione della famiglia alle “coppie di fatto” ed omosessuali

nei Paesi del Nord Europa

Il “matrimonio” omosessuale e le legislazioni equiparative della convivenza all’unione coniugale del resto, dove sono state introdotte da molto tempo come nei Paesi scandinavi, non stanno dando grande “prova”.

La principale caratteristica delle leggi sulle “partnership registrate” degli Stati nordeuropei, i primi a regolamentare fra la fine degli anni 1980 e l’inizio dei ’90 le convivenze extra-matrimoniali, consiste nella loro focalizzazione sullo status giuridico delle coppie omosessuali. Queste ultime infatti, “registrandosi”, vengono a godere di una serie di diritti e facoltà che normalmente conseguono al matrimonio. E’ stato così osservato come, una volta deciso d’ignorare il matrimonio ai fini dell’attribuzione di una soggettività giuridica alle coppie eterosessuali, «[…] il riconoscimento di quelle costituite da omosessuali è un passaggio scontato in tutti gli ordinamenti […]. Infatti, i paesi che si sono dotati di recente di una disciplina sulle c.d. “famiglie di fatto” applicano lo stesso regime o uno molto simile ad ambedue i modelli di coppie»22.

Questo esito può essere rilevato nelle legislazioni di tre Stati del Nord Europa, la cui esperienza è spesso citata in modo parziale o distorto dalla maggior parte dei nostri media e uomini politici. Mi riferisco alla Danimarca, alla Svezia ed all’Olanda, senza dimenticare che anche la Norvegia23, l’Islanda24

e la Finlandia25 hanno più o meno nello stesso torno di tempo approvato analoghe normative di legalizzazione delle coppie di fatto, comprese quelle omosessuali.21 Cfr. Molti Paesi “blindano” le loro legislazioni per evitare i “matrimoni gay”, in Agenzia Zenit, 6 luglio 2006.22 JOSÉ IGNACIO ALONSO PÉREZ, “Unioni civili”, “unioni di fatto” e altre convivenze. Rassegna della legislazione europea, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, n. 2, anno XI, il Mulino, Bologna Agosto 2003, (pp. 343-364) p. 345.23 Cfr. la legge n. 40 del 30 aprile 1993 sulla ”registrert partnerskap”. 24 Cfr. la legge n. 87 del 12 giugno 1996 sulla “stadfesta samvist”.25 Cfr. le leggi nn. 950/2001 sulla ”rekisteròidysta parisuhtecsta” e 1229/2001, recante: ”rekisteraidysta parisuhteesta annetun lain 13 ja 14 §:n muuttamisesta”.

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6.Il “primato” danese nel processo di equiparazione della famiglia alle

unioni di fatto

La Danimarca è stato il primo Paese ad introdurre una disciplina organica sulle unioni di fatto, comprese quelle fra omosessuali, con apposita legge del 7 giugno 198926. L’articolo 3 di tale provvedimento, però, conservava propedeuticamente una certa “discriminazione” fra i diritti (soprattutto in materia di filiazione) riconosciuti alle coppie eterosessuali, coniugate e non, e quelli concessi alle unioni contro natura, precludendo ad esempio a queste ultime il diritto all’adozione.

Nel frattempo la battaglia contro il matrimonio e la famiglia tradizionale nella società danese si è intensificata, arrivando al punto che su quasi tre milioni di coppie, quelle che alla fine nel 1998 risultavano vivere insieme senza essere sposate risultavano più di 600.000, quindi una su cinque27.

Il legislatore ha aspettato quindi la fine degli anni ’90 per operare l’auspicata equiparazione fra la famiglia e le coppie omosessuali, riformando nel 1999 la sopra citata legge con l’introduzione delle facoltà di accedere al matrimonio ed all’adozione. Per quanto riguarda la prima, essa prevede che i cittadini omosessuali danesi possano “sposarsi” nei municipi del loro Paese, nel corso di cerimonie che sono sostanzialmente identiche a quelle in uso per i matrimoni civili. Riguardo all’adozione essa è intesa nel senso della possibilità per un/una convivente di adottare il figlio del suo/sua partner dello stesso sesso, a condizione che il bambino sia di nazionalità danese28.

7.Il ruolo “anticipatore” della Svezia

26 Cfr. la legge n. 372/1989 sulla ”registrereT partnerskab”.27 Cfr. GIOVANNI ADEZATI, L’esperienza danese, matrimonio, matrimonii, Giuffré, Milano 2000, p. 184.28 Cfr. l’art. 2 della legge n. 360 del 2 giugno 1999, recante: ”aendring af lov om registreret partnerskab (AEndring af betingelserne for indgaelse af registreret partnerskab og stedharnsadoption for registrerede partnere)”.

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Quel che è accaduto in Svezia negli ultimi anni credo anticipi la tendenza che si avrà presto o tardi negli altri Paesi nordeuropei. Qui, infatti, ha così fatto tanti “passi avanti” la convivenza come “nuovo modello di vita” che, da parte di responsabili delle politiche sociali dello Stato, si è iniziato a sostenere che il matrimonio e la famiglia tradizionale sarebbero superate anche perché non contribuirebbero ad accrescere significativamente il tasso di natalità della Nazione. La prof.ssa Lena Sommestad, ad esempio, che insegna Storia Economica all’Università di Uppsala e dirige da anni lo Swedish Institute for Futures Studies di Stoccolma, ha lanciato nel 2001, a partire da alcuni seminari internazionali tenuti per conto del governo svedese (allora presidente di turno dell’Unione europea), “avanzate” tesi in materia di politiche pubbliche in virtù delle quali «[…] il ritorno delle donne tra le mura domestiche non è il modo più appropriato da scegliersi se si vuole aumentare il numero delle nascite», ed i «[…] tassi di natalità sono particolarmente bassi in quelle nazioni in cui si favorisce il matrimonio tradizionale con un solo capofamiglia». La “ricetta” proposta dalla studiosa svedese per ottenere una ripresa della fecondità in Europa, quindi, consisterebbe nella promozione legale delle coppie di fatto e della filiazione illegittima, dato «[…] che i paesi in cui non si stigmatizzano la convivenza o le nascite al di fuori del matrimonio hanno maggiori probabilità di mantenere alti i propri livelli di fertilità»29.

In realtà, il paradosso delle maggiori nascite extra-matrimoniali in Svezia non è altro che la conseguenza della politica indifferente/contraria alla famiglia tradizionale portata avanti da decenni nel Paese scandinavo, la quale ha finito per far sì che le “unioni civili” rappresentino oggi la forma di vita comune di gran lunga preferita da una gioventù individualista e deresponsabilizzata. La stragrande maggioranza (il 90%) delle unioni tra svedesi al di sotto dei 35 anni, infatti, ha luogo oggi con una “partnership registrata” anziché col matrimonio. Per questo la maggior parte dei figli sono illegittimi!

Per quanto riguarda invece l’apodittica affermazione circa la bassa natalità dei Paesi che scoraggiano l’accesso al lavoro remunerato da parte delle donne sposate, c’è da dire che tale esito, qualora riscontrato, sia da legare piuttosto a elementi socio-culturali e non economici. Come confermano 29 LENA SOMMESTAD, La parità dei sessi: chiave per una futura prosperità economica?, in Attualità svedesi, Istituto Svedese, novembre 2001, (pp. 1-4) p. 3, cfr. http://www.sweden.se/upload/Sweden_se/otherlanguages/articles/SI/pdf/Italienska/It432.pdf

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infatti recenti ricerche svolte in Italia30, a parità d’età, le casalinghe rimangono incinte molto più facilmente delle donne che lavorano fuori casa perché, è opinione sempre più diffusa fra i ginecologi, «La vita convulsa, gli impegni, rendono il concepimento meno stabile. [e] In uno stato di grande stress può verificarsi un'alterazione dell'ovulazione»31.

La legislazione in materia di equiparazione della convivenza al matrimonio conta in Svezia più di vent’anni, poiché già dall’inizio del 1987 una legge nazionale32 disciplinava gli aspetti patrimoniali relativi alle unioni di fatto tra persone di sesso diverso, in particolare con riferimento alla casa in comune ed ai beni “familiari”. Poco dopo tale normativa veniva estesa agli omosessuali (con la legge n. 814/1987). Non si trattava però, almeno teoricamente, di una istituzionalizzazione vera e propria delle “unioni civili”. Entrambi i provvedimenti dell’‘87, infatti, non erano il frutto di un riconoscimento di garanzie e diritti alle convivenze di tipo “affettivo-sessuale” ma, anzi, si sosteneva (come si cerca di fare anche in Italia con il disegno di legge sui “Di.Co.”33), essi volevano essere innanzitutto espressioni di “tutela” e “solidarietà sociale”, migliorando le condizioni dei partners più “deboli” all’interno delle coppie di fatto. Per questo era previsto che la disciplina di

30 Mi riferisco allo studio pubblicato nel 2006 dal Centro di Procreazione Medicalmente Assistita “Artemisia” di Roma, il quale ha preso in esame una popolazione femminile molto ampia e fertile di gestanti alla prima gravidanza e alla prima ecografia a cui è stato chiesto da quanto tempo provassero ad avere figli. Sono state coinvolte donne di diverso lavoro e conseguente disponibilità economica, dalla casalinga alle dipendente, dalla libera professionista alla manager. I risultati più interessanti sono venuti dalla fascia di età tra i 35 e i 40 anni. In questo gruppo, composto da 600 donne, oltre il 50 per cento delle casalinghe è rimasto in stato interessante entro i primi tre mesi di tentativi. Il resto entro quattro-sei mesi. Invece, solo il 20 per cento delle donne libere professioniste o manager è rimasta incinta entro i primi tre mesi. Il resto delle donne in carriera ha concepito un figlio solo dopo un anno di tentativi (cfr. Le casalinghe più feconde delle professioniste, in UCIPEM News, n. 81 del 21 marzo 2006). 31 Si tratta di affermazioni del dott. Claudio Giorlandino, direttore scientifico del Centro “Artemisia”, secondo il quale: «La casalinga, spesso meno benestante di una donna in carriera, vive tutto sommato una vita più tranquilla, sotto vari punti di vista. Una vita più semplice, genuina [...] E quando decide di avere un figlio nella maggior parte dei casi ci riesce prima di una sua coetanea immersa nel mondo del lavoro. Elementi questi che risultano significativi» (cit. in Le casalinghe più feconde delle professioniste, art. cit.). 32 Cfr. la legge n. 232/1987 ”om samborsgemensamma hem”. 33 Il primo articolo della bozza del d.d.l. sui “Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi (Di.Co.)”, approvato dal Consiglio dei Ministri l’8 febbraio 2007, si premura infatti di enucleare i propri destinatari nel modo seguente: «Due persone maggiorenni e capaci, anche dello stesso sesso, unite da reciproci vincoli affettivi, che convivono stabilmente e si prestano assistenza e solidarietà materiale e morale, non legate da vincoli di matrimonio». Nel Comunicato stampa di accompagnamento si chiarisce quindi come «Il provvedimento si pone l’obiettivo di tutelare i soggetti più deboli nella convivenza, superando così disparità e disuguaglianza tra cittadini» (cfr.: http://www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/dico/).

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allora sulle “convivenze domestiche” godesse di un’applicazione automatica, indipendente cioè dalla volontà delle parti34.

Basterà aspettare il 1994, data di approvazione della nuova legge sulla partnership registrata35, per arrivare alla definitiva “istituzionalizzazione” e legalizzazione delle “unioni civili”, comprese quelle omosessuali. Tale normativa, che è tuttora in vigore, è stata introdotta “sull’onda” della Risoluzione del Parlamento europeo dell’8 febbraio 1994 “sulla parità dei diritti degli omosessuali nella Comunità”, e per questo è rivolta esclusivamente alle coppie “registrate” di persone dello stesso sesso. Abbiamo così il paradosso per cui oggi in Svezia le “unioni civili” vere e proprie esistono soltanto per gli omosessuali e non per le convivenze tra un uomo ed una donna, le quali rimangono regolamentate mediante l’“unione assistenziale” di convivenza domestica di cui alla legge dell’‘87.

C’è un’ulteriore considerazione da fare a proposito della riforma sulle unioni omosessuali del ’94. Essa è stata infatti presentata come la soluzione ai problemi delle persone che non potevano contrarre matrimonio, vale a dire appunto le coppie contro natura, ma non ha “risolto” veramente la loro situazione, in primo luogo perché non ne ha previsto né il diritto all’adozione né quello ad usufruire delle leggi sull’inseminazione artificiale36, dando quindi vita ad un modello matrimoniale “inferiore” o “di serie B”. Anche per questo, forse, il registro delle coppie omosessuali “sposate”, operativo dal 1995, ad oggi, ne conta meno di 1.600.

8.Il fallimento del “matrimonio” omosessuale in Olanda

L’Olanda, grazie a modifiche apportate da una legge del luglio 1997 al

primo libro del suo Codice civile, ha riconosciuto giuridicamente le coppie di fatto (partnership) sia etero che omosessuali, comprese quelle non costituite

34 Non succede così nella legge belga sulla “cohabitation légale” del 23 novembre 1998 e neanche nella legge catalana n. 19 del 28 dicembre 1998, “sobre situacions con vivencials, d'ajuda mutua”. In questi due modelli è infatti necessaria la volontà delle parti per costituire l'unione assistenziale, altrimenti si resta nell'ambito delle unioni di fatto vere e proprie.35 Cfr. la legge n. 1117/1994 ”om registrerat partnerskap”.36 Cfr. la Sezione t, capitolo 3, della legge svedese del 1994. Tali preclusioni sono anche presenti nelle legislazioni della maggior parte degli altri Paesi nordeuropei (cfr. il paragrafo 8, della legge finlandese, l’articolo 5 di quella islandese e l’art. 3 di quella norvegese).

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da olandesi (dovendo comunque trattarsi di cittadini appartenenti all’Unione europea). Qui l’“attesa” per la concessione del diritto all’adozione è stato molto più breve che in Danimarca, dato che le leggi che hanno introdotto il “matrimonio” omosessuale e l’adozione da parte di tutti i tipi di coppie di fatto sono state approvate ad appena due anni dal primo riconoscimento civilistico (rispettivamente le leggi n. 26672 e 26673 del luglio 1999).

Quanto agli effetti legali, quelli conseguenti alla registrazione di una “unione civile”, sono ormai assimilati al matrimonio, prevedendo l’art. 80b del codice civile vigente in seguito alla riforma del ’97 che il trattamento giuridico relativo alla famiglia si applichi “per analogia” alla partnership registrata. Nonostante questo in Olanda sono oggi meno di 10.000 le unioni fra persone dello stesso sesso che hanno deciso di registrarsi, cifra piuttosto elevata ma che abbraccerebbe secondo alcune stime neanche il 7% del totale degli omosessuali esistenti in questa nazione.

Dal 1° aprile 2001 è operativo il registro dei “matrimoni” fra persone dello stesso sesso. Dagli iniziali 2.414 effettuati nel 2001, essi sono però più che dimezzati nel 2005 (solo 1.156), confermando che quella della legalizzazione e “matrimonializzazione” delle coppie omosessuali non è una esigenza grandemente sentita all'interno della “categoria”.

Dopo gli exploit degli anni scorsi, dovuti al fattore novità ed all’alterazione statistica dovuta al fatto che i dati forniti erano “cumulativi” (comprendendo ovviamente le unioni “retroattive”), sembra che il fenomeno dei “matrimoni omosessuali” in Europa abbia già cominciato a sgonfiarsi. Una ricerca pubblicata nel 2006 dall’Institute for Marriage and Public Policy di Washington, intitolato “Demand for same-sex marriage”, curata da ricercatori da anni impegnati sulle tematiche socio-familiari come Maggie Gallagher37 e Joshua Baker, ha evidenziato come nel Vecchio continente il fenomeno delle unioni omosessuali giuridicamente riconosciute appaia ormai in crisi, e ciò non

37 Presidente dell’Institute for Marriage and Public Policy, la Gallagher ha pubblicato negli ultimi anni ben tre volumi dedicati alla valenza del matrimonio e della famiglia tradizionale per l’armonia della società e l’educazione dei giovani, cui ha associato recentemente un’originale critica sulle carenze metodologiche della ricerca su cui si basano i fautori delle unioni omosessuali [cfr. il suo contributo intitolato (How) Does Marriage Protect Child Well-Being?, in ROBERT P. GEORGE-JEAN BETHKE ELSHTAIN (edited by), The Meaning of Marriage: Family, State, Market, and Morals, ed. Spence Publishing Company, Dallas (TX) 2006, pp. 197-211.

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solo perché sta calando come quantità, ma anche perché è sempre più soggetto ad un significativo numero di “separazioni”38.

Analoghe conclusioni circa il fallimento dei “matrimoni” omosessuali in nord Europa sono tratte anche da uno studio curato nel 2006 da due demografi scandinavi, Gunnar Andersson e Turid Noack, “The Demographics of Same-Sex Marriages in Norway and Sweden”, nel quale fra la sorpresa degli osservatori internazionali39, hanno documentato come in Norvegia, dal 1993 a tutto il 2001, sono state registrate solo 1.293 nuove unioni omosessuali, rispetto ai 196.000 matrimoni eterosessuali ed in Svezia, ne sono state registrate 1.526 tra il 1995 e il 2002, rispetto ai 280.000 matrimoni eterosessuali.

Conclusione

In uno dei suoi ultimi seminari internazionali l’antropologo francese Claude Lévi-Strauss intese ricordare alle “progredite” classi dirigenti (dell’allora) fine secondo millennio, connotate dall’inverno demografico che sempre più le debilita: «L’esigenza primaria che si impone alle società umane è di riprodursi, ossia di conservarsi nella durata»40. In altra occasione, sempre negli stessi anni, il padre “laico” dell’antropologia contemporanea rivolse alle società occidentali una fondamentale domanda che continua a interpellare soprattutto i governanti di un’Unione europea invischiata nella “dittatura del relativismo”: «Se l’universalità della famiglia non è un effetto di una legge naturale, come si spiega che la si trova quasi dappertutto?»41.

Le diverse leggi sulle unioni di fatto, comprese quelle omosessuali, hanno finito invece col demolire definitivamente la certezza giuridica per cui le fondamenta del matrimonio sono nel diritto naturale, stravolgendo quindi l’impalcatura del diritto familiare europeo sul quale si è sviluppato l'Occidente per secoli. Queste nuove normative sulla convivenza non matrimoniale sono però l’effetto e non la causa del “vero” processo che ha messo in crisi il 38 Cfr. Il matrimonio omosessuale vacilla, in Agenzia Zenit, 1° luglio 2006.39 Cfr. ad es. l’articolo del prof. Stanley Kurtz, “fellow” dell’Hudson Institute, pubblicato sul National Review Online del 5 giugno 2006. 40 CLAUDE LÉVI-STRAUSS, L'antropologia di fronte ai problemi del mondo moderno [conferenze di Tokyo, 15-16 aprile 1986], Melusina, Roma 2000, p. 20.41 C. LÉVI-STRAUSS, Lo sguardo da lontano, Einaudi, Torino 1984 [trad it. di: Le regarde éloigné, Plon, Paris 1983] p. 54.

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matrimonio nella nostra società, vale a dire il progressivo svuotamento istituzionale che esso ha subìto negli ordinamenti secolari durante il Novecento, causato da una crisi etica che non ha smesso di trapassare le società e le religioni in Europa.

BibliografiaARAMINI, MICHELE: PACS, matrimonio e coppie omosessuali. Quale futuro

per la famiglia, Paoline editoriale libri, Milano 2006;BRIENZA, GIUSEPPE: Famiglia, sussidiarietà e riforma dei servizi sociali, Città

Nuova editrice, Roma 2002;CASINI, CARLO: Unioni di fatto, matrimonio, figli: tra ideologia e realtà,

Società editrice fiorentina, Firenze 2007;DONATI, PIERPAOLO- COLOZZI, IVO (a cura di): Il paradigma relazionale nelle

scienze sociali: le prospettive sociologiche, il Mulino, Bologna 2006;FOLENA, UMBERTO: I PACS della discordia. Spunti per un dibattito, Ancora,

Milano 2006;GEORGE, ROBERT P.–ELSHTAIN, JEAN BETHKE (edited by): The Meaning of

Marriage: Family, State, Market, and Morals, ed. Spence Publishing Company, Dallas (TX) 2006;

MANTOVANO, ALFREDO: La guerra dei “Di.Co.”, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 2007;

OSSERVATORE (L') ROMANO, La verità sulla famiglia : matrimonio e unioni di fatto nelle parole di Benedetto XVI, Quaderni de “L’Osservatore romano”, Città del Vaticano 2007.

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