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2/2017

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G. Giappichelli editore – torino

Comitato di direzione

Fabrizio amatucci, Massimo Basilavecchia, roberto cordeiro Guerralorenzo del Federico, eugenio della Valle, Valerio Ficari

Maria cecilia Fregni, alessandro GiovanniniMaurizio logozzo, Giuseppe MariniSalvatore Muleo, Franco paparella

livia Salvini, loris tosi

2/2017

Tax Law Quarterly

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© copyright 2017 - Amici della Rivista Trimestrale di Diritto Tributarioregistrazione presso il tribunale di torino, 5 aprile 2012, n. 22

Direttore responsabile: eugenio della Valle

Direzione e Redazionec/o Giuseppe MariniVia di Villa Sacchetti 9 - 00197 romatel. [email protected]

G. Giappichelli editore - 10124 torinovia po, 21 - tel. 011-81.53.111 - Fax 011-81.25.100http://www.giappichelli.it

iSSn 2280-1332

Stampatore: Stampatre s.r.l., di a. rinaudo, G. rolle, a. Volponi & c., via Bologna 220, 10123 torino

le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volu-me/fascicolo di periodico dietro pagamento alla Siae del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941, n. 633.

le fotocopie effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da clearedi, centro licenze e autorizzazioni per le riproduzioni editoriali, corso di porta romana 108, 20122 Milano, e-mail [email protected] e sito web www.clearedi.org.

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Comitato di direzioneFabrizio amatucci, Massimo Basilavecchia, roberto cordeiro Guerra, lorenzo del Federico, eugenio della Valle, Valerio Ficari, Maria cecilia Fregni, alessandro Giovannini, Maurizio logozzo, Giuseppe Marini, Salvatore Muleo, Franco paparel-la, livia Salvini, loris tosi

Comitato scientifico dei revisoriniccolò abriani, Francisco adame Martinez, antonia agulló agüero, Jacques au-tenne, Mauro Beghin, pietro Boria, Marc Bourgeois, andrea carinci, Giuseppe cipolla, Silvia cipollina, andrea colli Vignarelli, Gianluca contaldi, daria cop-pa, Giacinto della cananea, adriano di pietro, augusto Fantozzi, andrea Fedele, luigi Ferlazzo natoli, Stefano Fiorentino, Guglielmo Fransoni, Gianfranco Gaffuri, Franco Gallo, cesar Garcia novoa, alfredo Garcia prats, daniel Gutman, pedro h. herrera Molina, Manlio ingrosso, enrico laghi, Salvatore la rosa, carlos lopez espadafor, raffaello lupi, Jacques Malherbe, enrico Marello, Gianni Marongiu, enrico Marzaduri, Giuseppe Melis, Sebastiano Maurizio Messina, Marco Miccinesi, Salvo Muscarà, Mario nussi, carlos palao taboada, leonardo perrone, raffaele perrone capano, Franco picciaredda, Francesco pistolesi, ana María pita Gran-dal, Gianni puoti, José a. rozas Valdés, claudio Sacchetto, Salvatore Sammartino, roberto Schiavolin, roman Seer, Maria teresa Soler roch, paolo Stancati, dario Stevanato, Giuliano tabet, Francesco tesauro, Giuseppe tinelli, edoardo traversa, antonio Uricchio, Juan enrique Varona alabern, Marco Versiglioni, Bjorn West-berg, Giuseppe Zizzo

Comitato di redazioneantonio Viotto (coordinatore), ernesto-Marco Bagarotto, Gianluigi Bizioli, Susanna cannizzaro, pier luca cardella, anna rita ciarcia, Marco di Siena, Stefano dori-go, antonio Marinello, pietro Mastellone, Michele Mauro, annalisa pace, damiano peruzza, Federico rasi, laura torzi, caterina Verrigni

Tutti i contributi pubblicati nella Rivista sono stati sottoposti alla valutazione colle-giale da parte del Comitato di direzione e alla revisione anonima da parte di uno dei componenti del Comitato scientifico dei revisori, in base all’apposito Regolamento (consultabile sul sito www.giappichelli.it/RTDT_regolamento.html)

Amministrazione: presso la casa editrice G. Giappichelli, via po 21 – 10124 torino

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INDICE-SOMMARIO

pag.

Gli Autori e i Revisori 267

Dottrina

F. Amatucci, Doppio binario e “connessione sufficiente” tra procedi-mento tributario e penale (Double track system and “sufficiently close connection” between criminal and tax proceedings) 271

P. Barabino, Il bilanciamento tra la capacità contributiva, le spese pub-bliche e il tempo nel project financing: un regime “ordinario differen-ziato” (The balance between the ability-to-pay, public expenses and time in the project financing: a “diversified ordinary” regime) 285

S. Cannizzaro, Spunti di riflessione sulla possibile introduzione di aliquote IVA ridotte per beni e servizi “verdi” (Remarks on the pos-sible introduction of reduced VAT rates for “green-oriented” goods and services) 315

P.L. Cardella, Il sistema dei reati tributari e le violazioni dipendenti da “condizioni di obiettiva incertezza” (The criminal tax system and in-fringements caused by “objective conditions of uncertainty”) 339

L. D’Agostino, L’operatività della confisca e le sorti del sequestro pre-ventivo in presenza di impegno al pagamento del debito tributario: in dubio pro reo? (How the confiscation and the preliminary seizure should behave when the debtor expressly commits to pay the taxes clai-med: in dubio pro reo?) 367

M.C. Fregni, Osservazioni sul ruolo della dottrina giuridica e degli ope-ratori pratici nelle scelte di politica fiscale (Some remarks on the role of tax scholars and practitioners in developing tax policies) 391

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INDICE-SOMMARIO RTDT - n. 2/2017 266

pag.

G. Marini-F. Franconi, Acquisizioni di complessi aziendali e fiscalità indiretta (M&A transactions and indirect taxation) 397

G. Petrillo, Il principio di proporzionalità e diniego di detrazione per “consapevolezza” nelle frodi IVA (The principle of proportionality and the denial of deduction in case of “awareness” in VAT frauds) 431

A. Quattrocchi, I criteri di collegamento territoriale nell’ambito del-l’imposta sulle successioni e donazioni (Territorial connecting crite-ria for inheritance and gift taxes) 453

E. Simon Acosta, Principios de moderación y no confiscatoriedad. Una visión desde la perspectiva de los derechos humanos (I prin-cipi di moderazione e di non confiscatorietà. Un’analisi dal punto di vista dei diritti umani) (Principles of moderation and non-confisca-tion. An analysis from the human rights perspective) 483

Giurisprudenza

Cass., sez. III, 23 agosto 2016, n. 35294 – Pres. Rosi, Rel. Aceto, con nota di I. Pini, L’imputazione temporale della plusvalenza derivante dal contratto di sale and lease back in soggetti non IAS (The temporal tax relevance of capital gains deriving from the sale and lease back con-tract for non-IAS adopters) 507

Corte cost., 3 marzo 2016, n. 44 – Pres. Criscuolo, Rel. Coraggio, con no-ta di F. Rasi, La competenza nel processo tributario: prevale la “co-modità” del contribuente o quella dell’Agenzia delle Entrate? (Ter-ritorial competence in tax litigation: does the “comfort” of the taxpayer prevail over the one of the tax authorities?) 529

Errata corrige fascicolo 1/2017 – Tra i revisori del numero è stato erroneamente indicato Alberto Maria Gaffuri in luogo di Gianfranco Gaffuri, Professore emerito di Diritto tributario, Università Statale di Milano. – Nel lavoro a due mani di Roberto Cordeiro Guerra e Stefano Dorigo non sono state specificate le parti di competenza di ciascun autore. Per quanto i temi trattati siano frutto di una riflessione comune, i paragrafi 2, 3 e 4 sono attribuibili a Roberto Cordeiro Guerra ed i paragrafi 1, 5, 6 e 7 a Stefano Dorigo.

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GLI AUTORI E I REVISORI

Fabrizio Amatucci Professore ordinario di Diritto tributario, Università Federico II di Napoli

Paolo Barabino Dottore di ricerca in Diritto tributario europeo, Assegnista di ricerca in Diritto tribu-

tario, Università di Sassari

Susanna Cannizzaro Ricercatore di Diritto tributario, Università di Foggia

Pier Luca Cardella Assegnista di ricerca, Sapienza Università di Roma

Luca D’Agostino Dottorando di ricerca in Diritto ed Impresa, Università LUISS Guido Carli

Federico Franconi Dottore in Giurisprudenza, Università LUISS Guido Carli

Maria Cecilia Fregni Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Modena e Reggio Emilia

Giuseppe Marini Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Roma Tre

Giovanna Petrillo Professore associato di Diritto tributario, Università della Campania Luigi Vanvitelli

Irene Pini Assegnista di ricerca, Università Milano-Bicocca

Andrea Quattrocchi Assegnista di ricerca, Università di Brescia

Federico Rasi Professore associato di Diritto tributario, Università degli Studi del Molise

Eugenio Simon Acosta Catedrático de Derecho Financiero y Tributario, Universidad de Navarra

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GLI AUTORI E I REVISORI RTDT - n. 2/2017 268

La revisione dei contributi pubblicati è stata effettuata da: Silvia Cipollina (Pro-fessore ordinario di Diritto tributario, Università di Pavia); Andrea Colli Vignarelli (Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Messina); Augusto Fan-tozzi (Professore straordinario di Diritto tributario, Univ. Telematica Giustino For-tunato); Gianfranco Gaffuri (Professore emerito di Diritto tributario, Università Statale di Milano); Franco Gallo (Professore emerito di diritto tributario, Luiss Guido Carli); Manlio Ingrosso (già Professore ordinario di Diritto tributario, Se-conda Università di Napoli); Enrico Marzaduri (Professore ordinario di Diritto processuale penale, Università di Pisa); Mario Nussi (Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Udine); Francesco Pistolesi (Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Siena); Giuseppe Zizzo (Professore ordinario di Diritto tri-butario, Università LIUC di Castellanza).

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269

DOTTRINA

SOMMARIO:

F. Amatucci, Doppio binario e “connessione sufficiente” tra procedimento tri-butario e penale (Double track system and “sufficiently close connection” between criminal and tax proceedings)

P. Barabino, Il bilanciamento tra la capacità contributiva, le spese pubbliche e il tempo nel project financing: un regime “ordinario differenziato” (The balance bet-ween the ability-to-pay, public expenses and time in the project financing: a “diversi-fied ordinary” regime)

S. Cannizzaro, Spunti di riflessione sulla possibile introduzione di aliquote IVA ridotte per beni e servizi “verdi” (Remarks on the possible introduction of reduced VAT rates for “green-oriented” goods and services)

P.L. Cardella, Il sistema dei reati tributari e le violazioni dipendenti da “condi-zioni di obiettiva incertezza” (The criminal tax system and infringements caused by “objective conditions of uncertainty”)

L. D’Agostino, L’operatività della confisca e le sorti del sequestro preventivo in presenza di impegno al pagamento del debito tributario: in dubio pro reo? (How the confiscation and the preliminary seizure should behave when the debtor ex-pressly commits to pay the taxes claimed: in dubio pro reo?)

M.C. Fregni, Osservazioni sul ruolo della dottrina giuridica e degli operatori pra-tici nelle scelte di politica fiscale (Some remarks on the role of tax scholars and practitioners in developing tax policies)

G. Marini-F. Franconi, Acquisizioni di complessi aziendali e fiscalità indiretta (M&A transactions and indirect taxation)

G. Petrillo, Il principio di proporzionalità e diniego di detrazione per “consape-volezza” nelle frodi IVA (The principle of proportionality and the denial of deduc-tion in case of “awareness” in VAT frauds)

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DOTTRINA RTDT - n. 2/2017 270

A. Quattrocchi, I criteri di collegamento territoriale nell’ambito dell’imposta sul-le successioni e donazioni (Territorial connecting criteria for inheritance and gift taxes)

E. Simon Acosta, Principios de moderación y no confiscatoriedad. Una visión des-de la perspectiva de los derechos humanos (I principi di moderazione e di non con-fiscatorietà. Un’analisi dal punto di vista dei diritti umani) (Principles of moderation and non-confiscation. An analysis from the human rights perspective)

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Fabrizio Amatucci

DOPPIO BINARIO E “CONNESSIONE SUFFICIENTE” TRA PROCEDIMENTO TRIBUTARIO E PENALE

DOUBLE TRACK SYSTEM AND “SUFFICIENTLY CLOSE CONNECTION” BETWEEN CRIMINAL AND TAX PROCEEDINGS

Abstract Le continue interrelazioni tra procedimento e processo tributario e penale previste a livello normativo e giurisprudenziale, hanno generato, ormai da qualche tempo, la necessità di una revisione del doppio binario sul quale si fonda l’autonomia delle attività istruttorie svolte nelle rispettive sedi. Una delle maggiori spinte verso il rav-vicinamento tra procedimento e processo tributario e penale arriva dal diritto eu-ropeo e dal principio del ne bis in idem. La sufficiente connessione ed interazione tra le autorità, recentemente considerata dalla Corte EDU nel caso A and B v. Nor-way del 15 novembre 2016 quale requisito per il mantenimento del doppio binario e per evitare la violazione del ne bis in idem, consente una maggiore circolazione probatoria preliminare nel rispetto del principio della proporzionalità che potreb-be avere un forte impatto sui procedimenti nazionali. Parole chiave: istruttoria, doppio binario, procedimento tributario, procedimento penale, proporzionalità, interazione The continuous overlappings between tax and criminal proceedings that arise in law and case law, have necessarily led, from quite a long time, to rethink the double track system that provides the independence of preliminary investigations. One of the main im-petus towards the approximation of tax and criminal proceedings comes from EU law and from the ne bis in idem principle. The sufficient connection and interaction between different authorities, as recently remarked by the European Court of Human Rights in the A and B v. Norway of 15 November of 2016 as requirement to maintain the double track and avoid infringing the ne bis in idem principle, allow an increased preliminary circu-lation of evidence in line with the proportionality principle that would have a significant impact on national proceedings. Keywords: preliminary investigation, double track system, tax proceedings, criminal proceedings, proportionality, interactions

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DOTTRINA RTDT - n. 2/2017 272

SOMMARIO: 1. La crisi dell’autonomia tra procedimento tributario e penale. – 2. L’impatto del ne bis in idem sull’indipendenza procedimentale e processuale. – 3. La sufficiente connessione ed interazione qua-le requisito per la sopravvivenza del doppio binario. – 4. Conclusioni.

1. La crisi dell’autonomia tra procedimento tributario e penale

L’autonomia tra procedimento penale e tributario, fondata nel nostro ordi-namento sul doppio binario, attraversa da qualche tempo un periodo di crisi derivante da continue interrelazioni tra le due sfere e attività valutative ormai non più tanto separate e distanti. Tale situazione è stata generata da una serie di novità legislative e da orientamenti giurisprudenziali nazionali ed europei che hanno consentito un ravvicinamento tra le diverse fasi istruttorie, pur nel ri-spetto delle diversità che le caratterizzano.

La fase successiva all’abrogazione della pregiudiziale tributaria prevista dal-la L. n. 4/1929 ad opera della L. n. 516/1982, ha determinato come reazione nel nostro ordinamento l’autonomia tra i due procedimenti e processi, pur consentendo allo stesso tempo l’eliminazione degli ostacoli normativi all’uti-lizzo reciproco di informazioni e dati acquisiti nelle rispettive sedi

1. L’autono-mia è stata sancita dall’art. 20 del D.Lgs. n. 74/2000 che chiarisce che il pro-cedimento e il processo tributario non possono essere sospesi per la pendenza del procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti, eliminando ogni tipo di pregiudizialità e condizionamento reciproco

2. Tale disposizione, che si

1 SCHIAVOLIN, Il rapporto tra accertamenti, in Trattato di diritto sanzionatorio tributario, diretto da Giovannini, Milano, 2016, p. 1242, ritiene che il legislatore abbia previsto una do-verosa collaborazione degli organi pubblici per la repressione delle violazioni fiscali. Ciò è avvenuto ai sensi dell’art. 36, D.P.R. n. 600/1973 che obbliga i soggetti pubblici incaricati ad attività ispettive a comunicare alla Guardia di Finanza i fatti che possono configurarsi come violazioni tributarie. Inoltre l’art. 33, D.P.R. n. 600/1973 prevede, al comma 3, la possibilità da parte della Guardia di Finanza previa autorizzazione di utilizzare e trasmettere dati e noti-zie acquisiti da altre Forze di polizia e gli artt. 32 n. 2 e 51 n. 2, D.P.R. n. 633/1972 consen-tono di porre a base degli accertamenti previsti degli artt. 38, 39, 40 e 41, i dati e gli elementi raccolti a norma dell’art. 33, comma 2 e 3 se il contribuente non dimostri che sono irrilevanti o che già ne ha tenuto conto per la dichiarazione.

2 GALLO, Rapporti tra processo penale e processo tributario, in MUSCO (a cura di), Diritto penale tributario, Milano, 2002, p. 495. Il principio della reciproca indipendenza (c.d. doppio binario) caratterizza nel nostro ordinamento i rapporti tra accertamento e contenzioso fisca-le da una parte e processo penale dall’altra (D.Lgs. n. 74/2000, art. 20, e art. 64 c.p.p.).

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Fabrizio Amatucci 273

fonda sulla diversità dei fatti giuridicamente rilevanti e delle regole operanti nelle differenti sedi

3, avrebbe dovuto evitare eventuali contrasti tra diversi giu-dicati in presenza di regole e strumenti valutativi e probatori diversi

4. Il dop-pio binario trova forse ancora oggi la sua giustificazione più valida nella moti-vazione della sentenza della Corte cost. n. 51/1992, in cui il limite alla trasmis-sione di notizie acquisite in sede penale è considerato volto a garantire l’effi-cienza ed il buon esito dell’indagine penale e la tutela dei diritti della persona. Ciò nonostante, una serie di interrelazioni tra i procedimenti ed i processi tri-butario e penale sono state previste a livello normativo e giurisprudenziale ed i due binari hanno iniziato ad incrociarsi sempre più spesso in quanto molte-plici risultano essere le contaminazioni tra i diversi modelli di accertamento

5. È sempre più frequente ad es. l’utilizzo di sentenze di assoluzione o archivia-zione dei reati penali nel processo tributario o l’ingresso nel processo tributa-rio di dichiarazioni rese dai terzi o, ancora, intercettazioni che, pur non pre-supponendo un’autonoma valutazione da parte del giudice tributario, assumo-no rilevanza quali elementi di prova critica

6. Tale esigenza dimostra la limita-

3 LA ROSA, Orientamenti e disorientamenti in tema di rapporti tra norme penali e tributarie, in Riv. dir. trib., 2016, p. 446, rileva correttamente come i termini e la rilevanza della questio-ne cambiano notevolmente in fase penale rispetto a quella fiscale. Nel primo caso vengono in gioco la libertà personale del contribuente; la sanzione penale è volta a rendere giustizia a quanti sono pregiudicati dall’altrui evasione ed alla quantificazione del pregiudizio arrecato alla finanza pubblica. Diversamente sul fronte tributario rilevano prevalentemente le irrego-larità da parte del contribuente che vengono fondate a base delle pretese e che possono de-terminare preclusioni probatorie.

4 Mantenendo l’autonomia procedimentale, ciò che per il giudice penale è reato d’evasio-ne può essere ritenuto condotta non evasiva o elusiva dal giudice tributario. In tal senso v. AIUDI, Processo tributario e processo penale, in Boll. trib., 2004, p. 89.

5 PERRONE, Fatto fiscale e fatto penale, Bari, 2012, pp. 28-43. L’A. evidenzia come la con-taminazione sia inevitabile e necessaria. Nonostante durante le verifiche degli illeciti tributari da parte di Agenzia Entrate e Guardia di Finanza si individuano gli elementi fattuali alla base della configurazione giuridica del reato tributario, vi può essere grazie al doppio binario, un problema di mancato coordinamento sulle soglie di punibilità che possono essere determina-te o accertate nel processo penale in modo diverso rispetto a quello che accade in sede tributa-ria, in quanto il giudice penale deve quantificare l’evasione ai fini della configurabilità del reato.

6 V. Cass., 28 ottobre 2015, n. 21966 ove è stata riconosciuto, nonostante l’inoperatività dell’efficacia vincolante del giudicato penale da parte del giudice tributario, che esso può es-sere considerato elemento probante avente valore di prova critica. Con successiva sent. n. 48585/2016 si afferma che l’assoluzione dell’imputato per il reato di cui all’art. 10 bis del D.Lgs. n. 74/2000 con la formula “perché il fatto non sussiste”, in ragione del mancato raggiungimen-to della soglia di punibilità elevata a seguito dell’emanazione del D.Lgs. n. 158/2015, significa che è stata accertata l’insussistenza del fatto che sia stata raggiunta una soglia pari o superiore a quella prevista per la realizzazione del reato; ne consegue che solo rispetto a tale fatto, ai

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DOTTRINA RTDT - n. 2/2017 274

tezza del sistema probatorio tributario sin dalla fase istruttoria e l’inadegua-tezza delle presunzioni poste sempre più spesso a base degli accertamenti. Inoltre, le discipline dell’indeducibilità dei costi da reato

7, della confisca per equivalente

8 e dell’abrogato raddoppio dei termini 9, hanno creato una sorta

di dipendenza del procedimento tributario da quello penale in alcune fasi del-l’accertamento molto delicate ed una maggiore attenzione del giudice verso l’esito e le acquisizioni probatorie del processo parallelo

10. In senso inverso non va trascurata la particolare rilevanza, ai fini della determinazione delle so-glie di punibilità in sede penale dell’ammontare delle pretese determinate dal-l’Amministrazione Finanziaria e, più di recente, l’estinzione o definizione del debito tributario come attenuante ai fini penali a seguito delle modifiche degli artt. 13 e 13 bis, D.Lgs. n. 74/2000 ad opera del D.Lgs. n. 158/2015

11. sensi dell’art. 652 c.p.p., la sentenza penale irrevocabile di assoluzione, pronunciata in sede dibattimentale, ha efficacia di giudicato nel procedimento tributario.

Inoltre, con riguardo alle intercettazioni, nella sent. n. 2916/2013, la Cassazione ritiene che esse siano utilizzabili nel processo tributario. Viene specificato che la difesa del contri-buente tuttavia, deve essere sempre garantita: quindi il contribuente ha pieno diritto a conte-stare l’interpretazione delle dichiarazioni intercettate e il giudice il dovere di motivare sul punto; inoltre tali elementi hanno un valore indiziario debole nel processo tributario, e van-no quindi valutati con assoluto rigore. La Corte di Cassazione, con sent. 14 settembre 2016, n. 18065, nel considerare ammesse le dichiarazioni dei terzi in sede extraprocessuale con il va-lore proprio degli elementi indiziari, precisa che le stesse, se possono concorrere a formare il convincimento del giudice, non sono idonee a costituire, da sole, il fondamento della decisione.

7 È frequente il richiamo ad elementi di tipo soggettivo, oltre che nel caso di diretta impu-tabilità dei costi all’attività illecita ai fini dell’indeducibilità ex art. 14, comma 4 bis, anche nel-la verifica della connivenza tra cessionario e cedente IVA nelle frodi carosello ai fini della in-detraibilità.

8 Sentenze Cass., 18 ottobre 2016, n. 43952 e n. 28223/2016. 9 MARELLO, Raddoppio dei termini e crisi del doppio binario, in Riv. dir. trib., 2010, III, p. 95. 10 PISTOLESI, Crisi e prospettive del principio del ‘doppio binario’ nei rapporti fra processo e

procedimento tributario e giudizio penale, in Riv. dir. trib., 2014, p. 30. Il procedimento e l’ac-certamento tributario non si sospendono per la pendenza del processo penale sui medesimi fatti e viceversa. Ciascuno di essi è autonomo in ragione delle diverse regole su cui si fonda-no. Tuttavia è inevitabile che procedimenti amministrativi e giurisdizionali su medesimi fatti nonostante siano autonomi, abbiano un momento di interrelazione. Ciò accade in particola-re in ordine alla rilevanza che assumono nel processo tributario la sentenza penale e le prove che sono state raccolte nel relativo giudizio. Molteplici norme di dettaglio hanno determina-to incertezze e dubbi sulla persistente vitalità e validità del doppio binario. In tal senso LA ROSA, op. cit., p. 430.

11 MELIS, La nuova disciplina degli effetti penali dell’estinzione del debito tributario, in Rass. trib., 2016, p. 631. La rilevanza ai fini penali ad es. dell’accertamento con adesione può se-condo l’A. andare oltre la mera attenuante ex art. 13 bis per riflettersi anche sul merito con-ducendo ad una pronunzia di assoluzione.

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Fabrizio Amatucci 275

2. L’impatto del ne bis in idem sull’indipendenza procedimentale e processuale

Una delle maggiori e più forti spinte verso il ravvicinamento tra procedi-mento e processo tributario e penale arriva dal diritto europeo ed in particola-re, da un lato, dal principio del ne bis in idem operante in materia sanzionatoria che impone un’attività di qualificazione della natura delle sanzioni che non può prescindere da una maggiore interazione in ambito procedimentale e pro-cessuale e, dall’altro, dal riconoscimento di una maggiore apertura del sistema probatorio tributario, che consente il superamento di preclusioni

12 e quella circolazione di dati e notizie derivante dall’esigenza di entrambe le parti di uti-lizzare nuovi e più efficaci strumenti probatori. Si pensi ad es. alle intercetta-zioni telefoniche nelle indagini fiscali riconosciute solo nel rispetto dei diritti fondamentali e del principio del contraddittorio

13 previsto dalla Carta di Niz-za nella sentenza della Corte di Giustizia WML del 17 dicembre 2015 causa C-419/14

14. In tale sentenza veniva posta infatti la delicata questione dell’uti-lizzo di prove ottenute all’insaputa del soggetto passivo in un procedimento penale parallelo, in caso di reati che possono ledere gli interessi finanziari eu-ropei. Tuttavia, per tale acquisizione ed utilizzo, la Corte pone la condizione del rispetto dei diritti fondamentali sanciti dalla Carta di Nizza. La possibilità di ampliare durante la fase istruttoria tributaria gli strumenti probatori raccolti in sede penale e, dunque, di un ravvicinamento tra i due binari, se pur giustifi-cata dalla salvaguardia degli interessi finanziari dell’UE, trova a livello europeo un valido bilanciamento nella tutela dei diritti fondamentali.

Con riguardo all’operatività del ne bis in idem in materia sanzionatoria, di-verse sentenze della Corte EDU e della Corte di Giustizia hanno consacrato tale principio (sent. Corte EDU Nykanen e Hakka del 20 maggio 2014, Gran-de Stevens del 2015 e sent. Corte di Giustizia Fransson del 26 febbraio 2013,

12 V. sentenza Corte EDU Jussila della Corte di Strasburgo, 2 novembre 2006, n. 73053/01, ove viene fissato un limite nell’esaminare la legittimità dell’esclusione di una prova come quella testimoniale dal processo tributario (prevista dall’ordinamento svedese), e si considera tale esclusione compatibile con il giusto processo solo se da tale divieto non deriva un grave pre-giudizio del ricorrente sul piano probatorio non altrimenti rimediabile, riconoscendo la propor-zionalità di misure restrittive in sede processuale.

13 La possibilità di acquisizione del materiale proveniente da altri giudizi accompagnata da cautele viene considerata anche da parte della nostra dottrina (COMOGLIO, Prove penali e giusto processo, in Dir. prat. trib., 2000, p. 943; MARCHESELLI, La circolazione dei materiali istruttori dal procedimento penale a quello tributario, in Rass. trib., 2009, p. 98) secondo la qua-le è necessario un contraddittorio e non possono utilizzarsi materiali assunti illegittimamente.

14 MIDASSI, Costruzione artificiosa ai fini IVA e circolazione delle prove, in Rass. trib., n. 3, 2016, p. 806. V. giurisprudenza della Cassazione, cit. nel par. 1.

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causa C-617/10), stabilendo che le sanzioni amministrative volte a tutelare lo stesso bene giuridico, possono essere considerate al pari di quelle penali per la loro funzione dissuasivo-punitiva e, dunque per la rilevante severità, lo scopo repressivo e il grado di afflittività, rappresentare una duplicazione

15. Tuttavia l’impatto del ne bis in idem e della proporzionalità nel nostro or-

dinamento fondato su un approccio sostanzialistico, considerata l’onerosità e l’afflittività di diverse sanzioni amministrative

16, non è stato valutato adegua-tamente. In relazione ad alcune fattispecie, le conseguenze del ne bis in idem sono state inizialmente neutralizzate a livello interno dalla giurisprudenza del-la nostra Cassazione

17, la quale ha ritenuto tuttavia che, nel caso di omesso versamento delle ritenute, non andava considerata sussistente la specialità tra le due sanzioni penale ed amministrativa, né violato il ne bis in idem, in pre-senza di un rapporto di progressione illecita che legittimasse il doppio binario, essendo la sanzione penale molto più grave dell’amministrativa ed in grado di arricchirla. Nonostante la Corte EDU nel caso Nykanen cit. avesse chiarito che si ha violazione del ne bis in idem sostanziale quando i procedimenti (an-che se nominalmente non coincidenti) accertino gli stessi fatti, siano indipen-denti tra loro e si sviluppino in successione, ovvero in modo che uno dei due pro-segua o inizi quando l’altro è divenuto definitivo, ci si è posti tuttavia il pro-

15 FLORA, Ne bis in idem europeo e sistema sanzionatorio tributario, in Rass. trib., 2016, p. 1010 evidenzia l’incertezza che può derivare da tali orientamenti europei in ordine alla comple-ta ed effettiva assimilabilità della sanzione amministrativa rispetto a quella penale tributaria.

16 Si pensi ad alcune norme sanzionatorie che risultano basate su percentuali significative del tributo evaso che vanno da 100% a 200% ed irrogabili anche a seguito di violazione di obblighi formali come nel caso di irregolarità o errori di registrazioni di operazioni imponibi-li IVA ex art. 6, D.Lgs. n. 471/1997 e che si pongono in palese contrasto con quanto afferma-to dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE in particolare sulla coerenza e sulla grada-zione e più in generale con la proporzionalità.

17 Cass. pen., sez. un., 12 settembre 2013, nn. 3724 e 37425, che in riferimento al ritarda-to o omesso versamento ritenuto sanzionato penalmente dall’art. 10 bis, D.Lgs. 74/2000 ed amministrativamente dall’art. 13, D.Lgs. n. 471/1997, richiama tale principio europeo pur ritenendo nella situazione in esame, non applicabile il ne bis in idem in quanto non vi sarebbe l’identità del fatto tra le due fattispecie amministrativa e penale. Inoltre, con sent. 15 maggio 2014, n. 20266 è stata affermata la legittimità del doppio sistema sanzionatorio in quanto il processo penale per i reati tributari viaggia in parallelo rispetto alla determinazione dell’im-posta da adempiere. V. BOFFELLI, Principio del ne bis in idem nella recente giurisprudenza euro-pea, in Dir. prat. trib., 2014, II, p. 1097. V. inoltre sentenza Cass. n. 40526/2014 riguardante sempre l’art. 10 bis. La Corte di Cassazione, con la sent. 20 maggio 2015, n. 20887, ha ritenu-to che non è deducibile per la prima volta dinanzi a sé la violazione del ne bis idem poiché ciò presuppone che si tratti del medesimo fatto, il che prevedrebbe un apprezzamento pre-cluso in sede di legittimità.

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blema della compatibilità del doppio binario e della possibilità di adeguamen-to da parte del nostro ordinamento tributario agli orientamenti ed alle regole europee.

A seguito del rinvio pregiudiziale operato parte della Cass., con ord. 15 gennaio 2015, n. 38, al fine di un chiarimento interpretativo risolutivo, la sen-tenza della Corte cost. n. 102/2016

18 ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale relativa alla nostra normativa in materia di san-zionabilità del market abuse, ritenendo che spetta al legislatore stabilire le so-luzioni per porre rimedio alle frizioni che il doppio binario genera tra ordina-mento nazionale e CEDU. Non essendo stata risolta la delicata problematica, è apparsa ancor più impellente la necessità di chiarimenti interpretativi sulle modalità applicativa del ne bis in idem nel nostro sistema sanzionatorio anche tributario, nel rispetto della giurisprudenza delle Corti europee, del principio di proporzionalità e del ne bis in idem a livello nazionale riguardante il coordi-namento tra i procedimenti e i processi penale e tributario. Le maggiori per-plessità scaturiscono dalla complessa attività di qualificazione della natura af-flittiva ed effettiva delle singole sanzioni tributarie (amministrative o penali) imposta dalla giurisprudenza europea in materia di ne bis in idem e dalla valu-tazione della sua coerenza all’interno del sistema complessivo, al fine di evita-re il cumulo sanzionatorio in relazione al medesimo illecito. La richiesta di una verifica della natura giuridica effettiva, fondata non solo sull’entità o sul-l’ammontare del tributo evaso, ma sull’afflittività e sulla severità della disposi-zione sanzionatoria

19, chiaramente può indurre l’amministrazione in ambito

18 La questione di costituzionalità sollevata dalla Cassazione riguardava l’art. 187 bis, comma 1, D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di inter-mediazione finanziaria, ai sensi degli artt. 8 e 21 della L. 6 febbraio 1996, n. 52) e dell’art. 649 c.p.p., per violazione dell’art. 117, comma 1, Cost., in relazione all’art. 4 del Prot. n. 7 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Secondo la Corte costituzionale la «Corte rimettente non scioglie i dubbi che essa stessa formula quan-to alla compatibilità tra la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo e i princi-pi del diritto dell’Unione Europea – sia in ordine alla eventuale non applicazione della nor-mativa interna, sia sul possibile contrasto tra l’interpretazione del principio del ne bis in idem prescelta dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo e quella adottata nell’ordinamento dell’U-nione Europea, anche in considerazione dei principi delle direttive Europee che impongono di verificare l’effettività, l’adeguatezza e la dissuasività delle sanzioni residue – dubbi che do-vevano invece essere superati e risolti per ritenere rilevante e non manifestamente infondata la questione sollevata». V. commento alla sentenza Corte cost. n. 102/2016 di PEPE, Ne bis in idem europeo e sanzioni relative a tributi armonizzati, in Federalismi.it, n. 19, 2016.

19 Cass. sez. un., n. 19367/2008 ha ad es. considerato l’assimilabilità delle sanzioni am-ministrative tributarie a quelle penali sulla loro commutabilità in misure detentive e sulla lo-ro gravità.

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procedimentale ed il giudice in fase processuale a subordinare la valutazione della rilevanza del fatto illecito, se pur ai soli fini della qualificazione della na-tura della sanzione, alla determinazione effettuata in altra sede per non incor-rere in rischi di duplicazione. Ciò determina inevitabilmente una notevole in-fluenza sul rapporto tra i due procedimenti (penale e tributario) e sul doppio binario sancito dall’art. 20 del D.Lgs. n. 74/2000 fondato su diversi sistemi probatori, che rende le due fasi sempre meno indipendenti tra loro

20. Attraverso la forza espansiva del diritto europeo

21, si è realizzato dunque un impatto degli artt. 4, Prot. Integr. n. 7 e 50 CEDU non indifferente sui rapporti tra l’ordinamento penale e tributario che riguarda in particolare la materia sanzionatoria amministrativa, tributaria e penale, ma che ha portato a riconsiderare gli effetti della sentenza passata in giudicato di uno dei due giu-dizi o la definitività dell’atto di irrogazione o del procedimento

22, generando

20 AMATUCCI, I principi della proporzionalità e del ne bis in idem nel sistema sanzionatorio tributario, in Dir. e prat. trib. int., 2015, II, p. 27.

21 La Corte costituzionale (con sent. n. 349/2007) ha in un primo momento considerato le disposizioni CEDU norme interposte tra il piano costituzionale e quello delle leggi ordina-rie. Con sent. n. 210/2013 e n. 49/2015 è stato in seguito precisato, con riguardo alla disap-plicazione diretta, che le norme in contrasto con i principi CEDU vanno ricondotte nell’am-bito della valutazione di legittimità costituzionale ex art. 117, anche se la Corte sembra ridi-mensionare la loro efficacia ai fini della disapplicazione, «ritenendo esistente un predominio assiologico della Cost. sulla CEDU e osserva che il giudice nazionale può porre a fondamen-to della propria attività interpretativa solo un diritto consolidato e che non vi sarebbe dun-que un obbligo di uniformarsi alla linea interpretativa CEDU». Con successiva sent. 8 luglio 2015, n. 184, la Corte costituzionale chiarisce il proprio compito che è quello di ricondurre la norma impugnata alla legalità convenzionale, dichiarandone l’illegittimità costituzionale per la parte in cui essa si è allontanata dall’osservanza della normativa interposta e quindi an-che dell’art. 117, comma 1, Cost. È stato in proposito chiarito che l’interpretazione «non deve eccedere quanto necessario sul piano della legittimità costituzionale» e nell’ambito di quella effettuata ai sensi dell’art. 117. Alla Carta di Nizza è attribuito lo stesso valore dei trat-tati. Anche se il procedimenti di adesione della CEDU all’UE non si è ancora completato, alcune misure nazionali possono ormai essere disapplicate essendo il diritto di difesa basato sulla CEDU, strettamente correlato alle libertà fondamentali UE che non sono più solo eco-nomiche, ma collegate alla persona e ai diritti sociali. Inoltre, le sentenze della Corte EDU hanno la stessa efficacia di quelle della Corte di Giustizia come confermato dall’art. 52 CDFUE che attribuisce rilevanza all’interpretazione delle norme convenzionali da parte del-la giurisprudenza delle Corti sovranazionali.

22 La stessa Corte cost., sent. n. 102/2016 cit., ha riconosciuto che il divieto di bis in idem ha carattere processuale, e non sostanziale. Esso, in altre parole, permette agli Stati aderenti di punire il medesimo fatto a più titoli, e con diverse sanzioni, ma richiede che ciò avvenga in un unico procedimento o attraverso procedimenti fra loro coordinati, nel rispetto della con-dizione che non si proceda per uno di essi quando è divenuta definitiva la pronuncia relativa

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non poche perplessità sul mantenimento di tale autonomia tra i due procedi-menti ed i relativi processi che hanno reso necessario il rinvio alla Corte di Giustizia

23.

all’altro. Inoltre ha affermato che «Non può negarsi che un siffatto divieto possa di fatto ri-solversi in una frustrazione del sistema del doppio binario, nel quale alla diversa natura, penale o amministrativa, della sanzione si collegano normalmente procedimenti anch’essi di natura diversa».

V. GIOVANNINI, La corte ribadisce il divieto di doppia sanzione, in Corr. trib., 2015, p. 905. La definitività del provvedimento sanzionatorio amministrativo in seguito a sentenza del giudice tributario passata in giudicato, determinerebbe in ogni caso una sentenza di non luo-go a procedere nel procedimento penale relativamente a sentenza penale sul medesimo pre-supposto. Viceversa, nel caso di sentenza penale passata in giudicato con condanna del con-tribuente prima delle definizione della sanzione amministrativa in sede processuale tributa-ria, si determinerebbe la improcedibilità dell’atto di irrogazione o la cessata materia del con-tendere.

Con sent. Cass., 14 settembre 2016, n. 38134 è stata considerata preclusa la deducibilità della violazione del divieto di “ne bis in idem” in conseguenza della irrogazione, per un fatto corrispondente sotto il profilo storico-naturalistico a quello oggetto di sanzione penale, di una sanzione formalmente amministrativa, ma della quale venga riconosciuta la natura “so-stanzialmente penale” secondo l’interpretazione data dalle decisioni emessa dalla Corte Eu-ropea dei Diritti dell’Uomo nelle cause “Grande Stevens e altri c. Italia” del 4 marzo 2014, e “Nykanen c. Finlandia” del 20 maggio 2014, quando manchi qualsiasi prova della definitività della irrogazione della sanzione amministrativa medesima (sez. III, 11 febbraio 2015, n. 19334 – dep. 11 maggio 2015).

23 La mancata previsione dell’allargamento del principio “ne bis in idem” anche ai rapporti tra sanzione penale e amministrativa di natura penale, secondo la Corte di Cassazione, nel-l’ord. 13 ottobre 2016, n. 20675 di rinvio alla Corte di Giustizia UE, appare non conforme ai principi unionali, ritenendosi contraria ai principi sovranazionali sanciti dalla CEDU la pre-visione del doppio binario e, quindi della cumulabilità tra sanzione penale e amministrativa, applicata in processi diversi, qualora quest’ultima abbia natura di sanzione penale. Sulla base di tale premessa è stato sospeso il processo e rinviati gli atti alla Corte di Giustizia dell’UE, formulando la seguente questione pregiudiziale di interpretazione del diritto dell’Unione:

a) se la previsione dell’art. 50 CDFUE, interpretato alla luce dell’art. 4, Prot. n. 7 CEDU, della relativa giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e della normativa na-zionale, osti alla possibilità di celebrare un procedimento amministrativo avente ad oggetto un fatto (condotta illecita di manipolazione del mercato) per cui il medesimo soggetto abbia riportato condanna penale irrevocabile;

b) se il giudice nazionale possa applicare direttamente i principi unionali in relazione al principio del “ne bis in idem”, in base all’art. 50 CDFUE, interpretato alla luce dell’art. 4, Prot. n. 7 CEDU, della relativa giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e della normativa nazionale.

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3. La sufficiente connessione ed interazione quale requisito per la sopravvivenza del doppio binario

Ai fini della corretta applicazione dell’art. 4, Prot. 7 e dell’art. 50 CEDU, sulla base di orientamenti precedenti in cui si era valorizzata a livello europeo la connessione stretta tra i procedimenti penale e tributario (caso Nykanen), la Corte EDU ha assunto di recente, nella sentenza AB/Norvegia del 15 no-vembre 2016, una più chiara e meno rigida posizione che consente in parte di superare i dubbi sorti a livello applicativo del ne bis in idem e sulla sopravvi-venza del doppio binario, affermando che non è escluso che lo Stato possa contrastare condotte socialmente offensive attraverso procedimenti distinti e paralleli, purché le risposte non comportino un sacrificio eccessivo per l’inte-ressato

24. Viene evidenziata correttamente l’importanza della verifica, ai fini ap-plicativi sul ne bis in idem, dell’esistenza di un sistema procedimentale integra-to che permetta di affrontare diversi aspetti dell’illecito o della medesima con-dotta antisociale in maniera prevedibile e proporzionata. In sintesi, ai fini del rispetto del ne bis in idem, è necessario un meccanismo in cui i due procedi-menti possano coesistere, ma devono essere connessi dal punto di vista cro-nologico e sostanziale in maniera sufficientemente stretta.

I due procedimenti possono dunque, sulla base di tale orientamento, ai fini sanzionatori perseguire precisi e diversi scopi in concreto e ciò rappresenta una salvaguardia della loro autonomia, evitando tuttavia ogni duplicazione nella raccolta e valutazione della prova tra le due autorità mediante un’ade-guata interazione, in modo da assicurare che l’accertamento dei fatti di un pro-cedimento sia utilizzato nell’altro procedimento

25.

24 Il caso riguardava due contribuenti che erano stati indagati e sanzionati due volte dalle autorità norvegesi a seguito di separati e paralleli procedimenti penale e tributario riguardan-ti il medesimo fatto. La Corte ha ritenuto che i procedimenti fossero interconnessi tra loro. Gli elementi valutati in uno dei due procedimenti erano stati tenuti presenti nell’altro e sulla base del principio della proporzionalità su cui si fonda la overall punishment e, nonostante fosse-ro state irrogate due diverse sanzioni dai diversi organi competenti, c’era stata una sufficiente connessione tale da rendere le sanzioni conformi ad uno schema complessivo secondo l’ordinamento nazionale.

25 Affinché non si violi il ne bis in idem, occorre secondo la Corte EDU che: a) i due procedimenti perseguano finalità diverse nella politica anticrimine dello Stato; b) vi sia collaborazione tra gli organi inquirenti in ogni fase dei due procedimenti; c) vi sia una stretta connessione tra i due giudizi finali, ovvero se occorrono due pronun-

ce per l’irrogazione di due diverse sanzioni, la seconda deve essere graduata in modo tale da tenere in debito conto la “pena” già inflitta con la prima decisione;

d) vi sia prevedibilità della risposta sanzionatoria complessiva, ossia il sistema sanziona-

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Nonostante una certa complessità attuativa 26, soprattutto con riguardo

all’identificazione di strumenti validi che possano assicurare l’esistenza della connessione sostanziale tra i procedimenti, la Corte EDU ha tuttavia chiarito alcuni aspetti, fissando condizioni che consentono la coesistenza di due pro-cedimenti autonomi nel rispetto del principio del ne bis in idem, inteso non come divieto assoluto di parallelismi procedurali e processuali e dunque di col-laborazione nelle varie fasi istruttorie, che può indurre a configurare una nuo-va pregiudiziale tributaria con allungamento di tempi dei rispettivi giudizi non consentito dallo stesso diritto europeo

27. Nonostante vi sia un problema di sfasamento temporale tra le due indagini che si fondano su regole diverse e che richiedono inevitabilmente tempi diversi, l’impatto del ne bis in idem sull’art. 20 del D.Lgs. n. 74/2000 che ne scaturisce a livello europeo, secondo il più recente orientamento, comunque non provoca esclusioni di forme di in-terrelazione tra i procedimenti penale e tributario, anche se la sopravvivenza del doppio binario viene subordinata alla sussistenza della sufficiente connessio-ne tra gli stessi. Ciò facilita quella maggiore integrazione e coordinamento tra i procedimenti e tra le diverse istruttorie già evidenziata più volte dalla nostra giurisprudenza

28. Tali procedimenti possono talvolta completarsi a vicenda torio deve essere facilmente comprensibile dai cittadini, che a priori devono essere consape-voli che saranno assoggettati a due diversi procedimenti;

e) la risposta sanzionatoria complessiva dello Stato deve essere rispettosa del principio di proporzionalità.

26 VIGANÒ, La Grande Camera della Corte di Strasburgo su ne bis idem, in Dir. pen. cont., 2016. È stato inoltre affermato (CALZOLARI, L’insostenibile incompatibilità dell’ordinamento nazionale con il ne bis in idem, in Corr. trib., 2017, p. 309) che il nostro ordinamento naziona-le non sia in grado di rispettare alcuno dei requisiti previsti dalla sentenza AB/Norvegia della Corte EDU. I processi decisori da cui scaturiscono le due distinte sanzioni non possono dare luogo, a priori, ad un’unica pena facilmente quantificabile, che, a posteriori, si riveli rispetto-sa del principio di proporzionalità.

27 Non appare convincente in tale ottica l’approccio interpretativo restrittivo dell’art. 50 CEDU fondato sulla regola della priorità assoluta della definitività del giudizio tributario o penale o della definitività dell’atto contestato, in quanto proprio secondo la giurisprudenza europea, le Corti di Giustizia ed EDU sembrano non attribuire rilevanza all’esito processuale definitivo e porre un divieto assoluto in fase procedimentale della stessa sanzione, essendo il ne bis in idem volto ad evitare, non solo il cumulo delle sanzioni, ma prevalentemente la du-plicazione dei giudizi sullo stesso fatto.

Nel nel caso Nikitin Rusia del 9 ottobre 2008 veniva rilevato che il ne bis in idem non si esaurisce nell’evitare per la medesima condotta due sanzioni, ma precisa che il divieto si estende al diritto di non essere processato due volte per il medesimo fatto.

28 Tale esigenza (v. giur. Cass., cit. fine par. precedete) è evidente quando i fatti oggetto di verifica siano gli stessi. In tal senso MARELLO, Evanescenza del principio di specialità e disso-luzione de doppio binario, in Riv. dir. trib., III, 2013, p. 280, il quale osserva che non si com-

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pur mantenendo in vita la reciproca autonomia e, dal punto di vista sanziona-torio, non devono condurre necessariamente ad un unico provvedimento pu-nitivo, evitando allo stesso tempo che vengano compromesse le garanzie fon-damentali della persona sottoposta ad indagini penali (ad es. segreto istrutto-rio) e del contribuente, attraverso la limitazione nella trasmissione dei dati che può generare alterazione e manipolazione delle valutazioni effettuate in altra sede aventi diversa finalità.

4. Conclusioni

La sufficiente connessione ed interazione tra le autorità, recentemente considerata dalla Corte EDU nel caso AB/Norvegia del 15 novembre 2016 quale requisito per il mantenimento del doppio binario e per evitare la viola-zione del ne bis in idem, potrebbe avere un forte impatto sui procedimenti na-zionali, ma tale contaminazione non è da intendersi come un’automatica tra-smissione reciproca di dati ed elementi probatori. Il riferimento alla sufficien-za della connessione tra i procedimenti va inteso nel senso che l’interazione tra gli stessi ed il trasferimento di dati probatori, deve considerarsi ammissibi-le laddove sia necessaria, presupponendo un’attenta ponderazione di questi ultimi (acquisiti e rilevati spesso con modalità diverse) da parte delle diverse autorità che, attraverso percorsi separati, perseguono, come esaminato, inte-ressi differenti

29. Inoltre, seguendo le recenti indicazioni fornite dalla giuri-sprudenza EDU, è possibile comprendere meglio i termini dei rapporti tra i due procedimenti in quanto si ritiene ipotizzabile una circolazione o trasmi-grazione ed un utilizzo dei dati e prove in altra sede laddove necessario, al fine anche di una preventiva corretta qualificazione delle sanzioni aventi stessa na-tura secondo i criteri Engel

30. Ciò che assume particolare interesse è l’intento prende come gli inquirenti possono essere lasciati senza alcun coordinamento. Ciò può de-terminare sovrapposizioni tra diverse attività scolte da Guardia di Finanza, Agenzia delle En-trate e Polizia giudiziaria in sede penale.

29 V. PISTOLESI, op. cit., p. 49, secondo il quale è inevitabile pretendere da parte del giudi-ce che si avvalga delle prove raccolte nel processo parallelo una rigorosa e autonoma valuta-zione e non è ammissibile il passivo recepimento di detti mezzi istruttori perché l’accerta-mento tributario e quello della responsabilità penale si fondano su regole diverse.

30 Secondo la Corte EDU nel caso Engel del 8 giugno 1976, n. 5100/71, per stabilire la natura “criminale” delle sanzioni applicabili all’esito dei procedimenti paralleli (amministra-tivo e penale), vi sono alcuni parametri denominati i “criteri di Engel” da tenere in considera-zione: classificazione legale (formale) dell’illecito; natura sostanziale dello stesso e grado di se-

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principale che si vuole perseguire a livello europeo, rappresentato dall’elimi-nazione di duplicazioni riguardanti analoga fattispecie ed aggravi o sacrifici ec-cessivi, anche in termini di onere probatorio, che impediscono una gradazione delle stesse ispirata al principio di proporzionalità.

Tale principio dovrebbe consentire l’utilizzo di dati probatori diversi pro-venienti dal procedimento penale e non ammissibili in sede processuale tribu-taria ad es. nel caso in cui la loro esclusione determini un grave pregiudizio non altrimenti rimediabile e qualora siano rispettati i diritti fondamentali o la normativa tributaria richiami fatti o situazioni rilevabili penalmente (ad es. in-deducibilità costi da reato, raddoppio dei termini). Tale orientamento non può valere solo in relazione ai tributi armonizzati, sebbene l’inasprimento sanzio-natorio sia giustificato in tal caso (si pensi alle frodi IVA) dal perseguimento degli interessi finanziari a livello UE, sia per la rilevanza equivalente che assu-mono gli interessi finanziari nazionali

31 e sia per la capacità della connessione sufficiente di condizionare l’intero sistema probatorio tributario sul quale si fonda l’istruttoria unica riguardante solitamente anche i tributi c.d. non ar-monizzati.

Il doppio binario procedimentale e processuale ed il doppio sistema sanzio-natorio sopravvivono e sono compatibili con i principi europei dunque, secon-do la Corte EDU, solo se sono rispettate una serie di condizioni che presup-pongono un coordinamento (richiesto anche dalla nostra Corte cost., sent. n. 102/2016) sin dalla fase procedimentale, volto ad evitare più in generale inutili duplicazioni non solo sanzionatorie, ma anche di tipo probatorio. Ciò deve in-durre ad effettuare una seria riflessione sul nuovo assetto che caratterizza la fase procedimentale alla luce delle numerose interrelazioni emerse e considera-te più volte dalla nostra giurisprudenza e dalla necessità di una sufficiente, ma non completa integrazione. La maggiore attenzione posta dai più recenti orien- verità della sanzione. V. DORIGO, Il rapporto tra sanzione tributaria e sanzione penale secondo la Corte di Giustizia e i possibili effetti sull'ordinamento italiano, in Riv. dir. trib., 2013, IV, p. 217. La Corte di Giustizia nell’identificazione di criteri per l’individuazione delle sanzioni ai fini del ne bis in idem, ha trasposto tali criteri dalla giurisprudenza CEDU in particolare dal caso Engel v. Olanda dell’8 giugno 1976.

31 È pur vero che la giustificazione di tale diversità per l’IVA risulta essere di tipo econo-mico in quanto si fonda su di un interesse di tipo finanziario, poiché considera la destinazione di una parte del gettito di tale imposta quale risorsa propria UE del bilancio comunitario. Tut-tavia, proprio il livello avanzato di integrazione economia tra gli Stati, rende difficile il man-tenimento della distinzione tra i diversi interessi finanziari nazionali e dell’UE. Inoltre, anche se non è imposta la rimozione di ogni diversità a livello sanzionatorio nazionale, essa sembra possibile se si considera la parità di strumenti disposta dall’ex art. 290 del Trattato UE (art. 325 TFUE).

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tamenti della Corte EDU alla fase procedimentale tributaria e penale rispetto a quella processuale ispirata alla proporzionalità e dunque ad una ponderata circolazione dei documenti ed elementi probatori, consente di salvaguardare i diritti della persona e di prevenire allo stesso tempo prolungamenti dei tempi processuali ed eventuali contrasti, incongruenze e sovrapposizioni di oneri e di sanzioni. Ciò appare realizzabile solo attraverso una maggiore cooperazione preventiva tra le diverse autorità competenti in fase di istruttoria volta a rende-re, nel rispetto dei diversi interessi garantiti, più efficace il contrasto all’evasione ed all’elusione fiscale e ad evitare duplicazioni o contrapposizioni tra le attivi-tà svolte nelle rispettive sedi in fase processuale.

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Paolo Barabino

IL BILANCIAMENTO TRA LA CAPACITÀ CONTRIBUTIVA, LE SPESE PUBBLICHE E IL TEMPO NEL PROJECT

FINANCING: UN REGIME “ORDINARIO DIFFERENZIATO”

THE BALANCE BETWEEN THE ABILITY-TO-PAY, PUBLIC EXPENSES AND TIME IN THE PROJECT FINANCING:

A “DIVERSIFIED ORDINARY” REGIME

Abstract Lo studio del project financing alla luce dei principi tributari nazionali ed europei ha consentito di individuare la natura della disciplina fiscale di tale particolare forma di partenariato pubblico-privato, escludendo la qualificazione agevolativa e identi-ficando quella di “regime ordinario differenziato”. Se sul piano europeo la fattispe-cie rappresenta un caso-scuola di integrazione positiva, su quello nazionale permette di riflettere (ulteriormente) sulla definizione di capacità contributiva in relazione al principio di sussidiarietà. Parole chiave: project financing, principi tributari nazionali ed europei, regime “ordi-nario differenziato”, capacità contributiva, sussidiarietà The study of the project financing in the light of national and European tax principles allows to identify the nature of the tax discipline of this particular form of public-private partnership, excluding to qualify it as a tax break and to identify it as a “diversified or-dinary” regime. If on the EU level the scheme represents a leading case of positive inte-gration, on the national one it allows to (furthermore) reflect on the definition of ability-to-pay in relation to the principle of subsidiarity. Keywords: project financing, national and European tax principles, “diversified ordinary” regime, ability-to-pay, subsidiarity

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SOMMARIO: 1. Considerazioni introduttive sul project financing alla luce dei principi tributari. – 2. La disciplina fiscale del project financing. – 2.1. La natura tributaria del project financing: una diversa modula-zione della capacità contributiva in applicazione del principio di sussidiarietà. – 3. La leva fiscale europea nel project financing quale esempio di integrazione positiva. – 4. Il project financing tra la tra-slazione del rischio, dell’imposta e una rappresentazione economica. – 5. Osservazioni conclusive: il project financing e il tempo.

1. Considerazioni introduttive sul project financing alla luce dei principi tri-butari

La finalità del presente lavoro consiste nel fornire una chiave di lettura per principi

1 del project financing (PF) quale particolare forma di partenariato pub-blico-privato (PPP), soffermandosi su quelli di natura costituzionale e di ori-gine comunitaria

2. Il genere dei contratti di partenariato pubblico privato

3, di cui il PF (finan-za di progetto) è una specie, si contraddistingue per l’intervento del privato

1 LOGOZZO, L’insegnamento del diritto tributario nella facoltà di Economia, in Rass. trib., n. 4, 2008, p. 1025 ss., sottolinea l’importanza che la dottrina svolga una funzione propulsiva per la definizione di un sistema tributario razionale attraverso un’opera di codificazione dei prin-cipi generali.

2 All’ordine espositivo non corrisponde necessariamente un prevalenza dei principi in-terni su quelle europei ben consci del ruolo che quelli comunitari svolgono di pari passo con l’evoluzione dell’integrazione giuridica. Anzi, il primato dell’Ordinamento europeo è oramai tale da esplicare i suoi effetti anche nelle imposte dirette, restate nella competenza degli Stati membri, ma “intercettate” dal regime comunitario degli aiuti di Stato. Così e per approfondi-re sulla portata dei principi europei v. DI PIETRO, Il ruolo dei principi europei per un nuovo or-dinamento tributario, in AA.VV., Per un ordinamento tributario, III, Genova, 2016, p. 101 ss.

3 Senza pretesa di esaustività, si rimanda alla dottrina civilistica che ha trattato il tema, tra cui: SAMBRI, Project financing. La finanza di progetto per la realizzazione di opere pubbliche, Padova, 2012; TOMASI, Struttura e qualificazioni del project financing, in Contratti, 2012, p. 417 ss.; BALDI-FASANO, Il “rischio d’impresa” nelle operazioni di project financing, in Urb. app., 2012, 803 ss.; SCARPA, Analisi della struttura contrattuale del project financing, in Vita not., 2011, p. 631 ss.; MONTANI, Project financing. Inquadramenti contrattuali e profili applicativi, Napoli, 2009; DIPACE, La finanza di progetto, in Trattato dei contratti, a cura di Rescigno-Gabrielli, To-rino, 2008, p. 1029 ss.; RUSSO, Il project financing, in Trattato di diritto civile del Consiglio Na-zionale del Notariato, diretto da Perlingieri, Napoli, 2007, p. 6 ss.; NAPOLITANO-MAZZIERI-NAPOLITANO (a cura di), Il project financing, Napoli, 2006; GATTI, Manuale del project finance, Roma, 2006; COSTANTINO, Profili privatistici del project financing e gruppi di contratti, in Contr. e impresa, 2003, p. 395 ss.; RABITTI, Project financing e collegamento contrattuale, in Contr. e im-presa, 1996, p. 225 ss.; NEVITT, Project financing, Bari, 1987.

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nella realizzazione e nella gestione di un bene pubblico (o nella fornitura di un servizio) con l’allocazione del rischio realizzativo

4 su codesto soggetto 5.

Le misure introdotte dal legislatore per promuovere l’utilizzo della finanza di progetto

6 devono inevitabilmente confrontarsi con i principi costituzionali e comunitari del nostro Ordinamento e di quello sovranazionale.

In tal modo sarà possibile definire la natura della disciplina fiscale del PF rapportandola, fondamentalmente, ai principi nazionali della capacità contri-butiva

7 e della sussidiarietà orizzontale e a quelli comunitari di non discrimi-nazione e di proporzionalità

8. Se in prima approssimazione la disciplina del PF potrebbe essere conside-

rata quale mera agevolazione con scopi promozionali, occorrerà invece riper-correre l’art. 53 Cost. per valutare eventuali profili innovativi e di diversifica-zione del regime di tassazione in ragione della componente funzionale del-l’operazione di partenariato.

4 Per un approfondito studio sul rischio insito nello schema del contratto disciplinato in ambito civilistico v. CALISAI, Rischio contrattuale e allocazione tra i contraenti, Napoli, 2016. In particolare a p. 115 ss. l’A. approfondisce il project financing quale «esempio di studio pre-ventivo del rischio e di allocazione dello stesso mediante tecniche negoziali predisposte ad hoc e volte a traslare i rischi sui soggetti meglio predisposti a sopportarli o a neutralizzarli».

5 Il nuovo art. 3, comma 15 bis del codice dei contratti, D.Lgs. n. 163/2006, entrato in vi-gore il 19 aprile 2016 recita: «Ai fini del presente codice, i “contratti di partenariato pubblico privato” sono contratti aventi per oggetto una o più prestazioni quali la progettazione, la co-struzione, la gestione o la manutenzione di un’opera pubblica o di pubblica utilità, oppure la fornitura di un servizio, compreso in ogni caso il finanziamento totale o parziale a carico di privati, anche in forme diverse, di tali prestazioni, con allocazione dei rischi ai sensi delle pre-scrizioni e degli indirizzi comunitari vigenti. Rientrano, a titolo esemplificativo, tra i contratti di partenariato pubblico privato la concessione di lavori, la concessione di servizi, la locazio-ne finanziaria, il contratto di disponibilità, l’affidamento di lavori mediante finanza di proget-to, le società miste. Possono rientrare altresì tra le operazioni di partenariato pubblico priva-to l’affidamento a contraente generale ove il corrispettivo per la realizzazione dell’opera sia in tutto o in parte posticipato e collegato alla disponibilità dell’opera per il committente o per utenti terzi. Fatti salvi gli obblighi di comunicazione previsti dall’articolo 44, comma 1-bis del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 feb-braio 2008, n. 31, alle operazioni di partenariato pubblico privato si applicano i contenuti delle decisioni Eurostat». Anche gli artt. 183 e 184 rubricati rispettivamente “Finanza di progetto” e “Società di progetto” disciplinano sia la realizzazione di una opera pubblica che la fornitura di un servizio.

6 Per un inquadramento dell’operazione di PF v. UCKMAR-ANGELUCCI, Aspetti giuridici e fiscali del project financing, in Dir. prat. trib., n. 5, 2002, p. 10749 ss.

7 Per una ricostruzione storica della genesi del principio di capacità contributiva v. FAL-SITTA, Il principio della capacità contributiva nel suo svolgimento storico fino all’assemblea costi-tuente, in Riv. dir. trib., n. 9, 2013, p. 761 ss.

8 V. infra.

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2. La disciplina fiscale del project financing

In assenza di una disciplina tributaria ben delimitata attorno al PF e in con-siderazione dei differenti modelli di PPP, appare indispensabile individuare, innanzitutto, le principali componenti coinvolte nella determinazione del red-dito d’impresa, in possesso della Società di progetto (soggetto sul quale si con-centra l’attività di pianificazione, realizzazione e gestione dell’opera pubblica), considerando un modello di PF “puro” per il quale non sia prevista la corre-sponsione di un contributo di natura pubblica

9. Il completo ribaltamento del rischio operativo collegato alla realizzazione

dell’opera di interesse pubblico dall’amministrazione al privato, senza la corre-sponsione di un contributo a favore del soggetto imprenditore, consente di ri-solvere in radice le problematiche tipiche dell’appalto collegate alle riserve di prezzo: infatti, le variazioni dell’originario accordo sotteso al contratto d’ap-palto a seguito del verificarsi di eventi sopravvenuti, quali ad esempio le sorpre-se geologiche, consentono al soggetto appaltatore di avanzare delle richieste nei confronti del soggetto appaltante (Pubblica Amministrazione) di maggiori cor-rispettivi che, sul piano fiscale, hanno talvolta sollevato questioni di imputazio-ne per competenza e di certezza nell’an e nel quantum

10; ebbene, tali problema-tiche difficilmente troverebbero applicazione nel PF in ragione dell’assenza di un corrispettivo stabilito sin dall’origine dell’accordo e ancor meno presente nelle fasi costruttive e operative/gestorie.

Ciò premesso, l’individuazione delle norme usufruibili dalla Società di pro-getto all’interno di una operazione di PF consentirà di comprenderne la natu-

9 Si ipotizza pertanto lo studio di un PF con totale accollo del rischio da parte del privato senza una diretta contribuzione da parte statale. Esistono anche delle forme di PPP che pre-vedono la distribuzione di un contributo pubblico. In tal caso, l’art. 18, L. n. 183/2011, ru-bricato “Finanziamento di infrastrutture mediante defiscalizzazione”, così come riformato dal D.Lgs. n. 10/2016 con entrata in vigore dal 29 gennaio 2016, stabilisce la possibilità di elar-gire un credito d’imposta verso le imposte dirette e l’IVA da utilizzare per assicurare la soste-nibilità economica dell’operazione. Analogamente l’art. 33, D.L. n. 179/2012, conv. in L. n. 221/2012, modificato dall’art. 11, D.L. n. 133/2014, conv. in L. n. 164/2014, ha stabilito un credito d’imposta per la realizzazione di nuove opere infrastrutturali «di importo superiore a 50 milioni di euro mediante l’utilizzazione dei contratti di partenariato pubblico-privato di cui all’articolo 3, comma 15-ter, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, la cui progetta-zione definitiva sia approvata entro il 31 dicembre 2016 per i quali non sono previsti contri-buti pubblici a fondo perduto ed è accertata ... la non sostenibilità del piano economico-finanziario».

10 Per approfondimento sui riflessi fiscali delle riserve richieste dal soggetto appaltatore al committente si consenta di rinviare a BARABINO, I profili fiscali delle riserve dell’appaltatore, in Riv. dir. trib., n. 6, 2012, p. 370 ss.

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ra giuridica e di osservare il loro rapporto con il principio della capacità con-tributiva, tentando di dimostrare come la funzione della collaborazione tra pub-blico e privato sia, in realtà, intrinseca alla struttura dell’art. 53 Cost.

Più nel dettaglio, le norme fiscali che riguardano il PF sono individuabili, per quanto riguarda le componenti del reddito d’impresa, nella deducibilità de-gli interessi passivi, nell’ammortamento dei beni ricevuti in concessione gra-tuita e nel riporto delle perdite

11. La Società di progetto, costituita appositamente per dare luogo ad una ope-

razione di PF, gode, in virtù della nascita di un nuovo soggetto giuridico, di e-spressa esclusione dal limite di deducibilità degli interessi passivi in ragione del comma 5 dell’art. 96, T.U. n. 917/1986

12: pertanto, è ammessa l’intera dedu-zione dell’onere sostenuto per l’utilizzazione del capitale di terzi, rendendo par-ticolarmente appetibile l’utilizzo della leva finanziaria

13. La Società di progetto, inoltre, può beneficiare del regime di ammortamento

riservato ai beni gratuitamente devolvibili utilizzabile nel caso concreto per quel-li detenuti in concessione gratuita: in tal modo si può optare per l’applicazione di una percentuale di deducibilità superiore rispetto alle ordinarie aliquote di ammortamento

14. Inoltre, la costituzione di un nuovo soggetto giuridico a cui far ricoprire il

ruolo di Società di progetto consente di avvalersi del regime di favore del ri-

11 Per un ulteriore approfondimento delle problematiche di ordine fiscale che ruotano at-torno alla finanzia di progetto v. CASTALDI, Realizzazione, gestione e devoluzione dell’opera all’ente concedente: profili tributari, in CARTEI-RICCHI (a cura di), Finanza di progetto. Temi e prospettive, Napoli, 2010, p. 223 ss.

12 L’esclusione dal limite di deducibilità degli interessi passivi consente di superare la logica dell’art. 96 TUIR rivolta fondamentalmente ad incentivare la capitalizzazione delle imprese. In tal senso si rimanda a DI TANNO, Commento all’art. 96, in Commentario breve alla leggi tributarie, tomo III; Tuir e leggi complementari, a cura di Fantozzi, 2010, Padova, p. 500 ss.

13 Il comma 5 dell’art. 96, T.U. n. 917/1986 non applica il limite del 30% del Rol (risultato operativo lordo) alle società di progetto costituite ai sensi dell’art. 156, D.Lgs. n. 163/2006, codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle Direttive nn. 2004/17/CE e 2004/18/CE. Si segnala che la disposizione così riportata è stata recen-temente innovata per opera del D.Lgs. n. 50/2016 che ha modificato il testé citato codice dei contratti pubblici con entrata in vigore dal 19 aprile 2016.

14 La scelta è operabile in virtù dell’art. 104, T.U. n. 917/1986 in alternativa all’art. 102 con riferimento all’ammortamento dei beni materiali. Il vantaggio verrà a crearsi laddove la du-rata della concessione sia proporzionalmente inferiore ai coefficienti ministeriali applicabili da applicare per la deduzione delle quote di ammortamento. Infatti, l’art. 104, T.U. n. 917/1986 consente di calcolare la quota di ammortamento dividendo il costo del bene per il numero di anni di durata concessione.

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porto (pieno 15) delle perdite che l’art. 84, T.U. n. 917/1986 riserva alle cc.dd.

start up per i primi tre esercizi 16.

Non devono essere trascurate le problematiche sorte nell’imposizione in-diretta con riferimento al rimborso IVA e, in relazione alle fonti di finanzia-mento, sulla facoltà per la Società di progetto di emettere i c.d. project bond.

È nata infatti una problematica sul rimborso IVA relativamente ai costi di costruzione sostenuti dalla Società di progetto per la realizzazione del bene pubblico: ebbene, l’interpretazione della Amministrazione ha visto una evo-luzione facente perno sulla lett. c), comma 3, dell’art. 30, D.P.R. n. 633/1972 giunta al riconoscimento del diritto di rimborso dell’IVA relativa agli oneri sostenuti per la realizzazione dell’opera nonostante la Società di progetto non abbia un diritto reale sull’immobile, ma in ragione del fatto che le suddette componenti negative possano essere annoverate tra i beni ammortizzabili, in quanto funzionali all’acquisizione del diritto di concessione, e pertanto consi-derate inerenti all’attività svolta

17. L’unica norma speciale elaborata dal legislatore nazionale in ambito fiscale

per promuovere l’utilizzo del PF è quella che riserva l’emissione di titoli di debito, ovverosia dei c.d. project bond, utili per il finanziamento del progetto, verso i quali è prevista la tassazione con la medesima aliquota giù destinata ai titoli di debito pubblico

18.

15 Il comma 2 dell’art. 84, T.U. n. 917/1986 recita infatti «Le perdite realizzate nei primi tre periodi d’imposta dalla data di costituzione possono, con le modalità previste al comma 1, essere computate in diminuzione del reddito complessivo dei periodi d’imposta successivi entro il limite del reddito imponibile di ciascuno di essi e per l’intero importo che trova ca-pienza nel reddito imponibile di ciascuno di essi a condizione che si riferiscano ad una nuova attività produttiva».

16 V. FRANSONI, Finanziaria 2008 e modifiche alla disciplina delle perdite, in Riv. dir. trib., n. 7-8, 2008, p. 651 ss.: l’A. si interroga sulla natura agevolativa o strutturale del regime delle perdite concludendo che, nonostante le svariate applicazioni previste dal legislatore, si debba propen-dere per una visione complessiva e razionale riconducibile ad un carattere strutturale. Per una ricostruzione storica del regime delle perdite si rinvia a PERRONE, Le perdite nell’imposta sul red-dito delle persone fisiche, in Rass. trib., n. 5, 2012, p. 1163 ss. ANDRIOLA, Limiti al “commercio delle perdite” nel passaggio dall’Irpeg all’Ires: stabilità e mutamento delle strategie di pianificazione fisca-le, in Rass. trib., n. 3, 2005, p. 792 ss. ritiene che il legislatore tributario ha concesso il riporto illimitato delle perdite per le nuove iniziative produttive in quanto la sopportazione di perdite fiscali è ricorrente per le imprese neo costituite in ragione delle regole di mercato.

17 Inizialmente la Ris. 6 ottobre 2008, n. 372/E aveva negato il diritto al rimborso IVA in ragione della diversità dei ruoli tra società di progetto e soggetto appaltante (quest’ultimo ammesso al rimborso già nella Ris. 28 dicembre 2007, n. 392/E), per poi ammettere il diritto con nota 16 marzo 2010, n. 34486.

18 L’art. 1, D.L. n. 83/2010, conv. in L. n. 134/2012 stabilisce al comma 1 che «Gli inte-

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In buona sostanza, il PF, in virtù della propria natura complessa, riesce ad attrarre al suo interno norme già presenti nel T.U. n. 917/1986 (relative ad altre fattispecie) e altre esterne, le quali mostrano l’esistenza di una vera e pro-pria disciplina caratterizzata da specifiche regole giuridiche aventi quale de-stinatario la Società di progetto, in ragione delle proprie peculiarità.

2.1. La natura tributaria del project financing: una diversa modulazione della capacità contributiva in applicazione del principio di sussidiarietà

Lo studio del PF nel presenta lavoro è finalizzato a comprendere se la rela-tiva disciplina fiscale debba essere condotta all’interno della categoria delle age-volazioni fiscali o se sia meritevole, invece, di una qualificazione che la rappre-senti alla stregua di una differente modulazione della capacità contributiva.

La dottrina 19 si è adoperata per individuare una nozione di agevolazione

tributaria che, in prima approssimazione, può essere sintetizzata attorno alla presenza di un principio promozionale capace di depotenziare il prelievo tri-butario

20. Più nel dettaglio, occorre indagare sulla effettiva portata della disciplina del

PF per comprendere se le relative norme possano essere iscritte all’interno del-le sottocategorie delle esenzioni o delle esclusioni, ovvero se debbano essere qualificate diversamente

21. ressi delle obbligazioni di progetto emesse dalle società di cui all’articolo 157 del decreto le-gislativo 12 aprile 2006, n. 163, sono soggette allo stesso regime fiscale previsto per i titoli del debito pubblico». Il rinvio all’art. 157, D.Lgs. n. 163/2006 riguarda per l’appunto l’emissione di obbligazioni da parte delle società di progetto. Inoltre, l’art. 1, comma 3, D.L. n. 83/2012 citato prevede che eventuali garanzie prestate a supporto dell’emissione delle suddette obbliga-zioni scontino le imposte di registro, ipotecarie e catastali in misura fissa anziché proporzio-nalmente.

19 LA ROSA, Eguaglianza tributaria ed esenzioni fiscali, Milano, 1968; MOSCHETTI, Agevo-lazioni fiscali: problemi di legittimità costituzionale e principi interpretativi, in Dig. IV, disc. priv., sez. comm., 1987, I, p. 85, BASILAVECCHIA, Agevolazioni, esenzioni ed esecuzioni, in Rass. trib., 2002, p. 421 ss.

20 Il livello della tassazione diminuirebbe pur mantenendo in equilibrio i cardini dell’Or-dinamento interno, ovverosia l’interesse fiscale e la capacità contributiva In tal senso BORIA, I principi costituzionali dell’ordinamento fiscale, in AA.VV., Diritto tributario, a cura di Fantozzi, Milano, 2012, p. 115. Per ulteriori approfondimenti si rinvia alla dottrina che ha trattato i principi generali delle agevolazioni: LA ROSA, Eguaglianza tributaria, cit.; FICHERA, Le agevo-lazioni tributarie, Padova, 1992; BASILAVECCHIA, op. cit., p. 421 ss.

21 La diversa qualificazione potrebbe nascere, come verrà esposto di seguito, per mezzo di una differente interpretazione del principio di capacità contributiva.

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Ricordando quella parte della dottrina 22 che concepisce quali agevolazioni

esclusivamente le esenzioni in ragione del loro carattere derogatorio rispetto alla ratio del singolo tributo, la normativa del PF potrebbe essere allora scom-posta in due tipologie di norme: una interna alla struttura del TUIR e una e-sterna, con conseguente appartenenza alle esclusioni

23 e alle esenzioni 24.

La legittimità costituzionale delle agevolazioni così intese dovrebbe essere ricercata allora in altri principi ispiratori delle norme di favore: solo in tal mo-do, il trattamento differenziato di situazioni ugualmente rilevanti dal punto di vista contributivo potrebbe essere giustificato, ammettendo la deroga al prin-cipio della capacità contributiva

25.

22 V. FICHERA, Le agevolazioni fiscali, Padova, 1992, p. 32 ss.; LA ROSA, Le agevolazioni tri-butarie, in Trattato di diritto tributario, a cura di Amatucci, Padova, 1994, p. 410 ss.; BASILA-VECCHIA, op. cit., p. 421, in merito alle detrazioni IRPEF, per negarne la natura agevolativa: «espressione di principi che informano la stessa configurazione essenziale del tributo».

23 La deducibilità degli interessi passivi, l’ammortamento dei beni ricevuti in concessione gratuita e il riporto delle perdite rappresentano regimi fiscali già istituiti dal legislatore per altre fattispecie e si può ben notare che esse costituiscano un esempio di esclusione in quan-to riconducibili a livello sistematico all’interno della struttura del tributo, contribuendo a de-limitare il presupposto. V. FEDELE, Appunti dalle lezioni di diritto tributario, Torino, 2005, in particolare a p. 146 ove si afferma che le esclusioni incidono sulla ratio e sulla struttura del tributo, delimitando il presupposto nel rispetto di un ragionevole criterio di riparto. LA RO-SA, Eguaglianza tributaria, cit., p. 125 ss., il quale in maniera del tutto simile a Fedele diffe-renzia le esclusioni dalle esenzioni in quanto le prime caratterizzano la struttura dei tributi in quanto indici dei criteri di valutazione della capacità contributiva, mentre le seconde atten-gono ad interessi esterni alla norma impositiva.

24 Tra di esse potrebbero essere ricomprese quelle norme che in via del tutto autonoma ed esterna al TUIR, prevedono la tassazione dei c.d. project bond con la medesima aliquota a cui sono assoggettati i titoli di Stato. In tale ambito potrebbe emergere una funzione extrafi-scale della misura, conferendo al PF l’onere di dover attuare il principio costituzionale della solidarietà sostanziale: l’art. 3, comma 2, Cost., sancisce, infatti, il principio di eguaglianza sostanziale inserendolo per la prima volta nella storia giuridica degli Stati europei. Tale prin-cipio nasce con natura programmatica, è rivolto alla Repubblica la quale ha l’obbligo di eser-citare i propri poteri per raggiungere lo scopo preposto; affiancato all’art. 53 Cost. si genera il principio di eguaglianza tributaria in quanto il principio della capacità contributiva offre con-cretezza al principio di eguaglianza sostanziale. In tal senso FALSITTA, Commento al II comma dell’art. 3, in Commentario breve alle leggi tributarie, tomo I, Diritto costituzionale tributario e Statuto del contribuente, a cura di Falsitta, Padova, 2011, pp. 44-45. Inoltre all’interno della suddetta logica sarebbe riscontrabile una azione di promozione del lavoro attraverso il coin-volgimento degli artt. 4 e 35 Cost. mediante una sorta di intervento statale indiretto nell’eco-nomia tramite la cessione al privato del diritto di costruzione e di gestione di beni destinati alla collettività, favorendo il tal modo l’incremento delle attività produttive.

25 FANTOZZI, Il diritto tributario, Torino, 2004, p. 47 il quale sintetizza la posizione della dottrina e della giurisprudenza costituzionale nell’acconsentire la legittimità di una norma

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Tuttavia, alla luce dell’individuazione da parte del legislatore tributario di specifiche disposizioni a favore della Società di progetto e considerata la fina-lità principale di tale forma di partenariato, ovverosia la realizzazione di opere pubbliche, si ritiene che il PF non incarni un concetto di deroga al principio sotteso nell’art. 53 Cost. ma, al contrario (e come verrà di seguito dimostra-to), possieda i connotati di una “discriminazione qualitativa”.

In linea generale, la differente modulazione è diretta conseguenza della di-versificazione di un regime tributario, che la Corte costituzionale ammette a condizione che esista un fondamento razionale nella struttura della fattispecie impositiva in ragione del riparto dei carichi tra i consociati

26. Risulta pertanto legittima e costituzionalmente orientata la differenziazio-

ne qualitativa dell’imposta 27 sulla base di elementi oggettivi o soggettivi della

fattispecie secondo una modulazione del riparto collegata a principi costitu-zionalmente tutelati: di conseguenza, l’indagine deve svilupparsi individuan-do i connotati tipici del PF e i rapporti di questi con i principi di ordine tribu-tario, ma anche economico, presenti nella Costituzione.

Si anticipa sin da subito che, seguendo tale tesi, la disciplina del PF può es-sere riconosciuta come un “regime fiscale ordinario”

28 tramite il quale assog-gettare a tassazione il reddito posseduto dalla Società di progetto. agevolativa in deroga al principio di capacità contributiva solo in presenza di altri principi anche non solo di rango costituzionale a cui l’agevolazione si ricollega.

26 V. Corte cost. n. 10/2015 con commento di BORIA, L’illegittimità costituzionale della “Robin Hood Tax” e l’enunciazione di alcuni principi informatori del sistema di finanza pubblica, in GT, n. 5, 2015, p. 384 ss., nella quale si afferma che «la diversificazione del regime tributa-rio, per aree economiche o per tipologia di contribuenti, deve essere supportata da adeguate giustificazioni, in assenza delle quali la differenziazione degenera in arbitraria discriminazio-ne». FEDELE, Principio di eguaglianza ed apprezzamento delle “diverse situazioni dei contribuen-ti” in tema di legittimità costituzionale della c.d. Robin Hood Tax, in Riv. dir. trib., n. 1, 2015, p. 4 ss. Similmente v. Corte cost. nn. 341/2000, 223/2012.

27 In tal senso, diffusamente, ANTONINI, Dovere tributario, interesse fiscale e diritti costitu-zionali, Milano, 1996; BORIA, L’interesse fiscale, Torino, 2002; FEDELE, La funzione fiscale e la capacità contributiva, in AA.VV., Diritto tributario e Corte costituzionale, a cura di Perrone-Berliri, Napoli, 2006; MOSCHETTI, Il principio di capacità contributiva, espressione di un siste-ma di valori che informa il rapporto tra singolo e comunità, in AA.VV., Diritto tributario e Corte costituzionale, cit.; FALSITTA, Giustizia tributaria e tirannia fiscale, Milano, 2008; GALLO, Le ragioni del Fisco, Bologna, 2007; AA.VV., Diritto costituzionale tributario e statuto del contri-buente, in Commentario breve alle leggi tributarie, a cura di Falsitta, Padova, 2011.

28 Come a voler richiamare il concetto della discriminazione qualitativa dei redditi: que-stione evidenziata da GIOVANNINI, Equità impositiva e progressività, in Dir. prat. trib., n. 5, 2015, p. 10675 ss., il quale, ricordando che la distinzione ha antiche origini (gli averi dell’art. 25 St. Albertino), porta quale esempio di equità orizzontale i diversi trattamenti tra redditi d’impresa normale e quelli d’impresa cooperativa.

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Si ricorda infatti che l’esistenza di “regimi fiscali differenziati” 29 è ammissi-

bile a parità di indici di forza economica in quanto la diversità rappresenta la manifestazione di elementi individuati dal legislatore per perseguire degli obiet-tivi promozionali di rango costituzionale: la legittimità del regime di cui gode il PF deriva allora dalla costruzione di una opera pubblica senza contributi (indi-ce di capacità contributiva), per perseguire la realizzazione di pubblici servizi (art. 53 Cost.) attraverso l’intervento del privato (artt. 97 e 118 Cost.).

D’altronde, l’individuazione di uno specifico regime fiscale che discenda dal particolare collegamento tra la capacità contributiva e la soggettività è già emersa in relazione agli enti non commerciali

30: in simili fattispecie si è ipo-tizzato che lo scopo istituzionale di utilità sociale potesse condizionare la ma-nifestazione della capacità contributiva ammettendo regimi fiscali specifici, ovvero in relazione alle diverse modulazioni della capacità contributiva colle-gate alle differenti forme societarie di tipo lucrativo o mutualistico

31. In tale contesto sono annoverabili anche le c.d. imprese sociali

32 capaci di consentire lo svolgimento di una attività commerciale che in sostanza genera un allegge-rimento delle spese sociali o assistenziali normalmente a carico dello Stato

33.

29 Così afferma FALSITTA, Manuale di diritto tributario, Parte generale, Padova, 2008, p. 155. 30 V. per una analisi di compatibilità con l’Ordinamento interno e comunitario SACCHET-

TO, La tassazione internazionale degli enti non commerciali: un problema aperto, in Rass. trib., n. 3, 2012, p. 563 ss.

31 In buona sostanza è stato teorizzato che l’impossibilità istituzionale di distribuzione degli utili nelle società cooperative deve mostrare una diversa capacità contributiva rispetto a quella posseduta dalle società lucrative. In particolare, v. STEVANATO, Verso la legittimità co-munitaria dell’esenzione da Ires degli utili accantonati nelle riserve indisponibili delle cooperati-ve?, in Dialoghi trib., n. 6, 2010, p. 635 ss., il quale sottolinea che «... la ricchezza (reddito) prodotta da una società cooperativa retta dai principi mutualistici non potrà mai essere per-cepita dal suo socio, né in forma di distribuzione dell’utile né mediante la realizzazione di un capital gain». Per ulteriori approfondimenti sulle problematiche di ordine fiscale delle coo-perative v. PEPE, La fiscalità delle cooperative, in Dir. prat. trib., n. 1, 2011, p. 20157 ss.

32 Recentemente il legislatore è intervenuto con la L. 6 giugno 2016, n. 106, pubblicata in G.U. n. 141 del 18 giugno 2016, rubricata “Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale”, all’art. 9, comma 1, lett. m), prevede la «revisione della disciplina riguardante le organizzazioni non lucrative di utilità sociale, in particolare prevedendo una migliore definizione delle attività istituzionali e di quelle connesse, fermo restando il vincolo di non prevalenza delle attività connesse e il divie-to di distribuzione, anche indiretta, degli utili o degli avanzi di gestione e fatte salve le condi-zioni di maggior favore relative alle organizzazioni di volontariato, alle cooperative sociali e alle organizzazioni non governative».

33 Per approfondire le riflessioni tra impresa sociale, equità e capacità contributiva v. GIOVANNINI, Ripensare la capacità contributiva, in Dir. prat. trib., n. 1, 2016, p. 10015 ss.

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Paolo Barabino 295

L’insieme di tali soggetti potrebbe allora includere anche la Società di pro-getto, nata all’interno di una operazione di PF, in piena attuazione del princi-pio di sussidiarietà previsto dall’art. 118 Cost.

34, talché sia possibile concepire regimi fiscali ordinari e specifici

35 per quelle attività istituzionali coincidenti con funzioni o servizi pubblici

36. La tesi sembra pienamente sostenibile in ragione di quelle forme

37 di sus-sidiarietà orizzontale costituite dall’intervento e dalla partecipazione del sin-golo al finanziamento delle spese pubbliche

38 o rappresentative di modalità al-ternative al concorso delle spese pubbliche

39. Sul fronte dei principi promozionali tutelati a livello costituzionale, l’attitu-

dine del PF (fatta emergere dal legislatore 40) di conseguire una imposizione

giuridica differenziata rispetto ad altri ordinari livelli di tassazione emerge già da una rilettura del precetto contenuto nell’art. 53 Cost., ovverosia dalla sua stessa natura intrinseca al principio della capacità contributiva e, in particola-re, alla finalità del criterio di riparto dei carichi pubblici tra i consociati.

Il regime tributario spettante al PF consente un particolare forma di tassa-zione della Società di progetto non tanto per assenza della capacità contribu-

34 Sui rapporti e sui limiti privato/pubblico v. TASSANI, Tutela dei diritti essenziali e impo-sizione fiscale tra sussidiarietà verticale e orizzontale, in GUERRA-ZANARDI (a cura di), La finan-za pubblica italiana, Rapporto 2008, Bologna, 2008, p. 303 ss.

35 Per questioni attinenti alla possibile formazione di un aiuto di Stato illegale si rimanda al par. 3.

36 V. ICOLARI, Sussidiarietà orizzontale e diritto tributario: profili problematici, in Rass. trib., n. 5, 2009, p. 1387 ss.

37 Lungimirante DI PIETRO, Il futuro fiscale del no profit tra solidarietà sociale e sussidiarietà orizzontale, in No Profit, n. 2, 2006, p. 232 ss., il quale da subito coglie la novità introdotta dalla allora riforma costituzionale con l’introduzione della sussidiarietà orizzontale soste-nendo che «resta al legislatore nazionale, quindi, scegliere le forme di supporto fiscale alla sus-sidiarietà orizzontale e definire la diversa incidenza tra le varie forme di finanziamento ... (senza trascurare) il nesso inscindibile tra consenso e responsabilità cui, anche e, soprattutto, la sussidiarietà orizzontale non può sottrarsi».

38 CASTALDI, La destinazione del 5 per mille dell’Irpef: riflessioni intorno alle modalità di con-corso dei consociati alle pubbliche spese, in Rass. trib., n. 1, 2008, p. 190 ss., la quale vede nella normativa sulla destinazione del 5 per mille un potere in capo al contribuente di «decidere direttamente come concorrere alle spese pubbliche in punto di destinazione delle entrate tributarie statali».

39 ANTONINI, Sussidiarietà fiscale. La frontiera della democrazia, Milano, 2005, in particola-re Capitolo IV, il quale aveva intravisto nuove frontiere del diritto tributario capaci di cor-reggere il modello tradizionale “burocratico impositivo”.

40 Il concorso dei consociati alle spese pubbliche è rimesso alla valutazione discrezionale del legislatore, soggetto a limiti di razionalità e coerenza. In tal senso FEDELE, La funzione fi-scale, cit., p. 21 ss.

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tiva 41 quanto in ragione della medesima finalità dell’operazione sottesa alla

finanza di progetto rispetto a quella del concorso, ovverosia alla realizzazione delle spese pubbliche: la Società di progetto, accollandosi per intero il rischio e gli oneri relativi alla costruzione di una opera pubblica, realizza direttamente una parte della spesa pubblica che normalmente sarebbe stata finanziata at-traverso il concorso dei consociati

42 in ragione della capacità contributiva di ciascuno; con il PF, invece, è la struttura dell’art. 53 Cost. ad ammettere l’uso di un regime di tassazione specifico e differente rispetto a quello in base al quale sarebbe stato sottoposto un soggetto passivo che non realizzasse una opera pubblica; con simile strumento economico-giuridico si realizzano opere di in-teresse pubblico, attuando in maniera diretta ed immediata la finalità stessa del-l’ablazione individuale per scopi collettivi

43. Per trovare conferma su tali conclusioni, si rende necessario approfondire

il concetto di spesa pubblica tenendo presente che il rapporto di essa con la ricchezza imponibile è tale per cui la prima assume una posizione privilegiata rispetto alla seconda

44. Le spese pubbliche rappresentano beni comuni a disposizione della collet-

tività e sono così aggettivate sia in senso formale, in quanto realizzate da enti pubblici (direttamente o, come nel caso del PF indirettamente), che in senso

41 Il trattamento nei confronti della società di progetto non pare possa essere giustificato dalla limitata presenza della capacità contributiva quale limitata capacità economica, infatti se si adottasse una definizione di capacità contributiva quale espressione della forza economica del soggetto si potrebbe sostenere che l’azienda possa essere valutata positivamente nonostan-te, in un determinato periodo d’inizio attività, abbia conseguito una perdita d’esercizio: infat-ti, come è noto i metodi di valutazione economica aziendale consentono di stimarne il valore anche considerando la capacità di produrre flussi di reddito ovvero flussi finanziari da attualiz-zare al momento in cui viene elaborata la perizia. Per una panoramica sui differenti metodi di valutazione aziendali si rinvia a AA.VV., Valutazione d’azienda e operazioni straordinarie, Mi-lano, 2014; AA.VV., Manuale di tecnica professionale, a cura di Poddighe, Padova, 2014.

42 Ad esempio attraverso un ordinario appalto pubblico. 43 Richiamando quanto affermato per le agevolazioni derivanti da una minore capacità con-

tributiva interpretabili quali norme attuative del principio di capacità contributiva; in tal sen-so v. MOSCHETTI, Profili generali, in ID. (a cura di), La capacità contributiva, Padova, 1993, p. 43 ss. (il quale rileva che «le agevolazioni tributarie che derogano al principio di capacità con-tributiva sono semplicemente incostituzionali per violazione dell’art. 53, 1° comma»); BER-LIRI, Corso istituzionale di diritto tributario, Milano, 1985, p. 125 ss.

44 «Il prelievo a carico di ciascuno non è ragguagliato alla attitudine economica del singo-lo a sopportarlo ma alle spese pubbliche deliberate da coprire. La spesa, da posterius, rispetto alla ricchezza imponibile, diventa prius». Così FALSITTA, Il principio della capacità contributiva, cit., p. 761 ss.

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sostanziale, in ragione del vantaggio che creano a “tutti” 45. Esse rappresentano

quindi l’obiettivo del doveroso concorso, finalizzato alla realizzazione di beni comuni

46, appartenendo al parallelismo tra diritti e doveri, tra individuo e col-lettività espresso negli artt. 4 e 53 Cost.: il dovere di concorrere alle spese pubbliche risulta collegato alla capacità contributiva di ciascun individuo

47. Ciò premesso, partendo dalla nozione di “spese pubbliche” che la dottrina

ha inquadrato tramite un criterio oggettivo o soggettivo 48, si può giungere ad

una definizione capace di accogliere al suo interno il PF e che si sostanzia in un insieme di beni e servizi a favore della collettività, creati o erogati dallo Sta-to, direttamente o per proprio conto (ad esempio, dalla Società di progetto).

Si ravvisa allora una sostanziale coerenza con le interpretazioni fornite dalla dottrina

49 che sebbene divergenti tuttavia originano dal medesimo concetto di “correlazione” esistente tra la giustizia fiscale e quella sociale ovverosia tra il prelievo tributario e le spese pubbliche: infatti, così come all’aumentare del pre-lievo appare giusto un incremento delle spese pubbliche, e viceversa, così il di-retto concorso del contribuente alla realizzazione di una parte delle spese pub-bliche provocherà una coerente riduzione del livello di tassazione a suo carico.

Il rapporto tra spesa pubblica e pressione fiscale, nel quale la riduzione di quest’ultima può avvenire o tramite la diminuzione della prima o per mezzo

45 MOSCHETTI, “Interesse fiscale” e “ragioni del fisco” nel prisma della capacità contributiva, in AA.VV., Studi in onore di Gaspare Falsitta, a cura di Beghin-Moschetti-Schiavolin-Tosi-Zizzo, Padova, 2012, p. 199 il quale spiega cosa si intenda per spese pubbliche affermando che esse siano costituite dal bene comune e il concorso alle spese pubbliche sia affidato alla reale capacità della persona secondo un movimento circolare che va dalla capacità alle spese con le seconde nel rispetto delle prime.

46 In tal senso v. MOSCHETTI, I principi di giustizia fiscale della Costituzione italiana per “l’Ordinamento giuridico in cammino” dell’Unione europea, in Riv. dir. trib., n. 4, 2010, p. 427 ss.

47 «Il dovere non come variabile dipendente dalla spese pubbliche, bensì concorso alle spe-se pubbliche come variabile dipendente dalle capacità di ciascuno». Così MOSCHETTI, “Inte-resse fiscale” e “ragioni del fisco”, cit., p. 162.

48 V. FEDELE, Appunti dalle lezioni di diritto tributario, cit., p. 17 il quale ricollega la visione soggettiva delle spese pubbliche alla concezione garantista dell’art. 53 Cost. e dunque sotto-lineando la necessità di una tutela del privato, mentre rapporta il criterio oggettivo alla no-zione di capacità contributiva quale ripartizione.

49 V., GALLO, Disuguaglianze, giustizia distributiva e principio di progressività, in Rass. trib., n. 2, 2012, p. 287 ss.; sulla esistenza della correlazione è d’accordo alche Moschetti, il quale tuttavia non può concepire un tale collegamento in assenza di una forza economica in capo al contribuente soggetto passivo, secondo un equilibrio circolare tra presupposto e finalità, tra capacità contributiva e spese pubbliche e viceversa; v. MOSCHETTI, “Interesse fiscale” e “ragio-ni del fisco”, cit., p. 199.

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del trasferimento alle future generazioni 50, calato all’interno della schema del-

la finanza di progetto consente di identificare una forma di traslazione: non nel tempo

51 ma nello spazio, ovverosia un sostenimento diretto da parte del privato, non tramite l’ablazione costituita dal tributo, ma grazie alla realizza-zione di una spesa pubblica rappresentata dall’opera pubblica, oggetto del PF.

Di conseguenza, il PF si traduce in una forma di concorso alle spese pub-bliche che da un lato manifesta una riduzione dell’effetto redistributivo tipico del tributo e dall’altro si concretizza quale strumento di consolidamento del-l’appartenenza allo Stato-comunità in ragione dell’intervento dell’impren-ditore privato a realizzare una parte delle spese pubbliche: si tratta sempre di una decurtazione patrimoniale a carico di un consociato che appare scevra da problemi di efficacia distributiva

52 tipica del tributo, in ragione proprio del di-retto ed immediato sostenimento di una parte della spesa.

Se il PF genera allora l’effetto di non incrementare l’indebitamento per spese pubbliche e quindi consente di perseguire più facilmente il vincolo del pareggio di bilancio

53, si viene a creare un ampliamento della protezione verso le generazioni future

54 in quanto si realizzano le spese pubbliche senza oneri a carico del bilancio dello Stato.

50 Trasferimento da attuare per mezzo dell’indebitamento. Così v. FRANSONI, Stato di di-ritto, diritti sociali, libertà economica e principio di capacità contributiva (anche alla luce del vin-colo del pareggio di bilancio), in Riv. dir. trib., n. 11, 2016, p. 1049 ss.

51 V. par. 5. 52 GALLO, L’Enciclopedia del diritto e l’evoluzione del diritto tributario, in Giur. comm., n. 1,

2009, p. 556 ss. evidenzia la funzione strumentale del tributo in ottica di giustizia distributiva e correzione delle distonie.

53 Il pareggio di bilancio è contenuto nell’art. 81 Cost. il quale, in realtà, innovato dalla L. cost. n. 1/2012, prevede il principio di equilibrio tra le entrate e le spese, con effetti sia nel-l’Ordinamento interno che in quello comunitario. Per approfondimenti storici e interpreta-tivi anche sulla effettiva efficacia della norma si rimanda a GOLINO, Il principio del pareggio di bilancio. Evoluzioni e prospettive, Padova, 2013. Tale principio è stato recentemente oggetto di attenzione da parte della dottrina in relazione ad alcune sentenze emanate dalla Corte co-stituzionale (in particolare le più note sono la n. 10/2015 sulla c.d. Robin Hood Tax e la n. 70/2015 sulla perequazione pensionistica), evidenziando la flessibilità della gestione della finanza pubblica in virtù dell’equilibrio e non del pareggio. In tal senso v. DE MITA, Il conflitto tra capacità contributiva ed equilibrio finanziario dello Stato, in Rass. trib., n. 3, 2016, p. 561 ss. Sull’applicazione del principio di pareggio del bilancio quale limite alla spese sociali v. GAL-LO, Il diritto e l’economia. Costituzione, cittadini e partecipazione, in Rass. trib., n. 2, 2016, p. 287 ss.

54 Il collegamento tra le spese pubbliche e le generazioni future beneficiarie di opere in-frastrutturali, educative, sanitarie, ecc. è stato evidenziato da FRANSONI, Stato di diritto, cit., p. 1049 ss.

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Paolo Barabino 299

In definitiva, se la capacità contributiva si risolve in un criterio di razionali-tà complessiva del sistema normativo funzionale a realizzare il concorso alle spese

55, allora una sua modulazione che preveda un regime tributario specifi-co da applicare al PF risulterebbe razionale e coerente rispetto ai principi del-l’Ordinamento in quanto destinato a favorire la realizzazione di spese pubbli-che per il tramite del privato.

La relazione assiologica 56 tra la capacità contribuiva e l’interesse fiscale

57 potrebbe allora svilupparsi in base ad una interpretazione

58 che vede nel se-condo il principio ordinamentale alla corretta attuazione del sistema tributario e, in particolare, alla realizzazione delle spese pubbliche secondo criteri di eco-nomicità

59: grazie all’intervento dell’imprenditore privato, attraverso lo stru-mento del PF, quasi a voler svolgere un’analisi economica del diritto tributa-rio

60, si potrebbero perseguire obiettivi di economicità, quali la riduzione dei

55 Come ricorda BORIA, I principi costituzionali dell’ordinamento fiscale, cit., p. 87, questa è l’applicazione giurisprudenziale del principio contenuto nell’art. 53 Cost.

56 Per riprendere le parole di BORIA, op. cit., p. 94, il quale sottolinea la necessità di dover verificare il suddetto rapporto nel rispetto del criterio generale di bilanciamento dei valori costituzionali.

57 DE MITA, Interesse fiscale e tutela del contribuente, Milano, 1877; ANTONINI, Dovere tri-butario, cit.; BORIA, L’interesse fiscale, cit.; FEDELE, Concorso alle pubbliche spese e diritti indivi-duali, in Riv. dir. trib., 2002, I, p. 31 ss., ha distinto l’interesse fiscale dalla ragione fiscale in quanto il primo attiene alla giusta configurazione ed attuazione del sistema tributario con rife-rimento al concorso alle spese pubbliche, mentre la seconda è riferibile allo Stato quale appa-rato con specifico riferimento al momento attuativo del tributo. L’interesse e la ragion fiscale sono state spesso al centro della giurisprudenza costituzionale per consentire di dare preva-lenza alla riscossione prevaricando su altri principi persino costituzionali. V. Corte cost. nn. 45/1963, 91/1963, 50/1964, 163/1974, 143/1985, 574/1988, 80/1995.

58 FEDELE, op. cit., p. 33, sostiene infatti che l’interesse fiscale non deve esaurirsi nella re-golare percezione delle entrate fiscali ma debba tendere alla corretta attuazione del sistema tributario.

59 Il principio dell’economicità può assumere una tutela costituzionale in relazione all’art. 97 Cost. ove si afferma che la Pubblica Amministrazione debba essere organizzata nel rispet-to dei principi di buon andamento e imparzialità (comma 2) e ove si assicura la sostenibilità del debito pubblico (comma 1): quest’ultimo precetto troverebbe particolare attinenza con il PF in ragione della traslazione degli oneri necessari per realizzare una opera pubblica dalla sfera statale (in senso lato) a quella privata (del soggetto imprenditore “appaltatore”).

60 SELICATO, La comparazione nel diritto tributario: riflessioni sul metodo, in AA.VV., Dal diritto finanziario al diritto tributario. Studi in onore di Andrea Amatucci, I, Napoli, 2011, p. 79, il quale ripercorrendo la storia dell’analisi economica del diritto ricorda che esso si sostanzia in un «metodo di studio che, attraverso criteri propri delle scienze economiche, mira a verifica-re gli effetti di determinate regole e la loro congruenza rispetto ai fini perseguiti». Per una più recente chiave di lettura v. GIOVANNINI, Le metodologie di ricerca nel diritto tributario, in Rass.

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costi (in quanto l’opera pubblica viene realizzata in assenza di contributi a ca-rico della collettività) e l’efficienza e l’efficacia che l’attività svolta dall’impren-ditore privato dovrebbe garantire (in considerazione del fatto che la buona re-alizzazione dell’opera gli consentirà di trarne profitto dalla successiva fase di concessione senza corrispettivo)

61. Il regime fiscale applicabile al PF potrebbe essere ulteriormente interpreta-

to come una visione speculare del tributo paracommutativo 62, nel senso che

l’equo e ragionevole riparto si individuerebbe nell’attività del soggetto che ha realizzato una parte della spesa pubblica, talché la Società di progetto diviene meritevole di una gradazione del riparto meno gravosa per se stessa.

Alla luce delle suddette considerazioni, è stato pertanto possibile individuare nel PF una concatenazione di valori di rilevanza costituzionale a partire dal principio della capacità contributiva per giungere all’interesse fiscale, correlati all’economicità della amministrazione pubblica e alla sussidiarietà orizzontale.

Il PF rappresenta allora un caso pratico di applicazione del principio della capacità contributiva con particolare riferimento alla componente funzionale del prelievo e alla modalità del concorso: infatti, l’apparente contraddizione dell’obbligo a contribuire rispetto al carattere della volontarietà sotteso al concorso si risolve in un equilibrio che nel caso del PF si sostanzia nella rea-lizzazione di una opera pubblica per il tramite dell’imprenditore privato attra-verso una attività di diretta partecipazione a perseguire gli obiettivi fissati dal-l’art. 53 Cost.

63. Un regime fiscale proprio e non derogatorio in quanto la di-scriminazione soggettiva è basata su una differenziazione della capacità con- trib., n. 1, 2016, p. 99 ss., il quale ritiene che l’analisi economica del diritto possa essere ado-perata come metodo d’azione vincolato e non quale metodo d’interpretazione del diritto og-gettivo.

61 Il project financing rappresenta infatti una «operazione contrattuale complessa in cui lo studio del rischio, in termini di fattibilità e di convenienza economica dell’operazione, ma non solo, integra il presupposto basilare di tutta l’iniziativa». Così CALISAI, op. cit., p. 124.

62 Se si è ben compreso il rapporto tra il concorso, le spese pubbliche, il tributo paracom-mutativo e la tassa così come interpretati da DEL FEDERICO, Tasse, tributi, paracommutativi e prezzi pubblici, Torino, 2000, il quale a p. 303 afferma: «Per i tributi paracommutativi l’equo e ragionevole criterio di riparto non può che rivenirsi nella responsabilità individuale per a spe-sa pubblica specificamente causata».

63 MARONGIU, Dall’imposta al contribuente, in Dir. prat. trib., n. 5, 2015, p. 10651 ss., sot-tolinea il ruolo strumentale del tributo al cospetto del concorso e della doverosità sottesa all’art. 53 Cost. L’A. inoltre afferma che con l’espressione «tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche» pare contenere «una contraddizione laddove trasforma in obbligo (“essere tenu-ti”) il concorso che richiama profili di volontarietà, come è proprio dei contributi a una causa, a una iniziativa politica, economica o sociale».

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Paolo Barabino 301

tributiva e, di conseguenza, non necessiterebbe neppure del supporto di altri principi ed obiettivi costituzionali che generalmente sono richiesti per indivi-duare la legittimità delle agevolazioni fiscali

64. Tale forma di partenariato enfatizza la funzione solidaristica con particolare

riferimento al concorso per la realizzazione di spese pubbliche: il concorso av-viene non solo tramite il tributo ma anche attraverso l’attività imprenditoriale.

Dato che non tutti gli elementi espressivi di capacità economica possono es-sere assunti quali fatti espressivi di capacità contributiva

65, così l’attività econo-mica espressa dal PF (inizialmente produttrice di perdite d’esercizio, ma in ogni caso capace di mostrare un valore economico in ragione della produzione di flussi di cassa futuri) manifesta una capacità contributiva dai connotati peculia-ri: il concorso della Società di progetto è in ogni caso garantito, ma non si mani-festa solo attraverso il pagamento del tributo secondo i canoni ordinari ma an-che per mezzo dello svolgimento dell’attività produttiva, rivolta a realizzare una parte di quella spesa pubblica a cui è finalizzato il medesimo art. 53 Cost.

Il rapporto tra l’attività economica svolta dal soggetto imprenditore e la capacità contributiva che esso manifesta è stato studiato sotto svariate ottiche

66 ma, nel caso del PF, consente di amplificare la rilevanza del fine ultimo indica-to espressamente nell’art. 53 Cost. ovverosia la realizzazione di spese pubbliche, con modalità concorsuali, e graduate in ragione della capacità contributiva di ciascuno.

La discriminazione operata nel PF è in definitiva legittimata dal combinato disposto degli artt. 3 e 53 Cost., ovverosia dal connubio tra il principio di ugua-glianza sostanziale e di solidarietà e la loro proiezione nel principio della ca-pacità contributiva, tale per cui forme di imposizione distinte su base sogget-tiva sono giustificate da fini di solidarietà economica e sociale

67. Il concorso del singolo alle spese pubbliche può avvenire sia mendiate un

finanziamento delle stesse per mezzo del tributo sia direttamente tramite lo

64 FALSITTA, Manuale, cit., p. 180 ragionando sui presupposti di legittimità dell’impiego del tributo per fini di politica economica afferma che l’art. 53 Cost. si inserisce in un insieme di norme tali per cui quella derogatoria trova legittimazione in ragione del principio lex specialis derogat generali.

65 Come ad esempio accade per il reddito minimo sufficiente solo al sostentamento della persona, in tal senso v. GIOVANNINI, Il diritto tributario per principi, Milano, 2014, p. 24.

66 Per una particolare chiave di lettura del rapporto tra attività e programma, v. FICARI, Reddito d’impresa e programma imprenditoriale, Padova, 2004.

67 G. FALSITTA, Manuale, cit., pp. 160 e 161, riassume l’interpretazione prevalente che la dottrina e la giurisprudenza hanno dato dell’art. 53 Cost. quale proiezione sia dell’art. 2 Cost. che dell’art. 3 Cost.

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svolgimento dell’attività economica per la realizzazione di un bene di interes-se pubblico: la correlazione

68 esplicitata nell’art. 53 Cost. tra individuo e spese pubbliche dovrebbe allora ammette una forma di concorso non solo in ragio-ne della potenziale

69 fruizione di servizi pubblici ma anche in base alla even-tuale realizzazione da parte dell’individuo di una spesa pubblica per conto del-lo Stato.

Secondo una simile lettura viene meno allora la questione della compatibi-lità costituzionale delle norme quali agevolazioni, in quanto non sussisterebbe una problematica di giustificabilità nei confronti degli artt. 2 e 3 Cost. in ra-gione dell’assenza di un vulnus

70 dato che il dovere solidaristico che coinvolge tutti i consociati è tutelato dal fatto che tale regime ordinario differenziato in-veste tutti coloro i quali svolgono una attività, pur economicamente apprez-zabile, rivolta alla realizzazione di una parte della spesa pubblica, nel pieno ri-spetto dell’eguaglianza tributaria in ragione del combinato disposto degli artt. 3 e 53 Cost.

In sintesi, si tratta di una interpretazione che nasce dalla rilettura della di-sciplina fiscale della finanza di progetto e dal ripercorrere (a ritroso) la defini-zione di capacità contributiva.

D’altronde la differenza tra il concetto di capacità contributiva e di capaci-tà economica è già emersa in presenza di contributi e liberalità a favore delle imprese in base alla quale si manifesta una certa capacità economica data dal valore elargito che, tuttavia, non rappresenta necessariamente una capacità contributiva

71; e in maniera del tutto analoga, la fattispecie del PF individua una capacità economica, una forza economica data dalla creazione di ricchez-za – e, in particolare, dai flussi di cassa derivanti dalla gestione dell’opera, fi-nanco l’assenza di un contributo diretto, in virtù della gratuità della conces-

68 La correlazione tra la spesa pubblica e il tributo emerge quale costante anche nella giu-risprudenza delle Corte costituzionale. V. MASTROIACOVO, L’uguaglianza di capacità contri-butiva nella prospettiva della Corte costituzionale, in Giur. cost., n. 4, 2016, p. 3596 ss.

69 MAFFEZZONI, Il principio di capacità contributiva nel diritto finanziario, Torino, 1970, si era spinto, con una tesi non condivisa dalla dottrina prevalente, ad ipotizzare che il concorso dovesse tener conto della misura con la quale l’individuo fruisce dei servizi pubblici.

70 V. GIOVANNINI, Il diritto tributario per principi, cit., p. 26. 71 Così accade per quelle norme agevolative che il legislatore ha elaborato ad esempio a

favore delle sopravvenienze attive ex art. 55 vecchio TUIR. Tali situazioni sono state inter-pretate quale esistenza di forza economica, di idoneità al pagamento ma non idoneità al con-corso alle spese pubbliche, sostanziandosi in una ridotta capacità contributiva voluta dal legi-slatore per fini promozionali immanenti alla distribuzione del contributo stesso. Così BE-GHIN, I contributi e le liberalità a favore delle imprese. Nel sistema delle imposte sul reddito e nel-l’Iva, Milano, 1997, p. 144.

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sione per la gestione dell’infrastruttura realizzata tramite l’operazione di par-tenariato – nonostante una diversa modulazione della capacità contributiva legittimante il particolare regime fiscale del PF.

E in tal senso, una seppur differente connotazione della capacità contribu-tiva risulta coerentemente applicata da parte del legislatore tributario nella elaborazione della disciplina.

Da ultimo, si segnala una certa coerenza tra lo specifico regime ordinario di tassazione del PF e la gestione a livello di contabilità dello Stato dell’opera-zione di partenariato in ragione della neutralità della relativa voce nel bilancio della Pubblica Amministrazione: infatti, tutte le forme di PPP consentono di rispettare i vincoli posti dal Patto di Stabilità Europeo in ragione della ridu-zione dello stock di debito necessario per le infrastrutture contabilizzato a li-vello nazionale; se l’opera viene realizzata con l’allocazione dei rischi sul sog-getto privato l’Amministrazione deve esimersi dalla contabilizzazione del bene nell’attivo patrimoniale, evitando l’insorgere di un debito figurativo tra le fon-ti dello stato patrimoniale, configurando in tal modo una contabilizzazione off balance dell’asset

72, a dimostrazione di come la realizzazione di una parte della spesa pubblica sia direttamente collegata alla natura istituzionale del PF e, come tale, sia meritevole di un specifico regime tributario.

3. La leva fiscale europea nel project financing quale esempio di integrazione positiva

Per ricercare sulla base di quali principi ed interessi l’Ordinamento sovra-nazionale abbia regolamentato tale specifica materia, occorre preliminarmen-te effettuare un richiamo al riparto

73 delle competenze tra UE e Stati membri:

72 Restano a carico dello Stato possibili contributi erogati per la realizzazione dell’opera. Per approfondimenti sugli effetti del PPP sul debito pubblico v. BO-MARASCO-MARTINIELLO-MENDUNI DE ROSSI, Partenariato Pubblico Privato per la realizzazione di opere pubbliche: l’im-patto sulla contabilità nazionale e sul debito pubblico, Unità Tecnica Finanza di Progetto, del Di-partimento per la Programmazione e il Coordinamento della Politica Economica, gennaio 2011.

73 Come è noto il Titolo I del TFUE contiene al suo interno le categorie e i settori di com-petenza dell’Unione. Più nello specifico, l’art. 4 indica le materie di competenza concorrente dell’Unione con quella degli Stati membri, assumendo i connotati quasi della residualità (in ragione del comma 1 dell’art. 4) ma specificando (al comma 2) i settori in questione:

a) mercato interno; b) politica sociale, per quanto riguarda gli aspetti definiti nel presente Trattato; d) agricoltura e pesca, tranne la conservazione delle risorse biologiche del mare;

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si osserva che l’intervento dell’UE in materia di accordi di partenariato tra pubblico e privato (all’interno dei quali è iscrivibile anche il PF) si esplica sul-la base della competenza concorrente, finalizzata a rafforzare la coesione eco-nomica, sociale e territoriale dell’Unione

74. In particolare, dalla lettura della prassi comunitaria si può affermare che gli

accordi di PPP 75 rappresentino un caso-scuola per studiare l’evoluzione del

ruolo dell’UE proiettata verso politiche di sviluppo, secondo una modulazio-ne dei principi di competenza, sussidiarietà e proporzionalità come meglio af-finati dal Trattato di Lisbona

76.

e) ambiente; f) protezione dei consumatori; g) trasporti; h) reti transeuropee; i) energia; j) spazio di libertà, sicurezza e giustizia; k) problemi comuni di sicurezza in materia di sanità pubblica, per quanto riguarda gli

aspetti definiti nel presente Trattato. 74 Ripercorrendo a ritroso la prassi comunitaria, a partire dalla Decisione di esecuzione

della Commissione del 29 ottobre 2014 che approva determinati elementi dell’accordo di partenariato con l’Italia (Bruxelles, 29 ottobre 2014, C(2014) 8021 final) il quale richiama espressamente il Reg. UE 17 dicembre 2013, n. 1303 (recante disposizioni comuni sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo, sul Fondo di coesione, sul Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca e disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo, sul Fondo di coesione e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca, e che abroga il Reg. (CE) n. 1083/2006 del Consiglio), si arriva alla individuazione della finalità della rego-lamentazione europea del settore in oggetto rivolta a perseguire gli obiettivi indicati nell’art. 174 TFUE: il rafforzamento della coesione economica, sociale e territoriale, per ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni e il ritardo delle regioni meno favorite o in-sulari, con particolare attenzione alle zone rurali, alle zone interessate da transizione indu-striale e alle regioni che presentano gravi e permanenti svantaggi naturali o demografici.

75 Il PPP ha natura composita e assume caratteristiche in parte dello schema giuridico dell’appalto, in parte di quello della concessione. La competenza europea è stata estesa dalla CGE nel settore in argomento nonostante le concessioni di servizi non rientrino dell’ambito delle direttive sugli appalti pubblici, trovando applicazione i principi comunitari della traspa-renza e dell’equo trattamento. V. sent. 26 aprile 1994, causa C-272/91, Commissione/Italia (gioco del lotto); sent. 9 settembre 1999, C-108/98 (RI.SAN.); sent. 7 dicembre 2000, C-324/98 (Telasutria Verlags); sent. 21 luglio 2005, C-231/03 (Consorzio Aziende Metano-Coname); sent. 13 ottobre 2005, C-458/03 (Parking Brixen); sent. 6 aprile 2006, C-410/04 (Associazione Nazionale Autotrasporto Viaggiatori-ANAV); si segnala inoltre un interessan-te caso italiano con la sent. 18 luglio 2007, C-382/05, Commissione/Italia (rifiuti urbani prodotti in Sicilia).

76 Principi enunciati dall’art. 5 TUE dando spazio agli Ordinamenti nazionali con la loro

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Si osserva, infatti, una inclinazione da parte delle istituzione europee a sti-molare, con specifico riferimento al partenariato, lo sviluppo economico della c.d. eurozona attraverso l’ausilio di particolari forme di finanziamento messe a disposizione degli Stati membri e delle imprese operanti sul territorio comu-nitario

77. Incentivi che l’UE vuole proporre anche in ambito internazionale cercan-

do di promuovere i legami tra gli Stati membri e i Paesi terzi, incoraggiando la Commissione a sostenere la partecipazione delle imprese comunitarie agli ap-palti internazionali

78. In tale fattispecie, l’Ordinamento comunitario dimostra di aver creato un

modello uniforme da far applicare agli Stati membri, riconoscendovi un insie-me di valori e obiettivi fondamentali per l’UE

79. Pertanto, l’Ordinamento europeo supporta una politica di incentivo alle o-

perazioni di PPP attraverso l’istituzione di norme rivolte, in buona sostanza, al cofinanziamento delle opere da realizzare.

In simile contesto emerge il sistema europeo degli aiuti di Stato 80, discipli-

nato a livello sovranazionale al fine di regolamentare le misure di vantaggio che struttura regionale (attraverso il principio di sussidiarietà) e limitando l’ingerenza dell’entità sovranazionale (in virtù del principio di proporzionalità).

77 A partire dal c.d. Libro Verde sui partenariati pubblico privati e al diritto comunitario degli appalti e delle concessioni, 30 aprile 2004, COM (2004)327 def., per poi far seguito ad una prassi comunitaria sempre più di dettaglio quale: la Comunicazione interpretativa della Commissione sull’applicazione del diritto comunitario degli appalti pubblici e delle conces-sioni ai partenariati pubblico privati istituzionalizzati, del 5 febbraio 2008, C(2007) 6661; la Comunicazione dal titolo “Mobilitare gli investimenti pubblici e privati per la ripresa dei cambia-menti strutturali a lungo termine: sviluppare i partenariati pubblico-privato” 19 novembre 2009, COM(2009)615 def.; per proseguire con la Direttiva n. 2014/24 con riferimento agli appalti pubblici nei settori ordinari, la Direttiva n. 2014/25 sugli appalti nei settori dell’acqua, del-l’energia, dei trasporti e dei servizi postali c.d. settori “speciali”; la Direttiva n. 2014/23 sul-l’aggiudicazione dei contratti di concessione.

78 A p. 8 del “Progetto di relazione sulle ripercussioni esterne della politica commerciale e d’in-vestimento dell’UE sulle iniziative pubblico-private nei paesi al di fuori dell’UE” (2014/2233 (INI)) – Commissione per il commercio internazionale – del 16 marzo 2015, si legge che «la Commissione a impegnarsi per ottenere impegni sostanziali per quanto riguarda l’acces-so ai mercati degli appalti pubblici sul piano internazionale presso l’Organizzazione mondia-le del commercio e nei negoziati bilaterali in corso con paesi terzi, per correggere gli squilibri a livello di apertura dei mercati di appalti pubblici dell’UE rispetto a quelli di altri partner com-merciali».

79 Tale percorso ricorda quello intrapreso nel settore delle cooperative. V. QUATTROC-CHI, La fiscalità del no profit nella dimensione europea, in Dir. prat. trib., n. 6, 2013, p. 11245 ss.

80 FRANSONI, Profili fiscali della disciplina comunitaria degli aiuti di stato, Pisa, 2007, p. 92 ss., aveva osservato che si tratta di un sistema e non di un mero divieto.

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ciascuno Stato membro può erogare alle imprese: si osserva, in generale, una vera e propria evoluzione

81 del regime degli aiuti fiscali rivolti sia a recepire il periodo di crisi

82 congiunturale sia a implementare l’utilizzo degli aiuti a fina-lità regionale

83 e di quelli ammessi per categoria 84.

In particolare il rilancio del PPP per opera dell’Ordinamento europeo vie-ne attuato attraverso una nuova regolamentazione dei fondi europei destinati a stimolare lo sviluppo locale di tipo partecipativo

85. L’Italia sulla base di una “spinta” europea ha adottato la misura di vantaggio costituita dal c.d. Project bond iniziative, lanciata nel 2012 da Commissione europea e BEI per attrarre, attraverso il mercato dei capitali, finanziamenti privati addizionali per grandi progetti infrastrutturali, tradotta in ambito interno tramite il project bond: trat-tasi di obbligazioni destinate alla realizzazione di specifiche infrastrutture pub-bliche i cui interessi scontano l’aliquota del 12,5%

86.

81 MICELI, La metamorfosi del divieto di aiuti di Stato nella materia tributaria, in Riv. dir. trib., n. 1, 2015, p. 31 ss., la quale sottolinea la duplice attività comunitaria di integrazione positiva e negativa attraverso la disciplina degli aiuti di Stato, segnando il passaggio dal divieto degli aiu-ti di Stato ad una «disciplina generale sui trattamenti selettivi e di sostegno di ogni Ente au-tonomo». Già, in maniera lungimirante, v. FRANSONI, op. cit., p. 92 ss., il quale aveva indivi-duato nell’art. 107 TFUE la presenza di un limite relativo e non assoluto in ragione delle de-roghe ammesse dal regime degli aiuti di Stato.

82 La Comunicazione della Commissione n. 2009/C 83/01, pubblicata in G.U.U.E., 7 aprile 2009, sul quadro di riferimento temporaneo comunitario per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell’accesso al finanziamento nell’attuale situazione di crisi finanziaria ed economi-ca, sottolinea i benefici che alcune misure di aiuto temporanee possono fornire quale soste-gno alle imprese. In particolare al par. 4 si afferma che «Vista la gravità dell’attuale crisi finan-ziaria e i suoi effetti per l’economia degli Stati membri nel suo complesso, la Commissione reputa che determinate categorie di aiuti di Stato siano giustificate, per un periodo di tempo limitato, per porre rimedio a tali difficoltà e ritiene che possano essere dichiarate compatibili con il mercato comune sulla base dell’articolo 87, paragrafo 3, lettera b) del trattato».

83 Si ricorda che gli aiuti a finalità regionale sono disciplinati dall’art. 107 TFUE, par. 3, lett. a) e c). A riguardo vedasi la recente Carta degli aiuti di Stato a finalità regionale 2014-2020, Bruxelles, 16 settembre 2014, C(2014)6424 final.

84 Il Reg. n. 651/2014 emanato dalla Commissione il 17 giugno 2014, dichiara una serie di aiuti compatibili con il mercato interno in applicazione degli artt. 107 e 108 del Trattato senza la preventiva autorizzazione da richiedere alla Commissione; in tal modo vengono ri-dotti gli oneri amministrativi a carico degli Stati membri e questi possono attivare con relati-va velocità opportuni aiuti per favorire la crescita economica pur scongiurando la configura-zione di ingiusti vantaggi competitivi.

85 Un esempio è costituito dal programma Horizon 2020 ove è prevista l’apposita linea dell’Industrial leadership per regolamentare gli aiuti alle forme di “Public-private partnership”.

86 Aliquota stabilita dal c.d. Decreto Sviluppo, D.L. n. 83/2012, conv. in L. 134/2012, poi superato dal Decreto Sblocca Italia, D.L. n. 133/2014, conv. in L. 164/2014. Si ricorda che

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Tali misure devono allora essere osservate sotto un’ottica che sia capace di verificare l’esistenza o meno dei caratteri della selettività e, quindi, della di-scriminazione di eventuali misure a favore delle imprese coinvolte nell’opera-zione di PF, tutti elementi che contraddistinguerebbero i provvedimenti co-me aiuti di Stato vietati

87. Ebbene, si ritiene che la disciplina del PF non sia in disaccordo con il divie-

to comunitario degli aiuti di Stato proprio in ragione e in coerenza con la tesi qui sostenuta della specialità del regime tributario in oggetto: la generalità dei soggetti imprenditori a cui è destinata la gara del PF

88 e la qualificazione quale regime tributario ordinario (a discapito della natura agevolativa) costituisco-no gli elementi capaci di escludere la selettività della misura e, in definitiva, di scongiurare la natura di aiuto di Stato illegale.

Anche l’individuazione dello status di Società di progetto quale destinata-rio del particolare regime tributario non pare possa configurare una ipotesi di selettività soggettiva illegittima

89 in quanto la differenziazione operata dal le- in forza degli artt. 3 e 4, D.L. n. 66/2014, conv. in L. 89/2014, recante “Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale” a decorrere dal primo luglio 2014 è stata innalzata l’aliquota dal 20 al 26% relativa alla tassazione delle rendite finanziarie con esclusione dei titoli di Sta-to. V. per approfondimenti la Circolare 27 giugno 2014, n. 19/E.

87 Sarebbero tali gli aiuti selettivi i quali assumerebbero simile aspetto nel caso in cui la misura non fosse giustificata sulla base della logica di sviluppo del sistema economico, costi-tuendo invece una riduzione di oneri a vantaggio di un specifico settore. V. TESAURO, Diritto comunitario, Padova, 2005, p. 793; sulla definizione di selettività v. anche FRANSONI, Gli aiuti di Stato tra autonomia locale e capacità contributiva, in Riv. dir. trib., n. 11, 2006, p. 249 ss.; BORIA, Diritto tributario europeo, Milano, 2005, p. 59 ss.; RASI, I confini della nozione, in SAL-VINI (a cura di), Aiuti di Stato in materia fiscale, Padova, 2007, p. 64.

88 La coerenza tra la disciplina del PF e il principio comunitario della non discriminazio-ne, posto alla base del sistema europeo degli aiuti di Stato, si appalesa nel codice dei contratti pubblici il quale stabilisce, al comma 3 dell’art. 3, D.Lgs. n. 163/2006, che la scelta del con-cessionario debba avvenire nel rispetto dei principi desumibili dal Trattato e dei principi ge-nerali relativi ai contratti pubblici, ed in particolare dei principi di trasparenza, adeguata pub-blicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità, previa gara informale a cui sono invitati almeno cinque concorrenti, se sussistono in tale nu-mero soggetti qualificati in relazione all’oggetto della concessione e con predeterminazione dei criteri selettivi. Il rispetto dei valori europei nell’ambito dei lavori pubblici è stato di re-cente sottolineato anche dalla Autorità nazionale anticorruzione, v. Linee guida per l’affida-mento delle concessioni di lavori pubblici e di servizi ai sensi dell’articolo 153 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, Determinazione n. 10 del 23 settembre 2015, pubblicata nella G.U. – Se-rie generale n. 241 del 16 ottobre 2015. V. anche Corte di Giustizia, causa C-324/98 sugli obblighi di trasparenza e sull’imparzialità delle procedure di aggiudicazione a carico delle Pub-bliche amministrazioni a favore degli imprenditori concorrenti.

89 Anche le società cooperative hanno dovuto fronteggiare ipotesi di aiuti di Stato che sono

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gislatore è tale in ragione dell’attività svolta dal soggetto: tale soggetto si diffe-renzia dagli altri in quanto svolge una attività diversa, realizza opere pubbliche.

La legittimità della misura a favore della Società di progetto trova riscontro anche nella definizione di selettività fornita dalla Corte di Giustizia in occasio-ne del regime fiscale delle cooperative

90: la disciplina fiscale applicabile al PF sebbene costituisca un vantaggio economico a carico del soggetto beneficiario trova giustificazione nel sistema tributario sul quale insiste in ragione del com-binato disposto degli artt. 53 e 118 Cost.; la finalità del principio di capacità contributiva (il finanziamento delle spese pubbliche) e il principio di sussidia-rietà (l’intervento del privato in luogo del soggetto pubblico) consentono di dimostrare l’inerenza della disciplina del PF al sistema tributario.

Emerge, allora, il ruolo dell’UE che si atteggia quale garante in qualità di controllore e di promotore di attività rivolte allo sviluppo stimolato a livello so-pranazionale nel rispetto del principio di non discriminazione e per prevenire la possibilità che i singoli Stati membri pongano in essere misure che creino una concorrenza fiscale dannosa

91, in presenza della quale verrebbero inficiati i van-taggi economici del Mercato interno.

Si nota, in definitiva, anche in tale settore un passaggio dall’antisovrano 92

venute meno in ragione della particolare natura del soggetto, in particolar modo a favore di quelle di piccole dimensioni. Così F. PEPE, op. cit., p. 20157 ss.

90 Sent. cause da C-78/08 a C-80/08/2011, commentate da INGROSSO, La pronuncia pre-giudiziale della Corte di Giustizia sulle agevolazioni fiscali alle cooperative italiane, in Rass. trib., n. 2, 2012, p. 529 ss. L’autore ricorda che la Commissione, in più occasioni, ha precisato che una determinata agevolazione fiscale, sebbene costituisca un vantaggio economico selettivo tra imprese, può essere “salvata” in quanto trovi giustificazione «nella natura o struttura ge-nerale del sistema tributario nel quale si inserisce».

91 La concorrenza fiscale dannosa è stata oggetto di particolare attenzione comunitaria dando origine al c.d. “pacchetto Monti” e al codice di autoregolamentazione. Il codice di con-dotta volto a rendere meno appetibili i Paesi con un basso livello di tassazione ha creato un vin-colo politico per il rispetto di tale condizione nei confronti della imposizione delle imprese, chiedendo di evitare di fissare livelli di tassazione inferiori in determinate aree rispetto al livello generale, tramite il metodo del c.d. “standstill and rollback” (traducibile alla lettera “manteni-mento e smantellamento”; sull’argomento per approfondimenti si rinvia a MELIS-PERSIANI, Trat-tato di Lisbona e sistemi fiscali, in Dir. prat. trib., n. 2, 2013, p. 267 ss., in particolare al par. 7 – Sistemi fiscali e concorrenza tra Stati membri). Si ricorda che il codice di condotta ha assunto la valenza di uno strumento non giuridicamente vincolante, frutto di un accordo politico tra gli Stati membri volto a non introdurre misure fiscali dannose e ad uniformare le normative già in vigore al codice di condotta. Sul principio di leale cooperazione in materia tributaria v. FER-NÀNDEZ MARÌN, Il principio di cooperazione tra le amministrazioni finanziarie, in DI PIETRO-TASSANI (a cura di), I principi europei del diritto tributario, Padova, 2013, p. 370 ss.

92 Definizione attribuita all’UE da BORIA, L’anti-sovrano, Torino, 2004, il quale sottolineò

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ad una politica di integrazione positiva e di obiettivi anche di sviluppo eco-nomico

93 attraverso il reperimento di fonti di finanziamento che in un perio-do di crisi congiunturale può attribuire al PPP, e in particolare al PF, il valore di strumento strategico capace di contribuire al rilancio delle attività produt-tive nella realizzazione di opere pubbliche ed infrastrutture.

4. Il project financing tra la traslazione del rischio, dell’imposta e una rappre-sentazione economica

Il PF, nato quale strumento creato dal legislatore civilistico per consentire la realizzazione di un’opera pubblica attraverso la traslazione del rischio (fattore quest’ultimo tipico del contratto di appalto

94) dal soggetto pubblico a quello anche come la nascita di una futura Costituzione europea avrebbe potuto svolgere il ruolo di antidoto; in tale ultimo senso v. BORIA, Il diritto tributario europeo, 2015, p. 482.

93 Sostenuto attraverso il c.d. piano Juncker per gli investimenti, il quale si propone l’o-biettivo di affiancare al capitale pubblico degli Stati membri quello privato. La “Decisione di esecuzione della Commissione del 29 ottobre 2014 che approva determinati elementi del-l’accordo di partenariato con l’Italia” afferma al punto 5 che: «L’accordo di partenariato sta-bilisce le modalità adottate dall’Italia per provvedere all’allineamento con la strategia dell’U-nione per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva nonché il mandato specifico di cia-scun fondo secondo gli obiettivi basati sul Trattato, compresa la coesione economica, sociale e territoriale, le modalità per provvedere a un’attuazione efficace dei Fondi ESI, le disposi-zioni relative al principio di partenariato, l’elenco indicativo dei partner, una sintesi delle azioni intraprese per associare questi ultimi e il loro ruolo nell’elaborazione dell’accordo di partena-riato e della relazione sull’andamento dei lavori». Tali misure seguono al “Regolamento n. 1303/2013 del 17 dicembre 2013 recante disposizioni comuni sul FESR, sul FSE, sul fondo di Coesione, sul FEASR e sul FEAMP”: lo sviluppo locale di tipo partecipativo (Capo II) e lo svilup-po territoriale con il nuovo strumento degli “Investimenti Territoriali Integrati” (Capo III). Si se-gnalano le iniziative europee: JASPERS(per lo sviluppo di progetti lanciato con la BEI e la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS) e inteso a prestare l’assistenza ne-cessaria in qualunque fase di un ciclo di progetti infrastrutturali/PPP); JESSICA (per inve-stimenti sostenibili in progetti urbani/PPP inseriti in un piano di sviluppo urbano integrato, erogati sotto forma di azioni, prestiti o garanzie); JEREMIE (per la creazione di nuove imprese e di un migliore accesso delle imprese ai finanziamenti.). Per approfondimenti storici si ri-manda alla prassi comunitaria e in particolare alla “Comunicazione della Commissione al Par-lamento Europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regio-ni – Mobilitare gli investimenti pubblici e privati per la ripresa e i cambiamenti strutturali a lungo termine: sviluppare i partenariati pubblico-privato. COM/2009/0615”.

94 Il rischio operativo nel contratto di appalto può derivare da diversi eventi che possono generare una variazione del prezzo originariamente pattuito tra le parti distinguendo all’in-terno del codice civile le “variazioni concordate” ex art. 1659, dalle “variazioni necessarie” ex art. 1660. Il limite minimo al di sotto del quale non si può parlare di variazione in senso tec-

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privato, è in grado di creare sul piano fiscale un altrettanto effetto traslativo: una potenziale riduzione della traslazione dell’imposta

95 dal soggetto gestore del- nico è rappresentato dalle modifiche secondarie apportate al progetto ad opera dell’appalta-tore; il limite massimo oltre il quale non può più configurarsi una variazione ai sensi degli artt. 1659-1661 c.c. è costituito dai lavori extracontrattuali, ovverosia da quei casi in cui le mo-difiche concordate tra le parti siano tali da realizzare, per la loro radicale difformità rispetto al progetto originario, la stipula di un nuovo contratto. Così, VIRGADAMO, Variazioni in corso d’opera nel contratto di appalto e rinegoziazione delle condizioni contrattuali, in Giust. civ., n. 1, 2008, p. 11. Le prime assolvono ad un duplice obiettivo prefigurato dal legislatore: da un la-to, limitare l’azione del soggetto appaltatore relativamente alle modalità di esecuzione della prestazione, ponendo il divieto di apportare variazioni senza l’autorizzazione scritta del sog-getto committente; da altro lato, tutelare il committente affinché la propria prestazione non diventi più onerosa del previsto a causa del meccanismo delle variazioni. V. SAMMARTANO, Appalti di opere e contratti di servizi, Padova, 2006, p. 303 s. Le seconde (quelle necessarie), invece, si differenziano dalle precedenti in quanto non sono lasciate alla volontà delle parti, ma sono effettuate in corso d’opera per necessità imposte dalle regole dell’arte e della tecni-ca. La determinazione delle modifiche ed il relativo prezzo è affidato dal legislatore all’accor-do delle parti, in assenza del quale subentra il giudice. V. RUBINO-IUDICA, Appalto, Bologna, 2007, p. 274 ss. Sui rapporti tra l’art. 1664 ed il 1467 c.c., ovverosia sul fatto che il primo co-stituisce la particolare applicazione al contratto di appalto del principio generale sull’eccessi-va onerosità contenuto nel secondo (e quindi sul fatto che in forza del principio di specialità deve trovare prevalenza e applicazione l’art. 1664 salvo i casi da esso non previsti), vedasi MUSOLINO, Commento all’art. 1664 – Onerosità o difficoltà nell’esecuzione, in VALENTINO, Ob-bligazione e contratti. Commentario del codice civile. Dei singoli contratti, Torino, 2011, p. 108 ss.; e anche CAGNASSO, Appalti e sopravvenienza contrattuale, Milano, 1979, p. 125 ss. A com-pletamento del quadro civilistico sulla variazione del prezzo pattuito in un contratto di appalto, non si può non citare l’art. 1664 c.c. secondo il quale affinché entrambe le parti possano dar luogo al meccanismo della revisione dei prezzi esso prevede (congiuntamente) sia una condi-zione di carattere qualitativo, circostanze imprevedibili determinanti variazioni dei prezzi delle materie e della mano d’opera, sia una di carattere quantitativo, rilevanza dell’eccedenza della variazione superiore al decimo del prezzo originario. L’imprevedibilità va valutata con riferi-mento al momento della conclusione del contratto, secondo l’ordinaria diligenza e perizia. Co-sì ZACCARIA, Commento all’art. 1664, in Commentario breve al Codice Civile, a cura di Cian-Trabucchi, Padova, 2011, p. 2224; FERRONI, Commento all’art. 1664, in PERLINGIERI (a cura di), Codice Civile annotato con la dottrina e la giurisprudenza, Torino, 1980, p. 1004 ss.

95 Sulla rilevanza della traslazione dell’imposta si richiama quanto osservato da FALSITTA, Osservazioni sulla nascita e lo sviluppo scientifico del diritto tributario in Italia, in Rass. trib., n. 2, 2000, p. 353 ss. il quale riprese gli studi di EINAUDI, Corso di scienza delle finanze, Torino, 1914. Si ricorda, inoltre, la diversità esistente tra l’ipotesi giuridica della rivalsa rispetto alla mera traslazione economica dell’imposta, essendo la prima uno strumento finalizzato a con-sentire lo spostamento del peso del tributo, in capo al terzo, diverso dal soggetto passivo, per garantire la legittimità costituzionale del tributo sonno il profilo della capacità contributiva. Così NUZZO, Il leasing di immobili, la rivalsa Ici, l’Iva e le imposte sui redditi, in Rass. trib., n. 3, 1997, p. 542 ss. In altri casi la traslazione del tributo con i relativi effetti economici sono stati studiati ad esempio in relazione alla Robin Hood tax ove la Corte dei Conti aveva manifestato l’elevato rischio che la maggiore imposizione sulle imprese petrolifere avrebbe potuto com-

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l’infrastruttura al consumatore finale destinatario dell’opera realizzata. Infatti, il regime tributario destinato alla Società di progetto potrebbe con-

dizionare il corrispettivo che il privato deve sostenere per poter usufruire del-l’opera realizzata tramite il PF.

A ben vedere, in assenza di una regolamentazione statale del prezzo viene a configurarsi una duplice possibilità: o l’auspicabile limitazione del prezzo (il corrispettivo che il soggetto utilizzatore dell’opera pubblica dovrà offrire alla Società di progetto investita ora dall’attività di gestione) in ragione dei minori oneri (anche fiscali) sostenuti dalla Società di progetto, con conseguente ri-duzione del fenomeno della traslazione dell’imposta, quale manifestazione del regime tributario del PF; o il rischio che la Società di progetto, in quanto sog-getto vocato a perseguire finalità di lucro, adoperi le norme tributarie a sua di-sposizione (solo) per ridurre i propri oneri di bilancio, senza effetti sul corri-spettivo finale a carico dei soggetti utilizzatori.

Inoltre, dal punto di vista economico, potrebbe essere interessante 96 raffi-

gurare il bilanciamento tra il livello di tassazione della Società di progetto e le spese pubbliche sostenute a livello statale, al fine di comprendere come una riduzione del tributo sul singolo soggetto possa esplicare i suoi effetti solo nel-la propria sfera personale, o in alternativa come una riduzione della imposi-zione sul soggetto privato che ha realizzato l’opera di interesse pubblico, sen-za oneri a carico della Pubblica Amministrazione, possa consentire una ridu-zione della spesa pubblica globale al punto tale da ridurre il livello di tassazio-ne necessario per far fronte alle spese pubbliche

97. L’idea consisterebbe nel raffigurare il punto di pareggio, il “break event

point” tra tributo e spesa pubblica come equilibrio suscettibile di variazioni in base alle modalità con le quali questa ultima viene realizzata: la Società di pro-getto realizza una opera pubblica senza gravare sulle finanze pubbliche, accol-landosi per così dire gli oneri costruttivi e pertanto risulta meritevole di un trat-tamento tributario specifico rispetto ad un normale appalto a carico della Pub-blica Amministrazione.

portare la traslazione delle imposte sui prezzi al consumo. Per approfondimenti v. PROCO-PIO, Riflessioni critiche sulla manovra fiscale dell’estate 2008, in Rass. trib., n. 6, 2008, p. 1570 ss.

96 Talvolta la dottrina giuridica effettua dei richiami a quella economica per fornire una completezza dello studio del tributo v. GALLO, Nuove espressioni di capacità contributiva, in Rass. trib., n. 4, 2015, p. 771 ss.

97 Senza dubbio tale intuizione sarebbe meritevole di uno studio congiunto con un culto-re delle materie economiche o di scienze delle finanze al fine di focalizzare con precisione le componenti del modello.

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L’attività imprenditoriale della Società di progetto, finalizzata all’attuazio-ne di un programma sin dalla nascita del soggetto destinato a realizzare l’ope-ra pubblica, consente una riduzione del punto di pareggio tra tributo e spesa in ragione della realizzazione di quest’ultima da parte del privato, in sostitu-zione del pubblico.

5. Osservazioni conclusive: il project financing e il tempo

Lo studio è stata l’occasione per individuare il regime tributario applicabile al PF e identificarlo come un regime tributario diversificato, una particolare modulazione della capacità contributiva che trova giustificazione non nella de-roga ma nelle specifiche caratteristiche del soggetto beneficiario: tale teoria con-sente di “smarcare” lo studio dal concetto di agevolazione tributaria (quale de-roga rispetto un generale regime fiscale) e dalla disciplina degli aiuti di Stato in quanto la selettività soggettiva è inerente al sistema tributario di riferimento

98. Una particolare chiave di lettura del PF può essere fornita attraverso la vi-

sione temporale dell’operazione economica: infatti, sia nella struttura della fi-nanza di progetto che nella sottostante disciplina fiscale l’elemento temporale si mostra quale fattore capace di evidenziare i differenti momenti economici e impositivi della materia.

Sul versante economico e civilistico, infatti, il PF sottintende un contratto articolato per un verso secondo lo schema dell’appalto e per l’altro sulla base di quello di concessione, entrambi a titolo gratuito

99 e finalizzati alla realizzazione e alla gestione dell’opera pubblica.

Esiste, inoltre, una differenza temporale tra il momento di conclusione del contratto e la realizzazione dell’oggetto a cui si correla l’eventualità della varia-zione delle condizioni operative capaci di incidere sullo svolgimento dell’attivi-

98 Per il concetto di inerenza si richiama quanto osservato in relazione alle società coope-rative da INGROSSO, op. cit., p. 529 ss. L’autore precisa che andando oltre il concetto di agevo-lazione quale deroga e pervenendo a quello di diversità si seguirebbe un percorso argomen-tativo capace di risolvere “a monte” la problematica degli aiuti di Stato.

99 DI PIETRO, Regime fiscale della concessione e delle convenzioni edilizie ed urbanistiche, Ri-mini, 1985, p. 30 ss. afferma che, in linea generale, l’onerosità è riferibile all’impoverimento di un soggetto a prescindere dalla prestazione, mentre la corrispettività attiene al sinallagma delle prestazioni. Nella fattispecie del project financing, pertanto, alla gratuità dell’operazione corrisponde sul piano fiscale una assenza di onerosità in ragione del regime agevolativo della sottesa disciplina tributaria, prescindendo dunque dagli oneri di bilancio che la società di pro-getto deve sostenere per eseguire l’opera pubblica.

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tà dal punto di vista economico: a differenza di quanto accade nel contratto d’appalto, emerge la capacità del PF di neutralizzare civilisticamente e fiscal-mente eventuali riserve dovute, ad esempio, alla comparsa delle c.d. “sorprese geologiche”

100. Come si è visto, i provvedimenti europei sono rivolti essenzialmente a co-

finanziare l’operazione sottesa alla finanza di progetto e, pertanto, il loro ap-porto è legato alla durata del finanziamento tendenzialmente rivolto ad espli-care i suoi effetti all’interno della fase c.d. costruttiva. In tale ambito affiora la rilevanza del principio comunitario della proporzionalità

101 in base al quale la Società di progetto può godere di un contributo comunitario di natura pub-blica rivolto alla riduzione degli oneri finanziari necessari per la realizzazione dell’opera pubblica, secondo una durata ben stabilita e limitata, destinato a cessare una volta conclusa la fase costruttiva o terminata la durata della con-cessione. La giustificabilità del particolare regime fiscale, sotto l’accezione della proporzionalità, trova fondamento pertanto anche nella temporanea durata de-gli effetti della disciplina, correlata con l’esecuzione dell’opera in un arco tem-porale ben delimitato dato dalla costruzione e poi dalla durata della conces-sione.

Sul fronte della normativa nazionale, quella già presente nella struttura del TUIR denota una variegata scansione temporale: il regime delle perdite per le start up è limitato ai primi tre anni di esistenza della Società di progetto neo costituita, mentre la norma sulla deducibilità degli interessi non pare abbia al-cun limite di durata se non quello soggettivo di esistenza della Società di pro-getto; le quote di ammortamento dei beni concessi gratuitamente, invece, pos-siedono una determinazione esplicitamente correlata alla durata della conces-sione del bene.

Si sottolinea, inoltre, l’attitudine del PF di neutralizzare i rischi tipici del-l’appalto (quali le c.d. riserve dell’appaltatore e le altre forme di variazione) nonostante la realizzazione dell’opera mantenga una durata pluriennale.

100 Ad esempio quelle geologiche tipiche del contratto di appalto che consento all’appal-tatore di avanzare le c.d. riserve; sul punto v. infra, nota 41.

101 Il generale, il principio di proporzionalità riguarda come è noto l’idoneità strumentale e graduale dei mezzi adottati dagli Stati membri per perseguire gli obiettivi preposti dall’Or-dinamento europeo; in tal senso v. BORIA, Diritto tributario europeo, cit., p. 283. Pertanto, nell’ambito del project financing la normativa agevolativa istituita a livello nazionale ed euro-peo rispetta il requisito della proporzionalità in quanto tali forme di fiscalità di vantaggio so-no graduate, in ragione della loro durata, rispetto la funzione dell’operazione costituita dalla realizzazione e dalla gestione di una opera pubblica.

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Ulteriori rapporti tra la disciplina fiscale del PF e il tempo sono rilevabili in comparazione con il principio della capacità contributiva laddove la ragione-volezza del riparto dei carichi pubblici nella finanza di progetto è correlata alle fasi economiche dell’operazione, prima in quella di realizzazione dell’opera e poi in quella operativa rivolta alla gestione del bene pubblico.

Da altro punto di vista il regime tributario specifico del PF garantisce la co-erenza con il sistema dei valori tributari costituzionali in quanto la sostituzio-ne pro tempore del privato al pubblico è finalizzata alla realizzazione di una parte delle spese pubbliche, quale obiettivo primario del concorso.

L’ottica temporale ha consentito, dunque, un apprezzamento della ragione-volezza della disciplina del PF evidenziando la coerenza del rapporto tra la du-rata del regime fiscale e l’estensione temporale dell’attività imprenditoriale, ri-volta alla realizzazione e alla gestione di una opera di interesse pubblico attra-verso l’intervento diretto del privato, in sostituzione al pubblico.

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Susanna Cannizzaro

SPUNTI DI RIFLESSIONE SULLA POSSIBILE INTRODUZIONE DI ALIQUOTE IVA

RIDOTTE PER BENI E SERVIZI “VERDI”

REMARKS ON THE POSSIBLE INTRODUCTION OF REDUCED VAT RATES FOR “GREEN-ORIENTED” GOODS AND SERVICES

Abstract Si afferma ormai da tempo, soprattutto a livello europeo, che attraverso lo stru-mento fiscale si potrebbero efficacemente perseguire gli obiettivi di tutela ambien-tale. La determinazione di un prelievo differenziato, per l’IVA in particolare, a favo-re dei prodotti e dei servizi “verdi” potrebbe risultare funzionale all’espansione del relativo mercato. Il lavoro fornisce un contributo per l’esame delle prospettive in quest’ambito. Parole chiave: IVA, prodotti “ecologici”, servizi “ecologici”, aliquote, riduzione

From a long time, especially at European level, scholars have stressed that taxes may be an ideal tool for effectively pursue the goals of environmental protection. The introduc-tion of a differentiated levy, in particular for VAT, in favor of “green” products and ser-vices may be considered functional to stimulate to the expansion of their market. The paper represents a contribution to the analysis of future perspectives in this field. Keywords: VAT, “green” goods, “green” services, tax rates, reduction

Intervento cofinanziato dal Fondo di Sviluppo e Coesione 2007-2013 – APQ Ricerca Regione Puglia “Programma regionale a sostegno della specializzazione intelligente e della soste-nibilità sociale ed ambientale – FutureInResearch”.

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SOMMARIO: 1. La tutela dell’ambiente e la sua rilevanza sociale nella dimensione interna ed europea. – 2. Gli strumenti fiscali e la tutela dell’ambiente. – 2.1. Il sistema delle aliquote IVA nella Direttiva IVA. – 2.1.1. Aliquota IVA agevolata per i prodotti e i servizi “ecologici”. – 2.1.2. Aliquota IVA agevolata in ragione dell’esistenza di presupposti soggettivi. – 2.2. Società benefit e perseguimento di finalità sociali.

1. La tutela dell’ambiente e la sua rilevanza sociale nella dimensione interna ed europea

Negli studi condotti sul tema e nella legislazione, si è gradualmente affer-mata l’autonomia e la centralità del bene ambiente come autonomo oggetto di tutela ed è stata riconosciuta la sua dignità di valore costituzionale. La giuri-sprudenza della Consulta, nel tempo, si è evoluta verso un’impostazione in base alla quale l’ambiente costituirebbe un bene giuridico unitario oggetto di specifici istituti e discipline tutte riconducibili al perseguimento di un solo in-teresse, rilevante a livello ordinamentale, con la conseguente connotazione trasversale del tema e la necessità di un approccio multidisciplinare ad esso

1. Secondo un’impostazione che si condivide, la rilevanza costituzionale del

bene ambiente e la necessità che ad esso venga apprestata tutela dovrebbe ri-cavarsi dal principio fondamentale di solidarietà sancito dall’art. 2 Cost. Chi assume che tra i doveri di solidarietà possa annoverarsi anche quello ambien-tale afferma l’esistenza di un diritto oggettivo inteso come insieme di prescri-zioni, comprese nei vari rami del diritto, che definiscono i comportamenti do-verosi di solidarietà ambientale

2. Un tale approccio consente anche la collo-cazione del richiamato dovere di solidarietà ambientale in posizione di speci-ficità e di autonomia rispetto ad altri doveri di natura economica o sociale. In assenza del primo, infatti, i secondi finirebbero per fallire lo scopo costituzio-nale loro assegnato, posto che l’integrità dell’ambiente si pone quale presup-posto del vivere delle relazioni e della stessa esistenza tanto della collettività in cui la solidarietà si esplica, quanto dei singoli membri di essa.

1 Si rinvia in tema a MOSTACCI, L’ambiente e il suo diritto nell’ordito costituzionale, in Trat-tato di diritto dell’ambiente, I, Le politiche ambientali, lo sviluppo sostenibile e il danno, a cura di Ferrara-Gallo, coordinato da Videtta, Milano, 2014, p. 271 ss.

2 Si veda sul punto FRACCHIA, Sulla configurazione giuridica unitaria dell’ambiente: art. 2 Cost. e doveri di solidarietà ambientale, in Dir. econ., 2002, p. 215 s.

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In base a questa tesi l’adempimento dei doveri di solidarietà ambientale costituirebbe un presupposto per la realizzazione del programma costituzio-nale relativo allo sviluppo della persona umana. La tutela da apprestare non dovrebbe, dunque, rivolgersi alla sola natura e al suo equilibrio ecologico, ma all’intero ambiente di vita dell’uomo al fine di preservare le sue possibilità di sviluppo economico e personale. L’assetto costituzionale testimonia l’apprez-zamento unitario dei beni ambientali, paesaggistici e culturali, in specie ove impone la tutela congiunta dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali (art. 117, lett. s).

Nella prospettiva delineata, l’orientamento classico, che configura il rap-porto tra uomo e ambiente in termini di diritto soggettivo, appare recessivo, mentre emerge il carattere doveroso della funzione di tutela di un “bene co-mune” da parte di tutti i soggetti dell’ordinamento, tanto pubblici che priva-ti

3. Spunti in questo senso vengono ritrovati anche nel disposto degli artt. 41 e 42 Cost., laddove, a fronte del riconoscimento della libertà di iniziativa eco-nomica, si prevede la possibilità che l’impresa sia assoggettata – secondo il vin-colo della riserva di legge – a programmi e controlli finalizzati a garantire il ri-spetto della libertà, dignità, sicurezza dei cittadini

4. Pure le norme costituzio-nali che instaurano un collegamento tra sviluppo economico, coesione e solida-rietà sociale, con la specifica previsione di speciali interventi atti a rimuovere gli squilibri economici e sociali e favorire l’effettivo esercizio dei diritti delle persone (art. 119 Cost.), ben si presterebbero, secondo alcuni, ad un’applica-zione nel settore ambientale

5. L’attuazione di un fine solidaristico – attraverso il contemperamento tra l’in-

teresse della collettività e delle generazioni future a godere di un ambiente sa-no e a non vedere precluse le possibilità di uno sviluppo personale e l’interes-se al progresso economico – emerge con più evidenza nel sistema sovranazio-nale. La definizione di una politica ambientale comune è oggi inclusa a pieno titolo fra le azioni dell’Unione volte al perseguimento degli obiettivi sanciti dal

3 Per l’analisi della problematica nei suoi più specifici termini si rinvia a MOSTACCI, op. cit., p. 300 ss.

4 BIFULCO-D’ALOIA, Le generazioni future come nuovo paradigma del diritto costituzionale, in ID. (a cura di), Un diritto per il futuro. Teorie e modelli dello sviluppo sostenibile e della responsabi-lità intergenerazionale, Napoli, 2008, p. IX ss. V. sul punto anche PENNASILICO, Sviluppo sosteni-bile, legalità costituzionale e analisi “ecologica del contratto”, in Persona e Mercato, n. 1, 2015, p. 40.

5 Si veda, anche per ulteriori riferimenti, DELL’ANNO, La tutela dell’ambiente come “mate-ria” e come valore costituzionale di solidarietà e di elevata protezione, in Ambiente e Sviluppo, 2009, p. 285 ss.

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Trattato 6. Tra i menzionati, obiettivi è infatti esplicitamente annoverata la re-

alizzazione di uno sviluppo economico sostenibile e il raggiungimento di un elevato livello di protezione dell’ambiente

7. Dopo le modifiche operate ai Trat-tati la tutela ambientale ha assunto una portata trasversale posto che le esi-genze ad essa connesse devono essere integrate nella definizione e nell’attua-zione delle altre politiche ed azioni comunitarie, in particolare nella prospetti-va di promuovere lo sviluppo sostenibile

8. Inoltre l’elevazione della Carta di Nizza

9 a rango di diritto europeo primario 10 ha fatto assurgere anche l’obietti-

vo di tutela ambientale alla stregua di valore giuridico, valore già riconosciuto meritevole di tutela dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sebbene non esplicitamente previsto nella Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti del-l’Uomo e delle Libertà Fondamentali. È parso particolarmente significativo che la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea abbia collocato la tute-la dell’ambiente e il richiamo allo sviluppo sostenibile proprio nel Capo IV dedicato alla “Solidarietà”

11.

2. Gli strumenti fiscali e la tutela dell’ambiente

Per l’attuazione della politica ambientale da molto tempo, a livello euro-peo, s’invoca la necessità di stimolare l’impiego, a diversi livelli di governo, di

6 Trattato di Maastricht del 2 ottobre 1997. Si veda oggi l’art. 3, lett. l) del Trattato istitu-tivo della comunità europea versione consolidata. La dottrina sostiene che, ancor prima della formale inclusione tra le competenze della UE, la politica ambientale poteva essere collegata a quei principi di struttura sui quali poggiavano comunque i trattati e dei quali potevano con-siderarsi come principi costituzionali. V. sul punto VACCA, La politica comunitaria dell’am-biente e la sua attuazione negli stati membri, Milano, 1992, p. 100.

7 In tema sia consentito il rinvio a CANNIZZARO, La matrice solidaristica dei principi europei e internazionali in materia ambientale e il ruolo della fiscalità nel sistema interno, in Riv. dir. trib., 2017.

8 Art. 3c, oggi art. 6 TCE (versione consolidata); art. 11 TFUE. 9 L’art. 37 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea rubricato “Tutela

dell’ambiente” prevede quanto segue: «Un livello elevato di tutela dell’ambiente e il migliora-mento della sua qualità devono essere integrati nelle politiche dell’Unione e garantiti confor-memente al principio dello sviluppo sostenibile».

10 Com’è noto l’art. 6, par. 1 del TUE prevede che «L’unione riconosce i diritti le libertà e i principi sanciti nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo che ha lo stesso valore giuridico dei Trattati».

11 V. sul punto VIDETTA, Lo sviluppo sostenibile. Dal diritto internazionale al diritto interno, in Trattato di diritto dell’ambiente, a cura di Ferrara-Sandulli, Le politiche ambientali lo svilup-po sostenibile e il danno, I, Milano, 2014, p. 237.

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strumenti di mercato economici e fiscali per modificare i comportamenti dan-nosi per l’ambiente. Tale esigenza è stata evidenziata anche, più di recente, nel Sesto programma comunitario d’azione in materia di ambiente

12 e ribadita nel Settimo. Uno degli obiettivi prioritari sanciti da quest’ultimo programma è quello di garantire investimenti a sostegno delle politiche in materia di am-biente e clima e tener conto delle esternalità ambientali eliminando gradual-mente le sovvenzioni, previste a livello europeo ed interno, facendo maggiore ricorso a strumenti quali, ad esempio, le misure fiscali ed espandendo al con-tempo i mercati per i beni e i servizi ambientali

13. Dalla lettura del programma emerge anche il nuovo concetto di “econo-

mia circolare”. Con tale locuzione si vuol far riferimento ad un sistema in cui tutte le attività, a partire dall’estrazione e dalla produzione, sono organizzate in modo che i rifiuti di qualcuno diventino risorse per qualcun altro

14. In que-st’ottica l’Unione mira a promuovere sia tra i produttori che tra i consumato-ri l’efficienza nell’uso delle risorse con l’adozione di misure volte a migliorare ulteriormente la prestazione ambientale di beni e servizi sul mercato nel cor-so del loro intero ciclo di vita e ad aumentare l’offerta di prodotti sostenibili, stimolando un aumento della domanda di tali prodotti attraverso una com-binazione equilibrata di incentivi per i consumatori e per gli operatori eco-nomici.

Sotto questo profilo si deve ricordare che, a livello europeo, si è anche af-fermata l’idea che all’impresa debba essere riconosciuta una “responsabilità so-ciale”, formula con la quale si vuole intendere l’impegno volontario a contribui-re di propria iniziativa a migliorare la società e a rendere più pulito l’ambiente assunto dagli operatori economici. Quest’ultimo rappresenta uno degli obiet-tivi, fissati a livello sovranazionale, sul quale le imprese sono invitate a concen-trare il massimo sforzo su base spontanea nello svolgimento delle consuete atti-

12 Decisione n. 1600/2002/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 luglio 2002, che istituisce il sesto programma comunitario di azione in materia di ambiente in G.U.U.E. L 242 del 10 settembre 2002.

13 Obiettivo prioritario n. 6 del Settimo programma d’azione per l’ambiente 2013-2020 (decisione 20 novembre 2013, n. 1386/2013/UE del Parlamento europeo e del Consiglio “Vivere bene entro i limiti del nostro pianeta” pubblicato nella G.U.U.E. L. 354 del 28 dicembre 2013), cui ha fatto seguito anche il Reg. UE 11 dicembre 2013, n. 1293, pubblicato nella G.U.U.E. L 347 del 20 dicembre 2013, che istituisce il programma per l’ambiente e l’azione per il clima (life) per il periodo dal 1° gennaio 2014 al 31 dicembre 2020.

14 V. in tema Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni, Verso un’economia circo-lare: programma per un’Europa a zero rifiuti, /* com/2014/0398 final/2 */.

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vità commerciali. Lo schema suggerito dovrebbe servire a condizionare la con-dotta dei soggetti economici, soprattutto quando sono chiamati ad operare fuo-ri dal continente europeo e, in generale, negli Stati con scarse tradizioni ecolo-giche

15. Nel Libro Verde, “Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese” (p.to 2.1.4)

16 la Commissione ha affermato che «una ri-duzione del consumo delle risorse o delle emissioni inquinanti e dei rifiuti può comportare una diminuzione delle ripercussioni sull’ambiente. Tale strategia può recare vantaggi all’impresa riducendo la sua fattura energetica e le spese di eliminazione dei rifiuti abbassando le spese di materie prime e di misure con-tro l’inquinamento»

17. Con riferimento alla tematica che ci occupa, occorre segnalare che, già da

tempo, l’emersione di un interesse alla riduzione dell’impatto ambientale del-la attività produttive ha portato all’adozione della cosiddetta PIP (o IPP Inte-grated Product Policy), basata sull’assunto che le politiche ambientali di pro-dotto non possano esclusivamente concentrarsi sulle grandi forme di inqui-namento

18. Come possibile compito delle parti interessate la Commissione ritiene che «promuovere e incoraggiare, ove opportuno, il ricorso a misure fi-scali, quali imposte e incentivi ambientali, per favorire i prodotti più ecologi-ci» possa risultare un’azione efficace per l’attuazione della politica integrata dei prodotti.

A questo proposito la determinazione di un prelievo differenziato, per l’IVA in particolare, a favore dei prodotti ecologici potrebbe risultare funzio-nale all’espansione del mercato dei prodotti “verdi”.

Al riguardo si deve richiamare l’attenzione sul fatto che in giurisprudenza è invalsa l’idea per cui le esenzioni, nel sistema dell’IVA, abbiano la finalità di contribuire a sviluppare taluni settori di estrema rilevanza per la collettività:

15 Commissione, Libro verde, Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese, COM (2001)366. In dottrina, SCIAUDONE, Iniziative comunitarie in tema di re-sponsabilità sociale delle imprese: prime riflessioni, in Dir. pubbl. comp. eu., 2003, p. 1419 ss.

16 Citato alla nota precedente. 17 A questo riguardo la Commissione ricorda l’esperienza della Politica Integrata dei Pro-

dotti (PIP), (di cui si tratterà infra nel testo) quale buon esempio di approccio che autorizza una collaborazione tra pubblici poteri e imprese. Per questa ragione, la Commissione consi-dera la Politica Integrata dei Prodotti (PIP) come un quadro solido di riferimento per la promozione della responsabilità sociale delle imprese. In tema PORCHIA, Tutela dell’ambiente e competenze dell’unione europea, in Riv. it. dir. pubbl. com., fasc. 1, 2006, p. 17.

18 COM(2003)302 def., Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento Europeo Politica integrata dei prodotti, Sviluppare il concetto di “ciclo di vita ambientale”, Bru-xelles, 18 giugno 2003.

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queste ultime, infatti, sono ispirate dalla «volontà di garantire a tali attività un trattamento più favorevole in materia di IVA». Si è osservato in tal senso che «le esenzioni costituiscono benefici fiscali, strutturati come misure di aiuto di carattere economico e di tenore negativo». Esse «soddisfano criteri di tipo oggettivo, liberando dall’imposta determinati fatti che, diversamente, rimar-rebbero soggetti ad imposizione, allo scopo di stimolare i settori corrispon-denti. Sono quindi esentati i negozi giuridici, non i soggetti che li effettuano, sebbene siano questi ultimi ad esserne agevolati

19». Analoghe considerazioni potrebbero valere anche per le riduzioni dell’aliquota visto che l’introduzione di un prelievo differenziato su beni e servizi “verdi” potrebbe appuntarsi sulla finalità sociale della misura, anch’essa diretta alla realizzazione degli obiettivi sanciti dai Trattati. Anche in giurisprudenza emerge infatti la tendenza a rico-noscere alla «Comunità non soltanto una finalità economica ma anche socia-le: i diritti che derivano dalle disposizioni del Trattato» relative all’instaurazio-ne del mercato unico «devono essere bilanciati con gli obiettivi perseguiti dalla politica sociale»

20. Secondo alcuni, gli stessi principi prima richiamati solo a tu-tela della concorrenza (come ad esempio il principio di neutralità) devono oggi essere letti in una diversa ottica, con la conseguenza che essi diventano stru-menti per la promozione dei nuovi obiettivi posti dai Trattati e per la salvaguar-dia dei principi fondamentali dell’Unione

21.

2.1. Il sistema delle aliquote IVA nella Direttiva IVA

L’introduzione di un trattamento differenziato ai fini dell’applicazione dei tributi che gravano sugli scambi e dell’IVA in particolare impone, tuttavia, il superamento di alcuni ostacoli. In primo luogo occorre tener presente che ai sensi dell’art. 98, comma 2 della Direttiva «Le aliquote ridotte si applicano unicamente alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi delle categorie elencate nell’allegato III». Dunque, attualmente, le cessioni di beni o le pre-stazioni di servizi “verdi” possono scontare l’aliquota ridotta solo laddove pos-sano ricondursi alle categorie merceologiche specificamente individuate dal

19 Conclusioni dell’Avvocato Generale presentate in data 22 febbraio 2005, causa C-498/03. 20 Corte di Giustizia UE, 18 dicembre 2007, causa C-438/05. 21 Il principio di neutralità non può più essere considerato rilevante solo per la tutela del

mercato, ma risulta strettamente correlato (e funzionale) alla concorrenza, ma quale diretta espressione di altri valori generalmente riconosciuti: dunque, diventa esso stesso uno stru-mento fondamentale per rimuovere gli ostacoli sociali, anche in ambito tributario, secondo il noto “schema” dell’uguaglianza sostanziale Su tali aspetti si v. MONTANARI, Le operazioni esenti nel sistema dell’IVA, Torino, 2013, p. 72 ss.

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menzionato elenco, per lo più riferite a prodotti e servizi che soddisfano biso-gni primari.

Con l’allegato III della Direttiva n. 2006/112 (originariamente allegato H), il legislatore dell’Unione si proponeva, infatti, di individuare un paniere di be-ni essenziali nonché di beni e i servizi corrispondenti a scopi sociali o culturali che, in quanto non presentassero alcun rischio o pochi rischi di distorsione della concorrenza, potessero essere assoggettati ad un’aliquota ridotta del-l’IVA

22. In forza dell’art. 100 della stessa Direttiva, sulla base di una relazione della

Commissione, il Consiglio riesamina ogni due anni, l’ambito d’applicazione delle aliquote ridotte e può, deliberando con la procedura disciplinata dall’art. 113 TFUE

23, decidere di modificare l’elenco in questione 24. Tuttavia, l’esten-

sione del campo di applicazione delle aliquote ridotte a nuovi settori – e in particolare ai prodotti “ecologici” – era stata valutata negativamente dalla Com-missione Europea. Atteso che per i prodotti biologici o forniti di Ecolabel si applica in quasi tutti gli Stati membri l’aliquota normale, si era osservato che tale estensione avrebbe dato luogo ad una disarmonizzazione delle aliquote IVA. Pareva infatti necessario salvaguardare il livello di armonizzazione rag-giunto evitando di mettere anche in discussione il principio della neutralità dell’IVA applicabile ai prodotti simili. Si riteneva, inoltre, che la ripercussione di

22 In tal senso, sentenza Commissione/Paesi Bassi, C-41/09, p.to 52. 23 Il Consiglio, deliberando all’unanimità secondo una procedura legislativa speciale e pre-

via consultazione del Parlamento europeo e del Comitato economico e sociale, adotta le di-sposizioni che riguardano l’armonizzazione delle legislazioni relative alle imposte sulla cifra d’affari, alle imposte di consumo ed altre imposte indirette, nella misura in cui detta armo-nizzazione sia necessaria per assicurare l’instaurazione ed il funzionamento del mercato in-terno ed evitare le distorsioni di concorrenza.

24 Si vedano in proposito le modifiche apportate all’allegato III della Direttiva 5 maggio 2009, n. 2009/47/CE per effetto delle quali sono state comprese fra le operazioni assog-gettabili ad aliquota ridotta la fornitura di libri su qualsiasi tipo di supporto fisico, inclusi quelli in locazione nelle biblioteche (compresi gli stampati, i fogli illustrativi ed il materiale stampato analogo, gli album, gli album da disegno o da colorare per bambini, la musica stampata o manoscritta, le mappe e le carte idrografiche o altri tipi di carte), giornali e pe-riodici, escluso il materiale interamente o essenzialmente destinato alla pubblicità; la ripa-razione e ristrutturazione di abitazioni private, esclusi i materiali che costituiscono una parte significativa del valore del servizio reso; la pulitura di vetri e pulizie presso privati; i servizi di ristorazione e catering, con la possibilità di escludere la fornitura di bevande (alcoliche e/o non alcoliche); i piccoli servizi di riparazione di biciclette, di calzature e articoli in pel-le nonché di indumenti e biancheria per la casa (inclusi lavori di raccomodatura e di modi-fica); i servizi di assistenza domestica quali aiuto domestico e assistenza ai bambini, anzia-ni, malati o disabili; i parrucchieri.

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una riduzione delle aliquote IVA sui prezzi al consumo fosse molto spesso mo-desta e per giunta temporanea

25. La Commissione, di recente, pare invece aver assunto una posizione più

moderata rispetto alla possibilità di differenziare il prelievo all’interno, rico-noscendo l’obsolescenza del sistema IVA delineato dalla Direttiva e, in parti-colare, delle diposizioni che si riferiscono alle aliquote.

Le norme della Direttiva, infatti, erano state elaborate allo scopo di perve-nire ad una sistemazione definitiva basata sul principio della tassazione all’ori-gine. Il baricentro si è invece spostato verso il principio della tassazione nel paese di destinazione, mentre l’assetto delle aliquote non è mai stato adeguato in modo da rispecchiare questa logica

26. Ed in effetti, se la struttura del tributo si conforma tendenzialmente nel modo descritto, la limitazione posta dalla Direttiva agli Stati membri in ordine alla modulazione delle aliquote perde quasi integralmente la sua ragion d’essere. Il riconoscimento di una maggiore autonomia agli Stati membri impatterebbe, infatti, solo sulle scelte dei con-sumatori non anche sul comportamento degli operatori economici: i consu-matori potrebbero essere indotti ad attraversare le frontiere per acquistare gli

25 MEMO/03/149, Bruxelles, 16 luglio 2003. Per i prodotti ad alta prestazione ambienta-le, la commissione inoltre sosteneva che le richieste di aliquote ridotte presentate in tale con-testo potessero essere suddivise in 2categorie:

– richieste di aliquote ridotte per i beni e servizi determinabili come la cessione di bici-clette (a cui attualmente non si applicano aliquote ridotte) e i servizi di manutenzione e di riparazione di questi beni (a cui 4 Stati membri – Belgio, Irlanda, Lussemburgo e Paesi Bassi – applicano attualmente un’aliquota ridotta;

– richieste riguardanti beni di qualsiasi natura conformi a determinate norme ambientali ad esempio, i prodotti biologici o i prodotti che hanno ricevuto l’Ecolabel europeo.

Osserva in proposito la Commissione che, nella maggior parte dei casi, a questi beni e servizi viene applicata l’aliquota normale in tutti gli Stati membri.

26 Osserva la Commissione nella Comunicazione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale COM(2016)148 final – “Verso uno spazio unico europeo dell’iva – Il momento delle scelte”, Bruxelles, 7 aprile 2016: «Il Libro verde ha fornito l’op-portunità ideale per esaminare se sia ancora pertinente l’impegno assunto nel 1967 di sta-bilire un regime dell’IVA definitivo, che funzioni all’interno dell’UE nello stesso modo in cui funzionerebbe in un solo paese, basato sul principio dell’imposizione nel paese di ori-gine. Recenti discussioni con gli Stati membri hanno confermato che questo principio ri-mane politicamente irrealizzabile. Anche il Parlamento europeo – finora convinto sostenito-re del principio dell’origine – ha riconosciuto questa situazione di stallo e ha invitato a orien-tarsi verso il principio della destinazione. Anche le parti interessate riconoscono che il si-stema basato sull’origine, in teoria la scelta più interessante per loro, non sarà realizzabile nel prossimo futuro. Esse pertanto sostengono, come soluzione pragmatica e politicamen-te realizzabile, un sistema basato sull’imposizione nel luogo di destinazione che funzioni effi-cacemente».

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stessi beni e servizi con una tassazione inferiore, ma gli operatori economici non trarrebbero vantaggi significativi dal fatto di essere stabiliti in uno Stato che applica aliquote ridotte. Il corretto funzionamento del mercato non risul-terebbe, quindi, seriamente compromesso.

La Commissione ha peraltro osservato che le disposizioni vigenti della Di-rettiva, limitando la possibilità di diversificare le aliquote, rallentano e ostaco-lano l’estensione della tassazione ridotta a nuovi settori. In quest’ambito le decisioni devono infatti essere adottate all’unanimità

27. In definitiva, secondo la Commissione, una riforma con la quale si preveda

maggiore libertà per gli Stati membri permetterebbe loro di adottare più rapi-damente le decisioni che desiderano in materia di politica fiscale, sollevando l’UE da controversie inutili. La valutazione circa l’introduzione di un sistema più decentrato è, tuttavia, di natura politica.

Ad ogni modo l’organo esecutivo europeo ha prospettato due opzioni in merito alla riforma. La prima ipotesi prevede l’ampliamento e il riesame pe-riodico dell’elenco di beni e servizi ammissibili alle aliquote ridotte: in tal mo-do l’elenco verrebbe riesaminato nel contesto del passaggio al sistema defini-tivo e, in seguito, a intervalli regolari tenendo conto soprattutto delle priorità di ordine politico. La Commissione, ricevuti i pareri degli Stati membri in me-rito alle esigenze di adeguamento, effettuerebbe una valutazione sui rischi per il funzionamento del mercato unico o circa eventuali effetti distorsivi sulla con-correnza e comunicherebbe le proprie conclusioni prima di apportare qualsia-si modifica. Con questa opzione tutte le aliquote ridotte attualmente in vigore e legalmente applicate negli Stati membri, deroghe comprese, verrebbero man-tenute e potrebbero essere introdotte altre riduzioni facoltative per tutti gli Stati membri, garantendo la parità di trattamento.

La seconda soluzione individuata si sostanzierebbe nell’abolizione dell’e-lenco e nel conseguente riconoscimento di una maggiore libertà per gli Stati nella scelta del numero e del livello delle aliquote ridotte, ancorché tale l’auto-nomia, secondo la Commissione, dovrebbe necessariamente essere accompa-

27 Bruxelles, 7 aprile 2016, COM(2016)148 final, cit. La Commissione europea aveva già lanciato, in data 8 ottobre 2012, una consultazione pubblica sulla riforma delle aliquote nel sistema normativo dell’UE, nel quadro della revisione delle norme che regolano l’imposta, in previsione del passaggio al Regime Definitivo. Sulla base delle risposte pervenute, la Com-missione ha adottato la Comunicazione al Parlamento europeo sul Futuro dell’IVA (doc. COM 2011/851), sul cui contenuto si è espresso favorevolmente il Consiglio europeo (doc. 29 febbraio 2012, n. 6871/12 e 15 maggio 2012, n. 9733/12). Sulla riforma del sistema IVA si veda anche il “Libro Verde” sul futuro dell’IVA. Verso un sistema dell’IVA più semplice, solido ed efficiente {SEC(2010)1455 def.}, Bruxelles, 1° dicembre 2010 COM(2010)695 def.

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gnata da una serie di norme di base che definiscano i casi in cui la riduzione possa essere applicata

28. La scelta di una tale opzione comporterebbe l’aboli-zione dell’aliquota IVA normale minima, ma il mantenimento di tutte le ali-quote ridotte attualmente in vigore.

La riforma in questione dovrebbe peraltro prendere avvio, secondo la scan-sione temporale dettata dalla Commissione, proprio nel 2017. La stessa Com-missione europea ha anche aperto una consultazione pubblica sulla proposta di modifica della Direttiva in questione. La consultazione – diretta alle impre-se, alle amministrazioni o alle autorità nazionali, agli esperti fiscali, alle orga-nizzazioni rappresentative e ai cittadini in generale – è stata aperta fino al 20 marzo 2017.

2.1.1. Aliquota IVA agevolata per i prodotti e i servizi “ecologici” Se l’interrogativo che in questa sede si pone riguarda la possibilità di in-

trodurre aliquote iva ridotte per i beni ed i servizi ad alta prestazione ambien-tale, è necessario osservare che nel sistema attuale, come in quello che potrà delinearsi all’esito della prospettata riforma è comunque necessario indivi-duare preliminarmente dei criteri oggettivi di valutazione di tali prestazioni ambientali.

Un’alternativa prospettabile parrebbe quella di identificare i prodotti attra-verso l’utilizzo di specifici marchi di qualità ecologica, quale può essere l’Eco-label

29. Ma gli strumenti per rendere noti ai consumatori i sistemi di eco-ef-ficienza

30 utilizzati dall’impresa per la realizzazione dei prodotti o dei servizi

28 In particolare si potrebbe chiedere agli Stati membri di informare la Commissione e gli altri Stati membri in merito a tutte le nuove misure e valutarne l’impatto sul mercato unico. Per impedire una concorrenza fiscale sleale nell’ambito degli acquisti transfrontalieri, una possibile soluzione potrebbe essere costituita dal divieto di applicare aliquote ridotte a beni e servizi di elevato valore, in particolare a beni facilmente trasportabili. Per garantire la coerenza globale e la semplicità del sistema delle aliquote si potrebbe limitare il numero complessivo delle aliquo-te ridotte consentite dagli Stati membri. V. COM(2016)148 final, cit.

29 L’Ecolabel è uno strumento volontario di etichettatura ecologica introdotto da un Re-golamento CE del 1992 (n. 880/1992) e successivamente modificato nel 2000, è stato disci-plinato nel sistema interno col D.M. n. 413/1995 e successivamente modificato nel 1998 con D.M. n. 236. Esso rappresenta un marchio di qualità informativa, finalizzato non solo a soddisfare la c.d. “domanda verde” ma anche ad implementare processi produttivi che pro-pongano livelli qualitativi più elevati di quelli previsti normativamente. L’Ecolabelè oggi di-sciplinato dal Reg. (CE) n. 66/2010.

30 La nozione di eco efficienza è stata elaborata in occasione della Conferenza internazio-nale di Rio nel 1992 (United Nation Conference on Enviroment and development). Il Bussiness Council for Sustainable Development (BCSD poi WBCSD “World Bussiness Council for Sustai-nable Development”) ha affermato in proposito: «si raggiunge l’eco efficienza quando si con-

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sono diversi e la materia è assai vasta. Esistono infatti metodi di progettazione ed etichettatura ecologica basati sulla valutazione del ciclo di vita del prodotto (life cycle assesment, noti come LCA) sia i sistemi di gestione ambientale (SGA) ad essi strettamente correlati, inerenti alle strutture, responsabilità e procedu-re adottati dalle imprese

31. L’individuazione di un parametro specifico per l’identificazione del pro-

dotto ecologico non risolve tuttavia il problema riguardante il principio di neu-tralità fiscale.

Secondo un consolidato orientamento, il principio di neutralità «costitui-sce la traduzione in materia di IVA del principio della parità di trattamento»: infatti, «il principio generale della parità di trattamento, di cui il principio di segnano beni di prezzo competitivo e servizi che soddisfino le esigenze umane e aumentino la qualità della vita mentre al contempo si riducono gli impatti ambientali e l’intensità delle risorse lungo tutto il ciclo di vita ad un livello al massimo in linea con le capacità che si stima-no sopportabili dalla terra».

31 Gli LCA sono stati elaborati negli Stati Uniti durante gli anni ’70 ed attengono – co-me si evince dalla locuzione life cycle assessment – alla valutazione dell’impatto ambientale di un prodotto dal momento dell’estrazione della relativa materia prima, sino alla quantifica-zione della mole di rifiuti ottenuti da suo utilizzo. Secondo i principi guida della SETAC (Society for Environmental Toxilogy and Chemistry) la LCA è un procedimento oggettivo di valutazione di carichi energetici ed ambientali relativi ad un processo o ad un’attività, effet-tuato attraverso l’identificazione dell’energia e dei materiali usati e dei rifiuti rilasciati nel-l’ambiente. La valutazione include l’intero ciclo di vita del processo o attività, comprenden-do l’estrazione ed il trattamento di materie prime, la fabbricazione, il trasporto la distribu-zione, l’uso, il riuso, il riciclo e o smaltimento finale. Gli SGA rappresentano uno strumento di strategia proattiva adottabile all’interno dell’azienda e il loro utilizzo determina il rilascio di una certificazione funzionale ad asseverare i risultati ottenuti dall’adozione di una politi-ca ambientale mirata al miglioramento di aspetti fondamentali della produzione. Con la lo-cuzione “Sistema di Gestione Ambientale” s’intende il sistema di gestione complessivo com-prendente la struttura organizzativa, la responsabilità, le procedure i processi e le risorse a-dottate per dare attuazione al programma ambientale. Sui temi trattati si rinvia ad ADDAN-TE, Responsabilità sociale dell’impresa, in Dig. disc. priv. sez. civ., Agg.***, 2007, II, p. 1139 ss. Al fine di promuovere la competitività del sistema produttivo italiano nel contesto della cre-scente domanda di prodotti a elevata qualificazione ambientale sui mercati nazionali e in-ternazionali, è stato di recente istituito (art. 21, L. n. 221/2015), lo schema nazionale vo-lontario per la valutazione e la comunicazione dell’impronta ambientale dei prodotti, deno-minato “Made Green in Italy”. Tale schema adotta la metodologia per la determinazione del-l’impronta ambientale dei prodotti, come definita nella Raccomandazione 2013/179/UE della Commissione europea, del 9 aprile 2013. Lo schema nazionale volontario e il relativo regolamento sono finalizzati a disciplinare la procedura per l’adozione di un Piano per la qualificazione ambientale dei prodotti dei sistemi produttivi locali, dei distretti industriali e delle filiere che caratterizzano il sistema produttivo nazionale. Il Piano è volto anche a raf-forzare la qualificazione ambientale dei prodotti agricoli, attraverso l’indicazione della pro-venienza degli stessi da filiere corte.

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neutralità fiscale costituisce un’espressione particolare a livello di diritto deri-vato dell’Unione e nel settore peculiare della fiscalità, impone di non trattare in modo diverso situazioni analoghe, salvo che una differenza di trattamento sia obiettivamente giustificata»

32. Occorre altresì considerare che il riconoscimento di un maggior potere

agli Stati per la differenziazione delle aliquote potrebbe trovare un necessario limite nella disciplina degli aiuti di Stato. Tale questione è stata per lungo tem-po marginale in ambito IVA, tributo che trova applicazione uniforme nei pae-si dell’Unione. La Commissione europea ha da sempre ritenuto che «le ridu-zioni dell’IVA sono rigorosamente disciplinate da disposizioni comunitarie e rispondono ad una logica di parità di trattamento fiscale per prodotti simili»: quindi, tali «riduzioni non rientrano, di norma, nel disposto dell’art. 87

33». A questo proposito occorre comunque considerare che la tutela della concor-renza ha assunto un diverso peso a livello europeo, dopo il Trattato di Lisbo-na e, dunque, pare potersi considerare uno strumento e non un fine dell’Unio-ne

34. Con le modifiche al Trattato è stato peraltro recepito un orientamento già emerso nell’applicazione del diritto comunitario in base al quale la tutela del mercato e della concorrenza trova un limite nell’attuazione degli obiettivi e degli interessi sociali dei singoli Stati membri

35. In tema pare comunque utile fare riferimento all’interpretazione che la Cor-

te di Giustizia ha fornito con riguardo all’art. 12, par. 3, lett. a), comma 3, del-la VI Direttiva

36. La norma in questione, secondo la giurisprudenza, non im-pone l’applicazione dell’aliquota ridotta a tutte le prestazioni o le cessioni ap-partenenti ad una data categoria indicata nell’allegato H della Direttiva stessa

37. Un’applicazione selettiva dell’aliquota ridotta non può quindi a priori essere

32 Da ultimo, Corte di Giustizia UE, 31 gennaio 2013, causa C-643/11; 19 dicembre 2012, causa C-549/11. Conforme, tra le tante, Corte di Giustizia UE, 15 novembre 2012, causa C-532/11.

33 Comunicazione 9 febbraio 2004, C (2004)434, “Relazione sulla attuazione della Comu-nicazione della Commissione sulla applicazione delle norme relative agli aiuti di Stato alle misure di tassazione diretta delle imprese”.

34 V. sul punto SALVINI, I regimi fiscali e la concorrenza tra imprese, in MONTALENTI (a cura di), Unione Europea: Concorrenza tra imprese e concorrenza tra Stati, Quaderni di Giurispru-denza commerciale, Milano, 2016, p. 76, la quale osserva che il riferimento all’economia di mercato è stato arricchito dell’aggettivo “sociale”.

35 V. FRANSONI, Profili fiscali della disciplina comunitaria degli aiuti di Stato, Pisa, 2007, p. 25 ss.

36 Il cui testo è sostanzialmente riprodotto nell’art. 98, parr. 1 e 2 attualmente vigente. 37 V. sentenza Commissione/Francia, richiamata nella nota seguente, p.to 27.

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esclusa, ma in tali casi non deve generarsi alcun rischio di distorsione della concorrenza

38. La Corte ha conseguentemente dichiarato che, fatto salvo il rispetto del

principio di neutralità fiscale inerente al sistema comune dell’IVA, gli Stati membri possono applicare un’aliquota IVA ridotta in relazione ad aspetti con-creti e specifici delle prestazioni e dei beni compresi nelle categorie indicate, nell’allegato III della Direttiva IVA (originariamente allegato H della sesta Di-rettiva)

39. Ne consegue che l’esercizio della facoltà di procedere ad un’appli-cazione selettiva dell’aliquota IVA ridotta, riconosciuta agli Stati membri, è soggetto alla duplice condizione, da un lato, di isolare dalla categoria di pre-stazioni o di beni interessata, ai fini dell’applicazione dell’aliquota ridotta, sol-tanto elementi concreti e specifici e, dall’altro, di rispettare il principio di neu-tralità fiscale. Tali condizioni sono volte a garantire che gli Stati membri uti-lizzino tale facoltà soltanto in circostanze che assicurino l’applicazione sem-plice e corretta dell’aliquota ridotta prescelta nonché la prevenzione di frodi, elusioni e abusi eventuali

40. Secondo consolidata giurisprudenza, il principio di neutralità fiscale osta, in

particolare, a che merci o prestazioni di servizi simili, che si trovano quindi in concorrenza fra loro, siano trattate in modo diverso ai fini dell’IVA

41. Ma, per determinare se due prestazioni di servizi o due beni siano simili in base alle in-dicazioni fornite da tale giurisprudenza, occorre tener conto principalmente del punto di vista del consumatore medio, evitando distinzioni artificiose, basate su differenze trascurabili

42. Due prestazioni di servizi o due beni sono quindi simili quando presentano proprietà analoghe e rispondono alle medesime esigenze del consumatore, in base ad un criterio di comparabilità dell’uso, e quando le differenze esistenti non influiscono significativamente sulla decisione del con-sumatore medio di optare per l’una o l’altra di tali prestazioni

43.

38 V. sentenza del 6 maggio 2010, Commissione/Francia, C-94/09, p.to 25 e giurispruden-za richiamata. La Corte ha infatti precisato che l’art. 98, parr. 1 e 2, della Direttiva IVA ricalca sostanzialmente il tenore dell’art. 12, par. 3, lett. a), della VI Direttiva, si deve quindi richia-mare l’interpretazione di quest’ultima disposizione fornita dalla Corte medesima.

39 V., in tal senso, sentenza Commissione/Francia, citata supra, p.ti 26 e 27 nonché la giu-risprudenza ivi richiamata.

40 V. sentenza Commissione/Francia, citata supra, p.to 30. 41 V. sentenza del 10 novembre 2011, The Rank Group, C-259/10 e C-260/10, p.to 32 e

giurisprudenza richiamata. 42 V. sentenza The RankGroup, cit., p.to 43 e giurisprudenza richiamata. 43 V. sentenza The Rank Group, cit., p.to 44 e giurisprudenza richiamata.

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Si deve inoltre ricordare che, secondo la giurisprudenza, al fine di valutare la comparabilità o meno di prestazioni o beni, non ci si può limitare a prende-re in considerazione prestazioni isolate, bensì occorre tener conto del conte-sto in cui queste vengono effettuate

44. A tal riguardo, la Corte ha riconosciuto che, in taluni casi eccezionali, alla luce delle peculiarità dei settori considerati, differenze del contesto normativo e del regime giuridico che disciplina le ces-sioni di beni o le prestazioni di servizi interessate possono creare una distin-zione agli occhi del consumatore in termini di rispondenza alle proprie esi-genze

45. Il servizio o il prodotto “verde” dovrebbero, allora, rispetto agli altri pro-

dotti similari, soddisfare specifiche esigenze dei consumatori. Elemento che assume una notevole rilevanza nella valutazione in parola è la tendenza dei soggetti privati di perseguire, anche attraverso l’attività di consumo, la tutela delle risorse materiali e immateriali. Il consumatore, infatti, si mostra sempre più spesso partecipe a ciò che accade nel contesto ambientale, sociale e cultu-rale, ed è preoccupato dei riflessi che il suo comportamento (e quello degli al-tri) può avere sia nel presente (dimensione spaziale: altri popoli, altre classi so-ciali, altri gruppi etnici) che nel futuro (solidarietà intergenerazionale). In que-sto ambito è possibile identificare una esigenza “ecologica” in ragione della quale il consumatore si mostra particolarmente attento agli effetti delle attivi-tà di produzione e di consumo in termini di inquinamento delle risorse mate-riali. A tali esigenze rispondono, in effetti, i prodotti “verdi” e i prodotti realiz-zati mediante processi produttivi “più gentili” (prodotti biologici, lotta inte-grata), così come le confezioni con minor contenuto di materiali e soprattutto realizzate con materiali ecologici. Talvolta il prodotto o il servizio possono di-venire un tramite per raggiungere altri obiettivi inerenti il contesto socio-ambientale, come nel caso dei prodotti associati a particolari progetti di tutela ambientale

46.

44 V. sentenza del 23 aprile 2009, TNT Post UK, C-357/07, p.to 38. 45 V., in tal senso, sentenza The Rank Group, cit., p.to 50 e giurisprudenza richiamata. 46 Ed in effetti guardando il fenomeno dal punto di vista delle imprese, l’esperienza deri-

vante dal ricorso ad alcuni strumenti di gestione ambientale dimostra che la crescente consa-pevolezza ambientale delle imprese può rivelarsi un fattore in grado di offrire a un vantaggio competitivo funzionale alla conquista di una fetta di mercato. In effetti, alcune imprese uti-lizzano le loro prestazioni ambientali anche come strumento di marketing. La politica am-bientale di prodotto favorirà queste imprese, garantendo loro soprattutto una maggiore visi-bilità. Sul punto v. COM (2003)302 def., Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento Europeo Politica integrata dei prodotti. Sviluppare il concetto di “ciclo di vita ambien-tale”, Bruxelles, 18 giugno 2003.

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In definitiva, il consumatore spesso integra nella propria scelta considera-zioni di carattere socio-ambientale, quand’anche ciò dovesse comportargli dei costi maggiori, e le sue scelte assumono sempre più frequentemente una va-lenza politica

47. Si deve notare al riguardo che l’ordinamento europeo si mo-stra assai sensibile alla sinergia tra azione individuale e collettiva, tra libera ini-ziativa e regolazione e – probabilmente in ragione della limitata possibilità di utilizzare strumenti immediatamente cogenti per il raggiungimento di finalità generali – spesso l’azione a livello sovranazionale fa leva sulla persuasione che si estrinseca in atti di soft-law. In tal modo l’Unione dà rilevanza e propulsione al principio di sussidiarietà orizzontale

48. In definitiva, l’introduzione nella lista attualmente contenuta nell’allegato

III alla Direttiva IVA dei prodotti ad alta prestazione ambientale, o comunque l’applicazione dell’aliquota ridotta da parte degli Stati Membri nell’ipotesi in cui venga loro concessa una più ampia autonomia, potrebbe risultare legitti-ma anche con riferimento al principio di neutralità, atteso che quest’ultimo,

47 V. in tema PIZZOLATO, Autorità e consumo. Diritti dei consumatori e regolazione del con-sumo, Milano, 2009, p. 179 ss. secondo il quale il consumo critico rappresenta l’idea sotto l’an-golo visuale dei consumatori, di un mercato eticamente orientato che non sia solo l’incontro di interessi individuali auto centrati e di breve periodo (egoistici), ma salvaguardi i diritti dell’uo-mo e del lavoratore e, insieme, le condizioni di un ambiente sano ed ospitale per la bio-diversi-tà. Attraverso il consumo critico una posizione tipicamente privata può assumere una di-mensione e una responsabilità di tipo pubblico.

48 Non a caso il Sesto programma di azione in materia ambientale riconosce ai consuma-tori un ruolo fondamentale perché la loro volontaria responsabilizzazione implementa e con-solida l’approccio normativo. V. sul punto DE LEONARDIS, La disciplina dell’ambiente tra Unione Europea e WTO, in Dir. amm., 2004, pp. 525-528; CORDINI, La tutela dell’ambiente idrico in Italia e nell’Unione Europea, in CORDINI-STROPPA (a cura di), Il bene acqua, realtà e prospettive sociali, Roma, 2006, p. 96 ss. Nella Comunicazione della Commissione COM(2001)264 def., Bruxelles, 15 maggio 2001, Sviluppo sostenibile in Europa per un mondo migliore: strategia dell’Unione europea per lo sviluppo sostenibile, nella quale si legge: «Un dialogo tempestivo e più sistematico – in particolare con i rappresentanti dei consumatori, di cui si tende spesso a trascurare gli interessi – può forse allungare i tempi di preparazione di una proposta, ma do-vrebbe migliorare la qualità della normativa e accelerarne l’applicazione … Per garantire che un’ampia fetta della popolazione si “impadronisca” del concetto di sviluppo sostenibile e della sua finalità, oltre alla maggiore apertura del processo di elaborazione delle politiche, sarà ne-cessario anche che ciascun individuo abbia la sensazione che le proprie azioni possano dav-vero fare la differenza». Analoghe considerazioni sono contenute nella comunicazione relativa alla PIP, cit. (allegato II) laddove si elencano compiti e responsabilità degli Stati membri del-le imprese, delle associazioni ambientaliste, ma anche delle associazioni dei consumatori ed infine dei consumatori stessi cui spetta, a parere della Commissione, «acquistare prodotti più ecologici; utilizzare e conservare i prodotti in modo da ridurre al minimo gli impatti ambien-tali; assicurare il corretto smaltimento dei prodotti».

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almeno secondo alcuni, può essere oggi inteso come strumento per la realiz-zazione degli scopi “sociali” che l’Unione si pone

49.

2.1.2. Aliquota IVA agevolata in ragione dell’esistenza di presupposti soggettivi Atteso che i comportamenti ecocompatibili possono considerarsi espressio-

ne di solidarietà sociale, gli Stati membri potrebbero anche valutare di intro-durre una riduzione dell’aliquota IVA per le operazioni (cessioni di beni o prestazioni di servizi) poste in essere da quei soggetti che, oltre avere scopo di lucro, istituzionalmente includono tra i propri obiettivi la realizzazione di un beneficio per la società e, in particolare, per l’ambiente, conformando di con-seguenza la propria attività.

Sebbene la Direttiva, come abbiamo visto, non contenga specifiche diposi-zioni di esenzione per le operazioni poste in essere da soggetti (imprenditori) green oriented né preveda la facoltà di ridurre direttamente le aliquote per i beni o i servizi “verdi”, esiste già una previsione in base alla quale sarebbe pos-sibile operare la riduzione in questione in ragione delle caratteristiche del sog-getto economico definibili in base all’attività svolta. L’allegato III contempla, infatti, una previsione in base alla quale gli Stati membri possono disporre la riduzione avendo riguardo alla natura del soggetto passivo, indipendentemen-te dalla tipologia di operazione effettivamente posta in essere (cessione di be-ni o prestazione di servizi). Si tratta delle cessioni di beni e prestazioni di ser-vizi effettuate da «organismi di cui è riconosciuto il carattere sociale dagli Sta-ti membri e che sono impegnati in attività di assistenza e di sicurezza sociale, nella misura in cui tali operazioni non siano esenti in virtù degli articoli 132, 135 e 136»

50. Occorre ricordare in proposito che la giurisprudenza, con riferimento

all’attuale assetto, esclude che l’art. 98 della Direttiva n. 2006/112 e il relativo allegato III, possano essere interpretati estensivamente atteso che l’applica-zione di una o di due aliquote ridotte è una possibilità riconosciuta in deroga agli Stati membri e le disposizioni che hanno carattere di deroga ad un princi-pio devono essere interpretate restrittivamente

51. Tuttavia, ciò non richiede il rispetto di un approccio tanto restrittivo da

escludere dall’ambito di applicazione della norma prima riportata – che intro-

49 V. supra, par. 2, nota 19. 50 V. Direttiva n. 2006/112/CE, allegato III, p.to 15. 51 V. in particolare sent. 18 gennaio 2001, causa C-83/99 Commissione/Spagna, p.ti 18 e

19 nonché giurisprudenza ivi citata, e Erotic Center, p.to 15, sent. 17 giugno 2010, C-492/08 della Corte di Giustizia CE, sez. I

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duce la possibilità di ridurre l’aliquota in relazione a circostanze “soggettive”– le persone fisiche ed enti privati che perseguono uno scopo di lucro

52, visto che secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE spetta agli Stati membri, fatta salva l’osservanza del principio di neutralità fiscale, inerente al sistema comune dell’IVA, di determinare con maggiore precisione tra le ces-sioni di beni e le prestazioni di servizi inclusi nelle categorie di cui all’allegato III menzionato, quelli ai quali si applica l’aliquota ridotta

53. Il significato dell’enunciato «organismi di cui è riconosciuto il carattere so-

ciale dagli Stati membri», attesa anche l’identità della formulazione normativa, si ritiene possa ricavarsi dall’art. 13, parte A, n. 1, lett. g), della VI Direttiva (a sua volta corrispondente all’art. 132, n. 1, lett. g), della Direttiva n. 2006/112) in quanto l’analisi effettuata rispetto ad una disposizione concernente le esen-zioni IVA vale, a maggior ragione, per l’allegato III relativo alle riduzioni delle aliquote.

Dunque, il termine di “organismo” può essere riferito sia alle persone fisi-che che alle società

54. Del pari, benché il perseguimento di uno scopo di lu-cro è stato valutato quale criterio pertinente da prendere in considerazione al fine di stabilire se un “organismo” presenti carattere sociale, esso non esclude affatto, in qualsiasi circostanza, l’esistenza di siffatto carattere

55. Dalla giuri-sprudenza emerge inoltre che gli Stati membri dispongono di ampia discre-zionalità quanto al riconoscimento del carattere sociale ad un dato soggetto, ma la riduzione dell’aliquota deve essere legata all’attività svolta stabilmente dall’ente e agli scopi da esso perseguiti. Ne consegue che, onde rispettare i termini del punto 15 dell’allegato III della Direttiva n. 2006/112, uno Stato membro può applicare un’aliquota IVA ridotta ad operazioni poste in essere da enti privati che perseguono uno scopo di lucro, non sulla sola base della valutazione delle operazioni, ma tenendo conto in particolare degli obiettivi perseguiti da detti enti considerati globalmente e della stabilità del loro im-pegno sociale

56. In altri termini, la linea di confine tra “organismi a carattere sociale” e sog-

getti carenti di tale requisito, non è tanto la ricerca sistematica del profitto, la

52 V. sentt. 7 settembre 1999, causa C-216/97, Gregg, in Racc., p. I-4947, p.to 17; 3 aprile 2003, causa C-144/00, Hoffmann, in Racc., p. I-2921, p.to 24, nonché KingscrestAssociates e Montecello, cit., p.ti 35e 47.

53 Corte di Giustizia UE, 3 aprile 2008, causa C-445/05, cause riunite C-454/12 e C-455/12. 54 V. citate sentt. Gregg, p.to 18, e Hoffmann, p.to 24. 55 V. sent. Kingscrest Associatese Montecello, cit., p.to 46. 56 Sent. 17 giugno 2010, C-492/08.

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“economicità della gestione” e l’esercizio di un’attività commerciale in senso stretto, quanto, piuttosto, il risultato atteso in termini di produzione di risorse per la collettività

57. Quanto al significato da attribuite al termine “sociale” – la cui definizione

riveste grande importanza circa la valutazione che ci si propone di effettuare – nonostante la giurisprudenza non ne fornisca una precisa nozione, possono individuarsi almeno due dimensioni in relazione alle quali tale aggettivazione può risultare pertinente. Una riguarda la sfera delle interazioni, delle relazioni e delle istituzioni umane fondate sulla vulnerabilità dell’individuo e sulla sua necessità del sostegno e della protezione che le varie comunità sociali posso-no offrire contro i rischi inerenti alla vita. L’altra dimensione del “sociale” ri-guarda la solidarietà o l’altruismo collettivo, che è necessario perché i bisogni di tutti possano essere equamente soddisfatti

58. Deve essere, in buona sostanza, l’utilità sociale, il bisogno non egoistico

soddisfatto dalla ricchezza a tal fine indirizzata, a ricondurre l’ente o la società al regime impositivo di “favore”. In altri termini, ad un organismo può certa-mente essere riconosciuto il “carattere sociale” pur in presenza dello scopo di lucro, nelle ipotesi in cui i risultati dell’attività svolta siano destinati stabil-mente al perseguimento della finalità sociale

59.

2.2. Società benefit e perseguimento di finalità sociali

La definizione di cui ci si è appena occupati si attaglia sicuramente alle “im-prese sociali”

60, ma è necessario chiedersi se la previsione contenuta nella Di-rettiva ed appena esaminata potrebbe essere applicata anche nelle ipotesi in cui gli operatori economici accanto al tradizionale scopo di profitto assumano l’impegno volontario a contribuire di propria iniziativa a migliorare la società e a rendere più pulito l’ambiente, funzionalizzando stabilmente a tali scopi la propria attività.

A questo proposito si può osservare che sicuramente esiste una differenza tra l’“impresa sociale” e l’impresa che opera valorizzando la propria “respon-sabilità sociale”.

57 Così MONTANARI, op. cit., p. 134. 58 V. conclusioni dell’11 febbraio 2010, causa C-492/08 Dell’Avvocato generale Niilo Jääs-

kinen. 59 Così MONTANARI, op. cit., p. 132 ss. 60 In questo senso MONTANARI, op. cit., p. 138.

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Nel primo caso si fa riferimento alla qualifica attribuibile a quelle organiz-zazioni che con criteri diversi dal profitto esercitino in via stabile e principale, un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni e servizi di utilità sociale diretta a realizzare finalità di interesse generale. Per tali categorie di soggetti il legislatore individua specifici settori giudicati di pubblica utilità, quali l’assistenza socio sanitaria, la valorizzazione del patri-monio culturale, la tutela dell’ecosistema, ecc.; ai soggetti menzionati si af-fiancano le organizzazioni che pur non operando in uno dei predetti settori di utilità sociale – indicati analiticamente dalla legge – promuovano iniziative im-prenditoriali finalizzate all’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati

61. La natura di questa forma di impresa è connessa non semplicemente al persegui-mento delle finalità sociali ma a specifici elementi costitutivi: l’assenza di sco-po di lucro, la responsabilità patrimoniale, il coinvolgimento dei lavoratori. Tutto ciò induce a ritenere che l’impresa sociale si distingua, quanto a struttu-ra ed obiettivi dall’impresa for profit.

La tematica della “responsabilità sociale” si connette, invece a qualsiasi or-ganizzazione, indipendentemente dalle modalità di destinazione degli utili, che si accolli responsabilità ulteriori rispetto a quelle scaturenti dalla semplice con-formazione alla legislazione vigente

62. Tale questione non pare affatto sconosciuta al legislatore interno che ha di

recente introdotto uno strumento specifico per valorizzare e rendere all’ester-no conoscibili le finalità sociali spontaneamente perseguite dall’impresa nel-l’esercizio della propria attività. Si fa qui riferimento alle Benefit Corporation, modello già esistente negli Stati Uniti, la cui disciplina è oggi recata, in Italia, dall’art. 1, commi 376-382 della Legge di Stabilità 2016, nate appunto come sintesi tra impresa a scopo di lucro e impresa sociale. La società benefit si ca-ratterizza per la peculiarità della propria attività economica, la quale, da un la-to è finalizzata al tradizionale scopo di dividere gli utili, e dall’altro persegue una o più finalità di beneficio comune operando in modo responsabile, sostenibile

61 V. D.Lgs. 24 marzo 2006, n. 155. 62 Sulla differenza tra impresa sociale e responsabilità sociale le considerazioni riportate

nel testo sono di ADDANTE, op. cit., p. 1143 ss. In tema SACCONI, Economia, etica, organizza-zione: il contratto sociale dell’impresa, Roma-Bari, 1997, p. 13 ss. e ID., CSR: verso un modello allargato di corporate governance, in ID. (a cura di), Guida critica alla Responsabilità sociale e al governo d’impresa, Roma, 2005, p. 113 ss., BUONOCORE, Etica degli affari e impresa etica, in Giur. comm., 2004, I, p. 181 ss.; LIBERTINI, Impresa e finalità sociali. Riflessioni sulla teoria della responsabilità sociale dell’impresa, in Società, 2009, p. 1 ss. In tema si veda la comunicazione della Commissione citata in nota 15.

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e trasparente nei confronti di: persone, comunità, territori, ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti ed associazioni, altri portatori di interesse. La so-cietà benefit non è un nuovo un tipo sociale, ma una caratterizzazione o una “qualifica”

63 di ciascuno dei tipi già esistenti, ed a tal proposito, il comma 377 dell’art. 1 menzionato precisa che le finalità possono essere perseguite da cia-scuna delle società di cui al Libro V, Titoli V e VI del codice civile, nel rispetto della relativa disciplina

64. Il perseguimento di finalità di public benefit – vero tratto peculiare di queste società cui allude anche la loro denominazione – è ritenuto per legge compatibile con il tradizionale scopo lucrativo, cui esso si affianca come scopo “aggiuntivo”, onde la necessità di conciliare le due finali-tà nella concreta gestione dell’impresa.

Le società in questione si differenziano infatti dalle imprese sociali proprio perché perseguono – all’interno della loro attività economica – uno o più ef-fetti positivi o riducono gli effetti negativi su una o più categorie di soggetti

65. Il concetto di “beneficio comune” coinciderebbe, quindi, nel perseguimento degli effetti appena richiamati. Proprio l’attività economica svolta deve essere capace di alimentare processi produttivi inclusivi in cui la comunità diventa un asset holder strategico e imprescindibile per ri-generare lo sviluppo socio-economico dei territori e dilatare lo spazio della giustizia sociale.

La dimensione sociale (intesa come benefici per comunità, lavoratori, am-biente, generazioni future) viene così inclusa nel nucleo della finalità dell’im-presa for profit, diventa un componente della produzione del valore fino al pun-to da essere contenuto nello Statuto stesso. L’impatto sociale (valutato e cer-tificato da un ente esterno), oltre a essere un elemento reputazionale, costi-tuisce così un motore per la competitività dell’azienda. Finalità della novella è dunque quella di promuovere la diffusione di società le quali, nell’esercizio del-

63 Si esprime in questi termini CORSO, Società Benefit nell’ordinamento italiano: una nuova “qualifica” tra profit e non profit, in Nuove leggi civ. comm., 2016, p. 995 ss.

64 Per un esame più approfondito della disciplina si vedano i commenti di TESTA, Le “so-cietà benefit” e i limiti di interpretabilità della norma, in Quotidiano IPSOA, 19 gennaio 2016, RUOTOLO, Le società benefit, in Quotidiano IPSOA, 9 maggio 2016, CORSO, op. cit., LENZI, Le società benefit, in Giur. comm., 2016, p. 894 ss.; LUPOI, L’attività delle società benefit, in Riv. not., 2016, p. 811 ss.; RIOLFO, Le società “benefit” in Italia: prime riflessioni su una recente inno-vazione legislativa, in Studium iuris, 2016, p. 720 ss. (I parte), p. 819 ss. (II parte); SICLARI, Le Società benefit nell’ordinamento italiano, in Riv. trim. dir. economia, 2016, p. 36 ss.

65 Ciò sta a significare che non necessariamente la società deve produrre impatti positivi rispetto ai suoi stakeholder, bensì, per essere definita benefit, è sufficiente che limiti le esterna-lità negative generate attraverso la sua attività principale di natura economica come risulta dalla Legge di Stabilità 2016, art. 1, comma 378, lett. a).

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l’attività economica, oltre allo scopo di lucro, perseguano una o più finalità di beneficio comune

66. Si è osservato in proposito che l’esplicito riferimento a uno scopo ulterio-

re rispetto alla divisione degli utili sembrerebbe preludere ad una “mutazio-ne” della causa societaria, con inclusione al suo interno di finalità, non me-ramente strumentali o accessorie, ma dotate, per così dire, di pari dignità ri-spetto allo scopo di lucro e dunque “coestensive” rispetto ad esso

67. In que-sto processo il profitto deve essere utilizzato come mezzo per la creazione del beneficio

68. L’introduzione dello strumento in questione nell’ordinamento interno mol-

to ha a che vedere con la tendenza a voler stimolare le imprese a perseguire fi-nalità di carattere sociale, mitigando così gli eccessi di un capitalismo ispirato soltanto dal perseguimento del profitto, divenuto sempre più intollerabile nel-l’attuale situazione di crisi in cui si inaspriscono le diseguaglianze e si incrina la fiducia collettiva nelle imprese

69. L’introduzione delle società benefit nel-l’ordinamento interno risponde anche alle sollecitazioni provenienti dall’ordi-namento sovranazionale. Nel contesto delle politiche comunitarie la promo-zione della responsabilità sociale dell’impresa si inquadra nel paradigma del-l’economia sociale di mercato, enunciato dall’art. 3, comma 3, TUE, che pro-pugna una «crescita economica equilibrata», mirante «alla piena occupazio-ne e al progresso sociale» e ad un «elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente». Essa trova inoltre un ambito di esplicazione nel-

66 La “ratio” della citata norma, secondo alcuni, è quella di «rendere immuni (gli ammi-nistratori) da azioni da parte dei soci per aver considerato nelle proprie scelte strategiche an-che profili sociali e ambientali, oltre a quello della massimizzazione del profitto». V. Circola-re Assonime n. 19/2016, di commento all’art. 1, commi 376-384, della Legge di Stabilità 2006 (L. 28 dicembre 2015, n. 208).

67 CORSO, op. cit., p. 1010. 68 Afferma LUPOI, op. cit. che la società benefit costituisce un tentativo di collegare funzio-

nalmente l’attività economica e l’utilità sociale come se in questo modo la prima fosse la fon-te economica per potere raggiungere gli scopi di beneficio comune. L’attività economica po-trebbe essere l’unica attività svolta dalla SB ma per due differenti scopi: dividere l’utile fra i soci e perseguire finalità di beneficio comune. Ma, visto che la legge SB non definisce le atti-vità o gli atti mediante i quali persegue gli scopi di beneficio comune, l’A. non esclude che, fermo restando il necessario svolgimento di un’attività economica finalizzata alla divisione dell’utile, i benefici comuni possano essere raggiunti attraverso l’esercizio di una attività eco-nomica, attraverso singoli atti (quali donazioni, comodati gratuiti, e atti gratuiti in genere) nonché attraverso attività non necessariamente svolte secondo i criteri dell’economicità.

69 In questi termini CORSO, op. cit., p. 999 secondo la quale in questo complesso e varie-gato scenario devono essere collocate le società benefit.

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la Strategia europea per il 2020, finalizzata ad una crescita smart, sostenibile e inclusiva

70. Lo schema individuato dal legislatore, d’altro canto, pare funzionale a con-

sentire all’impresa, nel decidere su quale categoria di soggetti investire, affron-tando costi aggiuntivi ed eventuali campagne di sensibilizzazione, di conside-rare i propri referenti diretti, cioè i consumatori. Questi ultimi, anche nelle stra-tegie d’impresa, prima che come clienti sono considerati, sempre più spesso, nella loro dimensione di ‘persona’, per cui il consumo può rappresentare non solo mero strumento per la soddisfazione di bisogni personali ed egoistici. L’e-spresso impegno dell’impresa in ordine al perseguimento di obiettivi differenti dal solo profitto (assolutamente non escluso) e la trasparenza rispetto a questi ultimi consentono al consumatore una scelta consapevole e l’esercizio di facoltà più ampie che vanno anche al di là della selezione dei prodotti e dei servizi in ragione della qualità degli stessi, per comprendere considerazioni di segno di-verso

71. Ed analoghe facoltà sono in tal modo concesse anche agli investitori. Attraverso l’innesco di questo circolo “virtuoso” l’impresa partecipa allo

svolgimento di una funzione avente rilevanza pubblica, sensibilizzando la co-munità ed allo stesso tempo operando in base a criteri ‘etici’, in attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale sancito dall’art. 118, comma 4, Cost.

72. Le azioni a tutela dell’ambiente svolte dall’impresa possono dunque rive-

stire una rilevanza sociale e, per tale ragione, si può ritrovare in esse uno sco-po solidale, ancorché sia un soggetto economico a porle in essere.

L’introduzione di una aliquota agevolata per le prestazioni di servizi e le cessioni di beni effettuate da società benefit che stabilmente, istituzionalmente ed in maniera trasparente perseguono la finalità di tutelare l’ambiente, ridu-cendo le esternalità negative o aumentando quelle positive, potrebbe risulta-re, quindi, conforme alla disposizione contenuta nella Direttiva.

70 V., al riguardo, la comunicazione della Commissione europea, Results of the Public Con-sultation on the Europe 2020 Strategy for Smart, Sustainable and Inclusive Growth, 2 marzo 2015 [COM(2015)100 def.]).

71 Si vedano in tema le considerazioni di DI TORO, L’etica nella gestione dell’impresa, Pa-dova, 1993, p. 81 ss.

72 Osserva GALLO, L’applicazione del principio di sussidiarietà tra crisi del disegno federalista e tutela del bene comune, in Rass. trib., 2014, p. 207 ss. che attraverso il principio di sussidiarie-tà i cittadini – e, per essi, tutti i soggetti interessati al bene comune – diventano, in particola-re, non soggetti che richiedono alle istituzioni le risorse finanziarie per soddisfare le loro esi-genze, ma corpi intermedi organizzati che partecipano, operano con efficienza, si assumono responsabilità, prestano la loro capacità organizzativa e il loro lavoro, in nome dell’interesse generale e della solidarietà.

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L’agevolazione sarebbe dunque prevista in relazione alla finalità dell’atti-vità svolta dal soggetto, tenendo conto che l’incentivo, rappresentato dalla ri-duzione dell’aliquota iva, all’attività economica – di qualunque genere – svolta dal soggetto, avrebbe un impatto in ordine al perseguimento dello scopo be-nefico individuato nello Statuto.

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Pier Luca Cardella

IL SISTEMA DEI REATI TRIBUTARI E LE VIOLAZIONI DIPENDENTI DA “CONDIZIONI DI

OBIETTIVA INCERTEZZA”

THE CRIMINAL TAX SYSTEM AND INFRINGEMENTS CAUSED BY “OBJECTIVE CONDITIONS OF UNCERTAINTY”

Abstract Nel sistema dei reati tributari le violazioni determinate da condizioni di obiettiva in-certezza circa la portata e l’ambito di applicazione della norma, in linea con quanto accade sul fronte delle sanzioni amministrative, non sono punibili. Particolare atten-zione meritano, in questa prospettiva, le questioni che l’art. 15, D.Lgs. n. 74/2000 pone sia sul piano del rapporto con la disposizione comune recata, in materia di error juris, dall’art. 5 c.p. che su quello della compatibilità con un sistema, quello riformato all’alba del nuovo millennio, che in origine prevedeva esclusivamente fattispecie de-littuose sanzionate a titolo di dolo specifico. Analoga considerazione merita l’indivi-duazione delle condizioni di obiettiva incertezza che, in assenza di una significativa casistica applicativa, assumono forza scusante. Parole chiave: sanzioni penali, obiettive condizioni di incertezza, errore interpre-tativo, scusanti, dolo

In the system of tax crimes, violations caused by objective conditions of uncertainty on the range and the field of application of the rule, in line with what happens on the side of the tax administrative penalties, shall not be punished. In this perspective, the paper dedicates a particular attention to the issues that Art. 15, Legislative Decree no. 74/2000 addresses both in relation with the general principle of Art. 5 Criminal Code (so-called error juris) and in relation with a system, introduced at the beginning of the new millennium, that ini-tially provided exclusively crimes involving the specific intentionality of evading taxes. A similar remark will be developed on the identification of the objective conditions of uncer-tainty that, in absence of a significant application, shall gain excusing relevance. Keywords: criminal penalties, objective conditions of uncertainty, interpretative mistake, excusing factors, intentionality

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SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. La travagliata gestazione dell’art. 15, D.Lgs. n. 74/2000 in tema di violazioni di-pendenti da interpretazione delle norme tributarie. – 3. La portata della previsione legislativa scrutinata attraverso il prisma delle obiettive condizioni di incertezza. – 4. Le condizioni di obiet-tiva incertezza ed il dolo specifico di evasione. – 5. La mancanza di una significativa casistica ap-plicativa ed il rinvio all’esperienza maturata nel sistema delle sanzioni amministrative. – 6. Con-clusioni.

1. Premessa

La fisiologica instabilità dell’ordinamento tributario dovuta al fatto che il tributo costituisce uno dei più efficaci strumenti di politica economica, l’esse-re l’ordinamento medesimo un ordinamento di secondo grado, che si innesta cioè in aree già giuridicizzate, le scelte operate da un Parlamento sempre più rinunciatario, che spesso delega “in bianco” l’esecutivo nella confezione della disciplina dell’entrata tributaria senza individuare adeguati princìpi e criteri direttivi, la moltiplicazione dei livelli normativi ed il passaggio dal principio di gerarchia delle fonti a quello di competenza rendono necessaria, quasi a mo’ di coessenziale correttivo, la previsione, sul piano della risposta sanzionatoria alle condotte illecite, di misure volte ad escludere la punibilità del soggetto cui sono imputabili violazioni determinate da condizioni di obiettiva incertezza circa la portata e l’ambito di applicazione della norma tributaria

1. Misure che, com’è noto, sono conosciute sia dal sistema sanzionatorio am-

ministrativo che dal sistema repressivo penale. Guardando al primo, viene innanzi tutto in rilievo l’art. 8, D.Lgs. 31 di-

cembre 1992, n. 546, il quale, riproducendo una disposizione di vecchio co-nio

2, stabilisce che «la commissione tributaria dichiara non applicabili le san-

1 Nitidamente in questo senso PERRONE, Certezza del diritto, affidamento e retroattività, in Rass. trib., 2016, p. 936, il quale non manca di rilevare come oggi sia proprio la compresenza di più disposizioni dedicate all’esimente dell’obiettiva incertezza a dar «conto della consapevo-lezza del legislatore in ordine alla propria scarsa attitudine ad elaborare norme in materia tri-butaria chiare, stabili ed idonee a essere applicate con significati ed effetti univoci e, quindi, con un buon grado di certezza»; negli stessi termini anche DELLA VALLE, Affidamento e certez-za del diritto tributario, Milano, 2001, p. 8.

2 Il riferimento è all’art. 39 bis, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, a mente del quale «la Commissione tributaria dichiara non applicabili le sanzioni non penali previste dalle leggi tri-butarie quando la violazione è giustificata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferisce»; per un commento a tale

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zioni non penali previste dalle leggi tributarie quando la violazione è giustifi-cata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applica-zione delle disposizioni alle quali si riferisce»

3. A tale previsione si affianca, nell’ambito della disciplina generale delle san-

zioni amministrative, il comma 2 dell’art. 6, D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, che, dando attuazione alla delega di cui all’art. 3, comma 133, lett. d), della L. 23 dicembre 1996, n. 662

4, esclude la punibilità del trasgressore quando la violazione è «determinata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferiscono».

In ambito penale è, invece, l’art. 15, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, a preve-dere che, «al di fuori dei casi in cui la punibilità è esclusa a norma dell’articolo 47, terzo comma, del codice penale, non danno luogo a fatti punibili [...] le violazioni di norme tributarie dipendenti da obiettive condizioni di incertezza sulla loro portata e sul loro ambito di applicazione»

5-6. disposizione, v. MISCALI, Errore sulla norma tributaria, in GLENDI, Commentario delle leggi sul contenzioso tributario, Milano, 1990, p. 961 ss.

3 Sulla latitudine del potere giurisdizionale di disapplicazione delle sanzioni non penali, v. diffusamente LOGOZZO, Dichiarazione di non applicabilità delle sanzioni, in AA.VV., Il processo tributario, nella collana Giurisprudenza sistematica di diritto tributario, diretta da Tesauro, Tori-no, 1998, p. 151 ss., e GLENDI, L’errore sulla norma tributaria, in Corr. trib., 1997, p. 1612 ss.

4 Sulla scorta di quanto previsto dalla delega, la disciplina delle cause di esclusione della responsabilità avrebbe dovuto tener conto «dei principi dettati dal codice penale e delle ipo-tesi di errore incolpevole o di errore causato da indeterminatezza delle richieste dell’ufficio tributario o dei modelli e istruzioni predisposti dall’amministrazione delle finanze».

5 Merita incidentalmente ricordare che la recente revisione del sistema penale tributario (il riferimento è, ovviamente, alla riforma di cui al D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, emana-to in attuazione della L. delega 11 marzo 2014, n. 23) non ha interessato la previsione qui d’in-teresse.

6 A commento della disposizione recata dall’art. 15, D.Lgs. n. 74/2000 v., tra gli altri e senza pretesa di esaustività, CUPELLI, Sub art. 15, in AA.VV., Leggi penali complementari, a cu-ra di Padovani, Milano, 2007, p. 1145 ss.; DI SIENA, La nuova disciplina dei reati tributari, Mi-lano, 2000, p. 199 ss.; FLORA, Errore, tentativo, concorso di persone e di reati nella nuova disci-plina dei reati tributari, in Riv. it. dir. proc. pen., 2001, p. 698 ss.; FONDAROLI, Sub art. 15, in AA.VV., Commentario breve alle leggi penali complementari2, diretto da Palazzo-Paliero, Pado-va, 2007, p. 1437 s.; GRAZIANO, L’ignoranza e l’errore nel diritto penale tributario, in Rass. trib., 2002, p. 936 ss.; KELLER, Sub art. 15, in AA.VV., La riforma dei reati tributari. Le novità del d.lgs. n. 158/2015, a cura di Nocerino-Putinati, Torino, 2015, p. 349 ss.; LANZI, La disciplina del-l’errore di diritto nella materia penale tributaria, in AA.VV., Diritto penale dell’economia, a cura di Cadoppi-Canestrari-Manna-Papa, tomo I, Torino, 2017, p. 1169 ss.; MANES, Le violazioni dipendenti da “obiettive condizioni di incertezza” e l’errore nel sistema dei reati tributari, in Riv. trim. dir. pen. economia, 2001, p. 491 ss.; MARTINI, Reati in materia di finanze e tributi, in Trat-tato di diritto penale, diretto da Grosso-Padovani-Pagliaro, XVII, Milano, 2010, p. 243 ss.;

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Comune è nelle richiamate disposizioni la matrice ispiratrice e pressoché identico è il riferimento alle condizioni di obiettiva incertezza sicché può con-venirsi con quanti ritengono che, a seguito delle scelte compiute in sede di ste-sura del D.Lgs. n. 74/2000, si è venuto completando un vero e proprio proces-so di “generalizzazione” che, muovendo dalla matura consapevolezza delle cri-ticità interpretative che sovente si nascondono tra le pieghe della normativa tri-butaria, attribuisce rilievo scusante all’errore indotto dall’oscurità del precetto

7. Esito, questo, peraltro espressamente voluto dal legislatore della riforma

del sistema sanzionatorio penale di inizio secolo: la Relazione governativa al D.Lgs. n. 74/2000 precisa infatti che, in tema di violazioni dipendenti da in-terpretazione delle norme tributarie, l’enunciato legislativo viene “allineato” a quello del già citato art. 6, comma 2, D.Lgs. n. 472/1997 stabilendosi, come si è testé ricordato, che non danno luogo a fatti punibili le violazioni delle nor-me tributarie «dipendenti da obiettive condizioni di incertezza»

8. Val la pena ancora ricordare che, lungo la medesima direttrice, un ulteriore

e, secondo alcuni, decisivo contributo è venuto, a distanza di pochissimi mesi dall’entrata in vigore del D.Lgs. n. 74/2000, dal c.d. Statuto dei diritti del con-tribuente il quale, sotto la significativa rubrica “Tutela dell’affidamento e della buona fede. Errori del contribuente”, stabilisce che «le sanzioni non sono co-munque irrogate quando la violazione dipende da obiettive condizioni di in-certezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria» (così, testualmente, il comma 3 dell’art. 10, L. 27 luglio 2000, n. 212). MUSCO, Reati tributari, in Enc. dir., Annali, I, 2007, p. 1056 ss.; MUSCO-ARDITO, Diritto pena-le tributario2, Bologna, 2012, p. 51 ss.; NAPOLEONI, I fondamenti del nuovo diritto penale tribu-tario nel D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, Milano, 2000, p. 229 ss.; PATRONO, L’errore nel diritto pe-nale tributario, in Riv. trim. dir. pen. economia, 2002, p. 555 ss.; PERINI, Reati tributari, in Dig. IV, disc. pen., Agg. ****, tomo II, 2008, p. 919; RUGGIERO, Sub art. 15, in AA.VV., Commenta-rio breve alle leggi tributarie, tomo II, Accertamento e sanzioni, a cura di Moschetti, Padova, 2011, p. 633 ss.; SCREPANTI, Le violazioni dipendenti da interpretazione delle norme tributarie, in AA.VV., Diritto penale tributario3, a cura di Musco, Milano, 2002, p. 317 ss.; SOANA, I reati tributari3, Milano, 2013, p. 453 ss.; TRAVERSI, Sub art. 15, in AA.VV., Diritto e procedura pena-le tributaria, a cura di Caraccioli-Giarda-Lanzi, Padova, 2001, p. 431 ss.; VALLINI, Antiche e nuove tensioni tra colpevolezza e diritto penale artificiale, Torino, 2003, p. 399 ss., ID., L’errore, in AA.VV., Trattato di diritto sanzionatorio tributario, diretto da Giovannini, tomo I, Milano, 2016, p. 243 ss.

7 V. LOGOZZO, L’ignoranza della legge tributaria, Milano, 2002, p. 127, e ID., La scusante dell’illecito tributario per obiettiva incertezza della legge, in Riv. trim. dir. trib., 2012, p. 395; nel-lo stesso senso anche MICELI, Il sistema sanzionatorio tributario, in AA.VV., Diritto tributario, a cura di Fantozzi, Torino, 2012, p. 956, e MARTINI, op. cit., p. 243 s.

8 Il testo della Relazione governativa al D.Lgs. 74/2000 è consultabile in Riv. trim. dir. pen. economia, 2000, p. 339 ss.

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Ebbene, indistinto e generalizzato si appalesa l’ambito di applicazione del-la previsione statutaria e non privo di significato può considerarsi il dato te-stuale

9: si può, infatti, ritenere che la mancata specificazione del “tipo” di san-zione (amministrativa ovvero penale) cui si riferisce la disposizione in parola abbia di fatto chiuso il cerchio rendendo manifesta l’esistenza di un minimo comun denominatore sul fronte della rilevanza delle condizioni di obiettiva incertezza

10.

2. La travagliata gestazione dell’art. 15, D.Lgs. n. 74/2000 in tema di violazio-ni dipendenti da interpretazione delle norme tributarie

Quanto sopra premesso, venendo al tema che più da vicino interessa, v’è su-bito da dire che, a dispetto di quello che a prima vista può apparire un lineare processo di “generalizzazione” di una scusante che trova la sua ragion d’essere in una condizione fisiologica del sistema, piuttosto travagliata è stata la gesta-zione della disposizione recata dall’art. 15, D.Lgs. n. 74/2000 e molteplici so-no le questioni che la stessa ha posto e che, per la verità, tuttora pone sul pia-no della ricostruzione dogmatica

11.

9 È interessante rilevare come, nel corso dei lavori parlamentari che hanno portato al varo della L. n. 212/2000, sia stato espunto l’inciso “amministrative” che caratterizzava l’origina-rio ambito di applicazione dell’esimente statutaria [v., per conferma, il comma 2 dell’art. 10 del disegno di legge AS n. 1286/B – XIII legislatura ove si legge(va) che «le sanzioni ammi-nistrative non sono comunque irrogate quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sull’applicazione della norma tributaria»].

10 Soffermandosi su questo profilo, LOGOZZO, La scusante dell’illecito tributario, cit., p. 395, nota 10, osserva che «anche nel settore penale si potrebbe prospettare l’abrogazione tacita da parte dell’art. 10 Statuto dei diritti del contribuente (come è stato prospettato da parte della dottrina tributaristica con riguardo all’art. 6, comma 2, D.Lgs. n. 472/1997 e all’art. 8, D.Lgs. n. 546/1992) della disposizione che, antecedentemente prevedeva la scusante dell’o-biettiva incertezza della legge tributaria (art. 15, D.Lgs. n. 74/2000), perché la nuova legge regola in maniera più specifica la stessa materia già regolata dalla legge anteriore: oltre l’o-biettiva incertezza, la scusabilità dell’illecito, anche in campo penale, si estende alle ipotesi di affidamento del contribuente in atti ovvero in comportamenti concludenti dell’amministra-zione finanziaria».

11 Sul piano dell’inquadramento sistematico del fenomeno è necessario chiedersi se, nel caso di specie, ricorra una scusante (ossia una causa di esclusione della colpevolezza) ovvero una esimente (ossia una causa di esclusione della pena) ovvero, ancora, una scriminante spe-ciale (su queste nozioni v., per tutti, MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale9, Padova, 2015, spec. pp. 235 ss., 361 ss. e 787): maggioritario in dottrina risulta essere l’orientamento favorevole a riconoscere l’esistenza di una causa di esclusione della colpevolezza per man-

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Si pensi, sotto questo secondo profilo, e solo per citare alcune delle que-stioni più controverse, al complesso rapporto intercorrente tra la disposizione che qui interessa e quella comune recata, in materia di error juris, dall’art. 5 c.p. ovvero al rilievo che in essa viene ad assumere l’elemento soggettivo ovve-ro, ancora, all’individuazione delle condizioni di obiettiva incertezza che as-sumono forza scusante.

Ma procediamo per gradi. A dir poco sofferta è stata, come testé si accennava, la fase di elaborazione

del citato art. 15. In un primo momento, infatti, sembrava essersi fatta strada la tesi secondo

cui le coordinate del nuovo sistema penale tributario avrebbero reso del tutto inutile una norma in materia di errore scusabile ed interpretazione del precet-to: in particolare, si osservava che, «poiché la punibilità è condizionata all’ac-certamento del dolo, e cioè del fine di evadere le imposte, è evidente che la sussistenza di questo scopo sarebbe comunque incompatibile con un asserito errore su norme tributarie»

12. Di qui, probabilmente, la scelta di non inserire nella prima formulazione

dello schema di decreto, e il riferimento è alla cosiddetta “bozza Tinti-ter”, alcu-na previsione dedicata al valore scusante dell’errore sull’interpretazione della norma tributaria.

Ed una qualche conferma in tal senso può forse ricavarsi anche dalla lettura della legge delega che annoverava espressamente tra i criteri direttivi «la non punibilità di chi si sia uniformato al parere del comitato consultivo per l’appli-cazione delle norme antielusive» (v. l’art. 9, comma 2, lett. f), L. 25 giugno 1999, n. 205), ma nulla specificava in merito alla non punibilità del soggetto che fosse incorso in un errore di natura interpretativa

13.

canza di rimproverabilità rispetto ad un fatto che resta oggettivamente illecito; non manca-no, tuttavia, opzioni ricostruttive diverse che scorgono dietro la previsione che qui interessa una causa scriminante o di giustificazione che elide la stessa valutazione di illiceità della con-dotta (sullo specifico punto v. la rassegna di MANES, op. cit., spec. pp. 502 e 506).

12 In questo senso TINTI, Il disegno di legge delega per un nuovo sistema penale tributario, Atti del Convegno di studi “La riforma del diritto penale tributario”, tenutosi a Torino il 23 febbraio 1998, reperibili ne Il Fisco, n. 16, 1998.

13 Sulle criticità collegate all’assenza nella legge di delegazione di uno specifico criterio di-rettivo, v. MARTINI, op. cit., p. 249; NAPOLEONI, op. cit., p. 230, nota 77; TRAVERSI, op. cit., p. 431, e, soprattutto, PATRONO, op. cit., p. 560, il quale, senza mezzi termini, rileva che la disposi-zione in commento «non può in alcun modo trovare legittimazione nei criteri direttivi della legge delega, che nulla dispone in ordine ad una specifica disciplina dell’errore su norma tri-butaria sostitutiva della precedente».

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Il quadro di riferimento è cambiato, in modo piuttosto repentino, occorre ricordare, con l’approdo dello “schema di decreto legislativo” sul tavolo del Go-verno: ed invero, il comma 2 dell’art. 1 dell’articolato approvato nella seduta del Consiglio dei ministri del 5 gennaio 2000 (articolo rubricato: “Definizioni e principi generali”) stabiliva che «le violazioni dipendenti da interpretazioni della normativa tributaria, o di disposizioni da essa richiamate, sono punibili soltanto in caso di palese infondatezza dell’interpretazione adottata»

14. Divenuto di pubblico dominio il testo emendato, da più parti si levarono

voci critiche che, denunciando la natura “posticcia” dell’aggiunta, non manca-rono di stigmatizzare l’impropria collocazione della proposta disposizione, l’eccessiva indeterminatezza della formula impiegata

15 ed i rischi connessi ad un possibile ampliamento dei poteri discretivi del giudice

16. Veniva, inoltre, lamentata l’introduzione di elementi di forte incoerenza ri-

spetto alla trama di fondo del sistema punitivo che andava prendendo forma: si osservava, in particolare, che la discussa disposizione cercava di sradicare l’approccio ermeneutico che considerava l’art. 8, L. 7 agosto 1982, n. 516, me-ramente iterativo dell’ultimo comma dell’art. 47 c.p. privandolo, in sostanza, di qualsiasi valenza pratica

17. Notavano, tuttavia, i primi commentatori che, se-guendo la tesi secondo cui la proposta disposizione aveva come obiettivo ul-timo quello di spezzare ogni nesso con la norma penale generale, si attribuiva all’istituto un tratto di spiccata specialità che strideva con lo spirito omogeneiz-zante che era alla base della stessa legge delega

18. E ciò senza considerare che il concetto di interpretazione palesemente infondata risultava largamente sovrap-

14 Il testo dello “schema di decreto legislativo” è consultabile ne Il Fisco, 2000, p. 834 ss. 15 Rilievo mosso sia da CARACCIOLI, La violazione tributaria derivante da palese infonda-

tezza dell’interpretazione, in Il Fisco, 2000, p. 1418 s., che da GIARDA, Reati fiscali: delimitare la “palese infondatezza”, in Il Sole 24 Ore, 25 febbraio 2000, n. 54, p. 22.

16 A tali rischi si riferiva, invece, LO MONTE, Prime osservazioni sul Progetto di decreto legislati-vo (ai sensi dell’art. 9 della L. n. 205/1999) di riforma dei reati tributari, in Rass. trib., 2000, p. 132.

17 Espressione di quest’orientamento risulta(va) essere, seppur con contraddizioni ben evidenziate dalla migliore dottrina di settore, Cass. pen., sez. III, sent. 25 febbraio 1986, n. 11716, reperibile in Riv. trim. dir. pen. economia, 1988, p. 205 ss., con nota di FLORA, Verso una interpretazione abrogatrice della norma sull’errore di diritto nei reati tributari (art. 8 l. n. 516 del 1982)?, ove, tra l’altro, si precisa che l’esimente di cui all’art. 8, L. n. 516/1982 riprodu-ce(va) «il dettato di cui all’art. 47, ultimo comma, c.p. limitandosi a quelle ipotesi di non punibilità del contribuente, già esistenti in relazione ad illeciti amministrativi fiscali (art. 55 d.p.r. n. 600/73), nei casi di errore determinato dalle incertezze e dalla difficoltà interpretati-va della normativa tributaria».

18 Per alcune puntuali considerazioni sul contesto nel quale si è venuta ad innestare la novella in materia di errore ed interpretazione, v. DI SIENA, op. cit., p. 199 ss.

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ponibile, se non del tutto omogeneo, a quello di errore sulle norme cui faceva riferimento il citato art. 8, L. n. 516/1982

19. Sullo sfondo restava poi la difficoltà di coerenziare un sistema caratterizza-

to dalla previsione di soli delitti puniti a titolo di dolo specifico con la possibi-lità stessa di adottare un’interpretazione che potesse dirsi non palesemente in-fondata.

A conferma del fatto che i primi rilievi mossi dalla dottrina fossero tutt’al-tro che infondati affiorarono anche in sede parlamentare dubbi circa la bontà della scelta operata nel passaggio dalla citata “bozza Tinti-ter” allo “schema di decreto legislativo”: su questo versante è sufficiente ricordare come la Commis-sione Giustizia del Senato, varando il proprio parere sullo schema di decreto legislativo, avesse avuto modo di auspicare una diversa formulazione della nor-ma che, pur se condivisibile negli intendimenti di fondo, appariva di incerta lettura

20. Ed è così che si è giunti al varo definitivo della disposizione in tema di erro-

re ed interpretazione con una differente e più organica collocazione (non più in coda alle definizioni recate dall’art. 1, ma nel Titolo III tra le disposizioni co-muni) ed un diverso contenuto: in particolare si stabilisce che la stessa si ap-plica «al di fuori dei casi in cui la punibilità è esclusa a norma dell’articolo 47, terzo comma, del codice penale» e si prevede, quanto alla latitudine della scusante, che non danno luogo a fatti punibili «le violazioni di norme tributa-rie dipendenti da obiettive condizioni di incertezza sulla loro portata e sul lo-ro ambito di applicazione»

21. Testo alla mano, due sono i tratti distintivi che balzano immediatamente

agli occhi dell’interprete: da un canto, viene fatta salva o, per essere più preci-si, viene riservata la piena operatività della disposizione codicistica in materia di errore sul fatto cagionato da errore sulla norma extrapenale; da un altro can-

19 Sulla disciplina dell’errore recata dall’art. 8, L. n. 516/1982 v., tra gli altri e senza prete-sa di esaustività, FLORA, Reati finanziari, in Dig. IV, disc. priv., sez. comm., 1996, XII, p. 97 s.; SEVERINO DI BENEDETTO, L’errore su norme tributarie, in AA.VV., Diritto penale tributario2, a cura di Fiandaca-Musco, Milano, 1997, p. 289 ss., e VITRÒ, L’errore nel diritto penale tributa-rio, Padova, 1995, p. 57 ss.

20 V. il Parere della II Commissione permanente (Giustizia) del Senato della Repubblica, re-peribile in Il Fisco, 2000, p. 2826 ss.

21 A proposito della fattura della disposizione recata dall’art. 15, D.Lgs. n. 74/2000, v. il severo giudizio formulato sia da FLORA, Errore, tentativo, concorso di persone, cit., p. 699, che da MUSCO, op. cit., p. 1057, secondo il quale «la disposizione in esame lascia perplessi sotto vari punti di vista, a cominciare dalla pessima tecnica di redazione che la sostiene, del tutto asimmetrica rispetto a simili statuizioni proprie del diritto penale generale».

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to, viene precisato che le condizioni di obiettiva incertezza devono riferirsi alla portata ed all’ambito di applicazione di testi normativi di fonte sia primaria che secondaria (e, quindi, anche di decreti ministeriali ed interministeriali)

22.

3. La portata della previsione legislativa scrutinata attraverso il prisma delle obiettive condizioni di incertezza

Venendo ad analizzare più da vicino i contenuti dell’art. 15, D.Lgs. n. 74/2000, occorre innanzi tutto intendersi sul rilievo che le condizioni di obiet-tiva incertezza vengono ad assumere nella formulazione del giudizio di colpe-volezza, questione che, a sua volta, presuppone che sia fatta luce intorno al controverso rapporto che lega la disposizione dettata, in tema di violazioni di-pendenti da interpretazione della norma tributaria, dal D.Lgs. n. 74/2000 e quella comune recata in tema di errore di diritto dall’art. 5 c.p.

23. Diverse sono le ipotesi ricostruttive formulate dalla dottrina. Secondo una prima corrente di pensiero, i rapporti tra le due richiamate di-

sposizioni andrebbero ricostruiti ammettendo che, ricorrendo una situazione di incertezza interpretativa di carattere oggettivo, l’errore sulla norma penale integrata da quella tributaria può considerarsi scusabile a nulla rilevando il ca-rattere (in)evitabile dello stesso

24.

22 Interessante notare come il Tribunale di Milano, occupandosi qualche anno fa di una complessa vicenda legata al trattamento contabile e fiscale delle sofferenze di un istituto di credito, abbia ritenuto possibile riferire le condizioni di obiettiva incertezza alla portata ed al-l’ambito di applicazione dei princìpi contabili internazionali (v., in particolare, Trib. Milano, sez. I, sent. 22 luglio 2011, n. 9447, reperibile in Banca dati Pluris; lo stesso precedente è an-notato da DI SIENA-MOLINARO, Criteri valutativi IAS/IFRS, evasione interpretativa e reati tri-butari, in Corr. trib., 2011, p. 3145 ss.).

23 I termini del problema sono messi a fuoco, con esemplare chiarezza, da MANES, op. cit., p. 494, il quale ricorda che l’ipotesi di non punibilità cui si riferisce l’art. 15, «a dispetto della matrice soggettiva che segna la tematica dell’errore, è costruita su un nucleo marcatamente oggettivo – l’obiettiva incertezza del testo normativo, un connotato che, quanto meno, sembra emarginare valutazioni personalistiche incentrate sul livello di sapere e sulla qualificazione tecnica del soggetto agente».

24 In questa direzione si orienta DI SIENA, op. cit., p. 203, a giudizio del quale «la precisazio-ne in base alla quale l’ambito applicativo della norma di nuovo conio non coincide con quello tracciato dalla prescrizione codicistica tende a superare l’ambiguità lessicale caratterizzante l’art. 8, della l. 516/82 e ad evitare l’assimilazione del nuovo istituto all’art. 47 – 3° comma – C. P., con conseguente disapplicazione della disciplina dell’errore sulle norme tributarie»; in termini di deroga al disposto dell’art. 5 c.p. si esprimono anche KELLER, op. cit., p. 352; NA-POLEONI, op. cit., p. 229 ss., e LANZI-ALDROVANDI, Manuale di diritto penale tributario, Padova, 2011, p. 74.

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DOTTRINA RTDT - n. 2/2017 348

Qual è il fondamento di questa ricostruzione? 25.

Alla base di questa prima opzione teorica sembra esservi, com’è stato niti-damente osservato in dottrina, un concetto di imputazione soggettiva stando al quale sussiste equivalenza tra l’agire involontario (rectius: incolpevole) e l’a-gire non conoscendo, né avendo la possibilità di conoscere in concreto il si-gnificato antigiuridico della condotta, possibilità che, a sua volta, è negata dal carattere obiettivamente oscuro della norma (tributaria, per quanto qui di in-teresse) il quale ex se impedisce di formulare un giudizio sulla evitabilità/scu-sabilità dell’errore

26. Altra parte della dottrina ritiene che l’errore sulla norma tributaria integra-

tiva della disposizione penale – pur in presenza di obiettive condizioni di incer-tezza della prima – debba comunque essere considerato errore sul precetto pe-nale che, diversamente da quanto sostengono gli autori inclini a riconoscere il carattere derogatorio dell’art. 15, D.Lgs. n. 74/2000, dovrebbe essere valutato alla luce della legge penale generale

27. Ed una precisa conferma in questo senso verrebbe da un doppio ordine di

considerazioni.

In senso contrario v. sia MARTINI, op. cit., p. 253, che VALLINI, Antiche e nuove tensioni tra colpevolezza e diritto penale artificiale, cit., p. 399, il quale sottolinea che, ragionando in ter-mini di deroga, si finisce «col rendere la disposizione speciale in primo luogo sostanzialmen-te inapplicabile; in secondo luogo, superflua; in terzo luogo, incostituzionale».

Altra parte della dottrina, PATRONO, op. cit., p. 562, muovendo dall’assunto secondo cui le condizioni di obiettiva incertezza vanno considerate come specificazione del principio di scusabilità della sola ignoranza inevitabile, prende posizione osservando che «l’art. 15 d.lgs. n. 74/2000 andrà interpretato come mera riproposizione del contenuto dell’art. 5 c.p. Sarà quindi necessario – bandita ogni possibilità di presunzione – accertare, tenuto conto della ca-tegoria sociale e professionale di appartenenza, se il soggetto, pur avendo prestato alle norme tributarie “tutta l’attenzione dovuta”, si sia trovato, ciò nonostante, ad ignorare la legge pena-le: solo in questo caso la sua ignoranza sarà da considerare inevitabile e, quindi, scusabile»; in quest’ultimo senso prendono posizione anche PERINI, op. cit., p. 919, e LANZI, op. cit., p. 1172 ss.

25 Merita ricordare che è la già citata Relazione governativa allo schema di decreto legisla-tivo a precisare che «la disposizione è destinata ad operare in ambito distinto ed ulteriore ri-spetto alla generale regola codicistica in tema di errore su legge extrapenale, e cioè nei casi in cui le norme tributarie vengono a partecipare della natura di legge penale, in quanto integra-tive del precetto sanzionato»; riflettendo sull’inquadramento sistematico della disposizione in materia di errore ed interpretazione, MANES, op. cit., p. 494 s., rileva che «nonostante l’in-dicazione della Relazione governativa – peraltro non certo prodiga sul punto – né la colloca-zione dogmatica della disposizione dell’art. 15, né la sua struttura – e la conseguente portata della deroga all’interno della disciplina dell’errore – sono perfettamente chiari».

26 V. ancora MANES, op. cit., p. 503. 27 Il riferimento è alla posizione di SCREPANTI, op. cit., p. 366 ss.

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Pier Luca Cardella 349

Si osserva, in particolare, che è proprio il ricercato “parallelismo” tra la san-zione amministrativa e la sanzione penale ad indurre ad escludere che, nel dirit-to penale tributario, possano trovare spazio letture favorevoli ad ammettere la generalizzata rilevanza scusante dell’errore sul precetto (anche se evitabile)

28. Si argomenta, sotto questo specifico profilo, che l’art. 6, D.Lgs. n. 472/1997,

occupandosi delle cause di non punibilità dell’illecito amministrativo, per un verso, prevede che non è punibile l’autore della violazione quando questa è de-terminata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di ap-plicazione delle disposizioni alle quali si riferiscono e, per un altro verso, che l’ignoranza della legge tributaria non rileva se non si tratta di ignoranza inevi-tabile

29. Ebbene, posto che tale assetto trova sostanziale corrispondenza nel combi-

nato disposto dell’art. 15, D.Lgs. n. 74/2000 e dell’art. 5 c.p., si dovrebbe ragio-nevolmente escludere che, in materia di errore evitabile sul precetto, ci si possa allontanare dal perimetro segnato dalla disposizione codicistica siccome indivi-duato dalla Corte costituzionale nella fondamentale sentenza n. 364 del 1988

30. Ancora nella direzione opposta a quella che porta a ritenere scusabile l’er-

rore evitabile sulla norma extrapenale, si pone l’accento sulla discriminazione che si verrebbe a determinare tra l’autore di un reato in materia di imposte di-rette ed IVA e l’autore di un reato comune: il primo, infatti, a differenza del secondo, potrebbe essere considerato non punibile per un crimine fondato su di un errore interpretativo evitabile.

28 A favore della tesi secondo cui tra le due disposizioni sussiste continuità normativa, v. MANES, op. cit., p. 502, a giudizio del quale, «nella esegesi dell’art. 15 d.lgs. n. 74/2000, il confronto con la disciplina dell’art. 6 d.lgs. n. 472/1997 sembra un passaggio obbligato, a meno che non si voglia predicare una totale incomunicabilità tra i due sistemi sanzionatori, il che sembra da un lato irragionevole e, dall’altro, nemmeno in linea con gli stessi diffusi richia-mi e rinvii del d.lgs. n. 74/2000 al d.lgs. n. 472/1997».

29 Sulla necessità di tenere distinto il concetto di errore da quello di ignoranza, v. NAPO-LEONI, op. cit., p. 231, a giudizio del quale «l’errore (inteso come falsa rappresentazione del significato della norma) deve essere nel frangente tenuto concettualmente distinto dall’igno-ranza (intesa come mancata conoscenza della norma), alla quale ultima non appare per vero riferibile l’indicato presupposto: l’“obiettiva incertezza” può riguardare, difatti, al più, la vi-genza della disposizione, non il fatto storico della sua emanazione».

30 V. Corte cost., sent. 24 marzo 1988, n. 364, reperibile in Foro it., 1988, I, c. 1385, ed ivi nota di FIANDACA, Principio di colpevolezza ed ignoranza scusabile della legge penale: “prima lettura” della sentenza n. 364/88, la quale tra l’altro indica a titolo esemplificativo alcuni casi di inevitabilità dell’errore interpretativo: si riferisce, in particolare, all’assoluta oscurità del pre-cetto legislativo; al gravemente caotico atteggiamento interpretativo degli organi giudiziari; alle assicurazioni erronee di persone istituzionalmente idonee a giudicare sui fatti da realizza-re ed ai «precedenti, varie assoluzioni dell’agente per lo stesso fatto ecc.».

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DOTTRINA RTDT - n. 2/2017 350

Nel complesso tentativo di recuperare un senso alla disposizione recata dal più volte citato art. 15, D.Lgs. n. 74/2000, la dottrina in rassegna giunge allora a ritenere che, nella valutazione circa l’efficacia scusabile dell’incertezza appli-cativa della norma tributaria, potrebbero assumere rilievo tutte quelle situazioni oggettive che, rendendo praticamente impossibile una sicura ed uniforme ap-plicazione della norma, finiscono per determinare, nella generalità dei sogget-ti chiamati a rispettarla, una condizione equiparabile a quella di non conosci-bilità del precetto

31. Detto altrimenti, l’inevitabile errore interpretativo del contribuente assu-

merebbe rilievo scusante solo e soltanto se lo stesso è espressivo dell’impossi-bilità oggettiva di conoscere, non tanto la norma di per sé stessa considerata, bensì l’esatto significato della stessa

32. Lungo la via che conduce alla piena oggettivazione della causa di esclusione

della colpevolezza, una terza scuola di pensiero ritiene che una lettura attenta ai contenuti ed agli effetti della disposizione in commento dovrebbe portare ad escludere che la stessa regoli un caso di errore sul precetto

33. Sul piano dei contenuti, in particolare, si sottolinea che l’art. 15 attribuisce

rilievo ad una mera circostanza obiettiva che, pur potendo rappresentare la presumibile determinante di un errore, sembra operare a prescindere dall’esi-

31 V. ancora SCREPANTI, op. cit., p. 369; in questa stessa direzione sembrano orientarsi an-che FERLAZZO NATOLI-BUCCISANO, Luci e ombre sulla riforma tributaria penale, in Boll. trib., 2000, p. 1056, a giudizio dei quali è possibile ipotizzare «che tale causa di esclusione della punibilità, così come disciplinata, ed in virtù della clausola di riserva, riconosca efficacia scu-sante all’errore nella interpretazione delle norme tributarie che integrano il precetto penale, e qualifichi, implicitamente, come inevitabile l’errore dipendente da obiettive condizioni di incertezza sulla norma».

32 I richiamati risultati ermeneutici condizionano anche la valutazione delle circostanze che, giusta quanto previsto dal comma 1 dell’art. 119 c.p., escludono la pena: non sfugge, infat-ti, che le c.d. circostanze soggettive (a differenza di quanto previsto per le c.d. circostanze og-gettive dal comma 2 del medesimo art. 119) producono effetto soltanto riguardo alla perso-na cui si riferiscono (in merito all’applicabilità della disposizione in esame ad eventuali concor-renti nel reato, v. KELLER, op. cit., p. 352; MANES, op. cit., p. 503; SOANA, I reati tributari, cit., p. 465, e VALLINI, L’errore, cit., p. 265).

33 Per la tesi secondo cui l’art. 15, D.Lgs. n. 74/2000 regola una particolare ipotesi di er-rore sul precetto, v. FLORA, Errore, tentativo, concorso di persone, cit., p. 699, a giudizio del quale «non v’è dubbio infatti che, nella mente del legislatore, la norma sia destinata a disci-plinare la materia dell’errore e, più precisamente, dell’errore sul precetto derivante da erro-nea interpretazione delle norme tributarie di riferimento»; nello stesso senso v. anche SOA-NA, I reati tributari, cit., p. 459; LOGOZZO, L’ignoranza della legge tributaria, cit., p. 127; PA-TRONO, op. cit., p. 560, e RUSSO, Manuale di diritto tributario. Parte generale, Milano, 2007, p. 444.

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Pier Luca Cardella 351

stenza dell’effetto sul quadro della rappresentazione psichica del soggetto a-gente

34. Quanto agli esiti che conseguono dal considerare quello regolato dall’art.

15 un caso di errore sul precetto, vengono poste in rilievo le insidie che si ce-lano nell’ammettere che la disposizione in commento si riferisca allo stesso fe-nomeno regolato dall’art. 5 c.p.: ed invero, la prima, in quanto norma speciale e successiva, dovrebbe prevalere sulla seconda. Se così è, tuttavia, si osserva an-cora, la norma speciale prevalente, individuando la matrice dell’errore rilevan-te nell’oscurità della legge tributaria sulla propria portata e sul proprio ambito di applicazione, introduce un concetto di errore rilevante sul precetto che è più ristretto di quello scolpito nella già citata sent. n. 364/1988 con conse-guenze assai delicate sul piano del rispetto delle direttive costituzionali

35. Di qui l’adesione alla tesi secondo cui la disposizione in commento, attri-

buendo rilievo ad un dato riscontrabile ab externo (l’oscurità della norma pre-cettiva)

36 afferma l’esigenza di attuare un’anticipazione «su di un piano og-gettivo di alcune delle valutazioni che la giurisprudenza ha da tempo ricono-sciuto come rilevanti con riferimento al tema della colpevolezza nei reati arti-

34 Lungo questa direttrice si muove MARTINI, op. cit., p. 254 s., rilevando che «l’impres-sione che si ricava è che di un reale effetto soggettivo dell’oscurità della legge extrapenale, integrata nella disposizione incriminatrice di cui determina i concreti modelli comporta-mentali doverosi, la norma in commento si disinteressi sostanzialmente. Attribuendo rile-vanza al solo dato, riconoscibile ab externo, dell’esistenza di “obiettive condizioni di incer-tezza” della norma tributaria, il legislatore del 2000 sembra aver considerato ininfluente tale errore fino al punto di far discendere l’effetto non punibilità anche laddove esso non si inte-gri, ovvero laddove il soggetto attivo del delitto tributario sia perfettamente consapevole che il proprio comportamento possa essere ritenuto in contrasto con precetti comportamentali ricavabili dal contenuto di norme oscure, sulla base quindi di un’interpretazione obiettiva-mente opinabile».

35 Ed invero, osserva MARTINI, op. cit., p. 257, «se questa conclusione fosse confermata, la norma speciale tributaria disponendo un’irragionevole restrizione di un dover essere del giu-dizio di colpevolezza costituzionalmente doveroso, non potrebbe che essere considerata co-stituzionalmente illegittima».

Il paventato rischio di una intollerabile disparità di trattamento tra le ipotesi di errore sul precetto dovuto ad errore interpretativo su disposizioni tributarie e le rimanenti ipotesi di errore sul precetto governate dagli ordinari criteri di accertamento della scusabilità è escluso da FLORA, Errore, tentativo, concorso di persone, cit., p. 704.

36 Sul rilievo di questo profilo v., in giurisprudenza, Cass. pen., sez. un., sent. 12 settembre 2013, n. 37424, reperibile in Dir. prat. trib., 2014, II, p. 906 ss., ove si ricostruisce il perimetro applicativo della scusante in discorso includendovi i soli dubbi alimentati «non da mere va-lutazioni e riflessioni soggettive bensì da specifici e concreti fattori esterni di carattere appunto oggettivo».

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ficiali» e con ciò, in definitiva, teorizzando «la non necessità di “passare” a va-lutare i profili psicologici e personalistici del fatto»

37. Di grande rilievo appaiono le conseguenze che, sul piano processuale, de-

rivano da una siffatta ricostruzione: anziché dimostrare l’effetto concreto del-l’obiettiva condizione di incertezza sulla psiche del soggetto agente, ci si può limitare a riscontrare l’esteriore rilevabilità di una regolamentazione oscura, come tale suscettibile di dare origine all’effetto psichico detto

38. Orbene e per cercare di tirare le fila del discorso, un dato sembra emergere

con sufficiente chiarezza: le marcate divisioni registratesi in dottrina nei tre lustri che ci separano dalla riforma del 2000 e la sostanziale assenza di indica-zioni da parte della giurisprudenza lasciano sul tappeto, in tutto il suo immu-tato fascino scientifico, il tema della qualificazione dogmatica della causa di esclusione della colpevolezza recata dall’art. 15, D.Lgs. n. 74/2000.

Di qui lo spunto per un differente approccio al tema che, muovendo da quella che è una precisa linea di evoluzione del sistema sanzionatorio tributa-

37 Così, testualmente, VALLINI, Antiche e nuove tensioni tra colpevolezza e diritto penale arti-ficiale, cit., p. 402; nella stessa direzione v. CARACCIOLI, Attenuanti: la transazione si fa meno appetibile, in Guida dir., 2000, n. 14, p. 87, a giudizio del quale l’art. 15 individuerebbe una ipotesi di non punibilità estranea al tema dell’errore sul precetto (penale o extrapenale) e darebbe rilievo, semmai, ad un errore conseguente a circostanze di fatto, ossia alla confusio-ne sulla situazione di fatto in presenza della quale il soggetto si trova ad agire, a tutto pre-scindere dalla percezione soggettiva del contribuente, che «può, cioè, anche non avere dub-bi su come interpretare la norma, che, secondo lui, è chiarissima, ma si trova di fronte a una situazione oggettiva di incertezza applicativa, non dipendente magari da contrasti di inter-pretazione, ma solo da scoordinamento tra gli uffici o da inesatta comprensione dei presup-posti di fatto dell’imposizione fiscale»; in tema v. anche SPAGNOLO, Diritto penale tributario, in Pedrazzi-Alessandri-Foffani-Seminara-Spagnolo, Manuale di diritto penale dell’impresa2, Bo-logna, 2000, p. 734, secondo il quale «l’art. 15 d.lgs. 74/2000 va oltre la sentenza della Corte costituzionale e sembra non richiedere l’errore del soggetto agente. L’incertezza oggettiva, che acquista particolare rilievo nel caso di nuove leggi oscure e ambigue e che può trovare conferma nell’atteggiamento della giurisprudenza o in circolari contraddittorie, giova a tutti, anche a chi si trova in una posizione privilegiata che gli consentirebbe di superare le difficoltà interpretative e di evitare l’errore degli altri consociati».

38 V. ancora MARTINI, op. cit., p. 257, e VALLINI, Antiche e nuove tensioni tra colpevolezza e di-ritto penale artificiale, cit., p. 402; ad una conclusione analoga sembra giungere, seppur seguen-do un diverso itinerario argomentativo, FLORA, Errore, tentativo, concorso di persone, cit., p. 703, a giudizio del quale «la nostra norma pare debba intendersi non tanto come norma sostanziale sulla struttura dell’esimente, ma piuttosto come norma processuale sulla prova legale (iuris et de jure) della sussistenza dell’errore scusabile. Insomma, quando ricorre l’ipotesi dell’obiettiva in-certezza sul significato e/o sul campo applicativo delle disposizioni disciplinanti le imposte di-rette o l’i.v.a. che concorrono a delineare lo stesso precetto penale tributario, l’autore del reato è comunque scusato, indipendentemente dall’accertamento della “evitabilità” o meno dell’er-rore interpretativo in cui è incorso con i comuni criteri elaborati sull’art. 5 c.p.».

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Pier Luca Cardella 353

rio, amministrativo e penale, riconosca e valorizzi la centralità delle condizio-ni di obiettiva incertezza.

Si può, in poche parole, pensare di abbandonare l’insidiosa riflessione in-torno alla natura derogatoria dell’art. 15 (rispetto alla norma generale) ed alla sua riconducibilità nell’alveo del tema dell’errore sul precetto (penale o extra-penale) per approdare al pragmatico riconoscimento dell’assenza di tipicità del comportamento del contribuente che, a causa dell’oscurità del precetto le-gislativo, non viene semplicemente posto nella condizione di conoscere il di-vieto penale

39. Ipotesi ricostruttiva che, spinta alle sue estreme conseguenze, potrebbe

portare a ritenere non raggiunto il confine dell’illecito con tutto quel che ne consegue sul piano della qualificazione in termini di scriminante, e non di scu-sante, della previsione recata dall’art. 15.

4. Le condizioni di obiettiva incertezza ed il dolo specifico di evasione

Come si accennava in precedenza, la previsione di una specifica disposi-zione in materia di violazioni dipendenti da interpretazione delle norme tribu-tarie ha posto all’attenzione della dottrina alcuni delicati interrogativi in ordi-ne alla compatibilità di tale scusante con un sistema, quello riformato all’alba del nuovo millennio, che in origine prevedeva esclusivamente fattispecie de-littuose sanzionate a titolo di dolo specifico

40. Il tema merita di essere approfondito giacché, oltre ad aver determinato

marcate divisioni in dottrina, può in qualche modo contribuire a spiegare l’im-percettibile impatto che la scusante in discorso ha prodotto sul nostro sistema repressivo.

Brevemente i contenuti del dibattito sviluppatosi in dottrina. Secondo una prima impostazione l’erronea convinzione del contribuente

di agire, sulla base di un’inesatta interpretazione della norma tributaria, secun-dum legem dovrebbe, comunque, sempre renderlo non punibile per mancanza del dolo specifico di evasione ossia della volontà di sottrarre materia imponi-bile al prelievo

41.

39 È questa la conclusione cui perviene MUSCO, op. cit., p. 1059. 40 La questione si pone ovviamente solo e soltanto se non si ritenga di aderire alla tesi se-

condo cui la previsione di cui all’art. 15, assumendo rilievo scriminante, priva il fatto del di-svalore oggettivo qualificandolo ab origine come lecito.

41 In questo senso si orientano, tra gli altri, GRAZIANO, op. cit., p. 955; NAPOLEONI, op. cit.,

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Lungo questa direttrice altra parte della dottrina non solo ha preso posi-zione ritenendo che la presenza del dolo specifico finisca per colorare di inuti-lità la previsione recata dall’art. 15, ma ha teorizzato la possibilità di escludere la punibilità del soggetto agente ogniqualvolta venga giudizialmente accertata l’esistenza di obiettive condizioni di incertezza e ciò, si badi, anche qualora sia dimostrabile l’intento di agire al fine di evadere le imposte

42. Seguendo quest’opzione teorica, sarebbe da escludere la punibilità dell’a-

gente anche nel caso in cui il contribuente, a fronte di una norma non obietti-vamente incerta, adotti un’interpretazione di fatto minoritaria ovvero un’in-terpretazione nuova ed originale rispetto a quella sedimentatasi in passato co-me prevalente e generalmente accettata e ciò nella convinzione, sorretta dalla ragionevolezza della tesi adottata, della legittimità del suo comportamento.

Tale approdo ricostruttivo risulta osteggiato da quanti, ravvisando gli estre-mi del dolo specifico di evasione anche nell’ipotesi in cui alla volizione della condotta strumentale si accompagni la previsione del sicuro (od altamente pro-babile) realizzarsi del fine evasivo quale conseguenza dell’azione voluta, riten-gono che l’adozione di una interpretazione non condivisa comporti la consa-pevolezza dell’illegittimità della stessa con tutto quel che ne consegue sul pia-no della (esclusione della) punibilità

43. Ed in quest’ottica si osserva, seguendo quello che appare un percorso cir-

colare, che è proprio la previsione in materia di violazioni dipendenti da in-terpretazione delle norme tributarie a confermare la correttezza della conclu-sione raggiunta in ordine alla latitudine del dolo rilevante: diversamente opi- p. 233 s.; TRAVERSI, op. cit., p. 432; VALLINI, L’errore, cit., p. 260, e DI SIENA, op. cit., p. 205, il quale conclude sottolineando che, «nel nuovo ordinamento repressivo, la prescrizione del-l’art. 15, di grandissima utilità ove fossero state previste contravvenzioni – punibili, in quanto tali, sia a titolo di dolo che di colpa – finisce per perdere gran parte della propria rilevanza in quanto ribadisce circostanze comunque desumibili dai principi alla base del sistema».

42 Il riferimento è all’opinione di BARBONE, L’elemento soggettivo di fronte a controversie interpretative, in AA.VV., Fiscalità d’impresa e reati tributari, a cura di Lupi, Milano, 2000, p. 72.

43 In questi termini SOANA, Inidoneità del dolo specifico ad escludere la rilevanza penale delle questioni interpretative, in AA.VV., Fiscalità d’impresa e reati tributari, cit., p. 84, e ID., I reati tributari, cit., p. 466; nello stesso senso anche PATRONO, op. cit., p. 562 s., a giudizio del quale «occorre considerare che lo scopo di evasione non significa necessariamente rappresenta-zione dell’antigiuridicità del fatto come contrasto tra il fatto e una norma penale. Lo scopo di evasione può rappresentare anche soltanto la consapevolezza di una generica antigiuridicità del fatto, cioè di un generico contrasto tra il fatto e le esigenze dell’ordinamento, e, nel singo-lo caso concreto, potrebbe significare anche soltanto consapevolezza che il fatto integra gli estremi di un illecito amministrativo».

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nando, infatti, si dovrebbe semplicemente riconoscere che la disposizione di cui all’art. 15, D.Lgs. n. 74/2000 sia inutiliter data

44. Orbene e volendo prendere posizione sul punto, a noi sembra che il nodo

da sciogliere sia costituito, non tanto dalla teorica compatibilità tra il dolo specifico di evasione e la previsione di cui all’art. 15, D.Lgs. n. 74/2000, quan-to, piuttosto, dall’individuazione delle condizioni di obiettiva incertezza circa la portata e l’ambito di applicazione della norma tributaria che possono effet-tivamente assumere rilievo scusante.

Sotto questo profilo, ed in via meramente esemplificativa, ci si deve chie-dere se possa ragionevolmente essere considerato indice di disorientamento interpretativo il levarsi di una voce isolata in dottrina in un contesto in cui, ma-gari, la posizione della dottrina maggioritaria e quella della giurisprudenza con-solidata risultano essere orientate in senso contrario.

Così come ci si deve chiedere se abbia senso parlare di una condizione di incertezza del dato normativo in presenza di un’opzione interpretativa inno-vativa che trova conforto in arresti giurisprudenziali isolati ovvero in risposte ad istanze di interpello non oggetto di pubblicazione in documenti di pubbli-co dominio.

In entrambi i casi ipotizzati i margini di dubbio possono essere talmente labili ed esigui da indurre ad escludere che l’agente non abbia quantomeno per-cepito la potenziale illiceità del proprio comportamento con tutto quel che ne consegue sul piano dell’accertamento del dolo.

Se, di converso, ci si trova al cospetto di un’effettiva condizione di obietti-va incertezza (si pensi al caso della conclamata oscurità e/o della contraddit-torietà del testo normativo ovvero a quello, assai prossimo, del testo normati-vo talmente ambiguo da necessitare un intervento di interpretazione autenti-ca) è evidente che il disorientamento interpretativo con cui si trova a fare i conti l’agente non può che essere, almeno nella generalità dei casi, incompati-bile con la volontà di evadere le imposte

45.

44 Un interessante cenno al controverso rapporto che lega il dolo alle condizioni di obiet-tiva incertezza si può cogliere in Cass. pen., sez. II, sent. 28 febbraio 2012, n. 7739, reperibile in Riv. giur. trib., 2012, p. 381 ss., con nota di BASILAVECCHIA, Quando l’elusione costituisce rea-to, ove si legge che «una strada tracciata dal sistema tributario per poter sostenere la buona fe-de e, quindi, l’insussistenza del reato per mancanza del dolo, è quella di richiedere l’applica-zione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 15».

45 A questa conclusione approda anche SCREPANTI, op. cit., p. 374, il quale aggiunge che, «qualora non si ritenga che esista una situazione di oggettiva incertezza normativa e quindi si pervenga al convincimento che l’errore di diritto fosse evitabile, è comunque necessario, data la particolare configurazione soggettiva dei delitti di cui al D.Lgs. n. 74/2000, verificare

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Siamo, in sostanza, al cospetto di una condizione di oscurità del precetto tale da rendere semplicemente non (ri)conoscibile il divieto.

Decisiva a questo punto si appalesa l’individuazione del criterio da seguirsi per delimitare in modo convincente il campo dell’obiettiva incertezza inter-pretativa e, in questa prospettiva, non sembrano esservi altre strade oltre quel-le battute dalla migliore dottrina che, in modo chiaro e lineare, indica il rife-rimento al criterio dell’interprete modello del settore specialistico tributario: in buona sostanza, dovrebbe assumere rilievo scusante quella condizione di incertezza che – data una condizione di iniziale disorientamento interpretati-vo determinata dalla presenza di una pluralità di possibili significati tutti egual-mente fondati o, comunque, tutti ragionevolmente sostenibili – persiste mal-grado sia stato profuso un qualificato sforzo esegetico

46.

5. La mancanza di una significativa casistica applicativa ed il rinvio all’espe-rienza maturata nel sistema delle sanzioni amministrative

Le insidie interpretative che si nascondono dietro la fisiologica oscurità dei precetti normativi e l’intervenuta generalizzazione del rilievo scusante o, ed a seconda dei punti di vista, scriminante delle condizioni di obiettiva incertezza stridono con la scarsa numerosità delle pronunce basate sull’applicazione del-la disposizione introdotta in occasione della riforma del 2000: rari, infatti, so-no i casi in cui la previsione in discorso risulta aver giocato un qualche ruolo nella formazione del convincimento del giudice e ciò, volente o nolente, con-diziona anche il tentativo di enucleare una qualche casistica applicativa.

Brevemente i contenuti dell’esperienza giurisprudenziale fin qui maturata. Il primo caso ad essere balzato agli onori delle cronache è quello affrontato

dal GUP di Crotone che, occupandosi tre lustri or sono di una vicenda colle-gata alla corretta applicazione del regime del margine in ambito IVA, ha assol-to l’imputato valutando non sussistente il fatto

47. Sin qui, ovviamente, nulla di se l’interpretazione ritenuta non corretta sia stata effettivamente posta in essere con il fine di evadere le imposte, ovvero se la stessa sia supportata da un qualche margine di fondatezza (nel qual caso non si potrebbe nemmeno parlare di errore di diritto vero e proprio) o sia da ascrivere a mera colpa».

46 In questi termini FLORA, Errore, tentativo, concorso di persone, cit., p. 702, il quale esclu-de che, ai fini che qui interessano, possa assumere rilievo il criterio del miglior interprete ov-vero quello dell’interprete medio; nello stesso senso v. PATRONO, op. cit., p. 561, e LANZI, op. cit., p. 1179.

47 Il riferimento è a GUP, Trib. Crotone, 15-22 maggio 2003, Imp. A., reperibile in Il Fi-sco, 2003, p. 5519, ed ivi nota di VERRI-BORRELLI.

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rilevante per quanto di nostro interesse. Ciò che rileva ai nostri fini è il capo-verso con cui il giudice calabrese – prefigurando una possibile e, si badi, non pronunciata esclusione della punibilità ex art. 15, D.Lgs. n. 74/2000 – chiude la motivazione della sentenza: ivi si precisa, in particolare, che l’obiettiva in-certezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della normativa di riferi-mento «nella fattispecie certamente non mancava».

Ebbene, se si eccettua l’apodittico riferimento alla (potenziale) rilevanza delle condizioni di obiettiva incertezza, lo sviluppo motivazionale della senten-za è piuttosto avaro di spunti di riflessione. Nulla si dice, infatti, circa le cause sintomatiche dell’obiettiva incertezza e, anche sotto questo profilo, al pari di quanto si registra in ordine al ruolo che nell’economia del giudizio vengono ad assumere le criticità interpretative, si possono soltanto formulare congetture. Si può, in particolare, pensare che il giudice crotonese abbia ravvisato la fonte dell’incertezza nel complesso raccordo tra la normativa comunitaria e quella domestica di recepimento oltreché negli articolati requisiti soggettivi ed og-gettivi cui è subordinata, nel nostro ordinamento, l’applicazione del regime del margine

48. Una tale conclusione, sommaria e per molti versi anche discutibile, non

aiuta di certo a fare luce sul novero dei possibili casi di oscurità del precetto capaci, almeno in linea teorica, di giustificare l’applicazione della disposizione in commento.

Proseguendo oltre in questa rapida ricognizione, ci si imbatte in una inte-ressante pronuncia del Tribunale di Milano che – affrontando una serie di com-plesse questioni legate al trattamento contabile ed ai correlati risvolti ai fini impositivi delle svalutazioni, delle perdite e delle minusvalenze da cessione rela-tive ai crediti in sofferenza di una banca – ha assolto l’imputato per insussisten-za del fatto e ha, al contempo, ravvisato l’opportunità di riconoscere l’applica-bilità della causa di non punibilità di cui al varie volte citato art. 15 a suo dire sussistendo, quanto alla portata ed all’ambito di applicazione dei princìpi con-tabili internazionali, una condizione di «obiettiva incertezza interpretativa»

49. Il precedente in rassegna suscita un certo interesse giacché il giudice me-

neghino, a differenza del GUP crotonese, sembra spingersi oltre lo stereotipa-to riferimento alla (potenziale) rilevanza delle condizioni di obiettiva incer-tezza individuando la fonte di queste ultime nella confezione del precetto nor-

48 Questa è la lettura fornita da VERRI-BORRELLI, op. loc. cit., a commento della pronuncia di cui alla nota 47.

49 V. Trib. Milano, sez. I, sent. 22 luglio 2011, n. 9447, cit.

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mativo il quale (precetto) sarebbe talmente “incerto” da aver richiesto «una pluralità di interventi normativi di vario livello»

50. Il passo della sentenza è oggettivamente stringato e, a dirla tutta, non è affatto chiaro se la successione degli interventi normativi sia la causa del disorientamento interpretativo o se, di contro, sia la panacea che allo stesso ha posto rimedio; ciò che, tuttavia, non sembra revocabile in dubbio è il riconoscimento del fatto che il comples-so processo normativo di implementazione nel nostro sistema contabile ed impositivo dei princìpi IAS/IFRS ha creato i presupposti per una condizione di oggettiva incertezza tale da giustificare, quantomeno nella prospettiva del giudice estensore, l’applicazione della disposizione che qui interessa.

La speciale previsione in materia di violazioni dipendenti da interpretazio-ne delle norme tributarie dettata dal D.Lgs. n. 74/2000 fa, infine, capolino in due recenti pronunce del Supremo Collegio che, seppur con accenti diversi, escludono la sussistenza di una condizione di obiettiva incertezza laddove sia intervenuto un chiarimento interpretativo di fonte amministrativa.

Diverso lo spessore ed il rilievo ricostruttivo dei due precedenti. In una prima occasione le Sezioni Unite, dopo aver attribuito rilievo scu-

sante alla presenza di specifici e concreti fattori esterni di carattere oggettivo, chiudono la porta all’applicazione della disposizione recata dall’art. 15 osser-vando, quanto al caso controverso, che l’Agenzia delle Entrate aveva reso pub-blica «una indicazione chiarificatrice, atta a scongiurare, sul piano della pru-denza comportamentale, ogni presupposto di incertezza invocabile dal punto di vista soggettivo»

51. Ebbene, lasciando per un momento da parte il rilievo ricostruttivo ricono-

sciuto alla sola presenza di un documento di prassi, sembra doversi registrare una battuta di arresto sulla via che conduce alla (piena) oggettivazione della causa di esclusione della colpevolezza: se infatti è vero, come è vero, che le Sezioni Unite ricostruiscono il perimetro applicativo della scusante includen-dovi i soli dubbi alimentati «non da mere valutazioni e riflessioni soggettive bensì da specifici e concreti fattori esterni di carattere appunto oggettivo»

52, è anche vero che, guardando al caso concreto, le stesse richiamano in chiave soggettiva la “prudenza comportamentale” così affievolendo la centralità della rilevabilità ab externo delle condizioni di incertezza.

A distanza di pochissimi giorni, il Supremo Collegio è tornato sull’argo-mento e ha escluso nuovamente l’applicabilità della scusante in discorso es-

50 Ancora, in questi termini, la sentenza di cui alla nota che precede. 51 Così, testualmente, la già citata Cass. pen., sez. un., sent. 12 settembre 2013, n. 37424. 52 In questi termini, ancora, la sentenza di cui alla nota 51.

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sendo intervenuto, quanto al caso controverso, un chiarimento interpretativo di fonte amministrativa ed essendo, comunque, ed in via generale, riconosciuta al contribuente la possibilità di presentare istanze di interpello, istanze cui, pe-raltro, farebbe «implicito riferimento anche il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 15»

53. Molto discutibili si appalesano queste ultime conclusioni giacché la diffu-

sione di un documento di prassi, per quanto di fonte qualificata, non è di per sé garanzia di superamento della impasse interpretativa; quanto poi al rilievo del-l’interpello c.d. ordinario è del tutto ignoto il percorso ricostruttivo seguito per arrivare a concludere che l’accertamento negativo della responsabilità penale presupponga la proposizione di istanze di interpello ex art. 11, L. n. 212/2000.

Ad ogni modo, e fermo il rilievo di affermazioni che, in almeno due dei quat-tro casi citati, appaiono slegate dal corpus delle rationes decidendi tanto da po-ter essere considerate dei veri e propri obiter o incidenter dicta, occorre pren-dere atto del fatto che il tentativo di stilare una casistica applicativa incentrata sulla lettura del solo art. 15, D.Lgs. n. 74/2000 risulta a dir poco difficoltoso

54. Di qui la necessità di cercare strade alternative che, muovendo da una ra-

gione di elementare coerenza di sistema, consentano di verificare se l’esperien-za maturata, con risultati ben diversi, occorre dire, sul fronte delle sanzioni amministrative possa essere di qualche utilità ai fini che qui interessano

55: ed

53 Così, testualmente, Cass. pen., sez. III, sent. 14 ottobre 2013, n. 42151, reperibile in Banca dati Pluris.

54 La dottrina penalistica non ritiene, comunque, tale circostanza ostativa all’individua-zione di una qualche casistica di riferimento: ed invero, come ricorda MUSCO, op. cit., p. 1058, la difficoltà di definire in astratto la condizione di obiettiva incertezza «non ha, comunque, impedito il formarsi di una sorta di tipologia in concreto delle condizioni obiettive di incertezza che ricomprenderebbero: 1) oscura, ambigua, equivoca o contraddittoria formulazione della norma; 2) esistenza di disposizioni tra loro in contrasto; 3) novità legislative dalle quali si ori-ginano dubbi interpretativi; 4) incerta applicazione temporale di una data norma; 5) emana-zione di una disposizione di interpretazione autentica, dalla quale emerga il riconoscimento dell’incertezza della norma interpretata da parte dello stesso legislatore; 6) mancanza di deci-sioni giurisprudenziali o esistenza di decisioni giurisprudenziali tra loro in contrasto, ovvero favorevoli al comportamento tenuto dal contribuente, ovvero, ancora, in contrasto con l’o-rientamento formulato, per le medesime questioni, dall’amministrazione finanziaria; 7) con-formità del comportamento del contribuente alle circolari dell’amministrazione, ovvero alle indicazioni fornite da quest’ultima; 8) mancanza di orientamenti e indicazioni da parte del-l’amministrazione finanziaria ovvero esistenza di orientamenti amministrativi poco chiari, contraddittori o tra loro in contrasto; 9) mutamenti di indirizzo dell’amministrazione rispet-to a posizioni in precedenza espresse magari con effetto retroattivo; 10) autorevoli opinioni dottrinali tra loro in contrasto o favorevoli alla soluzione adottata dal contribuente».

55 Merita incidentalmente ricordare che, in materia di sanzionabilità delle condotte abu-sive, il Supremo Collegio ha in passato avuto modo di precisare che, al di fuori del perimetro

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invero, se l’art. 15, D.Lgs. n. 74/2000 trova la sua ragion d’essere nella neces-sità di “allineare” il sistema delle sanzioni penali a quello delle sanzioni ammi-nistrative, appare del tutto logico assumere che vi debba essere coincidenza tra le situazioni che consentono di invocare l’esimente tipizzata dal comma 2 del-l’art. 6, D.Lgs. n. 472/1997

56 e quelle che rendono possibile l’applicazione della scusante di cui all’art. 15, D.Lgs. n. 74/2000

57. Collocandosi in questa prospettiva si può allora prendere le mosse dall’esa-

me di quelle che, anche sulla scorta di un costante orientamento giurispruden-ziale

58, vengono ritenute cause sintomatiche di obiettiva incertezza idonee ad escludere l’irrogazione della sanzione amministrativa

59. applicativo dell’art. 37 bis, D.P.R. n. 600/1973, sono sempre riscontrabili quelle «obiettive condizioni d’incertezza sulla portata della norma sanzionatoria, nel cui ambito di applicazione è riconducibile la violazione di un principio di ordine generale, come l’abuso di diritto» (così, testualmente, Cass., sez. trib., sent. 25 maggio 2009, 12042, reperibile in Corr. trib., 2009, p. 1992, ed ivi nota di MARCHESELLI, Elusione e sanzioni: una incompatibilità logico giuridica).

56 Procedendo ad una prima analisi delle disposizioni generali in materia di sanzioni am-ministrative, l’Amministrazione finanziaria ha preso posizione precisando che sussiste obiet-tiva incertezza ogniqualvolta ci si trovi «di fronte a previsioni normative equivoche, tali da ammettere interpretazioni diverse e da non consentire, in un determinato momento, l’indivi-duazione certa di un significato determinato» (così, testualmente, la Circolare Min. Fin. Dip. Ent. Dir. Centr. Accertamento del 10 luglio 1998, n. 180/E/98/110100, reperibile in Il Fisco, 1998, p. 10119).

57 In questo senso anche la Circolare Min. Fin. Dip. Ent. Dir. Centr. Affari giuridici e con-tenzioso tributario del 4 agosto 2000, n. 154/E/2000/144444, reperibile in Il Fisco, 2000, p. 10065, ove, tra l’altro, si evidenzia «che nei casi in cui gli uffici ritengano motivatamente non applicabile la sanzione amministrativa, in applicazione del citato articolo 6 del D.Lgs. n. 472 del 1997, devono, per coerenza, astenersi dal comunicare notizia di reato al giudice penale»; sulla latitudine degli obblighi di denuncia alla magistratura, v. diffusamente SCREPANTI, op. cit., p. 378 ss.

58 Orientamento, peraltro, in continuo divenire se è vero, come è vero, che è proprio l’e-voluzione della giurisprudenza ad arricchire «la casistica delle fattispecie in cui sia ravvisabi-le un’obiettiva incertezza della norma» (così, testualmente, LOGOZZO, La scusante dell’illecito tributario per obiettiva incertezza della legge, cit., p. 411).

59 Per una sorta di decalogo applicativo v. Cass., sez. trib., sent. 28 novembre 2007, n. 24670, reperibile in Giur. it., 2008, p. 2081, ed ivi nota di GIOVANNINI, Potere punitivo ed in-certezza della legge, ove si precisa che l’essenza del fenomeno “incertezza normativa oggettiva” si può rilevare attraverso una serie di fatti indice che sono stati individuati a titolo di esempio e, quindi, non esaustivamente: 1) nella difficoltà d’individuazione delle disposizioni norma-tive, dovuta magari al difetto di esplicite previsioni di legge; 2) nella difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica; 3) nella difficoltà di determinazione del si-gnificato della formula dichiarativa individuata; 4) nella mancanza di informazioni ammini-strative o nella loro contraddittorietà; 5) nella mancanza di una prassi amministrativa o nel-l’adozione di prassi amministrative contrastanti; 6) nella mancanza di precedenti giurispru-

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La prima e forse più immediata fonte di incertezza può essere individuata nell’oscurità, ambiguità e contraddittorietà del testo normativo il quale, per una variegata serie di ragioni, risulta sovente di non pronta ed agevole intelli-gibilità.

La scadente fattura del precetto normativo può dunque motivare la non applicazione delle sanzioni e, su questo fronte, inequivocabili appaiono le in-dicazioni fornite dalla Corte di Cassazione che, in più di un’occasione, ha avu-to modo di precisare come l’errore assuma sicuramente rilievo quando la di-sciplina normativa si articola «in una pluralità di prescrizioni, il cui coordi-namento appaia concettualmente difficoltoso per l’equivocità del loro conte-nuto derivante da elementi positivi di confusione»

60. Restando sul piano dell’incertezza determinata da scelte legislative poco

attente alla intelligibilità dei precetti normativi, occorre ricordare che la com-prensione degli stessi è spesso ostacolata, se non proprio impedita, dal rapido susseguirsi di interventi di riforma che, specialmente in alcuni particolari am-biti disciplinari, rendono altamente instabile il quadro di riferimento.

In buona sostanza, la mutevolezza dell’assetto normativo complica (e tal-volta impedisce) la piena comprensione delle prescrizioni normative giustifi-cando la mancata applicazione delle sanzioni.

Ancora sul fronte delle scelte compiute dal legislatore nella confezione dei precetti normativi, sembra opportuno richiamare il caso delle condizioni di obiettiva incertezza specificamente determinate dal varo di nuove disposizio-ni: anche in questo caso, più che l’oggettiva complessità della materia, è la scar-sa attenzione prestata in sede di messa a punto dei precetti normativi a deter- denziali; 7) nella formazione di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, magari accom-pagnati dalla sollecitazione, da parte dei giudici comuni, di un intervento chiarificatore della Corte Costituzionale; 8) nella formazione di un consolidato orientamento giurisprudenzia-le; 9) nel contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; 10) nel con-trasto tra opinioni dottrinali; 11) nell’adozione di norme d’interpretazione autentica o me-ramente esplicative di norma implicita preesistente (più di recente, in termini pressoché iden-tici, v. Cass., sez. trib., sent. 23 marzo 2012, n. 4685, reperibile in Riv. trim. dir. trib., 2013, p. 191, ed ivi nota di CORRADO, Note in tema di incertezza normativa oggettiva e ignoranza inevi-tabile, e Cass., sez. VI, ord. 12 marzo 2013, n. 6189, reperibile in Banca dati Big Suite-Ipsoa); sullo stesso tema, in dottrina, v. diffusamente sia FICARI, La disapplicazione delle sanzioni ammi-nistrative nei procedimenti tributari, in Rass. trib., 2002, p. 486 ss., che LOGOZZO, La scusante dell’illecito tributario per obiettiva incertezza della legge, cit., p. 405, e ID., Le cause di non puni-bilità, in AA.VV., Trattato di diritto sanzionatorio tributario, cit., tomo II, p. 1467 ss.

60 Così, testualmente, Cass., sez. trib., sent. 29 settembre 2003, n. 14476; nello stesso senso v. Cass., sez. trib., sent. 23 agosto 2001, n. 11233, entrambe reperibili in Banca dati Big Suite-Ipsoa.

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minare una condizione di disorientamento interpretativo che, a sua volta, può implicare la mancata irrogazione delle sanzioni.

Volendo ancora dire delle condizioni di incertezza indotte da scelte legisla-tive approssimative, occorre riconoscere la presenza di spazi per procedere alla non applicazione delle sanzioni anche nell’ipotesi in cui è lo stesso legislatore a manifestare consapevolezza dell’esistenza di uno stato di attuale o potenzia-le disorientamento interpretativo: il pensiero corre all’adozione di norme di interpretazione autentica a mezzo delle quali viene individuato, tra i molti si-gnificati logicamente desumibili dalla lettura del testo interpretato, quello da rendere cogente.

Ebbene, par difficile sostenere che, in presenza di un testo normativo che legittima una pluralità di possibili letture interpretative, tanto da rendere neces-sario un intervento di interpretazione autentica

61, si possa negare l’esistenza di una obiettiva condizione di incertezza circa la portata e l’ambito di applica-zione della norma interpretata tale da giustificare la mancata applicazione del-le sanzioni

62. Condizioni di obiettiva incertezza possono poi essere determinate dall’as-

senza di precedenti giurisprudenziali 63 ovvero dall’affermarsi di orientamenti

giurisprudenziali in contrasto tra loro 64.

In questo caso, le criticità interpretative dovute alla presenza di un testo poco intellegibile sono acuite, se così si può dire, dalla mancanza di preceden-ti ovvero dalla presenza di orientamenti contrastanti i quali, a loro volta, ben lungi dall’orientare correttamente il contribuente, potrebbero intorbidire ul-teriormente le acque legittimando la non applicazione delle sanzioni.

In concreto occorrerà verificare l’assenza di un orientamento consolidato (in caso contrario sarebbe evidentemente da escludere la sussistenza di una

61 Deve, ovviamente, trattarsi di vere e proprie norme di interpretazione autentica e non già di norme pseudo-interpretative (in realtà innovative) che, non di rado, reagiscono a sgraditi orientamenti giurisprudenziali.

62 Un cenno alla questione può essere colto in Cass., sez. trib., sent. 3 agosto 2007, n. 17105, reperibile in Banca dati Big Suite-Ipsoa, ove, peraltro, si precisa che, ai fini della disap-plicazione delle sanzioni, «non appare sufficiente il fatto che il legislatore abbia ritenuta ne-cessaria una norma interpretativa per asserire che in precedenza fosse una obbiettiva incer-tezza di diritto».

63 Al rilievo dell’assenza, nell’esegesi di una norma oscura, di un qualche orientamento giu-risprudenziale si riferisce, in particolare, Cass., sez. trib., sent. 23 agosto 2001, n. 11233, repe-ribile in Banca dati Big Suite-Ipsoa.

64 Sulla rilevanza dei contrasti giurisprudenziali v., tra le tante, Cass., sez. trib., sent. 21 febbraio 2007, n. 4044, e Cass., sez. trib., sent. 20 giugno 2007, n. 14378, entrambe reperibili in Banca dati Big Suite-Ipsoa.

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condizione di obiettiva incertezza) e la provenienza delle diverse decisioni: se, infatti, le sentenze sono pronunciate da giudici del medesimo grado ben pos-sibile sarà la mancata applicazione delle sanzioni; se, viceversa, le stesse sono pronunciate da giudici di grado diverso troverà spazio il criterio della sovraor-dinazione con tutto quel che ne consegue sul piano della maggiore “affidabili-tà” del parere espresso dalle Corti superiori

65. Risulta parimenti possibile non applicare le sanzioni in presenza di rimes-

sione di una questione di diritto alla Corte di Giustizia ovvero alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione

66: in entrambi i casi, infatti e ferma restando la necessità di scrutinare le ragioni di volta in volta sottese al rinvio oltreché gli esiti del correlato giudizio, è proprio la scelta di percorrere la strada del rinvio ad essere sintomatica, almeno in potenza, di una condizione di obietti-va incertezza

67. Proseguendo oltre, merita ricordare che possono assumere rilievo anche le

prese di posizione della più autorevole dottrina le quali, in assenza di chiari-menti ufficiali, potrebbero confermare la bontà dell’operato del contribuente ovvero, ed a seconda dei casi, potrebbero essere indicative di una condizione di oggettiva difficoltà nell’individuazione del corretto significato da attribuirsi al precetto; va da sé che le opinioni espresse dalla dottrina potrebbero essere in contrasto tra loro contribuendo ad alimentare, anziché a dissipare, le incer-tezze interpretative.

L’enunciazione delle ipotesi che vengono ad assumere rilievo scusante (ov-vero scriminante) potrebbe a questo punto proseguire spostando l’attenzione sulle condizioni di incertezza indotte dalle indicazioni interpretative (talvolta mutevoli e contrastanti) fornite dall’Amministrazione finanziaria

68: si tratta,

65 Conclusione questa da leggere cum grano salis non apparendo del tutto privo di rilievo anche il dato legato alla numerosità delle pronunce rese nei diversi gradi di giudizio.

66 È appena il caso di ricordare che, sulla scorta di quanto previsto dalla prima parte del comma 3 dell’art. 10, L. n. 212/2000, «in ogni caso non determina obiettiva condizione di incertezza la pendenza di un giudizio in ordine alla legittimità della norma tributaria».

67 V. sul punto Cass., sez. trib., sent. 13 marzo 2009, n. 6105, reperibile in Riv. giur. trib., 2010, p. 238, ed ivi nota di BATISTONI FERRARA, La remissione di questione pregiudiziale inter-pretativa alla Corte di giustizia CE attesta l’esistenza di condizioni di obiettiva incertezza sul si-gnificato della norma tributaria.

68 La Suprema Corte, occupandosi della deducibilità dal reddito d’impresa degli accanto-namenti relativi all’indennità suppletiva di clientela, ha avuto modo di precisare che «ripetu-ti ripensamenti del fisco sulla scorta delle linee interpretative anche esse cangevoli della giu-risprudenza di legittimità» giustificano la disapplicazione delle sanzioni sussistendo, nel caso di specie, «oggettiva incertezza applicativa del trattamento fiscale» (v. Cass., sez. trib., sent. 27 giugno 2008, n. 17602, reperibile in Banca dati Big Suite-Ipsoa).

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tuttavia, di uno sforzo che rischia di essere fine a se stesso potendosi registra-re, nella pratica operativa, un ampio ventaglio di condizioni capaci di giustifi-care, oltre quelle espressamente tipizzate dal c.d. Statuto dei diritti del contri-buente

69, la non applicazione delle sanzioni (si pensi, solo per citare uno tra i casi più noti, al contrasto tra le indicazioni fornite dalla prassi e l’orientamen-to prevalente in giurisprudenza o in dottrina)

70. Di gran lunga più rilevante è, invece, l’evidenziazione di quello che è un trat-

to comune a tutte le fattispecie passate in rassegna: affinché l’obiettiva incer-tezza possa assumere effettiva forza scusante o, ed a seconda dell’opzione ri-costruttiva preferita, scriminante è essenziale che la condizione di smarrimen-to interpretativo sia indotta da fattori esterni di stampo oggettivo (ad esempio, orientamenti di dottrina e giurisprudenza discordanti, circolari ministeriali collidenti e via dicendo) e non costituisca, di contro, il semplice portato della complessità del dato normativo ovvero la conseguenza di un difetto di perce-zione dovuto alle qualità soggettive (ad esempio, il modesto livello di istruzio-ne) dell’agente

71.

6. Conclusioni

La rassegna che precede offre lo spunto per alcune brevissime considera-zioni di sintesi che, muovendo da quello che può essere considerato l’unico dato certo con cui si trova a fare i conti l’interprete ossia l’essere l’ordina-mento tributario estremamente incerto e mutevole, consentano di com-prendere se, sul fronte del diritto penale tributario, sia effettivamente neces-saria la previsione di una specifica scusante in tema di errore interpretativo

69 Il pensiero corre alla previsione recata dal comma 2 dell’art. 10 dello Statuto a mente della quale «non sono irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori al contribuente, qua-lora egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell’amministrazione finanziaria, an-corché successivamente modificate dall’amministrazione medesima, o qualora il suo compor-tamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni od errori dell’amministrazione stessa».

70 A giudizio della Suprema Corte una condizione di obiettiva incertezza può, ad esempio, verificarsi quando «l’Amministrazione finanziaria abbia dato luogo con atti (ad esempio circo-lari) o comportamenti (ad esempio casi analoghi in cui non è stata contestata la esterovesti-zione) a condizioni reali di incertezza nell’applicazione della norma» (così, testualmente, la già citata Cass. pen., sez. II, sent. 28 febbraio 2012, n. 7739); sullo specifico punto v., in dot-trina, le puntuali considerazioni di LANZI, op. cit., p. 1176.

71 In questo senso condivisibilmente DI SIENA, op. cit., p. 204 s.; SOANA, I reati tributari, cit., p. 464, e TRAVERSI, op. cit., p. 434.

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Pier Luca Cardella 365

determinato dall’ambigua polisemanticità della norma tributaria. Ebbene, per la negativa sembrerebbe militare la pressoché totale assenza di

riscontri giurisprudenziali 72, circostanza questa che, salvo credere ad un’im-

probabile inversione di rotta rispetto a pratiche legislative sedimentatesi nel tempo, può forse spiegarsi facendo leva sulla sostanziale incompatibilità tra un’effettiva condizione di obiettiva incertezza sulla portata e sull’ambito di ap-plicazione di una norma tributaria ed il richiesto dolo specifico di evasione

73. Di contro, e per la positiva, depone il tecnicismo e l’elevata complessità della

nostra materia che, in uno alla conclamata incapacità del legislatore di elabo-rare precetti normativi chiari, stabili ed idonei ad essere applicati con signifi-cati ed effetti univoci, sollecitano il superamento di una prospettiva che, cor-relando la scusabilità dell’errore interpretativo al dovere di informarsi con di-ligenza

74, rischia di relegare la prima in uno spazio applicativo del tutto mar-ginale.

Sullo sfondo resta un dibattito estremamente vivace ed interessante che ve-de i cultori della scienza penalistica interrogarsi sull’impatto prodotto, sul piano della legislazione penale complementare, dalle condizioni di obiettiva incertez-za, condizioni di matrice oggettiva che alcuni considerano essere un vero e pro-prio corpo estraneo alla struttura personalistica della colpevolezza

75.

72 A giudizio di KELLER, op. cit., p. 353, «lo scarso rilievo pratico fino ad oggi avuto po-trebbe (probabilmente) essere ulteriormente ridotto in futuro. Ciò in considerazione del fatto che il nuovo D.Lgs. n. 158/2015 ha modificato la fattispecie di dichiarazione infedele nella qua-le – storicamente – venivano inserite tutte le ipotesi di elusione ed abuso del diritto, transfer pricing e altre operazioni sorrette da norme tributarie di per sé di difficile ed opinabile inter-pretazione, ipotesi che richiedono un particolare zelo nell’interpretazione e nell’applicabilità della normativa tributaria di riferimento e che oggi potrebbero, forse, essere ritenute penal-mente irrilevanti».

73 A questa conclusione sembra pervenire anche MARTINI, op. cit., p. 259, nota 233. 74 Da questo punto di vista è sufficiente ricordare il granitico insegnamento della Supre-

ma Corte che, occupandosi anche di recente dell’applicazione della disposizione di cui al-l’art. 5 c.p. sul versante dei reati tributari, ha avuto modo di precisare che «la regola della c.d. ignoranza inevitabile [....] non può validamente essere invocata da chi svolge una attività ri-spetto alla quale ha il dovere di informarsi con diligenza sulla normativa esistente [....] ed è certamente questo il caso, ricorrente nella specie, di un imprenditore [....] tenuto alla puntuale conoscenza e osservanza (anche attraverso la scelta e l’ausilio di collaboratori competenti) del-le normative correlate allo svolgimento della attività imprenditoriale» (così, testualmente, la già citata Cass. pen., sez. un., sent. 12 settembre 2013, n. 37424).

75 Conclusione cui non aderisce FLORA, Errore, tentativo, concorso di persone, cit., p. 704, il quale reputa scongiurato «il pericolo di un possibile deterioramento (da inquinamento) del-la struttura personalistica della colpevolezza».

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Luca D’Agostino

L’OPERATIVITÀ DELLA CONFISCA E LE SORTI DEL SEQUESTRO PREVENTIVO IN PRESENZA DI IMPEGNO

AL PAGAMENTO DEL DEBITO TRIBUTARIO: IN DUBIO PRO REO?

HOW THE CONFISCATION AND THE PRELIMINARY SEIZURE SHOULD BEHAVE WHEN THE DEBTOR EXPRESSLY COMMITS

TO PAY THE TAXES CLAIMED: IN DUBIO PRO REO?

Abstract Il D.Lgs. n. 158/2015 ha introdotto diverse disposizioni a carattere premiale per il contribuente che estingua le proprie pendenze nei confronti del fisco ovvero che si impegni a versare all’Erario l’imposta evasa (o parte di essa). In particolare il nuovo comma 2 dell’art. 12 bis, D.Lgs. n. 74/2000 prevede che «la confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di seque-stro». Premesso un breve commento sulla disposizione e sull’interpretazione forni-ta dalla giurisprudenza di legittimità, l’Autore si interroga sulla possibilità di adottare una lettura maggiormente favorevole all’imputato che, al tempo stesso, sia coerente con la nuova disciplina degli effetti penali dell’estinzione del debito tributario e con i principi generali in materia di misure cautelari reali. Parole chiave: confisca, impegno al pagamento, estinzione, misure cautelari reali, effetti.

D.Lgs. n. 158/2015 has introduced various “rewarding” mechanisms available to the taxpayer who extinguishes his tax debts or expressly commits to pay them (or part of them). In particular, the new paragraph 2 of art. 12 bis, D.Lgs. n. 74/2000, establishes that «confiscation does not apply for the part that the debtor undertakes to pay, even in case of preliminary seizure». Following a brief analysis of the provision and on the in-terpretation gave by the Italian Supreme Court, the Author tries to find out if an alter-native reading, more favorable to the accused and more consistent with the new legal

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framework on criminal effects of full payment of tax debts and with general criminal principles on precautionary measures, does exist. Keywords: confiscation, commitment to pay, cancellation of the tax debt, in rem pre-cautionary measures, effects.

SOMMARIO: 1. Premessa. La disciplina della confisca tributaria. – 2. Il comma 2 dell’art. 12 bis. – 3. L’impegno del contribuente al pagamento del debito. – 4. Gli effetti dell’impegno del contribuente: il regime della confisca e del sequestro ad essa finalizzato. – 4.1. La tesi della confisca condizionalmente sospesa. – 4.2. La posizione della giurisprudenza di legittimità. – 5. Una possibile soluzione alter-nativa. – 5.1. Il tenore testuale della norma. – 5.2. L’interpretazione logico-sistematica alla luce degli artt. 13 e 13 bis. – 5.3. La coerenza con i principi generali in materia di misure cautelari reali. – 6. Profili pratico-applicativi. Conclusioni.

1. Premessa. La disciplina della confisca tributaria

Tra le disposizioni di maggiore interesse contenute nel D.Lgs. 24 settem-bre 2015, n. 158 spiccano quelle dirette a ridisegnare la disciplina della confi-sca del profitto del reato tributario, contenute nel nuovo art. 12 bis, D.Lgs. n. 74/2000.

L’innovazione normativa comporta taluni problemi di coordinamento, spe-cie con i principi generali in materia di misure cautelari reali e con le disposi-zioni di cui ai novellati artt. 13 e 13 bis del medesimo decreto legislativo, fina-lizzate a premiare il comportamento collaborativo del contribuente. Si tratta di disposizioni che corrispondono alle esigenze concorrenti di assicurare una adeguata risposta sanzionatoria nonché di favorire il comportamento resipi-scente e collaborativo del contribuente

1. L’impegno al versamento dell’impo-sta evasa sembrerebbe dunque condurre alla paralisi degli effetti della confi-sca; la scelta del legislatore è mirata a privilegiare le ragioni creditorie dell’Era-rio rispetto a quelle – squisitamente penalistiche – connesse alla natura marca-tamente sanzionatoria della confisca.

1 Riforma dei reati tributari: confisca, sequestro e impegno a pagare il debito tributario, Relazio-ne predisposta dalla Procura Distrettuale di Trento per il Seminario organizzato dall’Univer-sità di Bologna, 5 febbraio 2016, disponibile su www.procura.trento.giustizia.it.

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Luca D’Agostino 369

In materia penaltributaria, una forma di confisca per equivalente era previ-sta già prima della riforma. Infatti, l’art. 1, comma 143, L. n. 244/2007 (ora a-brogato dal D.Lgs. n. 158/2015) sanciva l’applicabilità della confisca di cui al-l’art. 322 ter c.p. rispetto a numerosi reati tributari. Il comma 1 dell’art. 12 bis

2 si limita a ripetere la formulazione della disposizione prevista per i delitti con-tro la Pubblica Amministrazione; in questo la riforma si è limitata a conferire all’istituto una più razionale collocazione sistematica, inserendolo nell’ambito suo proprio. Non cambia, dunque, il modus procedendi per il giudice che pro-nunci sentenza di condanna per un reato tributario: egli sarà chiamato a verifi-care, anzitutto, se sia possibile procedere alla confisca diretta dei beni che co-stituiscono profitto del reato; solo laddove verifichi l’impossibilità di appren-dere direttamente il profitto dovrà disporre la confisca di valore, cioè l’abla-zione di una parte del patrimonio legittimamente posseduto dal condannato, avente valore corrispondente all’ammontare del profitto derivante dal reato

3. Del pari, conserva validità l’elaborazione teorica relativa all’individuazione

del soggetto passivo della confisca, in caso di reati commessi dal rappresentante legale di una società; all’individuazione del carattere sanzionatorio o meno del-la confisca “di valore”; alla definizione di profitto confiscabile

4. La disposizio-

2 La disposizione recita: «1. Nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale per uno dei delitti previ-sti dal presente decreto, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profit-to o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto».

3 Rispetto alla previgente disciplina, la novella ha esteso l’ambito di operatività della con-fisca in quanto richiama, genericamente, tutti i delitti previsti dal D.Lgs. n. 74/2000, consen-tendo di applicare la misura ablativa anche al reato di occultamento o distruzione di scritture contabili di cui all’art. 10, per quanto, in effetti, rispetto a tale reato sembra difficile ipotizzare un profitto assoggettabile a confisca. L’art. 1, comma 143, L. n. 244/2007 elencava in modo tassativo le fattispecie per le quali era prevista la speciale forma di confisca: «Nei casi di cui agli articoli 2, 3, 4, 5, 8, 10-bis, 10-ter, 10-quater e 11 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni di cui all’art. 322-ter del codice penale».

4 Nei reati tributari il profitto, anche per equivalente, è integrato da qualsiasi vantaggio patrimoniale derivante dalla commissione del reato e può consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento dell’imposta, comprensivo del man-cato pagamento degli interessi e delle sanzioni dovute in seguito all’accertamento del debito tributario (Cass. pen., sez. un., 31 gennaio 2013, n. 18374, Adami, rv. 255036).

La nozione tracciata per i reati tributari riflette la più generale nozione penalistica di pro-fitto rilevante ai fini della confisca, comprensivo di ogni vantaggio derivato dall’illecito, rien-trandovi non soltanto i beni che l’autore del reato apprende alla sua disponibilità per effetto diretto e immediato dell’illecito, ma anche ogni altra utilità che lo stesso realizza come effetto

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ne introduce un elemento di novità riguardo all’oggetto materiale dell’abla-zione patrimoniale, prevedendo la confiscabilità del “prezzo” del reato. L’in-terpolazione non è stata accolta con favore dai primi commentatori che ne paventano un’applicazione quasi scolastica in materia penaltributaria

5.

2. Il comma 2 dell’art. 12 bis

La novità più importante e delicata, come anticipato, è contenuta nel com-ma 2 del nuovo art. 12 bis, D.Lgs. n. 74/2000, laddove si prevede che la confi-sca “non opera” per la parte che il contribuente “si impegna a versare” e ciò “an-che in presenza di sequestro”, con la precisazione, contenuta nel secondo perio-do, che, in caso di mancato versamento, la confisca è sempre disposta.

La norma, nella sua formulazione testuale, risulta decisamente ermetica, o-mettendo di esplicitare:

i) in cosa consiste, quanto a forma e sostanza, l’“impegno” del contribuen-te idoneo a impedire la confisca;

ii) quali siano gli effetti dell’impegno rispetto al sequestro preventivo fina-lizzato alla confisca (art. 321 c.p.p.);

iii) se il giudice che pronunci la sentenza di condanna debba astenersi tout court dal disporre la confisca, ovvero, possa disporla sub condicione.

Il legislatore, invero, si è mostrato sempre molto laconico quando si è trat-tato di introdurre ipotesi speciali di confisca: è data preferenza a un linguaggio assai essenziale e all’utilizzo di espressioni dalla portata semantica assai vasta

6, lasciando ampio – forse eccessivo – spazio alla elaborazione giurisprudenzia-le. Il trend non è stato disatteso dal decreto delegato di revisione del sistema sanzionatorio tributario, che con l’introduzione del nuovo art. 12 bis ha aper-to il fronte a numerose questioni. mediato ed indiretto della attività criminosa attraverso la trasformazione o l’investimento dei primi (v. Cass. pen., sez. un., 25 ottobre 2007, n. 10280, Miragliotta, rv. 238700).

5 Per “prezzo” del reato di intende il compenso dato o promesso per indurre, istigare o de-terminare un altro soggetto a commettere il reato; costituisce, quindi, un fattore che incide esclusivamente sui motivi che hanno spinto il soggetto a delinquere (v. Cass. pen., sez. un., 3 luglio 1996, n. 9149, Chabni, rv. 205707).

Secondo la Procura di Trento (cit. sub nota 1) le uniche ipotesi eccezionali di “prezzo del reato” in ambito tributario, potrebbero ipotizzarsi rispetto al pretium corrisposto all’emitten-te di fatture false da parte dell’utilizzatore (art. 8, D.Lgs. n. 74/2000) oppure al soggetto che ha occultato o distrutto le scritture contabili (art. 10).

6 Si pensi ai concetti di “profitto”, o “prodotto” del reato o di “disponibilità” di beni.

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L’intento del legislatore è, verosimilmente, quello di interdire la misura abla-toria allorché il contribuente s’impegni a pagare, in tutto o in parte, il debito tributario, all’uopo utilizzando le somme potenzialmente confiscabili (qualo-ra si tratti di confisca avente ad oggetto denaro) ovvero liquidità provenienti dalla disponibilità di beni diversi dal denaro (qualora la misura patrimoniale cada su beni di valore equivalente). Secondo alcuni autori la norma è espressi-va della volontà di far prevalere le pretese creditorie dell’Agenzia delle Entrate su quelle ablatorie conseguenti alla confisca

7: da ciò deriva l’incentivo al pa-gamento spontaneo, ancorché tardivo, da parte del contribuente. In quest’ot-tica il processo penale e gli strumenti di apprensione coattiva del profitto del-l’evasione rivestono un ruolo secondario, di carattere sussidiario.

Dal punto di vista sistematico non è difficile cogliere come siffatto obietti-vo sia perseguito anche dalle norme immediatamente successive a quella in di-scorso, cioè dagli artt. 13 e 13 bis, i quali disciplinano, secondo una logica gra-duale e progressiva, gli effetti penali dell’avvenuta estinzione del debito tribu-tario

8. La comunanza di ratio tra le disposizioni suggerisce di avvalorare una lettura sistematica del complesso normativo risultante dalla riforma

9.

3. L’impegno del contribuente al pagamento del debito

La sanatoria della posizione debitoria con l’Amministrazione Finanziaria fa venire meno lo scopo principale perseguito con la misura ablativa e con il se-

7 FINOCCHIARO, L’impegno a pagare il debito tributario e i suoi effetti su confisca e sequestro in Dir. pen. cont., 14 dicembre 2015, p. 4.

8 Si richiama il contributo di MELIS, La nuova disciplina degli effetti penali dell’estinzione del debito tributario, in Rass. trib., n. 3, 2016, p. 589 ss.

Il quadro risultante dalla riforma – nel quale la fraudolenza del fatto funge da “spartiac-que” – contempla le seguenti ipotesi:

i) laddove si tratti di fattispecie di omesso versamento (artt. 10 bis e 10 ter) e di indebi-ta compensazione (art. 10 quater, fatta eccezione per la compensazione di crediti inesistenti in quanto connotata da frode), se i debiti tributari vengono estinti prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il reato non è punibile;

ii) laddove si tratti di fattispecie di reati dichiarativi, privi di elementi fraudolenti (artt. 4 e 5), opera parimenti la non punibilità del reato in caso di estinzione del debito, ma a condi-zione che l’autore del reato non abbia avuto formale conoscenza dell’inizio dell’attività di accertamento fiscale o del procedimento penale;

iii) laddove, infine, si tratti di reati caratterizzati da frode (artt. 2 e 8), oppure dei reati di cui al punto precedente per i quali non sussistano più le condizioni per accedere alla non pu-nibilità, trova applicazione la sola attenuante di cui all’art. 13 bis.

9 Tratteremo della questione al successivo par. 5.2.

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DOTTRINA RTDT - n. 2/2017 372

questro preventivo a essa finalizzato. Atteso che il profitto suscettibile di con-fisca corrisponde sostanzialmente all’ammontare dell’imposta evasa, è di im-mediata evidenza che, qualora l’agente provveda al pagamento del debito era-riale, viene automaticamente meno qualsiasi indebito vantaggio patrimoniale da aggredire con la confisca. Sulla scorta di siffatte considerazioni la giurispru-denza di legittimità ha chiarito che, solutis solvendis, i beni in sequestro devo-no essere restituiti per un ammontare corrispondente a quanto versato; e che quello stesso ammontare va detratto dal quantum oggetto di confisca, fino a poterla escludere del tutto

10. La misura ablatoria viene infatti esclusa non solo per la parte che il contri-

buente ha versato all’erario – circostanza, questa, già pacificamente ammessa ante riforma – bensì anche per quella che si impegna a versare.

Alcuni autori 11 dubitano della reale consapevolezza del legislatore nel ma-

turare tale scelta, osservando che nella Relazione Illustrativa allo schema di de-creto, le note relative alla disposizione in commento si limitano alle seguenti parole: «Viene, inoltre, espressamente chiarito che la confisca non opera per la parte che può essere restituita all’Erario»; l’impressione è che si tratti di nor-ma dal contenuto non precettivo, ma meramente espositivo di una norma che già esisteva.

Leggendo la disposizione in combinato disposto con quelle che regolano gli effetti penali dell’estinzione del debito tributario sembra potersi ricavare che: in qualunque momento precedente alla pronuncia della sentenza definitiva di condanna, l’integrale estinzione del debito tributario permette di evitare la confisca, mentre la sua parziale estinzione consente di diminuire corrisponden-temente il quantum confiscabile; e tali risultati sono oggi rispettivamente pos-sibili anche presentando semplicemente un impegno ad estinguere, in tutto o in parte, il debito tributario; l’imputato che abbia provveduto a un pagamento parziale prima dell’apertura del dibattimento, può richiedere il termine trime-strale di cui all’art. 13, comma 3, per completare ratealmente l’estinzione del debito: in tal modo, egli potrebbe evitare la condanna godendo della causa di non punibilità ex art. 13, comma 1, o quantomeno usufruire delle attenuanti di cui all’art. 13 bis, mettendo così al riparo anche dagli effetti della confisca.

10 Cass. pen., sez. III, 15 aprile 2015, n. 20887; Cass. pen., sez. III, 16 maggio 2012, n. 30140; Cass. pen., sez. III, 3 dicembre 2012, n. 46726, in Corr. trib., n. 7, 2013, p. 591. Sul pun-to, chiaramente, FINOCCHIARO, op. cit., p. 6.

11 DELSGNORE, Commento all’art. 12-bis, in NOCERINO-PUTINATI (a cura di), La riforma dei reati tributari. Le novità del d.lgs. n. 158/2015, Torino, 2015, p. 315 ss.; FINOCCHIARO, op. cit., p. 8.

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Luca D’Agostino 373

Dal momento che la norma riconnette al semplice impegno del contri-buente/imputato conseguenze di estremo rilievo, è opportuno chiarire quale forma e contenuto esso debba avere.

Quanto alla forma dell’impegno 12, fermo restando il principio del libero

convincimento del giudice – e quindi l’assenza di una prova legale cui possa ritenersi subordinata la dimostrazione dell’impegno – è corretto ritenere che quest’ultimo possa essere valorizzato a fini della non operatività della confisca solo se si sostanzi in un impegno “formale” e “tipico” che il contribuente abbia assunto con l’Amministrazione Finanziaria, mediante il ricorso alle speciali pro-cedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tribu-tarie. Di converso, non potrebbe essere efficace un impegno unilateralmente assunto dal contribuente: l’Amministrazione Finanziaria dovrà “trattare” con il contribuente il contenuto e i termini dell’impegno. Una volta formalizzato, l’impegno sarà prodotto davanti all’autorità giudiziaria procedente e compor-terà l’effetto inibitorio della confisca.

Quid iuris nel caso in cui il creditore d’imposta non accetti i termini e le condizioni fissati dal contribuente, e quindi si rifiuti di formalizzare l’impe-gno? Il contribuente/imputato potrà assumere l’impegno direttamente sub banco judicis; il giudice limiterà la propria cognizione alla mera verifica forma-le della validità dell’impegno, per essa intendendosi la conformità alle norme imperative di legge che disciplinano le procedure conciliative e di adesione

13. Un secondo aspetto problematico riguarda l’individuazione del soggetto

tenuto a assumere l’impegno con l’Amministrazione Finanziaria, quando il de-bitore tributario sia una persona giuridica e non una persona fisica. A rigore l’impegno dovrebbe provenire dall’ente, che tecnicamente è il contribuente;

12 Si condividono le argomentazioni del Procuratore di Trento nella citata nota “Riforma dei reati tributari”, p. 12.

13 Verosimilmente il giudice, ricevuta in udienza la dichiarazione, da parte dell’imputato o del suo difensore, di impegno al pagamento del debito tributario, fisserà una successiva u-dienza per la verifica dell’assunzione dell’impegno secondo forme tipiche previste dalla nor-mativa tributaria, dando avviso che, in caso di rifiuto o contestazioni da parte dell’Erario, provvederà egli stesso alla verifica della validità formale dell’impegno. Secondo alcuni, il giu-dice avrebbe una cognizione estesa anche al merito delle motivazioni per cui il contribuente si è risoluto così tardivamente a voler pagare l’imposta evasa; sarebbe quindi necessario che il contribuente riesca a “rassicurare” il giudice circa la serietà dei propri intenti nonché sulla concreta possibilità di darvi seguito. La tesi non convince: al giudice penale non possono – e non debbono – interessare i motivi che hanno indotto il contribuente a non pagare fino a quel momento; quale che fossero i propositi del contribuente, questi deve essere comunque messo in condizione di accedere alle misure premiali previste, purché offra un minimum di garanzia della serietà dell’impegno assunto.

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ma anche la condotta resipiscente del legale rappresentante assume rilevanza ai fini della neutralizzazione della confisca

14.

4. Gli effetti dell’impegno del contribuente: il regime della confisca e del seque-stro ad essa finalizzato

Il vero punctum pruriens della nuova disciplina sta nel comprendere quali siano gli effetti pratici dell’assunzione dell’impegno al pagamento del debito tri-butario, e, di conseguenza, quali siano i riflessi sul piano del procedimento penale. L’interprete deve confrontarsi con una norma dal tenore testuale assai ampio, in grado, di per sé, di assumere diversi significati; le difficoltà sono ac-cresciute dalla necessità di ritrovare una coerenza sistematica con la disciplina codicistica delle misure cautelari reali.

La questione sarà esaminata ripercorrendo gli estremi del dibattito, e con-centrando in particolare l’attenzione sulla tesi condivisa dalla recente giurispru-denza di legittimità.

Dalla lettura della norma si ricava, in via di prima esegesi, la seguente solu-zione: accertata la responsabilità penale dell’imputato per il reato tributario e individuato il profitto confiscabile, il giudice non può disporre la confisca se non per la parte non coperta dall’impegno del contribuente al pagamento del debito tributario. Se poi l’impegno non è adempiuto, alle scadenze pattuite, si applicherà l’ultimo paragrafo del comma 2 dell’art. 12 bis

15 e la confisca, ini-zialmente inibita dall’impegno, dovrà essere disposta. Quanto al giudice com-petente a disporre la misura, nulla quaestio se la sentenza non sia ancora dive-nuta definitiva perché oggetto di gravame: in tal caso il giudice di appello avrà cognizione estesa al merito della confisca, indipendentemente dai capi o dai punti della sentenza sottoposti a censura. Viceversa, se l’omesso versamento

14 Il legale rappresentante, chiamato a rispondere penalmente del reato tributario, po-trebbe attivarsi per assumere l’impegno restitutorio con l’Amministrazione Finanziaria. Tra la posizione dell’ente e quella del soggetto che lo rappresenta esistono delle indubbie interfe-renze sul piano dell’estinzione del debito tributario: il pagamento da parte della società, im-pedirà la confisca dei beni del legale rappresentante imputato, onde evitare una indebita du-plicazione del trattamento sanzionatorio. Parimenti, nel caso in cui l’imputato abbia sanato il debito, magari per avvalersi del richiamato trattamento di favore di cui agli artt. 13 e 13 bis, quando si sia proceduto al sequestro diretto del profitto sul patrimonio dell’ente: l’estinzione del debito tributario impedirà la misura ablativa. Una diversa soluzione non potrebbe che determinare, anche in questo caso, una indebita duplicazione della sanzione.

15 Testualmente: «Nel caso di mancato versamento la confisca è sempre disposta».

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interviene dopo la formazione del giudicato, a disporre la confisca non potrà certamente essere il giudice della cognizione

16. L’irrevocabilità della sentenza, quindi, non preclude il potere di disporre la confisca; sarà onere dell’Ente cre-ditore, accertato l’inadempimento del contribuente, darne notizia al Pubblico Ministero o direttamente al giudice dell’esecuzione, chiedendo di disporre la misura ablativa per un valore corrispondente alla parte non pagata.

Il vero banco di prova su cui saggiare gli effetti dell’impegno al pagamento del debito tributario si ha però nel caso in cui sia stato disposto un sequestro preventivo finalizzato alla confisca (art. 321, comma 2, c.p.p.). Facendo appli-cazione dei principi generali in materia – in particolare quello dell’accessorie-tà e strumentalità delle misure cautelari reali – verrebbe da dire che, nell’im-possibilità di disporre la confisca, il sequestro venga automaticamente meno. Infatti, l’art. 323, comma 3, c.p.p. prevede: «se è pronunciata sentenza di con-danna, gli effetti del sequestro permangono quando è stata disposta la confi-sca delle cose sequestrate»; ne discende ex adverso che gli effetti del sequestro non permangono quando non viene disposta la confisca. In breve: qualora la sentenza di condanna non abbia disposto la misura ablatoria, a fronte dell’im-pegno assunto dal contribuente, l’eventuale sequestro preventivo finalizzato alla confisca dovrebbe divenire inefficace, essendo privato di qualunque logi-ca di esistenza.

4.1. La tesi della confisca condizionalmente sospesa

La chiave di lettura in parola, però, non ha trovato seguito nella prassi a causa di potenziali “malfunzionamenti operativi”, prontamente denunciati dal-la dottrina

17.

16 È indubbio che la competenza sarà del giudice dell’esecuzione su impulso del Pubblico Ministero. Se la misura ablativa non è stata disposta con il provvedimento giurisdizionale di merito, il Pubblico Ministero non può sic et simpliciter emettere l’ordine di esecuzione. Il po-tere del giudice dell’esecuzione è consacrato nell’art. 676 c.p.p. (Altre competenze), a mente del quale: «il giudice dell’esecuzione è competente a decidere [...] in ordine alla confisca o alla restituzione delle cose sequestrate. In questi casi il giudice dell’esecuzione procede a norma dell’art. 667 comma 4». Si applicherà, quindi, il procedimento semplificato c.d. de plano; contro l’ordinanza che pronuncia sull’istanza, potranno proporre opposizione l’interessato e il Pubblico Ministero, ai sensi del quarto comma dell’art. 667, davanti allo stesso giudice.

17 D’AVIRRO, L’impegno al pagamento rateale non conduce alla inoperatività della confisca – Nota a Cass. Pen. Sez. III, 11 febbraio 2016, n. 5728, in Giur. it., 2016, fasc. 7, p. 1746; DEL SOLE, Il semplice impegno a versare non comporta l’automatica riduzione del sequestro per e-quivalente – Nota a Cass. sez. III pen. 25 febbraio 2016, n. 7550, in Corr. trib., 2016, fasc. 16, p. 1238. Tra i primi sostenitori v. FINOCCHIARO, op. cit., p. 18 che richiama le argomenta-zioni del Procuratore di Trento nella citata nota “Riforma dei reati tributari” p. 16 ss.

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L’automatica caducazione del sequestro preventivo, infatti, farebbe venir meno l’unica garanzia che l’imputato non disperda i propri beni e paghi effet-tivamente il debito secondo l’impegno assunto. L’esito sarebbe contrario alle fondamentali esigenze sottese alla norma sul sequestro preventivo

18 la cui ra-tio risiede infatti nell’opportunità di sottrarre al reo la disponibilità di quanto sarà oggetto della confisca. Da qui la ricerca di una alternativa, che consenta al vincolo di permanere finché non sia onorato l’impegno al pagamento del debi-to d’imposta. Si sottolinea come la funzione del sequestro non si esaurisca nella fase della cognizione, ma trovi ragion d’essere in vista dell’esecuzione della misura ablativa. Se si interpretasse l’art. 12 bis nel senso che il giudice non possa disporre la confisca, si giungerebbe a una “aporia di sistema”

19: il seque-stro verrebbe meno proprio quando è pronunciata la sentenza di condanna, in funzione ed attesa della quale fu disposta la misura anticipatoria. In tal modo la funzionalità della misura rischia di essere frustrata: l’evasore, che per anni non ha pagato il debito tributario potrebbe scongiurare l’imminente rischio del-l’ablazione patrimoniale attraverso il commodus discessus dell’impegno a paga-re il debito, grazie al quale riuscirebbe pure ad ottenere la restituzione dei be-ni costituenti il profitto del reato.

Si deve operare una distinctio tra due ipotesi: se la confisca, non ordinata in sentenza, non potrà più essere disposta successivamente, allora giocoforza il sequestro perde di efficacia; se invece, la sentenza definitiva non preclude la possibilità di applicazione successiva, anche in fase esecutiva, della misura, al-lora è bene che il sequestro rimanga in piedi, dovendo (ancora) assolvere alla funzione anticipatoria sua propria.

Per rendere compatibile la perpetuatio del sequestro con il principio della interinalità degli effetti delle misure patrimoniali preventive, occorre però di-sconoscere che la sentenza definitiva, anche se non irrevocabile, abbia effica-cia decisoria sulla confisca, poiché, se così fosse, si dovrebbe ammettere che il sequestro viene meno contestualmente alla pronuncia di condanna.

Per questo motivo i fautori della tesi in argomento, hanno avanzato una lettura della previsione secondo cui la proposizione “la confisca non opera” non è limitativa del potere del giudice di disporre l’ablazione, ma, semmai, della

18 È stato osservato che le esigenze cautelari sarebbero assai pregnanti, in quanto inerenti ad un soggetto condannato per un fatto di reato provato nei suoi elementi costitutivi, che ha generato un profitto confiscabile; il sequestro permane ed è funzionale ad assicurare che – nel caso in cui il condannato non versi all’erario le somme oggetto dell’impegno – la confisca ob-bligatoria possa essere utilmente ed agevolmente disposta dal giudice dell’esecuzione.

19 Così definita da FINOCCHIARO, op. cit., p. 16.

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messa in esecuzione della stessa. La soluzione prende le mosse dalla differen-za terminologica tra la locuzione “non opera”, utilizzata dal legislatore nell’art. 12 bis, comma 2, e quella “non è disposta”, che dal raffronto con il secondo ca-poverso della disposizione, era lecito attendersi. In quest’ordine di idee, la nor-ma non impedisce affatto al giudice di disporre la confisca, ma semplicemente fa sì che tale misura – ancorché disposta – non sia resa operativa. La funzione della norma sarebbe pertanto quella di “neutralizzazione” degli effetti e dell’e-seguibilità della confisca; la misura è “non operativa” poiché disposta ma non eseguibile e dunque improduttiva di effetti.

Detto altrimenti: allorché il contribuente si impegni a pagare, il giudice, nel pronunciare la sentenza di condanna dovrebbe comunque disporre la confi-sca dell’intero profitto delittuoso accertato, esplicitando però, contestualmen-te, che essa non produce effetti limitatamente al quantum che il contribuente di è impegnato a versare. L’esecuzione della confisca rimarrebbe così in certo senso “condizionata” all’eventuale inadempimento dell’accordo assunto

20. Seguendo questa tesi, se poi il contribuente non dovesse pagare alle sca-

denze pattuite verrà a risoluzione la condizione sospensiva della confisca, co-sicché essa potrà essere messa in esecuzione dal Pubblico Ministero; in tal ca-so, l’interessato potrà sollevare un incidente ex art. 666 c.p.p., provocando il contraddittorio innanzi al giudice dell’esecuzione. Avendo il giudice già di-sposto la confisca – che resta fittiziamente in suspenso – si beneficia pure di una fase esecutiva molto snella: il Pubblico Ministero già dispone del titolo esecu-tivo, e quindi può procedere alla confisca su semplice segnalazione da parte del-l’Amministrazione Finanziaria.

La confisca “condizionalmente sospesa” sarebbe così assimilabile all’istituto della sospensione condizionale della pena (art. 163 c.p.), con la sola differen-za che, in difetto di espressa indicazione normativa, l’unica causa di decadenza dal beneficio consiste nel mancato pagamento di quanto dovuto.

Inquadrato in questi termini, l’impegno a pagare il debito tributario non produce alcun effetto sul piano del sequestro preventivo finalizzato alla confi-sca, non potendosi invocare la decadenza ex art. 323, comma 3, c.p.p.

21.

20 L’autore da ultimo citato adduce il seguente esempio: Tizio è imputato per aver omes-so di versare 100, ma in udienza ha presentato un accordo con l’Agenzia delle Entrate in base al quale si è impegnato a versare 60 a quest’ultima; il giudice, nell’eventuale sentenza di con-danna, disporrà la confisca di 100, stabilendo però altresì che (a) essa vada eseguita solamen-te per l’importo di 40 perché – ex art. 12 bis – “non opera” per la parte (60, appunto) oggetto dell’impegno e (b) nel caso di mancato versamento dell’importo secondo l’impegno, la con-fisca disposta tornerà ad essere operativa ed eseguibile per tutte le parti non versate.

21 La disposizione recita: «Se è pronunciata sentenza di condanna, gli effetti del seque-

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I sostenitori della tesi in argomento ne evidenziano anche i pregi sul piano pratico-applicativo: essa fa permanere gli effetti del sequestro già disposto an-che dopo la pronuncia della sentenza di condanna; rende semplice e lineare l’esecuzione della misura ablatoria qualora il contribuente non onori l’impe-gno assunto.

4.2. La posizione della giurisprudenza di legittimità

Le prime pronunce della Corte di Cassazione sull’applicazione del comma 2 dell’art. 12 bis, sembrano muoversi nel solco dell’indirizzo interpretativo ap-pena richiamato.

In epoca antecedente all’introduzione della norma, molte pronunce di le-gittimità hanno affermato che il profitto suscettibile di confisca corrisponde all’ammontare dell’imposta evasa, sicché col pagamento viene meno qualsiasi indebito vantaggio da aggredire col provvedimento ablatorio. Il mantenimen-to del sequestro preventivo in vista della confisca, nonostante l’intervenuta sa-natoria fiscale, darebbe luogo a una inammissibile duplicazione sanzionatoria, in contrasto col principio che l’espropriazione definitiva di un bene non può mai essere superiore al profitto derivato

22. Dalla necessaria corrispondenza tra pagamento del debito ed elisione del profitto la Corte ha argomentato che so-lo l’integrale pagamento conduce all’inoperatività in toto della confisca per e-quivalente e, quindi, del sequestro ad essa finalizzato. L’approdo giurispru-denziale è rimasto fermo anche a seguito del novum introdotto dal D.Lgs. n. 158/2015. Già dalla prima sentenza edita che ha affrontato la questione

23 la Corte ha affermato che il nuovo art. 12 bis, proprio laddove appare contem-plare la “non operatività” della confisca in caso di “impegno” a versare all’erario il debito d’imposta, non smentisce, in realtà, il principio secondo cui la misura patrimoniale è interdetta solo in caso di integrale pagamento del debito. Se-condo questa linea di pensiero si deve ritenere che «la locuzione “non opera” non significa affatto che la confisca, a fronte dell’accordo rateale intervenuto, non possa essere adottata ma che la stessa non divenga, più semplicemente, stro permangono quando è stata disposta la confisca delle cose sequestrate»; aderendo alla tesi secondo cui il giudice della condanna dispone la confisca, ma questa non è eseguibile in presenza di impegno del contribuente, si ha l’effetto “positivo” di far permanere il vincolo reale sui beni costituenti il profitto del reato (anche per equivalente).

22 Ex plurimis Cass. pen., sez. III, 12 luglio 2012, n. 46726, Lanzalone, rv. 253851. 23 Cass. pen., sez. III, 14 gennaio 2016, n. 5728, Orsetto, rv. 266038, in Giur. it., 2016, fasc.

7, p. 1746, con nota di D’AVIRRO, L’impegno al pagamento rateale non conduce alla inoperativi-tà della confisca.

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efficace con riguardo alla parte “coperta” da tale impegno salvo ad essere di-sposta, come recita l’art. 12 bis, comma 2, allorquando l’impegno non venga rispettato e il versamento promesso non si verifichi». Ne deriva che, anche in presenza di piano rateale di versamento, la confisca continua ad essere con-sentita per gli importi che non siano stati ancora corrisposti, così come il se-questro ad essa finalizzato.

La lettura fornita dalla Corte, che sembrerebbe essere stata smentita da una sentenza immediatamente successiva

24, ha trovato conferma nella giuri-sprudenza successiva. Si annoverano, in particolare, due pronunce

25 con cui la Suprema Corte ha ribadito la posizione inizialmente espressa, meglio esplici-tandone le ragioni in diritto e aderendo, in sostanza, alla tesi della confisca “condizionalmente sospesa”. Viene ribadito che solamente l’effettiva sanatoria della posizione debitoria con l’Erario fa venir meno la possibilità di disporre la confisca del profitto del reato tributario; quest’ultima deve invece essere di-sposta – seppure condizionalmente sospesa nei suoi effetti e, cioè, nella sua e-seguibilità – per quelle somme che non sono state pagate, ma che il contri-buente si è formalmente impegnato a versare. Se la confisca rimane in ipotesi doverosa, anche il sequestro preventivo a essa prodromico è del tutto legitti-mo, a nulla ostando l’esistenza di un accordo di ristrutturazione che preveda il pagamento rateizzato del debito fiscale. Quindi: la confisca “non operativa”, è una confisca applicata ma non eseguibile perché non ancora produttiva di ef-

24 Cass. pen., sez. III, 9 febbraio 2016, n. 28225 in cui la Corte, pronunciandosi sulla legit-timità della sentenza di merito che aveva disposto la confisca, l’ha cassata con rinvio, rilevan-do che «la non necessità di un preventivo decreto di sequestro si evince anche dal testo del D.Lgs. n. 74 del 2000, nuovo art. 12 bis, comma 2, che deve essere interpretato nel senso che l’impegno del contribuente a versare all’erario le somme dovute non è condizionato dall’e-ventuale presenza di un sequestro, sterilizzando solo gli effetti della confisca» e che «in sede di rinvio il Tribunale dovrà tenere conto della sopravvenuta modifica normativa per effetto della quale, la confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’era-rio anche in presenza di sequestro». Alla luce del novum normativo, la sentenza di merito è stata annullata per aver disposto la confisca per equivalente ai danni della società della quale era amministratore l’imputato: ciò sembrerebbe collidere con il principio di diritto affermato dalla sentenza precedente, secondo cui, pur in presenza di impegno del contribuente, il giu-dice dovrà comunque disporre la confisca per la parte non ancora pagata.

25 Cass. pen., sez. III, 13 luglio 2016 (dep. 6 ottobre 2016), n. 35246; Cass. pen., sez. III, 13 luglio 2016 (dep. 7 ottobre 2016), n. 42470. In entrambi i casi i ricorrenti avevano soste-nuto che il sequestro preventivo avrebbe dovuto essere revocato tout court, in presenza di im-pegno al pagamento del debito tributario: con la formalizzazione dell’accordo tra contribuente ed Amministrazione, si sarebbe verificato il presupposto normativo ostativo alla confisca, non potendo applicarsi il sequestro a chi dimostri la concreta possibilità e intenzione di restituire all’Erario l’imposta evasa.

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fetti, e «la cui produzione sarebbe subordinata (condizionata) al verificarsi di un evento futuro e incerto, costituito dal mancato pagamento del debito. Fer-mo restando che, come recita il comma 2 dell’art. 12 bis, essa dovrà, comun-que, essere “disposta”, rectius diventare efficace, allorquando l’impegno non sia stato rispettato e il versamento “promesso” non si sia verificato»

26.

5. Una possibile soluzione alternativa

La tesi di una confisca condizionalmente sospesa non ci appare tuttavia con-vincente. Essa non solo sembra distonica rispetto al tenore testuale dell’art. 12 bis, ma attua pure una “forzatura” delle regole processuali penali in materia cau-telare, specialmente con riferimento al nesso di strumentalità ex art. 323 c.p.p. del sequestro rispetto alla confisca. La lettura sembra non tener conto del fatto che il legislatore, con il medesimo intervento normativo, ha allargato le maglie degli effetti penali dell’avvenuta estinzione del debito tributario, apprestando uno strumento volto a favorire il pagamento spontaneo, e, quindi, la possibilità di beneficiare della non punibilità o dell’attenuazione di pena (artt. 13 e 13 bis, D.Lgs. n. 74/2000). Se da un lato, infatti, si potrebbe argomentare nel senso dell’inopportunità che il sequestro preventivo venga meno proprio nel “mo-mento clou” della pronuncia della sentenza di condanna, dall’altro si deve con-siderare che l’impegno del contribuente potrebbe intervenire in momento sen-sibilmente precedente a quello della apertura del dibattimento, cioè in un tem-po in cui egli è ancora ammesso a beneficiare delle esimenti/attenuanti di pe-na previste dagli articoli da ultimo citati. Se il sequestro finalizzato alla confi-sca – misura che, comunque, non potrebbe operare in caso di “impegno” – ve-nisse meno nel corso del procedimento il contribuente disporrebbe del tempo e dei mezzi sufficienti per poter adempiere agli impegni assunti con l’Erario, laddove, diversamente opinando, il vincolo reale (anche per equivalente) co-stituirebbe un serio ostacolo al rispetto del piano di rateizzazione concordato.

Del resto, sul piano pratico applicativo, la permanenza del vincolo reale im-pone un aggravio procedurale notevole: l’imputato sarebbe costretto a richie-dere – di volta in volta, dopo il pagamento della singola rata – il dissequestro pro quota dei beni sequestrati, impossibile nel caso in cui il vincolo sia stato disposto per equivalente su beni per loro natura indivisibili.

Vediamo adesso di esaminare nel dettaglio ciascuno dei profili accennati.

26 Cass. pen., sez. III, 13 luglio 2016 (dep. 7 ottobre 2016), n. 42470, cit., p. 11 ss.

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5.1. Il tenore testuale della norma

Il testo dell’art. 12 bis non brilla per chiarezza, in particolare per l’utilizzo del-la locuzione “non opera”, anziché “non è disposta”, che costituisce l’argomento principe a fondamento della tesi della confisca condizionalmente sospesa.

La disposizione, testualmente, recita: «La confisca non opera per la parte che il contribuente s’impegna a versare all’Erario anche in presenza di seque-stro. Nel caso di mancato versamento la confisca è sempre disposta».

Se ne traggono almeno due argomenti di segno contrario alla lettura aval-lata dalla giurisprudenza.

Nel secondo capoverso il legislatore regola gli effetti del mancato versamen-to di quanto il contribuente deve pagare in base all’impegno assunto: l’abla-zione patrimoniale è sempre “disposta” in tal caso. Come si può quindi soste-nere che la misura debba essere disposta già con la sentenza di condanna, sal-vo rimanere inefficace e non operativa a fronte dell’impegno del contribuen-te? La contrapposizione tra il predicato “non opera” – utilizzato nel primo capo-verso – e quello «è […] disposta» – che figura nel secondo – appalesa la vo-lontà del legislatore di interdire la declaratoria dell’ablazione patrimoniale fi-no al momento in cui l’imputato non risulti inadempiente ai propri impegni. A fronte dell’impegno del contribuente, se la confisca deve essere disposta già prima del mancato versamento, non avrebbe avuto senso specificare che nel-l’eventualità del successivo inadempimento l’ablazione “è sempre disposta”: per-ché dover disporre ex post una misura che, in ogni caso, il giudice deve adotta-re fino a quando non sia estinto integralmente il debito tributario? L’interpre-tazione più lineare è che, una volta formalizzato l’impegno, la confisca né può essere disposta né può operare, con tutte le conseguenze che ciò comporta sul piano delle misure cautelari reali.

Non sembra neppure in linea con il dettato normativo che il sequestro debba essere mantenuto ad ogni costo. Nel primo capoverso della disposizio-ne si specifica che «la confisca non opera [...] anche in presenza di sequestro». Adottando il canone ermeneutico dell’ubi lex voluit dixit, si deve ritenere che la specificazione sia stata inserita al precipuo scopo di evidenziare che la pre-senza di vincoli reali preventivi non osta alla piena operatività della norma. Se fosse vero che l’efficacia precettiva della disposizione si esaurisce in una mera inoperatività della confisca – dovendo quest’ultima sempre e comunque esse-re disposta fino a quando il contribuente non ha estinto il debito tributario per il quale si procede – perché specificare che la regola vale pure in presenza di sequestro? A fortiori essa avrebbe operato, visto che il sequestro si regge pro-prio sulla futura ablazione patrimoniale! La specificazione «anche in presenza

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di sequestro» ha senso soltanto se dall’impossibilità per il giudice di ordinare la confisca, derivi qualche effetto giuridico sulla misura preventiva. A ben ve-dere l’inciso suona quasi come un monito per l’interprete: «si badi bene che la confisca non opera, e non opera neppure in presenza di sequestro».

Da questi argomenti testuali sembra potersi ricavare che, in presenza di im-pegno al pagamento del debito tributario, il giudice non può disporre la confi-sca; l’impossibilità che sia resa operativa (disposta, ordinata che dir si voglia) la confisca produce delle conseguenze sul sequestro ad essa finalizzato.

5.2. L’interpretazione logico-sistematica alla luce degli artt. 13 e 13 bis

Un convincente percorso ermeneutico non può arrestarsi al «senso fatto pa-lese dal significato proprio delle parole»

27, dovendo altresì ricercare quale fosse l’intenzione del legislatore (c.d. canone di interpretazione logica). In questa prospettiva, si deve considerare che il significato della disposizione non può prescindere dal contesto nel quale è inserita, né dal sistema con cui si integra.

Il D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158 recante la “Revisione del sistema sanzio-natorio, in attuazione dell’art. 8, comma 1, della legge 11 marzo 2014, n. 23” ha rinnovato profondamente il sistema penaltributario, modificando diverse nor-me e inserendone di nuove. Tra le modifiche più rilevanti spicca l’innalza-mento delle soglie di punibilità per i reati fiscali e l’introduzione di un inedito caso di non punibilità per avvenuto pagamento del debito tributario (art. 13, D.Lgs. n. 74/2000) cui fa da pendant la previsione di talune circostanze atte-nuati (art. 13 bis) sempre connesse all’estinzione del debito d’imposta. Il legi-slatore ha privilegiato, attraverso il meccanismo della non punibilità e dell’at-tenuazione della pena, progressivamente graduandole in base alla tipo di rea-to di cui trattasi

28, il pagamento spontaneo da parte del contribuente esplici-tandone quindi gli effetti sul piano penale. Ed è in questa prospettiva che va letta la disciplina sulla (inoperatività della) confisca collocata sistematicamen-te subito prima di siffatte disposizioni: essa risulta prodromica e funzionale a favorire l’accesso del contribuente ai benefici connessi all’estinzione del debi-to tributario. Del resto, già i primi commentatori

29, richiamando la Relazione Illustrativa al decreto delegato, hanno evidenziato come l’intento del legislatore fosse quello di interdire la misura ablatoria allorché il contribuente s’impegni

27 Art. 12 delle Disposizioni sulla legge in generale. 28 Sul punto si rinvia al contributo di MELIS, op. cit., p. 596. 29 Per tutti, FINOCCHIARO, op. cit., p. 4.

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a pagare, in tutto o in parte, il debito tributario, a tal fine utilizzando le somme potenzialmente confiscabili (qualora si tratti di confisca avente ad oggetto de-naro) ovvero liquidità proveniente dalla disponibilità di beni diversi dal dena-ro (qualora la misura patrimoniale cadrebbe su beni di valore equivalente). La norma è quindi espressiva della volontà di far prevalere le pretese creditorie dell’Agenzia delle Entrate su quelle ablatorie conseguenti alla confisca, e da ciò deriva l’incentivo al pagamento spontaneo, ancorché tardivo, da parte del con-tribuente.

Il processo penale e gli strumenti di apprensione coattiva del profitto del-l’evasione rivestono oggi carattere sussidiario. Si deve quindi privilegiare una interpretazione dell’art. 12 bis che garantisca, nella pratica, il più efficiente ac-cesso alle misure premiali; che consenta al contribuente di pagare, al più pre-sto e spontaneamente, quanto si è impegnato a versare.

La tesi della confisca condizionalmente sospesa si avvalora con la presun-zione de iure dell’esistenza del pericolo d’insolvenza, come se la restituzione fa-cesse venir meno qualsiasi garanzia patrimoniale di adempimento: la restitu-zione dei beni sottoposti a sequestro avrebbe un effetto pratico assai poco de-siderabile. Ma certo è che il contribuente riscontrerà difficoltà notevoli a e-stinguere il debito, essendogli stata sottratta la disponibilità, diretta o per equi-valente di un ammontare pari all’imposta evasa. Insomma, la tesi qui criticata non appare proprio in linea con le intenzioni e le aspettative del legislatore, il quale, avendo favorito l’accesso dell’imputato alle misure premiali, ha sposta-to il baricentro della solvibilità affidandosi a garanzie di carattere personale («paga e non sarai punito, o sarai punito molto meno, tanto da poter aspirare al beneficio della sospensione condizionale della pena»), piuttosto che garanzie di carattere reale.

Del resto, che l’intenzione del legislatore sia quella di favorire l’adempi-mento totale entro una parentesi temporale ristretta, emerge chiaramente dal-la disciplina procedurale applicabile. Il novellato art. 13 prevede, al comma 3, che «qualora, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il debito tributario sia in fase di estinzione mediante rateizzazione, an-che ai fini dell’applicabilità dell’art. 13 bis, è dato un termine di tre mesi per il pagamento del debito residuo. In tal caso la prescrizione è sospesa. Il Giudice ha facoltà di prorogare tale termine una sola volta per non oltre tre mesi, qua-lora lo ritenga necessario, ferma restando la sospensione della prescrizione».

Il legislatore, nel caso di rateizzazione in corso, cioè di “impegno” al versa-mento – rilevante anche ex art. 12 bis – concede una proroga automatica di tre mesi per il pagamento del debito residuo, termine durante il quale la prescri-zione del reato è sospesa, nonché l’ulteriore facoltà per il giudice di prorogare

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tale termine una sola volta per non oltre tre mesi, qualora lo ritenga necessa-rio. La proroga, sia ope legis che giudiziale, è funzionale a consentire il ricono-scimento dei benefici della non punibilità o dell’attenuazione di pena.

La dottrina ha criticato la previsione di un termine così breve “a mesi”, rile-vandone la distonia con i tempi normalmente accordati per il pagamento ra-teale del tributo (anche un decennio) e con la durata media di un procedi-mento penale, circostanze che non giustificano “tanta fretta”

30 da parte del le-gislatore.

La fissazione di un termine così ristretto (massimo sei mesi da quando do-vrebbe aprirsi il dibattimento) può giustificarsi unicamente alla luce di una interpretazione “sistematicamente orientata” della norma sulla confisca, che dia la maggiore ampiezza possibile agli effetti conseguenti all’assunzione dell’im-pegno da parte del contribuente. Se il sequestro preventivo del profitto del reato – o di beni di valore equivalente, come assai più spesso avviene – non dovesse venir meno, l’imputato per carenza di mezzi e di tempo verosimilmen-te non riuscirà ad estinguere il debito per avere accesso ai benefici

31. La tesi avvalorata dalla giurisprudenza non si preoccupa per contro di ritro-

vare un equilibrio sistematico; eppure sul piatto della bilancia c’è il rischio di rendere inoperativa la previsione di un termine massimo così ristretto per l’ac-cesso alle misure premiali. Occorre dare coerenza al dato normativo e privile-

30 Si cita MELIS, op. cit., p. 610. 31 In via esemplificativa possiamo immaginare un procedimento penale per omesso ver-

samento dell’IVA da parte di un imprenditore che verta in crisi di liquidità. Dopo aver rice-vuto l’avviso di conclusione delle indagini preliminari, il contribuente stringe un accordo di ra-teizzazione con l’Agenzia delle Entrate, impegnandosi a saldare l’intero debito nel giro di due anni. Nel frattempo, tuttavia, il Pubblico Ministero aveva già richiesto, ed ottenuto, il sequestro di alcuni valori mobiliari e crediti dell’impresa. Ora, se il sequestro finalizzato alla confisca venisse meno, l’imprenditore potrebbe riscuotere i crediti o vendere sul mercato gli strumenti finanziari, riuscendo così ad estinguere il debito tributario entro il termine pattuito e forse an-che prima dell’apertura del dibattimento. Viceversa, se il sequestro dovesse permanere, per l’imputato, che già verte in crisi di liquidità, sarà estremamente difficoltoso riuscire ad estingue-re il debito d’imposta entro il breve lasso temporale accordato dal legislatore ai fini della non punibilità del reato. Il rischio è che si spigioni un circolo vizioso: pur di beneficiare dell’impu-nità, il contribuente contrae onerosi prestiti e vende a prezzo ridotto i cespiti produttivi dell’a-zienda, con la conseguenza di esporsi al rischio di fallimento per bancarotta. Sul piano della garanzia di solvibilità del contribuente, si comprende come l’incentivo ad estinguere il debito sarà fortissimo, visto che ne consegue l’impunità per il reato. Non diverso se si trattasse di reato dichiarativo per il quale il contribuente ha già avuto conoscenza dell’accertamento: l’e-stinzione del debito farà “scattare” l’attenuante di pena, e quindi permetterà all’imputato di rientrare nel raggio d’azione della sospensione condizionale della pena (con effetti pratici si-mili a quelli del caso precedente).

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giare una lettura che, sul piano pratico applicativo, renda effettive le previsioni legislative. Ecco perché l’idealizzazione di una confisca “condizionalmente so-spesa”, disposta ma non attuata, insuscettibile di far venir meno il sequestro a essa prodromico, indipendentemente dalla fase in cui intervenga l’impegno al versamento, presenta dei limiti notevoli.

Volendo condensare al minimo il percorso ermeneutico finora seguito, si ritiene di poter approssimare i seguenti corollari: i) è data preferenza al paga-mento spontaneo del debito tributario, sicché l’apprensione del profitto del reato, o di beni di valore ad esso equivalente, ha carattere soltanto sussidiario; ii) se il contribuente si impegna ad estinguere il debito, la confisca non potrà essere ordinata, poiché ciò urterebbe con il principio di sussidiarietà dell’abla-zione patrimoniale; iii) la misura viene inibita “anche in presenza di sequestro”, perché i beni, comunque, dovranno essere restituiti al fine di permettere il pa-gamento spontaneo; iv) se poi il contribuente riesce ad estinguere il debito prima dell’inizio del dibattimento, godrà dei benefici della non punibilità o dell’attenuazione di pena, e quindi di guarderà bene dal non adempiere; v) al contribuente è dato comunque un termine ristretto per l’estinzione del debi-to, poiché è messo in condizioni favorevoli per poter adempiere in tempi ra-pidi; vi) se poi non dovesse riuscire ad estinguere il debito entro il termine mas-simo, fermo restando il rispetto del piano di rateizzazione concordato con l’Am-ministrazione Finanziaria, il giudice non potrà comunque ordinare la confisca; vii) il giudice è comunque libero di tenere in considerazione, ai fini della de-terminazione della pena ex art. 133 c.p., la circostanza che il contribuente ha tenuto una condotta collaborativa, rispettando l’impegno al versamento, pur non essendo riuscito a estinguere il debito entro il termine massimo.

5.3. La coerenza con i principi generali in materia di misure cautelari reali

Al di là dei rilievi sin qui formulati, ci sembra che la permanenza di un seque-stro finalizzato ad una confisca futura, eventuale, ed incerta, urti con i principi generali in materia di misure cautelari reali. Chi avvalora la tesi in contesta-zione tende a “schermare” il problema attraverso la fictio che la confisca sareb-be comunque disposta (anche se resta non operativa), corroborata dalla con-siderazione – di sapore tutto metagiuridico – che non sarebbe opportuno che il vincolo reale venga meno proprio nel momento in cui è pronunciata la sen-tenza di condanna

32.

32 L’osservazione pecca di eccessivo semplicismo, non prendendo in considerazione il fatto che l’imputato ha interesse a stringere un accordo con il fisco in tempo di molto precedente

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Il giudice può disporre il sequestro preventivo «delle cose di cui è consen-tita la confisca» (art. 321, comma 2, c.p.p.); quando è pronunciata sentenza di condanna «gli effetti del sequestro permangono quando è stata disposta la confisca delle cose sequestrate» (art. 323, comma 3, c.p.p.). La misura caute-lare trova ragion d’essere della futura possibilità per il giudice di disporre la confisca. In linea di principio le norme devono avere applicazione tassativa, in modo da limitarne la portata ai soli casi in cui il giudice dispone stricto sensu l’ablazione patrimoniale: a quel punto basterà che il Pubblico Ministero la met-ta in esecuzione. La medesima disciplina non dovrebbe essere estesa anche a una ipotesi “ibrida”, come quella in contestazione, in cui il giudice dispone sì la confisca, ma in fondo occorre(rebbe) sempre aspettare se e casomai il contri-buente venga meno all’impegno assunto con il fisco. La differenza risulta evi-dente: nel caso previsto dal codice si ha un capo decisorio sulla confisca, che “è disposta”, già di per sé self-applicant; nel caso “ibrido” di creazione dottrina-le, invece, si fa rientrare nel caso decisorio, anche una statuizione neutra del tipo «il giudice dà atto che il contribuente si è impegnato al pagamento totale o parziale del tributo evaso, e che al momento, non risulta inadempiente all’im-pegno assunto»

33. Un attento esame della disciplina dettata dal codice di procedura penale

scongiura i rischi connessi all’automatica caducazione del sequestro per effet-to dell’impegno del contribuente. Che si disperdano le garanzie per il paga-mento del tributo è circostanza che non potrà essere presunta di diritto, ma dovrà essere dimostrata nel caso di specie. L’art. 323 c.p.p. risolve il problema al comma 4: «La restituzione non è ordinata se il giudice dispone, a richiesta del Pubblico Ministero o della parte civile, che sulle cose appartenenti al-l’imputato o al responsabile civile sia mantenuto il sequestro a garanzia dei crediti indicati nell’art. 316»

34. Nel qual caso si avrebbe una interversione del sequestro preventivo in sequestro conservativo, ma pur sempre qualora esista una fondata ragione che manchino o che si disperdano le garanzie per il pa-gamento del tributo, valutazione rimessa all’apprezzamento del giudice. alla pronuncia della sentenza di condanna, al fine di avere accesso alle misure premiali. Si comprende che, se il sequestro venisse meno in questa fase, non sarebbe affatto un risultato così poco auspicabile: anzi sarebbe in linea con la volontà del legislatore di accordare un trat-tamento di favore in caso di estinzione integrale del debito.

33 Non potrebbe, secondo la linea interpretativa seguita, adottare la formula «dispone la confisca dei beni sottoposti a sequestro», poiché per dizione testuale dello stesso art. 12 bis, comma 2, 2° cpv, la confisca «è […] disposta» nel caso di mancato versamento.

34 La disposizione richiamata ha specifico riguardo proprio ai crediti dell’Erario.

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L’art. 85 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale con-templa una ipotesi che sembra tagliata su misura per il caso in esame. La nor-ma dispone che: «Quando sono state sequestrate cose che possono essere re-stituite previa esecuzione di specifiche prescrizioni, l’autorità giudiziaria [...] ne ordina la restituzione impartendo le prescrizioni del caso e imponendo una idonea cauzione a garanzia dell’esecuzione delle prescrizioni nel termine sta-bilito». Quando il beneficiario della restituzione è tenuto a osservare specifi-che prescrizioni, tra le quali indubbiamente rientrano quelle concordate con l’Amministrazione Finanziaria

35, il giudice potrà imporre una idonea cauzio-ne a garanzia dell’esecuzione delle prescrizioni nel termine stabilito. Verosi-milmente il giudice lo farà con ordinanza, dando atto dell’intervenuto “impe-gno”, e disponendo la restituzione dei beni sottoposti a sequestro, dietro la prestazione di una cauzione

36; nel caso in cui nulla sia disposto nel provvedi-mento giurisdizionale, potrà provvedere in tal senso anche il Pubblico Mini-stero, visto che la norma parla di Autorità Giudiziaria in senso lato.

Il codice, dunque, prevede dei rimedi ben precisi, azionabili d’ufficio o su istanza di parte, per scongiurare il rischio che la caducazione del sequestro pre-ventivo comporti la perdita delle garanzie patrimoniali per il pagamento del debito d’imposta. In questo contesto, non si vede come possa essere così apoca-littico che l’ablazione preventiva venga meno: quando esiste il concreto, fonda-to ed attuale timore che il contribuente disperda le garanzie del credito eraria-le e non rispetti il piano di rateizzazione, l’Amministrazione Finanziaria si ri-volgerà all’autorità giudiziaria, secondo le forme previste, per ottenere la con-versione in sequestro conservativo; in tutti gli altri casi – e cioè quando esista comunque il dubbio sul puntuale adempimento del piano da parte del contri-buente – potrà essere disposta la prestazione di una cauzione.

Il vincolo patrimoniale sarà mantenuto soltanto quando sussistano le esi-genze cautelari tipiche del sequestro conservativo; in difetto, i beni dovranno essere restituiti, salva la prestazione di una cauzione quando necessaria. Così è anche rispettato il nesso di strumentalità tra le esigenze cautelari e il tipo di misura utilizzata. La tesi in contestazione, al contrario, pecca di coerenza sot-to questo punto di vista: si vuole mantenere in piedi il sequestro preventivo finalizzato alla confisca (che non potrà essere disposta, futura e incerta nel suo essere) giustificandolo, però, con il periculum tipico del sequestro conservati-

35 La norma, infatti, non parla di prescrizioni imposte dall’Autorità Giudiziaria, ma di “specifiche prescrizioni” senza indicare quale sia la fonte delle stesse.

36 Anche se la norma parla di cauzione, non è escluso che il giudice possa ritenere suffi-ciente la fideiussione prestata da un terzo.

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vo. Potrebbe sembrare un argomento dal rigore eccessivamente formalistico, ma cela dietro di sé un risvolto garantista di tutta evidenza: in questo modo l’imputato potrà beneficiare del controllo giurisdizionale sull’effettiva esisten-za delle esigenze cautelari, laddove, invece, la permanenza ipso iure del seque-stro preventivo sottrae qualunque possibilità di difesa.

La soluzione appare in linea, infine, anche con il termine ultimo a disposizio-ne per il contribuente per impegnarsi a versare il dovuto che la dottrina

37, con-divisibilmente, ha ravvisato nella irrevocabilità della sentenza. L’impegno “tar-divo” al pagamento non dovrebbe consentire al giudice dell’esecuzione di in-tervenire su un titolo esecutivo già formato; l’art. 12 bis sembra avere come de-stinatario il solo giudice della cognizione. Il termine ultimo per l’assunzione del-l’impegno scongiura in questo modo il rischio che il contribuente strumentalizzi il beneficio al fine di evitare l’imminente esecuzione della confisca, conseguendo addirittura la restituzione dei beni sottoposti a sequestro (pur senza avere più alcuna possibilità di accedere alle misure premiali di cui agli artt. 13 e 13 bis).

6. Profili pratico-applicativi. Conclusioni

La tesi proposta, invero, si lascia preferire anche per la fluidità sul piano pra-tico-applicativo sotto diversi punti di vista.

In primis, la caducazione della misura preventiva finalizzata alla confisca con-sente di recuperare il controllo giurisdizionale sulla attuale sussistenza di ra-gioni cautelari connesse alla conversione del sequestro preventivo in conser-vativo; di ciò si è ampiamente detto.

In secondo luogo, la rinnegazione di una confisca condizionalmente sospesa (disposta ma non attuabile) renderà necessario che un giudice accerti che il contribuente si è reso inadempiente all’impegno assunto: il Pubblico Ministe-ro non disporrà di alcun titolo esecutivo in base al quale attuare la confisca, sicché avrà l’onere di “tornare” dal giudice

38 per chiedere che venga disposta l’ablazione patrimoniale del profitto per la parte non versata all’Erario. Vice-versa, appare quanto mai inopportuno che il Pubblico Ministero possa proce-dere direttamente all’esecuzione della misura, rimettendo al contribuente l’o-

37 FINOCCHIARO, op. cit., p. 22. Contra v. la Nota del Procuratore di Trento, cit., sub nota 1, p. 17.

38 La competenza dovrebbe essere attribuita al giudice che procede nel caso in cui l’inot-temperanza all’impegno assunto si verifichi nel corso del processo di merito; nel caso in cui si sia formato giudicato, invece, è rimessa al giudice dell’esecuzione ex art. 676, comma 1, c.p.p. che procederà nelle forme di cui all’art. 667, comma 4 (amplius, v. nota 16).

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nere di sollevare l’incidente di esecuzione ai sensi dell’art. 666, comma 1, c.p.p. Un contraddittorio differito ed eventuale, comunque successivo all’esecuzio-ne della confisca, non sembra in linea con le garanzie processuali delineate dal codice di rito. La verifica dell’inadempimento del contribuente non si risolve in un mero riscontro di tipo amministrativo, ma impone di considerare anche la serietà dello stesso e la riconducibilità a un comportamento quantomeno col-pevole del contribuente

39. In tal caso il vaglio giurisdizionale preventivo, sia pure secondo le forme della procedura semplificata di fronte al giudice dell’e-secuzione successivamente alla formazione del giudicato, è la soluzione che meglio contempera le garanzie difensive del contribuente con le esigenze di spe-ditezza del procedimento.

Da ultimo, si deve tener presente che l’idea di una confisca in suspenso, con conseguente permanenza del vincolo patrimoniale preventivo a essa finalizza-to, rende estremamente farraginoso l’iter di svincolo progressivo delle somme oggetto di sequestro per la parte che, via via, il contribuente versa all’Erario.

Si pensi al caso in cui un imprenditore, imputato di omesso versamento del-l’IVA, si impegni a pagare la somma di 100, pari all’ammontare dell’imposta evasa, dopo aver ricevuto notifica dell’ordinanza con cui il GIP ha disposto il sequestro preventivo di denaro di valore equivalente al profitto del reato. Al-l’uopo, concorda un piano di rateizzazione con l’Agenzia delle Entrate che prevede il pagamento di dieci rate bimestrali di valore nominale pari a 10.

Se gli effetti del sequestro permanessero, il contribuente sarà onerato, di vol-ta in volta, a presentare istanza di dissequestro di una somma pari alla rata ver-sata (pari a 10); il sequestro non potrebbe permanere sull’intero poiché, es-sendovi una relazione diretta col profitto derivante dal reato, pari al risparmio d’imposta, si avrebbe una inammissibile duplicazione sanzionatoria. In questo modo il contribuente riacquisterebbe la disponibilità di una somma di denaro con cui, verosimilmente, provvederà al pagamento della rata successiva; l’aggra-vio procedurale sarebbe notevole ma, alla fine, il contribuente vedrebbe, len-tamente, dissolversi il sequestro. Tale percorso, già di per sé complesso, risul-ta del tutto impraticabile nel caso in cui la confisca – come accade nella mag-gior parte dei casi – abbia a oggetto beni infungibili ed indivisibili di valore equivalente all’ammontare del profitto. L’esempio più lampante è quello del sequestro di beni immobili, con relative pertinenze, oppure di beni mobili re-

39 Gli esempi sono vari. Potrebbe infatti accadere che l’imputato abbia disposto il versa-mento ma questo non sia stato accreditato per cause non gli sono imputabili; oppure che l’i-nadempimento riguardi somme risibili rispetto all’ammontare delle singole rate; o ancora che le somme siano state sottratte per fatto illecito perpetrato da terzi.

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gistrati. In questo caso, anche se il contribuente fosse diligentissimo nel paga-re la prima rata (e anche le successive), e ancor più tempestivo a presentare l’istanza di dissequestro pro quota, il giudice si troverebbe di fronte all’insor-montabile difficoltà di non poter restituire in natura una parte soltanto dei be-ni che formano l’oggetto del sequestro. In linea teorica egli si troverebbe di fronte ad una triplice alternativa: non dissequestrare nulla; dissequestrare il tutto; dissequestrare soltanto quello che è divisibile dal resto. Nel primo caso, in spregio dei principi generali, la misura preventiva continuerebbe a insistere su beni di valore superiore all’effettivo ammontare del profitto di imposta; nel secondo caso il giudice agirebbe in aperto contrasto con le premesse teoriche in base al quale la giurisprudenza di legittimità ammette la permanenza del vincolo patrimoniale anche in presenza di impegno ex art. 12 bis. Il terzo caso rappresenta una rara eventualità, praticabile solo nel caso in cui, ad esempio, siano stati sequestrati più beni mobili oppure beni immobili frazionabili o com-posti da varie pertinenze. Si porrebbe il problema della stima dei singoli beni mobili o della parte divisibile degli immobili

40, senza considerare il dilemma è destinato a riproporsi dopo il pagamento di ogni singola rata. Teoricamente si potrebbe immaginare una quarta soluzione: il giudice al quale è presentata l’istanza potrebbe chiedere all’imputato di indicare altri beni, che siano più fa-cilmente divisibili, da sottoporre a sequestro in luogo di quelli appresi. Ma an-che questa soluzione è estemporanea e difficilmente attuabile.

Non è azzardato ipotizzare che in casi come quelli appena descritti, la giu-risprudenza sarà più incline a “trattenere” piuttosto che “a restituire” i beni og-getto di sequestro, come corollario della necessaria permanenza del vincolo pa-trimoniale pur in presenza di impegno del contribuente al versamento. Si rica-verebbe l’effetto perverso di pretendere dal contribuente un pagamento pun-tuale, senza però restituirgli nulla; così egli sarebbe ulteriormente ostacolato nel tagliare il traguardo dell’accesso ai benefici di cui agli artt. 13 e 13 bis.

Anche sotto il profilo pratico-applicativo la soluzione proposta appare mol-to funzionale, eliminando alla radice le problematiche appena descritte.

Per concludere: il comma 2 dell’art. 12 bis è una disposizione che apre am-pi orizzonti interpretativi, tali da rendere certamente opportuno un interven-to correttivo da parte del legislatore. La formula messa a disposizione dell’in-terprete è dubbia. E quindi: in dubio pro reo?

40 E il più delle volte la restituzione non gioverebbe al beneficiario, quando la disponibili-tà e il godimento del bene sono strettamente connessi al possesso dell’intera unità immobi-liare (es. viene restituito il giardino ma l’abitazione rimane sotto sequestro; viene restituito un capannone industriale ma la produzione è ferma, ecc.).

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Maria Cecilia Fregni

OSSERVAZIONI SUL RUOLO DELLA DOTTRINA GIURIDICA E DEGLI OPERATORI PRATICI

NELLE SCELTE DI POLITICA FISCALE

SOME REMARKS ON THE ROLE OF TAX SCHOLARS AND PRACTITIONERS IN DEVELOPING TAX POLICIES

1

Abstract Nell’ambito di un Convegno organizzato a Cambridge e finalizzato ad indagare il ruolo e l’incidenza dei tributaristi nelle scelte di politica fiscale, viene dato con il presente contributo un quadro sintetico della situazione italiana, diversa nelle premesse rispetto a quella anglosassone, ma con significativi elementi di comunan-za. Il contributo evidenzia la compresenza di molteplici attori nello scenario fiscale, dagli accademici ai giudici, agli esponenti dell’Amministrazione Finanziaria e agli operatori pratici in genere, rivendicando la necessità per gli accademici di recupe-rare un ruolo centrale, non solo a livello propulsivo-propositivo, ma anche a livello di critica costruttiva nei confronti delle riforme legislative in materia fiscale. Parole chiave: politica fiscale, accademici, giudici, Amministrazione Finanziaria, riforme fiscali Following a conference held in Cambridge that investigated the role and the impact of tax lawyers in the development of fiscal policies, this paper offers an overview of the Italian sit-uation, which is different from the Anglo-Saxon one, but has nevertheless many significant similarities. This contribution clearly shows the involvement of multiple actors (i.e. schol-ars, judges, tax authorities and practitioners) in the tax scenario, and reclaim the need for tax scholars to recoup a central role, not only in the proactive phase of policy making, but also for a constructive criticism towards legislative reforms in tax matters. Keywords: tax policy making, scholars, judges, tax authorities, tax reforms

Contributo non soggetto a revisione esterna. 1 Contribution to the Conference “Do Tax-lawyers Make a Distinctive Contribution to Tax

Policymaking?”, Tuesday 11 April 2017 at Christ’s College, Cambridge (UK).

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DOTTRINA RTDT - n. 2/2017 392

SOMMARIO: 1. Introduction. – 2. Politics and politicians. – 3. Jurisprudence. – 4. Tax administration. – 5. Aca-demics and practitioners. – 6. Conclusion.

1. Introduction

I would like to share my thoughts on the main topic we are discussing to-day and, doing this, I wish to focus on some key points. However, it should be stated from the outset that my perspective is that of a country which is part of the European Union, part of the eurozone, and above all it is a country of civil law, with a still strong heritage from the ancient Roman law. For these rea-sons, I’m afraid my experience can resonate much different than yours.

As regards the main question of our meeting, some distinctions should be made too, because considering only the role played by taxlawyers in tax poli-cy-making may appear too limiting or, in some ways, misleading. Besides, in my country, the majority of academics also performs as taxlawyers, or to a les-ser number, as accountants.

In my brief remarks, I prefer however to keep separate the figure of the aca-demics from the practitioners, and to focus in particular on the first one.

As far as the role of academics and practitioners in the tax-policy making, it is a tricky problem indeed and we cannot obviously synthesize it in a few words. If you asked me if over the last 20-30 years academics made a signifi-cant contribution to tax-policy making, my first answer would be “no” and only after some deliberation it would be “maybe”, but not to a large extent.

In fact, it seems to me that taxation is a particularly crowded playing field, in which many players play decisive roles.

Who are these players?

2. Politics and politicians

In this regard, I would like to raise a first question: do politicians need both academics and taxlawyers in tax matters? In other words: are they two inde-pendent worlds, or are they connected, as in the “law of communicating ves-sels”? We may think about the possible interactions between academics, tax-lawyers and politicians in some very relevant choices of fiscal policy: when a Government claims to adopt a more open-to-business policy by changing the

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tax rate on corporations; in the tightening up of inheritance tax; in the intro-duction of a google tax or a flat tax; on the choice between limiting interest deductibility or/and reducing distorsions between the tax treatment of debt and equity, etc.

I should like to point out that, not at the present time, but in the recent past in Italy we had as many as four Ministers of Economics Affairs and Finance who were professors in tax matters (and three of them were also taxlawyers): Franco Gallo (1993-94), Augusto Fantozzi (1995-96), Vincenzo Visco (1996-2001) and Giulio Tremonti (1994-95, 2001-2006 and 2008-2011). That means something, I dare say!

Similarly, various tax law professors were elected to Parliament. Thanks to the combined efforts, among others, of professors Gianni Marongiu (centre-left) and Furio Bosello (centre-right) in 2000 the so-called “Statute of Tax-payer’s Rights” was adopted by the Parliament, despite a strong opposition from the Tax Authorities, who feared a loss of their powers of investigation and as-sessment against taxpayers.

Apart from the use of their expertise in tax matters in ministerial commit-tees or in Parliament hearings, or their role as Minister’s close associates, aca-demics and particularly qualified practitioners were especially needed on the occasion of important, long term tax reforms. In the past, it was natural to turn to academics for important tax reforms. Indeed, in some cases they antici-pated them. But unfortunately things today have changed a little.

3. Jurisprudence

I can mention here a recent example: before 2015, we didn’t have a general anti-abuse clause, but specific rules (regarding income taxes and stamp duties) only applicable to specific cases (for example, art. 37 bis, D.P.R. n. 600/1973 laid down an exaustive list of cases, mostly regarding extraordinary operations such as mergers, acquisitions, etc.) and unsuitable for any extension via “analogia legis”. The role of both the Italian Supreme Court and the UE Court of Justice in the introduction of a general anti-abuse clause in the Italian tax law (art. 10 bis in the above mentioned “Statute of Taxpayer’s Rights”) was enormous, and not on-ly in the “if”, but also in the “how”. In other words, the introduction of a general anti-abuse rule came primarily at the urging either of cases before the UE Court of Justice and before the Italian Supreme Court. In this regard, academics and taxlawyers have written rivers of ink, and made countless conferences, but little

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of what has been proposed was welcomed (although some significant improve-ment was made thanks to them in the final draft of art. 10 bis).

Not to mention the pervasive role of the jurisprudence of the European Court of Human Rights even in tax matters; in this regard I can mention the upheaval caused by the jurisprudence on the subject of “ne bis in idem” (right not to be tried or punished twice, art. 4, Prot. 7 HCHR) in countries like mine, where there is a dual-track system, namely tax administrative penalties and criminal sanctions. This system is certainly not devoid of critical ele-ments, but it seems overall, or it seemed, coordinated, self-sufficient and func-tioning: now – namely after the Grande Stevens et al. v. Italy judgment (4 March 2014) and the case law following on from that judgment – we ended up in a situation of uncertainty, without being able to see the end of the tunnel.

4. Tax administration

In my country, tax administration and beaurocracy in general have as-sumed in the last years a real driving force in fiscal policy choices. It is a fact, more than a suspicion, that the Department of Fiscal Policies of the Ministry of Economics and Finance is the veritable ghost writer of many recent bills. I am afraid that here the role of tax administration in the “making” of tax laws went to the detriment of the role scholars had in the past. We are told that tax authorities have more expertise and are in possession of the necessary data. However, it cannot be denied that tax authorities must take into account first-ly the public interest and the State cash needs; therefore their (although unof-ficially) intervention may appear strongly one-sided oriented.

I am talking here about primary rules and not, of course, about the inter-pretation and application of the law fulfilled through circulars, resolutions etc., which we cannot qualify as piece of legislation, as well as I am not referring to acts of secondary standards (i.e. ministerial decrees), in which skills are re-quired which specifically relate to tax administration.

Anyway, the “policy circle” mentioned by Victor Baker (Do lawyers make a distinctive contribution to tax policy making? A view from HMRC), proves to be of great interest and detects a protocol that would be very helpful to apply al-so in Italy, especially in order to avoid the “unintended consequences of laws” that have been talked about today.

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Maria Cecilia Fregni 395

5. Academics and practitioners

Finally (but it should have come first, given today’s theme), we find acade-mics and practitioners, squeezed together into a tiny space. It is a tiny space indeed, that could and should be maximized in both the ex-ante and the ex-post phase of the entry into force of a law.

The category typically suffers from a lack or loss of authority. There are important exceptions:

a) Taxlawyers strongly influence the jurisprudence through their daily work in taxpayer’s defense. Many legal guidelines are due precisely to their thesis accepted by judges, as well as many court decisions make reference to the fi-scal doctrine, while they don’t name the sources explicitly, as the basis for their judgement.

b) There are, I think, in any country, figures of taxlawyers (academics and practitioners) with particular authority. I don’t want to cause embarrassment in giving the names, even of those people who are attending the present confer-ence, but it is a fact that their words and their thinking, both contained in their writings, or exposed through the media, may affect some fiscal policy choices. But they are isolated voices, which do not represent the entire category.

So, what are the reasons of this current deficit in Tax-lawyers’ authority? They can be many.

One of them is the fact that academics have mostly focused on the details of the individual cases, or on the mere exegesis of the legislation and rules, ne-glecting a more systematic, based-on-the-principles vision.

Another reason is that, just like a mirror image to the opposite of the tax authorities, many taxlawyers adopt a one-sided interpretation, obviously in defense of the taxpayer, and doing so they are not perceived as credible ben-chmarks for a more objective, institutional vision.

Again, another reason is the tendency to use a language that is difficult to un-derstand: it is true that the legal language presents indispensable technicalities, but sometimes we use an academic jargon even to define relatively simple con-cepts, with the consequence of being not able to convey our ideas and views.

Anyway, there are signs that something is changing and that the category is regaining greater awareness of its role, at least at the level of opinion-makers: in Italy, for instance, commendable initiatives are carried out by both acade-mics and taxlawyers in order to change some already obsolete parts of the “Statute of Taxpayer’s Rights”. In the same time, the attempt to propose a com-prehensive tax code was not successful (in that we’re a hundred years behind

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the German Abgabenordnung …), but it served to bring debate to a simpler and more coordinated tax law system.

We should not equally underestimate the important contribution of our journals and reviews in the field of taxation. In Italy we have really many of them, some (widely distributed among taxlawyers and accountants) with a stronger practical focus, and others, edited by academics, with a more doctri-nal and thorough approach to tax law and its evolution. Especially the latters might play a significant role in the tax policymaking.

6. Conclusion

Throughout all this talk, significantly, a major player is missing, i.e. the tax-payer. I deliberately didn’t insert him among the main proponents of a tax poli-cy, because it seems to me that, even today, proposals come from the top, not from the bottom. The only chance to influence a country’s fiscal policy on the part of taxpayers is, in my opinion, through their votes in parliamentary elec-tions (manifesting thereby their so-called “consent to taxation”), or through forms of lobbying, as recalled by Adrian Sawyer (Reflections on the contribution of lawyers to tax policymaking in New Zealand), although in the latter case it happens only for certain categories of taxpayers, more structured or economi-cally stronger. However, this issue would lead us far away from today’s topic.

In conclusion, as academic and taxlawyer, I strongly believe that it is ap-propriate to strengthen our “pioneering” role, as said by Ann Kays-Kumar in her presentation (The importance of legal practitioners and scholars in tax policy design and developement: An exploration and extension of the legal-economic lite-rature), in which she stressed the importance of legal academics’and practi-tioners’ involvement in the design, implementation and maintenance of an institutional approach, also suggesting an interesting recovery of interaction with the economic principles. I am also convinced that scholars could and should play a proactive, driving force especially at an ex-ante stage of the tax-policy making, even if they don’t usually do it. In fact nowadays, scholars are very seldom taken into account when they try: at this ex-ante stage, the role played both by tax authorities and jurisprudence seems much stronger. But I also believe in the importance of practical and scholarly activity in the transi-tion from theory to practical application of a law. In other words, it is important to maintain a critical role (critical in the ancient Greek sense of the term), na-mely an objective judgement against controversial laws. In this, we are finally freer than the other players in the tax playground.

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Giuseppe Marini-Federico Franconi

ACQUISIZIONI DI COMPLESSI AZIENDALI E FISCALITÀ INDIRETTA

M&A TRANSACTIONS AND INDIRECT TAXATION

Abstract L’imposizione indiretta sugli atti relativi alla circolazione dei complessi aziendali è tema di notevole interesse pratico, i cui profili problematici si sono sempre più ac-centuati a causa dell’evoluzione che ha interessato la prassi contrattuale, nonché del-lo stratificarsi delle posizioni della giurisprudenza e degli orientamenti dell’Ammi-nistrazione Finanziaria. La materia è interessata, infatti, da molteplici imposte ap-plicabili ad altrettanti atti, ciò che richiede, necessariamente, un’analisi parcellizzata del regime tributario di ciascuna “frazione” del complessivo quadro negoziale con-cordato tra le parti. Una trattazione organica del tema è pertanto opportuna, anche al fine di analizzare le criticità che solleva e proporre possibili soluzioni, sia in pun-to di interpretazione delle previsioni correntemente in vigore che de jure condendo. Parole chiave: operazioni straordinarie, contratto di acquisizione, imposte indi-rette, riqualificazione, enunciazione

Indirect taxes applicable to M&A transactions raise a great practical interest, whose critical issues have become more and more exacerbated, given the development of the contractual practices, as well as the position of the case law and the instructions released by the Tax Authorities. The topic is, in fact, affected by a great number of taxes applica-ble to various deeds, and this makes it necessary a separate analysis of the tax implica-tions arising from each “fraction” of the complex contractual arrangement reached by the parties. This scenario imposes, therefore, a comprehensive analysis also with the aim of examining the points of criticism and proposing possible solutions, with respect both to the current legal framework and the prospective legislative amendments. Keywords: extraordinary business transactions, purchase agreement, indirect taxes, re-characterization, formulation.

I parr. 1, 4, 6 e 8 sono stati redatti da Giuseppe Marini. I parr. 2, 3, 5, 7 e 9 sono stati re-datti da Federico Franconi.

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SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Il contratto di acquisizione. Il procedimento per la negoziazione e la conclusio-ne del contratto. – 3. Contenuti “tipici” e natura giuridica del contratto di acquisizione. – 4. La fiscalità indiretta del contratto di acquisizione. La tassazione delle dichiarazioni e garanzie. – 5. La fiscalità indiretta dei contratti di trasferimento stipulati al closing. – 5.1. Share deal. – 5.2. Asset deal. – 5.3. Conferimento d’azienda, fusione e scissione. – 6. La riqualificazione degli atti di trasfe-rimento ai fini dell’imposizione indiretta. – 7. Gli altri atti stipulati nel contesto dell’acquisizione. – 8. Le problematiche di “enunciazione” di atti non registrati in atti soggetti a registrazione. – 9. Con-siderazioni conclusive.

1. Premessa

L’acquisizione di un complesso aziendale può avvenire tramite le transa-zioni più variegate; alla varietà delle transazioni corrisponde un percorso ne-goziale particolarmente articolato, non solo in conseguenza delle procedure previste dalla legge per la realizzazione dell’operazione, ma anche (e soprat-tutto) per garantire una chiara identificazione e ripartizione di diritti, obbliga-zioni e rischi tra le parti. E così, accanto agli elaborati contratti che “formaliz-zano” l’acquisizione di un complesso aziendale, nella prassi si stipulano nu-merosi altri atti che accedono alla transazione principale, in quanto ad essa pro-pedeutici (si pensi ai contratti di finanziamento bancario) ovvero parte del-l’accordo complessivo raggiunto dai contraenti (la prestazione di garanzie di vario genere).

Non stupisce, allora, che ai fini delle imposte indirette la disciplina degli at-ti e negozi giuridici stipulati nel contesto dell’acquisizione di un complesso aziendale sia particolarmente articolata. Volendo tentare di sintetizzare la ma-teria in una parola, il termine giusto è “asistematicità”. E infatti, sui molteplici atti e disposizioni formati dalle parti insistono numerose imposte indirette, ciascuna con le sue peculiarità e le sue modalità applicative: l’interprete, per-tanto, sarà costretto a ricostruire la disciplina della fiscalità indiretta del singo-lo atto/disposizione in maniera atomistica.

La materia della fiscalità indiretta delle acquisizioni è, innanzitutto, di in-dubbio interesse pratico, vista la ricorrenza di tali tematiche nella vita profes-sionale. Non mancano, peraltro, anche profili di assoluta rilevanza scientifica: si pensi, in particolare, ai fenomeni lato sensu elusivi dell’imposizione indiretta sulle operazioni straordinarie tramite contratti collegati e dell’utilizzabilità del-l’art. 20, D.P.R. n. 131/1986 ai fini della loro riqualificazione.

Alla luce di quanto sopra, è quantomeno opportuno ripercorrere la disci-plina della fiscalità indiretta delle acquisizioni di complessi aziendali. Infatti,

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una trattazione (se non sistematica, almeno) organica della materia assolve la funzione di sintetizzare una disciplina connotata da un elevato grado di com-plessità, facilitando l’opera del fiscalista alle prese con simili problematiche; inoltre, essa consente, al contempo, di affrontare temi “caldi” del diritto tribu-tario che allo stato sono oggetto di dibattito.

2. Il contratto di acquisizione. Il procedimento per la negoziazione e la conclu-sione del contratto

La prassi contrattuale relativa alle acquisizioni presenta delle peculiarità che debbono essere (seppur sinteticamente) trattate in questa sede.

La contrattualistica delle acquisizioni prende le mosse dall’esperienza an-glosassone, dove il fenomeno ha trovato la sua più compiuta elaborazione (c.d. mergers & acquisitions)

1; la prassi sviluppatasi in quella sede si è poi diffusa nel resto del mondo, rispondendo all’esigenza di uniformità dettata dal progressi-vo ampliamento dei traffici a livello globale. Vi era infatti, soprattutto nel con-testo delle acquisizioni transfrontaliere, l’esigenza di un “linguaggio comune” nella conduzione delle trattative, a prescindere (per quanto possibile) dal di-ritto applicabile alle relative transazioni.

Proprio per questo, la prassi ha sviluppato quello che può definirsi uno “schema tipico” in cui si articolano tanto le fasi della negoziazione del contrat-to relativo all’acquisizione, quanto il suo contenuto. L’applicazione di tale sche-ma, che usualmente impronta tutte le transazioni dal valore più elevato, pre-scinde dal tipo di operazione straordinaria realizzata (operazione sui beni o sui soggetti, trasferimento d’azienda o di partecipazioni), andando a regolare e “procedimentalizzare” la formazione dell’accordo negoziale e la stessa im-plementazione dell’operazione.

Per questa ragione si farà di seguito riferimento al “contratto di acquisizio-ne” quale atto negoziale che si pone a valle del suddetto “procedimento” di ne-goziazione, e formalizza l’accordo progressivamente raggiunto delle parti sul re-golamento economico/giuridico della transazione nel suo complesso, nonché della sua implementazione. Si tratta di termine volutamente generico, nel quale s’intendono ricompresi i negozi giuridici onerosi che realizzano un’operazione straordinaria d’impresa e comportano il trasferimento – a qualunque titolo – di

1 Si v. DE NOVA, Il Sale and Purchase Agreement: un contratto commentato, Torino, 2016, p. 1 ss.

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un complesso aziendale tra due soggetti economici 2. Essi, solitamente, sfoce-

ranno nella stipula di un contratto di vendita, che potrà avere a oggetto beni di primo grado (asset deal) oppure partecipazioni societarie (share deal), e a mon-te o a valle del quale potrebbero essere realizzate altre operazioni straordinarie

3. Quanto ai contratti di acquisizione di valore più elevato, nella prassi opera-

tiva si assiste a una vera e propria “procedimentalizzazione” della formazione progressiva dell’accordo e della sua implementazione

4. La predetta procedi-mentalizzazione tende ad assumere caratteri più accentuati con l’accrescere del valore della transazione, ma anche sulla base dei soggetti coinvolti: ad e-sempio, nel caso di operatori professionali nel mercato degli investimenti, quali i fondi di private equity e di venture capital.

Sin dalle trattative e fino alla chiusura delle operazioni, la prassi distingue differenti fasi: la fase precontrattuale, la fase della conclusione del contratto (c.d. signing) e la fase dell’implementazione del medesimo contratto (c.d. clo-sing). In alcuni casi, poi, la stessa fase delle trattative è preceduta da un proce-dimento competitivo avviato dal potenziale cessionario e teso alla selezione dell’acquirente (le cosiddette “aste” o “auction” nella terminologia anglosasso-ne), tramite il quale gli operatori economici sono invitati a manifestare l’inte-resse per il trasferendo complesso aziendale, formulando le loro proposte di acquisto (più o meno dettagliate, a seconda dei casi).

La fase precontrattuale prende il via una volta che il potenziale acquirente è stato selezionato (a esito dell’asta, ovvero dopo contatti informali). Data la complessità che caratterizza la negoziazione e la necessità dello svolgimento di una serie di operazioni preliminari propedeutiche alla conclusione del con-tratto, è comune che le parti predispongano dei documenti volti a fornire un vero e proprio “regolamento” della fase di negoziazione, nonché, in molti casi, a fissare i primi punti fermi del futuro contratto, sostanzialmente evidenzian-do specifiche questioni su cui si è già raggiunto un accordo di massima nel corso della negoziazione

5.

2 Ben configurabile è altresì un contratto di acquisizione stipulato da enti appartenenti al medesimo soggetto economico – in particolare, alle transazioni tra imprese parte del mede-simo gruppo – laddove tuttavia, visto il comune interesse di gruppo perseguito dalle imprese parti della transazione, le procedure saranno notevolmente semplificate.

3 Si pensi al conferimento di un’azienda in una società veicolo, le cui partecipazioni siano successivamente oggetto di cessione, ovvero alla fusione tra società bersaglio ed acquirente ad esito di un’operazione di leveraged buy-out.

4 Sulla “procedura” per la conclusione del contratto di acquisizione, si v. DE NOVA, Il Sale and Purchase Agreement, cit., p. 47 ss.

5 Si v. ancora DE NOVA, Il Sale and Purchase Agreement, cit., p. 57 ss.

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Questi documenti sono denominati in maniera più varia (letter of intent, me-morandum of understanding, termsheet) e sono accomunati dalla loro natura, in linea di principio, non vincolante

6 con riguardo alla conclusione e al contenu-to del successivo contratto di acquisizione

7. Tra gli aspetti di maggiore interesse regolati dai predetti documenti precon-

trattuali deve annoverarsi la c.d. attività di due diligence, ossia la verifica svolta dal potenziale acquirente sul complesso aziendale del cessionario. La due dili-gence è l’attività tramite il quale il compratore ottiene informazioni circa le ca-ratteristiche del complesso aziendale del quale, prima dell’acquisto, non può avere una conoscenza dettagliata, essendo generalmente un soggetto estraneo al cessionario o al gruppo cui questi appartiene. Pertanto, nella fase di due dili-gence, il venditore metterà a disposizione del compratore una serie di docu-menti e informazioni, che questi potrà esaminare per capire “cosa sta compran-do” e verificare i rischi correlati al trasferendo complesso aziendale

8. Alla fase precontrattuale segue la stipula del contratto di acquisizione: si trat-

ta del momento del signing. In questa fase le parti decidono di obbligarsi alla conclusione dell’operazione, superando le intese meramente preliminari nella fase precontrattuale di cui si è detto sopra. L’atto stipulato al signing è il vero e

6 Si è parlato di natura “in linea di principio non vincolante” dal momento che, nel caso in cui tali documenti disciplinino in maniera particolarmente dettagliata il contenuto del con-tratto ancora da stipularsi, potrebbero essere sufficienti a fornire l’intera regolamentazione dell’operazione di acquisizione ed, in quanto tale, idonei a generare obblighi in capo alle par-ti in relazione alla successiva conclusione delle operazioni. In tal caso, il documento precon-trattuale costituirà un contratto di acquisizione tout court, con cui le parti si obbligano ad at-tuare il successivo trasferimento, nonché a stipulare vari contratti ancillari (patti parasociali, garanzie, ecc.). Al fine di scongiurare tale rischio, le parti usualmente inseriscono nei suddet-ti documenti delle precisazioni, laddove si chiarisce che questi non formalizzano un accordo tra le parti per il trasferimento del complesso aziendale o per l’obbligarsi a tale trasferimento, e la realizzazione delle operazioni è subordinata alla stipula di un contratto in forma scritta che formalizza in maniera definitiva tale accordo.

7 Essendo tuttalpiù idonei tali documenti a dar luogo a responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c., qualora le parti interrompano le trattative in violazione del principio di buona fede.

8 Si pensi ai rischi conseguenti alla violazione di normative fiscali che, tanto nel caso dell’asset deal quanto in quello dello share deal, possono comportare una responsabilità an-che per l’acquirente del complesso aziendale. Sull’attività di due diligence, si vedano, ex multis, DE NOVA, Il Sale and Purchase Agreement, cit., p. 66 ss.; TINA, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, Milano, 2007, p. 157 ss.; SANGIOVANNI, Due diligence, trattative e fat-tispecie di responsabilità civile, in Danno e resp., n. 8/9, 2011, p. 801 ss. Per quanto attiene alle modalità di svolgimento della due diligence in materia fiscale, v. GNETTI, La due diligence fisca-le, in AA.VV., Il regime fiscale delle operazioni straordinarie, a cura di Della Valle-Ficari-Marini, Torino, 2009, p. 439 ss.

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proprio contratto di acquisizione: esso contiene la regolamentazione comple-ta dei rapporti tra le parti.

Tuttavia, anche a esito della stipula del contratto di acquisizione al mo-mento del signing, l’operazione non potrà dirsi conclusa. Infatti, sarà necessa-rio l’adempimento di una serie di formalità (si pensi al trasferimento delle azio-ni) oppure l’ottenimento di autorizzazioni amministrative (ad esempio, del-l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, della Consob, ovvero di autorità preposte alla vigilanza di settori regolati, come quello bancario) o an-cora la formale erogazione di un finanziamento bancario per il pagamento del complesso aziendale acquistato. Inoltre, l’attuazione dell’operazione potrebbe essere subordinata all’avveramento di determinate condizioni sospensive (con-dition precedent nella terminologia anglosassone), come avviene tipicamente nel caso di operazioni sui soggetti o, comunque, di operazioni che prevedano l’ingresso di nuovi soci nella compagine sociale (nel qual caso sarà necessaria l’adozione di varie delibere societarie e la loro iscrizione nel registro delle im-prese, oltreché il cambiamento del management). Ancora, potrebbe essere ne-cessaria la formalizzazione di contratti accessori a quello di acquisizione, che in questo trovano la loro “fonte”: è il caso dei contratti di garanzia per l’adempi-mento delle obbligazioni derivanti dal contratto di acquisizione.

Proprio per questo, al momento del signing segue la fase del closing: dopo che si è “cristallizzato” il regolamento negoziale dell’operazione con la stipula del contratto, ecco che l’operazione si “chiude” definitivamente con lo svolgi-mento di una serie di atti e attività propedeutici alla sua concreta attuazione. Si provvede, a mero titolo esemplificativo, al trasferimento delle azioni o delle quote societarie, alla stipula dei contratti accessori, alle dimissioni dei prece-denti amministratori e alla nomina dei nuovi, allo stesso pagamento del prez-zo pattuito al signing.

3. Contenuti “tipici” e natura giuridica del contratto di acquisizione

Il contratto di acquisizione stipulato al signing reca in sé l’intera regolamenta-zione contrattuale dell’operazione, sia sotto il profilo della sua implementazione (stabilendo gli adempimenti da svolgersi al closing) sia in merito ai diritti e agli obblighi gravanti sulle parti successivamente all’implementazione medesima.

Per quanto osservato sopra, può correttamente affermarsi che i contratti di acquisizione, nella prassi internazionale, hanno ormai assunto una certa standar-dizzazione, componendosi di clausole contrattuali socialmente tipiche, la cui de-nominazione è ormai entrata a far parte del gergo degli operatori del settore.

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Si tratta di contratti estremamente corposi, che – è stato detto – “tendono al-l’autosufficienza”

9, mirando a fornire un regolamento contrattuale completo del rapporto e limitando il più possibile il ricorso all’integrazione negoziale ad ope-ra di norme dispositive nonché a criteri ermeneutici di tipo extra-testuale

10. Così, solitamente, i contratti di acquisizione si aprono con una lunga lista

di “definizioni” di molti dei termini che verranno utilizzati nel seguito del te-sto

11. Segue l’indicazione dell’oggetto del contratto di acquisizione (vale a dire il complesso aziendale trasferito), nonché del prezzo di cessione e degli adem-pimenti da svolgersi al closing (c.d. closing deliverables).

Nelle clausole che definiscono il prezzo di cessione si stabiliscono altresì dei meccanismi di aggiustamento del prezzo medesimo, in dipendenza della va-riazione della consistenza patrimoniale e finanziaria del complesso aziendale nel periodo tra signing e closing (purchase price adjustment), ovvero sulla base di eventi successivi al closing, quale il conseguimento di determinati target di redditività o di obiettivi specifici da parte dell’impresa ceduta (earn-out)

12. Fondamentali, nell’economia del contratto di acquisizione, sono le c.d. di-

chiarazioni e garanzie (representation & warranties nella terminologia anglo-sassone). Tali clausole sono particolarmente utilizzate nei contratti di cessioni di partecipazioni societarie; con esse il venditore garantisce determinati aspet-ti della “vita” della società trasferita

13. Le dichiarazioni e garanzie trattano i più svariati ambiti; tra i tanti, si possono menzionare il corretto adempimento delle obbligazioni contrattuali e l’assenza di contenziosi, il rispetto della nor-mativa fiscale, previdenziale, ambientale, la titolarità e l’assenza di vincoli sui beni dell’impresa, la correttezza della documentazione contabile

14. Esse ope-

9 Così DE NOVA, Contratto: per una voce, in Riv. dir. priv., 2000, p. 635. 10 Sulla struttura ed i contenuti del contratto di acquisizione, si rinvia all’ampia trattazione

di DE NOVA, Il Sale and Purchase Agreement, cit., p. 1 ss. 11 Solitamente, tali termini vengono contrassegnati con l’iniziale maiuscola (ad esempio

“Azioni”, “Prezzo di Cessione”, “Parti”), per distinguerli nel seguito del contratto. Sul punto si v. DE NOVA, Il Sale and Purchase Agreement, cit., p. 92 ss.

12 Le clausole di earn out sono correntemente utilizzate nel caso in cui il venditore, anche successivamente al closing, continui a mantenere un ruolo nel management dell’impresa, lad-dove l’acquisizione riguardi partecipazioni di minoranza, o quando oggetto dell’acquisto sia-no imprese in fase di start-up, i cui risultati reddituali sono difficilmente prevedibili.

13 Così SANTOCCHINI, Le clausole di dichiarazione e garanzia (representation and warran-ties), in AA.VV., La participation exemption, a cura di Brunelli, Milano, 2016, p. 228.

14 La larga diffusione delle clausole di dichiarazioni e garanzie nei contratti di cessione di partecipazioni societarie è dovuto alla dubbia applicabilità della disciplina delle garanzie del-la vendita ex artt. 1490 e 1497 c.c. per vizi relativi alla consistenza del patrimonio aziendale sottostante alle partecipazioni medesime. Per questo motivo si tende ad inserire nel contrat-

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rano congiuntamente alle c.d. clausole di indennizzo (indemnification) che pre-vedono l’erogazione di un ammontare di denaro (tendenzialmente corrispon-dente al danno od alla perdita subita) nel caso una delle predette dichiarazioni e garanzie risulti non veritiera (nella prassi si parla di “violazione” della clausola di dichiarazione e garanzia).

Vi sono poi, come già accennato, le condizioni sospensive del closing (con-dition precedents), come possono esserci specifiche obbligazioni relative ad un periodo successivo al closing medesimo (i post-closing covenants)

15. Infine, il contratto si chiude con varie clausole “standard”, tra cui particolare importan-za assume la c.d. clausola di entire agreement, ove si stabilisce che il contratto costituisce, appunto, l’unico accordo tra le parti in merito all’operazione di acquisizione, stabilendosi l’irrilevanza di accordi precedenti sul punto (in par-ticolare, i documenti redatti nella fase precontrattuale).

È evidente, pertanto, come il contratto di acquisizione stipulato al signing abbia un contenuto complesso; e proprio per tale contenuto complesso, non è chiara la sua natura giuridica. In particolare, in dottrina è stata prospettata la sua qualificazione (quantomeno in alcuni casi) come contratto preliminare, con cui le parti si impegnano a trasferire il complesso aziendale al momento del closing, quando verrà stipulato il contratto definitivo di vendita (si pensi al contratto di cessione di quote di una s.r.l. ovvero al trasferimento di azioni tramite girata)

16. Altri hanno ritenuto che il contratto di acquisizione potesse essere ricondotto alla figura del contratto-quadro, ossia di un contratto defini-tivo che contiene in sé tutta la regolamentazione dei successivi contratti di at-tuazione da stipularsi al closing

17. Si è altresì sostenuta la tesi del contratto de- to di acquisizione le predette clausole, che tutelano il compratore anche per vizi del patrimo-nio sociale e, soprattutto, consentono di svincolarsi dal (troppo) breve termine prescrizionale annuale per l’esercizio delle azioni edilizie. La letteratura sul tema è diffusa; in questa sede, si segnalano i recenti interventi di TRIMARCHI, Le garanzie contrattuali nell’acquisto di parteci-pazioni sociali, in Giur. comm., n. 1, 2016, p. 5 ss.; SALATINO, “Patto di garanzia” nel contratto di acquisizione (“Sale Purchase Agreement”), in Giur. comm., n. 5, 2015, p. 891 ss.

15 Si pensi ai patti di non concorrenza. 16 V. SPERANZIN, Vendita della partecipazione di “controllo” e garanzie contrattuali, Milano,

2006, p. 33 ss.; TINA, op. cit., p. 46 ss.; BERNINI, Acquisizione di società e determinazione del prezzo, in Contr. e impresa, 1993, p. 1030 ss.; LUPOI, Sistemi giuridici comparati. Traccia di un corso, Napoli, 2001, p. 67.

17 Si v. IUDICA, Il prezzo nella vendita di partecipazioni azionarie, in Riv. soc., 1991, p. 762 ss.; analogamente, ritiene che il contratto di acquisizione possa assumere i connotati del con-tratto quadro BERNINI, op. cit., pp. 1030 ss. e 1036 ss., con la peculiarità che, in tal caso, gli effetti dell’avveramento delle condizioni si verificano ex tunc, differentemente dall’ipotesi del contratto preliminare, laddove gli effetti si producono solo a seguito della stipulazione del contratto definitivo.

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finitivo sottoposto ad una serie di condizioni sospensive (ossia lo svolgimento delle operazioni al closing), il cui avverarsi rende immediatamente eseguibili gli obblighi dedotti in contratto, senza che sia necessaria un’ulteriore manife-stazione di volontà delle parti

18. In effetti, pare riduttivo qualificare il contratto di acquisizione stipulato al

signing quale mero preliminare, considerando che, con lo stesso, le parti vo-gliono definitivamente stabilire il complesso regolamento negoziale di cui al-l’acquisizione medesima: non solo le attività da svolgersi al closing, ma anche ulteriori previsioni di importanza fondamentale nell’economia dell’operazio-ne. Tant’è vero che, nella prassi, i contratti stipulati al closing hanno un conte-nuto molto scarno se comparato a quello del contratto di acquisizione sotto-scritto al signing, limitandosi a dare attuazione al contenuto di quest’ultimo e senza tuttavia reiterare una serie di pattuizioni la cui disciplina si esaurisce nel contratto di acquisizione medesimo (quali le dichiarazioni e garanzie di cui si è detto sopra).

Pare, allora, maggiormente fedele alla volontà delle parti la qualificazione del contratto di acquisizione come contratto definitivo, che potrà atteggiarsi, a seconda dei casi e della tecnica redazionale, come contratto quadro, contrat-to sottoposto a condizione sospensiva, oppure come contratto quadro sotto-posto a condizione sospensiva, ove questo sommi in sé le caratteristiche di en-trambi i suddetti “tipi” negoziali

19.

4. La fiscalità indiretta del contratto di acquisizione. La tassazione delle di-chiarazioni e garanzie

Il trattamento fiscale del contratto di acquisizione varierà a seconda che lo si riconduca alla categoria dei contratti preliminari o a quella dei contratti sot-toposti a condizione sospensiva.

Nella prima ipotesi, infatti, esso sarà soggetto ad imposta di registro in termine fisso nella misura di euro 200,00, alla luce di quanto previsto dal-l’art. 10 della Tariffa – Parte I, allegata al D.P.R. n. 131/1986. L’imposta di registro in misura fissa sarà dovuta solo in caso d’uso, ai sensi dell’art. 5, com-ma 2, D.P.R. n. 131/1986, qualora il contratto, stipulato per scrittura privata

18 ROSSI, Le condizioni del closing, in AA.VV., Acquisizioni di società e di pacchetti azionari di riferimento, a cura di Bonelli-De Andrè, Milano, 1990, p. 172 ss.

19 Si v., in tal senso, UBERTAZZI, Il procedimento di acquisizione di imprese, Padova, 2008, p. 226 ss.

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non autenticata, sia relativo ad un’operazione soggetta ad IVA, quandanche esente (in particolare, ove il cedente agisca nell’esercizio di un’impresa, arte o professione e l’acquisizione abbia ad oggetto partecipazioni societarie – si veda infra)20.

Ai sensi del medesimo art. 10, ove il preliminare preveda la dazione di som-me a titolo di caparra confirmatoria, queste saranno soggette ad imposta di registro con aliquota dello 0,50% (per effetto del rinvio a quanto previsto dal-l’art. 6 della Tariffa – Parte I); nel caso in cui, invece, esso preveda il pagamento di acconti di prezzo non soggetti all’imposta sul valore aggiunto ai sensi degli artt. 5, comma 2, e 40 del D.P.R. n. 131/1986, tale pagamento sarà soggetto all’aliquota del 3% (per effetto del rinvio all’art. 9 della Tariffa – Parte I). In entrambi i casi, l’imposta pagata sarà imputata all’imposta principale dovuta per la registrazione del contratto definitivo.

Tuttavia, qualora le somme a titolo di acconti di prezzo e di caparra con-firmatoria siano versate nel contesto di un’operazione IVA rilevante, il regime applicabile sarà differente. Infatti, gli acconti di prezzo saranno anch’essi sog-getti ad IVA e non troverà applicazione l’imposta di registro. Per quanto at-tiene alla caparra confirmatoria, invece, può riprendersi l’orientamento giuri-sprudenziale secondo cui, nel caso di adempimento del contratto preliminare, la somma versata viene imputata al corrispettivo pattuito ed è, dunque, rile-vante ai fini IVA, mentre, a fronte di un inadempimento, la caparra assume la funzione di determinare in via forfetaria il risarcimento del danno, rimanendo fuori dal campo di applicazione dell’imposta sul valore aggiunto21; solo in questo ultimo caso, dunque, la caparra sarà soggetta ad imposta di registro con l’aliquota dello 0,50%, sulla base del principio di alternatività tra IVA ed imposta di registro.

20 Ai sensi dell’art. 6, D.P.R. n. 131/1986, si ha caso d’uso quando un atto si deposita, per essere acquisito, presso le cancellerie giudiziarie nell’esplicazione di attività amministrative o presso le amministrazioni dello Stato o degli enti pubblici territoriali e i rispettivi organi di con-trollo, salvo che il deposito avvenga ai fini dell’adempimento di un’obbligazione delle suddette amministrazioni, enti o organi ovvero sia obbligatorio per legge o regolamento. Secondo la giu-risprudenza (ex multis, Cass., 14 marzo 2007, n. 5946), peraltro, l’art. 22, D.P.R. n. 131/1986 – a tenore del quale «se in un atto sono enunciate disposizioni contenute in atti scritti o con-tratti verbali non registrati e posti in essere fra le stesse parti intervenute nell’atto che contie-ne la enunciazione, l’imposta si applica anche alle disposizioni enunciate» – si riferisce anche all’enunciazione di atti soggetti a registrazione solo in caso d’uso. L’imposta fissa di euro 200,00 sarà dovuta in termine fisso nel caso di contratto preliminare soggetto ad IVA stipula-to per atto pubblico o scrittura privata autenticata.

21 Si v. Cass., 20 maggio 2015, n. 10306.

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Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi, secondo parte della dottrina, an-che nel caso in cui il contratto di acquisizione sia qualificato come contratto quadro

22. Qualora, invece, detto contratto venga ricondotto alla categoria dei con-

tratti sottoposti a condizione sospensiva, troverà applicazione l’art. 27, com-ma 1, D.P.R. n. 131/1986, il quale prevede una disciplina fiscale per certi versi analoga a quella dei contratti preliminari, stabilendo che l’imposta di registro debba essere corrisposta nella misura fissa di euro 200,00; l’eventuale imposta proporzionale (dedotta l’imposta fissa già corrisposta) sarà dovuta al verificarsi della condizione sospensiva

23. Va detto che, per prassi, i contratti di acquisizione vengono formati trami-

te scambio di corrispondenza commerciale, nel qual caso sono soggetti, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. a), della Tariffa – Parte II, allegata al D.P.R. n. 131/1986, in caso d’uso, alla medesima tassazione prevista per i corrispon-denti atti della Parte I della medesima Tariffa, ad eccezione, tuttavia, di quelli aventi ad oggetto cessioni di aziende o costituzione di diritti di godimento reali o personali sulle stesse.

Quanto, poi, alla individuazione del regime fiscale delle dichiarazioni e ga-ranzie e delle correlate clausole di indennizzo, occorre rilevare che la Corte di Cassazione, in un noto arresto

24, ne ha riconosciuto l’autonoma tassabilità ai sensi dell’art. 21, comma 1, D.P.R. n. 131/1986, a tenore del quale «se un at-to contiene più disposizioni che non derivano necessariamente, per la loro in-trinseca natura, le une dalle altre, ciascuna di esse è soggetta ad imposta come se fosse un atto distinto». A tal riguardo, poiché – evidenzia la Corte – «la ces-sione delle azioni o delle quote di una società [...] ha come oggetto “immedia-to” la partecipazione sociale e solo quale oggetto “mediato” la quota parte di patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta», si deve ritenere che le clausole che attengono alla consistenza del patrimonio dell’azienda siano il

22 Si v. FEDELE, Trascrizione del contratto preliminare e disciplina tributaria, in Riv. not., n. 6, 1998, p. 1115 ss.

23 L’avveramento della condizione sospensiva – o comunque l’avvenuta produzione degli effetti dell’atto condizionato indipendentemente dall’avveramento della condizione – dovrà essere denunciata ai sensi dell’art. 19, comma 1, D.P.R. n. 131/1986.

24 Cass., 19 ottobre 2012, n. 17948, in Riv. trim. dir. trib., n. 3, 2013, p. 669 ss., con nota di CANÉ, Cessione di partecipazioni e clausole di garanzia: brevi note a margine della sentenza della Corte di Cassazione n. 17948/2012; e in GT-Riv. giur. trib., n. 1, 2013, p. 14 ss., con nota di SALANITRO, Cessione di azioni, cessione d’azienda e clausole sulla consistenza economica della società, tra interpretazione dell’atto e tassazione di disposizioni plurime.

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frutto dell’autonomia contrattuale delle parti e non risultino necessariamente connesse le une alle altre.

Ben più complessa appare, invece, la questione circa il quando e il quantum della tassazione di tali clausole di dichiarazione e garanzia e/o di indennizzo, su cui la richiamata pronuncia della Cassazione non offre chiarimenti. Sul pun-to, anche sulla scorta della più recente giurisprudenza civilistica

25, sembra si possa sostenere che mentre le clausole di dichiarazione e garanzia debbano es-sere considerate quali garanzie convenzionali “atipiche” non indicate nella Ta-riffa

26 e, in quanto tali, non soggette ad imposta di registro, le clausole di in-dennizzo (o, più precisamente, i pagamenti derivanti dalla loro “attivazione”) debbano assoggettarsi all’aliquota del 3% ai sensi dell’art. 9 della Tariffa – Par-te I (il quale, come è noto, si riferisce agli atti diversi da quelli altrove indicati aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale)

27. Questo, del resto, il meccanismo applicativo dell’imposta già stabilito dalla prassi con riguardo alle clausole penali, laddove si è ritenuto che l’imposta proporzionale risulti dovuta solo al momento del pagamento, in quanto la clausola penale compor-ta l’assunzione di un’obbligazione sospensivamente condizionata all’inadem-pimento

28. Quanto sopra accennato in merito alla tassazione delle clausole di dichia-

razioni e garanzia e/o di indennizzo è valido per le pattuizioni contenute nei contratti di acquisizione aventi ad oggetto la cessione di partecipazioni. Nel caso simili clausole siano contenute in un contratto di acquisizione relativo ad un’azienda, invece, potrà a buon diritto trovare applicazione quanto previsto dal comma 2 del citato art. 21, D.P.R. n. 131/1986 – a tenore del quale «se le disposizioni contenute nell’atto derivano necessariamente, per la loro intrin-seca natura, le une dalle altre, l’imposta si applica come se l’atto contenesse la sola disposizione che dà luogo alla imposizione più onerosa» – atteso che dette clausole insisteranno sull’oggetto “immediato” del contratto, vale a dire l’azien-da oggetto di cessione.

Alla luce di quanto sopra, appare opportuno che le parti concludano il con-tratto di acquisizione di partecipazioni tramite scambio di corrispondenza, così

25 In particolare, la nota Cass., 24 luglio 2014, n. 16963, secondo cui tramite le predette clausole le parti prevedono «prestazioni accessorie al trasferimento del diritto oggetto del con-tratto che sono volte a garantire l’esito economico dell’operazione».

26 Ai sensi dell’art. 6 della Tariffa – Parte I, sono soggette a registrazione in termine fisso le garanzie reali e personali in favore di terzi, con aliquota proporzionale dello 0,50% da ap-plicarsi non sul valore della garanzia, ma sull’intero importo garantito.

27 CANÉ, op. cit., p. 693 ss. 28 V. Ris. n. 310388/1990; tale accostamento viene operato da CANÉ, op. cit., p. 694.

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da limitare la registrazione delle clausole di indennizzo al solo caso d’uso, e che la relativa erogazione venga anch’essa documentata in un atto formato tramite scambio di corrispondenza commerciale. Sotto un profilo strettamente con-nesso a quello che precede, sembra altresì consigliabile evitare la reiterazione delle dichiarazioni e garanzie e delle correlate clausole di indennizzo negli (e-ventuali) atti da stipulare al closing, soggetti a registrazione in termine fisso.

5. La fiscalità indiretta dei contratti di trasferimento stipulati al closing

I contratti di trasferimento stipulati al closing, in linea di massima, saranno costituiti da contratti di trasferimento di un’azienda (asset deal) ovvero di azio-ni o quote societarie (share deal). Tuttavia, sempre nel contesto del trasferi-mento del complesso aziendale, le parti dell’acquisizione possono realizzare anche ulteriori operazioni straordinarie, propedeutiche o successive al trasfe-rimento medesimo: si pensi, in particolare, alle operazioni di conferimento d’a-zienda, fusione e scissione. Il regime di tali operazioni dal punto di vista della fiscalità indiretta verrà analizzato nel prosieguo.

5.1. Share deal

Gli share deal, ossia le operazioni su azioni o quote societarie, ove il ceden-te operi nell’esercizio di un’impresa, arte o professione, rientrano nel campo di applicazione dell’IVA e, in particolare, sono esenti ai sensi dell’art. 10, comma 1, n. 4), D.P.R. n. 633/1972. Si ricorda, tuttavia, che, ai sensi dell’art. 4, comma 5 del medesimo decreto, ai fini della soggettività passiva IVA non si considera attività commerciale quella di «possesso, non strumentale né ac-cessorio ad altre attività esercitate, di partecipazioni o quote sociali, di obbli-gazioni o titoli similari, costituenti immobilizzazioni, al fine di percepire divi-dendi, interessi o altri frutti, senza strutture dirette ad esercitare attività fi-nanziaria, ovvero attività di indirizzo, di coordinamento o altri interventi nella gestione delle società partecipate»

29. Conseguentemente, non rientrano nel

29 Tale norma è stata inserita nella legislazione italiana al fine di recepire la giurispruden-za della Corte di Giustizia, la quale ha affermato che deve escludersi lo stato di soggetto pas-sivo IVA nel caso di «holding il cui unico scopo sia l’assunzione di partecipazioni presso altre imprese, senza che tale società interferisca in modo diretto o indiretto nella gestione delle stesse, fatti salvi i diritti che tale società possiede nella sua qualità di azionista o di socio», in quanto «[i]l mero acquisto e la mera detenzione di partecipazioni societarie non devono esse-

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campo di applicazione dell’IVA le operazioni su azioni e quote societarie rea-lizzate da holding “di mero godimento”

30, ossia che siano prive di strutture ido-nee all’esercizio di attività finanziaria o all’ingerenza nella gestione delle par-tecipate

31. I relativi contratti di trasferimento conclusi per atto pubblico e scrittura pri-

vata autenticata 32 sono altresì soggetti a registrazione in termine fisso ai sensi

dell’art. 11 della Tariffa – Parte I, allegata al D.P.R. n. 131/1986, con pagamen-to dell’imposta in misura fissa pari a euro 200,00

33. Il trasferimento di titoli azionari tramite girata, invece, non è soggetto a registrazione, ai sensi dell’art. 8 della Tabella allegata al medesimo D.P.R. n. 131/1986.

Inoltre, il trasferimento di azioni sconta l’imposta sulle transazioni finan-ziarie di cui all’art. 1, comma 491, L. n. 228/2012

34, pari allo 0,2% del valore della transazione (ridotta alla metà nel caso di trasferimenti che avvengano su mercati regolamentati e sistemi multilaterali di negoziazione)

35. re ritenuti attività economiche ai sensi della sesta direttiva, tali da conferire al soggetto che le abbia effettuate la qualità di soggetto passivo» (da ultimo, Corte di Giustizia, 16 luglio 2015, cause riunite C-108/14 e C-109/14, Larentia + Minerva e Marenave). Per qualificare una hol-ding come soggetto passivo IVA, a detta dei giudici europei, è richiesta una «interferenza [...] nella gestione delle società nelle quali ha assunto partecipazioni [che] implichi il compimen-to di operazioni soggette all’IVA ai sensi dell’articolo 2 di tale direttiva, quali la prestazione di servizi amministrativi, finanziari, commerciali e tecnici da parte della holding alle sue con-trollate» (ancora la sentenza Larentia + Minerva e Marenave).

30 Così Circolare n. 37/E/2011. 31 In tal senso, Circolare n. 328/E/1997. Per una diffusa analisi sul tema, v. MASPES, Hol-

ding, “interferenza” e detrazione dell’iva sugli acquisti, in La gestione straordinaria delle imprese, n. 4, 2016, p. 46 ss.

32 Si pensi al contratto di cessione di quote di s.r.l., per il quale è necessaria la forma nota-rile al fine della iscrizione nel registro delle imprese.

33 Secondo la giurisprudenza e la prassi amministrativa, l’atto contenente più cessioni di quote sociali è soggetto a tante imposte di registro fisse quante sono le cessioni realizzate (v. Cass., 19 febbraio 2015, n. 3300; Cass., 5 novembre 2014, n. 23518; Cass., 29 ottobre 2014, n. 22899; Cass., 11 settembre 2014, n. 19245; quanto alla prassi, si v. Ris. n. 35/E/2015).

34 Sono esclusi dall’imposta i trasferimenti di proprietà (rectius, titolarità) di azioni nego-ziate in mercati regolamentati o sistemi multilaterali di negoziazione emesse da società la cui capitalizzazione media nel mese di novembre dell’anno precedente a quello in cui avviene il trasferimento di proprietà sia inferiore a 500 milioni di euro. Inoltre, la predetta imposta non si applica, tra l’altro, alle transazioni e alle operazioni tra società fra le quali sussista un rap-porto di controllo ex art. 2359, comma 1, nn. 1 e 2, e comma 2, c.c., o che sono controllate dalla stessa società (v. art. 15, D.M. 21 febbraio 2013).

35 Per quanto attiene agli effetti degli aggiustamenti di prezzo successivi al closing sull’im-posta sulle transazioni finanziarie, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, nella risposta alla domanda n. 11 delle frequently asked questions pubblicate l’8 agosto 2013 (resa con riguar-

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5.2. Asset deal

Decisamente più complesso è il regime fiscale degli asset deal. Infatti, la cessione d’azienda è fuori dall’ambito di applicazione dell’impo-

sta sul valore aggiunto ai sensi dell’art. 2, comma 3, lett. c), D.P.R. n. 633/1972; sulla base del principio di alternatività tra IVA e imposta di registro, l’asset deal è pertanto soggetto ad imposta di registro in misura proporzionale, anche ove il cedente sia un soggetto passivo IVA e anche ove l’atto sia concluso ver-balmente e/o al di fuori del territorio dello Stato, purché abbia ad oggetto un complesso aziendale ivi situato

36. La disciplina della cessione d’azienda ai fini dell’imposta di registro va rin-

venuta innanzitutto nell’art. 23, D.P.R. n. 131/1986, in tema di disposizioni re-lative a beni soggetti ad aliquote diverse. Infatti, nella prassi avviene che, con l’atto di cessione dell’azienda, vengano trasferiti beni o diritti che, se ceduti singolarmente, sarebbero assoggettati ad aliquote differenti (si pensi al com-plesso aziendale che includa beni mobili e immobili).

La suddetta norma prevede che, se una disposizione ha per oggetto più beni o diritti per i quali sono previste aliquote diverse, si applica comunque l’aliquota più elevata, salvo che per i singoli beni o diritti sia pattuito un corri-spettivo distinto. Ai fini dell’applicazione delle diverse aliquote, le passività si imputano ai diversi beni – mobili o immobili – in proporzione al loro rispetti-vo valore

37. Pertanto, ipotizzando un compendio aziendale composto da immobili, cre-

diti e altri beni e diritti, il trasferimento dell’azienda sconterà l’imposta di regi-stro secondo l’aliquota più elevata applicabile ai beni e diritti oggetto di cessio-ne, salvo la suddivisione del corrispettivo per categorie di beni. In caso di sud-divisione del corrispettivo, la complessiva imposizione indiretta sarà la se-guente: do alle clausole di earn out, ma con principi che si ritengono estendibili agli aggiustamenti prezzo derivanti da clausole di purchase price adjustment), ha precisato che tali variazioni di prezzo, positive o negative, sono rilevanti ai fini dell’imposta. Secondo il Ministero, l’imposta è dovuta alla data in cui spetta contrattualmente il versamento di tale integrazione del prez-zo; in caso di revisione del prezzo in diminuzione, il contribuente avrà diritto al rimborso del-l’imposta versata in eccesso.

36 V. art. 3, comma 1, lett. b), D.P.R. n. 131/1986. 37 Ai sensi dell’art. 51, comma 4, D.P.R. n. 131/1986, non rientrano tra le passività deduci-

bili dalla base imponibile quelle che il cedente si sia impegnato ad estinguere, nonché quelle relative a beni non rilevanti ai fini dell’imposta di registro o assoggettati a tassazione in misura fissa, come le unità da diporto di cui all’art. 7 della Tariffa – Parte I, e i beni mobili iscritti nei pubblici registri di cui all’art. 11 bis della Tabella, entrambe allegate al D.P.R. n. 131/1986.

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• quanto agli immobili (ovvero ai diritti reali di godimento immobiliari) oggetto di cessione, si applicherà la disciplina degli atti traslativi a titolo one-roso di beni immobili: saranno pertanto applicabili le imposte di registro (pa-ri al 9%

38 – con il minimo di euro 1.000,00 39 – della parte di corrispettivo im-

putabile ai predetti immobili, ai sensi dell’art. 1 della Tariffa – Parte I), ipote-caria e catastale (pari a euro 50,00 ciascuna) di cui ai trasferimenti immobiliari;

• quanto ai crediti trasferiti, essi saranno soggetti ad imposta di registro con l’aliquota dello 0,50% del valore dei crediti medesimi, ai sensi di quanto previ-sto dall’art. 6 della Tariffa – Parte I

40; • quanto, infine, agli altri beni e diritti

41, ivi incluso l’avviamento, dovrà far-si riferimento alla disciplina degli atti traslativi a titolo oneroso di beni mobili, nonché a quella degli «atti diversi da quelli altrove indicati aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale» di cui agli artt. 2 e 9 della Tariffa – Par-te I. Entrambe le norme dispongono l’applicazione dell’aliquota del 3% sul va-lore dei beni/diritti

42.

Resterà ferma l’imputazione delle eventuali passività inerenti all’azienda ceduta

43 proporzionalmente al valore delle categorie di beni che compongo-no il complesso trasferito.

38 Ovvero al 15% ove il trasferimento ha per oggetto terreni agricoli e relative pertinenze a favore di soggetti diversi dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali, iscritti nella relativa gestione previdenziale ed assistenziale.

39 Art. 10, comma 2, D.Lgs. n. 23/2011. 40 Sul punto, peraltro, non può non farsi riferimento al diverso orientamento espresso

dall’Agenzia delle Entrate nella Circolare n. 18/E/2013 (par. 6.57) – laddove non si prevede un’aliquota distinta per la parte del corrispettivo relativa ai crediti – e seguito anche dalla CTP Firenze nella sent. 8 novembre 2016, n. 1482/1/16. Contra, Cass., 30 maggio 2000, n. 7196; CTR Milano, 18 ottobre 2013, n. 120/46/13.

41 Ad esempio, denaro, magazzino, impianti, macchinari e altre immobilizzazioni materiali, o ancora marchi, brevetti ed altre immobilizzazioni immateriali.

42 Va altresì segnalato che l’Agenzia delle Entrate, nella risposta all’interpello del 17 aprile 2014, n. 954-14, ha chiarito che, ove tra i rapporti negoziali compresi nell’azienda oggetto di cessione siano inclusi dei contratti di locazione finanziaria di immobili strumentali, ad essi si applica l’aliquota del 4% prevista dall’art. 8 bis della Tariffa – Parte I, a condizione che in atto sia precisato il corrispettivo previsto per tali contratti. La relativa base imponibile – seppur l’Agenzia non dica nulla a riguardo – dovrebbe essere quella stabilita per la cessione di tali contratti dal medesimo art. 8 bis, ossia il «corrispettivo pattuito per la cessione aumentato della quota capitale compresa nei canoni ancora da pagare oltre al prezzo di riscatto».

43 Difatti, le passività accollate al cessionario e tuttavia non inerenti all’azienda ceduta, non essendo parte del complesso aziendale, non concorrono a formare il valore dell’azienda medesima, rappresentando una modalità di pagamento del prezzo di cessione. Pertanto, in tal caso, troverà applicazione l’art. 32, comma 2, D.P.R. n. 131/1986, ai sensi del quale «i

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Giuseppe Marini-Federico Franconi 413

Il valore dell’azienda ceduta deve essere dichiarato dalle parti nell’atto di cessione (art. 51, comma 1, D.P.R. n. 131/1986)

44 e potrà essere oggetto di debiti o gli altri oneri accollati e le obbligazioni estinte per effetto dell’atto concorrono a formare la base imponibile». In tal senso, si v. Cass., 27 gennaio 2017, n. 2048; Cass., 31 ot-tobre 2016, n. 22099 (ove discutibilmente la Corte ha ritenuto non inerente all’azienda il de-bito derivante da un finanziamento contratto dal cedente per la sua acquisizione); Cass., 18 maggio 2016, n. 10218 e (con riguardo all’ipotesi analoga del conferimento d’immobili) Cass., 14 febbraio 2014, n. 3444. Si deve tuttavia rammentare che la Corte di Cassazione, in varie pronunce in materia di cessione di azienda, sembrerebbe essersi pronunciata nel senso del-l’indeducibilità dal corrispettivo pattuito per la cessione del valore delle passività aziendali eventualmente accollate al cessionario, a prescindere da considerazioni circa la loro inerenza o meno all’azienda ceduta (v. Cass., 15 novembre 2015, n. 24081; Cass., 16 aprile 2014, n. 8912; Cass., 26 ottobre 2011, n. 22223; Cass., 15 maggio 2008, n. 12215). La necessità di dedurre le passività inerenti all’azienda ceduta subentrerebbe solo a seguito dell’attività di verifica dell’Amministrazione Finanziaria, sulla base del comma 4 dell’art. 51 del D.P.R. n. 131/86, ai sensi del quale l’Ufficio che procede alla rettifica deve determinare il valore dell’a-zienda come valore complessivo dei beni che la compongono al netto delle passività. Tale tesi non è condivisibile in quanto (i) genera un’ingiustificata asimmetria tra la posizione del-le parti (che non potrebbero scomputare dal prezzo di cessione – rectius dal valore dichiarato ai sensi dell’art. 51, comma 1 – i debiti aziendali trasferiti al cessionario tramite accollo) e quella dell’Ufficio (che nel rideterminare, in sede di verifica, il valore dell’azienda dovrebbe invece tenere conto di tali passività); (ii) nel caso di trasferimento di azienda, il “valore” della medesima è dato dalla somma algebrica tra attivo e passivo oggetto di trasferimento, poiché l’azienda è una “massa” per sua natura composta da attività e passività (sul punto, v. BUSANI, L’imposta di registro, Milano, 2009, p. 719, nota 846). In argomento, di recente, v. TABET, Valore dell’azienda ceduta e computo delle passività nell’imposta di registro, in Corr. trib., n. 12, 2017, p. 924 ss., il quale supporta la teoria qui avversata, ritenendo che: «[s]embra [...] auto-rizzata la conclusione che, in continuità con il principio già espresso dal Testo Unico del 1923, la legislazione successiva (D.P.R. n. 634/1972 e D.P.R. n. 131/1986) abbia considerato l’ac-collo di oneri personali una modalità di determinazione del corrispettivo pattuito e di riflesso abbia attribuito alla dichiarazione di valore/prezzo la valenza di una dichiarazione “al lordo”; mentre – risolvendo una questione assai dibattuta in precedenza proprio con riferimento alla valutazione dell’azienda – abbia imposto una stima “al netto”, in caso di rettifica del valore dichiarato». Si v. altresì DENORA, La discussa rilevanza delle passività dell’azienda nell’imposta di registro, in Riv. dir. trib. – Supplemento online, 2017, che sembra, invece, propendere per la tesi qui sostenuta, pur rilevando che «Il problema della rilevanza delle passività aziendali nell’ambito della tassazione della cessione di azienda rimane [...] irrisolto soprattutto perché, dall’esame delle varie pronunce dei giudici di legittimità, non emerge chiaramente il discri-men tra debiti relativi all’esercizio dell’azienda ceduta qualificabili in termini di “passività” inerenti il (e perciò scomputabili dal valore del) compendio aziendale e debiti non inerenti e, perciò, non rilevanti ai fini del computo della base imponibile del tributo di registro».

44 Si ritiene che, ove il prezzo di cessione sia suscettibile di aggiustamento sulla base di clau-sole di purchase price adjustment o di earn out, trovi applicazione l’art. 35, D.P.R. n. 131/1986 in tema di contratti a prezzo indeterminato, con conseguente dichiarazione provvisoria di valore all’atto della stipula della cessione di azienda e successiva denuncia del corrispettivo de-finitivo, cui seguirà un’integrazione dell’imposta ovvero il suo rimborso.

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controllo da parte dell’Amministrazione, che verificherà la corrispondenza tra il valore dichiarato ed il “valore venale in comune commercio” (ossia il valore di mercato del complesso aziendale – v. art. 51, comma 2, D.P.R. n. 131/1986). Simmetricamente a quanto previsto dal citato art. 23, l’eventuale rettifica del-l’Amministrazione Finanziaria dovrà avere riguardo al valore complessivo dei beni che compongono l’azienda, «al netto delle passività risultanti dalle scrit-ture contabili obbligatorie o da atti aventi data certa a norma del codice civi-le» (art. 51, comma 4, D.P.R. n. 131/1986).

Una notazione conclusiva merita la valutazione dell’avviamento nell’ambi-to della cessione d’azienda.

Sul punto, infatti, occorre segnalare che gli uffici fiscali sono soliti procede-re alla rettifica dei valori dell’avviamento facendo riferimento al criterio forfe-tario indicato dalla previsione (invero non più in vigore dal 1997) di cui al-l’art. 2, comma 4, D.P.R. n. 460/1996. Sulla base della predetta disposizione, il valore dell’avviamento è determinato sulla base degli elementi desunti dagli studi di settore, ovvero, in mancanza, applicando ai ricavi degli ultimi tre pe-riodi d’imposta anteriori a quello in cui il trasferimento è avvenuto una per-centuale di redditività determinata quale rapporto tra reddito d’impresa e ri-cavi e moltiplicando tale risultato per tre.

L’utilizzo di tale metodo è stato solo in parte validato dalla giurisprudenza. In particolare, si è ritenuto che il suddetto criterio abbia un valore indiziario, tanto per il contribuente, quanto per l’Amministrazione Finanziaria, che pos-sono pertanto legittimamente discostarsene

45. Pertanto, il contribuente potrà dimostrare (e corroborare) il valore dell’azienda ceduta tramite perizia di par-te, la quale potrà legittimamente disattendere il valore ottenuto mediante l’ap-plicazione del suddetto criterio da parte degli uffici

46.

5.3. Conferimento d’azienda, fusione e scissione

La disciplina ai fini delle imposte indirette del conferimento d’azienda, del-la fusione e della scissione risente dell’armonizzazione delle “imposte indirette sulla raccolta di capitali” ad opera della Direttiva n. 69/335/CEE del 17 luglio 1969, successivamente sostituita dalla Direttiva n. 2008/7/CE del 12 febbraio 2008. In particolare, sulla base della normativa comunitaria, non possono es-sere assoggettati ad imposte indirette dagli Stati membri le “operazioni di ri-strutturazione” (come definite nell’art. 4 della Direttiva n. 2008/7/CE del 12

45 Cass., 27 marzo 2012, n. 4931. 46 Cass., 12 dicembre 2011, n. 26550.

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febbraio 2008), tra cui sono annoveratele operazioni che comportano il con-ferimento della totalità delle attività di una società di capitali o di uno o più rami dell’attività in un’altra società di capitali, ove detto conferimento sia re-munerato esclusivamente tramite attribuzione di partecipazioni

47. Questo è il caso, per l’appunto, dei conferimenti d’azienda, delle fusioni e delle scissioni, che, in ossequio al dettato comunitario, la normativa italiana assoggetta a tas-sazione con imposte in misura fissa.

Il conferimento d’azienda o di rami d’azienda, ai sensi dell’art. 4, comma 1, lett. a), n. 3, della Tariffa – Parte I, è soggetto ad imposta di registro in termi-ne fisso nella misura di euro 200,00. Ove l’azienda non comprenda immobili, non sono dovute le imposte ipotecaria e catastale; in caso contrario, queste ul-time sono dovute nella misura fissa di euro 200,00 per ciascuna imposta

48. Secondo quanto previsto dall’art. 2, comma 3, lett. b), D.P.R. n. 633/1972, il conferimento di azienda non è considerato una “cessione di beni” ai fini IVA e, pertanto, non è soggetto ad imposta sul valore aggiunto.

Analogamente al conferimento d’azienda, le operazioni di fusione e di scis-sione cui partecipino società di qualunque tipo ed oggetto o enti aventi per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale o agricola so-no soggette a registrazione in termine fisso, con applicazione dell’imposta di re-gistro nella misura fissa di 200,00 euro

49. In presenza di immobili, le operazio-ni di fusione e scissione scontano le imposte ipotecaria e catastale nella misu-ra fissa di euro 200,00 ciascuna

50. Infine, i verbali assembleari di approvazione del progetto di fusione e di

scissione sono soggetti a registrazione in termine fisso, nella misura di euro 200,00

51.

47 Per un excursus sulla disciplina comunitaria in tema di raccolta indiretta dei capitali, v. BUONO, Imposizione indiretta e operazioni straordinarie, in AA.VV., Il regime fiscale delle ope-razioni straordinarie, cit., p. 398 ss.

48 V. art. 4 della Tariffa allegata al D.Lgs. n. 347/1990 e art. 10, comma 2, del medesimo decreto.

49 V. art. 4, comma 1, lett. b), della Tariffa – Parte I; tali operazioni, ove siano intervenute tra enti non aventi per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale o agri-cola, sono soggette ad imposta di registro con l’aliquota proporzionale del 3%, a norma dell’art. 9 della Tariffa – Parte I (si vedano le Ris. nn. 152/E/2008 e 61/E/2010, nonché la Circolare n. 18/E/2013).

50 E ciò anche nel caso in cui la fusione avvenga tra enti che non hanno per oggetto esclu-sivo o principale l’esercizio di attività commerciale o agricola (v. Ris. n. 162/E/2008).

51 V. l’art. 11 della Tariffa – Parte I.

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6. La riqualificazione degli atti di trasferimento ai fini dell’imposizione indiretta

Ben più problematica appare la questione relativa alla riqualificazione, da parte dell’Amministrazione Finanziaria, degli atti di trasferimento di beni/par-tecipazioni in virtù della previsione dell’art. 20, D.P.R. n. 131/1986, a mente del quale «l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuri-dici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente».

I casi più frequenti di “riqualificazione” negoziale nel contesto di operazio-ni di acquisizione sono:

i) quello del conferimento d’azienda seguito dalla cessione delle partecipa-zioni nella conferitaria. I due negozi, soggetti entrambi a tassazione nella mi-sura fissa di euro 200,00, vengono “riqualificati” come un unico atto di cessio-ne d’azienda, soggetto ad imposta di registro in misura proporzionale;

ii) l’ipotesi della cessione d’azienda “spezzatino”: la vendita dei beni e/o diritti componenti il complesso aziendale al medesimo soggetto, tramite atti separati stipulati in un breve lasso di tempo. I distinti atti di vendita – general-mente assoggettati a IVA – vengono anch’essi “riqualificati” quale unico atto di cessione d’azienda, assoggettato ad imposta di registro in misura proporzionale. Inoltre, viene disconosciuto il diritto del cessionario alla detrazione dell’IVA a lui addebitata in via di rivalsa dal cedente con i singoli atti di cessione, in quanto l’imposta assolta è stata illegittimamente applicata dal cessionario o commit-tente

52.

Tali “riqualificazioni” sono state avallate dalla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale, sulla base del citato art. 20, ai fini dell’interpretazione (o qua-lificazione) degli atti soggetti a registrazione, deve aversi riguardo al «dato giu-ridico reale dell’effettiva causa negoziale [...] rispetto al relativo assetto cartola-re»

53, con la conseguenza di assoggettare a tassazione “congiuntamente” i di-stinti negozi collegati sulla base dello scopo pratico unitario cui tendono, ap-plicando l’imposta relativa al negozio con cui tale scopo poteva essere realizzato

52 In ossequio alla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’UE che nega il diritto alla detrazione dell’IVA erroneamente addebitata in fattura a titolo di rivalsa (si v. la nota sent. 15 marzo 2007, causa C-35/05, Reemtsma Cigarettenfabriken).

53 Si vedano Cass., 19 giugno 2013, n. 15319; Cass., 5 giugno 2013, n. 14150; Cass., 14 feb-braio 2014, n. 3481; Cass., 19 febbraio 2014, n. 3932; Cass., 4 febbraio 2015, n. 1955; Cass., 11 dicembre 2015, n. 25001; Cass., 11 dicembre 2015, n. 25005; Cass., 18 dicembre 2015, n. 25484; Cass., 18 dicembre 2015, n. 25487; Cass., 29 aprile 2016, n. 8542; Cass., 11 maggio 2016, n. 9582.

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in via diretta e immediata. In altre parole, viene legittimata l’applicazione del tributo sulla base della combinazione di un atto con altri atti posti in essere fra le stesse parti o con soggetti diversi, considerando, ai fini della determinazione del presupposto d’imposta, il risultato complessivo dell’attività negoziale, che altrimenti non potrebbe evincersi dagli atti autonomamente considerati.

Si noti che tale giurisprudenza non muove da un’interpretazione antielusi-va del medesimo art. 20, D.P.R. n. 131/1986, ritenendo piuttosto che, tramite la sua applicazione, gli uffici debbano procedere alla riqualificazione degli atti soggetti a registrazione avuto riguardo agli effetti oggettivamente prodottisi ad esito della complessiva sequenza negoziale. Ne deriva che gli Uffici possono procedere alla riqualificazione semplicemente facendo riferimento agli effetti finali risultanti dal collegamento dei negozi stipulati dal contribuente, non do-vendo provare che, tramite tali negozi collegati, questi ha realizzato un vantag-gio fiscale indebito (ossia in aggiramento delle norme e dei principi dell’ordi-namento tributario)

54; d’altro canto, al contribuente non sarà consentito di op-porre, quale esimente dalla riqualificazione, l’esistenza di valide ragioni extra-fiscali non marginali a giustificazione dell’operazione per come è stata posta in essere. Né saranno applicabili le garanzie previste per l’accertamento nelle ipo-tesi di elusione fiscale/abuso del diritto ad opera dell’art. 10 bis dello Statuto dei diritti del contribuente

55.

54 V., sul punto, GALLO, La nuova frontiera dell’abuso in materia fiscale, in Rass. trib., 2015, p. 1317, nota 7, il quale, tuttavia, precisa che «coerenza vorrebbe che la Cassazione volendo mantenere questa sua giurisprudenza desse una giustificazione dell’art. 20 in termini antielu-sivi (e cioè con riferimento al principio non scritto antiabuso), anziché creare una sorta di tertium genus tra interpretazione strettamente civilistica e norma fiscale antielusiva»; TABET, L’art. 20 della legge di registro e la dottrina della metempsicosi, in GT-Riv. giur. trib., n. 7, 2016, p. 588 ss.; MASTROIACOVO, Abuso del diritto o elusione nell’imposta di registro e negli altri tribu-ti indiretti, in Della Valle-Ficari-Marini (a cura di), Abuso del diritto ed elusione fiscale, Torino, 2016, p. 264, nota 53, secondo cui «si tratta dunque di piani differenti, poiché quello della di-mostrazione oggettiva dell’abuso attraverso la sussistenza dei presupposti di sviamento dalla ratio che indicano la mancanza di una sostanza economica (art. 10 bis) è ontologicamente distinto da quello dell’interpretazione di un atto cui consegue il pagamento di un tributo in misura differente (art. 20), così come distinti sono gli elementi idonei a fondare la relativa contestazione».

55 Si v., tuttavia, sul punto, Corte cost., 7 luglio 2015, n. 132, secondo cui – seppur prima dell’entrata in vigore della norma generale anti-abuso di cui all’art. 10 bis, L. n. 212/2000 – «il principio generale antielusivo [...] non impedisce affatto, con riguardo alle fattispecie non riconducibili all’art. 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973, che debba essere instaurato il previo contraddittorio fra l’amministrazione finanziaria e il contribuente, né esclude che il vizio del contraddittorio conseguente alla violazione del termine produca la nullità dell’at-to impositivo».

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Tale orientamento giurisprudenziale non persuade 56. Invero, l’art. 20 va

contestualizzato nell’ambito della disciplina dell’imposta di registro quale “imposta d’atto”, che, trovando la sua giustificazione nella capacità contri-butiva manifestata con l’attività giuridica ritenuta rilevante ai fini del tributo, deve trovare applicazione con riguardo al singolo atto soggetto a registra-zione ed alla sua interpretazione

57. Conseguentemente, la detta previsione potrà essere invocata dall’Amministrazione Finanziaria con riguardo a pre-tese che derivino da un’errata interpretazione dell’atto o della disposizione contrattuale, in quanto discordante rispetto al nomen attribuito dalle parti (si pensi al contratto definitivo che venga denominato dalle parti “contratto preliminare”)

58-59.

56 Si v., in dottrina, ZIZZO, Imposta di registro e atti collegati, in Rass. trib., n. 4, 2013, p. 874 ss., il quale, pur riconoscendo che «lo scopo dell’art. 20 sia quello di collegare il prelievo all’as-setto di interessi effettivamente realizzato dalle parti, indipendentemente dalla denominazione utilizzata dalle stesse, nonché dalla veste formale adottata», afferma che «accettare questo punto non implica tuttavia aderire al successivo, laddove si prospetta l’apprezzamento unitario di una pluralità di atti, quando legati da un collegamento funzionale. Non sussiste infatti alcun rapporto di implicazione necessaria tra i due. Il dato giuridico reale da gravare con il prelievo può essere dimensionato sul singolo atto ovvero su una pluralità di atti».

57 In tal senso v., in dottrina, FALSITTA, Manuale di diritto tributario, Padova, 2016, p. 972 ss.; TESAURO, Istituzioni di diritto tributario, II, Torino, 2006, p. 272; ZIZZO, op. cit., secondo cui «se è realizzato un atto idoneo a produrre uno degli effetti giuridici considerati nella Tariffa, l’atto – per ciò solo – deve essere assoggettato ad imposizione secondo le condizioni specificate nella stessa, con una cristallizzazione del fatto imponibile e della connessa obbligazione tributa-ria che inevitabilmente preclude la possibilità di annettere al medesimo atto rilievo nella compo-sizione di un ulteriore fatto imponibile (espressivo del suo collegamento con altri successivi atti) e ai fini di un’ulteriore obbligazione tributaria (relativa alla medesima imposta di registro)».

58 V. BUSANI, L’imposta di registro, cit., pp. 60-61; in termini, la Circolare Assonime n. 21/2016, p. 123 ss., nonché lo studio del Consiglio Nazionale del Notariato n. 151-2015/T, p. 6 ss.

59 Peraltro, l’approccio (pedissequamente) sostanziale dell’amministrazione finanziaria si è spinto sino a riqualificare, quale cessione d’azienda, anche la cessione di partecipazioni to-talitarie ad una società di capitali, non preceduta da alcun conferimento. Tale interpretazio-ne, che muove da alcuni sporadici precedenti di legittimità afferenti la cessione di quote di società di persone (cfr., in particolare, Cass., 20 maggio 2009, n. 11666; Cass., 2 dicembre 2015, n. 24594), è stata disattesa dalla CTR Sardegna nella sent. 16 dicembre 2016, n. 386, ove si legge che «tenuto conto di quanto stabilito nella disposizione di cui all’art. 20 D.P.R. n. 131 del 1986 […] e tenuto conto del fatto che nel p.v.c. richiamato non si faccia cenno a precedenti conferimenti di azienda nelle società le cui quote di partecipazione hanno forma-to oggetto di cessione, è difficile procedere a riqualificare delle mere cessioni di quote di par-tecipazione in società di capitali, seppur totalitarie, in contratti di cessione di azienda o di ramo d’azienda. Ed infatti si tratta di due fattispecie distinte sul piano giuridico, ove le parti contraenti operano la scelta tra cedere le quote seppur in modo totalitario o cedere l’azienda,

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Del resto, l’Amministrazione Finanziaria non resterebbe sfornita di mezzi per censurare situazioni di evasione od elusione d’imposta dovute all’illegitti-mo “frazionamento” di operazioni in una pluralità di atti.

Così, ad esempio, il caso di cessione d’azienda “spezzatino” di cui si è detto sopra sembra essere “coperto” dalla previsione dell’art. 3, D.P.R. n. 131/1986, che dispone l’assoggettamento ad imposta di registro dei contratti d’azienda anche conclusi in forma verbale

60. Nel caso, invece, di conferimento d’azienda seguito dalla cessione delle par-

tecipazioni, potrebbe trovare applicazione la norma anti-elusiva generale di cui all’art. 10 bis dello Statuto dei diritti del contribuente

61; e proprio alla luce della nozione di abuso del diritto fornita da tale previsione, dovrebbe escludersi la possibilità di censurare in chiave elusiva simili transazioni. Infatti, il vantaggio fiscale che ne deriva non pare contrario alla logica del sistema, dal momento che la disciplina dell’imposta di registro, proprio in quanto imposta d’atto, de-termina l’an ed il quantum della tassazione alla luce degli atti formati dai priva-ti ed espressione della loro libertà negoziale; d’altro canto, manca una regola che imponga ai contribuenti di seguire il percorso negoziale più oneroso dal punto di vista fiscale. A ciò si aggiunga che lo stesso legislatore, con riguardo al diverso comparto delle imposte sui redditi, ha previsto uno “scudo” da censu-re di elusione proprio per le operazioni di conferimento di azienda in neutrali-tà fiscale seguite dalla cessione di partecipazioni nella conferitaria (art. 176, comma 3, TUIR); il principio di coerenza dell’ordinamento giuridico impo-ne, pertanto, di ritenere incensurabile il medesimo concatenamento negoziale anche ai fini dell’imposta di registro

62. senza per questo dover necessariamente configurare un intento elusivo che, sempre necessa-riamente, nel caso di specie, dovrebbe essere provato dall’Amministrazione finanziaria».

60 Si v. Circolare Assonime, n. 21, 2016, p. 53, nota 86; BUONO, Conferimenti di immobili e di aziende e art. 20 del TUR, in AA.VV., Il nuovo abuso del diritto, a cura di Miele, Torino, 2016, p. 140 ss.

61 V. MASTROIACOVO, Abuso del diritto, cit., p. 261, secondo cui «un’eventuale contesta-zione mossa sulla base del medesimo iter logico evidenziato nella clausola generale da ultimo introdotta, sarà legittima solo in quanto motivata sulla base della disciplina dell’art. 10 bis, man-cando appunto un altro referente normativo da porre a fondamento dell’eventuale atto di ac-certamento. Conseguentemente, qualora si tratti di una contestazione che nella sostanza è fon-data sulla disciplina della riforma, essa non può sottrarsi né alla disciplina sostanziale circa la sussistenza dei presupposti, né alla disciplina procedurale di garanzia (in termini di contrad-dittorio, motivazione, onere della prova, ecc.) ivi previste».

62 In tal senso, Circolare Assonime, cit., p. 126 ss., ove vengono altresì segnalati i contrasti di una diversa interpretazione con il diritto comunitario. Si v. altresì, ex multis, DELLA VALLE, Profili elusivi/“abusivi” della circolazione indiretta del complesso aziendale, in Il Fisco, n. 35, 2014, p. 3409 ss.; ZIZZO, op. cit.

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Va pur detto che un recente arresto della Cassazione, proprio relativo ad una fattispecie di conferimento di azienda seguito dalla cessione delle parteci-pazioni nella conferitaria, pare assumere un orientamento in linea con l’opi-nione appena rassegnata.

Ed invero, con la sent. 27 gennaio 2017, n. 2054, il giudice di legittimità ha concluso per l’inapplicabilità, al caso di specie, dell’art. 20, D.P.R. n. 131/1986, affermando che «se è indubitabile che l’Amministrazione in forza di tale di-sposizione non è tenuta ad accogliere acriticamente la qualificazione prospet-tata dalle parti [...], è indubbio che in tale attività riqualificatoria essa non può travalicare lo schema negoziale tipico nel quale l’atto risulta inquadrabile, pe-na l’artificiosa costruzione di una fattispecie diversa da quella voluta e com-portante differenti effetti giuridici». Per giungere a tali conclusioni, è stato e-spressamente affermato che «ancorché da un punto di vista economico si pos-sa ipotizzare che la situazione di chi cede l’azienda sia la medesima di chi cede l’intera partecipazione, posto che in entrambi i casi si monetizza il complesso dei beni aziendali, si deve riconoscere che dal punto di vista giuridico le situa-zioni sono assolutamente diverse».

Tale sentenza, seppur non rinneghi espressamente l’orientamento conso-lidato cui si è fatto riferimento supra, pare sottendere che simili concatenazio-ni negoziali non possano essere censurate tramite l’applicazione dell’art. 20, D.P.R. n. 131/1986, dovendo l’Amministrazione Finanziaria far ricorso alla disposizione anti-elusiva generale di cui al citato art. 10 bis

63-64.

63 In tal senso si v. MASTROIACOVO, L’attività riqualificatoria ex art. 20 TUR non può tra-valicare lo schema negoziale tipico in cui l’atto risulta inquadrabile, in Riv. dir. trib. – Supplemen-to online, 2017; TASSANI, Conferimento di azienda e cessione della partecipazione ai fini del registro: l’alba di un revirement giurisprudenziale?, in Corr. trib., n. 11, 2017, p. 835 ss., secondo cui «la fattispecie di conferimento di azienda con cessione di quote può essere inquadrata nello sche-ma dell’abuso del diritto. Schema in base al quale determinare l’inopponibilità fiscale dell’ope-razione, per procedere alla riqualificazione della fattispecie impositiva sulla base della sostanza economica, qualora l’atto o gli atti non abbiano altra giustificazione del vantaggio fiscale, che risulti ulteriormente indebito. Tale valutazione di abuso/elusione fiscale si ritiene possibile solo applicando l’art. 10-bis dello Statuto del contribuente [...]. La stessa sentenza n. 2054/2017, nella parte finale ancorché in modo assai sfumato, richiama una possibile valutazione di elusivi-tà della operazione (che tuttavia nel caso concreto era stata esclusa dal giudice di merito). Se, quindi, la giurisprudenza di legittimità sceglierà di seguire la strada tracciata dalla sentenza in esame ed accogliere definitivamente l’idea dell’art. 20 T.U.R. quale norma sulla interpretazione degli atti che non consente di travalicare gli schemi negoziali e gli effetti giuridici definiti dalle parti, il confronto contribuente/Amministrazione finanziaria si potrà spostare, più corretta-mente, sul piano dell’abuso del diritto alla luce dell’art. 10-bis, Statuto».

64 Tuttavia, va notato che la successiva Cass., 15 marzo 2017, n. 6758, pur richiamando la predetta pronuncia n. 2054/2017, la disattende espressamente, rifacendosi all’orientamento consolidato appena illustrato.

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7. Gli altri atti stipulati nel contesto dell’acquisizione

Come accennato sopra, nel contesto dell’operazione di acquisizione, ac-canto al contratto di acquisizione ed al successivo atto di trasferimento del com-plesso aziendale, vengono stipulati una serie di ulteriori atti negoziali, prope-deutici al closing e finalizzati a dare attuazione al complessivo assetto contrat-tuale delineato dalle parti nel contratto di acquisizione medesimo. Di seguito si procederà ad elencare quelli più frequentemente stipulati nella prassi al fine di illustrarne la rilevanza ai fini dell’assoggettamento alla fiscalità indiretta.

Innanzitutto, allo scopo di proteggere la propria posizione contrattuale, le parti usualmente subordinano la stipula dell’atto di trasferimento al closing al rilascio di garanzie

65. Esse assumono le forme più varie: fideiussioni, garanzie reali, garanzie atipiche (si vedrà di seguito il caso dell’escrow).

Ai fini dell’imposizione indiretta, le garanzie reali e personali sono atti sog-getti a registrazione in termine fisso – salvo la formazione per scambio di cor-rispondenza, nel qual caso sono da registrarsi solo in caso d’uso

66 – nei casi pre-visti dall’art. 6 della Tariffa – Parte I, ossia ove si tratti di garanzie prestate a favore di terzi e non richieste dalla legge. La tassazione è in misura proporzio-nale, con aliquota dello 0,50% da applicarsi non sul valore della garanzia, ma sull’intero importo garantito, salvo che siano concessi in garanzia denaro o ti-toli, nel qual caso la base imponibile è costituita dalla somma di denaro o dal valore dei titoli concessi in garanzia, se inferiore alla somma garantita (v. art. 43 della Tariffa – Parte I). Dunque, l’imposizione indiretta sulle garanzie è li-mitata ai casi in cui esse siano prestate da parti terze rispetto a quelle a cui è relativa l’obbligazione principale sorretta da garanzia (caso non infrequente: si pensi al fenomeno delle garanzie della controllante in favore della controllata).

L’imposta di registro sarà invece applicabile solo in caso d’uso e nella mi-sura fissa di euro 200,00 ove le predette garanzie, pur prestate da terzi, siano fornite dietro corrispettivo nell’esercizio di imprese, arti o professioni e stipu-late tramite scrittura privata non autenticata, in virtù del principio di alternati-vità IVA/imposta di registro; qualora l’atto sia formato tramite atto pubblico o scrittura privata autenticata, l’imposta di euro 200,00 sarà applicata in termine

65 Frequente è l’ipotesi delle garanzie rilasciate dall’acquirente – o da altre società appar-tenenti al medesimo gruppo – al fine (appunto) di garantire l’adempimento degli obblighi di indennizzo risultanti dalla violazione delle clausole di dichiarazioni e garanzie.

66 Sul punto, si ricorda che una risalente prassi amministrativa (segnatamente, la Ris. n. 250428/1987) aveva ritenuto che il carattere unilaterale della fideiussione escludeva in radi-ce la sua esecuzione tramite scambio di corrispondenza; tale tesi è stata tuttavia superata dal-la Circolare n. 6/1990, confermata dalla recente Ris. n. 46/E/2013.

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fisso. In tali ipotesi, infatti, la prestazione di garanzia si qualifica come opera-zione IVA rilevante, seppur esente ai sensi dell’art. 10, comma 1, n. 1), D.P.R. n. 633/1972

67. Più complesso (o quantomeno meno lineare) è il caso dell’escrow, istituto

sviluppatosi nel diritto anglosassone ed invalso nella prassi delle acquisizioni. L’escrow è il negozio in forza del quale un determinato soggetto deposita una somma di denaro od un altro bene presso un depositario, il quale si impegna a consegnare quanto ricevuto in deposito ad un terzo a seguito del verificarsi o meno di un determinato evento, ovvero a restituirlo al depositante ove questa condizione non si avveri

68. Si tratta sostanzialmente di un deposito in garanzia di una somma di denaro o, più in generale, di beni mobili, accostabile all’isti-tuto del deposito nell’interesse del terzo di cui all’art. 1773 c.c.

69. Nella pratica è frequente il vincolo in escrow di parte del prezzo di acquisto corrisposto al venditore, volto a garantire eventuali aggiustamenti di prezzo derivanti dalle clausole di purchase price adjustment ovvero il pagamento degli indennizzi sca-turenti dalla violazione delle clausole di dichiarazione e garanzia.

Quanto alla disciplina ai fini della fiscalità indiretta, in assenza di indirizzi giurisprudenziali e dell’Amministrazione Finanziaria con riguardo allo speci-fico caso dell’escrow, pare opportuno richiamare quanto si è affermato relati-vamente al c.d. deposito cauzionale (particolarmente diffuso nel caso di loca-zione immobiliare), ossia il versamento diretto e nelle mani di una parte con-trattuale di una somma di denaro o di titoli ad opera della controparte, con la finalità di garantire l’esatto adempimento delle obbligazione assunte.

A riguardo, la dottrina, muovendo dalla qualificazione del deposito cau-zionale quale pegno irregolare

70 e dalla funzione di garanzia che esso assolve,

67 V. artt. 5, comma 2, e 40, comma 1, D.P.R. n. 131/1986. 68 Con riguardo al ruolo svolto dal terzo depositario, nella prassi si distingue la figura del-

l’escrow holder da quella dell’escrow agent. Quando il depositario svolge le funzioni di escrow holder, egli è fiduciario delle due (o più) parti della transazione, dovendo attenersi alle istru-zioni di entrambe. Invece, l’escrow agent è fiduciario solamente nei confronti di una delle due parti, dovendosi attenere alle istruzioni di quest’ultima.

69 Tale previsione detta le regole per il caso in cui la cosa sia stata depositata anche nel-l’interesse di un terzo e questi abbia comunicato al depositante e al depositario la sua adesio-ne, stabilendo che, in tale ipotesi, il depositario non può liberarsi restituendo la cosa al depo-sitante senza il consenso del terzo.

70 Ossia del contratto mediante il quale un soggetto consegna e attribuisce in proprietà al creditore denaro o beni fungibili per garantire un’obbligazione propria o altrui, dovendo il cre-ditore, in caso di adempimento del debitore, restituire al debitore il tantundem eiusdem gene-ris, ed essendo titolato, nel caso di inadempimento, a trattenere quanto consegnato fino alla concorrenza del valore del suo credito, restituendo al garante l’eventuale eccedenza.

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Giuseppe Marini-Federico Franconi 423

ha sostenuto che questo andrebbe assoggettato a tassazione in maniera analo-ga alle garanzie, con obbligo di registrazione in termine fisso e aliquota pari allo 0,50%

71, sussistendo i presupposti di cui all’art. 6 della Tariffa – Parte I di cui si è visto sopra; in tutti gli altri casi, trattandosi di atti non indicati nella ta-riffa, i depositi cauzionali dovrebbero andare esenti da registrazione

72. I negozi di garanzia – tipici o atipici – di cui si è detto sopra possono ben

innestarsi anche in un’operazione di finanziamento propedeutica a fornire la liquidità per l’acquisizione. Il relativo contratto di finanziamento (o di mutuo, a seconda dei casi), ove preveda il pagamento di interessi o di altro corrispet-tivo e il soggetto erogante operi nell’esercizio di imprese, arti e professioni, costituirà un’operazione IVA rilevante, esente ai sensi dell’art. 10, comma 1, n. 1), D.P.R. n. 633/1972; conseguentemente, l’imposta di registro troverà ap-plicazione nella misura fissa di euro 200,00, in caso d’uso, qualora l’atto sia formato per scrittura privata non autenticata, o altrimenti in termine fisso, ove questo sia formato tramite atto pubblico o scrittura privata autenticata73. Ove il finanziamento non venga erogato nell’esercizio di imprese, arti e professioni, oppure sia infruttifero, esso non sarà rilevante ai fini IVA e pertanto soggetto ad imposta di registro con l’aliquota residuale del 3% ai sensi dell’art. 9 della Tariffa – Parte I, allegata al D.P.R. n. 131/1986.

Resta esclusa dalla predetta disciplina l’ipotesi in cui l’operazione di finan-ziamento si qualifichi come “finanziamento a medio e lungo termine” ai sensi dell’art. 15, D.P.R. n. 601/1973

74, e il soggetto erogante (azienda o istituto di

71 Da applicarsi, sulla base dell’art. 43, D.P.R. n. 131/1986, sulla base imponibile costitui-ta dalla somma di denaro o dal valore dei titoli concessi in garanzia, se inferiore alla somma garantita. Peraltro, con riguardo al caso dei titoli, si segnala che gli Uffici non hanno potere di rettificare il valore dichiarato nell’atto.

72 BUSANI, L’imposta di registro, cit., p. 823. 73 Si v. ancora gli artt. 5, comma 2 e 40, comma 1, D.P.R. n. 131/1986. 74 Previsione che definisce «a medio e lungo termine le operazioni di finanziamento la

cui durata contrattuale sia stabilita in più di diciotto mesi». Secondo la Cassazione (v. Cass., 6 febbraio 2015, n. 2188, nonché Cass., 7 dicembre 2011, n. 26395), l’imposizione sostituti-va non può applicarsi in relazione ad operazioni di finanziamento le quali, pur avendo durata contrattuale stabilita in più di 18 mesi, prevedano la possibilità di recesso anticipato, anche ove in presenza di giustificato motivo. Ai sensi degli artt. 17 bis e 20 bis, D.P.R. n. 601/1973 (introdotti dall’art. 22, comma 2, lett. b), D.L. n. 91/2014), l’imposta sostitutiva si applica altresì (i) alle operazioni di finanziamento a medio o lungo termine poste in essere dalle so-cietà di cartolarizzazione, nonché da imprese di assicurazione costituite e autorizzate ai sensi di normative emanate da Stati membri dell’UE o organismi di investimento collettivo del risparmio costituiti negli Stati membri dell’UE e negli Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo white listed; (ii) alle garanzie di qualunque tipo, da chiunque e in qual-

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credito 75) eserciti l’opzione per l’assoggettamento della medesima operazione

all’imposta sostitutiva di cui all’art. 17 del medesimo decreto 76. In tale ipotesi,

infatti, tutti gli atti e le formalità relative all’operazione di finanziamento 77 so-

siasi momento prestate in relazione alle operazioni di finanziamento strutturate come emissio-ni di obbligazioni o titoli similari alle obbligazioni di cui all’art. 44, comma 2, lett. c), TUIR, da chiunque sottoscritte.

75 Il riferimento alle operazioni «effettuate da aziende e istituti di credito» ad opera dell’art. 15, comma 1, cit. è stato interpretato dalla prassi amministrativa (si v. la Ris. n. 137/E/2007 e la più risalente Ris. n. 310694/1990) quale requisito soggettivo ai fini dell’applicazione della norma. D’altro canto, la possibilità di estendere l’applicazione dell’imposta sostitutiva di cui so-pra ai finanziamenti erogati da soggetti diversi dalle aziende ed istituti di credito – e segnata-mente agli “intermediari finanziari” autorizzati ai sensi del T.U. Bancario – è stata oggetto di un dibattito giurisprudenziale che è sfociato nella rimessione della questione alla Corte costituzio-nale ad opera della Sezioni Unite della Corte di Cassazione (si v. l’ord. 3 maggio 2015, n. 11373). Al momento della redazione del presente contributo, non risulta che la Consulta si sia ancora pronunciata su tale questione.

76 Infatti, dal 23 dicembre 2013, l’applicazione dell’imposizione sostitutiva è divenuta op-zionale (ciò a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 12, comma 4, D.L. n. 145/2013). Prima della modifica legislativa che ha stabilito il carattere opzionale dell’imposta sostitutiva sui fi-nanziamenti, si è assistito ad una serie di contestazioni da parte degli Uffici in merito alla sti-pula di atti di finanziamento all’estero da parte di soggetti italiani, ove l’unico elemento di in-ternazionalità era costituito dal luogo di stipula, ritenendo che la conclusione di tali contratti all’estero andasse a configurare un fenomeno di abuso del principio di territorialità, ed il rela-tivo vantaggio fiscale risultasse inopponibile all’Amministrazione Finanziaria sulla base del principio generale anti-abuso. Tale prassi, tuttavia, è stata censurata dalla giurisprudenza di merito. Si v., in particolare, CTP Brescia, 10 aprile 2012, n. 27, la quale ha ritenuto che, posto che il sistema dell’imposta di registro (cui la normativa in tema di imposta sostitutiva fa rin-vio: v. art. 20, D.P.R. n. 601/1973) espressamente contempla il caso di atti stipulati all’este-ro, imponendone la registrazione ed il conseguente assoggettamento alle imposte italiane solo in taluni casi, e, siccome il contratto di finanziamento stipulato all’estero non rientra in nes-suno di questi casi, esso non è territorialmente rilevante in Italia. Pertanto, la stipula di atti di finanziamenti all’estero tra parti italiane, con conseguente assoggettamento alle imposte d’atto previste nello stato estero, costituisce una scelta di pari dignità rispetto alla stipula dell’atto in Italia, non disapprovata dal sistema tributario. L’orientamento degli Uffici è stato poi supera-to dalla Ris. n. 20/E/2013, ove si è affermato che «il luogo di sottoscrizione del contratto, di per sé considerato ed in assenza di ulteriori elementi, non sembra rientrare nella definizione di abuso del diritto finora elaborata dalla giurisprudenza, per la configurazione della quale appare necessario un quid pluris idoneo a realizzare “l’utilizzo distorto di strumenti giuridici” finalizzato all’ottenimento di un risparmio fiscale», e che eventuali censure in ordine alla con-clusione di contratti all’estero andassero mosse argomentando la previa formazione dell’atto soggetto ad imposta in Italia. Su tale questione, si v., ex multis, DOLCE, Territorialità dell’im-posta sostitutiva sui finanziamenti, in Il Fisco, n. 37, 2014, p. 3637 ss.

77 Ossia, ai sensi dell’art. 15, comma 1, cit., tutti i provvedimenti, atti, contratti e formalità inerenti:

– alle operazioni di finanziamento medesime;

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no assoggettati ad un’imposta sostitutiva pari allo 0,25% delle somme erogate, e sono esenti dalle altre imposte indirette altrimenti applicabili

78.

8. Le problematiche di “enunciazione” di atti non registrati in atti soggetti a re-gistrazione

Ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, per “enunciazione” si in-tende il riferimento operato ad un atto non registrato (il c.d. atto enunciato) da parte di un altro atto (il c.d. atto enunciante) soggetto a registrazione

79. Essa è disciplinata dall’art. 22, D.P.R. n. 131/1986, il quale dispone che

«se in un atto sono enunciate disposizioni contenute in atti scritti o contratti verbali non registrati e posti in essere fra le stesse parti intervenute nell’atto che contiene la enunciazione, l’imposta si applica anche alle disposizioni enuncia-te. Se l’atto enunciato era soggetto a registrazione in termine fisso è dovuta anche la pena pecuniaria di cui all’art. 69», vale a dire la sanzione per omessa registrazione

80. La predetta disciplina ha chiare finalità antielusive. Ed infatti, si vuole evi-

tare che contratti verbali o atti scritti non registrati vengano formati e ripro-

– alla loro esecuzione, modificazione ed estinzione; – alle garanzie di qualunque tipo da chiunque e in qualsiasi momento prestate; – alle loro eventuali surroghe, sostituzioni, postergazioni, frazionamenti e cancellazioni

anche parziali, ivi comprese le cessioni di credito stipulate in relazione a tali finanziamenti; – alle successive cessioni dei relativi contratti o crediti; – ai trasferimenti delle garanzie ad essi relativi. 78 Più precisamente, in presenza dell’opzione per l’applicazione dell’imposta sostitutiva

sui finanziamenti a medio e lungo termine, l’assolvimento dell’imposta sostitutiva va a sosti-tuire le seguenti imposte:

– l’imposta di registro; – l’imposta di bollo; – l’imposta ipotecaria; – l’imposta catastale; – le tasse sulle concessioni governative. 79 Si vedano, tra gli altri, BUSANI, La “enunciazione” di contratti verbali e di atti scritti, in

Corr. trib., n. 47, 2009, p. 3851 ss.; ID., Presupposti per la imponibilità della “enunciazione” di atti non registrati, in Corr. trib., n. 2, 2010, p. 141 ss.; ID., L’imposta di registro per il mutuo stipulato all’estero con garanzia su beni in Italia, in Corr. trib., n. 21, 2010, p. 1711 ss.; FRANSONI, L’enun-ciazione delle garanzie fideiussorie in atti giudiziari, in Contratti, n. 10, 2013, p. 933 ss.; SOLA, L’imposizione fiscale sui finanziamenti soci: osservazioni teoriche e pratiche sul principio di enun-ciazione, in Dir. prat. trib., n. 1, 2012, p. 79 ss.

80 Compresa tra il 120% ed il 240% dell’imposta dovuta sull’atto enunciato.

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dotti in un secondo momento in un atto soggetto a registrazione, allo scopo di sottrarre i medesimi all’imposizione del registro

81. Secondo la giurisprudenza, tra gli “atti scritti” non soggetti a registrazione

sono da annoverarsi gli atti soggetti a registrazione solo “in caso d’uso” 82; ciò

è reso palese, in particolare, dalla parte finale dell’art. 22, comma 1, D.P.R. n. 131/1986, che stabilisce l’applicazione della sanzione per omessa registrazio-ne ai soli casi di enunciazione di atti soggetti a registrazione in termine fisso

83. A tale ipotesi, deve aggiungersi il caso degli atti formati all’estero che, ove sti-pulati in Italia, sarebbero stati soggetti a registrazione. Ed infatti, secondo la dottrina, essi si collocano al di fuori dell’ambito applicativo dell’imposta di re-gistro fintantoché non vi siano “attratti” per effetto della loro menzione in un atto soggetto a registrazione in Italia

84. Alla luce di quanto sopra, nel contesto di un’operazione di acquisizione, il

rischio di enunciazione riguarderà in particolare gli atti conclusi tramite scam-bio di corrispondenza – che sono soggetti a tassazione solo in caso d’uso – e gli atti stipulati all’estero.

Al fine di comprendere l’ambito applicativo della tassazione per enuncia-zione, è opportuno fare riferimento alla stessa lettera della legge. Innanzitutto, essa fa riferimento all’enunciazione di “disposizioni”, e non già di “atti”. Ad av-viso di chi scrive, nell’utilizzare il termine “disposizioni” il legislatore ha inteso fare riferimento non ad un generico rinvio ad altro atto non registrato, richie-dendosi piuttosto lo specifico richiamo, appunto, a “disposizioni” rilevanti ai

81 Logica conseguenza di tale assunto è, pertanto, che non debbano rientrare nel campo di applicazione della norma di cui all’art. 22, D.P.R. n. 131/1986 gli atti indicati nella Tabella per i quali non vi è obbligo di chiedere la registrazione, atteso che – come rilevato in dottrina – «se il Legislatore ha ritenuto di escludere detti atti dall’obbligo di registrazione al momento della loro formazione, non vi è ragione per credere che abbia successivamente imposto che gli stessi atti siano soggetti a tassazione quando sono enunciati in altri atti. In questo caso, del resto, non si verificano le ipotesi di elusione fiscale che la norma in esame intende colpire, posto che l’esclusione dal pagamento del tributo è prevista dallo stesso legislatore tributa-rio» (MONTESANO, L’istituto dell’enunciazione nell’imposta di registro, in Il Fisco, n. 36, 2010, p. 5808 ss.).

82 V. Corte cost., 21 gennaio 1999, n. 7, secondo cui qualora il provvedimento enunciato sia soggetto a registrazione in caso d’uso «è proprio la sua allegazione in giudizio che, rap-presentandone una forma d’uso, ne legittima la sottoposizione all’imposta di registro».

83 V. Cass., 14 marzo 2007, n. 5946; Cass., 10 giugno 2004, n. 11026; Cass., 7 aprile 1998, n. 3572. V. altresì Corte cost., 21 gennaio 1999, n. 7, cit., secondo cui «se l’atto enunciato (e per questo motivo tassato) era soggetto ad imposta in termine fisso, le parti risultano inadempienti ad un loro preciso dovere fiscale».

84 V. BUSANI, L’imposta di registro, cit.

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fini dell’imposizione del registro, tale da consentire una esatta individuazione dei soggetti, dell’oggetto e della base imponibile dell’atto enunciato

85. Quan-to appena considerato conduce anche alla conclusione che non è configurabi-le un’enunciazione “a cascata”, ossia l’enunciazione di un atto che sia conte-nuta in altro atto non registrato, il quale, a sua volta, sia enunciato in un atto soggetto a registrazione. Infatti, l’enunciazione non si estende all’intero atto enunciato, ma solo alle disposizioni specificamente oggetto di enunciazione.

Inoltre, il medesimo art. 22 limita chiaramente l’ambito applicativo dell’e-nunciazione ai soli atti enunciati «posti in essere fra le stesse parti intervenu-te» nell’atto enunciante. Ciò significa che devono partecipare all’atto enun-ciante quantomeno le stesse parti intervenute nell’atto enunciato: pertanto, ove anche una sola delle parti dell’atto enunciato non sia parte dell’atto enun-ciante, la tassazione per enunciazione deve essere esclusa

86.

9. Considerazioni conclusive

L’analisi sopra svolta ha confermato come la disciplina delle acquisizioni di impresa ai fini delle imposte indirette si caratterizzi, anzitutto, per la sua asi-stematicità. In effetti, nonostante con il termine “acquisizione” le parti dell’o-perazione individuino un fenomeno unitario, quantomeno dal punto di vista economico, per la normativa fiscale l’acquisizione viene “parcellizzata” in mol-teplici atti e negozi, coerentemente con la qualificazione dei medesimi opera-ta dal diritto civile e commerciale. Sicché, ove le parti vedono un’unica, per quanto complessa, transazione, il diritto tributario identifica diversi presup-posti d’imposta, con l’ulteriore difficoltà arrecata dal concorso di vari tributi nel regolare lo stesso atto o negozio.

V’è da chiedersi se valga la pena di mantenere in vita una disciplina estre-mamente complessa come quella appena analizzata, con tutte le incertezze interpretative che porta in dote, o si possa piuttosto ragionare su una pene-trante riforma del sistema impositivo indiretto della circolazione dei comples-si aziendali.

In particolare, ci sembra opportuna una modifica legislativa volta a sancire una sorta di “principio di neutralità fiscale” delle operazioni straordinarie d’im-

85 Così BUSANI, Presupposti per la imponibilità della “enunciazione” di atti non registrati, cit., p. 141; ID., La “enunciazione” di contratti verbali e di atti scritti, cit.

86 Si v. ancora BUSANI, Presupposti per la imponibilità della “enunciazione” di atti non regi-strati, cit.; ID., La “enunciazione” di contratti verbali e di atti scritti, cit.

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presa sul versante delle imposte indirette, disponendo la tassazione in misura fissa o con aliquote proporzionali ridotte di qualsivoglia atto o negozio relati-vo al trasferimento di un complesso aziendale.

Tale principio è, di fatto, già vigente per le operazioni su partecipazioni e/o società (trasferimenti di partecipazioni, conferimenti d’azienda, fusioni e scissioni), le quali sono prevalentemente assoggettate ad imposta fissa di regi-stro, rendendosi tuttalpiù applicabile, nel caso di trasferimento di azioni, un’im-posta proporzionale dall’aliquota assai ridotta quale l’imposta sulle transazio-ni finanziarie. Si tratterebbe, pertanto, di estendere tale regime ai trasferimen-ti di azienda allo stato soggetti ad oneri impositivi ben più significativi, non-ché agli indennizzi derivanti dalla “violazione” delle clausole di dichiarazione e garanzie previste nei contratti di acquisizione di partecipazioni

87. In effetti, è proprio il rilevante onere fiscale che una cessione d’azienda com-

porta – se comparato alle altre transazioni che, astrattamente, possono insi-stere sul medesimo complesso aziendale, e in particolare al trasferimento di partecipazioni

88 – che ha comportato il sorgere di problematiche interpretati-ve tuttora foriere di incertezza. È emblematico il caso della riqualificazione in cessione d’azienda del conferimento d’azienda seguito dalla cessione delle partecipazioni nella conferitaria, ove la giurisprudenza pressoché incontrasta-ta della Cassazione, “bypassando” la scelta delle parti di trasferire il complesso aziendale sub specie di partecipazione di controllo anziché di universitas bono-rum (peraltro, spesso motivata da esigenze totalmente avulse dal risparmio d’imposta), estende il regime fiscale più oneroso degli asset deal a negozi col-legati altrimenti soggetti al regime di “neutralità” ai fini delle imposte indirette.

Si potrebbe obiettare che tale diverso trattamento replica, in un certo sen-so, la distinzione già proposta dal legislatore nel diverso comparto delle impo-ste dirette. Ed infatti, ai fini delle imposte sui redditi, mentre il trasferimento di partecipazioni, ove titolato ai benefici della participation exemption, com-porta plusvalenze imponibili nella misura del 5% o minusvalenze indeducibili, la cessione d’azienda genera plusvalenze e minusvalenze interamente imponi-bili, essendo consentito al contribuente che ha realizzato una plusvalenza solo di optare per dilazionare la tassazione in cinque periodi d’imposta (ai sensi

87 Per i quali, tuttavia, la formazione del contratto di acquisizione e della successiva do-cumentazione relativa al pagamento tramite scambio di corrispondenza commerciale con-sentono di limitare l’autonoma tassabilità solo al caso d’uso.

88 Ma si pensi anche al trasferimento “separato” dei singoli beni che compongono il com-plesso aziendale tramite cessioni soggette ad IVA, recuperabile tramite il meccanismo di ri-valsa e detrazione.

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dell’art. 86, comma 4, TUIR), ove l'azienda sia stata posseduta per un periodo non inferiore a tre anni.

Tuttavia, il differente regime dei due atti dispositivi ai fini delle imposte sui redditi ha una precisa ratio. Invero, nel caso in cui la cessione di un complesso aziendale avvenga a un prezzo più elevato del valore fiscalmente riconosciuto dei beni e diritti che lo compongono, la strutturazione dell’operazione quale as-set deal comporta la realizzazione di una plusvalenza interamente imponibile in capo al cedente, mentre l’acquirente, iscrivendo nello stato patrimoniale i beni che compongono il complesso aziendale sulla base del loro costo di acquisto, può dedurre quote di ammortamento commisurate a tale valore d’iscrizione. D’altro canto, qualora si ponga in essere una cessione di partecipazioni (anche a seguito del conferimento dell’azienda in una società di nuova costituzione da parte del cedente), il regime di participation exemption consentirà una ridotta tassazione sulla plusvalenza da questi realizzata, non impattando sul valore fi-scalmente riconosciuto del complesso aziendale ceduto. La differente disciplina fiscale di trasferimenti d’azienda e di partecipazioni ai fini delle imposte dirette, pertanto, è stato prevista dal legislatore al fine di consentire al contribuente di scegliere per quale dei suddetti regimi “optare” in sede di disposizione del com-plesso aziendale. L’art. 176, comma 3, TUIR, e l’espressa esclusione da censure di elusione/abuso dei conferimenti d’azienda seguiti dalla cessione di parteci-pazioni nella conferitaria, assolve proprio a tale scopo, in quanto il regime di “quasi neutralità” della participation exemption viene reso disponibile anche agli imprenditori (individuali o collettivi) che intendano disporre di un complesso aziendale non ancora “contenuto” in un ente societario

89. La predetta ratio non può replicarsi nel comparto delle imposte indirette,

nel qual caso il diverso trattamento di share deal ed asset deal è dettato da una scelta arbitraria del legislatore, e non è giustificato dal regime realizzativo ov-vero di continuità di valori del trasferimento. Semplicemente, a fronte delle di-verse modalità di alienazione del medesimo complesso aziendale, si prevedono oneri fiscali limitati nel caso di trasferimento di partecipazioni ed invece assai significativi nell’ipotesi di cessione d’azienda, con un’evidente disparità di trat-

89 V. la relazione allo schema di decreto legislativo recante la riforma dell’imposizione sul reddito delle società (poi divenuto D.Lgs. n. 344/2003) che nel commentare la previsione di cui all’art. 176, comma 3, TUIR ha chiarito quanto segue: «il contribuente società di capitali potrà decidere se: – operare nell’ambito dell’esenzione, conferendo l’azienda in neutralità e successivamente cedendo la partecipazione usufruendo della participation exemption, senza da-re in questo caso al proprio acquirente valori fiscalmente recuperabili (art. 176, c. 3); – operare in regime di imponibilità, vendendo l’azienda e facendo concorrere la plusvalenza alla forma-zione del reddito imponibile, dando al proprio acquirente valori fiscalmente riconosciuti».

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tamento. Tale fenomeno è acuito dal diritto vivente sulla riqualificazione come cessione d’azienda del conferimento d’azienda seguito dalla cessione delle par-tecipazioni nella conferitaria; anche tralasciando considerazioni di merito sul-la fondatezza di una simile opinione, la posizione della Cassazione di fatto priva i contribuenti di quel “raccordo” tra i due regimi previsto, invece, dalla di-sciplina delle imposte dirette, che consentirebbe l’accesso al regime impositi-vo degli share deal anche agli imprenditori che intendano disporre dei propri asset patrimoniali (beni di primo grado).

Le predette distorsioni potrebbero, tuttavia, essere corrette ove venga di-sposta la “neutralità” di tutti le operazioni che comportino un trasferimento di complessi aziendali, così da rimuovere le esistenti disparità di trattamento, limi-tare gli spazi per censure latu sensu anti-elusive degli Uffici e dare maggior cer-tezza ad una materia che, allo stato, ne è priva

90.

90 Non è fuori luogo notare che, con riguardo al diverso comparto delle imposte dirette, è già stato autorevolmente proposto l’estensione del regime di (quasi) neutralità fiscale proprio della cessione di partecipazioni alla cessione di azienda, così da farne il regime “naturale” di tut-ti gli atti dispositivi di complessi aziendali. In particolare, questa era l’opinione della Commis-sione di studio sull’imposizione fiscale sulle società presieduta dal prof. Biasco istituita il 27 giugno 2006. Nella relazione conclusiva presentata dalla Commissione si sottolineava che: «[l]’affermazione del principio della neutralità per tutte le operazioni societarie [ivi inclusa la cessione d’azienda] eliminerebbe le attuali disparità di trattamento e contribuirebbe notevol-mente ad accrescere il grado di certezza sul trattamento fiscale delle stesse operazioni. In parti-colare, di fatto, ridurrebbe fortemente lo spazio per l’applicazione, in sede di accertamento, del-la normativa anti-elusione».

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Giovanna Petrillo

IL PRINCIPIO DI PROPORZIONALITÀ E DINIEGO DI DETRAZIONE PER “CONSAPEVOLEZZA” NELLE FRODI IVA

THE PRINCIPLE OF PROPORTIONALITY AND THE DENIAL OF DEDUCTION IN CASE OF “AWARENESS” IN VAT FRAUDS

Abstract Il principio di neutralità dell’IVA, che costituisce una specificazione in ambito tri-butario del più generale principio di proporzionalità, non può essere invocato indi-stintamente in tutte le situazioni nelle quali si ravvisa una frode, dovendosi verifica-re la consapevole partecipazione o meno a quest’ultima da parte del contribuente per poter riconoscere il diritto di detrazione. Pertanto, l’azione del fisco si giustifica nella misura in cui sia tendente al ripristino della situazione che si sarebbe verifica-ta in assenza dell’illecito. Questo elemento risulta fondamentale per individuare la proporzionalità dell’azione di recupero. L’auspicio è nel senso della piena valoriz-zazione di un accurato bilanciamento, in particolare da parte della giurisprudenza nazionale, fra le diverse istanze, in ossequio al generale principio di proporzionali-tà, nell’applicazione dell’IVA e dei rimedi volti al contrasto degli abusi o frodi. Parole chiave: detraibilità, frode IVA, partecipazione, consapevolezza, proporzio-nalità The principle of neutrality of VAT, which is a specification of the more general principle of proportionality in the field of taxation, cannot be indiscriminately invoked in all situations where there is a fraud, since the right of deduction necessarily implies to verify if the tax-payer consciously participated or not in the fraud. Therefore, the tax authorities’assesment activity may only be justified if it aims at restoring the situation that would have occurred in absence of the offense. This element is essential to identify the proportionality of the re-covery action. The hope is to reach, in particular by national case law, a full and accurate balance between the different needs in applying VAT and the remedies aimed at avoiding abuses or frauds, in accordance with the general principle of proportionality. Keywords: right right of deduction, VAT fraud, participation, awareness, proportionality

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SOMMARIO: 1. Elementi introduttivi in ordine al rapporto fra la proporzionalità e gli altri principi di diritto europeo. – 2. Principio di neutralità, frodi IVA ed onere della prova. – 3. I limiti alla detraibilità dell’IVA in presenza di una frode nella dialettica fra Corte di Giustizia europea e Cassazione ita-liana al metro della proporzionalità.

1. Elementi introduttivi in ordine al rapporto fra la proporzionalità e gli altri principi di diritto europeo

Il principio di proporzionalità è uno strumento fondamentale di garanzia e di bilanciamento fra le diverse finalità ordinamentali

1, la cui osservanza si im-pone non solo alle Istituzioni comunitarie, tra cui soprattutto la Commissio-ne

2, ma anche agli Stati membri 3. Detto fondamentale principio di matrice eu-

ropea, risulta contestualmente riferibile ad un congruo esercizio dei tre poteri dello Stato sostanziandosi nella ponderazione degli interessi contrapposti e nel-la preferenza dello strumento minimo ed idoneo a conseguire il risultato ri-chiesto dall’ordinamento giuridico

4. L’applicazione della proporzionalità, nei confronti del legislatore naziona-

le, è legata fortemente all’armonizzazione fiscale ed ai suoi limiti 5. L’armoniz-

1 Sottolinea BORIA, Diritto tributario europeo, Milano, 2010, p. 255, che «il principio di proporzionalità risponde ad una logica di bilanciamento di interessi contrapposti (comunita-rio e nazionale) secondo una valutazione di efficienza strumentale e gradualistica della legge».

2 V. sent. 5 maggio 1998, causa C-180/96, Regno Unito/Commissione, in Racc., p. I-2265, p.ti 96-111.

3 V. sent. 10 marzo 2005, Tempelman e.a.c. Directeur van de Rijksdienst voor de keuring van Vee en Vlees, C-96/2003 e C-97/2003, p.to 47; sent. 3 luglio 2003, causa C-220/01, Lennox, in Racc., p. I-7091, p.to 76; sent. 20 gennaio 2011.

4 In tema, senza pretese di completezza, v. SANDULLI, La proporzionalità dell’azione ammi-nistrativa, Padova, 1998; ID., Proporzionalità, in CASSESE (a cura di), Dizionario di diritto pubblico, Milano, 2006; SCACCIA, Il principio di proporzionalità, in MANGIAMELI (a cura di), L’ordinamento europeo. L’esercizio delle competenze, l’esercizio delle competenze, Milano, 2006; VILLAMENA, Contributo in tema di proporzionalità amministrativa. Ordinamento, italiano, co-munitario, inglese, Milano, 2008; POLICE, Articolo 1, comma 1: principi generali dell’attività am-ministrativa, in PAOLANTONIO-POLICE-ZITO (a cura di), La Pubblica Amministrazione e la sua azione. Saggi critici sulla legge n. 241/1990 riformata dalla legge n. 15/2005 e n. 80/2005, To-rino, 2005, p. 49 ss.; COGNETTI, Principio di proporzionalità. Profili di teoria generale e di anali-si sistematica, Torino, 2011; GALETTA, Il principio di proporzionalità, in RENNA-SAITTA (a cura di), Studi sui principi del diritto amministrativo, Milano, 2012, p. 388 ss.; FANTI, Dimensioni della proporzionalità. Profili ricostruttivi fra autorità e processo amministrativo, Torino, 2012.

5 In argomento, ci sia consentito il rinvio al nostro Il Principio di proporzionalità nell’azione amministrativa di accertamento tributario, Roma, 2015.

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zazione delinea, dunque, il limite esterno dell’applicazione del test europeo di proporzionalità delle norme interne. La stessa armonizzazione, tuttavia, non segna alcun limite interno nello svolgimento del controllo di proporzionalità, in quanto questo controllo opera come verifica del grado di coerenza della scel-ta posta in essere dal legislatore nazionale tra diverse alternative già possibili nell’ordinamento stesso

6. La giurisprudenza europea ha riconosciuto che il principio di proporziona-

lità riveste un ruolo rilevante nel settore tributario, in quanto si tratta di un cri-terio essenziale per garantire che il perseguimento degli obiettivi di diritto in-terno produca il minor sacrificio possibile rispetto alle finalità europee

7. In particolare, il principio di proporzionalità è stato interpretato in maniera

contigua rispetto a quello di effettività, nella misura in cui risulta espressivo del bisogno di assicurare una tutela ai cittadini in ordine ai diritti di fonte europea, al fine di evitare che le norme nazionali vadano a determinare oneri ed adem-pimenti tali da rendere eccessivamente oneroso l’esercizio di detti diritti fon-damentali

8. La Corte di Giustizia applica il principio di proporzionalità sancito dal Trat-

tato (art. 5 TFUE) 9 alle leggi dei singoli Stati membri. Il Trattato stesso, infat-

6 V. MONDINI, Principio di proporzionalità ed attuazione del tributo: verso la costruzione di un principio generale del procedimento tributario, in TASSANI (a cura di), Attuazione del tributo e diritti del contribuente in Europa, Roma, 2009, p. 109 ss.

7 Corte di Giustizia, sent. 5 luglio 1977, causa C-114/76; sent. 18 dicembre 1997, sent. C-286/94, C-340/95 e C-401/95, Molenheide; sent. 21 marzo 2000, cause riunite da C-110/98 a C-147/98, Galbafrisa.

8 V. Corte di Giustizia, sent. 11 giugno 1998, causa C-361/96; sent. 8 luglio 1999, causa C-254/97.

9 L’art. 5 del Trattato sull’Unione (TUE) richiama esplicitamente la regola di proporzio-nalità, individuando in essa uno dei principi fondamentali che devono informare l’attività delle istituzioni europee nell’esercizio delle loro competenze. Esso racchiude al comma 4 chiarimen-ti sul significato della proporzionalità stessa, intesa come limite della necessarietà nell’azione della Unione (e con rinvio al Prot. 2 del Trattato di Lisbona, dove emerge un collegamento fra proporzionalità e sussidiarietà piuttosto netto).

L’affermazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità hanno fortemente limitato l’azione europea: è previsto rispettivamente, che quest’ultima debba arrestarsi qualora il po-tere normativo degli Stati risulti idoneo a realizzare in maniera compiuta gli obiettivi prefis-sati, e che l’azione comunitaria non possa eccedere quanto necessario per raggiungere i suddet-ti scopi, si è quindi cercato vie alternative e più veloci per la realizzazione del mercato UE, ve-nendo incontro, allo stesso tempo, alle esigenze nazionali.

Accanto a una norma generale qual è l’art. 5 TUE, vi sono poi disposizioni particolari ispirate alla proporzionalità, reperibili all’interno del Trattato sul funzionamento dell’Unione (TFUE). Si pensi agli artt. 11 (Tutela dell’ambiente e sviluppo sostenibile), 12 (Tutela del

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ti, non diversamente dalle Costituzioni, sovrasta tali leggi in modo che in en-trambe le ipotesi applicative (di diritto costituzionale e/o di diritto europeo) si verifica il medesimo effetto: trasmettere e diffondere verso il basso il princi-pio di proporzionalità, in quanto si tratta del medesimo meccanismo operati-vo che agisce analogamente su entrambi i versanti

10. L’approccio pragmatico della Corte di Giustizia, dunque, viene a delineare

un concetto multiforme di proporzionalità insuscettibile di essere ricondotto ad uno specifico assetto e, proprio per questo, in grado di adattarsi a fattispe-cie differenti

11. mercato ed economie differenziate), 101 (Nullità degli accordi anticoncorrenziali e relative eccezioni).

10 In tal senso, diffusamente, v. COGNETTI, op. cit., p. 15. 11 In tal senso, v. ANSALDI, Principio di proporzionalità e funzioni pubbliche, Roma, 2012, p. 88. La crescente importanza dell’applicazione procedurale del principio di proporzionalità,

in particolare in ordine alla necessarietà delle scelte adottate dalle istituzioni politiche del-l’UE ed alla verifica delle opzioni alternative riferibili a tutti gli interessi coinvolti, è testimo-niata da alcune pronunce della CGCE. Nel caso Vodafone, la Corte di Giustizia valuta la le-gittimità del Regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 27 giugno 2007, n. 717, relativo al roaming sulle reti pubbliche di telefonia mobile. La Corte è stata adita dal-l’High Court of Justice nell’ambito di una controversia tra alcuni operatori di reti pubbliche di telefonia mobile e il Secretary of State for Business, Enterprise and Regulatory Reform in ordine alla validità delle disposizioni di applicazione del Reg. n. 717/2007 adottate dal Regno Unito di Gran Bretagna e dall’Irlanda del Nord. Nella ricostruzione operata dalla Corte, il Regola-mento della Commissione, che impone un tetto tariffario a chiamate, sms e scambio dati si-no al 30 giugno 2012, non viola i principi di sussidiarietà e di proporzionalità come, invece, sostenuto dagli operatori di telefonia mobile. La Corte di Giustizia ha osservato, controllan-do la proporzionalità della misura in ragione del percorso decisionale seguito, che «il legisla-tore comunitario può legittimamente ritenere necessario un approccio comune a livello co-munitario per garantire il funzionamento armonizzato del mercato interno, consentendo co-sì agli operatori di agire nell’ambito di un unico contesto normativo coerente». Nel caso Vo-dafone la Corte di Giustizia impiega la proporzionalità al fine di proteggere gli Stati membri dall’eventuale “straripamento” del potere legislativo dell’UE. Nel caso Volker und Markus Sche-cke, il principio di proporzionalità è volto a proteggere la libertà degli individui contro l’eser-cizio arbitrario dei pubblici poteri. In detta fattispecie la Corte di Giustizia, adita in via pre-giudiziale dal giudice tedesco, verifica la validità della normativa UE che prevede l’obbligo e le modalità di pubblicazione delle informazioni relative ai beneficiari di aiuti agricoli. La Cor-te si sofferma, in particolare, sulla validità delle disposizioni che introducono limitazioni a di-ritti fondamentali (come il diritto alla privacy) riconosciuti ai cittadini europei; la pronuncia censura le «disposizioni che, riguardo a persone fisiche beneficiarie degli aiuti agricoli, im-pongono la pubblicazione di dati personali relativi ad ogni beneficiario, senza operare distin-zioni sulla base di criteri pertinenti come i periodi durante i quali esse hanno percepito simili aiuti, la frequenza o ancora il tipo e l’entità di questi ultimi». Il caso Test-Achats riguarda in-vece la verifica della legittimità dell’art. 5 della Direttiva n. 2004/113/CE che racchiude una deroga al principio di parità di trattamento in quanto autorizza gli Stati membri ad applicare

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La valutazione di sussidiarietà e quella di proporzionalità si legano intima-mente fra loro. Entrambi i principi postulano l’esigenza di ponderare la scelta del mezzo attraverso cui attuare l’iniziativa comunitaria nel senso meno gra-voso possibile per i destinatari dell’azione. Il test di sussidiarietà richiede, in-fatti, che l’esercizio della competenza comunitaria si giustifichi solo nel caso in cui l’azione dei livelli di governo inferiori risulti inadeguata o insufficiente al perseguimento dell’obiettivo, allorché l’azione comunitaria appaia più efficace in base alle sue dimensioni o ai propri effetti. In pratica, verificato che l’azione comunitaria è giustificata attraverso il test di sussidiarietà si dovrà successi-vamente stabilire se la misura della medesima azione comunitaria non risulti sproporzionata

12. Appare, dunque, evidente come l’applicazione pratica del principio di pro-

porzionalità debba soggiacere a valutazioni compiute caso per caso in un con-testo comunque protettivo del mercato interno e della libera concorrenza

13. L’attuazione del principio di proporzionalità richiede, pertanto, una forte

aderenza alla realtà concreta dell’ordinamento, non dovendo essere volta alla creazione di nuovo diritto

14. Sebbene, infatti, «spetta al giudice nazionale va-lutare il carattere sproporzionato o meno dei provvedimenti e dell’applicazio-ne che ne viene fatta, la sproporzione della norma può essere ravvisata dalla Corte di Giustizia soltanto quando nell’ordinamento giuridico nazionale sia-no prevedibili o esistano già mezzi idonei meno pregiudizievoli»

15. La com-parazione non può, così, essere effettuata con istituti estranei all’esperienza giu-ridica dello Stato interessato in quanto «il fatto che uno Stato membro impon-ga norme meno severe di quelle imposte da un altro Stato membro non signifi-ca che queste ultime siano sproporzionate e perciò incompatibili con il diritto comunitario»

16. differenti premi tra uomini e donne nei contratti assicurativi. La Corte, adita in via pregiudi-ziale della Corte costituzionale belga, ha dichiarato invalida la disposizione dell’art. 5, nella par-te in cui riconosce agli Stati membri la possibilità di adottare suddette differenziazioni senza limiti di tempo. Ad avviso della Corte bisogna assicurare la coerenza interna dell’impianto nor-mativo della Direttiva stessa: infatti la previsione di una deroga senza alcun limite di tempo non si concilia con la previsione del principio di non differenziazione delle prestazioni assicurative tra uomo e donna, né con gli obiettivi di parità di trattamento perseguiti dalla stessa Direttiva.

12 Diffusamente in argomento, v. VILLAMENA, op. cit., p. 55 ss. 13 In tal senso, FONTANA, Gli aiuti di stato in materia fiscale, Torino, 2012, p. 348. 14 In tema v. MONDINI, Coerenza fiscale e principio di proporzionalità: crisi del sistema o

dell’armonizzazione?, in Riv. dir. trib., 2007, p. 73. 15 V. Corte di Giustizia, sent. 19 settembre 2000, C-177/99 e C-181/99. 16 V. Corte di Giustizia, sent. 10 maggio 1995, causa C-384/93.

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La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, indistintamente, adopera il prin-cipio di proporzionalità per l’interpretazione delle disposizioni CEDU che ri-chiamano il bilanciamento fra i diritti dell’individuo e l’interesse generale o per la verifica di altri principi espressamente previsti dalla Convenzione, quali l’e-guaglianza, il diritto ad un equo processo, oltre che per la valutazione della sua ragionevole durata

17. Il sindacato dei giudici di Strasburgo sarà volto a valuta-re l’adeguatezza fra i sacrifici imposti ai singoli con la misura statale restrittiva e gli interessi pubblici con essi perseguiti, ponendo in essere, così, un control-lo di proporzionalità sostanzialmente simile a quello implementato dalla Cor-te di Giustizia

18. Ultimamente si è assistito ad un crescente interesse per le garanzie previste

dalla CEDU e per la loro influenza anche sulle tematiche squisitamente fiscali 19.

In materia di IVA applicando ugualmente il principio di proporzionalità, la Corte ha evidenziato che la disciplina del diritto di detrazione e dei relativi pre-supposti spetta agli Stati, ma che risulta tuttavia violato il limite della ragionevo-lezza nel caso in cui il diritto sia condizionato, per il cliente, a condotte del for-

17 V. CEDU, sentenze De Moor (23 giugno 1994); Venditeli (18 luglio 1994); Hentrich (22 settembre 1994); Schouten e Hofaner (9 dicembre 1994).

18 In dottrina v. SANDULLI, La proporzionalità dell’azione amministrativa, cit., p. 107 ss.; GALETTA, Il principio di proporzionalità nella Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, fra prin-cipio di necessarietà e dottrina del margine di apprezzamento statale: riflessioni generali sui con-tenuti e rilevanza effettiva del principio, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1999, p. 139 ss.

La giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha, nell’ambito della dottri-na del margine di apprezzamento statale, elaborato il principio di proporzionalità quale test ulteriore di verifica della legittimità delle restrizioni operate dallo Stato aderente. Anche se il principio di proporzionalità non è menzionato esplicitamente dalla Convenzione, la Corte di Strasburgo lo ha desunto dalle disposizioni della CEDU che contemplano la possibilità di una limitazione statale dei diritti e della libertà civili sempre che la misura restrittiva adottata sia necessaria in vista del conseguimento di scopi di interesse generale nella stessa indicati.

Le decisioni più recenti della Corte mostrano, tuttavia, una maggiore effettività ed auto-nomia del principio di proporzionalità nel senso del superamento del tradizionale limite del “margine di apprezzamento”. In tema diffusamente, v. ANSALDI, op. cit., p. 125 ss.

19 In argomento, v. ADONNINO, La tutela dei diritti dell’Uomo in campo fiscale, in Il Fisco, 1999, p. 60; GREGGI, La rilevanza fiscale della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo: dal-l’interesse fiscale al principio di non discriminazione, in Riv. dir. fin., 2000, I, p. 412; DEL FEDE-RICO, Tutela del contribuente ed integrazione giuridica europea. Contributo allo studio della pro-spettiva italiana, Milano, 2010; BORIA, op. cit.; MELIS-PERSIANI, Riscossione coattiva e Conven-zione Europea dei diritti dell’Uomo: alcune riflessioni, in Rass. trib., 2011, p. 901 ss.; SABBI, Im-posizione tributaria e convenzione europea dei diritti dell’Uomo, in AA.VV., Principi di diritto tributario Europeo e internazionale, a cura di Sacchetto, Torino, 2011, p. 62 ss.; KOFLER-MA-DURO-PISTONE, Taxation and Human Rights un Europe and the World, in IBDF, 2011; MAR-CHESE, I diritti fondamentali Europei e il diritto tributario dopo il Trattato di Lisbona, in Dir. prat. trib., 2012, I, p. 289 ss.

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nitore che il cliente non è in grado di modificare pur tenendo un comporta-mento doverosamente diligente

20. La proporzionalità rappresenta, in definitiva, uno «strumento di armoniz-

zazione tra forze confliggenti e di moderazione del potere, volto al persegui-mento della giustizia dell’azione»

21. La ragionevolezza si svolge in un’analisi in concreto delle scelte effettuate in sede di esercizio del potere, di modo che ta-le scelta sia consequenziale sul piano logico e intrinsecamente non contraddit-toria rispetto a quelle premesse costituite dai dati evidenziati nella situazione concreta, dati integrati sia dagli elementi di fatto che dai diversi interessi acqui-siti nel corso dell’istruttoria procedimentale

22. È opportuno evidenziare che, nella giurisprudenza comunitaria, la stessa ra-

gionevolezza non ha una sua autonomia, collegandosi strettamente al test di proporzionalità anche al di là delle ipotesi di misure statali adottate in deroga ai vincoli inerenti alla libera circolazione di beni, persone e servizi; ciò anche se le parti abbiano invocato espressamente la ragionevolezza come parametro di legittimità della misura

23. Muovendo da questa premessa, fondamentale è, allora, il ruolo assolto dal-

la proporzionalità, intesa quale categoria sistematica autonoma, rispetto ad altri principi dell’ordinamento europeo quali la sussidiarietà

24, il legittimo affida-

20 V. Corte CEDU, 22 aprile 2009. 21 Nota SANDULLI, La proporzionalità dell’azione amministrativa, cit., definisce la proporzio-

nalità «principio di moderazione del potere in generale e non soltanto del potere amministra-tivo». L’Autore si riferisce alla proporzionalità come ad un principio che «nato dalla esigua sorgente della diritto di polizia è giunto, attraverso la foce dell’attività amministrativa autorita-tiva, nelle distese oceaniche del diritto oggettivamente amministrativo tout court» (v. p. 395).

22 Nota CERULLI IRELLI, Corso di diritto amministrativo, Parte III, Attività e tutela, Torino, 1991, p. 21; NIGRO, Studi sulla funzione organizzatrice della Pubblica Amministrazione, Mila-no, 1966, pp. 75-76.

23 Così TESAURO, Proporzionalità e ragionevolezza nella giurisprudenza comunitaria. Incontro delle Corte Costituzionali di Portogallo, Spagna e Italia, Roma, 24 ottobre 2013, il quale, dopo aver tuttavia rilevato il ruolo autonomo della ragionevolezza sicuramente rispetto alla durata del processo e del procedimento amministrativo, osserva che «l’esclusione della ragionevo-lezza come autonomo parametro di legittimità nella giurisprudenza comunitaria è trasparen-temente dovuta all’intento di evitare il rischio di valutazioni soggettive o pretestuose, co-munque disancorate dal contenuto della norma e dalla coerenza con gli obiettivi perseguiti, che talvolta emergono alla lettura delle normative e della giurisprudenza nazionali. È a questa tentazione che il giudice comunitario riesce, nel modo descritto, normalmente a sottrarsi».

24 In particolare il principio di sussidiarietà è stato riconosciuto con il Trattato di Maastricht del 1992 che lo ha elevato a principio cardine dell’UE, volto a garantire l’esatta ripartizione delle competenze tra Unione e Stati membri: si tratta di un canone immanente allo stesso sistema comunitario cui la prassi istituzionale si è sempre ispirata. V. Corte di Giustizia, sent.

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mento, la libera concorrenza in quanto il legislatore è tenuto a combinare la proporzionalità con i principi sopra elencati al fine di definirne il contenuto, renderli effettivi ed applicarli nella ragionevole misura in riferimento alle tipi-cità della fattispecie oggetto di valutazione

25.

2. Principio di neutralità, frodi IVA ed onere della prova

Il sistema d’imposta sul valore aggiunto è stato, come è noto, costruito come un meccanismo di tassazione del consumo ispirato alla assoluta neutra-lità del prelievo per gli operatori economici (cosiddetti soggetti passivi del-l’imposta in senso giuridico). 10 dicembre 2002, causa C-491/01, The Queen c. Secretary of State for Health, ex parte: Britsh American Tobacco Ivestments Ltd e Imperial Tobacco, sent. 9 ottobre 2001, causa C-377/98, Paesi Bassi c. Parlamento, sent. 13 maggio 1997, causa C-233/94, Germania c. Parlamento e Consiglio. In dottrina, v. ARMANNO, La sussidiarietà nel secondo pilastro UE, in Quaderni cost., 2007, p. 413 ss.; BARATTA, Le competenze interne dell’Unione tra evoluzione e principio di rever-sibilità, in Dir. Un. Eur., 2010, p. 517 ss.; CASSESE, L’aquila e le mosche. Principio di sussidiarie-tà e diritti amministrativi nell’area europea, in Foro it., 1995, p. 373 ss.; DE PASQUALE, Il princi-pio di sussidiarietà nella Comunità europea, Napoli, 2000; GUIZZI, (voce) Sussidiarietà, in Enc. giur., I, 2000; VECCHIO, La partecipazione delle assemblee parlamentari regionali nella fase ascendente di formazione del diritto comunitario: spunti di riflessione dal modello spagnolo, in Quaderni regionali, 2010, p. 577.

25 Le situazioni giuridiche soggettive riconosciute dal diritto europeo (libertà di stabilimen-to, di circolazione, diritto al rimborso di tributi illegittimamente riscossi in contrasto con il diritto comunitario, diritto al rimborso ed alla detrazione IVA, ecc.) non possono essere pre-giudicate dall’autonomia procedimentale degli Stati.

Come evidenziato dalla Corte di Giustizia, infatti, possono rientrare nel concetto di di-scriminazione indiretta quelle misure che derivano da procedimenti di attuazione del tribu-to, ossia «le diverse modalità di pagamento delle imposte, le sanzioni sproporzionatamente superiori alle violazioni tributarie in caso di acquisti intracomunitari le diverse condizioni per il rimborso degli indebiti ed, in genere, ogni distinzione nelle regole e nei procedimenti fisca-li che pregiudichino i cittadini comunitari nazionali». Sul tema del rimborso dei tributi con-trastanti con le norme comunitarie, senza pretese di completezza v. DEL FEDERICO, Azioni e termini per il rimborso dei tributi incompatibili con il diritto comunitario, in Giur. imp., 2003, p. 271; AMATUCCI, I vincoli posti dalla giurisprudenza comunitaria nei confronti della disciplina nazionale del rimborso di imposta, in Riv. dir. trib., 2000, I, p. 291; MISCALI, Principi costituzio-nali, principio di ripetizione dell’indebito e diritto di restituzione del tributo dichiarato incompati-bile con il diritto comunitario, in Riv. dir. trib., 2006, I, p. 181; MICELI, Indebito comunitario e sistema tributario interno, Milano, 2009.

In definitiva, la Corte di Giustizia non giudica direttamente, in considerazione del princi-pio di proporzionalità, l’intensità del potere impositivo esercitato nelle norme nazionali, bensì la misura della deroga delle norme nazionali rispetto agli interessi ed alle finalità espresse dalle norme europee.

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La ratio del diritto in questione è, evidentemente, quella di sgravare inte-ramente l’imprenditore ovvero l’esercente arti e professioni dall’onere del-l’IVA dovuta o pagata nell’ambito di tutte le sue attività economiche. Invero, il sistema comune dell’IVA garantisce la perfetta neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di dette attività, purché queste siano di per sé soggette ad imposta. Il diritto di detrazione rappresenta, infatti, un principio fondamentale del siste-ma comune dell’IVA attuato dalla normativa delle istituzioni europee che non può essere soggetto a limitazione (in teoria), in quanto deve esercitarsi imme-diatamente per tutte le imposte che hanno gravato sulle operazioni effettuate a monte. Il diritto in parola è infatti finalizzato ad esonerare interamente l’im-prenditore dall’IVA dovuta o pagata nell’ambito di tutte le sue attività eco-nomiche, garantendo in tal modo la neutralità dell’imposizione fiscale

26. Il diritto alla detrazione risulta, come è noto, subordinato alla soggettività

passiva IVA dei due poli dell’operazione; all’effettività dell’acquisto; al colle-gamento funzionale tra acquisto ed impiego in operazioni soggette ad impo-sta. Si tratta, dunque, di un approccio di tipo sostanzialistico in base al quale è detraibile solo l’imposta dovuta ossia l’imposta corrispondente ad un’opera-zione soggetta ad IVA

27. La Corte ha precisato che in considerazione degli artt. 167 e 63 della Direttiva n. 2006/112/CE il diritto di detrazione è collegato

26 Così, COMELLI, Iva nazionale e comunitaria, Padova, 2000, p. 675 ss. In dottrina, senza pretese di completezza, v. LUPI, Imposta sul valore aggiunto (iva), in Enc. giur. Trecc., XVI, 1989; FILIPPI, Valore aggiunto (imposta sul), in Enc. dir., XLVI, 1993, p. 159 ss.; CARPENTIERI, L’imposta sul valore aggiunto, in FANTOZZI, Il diritto tributario, Torino, 2003; PACE, Il diritto di detrazione, in TESAURO (a cura di), L’imposta sul valore aggiunto, Torino, 2001, p. 303 ss.; GIORGI, Detrazione e soggettività passiva nel sistema dell’imposta sul valore aggiunto, Padova, 2005; MARCHESELLI, Frodi iva e operazioni inesistenti: quando si risponde delle violazioni com-messe dal proprio fornitore, in GT-Riv. giur. trib., 2013, p. 155 ss.

27 Cosi, CARDELLA Le operazioni inesistenti nel sistema dell’IVA, in Treccani-on line, il quale sottolinea che «se dunque, tra i presupposti del diritto alla detrazione, vi è anche quello del-l’effettività dell’acquisto di beni o servizi da un soggetto passivo IVA, è evidente che l’IVA esposta in una fattura che riguardi acquisti mai effettuati, ossia operazioni oggettivamente inesistenti, non può esser detratta. Ed invero, un’operazione documentata ai fini IVA che non esiste in rerum natura è per definizione inidonea a generare il diritto alla detrazione».

In particolare, l’IVA applicata in carenza di un’effettiva cessione non costituisce una pre-stazione tributaria, la rivalsa risulta l’addebito di un corrispettivo di natura privatistica e, con-seguentemente, non sorge in capo al cessionario o (committente del servizio) alcun diritto alla detrazione; in argomento, v. LA ROSA, Indetraibilità dell’iva relativa ad operazioni inesistenti, in Boll. trib., 2003, p. 791 ss.; FRANSONI, L’esercizio del diritto di detrazione dell’iva applicata in carenza di presupposti, in Riv. dir. fin., 1994, II, p. 43 ss.; SALVINI, Rivalsa, detrazione e capacità contributiva, nell’imposta sul valore aggiunto, in Riv. dir. trib., 1993, I, p. 1286 ss.

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DOTTRINA RTDT - n. 2/2017 440

«alla realizzazione effettiva di un’operazione imponibile» e non ad una mera “operazione fatturata”

28 e che, dunque, il principio della neutralità fiscale non impedisce all’Amministrazione Finanziaria di negare al soggetto passivo di de-trarre l’IVA a monte qualora sia provata la mancata realizzazione delle opera-zioni fatturate

29. Ad oggi, pertanto, il diritto di detrazione, funzionale alla tutela della neu-

tralità dell’imposta, in considerazione del moltiplicarsi di meccanismi abusivi e frodatori dell’IVA (come le frodi carosello)

30 non viene riconosciuto in ma-niera automatica bensì solo a colui che in buona fede lo ha esercitato.

Ciò ha portato alla valorizzazione di principi quali, appunto, la buona fede e la proporzionalità volti a trovare un bilanciamento fra interesse erariale e tu-tela del contribuente

31. La Corte di Giustizia ha ritenuto legittimo disconoscere il diritto alla de-

trazione dell’imposta realmente pagata dal fornitore sia nell’ipotesi di un coin-

28 In merito alla fattura come titolo formale di legittimazione dell’esercizio del diritto di detrazione, v. FORTE, La funzione della fattura nel sistema dell’IVA, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1972, I, p. 333 ss.; LOGOZZO, L’obbligo della fatturazione nell’IVA, Milano, 2005.

29 Sul punto, si vedano i puntuali riferimenti giurisprudenziali indicati da CERIONI, La prova della frode fiscale relativa all’imposta sul valore aggiunto e della «mala fede» del contribuen-te nella giurisprudenza europea e nazionale, in Dir. prat. trib., 2014, I, il quale sottolinea che «dunque il principio della neutralità fiscale non impedisce alle amministrazioni tributarie nazionali di negare la detrazione dell’Iva al destinatario della fattura, ove venga dimostrata l’assenza di un’operazione imponibile effettiva, anche se l’avviso di accertamento indirizzato all’emittente della fattura non contenga alcuna rettifica dell’Iva fatturata a valle».

30 Le frodi IVA comportano la violazione del principio regolatore dell’IVA, di cui all’art. 1, par. 2, della Direttiva n. 2006/112/CE che consiste nell’applicare ai beni ed ai servizi un’im-posta generale sui consumi esattamente proporzionale al prezzo degli stessi, qualunque sia il numero delle transazioni intervenute nel processo di produzione e di distribuzione antece-dente alla fase d’imposizione mediante i meccanismi della rivalsa e della detrazione. Le frodi IVA consentono il passaggio al consumo del bene senza tassazione ovvero omettendo l’im-posizione su qualche operazione intermedia nella catena distributiva attraverso una tassazio-ne apparente. Le frodi carosello perpetrate attraverso l’applicazione distorta dei meccanismi della rivalsa e della detrazione, connotate generalmente dal coinvolgimento di due o più sog-getti passivi, oltre a ridurre il gettito IVA, determinano una seria distorsione della concorren-za (a favore degli operatori disonesti che possono vendere sottocosto i prodotti acquistati da cedenti senza addebito dell’IVA). Fin dalla sua istituzione il regime IVA è risultato estrema-mente permeabile alle frodi, v. MICCINESI, Le frodi carosello nell’IVA, in Riv. dir. trib., n. 12, 2001, I, p. 1089 ss.; BASILAVECCHIA, Considerazioni problematiche sugli strumenti di contrasto alle frodi nell’IVA, in Riv. dir. trib., 2004, p. 510 ss.; SANTAMARIA, La frode fiscale, Milano, 2011; TE-SAURO, Appunti sulle frodi carosello, in Giur. it., 2011, p. 1213.

31 Così GREGGI, Frodi Fiscali e neutralità del tributo nella disciplina dell’Iva, in Dir. prat. trib., n. 1, 2016, p. 1015.

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Giovanna Petrillo 441

volgimento diretto del contribuente nel meccanismo fraudolento, che nel ca-so in cui venga dimostrato, in considerazione di elementi oggettivi, che il sog-getto che ha esercitato il diritto alla detrazione sapeva o avrebbe potuto sape-re utilizzando l’ordinaria diligenza dell’imprenditore medio che il suo acqui-sto si collocava nell’ambito di un meccanismo di frode volto all’evasione del-l’IVA anche se organizzato da terzi (si tratterebbe in tale fattispecie di un dirit-to alla detrazione invocato abusivamente)

32. In definitiva, la più recente giu-

32 In questo senso, emblematiche le sentenze Optigen (cause C-354/03 et al. del 2006) secondo cui «il diritto di un soggetto passivo (...) di detrarre l’IVA pagata a monte non è pre-giudicato dal fatto che, nella catena di cessioni in cui si inscrivono tali operazioni, senza che il medesimo soggetto passivo lo sappia o lo possa sapere, un’altra operazione, precedente o suc-cessiva a quella realizzata da quest’ultimo sia inficiata da frode all’IVA» e la sent. 21 giugno 2012, cause riunite C-80/11 e C-142/11, Mahagében e Dávid, laddove si legge che «l’ammi-nistrazione fiscale non può esigere in maniera generale che il soggetto passivo il quale inten-da esercitare il diritto alla detrazione dell’Iva, da un lato (...) verifichi che l’emittente della fattura correlata ai beni e ai servizi a titolo dei quali viene richiesto l’esercizio di tale diritto abbia la qualità di soggetto passivo, che disponga dei beni di cui trattasi e che sia in grado di fornirli e che abbia soddisfatto i propri obblighi di dichiarazione e di pagamento dell’Iva, o dall’altro lato, che il suddetto soggetto passivo disponga di documenti a tale riguardo» (p.to 61), e ciò in quanto «spetta (...) alle autorità fiscali effettuare i controlli necessari». V., altre-sì, Corte di Giustizia, sent. 13 febbraio 2014, causa C-18/13 sent. Maks Pen. In particolare, come si legge in Corte di Giustizia, sent. 6 dicembre 2012, causa C-285/11, Bonik, «un sog-getto passivo che sapeva o avrebbe potuto sapere che, con il proprio acquisto, partecipava ad un’operazione che si iscriveva in un’evasione dell’Iva deve essere considerato, ai fini della di-rettiva 2006/112, partecipante a tale evasione, indipendentemente dalla circostanza che egli tragga o meno beneficio dalla rivendita dei beni o dall’utilizzo dei servizi nell’ambito delle operazioni soggette ad imposta da lui effettuate a valle». Ancora in argomento, v. sentt. 6 luglio 2006, Kittel e Recolta Recycling, C-439/04 e C-440/04; 6 settembre 2012, Toth, C-324/11; 6 dicembre 2012, Stroy Trans, C-642/11. In sostanza, «secondo i giudici europei la detrazione non spetta solo al connivente che era a conoscenza della frode ma nemmeno a chi al momento dell’operazione contestata, versasse in una situazione che potremmo definire di “buona fede temeraria”, cioè, ancorché non avesse una compiuta conoscenza della frode, po-tesse agevolmente acquisirne la cognizione con la diligenza esigibile dall’imprenditore me-dio, stante la presenza di significativi indizi». In questi termini, v. CERIONI, op. cit., p. 175.

Certamente apprezzabile ai fini della presente indagine è, altresì, il portato della più recente giurisprudenza europea (v. Corte di Giustizia, causa C-516/14, del 15 settembre 2016), con la quale la Corte ha sostenuto che gli Stati membri sono liberi di irrogare sanzioni pecuniarie proporzionate alla gravità dell’infrazione in caso di mancato rispetto degli obblighi formali relativi all’esercizio del diritto di detrazione IVA. Ciò posto, l’Amministrazione Finanziaria non può «negare il diritto alla detrazione dell’IVA con la sola motivazione che una fattura non rispetta i requisiti previsti dall’art. 226, punti 6 e 7, della direttiva 2006/112 qualora essa disponga delle informazioni per accertare che i requisiti sostanziali relativi a tale diritto sono stati soddisfatti» (p.to 43) in quanto il principio di neutralità dell’IVA impone di accordare la detraibilità a monte del tributo «se gli obblighi sostanziali sono soddisfatti, anche quando taluni obblighi formali siano stati omessi dai soggetti passivi. Conseguentemente, l’ammini-

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risprudenza della Corte di Giustizia ha contribuito a rendere meno evanescente il concetto, specificando che la prova della consapevolezza della frode altrui deve fondarsi sulla dimostrazione ad opera dell’Amministrazione Finanziaria del carattere anomalo dell’operazione d’acquisto, e ciò, evidentemente, sia per i prezzi, sia per le modalità dell’acquisto (consegna dei beni, pagamenti, ecc.).

Dunque, in ambito di IVA il diniego del diritto a detrazione è un’eccezione all’applicazione del principio fondamentale che tale diritto costituisce. In par-ticolare, per negare il diritto di detrazione, l’Amministrazione Finanziaria è te-nuta a fornire la prova della partecipazione del soggetto al meccanismo frau-dolento nella misura in cui va negato il beneficio del diritto a detrazione del-l’IVA laddove sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che il soggetto passivo, al quale sono stati forniti i beni o i servizi posti a fondamento del di-ritto a detrazione, sapeva o avrebbe dovuto sapere che tale operazione si iscri-veva in un’evasione commessa dal fornitore o da un altro operatore a monte. Riguardo, invece, alla prova contraria che deve fornire il contribuente, la giu-risprudenza di legittimità è concorde nel ritenere che spetta al «contribuente dimostrare, anche in via alternativa, di non essersi trovato nella situazione giu-ridica oggettiva di conoscibilità delle operazioni pregresse intercorse tra il ce-dente ed il fatturante in ordine al bene ceduto, oppure, nonostante il possesso della capacità cognitiva adeguata all’attività professionale svolta, di non essere stato in grado di superare l’ignoranza del carattere fraudolento delle operazio-ni degli altri soggetti coinvolti»

33. Ciò posto, fatto impeditivo del diritto alla detrazione dell’IVA non è sol-

tanto la consapevolezza dell’iscrizione dell’operazione, a fondamento del di-ritto alla detrazione, in un’evasione a monte della catena delle operazioni po-ste in essere, ma anche, e soprattutto, il fatto che l’operatore, sulla base della diligenza esigibile in riferimento alle concrete circostanze, avrebbe dovuto sa-pere dell’esistenza dell’evasione. Non risulta, pertanto, richiesta la consapevo-lezza della collocazione dell’operazione all’interno di un meccanismo fraudo-lento, ma è sufficiente che, sulla base della diligenza esigibile dall’accorto ope-ratore in relazione alle circostanze, il contribuente debba, o comunque possa, conoscere il contesto illecito dell’operazione

34. strazione finanziaria, una volta che disponga delle informazioni necessarie per accertare che i requisiti sostanziali siano stati soddisfatti, non può imporre, riguardo al diritto del soggetto passivo di detrarre tale imposta, condizioni supplementari che possano produrre l’effetto di vanificare l’esercizio del diritto medesimo» (p.to 42).

33 Cass., 24 settembre 2014, n. 20059; Cass., 25 marzo 2016, n. 5984. 34 Cosi, CARACCIOLI-MATTIA-PINTALDI, Fatture per operazioni inesistenti e onere della pro-

va, in Il Fisco, n. 40, 2016, pp. 1-3824.

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Riguardo, poi, all’inesistenza oggettiva delle operazioni, come emerge dalle affermazioni della Suprema Corte, l’Amministrazione stessa ha l’onere di pro-vare che l’operazione commerciale oggetto della fattura non è stata posta in es-sere tra i soggetti che figurano nella fattura, o che tale documento sottende un’operazione fraudolenta cui il cessionario è partecipe

35. In pratica, da costante giurisprudenza della Suprema Corte si evince che

«l’Amministrazione finanziaria, allorché contesti il diritto del contribuente a portare in detrazione l’IVA, ha l’onere di provare, anche mediante presunzio-ni semplici, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, che il contribuen-te, al momento in cui ha acquistato il bene o il servizio, sapeva, o avrebbe dovu-to sapere, secondo l’ordinaria diligenza, di partecipare ad un’operazione frau-dolenta posta in essere da altri soggetti»

36. Ancora, sul tema della detraibilità IVA, la giurisprudenza ha ampiamente

chiarito che in caso di emissione di fatture da parte di un soggetto diverso da quello che ha effettuato l’operazione viene a mancare il presupposto stesso del-la detrazione (ossia “l’effettuazione dell’operazione”). Pertanto, se vengono

35 V. Cass., n. 15044/2014. 36 Così, Cass., 22 aprile 2016, n. 8230. In tema di IVA relativa ad operazioni soggettivamente inesistenti, ove l’Amministrazione

fornisca attendibili riscontri indiziari circa l’assenza di buona fede del cessionario, quest’ulti-mo non ha diritto alla detrazione, salvo dimostri di non essersi trovato nella situazione giuri-dica oggettiva di conoscibilità delle operazioni pregresse intercorse tra cedente e fatturante in ordine al bene ceduto oppure di non aver potuto abbandonare lo stato di ignoranza sul ca-rattere fraudolento delle operazioni, a tal fine non essendo sufficiente dedurre che la merce è stata effettivamente consegnata e che la fattura è stata pagata. In tal senso, v. Corte di Cassa-zione, sent. n. 25899/2015. Infatti, qualora si ravvisi una frode attuata mediante l’emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, sull’Amministrazione finanziaria incombe l’onere di «provare la frode del cedente e la mera connivenza (non già la partecipazione) del cessionario», che può essere fornita anche attraverso presunzioni semplici dotate dei requi-siti della gravità, precisione e concordanza, «le quali possono derivare dalle stesse risultanze di fatto attinenti al ruolo di cartiera del cedente». Spetta poi al cessionario, attraverso ele-menti di segno contrario, fornire la prova idonea a contrastare le dimostrazioni dell’Ammini-strazione finanziaria. Pertanto, nell’ipotesi di fatturazione per operazioni soggettivamente ine-sistenti, se l’Agenzia dimostra – attraverso prove idonee – che la prestazione non è stata effet-tivamente svolta dal soggetto che ha emesso le fatture, ciò implica l’assenza di buona fede da parte del cessionario, «poiché l’immediatezza dei rapporti (cedente o prestatore – fatturante – cessionario o committente) induce ragionevolmente a escludere l’ignoranza incolpevole circa l’avvenuto versamento dell’Iva a soggetto non legittimato alla rivalsa, né assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta; con l’effetto che, in tal caso, è il contribuente tenuto a provare di non essere stato a conoscenza del fatto che il fornitore effettivo del bene o della prestazione era, non il fatturante, ma altri, dovendosi altrimenti negare il diritto alla detra-zione dell’Iva versata» (v. Cass., sentt. nn. 10929/2015 e 10930/2015).

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emesse fatture per operazioni inesistenti, l’imposta è dovuta per l’intero am-montare indicato nelle stesse, ma non ne è ammessa la detrazione

37. Il diritto alla detrazione, infatti, non può prescindere dalla regolarità delle

scritture contabili e nello specifico dalla fattura che è strumento idoneo a do-cumentare un costo sostenuto dall’impresa. L’utilizzo di fatture per operazio-ni soggettivamente inesistenti inibisce dunque la detrazione dell’IVA, per man-cato perfezionamento dell’operazione, non essendo l’apparente cedente l’ef-fettivo fornitore della prestazione, e, allo stesso tempo, comporta l’indeduci-bilità dei costi ai fini delle imposte dirette

38. In via di estrema sintesi, i percorsi argomentativi seguiti dalla richiamata

giurisprudenza in ordine alle decisioni in tema di frodi IVA sul riparto dell’o-nere della prova fra amministrazione e contribuente dimostrano di ispirarsi a forme di responsabilizzazione lato sensu aquiliana, «temperando tuttavia l’o-nere della prova in capo all’Amministrazione finanziaria mediante l’accogli-mento di un concetto di buona fede da applicare in senso oggettivo: vale dire come rispondenza del comportamento della controparte a determinati stan-dard di diligenza esigibili»

39.

37 V., ex multis, sent. n. 23626/2011. 38 In questi termini, v. Cass., sez. III pen., sent. n. 42994, depositata il 26 ottobre 2015. 39 Così GREGGI, Frodi Fiscali e neutralità del tributo nella disciplina dell’IVA, cit., p. 1015,

l’Autore in definitiva precisa che «dovrà essere l’Amministrazione finanziaria a dimostrare che il contribuente cessionario avrebbe potuto sapere (o addirittura sapeva) della frode “a monte” esattamente così come, nell’ambito della responsabilità aquiliana è onere di colui che ha subito il danno quello di dimostrare il comportamento doloso o colposo dell’attore della condotta illecita. Pare allora chiaro che da quest’impostazione possano derivare due ordini di conse-guenze: il primo, quello per il quale l’onere della prova resta addossato all’amministrazione procedente; il secondo, quello secondo cui il thema probandum riguarderà essenzialmente il profilo soggettivo del cessionario (di colui che pretende di poter esercitare il diritto di detra-zione)».

Diffusamente in argomento, senza pretese di completezza, v. GIOVANARDI, Le frodi iva: Profili ricostruttivi, Torino, 2013, p. 23 ss.; MONDINI, Il principio di neutralità nell’iva, tra «mi-to» e (perfettibile) realtà, in DI PIETRO-TASSANI (a cura di), I principi europei del diritto tribu-tario, Padova, 2013, p. 269; MICCINESI, op. cit., p. 1094; AMATUCCI, Frodi carosello e «consa-pevolezza» del cessionario iva, in Riv. trim. dir. trib., 2012, I, p. 5; TESAURO, Appunti sulle frodi carosello, cit., p. 1215; MARELLO, Prove impossibili e repressione delle frodi iva nella prospettiva del giudizio di merito, in Giust. trib., 2009, p. 7; MARCHESELLI, Frodi iva: il regime penale, in Quotidiano Ipsoa, 2013, p. 21; MOSCHETTI, Vie sulla consapevolezza della frode Iva, in Dir. prat. trib., n. 3, 2011, I, p. 679; BEGHIN, Le frodi iva e il malleabile principio di neutralità del tri-buto, in Corr. trib., 2010, p. 1511.

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Giovanna Petrillo 445

3. I limiti alla detraibilità dell’IVA in presenza di una frode nella dialettica fra Corte di Giustizia europea e Cassazione italiana al metro della proporzio-nalità

Per applicare correttamente il principio di proporzionalità è necessario che la misura sia adottata nell’esercizio di un potere discrezionale legato alla valu-tazione di una data situazione. Detta misura, dovrà essere in linea di principio compatibile con la normativa comunitaria e la relativa applicazione dovrà ri-guardare gli interessi protetti di uno o più soggetti

40. La misura, affinché la va-lutazione risulti positiva, dovrà in sostanza risultare idonea, necessaria e “pro-porzionata” in quanto volta ad incidere il meno possibile sulle finalità e sui principi della normativa che risulta derogata. In ordine al principio di propor-zionalità considerato come limite all’esercizio del potere legislativo pare op-portuno considerare, nella materia oggetto di indagine, che gli Stati membri determinano le condizioni alle quali le cessioni intracomunitarie vengono esentate per assicurare una corretta applicazione dell’IVA e per prevenire ogni possibile forma di evasione o abuso. In ogni caso «gli Stati membri sono te-nuti a rispettare i principi generali del diritto che fanno parte dell’ordinamen-to giuridico dell’Unione, quali, in particolare, i principi di certezza del diritto e di proporzionalità»

41. La Corte di Giustizia, ha, in particolare, significativa-mente evidenziato sulla base del principio di proporzionalità che le limitazio-ni del diritto di detrazione imposte dagli Stati ai soggetti passivi non devono eccedere quanto necessario per assicurare l’esatta riscossione dell’imposta ed evitare frodi o abusi

42.

40 PIASENTE, Le deroghe al diritto a detrazione IVA in ragione della lotta “all’evasione e alla frode fiscale” e il temperamento del principio di proporzionalità nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, in Riv. dir. trib., p.44.

41 V., ex multis, Corte di Giustizia, sent. 6 settembre 2012. 42 V. sent. 21 marzo 2000, C-110/98 a C-147/98; sent. 21 marzo 2000, C-286/94, C-

340/95, C-401/95 e C-47/96. Detta esigenza è fortemente avvertita in materia di IVA in quanto un contrasto “eccessi-

vo” alle condotte abusive potrebbe ledere l’applicazione del principio di neutralità dell’impo-sta. L’abuso e la frode costituiscono, invero, l’uso improprio, della facoltà offerta dall’ordina-mento europeo di scegliere tra più alternative nell’ambito dell’esercizio delle libertà fonda-mentali. In quest’ottica, il divieto posto a base dell’esercizio abusivo del diritto europeo deve essere interpretato in modo da non pregiudicare i comportamenti o le operazioni legittime: il diritto invocato da un soggetto è escluso quando l’attività concretamente realizzata non ha altra spiegazione che quella di raggiungere impropriamente un beneficio che contrasta con gli scopi e con i risultati ammessi dalle disposizioni di un determinato settore dell’ordina-mento. La tutela delle libertà fondamentali non contempla, in definitiva, quelle azioni il cui

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Sono, proprio i principi di certezza del diritto, di affidamento 43, di propor-

zionalità a rappresentare una garanzia fondamentale per i contribuenti nei con-fronti dell’operato di molte amministrazioni fiscali nazionali, informato mag-giormente alle esigenze di gettito. La proporzionalità viene, infatti, a valorizza-re il variegato strumentario di cui è oggi dotata la Pubblica Amministrazione

44, imponendole l’utilizzo di quegli strumenti che, in considerazione del caso con-creto oggetto di valutazione, siano non solo strettamente necessari ma anche idonei ed adeguati a conseguire l’interesse pubblico.

Più in particolare, il principio di proporzionalità può essere elaborato co-me una emanazione del principio di legalità inteso in senso reale, ossia come un principio di giustizia redistributiva, laddove fissa il dovere dell’Ammini-strazione Finanziaria di conseguire gli obiettivi dell’azione amministrativa (di verifica del corretto adempimento da parte dei contribuenti) alle migliori con-dizioni possibili a fronte delle limitazioni delle garanzie poste dall’ordinamen-to alle libertà fondamentali

45. Seguendo quest’ordine di idee, affinché il dinie-go del diritto di detrazione dell’accipiens della fattura avvenga nel rispetto del principio di proporzionalità, le amministrazioni tributarie sono tenute ad e-spletare un’istruttoria procedimentale approfondita al fine di stabilire la rego-larità o l’irregolarità di un’operazione IVA, nonché il grado di consapevole par-tecipazione dei diversi soggetti coinvolti, anche attraverso gli strumenti della scopo è rappresentato dal raggiungimento di un vantaggio mediante comportamenti artifi-ciosi e/o ingannevoli, privi di adeguate motivazioni che possano legittimare tali condotte. Pertanto, il rispetto del principio della proporzionalità della norma antielusiva o anti-abuso consente di non estenderne eccessivamente la portata attraverso la discrezionalità del giudi-ce e dell’Amministrazione Finanziaria e di non invadere la sfera del legittimo risparmio di imposta determinando così ingiustificate restrizioni alle libertà economiche ed ostacolando la certezza del diritto e la corretta pianificazione fiscale ad opera del contribuente. In tema, ci sia consentito il rinvio al nostro Il principio di proporzionalità nell’azione amministrativa di accertamento tributario, cit.

43 La Corte di Giustizia, proprio a mezzo della tutela dell’affidamento incolpevole riposto dal cessionario sulla situazione di “apparenza di legittimità” della transazione, e sulla relativa spettanza del diritto di detrazione di cui alla disciplina dell’IVA, viene a garantire la certezza del diritto. In tema v. CARDILLO, Tutela della buona fede e dell’affidamento del soggetto passivo nelle frodi iva mediante operazioni carosello, in Rass. trib., n. 1, 2008, p. 246.

44 Una apprezzabile valorizzazione del principio di proporzionalità è stata formulata nell’art. 9 della legge delega del febbraio 2014 “Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita”, allo stesso modo degno di nota è il richiamo al principio in esame racchiuso nell’art. 7 della medesima legge delega.

45 Si tratta di tematica certamente ampia che non può essere approfondita nella ridotta dimensione del presente studio, se si vuole si veda il nostro Il principio di proporzionalità nel-l’azione amministrativa di accertamento tributario, cit.

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cooperazione amministrativa, non limitandosi a contestare senza adeguate giu-stificazioni la regolarità dell’operazione al fine di negare l’esercizio del diritto di detrazione

46. Ciò posto, in considerazione della ben nota pericolosità sociale e pluriof-

fensività delle frodi IVA, si sono come in precedenza esaminato, progressiva-mente abbandonate quelle presunzioni di buona fede (o d’ignoranza della fro-de) con un onere probatorio gravante del tutto in capo all’Amministrazione Finanziaria, per giungere ad un diverso approccio alla tematica, sulla scorta anche dall’intrecciarsi del fenomeno frodatorio con quello abusivo (pur consi-derando la diversità ontologica fra le due fattispecie)

47. Premessa fondamentale è che l’azione del fisco si giustifica nella misura in

cui sia tendente al ripristino della situazione che si sarebbe verificata in assen-za dell’illecito. Detto elemento è fondamentale per individuare la proporzio-nalità dell’azione di recupero

48. In quest’ottica, l’azione dell’amministrazione dovrà essere rivolta al ripristino del principio di neutralità, che dovrebbe esse-re conseguente al recupero dell’IVA detratta da parte di colui che sia risultato coinvolto nella trama fraudolenta. Il disconoscimento del diritto alla detrazione dell’IVA in riferimento a soggetti del tutto ignari del fatto che in precedenza

46 In tal senso, v. CERIONI, op. cit., p. 10145. 47 In tema, v. LA ROSA, Abuso del diritto ed elusione fiscale: differenze e interferenze, in Dir.

prat. trib., 2012, I, p. 710. 48 Detto principio è particolarmente rilevante se si considera che la consapevolezza come

elemento che dimostra il coinvolgimento può dare origine ad altro concomitante fenomeno della moltiplicazione della richiesta dell’IVA. In pratica, se per disconoscere il diritto alla de-trazione, è sufficiente dimostrare, anche servendosi di presunzioni gravi, precise e concor-danti, che l’operatore effettivo fosse o non potesse non essere consapevole della frode altrui, allora vengono meno i limiti alla moltiplicazione della richiesta dell’IVA, con effetti spropor-zionati ed eccessivi rispetto all’intento posto alla base della repressione delle frodi. Pertanto, è opportuno chiedersi se dette modalità accertative contrastino con il principio di proporzionali-tà, posto alla base della disciplina IVA nonché dello stesso diritto comunitario. Sottolinea GIO-VANARDI, op. ult. cit., p. 292, riguardo alla non più perfetta realizzazione della neutralità, sul versante della proporzionalità, che la Corte di Giustizia, senza abbandonare il paradigma er-meneutico adottato, ha cercato di attribuire certezza al sistema mediante la rappresentazione degli elementi oggettivi che dovrebbero far presumere la consapevolezza della frode altrui. Si-gnificativamente l’Autore, (v. p. 293), in riferimento al problema della moltiplicazione della ri-chiesta dell’IVA osserva che «la norma sulla responsabilità solidale non funziona né in sé, in quanto non sono per nulla chiari i rapporti con gli ordinari strumenti a disposizione dell’am-ministrazione, né tanto meno, come meccanismo tendente a limitare, in ottica garantistica, l’azione accertativa al recupero dell’imposta evasa dal sistema fraudolento» non mancando tuttavia degli spazi «sul versante dell’obbligo di motivazione dell’amministrazione e della ri-partizione dell’onere della prova fra ufficio finanziario e contribuente per cercare di giungere al superamento dell’evidenziata criticità».

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agli acquisti da loro stessi effettuati sia stato realizzato un meccanismo di fro-de, risulta, pertanto, senza dubbio, sproporzionato rispetto alle finalità di con-trasto alle frodi IVA.

La Corte di Giustizia ha via via indicato le linee guida in materia di frodi IVA, affermando, come evidenziato, che le cessioni di beni, come altri fatti ri-levanti ai fini della detrazione IVA, hanno tutte un carattere obiettivo e che si applicano indipendentemente dagli scopi e dai risultati delle operazioni di cui trattasi, delineando, altresì, il modus operandi per determinare la “consapevo-lezza” di un soggetto di partecipare a comportamenti fraudolenti

49. Sul versante domestico, la Suprema Corte di Cassazione abbandonando

impostazioni prettamente “oggettivistiche”, ha tentato in alcune sentenze (a partire dal 2010)

50 di evidenziare la rilevanza dell’elemento psicologico della diretta partecipazione o comunque della consapevolezza della frode. Detta giu-risprudenza, tuttavia, a differenza delle ricostruzioni operate dalla Corte di Giu-stizia UE si è servita, ai fini della definizione dei presupposti legittimanti la in-detraibilità dell’imposta, della nozione di operazione soggettivamente inesisten-te o di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti

51. Volendo operare un confronto, al metro della proporzionalità, fra gli orien-

tamenti interpretativi seguiti dalla Corte di Giustizia e quelli adottati dalla Su-prema Corte sulla tematica oggetto di indagine, emerge come la filosofia inter-pretativa della Corte di Giustizia, più attenta alla proporzione, abbia una posi-zione maggiormente garantistica fondata su una impostazione oggettiva sia ai fini dell’individuazione delle operazioni imponibili, sia ai fini del riscontro della consapevolezza della frode altrui.

La Corte di Cassazione, invece, sembra spesso aver informato il proprio o-perato all’esame di elementi oggettivi che risultano tuttavia difficilmente riscon-trabili da parte dei soggetti passivi, introducendo, talvolta, criteri basati su pre-sunzioni di conoscibilità del cessionario affidati a valutazioni meramente sog-gettive

52. Orbene, il postulato di proporzionalità deve fondamentalmente informare

la relazione sussistente fra situazione patologica che si vuol fronteggiare e suo

49 In questi termini, MOSCHETTI, Vie sulla consapevolezza della frode IVA, cit., p. 679. 50 V., Cass. sent. 20 gennaio 2010, n. 867, sent. 19 settembre 2012, n. 15741, sent. 28

agosto 2013, n. 19746. 51 RAGGI, Fine delle operazioni inesistenti nell’IVA, in Dir. prat. trib., n. 1, 2011, p. 282, con-

sidera il riferimento a detta nozione una «sovrastruttura concettuale ignota all’ordinamento comunitario, inutile e ridondante».

52 V. Cass. 21 gennaio 2011, n. 1364, annotata da MOSCHETTI, Consapevolezza dell’altrui frode e detrazione Iva, in Il Fisco, n. 13, 2011, p. 2117.

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relativo rimedio 53; ciò che preme sottolineare, infatti, è che non sempre risul-

ta agevole procedere alla verifica della coerenza di preclusioni esistenti in or-dinamenti come il nostro, anche in materia di accertamento o sanzioni impro-prie, che, pur andando ad incidere sul profilo procedurale o processuale, de-terminano sul piano dell’effettività limitazioni e restrizioni aventi in particola-ri ipotesi una portata afflittiva pari a quella delle sanzioni

54. Come chiarito, il principio di neutralità dell’imposta, che costituisce una

specificazione in ambito tributario del più generale principio di proporzionali-tà

55, non può essere invocato indistintamente in tutte le situazioni nelle quali si ravvisa una frode IVA dovendosi verificare la consapevole partecipazione o meno a quest’ultima da parte del contribuente per poter riconoscere il diritto di detrazione.

Invero, indagare sul grado di conoscenza di attività fraudolente altrui da par-te del contribuente, dimostrando attraverso elementi oggettivi che un sogget-to sapeva o avrebbe potuto sapere che i suoi acquisti si inserivano in un mec-canismo evasivo anche se commesso da terzi a monte o a valle della catena com-merciale, rappresenta un esercizio probatorio di difficile applicazione

56. Più che allinearsi alla chiara evoluzione della richiamata giurisprudenza co-

munitaria, la Suprema Corte di Cassazione pare aver continuato a porre sul ces-sionario l’obbligo di controlli, di verifiche e di indagini che non sono realisti-camente compatibili con il principio di proporzionalità

57, fino ad arrivare ad

53 In tal senso GREGGI, op. cit., p. 10119. 54 V. AMATUCCI, Il superamento delle preclusioni probatorie e l’ampliamento del diritto di di-

fesa del contribuente, in Riv. trim. dir. trib., n. 2, 2014, p. 275. 55 Così, MONDINI, Contributo allo studio del principio di proporzionalità nel sistema dell’iva

europea, Pisa, 2012, pp. 240-241, in particolare l’Autore è dell’avviso che «diviene allora es-senziale determinare fin dove è accettabile questa “devianza” rispetto alla neutralità al fine di garantire la realizzazione di altri obiettivi tra i quali la salvaguardia dell’interesse fiscale e del-la funzionalità dell’imposta».

56 In quest’ottica, un elemento utile da considerare potrebbe essere costituito dalla valu-tazione di differenze significative sul prezzo di acquisto di beni e servizi rispetto al valore nor-male, ciò in quanto la fisiologica ricerca del miglior prezzo può indurre il contribuente ad ac-cettare anche il rischio, sapendolo o potendolo comunque immaginare, di inserirsi con i pro-pri acquisti in contesti evasivi realizzati da soggetti terzi In tal senso, v. COMMENDATORE, La detraibilità dell’IVA fra frode e abuso del diritto, in Riv. dir. trib. int., n. 2, 2014, p. 285. Sul pun-to, osserva l’Autore, mancano strumenti giudici utilizzabili dal contribuente per “indagare” tali comportamenti evasivi realizzati dai fornitori, in assenza di specifici divieti o obblighi di legge su eventuali controlli da realizzare prima di effettuare degli acquisti.

57 Si pensi a quanto sostenuto nella sent. 12 maggio 2011, n. 10414 in cui si afferma che «viene posto a carico del cessionario un obbligo di diligenza nella scelta del fornitore e di at-

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affermazioni decisamente poco convincenti nella misura in cui si sostiene che «non sufficiente è denunciare l’assenza di consapevolezza. Ciò che il contri-buente deve denunciare è anche l’impossibilità di conseguire la detta consa-pevolezza»

58. In tal modo, in maniera evidente, si pone in capo al contribuen-te un onere probatorio fortemente gravoso e sproporzionato riguardo la pro-pria inconsapevolezza, risultando invece necessario adottare le normali pre-cauzioni al fine di garantire a tale soggetto di svolgere la propria attività

59. Tanto considerato, la disarmonia fra le diverse filosofie interpretative del

giudice europeo e nazionale non attiene a ben vedere al problema della ripar-tizione dell’onere probatorio

60, quanto piuttosto alle caratteristiche di quegli elementi oggettivi, la cui esistenza dovrebbe consentire all’Amministrazione tenzione ai requisiti del soggetto cedente, non formali (essendo evidente che ogni meccani-smo fraudolento si cura in primo luogo di esibire all’esterno una apparente correttezza con-tabile e cartolare) ma sostanziali, nel senso di una effettiva esistenza nel cedente di una effi-ciente struttura operativa e della capacità di fornire autonomamente i beni acquistati».

58 V. sent. 11 maggio 2016, n. 9608 della Corte di Cassazione, nel senso che «Fatto im-peditivo del diritto alla detrazione dell’IVA non è dunque soltanto la consapevolezza dell’i-scrizione dell’operazione, a fondamento del diritto a detrazione, in un’evasione a monte nella catena di prestazioni, ma anche il fatto che l’operatore, sulla base della diligenza esigibile dal-l’operatore accorto in relazione alle circostanze, avrebbe dovuto sapere dell’esistenza dell’e-vasione. La ricorrente, limitando la rilevanza della questione dello stato soggettivo alla man-canza di consapevolezza circa la collocazione dell’operazione all’interno di un meccanismo fraudolento, non coglie il principio di diritto di cui sopra. Non sufficiente è denunciare l’as-senza di consapevolezza. Ciò che il contribuente deve denunciare è anche l’impossibilità di conseguire la detta consapevolezza».

59 In tema, con ampi riferimenti alla giurisprudenza europea, v. AMATUCCI, Frodi carosel-lo, cit., p. 20 ss.

60 Vero è che la Suprema Corte ha chiarito (si vedano le sentt. n. 16437/2015 e n. 5406/ 2016) che l’onere della prova dell’inesistenza dell’operazione è sempre a carico dell’Ammini-strazione; tuttavia detto onere può essere assolto per presunzioni (purché assistite dai requi-siti di gravità, precisione e concordanza) dovendo di fatto essere l’acquirente a doversi giusti-ficare. In argomento, degna di nota è, altresì, Cass., sez. trib., sent. 9 settembre 2016, n. 17818, nel senso che «in tema di IVA l’amministrazione finanziaria che contesti la frode ca-rosello deve provare anche a mezzo di presunzioni semplici purché gravi precise e concordanti gli elementi di fatto attinenti al cedente (la sua natura di cartiera, l’inesistenza di una struttu-ra autonoma operativa, il mancato pagamento dell’IVA) e la connivenza da parte del cessio-nario indicando gli elementi oggettivi che tenuto conto delle concrete circostanze avrebbero dovuto indurre un normale operatore a sospettare dell’irregolarità delle operazioni, mentre spetta al contribuente che ha portato in detrazione l’IVA la prova contraria di aver concluso realmente l’operazione con il cedente e di essersi trovato nella situazione di oggettiva impos-sibilità nonostante l’impiego della dovuta diligenza di abbandonare lo stato di ignoranza sul carattere fraudolento delle operazioni non essendo sufficiente a tal fine la mera regolarità della documentazione contabile e la dimostrazione che la merce sia stata consegnata o il corrispet-tivo effettivo pagato trattandosi di circostanze non concludenti».

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di disconoscere il diritto alla detrazione sulla base del fatto che essi darebbero dimostrazione che l’acquirente la merce sapeva o non avrebbe potuto non sa-pere di inserirsi all’interno di una catena fraudolenta.

Invero, la richiamata giurisprudenza europea censura quelle prassi nazionali in base alle quali l’amministrazione fiscale nega il diritto a detrazione con la mo-tivazione che il soggetto passivo non si è assicurato che l’emittente della fattura correlata ai beni a titolo dei quali viene richiesto l’esercizio del diritto a detra-zione avesse la qualità di soggetto passivo, che disponesse dei beni di cui trattasi e fosse in grado di fornirli e che avesse soddisfatto i propri obblighi di dichiara-zione e di pagamento dell’IVA, o con la motivazione che il suddetto soggetto passivo non dispone, oltre che di detta fattura, di altri documenti idonei a di-mostrare la sussistenza delle circostanze menzionate, chiarendo, efficacemente, che spetta alle autorità fiscali effettuare i controlli necessari presso i soggetti passivi al fine di rilevare irregolarità e evasioni in materia di IVA nonché inflig-gere sanzioni al soggetto passivo che ha commesso dette irregolarità o evasioni.

Concludendo, in ordine al rapporto fra principio di proporzionalità e valu-tazione dell’elemento soggettivo del contribuente coinvolto nella frode può evidenziarsi che la tutela dell’affidamento incolpevole dei soggetti passivi nel-la liceità delle operazioni imponibili, ha comportato, condivisibilmente, l’ab-bandono di forme di responsabilità oggettiva dei soggetti passivi altrimenti tra-sformati in veri e propri responsabili d’imposta per l’IVA sugli acquisti, pur tut-tavia si è determinata un’eccessiva valorizzazione della buona fede soggettiva, difficilmente individuabile nel corso del procedimento di accertamento

61. Il contribuente, dunque, al fine di dimostrare l’assenza di colpevolezza, non do-vrebbe essere tenuto, in ossequio al principio di proporzionalità, in alcun mo-do ad “indagare” comportamenti evasivi realizzati dai fornitori non potendosi esigere dal soggetto passivo verifiche che non gli incombono

62. In definitiva, è auspicabile un sempre più accurato bilanciamento, soprattut-

to ad opera della giurisprudenza nazionale, fra le diverse istanze, in ossequio al generale principio di proporzionalità, nell’applicazione dell’IVA e dei rimedi volti al contrasto degli abusi o frodi.

61 In questi termini, si v. CERIONI, op. cit., p. 1047, il quale in particolare osserva che «non è, ad esempio, compatibile con il principio di proporzionalità esigere dalla controparte la co-pia delle dichiarazioni IVA, le attestazioni di versamento dell’imposta, i dati identificativi del personale impiegato. Non si può neppure esigere che un’impresa di piccole dimensioni svol-ga per suo conto indagini bancarie o assuma un investigatore privato, onere che sarà invece esigibile da imprese più grandi specie in occasioni di transazioni di valore elevato». In tema, vedasi altresì, ampiamente, MARCHESELLI, Frodi iva e operazioni inesistenti, cit., p. 157.

62 V., sul punto, Cass., sent. 14 dicembre 2016, n. 25699.

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Andrea Quattrocchi

I CRITERI DI COLLEGAMENTO TERRITORIALE NELL’AMBITO DELL’IMPOSTA

SULLE SUCCESSIONI E DONAZIONI

TERRITORIAL CONNECTING CRITERIA FOR INHERITANCE AND GIFT TAXES

Abstract Il contributo propone una disamina dell’attuale assetto dei criteri di collegamento territoriale ai fini dell’imposta sulle successioni, valutandone le implicazioni sul piano internazionale ed euro-unitario. Dopo aver rilevato le criticità legate alla tendenza espansiva del presupposto, l’Autore propende per una loro parziale giustificazione ed esamina i rimedi disponibili a livello convenzionale ed interno per eliminare o quantomeno attenuare la doppia imposizione, nonché i loro problematici risvolti applicativi. L’articolo prosegue con l’esposizione dei nuovi orientamenti europei sulle successioni transfrontaliere e delle statuizioni della Corte di Giustizia UE con riferimento alla deduzione delle passività ereditarie, vista l’applicabilità, alla mate-ria, del principio della libera circolazione dei capitali. Dopo essersi soffermato sui criteri adottati in relazione alle donazioni, il contributo approfondisce la problema-tica tassabilità dei bonifici di fonte estera quali liberalità non formalizzate. Parole chiave: successioni, donazioni, successioni transfrontaliere, bonifici di fonte estera, liberalità indirette

The article makes an overview of the current framework of territorial connecting criteria for inheritance taxes, by assessing the implications on the international and EU level. After having identified the criticalities linked with the expansive tendency of the condi-tion for application of the tax, the Author accepts their partial justification and exami-nes the remedies available both in treaty and domestic rules aimed at eliminating – or, at least, mitigating – double taxation, as well as their problematic implications. The ar-ticle then faces the new European guidelines on cross-border inheritances cases and the CJEU’s relevant case law with reference to the deduction of passive elements within the inheritance, in the light of the principle of free movement of capital. After having

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described the criteria adopted for donations, the article analyses the possible taxation of foreign-sourced bank transfers as indirect liberalities. Keywords: successions, donations, cross-border inheritances, foreign-sourced bank trans-fers, indirect gifts.

SOMMARIO: 1. Imposizione globale e principio di territorialità: la tassazione dei beni esteri dei soggetti resi-denti. – 1.1. L’estensione del presupposto territoriale tra contrasto all’evasione e fattispecie trasla-tiva. – 1.2. Doppia imposizione internazionale tra profili convenzionali e credito d’imposta inter-no. – 1.3. L’approccio UE al tema della doppia imposizione in materia successoria. – 1.4. Il (pro-blematico) accertamento dei beni esistenti all’estero. – 2. Principio di territorialità e libera circo-lazione dei capitali in ambito UE: deducibilità delle passività ereditarie. – 3. La successione del de cuius non residente in Italia. – 4. I criteri di collegamento relativi alle donazioni. – 5. Bonifico estero, residenza del beneficiario e liberalità indirette.

1. Imposizione globale e principio di territorialità: la tassazione dei beni esteri dei soggetti residenti

1.1. L’estensione del presupposto territoriale tra contrasto all’evasione e fattispecie traslativa

Nel disciplinare il presupposto territoriale dell’imposta sulle successioni e donazioni, l’art. 2, D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 ricorre a criteri di tassazione analoghi a quelli valevoli ai fini delle imposte sui redditi.

Invero, mentre con riferimento alle successioni relative a soggetti residenti nel territorio dello Stato italiano, la norma prevede la soggezione ad imposta di tutti i beni e diritti trasferiti ovunque localizzati – in ciò applicandosi il noto world wide principle – dall’altro lato, viceversa, la disposizione stabilisce che qualora il de cuius sia residente all’estero, l’imposta è dovuta in relazione ai soli beni e diritti trasferiti che risultino “esistenti” nel nostro Paese, in base al prin-cipio di territorialità dell’imposizione.

Come osservato da autorevole dottrina 1, questa impostazione risulta con-

fermativa della disciplina introdotta con la riforma fiscale degli anni ’70, allor-

1 Così FEDELE, Territorialità dell’imposta, in FEDELE-MARICONDA-MASTROIACOVO (a cura di), Codice delle leggi tributarie, Torino, 2014, p. 617.

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Andrea Quattrocchi 455

ché il legislatore aveva abbandonato, in materia, il criterio reale di territorialità in vigore sin dagli anni ’20 del secolo scorso

2 in favore di un sistema nel quale il tributo successorio era strutturato come prelievo “in uscita”, contraddicen-do l’opinione dottrinale dominante che ne identificava il presupposto nell’ar-ricchimento del beneficiario, ma ricorrendo ad un criterio in parte coerente con la previsione di un’aliquota progressiva sul valore globale dell’asse eredi-tario netto; l’abrogazione di tale aliquota progressiva ad opera dell’art. 69, L. n. 342/2000, avrebbe fatto venir meno anche l’unica ragione giustificativa del criterio di territorialità adottato.

La tensione verso un sistema di tassazione volto ad estendere il presuppo-sto territoriale con (pur comprensibili) finalità antievasive – oltre che seguita solo pochi anni dopo da altri ordinamenti, come quello francese

3 – è stata cri-ticata dalla dottrina anzitutto perché, applicando l’imposta a tutti i beni e di-ritti trasferiti, nonostante i medesimi si trovino all’estero, la disposizione at-tribuisce rilievo alle conseguenze patrimoniali della morte o della liberalità che si verifichino in un qualunque ordinamento giuridico diverso da quello italia-no. In proposito, è stato sottolineato che il decesso costituisce il presupposto di una fattispecie di carattere traslativo solo perché tale evento, in un deter-minato sistema normativo, è considerato produttivo degli effetti di cui tratta-si; di conseguenza, il legislatore italiano, nel momento in cui intende «consi-derare tutti i possibili effetti patrimoniali della morte (o anche della liberali-tà), in qualsiasi punto dello spazio essi avvengano, in realtà finisce per colpire anche un fatto giuridico proprio di un altro ordinamento, ancorché sia carat-terizzato da una identica qualificazione compiuta, in riferimento allo stesso episodio, dall’ordinamento nazionale»

4. In effetti, nello Stato estero, l’evento morte non diviene presupposto del tra-

sferimento patrimoniale in considerazione della sussistenza della norma italia-na che assoggetta a tassazione il bene sito nello Stato straniero, ma in ragione di una disposizione ivi vigente che stabilisca in tal senso. Secondo questa im-

2 Al riguardo v. UCKMAR, La tassazione degli stranieri in Italia, Padova, 1955, p. 42 ss. La norma di riferimento era l’art. 20, R.D. 31 dicembre 1923, n. 3270.

3 GROSCLAUDE-MARCHESSOU, Diritto tributario francese (trad. di De Mita), Milano, 2006, p. 321, ricordano che in Francia, fino al 1976, i diritti di trasferimento per causa di morte fos-sero assoggettati ad imposizione solo se aventi ad oggetto i beni ivi situati. Successivamente si è dato rilievo al domicilio del defunto per prevedere un obbligo fiscale riguardante beni e di-ritti ovunque collocati, mantenendo la tassazione in Francia dei beni esistenti di cui fossero titolari i defunti domiciliati all’estero.

4 V. GAFFURI, L’imposta sulle successioni e donazioni, Padova, 2008, pp. 215-216.

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postazione, assoggettando a tassazione i beni siti all’estero – pur se riferibili a soggetto residente in Italia, aggiungiamo – il nostro ordinamento andrebbe ol-tre le prerogative proprie di Stato sovrano, eccedendo rispetto ai limiti territo-riali che gli sono propri. Si darebbe luogo, in tal modo, ad una universalità og-gettiva del prelievo che, pur motivata da finalità antievasive, si presterebbe ad essere considerata in contrasto con l’ordinamento internazionale, che richie-de la sussistenza di elementi “concreti” di collegamento con l’ordinamento giu-ridico dello Stato che intende esercitare la sua potestà impositiva

5. Tale conclusione si presta ad essere condivisa sol considerando che qualo-

ra all’interno dell’ordinamento estero non fosse nemmeno rinvenibile – come è possibile ipotizzare in linea del tutto teorica – una norma in grado di far se-guire all’evento morte il sorgere di una fattispecie traslativa, ciò nondimeno tale eventualità non sarebbe idonea ad escludere la configurabilità del presup-posto di tassazione secondo la norma italiana.

È pur vero, tuttavia, che una siffatta lettura, pur corretta, rischia di risultare, in una certa misura, estrema, poiché per quanto fondata sul principio di terri-torialità della sovranità fiscale statale, giunge a considerare sostanzialmente ininfluenti alcuni profili che, quantomeno in via sostanziale, mitigano un’im-postazione normativa altrimenti inaccettabile, se non financo suscettibile di essere considerata di dubbia legittimità (sul piano internazionale).

Al riguardo, occorre osservare, anzitutto, che per quanto la norma fiscale italiana prescinda dalla sussistenza di una norma civilistica estera volta a far sor-gere la fattispecie traslativa, tale eventualità è ciò che, di regola, gli ordinamenti giuridici fanno conseguire al verificarsi dell’evento morte; difficilmente, dun-que, la ricorrenza fattuale dell’evento non sarà accompagnata dal prodursi di un effetto giuridico – derivante da una norma dell’ordinamento straniero – at-tinente la titolarità del bene o del diritto. Ed altrettanto di regola, la norma stra-niera muoverà verso la definitiva acquisizione del diritto in favore di una pla-tea di soggetti individuati, o, eventualmente, riconoscerà a costoro il diritto di subordinare il perfezionamento della fattispecie acquisitiva ad una verifica delle attività ereditarie al fine di riscontrare la copertura delle correlate passività, o, da ultimo, appronterà strumenti diretti ad escludere che, in difetto di una par-tecipazione volitiva degli interessati, l’effetto si produca senz’altro.

5 CERNIGLIARO, Commento all’art. 2, D.Lgs. n. 346/1990, in FALSITTA-FANTOZZI-MARON-GIU-MOSCHETTI (a cura di), Commentario breve alle leggi tributarie, tomo IV, Iva e imposte sui trasferimenti, a cura di Marongiu, Padova, 2011, p. 1156. Si v. anche Min. Fin., Circolare 15 marzo 1991, n. 17.

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Tali considerazioni, che scaturiscono dall’osservazione della realtà degli or-dinamenti in essere, rendono l’idea di (correlati) sistemi tributari necessitati, che oppongono le esigenze di contrasto all’evasione al pur indiscutibile assun-to di principio in base al quale è il singolo ordinamento tributario a doversi esprimere sulla capacità di un determinato fatto a divenire fiscalmente ido-neo, e come tale ad essere qualificato come manifestazione di capacità contri-butiva.

Allo stesso tempo, inoltre, non può trascurarsi che la tendenza espansiva degli ordinamenti tributari in materia successoria costituisce un fattore comu-ne dei sistemi fiscali più evoluti – oltre al già citato ordinamento francese rile-va pure quello tedesco

6 – allo scopo di assicurare che lo spostamento delle basi imponibili al di fuori del perimetro territoriale non comporti la recisione del legame tra Stato impositore e ricchezza tassata.

Senza contare che la soggezione ad imposta dei beni e diritti esteri non è indiscriminata, ma richiede che essi siano riconducibili ad un de cuius che sia necessariamente residente nello Stato impositore al momento della morte, con la conseguenza di considerare prevalente il criterio della residenza rispetto a quello meramente territoriale. Al riguardo, la dottrina

7 sottolinea che ferma restando l’obiettiva indubbia convergenza del tributo in esame con le imposte dirette, ove davvero l’ordinamento tributario avesse inteso poggiare il sistema dell’imposta sulle successioni e donazioni su pilastri analoghi a quelli propri delle imposte sui redditi, il legislatore, per poter procedere ad un tale allarga-mento della base imponibile e dunque selezionare tra fatti rilevanti e irrilevan-ti ai fini impositivi, avrebbe dovuto sì attribuire rilievo alla residenza, ma non già a quella del defunto, bensì a quella dell’erede, essendo egli il soggetto che consegue i vantaggi patrimoniali; ed anzi tale Autore sottolinea che all’interno della legge delega da cui è scaturito il D.Lgs. n. 346/1990, non fosse specifica-

6 Come ricorda BIRK, Diritto tributario tedesco, Milano, 2006, pp. 351-353, all’interno del-l’ordinamento tedesco, teoricamente esistono due possibilità per l’imposizione dell’asse ere-ditario; l’imposta sulla devoluzione dell’eredità (a carattere personale) e l’imposta sulle suc-cessioni propriamente detta (a carattere reale). L’imposta sulla devoluzione di eredità – la cui la base imponibile non è data dall’ammontare dell’eredità ma dall’arricchimento dei sin-goli eredi – prevede un obbligo fiscale illimitato per l’intera devoluzione patrimoniale (pa-trimoni nazionali ed esteri) quando il defunto/donatore o il successore sono cittadini tede-schi; se invece nessuno dei partecipanti lo è, sussiste un obbligo fiscale limitato ai beni pre-senti nel territorio dello Stato. L’imposta sulle successioni è un prelievo applicato agli ac-quisti per causa di morte (compresi i contratti di assicurazione sulla vita o le rendite a favo-re di un terzo).

7 GAFFURI, L’imposta sulle successioni e donazioni, cit., p. 218.

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to se il criterio della residenza andasse riferito al de cuius o, appunto, all’erede 8.

Con riguardo alla nozione di residenza cui si debba fare riferimento ai fini dell’applicazione dell’art. 2, D.Lgs. n. 346/1990, la dottrina dominante ritiene che in assenza di ulteriori specificazioni, occorre attribuire ai termini utilizzati dal legislatore tributario il significato che essi possiedono nel settore dell’ordi-namento in cui trovano naturale ed originaria collocazione, di talché nel caso di specie occorre far ricorso alla nozione civilistica di residenza (art. 43 c.c.)

9, contribuendo ulteriormente a confermare la sussistenza e l’efficacia di criteri di collegamento che prescindano dalla singola imposta e come tali valevoli in termini più generali

10. Secondo altra opinione dottrinale, pur dovendosi condividere che la no-

zione di residenza richiamata dal D.Lgs. n. 346/1990 coincida con il luogo di dimora abituale di cui all’art. 43 c.c., non può trascurarsi che tale scelta de-termini problemi di coordinamento con la residenza fiscale ai fini delle impo-ste sui redditi, perché un soggetto il quale si sia iscritto all’AIRE e abbia trasfe-rito all’estero la propria residenza (dimora abituale) ma abbia mantenuto in Italia il proprio domicilio civilistico (sede principale dei propri affari e interes-si), potrebbe risultare residente in Italia ai fini delle imposte sui redditi ma re-sidente all’estero ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni

11. In ogni caso, effettuato l’accertamento della residenza in Italia del defunto

– con riferimento alla data dell’apertura della successione, dell’immissione nel possesso o dell’ultima notizia avuta del soggetto del quale venga dichiarata la morte presunta – l’appartenenza al medesimo di beni e diritti va stabilita sulla base della legge applicabile (artt. 51 e 57, L. 31 maggio 1995, n. 218) e, in quanto compatibili, in considerazione degli artt. 9, 11 e 12 del T.U. delle suc-cessioni e donazioni

12.

8 Sulla necessità di riferire il criterio della residenza all’erede e non al defunto v. PISTONE, Profili di diritto comparato, internazionale e comunitario in materia di imposta sulle successioni, in AA.VV., L’imposta sulle successioni e donazioni tra crisi e riforme, Roma, 2001, p. 360.

9 Così FEDELE, Territorialità dell’imposta, cit., p. 618. 10 BAGGIO, Il principio di territorialità ed i limiti alla potestà tributaria, Milano, 2009, p. 270. 11 V. MARINO, La residenza nel diritto tributario, Padova, 1999, p. 268 ss. che su queste con-

siderazioni ritiene che sarebbe stato più opportuno fare riferimento anche al domicilio civili-stico anziché alla sola residenza, tanto più che una diversa impostazione delle due residenze (quella ai fini delle imposte sui redditi e quella rilevante per l’imposta sulle successioni) sa-rebbe stata giustificata dalla diversità di presupposti (possesso del reddito e trasferimenti mortis causa).

12 FEDELE, Territorialità dell’imposta, cit., p. 618.

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Va oltremodo ricordato che a fronte della tendenza degli Stati a considera-re tassabili beni e diritti esistenti in Paesi diversi da quello di residenza del de cuius, è la soluzione convenzionale quella diretta ad eliminare o quantomeno attenuare la doppia imposizione internazionale, allo stesso modo di quanto avviene nell’ambito delle imposte sui redditi. Si tratta di un ambito nel quale certamente sussistono spazi, anche ampi, di intervento e di innovazione, ma sul quale un eventuale giudizio di inidoneità scaturisce dalla contingenza, ca-ratterizzata da un numero molto limitato di trattati in essere. Ciò senza dub-bio produce criticità di natura applicativa, poiché a fronte dell’evento morte, la sussistenza, in una pluralità di ordinamenti, di beni e diritti di pertinenza del defunto determina il verificarsi di successioni distinte

13, ridotte viceversa ad unità dal legislatore tributario italiano, che unifica la base imponibile in ragio-ne della residenza del soggetto scomparso.

Tale base imponibile, peraltro, si riferisce a beni e diritti “trasferiti”, con ciò attribuendosi rilievo all’effetto civilistico conseguente alla morte del de cuius, su cui i singoli ordinamenti possono assumere differenti scelte normative. Al riguardo risulta che in alcuni Paesi, come la Francia, il trasferimento, in favore dell’erede, dei diritti di cui fosse titolare il defunto rappresenta un automati-smo successorio, salvo il caso che l’erede non dichiari espressamente di rinun-ciare all’attribuzione. In altri Stati, come Germania e Italia, viceversa, la fat-tispecie attributiva si perfeziona, sotto il profilo privatistico, necessariamente con l’accettazione del chiamato all’eredità, ferma restando sia la rilevanza di fat-ti concludenti a questo fine, sia il diritto ad una rinuncia espressa.

Sul versante esclusivamente tributario, l’art. 5, D.Lgs. n. 346/1990, rubri-cato “Soggetti passivi”, stabilisce che l’imposta sia dovuta dagli eredi e dai lega-tari per le successioni, dai donatari per le donazioni e dai beneficiari per le al-tre liberalità tra vivi. La disposizione va coordinata con quanto disposto dal-l’art. 36 del medesimo decreto, in base al quale finché l’eredità non sia stata accettata o fin quando non sia stata accettata da tutti i chiamati, questi ultimi o i chiamati che non abbiano ancora accettato, rispondono solidalmente del-l’imposta nel limite del valore dei beni ereditari rispettivamente posseduti.

13 Di conseguenza, qualora la successione abbia ad oggetto (anche o solo) beni e diritti col-locati all’estero, in uno o più Paesi, occorrerà considerare separatamente le singole masse, provvedendosi ad una riliquidazione dell’imposta nell’ipotesi in cui il chiamato consegua, in un momento successivo all’apertura della successione, il trasferimento in suo favore di beni e diritti situati in un Paese nel quale il trasferimento richiede l’adempimento di formalità di natura notarile o amministrativa volti a rendere effettivo il mutamento della titolarità del be-ne (CERNIGLIARO, Commento all’art. 2, cit., p. 1157).

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A ciò autorevole dottrina 14 aggiunge che dopo la riformulazione delle nor-

me sulle donazioni avvenuta nel 1990, la chiamata ereditaria è considerata fat-tispecie imponibile, a prescindere dall’accettazione, purché l’interessato abbia la materiale disponibilità dei beni ereditari, con la conseguenza che il relativo valore costituisce il limite entro cui egli risponde dell’imposta dovuta

15. Secondo altra ricostruzione

16, dal momento che il chiamato all’eredità che non abbia accettato non si presta ad essere qualificato come titolare del fatto assunto ad indice di capacità contributiva, la scelta della legge di considerare tale soggetto come responsabile d’imposta si fonda sulla sua “presunzione di accettazione”, poiché in tal caso il legislatore farebbe discendere dal fatto cer-to della chiamata ereditaria il fatto incerto della sua accettazione e dunque l’e-sistenza attuale, “ancorché provvisoria” (potenziale, diremmo) del presuppo-sto impositivo.

1.2. Doppia imposizione internazionale tra profili convenzionali e credito d’impo-sta interno

La circostanza che l’eredità del de cuius residente in Italia comprenda beni o diritti localizzati all’estero, pone, in particolare, un tema di doppia tassazio-ne della ricchezza. Invero, poiché nei confronti del defunto si applica il princi-pio dell’imposizione globale, la massa ereditaria dovrà assolvere l’imposta, in Italia, su tutti i beni e diritti ovunque esistenti, pur a fronte di una tassazione, nello Stato estero, relativamente alle attività ivi situate, in applicazione del prin-cipio di territorialità.

Tale eventualità viene risolta dall’ordinamento sulla base di quanto dispo-sto dall’art. 26, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 346/1990, secondo cui dall’impo-sta dovuta in Italia si detraggono le imposte pagate ad uno Stato estero, in di-pendenza della stessa successione e in relazione a beni esistenti in tale Stato, fi-no a concorrenza della quota d’imposta di successione proporzionale al valore

14 V. GAFFURI, Commento all’art. 5, D.Lgs. n. 346/1990, in FALSITTA-FANTOZZI-MARON-GIU-MOSCHETTI (a cura di), op. cit., p. 1166.

15 Sul regime anteriore si erano riscontrate voci discordanti. A chi escludeva in ogni caso la responsabilità del chiamato all’eredità che non avesse accettato (v. REGAZZONI, La sogget-tività passiva nel tributo successorio, in Riv. dir. fin. sc. fin. 1980, I, p. 259) si affiancava chi so-steneva che, viceversa, il chiamato rispondesse in ogni caso del tributo (NUZZO, Riflessioni sul presupposto del tributo successorio e degli altri tributi sulla circolazione della ricchezza, in Riv. dir. fin. sc. fin.,1984, I, p. 479).

16 GHINASSI, Imposte di registro e successione. Profili soggettivi e implicazioni costituzionali, Mi-lano, 1996, p. 119.

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Andrea Quattrocchi 461

dei beni stessi, salva l’applicazione di trattati o accordi internazionali 17.

L’Italia ha concluso un numero davvero esiguo di convenzioni internazio-nali contro la doppia imposizione in materia di imposte sulle successioni, ri-sultando in essere i trattati con Stati Uniti d’America

18, Israele 19, Grecia

20, Francia

21, Regno Unito 22, Svezia

23 e Danimarca 24.

In linea generale 25, le convenzioni si applicano alle successioni delle per-

sone domiciliate, al momento della morte, in uno o in entrambi gli Stati con-traenti, e alle donazioni disposte dalle persone domiciliate, al momento della donazione, in uno o in ambedue i Paesi. La persona si considera domiciliata in uno Stato se risulta che in esso è assoggettata ad imposta a motivo del suo domicilio, della sua residenza, della sede della sua direzione o di ogni altro cri-terio di natura analoga (escluse le persone la cui successione o donazione è tassata soltanto per i beni che sono ivi situati).

Ove domiciliata in entrambi gli Stati 26, se la persona dispone di un’abita-

zione permanente in uno dei Paesi, si applica il criterio del centro degli inte-ressi vitali, guardando dunque quale sia lo Stato con il quale le sue relazioni personali ed economiche sono più strette; in subordine, la questione del do-micilio viene risolta in base al luogo di soggiorno abituale o in base alla nazio-nalità, criterio che prevale anche in casi particolari

27; in ultima analisi la que-stione è risolta di comune accordo.

17 Sulla necessità di stipulare accordi internazionali contro la doppia imposizione in ma-teria di successioni v. UCKMAR, La tassazione degli stranieri in Italia, cit., p. 259.

18 Convenzione 30 marzo 1955, approvata con L. 19 luglio 1956, n. 943. 19 Convenzione 22 aprile 1968, approvata con L. 12 aprile 1973, n. 201. 20 Convenzione 13 febbraio 1964, approvata con L. 18 marzo 1968, n. 524. 21 Convenzione 20 dicembre 1990, approvata con L. 14 dicembre 1994, n. 708. 22 Convenzione 15 febbraio 1966, approvata con L. 9 agosto 1967, n. 793. 23 Convenzione 20 dicembre 1956, approvata con L. 13 marzo 1958, n. 280. 24 Convenzione 10 marzo 1966, approvata con L. 18 marzo 1968, n. 649. 25 V. l’art. 1 della Convenzione Italia-Francia. 26 La Convenzione con gli Stati Uniti è priva di una disposizione specifica sul duplice

domicilio, con la conseguenza che la relativa questione deve essere risolta sulla base delle ri-spettive normative nazionali; da ciò è possibile che ne derivi un rischio di doppia imposizione.

27 Il Protocollo alla Convenzione Italia-Francia prevede che qualora al momento del de-cesso la persona fisica possedesse la nazionalità di uno dei due Stati senza avere quella del-l’altro Stato e in virtù del primo paragrafo fosse considerata domiciliata in ciascuno dei due Stati, essa è considerata domiciliata soltanto nello Stato del quale possedeva la nazionalità, se risulta che la persona avesse l’intenzione manifesta di conservare il suo domicilio in questo Stato e se era stata domiciliata nell’altro Stato complessivamente per meno di cinque anni durante il periodo di sette anni precedente il suo decesso.

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Allo scopo di ripartire la potestà impositiva, gli accordi, privilegiando il cri-terio del locus rei sitae, stabiliscono di volta in volta in quale degli Stati con-traenti debba ritenersi esistente, e conseguentemente imponibile, il bene o il diritto compreso nell’attivo ereditario

28. Con riferimento alla tassazione dei beni immobili, le convenzioni con Gre-

cia, Danimarca e Svezia prevedono la tassazione esclusiva nello Stato in cui il bene è situato, mentre gli accordi con Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti stabiliscono la tassazione concorrente.

Per quanto riguarda i crediti, il criterio applicato è quello della tassazione concorrente dello Stato di residenza del debitore e di quello in cui è domici-liato il de cuius; poiché gli accordi con Danimarca e Grecia nulla prevedono, prevarrebbe il criterio di tassazione nel solo Stato di domicilio del defunto; cri-teri analoghi si applicano per le partecipazioni in società ed enti, con la precisa-zione che nella Convenzione con la Francia rileva lo Stato in cui si svolge la di-rezione effettiva della società, in quella con gli Stati Uniti quello della sede lega-le o operativa e in quella con la Gran Bretagna lo Stato della sola sede legale

29. I trattati, inoltre, possono stabilire quali debiti possano dedotti dalla base

imponibile e prevedere sia procedure amichevoli per la risoluzione dei casi nei quali una persona lamenti un’imposizione non conforme alla Convenzione, sia forme di assistenza nella riscossione delle imposte.

Sul fronte dei rimedi per evitare o quantomeno attenuare la doppia impo-sizione, le convenzioni ricorrono al credito d’imposta; tale scelta risulta con-fermativa di un metodo comunque già previsto dal richiamato art. 26, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 346/1990. Il credito d’imposta interno – riconosciuto pur-ché nella dichiarazione di successione risultino le imposte assolte all’estero e i relativi documenti probatori [art. 29, comma 1, lett. n), D.Lgs n. 346/1990] – si applica nelle ipotesi, teoricamente residuali ma in concreto più frequenti, di assenza di Convenzione

30 e a prescindere dalla verifica della reciprocità, di

28 All’interno della Convenzione in essere con gli USA i beni immobili sono imponibili nello Stato in cui sono situati, i beni mobili corporali nel luogo in cui si trovano, o se in tran-sito, nel luogo di destinazione; i crediti e le obbligazioni risultano tassati nello Stato in cui il debitore risiede, o se società, nello Stato sotto le cui leggi è stata costituita (tale ultimo crite-rio si applica anche per azioni e partecipazioni in società); le navi e gli aeromobili sono situa-ti nel luogo in cui sono stati immatricolati; l’avviamento, quale elemento attivo di un eserci-zio commerciale, industriale o professionale è considerato esistente nel luogo in cui il com-mercio, l’industria o la professione sono stati esercitati; i brevetti e i marchi nel luogo in cui possono essere sfruttati; gli altri beni nel luogo nel luogo dell’ultimo domicilio del defunto.

29 V. CANCELLIERE, Aspetti fiscali internazionali nelle successioni mortis causa, in Fiscalità in-ternazionale, 2006, p. 491.

30 V. DENORA, Commento all’art. 26, D.Lgs. n. 346/1990, in FEDELE-MARICONDA-MA-

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talché è irrilevante che la legislazione dello Stato estero preveda una analoga disposizione.

Resta inteso che nell’ipotesi di successione relativa a de cuius residente in Italia – con applicazione del criterio dell’imposizione globale, il credito d’im-posta d’interno (riferito ai beni esistenti all’estero) non è in grado di rimedia-re alla doppia imposizione qualora, in assenza di Convenzione, l’ordinamento dello Stato estero si trovi ad applicare anch’esso il principio della tassazione globale – in ragione della configurabilità di una doppia residenza del defunto o a motivo dell’adozione di un sistema fondato sulla tassazione in capo all’erede ivi residente – e non preveda, però, il riconoscimento di un credito d’imposta per le imposte assolte in Italia.

1.3. L’approccio UE al tema della doppia imposizione in materia successoria

Sul riconoscimento del credito d’imposta per le imposte assolte all’estero ha avuto modo di pronunciarsi anche la giurisprudenza euro-unitaria. In una nota sentenza relativamente recente

31, la Corte di Giustizia ha esaminato il caso di una contribuente residente in Germania, erede di una persona an-ch’essa ivi residente, che lamentava il disconoscimento del diritto alla detra-zione dell’imposta sulle successioni assolta in Spagna su un credito compreso nell’attivo ereditario e avanzato nei confronti di un istituto bancario. L’Ammi-nistrazione tedesca, sul presupposto che la norma interna escludesse tale tipo-logia di credito dalla nozione di “patrimonio estero”, si era limitata ad attri-buire all’imposta spagnola natura di passività ereditaria, consentendone non la detrazione dall’imposta lorda ma la deduzione dalla base imponibile della massa ereditaria assoggettata a tassazione. In tale occasione, la Corte ha sta-tuito che fermo restando il limite dato dal diritto euro-unitario, gli Stati mem-bri godono di una “certa autonomia” in materia fiscale e non hanno alcun ob-bligo di adattare il loro ordinamento tributario ai vari sistemi di tassazione de-gli altri Stati membri, in particolare allo scopo di eliminare la doppia imposi-zione derivante dal parallelo esercizio della potestà impositiva consentendo la detrazione dell’imposta sulle successioni assolta in un Paese diverso da quello nel quale l’erede risiede. STROIACOVO (a cura di), op. cit., p. 696, secondo la quale il sistema convenzionale, pur rile-vando prioritariamente nell’ottica del legislatore interno, sotto il profilo applicativo presenta carattere marginale, stante l’esiguità del numero delle Convenzioni contro le doppie imposizioni in materia successoria. Analogamente, RAGUCCI, Commento all’art. 26, D.Lgs. n. 346/1990, in FALSITTA-FANTOZZI-MARONGIU-MOSCHETTI (a cura di), op. cit., p. 1217.

31 Corte di Giustizia, 12 febbraio 2009, in causa C-67/08.

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Va tuttavia ricordato che la Commissione Europea è intervenuta sulla ma-teria delle successioni transfrontaliere mediante un’apposita comunicazione

32, con la quale, pur prendendo atto dell’inesistenza di disposizioni legislative eu-ro-unitarie nel settore delle imposte sulle successioni e della ridetta libertà, dei singoli Stati, di adottare norme proprie – purché non discriminatorie in base alla nazionalità e foriere di ingiustificate restrizioni all’esercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato – ha inteso formulare una proposta di re-golamento relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e degli atti pubblici in materia di successioni e alla creazione di un certificato successorio europeo.

L’esigenza di un intervento di questo genere scaturisce dalla eterogeneità delle scelte compiute dagli ordinamenti fiscali degli Stati membri in punto di tassazione delle successioni. A Stati che applicano imposte specifiche, si accom-pagnano Paesi

33 che assoggettano ad imposizione i trasferimenti mortis causa nell’ambito delle imposte sui redditi. Senza contare che alcuni sistemi tassano il patrimonio, altri l’erede, o applicano l’imposta anche quando né il de cuius né il beneficiario possiedono un legame personale con lo Stato interessato, non essendo cittadini, residenti o domiciliati all’interno del suo territorio (giustifi-cando il prelievo in ragione dell’esistenza di un bene compreso nella massa ereditaria del defunto); sono diverse le misure dell’imposizione ed esse varia-no anche in base al rapporto di parentela esistente tra de cuius e erede. Allo stesso tempo la scelta di tassare i trasferimenti di questa natura con l’imposta sul reddito non è indenne da critiche, sia perché si presta a manovre elusive, sia poiché è percepita come occasione per assoggettare ad imposta una ricchezza già tassata.

Secondo la Commissione, la risoluzione dei problemi legati alla tassazione delle successioni transfrontaliere non richiede necessariamente l’armonizza-zione delle normative degli Stati membri, essendo sufficiente assicurare che le disposizioni interagiscano in modo più coerente, concentrandosi su due spe-cifici ambiti: l’eliminazione della doppia imposizione e la necessità di evitare la discriminazione fiscale.

Quanto al primo ambito, la Commissione – come precisato nella raccoman-dazione

34 emessa unitamente alla comunicazione – ritiene che in considerazio-ne del numero esiguo di convenzioni contro le doppie imposizioni in essere e

32 Commissione Europea, Comunicazione 15 dicembre 2011, COM(2011)864. 33 Austria, Cipro, Estonia, Lettonia, Malta, Portogallo, Romania, Slovacchia e Slovenia. 34 Commissione Europea, Raccomandazione 15 dicembre 2011, C(2011) 8819, relativa

a misure intese a evitare la doppia imposizione in materia di successioni.

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in assenza di particolari iniziative per la sottoscrizione di nuovi trattati, occor-ra concentrarsi sugli strumenti già previsti dalla legislazione interna dei singoli stati, assicurandone un’applicazione più ampia e flessibile.

A questo fine la raccomandazione ritiene opportuno che gli Stati membri provvedano anzitutto al riconoscimento di uno sgravio fiscale per le imposte di successione applicate da un altro Stato membro sui beni immobili situati in tale altro Stato e sui beni mobili che fanno parte dei beni aziendali di una sta-bile organizzazione situati nel secondo Stato.

Con riguardo ai beni mobili diversi, occorre che uno Stato membro con cui né la persona deceduta né l’erede aveva o ha un legame personale si asten-ga dall’applicare imposte di successione, a condizione che tali imposte siano prelevate da un altro Stato membro a motivo del legame personale della per-sona deceduta e/o dell’erede con tale altro Stato.

Nei casi in cui più Stati membri possano prelevare l’imposta di successione sulla base del fatto che la persona deceduta aveva legami personali con uno Stato membro, mentre l’erede ha legami personali con un altro Stato membro, è opportuno che quest’ultimo Stato membro conceda lo sgravio fiscale per l’imposta di successione versata nello Stato membro con cui la persona dece-duta aveva legami personali.

Qualora, sulla base delle disposizioni di Stati membri diversi, si ritenga che una persona abbia un legame personale con più di uno Stato membro di im-posizione, occorre che le autorità competenti degli Stati membri interessati de-terminino, in base alla procedura amichevole prevista dalla stessa raccoman-dazione o in altri modi, quale Stato membro debba concedere lo sgravio fisca-le se l’imposta di successione è applicata in uno Stato con cui la persona ha un legame personale

35 più stretto.

35 Secondo quanto previsto dal punto 4.4.1 della Raccomandazione, il legame personale più stretto di una persona può essere determinato come segue: a) si considera che la persona abbia un legame personale più stretto con lo Stato membro in cui dispone di un’abitazione permanente; b) se lo Stato membro di cui alla lettera a) non applica imposte di successione o se la persona dispone di un’abitazione permanente in più Stati membri, si ritiene che abbia un legame personale più stretto con lo Stato membro con cui le relazioni personali ed eco-nomiche sono più strette (centro degli interessi vitali); c) se lo Stato membro di cui alla let-tera b) non applica imposte di successione o se non è possibile determinare lo Stato membro in cui la persona ha il proprio centro degli interessi vitali, oppure se detta persona non di-spone di un’abitazione permanente in nessuno Stato membro, si ritiene che essa abbia un legame personale più stretto con lo Stato membro in cui è situata la sua dimora abituale; d) se lo Stato membro di cui alla lettera c) non applica imposte di successione o la persona di-spone di una dimora abituale in più di uno Stato membro o in nessuno Stato membro, si ri-tiene che abbia un legame personale più stretto con lo Stato membro di cui ha la nazionalità.

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Tali misure sono volte ad assicurare che l’onere fiscale complessivo di una successione transfrontaliera non sia superiore a quello che sarebbe applicato in una situazione interna in uno o nell’altro degli Stati membri interessati. A questo fine i singoli Stati potranno adottare norme di legge o misure ammini-strative volte all’interpretazione delle disposizioni già vigenti.

Con riferimento, poi, alla necessità di evitare trattamenti discriminatori, i servizi della Commissione hanno predisposto un documento di lavoro

36 che espone i principi fissati dalla giurisprudenza dell’UE in materia, sia per consen-tire agli interessati di conoscere le norme che gli Stati membri devono rispet-tare nell’assoggettare ad imposizione le successioni transfrontaliere, sia per fornire un supporto agli Stati membri per armonizzare le legislazioni in mate-ria di fiscalità successoria.

Oltremodo, sempre nella prospettiva euro-unitaria, va considerato che la comunicazione fa cenno alle eredità comprendenti piccole e medie imprese o comunque alle ipotesi nelle quali la massa comprenda beni aziendali. In que-sto caso, le imposte sulle successioni, oltre che uniformarsi al principio di non discriminazione devono essere rispettose del divieto di aiuti di Stato (art. 107 TFUE), con la conseguenza che non è possibile concedere un vantaggio selet-tivo sotto forma di trattamento differenziato dell’imposta di successione.

Da ultimo, va considerato che alla comunicazione e alla contestuale racco-mandazione della Commissione ha fatto seguito l’adozione di un regolamen-to

37 con cui sono stati disciplinati gli aspetti più problematici delle successioni internazionali, ma attinenti esclusivamente ai profili civilistici degli istituti con-nessi. Il regolamento stesso prevede espressamente la propria inapplicabilità alla materia fiscale, spettando alla legislazione nazionale il compito di determi-nare le modalità di calcolo e di versamento delle imposte e degli altri tributi do-vuti per la successione, stabilire se dette imposte siano a carico del defunto al momento della morte e se vi siano ulteriori tasse da riscuotere dal patrimonio ereditario o dai beneficiari, nonché disporre la soggezione ad imposta dell’iscri-zione di beni della successione in un registro pubblico (come quello immobi-liare).

36 Commissione Europea, Documento di lavoro 15 dicembre 2011, C(2001)1490. 37 Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, 4 luglio 2012, n. 650/2012, in

GUUE L 201 del 27 luglio 2012, relativo alla competenza, alla legge applicabile, al ricono-scimento e all’esecuzione delle decisioni e all’accettazione e all’esecuzione degli atti pubblici in materia di successioni e alla creazione del certificato successorio europeo.

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Andrea Quattrocchi 467

1.4. Il (problematico) accertamento dei beni esistenti all’estero

Come è stato osservato dalla dottrina 38, l’eventualità che il relictum com-

prenda beni esistenti all’estero comporta significative difficoltà dell’Ammini-strazione Finanziaria italiana con riguardo all’accertamento del valore dei be-ni ivi situati, soprattutto qualora non sussistano apposite convenzioni interna-zionali [fermo restando che solo alcune di esse (USA, Grecia e Israele)

39 pre-vedono espressamente l’assistenza reciproca e lo scambio di informazioni].

Al riguardo, già nel vigore della normativa precedente (D.P.R. n. 637/1972) il Ministero

40 aveva segnalato di non possedere strumenti per accertare l’esi-stenza o il valore dei beni siti all’estero, con la conseguenza che l’Amministra-zione avrebbe dovuto rimettersi alle dichiarazioni presentate dagli interessati salvi i casi nei quali, ricorrendo “particolari circostanze”, gli Uffici ritenessero di volersi rivolgere «con motivata o particolareggiata richiesta, alle Autorità consolari italiane».

Notevoli criticità derivano dallo stesso tentativo di applicare ai beni siti all’estero le modalità di stima dei beni immobili e dei diritti reali immobiliari, i cui criteri di valutazione sono contenuti all’interno dell’art. 14 del decreto e le cui rettifiche sono disciplinate dall’art. 34. Invero, l’Ufficio difficilmente po-trebbe reperire dati riguardanti i trasferimenti a qualsiasi titolo, divisioni e peri-zie giudiziarie anteriori di non oltre tre anni dalla data di apertura della suc-cessione, che abbiano avuto ad oggetto gli immobili di cui trattasi o beni aven-ti caratteristiche analoghe, o di determinare il reddito netto degli immobili te-nendo conto del mercato immobiliare della località di riferimento. Senza dub-bio l’ausilio di strumenti informatici consente all’Ufficio, diversamente dal pas-sato, di conoscere i mercati delle aree di maggior rilievo, ma l’impossibilità di effettuare sopraluoghi ne rende incerto l’utilizzo a scopo probatorio.

A ciò si aggiunga che gli stessi contribuenti sarebbero impossibilitati a gio-varsi del criterio di “valutazione automatica” previsto dall’art. 38, comma 5, D.Lgs. n. 346/1990, in mancanza di una iscrizione catastale del bene.

Ne consegue, in definitiva, che salve le ipotesi in cui il bene sia stato stimato in accordo con l’Amministrazione fiscale straniera o comunque sussista un va-lore di riferimento dichiarato nello Stato estero, il valore indicato nella denun-

38 PURI-DENORA, I criteri di collegamento territoriale nell’imposta sulle successioni e donazio-ni, in CONSIGLIO NAZIONALE DEL NOTARIATO, Studio n. 194-2009/T, p. 4.

39 V. art. 6, Convenzione Italia-Stati Uniti d’America; art. 16, Convenzione Italia-Grecia; art. 7, Convenzione Italia-Israele.

40 Min. Fin., Circolare 10 gennaio 1973, n. 5, Prot. n. 313168.

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cia di successione potrà essere rettificato, in via ordinaria dal fisco italiano – dunque al di fuori delle particolari circostanze che legittimano la richiesta all’Autorità consolare – ricorrendo a riscontri la cui attendibilità è suscettibile di essere posta in discussione in sede giurisdizionale.

2. Principio di territorialità e libera circolazione dei capitali in ambito UE: de-ducibilità delle passività ereditarie

Di notevole interesse risulta la verifica della rilevanza, ai fini della determi-nazione della base imponibile, dei debiti correlati alla massa ereditaria oggetto della tassazione estera.

È stato osservato 41 che poiché l’art. 2, D.Lgs. n. 346/1990 non esclude

espressamente la deducibilità, sia possibile applicare all’eredità, ovunque con-seguita, le norme che stabiliscono la deduzioni dei pesi e delle obbligazioni caduti in successione, ferme restando le difficoltà operative che possano even-tualmente sorgere in ragione della necessità che l’erede disponga della relativa documentazione probatoria della sussistenza dell’obbligazione e della possibi-lità che in base all’ordinamento straniero essa possa essere dedotta dalla mas-sa tassata nello Stato estero.

Il tema della deducibilità di debiti gravanti su beni oggetto di successione è stato affrontato dalla Corte di Giustizia, in considerazione della possibilità di applicare a questa materia le disposizioni sulla libera circolazione dei capitali di cui all’art. 56 del Trattato CE.

In proposito la Corte ha anzitutto ricordato che allo scopo di colmare la mancata definizione, nell’ambito del Trattato CE, della nozione di “movi-menti di capitali”, è possibile richiamare la nomenclatura allegata alla Diretti-va n. 88/361/CEE (adottata in base agli artt. 69 e 70 del Trattato CE, abroga-ti dal Trattato di Amsterdam), riconoscendo ad essa valore indicativo e non esaustivo. Le successioni, intese come trasferimento agli eredi della proprietà di beni e diritti rientranti nel patrimonio di una persona deceduta, rientrano tra i “movimenti di capitale a carattere personale” di cui al titolo XI del sud-detto allegato alla Direttiva n. 88/361, e come tali ricadono nell’ambito di ap-plicazione dell’art. 56 del Trattato CE, salvo qualora gli elementi che costitui-scono il patrimonio oggetto di devoluzione ereditaria si trovino all’interno di un solo Stato membro

42.

41 CERNIGLIARO, Commento all’art. 2, cit., p. 1157. 42 Corte di Giustizia, 23 febbraio 2006, in causa C-513/03, p.to 42.

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In linea generale – statuisce la Corte 43 – le disposizioni nazionali che de-

terminano il valore di un bene immobile ai fini dell’imposta sulle successioni non solo possono incidere sulle scelte dei singoli di acquistare o meno beni ubicati nello Stato membro interessato, ma possono avere l’effetto di diminui-re il valore della successione di un residente di uno Stato membro diverso da quello in cui sono situati i beni di cui trattasi. Sotto questo profilo, tra le misu-re vietate dall’art. 56 n. 1 del Trattato CE, costituenti restrizioni ai movimenti di capitali, rientrano le disposizioni che diminuiscono il valore della successio-ne di un residente di uno Stato membro diverso da quello in cui sono ubicati i beni e che assoggetta i medesimi all’imposta sulla successione. Per l’ordina-mento di uno Stato membro, dunque, non è possibile riservare ai soli residen-ti la deducibilità di debiti gravanti sul bene immobile oggetto di tassazione. Una disposizione di questo genere, determinando l’applicazione di un’impo-sta sul trasferimento più elevata rispetto a quella che sarebbe risultata dovuta se la persona di cui si è aperta la successione fosse stata, al momento del de-cesso, residente nello stesso Stato in cui è sito il bene, implica una restrizione dei movimenti di capitali, diminuendo il valore di una successione che includa il bene suddetto, in ragione, per l’appunto, del maggior onere fiscale.

Secondo la Corte, la legittimità di un diverso regime di deducibilità, tra re-sidenti e non residenti, dei debiti gravanti su beni immobili, non è né la natu-rale conseguenza della coesistenza di sistemi fiscali nazionali

44 – né si presta ad essere giustificata sulla considerazione che solo lo Stato di residenza debba tener conto, nel calcolo dell’imposta sulle successioni, di tutti gli elementi (at-tività e passività), di beni mobili o immobili; tali argomenti non sono rilevanti poiché la diminuzione del valore della successione deriva direttamente dall’ap-plicazione della norma interna che determina la restrizione.

La Corte di Giustizia 45 ha altresì esaminato la possibilità che la disposizio-

ne che riserva la deducibilità dei debiti alle successioni dei soli soggetti resi-denti possa essere giustificata ai sensi dell’art. 58 del Trattato CE, secondo cui, come è noto, l’art. 56 non pregiudica il diritto degli Stati membri di appli-care le pertinenti disposizioni della loro legislazione tributaria in cui si opera una distinzione tra i contribuenti che non si trovano nella medesima situazio-ne per quanto riguarda il loro luogo di residenza o il luogo di collocamento del loro capitale. Fermo restando che costituendo deroga rispetto al principio generale di cui all’art. 56, l’art. 58 va interpretato restrittivamente, esso preve-

43 Corte di Giustizia, 11 settembre 2008, in causa C-43/07, p.to 36. 44 Corte di Giustizia, 17 gennaio 2008, in causa C-256/06, p.to 34. 45 Corte di Giustizia, 11 settembre 2008, in causa C-11/07, p.to 55 Eckelkamp.

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de, al terzo paragrafo, che le disposizioni nazionali non devono costituire un mezzo di “discriminazione arbitraria”, né una restrizione dissimulata al libero movimento dei capitali.

Per distinguere i trattamenti diseguali legittimati dall’art. 58, par. 1 dalle di-scriminazioni arbitrarie di cui al terzo paragrafo dell’art. 58, occorre, per giuri-sprudenza consolidata, che la differenza di trattamento riguardi situazioni non oggettivamente paragonabili o sia giustificata da motivi imperativi di interesse generale.

Quanto alla possibilità di paragonare le due situazioni, essa è indubitabile, poiché l’unica differenza riscontrabile nella modalità di tassazione del bene immobile è l’indeducibilità del debito se l’immobile rientra nella successione di un non residente. Di conseguenza, se una normativa nazionale pone sullo stes-so piano, ai fini dell’imposizione su di un bene immobile acquistato per succes-sione e sito nello Stato membro interessato, gli eredi di una persona che, al momento del suo decesso, era qualificata come residente e quelli di un soggetto che, nello stesso momento, era non residente, la suddetta normativa non può, salvo creare discriminazioni, trattare tali due categorie di eredi, nell’ambito del-la medesima imposta, in modo diverso in ordine alla deducibilità degli oneri che gravano il bene immobile in questione. Trattando in modo identico, salvo che relativamente alla deduzione dei debiti, le successioni di tali due categorie di soggetti, ai fini delle imposte sulle successioni, il legislatore nazionale ha, infatti, ammesso che tra le due non sussiste, per quanto riguarda le modalità e i presupposti di detta tassazione, alcuna differenza di situazione oggettiva che possa giustificare una disparità di trattamento.

Sul fronte della giustificazione dell’indeducibilità per ragioni di interesse generale, nel richiamato caso Eckelkamp viene esaminata la possibilità di ne-gare la deduzione nello Stato di ubicazione dell’immobile in ragione della pre-visione del riconoscimento della rilevanza fiscale della passività in quello di re-sidenza del de cuius, onde evitare la doppia deduzione, ciò che, per giurispru-denza precedente va evitato

46. Sul punto, tuttavia, la Corte di Giustizia è molto netta, sia perché esclude

che un cittadino europeo possa essere privato della possibilità di avvalersi del-le disposizioni del Trattato perché approfitta dei vantaggi fiscali legalmente of-ferti dalle norme in vigore in uno Stato membro diverso da quello in cui risie-de

47, sia perché una tale eventualità si presta ad essere risolta sulla base di ac-cordi per evitare la doppia imposizione in materia di imposte successorie. In

46 Corte di Giustizia, 13 dicembre 2005, in causa C-446/03. 47 Corte di Giustizia, 11 dicembre 2003, in causa C-364/01, p.to 71.

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ultima analisi, lo Stato membro di ubicazione dell’immobile non può giustifi-care una restrizione alla libera circolazione dei capitali derivante da una sua norma interna, avvalendosi dell’esistenza di una possibilità, indipendente dal-la sua volontà, di concessione di un credito d’imposta da parte di un altro Sta-to membro (quello di residenza del de cuius), credito che potrebbe compen-sare in tutto o in parte il danno subito dagli eredi a fronte dell’indeducibilità della passività immobiliare

48. Infatti, uno Stato membro non può invocare l’esistenza di un vantaggio concesso unilateralmente da un altro Stato mem-bro, nel caso di specie dallo Stato membro di residenza del defunto, per sot-trarsi agli obblighi ad esso incombenti in forza del Trattato

49. Tra le passività rilevanti secondo la giurisprudenza euro-unitaria rientrano

sia i debiti personali garantiti da ipoteca iscritta sull’immobile oggetto di tas-sazione

50, sia l’obbligo di corrispondere in contanti il valore delle quote eredi-tarie

51, sia la sussistenza di un obbligo incondizionato che imponga al titolare del diritto reale di cederlo ad un’altra persona che abbia già la proprietà eco-nomica del bene

52. Occorre da ultimo segnalare che in applicazione del principio in base al

quale l’art. 56 del Trattato CE vieta non solo le restrizioni ai movimenti di ca-pitali tra Stati membri ma anche quelle tra Stati membri e paesi terzi, la Corte di Giustizia ha avuto modo di censurare il riconoscimento, in favore di un soggetto residente in Svizzera, erede di contribuente anch’egli ivi residente e titolare di un bene immobile in Germania, della deduzione dalla base imponi-bile in misura inferiore alla deduzione applicabile nel caso in cui almeno uno dei due fosse stato residente in Germania al momento del decesso.

48 Corte di Giustizia, in causa C-11/07, cit., p.to 68. 49 Corte di Giustizia, 8 novembre 2007, in causa C-379/05, p.to 78. 50 Corte di Giustizia, in causa C-11/07, cit., p.to 15. 51 Corte di Giustizia, in causa C-43/07, cit., p.to 16. 52 Cote di giustizia, causa C-364/01, cit. è relativa ad un caso olandese riguardante

l’eredità immobiliare di una persona fisica (Barbier). Tale soggetto, dopo aver acquistato la proprietà di alcuni beni immobili mediante prestito ipotecario, aveva ceduto la proprietà economica – istituto previsto dal diritto olandese – dei medesimi beni ad alcune società pri-vate. Queste ultime avrebbero sfruttato economicamente i beni a fronte dell’assunzione del debito bancario, rimanendo comunque iscritta l’ipoteca. A fronte di questa operazione, il Barbier si era riservato di cedere il diritto reale immobiliare in un secondo momento, ma tale obbligo, non perfezionatosi per la sopravvenuta morte dell’interessato, era stato trasmes-so all’erede.

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3. La successione del de cuius non residente in Italia

Se alla data dell’apertura della successione il de cuius non risulti residente in Italia, l’imposizione sarà limitata ai beni e diritti quivi esistenti di cui egli sia titolare (art. 2, comma 2, D.Lgs. n. 346/1990).

Il successivo comma 3 della medesima disposizione detta alcune regole per la configurabilità dell’esistenza del bene nel territorio dello Stato

53, esistenza che va verificata al momento della chiamata ereditaria e non a quello dell’ac-cettazione dell’erede

54. Secondo la dottrina

55 l’elencazione non è tassativa e non si presta ad essere considerata presuntiva, poiché i beni e i diritti ivi previsti presentano tutti un collegamento oggettivo con il territorio.

La disposizione attribuisce rilievo, anzitutto, all’iscrizione in pubblici regi-stri dello Stato dei beni e dei diritti, compresi quelli reali di godimento, fatti-specie dunque riferibile a beni immobili e mobili registrati (lett. a).

Quanto ai titoli rappresentativi della partecipazione al capitale o al patri-monio di società ed enti, le relative azioni o quote sono considerate esistenti se in Italia risulta collocata la sede legale o la sede di amministrazione o l’og-getto principale della società (lett. b)

56. La giurisprudenza della Suprema Cor-te

57 si è pronunciata sulla possibilità di considerare esistenti in Italia le azioni o quote di società costituite all’estero (azioni di cui era titolare un de cuius non residente in Italia) per il fatto che la società estera controllasse una società ita-liana. La Cassazione ha ritenuto non esistenti in Italia le azioni di cui trattasi sul presupposto che l’art. 6 della Convenzione Italia-Svizzera (1976) esclude che il rapporto di controllo costituisca motivo sufficiente per far considerare una qualsiasi delle dette società una stabile organizzazione dell’altra.

Lo stesso criterio della sede è seguito per verificare l’esistenza dei titoli di debito o diversi [obbligazioni e altri titoli in serie o di massa diversi dalle

53 Al riguardo v. BENAZZI, L’imposta di successione, in Trattato di diritto delle successioni e donazioni, tomo V, La successione mortis causa nel diritto processuale civile, fallimentare, del la-voro, internazionale privato, penale, processuale penale e tributario, diretto da Bonilini, Milano, 2009, p. 338.

54 Così CERNIGLIARO, Commento all’art. 2, cit., p. 1157. 55 In tal senso BOSELLO, L’imposta sulle successioni e donazioni, in Trattato di diritto tribu-

tario, IV, I tributi in Italia, diretto da Amatucci, Padova, 1994, p. 199. 56 Attribuendo rilievo alla sede legale o amministrativa della società partecipata, il legisla-

tore ha abbandonato il criterio oggettivo che attribuiva rilievo al luogo in cui si trovassero le azioni, cosicché oggi esse sono considerate esistenti in Italia anche se detenute all’estero.

57 Cass., 11 giugno 2007, n. 13579.

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azioni, lett. c)], cosi come per crediti, cambiali, vaglia cambiari e assegni di ogni tipo occorre verificare se il debitore, il trattario o l’emittente siano residenti nel territorio dello Stato (lett. e). Nel caso in cui i titoli o i crediti siano riferiti a (in quanto rappresentativi di o garantiti da) merci esistenti nel territorio ita-liano, i titoli e i crediti si considerano esistenti a prescindere dalla residenza del debitore. La disposizione si chiude considerando esistenti i beni viaggianti in territorio estero con destinazione nello Stato e quelli vincolati al regime di esportazione temporanea, e con l’esclusione, a rovescio, dei beni destinati allo Stato estero o vincolati alla temporanea importazione, poiché i beni devono trovarsi nel territorio dello Stato non in modo occasionale e precario ma in ragione di un atto di destinazione loro impresso dal defunto.

Specifiche considerazioni vanno dedicate alle modalità con le quali va veri-ficata la sussistenza, in Italia, di azienda di soggetto non residente. In proposi-to, è stato osservato che tale verifica vada svolta avendo riguardo al luogo in cui si trovano gli elementi costitutivi dell’azienda. Per quanto essa sia conside-rata unitariamente dal legislatore tributario, è ben possibile che possa essere riscontrato un vincolo aziendale anche quando i beni che compongono il complesso siano localizzati in ambiti geografici distinti.

In questo caso una parte della dottrina propende per l’applicazione di un criterio di tipo quantitativo, con la conseguenza che l’azienda si riterrà esistente nel territorio dello Stato nel quale vi sia una prevalenza degli elementi mate-riali

58. Secondo altrettanto autorevole opinione

59, l’azienda può dirsi esistente nel territorio dello Stato nel quale risultano localizzati le sue componenti funzio-nalmente più rilevanti.

La giurisprudenza di legittimità 60 ha altresì avuto modo di pronunciarsi

sull’inapplicabilità, in caso di tassazione della successione del non residente per i beni esistenti in Italia, dell’art. 9, comma 2, D.Lgs. n. 346/1990, secondo cui nell’attivo ereditario si presumono compresi denaro, gioielli e mobilia per un importo pari al dieci per cento del valore globale netto imponibile dell’asse ereditario. A tale soluzione la Corte perviene sia valorizzando il dato testuale – perché il richiamo ad una percentuale calcolata sul “valore globale netto im-

58 GAFFURI, L’imposta sulle successioni e donazioni, cit., p. 225, secondo cui l’iscrizione di alcune componenti aziendali in pubblici registri italiani proverebbe l’appartenenza dell’inte-ra azienda al territorio nazionale. Analogamente, CERNIGLIARO, Commento all’art. 2, cit., p. 1158.

59 FEDELE, Territorialità dell’imposta, cit., p. 619. 60 Cass., 10 aprile 2006, n. 8346; Id., 26 luglio 1994, n. 6955.

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ponibile dell’asse ereditario” non può che riferirsi al complessivo patrimonio relitto, non potendosi applicare tale definizione a singoli cespiti – sia per ra-gioni di interpretazione sistematica, evidenziando come nel caso di residenti all’estero il presupposto della tassabilità sia costituito dall’esistenza dei beni nel territorio dello Stato definita da puntuali criteri di collegamento che li conno-tano con un preciso “attributo di realtà non risolubile in una fictio iuris” quale è quella derivante da una presunzione, e come una diversa interpretazione non sarebbe logicamente (e costituzionalmente) sostenibile, posto che, essendo la presunzione di possesso di beni mobili necessariamente collegata ad una di-mora abituale, la tipologia di buona parte delle attività tassabili in quanto con-siderate esistenti nello Stato esclude che possa da queste presumersi una qual-che forma di effettiva presenza della persona nel territorio italiano ricollegabi-le al possesso dei beni mobili oggetto della presunzione.

Essendo soggetta ad imposizione, la successione del non residente, pur se limitata ai beni e ai diritti quivi esistenti, richiede l’adempimento di obblighi dichiarativi del tutto analoghi a quelli previsti in caso di residenza italiana del defunto

61.

4. I criteri di collegamento relativi alle donazioni

Anche in relazione alle donazioni, ai sensi dell’art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 346/1990, l’imposta è dovuta, in linea generale, in relazione a tutti i beni e di-ritti trasferiti, ancorché esistenti all’estero. Qualora viceversa (art. 2, comma 2) il donante non sia residente nel territorio dello Stato, l’imposta è dovuta limitatamente alle donazioni aventi ad oggetto beni e ai diritti esistenti in Ita-lia. La disposizione va ovviamente letta in combinato disposto con l’art. 55,

61 In proposito, quanto all’ufficio competente a ricevere la dichiarazione di successione relativa ai beni siti in Italia, è stato ricordato (DENORA-PURI, op. cit., par. 2.1), che l’art. 6, D.Lgs. n. 346 prevede, in termini generali, che competente per l’applicazione dell’imposta sulle successioni è l’ufficio del registro nella cui circoscrizione era l’ultima residenza del de-funto o, se questa era all’estero o non è nota, l’Ufficio del registro di Roma. Tale disposizione, pur non formalmente abrogata, è stata modificata parzialmente dall’art. 15, L. n. 383/2001, se-condo cui «nel caso in cui il defunto era residente all’estero, l’ufficio finanziario competente a ricevere la dichiarazione di successione è quello nella cui circoscrizione era stata fissata l’ul-tima residenza italiana; se quest’ultima non è conosciuta, l’Ufficio competente è quello di Ro-ma». L’Amministrazione Finanziaria (Agenzie Entrate, Circolare 18 ottobre 2001, n. 91/E) ha confermato la prevalenza della norma più recente, per cui in caso di successione di non residen-te la dichiarazione va presentata presso l’ufficio nella cui circoscrizione era l’ultima residenza del defunto, o, se questa non è conosciuta, presso uno specifico ufficio in Roma.

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secondo cui gli atti di donazione sono soggetti a registrazione secondo le di-sposizioni del D.P.R. n. 131/1986 previste per la registrazione degli atti in ter-mine fisso

62. In proposito, è stato osservato

63 che il collegamento tra imposta sulle do-nazioni e imposta di registro

64 determina, sul tema della territorialità, un’in-fluenza dei criteri valevoli per quest’ultima, ai fini dell’attuazione, e non sull’e-stensione, della prima. Ed invero, ai fini del registro rileva anzitutto la forma-zione dell’atto in Italia ovvero la circostanza che un atto formato all’estero ab-bia ad oggetto beni siti nel nostro territorio.

Nel sistema dell’imposta anteriore alle modifiche del 2000, gli atti formati all’estero, in linea di principio, erano irrilevanti fin quando estranei all’ordina-mento interno. Tale estraneità sarebbe venuta meno nel caso in cui l’interes-sato avesse voluto far valere in Italia l’atto estero (caso d’uso) ovvero quando il medesimo fosse enunciato in un atto interno; in entrambe queste ipotesi l’atto estero sarebbe divenuto soggetto ad imposizione alla stregua degli atti interni

65. Secondo la medesima dottrina, dalla combinazione dei criteri della residenza del donante e del luogo di formazione dell’atto scaturivano, anterior-mente al 2000, le seguenti ipotesi: i) atto formato in Italia e donante residente in Italia: soggetto a registrazione, tassazione (ai fini dell’imposta sulle donazio-ni) di tutti i beni donati, ovunque situati; ii) atto formato in Italia e donante residente all’estero: obbligo di registrazione ed imposta sulle donazioni applica-ta solo ai beni siti in Italia; iii) atto di donazione formato all’estero e donante residente in Italia: soggetto a registrazione solo ove avente ad oggetto immo-bili o aziende esistenti in Italia, ma soggetto all’imposta sulle donazioni in re-lazione ad ogni bene e diritto donato, in Italia o all’estero.

Nel vigore della normativa ante 2000, la previsione universalistica di cui al comma 1, ricalcata sul sistema delle imposte personali sul reddito, suscitava notevoli perplessità relativamente all’atto formato in Italia avente ad oggetto

62 Sul tema v. FEDELE, Le innovazioni nella legge n. 342 del 2000, Le definizioni della ratio del tributo. I rapporti con l’imposta di registro, in AA.VV., L’imposta sulle successioni e donazioni tra crisi e riforme, cit., p. 62; PISTONE, op. cit., p. 360 ss.

63 V. SACCHETTO, La donazione nel diritto tributario, in Riv. dir. trib., 1999, I, pp. 1013-1014. 64 Sul tema si rinvia a BOSELLO, L’imposta sulle successioni e donazioni, cit., p. 213; RUG-

GIERO, Commento sub art. 60, in D’AMATI (a cura di), Commento al Testo Unico delle imposte sulle successioni e donazioni, Padova, 1996, p. 476.

65 V. SACCHETTO, La donazione nel diritto tributario, cit., p. 1013, che scrive: «Si può altresì rilevare che, per effetto dell’applicabilità dell’istituto della imponibilità degli atti enunciati, an-che in caso di donazione di atti non registrati, assumeranno rilevanza fiscale anche le donazioni “nulle” o “informali” poste in essere in difetto dei requisiti formali imposti dalla legge».

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beni stranieri, atto che non avrebbe potuto avere, come tale, effetto nell’ordi-namento estero, urtando contro i principi del diritto internazionale relativi al-la sovranità statale. Come si è già argomentato in relazione all’imposta sulle successioni, qualora il legislatore avesse inteso introdurre un’assimilazione cor-retta tra imposte sul reddito e imposta su successioni e donazioni, avrebbe do-vuto assumere, quale criterio scriminante tra fatti rilevanti ed irrilevanti a fini impositivi, il criterio della residenza del beneficiario; in questa ipotesi, non vi sarebbe stata violazione del diritto internazionale, poiché in nessun caso il do-natario straniero può essere tassato per una donazione avente ad oggetto beni siti all’estero, ancorché l’atto sia posto in essere in Italia

66. Potrebbe esser stato animato da questo spirito il legislatore del 2000, che

ha introdotto il comma 1 bis all’art. 55 del T.U. sulle donazioni 67. La novella

ha imposto l’obbligo di registrazione in termine fisso degli atti aventi ad oggetto donazioni dirette o indirette, formati all’estero in favore di beneficiari residen-ti nel territorio dello Stato.

Tale disposizione, come sottolineato dalla dottrina 68, va letta in una pro-

spettiva di integrazione del presupposto territoriale, coordinandone il dispo-sto con i criteri già esistenti ex art. 2. La norma in esame è volta ad assicurare che la tassazione si applichi a tutti gli atti formati all’estero da parte di soggetti residenti e non residenti, atti che, pur beneficiando un soggetto residente, si presterebbero, in un sistema ancorato all’imposta di registro, a sfuggire ad im-posizione in quanto non formati nel territorio dello Stato.

Poiché, tuttavia, della nuova norma, come detto, si propugna una natura integrativa del presupposto e non sostitutiva, si dubita che essa, di per sé, pos-sa essere letta a contrario, come se la sua ratio fosse quella di sottrarre alla pre-visione universalistica le donazioni effettuate, con atto formato all’estero, da un soggetto residente in Italia, in favore di un donatario non residente, quantun-que aventi ad oggetto beni siti all’estero

69.

66 V. GAFFURI, L’imposta sulle successioni e donazioni, cit., p. 219. Del resto, una corretta applicazione del principio di territorialità [v. SACCHETTO, (voce) Territorialità (dir. trib.), in Enc. dir., XLIV, 1992, p. 305] deve garantire la neutralità fiscale internazionale e l’equità in senso verticale (in capo al singolo).

67 La disposizione è stata introdotta dall’art. 69, comma 1, lett. n), L. 21 novembre 2000, n. 342, applicabile alle donazioni contenute in atti stipulati a partire dall’1 gennaio 2001. È stato sostenuto che oltre a possedere natura procedurale – ciò che, in linea di principio, ne avrebbe consentito l’applicazione per periodi d’imposta precedenti – essa abbia probabilmente concorso alla definizione del presupposto impositivo, di talché si potrebbe sostenere che es-sa non fosse applicabile a fattispecie perfezionatesi anteriormente.

68 In questo senso FRANSONI, La territorialità nel diritto tributario, Milano, 2004, p. 350. 69 FRANSONI, op. cit., p. 350 ritiene infatti che dal coordinamento dell’art. 55, comma 1 bis

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Andrea Quattrocchi 477

Allo stato attuale della legislazione, dunque, l’impressione è che abbiano ancora fondamento le critiche mosse al sistema dell’imposta sulle donazioni anteriormente al 2000 in punto di violazione del diritto internazionale con ri-guardo alla mancata espressa valorizzazione della residenza del beneficiario a fini impositivi.

Nel nostro ordinamento, come è noto, il soggetto passivo del tributo è il donatario, poiché è questi, avendo beneficiato di un’attribuzione patrimoniale a titolo gratuito, a manifestare una capacità contributiva. Sotto questo profilo, considerando soggetto passivo il non residente, tanto più in relazione a beni collocati all’estero, l’ordinamento italiano rischia di esercitare una potestà im-positiva che va oltre il criterio territoriale (localizzazione del bene) e quello della residenza (del soggetto che manifesta capacità contributiva) e che di per sé non sembra possa trarre giustificazione dalla residenza in Italia del donante.

Non sembra esservi dubbio, comunque, che l’art. 55, comma 1 bis presup-ponga la formazione di un “atto”, una scrittura che enunci una donazione; ri-mane aperta, viceversa, la questione relativa alla tassabilità della donazione in-diretta (non formalizzata).

5. Bonifico estero, residenza del beneficiario e liberalità indirette

Di notevole interesse risulta il tema della soggezione, all’imposta sulle do-nazioni, delle attribuzioni patrimoniali in denaro di provenienza estera in as-senza di atti formali di donazione.

Al riguardo, occorre anzitutto ricordare che l’art. 782 c.c. impone che, a pena di nullità, la donazione sia fatta con atto pubblico, forma che ovviamente non ricorre nel caso di mero ordine, inoltrato dal cliente alla propria banca, di trasferimento di somme mediante bonifico (dall’estero o interno), fattispecie con l’art. 2 si delinea un quadro in base al quale sono assoggettate a tassazione in Italia: i) le donazioni a favore di soggetti residenti relative a beni ovunque esistenti; ii) quelle effettuate da un donante residente relative a beni ovunque esistenti; iii) le donazioni formate con atto scritto in Italia, relative a beni quivi esistenti qualora né il donante né il donatario siano resi-denti. Secondo FEDELE, Le innovazioni nella legge n. 342 del 2000, cit., p. 80, viceversa, il comma 1 bis limiterebbe la tassazione ai soli beni esistenti in Italia. Tale limitazione, in effetti, po-trebbe farsi discendere, a mio avviso, dalla previsione della detrazione per le imposte pagate all’estero in relazione ai beni ivi esistenti. Secondo MASTROIACOVO, Beni immobili pervenuti per successione e donazione, in Corr. trib., 2007, p. 1866, «in caso di donazioni dirette o indi-rette di beni mediante atto formato in Italia ai fini dell’applicazione dell’imposta non rileva la residenza del beneficiario, mentre qualora la donazione sia disposta con atto formato all’e-stero la registrazione sarà dovuta solo qualora sia il donante che il beneficiario siano residenti».

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che in tal modo, sempreché sottenda un intento donativo, si presterebbe ad essere qualificata, sotto il profilo privatistico, come donazione nulla

70. Ciò premesso, va osservato che il bonifico di denaro non costituisce “atto”

in senso tecnico, e non si presta ad essere registrato 71, nemmeno quando sia

effettuato in Italia. Questa prima considerazione produce notevoli riflessi sotto il profilo tri-

butario, dal momento che l’imposta sulle donazioni possiede, come rilevato in dottrina

72, natura di “imposta d’atto”, atto da intendersi sia come contenuto della gestione negoziale, sia come lo scritto che la contiene

73. Dal momento che l’art. 55, D.Lgs. 346/1990 prevede che gli atti di donazio-

ne siano soggetti a registrazione secondo le disposizioni del D.P.R. n. 131/1986 concernenti gli atti da registrare in termine fisso, la liberalità a contenuto patri-moniale è soggetta all’obbligo di registrazione quando e se la relativa legge as-soggetta l’atto a tassazione (registro).

L’imposta di registro si applica agli atti scritti e al contratto verbale enun-ciato in altro atto soggetto alla registrazione. Di conseguenza, il trasferimento gratuito è tassabile, ai fini dell’imposta sulle donazioni qualora, in alternativa: i) esso sia stato stipulato in forma scritta; in tal caso, la registrazione è obbli-gatoria in termine fisso ed è quindi dovuta anche l’imposta sulle donazioni; ii) qualora, ancorché non dipenda da atto pubblico o da scrittura privata, sia e-nunciato in altro atto registrato.

In questo quadro, i trasferimenti liberali stipulati in forma non scritta sono ritenuti tassabili nei casi in cui sia obbligatoria la registrazione dell’atto verba-le. Questa impostazione sarebbe confermata dai meccanismi di accertamento

70 In realtà, tale profilo potrebbe ritenersi rilevante solo in linea di principio. Ed invero, il carattere generale del rinvio operato dall’art. 60, D.Lgs. n. 346/1990 alle norme sull’imposta di registro rende applicabile, agli atti liberali, l’art. 38, D.P.R. n. 131/1986, secondo cui la nulli-tà dell’atto non dispensa dall’obbligo di registrazione (essendovene le condizioni) e pagare l’imposta, salvo il rimborso dell’eccedenza, rispetto alla misura fissa, qualora la nullità, che co-munque non dipenda dalle parti, sia dichiarata con sentenza passata in giudicato e l’atto non si presti ad essere convertito. Sull’applicabilità di tale disposizione alle donazioni v. GAFFURI, L’imposta sulle successioni e donazioni, cit., pp. 128-129.

71 Si rammenta che l’unico caso di ordine di pagamento soggetto a registrazione (in caso d’uso) è quello relativo ai mandati e agli ordini di pagamenti sulle casse di pubbliche ammi-nistrazioni (art. 8, Tariffa, parte seconda T.U. del Registro).

72 V. GAFFURI, L’imposta sulle successioni e donazioni, in UCKMAR (a cura di), L’evoluzione dell’ordinamento tributario italiano, Padova, 2000, p. 445.

73 Così UCKMAR, La legge del registro, Padova, 1958, I, p. 135 ss.; l’imposta ha seguito la sorte del tributo di registro, nel cui ambito erano tassate le liberalità (v. UCKMAR-DOMINICI, (voce) Registro (imposta di), in Noviss. Dig. it., App., 1986, VI, p. 550.

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Andrea Quattrocchi 479

e riscossione dell’imposta, destinati a delimitare le ipotesi nelle quali, indipen-dentemente dalla forma, si prestano ad essere tassati i trasferimenti liberali, anche perché «La selezione degli atti soggetti al tributo attuata in riferimento alla loro forma cancella l’illusione finanziaria di poter tassare tutta la ricchezza gratuitamente conseguita dal soggetto, anche se il trasferimento avvenga in modo del tutto incontrollabile sul piano pratico»

74. La necessaria ricorrenza di un atto è ancor oggi un punto fermo della rein-

trodotta disciplina anche grazie al tenore letterale dell’art. 1, comma 79, L. 27 dicembre 2006, n. 296 che nel fissare la vigenza della “nuova” imposta su do-nazioni e atti gratuiti si riferisce «(...) agli atti pubblici formati, agli atti a titolo gratuito fatti, alle scritture private autenticate e alle scritture private non au-tenticate presentate per la registrazione a decorrere dalla data di entrata in vi-gore della presente legge».

Da quanto precede si trae che ai fini della tassazione in Italia delle donazio-ni formate all’estero

75, la lettura dell’art. 55, comma 1 bis presuppone che ri-corra un “atto”, anche non nella forma dell’atto pubblico; sotto questo aspetto il sistema dell’imposta di registro prescinde dalla nullità o meno dell’atto (art. 38, D.P.R. n. 131/1986).

Sennonché, l’ordine di bonifico o l’attestato di esecuzione del medesimo non integrano, a mio avviso, un “atto” in senso tecnico, poiché il bonifico è so-lo uno strumento di estinzione dell’obbligazione pecuniaria

76 qualificabile co-me un (non formalizzato) negozio giuridico unilaterale di delegazione di paga-mento

77 a seguito del quale non è richiesto alla banca di assumere alcuna ob-bligazione direttamente nei confronti del terzo

78. Nella realtà delle cose, del resto, il delegante dispone l’attribuzione patrimoniale sulla base di un “titolo

74 V. GAFFURI, L’imposta sulle successioni e donazioni, cit., p. 110. 75 V. GHINASSI, Il presupposto impositivo, in FEDELE-MARICONDA-MASTROIACOVO (a cura

di), op. cit., p. 777; CERNIGLIARO, Commento all’art. 55, D.Lgs. n. 346/1990, in FALSITTA-FANTOZZI-MARONGIU-MOSCHETTI (a cura di), op. cit., p. 1298.

76 Così SCIARRONE ALIBRANDI, Adempimento dell’obbligazione pecuniaria mediante bonifico bancario, in Banca, borsa e tit. cred., 2000, II, p. 338.

77 In questo senso, nei rapporti tra la banca e il cliente, l’ordine di bonifico è un negozio giu-ridico unilaterale la cui efficacia vincolante scaturisce da una precedente dichiarazione di volon-tà con la quale la banca si è obbligata ad eseguire i futuri incarichi conferitile dal cliente (Cass., 19 settembre 2008, n. 23864), il quale, evidentemente, dispone la delegazione di pagamento in base ad un ulteriore rapporto contrattuale estraneo al rapporto banca-correntista.

78 Sotto questo profilo non ricorre quella “accettazione” che l’art. 782, comma 2, c.c. ri-chiede ai fini del perfezionamento della donazione, che la legge configura espressamente co-me “contratto”.

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DOTTRINA RTDT - n. 2/2017 480

presupposto”, in assenza del quale vi sarebbe indebito 79; ma se questo titolo

non risulta formalizzato in un atto, è da escludere che si possa discutere di do-nazione tassabile, in quanto si avrebbe un trasferimento di mero fatto.

Va tuttavia segnalato che secondo taluno 80, ferma restando la natura di do-

nazione diretta per il trasferimento di titoli, in caso di girofondi in denaro (a mezzo bonifico bancario) saremmo di fronte ad una donazione indiretta, ne-gozio diverso, con il quale, sempre per ragioni di liberalità, si realizzi un risul-tato analogo a quello della donazione.

Secondo la dottrina 81, le liberalità indirette sono negozi che, aventi causa

(in senso tecnico-giuridico) diversa da quella liberale ne perseguono le mede-sime finalità. Sotto il profilo formale, esse non sono soggette alla forma del-l’atto pubblico, poiché, ex art. 809 c.c., possono risultare anche da atti diversi da quelli dell’art. 769 c.c. Questa tesi, tuttavia, non sembra risolvere i dubbi relativi alla rilevanza della forma. Secondo quanto sostenuto dalla dottrina più recente

82, infatti, le liberalità realizzate attraverso un negozio diverso dal con-tratto di donazione non sono soggette alle disposizioni di forma per la dona-zione, ma soggiacciono a quelle che ne regolano la sostanza. Ne consegue la piena validità di ogni atto diverso dalla donazione che presenti la forma pre-scritta per l’atto da cui risulta la liberalità. Un bonifico di denaro di non modico valore presuppone una donazione in senso proprio e quindi l’atto pubblico.

Sul versante tributario, come è noto, le liberalità indirette sono ordinaria-mente assoggettate ad imposizione qualora risultino da atti soggetti a registra-zione (art. 1, comma 4 bis, D.Lgs. n. 346/1990), mentre si prestano ad essere tassate con modalità peculiari qualora siano diversamente accertate.

L’art. 56 bis del T.U. sulle successioni e donazioni prevede 83 infatti che

79 Il titolo presupposto, in questo quadro, è qualcosa di diverso rispetto alla delegazione e al rapporto bancario su cui essa si fonda. Su questo punto, la dottrina tradizionale (ANGELI-CI-BELLI-PORZIO-RISPOLI FARINA, I contratti delle banche, Torino, 1988, pp. 199-201) ritiene che il “giroconto” fosse una prestazione fondata sul collegamento negoziale tra il conto cor-rente di corrispondenza intrattenuto con il singolo cliente e la Convenzione di corrispondenza conclusa con le altre banche.

80 PIAZZA, Come il Fisco osserva chi compra immobili, in www.labanconota.it, n. 12, 2007. 81 TORRENTE, La donazione, in Trattato di diritto civile e commerciale, a cura di Cicu-Mes-

sineo, XXII, Milano, 1956, p. 35. V. anche CARNEVALI, (voce) Liberalità (atti di), in Enc. dir., XXIV, 1974, p. 218.

82 Così IACCARINO, (In)compatibilità tra la disciplina delle donazioni e quella delle liberalità atipiche, in Pers. Fam. Succ., n. 4, 2010, p. 299.

83 Secondo GAFFURI, L’imposta sulle successioni e donazioni, cit., pp. 145 e 152, la norma che tassa le liberalità indirette è da considerarsi vigente, pur nell’adeguamento implicito delle

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Andrea Quattrocchi 481

l’accertamento delle liberalità diverse dalle donazioni e da quelle risultanti da atti di donazione effettuati all’estero nei confronti di soggetti residenti può es-sere effettuato esclusivamente quando l’esistenza delle stesse risulti da dichia-razioni rese dall’interessato

84 nell’ambito di procedimenti diretti all’accerta-mento dei tributi ed esse abbiano determinato, in capo al beneficiario, un ac-crescimento patrimoniale superiore alle nuove franchigie

85. Secondo la dottrina

86 – che pure afferma che l’art. 56 bis lascia al contri-buente, secondo la sua convenienza, la scelta tra l’applicazione delle imposte sul reddito presuntivamente accertato e la tassazione indiretta, atteso che le due imposte sono vicendevolmente incompatibili – la dichiarazione circa l’esistenza della liberalità non necessariamente deve provenire dal beneficiario della libe-ralità ma anche dall’autore, purché ciò avvenga nel corso di un accertamento.

Questa conclusione, tuttavia, non sembra poter valere nel caso di donata-rio estero, poiché rischierebbe di vanificare il disposto del comma 1 bis del-l’art. 55, che ai fini della tassazione in Italia delle donazioni indirette effettuate all’estero richiede che il beneficiario debba essere necessariamente residente in Italia, sul presupposto di «un’appartenenza del soggetto passivo alla collet-tività organizzata le cui spese l’imposta è destinata a finanziare»

87.

franchigie; contra FRIEDMANN-GHINASSI-MASTROIACOVO-PISCHETOLA, Prime note a commen-to della nuova imposta sulle successioni e donazioni, in www.notariato.it, studio n. 168/2006/T, 21 per i quali la norma sulla donazione indiretta sarebbe incompatibile con il nuovo sistema, anche in ragione dello sfasamento delle franchigie e della loro nuova caratterizzazione sog-gettiva. In favore dell’inserimento, nel decreto n. 346/1990, di una disposizione per la tassa-re le donazioni indirette LUPI, Successioni e donazioni: le ragioni di una crisi e le riforme possibi-li, in UCKMAR, L’evoluzione dell’ordinamento tributario italiano, cit., p. 462.

84 Secondo STEVANATO, Le liberalità tra vivi nella riforma del tributo successorio, in Riv. dir. trib., 2001, I, p. 349, la tassazione delle donazioni indirette formate all’estero prescinde da tale dichiarazione.

85 Contra v. Cass., 24 giugno 2016, n. 13133, secondo cui «il fatto che l’art. 56-bis pre-supponga la dichiarazione della liberalità nell’ambito di procedimenti diretti all’accertamen-to di tributi attiene ad un presupposto dell’accertamento dell’imposta sulla liberalità, non già all’individuazione del momento di insorgenza del fatto imponibile (sempre riconducibile al-l’esecuzione della liberalità in quanto tale, e non alla sua confessione da parte del contribuen-te raggiunto da accertamenti per tributi diversi)». Al riguardo è stato osservato (ARQUILLA, Sempre tassabili le liberalità indirette?, in Corr. trib., 2017, p. 68) che questa impostazione, da cui deriverebbe la soggezione ad imposta delle liberalità indirette anche al di fuori della fatti-specie dell’art. 56 bis, riduce la portata precettiva della norma; inoltre, in considerazione della sussistenza di pronunce di segno opposto sarebbe opportuno l’intervento delle Sezioni Unite.

86 V. GAFFURI, L’imposta sulle successioni e donazioni, cit., p. 146. 87 FRANSONI, op. cit., p. 352.

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Eugenio Simon Acosta

PRINCIPIOS DE MODERACIÓN Y NO CONFISCATORIEDAD. UNA VISIÓN DESDE LA PERSPECTIVA

DE LOS DERECHOS HUMANOS

I PRINCIPI DI MODERAZIONE E DI NON CONFISCATORIETÀ. UN’ANALISI DAL PUNTO DI VISTA DEI DIRITTI UMANI

PRINCIPLES OF MODERATION AND NON-CONFISCATION. AN ANALYSIS FROM THE HUMAN RIGHTS PERSPECTIVE

Abstract El principio de no confiscadoriedad esta prevedido en la Constitución Española. Para mejor comprender el sentito de este principio tenemos que analizar los pro-nunciamientos jurisprudenciales sobre la materia. Tambien hace falta una análisis de comparación con otros sistemas tributario y una particular mencíon merecen algunos supuestos mas relevantes como Estados Unidos, Alemánia, Francia y Ar-gentina. No se puede hablar de confiscatoriedad sin tener en cuenta otros princi-pios constituciónales: el respeto del mínimo vital; la capacidad económica y la progresividad; el derecho a la propiedad privada; el derecho a ejercer libremente las actividades económicas. Palabras claves: confiscatoriedad, Jurisprudencia, derecho comparado, principios constituciónales

Contributo non soggetto a revisione esterna. Il presente lavoro è destinato al volume di AMATUCCI-ALFANO (a cura di), Ordinamenti

tributari a confronto; problematiche comuni e aspetti procedimentali, Torino, 2017. Abreviaturas utilizadas en este trabajo: AN (Audiencia Nacional), CE (Constitución Espa-

ñola), CEPDF (Convenio Europeo para la Protección de los Derechos Humanos y de las Li-bertades Fundamentales), IRPF (Impuesto sobre la Renta de las Personas Físicas), IBI (Impue-sto sobre bienes inmuebles), ISD (Impuesto sobre Sucesiones y Donaciones), IS (Impuesto sobre sociedades), PNC (principio de no confiscatoriedad), RAE (Real Academia Española), STC (sentencia), SSTC (sentencia del Tribunal Constitucional), STS (sentencia del Tribunal Supremo), STSJ (sentencia del Tribunal Superior de Justicia), TC (Tribunal Constitucional), TEDH (Tribunal Europeo de Derechos Humanos), TSJ (Tribunal Superior de Justicia).

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DOTTRINA RTDT - n. 2/2017 484

Il principio di non-confiscatorietà è disciplinato dalla Costituzione spagnola. Per comprendere meglio il senso di questo principio è necessario analizzare le sentenze in materia. Allo stesso tempo occorre effettuare una visione comparatistica con al-tri sistemi tributari e, pertanto, verrà fatto un breve riferimento ad alcuni dei più ri-levanti (Stati Uniti, Germania, Francia e Argentina). Infine, non si può parlare di confiscatorietà senza considerare alcuni principi costituzionali: il rispetto del mi-nimo vitale; la capacità economica e la progressività; il diritto alla proprietà privata; il diritto a esercitare liberamente le attività economiche. Parole chiave: moderazione, non-confiscatorietà, giurisprudenza costituzionale, diritto comparato, principi costituzionali The Spanish Constitution governs the principle of non-confiscation. In order to better understand the meaning of this principle, it is necessary to analyse the relevant case law. At the same time, this implies a comparison with other tax systems and a brief reference to the most relevant ones (United States, Germany, France and Argentina). Finally, the paper will necessarily face confiscation considering some constitutional principles: re-spect for the minimum vital; ability-to-pay principle and progressivity principle; right to private property; right to freely exercise economic activities. Keywords: moderation, non-confiscation, constitutional case law, comparative law, constitutional principles

SOMMARIO: 1. Introducción. – 2. La jurisprudencia constitucional española. – 3. La jurisprudencia del Tribu-nal Supremo. – 3.1. Fallo estimatorio. – 3.2. Pronunciamientos desestimatorios. – 4. La jurispru-dencia menor. – 5. El derecho comparado. – 6. Significado y autonomía de la prohibición tributa-ria de confiscación. – 6.1. El respeto del mínimo vital. – 6.2. Capacidad económica y progresivi-dad. – 6.3. El respeto a la propiedad privada. – 6.4. El respeto de la libertad de iniciativa económi-ca. – 7. Conclusión: la no confiscatoriedad como prohibición.

1. Introducción

El art. 31 de la CE establece una prohibición de confiscatoriedad que se predica del sistema tributario en su conjunto: «Todos contribuirán ... mediante un sistema tributario justo ... que en ningún caso tendrá alcance confiscatorio»

1.

1 La prohibición de confiscatoriedad es «una cautela original, que sepamos, en el Dere-cho comparado y nueva ciertamente en los textos constitucionales españoles» (PALAO TA-

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Eugenio Simon Acosta 485

El término “confiscar” tiene un significado gramatical ajeno al sistema tri-butario pues hace referencia al Derecho sancionador. Confiscar es, según la RAE, «penar con privación de bienes, que son asumidos por el fisco»

2. El art. 10 de la Constitución de 1837 ya proclamó que «no se impondrá jamás la pena de confiscación de bienes». Hoy subsiste el “comiso” – ya presente en Derecho romano, que lo entendía como confiscación aduanera de objetos no declarados

3 – como pena accesoria consistente en la pérdida de los efectos que provengan o con los que se ejecuta el delito

4. Lo cierto es que la CE dice que el sistema tributario no tendrá alcance con-

fiscatorio y, más allá del sentido literal de las palabras, este mandato tiene un significado jurídico que hemos de investigar con los instrumentos de la her-menéutica jurídica

5 y, dada la finalidad de este trabajo, en el que se trata de BOADA, La protección constitucional de la propiedad privada como límite del poder tributario, Madrid, 1979, p. 282). «El principio de que el sistema tributario “en ningún caso tendrá alcan-ce confiscatorio” constituye una de las innovaciones más singulares de nuestra Constitución, sin parangón con otros ordenamientos constitucionales» (RODRÍGUEZ BEREIJO, Jurisprudencia constitucional y principios de la imposición, en Garantías constitucionales del contribuyente, Va-lencia, 1998, p. 621).

Ello no significa que no se hayan producido desarrollos, al menos doctrinales, de la pro-hibición de tributos confiscatorios en otros países, como dice Jimenez Ambel con referencias bibliográficas al caso italiano (ABBAMONTE, Principi di Diritto Finanziario, Napoli, 1975, p. 79 ss.), al alemán (PALAO TABOADA, op. cit., p. 277 ss.), al argentino (JARACH, Curso Superior de Derecho Tributario, Buenos Aires, 1969, p. 136 ss.; FONROUGE, Derecho Financiero, Buenos Aires, 1970, pp. 312 y 320 ss.), al estadounidense (BLUM Y KALVEN, El impuesto: un tema difícil, Madrid, 1972, p. 73 ss.); al español (ACOSTA ESPAÑA, Los principios constitucionales del Derecho Tributario Español, en RDFHP, n. 66-67, 1969, p. 1.262). Ver JIMÉNEZ AMBEL, El alcance confiscatorio como límite del sistema tributario español, Palau 14, n. 7, 1989, p. 196.

2 Sobre el significado histórico-jurídico de la confiscación y el comiso puede consultarse NAVEIRA DE CASANOVA, El principio de no confiscatoriedad. Estudio en España y Argentina, Madrid, 1997, p. 55 ss. Véase la aproximación a las ideas de “confiscación” y “alcance confi-scatorio” que se contiene en JIMÉNEZ AMBEL, op. cit., p. 211 ss.

3 FERNÁNDEZ DE BUJÁN, “Principios tributarios: una visión desde ed Derecho romano”, en Tratado sobre la Ley General Tributaria. Homenaje a Alvaro Rodriguez Bereijo, Thom-son Reuters-Aranzadi, Cizur Menor, 2010, p. 115.

4 Esto ha dado lugar a que algunos autores critiquen el art. 31 CE porque presupone una concepción del tributo como agresión en lugar de como contribución a los gastos públicos: CALERO GALLEGO-NAVAS VÁZQUEZ, Estudio preliminar a Francesco Moschetti. El principio de capacidad contributiva, Madrid, 1980, p. 28.

5 Las connotaciones penales del término confiscación no deben ser extrapoladas por-que «desde el momento que se trata de una declaración plasmada en un texto constitu-cional, hay que acudir a su interpretación jurídica» (AGULLÓ AGÜERO, Una reflexión en torno a la prohibición de confiscatoriedad del sistema tributario, en Civitas REDF, n. 36, 1982, p. 557. También Naveira De Casanova considera que, por estar el precepto inserto

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exponer la perspectiva del Derecho español, nada mejor que comenzar con los pronunciamientos jurisprudenciales sobre la materia.

2. La jurisprudencia constitucional española

Los pronunciamientos del TC español son pocos y bien conocidos. En el recurso de inconstitucionalidad interpuesto contra el Impuesto Sobre Tierras Infrautilizadas

6, se argumentó que gravar la infrautilización o el no rendi-miento, además de implicar una doble imposición, roza gravemente el princi-pio de no confiscatoriedad del art. 31.1 CE. El tema fue abordado de forma marginal y puesto en relación con el principio que capacidad económica pues, en opinión del Tribunal, la finalidad del impuesto era combatir un hecho so-cial y económicamente negativo (la falta de explotación de las fincas rústicas), lo cual hacía decaer la tacha de confiscatoriedad

7. Por motivos similares fue declarado conforme con la Constitución, en una sen-

tencia posterior, el Impuesto sobre Dehesas Calificadas de Deficiente Apro-vechamiento

8, si bien, en este caso, apareció más clara la vinculación de la no con-fiscatoriedad con la capacidad económica entendida como «renta virtual cuya dimensión mayor o menor determina la mayor o menor cuantía del impuesto»

9. Desprovisto de finalidades extrafiscales estaba el recargo establecido por la

Comunidad de Madrid sobre el IRPF 10. Quienes lo impugnaron sostenían que

corresponde al legislador fijar el límite máximo confiscatorio y lo habían hecho las Cortes Generales al establecer el tipo marginal IRPF en el 46%, y el techo del 70% sobre la base imponible del IRPF para la suma de IRPF e IP; el recargo se consideraba confiscatorio en la medida en que al exigirlo se superaban dichos límites

11. Este argumento impediría siempre la existencia de recargos sobre im- en la Constitución, debe “juridizarse” e interpretarse en Derecho (NAVEIRA DE CASANOVA, op. cit., p. 99).

6 Creado por Ley n. 8/1984, del Parlamento de Andalucía, de Reforma Agraria. 7 Ver STC n. 37/1987, de 26 marzo, F. 13, en http://hj.tribunalconstitucional.es/HJ/es/

Resolucion/Show/769. 8 Ley n. 1/1986, de 2 mayo, de la Asamblea de Extremadura. 9 STC n. 186/1993, de 7 junio, F. 4, en http://hj.tribunalconstitucional.es/HJ/es/Resolucion/

Show/2315. 10 Ley de la Asamblea de la Comunidad Autónoma de Madrid n. 15/1984, de 19 de di-

ciembre, del Fondo de Solidaridad Municipal de Madrid. 11 Ver STC n. 150/1990, de 4 octubre, antecedente 2.c) (alegaciones del Defensor del

Pueblo), en http://hj.tribunalconstitucional.es/HJ/es/Resolucion/Show/1575.

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puestos estatales y, lógicamente, fue rechazado en la STC n. 150/1990, de 4 oc-tubre, en la que se contienen las más relevantes, aunque muy pobres, ideas so-bre la confiscatoriedad expresadas por el Alto Tribunal, a saber: el alcance con-fiscatorio no equivale a privación de bienes sin contraprestación, pues en esto consiste la esencia del tributo, sino en «agotar la riqueza imponible sustrato, base o exigencia de toda Imposición so pretexto del deber de contribuir»; es decir lo que se prohíbe no es la confiscación, sino que los impuestos produzcan efectos confiscatorios:

«La prohibición de confiscatoriedad supone incorporar otra exigencia ló-gica que obliga a no agotar la riqueza imponible sustrato, base o exigencia de toda Imposición so pretexto del deber de contribuir ... Y dado que este límite constitucional se establece con referencia al resultado de la imposición, pue-sto que lo que se prohíbe no es la confiscación, sino justamente que la impo-sición tenga “alcance confiscatorio”, es evidente que el sistema fiscal tendría dicho efecto si mediante la aplicación de las diversas figuras tributarias vigen-tes, se llegara a privar al sujeto pasivo de sus rentas y propiedades, con lo que además se estaría desconociendo, por la vía fiscal indirecta, la garantía previ-sta en el art. 31.1 de la CE; como sería asimismo, y con mayor razón, evidente el resultado confiscatorio de un IRPF cuya progresividad alcanzara un tipo medio de gravamen del 100 por 100 de la renta»

12.

Por considerar excesivas las cuotas fijas de la tasa de juego sobre las má-quinas recreativas con premio se elevó cuestión de inconstitucionalidad al TC por el TSJ de Cataluña. El TSJ estimaba que la tasa había absorbido la mayor parte de los beneficios que reportan las máquinas recreativas y su importe era desproporcionado y superior, en algunos casos, a los beneficios obtenidos por la explotación de las máquinas, con el consiguiente efecto confiscatorio. La cuestión fue inadmitida desde la, a mi juicio, excesivamente laxa concepción del principio de capacidad económica asumida por el TC.

Paradójicamente, el Tribunal aceptó que, en algunos casos, la tasa deven-gada por la explotación de una máquina puede ser superior al rendimiento que dicha máquina produce, pero esto «no convierte a la norma cuestionada en inconstitucional, porque no es discutible que la riqueza que se pretende gra-var existe “en la generalidad de los supuestos contemplados por el legislador” (la tolerancia del TC es portentosa: el art. 31 CE dice que “en ningún caso” tendrá alcance confiscatorio), y porque, como este Tribunal ha venido afirmando,

12 STC n. 150/1990, de 4 octubre, F. 9.

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«no puede fundarse la inconstitucionalidad de una norma en la existencia de supuestos patológicos, no previstos ni queridos por la Ley o, dicho de otro modo, que el enjuiciamiento de la constitucionalidad de las Leyes debe hacer-se tomando en consideración el caso normal y no las posibles excepciones a la regla prevista en la norma (SSTC n. 70/1991, de 8 de abril, F. 7; n. 308/1994, de 21 de noviembre, F. 5, y n. 289/2000, de 30 de noviembre, F. 6)»

13. Tiene también interés la sentencia relativa al Impuesto sobre Aprovecha-

mientos Cinegéticos (Ley n. 8/1990, de 21 de diciembre, de Caza de Extrema-dura), al que se reprochaba que recayese sobre el rendimiento potencial de los cotos de caza así como su elevada cuantía, que venía a sumarse a otros im-puestos ya existentes

14. El recurso fue desestimado porque es doctrina reite-rada del Tribunal que puede gravarse la renta virtual y, en cuanto al elevado importe del impuesto, no se consideró probado su efecto confiscatorio, habida cuenta de que «será precisamente la relación entre el Impuesto y el rendi-miento obtenido la que ilumine sobre el carácter confiscatorio de aquél»

15. En la STC n. 233/1999, de 13 diciembre, se examina el posible alcance

confiscatorio de la acumulación de tasas, contribuciones especiales y del IBI sobre el valor de los inmuebles, llegándose a la conclusión de que son tributos de distinta naturaleza, razón por la cual no se superponen sobre la misma rea-lidad económica.

13 ATC n. 71/2008, de 26 febrero, F. 5 y, en el mismo sentido, ATC n. 120/2008, de 6 mayo y ATC n. 342/2008, de 28 octubre. Esta tesis, unida a la idea de que existe capacidad contributiva donde hay riqueza potencial y no necesariamente real, y a que el principio de capacidad económica ópera en el conjunto del sistema tributario y no en todos y cada uno de los tributos en concreto, convierte dicho principio en una declaración prácticamente inútil o, al menos, de muy pobre contenido. En el auto citado en primer lugar dice el TC que el prin-cipio de capacidad económica «sólo resulta predicable del “sistema tributario” en su conjun-to». Véase la incisiva crítica de RODRIGUEZ BEREIJO, Una vuelta de tuerca al principio de capa-cidad económica: comentario al ATC 71/2008, de 26 de febrero, en Civitas REDF, n. 142, 2009.

14 Alegaban los senadores recurrentes que «la base imponible del impuesto establecido por la Ley atiende a un rendimiento potencial, y no real, siendo así que la carga cinegética real depende de un cúmulo de circunstancias. Se llama también la atención sobre la cuantía de los tipos, señalándose que en el grupo número III, aplicado sobre una finca de 2.000 hec-táreas, la deuda resultante sería de 4.000.000 de pesetas que habrán de satisfacerse anticipa-damente, y que se elevaría a 10.000.000 de pesetas si los terrenos estuviesen vallados. Esta carga fiscal es, a su juicio, intolerable, y se agrava si se une a la derivada del sistema tributario local y del sistema estatal. El resultado final de la aplicación de la Ley será la desaparición de los Cotos Privados de Caza, por lo que sostienen los recurrentes que el régimen fiscal esta-blecido en los arts. 30 a 42 viola el art. 31.1 de la CE, en relación con su artículo 33.1».

15 STC n. 14/1998, de 22 enero, F. 11, en http://hj.tribunalconstitucional.es/HJ/es/ Resolucion/Show/3516.

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3. La jurisprudencia del Tribunal Supremo

3.1. Fallo estimatorio

Es más abundante la jurisprudencia de los Tribunales ordinarios, aunque pocas consecuencias pueden extraerse de ella. El Tribunal Supremo ha abor-dado en diversas ocasiones la prohibición de confiscatoriedad sin que, en nin-gún caso, haya sido estimada su vulneración. Me refiero a la STS de 10 julio 1999 sobre la legalidad de un tipo de retención a cuenta del IRPF del 20% so-bre los ingresos brutos de actividades profesionales

16. El TS consideró la retención contraria a la prohibición de confiscatoriedad

del art. 31 CE porque en la tarifa del IRPF había tipos inferiores al 20%, e in-cluso un primer tramo en el que el tipo era el 0%. Imponer retenciones a cuenta del 20% sobre ingresos brutos significaría que los profesionales de menores in-gresos se verían obligados a anticipar pagos a cuenta del impuesto muy supe-riores a los que en definitiva les corresponderá asumir.

3.2. Pronunciamientos desestimatorios

Retribuciones de trabajo de socios, calificadas como dividendos (STS de 11 ju-nio 2012). Se discutía si podía ser confiscatoria la acumulación de graváme-nes derivados de la recalificación como dividendos de las cantidades satisfe-chas como renta de trabajo por una sociedad a sus socios. El TS niega con ra-zón que sea confiscatorio el doble gravamen

17. Tarifas por utilización del agua. En la STS de 19 diciembre 2011, de unifi-

cación de doctrina, se aducía la concurrencia del canon concesional, la tasa por utilización del agua y el canon de regulación. El TS concluye que la acumula-ción del canon (de naturaleza contractual), la tarifa de utilización del agua (tasa) y los cánones de regulación (contribución especial) no privan al sujeto de sus rentas y propiedades o, al menos, no se ha probado en autos que así sea. La STS de 7 junio 2012, en un asunto similar, aporta mejores argumentos al añadir que las tasas son un coste de producción que la recurrente aceptó cuando contrató la actividad administrativa.

Ganancias patrimoniales estimadas en función del valor de mercado del bien transmitido (STS de 3 noviembre 2011): se discutía el importe de la plusvalía

16 Establecido por R.D. n. 113/1998, de 30 de enero. 17 Realmente no se discutía la confiscatoriedad del impuesto. Se trataba de una queja, sin so-

porte jurídico, sobre la doble imposición de la renta en IRPF e IS. Esos pagos habrían sido, en todo caso, renta de los socios, sea como dividendos o como retribución de servicios o de trabajo.

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obtenida en la venta de un bien por el que se percibieron 11.252.000 pesetas; la Administración aplicó la norma especial de valoración según la cual la base imponible en la venta de acciones que no cotizan en bolsa es el valor teórico o de capitalización, de donde resultó una cuota superior al precio pactado (32.784.313 pesetas). El recurso fue desestimado porque no se había llegado a privar al sujeto pasivo de sus rentas y propiedades

18. Aportaciones no deducibles a instituciones de previsión social del personal (en-

tre otras, STS 5 noviembre 2009 19). Se alegaba que podía ser confiscatoria la

no deducibilidad de las dotaciones a fondos internos para pensiones. El Tribu-nal desestimó el recurso con el cómodo expediente de invocar la doctrina del TC según la cual la confiscatoriedad sólo se produce si, mediante la aplicación del sistema tributario en su conjunto, se llegara a privar al sujeto pasivo de sus rentas y propiedades. También se afirma – y es más aceptable – que el ajuste extracontable es lícito siempre que no suponga exigencias irrazonables o ca-rentes de sentido.

Cuantía del Impuesto sobre Sucesiones y Donaciones (STS de 18 diciembre 2002). La recurrente pretendía la anulación, por confiscatoria, de una liquida-ción de 44.642.871 pesetas por ISD correspondiente a un patrimonio heredi-tario de 93.565,117 pesetas. El TS rechazó el recurso porque la liquidación incluía cuota, recargos, intereses y sanciones. La deuda tributaria, en el supue-sto de haberse cumplido en tiempo y forma todas las obligaciones tributarias, hubiera sido, al tipo de gravamen legal, del 22,58% del haber hereditario.

Impuesto sobre Radicación. Era un impuesto municipal que gravaba las acti-vidades económicas en función de la superficie de los locales ocupados y la categoría de la calle en que estaban ubicados. La no aplicación de la bonifica-ción prevista para industrias turísticas de temporada, la elevada cuantía del canon satisfecho por la ubicación de un camping y la calificación en primera ca-tegoría de la calle en que dicho camping se situaba fueron las circunstancias de un caso en que se impugnaba por excesiva la cuota del Impuesto sobre Radi-cación. Una vez más el TS desestimó el recurso con la lacónica afirmación de que, «a pesar de su aparente excesividad cuantitativa», en «las circunstancias fáctico-jurídicas del caso», el impuesto no era confiscatorio.

Índices municipales de valores del Impuesto sobre Incremento de Valor de los Terrenos. En la STS de 22 julio 1996, la entidad reclamante se oponía a la apli-

18 A primera vista, la conclusión parece rechazable pero para entender al TS hay que acla-rar que la operación había sido calificada como venta simulada.

19 Véanse también las SSTS de 10 mayo 2005, de 25 noviembre 2005, de 1° diciembre 2005.

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cación de los índices unitarios del valor corriente en venta de terrenos (mó-dulos objetivos para el cálculo de la plusvalía gravada). El terreno se había ad-quirido en pública subasta y se alegaba que la venta había generado pérdidas, en lugar de la plusvalía que resultaba de la aplicación de los índices. El TS no acogió los argumentos del contribuyente porque no se había practicado prue-ba suficiente para invalidar los valores aprobados por el Ayuntamiento: el precio consignado en la escritura de venta «no puede ser por sí mismo prue-ba bastante para desvirtuar la presunción de veracidad de los índices munici-pales de valores». Como puede apreciarse, la sentencia no entra en la confi-scatoriedad alegada por el recurrente, sino que argumenta sobre el valor que debe prevalecer (el declarado o el objetivo de los índices municipales).

Tasas por utilización de galerías. En fin, concluimos este repaso de la juri-sprudencia del TS con una mención a la alegada confiscatoriedad de la cuan-tía de las tasas por utilización del suelo, subsuelo y vuelo por parte de una em-presa suministradora de energía. El TS no admitió la tacha de inconstitucio-nalidad por motivos probatorios: no se aporta «por la parte apelante demo-stración alguna del menoscabo de su patrimonio o del empobrecimiento de-sproporcionado de sus rentas como consecuencia directa del abono de la li-quidación» (STS de 18 abril 1998).

4. La jurisprudencia menor

Los TSJ y la AN también se han pronunciado en numerosas ocasiones so-bre la posible confiscatoriedad de determinados tributos, pero no podemos alargar más la exposición con su comentario detallado. Sólo hemos encontra-do un atisbo de aplicación de la prohibición de confiscatoriedad en la STSJ de Navarra, de 23 junio 1997, en la que se afirma que el límite legalmente esta-blecido de la suma de cuotas del IRPF y del Impuesto sobre el Patrimonio so-bre la base imponible del IRPF debe calcularse sobre las rentas reales del suje-to pasivo, pues otra interpretación «conduce al absurdo por razón de discri-minación tributaria y de confiscatoriedad, y como hechos dicho, toda inter-pretación que lleva al absurdo debe ser descartada» (F. 4).

En los demás casos se ha rechazado siempre la alegación de confiscatorie-dad y los pronunciamientos versan sobre:

• el Impuesto sobre el Patrimonio (SAN de 16 enero 2001), los graváme-nes a la importación de la Renta de Aduanas (SAN de 10 febrero 2000);

• la no deducibilidad de primas cedidas en el marco de la imposición de no

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residentes (obligación real o limitada) en el Impuesto sobre Sociedades (SAN de 21 febrero 1998);

• el recargo por ingresos espontáneos fuera de plazo (SAN de 19 noviem-bre 1996);

• la variación del tipo de cambio de una divisa entre el momento de adqui-sición y transmisión de un bien (SAN de 22 octubre 1996);

• la supuesta doble imposición provocada por el Impuesto sobre Sucesio-nes y Donaciones (STSJ Valencia de 18 mayo 2012);

• la tasa por ocupación del subsuelo y vuelo de vías públicas por empresas de telefonía móvil (STSJ Burgos de 13 diciembre 2010);

• el Impuesto sobre Bienes Inmuebles (STSJ Galicia de 6 febrero 2008); • el Impuesto sobre Suelo sin Edificar (STSJ Extremadura de 31 julio 2006); • la Tasa por Inscripción Catastral (STSJ Aragón de 18 febrero 2005); • el Impuesto sobre la Contaminación Atmosférica (STSJ Galicia de 6 fe-

brero 2004); • la Tasa por expedición de guías de circulación de máquinas de juego tipo

A (STSJ Extremadura de 25 noviembre 2003); • las tasas por ocupación de la vía pública (STSJ Cataluña de 30 enero 2002); • el Impuesto sobre Actividades Económicas (STSJ Madrid de 11 enero

2002, STSJ País Vasco de 10 mayo 2000, STSJ Cataluña de 23 febrero 1999, STSJ Valencia de 19 septiembre de 1996 y STSJ Galicia de 30 mayo 1995);

• el gravamen en IRPF de las prestaciones de un plan de pensiones en que las aportaciones al plan no habían sido deducibles en dicho impuesto (STSJ Madrid de 10 octubre 2001);

• los aranceles de funcionarios públicos (STSJ País Vasco de 11 diciembre 2000); y

• el Impuesto sobre Aprovechamientos Cinegéticos (STSJ Extremadura de 27 septiembre 1998).

5. El derecho comparado

No corresponde a este estudio profundizar sobre el Derecho comparado, por lo que nos limitamos a una brevísima referencia a algunos supuestos rele-vantes (excluyendo todo comentario del caso italiano y colombiano).

La experiencia estadounidense es incluso más restrictiva que la española: el TS se acoge al self restraint al aplicar la regla de no confiscatoriedad implíci-ta en la 5ª y 14ª enmienda que establecen la prohibición de privar a cualquier persona de la vida, la libertad, o la propiedad sin el debido proceso legal.

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En A. Magnano Co. v. Hamilton, (292 U.S. 40, 1934) se sintetizan los cri-terios jurisprudenciales utilizados sobre dichas enmiendas. La cláusula no es un límite al poder de imposición

20 y sólo se aplica a los impuestos cuando la ley fiscal es tan arbitraria que no representa ejercicio del poder tributario, sino que constituye, en su sustancia y en sus efectos, el ejercicio directo de un poder diferente y prohibido, como, por ejemplo, la confiscación de la pro-piedad.

Los motivos o propósitos colaterales del legislador al establecer un determi-nado tipo de impuestos en el marco de su poder legal son materias que están más allá de las facultades de los jueces

21. En Veazie Bank v. Fenno (8 Wall. 533, 75 U. S. 548), se dijo que «los Tribunales no tienen autoridad para im-poner limitaciones al ejercicio de los poderes reconocidos a las cámaras legi-slativas. El poder tributario se puede ejercitar opresivamente sobre las perso-nas, pero la responsabilidad de legislar no pertenece a los jueces, sino al pue-blo por el que están elegidos sus miembros».

En Alaska Fish Co. v. Smith (255 U. S. 48) se declaró constitucional un ele-vado impuesto de licencia sobre manufacturas de aceite de pescado: «incluso si el impuesto destruyese un negocio, no sería inválido ni podría exigirse com-pensación sólo por este motivo».

En definitiva, un impuesto adoptado por un Estado en ejercicio de su competencia no puede ser anulado al amparo de la cláusula del “debido pro-ceso legal” simplemente porque su aplicación tenga como resultado la re-stricción incluso la destrucción de actividades o negocios particulares, ex-cepto si se demuestra que la forma de tributo es simplemente un disfraz bajo el cual se ejercitan en realidad otros poderes diferentes prohibidos por la Constitución Federal

22. Es conocida la doctrina del TC alemán con motivo de la declaración de nu-

lidad del Impuesto sobre el Patrimonio en sentencia de 22 junio 1995 23. Por

lo que aquí interesa, el TC alemán acuñó en esta sentencia una doctrina que ha tenido eco e incluso buena acogida como criterio para limitar la presión fi-

20 Brushaber v. Union Pac. R. Co., 240 U. S. 1, 240 U. S. 24. French v. Barber Asphalt Paving Co., 181 U. S. 324, 181 U. S. 329; Heiner v. Donnan, 285 U. S. 312, 285 U. S. 326.

21 McCray v. United States, supra, 195 U. S. 56-59. 22 Loan Association v. Topeka, 20 Wall. 655, 87 U. S. 663-664; McCray v. United States,

195 U. S. 56-58; Alaska Fish Co. v. Smith, 255 U. S. 44, 255 U. S. 48-49; Child Labor Tax case, 259 U. S. 38, 259 U. S. 40-43.

23 V. HERRERA MOLINA, Una decisión audaz del TC alemán: el conjunto de la carga tributa-ria del contribuyente no puede superar el 50% de sus ingresos, en Impuestos, n. 14, 1996, p. 1039 ss.

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scal sobre la renta y el patrimonio 24: la carga tributaria global no debe exceder

del 50% de la renta potencial del patrimonio porque el art. 14.2 de la Ley Fundamental de Bonn establece que «el uso de la propiedad sirve por igual al beneficio privado y al interés general»

25. Esta idea recibe una respetable ex-plicación doctrinal en la obra de quien entonces era miembro del Tribunal, el profesor Paul Kirchhof

26 y es recomendable la lectura de la visión crítica de Andrea Amatucci

27. En Francia se planteó el problema con motivo de la Ley del Presupuesto

para 2013. Se reprochó al art. 3, que creó un nuevo tramo marginal del impuesto so-

bre la renta para rentas superiores a 150.000 €, al tipo del 45%, ser confiscato-rio para prestaciones de jubilación sujetas a otros impuestos. Estas prestacio-nes, para rentas superiores a 24.000 euros mensuales, quedaban sometidas a un conjunto de gravámenes que representaban el 75,34% de la renta. El Con-sejo Constitucional (Decision n. 2012-662, DC 29 diciembre 2012

28) estimó que tal nivel de imposición era una carga excesiva e hizo uso de la llamada ju-risprudencia “neocaledoniana”

29 para declarar contrario a la Constitución, por representar una carga excesiva, otro precepto legal que establecía una contri-bución salarial al tipo marginal del 21% sobre las citadas rentas superiores a 24.000 euros mensuales.

La misma argumentación se empleó por el Consejo Constitucional en re-lación con el art. 12 de la citada Ley de Presupuestos que creó una contribu-ción excepcional del 18% sobre la fracción de rentas de actividad profesional superiores a un millón de euros. Unida a otros impuestos, el tipo alcanzaba el 75% de la renta y el Tribunal la declaró contraria al principio de igualdad ante las cargas públicas.

24 V. SIMON ACOSTA, Justicia tributaria en la imposición patrimonial, lección inaugural del curso 2011-2012, Pamplona, 2001, p. 33; y SIMON ACOSTA, La imposición patrimonial: una reflexión de justicia tributaria, en ID. (dir.), Problemas actuales de coordinación tributaria, Pam-plona, 2016, p. 417 ss.

25 HERRERA MOLINA, op. cit., pp. 1035 y 1036. 26 KIRCHHOF, La influencia de la constitución alemana en su legislación tributaria, en Ga-

rantías constitucionales del contribuyente, Valencia, 1998, p. 25 ss. 27 AMATUCCI, Los límites de la potestad tributaria sobre la renta en la Constitución alemana,

en Civitas REDF, n. 168, 2015, p. 55 ss. 28 Se puede consultar en: http://www.conseil-constitutionnel.fr/conseil-constitutionnel/francais/

les-decisions/acces-par-date/decisions-depuis-1959/2012/2012-662-dc/decision-n-2012-662-dc-du-29-decembre-2012.135500.html.

29 Según la cual «la constitucionalidad de una ley puede ser examinada con ocasión de otras leyes que la modifiquen, complementen o afecten a su ámbito de aplicación».

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Obsérvese que no es la exorbitancia del gravamen, sino la desigualdad por él creada, lo que sirve de fundamento a la declaración de inconstitucionalidad.

El país donde se ha efectuado un desarrollo más amplio de la confiscato-riedad es Argentina, al amparo de los arts. 14 y 17 de la Constitución

30. La Cor-te Suprema ha elaborado a lo largo de muchas décadas una amplia jurispru-dencia que ha reconocido y ha desarrollado extensamente el PNC. La doctri-na lo enlaza con el principio de razonabilidad, o, en terminología más cercana a nosotros, principio de proporcionalidad. Un tributo excesivamente alto es irra-zonable, es un despojo, una agresión al derecho de propiedad. La prohibición de confiscatoriedad se convierte así en una de las manifestaciones del principio de razonabilidad

31. La jurisprudencia argentina es muy abundante a este propósito y no es po-

sible resumirla por el espacio disponible. Recordemos simplemente que la Cor-te ha fijado un límite a los impuestos sobre la propiedad: «el derecho de pro-piedad que la Constitución garantiza es inconciliable, en circunstancias ordi-narias, con el desapoderamiento a título de impuesto de más de un 33% de la utilidad corriente de una correcta explotación de los inmuebles rurales»

32. Esta jurisprudencia ha sido ampliamente estudiada en excelente monografía de José Osvaldo CASÁS a la que me remito

33.

30 El primero reconoce los derechos a trabajar y ejercer toda industria lícita, así como el derecho de usar y disponer de la propiedad. En el segundo se establece la garantía de la pro-piedad, de la que «ningún habitante de la Nación puede ser privado ... sino en virtud de sen-tencia fundada en ley», de donde se deduce – en opinión de Dino Jarach – la prohibición de pena de confiscación de los bienes pero no la de los tributos confiscatorios: «Se trata de re-primir, en la carta de 1853, los vejámenes de carácter patrimonial establecidos por el dicta-dor Rosas con anterioridad al régimen de la Confederación y al restablecimiento del Estado constitucional, por lo cual, lo que se quiere reprimir es la verdadera confiscación como me-dida represiva penal. Pero de ninguna manera se puede aplicar este concepto de confiscación a los impuestos aprobados por el Congreso o, en su caso, por las legislaturas provinciales» (JARACH, Curso Superior de Derecho Tributario, Buenos Aires, 1958, p. 128).

31 NAVEIRA DE CASANOVA, op. cit., p. 107. SPISSO, Derecho constitucional tributario, Buenos Aires, 1993, p. 281 ss.

32 Ver Dictamen n. G. 348. XXIII de Corte Suprema de Justicia de la Nación, 30 de di-ciembre de 1998, en http://ar.vlex.com/vid/-39894029.

33 CASÁS, Presión fiscal e inconstitucionalidad: las garantías constitucionales ante la presión del conjunto de tributos que recaen sobre el sujeto contribuyente, Buenos Aires, 1992, p. 75 ss.

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6. Significado y autonomía de la prohibición tributaria de confiscación

El valor y el significado del PNC han sido discutidos desde los trabajos preparatorios de la CE. El profesor Fuentes Quintana, lo calificó de innecesa-rio porque la confiscación es radicalmente ajena al propio concepto de tributo y a los principios generales de justicia en el reparto de la carga tributaria

34. «El impuesto no puede por principio ser confiscatorio», dice el profesor Pérez De Ayala

35. Sin embargo no faltan autores que defienden la conveniencia del recono-

cimiento explícito del PNC 36.

La cuestión, a mi juicio, debe enfocarse desde el principio de no redundan-cia que, como afirma Rubio Llorente, es el punto de partida y una obligada hipótesis de trabajo

37. No basta, para adoptar una posición favorable a la au-tonomía del principio de no confiscación, con constatar su presencia en el texto constitucional. Pero tampoco se puede compartir su rechazo “de plano” y su consideración como mera cláusula de estilo

38. La revisión de la doctrina que se ha ocupado de estas cuestiones nos lleva

considerar los siguientes significados principales y posibles contenidos nor-

34 Ver Diario de Sesiones del Senado de 29 de agosto de 1978, n. 45, p. 1988, en http:// www.senado.es/legis0/publicaciones/pdf/S_1978_045.PDF.

Recoge Palao, citando a Selmer (Steuerinterventionismus und Verfassungsrecht, Frankfurt, 1972) el siguiente texto de Max Layer: «La expropiación es un ataque al derecho de propiedad sin atacar el patrimonio; el impuesto es inversamente un ataque al patrimonio sin atacar el con-creto derecho de propiedad» (PALAO TABOADA, op. cit., p. 285, nota 8).

35 PÉREZ DE AYALA, Las cargas públicas: principios para su distribución, en HPE, n. 59, 1979, p. 94.

36 Así Nuñez Pérez que critica a quienes lo subsumen en el derecho de propiedad porque, a su juicio, «olvidan la relevancia que en términos jurídicos ostentan las declaraciones expre-sas del legislador constituyente» (NUÑEZ PÉREZ, La prohibición constitucional de tributos con-fiscatorios: dos supuestos, en Impuestos, n. 22, 1991, p. 217. Según García Dorado, «minusva-lorar la relevancia jurídica de esta declaración expresa sería tanto como desconocer el valor normativo directo en la Constitución española de 1978» (GARCÍA DORADO, Prohibición consti-tucional de confiscatoriedad y deber de tributación, Madrid, 2002, p. 92).

37 «La labor interpretativa ha de partir siempre, en efecto, de la hipótesis del legislador no redundante; de la idea de que el enunciado normativo no es una vaciedad inútil, sino una proposición que por sí sola o en conexión con otras crea Derecho, esto es, configura una rea-lidad que pertenece al ámbito del deber ser, no al de la naturaleza, a al del arte, o la ciencia, o los sueños. Esta hipótesis, como toda hipótesis de trabajo, puede ser destruida por la investi-gación, pero sólo como conclusión de ésta, no a su inicio» (RUBIO LLORENTE, El principio de legalidad, en Revista Española de Derecho Constitucional, n. 39, 1993, 13, p. 11).

38 Así la califica Bollo Arocena (BOLLO AROCENA, La no confiscatoriedad como límite con-stitucional a la tributación, en Memoria de la AEDF de 1989, Madrid, 1991, p. 14).

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mativos o preceptivos del PNC: a) Prohibición de detraer o reducir con el tri-buto la riqueza que el contribuyente necesita para atender sus necesidades vi-tales. b) Límite a la progresividad de los tributos. c) Prohibición de menosca-bar con el tributo el contenido esencial del derecho a la propiedad y la libertad de iniciativa económica. d) Prohibición de realizar gastos injustos con los re-cursos económicos obtenidos mediante el tributo.

6.1. El respeto del mínimo vital

El PNC exige que quienes carecen de capacidad de contributiva estén exen-tos de tributación. El logro de otros objetivos constitucionales no podría, en ningún caso, legitimar un impuesto que afectase al mínimo vital de subsisten-cia. En ningún caso, el sistema tributario puede «despojar a los individuos de los bienes necesarios para llevar una existencia digna»

39. El respeto del mínimo vital es una idea casi tan antigua como el mismo con-

cepto de tributo como instrumento para repartir entre ciudadanos libres la carga de soportar los gastos públicos. Se encontraba ya en el Derecho roma-no

40 y es aceptado unánimemente por la doctrina científica. Aunque se trata de una limitación que no aparece de forma expresa en la Constitución, se en-cuentra implícita en el principio de capacidad económica del art. 31 CE y es, además, una exigencia de la dignidad humana que el art. 10 de la CE eleva a la categoría de fundamento del orden político y de la paz social

41. Forzoso es concluir, por tanto, que las exigencias que puedan derivarse del

PNC, en cuanto se refiere al respeto al mínimo vital, se encuentran ya com-prendidas en el principio de capacidad económica.

6.2. Capacidad económica y progresividad

Hay acuerdo en que el principio de capacidad económica requiere que la carga tributaria se gradúe en función de la mayor o menor capacidad del suje-

39 GARCÍA DORADO, op. cit., p. 158. BOLLO AROCENA, op. cit., p. 211. 40 El pago de los impuestos debe adecuarse, en especial en la imposición directa, a los recur-

sos del contribuyente, es decir, a su capacidad económica, lo que lleva a afirmar a Ulpiano en D. 50.4.4.2 que: «Las personas sin recursos económicos no quedan obligadas a soportar carga pa-trimonial alguna, en razón de su propia indigencia ...», la que constituye, asimismo, una mani-festación del alcance no confiscatorio de la tributación» (FERNÁNDEZ DE BUJÁN, op. cit.).

41 V. SIMON ACOSTA, La Reforma del IRPF: familia y cargas familiares. Presente y futuro de la imposición directa en España, en AEAF-Lex Nova, Valladolid, 1997, p. 103 ss. GARCÍA FRÍAS, El mínimo de existencia en el Impuesto sobre la Renta alemán, en Revista de información fiscal, n. 3, 1994, p. 17 ss.

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to pasivo La confiscatoriedad, por tanto, no es característica exclusiva de los tri-butos que invaden el mínimo vital, sino de todos aquellos que, cualquiera que sea el nivel de riqueza poseída por el contribuyente, exigen a éste un esfuerzo superior al de su capacidad de contribuir.

Es muy difícil fijar el límite de la contribución de cada uno en función de su capacidad contributiva, pero también es cierto que el riesgo de extralimita-ción es mayor en los niveles altos de riqueza, a causa del principio de progresi-vidad, también establecido en el art. 31 CE. La profesora Agulló Agüero vin-cula la prohibición de confiscación con la progresividad, afirmando que la pri-mera es, esencialmente, un límite a la progresividad

42. Del mismo modo, el pro-fesor Rodríguez Bereijo afirma que la prohibición de confiscatoriedad es un «límite explícito a la progresividad que inspira el sistema tributario y a la even-tual utilización de la vía fiscal ... como instrumento de transformación pacífica del modelo de sistema económico y social que la CE propugna»

43. Ahora bien, como hemos apuntado más atrás, no podemos compartir que

la prohibición de confiscatoriedad se circunscriba sólo a los tramos más altos de renta y riqueza. Cualquier persona, sea cual sea su capacidad económica, puede resultar dañada, al menos en términos hipotéticos, por un impuesto confiscatorio. Por otra parte, no se me alcanza la razón por la que un impuesto proporcional no pueda ser confiscatorio, igual que uno progresivo

44. Incluso puede ser más fácil que un impuesto regresivo alcance cotas de confiscatorie-dad en los tramos más bajos de renta

45. Es por ello, quizás, que los dos autores citados avanzan en su idea y terminan afirmando que la limitación a la progre-sividad derivada de la prohibición de confiscatoriedad tiende, en último tér-mino, a proteger la propiedad privada y la libertad de ejercicio debatidas eco-nómicas.

6.3. El respeto a la propiedad privada

El principio más frecuentemente invocado por la doctrina como sustrato del PNC es el derecho a la propiedad privada. Según Palao Taboada, «teóri-

42 Según la autora citada, la prohibición de confiscatoriedad se integra y forma parte del concepto de sistema tributario justo, actuando como límite a la progresividad en el conjunto del sistema tributario. La no confiscatoriedad no es un límite a la justicia, sino su aplicación (AGUL-LÓ AGÜERO, op. cit., p. 560).

43 RODRIGUEZ BEREIJO, Jurisprudencia constitucional y principios de la imposición, en Ga-rantías constitucionales del contribuyente, Valencia, 1998, p. 622.

44 V. BOLLO AROCENA, op. cit., p. 215. En igual sentido, GARCÍA DORADO, op. cit., p. 130. 45 NAVEIRA DE CASANOVA, op. cit., p. 163.

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camente un sistema fiscal “confiscatorio” es una contradicción en los propios términos. Lo que sucede es que el calificativo “confiscatorio” no debe ... en-tenderse en sentido absoluto y estricto, sino ... como equivalente a “contrario al principio de propiedad privada”, concretamente en su vertiente objetiva o institucional»

46. Lasarte afirma que «las primeras aportaciones teóricas sobre este principio advirtieron acertadamente la necesidad de vincularlo a la pro-tección constitucional de la propiedad privada»

47. Soler Roch vincula la pro-tección constitucional del ahorro y la inversión con el derecho a la propiedad privada y la libertad de empresa en la economía de mercado. El conflicto en-tre estos principios y el sistema tributario «está previsto en el propio art. 31.1 de la Constitución cuando establece como límite a la actuación de los princi-pios materiales que el sistema tributario no tenga alcance confiscatorio»

48. El concepto constitucional de propiedad sobrepasa los limitados márgenes

de la propiedad del Código Civil. A la luz de la jurisprudencia del TC y la del TEDH, no es admisible la objeción de que, siendo el tributo una deuda de con-tenido dinerario y esencialmente fungible, no limita el derecho de propiedad de ninguna cosa en concreto.

La deuda tributaria, aun siendo una deuda de dinero, ha de ser satisfecha con cargo al patrimonio del obligado y afectará, cuando menos, a la propiedad de los bienes (dinero) de que el contribuyente se ha de desprender para pa-garlo

49.

46 PALAO TABOADA, op. cit., p. 319. 47 LASARTE ALVAREZ, Jurisprudencia del Tribunal Constitucional en materia financiera y

tributaria (1981-1989): sentencias, autos y comentarios, Madrid, 1990, p. 99. 48 SOLER ROCH, Incentivos a la inversión y justicia tributaria, Madrid, 1983, p. 112. En el

mismo sentido puede consultarse VILLEGAS, Curso de finanzas, derecho financiero y tributario, Buenos Aires, 2002, pp. 263 y 276 ss.; CAZORLA PRIETO, Artículo 31, en GARRIDO FALLA (dir.), Comentarios a la Constitución, Madrid, 2001, p. 736; MARTINEZ LAGO, Función mo-tivadora de la norma tributaria y prohibición de confiscatoriedad, en Civitas REDF, n. 60, 1988, p. 636. Este parece ser, por otro lado, el sustrato de la STC n. 37/1987, de 26 de marzo (FJ 13), opinión que confirmada en la STC 150/1990, de 4 de octubre (FJ 9), cuando se asimila la prohibición de confiscación a una de las exigencias lógicas del principio de capacidad económica.

49 Según el TC la garantía de la propiedad se refiere también a la titularidad de los dere-chos como, por ejemplo, los derechos de aprovechamiento sobre bienes del dominio público (STC n. 227/1988, de 29 septiembre, F. 11), los derechos patrimonializados inherentes a la condición de funcionario público (STC n. 99/1987, de 11 junio), la posición jurídica del ar-rendador de viviendas o locales de negocio (STC n. 89/1994, de 17 abril), los derechos de propiedad intelectual (ATC n. 134/1995, de 9 mayo), la titularidad del saldo de una cuenta corriente bancaria (STC n. 204/2004, de 18 noviembre, F. 5).

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Algunos autores se esfuerzan en diferenciar PNC y derecho a la propiedad porque tributo y la propiedad son instituciones distintas, cada una con su pro-pio fundamento. El fin del tributo sirve es proporcionar ingresos a los entes públicos y no puede ser asimilado a una expropiación sin compensación, pues ésta es una derivación de la función social de la propiedad que forma parte del contenido mismo del derecho de propiedad, es decir, del conjunto de dere-chos y obligaciones o deberes que incumben a quien la ley reconoce el status de propietario. El tributo no se engarza, por el contrario, en la función social de la propiedad sino en el deber de contribuir y es en este último contexto y no en el primero donde cobraría sentido la prohibición de confiscación

50. Esta diferenciación tiene poco recorrido porque se puede considerar que la

necesidad de financiar los gastos públicos es otro de los motivos de interés social que justifican el establecimiento de restricciones (no necesariamente expropiación) sobre el derecho de propiedad en abstracto. Este es el enfoque del art. 1 de Protocolo Adicional 1º del CEPDF que configura el pago de los impuestos u otras contribuciones o de las multas como límites específicos del derecho de toda persona física o moral al respeto de sus bienes

51. A mi juicio, el esfuerzo realizado para esbozar esta teoría termina siendo

baldío porque se sustenta sobre un juego de palabras. Lo que interesa es si el PNC tiene un contenido propio diferente del que pueda deducirse de la ga-rantía constitucional del derecho de propiedad y la respuesta no puede ser

También resulta claro para el TEDH, que la garantía de la propiedad se extiende a todos los bienes de contenido patrimonial entre los que se encuentran aquellos con los que se han de satisfacer o cumplir las obligaciones tributarias. Son propiedad, en este sentido, la licencia para desarrollar un negocio (Tre Traktörer Aktiebolag v. Suecia, 7 julio 1989), la reserva de dominio sobre un bien mueble vendido (Gasus Dosierund Fördertechnik Gmbh v. The Nether-lands, 23 febrero 1995), las expectativas de beneficios derivadas de la titularidad de bienes de carácter inmaterial (Alfredo Casotti y otros v. Italia, 16 octubre 1999), el derecho a la devolu-ción de ingresos tributarios indebidos (Building Societies v. Reino Unido, 23 octubre 1997), el derecho a no tener que satisfacer una deuda judicialmente anulada (Agurdino S.R.L. v. Mol-davia, 27 noviembre 2011) y las expectativas legítimas de deducir el IVA soportado (Bulves AD v. Bulgaria, 22 enero 2009).

La misma conclusión alcanzó la jurisprudencia argentina que, como hemos dicho, tiene un largo historial de pronunciamientos sobre la prohibición de confiscatoriedad CASÁS, Pre-sión fiscal e inconstitucionalidad: las garantías constitucionales ante la presión del conjunto de tri-butos que recaen sobre el sujeto contribuyente, Buenos Aires, 1992, pp. 77 y 78).

50 GARCÍA DORADO, op. cit., p. 111. 51 El art. 33 de la CE se refiere a los límites del contenido del derecho de propiedad, mien-

tras que el art. 1 del Protocolo Adicional primero alude a reglamentación del uso de los bie-nes de acuerdo con el interés general, además de la garantía del pago de impuestos, contri-buciones y multas. Obsérvese la mayor amplitud de la expresión adoptada por la CE.

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más que negativa porque, si no se hubiera incorporado la prohibición al art. 31 CE, no por ello dejarían de ser inconstitucionales los tributos confiscato-rios

52. Prueba de ello es que la confiscatoriedad no se menciona en la Consti-tución de los países en los que se han producido más amplios desarrollos doc-trinales y jurisprudenciales del PNC, y es la garantía de la propiedad y la liber-tad de empresa la que ha servido a nuestro TC fundar recortes al poder de imposición.

6.4. El respeto de la libertad de iniciativa económica

La prohibición de confiscatoriedad también está relacionada con el derecho a ejercer libremente las actividades económicas, recogido en el art. 38 CE

53. Según Pérez De Ayala es confiscatorio el impuesto que absorbe los recursos necesarios para que el contribuyente mantenga su actividad productiva

54. In-teresantes observaciones a este respecto se encuentran en la jurisprudencia estadounidense y argentina, que por razones de espacio no podemos comen-tar

55. De todo ello se deduce -desde mi punto de vista-, que la prohibición de confiscatoriedad, entendida como freno a los impuestos sofocantes de la acti-vidad económica, no añade nada a lo que se deduce del citado art. 38 CE.

Cuestión distinta es la de si puede coartarse la libertad económica para con-seguir finalidades extrafiscales por medio del tributo, posibilidad admitida por la Corte Suprema de Argentina

56. Una eventual respuesta afirmativa a esta cue-

52 Tiene interés, no obstante, la tesis de Herrera Molina que habla de tributos que gravan excesivamente el patrimonio pero que no llegan a constituir una lesión institucional del dere-cho de propiedad, y pone ejemplos de la jurisprudencia alemana Herrera Molina (HERRERA MOLINA, Capacidad económica y sistema fiscal: análisis del ordenamiento español a la luz del dere-cho alemán, Madrid, 1998, p. 132). Ahora bien, la Constitución alemana no establece expresa-mente el principio de no confiscatoriedad que se deduce, en realidad, de otros principios.

53 Art. 38: «Se reconoce la libertad de empresa en el marco de la economía de mercado. Los poderes públicos garantizan y protegen su ejercicio y la defensa de la productividad, de acuerdo con las exigencias de la economía general y, en su caso, de la planificación».

54 Un impuesto de esas características produce un efecto sustitución negativo que se ma-nifiesta en una reducción del rendimiento recaudatorio del tributo (punto de descenso de la curva de Laffer). Hay un tipo óptimo de gravamen que es el que asegura el mayor rendimien-to recaudatorio, superado del cual el gravamen se convierte en confiscatorio PEREZ DE AYA-LA, Las cargas públicas: principios para su distribución, en HPE, n. 59, 1979, p. 97 ss.).

55 Véase par. 21. Es interesante la jurisprudencia de la Corte Suprema de Argentina: v. sentencias de 5 septiembre 1903 (Hileret y Rodríguez v. la provincia de Tucumán), de 30 marzo 1928 (Raúl Rizzotti v. la provincia de San Juan) de 21 julio1941 (Dolores Cobo de Macchi di Cellere v. provincia de Córdoba). Me remito de nuevo a CASÁS, op. cit., p. 93.

56 Véase SPISSO, op. cit., p. 258.

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stión, que es la esperable del TC español (v. par. 4), nos llevaría al mismo re-sultado: la prohibición de confiscatoriedad no añade nada al principio de li-bertad de empresa.

Gasto público y prohibición de confiscatoriedad La doctrina también en-cuentra conexiones entre la prohibición de confiscatoriedad y el gasto público. El profesor Lasarte Alvarez tachó de confiscatoria la exacción con que se sati-sfacen necesidades particulares de quien ocupa el poder, mediante decisiones de gasto ocultadas, formal o sustancialmente, al parlamento

57. Sin embargo ca-be oponer que para rechazar del gasto injusto no es necesario invocar el PNC. La inconstitucionalidad o ilegalidad del gasto es, en estos casos, autónoma e independiente del modo en que se financie.

El gasto público también se ha relacionado con la confiscatoriedad de los impuestos porque con él puede aumentar la riqueza y el bienestar económico de que gozan los particulares: esto justificaría la existencia de gravámenes más elevados

58. Tampoco este enfoque otorga al PNC entidad suficiente para con-siderarlo independiente de la garantía de la propiedad y la libertad de empresa de que hemos hablado.

7. Conclusión: la no confiscatoriedad como prohibición

La prohibición de confiscatoriedad, sea o no una norma autónoma, desem-peña una función limitadora del legislador. Algunos lo elevan a la categoría de principio jurídico porque le atribuyen una función positiva consistente en una supuesta influencia en el contenido de las normas y de las decisiones jurispru-denciales

59. Parece ser que así lo entiende la Ley General Tributaria que, en su artículo tres, habla de «los principios de justicia, generalidad, igualdad, pro-gresividad, equitativa distribución de la carga tributaria y no confiscatoriedad».

57 LASARTE ALVAREZ, El sistema tributario actual y la situación financiera del sector público, discurso de ingreso en la Real Academia Sevillana de Legislación y Jurisprudencia, Sevilla, 1993; p. 22. En el mismo sentido BOLLO AROCENA, op. cit., p. 213: «todo gasto injusto originará la calificación del sistema tributario que lo sufrague como sistema confiscatorio ... dado que, a través de él, se habría producido una injustificada desposesión de bienes».

58 V. NAVEIRA DE CASANOVA, op. cit., p. 355. 59 Son, por otra parte, numerosos los autores que hablan del principio de no confiscato-

riedad, que da título a algunas monografías como las de NAVEIRA DE CASANOVA, op. cit., y GAR-CÍA DORADO, op. cit.; y artículos de revista: NUÑEZ PÉREZ, op. cit., BARRACHINA JUAN, El prin-cipio de no confiscatoriedad tributaria, en Gaceta Fiscal, n. 135, 1995, p. 163 ss.

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Sin embargo, de todo lo expuesto se deduce que no estamos ante un prin-cipio jurídico sino ante una mera prohibición. Los principios son normas do-tadas de un amplio grado de abstracción en su presupuesto de hecho que in-forman la labor de los operadores jurídicos (legislador e intérpretes) y marcan los límites dentro de los que unos y otros deben ejercer su tarea. Por decirlo con un símil deportivo, los principios marcan el terreno de juego dentro del que se ha de mover el legislador e incluso le señalan donde encuentra la portería a donde deben dirigirse, pero no lo obligan a situarse en un punto determinado del terreno de juego siempre que no se salga de los límites del campo.

El art. 31 de la constitución distingue claramente entre principios informa-dores o inspiradores del sistema tributario (capacidad económica, igualdad, pro-gresividad) y la referencia a la confiscatoriedad constituye una norma de ca-rácter prohibitivo que tiene como presupuesto de hecho una conducta concreta, la imposición de gravámenes excesivos, que es difícil de delimitar. La prohibi-ción de confiscatoriedad carece de valor orientativo de la actuación del legisla-dor: simplemente le marca una frontera que no puede rebasar y que no es sino una consecuencia concreta de otros principios constitucionales: el principio de reconocimiento y garantía de la propiedad privada y el principio de libertad de ejercicio de actividades económicas.

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GIURISPRUDENZA

SOMMARIO: Cass., sez. III, 23 agosto 2016, n. 35294 – Pres. Rosi, Rel. Aceto, con nota di I. Pini,

L’imputazione temporale della plusvalenza derivante dal contratto di sale and lease back in soggetti non IAS (The temporal tax relevance of capital gains deriv-ing from the sale and lease back contract for non-IAS adopters)

Corte cost., 3 marzo 2016, n. 44 – Pres. Criscuolo, Rel. Coraggio, con nota di F. Rasi, La competenza nel processo tributario: prevale la “comodità” del contri-buente o quella dell’Agenzia delle Entrate? (Territorial competence in tax litiga-tion: does the “comfort” of the taxpayer prevail over the one of the tax authorities?)

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2017 506

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Cass., sez. III, 23 agosto 2016, n. 35294 – Pres. Rosi, Rel. Aceto

Imposte sui redditi persone fisiche e giuridiche – Reddito di impresa – Negozio di sale and lease back – Operazione unitaria – Plusvalenza – Criteri di imputazione temporale – Ripartizione graduale (art. 2425 bis, comma 4, c.c.; D.P.R. 22 dicem-bre 1986, n. 917, artt. 86, 109).

Il negozio di sale and lease back è un negozio unitario, con causa di finanziamento,

diversa dunque dalle cause dei distinti segmenti negoziali che lo compongono; pertanto tale contratto, ai fini fiscali, non deve essere scomposto in due negozi (vendita e retroloca-zione del bene) e la plusvalenza, generata da tale operazione unitaria, deve essere tassata, in maniera graduale, secondo la ripartizione temporale di cui all’art. 2425 bis, comma 4, c.c., alla quale non deroga l’art. 86, comma 4, del T.U. delle imposte sul reddito.

(Omissis)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. Il sig. S.G.M.S. ricorre per l’annullamento dell’ordinanza del 23/09/2015 del Tri-

bunale di Sassari che ha respinto la richiesta di riesame del decreto del 14/07/2015 del G.i.p. di quello stesso Tribunale che, sulla ritenuta sussistenza indiziaria del reato di cui al d.lgs. n. 74 del 2000, art. 5, aveva disposto il sequestro preventivo, finalizzato alla con-fisca per equivalente, di beni a lui intestati per un valore pari ad euro 213.047,00, corri-spondente all’importo dell’imposta non dichiarata ed evasa.

1.1. Con il primo motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b) e c), la erronea applicazione e l’inosservanza dell’art. 322 ter c.p., artt. 321 e 125 c.p.p., perché il seque-stro di valore è stato disposto in assenza della preventiva verifica della disponibilità del profitto del reato e senza motivazione alcuna al riguardo o comunque con motivazione apparente.

1.2. Con il secondo eccepisce, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b) e c), la erronea ap-plicazione e l’inosservanza degli artt. 322 ter c.p., artt. 321 e 125, c.p.p., e dell’art. 2425 bis c.c.

Deduce al riguardo che la plusvalenza derivante dal contratto del 09/07/2010 di “sa-le and lease back” dell’immobile destinato a distributore e bar tabacchi, quantificato nella misura di euro 455.950,03, è stata erroneamente imputata per intero all’anno di imposta 2010, piuttosto che distribuito per tutta la durata della locazione finanziaria in ossequio al principio di competenza di cui all’art. 2425 bis c.c., con quanto ne consegue anche in termini di superamento della soglia di punibilità e della effettiva consapevolezza e volon-tà di evadere l’imposta per l’intero ammontare non dichiarato.

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2017 508

Inoltre, aggiunge, non sono state prese in considerazione la perdita di esercizio (pari ad euro 234.000,00) e le spese sostenute per la stipula notarile dell’atto, per la stima del-l’immobile e per l’assicurazione che, concorrendo a quantificare il reddito imponibile, incidono sulla entità dell’imposta evasa.

Conclude lamentando che il Tribunale del riesame ha acriticamente fatto proprie le conclusioni dell’avviso di accertamento benché nullo ed inesistente in quanto sottoscrit-to da un dirigente totalmente carente di potere a seguito del pronunciamento del Giudi-ce delle leggi n. 37 del 2015, che ha sancito la carenza assoluta di attribuzione in capo ai funzionari dell’Agenzia delle Entrate ai quali siano stati illegittimamente attribuiti incari-chi dirigenziali.

MOTIVI DELLA DECISIONE

2. Il ricorso è fondato. (Omissis) 5. È fondato il secondo motivo di ricorso per la parte relativa alle modalità di imputa-

zione della plusvalenza da sale and lease back (compravendita con locazione finanziaria al venditore); è del tutto generico per la parte relativa alla detraibilità delle spese.

5.1. Un punto di fatto risulta, dall’esame del provvedimento impugnato e dalle dedu-zioni difensive, che il ricorrente nel 2010 ha venduto alla Sardaleasing Spa la stazione di servizio di sua proprietà al prezzo di euro 455.950,53, riottenendolo dalla stessa società a titolo di locazione finanziaria.

5.2. Si tratta, come accennato, di un contratto di impresa “socialmente tipico” meglio conosciuto come “sale and lease back” in forza del quale un’impresa vende un bene stru-mentale ad una società finanziaria, la quale ne paga il prezzo e contestualmente lo con-cede in locazione finanziaria alla stessa impresa venditrice, verso il pagamento di un ca-none e con possibilità di riacquisto del bene al termine del contratto per un prezzo nor-malmente molto inferiore al suo valore (così Cass. civ. Sez. 3, n. 5438 del 14/03/2006).

5.3. Nel caso in esame non è contestata (né il Tribunale lo sostiene) la causa illecita del contratto, tantomeno la finalità elusiva di obblighi tributari con esso perseguita, sic-ché l’operazione deve ritenersi posta in essere per soddisfare reali esigenze di liquidità d’impresa. Del resto, la questione oggetto di esame riguarda solo ed esclusivamente le modalità di computo, a fini fiscali del corrispettivo ricevuto dal venditore.

5.4. Secondo quanto prevede l’art. 2425 bis c.c., u.c., le plusvalenze derivanti da ope-razioni di compravendita con locazione finanziaria al venditore sono ripartite in funzio-ne della durata del contratto di locazione.

5.5. Il TUIR non prevede espressamente nulla al riguardo. 5.6. L’art. 87, TUIR prevede soltanto che le plusvalenze dei beni relativi all’impresa

concorrono a formare il reddito se sono realizzate mediante cessione a titolo oneroso per l’intero ammontare nell’esercizio in cui sono state realizzate. Se i beni sono stati posse-duti per un periodo non inferiore a tre anni le plusvalenze concorrono a formare il reddito in quote costanti non oltre il quarto anno successivo alla cessione, a condizione che il

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contribuente faccia questa scelta con la dichiarazione annuale, altrimenti la plusvalenza concorre a formare il reddito per l’anno in cui è stata realizzata.

5.7. Nel caso di specie, poiché l’impresa era posseduta da meno di tre anni e il contri-buente non aveva presentato la dichiarazione dei redditi, l’Amministrazione finanziaria ha attribuito per intero la plusvalenza al reddito maturato nell’anno 2010.

5.8. Ritiene il Collegio che la disciplina relativa alle plusvalenze patrimoniali da ces-sione di beni d’impresa non sia applicabile a quelle derivanti da operazioni di compra-vendita con locazione finanziaria al venditore.

5.9. Il contratto di sale and lease back ha una causa diversa dal contratto di vendita pu-ro e semplice; si tratta di un contratto unico, complesso con causa finanziaria non scom-ponibile nei suoi elementi. Le diverse modalità di iscrizione nel bilancio delle relative plusvalenze, in ossequio ai principi contabili internazionali, ne sono la prova (e la relati-va conseguenza).

5.10. La causa finanziaria del contratto impedisce di assimilare (a fini fiscali) la som-ma ricevuta dal concedente al corrispettivo dell’acquirente. Il fatto che il legislatore tri-butario non abbia disciplinato la specifica materia non può essere motivo per trarne la conseguenza della inapplicabilità ad esso della ripartizione pluriennale, anche a fini fisca-li, della plusvalenza ottenuta con la cessione del bene, ben potendo valere l’esatto con-trario: al momento, tale criterio di imputazione – nel silenzio del legislatore fiscale ed in assenza di una specifica norma tributaria derogatoria dei principi generali di derivazione e di imputazione per competenza – è l’unico espressamente previsto e non v’è ragione alcuna per disattenderlo, visto che quando l’ha voluto il legislatore tributario ha espres-samente rimodellato a proprio uso e consumo i corrispondenti istituti del diritto civile e commerciale.

5.11. Il modo di contabilizzare le plusvalenze derivanti da contratto di sale and lease back è stabilito dal principio contabile IAS 17 (International Accounting Standards) in vi-gore dal 1 gennaio 2005.

5.12. I principi contabili IAS sono ispirati al criterio della prevalenza della sostanza sulla forma (per un riferimento si veda il D.M. 1 aprile 2009, n. 48, art. 2, comma 2) e fatti propri dal Reg. (CE) 19/07/2002, n. 1606/2002 (Regolamento del Parlamento Euro-peo e del Consiglio relativo all’applicazione di principi contabili internazionali) cui a sua volta fa riferimento l’art. 83, TUIR ai fini della determinazione del reddito complessivo imponibile. È vero che tali principi non si applicano ai soggetti che non redigono il bilancio in base ad essi (cd. soggetti non IAS), ma è agevole osservare che non v’è motivo alcuno per disattendere principii generali non espressamente derogati dalla legislazione tributa-ria ed anzi tradotti in precisa norma di legge aderente alla sostanza del negozio (art. 2425 bis c.c., u.c.).

5.13. Occorre sul punto aggiungere che la possibilità, concessa al contribuente, di “diluire” negli anni la plusvalenza ottenuta dalla cessione di beni costituisce una deroga al criterio di competenza di cui all’art. 109, TUIR; il che giustifica (e spiega) l’onere di ef-fettuare la scelta nella dichiarazione dei redditi (art. 86, comma 4, TUIR).

5.14. La ripartizione della somma finanziata per la durata del contratto di sale and lea-

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se back, invece, è coerente con la causa effettiva del contratto, sicché l’assimilazione di tale finanziamento al corrispettivo derivante da una normale compravendita costituisce un’ingiustificata forzatura che non trova una espressa codificazione e impedisce perico-lose applicazioni analogiche anche degli oneri dichiarativi previsti, ad altro fine, dall’art. 86, comma 4, TUIR.

5.15. Ne consegue che il reddito di impresa deve essere (ri)calcolato ripartendo la plusvalenza per la durata del contratto al fine di accertare se, nel caso di specie, sia stata superata, per l’anno di imposta di riferimento, la soglia di punibilità di cui al d.lgs. n. 74 del 2000, art. 5, e rideterminare, in caso di esito positivo, l’entità effettiva dell’imposta evasa.

5.16. L’ordinanza impugnata deve perciò essere annullata con rinvio al Tribunale di Sassari che si atterrà ai principi sopra esposti.

P.Q.M.

Annulla la ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Sassari. Così deciso in Roma, il 12 aprile 2016. Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2016

L’imputazione temporale della plusvalenza derivante dal contratto di sale and lease back in soggetti non IAS

The temporal tax relevance of capital gains deriving from the sale and lease back contract for non-IAS adopters

Abstract Con la pronuncia in commento, la Suprema Corte (seppur nella sua composizione penale) affronta la questione dell’imputazione temporale delle plusvalenze genera-te da contratto di sale and lease back per i soggetti c.d. non IAS e sembra accogliere l’orientamento secondo cui, anche per i soggetti non IAS, vale il principio di impu-tazione delle plusvalenze lungo l’intera durata del contratto di leasing, attribuendo valenza fiscale all’art. 2425 bis c.c. La suddetta statuizione sembra peraltro ulteriormente avvalorata dalla recente no-vella legislativa introdotta con L. n. 19/2017, con la quale si è rafforzato, anche per

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le imprese che adottano i principi contabili nazionali (ad esclusione delle sole im-prese minori ex art. 2435 ter c.c.), il principio di derivazione del reddito d’impresa dalle risultanze di bilancio. Parole chiave: reddito d’impresa, principi contabili nazionali e internazionali, ne-gozio di sale and lease back, plusvalenza, criteri di imputazione temporale The decision in comment of the Italian Supreme Court (although in its criminal compo-sition) deals with the temporal tax relevance of capital gains deriving from the sale and lease back contract for non-IAS adopters and seems to accept the interpretation accord-ing to which, also for such subjects, capital gains shall be relevant over the entire lease term, giving a tax relevance to art. 2425 bis c.c. The correctness of this ruling is furthermore supported by the recent amendments made by Law n. 19/2017, through which the principle of derivation of business income from the balance sheet results strengthened, also for companies adopting national accounting standards (with the only exclusion of minor companies according to art. 2435 ter c.c.). Keywords: business income, national international accounting standards, sale and lease back, capital gain, temporal imputation criteria

SOMMARIO: 1. Considerazioni introduttive. – 2. Sale and lease back: natura del contratto e profili dell’opera-zione ai fini del bilancio civilistico. – 3. Orientamenti giurisprudenziali. – 4. Considerazioni finali.

1. Considerazioni introduttive

La sentenza in rassegna concerne una questione, quella dell’individuazione del criterio per l’imputazione fiscale della plusvalenza derivante da contratto di sale and lease back, molto dibattuta sia in dottrina che nella giurisprudenza di merito e che, fino ad oggi, non sembrava risolta in maniera pacifica.

Le difficoltà interpretative e il conseguente dibattito dottrinale e giurisprudenzia-le sono sorti a seguito dell’introduzione, nell’ambito dell’ordinamento civilistico-contabile, dell’art. 2425 bis c.c., in attuazione della riforma contenuta nel D.Lgs. n. 310/2004.

Tale norma dispone, infatti, che le plusvalenze derivanti da operazioni di com-pravendita con locazione finanziaria al venditore siano ripartite in funzione della du-rata del contratto di locazione. Per la norma civilistica il plusvalore generato dalla ven-dita del bene alla società di leasing non deve essere rilevato interamente nell’esercizio in cui esso si verifica, ma deve essere ripartito in quote costanti in virtù della durata del successivo e connesso contratto di locazione finanziaria.

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Gli operatori del diritto sono stati, quindi, chiamati a rispondere al seguente que-sito: il principio contenuto nell’art. 2425 bis c.c., nonostante sia stato inserito dal le-gislatore nella sezione IX (del Titolo V – delle Società – Capo V – Società per azioni) dedicata alla redazione del bilancio civilistico, ha efficacia anche come criterio fiscale per l’imputazione temporale della plusvalenza ai fini del reddito di impresa?

In altre parole, la plusvalenza fiscale, generata dalla cessione del bene, all’interno del contratto di sale and lease back, deve essere ripartita, come stabilisce la norma ci-vilistica, in quote costanti e in tanti esercizi quanti sono gli anni di durata del contrat-to di leasing o deve essere imputata nell’esercizio in cui essa si verifica?

Per completezza espositiva, occorre affermare, fin d’ora, che la presente questio-ne si è posta solo per i soggetti c.d. non IAS, in quanto le imprese che redigono il bi-lancio adattando i criteri internazionali applicano lo IAS n. 17 che impone una rile-vazione differita della plusvalenza (rispetto al momento in cui essa si verifica) impu-tata lungo la durata del leasing 1.

A livello generale, si può, infatti, affermare che, a decorrere dal 2005 (D.Lgs. 28 febbraio 2005, n. 38), il legislatore ha differenziato i criteri per la redazione del bi-lancio di esercizio sulla base della tipologia del soggetto redattore 2. Per determinati soggetti giuridici (alcuni su base obbligatoria 3 altri facoltativa 4), il legislatore ha pre-visto la formazione del bilancio mediante applicazione dei principi contabili interna-zionali (c.d. IAS/IFRS): il bilancio, secondo la riforma, doveva rispecchiare l’anda-mento passato della gestione, lo stato di salute attuale dell’azienda e l’orientamento futuro dei flussi finanziari e dei cicli economici dell’attività.

1 Solo per i soggetti IAS adopter la regola dell’iscrizione frazionata della plusvalenza da sale and lease back assume una duplice rilevanza fiscale e contabile. Sul tema, si rinvia, per approfondimenti, tra i va-ri, a: FRANSONI, L’imputazione a periodo nel reddito d’impresa dei soggetti IAS/IFRS, in Corr. trib., 2008, p. 3145 ss.; GAFFURI, La determinazione del reddito tassabile per le imprese che adottano gli IAS/IFRS se-condo le recenti modifiche legislative e le norme del decreto n. 48/2009, in Boll. trib., 2010, p. 752 ss.; ZIZZO, La fiscalità delle società IAS/IFRS, Milano, 2011.

2 La necessità di modificare i criteri di redazione del bilancio era sorta a livello comunitario (Reg. n. 1606/2002/CE), con l’obiettivo di rendere uniformi e compatibili i bilanci delle imprese europee. In particolare, al comma 1 dell’art. 1 del suddetto regolamento, era espressamente sancito che «la dif-fusione e l’utilizzazione dei principi contabili internazionali sono finalizzate all’obiettivo di armonizza-re l’informazione finanziaria relativa alle società tenute a redigere il bilancio consolidato e quotate in un mercato CE».

3 Sono soggetti obbligati ad applicare gli IAS: le società emittenti strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati dell’UE, le società aventi strumenti finanziari diffusi presso il pubblico, le ban-che e gli altri intermediari finanziari, le società assicurative.

4 Tali società possono essere suddivise in tre gruppi: 1) le società tenute alla redazione del bilancio di esercizio incluse nel bilancio consolidato delle società obbligate a redigerlo in conformità agli IAS/IFRS, escluse quelle che hanno la possibilità di redigere il bilancio in forma abbreviata, ex art. 2435 bis c.c.; 2) le società tenute alla redazione del bilancio di esercizio, diverse da quelle di cui al punto precedente, che redigono il bilancio consolidato, escluse quelle che hanno la possibilità di redigere il bilancio in forma abbreviata, ex art. 2435 bis c.c.; 3) le società rimanenti, escluse quelle che hanno la possibilità di redigere il bilancio in forma abbreviata, ex art. 2435 bis c.c.

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Cass., sez. III, 23 agosto 2016, n. 35294 513

Nella tradizione contabile italiana, fondata sul sistema del reddito, il bilancio d’e-sercizio ha sempre rappresentato lo strumento finalizzato a fornire una rappresenta-zione consuntiva dei risultati della gestione aziendale, ancorato, fondamentalmente, ai principi di prudenza e di continuità dell’attività d’impresa (art. 2423 c.c.).

Il bilancio redatto in conformità dei principi contabili internazionali è, invece, strutturato in modo da rappresentare l’attuale valore economico dell’impresa ed infor-mare sulla futura capacità della stessa di produrre ricchezza, con conseguenti riper-cussioni anche sulla determinazione del reddito d’impresa. Infatti, a seguito dell’ulte-riore riforma del 2007 (L. n. 244/2007 – legge finanziaria 2008), viene attribuita va-lenza fiscale ai criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione in bi-lancio previsti dagli IAS/IFRS, con significativo rafforzamento 5 del principio di de-rivazione 6.

Si vengono, così, a configurare (fino all’attuale riforma attuata con L. n. 19/2017 7,

5 V. ZIZZO, Il principio di derivazione a dieci anni dall’introduzione dell’Ires, in Rass. trib., 2014, p. 1303 ss., il quale osserva che le scelte compiute con la Riforma del 2003 ed in sede di prima applicazione (riforma del 2005) dei principi contabili internazionali sono state rapidamente rinnegate: da una deri-vazione parziale orientata al doppio binario si è passati ad una derivazione parziale orientata al binario unico. L’Autore, analizzandone i vantaggi, sottolinea come il modello del binario unico semplifica l’a-dempimento dell’obbligazione tributaria e assicura trasparenza al prelievo, riducendo il divario tra ali-quota effettiva e aliquota nominale, e garantisce una base economica attendibile, poiché formata in via analitica secondo le indicazioni fornite dalle scienze aziendalistiche. Per quanto concerne gli svantaggi, l’Autore evidenzia come il rafforzamento del principio di derivazione, implicando che le modifiche alle regole contabili si riflettano in modo automatico sull’imponibile, potrebbe confliggere con i principi e i valori che tipicamente informano la normativa tributaria, con conseguenti ripercussioni anche sul pia-no della certezza applicativa e affidabilità del gettito.

6 Per una esaustiva ricostruzione dell’evoluzione normativa circa i principi contabili internazionali e il principio di derivazione si rinvia a: FRANSONI, op. cit., p. 3145 ss.; SALVADEO-D’ANGELO, Principio di derivazione rafforzata nella determinazione del reddito dei soggetti IAS/IFRS, in Bilancio e reddito d’im-presa, 2011, p. 21 ss.; SALVINI, Gli IAS/IFRS e il principio fiscale di derivazione, in AA.VV., IAS/IFRS. La modernizzazione del diritto contabile in Italia, Milano, 2007, p. 202 ss.; TESAURO, Esegesi delle regole ge-nerali sul calcolo del reddito d’impresa, in AA.VV., Commentario al Testo Unico alle imposte sui redditi e altri scritti, Roma-Milano, 1990, p. 217 ss.; TINELLI, Bilancio d’esercizio, principi contabili internazionali e accertamento tributario (parte II), in Riv. dir. trib., 2010, p. 277 ss.; VENUTI, I dieci anni dalla riforma del TUIR: bilanci e prospettive. Il principio di derivazione dal punto di vista dello studioso del bilancio di esercizio, in Rass. trib., 2015, p. 639 ss.; ZIZZO, Regole generali sulla determinazione del reddito d’impresa, in AA.VV., L’imposta sul reddito delle persone fisiche, tomo II, in Giurisprudenza sistematica di diritto tributario, diretto Tesauro, Torino, 1994, p. 475 ss.; ID., I principi contabili internazionali nei rapporti tra determinazione del risultato d’esercizio e determinazione del reddito imponibile, in Riv. dir. trib., 2005, p. 1165 ss.

7 Per completezza espositiva, si segnala, fin d’ora, che il legislatore fiscale è di recente intervenuto modificando l’art. 83 TUIR (v. art. 13 bis, D.L. n. 244/2016, conv. con emendamenti dalla L. n. 19/2017), al fine di rafforzare, anche per le imprese che adottano i principi contabili nazionali (ad esclusione, tuttavia, delle micro-imprese ex art. 2435 ter c.c.), il principio di derivazione del reddito d’impresa dalle risultanze di bilancio. Si consente, in altre parole, a tali soggetti il pieno riconoscimen-to della rappresentazione di bilancio fondata sul principio della prevalenza della sostanza sulla forma, attribuendo valore fiscale ai criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione in bilan-cio previsti dai rispettivi principi contabili, anche in deroga alle disposizioni fiscali. Le suddette novità

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2017 514

di cui si dirà successivamente) due differenti assetti normativi (IAS/IFRS e codice civile), caratterizzati da principi e regole diversi tra loro, sia sotto il profilo civilistico che fiscale.

Si può, infatti, osservare che, mentre, da un punto di vista civilistico, l’impianto normativo codicistico è più orientato verso la determinazione di un reddito distri-buibile, con una rappresentazione delle operazioni che risente del relativo inquadra-mento giuridico-formale; dall’altro, l’apparato dei principi contabili internazionali è maggiormente indirizzato alla valorizzazione di un reddito che misuri le performance realizzate nell’esercizio (a beneficio in primis degli investitori in titoli di capitale o di debito della società), nonché alla rappresentazione dell’essenza economica dell’ope-razione.

Si osservi, inoltre, che, sotto il profilo fiscale, i soggetti non IAS determinano il reddito imponibile apportando al risultato di bilancio le variazioni in aumento e di-minuzione previste dal TUIR; per i soggetti IAS, il reddito imponibile è, invece, de-terminato tendenzialmente sulla base dei medesimi principi contabili.

È proprio in questo contesto di diversità di regimi che si inserisce la questione ivi affrontata della imputazione temporale delle plusvalenze derivanti da contratto di sale and lease back.

Come già detto, per i c.d. soggetti IAS, proprio per la rilevanza fiscale del princi-pio contabile (n. 17), la plusvalenza (sia da un punto di vista civilistico che fiscale) deve essere ripartita sulla base della durata del contratto di locazione finanziaria; per i c.d. soggetti non IAS, invece, l’unica disposizione normativa in materia è quella con-tenuta nel sopraccitato art. 2425 bis c.c., la cui rilevanza anche in ambito fiscale, fino all’intervento ivi commentato, era stata oggetto di pronunce di merito e di interventi di dottrina contrastanti tra loro.

A parere di chi scrive, l’odierno intervento della Suprema Corte deve essere ac-colto con favore; sia perché esso pare essere il primo sul tema da parte della giuri-sprudenza di legittimità, anche se a decidere sulla questione di rilevanza fiscale è sta-ta la sezione III penale; sia perché, con provvedimento ben motivato, è stata accolta la soluzione più coerente al sistema normativo.

La sezione penale 8, accogliendo i motivi di ricorso e analizzando in maniera com- decorrono dall’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015. Continuano ad essere as-soggettati alla disciplina previgente gli effetti reddituali e patrimoniali sul bilancio del predetto eserci-zio e di quelli successivi delle operazioni che risultino diversamente qualificate, classificate, valutate e imputate temporalmente ai fini fiscali rispetto alle qualificazioni, classificazioni, valutazioni e imputa-zioni temporali risultanti dal bilancio dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2015. È, inoltre, previsto un regime transitorio per i derivati diversi da quelli iscritti in bilancio, la cui valutazione assume rilievo ai fini della determinazione del reddito al momento del realizzo.

8 In particolare, ai giudici della Corte di Cassazione veniva sottoposto ricorso per l’annullamento dell’ordinanza del Tribunale di primo grado volta a respingere la richiesta di riesame del decreto del Gip che, sulla ritenuta sussistenza indiziaria del reato di omessa dichiarazione di cui all’art. 5, D.Lgs. n. 74/2000, aveva disposto sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente. Il ricorrente,

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Cass., sez. III, 23 agosto 2016, n. 35294 515

piuta anche la questione prettamente fiscale, afferma che la plusvalenza realizzata dal cedente (soggetto non IAS) deve essere iscritta in conto economico in quote costan-ti in base alla durata del leasing, applicando anche in ambito fiscale il criterio civilisti-co-contabile di imputazione temporale stabilito dall’art. 2425 bis c.c.

La pronuncia di legittimità sembra, quindi, risolvere la questione disattendendo l’orientamento espresso dall’Amministrazione Finanziaria 9, secondo la quale il sud-detto plusvalore deve concorrere integralmente alla formazione del reddito imponi-bile nell’esercizio in cui è realizzata (ovvero qualora ricorrano i presupposti previsti dalla legge, in quote costanti nell’esercizio stesso e nei successivi quattro), in osse-quio a quanto disposto dagli artt. 86 e 109, comma 2, lett. a), TUIR.

Secondo la Suprema Corte, invece, la ripartizione della somma finanziata per la durata del sale and lease back è coerente con la causa effettiva del contratto; mentre, al contrario, appare giuridicamente illogica l’assimilazione tra tale finanziamento e il corrispettivo derivante da una normale compravendita. La suddetta assimilazione, a dire dei Supremi giudici, altro non è che una evidente forzatura, la quale, oltre a non trovare una espressa codificazione, espone a pericolose applicazioni analogiche an-che degli oneri dichiarativi previsti, ad altro fine, dall’art. 86, comma 4, TUIR.

2. Sale and lease back: natura del contratto e profili dell’operazione ai fini del bi-lancio civilistico

Il sale and lease back può essere definito il contratto mediante il quale un’impresa vende un bene, di solito un bene strumentale, ad un acquirente, di norma una società di leasing, che, a sua volta, lo cede in locazione finanziaria al venditore. Quest’ultimo, in contropartita, corrisponde i canoni pattuiti e riceve l’opzione di riacquistare la proprietà del bene venduto al termine della durata del contratto attraverso il paga-mento del prezzo stabilito per il riscatto 10.

Il sale and lease back deve essere, quindi, qualificato come contratto bilaterale; ca-ratteristica che consente di differenziarlo dal leasing finanziario, avente, invece, carat-tere trilaterale 11. Questa definizione è stata recepita ed, anzi, arricchita dalla giuri- con l’intento di provare la non sussistenza del reato o quanto meno il non superamento della soglia di punibilità, deduceva, tra l’altro, l’erronea imputazione nell’intero anno di imposta 2010 della plusva-lenza derivante da contratto di sale and lease back immobiliare.

9 L’Amministrazione Finanziaria si è espressa con la Circolare 23 giugno 2010, n. 38/E, in Banca dati fisconline. In tale sede, l’Agenzia delle Entrate ha confermato l’orientamento già espresso dalla Di-rezione regionale delle entrate del Piemonte in occasione di un precedente incontro MAP (moduli di aggiornamento professionale) e dalla stessa Agenzia con la Risoluzione 25 agosto 2009, n. 237/E.

10 BUONOCORE, La locazione finanziaria, in Trattato di diritto civile e commerciale, a cura di Cicu-Messineo-Mengoni, Milano, 2008, p. 297 ss.

11 Nel sale and lease back manca, pertanto, la trilateralità propria del leasing, dovendo essere soltan-

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2017 516

sprudenza civile 12, la quale, pronunciandosi per la prima volta nel 1995 13, ha prov-veduto, in un certo senso, a legittimare l’operazione, affrancandola dal legame con la vendita con patto di riscatto, intenso al punto da impedirne, fino a quel momento, un’autonoma considerazione e da influenzare decisamente la giurisprudenza relativa al problema del patto commissorio 14. to due i soggetti dell’operazione finanziaria e quindi le parti del relativo contratto: l’imprenditore che assume la duplice veste del fornitore-venditore e dell’utilizzatore e la società di leasing che assume la veste sia di acquirente che di parte che concede in godimento il bene.

12 La nozione di sale and lease back è stata così formulata dalla giurisprudenza civile: «Il contratto di sale and lease back si configura secondo uno schema negoziale, socialmente tipico (in quanto fre-quentemente applicato, sia in Italia che all’estero, nella pratica degli affari), caratterizzato da una speci-ficità tanto di struttura quanto di funzione (e, quindi, da originalità e autonomia rispetto ai “tipi” nego-ziali codificati), e concretamente attuato attraverso il collegamento tra un contratto di vendita di un proprio bene di natura strumentale da parte di un’impresa (o di un lavoratore autonomo) ad una so-cietà di finanziamento che, a sua volta, lo concede contestualmente in leasing all’alienante il quale cor-risponde, dal suo canto, un canone di utilizzazione con facoltà, alla scadenza del contratto, di riacqui-starne la proprietà esercitando un diritto di opzione per un predeterminato prezzo. Manca, pertanto, nella fattispecie negoziale “de qua” quella trilateralità propria del leasing, potendo essere due (e soltan-to due) i soggetti dell’operazione finanziaria (e, conseguentemente, le parti del contratto), in quanto l’imprenditore assume la duplice veste del fornitore-venditore e dell’utilizzatore, secondo un procedi-mento non diverso da quello dell’antico costituto possessorio. Ne consegue che il negozio di sale lease back viola la “ratio” del divieto del patto commissorio, al pari di qualunque altra fattispecie di collega-mento negoziale, sol che (e tutte le volte che) il debitore, allo scopo di garantire al creditore l’adempi-mento dell’obbligazione, trasferisca a garanzia del creditore stesso un proprio bene riservandosi la pos-sibilità di riacquistarne il diritto dominicale all’esito dell’adempimento dell’obbligazione, senza, peral-tro, prevedere alcuna facoltà, in caso di inadempimento, di recuperare l’eventuale eccedenza di valore del bene rispetto all’ammontare del credito, con un adattamento funzionale dello scopo di garanzia del tutto incompatibile con la struttura e la “ratio” del contratto di compravendita, mentre l’esistenza di una concreta causa negoziale di scambio» (Cass., sez. III, 21 gennaio 2005, n. 1273, in Banca dati fi-sconline).

13 Cass., sez. III, 16 ottobre 1995, n. 10805, in Contratti, n. 1, 1996, p. 28, con nota di DE MEO, Il contratto di lease back normale ed anomalo e in Giur. it., 1996, p. 1381 ss., con nota di CINQUEMANI, Sale and lease back tra liceità e frode del patto commissorio.

14 Per completezza espositiva, deve segnalarsi che, con l’art. 2, L. 30 giugno 2016, n. 119, pubblica-ta sulla G.U. il 2 luglio scorso, ha fatto ingresso nel nostro ordinamento l’istituto del “finanziamento alle imprese garantito da trasferimento di bene immobile sospensivamente condizionato”. La suddetta novella legislativa ha introdotto l’art. 48 bis TUB, che consente l’inserimento, all’interno del contratto di finanziamento concluso tra un imprenditore e una banca o altro soggetto autorizzato a concedere finanziamenti nei confronti del pubblico ai sensi dell’art. 106 TUB, di una pattuizione che, a garanzia dell’adempimento, contempli il trasferimento – in favore del creditore o di una società̀ dallo stesso con-trollata o al medesimo collegata ai sensi delle vigenti disposizioni di legge e autorizzata ad acquistare, detenere, gestire e trasferire diritti reali immobiliari – della proprietà di un immobile o di un altro dirit-to immobiliare dell’imprenditore o di un terzo. Tale trasferimento è tuttavia condizionato all’inadem-pimento del debitore quale definito a norma del comma 5; e si tratta di condizione dichiaratamente sospensiva, di tal che gli effetti traslativi non si producono fino all’inverarsi dell’evento dedotto in con-dizione. In questo modo la norma “codifica” la c.d. condizione di inadempimento, ammettendo espres-samente che l’efficacia della pattuizione e la conseguente possibilità del creditore di avvalersene siano subordinati all’inadempimento del debitore; e ciò sul presupposto che prestazione negoziale e condi-

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Cass., sez. III, 23 agosto 2016, n. 35294 517

Il contratto in parola, infatti, è stato da sempre (probabilmente per la lacuna legi-slativa in materia) oggetto di diversi dibattiti, volti, dal punto di vista civilistico 15, a chiarirne la natura, la funzione e a legittimarne la relativa validità contrattuale 16; da un punto di vista fiscale, a interrogarsi circa la liceità del medesimo strumento in vir-tù della normativa in materia di abuso del diritto 17, nonché, appunto, circa il tratta-mento fiscale della plusvalenza generata all’interno del contratto medesimo. zione non siano fra loro inconciliabili, potendo ricondursi al concetto di condizione il caso in cui un determinato accadimento, sebbene costituisca il risultato del comportamento contrattualmente previ-sto a carico di uno dei paciscenti (e come tale non sia di tipo non meramente potestativo), risulti, oltre che futuro, oggettivamente incerto. Per commenti alla riforma, si rinvia a MARI, Il patto marciano: un’analisi critica del nuovo art. 48 bis TUB, in Riv. not., 2016, p. 1111 ss.

15 Il tema del rapporto tra il contratto in parola e il divieto di patto commissorio non può essere trattato in questa sede. Si rinvia, senza pretesa di esaustività, per approfondimenti a: BRIANDA, Le pro-spettive del divieto di patto commissorio tra normativa comunitaria, lex mercatoria e tradizione, in Contr. e impresa, 2016, p. 797 ss.; BUONOCORE, op. cit., p. 291 ss.; IACCARINO, Il rimedio del patto marciano nel diritto positivo, in Immobili e proprietà, 2017, p. 101 ss.; LUNETTA, Divieto del patto commissorio, contrat-to di sale and lease back e autonomia privata, in www.dirittocivilecontemporaneo.com; VITI, Lease back, patto commissorio e clausola marciana, in Giur. it., 2015, p. 2341 ss.

16 Si segnala che la giurisprudenza civile (Cass., 28 gennaio 2015, n. 1625, in Riv. dir. civ., 2015, p. 1595 ss., con nota di NATALE, Lease back e strutture utili di patto marciano), pur riconoscendo la validi-tà contrattuale dello schema in parola, non nega tuttavia la possibilità che il medesimo, sia piegato al raggiungimento di uno scopo diverso da quello astratto del contratto di sale and lease back, ossia di ga-ranzia. Si veda, da ultimo, Cass., sez. I, 10 maggio 2017, n. 11449, in Banca dati Dejure, secondo la qua-le «il contratto di sale and lease back, pur configurando in sé un’operazione negoziale che non può ri-tenersi necessariamente preordinata alla fraudolenta elusione del divieto stabilito dall’art. 2744 c.c., tuttavia viola tale divieto qualora, per le circostanze del caso concreto – difficoltà economiche dell’im-presa venditrice, che giustificano il sospetto di un approfondimento della sua condizione di debolezza, sproporzione tra il valore del bene trasferito ed il corrispettivo versato dall’acquirente – l’operazione riveli una finalità in contrasto con esso». Ne deriva quindi la necessità di valutare caso per caso l’in-tento delle parti al fine di verificare se il risultato finale, cui queste ambiscono, sia in frode al divieto di cui all’art. 2744 c.c. Gli interpreti hanno, pertanto, individuato una serie di indici rivelatori del possibi-le intento fraudolento delle parti con la conclusione di un contratto di sale and lease back “anomalo” (sul punto si rinvia a ARCARI, Indici di anomalia del lease back, in Contratti, 2008, p. 36 ss.; LOTTA, Gli indi-ci di anomalia del lease back nella recente giurisprudenza, in Banca, borsa e tit. cred., 2013, p. 356 ss.).

17 Anche in ambito fiscale, il contratto in parola è dotato in astratto di dignità e validità. Tuttavia, ci si è interrogati se il sale and lease back possa configurare la fattispecie di abuso del diritto, nella condot-ta negoziale posta in essere al solo scopo di realizzare il vantaggio fiscale derivante dal più favorevole regime di deduzione dei canoni di leasing, rispetto a quello previsto per le quote di ammortamento del costo di acquisto del bene, deducibili per un importo minore e scaglionate in un più lungo periodo. In materia tributaria, alla stregua dell’elaborazione giurisprudenziale comunitaria e nazionale, costituisce pratica abusiva l’operazione economica che, attraverso l’impiego “improprio” e “distorto” dello stru-mento negoziale, abbia quale scopo predominante e assorbente (seppur non esclusivo) l’elusione della norma tributaria, mentre la mera astratta configurabilità di un vantaggio fiscale non è sufficiente ad integrare la fattispecie abusiva, poiché è richiesta la concomitante condizione di inesistenza di ragioni economiche diverse dal semplice risparmio di imposta e l’accertamento della effettiva volontà dei con-traenti di conseguire un indebito vantaggio fiscale. Sulla base di queste premesse, la Suprema Corte ha ritenuto non abusiva la stipula di un contratto di sale e lease back, pur pervenendo al medesimo risulta-to economico di una operazione di finanziamento bancario, per cui l’impiego del negozio era volto a

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2017 518

Per chiarezza espositiva, occorre fin d’ora precisare che i temi generali della legit-timità civile e della liceità fiscale del contratto di sale and lease back non saranno og-getto del presente intervento, che si concentrerà esclusivamente sull’aspetto del trat-tamento fiscale della relativa plusvalenza.

Al fine della nostra indagine, diretta appunto a coglierne il carattere originale e comprenderne le ripercussioni nella gestione d’impresa, nell’esaminare lo schema del contratto di sale and lease back, non si può prescindere da una valutazione della sua unitarietà e complessità.

Come è noto, nella disciplina civilistica, si parla di “negozio misto o complesso” allorquando in esso concorrono gli elementi di più contratti tipici che si fondono in un’unica causa, assistendo ad una compenetrazione dei singoli elementi causali tale da realizzare un interesse unitario sul piano pratico-economico. Per tale ragione, il contratto misto deve essere considerato come un unico contratto, essendo unica la causa del negozio medesimo.

Il sale and lease back pare rientrare nella nozione generale di negozio misto, essen-do, infatti, unica la causa dell’obbligazione. La stessa deve essere rinvenuta nella ne-cessità di finanziamento da parte dell’impresa: con l’esecuzione di tale contratto, nel bilancio della società si sostituisce un bene (generalmente un bene appartenente alle immobilizzazioni) con una somma di denaro, alla quale si aggiunge, in contropartita, un debito, rappresentato dai canoni di locazione.

In sostanza, si tratta di un finanziamento a lungo termine, che può essere utilizza-to per fronteggiare debiti a breve termine, al costo di privarsi della proprietà, ma non della disponibilità, di un bene strumentale 18.

Questo effetto di finanziamento (e/o di ristrutturazione dell’indebitamento) co-stituisce la causa del sale and lease back, causa diversa dunque da quelle dei distinti segmenti negoziali che compongono l’operazione nel suo complesso. consentire la maggiore deducibilità di canoni di leasing, rispetto ai soli interessi passivi che sarebbero stati deducibili con la stipula di un mutuo (in tal senso, Cass., 5 dicembre 2014, n. 25758, in Il Fisco, 2015, p. 170 ss., con nota di BORGOGLIO, Sale and lease back immobiliare fuori dall’abuso del diritto e Cass., 14 gennaio 2015, n. 405, in Rass. trib., 2015, con nota di ZOPPINI, Nuove prospettive giurisprudenziali in tema di abuso del diritto). È stata, invece, considerata una ipotesi di abuso del diritto l’operazione di sale e lease back c.d. infragruppo, in quanto “ontologicamente” finalizzata, in via esclusiva, a realizzare un vantaggio fiscale (Cass., 8 aprile 2009, n. 8481, in Il Fisco, 2009, p. 2757 ss.). Per approfondimenti dot-trinali sul tema, si rinvia, senza pretesa di esaustività, a AA.VV., Abuso del diritto ed elusione fiscale, a cu-ra di Della Valle-Ficari-Marini, Torino, 2017, p. 227; CANTELLI, Natura giuridica e trattamento fiscale del contratto di lease back immobiliare, in Il Fisco, 1989, p. 4972 ss.; CAPOLUPO, I problemi sollevati dal lease back, in Giur. it., 1989, p. 6414 ss.; FALCO, La buona fede e l’abuso del diritto. Principi, fattispecie e casistica, Milano, 2010, p. 496.

18 In dottrina è stato osservato che il suddetto contratto risponde all’esigenza, diffusa in ambito im-prenditoriale, di permettere l’esercizio dell’attività economica indipendentemente dalla titolarità dei mezzi di produzione e di smobilizzare risorse patrimoniali per utilizzare la liquidità monetaria ottenuta in investimenti produttivi e più in generale per consentire una gestione agile e adeguata alle strategie di medio e lungo termine. In tal senso, DE NOVA, Il lease back, in Riv. it. Leasing, 1987, p. 521 s.; LUMINOSO, Lease back, mercato e divieto del patto commissorio, in Giur. comm., 2000, I, p. 489 ss.

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Cass., sez. III, 23 agosto 2016, n. 35294 519

Come osservato anche dalla giurisprudenza civile, il contratto in parola costitui-sce un’operazione negoziale complessa, frequentemente applicata nella pratica degli affari, poiché risponde all’esigenza degli operatori economici di ottenere immediata liquidità, mediante appunto l’alienazione di un bene strumentale (di norma funzionale a un determinato assetto produttivo e pertanto non agevolmente collocabile sul mer-cato), conservandone, in ogni caso, l’uso con la facoltà di riacquistarne la proprietà al termine del rapporto 19.

Il sale and lease back sarebbe, quindi, dotato di una propria autonomia funzionale e causale che consente di differenziarlo da altri schemi negoziali: se con la stipula di un leasing immobiliare “ordinario”, l’impresa intende (“semplicemente”) ottenere la disponibilità e il godimento di un immobile; la locazione finanziaria di ritorno costi-tuisce, invece, lo strumento per ottenere disponibilità finanziarie mediante lo smobi-lizzo di parte del patrimonio dell’impresa 20.

Per tale ragione, il contratto in parola, nonostante si realizzi formalmente con la stipula di due negozi, quello di compravendita e quello di leasing, è in sostanza, però, un negozio complesso ed unitario e non certo un insieme di negozi collegati.

Ancora una volta, può venire a supporto del ragionamento la disciplina generale dei contratti, secondo la quale il discrimine tra unità e pluralità di negozi è da ricer-care nella causa medesima del contratto. Infatti, mentre nel caso di contratto com-posto, le singole componenti negoziali perdono l’individualità propria del tipo corri-spondente, andando a fondersi in un’unica causa; nel caso di contratti collegati, ogni negozio appartenente alla catena contrattuale conserva la propria autonomia struttu-rale e causale.

Ne deriva, quindi, che solo in presenza di un’unica causa si potrà affermare l’esi-stenza di un contratto unico e complesso, mentre in presenza di una molteplicità di cause si avrà una pluralità di contratti (collegati) 21.

19 In tal senso, Cass., sez. III, sent. 21 luglio 2004, n. 13580, in Impresa, 2004, p. 1821. Tale orienta-mento è stato, altresì, confermato dalla giurisprudenza civile successiva. Si vedano: Cass., sez. V, 29 marzo 2006, n. 7296, in Obbl. e Contr., 2006, p. 665, con nota di CORASANITI, Sale and leaseback; Cass., sez. V, 9 marzo 2011, n. 5583, in Banca dati fisconline; Cass., sez. VI, ord. 9 settembre 2014, n. 18920, in Banca dati fisconline, secondo la quale «Il contratto di “sale and lease back”, cd. locazione finanziaria di ritorno, è un contratto di impresa socialmente tipico, mediante il quale un imprenditore vende alla società finanziaria un bene di sua proprietà che poi quest’ultima gli concederà in leasing, avendo la possibilità di riacquistar-ne la proprietà in seguito all’esercizio del diritto di opzione. La causa concreta del contratto in questione è lo scopo di finanziamento e risulta lecita, in virtù del divieto di patto commissorio, ex art. 2744 c.c., a con-dizione che sussista un giusto equilibrio fra il valore del bene venduto, il prezzo versato, il canone ed il prezzo dell’opzione»; Cass., sez. I, 28 gennaio 2015, n. 1625, in Foro it., n. 2, 2016, 1, c. 685.

20 In tale senso AMATI-MONTELEONE, Il leasing immobiliare. Aspetti civilistici e fiscali, calcoli di conve-nienza, Milano, 1987, p. 140 ss.

21 Per maggiori approfondimenti sul tema si rinvia a BIANCA, Manuale di diritto civile, III, Il contratto, Milano, 2000, p. 478 ss.; CARINGELLA-DE MARZO, Manuale di diritto civile, III, Il contratto, Milano, 2008, p. 187 ss.; DE NOVA, Il contratto, in Trattato di diritto Civile, diretto da Sacco, Torino, 1993, p. 468 ss.; SICCHIERO, Il contratto con causa mista, Padova, 1996, p. 38 ss.

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2017 520

A differenza della classica operazione di locazione finanziaria, è prevista, nel con-tratto di sale and lease back, una fase antecedente, nel corso della quale il futuro uti-lizzatore decide di alienare un immobile, avente carattere strumentale alla propria attività imprenditoriale, del quale tuttavia non vuole definitivamente spogliarsi con-servandone la disponibilità ed ottenendo al contempo risorse liquide da destinare al-la propria attività economica 22. Emerge, quindi, come nel contratto in parola l’ele-mento essenziale della causa di finanziamento sia unica ed unitaria.

In altre parole, per valutare la natura del sale and lease back non ci si deve fare “in-gannare” dalla circostanza che per concretizzare la causa del suddetto negozio occor-re, formalmente, porre in essere due negozi (vendita e leasing), in quanto essi non pos-sono essere considerati asistematicamente, non essendo dotati di alcuna autonomia e indipendenza giuridica e costituendo semplicemente la modalità con cui raggiun-gere il fine del contratto stesso.

L’impresa (o il lavoratore autonomo), infatti, non venderebbe l’immobile alla so-cietà di leasing se non fosse certa di poter continuare ad utilizzarlo in forza del con-tratto di locazione finanziaria ed altresì di poterlo riacquistare esercitando il diritto di opzione al termine della durata del contratto. Da parte sua, la società finanziaria non acquisterebbe l’immobile se non al fine di concederlo in locazione alla stessa impresa alienante e, successivamente, di ritrasferirlo alla stessa a seguito dell’esercizio del-l’opzione.

Questa valutazione del contratto di sale and lease back come negozio unitario e complesso è fondamentale sia per comprendere il regime civilistico-contabile, sia per il relativo trattamento fiscale.

Solo comprendendo la suddetta concezione e natura del sale and lease back può, infatti, comprendersi la ratio della norma introdotta dal legislatore all’art. 2425 bis c.c., volta a positivizzare la regola di ripartizione pluriennale della plusvalenza. Il legi-slatore ha imposto, dunque, di ripartire la plusvalenza pro rata temporis, attestando che la vendita del bene non deve essere qualificata come atto realizzativo a sé stante, ma come atto preordinato al compimento di un’operazione più articolata e caratte-rizzato, quindi, da una causa negoziale diversa da quella tipica della vendita 23.

22 Il sale and lease back può essere utilizzato ogni qualvolta l’impresa ritenga opportuno finanziare un investimento che, per sua natura, non si presta ad essere direttamente oggetto di un’operazione di locazione finanziaria. Si pensi, a titolo esemplificativo, ad un’impresa commerciale che abbia in program-mazione ampi investimenti in scorte e capitale circolante: in questa ipotesi non sarà possibile ricorrere al leasing per finanziare direttamente gli investimenti, mentre potrà superare l’ostacolo attraverso il reperimento dei mezzi finanziari occorrenti con un’operazione di sale and lease back immobiliare, uti-lizzando a tale fine beni immobili dalla stessa detenuti.

23 Dal punto di vista contabile, si sono sviluppate due metodologie di contabilizzazione della loca-zione finanziaria: il criterio patrimoniale e il criterio finanziario. Con il criterio di contabilizzazione patrimoniale, i beni vengono iscritti nello stato patrimoniale del locatore proprietario, mentre il locata-rio-utilizzatore iscrive i canoni di competenza nel proprio conto economico, salvo poi iscrivere nel pro-prio stato patrimoniale i beni, una volta esercitato il riscatto, all’importo pagato, e, in seguito, i relativi

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Cass., sez. III, 23 agosto 2016, n. 35294 521

Questa impostazione è evidentemente una applicazione concreta del principio astratto della “prevalenza della sostanza sulla forma”, introdotto dall’art. 2423 bis c.c.

Il sale and lease back rappresenta, quindi, un’ipotesi in cui le norme del codice civile, pur prevedendo che la rilevazione dell’operazione debba avvenire in base agli aspetti formali, non impediscono, anzi impongono, che gli effetti dell’opera-zione siano rilevati secondo la propria sostanza economica. Quindi, atteso che, sotto il profilo sostanziale, il contratto de quo è un’operazione di finanziamento, se da un lato è necessario rilevare la cessione del bene, in quanto esiste un contratto di vendita; dall’altro, il plusvalore realizzativo deve essere accreditato a conto eco-nomico gradualmente sulla durata del contratto di locazione finanziaria, attraverso l’utilizzo dei risconti passivi.

In questo modo, la plusvalenza, che rappresenta la quota del finanziamento che eccede il costo non ammortizzato del bene, va a ridurre in ciascun esercizio i correla-ti canoni di leasing.

A parere di chi scrive, la norma suddetta ha il pregio di fornire una corretta e “giusta” rappresentazione civilistico-contabile del contratto in parola, in totale coe-renza con la propria definizione, causa e funzione (economico-finanziaria) 24.

ammortamenti. Con il criterio di contabilizzazione finanziario, il locatario iscrive nell’attivo dello stato patrimoniale i beni oggetto di leasing, e, nel passivo, il debito per i canoni da pagare, comprensivi del prezzo del riscatto. Il locatario, quindi, iscrive i beni tra le immobilizzazioni materiali, al pari di quelli di proprietà, effettuando i relativi ammortamenti. Nel conto economico saranno riportati gli ammorta-menti e gli interessi compresi nei canoni di competenza del periodo. V. F. DEZZANI-L. DEZZANI, Princi-pio contabile Ias 17 – Sale and lease back: leasing finanziario e leasing operativo, in Il Fisco, 2011, p. 819 ss.; SANTESSO-SOSTERO, Principi contabili per il bilancio d’esercizio, Milano, 2000, p. 322 ss. Si veda, al-tresì, FIORENTINO, L’imputazione della plusvalenza da sale and lease back: spunti di riflessione sui principi di derivazione e competenza nel reddito d’impresa, in Rass. trib., 2010, p. 83 ss., secondo il quale il princi-pio contabile n. 11, al quale è stata attribuita dignità normativa in ragione di quanto espressamente stabi-lito dall’art. 2425 bis, comma 4, c.c., preclude al locatario, in operazioni di leasing finanziario, l’iscrizio-ne dei beni presi in leasing tra le immobilizzazioni, confermando quindi l’obbligo di rilevare in bilancio l’operazione secondo il metodo patrimoniale. Peraltro, nello stesso principio contabile n. 11 è afferma-to che, in assenza di norme civilistiche o tributarie che impongano una contabilizzazione difforme da quella aderente alla sostanza economica, «gli effetti dell’operazione vanno trattati secondo la sostanza economica». È, infatti, attualmente stabilito nel codice civile, per attribuire specifica rilevanza agli aspetti sostanziali, che «le plusvalenze derivanti da operazioni di compravendita con locazione finanziaria al venditore sono ripartite in funzione della durata del contratto di locazione».

24 V. D’ANGELO, L’imputazione temporale, fiscalmente rilevante, della plusvalenza da sale and lease back, in Riv. dir. trib., 2012, p. 291 s., secondo il quale «l’imputazione frazionata prevista dall’art. 2425 bis, comma 4, c.c. è funzionale ad un generale atteggiamento di prudenza nelle rilevazioni con-tabili, volto ad evitare la possibilità di iscrizione di componenti positive che non manifestano tutta la loro effettività in quanto legate all’assunzione di componenti passive future (il pagamento dei ca-noni di leasing)».

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3. Orientamenti giurisprudenziali

Dopo aver brevemente delineato la funzione e la natura del contratto di sale and lease back sotto il profilo civilistico-contabile, si può ora tratteggiare la questione sot-to il profilo fiscale.

Come accennato nelle premesse, il nodo critico da sciogliere è se, anche ai fini tributari, la plusvalenza realizzata, a seguito della vendita del bene strumentale dal-l’imprenditore alla società di leasing, debba essere imputata, come impone l’art. 2425 bis c.c., in tanti esercizi in base alla durata del contratto di locazione finanziaria oppu-re debba essere ripartita secondo i criteri di cui all’art. 86 e all’art. 109 TUIR, disci-plinante il trattamento fiscale della plusvalenza (nell’ambito del reddito d’impresa) derivante da cessione a titolo oneroso.

Per rispondere al quesito, può essere opportuno fare il punto degli orientamenti espressi dalla giurisprudenza di merito.

Occorre precisare fin d’ora che le pronunce delle Commissioni tributarie che han-no tentato di fornire una soluzione al suddetto quesito sono, da un punto di visto nu-merico, davvero irrisorie, nonché espressione di orientamenti del tutto contrastanti.

In giurisprudenza, si sono infatti registrati due filoni di pensiero. Secondo un primo orientamento 25, l’ordinamento tributario contiene una speci-

fica normativa in materia di plusvalori derivanti da atti di cessione costituita dagli artt. 86, comma 4 (secondo il quale le plusvalenze realizzate concorrono a formare il reddito per l’intero ammontare nell’esercizio in cui sono realizzate ovvero, se i beni sono stati posseduti per un periodo non inferiore a tre anni, a scelta del contribuen-te, in quote costanti nell’esercizio stesso e nei successivi ma non oltre il quarto) e 109, comma 2, lett. a), (secondo il quale i corrispettivi delle cessioni si considerano conseguiti alla data della stipulazione dell’atto per gli immobili), TUIR.

Pertanto, in virtù di questa impostazione, la fattispecie della locazione finanziaria di ritorno deve essere direttamente disciplinata dalla suddetta normativa tributaria, in quanto speciale e prevalente rispetto alla disciplina civilistica stabilita dall’art. 2425 bis c.c., norma avente, invece, efficacia limitata al diritto societario ed atta a di-sciplinare solo la formazione del bilancio ai fini civilistici.

L’orientamento così espresso si fonda sulla concezione che il contratto di sale and lease back, pur avendo una finalità di finanziamento, è composto da due distinte ope-razioni autonome l’una dall’altra. Da un lato, infatti, vi sarebbe la cessione del bene strumentale e dall’altro la locazione finanziaria dello stesso, con la conseguenza che ciascuna operazione va fiscalmente trattata in base alla riferita disciplina ordinaria, che per la cessione è appunto rappresentata dagli articoli sopraccitati 86, comma 4, e 109, comma 2, lett. a), TUIR.

25 V. CTP Campania-Salerno, 6 giugno 2011, n. 226, in Banca dati fisconline e CTP Lazio-Roma, 12 maggio 2011, n. 266, in Banca dati fisconline. La decisione è stata commentata da D’ANGELO, op. cit., p. 289 ss.

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Cass., sez. III, 23 agosto 2016, n. 35294 523

Sulla base, invece, di una diversa considerazione del contratto in parola, altro orientamento 26, ha affermato principi diametralmente opposti.

Secondo tale filone, lo schema negoziale de quo presenta una autonomia struttu-rale e funzionale quale contratto di impresa e presenta caratteri peculiari (soggettivi ed oggettivi), che non consentono di ritenere che esso configuri, per sua natura e per il suo fisiologico operare, una fattispecie negoziale fraudolenta.

Si è ritenuto, quindi, di non poter “restringere” il complesso ed articolato negozio della locazione tributaria di ritorno nella categoria della “cessione a titolo oneroso”, non foss’altro per la constatazione che le “cessioni” producono, quale effetto imme-diato, la perdita della proprietà e della disponibilità del bene; nel leasing in esame il bene continua ad essere goduto dall’utilizzatore-cedente, il quale al termine del con-tratto potrà riacquistare la proprietà del bene goduto.

Infatti, si è osservato che le due fasi dell’operazione di sale and lease back, ossia la compravendita e la contestuale locazione finanziaria del bene compravenduto, non sono inscindibili tra loro, né dal punto di vista civilistico, né dal punto di vista fiscale, non essendo la vendita fine a se stessa. In altre parole, la causa (e quindi il fine giuri-dico, non solo economico) del negozio in questione non è tout-court il trasferimento della proprietà del bene, come previsto per il contratto di compravendita, ma piutto-sto la riacquisizione dell’immobile in locazione così da mantenerne la disponibilità ed il godimento.

Sulla scorta di queste considerazioni, secondo questo orientamento, non si può applicare, al negozio in questione, la norma prevista dall’art. 86, comma 4, TUIR, volta a disciplinare tipologie contrattuali (cessioni) diverse, rispetto a quella in rilievo, le-gittimando, quindi l’applicazione dell’art. 2425 bis c.c.

4. Considerazioni finali

Come accennato nelle premesse, la sentenza, oggetto del presente elaborato, a quanto costa, è il primo intervento della giurisprudenza di legittimità ad occuparsi del-la questione.

26 Si veda, CTP Emilia Romagna-Modena, 12 gennaio 2011, in Banca dati fisconline. Tale decisione è stata commentata in senso favorevole da PINI, L’imputazione temporale della plusvalenza nel contratto di sale and lease back, in Giur. it., 2011, p. 2434 ss., secondo la quale è necessario che anche l’Ammini-strazione Finanziaria superi la concezione “atomistica” del contratto in parola per apprezzare l’unita-rietà sostanziale dei rapporti giuridici che caratterizzano il suddetto schema negoziale. In senso contra-rio, D’ANGELO, op. cit., p. 289 ss., secondo il quale la valorizzazione della causa contrattuale ai fini della rilevanza temporale di un contratto è una operazione suggestiva, ed implica un’analisi profonda delle singole fattispecie contrattuali, ma si scontra con le “semplificazioni” fiscali in materia di competenza temporale. L’orientamento inaugurato con la suddetta pronuncia è stato confermato da CTR Cagliari, 28 giugno 2016, in Banca dati Dejure.

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2017 524

La Cassazione attribuisce al contratto in parola una vera e propria dignità, distin-to sia dalla vendita pura e semplice che dalla diversa locazione finanziaria.

I Supremi giudici avvalorano, quindi, la nozione di contratto di sale and lease back come negozio unitario, a causa unica (causa di finanziamento) e non scomputabile nei suoi elementi.

Sulla base di questi assunti, si ritiene non applicabile al negozio di sale and lease back l’art. 86 TUIR (disciplinante esclusivamente le plusvalenze patrimoniali derivanti da cessioni di beni di impresa) e si afferma che l’imputazione fiscale della plusvalen-za deve seguire il criterio temporale imposto dal legislatore all’art. 2425 bis c.c., unica norma presente nell’ordinamento volta a disciplinare la presente questione.

La Cassazione, nella sentenza in commento, annulla, quindi l’ordinanza del Gip impugnata e rinvia al Tribunale di merito, in quanto ritiene necessario il ricalcolo del reddito di impresa ripartendo la plusvalenza per la durata del contratto al fine di ac-certare se, nel caso di specie, sia stata superata o meno, per l’anno di imposta di rife-rimento, la soglia di punibilità di cui all’art. 5, D.Lgs. n. 74/2000, con conseguente rideterminazione, in caso di esito positivo, dell’entità dell’effettiva imposta evasa.

La soluzione prospettata ed accolta dalla Cassazione, a parere di chi scrive, pare essere la più coerente all’ordinamento giuridico e si auspica, pertanto, che anche la Cassazione civile, ove si trovasse ad esaminare la medesima questione, confermi la suddetta impostazione.

Come argomentato nei paragrafi precedenti, il contratto di sale and lease back non può che essere qualificato come contratto unitario a causa unica, quella di finan-ziamento, anche se per la sua concreta realizzazione si pongono in essere più negozi.

Questa concezione del contratto in parola, che è inevitabilmente il punto di par-tenza per le successive valutazioni, si auspica vivamente si affermi definitivamente, non dando spazio, in futuro, a orientamenti difformi. Infatti, attribuire rilievo auto-nomo al contratto di vendita e al contratto di leasing, identificando una pluralità di cause, significherebbe svilire la reale natura del sale and lease back, nonché la sua concreta funzione come contratto d’impresa.

In quest’ottica di contratto di finanziamento, la plusvalenza (derivante dalla vendi-ta del bene strumentale) non può essere intesa nella sua accezione generale di elemen-to volto ad incrementare il reddito: tale plusvalenza, in concreto, non realizza la pro-duzione di alcun reddito per l’impresa cedente, in quanto, se da un lato, quest’ulti-ma, con la vendita, produce (apparentemente) una ricchezza; dall’altro, si indebita mediante la stipulazione del leasing.

Pertanto, tale “presunto” plusvalore deve essere considerato semplicemente come una componente positiva atta a rettificare, annullandola, la componente negativa re-lativa alla quota capitale dei canoni di leasing, e, per l’effetto della suddetta operazio-ne contabile, residueranno (“sostanzialmente”) solo gli interessi finanziari, ossia gli unici oneri effettivi della suddetta operazione di finanziamento.

In altre parole, la particolare plusvalenza generata nel contratto di sale and lease

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Cass., sez. III, 23 agosto 2016, n. 35294 525

back deve essere inquadrata come posta rettificativa dell’importo complessivo finan-ziato.

Da tale assunto deriva inequivocabilmente, come ha correttamente affermato la Suprema Corte, che il caso di specie non può essere disciplinato dall’art. 86 TUIR, in quanto tale norma è volta a disciplinare esclusivamente le vere e proprie plusvalenze patrimoniali derivanti da cessioni di beni strumentali, ovvero plusvalenze realizzate dal perfezionamento di atti riconducibili allo schema della compravendita e non cer-to al caso della diversa tipologia di plusvalenza derivante da un’operazione comples-sa come quella in parola.

Forse, appare forviante la denominazione stessa di “plusvalenza”, utilizzata “im-propriamente” per indicare il risultato della prima operazione del sale and lease back, in quanto tale segmento negoziale (la vendita) è solo ed esclusivamente diretto ad ottenere le risorse finanziarie, che verranno poi successivamente restituite dall’“im-presa cedente” con il pagamento del canone di leasing.

Il contratto in parola, lo si ribadisce, si realizza solo ed esclusivamente mediante due flussi finanziari di segno opposto: da un lato, il capitale finanziato identificato con il “prezzo della cessione”; dall’altro il flusso periodico dei canoni di locazione, che assommano la restituzione del prezzo di cessione (quota capitale) e gli interessi ma-turati sul finanziamento concesso.

La causa finanziaria del contratto impedisce, di conseguenza, di assimilare (ai soli fini fiscali) la somma ricevuta dal concedente come cessione da tassarsi ai sensi del-l’art. 86 TUIR. La suddetta “vendita”, infatti, come già osservato, non produce “red-dito”, inteso come incremento del patrimonio dell’impresa, venendo così a difettare il presupposto di imposizione individuato dal legislatore all’art. 86 TUIR.

Dopo aver verificato che nell’ordinamento tributario sussiste, quindi, una lacuna normativa, in quanto non si rinviene una norma volta a disciplinare il trattamento fiscale di tali “plusvalenze”, occorre inevitabilmente volgere lo sguardo all’ordinamen-to civile, onde accertare se in esso sia presente una disposizione sul punto.

Infatti, nonostante l’obbligazione tributaria sia un’obbligazione di diritto pubbli-co, l’interprete, ove nella disciplina propria del diritto tributario, sussista una lacuna, può colmarla ricorrendo alle norme del codice civile 27 se ricorrono i presupposti del-l’analogia 28.

27 Si rinvia a FREGNI, Obbligazione tributaria e codice civile, Torino, 1998, p. 13, secondo la quale, se si considerasse l’obbligazione tributaria un’obbligazione civilistica tout court, tutte le norme di diritto civile si applicherebbero al sistema tributario e, quindi, la legge tributaria diventerebbe una norma specia-le rispetto a quella generale. E se, invece, la si considerasse interamente di natura pubblica, il rapporto con il diritto civile sarebbe mediato e solo nel caso in cui si riscontrasse una lacuna in ambito pubblicistico si potrebbe fare riferimento alle disposizioni di diritto civile.

28 L’analogia è possibile quando: a) la disciplina tributaria presenta delle lacune in senso tecnico; b) le norme del codice civile (assunte come diritto comune delle obbligazioni) sono suscettibili di essere estese oltre l’ambito del diritto privato; c) le norme del codice sono compatibili con le peculiarità del di-ritto tributario. V. TESAURO, Istituzioni di diritto tributario, I, Parte generale, 2013, Milano, p. 99.

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2017 526

In virtù di tali considerazioni, può, quindi, affermarsi che il trattamento fiscale delle plusvalenze generate all’interno del contratto di locazione finanziaria di ritorno deve essere disciplinato dall’art. 2425 bis c.c., volto appunto a regolamentare l’im-putazione temporale del plusvalore derivante da sale and lease back.

Questo appare infatti l’unico criterio idoneo a valorizzare la natura del contratto in parola, in quanto solo con l’imputazione temporale della plusvalenza in funzione della durata del contratto di locazione, l’elemento di segno positivo, derivante dalla vendita del bene strumentale, può rettificare la componente di segno negativo relati-va alla quota dei canoni di leasing.

La suddetta interpretazione è inoltre conforme e coerente al principio di compe-tenza economica espresso dall’art. 109 TUIR e al principio di derivazione espresso dall’art. 83 TUIR, così come ulteriormente rafforzato dalla L. n. 19/2017.

Infatti, ragionando al contrario e ammettendo la tesi sostenuta dall’Ufficio, si de-terminerebbe uno sfasamento temporale tra la rilevanza fiscale dei costi del finan-ziamento, ossia delle quote capitale dei canoni di leasing, e la plusvalenza, intesa co-me già detto come componente reddituale rettificativo di tali costi, e si impedirebbe quindi di rispettare la necessaria correlazione tra componenti positivi e negativi di reddito imposta dall’art. 109 TUIR.

La tesi dell’Ufficio, come detto, si porrebbe altresì in contrasto con il principio di derivazione sancito dall’art. 83 TUIR, in base al quale, come è noto, il reddito di im-presa si determina apportando all’utile o alla perdita risultante dal conto economico, relativo all’esercizio chiuso nel periodo di imposta, le variazioni in aumento e in di-minuzione discendenti dall’applicazione dei criteri stabiliti dalle disposizioni raccol-te sotto la sezione prima del titolo secondo TUIR 29. Tuttavia, come già detto, non si rinviene, nel TUIR, alcuna norma specifica in materia, che imponga variazioni al ri-sultato di bilancio 30.

29 Per approfondimenti sul principio di derivazione rafforzata per i soggetti non IAS, si rinvia a: FUSA, Principio contabili OIC: quale valenza giuridica ai fini civilistici e fiscali?, in Il Fisco, 2017, p. 1663 ss.; MAURO, Le implicazioni fiscali nel mondo OIC del principio della prevalenza della sostanza sulla for-ma, in Corr. trib., 2017, p. 827 ss.; MENICACCI, Il principio di derivazione dopo la riforma del bilancio d’esercizio, in Bilancio e reddito d’impresa, 2016, p. 27 ss.

30 V. ANDREANI-GIOMMONI, Ripartizione pluriennale della plusvalenza da lease back, in Il Fisco, 2016, p. 3414 ss.; ARTINA, Plusvalenza da lease back: i dubbi sulla tassazione, in Bilancio e reddito di impresa, 2017, p. 34 ss.; GAIANI, L’imputazione a periodo delle plusvalenze da lease back: regole contabili e discipli-na fiscale, in Il Fisco, 2014, p. 3041 ss.; FUMAGALLI, Imputazione in base alla durata della locazione per le plusvalenze da sale and lease back, in Il Fisco, 2016, p. 713 ss. Gli Autori osservavano, già prima del-l’introduzione del principio di derivazione rafforzata per i soggetti non IAS, che, in alcun caso l’appli-cazione dei suddetti criteri di cui agli artt. 109 e 83 TUIR consentirebbe di evidenziare, con riguardo al caso di specie, disallineamenti tra risultato civilistico ed imponibile fiscale. Infatti, non sono rinvenibili, nell’ambito della disciplina del reddito d’impresa, norme specifiche che impongono deroghe al princi-pio civilistico di competenza in merito al sale and lease back, con la conseguenza che, ai fini fiscali, nes-suna variazione in aumento dovrebbe farsi rispetto alla redazione del bilancio secondo la regola civili-stica di cui all’art. 2425 bis c.c.

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Cass., sez. III, 23 agosto 2016, n. 35294 527

Quanto esposto appare ulteriormente confermato anche a livello legislativo dall’in-troduzione del principio di derivazione rafforzata anche per i soggetti non IAS 31, al quale si ispira il nuovo art. 83 TUIR, riformato dall’art. 13 bis, D.L. n. 244/2016, conv. con emendamenti dalla L. n. 19/2017.

In virtù del suddetto principio, infatti, anche le imprese che applicano i principi contabili nazionali devono assumere, ai fini fiscali, le rappresentazioni di bilancio i-spirate al principio della prevalenza della sostanza sulla forma. In altri termini, in luo-go della raffigurazione giuridico formale, la rappresentazione delle operazioni e dei relativi effetti patrimoniali e reddituali deve essere effettuata privilegiando l’aspetto sostanziale che si realizza a trasferimento dei rischi e benefici.

Tale novella legislativa ha, quindi, equiparato, sotto il profilo fiscale, le imprese che applicano i principi contabili nazionali e i soggetti che applicano i principi contabili internazionali. In specie, è stata rafforzata la dipendenza del reddito imponibile dalle qualificazioni, imputazioni temporali e classificazioni di bilancio ai fini civilistici (me-diante un’attuazione concreta del principio della sostanza sulla forma), con la conse-guenza che le regole contabili rilevano anche dal punto di vista fiscale.

Per tutte le suddette argomentazioni, il parametro temporale per l’imputazione della “plusvalenza” deve essere, sia da un punto di vista civilistico-contabile che sotto il profilo fiscale, quello stabilito dall’art. 2425 bis c.c. Sarebbe, infatti, lesivo di ogni principio di competenza economica, di derivazione, di prevalenza della sostanza sulla forma, di equivalenza tra operazioni aventi le medesime finalità, ammettere che, da un lato, la plusvalenza deve essere soggetta a tassazione interamente nell’esercizio in cui si verifica e, dall’altro, consentire di portare in deduzione il costo derivante dal con-tratto di leasing solo sulla base del pagamento del canone.

L’allineamento del principio di competenza fiscale alle regole contabili ha, peral-tro, anch’esso contribuito ad una novazione della prassi vigente.

Deve, infatti, segnalarsi che con Ris. 23 giugno 2017, n. 77/E, l’Agenzia delle En-trate ha espressamente riconosciuto che la plusvalenza, derivante da contratto di sale and lease back, concorrerà alla formazione del reddito «1) ripartita in funzione della durata del contratto di locazione finanziaria; 2) a partire dal momento in cui inizia a decorrere il contratto di locazione finanziaria» 32.

Irene Pini

31 Restano esclusi dall’applicazione del principio di derivazione rafforzata le micro-imprese, così come definite dall’art. 2435 ter c.c.

32 La Ris. 23 giugno 2017, n. 77/E è stata emanata dall’Agenzia delle Entrate a seguito di interpello ex art. 11, comma 1, lett. a), L. n. 212/2000, con la conseguenza che le Direzioni provinciali ed ogni altro Ufficio periferico dovranno attenersi ai principi ed alle istruzioni enunciati nel provvedimento medesimo.

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2017 528

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Corte cost., 3 marzo 2016, n. 44 – Pres. Criscuolo, Rel. Coraggio

Commissioni tributarie provinciali – Competenza territoriale – Giudizi contro i concessionari del servizio di riscossione – Circoscrizione diversa dagli enti locali concedenti – Art. 4, D.Lgs. n. 546/1992 – Illegittimità costituzionale

È costituzionalmente illegittimo l’art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992 nella parte in cui prevede che le commissioni tributarie provinciali siano competenti per le controversie pro-poste nei confronti dei concessionari del servizio di riscossione che hanno sede nella loro cir-coscrizione, anche nell’ipotesi in cui tale sede appartenga ad una circoscrizione diversa da quella degli enti locali concedenti.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

(Omissis) 1. – La Commissione tributaria provinciale di Cremona, con due ordinanze di iden-

tico tenore, emesse in data 10 novembre 2014, ha sollevato questione di legittimità co-stituzionale, per violazione degli artt. 24 e 97 della Costituzione, dell’art. 4 (rectius: art. 4, comma 1) del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della L. 30 dicembre 1991, n. 413), nella parte in cui prevede che le commissioni tributarie provinciali sono compe-tenti per le controversie proposte nei confronti dei concessionari del servizio riscossione che hanno sede nella loro circoscrizione anche nel caso in cui tale sede appartenga ad una circoscrizione diversa da quella degli enti locali concedenti.

(Omissis)

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con due ordinanze di identico contenuto la Commissione tributaria provinciale di Cremona ha sollevato, per violazione degli artt. 24 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 (rectius: art. 4, comma 1) del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenu-ta nell’art. 30 della L. 30 dicembre 1991, n. 413), nella parte in cui prevede che le commis-sioni tributarie provinciali sono competenti per le controversie proposte nei confronti dei concessionari del servizio di riscossione che hanno sede nella loro circoscrizione an-che nel caso in cui tale sede ricada in una circoscrizione diversa da quella in cui ricade la sede dell’ente locale concedente.

(Omissis)

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2017 530

A parere del giudice rimettente la norma censurata violerebbe l’art. 24 Cost., in quan-to, nell’ipotesi in cui il concessionario abbia sede in un luogo significativamente distante da quello in cui ha sede l’ente impositore, il contribuente si vedrebbe costretto a instaurare un giudizio in un luogo lontano da quello ove è ubicato l’immobile censito dall’ente im-positore.

(Omissis) La frattura del rapporto territoriale tra ente pubblico e contribuente produrrebbe, al-

tresì, la violazione dell’art. 97 Cost. in quanto, consentendo che a giudicare la controver-sia tra i due soggetti sia la commissione tributaria nella cui circoscrizione ha sede il conces-sionario “scelto” dall’ente medesimo, attribuirebbe alla pubblica amministrazione il potere di gestire il proprio rapporto con gli amministrati in maniera iniqua ed arbitraria, così stravolgendo il corretto rapporto istituzionale che deve intercorrere tra cittadino e pub-blica amministrazione.

2. – Ad avviso della difesa dello Stato, le questioni sollevate sarebbero inammissibili e infondate.

2.1. – Sotto il primo profilo, la denunciata violazione dell’art. 24 Cost. sarebbe pre-sentata “in via del tutto eventuale ... ipotizzata solo come ‘un caso’ possibile, e al limite ‘non eccezionale’”, mentre la censura relativa all’art. 97 Cost., per come prospettata dal rimettente, avrebbe ad oggetto non già il criterio di competenza territoriale delineato dalla norma censurata, ma la possibilità, riconosciuta dal legislatore a Province e Comuni, di affidare a terzi l’accertamento e la riscossione dei propri tributi: atterrebbe cioè non “... alla competenza ‘processuale’ ma a quella ‘amministrativa’”.

2.2. – Quanto al secondo profilo, i dubbi di costituzionalità sollevati dalla Commis-sione tributaria provinciale di Cremona in ordine all’art. 24 Cost. sarebbero infondati in quanto la garanzia costituzionale della tutela giurisdizionale non escluderebbe che pos-sano essere posti a carico della parte istante determinati oneri purché gli stessi siano giu-stificati da esigenze di ordine generale o da superiori finalità di giustizia.

La violazione dell’art. 97 Cost., poi, sarebbe esclusa in quanto la scelta del concessio-nario del servizio non sarebbe affatto “arbitraria”, posto che, a norma dell’art. 52, comma 5, lett. b), del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle at-tività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali), essa dovrebbe avvenire “nel rispetto della normativa Europea e delle procedure vigenti in materia di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali”.

(Omissis) 4. – Va, innanzitutto, segnalato che, dopo l’emissione delle due ordinanze di rimes-

sione, è intervenuto un parziale mutamento della disposizione censurata. (Omissis) La versione derivante dalla sostituzione del censurato comma 1 operata dall’art. 9,

comma 1, lett. b), del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156 (Misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario, in attuazione degli articoli 6, comma 6, e 10, comma 1, lettere a e b, della L. 11 marzo 2014, n. 23), vigente a decorrere dal 1°

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Corte cost., 3 marzo 2016, n. 44 531

gennaio 2016, fa, invece, riferimento alle controversie proposte nei confronti “degli enti impositori, degli agenti della riscossione e dei soggetti iscritti nell’albo di cui all’articolo 53 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446”.

La norma sopravvenuta non trova applicazione nei giudizi a quibus perché, ai sensi dell’art. 5 del codice di procedura civile, la competenza si incardina al momento della do-manda.

Oggetto del giudizio di costituzionalità rimane, quindi, la norma originariamente cen-surata.

5. – In via preliminare, vanno rigettate le eccezioni di inammissibilità formulate dal-l’Avvocatura generale dello Stato.

5.1. – Contrariamente a quanto sostenuto da quest’ultima, la prospettazione della commissione tributaria provinciale non è correlata ad un mero “caso” ipotizzato come possibile, posto che le problematiche lamentate sono una fisiologica ricaduta della nor-ma, ovvero “un effetto collegato alla struttura della norma censurata” (ordinanza n. 66 del 2014). Oggetto della censura, quindi, non è “un inconveniente di fatto legato alle particolari modalità di svolgimento del giudizio a quo” (ordinanza n. 66 del 2014) o co-munque alle “asserite difficoltà non discendenti in via diretta ed immediata dalla norma censurata” (sentenza n. 216 del 2013).

5.2. – Analogamente infondati sono i profili di inammissibilità eccepiti dall’Avvoca-tura generale dello Stato con riferimento alla censura relativa all’art. 97 Cost.

Il giudice rimettente, infatti, non critica la mancanza in sé di vincoli spaziali e geogra-fici nell’individuazione del terzo cui affidare l’attività di accertamento e riscossione, ma si duole unicamente della circostanza che la competenza territoriale delle commissioni tri-butarie provinciali venga determinata in base alla sede di tale soggetto.

6. – Nel merito, la censura di cui all’art. 97 Cost. non è fondata per inconferenza del parametro evocato.

Per costante orientamento di questa Corte, infatti, “il principio del buon andamento è riferibile all’amministrazione della giustizia soltanto per quanto attiene all’organizza-zione e al funzionamento degli uffici giudiziari, e non anche in rapporto all’esercizio del-la funzione giurisdizionale (ex plurimis, sentenza n. 10 del 2013; ordinanze n. 66 del 2014, n. 243 del 2013 e n. 84 del 2011)”, alla quale, per converso, evidentemente si riferisce la norma processuale censurata.

7. – Fondata, invece, è la censura relativa all’art. 24 Cost. 7.1. – La giurisprudenza costituzionale riconosce un’ampia discrezionalità del legisla-

tore nella conformazione degli istituti processuali (tra le ultime, sentenze n. 23 del 2015, n. 243 e n. 157 del 2014), anche in materia di competenza (ex plurimis, sentenze n. 159 del 2014 e n. 50 del 2010).

Resta naturalmente fermo il limite della manifesta irragionevolezza della disciplina, che si ravvisa, con riferimento specifico al parametro evocato, ogniqualvolta emerga un’in-giustificabile compressione del diritto di agire (sentenza n. 335 del 2004).

In generale, questa Corte ha chiarito, con riferimento all’art. 24 Cost., che “tale pre-cetto costituzionale ‘non impone che il cittadino possa conseguire la tutela giurisdizio-

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2017 532

nale sempre nello stesso modo e con i medesimi effetti ... purché non vengano imposti oneri tali o non vengano prescritte modalità tali da rendere impossibile o estremamente difficile l’esercizio del diritto di difesa o lo svolgimento dell’attività processuale’ (sentenza n. 63 del 1977; analogamente, v. sentenza n. 427 del 1999 e ordinanza n. 99 del 2000)” (ordinanza n. 386 del 2004).

7.2. – Alla luce di questi principi, deve ritenersi che nella disciplina in esame il legisla-tore, nell’esercizio della sua discrezionalità, abbia individuato un criterio attributivo della competenza che concretizza “quella condizione di ‘sostanziale impedimento all’esercizio del diritto di azione garantito dall’art. 24 della Costituzione’ suscettibile ‘di integrare la violazione del citato parametro costituzionale’ (così, nuovamente, la sentenza n. 237 del 2007)” (ordinanza n. 417 del 2007).

Difatti, poiché l’ente locale non incontra alcuna limitazione di carattere geografico-spaziale nell’individuazione del terzo cui affidare il servizio di accertamento e riscossione dei propri tributi, lo “spostamento” richiesto al contribuente che voglia esercitare il pro-prio diritto di azione, garantito dal parametro evocato, è potenzialmente idoneo a costi-tuire una condizione di “sostanziale impedimento all’esercizio del diritto di azione” (sen-tenze n. 117 del 2012, n. 30 del 2011, n. 237 del 2007 e n. 266 del 2006) o comunque a “rendere ‘oltremodo difficoltosa’ la tutela giurisdizionale” (sentenza n. 237 del 2007; or-dinanze n. 382 e n. 213 del 2005).

7.3. – A questo proposito, lo stesso legislatore, all’art. 52, comma 5, lett. c), del D.Lgs. n. 446 del 1997, ha precisato che l’individuazione, da parte dell’ente locale, del conces-sionario del servizio di accertamento e riscossione dei tributi e delle altre entrate (deter-minante ai fini del radicamento della competenza) “non deve comportare oneri aggiuntivi per il contribuente”.

Ebbene, il fatto che il contribuente debba farsi carico di uno “spostamento” geografi-co anche significativo per esercitare il proprio diritto di difesa integra un considerevole onere a suo carico.

Questo onere, già di per sé ingiustificato, diviene tanto più rilevante in relazione ai valori fiscali normalmente in gioco, che potrebbero essere – come in concreto sono nella specie – di modesta entità, e quindi tali da rendere non conveniente un’azione da eserci-tarsi in una sede lontana.

8. – Quanto alla individuazione del criterio alternativo di competenza, essa non com-porta un’operazione manipolativa esorbitante dai poteri di questa Corte, in quanto non deve essere operata una scelta tra più soluzioni, tutte praticabili perché non costituzio-nalmente obbligate (sentenza n. 87 del 2013; ordinanze n. 176, n. 156 del 2013 e n. 248 del 2012).

Difatti, il rapporto esistente tra l’ente locale e il soggetto cui è affidato il servizio di accertamento e riscossione comporta che, ferma la plurisoggettività del rapporto, il secon-do costituisca una longa manus del primo, con la conseguente imputazione dell’atto di accertamento e riscossione a quest’ultimo.

(Omissis)

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Corte cost., 3 marzo 2016, n. 44 533

9. – Va, pertanto, dichiarata – in accoglimento della sollevata questione − l’illegitti-mità costituzionale dell’art. 4, comma 1, del D.Lgs. n. 546 del 1992, con riferimento all’art. 24 Cost., nella parte in cui prevede che per le controversie proposte nei confronti dei concessionari del servizio di riscossione è competente la commissione tributaria pro-vinciale nella cui circoscrizione i concessionari stessi hanno sede, anziché quella nella cui circoscrizione ha sede l’ente locale concedente.

10. − Deve essere, infine, preso in considerazione l’art. 4, comma 1, del D.Lgs. n. 546 del 1992, nel testo vigente a seguito della sostituzione operata dall’art. 9, comma 1, lett. b), del D.Lgs. n. 156 del 2015.

Infatti, “l’apprezzamento di questa Corte, ai sensi dell’art. 27 della L. 11 marzo 1953, n. 87, non presuppone la rilevanza delle norme ai fini della decisione propria del proces-so principale, ma cade invece sul rapporto con cui esse si concatenano nell’ordinamento, con riguardo agli effetti prodotti dalle sentenze dichiarative di illegittimità costituzionali (sentenza n. 214 del 2010)” (sentenza n. 37 del 2015).

In applicazione del citato art. 27, quindi, trattandosi di disposizione sostitutiva con-tenente disposizioni analoghe in contrasto coi principi affermati nella odierna decisione (sentenze n. 82 del 2013, n. 70 del 1996 e n. 422 del 1995), deve essere dichiarato costi-tuzionalmente illegittimo l’art. 4, comma 1, del D.Lgs. n. 546 del 1992, nel testo vigente a seguito della sostituzione operata dall’art. 9, comma 1, lett. b), del D.Lgs. n. 156 del 2015, nella parte in cui prevede che per le controversie proposte nei confronti dei soggetti iscritti nell’albo di cui all’art. 53 del D.Lgs. n. 446 del 1997 è competente la commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione i medesimi soggetti hanno sede, anziché quella nella cui circoscrizione ha sede l’ente locale impositore.

P.Q.M.

LA CORTE COSTITUZIONALE riuniti i giudizi, 1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, del D.Lgs. 31 dicembre

1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della L. 30 dicembre 1991, n. 413), nel testo vigente anteriormen-te alla sua sostituzione ad opera dell’art. 9, comma 1, lett. b), del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156 (Misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario, in attuazione degli articoli 6, comma 6, e 10, comma 1, lettere a e b, della L. 11 marzo 2014, n. 23), nella parte in cui prevede che per le controversie proposte nei con-fronti dei concessionari del servizio di riscossione è competente la commissione tributa-ria provinciale nella cui circoscrizione i concessionari stessi hanno sede, anziché quella nella cui circoscrizione ha sede l’ente locale concedente;

2) dichiara, in applicazione dell’art. 27 della L. 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituziona-le dell’art. 4, comma 1, del D.Lgs. n. 546 del 1992, nel testo vigente a seguito della sosti-tuzione operata dall’art. 9, comma 1, lett. b), del D.Lgs. n. 156 del 2015, nella parte in cui

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2017 534

prevede che per le controversie proposte nei confronti dei soggetti iscritti nell’albo di cui all’art. 53 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali) è competente la commissione tributaria provinciale nella cui circoscri-zione i medesimi soggetti hanno sede, anziché quella nella cui circoscrizione ha sede l’ente locale impositore.

(Omissis) La competenza nel processo tributario: prevale la “comodità”

del contribuente o quella dell’Agenzia delle Entrate?

Territorial competence in tax litigation: does the “comfort” of the taxpayer prevail over the one of the tax authorities?

Abstract I criteri di ripartizione della competenza per territorio delle Commissioni tributa-rie sono stati messi in discussione dalla Corte costituzionale nella sent. n. 44/2016. In questa occasione, la Consulta, occupandosi di controversie aventi ad oggetto at-ti degli incaricati della riscossione di tributi locali, ha individuato il giudice compe-tente a valutare la loro legittimità nella Commissione tributaria del luogo in cui si trova il contribuente o il bene oggetto di tassazione. Tale criterio potrebbe però valere per una ben più ampia platea di giudizi. Il pre-sente contributo analizza ulteriori casi potenzialmente critici, prestando particolare attenzione al contenzioso relativo agli atti del Centro Operativo di Pescara. Sono offerti così alcuni spunti per rimeditare la ripartizione della competenza per territo-rio nel processo tributario allo scopo di dare prevalenza alla “comodità” del contri-buente, piuttosto che a quella dell’Agenzia delle Entrate. Parole chiave: competenza territoriale, Corte costituzionale, Centro Operativo di Pescara, residenza del contribuente, luogo di collocazione del bene

The criteria for identifying the territorial competence of Tax Courts have been scruti-nised by the Italian Constitutional Court (ICC) in decision n. 44/2016. In that occa-sion concerning litigations that involved tax collectors of local taxes, the ICC decided

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Corte cost., 3 marzo 2016, n. 44 535

that the competent Tax Court shall be identified in the judge of the place in which either the taxpayer or the asset subject to tax is located. Such criterion may find application in several cases. The present work examines other possible critical cases, paying special attention to tax litigation concerning notices of as-sessment issued by the Pescara Operational Centre. This would shed light on the main issues linked to the distribution of the territorial competence in tax litigation, with the aim of preferring the taxpayer’s “comfort” over the one of the tax authorities. Keywords: territorial competence, Italian Constitutional Court, Pescara Operational Centre, taxpayer’s residence, place where the asset is located

SOMMARIO: 1. Considerazioni introduttive. – 2. La ripartizione della competenza nel processo tributario pri-ma della sent. n. 44/2016 (in generale). – 3. La ripartizione della competenza nelle controversie aventi ad oggetto gli atti della riscossione prima della sent. n. 44/2016. – 4. La ripartizione della competenza nelle controversie aventi ad oggetto gli atti della riscossione dopo la sent. n. 44/2016. – 5. La competenza nelle controversie aventi ad oggetto gli atti dei Centri operativi. – 5.1. Lo stato dell’arte ... – 5.1.1. Segue: dei controlli nei confronti di residenti e non residenti. – 5.1.2. Segue: dei controlli nell’ambito del regime IVA MOSS. – 5.1.3. Segue: dei controlli nell’ambito della proce-dura di voluntary disclosure. – 5.2. Spunti per una rimeditazione della disciplina vigente ... – 5.2.1. Segue: dei controlli nei confronti di residenti e non residenti. – 5.2.2. Segue: dei controlli nell’am-bito del regime IVA MOSS. – 5.2.3. Segue: dei controlli nell’ambito della procedura di voluntary disclosure. – 6. Ulteriori casi critici in tema di competenza: lo spostamento della Commissione tri-butaria ad opera dell’art. 39 c.p.c. – 7. Considerazioni conclusive.

1. Considerazioni introduttive

La “competenza” delle Commissioni tributarie, ovverosia la ripartizione tra di es-se del potere giurisdizionale, è questione che nel corso degli anni ha ricevuto limitata attenzione da parte del legislatore, mentre, come si vedrà, ne ha avuta ben di più da parte dell’Agenzia delle Entrate. Le recenti modifiche apportate all’art. 4, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156, di attuazione della leg-ge delega 11 marzo 2014, n. 23, hanno confermato la regola per cui la competenza delle Commissioni tributarie è determinata in funzione della sede dell’ente che ha emesso l’atto impugnato 1.

1 Nel processo tributario, il problema dell’individuazione del giudice competente si pone anche con ri-ferimento al giudizio di ottemperanza il quale, a seguito delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 156/2015, può essere attivato per l’esecuzione anche di sentenze non passate in giudicato. Si tratta però di questione che esula dalle presenti osservazioni ed in relazione alla quale ci si limita a ricordare quanto segue.

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2017 536

L’art. 9, comma 1, lett. b), c) e d), D.Lgs. n. 156/2015, infatti, ha semplicemente – sia pure in modo opportuno – modificato l’art. 4, D.Lgs. n. 546/1992, aggiornando le denominazioni delle controparti dei contribuenti 2, ovverosia quelle degli enti im-positori e dei soggetti svolgenti attività di riscossione, in quanto ormai superate, pri-ma, dalla riforma dell’Amministrazione Finanziaria che ha portato all’istituzione del-le Agenzie fiscali e poi, da quella della riscossione dei tributi, che ha condotto all’isti-tuzione dei c.d. agenti della riscossione 3 e dei c.d. concessionari privati della riscos-sione 4.

Il disposto del predetto art. 4 è stato in seguito ampliato per ospitare le disposi-zioni (parzialmente semplificate) contenute in precedenza nell’art. 28, D.L. 31 maggio 2010, n. 78 5, secondo le quali le controversie instaurate nei confronti di articolazioni

Con riferimento all’esecuzione di sentenze passate in giudicato, l’art. 70, D.Lgs. n. 546/1992 risol-ve il problema del giudice competente individuandolo, in caso di sentenza di primo grado passata in giudicato, nella stessa Commissione tributaria provinciale che l’ha pronunciata e, in tutti gli altri casi, nella Commissione tributaria regionale. Per la Cassazione (10 settembre 2004, n. 18266) la competenza della Commissione provinciale sussiste, più dettagliatamente, «o per la mancata impugnazione della sen-tenza di primo grado, o perché il giudizio di appello si conclude nel rito con una dichiarazione di inam-missibilità, di improcedibilità o di estinzione dell’appello medesimo». La Cassazione giustifica tale con-clusione sulla base della circostanza che, nelle ipotesi di dichiarazione di inammissibilità, di improcedibili-tà o di estinzione dell’appello, la sentenza di primo grado resta ferma e non viene sostituita da quella di appello, posto che il merito delle questioni non viene esaminato. Come detto, ove il contenuto della sen-tenza non sia riconducibile ad una delle predette ipotesi, è competente la Commissione regionale, «poi-ché la sentenza emessa in un grado superiore si sostituisce a quella emessa in primo grado, per effetto delle valutazioni operate da un altro giudice ed esplicitate nella necessaria motivazione». Questa situa-zione si verifica o quando il giudice di appello (eventualmente anche in sede di rinvio) entra nel merito delle questioni a lui prospettate con i mezzi di impugnazione e pronuncia una sentenza, anche di riget-to dell’appello, o quando la Cassazione decide questioni di merito.

Con riferimento all’esecuzione di sentenze non passate in giudicato, gli artt. 68 e 69, D.Lgs. n. 546/1992, come modificati dal D.Lgs. n. 156/2015, accordano ora al contribuente la possibilità di agi-re in sede di ottemperanza anche prima del passaggio in giudicato della sentenza, fissando in questi casi, la competenza della Commissione tributaria provinciale ovvero, se il giudizio è pendente nei gradi successivi, della Commissione tributaria regionale. Dunque, nelle more del passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, sarà competente la stessa Commissione provinciale, mentre nella pendenza del giudizio di secondo grado, o di legittimità, nelle more del passaggio in giudicato delle relative sentenza, sarà competenza la Commissione regionale adita.

2 Si legge ora nell’art. 4, D.Lgs. n. 546/1992, che «Le Commissioni tributarie provinciali sono competenti per le controversie proposte nei confronti degli enti impositori, degli agenti della riscossione e dei soggetti iscritti all’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, che hanno sede nella loro circoscrizione».

3 Si tratta di Equitalia fino al 30 giugno 2017 e poi di Agenzia delle Entrate-Riscossione dal 1° lu-glio 2017 a seguito delle scelte operate dal legislatore con l’art. 1, D.L. 22 ottobre 2016, n. 193, conv., con modificazioni, dalla L. 1° dicembre 2016, n. 225.

4 Si tratta dei soggetti iscritti nell’albo di cui all’art. 53, D.Lgs. 15 dicembre 1992, n. 446, abilitati ad effettuare attività di liquidazione, di accertamento dei tributi, di riscossione dei tributi e di altre entrate delle Province e dei Comuni, nonché di Riscossione Sicilia S.p.a.

5 Conv., con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122.

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Corte cost., 3 marzo 2016, n. 44 537

dell’Agenzia delle Entrate con competenza su tutto o parte del territorio nazionale, individuate con il Regolamento di amministrazione previsto dall’art. 71, D.Lgs. 30 lu-glio 1999, n. 300, vanno devolute alla Commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione ha sede l’Ufficio al quale spettano le attribuzioni sul tributo contro-verso, individuato in ragione del domicilio fiscale del contribuente, al quale Ufficio è riconosciuta anche la legitimatio ad causam.

Questi interventi, che rappresentano un doveroso aggiornamento del D.Lgs. n. 546/1992, lasciano impregiudicate una serie di questioni che si sono poste nel tem-po. Sotto questo punto di vista, come si vedrà, presenta, invece, grande interesse la sentenza della Corte cost. 3 marzo 2016, n. 44, intervenuta su un tema a lungo dibat-tuto in dottrina 6: quello della competenza nelle controversie sorte nella fase della riscossione. Qui sono emersi due ordini di problemi collegati tra loro, benché con-cettualmente distinti 7:

1. quello dell’individuazione del legittimo contraddittore, in quanto gli atti della riscossione sono riconducibili all’incaricato della riscossione che, però, non ha la ti-tolarità del credito per cui agisce. Ne deriva la necessità di individuare il legittimo contraddittore del contribuente laddove, come gli è consentito, egli impugni cumu-lativamente i due atti 8;

2. quello dell’individuazione della Commissione tributaria provinciale laddove il contribuente impugni cumulativamente i due atti in quanto l’incaricato della riscos-sione può risiedere in un luogo diverso rispetto all’ente impositore.

In estrema sintesi, la Consulta ritiene debba darsi rilievo al criterio della “facilità di accesso” del contribuente alla tutela giurisdizionale; diviene questo il parametro alla luce del quale verificare la legittimità costituzionale delle norme che regolano la competenza e sulla cui base si deve considerare «competente la Commissione tribu-taria provinciale nella cui circoscrizione [i concessionari stessi] hanno sede, anziché quella nella cui circoscrizione ha sede l’ente locale impositore».

Viene così evidenziato un criterio nuovo alla luce del quale leggere l’art. 4, D.Lgs. n. 546/1992, così che si apre all’interprete l’opportunità di verificare se questo prin-cipio possa non limitarsi a risolvere la questione posta all’attenzione della Corte co-

6 GIRELLI, La competenza ed il regolamento di competenza, I, Profili sistematici, in AA.VV., Il processo tributario, a cura di Della Valle-Ficari-Marini, Padova, 2008, p. 337; MICCINESI, Commento all’art. 4 (Com-petenza per territorio), in BAGLIONE-MENCHINI-MICCINESI et al., Il nuovo processo tributario – Commentario, Milano, 1997, p. 39; GLENDI, Il concessionario della riscossione quale sostituto processuale dell’ente imposi-tore, in Boll. trib., 1996, p. 1419.

7 BASILAVECCHIA, Considerazioni in tema di (apparente) incompetenza territoriale e di (effettiva) ca-renza di legittimazione passiva nel processo tributario, in Riv. dir. trib., 1992, p. 1011.

8 Il problema si pone per effetto della previsione di cui all’art. 21, D.Lgs. n. 546/1992, per la quale il ruolo è notificato, di regola, unitamente alla cartella di pagamento, fermo restando che il primo (il ruo-lo) è un atto riconducibile all’Agenzia delle Entrate, mentre il secondo (la cartella di pagamento) è ricon-ducibile all’agente della riscossione.

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2017 538

stituzionale, ma anche rappresentare un nuovo angolo visuale per verificare la tenuta costituzionale di alcune evoluzioni dell’ordinamento. Ci si riferisce, in particolare, al problema della competenza degli atti emessi, oggi, dai Centri operativi (di Pescara e Venezia) e, in passato, dai Centri di servizio. In relazione a tale problema, la giuri-sprudenza, in passato, aveva individuato alcune soluzioni al problema che però han-no trovato interpretazioni oscillanti in provvedimenti dell’Amministrazione Finan-ziaria. Quest’ultima, nel corso degli anni, sfruttando alcune lacune ed incertezze del-la normativa primaria, ha fornito regole operative che non vanno del tutto esenti da critiche. A tacere del fatto che possa apparire già di per sé criticabile la circostanza che sia la stessa Agenzia delle Entrate ad individuare il giudice chiamato a valutare il suo operato, le soluzioni, via via individuate da questa in tema di competenza a giu-dicare la legittimità degli atti dei Centri di servizio e dei Centri operativi, come si ve-drà, potrebbero risultare non in linea con i principi stabiliti dalla Consulta.

Prima di procedere a questa analisi si deve però approfondire come operi il prin-cipio di competenza nel processo tributario.

2. La ripartizione della competenza nel processo tributario prima della sent. n. 44/2016 (in generale)

La competenza è la misura della potestà giudicante attribuita ad ognuno degli or-gani appartenenti ad una stessa giurisdizione che viene suddivisa adottando, tradi-zionalmente, i seguenti criteri 9:

1. quello “obiettivo”, che impone di prendere in considerazione elementi quali il valore o la natura della causa o la qualità delle persone coinvolte, distinguendo così la competenza in funzione del valore o della materia;

2. quello “funzionale” che, invece, tiene conto della speciale natura o delle specia-li esigenze delle funzioni che un magistrato è chiamato ad esercitare in un dato pro-cesso;

9 SORRENTINO, Commento all’art. 4 (Competenza per territorio), in Commentario breve alle leggi del processo tributario, a cura di Consolo-Glendi, Padova, 2012, p. 57; ID., L’incompetenza del giudice tribu-tario, in Il Fisco, 2003, p. 5310; TESAURO, Manuale del processo tributario, Torino, 2016, p. 33; BASILA-VECCHIA, Funzione impositiva e forme di tutela – Lezioni sul processo tributario, Torino, 2013, p. 68; RUSSO, Manuale di diritto tributario – Il processo tributario, Milano, 2005, p. 46; GLENDI, La competenza delle Commissioni tributarie, in Corr. trib., 2001, p. 1113; ID., Prime sentenze sulla nuova disciplina della com-petenza nel processo tributario, in GT-Riv. giur. trib., 2001, p. 394; GRASSI, Un’ordinanza della Cassazione esplora la via interpretativa per colmare il vuoto lasciato – nel rinvio, per il rito tributario, alle norme del codice di procedura civile – dalla deroga in tema di regolamento di competenza, in Il Fisco, 2005, p. 5247. V. anche Ag. Entrate, Circolare 23 aprile 1996, n. 98. Sul concetto di competenza nel sistema proces-suale v. CHIOVENDA, Principi di diritto processuale civile, Roma, 1923, p. 367 ss. e p. 483 ss.; ID., Istitu-zioni di diritto processuale civile, Napoli, 1936, p. 140 ss.; ROCCO, (voce) Competenza civile, in Nov. Dig. it., III, Torino, 1959, p. 749; ARIETA, La sentenza sulla competenza, Padova, 1990, p. 6.

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Corte cost., 3 marzo 2016, n. 44 539

3. quello “territoriale” che individua la competenza, tipicamente, in funzione del luogo in cui si collocano:

a) i soggetti del processo secondo criteri quali la loro residenza, il loro domici-lio o la loro dimora oppure;

b) il bene o il rapporto giuridico controverso (dunque, in base al luogo in cui si trova un bene o si è realizzato un dato rapporto giuridico).

Nel processo tributario, il legislatore ha ritenuto di ripartire la competenza esclu-sivamente secondo il criterio territoriale individuando quale parametro discretivo solo la sede in cui si trovano gli Uffici i cui atti sono impugnati, sicché la competenza è di regola stabilita in funzione della localizzazione dell’Agenzia delle Entrate o del-l’incaricato della riscossione che ha emesso l’atto impugnato 10.

Ne deriva, dunque, che la competenza delle Commissioni tributarie si determina, in modo “diretto”, in funzione della localizzazione degli Uffici dell’Amministrazione Finanziaria competenti, in particolare, all’accertamento tributario. È pertanto alle relative norme che occorre prestare attenzione.

Con riferimento alle imposte personali, ovverosia alle imposte dirette 11, hanno ri-lievo gli artt. 31 e 58, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, i quali, rispettivamente, pre-vedono che la competenza per l’accertamento spetti all’Ufficio distrettuale nella cui circoscrizione si trova il domicilio fiscale del soggetto obbligato alla dichiarazione alla data in cui questa è stata o avrebbe dovuto essere presentata 12.

Per l’effetto dell’applicazione congiunta di tale norme deriva, con riferimento agli atti dell’Amministrazione Finanziaria relativi alle imposte dirette, che il contribuen-te, per lo svolgimento di un contenzioso si rivolgerà alla Commissione competente in funzione del suo domicilio fiscale. Ne deriva che, in modo “indiretto”, ha rilievo la situazione personale del contribuente; è il suo luogo di residenza a determinare in ultima analisi la Commissione tributaria competente.

10 DELLA VALLE, La competenza, in TESAURO (diretto da), Giurisprudenza sistematica di diritto tribu-tario. Il processo tributario, Torino, 1998, p. 80.

11 Il medesimo criterio, come si vedrà successivamente rileva anche ai fini dell’IVA. 12 Quanto all’individuazione del domicilio fiscale è previsto che: – le persone fisiche residenti nel territorio dello Stato hanno il domicilio nel Comune nella cui

anagrafe sono iscritte; – quelle non residenti hanno il domicilio nel Comune in cui si è prodotto il reddito o, se il reddito

è prodotto in più Comuni, in quello in cui si è prodotto il reddito più elevato; – i soggetti diversi dalle persone fisiche hanno il domicilio nel Comune in cui si trova la loro sede

legale o, in mancanza, la sede amministrativa; se anche questa mancasse, essi hanno il domicilio fiscale nel Comune ove è stabilita una sede secondaria o una stabile organizzazione e, in assenza, nel Comune in cui esercitano prevalentemente la loro attività

È altresì previsto che i cittadini italiani, che risiedono all’estero in forza di un rapporto di servizio con la Pubblica Amministrazione, nonché quelli considerati residenti ai sensi dell’art 2, comma 2 bis, TUIR, abbiano il domicilio fiscale nel Comune di ultima residenza nello Stato.

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2017 540

Con riferimento alle imposte di natura reale, invece, la competenza delle Com-missioni tributarie risulta determinata, in modo “indiretto”, in funzione del luogo in cui si trova il bene tassato. A questo riguardo, il modello normativo di riferimento resta la disciplina dell’ICI di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504. Gli artt. 4 e 11 di tale testo normativo attribuivano a ciascun Comune, per gli immobili la cui superfi-cie insisteva, interamente o prevalentemente, sul territorio del Comune stesso, il po-tere di svolgere le necessarie attività di controllo da concludersi, ove necessario, me-diante l’emissione di appositi avvisi di liquidazione o di accertamento.

Una situazione del tutto analoga si riscontra oggi con riferimento all’imposta mu-nicipale propria (IMU), istituita con il D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, e poi confluita nella imposta unica comunale (IUC) per effetto della L. 27 dicembre 2013, n. 147. Quest’ultima norma prevede che la IUC sia istituita facendo salva la disciplina per l’applicazione dell’IMU 13, sicché trovano applicazione gli artt. 2, 8 e 9 14, D.Lgs. n. 23/2011, che ribadiscono la regola per cui il Comune nel territorio del quale sono ubicati gli immobili oggetto di tassazione provvede all’emissione degli atti impositivi.

Ne risulta, dunque, che, relativamente alle imposte sul patrimonio immobiliare, la Commissione tributaria competente a valutare la legittimità dei relativi atti impo-sitivi viene individuata in funzione della collocazione spaziale del bene oggetto di tas-sazione.

Un criterio non dissimile opera per altre imposte di tipo indiretto. Con riferimento all’imposta di registro, l’art. 9, D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, sta-

bilisce che sia competente a registrare gli atti pubblici, le scritture private autenticate e gli atti degli organi giurisdizionali l’Ufficio del registro nella cui circoscrizione ri-siede il pubblico ufficiale obbligato a richiederne la registrazione, mentre la registra-zione di tutti gli altri atti possa essere eseguita da qualsiasi ufficio del registro 15. Il luogo in cui si deve registrare l’atto o quello in cui è stato concretamente registrato (in virtù di una scelta del contribuente) stabiliscono “indirettamente” la Commis-sione tributaria competente.

Si può, dunque, osservare come il legislatore determini la competenza del giudice tributario “direttamente” in funzione del luogo in cui si trova l’Ufficio che ha emesso l’atto impugnato in coerenza con la natura impugnatoria del processo tributario 16, salvo, almeno indirettamente, determinarla in funzione del luogo in cui si colloca spa-zialmente la ricchezza tassata.

Tuttavia, ciò non significa che da questo assetto derivi la necessità di far conosce-re la controversia ai giudici del luogo di produzione della ricchezza tassata. Nono-

13 Lo prevede il comma 703 dell’articolo unico della L. n. 147/2013. 14 Tale norma fa salva, peraltro, proprio l’applicazione dell’art. 11, D.Lgs. n. 504/1992. L’accerta-

mento dell’IMU risulta così disciplinato dalle norme in precedenza valide ai fini ICI. 15 Analizza le conseguenze di tale assetto Cass., sez. V, sent. 5 aprile 2017, n. 8792. 16 GIOVANNINI, Competenza ed incompetenza territoriale delle Commissioni tributarie, in Dir. prat. trib.,

1997, p. 59.

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Corte cost., 3 marzo 2016, n. 44 541

stante tale posizione fosse stata accolta dalla Cassazione, essa è stata rifiutata dalla Corte costituzionale 17. La Consulta ha chiaramente affermato così di ritenere che la questione della competenza delle Commissioni tributarie sia una questione esclusi-vamente di natura processuale in cui non hanno rilievo considerazioni di diritto tri-butario sostanziale. Tale impostazione è confermata dalla recente sentenza della Corte cost. n. 44/2016, la quale, però, fornisce talune rilevanti precisazioni per effet-to delle quali la localizzazione del contribuente rispetto alla ricchezza tassata recupe-ra un certo rilievo, pur se nell’ottica del diritto processuale e non di quello sostanziale.

Pur muovendo da premesse teoriche differenti, la Cassazione 18 ha comunque ri-gorosamente rispettato il tenore letterale dell’art. 4, D.Lgs. n. 546/1992, se non altro per la sostanziale semplicità di tale criterio che prestava il fianco a ben poche conte-stazioni.

3. La ripartizione della competenza nelle controversie aventi ad oggetto gli atti del-la riscossione prima della sent. n. 44/2016

Questo sistema così semplice aveva, tuttavia, sin da subito, presentato difficoltà ap-plicative ove oggetto dell’impugnazione erano, invece che atti impositivi, atti della ri-scossione, potendo, in questo caso, l’atto impugnabile provenire da un soggetto (l’in-caricato della riscossione) avente sede nell’ambito di circoscrizione di una Commis-sione tributaria provinciale differente rispetto a quella in cui operava l’ente impositore.

17 Mentre per Cass., sez. un., sentt. 16 gennaio 1986, nn. 210 e 211, il criterio di ripartizione della competenza delle Commissioni tributarie (e la regola della sua inderogabilità) «non soddisfa solo l’e-sigenza tecnico-organizzativa di distribuzione quantitativa degli affari, ma è funzionale ad un diretto legame delle commissioni medesime col territorio, affinché le controversie siano per quanto possibile conosciute da giudici del luogo in cui la ricchezza viene prodotta e assoggettata a tassazione», invece per Corte cost., 3 agosto 1976, n. 214, «il giudice deve giudicare iuxta alligata et probata, e non in base alla conoscenza personale che può avere dei fatti sottoposti al suo giudizio. Le conoscenze occorrenti per vagliare quei fatti, egli deve trarle dalle prove, che, in materia tecnica, sono costituite dalle consu-lenze tecniche e dalle perizie estimative esibite in contradittorio» (nello stesso senso Corte cost., 25 gennaio 1989, n. 209). Secondo l’impostazione della Consulta, dunque, nel giudizio a cui sono chia-mati i giudici, la vicinanza territoriale tra loro e la ricchezza tassata è irrilevante. Le prove addotte dalle parti devono, infatti, essere valutate in sé e per sé, prescindendo da qualunque conoscenza extrapro-cessuale dei fatti di causa che i giudici possono avere.

18 V. Cass., sez. trib., 23 marzo 2012, n. 4682, con nota di RUSSO, Competenza del giudice tributario e vizi della cartella di pagamento, in Il Fisco, 2012, p. 2641; Cass., sez. trib., 1° ottobre 2014, n. 20671, ove si legge che: «il D.Lgs. n. 546/1992, art. 4 individua la competenza del Giudice tributario esclusiva-mente con riferimento al luogo ove ha sede l’Ufficio finanziario o il concessionario del servizio di ri-scossione che ha emesso il provvedimento impugnato, rimanendo del tutto priva di rilevanza la circo-stanza che attraverso l’atto impugnato il contribuente intenda contestare il rapporto tributario, facen-do valere vizi propri anche dell’atto presupposto circostanza quest’ultima che potrà assumere carattere determinante ai fini della corretta instaurazione del contraddittorio ma che rimane del tutto avulsa dai criteri di verifica del presupposto processuale».

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2017 542

Accadeva, dunque, che, in questa ipotesi, rilevasse “direttamente” ed esclusivamente la sede del soggetto che procedeva alla riscossione (ovverosia la sede del soggetto che emana l’atto impugnato), senza che avesse però “indirettamente” alcun rilievo la localizzazione del contribuente interessato.

Questa situazione ha giustificato in tempi recenti un rinvio alla Corte costituzio-nale. Prima, però, di procedere all’analisi della sentenza che risolve tale questione, si deve analizzare il percorso logico-giuridico che conduce all’individuazione della Com-missione competente.

Occorre preliminarmente individuare se l’incaricato della riscossione sia o meno parte del processo tributario. In dottrina 19, in passato, era stato proposto di esclude-re il concessionario della riscossione dal novero delle parti del processo in forza di una ricostruzione che vedeva i suoi atti imputabili all’ente impositore, cui si affianca-va quale mero esecutore materiale della notifica della cartella di pagamento. A tale ricostruzione, è stato tradizionalmente obiettato non solo il fatto che l’art. 10, D.Lgs. n. 546/1992 20 annoverava ed annovera testualmente il concessionario della riscos-sione tra le parti del processo, ma anche che l’art. 19, D.Lgs. n. 546/1992 ha sempre incluso gli atti da esso provenienti nel catalogo degli atti autonomamente impugna-bili. Dunque, essendo sufficientemente inequivoco il tenore del D.Lgs. n. 546/1992 ed essendo assenti ragioni che ne giustificassero il superamento, non sono mai stati rinvenuti motivi per ritenere che il concessionario della riscossione non potesse par-tecipare a pieno titolo al processo tributario.

Riconosciuto che il concessionario della riscossione è parte del processo tributa-rio, si pone il problema se, in sede di impugnazione degli atti della riscossione, costui possa qualificarsi come unico ed esclusivo contraddittore. In tale fase, infatti, posso-no essere sollevate obiezioni relative non solo a comportamenti del concessionario della riscossione 21 stesso, ma anche a comportamenti dell’ente impositore. In sede

19 BAFILE, Il nuovo processo tributario, Padova, 1994, p. 51. 20 V., in generale, DAL ZILIO, Commento all’art. 10 (Le parti), in CONSOLO-GLENDI (a cura di), op.

cit., p. 118; CASTALDI, Commento all’art. 10 (Le parti), in BAGLIONE-MENCHINI-MICCINESI et al., op. cit., p. 105; CARPENTIERI, Le parti: la legittimazione attiva e la legittimazione passiva, I, Profili sistematici, in DELLA VALLE-FICARI-MARINI (a cura di), op. cit., p. 241; NAPOLITANO, Le parti, in TESAURO (diretto da), Giurisprudenza sistematica di diritto tributario, cit., p. 182; RAU, Il Concessionario della riscossione quale sostituto processuale dell’ente impositore nel nuovo processo tributario, in Boll. trib., 1996, p. 1416.

21 Il problema ovviamente si pone solo nei limiti in cui sussiste la giurisdizione del giudice tributa-rio. Si ricorda, infatti, che occorre distinguere:

– le controversie riguardanti il titolo della riscossione, ovverosia quelle concernenti il diritto del-l’Amministrazione Finanziaria a riscuotere il tributo, che sono devolute al giudice tributario. Si tratta dei processi nei quali tale giudice è chiamato a conoscere di questioni relative all’esistenza del diritto dell’Amministrazione Finanziaria a procedere all’esecuzione forzata perché, ad esempio, sono denun-ciati i vizi formali e sostanziali della cartella di pagamento;

– le controversie riguardanti gli atti strettamente esecutivi, ovverosia quelle concernenti le concre-te modalità operative mediante le quali viene esercitata la riscossione che sono devolute al giudice ordina-rio, nelle forme delle opposizioni di cui agli artt. 615, 617 e 619, c.p.c. Si tratta, ad esempio, dei processi

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Corte cost., 3 marzo 2016, n. 44 543

di impugnazione della cartella di pagamento, possono, di norma, distinguersi tre ipo-tesi:

1. quella in cui il contribuente solleva contestazioni attinenti esclusivamente a vi-zi propri della cartella di pagamento e non del ruolo;

2. quella in cui il contribuente solleva contestazioni attinenti esclusivamente a vi-zi propri del ruolo e non della cartella di pagamento;

3. quella in cui il contribuente solleva contestazioni attinenti sia a vizi propri della cartella di pagamento, sia a vizi del ruolo.

Il problema nasce in quanto la notifica del ruolo e della cartella di pagamento av-vengono congiuntamente: la notifica del ruolo al contribuente consiste, infatti, nella notifica della sola “parte” del ruolo a lui relativa e non dell’intero elenco dei debito-ri 22, che avviene, di norma, tramite notifica proprio della cartella di pagamento come previsto dall’art. 21, D.Lgs. n. 546/1992 23.

In proposito, la giurisprudenza di legittimità 24 e quella di merito 25 hanno da

concernenti la pignorabilità dei beni aggrediti, la conversione del pignoramento, la fissazione della vendita, ecc.

22 Come noto, il ruolo è un atto plurimo. Esso si qualifica come un «atto amministrativo organiz-zativo plurimo, adottato dal soggetto attivo del rapporto giuridico tributario» che si connota per riepi-logare la posizione debitoria di una pluralità di soggetti nominativamente indicati (Cass., sez. trib., 11 gennaio 2002, n. 307). V., in dottrina, CARINCI, La riscossione a mezzo ruolo nell’attuazione del tributo, Pisa, 2008, p. 130; RINALDI, (voce) Riscossione dei tributi, in CASSESE (diretto da), Dizionario di diritto pubblico, IV, Milano, 2006, p. 5349.

23 Questo stabilisce che «la notificazione della cartella di pagamento vale anche come notificazio-ne del ruolo». Sul tema v. PORCARO, Commento all’art. 21 (Termine per la proposizione del ricorso), in CONSOLO-GLENDI (a cura di), op. cit., p. 300.

24 Ex multis Cass., sez. trib., 6 maggio 2002, n. 6450, con nota di RUSSO-FRANSONI, Nota a Cass., 6 maggio 2002, n. 6450, in Il Fisco, 2002, p. 6903; Cass., sez. trib., 26 aprile 2005, n. 14668; Cass., sez. trib., 14 febbraio 2007, n. 3248; Cass., sez. trib., 27 febbraio 2009, n. 4900; Cass., sez. trib., 27 maggio 2011, n. 11708.

25 Questa ha chiarito che il concessionario della riscossione è parte nel processo tributario «ma, esclusivamente, quando l’oggetto della controversia sia l’impugnazione di atti a lui direttamente riferi-bili, nel senso che trattasi di conclamati errori imputabili allo stesso concessionario nella compilazione ed intestazione delle cartelle di pagamento o avvisi di mora» (CTR Lazio, 9 marzo 2004, n. 2). Allo stesso modo, è stato rilevato che «quando venga in rilievo la regolarità formale della cartella esattoriale o la legittimità della stessa, il logico contraddittore del ricorrente sarà il concessionario, responsabile della formazione della cartella dopo aver ricevuto il ruolo esecutivo» (CTR Lazio, 28 gennaio 2003, n. 6). Ancora, è stato chiarito che il concessionario della riscossione «ai sensi dell’art. 10 del D.Lgs. n. 546/1992 è parte del processo tributario, quando oggetto della controversia sia l’impugnazione di atti a lui direttamente riferibili, nel senso che trattasi di errori imputabili allo stesso concessionario (errori connessi alla compilazione e all’intestazione della cartella di pagamento o degli avvisi di mora, alla no-tificazione degli stessi atti, eccetera)» (CTR Lazio, 25 ottobre 2004, n. 77). All’opposto di quanto precede, qualora venga in considerazione la debenza del tributo e, quindi, si metta in discussione lo stesso presupposto sostanziale dell’iscrizione a ruolo, è stato precisato che dovrà essere chiamato in causa l’ente impositore che ha emesso il ruolo «venendo in contestazione in tal caso lo stesso presup-

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2017 544

tempo chiarito i confini della legittimazione processuale dei soggetti incaricati della riscossione 26. Questi, ai sensi dell’art. 10, D.Lgs. n. 546/1992, sono legittimati passi-vi solo nei giudizi in cui si controverte in merito a vizi relativi alla formazione della car-tella, come, ad esempio, quando si discute di errori di individuazione del contribuen-te, di vizi di notifica, di mancanza della sottoscrizione o del responsabile del proce-dimento di emissione o di notificazione della cartella di pagamento; lo sono altresì nei casi in cui oggetto dell’impugnazione sono atti dell’agente della riscossione di-versi dalla cartella (iscrizione di ipoteca, fermo di beni mobili registrati, ecc.) 27. Gli agenti della riscossione sono, in altri termini, legittimati processualmente solo in re-lazione alle attività da essi poste in essere.

L’Agenzia delle Entrate è l’unico legittimato passivo in tutti i casi in cui venga contestata la mancata notifica degli atti presupposti, la legittimità della pretesa tribu-taria ed il contenuto del ruolo 28. posto dell’iscrizione a ruolo, che potremmo definire il lato sostanziale dell’iscrizione a ruolo, e limitan-dosi in tale evenienza il ruolo del concessionario a quello di un mero nuncius, ancorché portatore di poteri esecutivi propri, della pretesa tributaria» (CTR Lazio, 28 gennaio 2003, n. 6).

Si segnala anche la sentenza della CTP Prato, 29 gennaio 2002, n. 2 per la quale un ricorso inteso ad ottenere l’annullamento di una cartella esattoriale di pagamento relativa all’IVA, qualora sollevi il vizio del difetto di motivazione della cartella o comunque altri vizi afferenti alla medesima, è da dichiararsi inammissibile, per quanto riguarda la predetta censura, perché i vizi dedotti dal ricorrente si riferisco-no alla cartella e, in quanto tali, concernono l’esclusivo operato del concessionario della riscossione, con la conseguenza che risulta fondata l’eccezione formulata dall’Ufficio in ordine alla propria carenza di legittimazione passiva (v. anche CTR Basilicata, 2 marzo 1999, n. 27). Amplius v. CANCEDDA, Legitti-mazione processuale del Concessionario della riscossione e dell’ufficio impositore nell’impugnazione dinanzi alle Commissioni tributarie di atti della riscossione, in Il Fisco, 2005, p. 6901.

26 E lo ha fatto anche la stessa Agenzia delle Entrate con la Circolare 12 aprile 2012, n. 12/E. 27 V. Cass., sez. un., 25 luglio 2007, n. 16142; Cass., sez. trib., 30 ottobre 2007, n. 22939; Cass., sez.

trib., 2 febbraio 2012, n. 1532; Cass., sez. VI, 29 maggio 2013, n. 1333; Cass., sez. VI, 3 settembre 2014, n. 18651. In queste sentenze è affermato il principio per cui, «se l’azione del contribuente per la con-testazione della pretesa tributaria a mezzo dell’impugnazione dell’avviso di mora è svolta direttamente nei confronti dell’ente creditore, il concessionario è vincolato alla decisione del giudice nella sua quali-tà di adiectus solutionis causa (v. Cass. n. 21222 del 2006); se la medesima azione è svolta nei confronti del concessionario, questi, se non vuole rispondere dell’esito eventualmente sfavorevole della lite, deve chiamare in causa l’ente titolare del diritto di credito. In ogni caso l’aver il contribuente individuato nell’uno o nell’altro il legittimato passivo nei cui confronti dirigere la propria impugnazione non de-termina l’inammissibilità della domanda, ma può comportare la chiamata in causa dell’ente creditore nell’ipotesi di azione svolta avverso il concessionario, onere che, tuttavia, grava su quest’ultimo, senza che il giudice adito debba ordinare l’integrazione del contraddittorio».

28 Da ultimo, ricostruisce analiticamente la figura dell’incaricato della riscossione, Cass., sez. trib., 9 novembre 2016, n. 22729, ove viene ricordato come la sua posizione debba essere ricondotta «alla fi-gura dell’“adiectus solutionis causa” delineata dall’art. 1188 c.c.», ma, tenuto conto che «al di fuori del sistema tributario, l’“adiectio” non fonda una legittimazione processuale dell’“adiectus”», è stato neces-sario l’intervento dell’ordinamento tributario regolando «mediante il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 10, la diretta legittimazione del concessionario quando oggetto della controversia è l’impugnazio-ne di atti viziati da errori ad esso direttamente imputabili». Ne deriva altresì l’ulteriore effetto che, se «l’azione del contribuente per la contestazione della pretesa tributaria è svolta direttamente nei con-

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Corte cost., 3 marzo 2016, n. 44 545

Questa distinzione è una conseguenza dell’assetto tradizionale del diritto tributa-rio che assegna all’avviso di accertamento e, poi, al ruolo la funzione di definire la pre-tesa tributaria avanzata nei confronti di un contribuente a seguito di accertamento. La conseguente cartella di pagamento è, invece, l’atto, la cui emanazione è di compe-tenza dell’agente della riscossione, che (sulla base del ruolo) dà l’avvio all’azione ese-cutiva nei confronti del contribuente.

In forza di questa bipartizione (nei limiti in cui ha ancora rilievo), dunque, il le-gittimo contraddittore potrà essere tanto l’ente impositore quanto l’incaricato della riscossione a seconda dei vizi denunciati dal contribuente 29.

La soluzione data al problema del legittimo contraddittore esplica i suoi effetti, infine, sul problema della individuazione della Commissione tributaria provinciale competente, per risolvere il quale sono state proposte, nel corso degli anni, varie so-luzioni. Vi era stato addirittura chi 30 aveva proposto di presentare, contemporanea-mente, due ricorsi separati e distinti, l’uno dinanzi alla Commissione tributaria com-petente secondo la sede dell’agente della riscossione, l’altro secondo la sede compe-tente dell’ente impositore 31. fronti dell’ente creditore, il concessionario è vincolato alla decisione del giudice nella sua qualità di “adiectus solutionis causa”».

29 Queste posizioni sono, da ultimo, puntualmente e compiutamente, schematizzate ancora da Cass., sez. trib., 9 novembre 2016, n. 22729, secondo cui:

– allorché il contribuente contesta la cartella come atto consequenziale, deducendo (avendone la possibilità) i vizi dell’atto presupposto, la legittimazione passiva spetta all’ente titolare del credito tri-butario e non già all’incaricato della riscossione sul quale, se esclusivo destinatario dell’impugnazione, incombe l’onere di chiamare in giudizio il predetto ente, per non rispondere dell’esito della lite. In tale ipotesi il giudice non è, infatti, tenuto a disporre d’ufficio l’integrazione del contraddittorio, in quanto non è configurabile un caso di litisconsorzio necessario;

– allorché il contribuente contesta i vizi dell’atto presupposto imputabili all’incaricato della riscos-sione, ovverosia nel caso di vizi propri della cartella di pagamento e dell’avviso di mora, l’atto va impu-gnato chiamando in causa esclusivamente il concessionario, al quale è direttamente ascrivibile il vizio dell’atto, non essendo configurabile, neppure in tale ipotesi, un litisconsorzio necessario con l’ente im-positore.

30 MOSCHETTI, La disciplina del ricorso nel novellato processo tributario, in Riv. dir. trib., 1993, p. 1057; MUCCARI, Questioni aperte sulla competenza territoriale delle Commissioni tributarie, in Corr. trib., 2003, p. 1712; VOGLINO, L’incerta veste del concessionario del servizio di riscossione nel nuovo processo tri-butario, in Boll. trib., 1996, p. 1368, ritenevano, in estrema sintesi e con alcune differenze, competente la Commissione tributaria dell’agente della riscossione unicamente per i ricorsi avverso la cartella di pagamento, l’avviso di mora e l’avviso di intimazione ad adempiere, a condizione che fossero sollevate irregolarità ascrivibili direttamente all’agente medesimo e competente la Commissione tributaria del-l’ente impositore in tutti gli altri casi.

31 Tale tesi era contestata in dottrina (GIRELLI, op. cit., p. 340) in quanto finiva per lasciare ampi margini di incertezza al soggetto che doveva proporre il ricorso, che avrebbe potuto correre così il fon-dato rischio di incorrere nella pronuncia di inammissibilità del ricorso se detta scelta non fosse stata condivisa dal giudice adito. Tale Autore suggeriva di fare ricorso all’art. 33 c.p.c. per il tramite del quale il giudizio tributario sarebbe potuto essere incardinato, in maniera alternativa, dinanzi alla Commissione tributaria competente in relazione alla sede legale dell’agente o a quella dell’ente impositore, ciascuna

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2017 546

Il problema è stato risolto dalla giurisprudenza di legittimità in un modo coerente con le soluzioni raggiunte in tema di determinazione del legittimo contraddittore. In dettaglio, la Cassazione 32 ha chiarito come la disciplina del processo tributario, da un lato, non contempli né l’ipotesi della contestuale impugnazione di plurimi atti tribu-tari innanzi a giudici diversi, né quella di modifica della competenza territoriale per ragioni di connessione per il titolo o per l’oggetto, e, dall’altro, ha chiarito come la mancanza di simili previsioni normative non possa essere integrata tramite il generale rinvio al codice di procedura civile disposto dall’art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992.

Queste conclusioni sono considerate una conseguenza della natura impugnatoria del processo tributario, il cui sistema di accesso è veicolato esclusivamente dall’op-posizione avverso ad un atto emesso dall’ente impositore o dall’incaricato del servi-zio di riscossione e notificato al contribuente. Le regole processuali devono rispetta-re tale assetto, sicché la circostanza che il ruolo e la cartella di pagamento, benché concettualmente e funzionalmente atti autonomi e distinti tra loro, siano congiunta-mente notificati, comporta, per la Cassazione, che questi debbano essere considerati un unico “atto composto” 33.

Ne deriva che, ai fini del radicamento della competenza territoriale del giudice tributario, si deve fare riferimento solo al luogo in cui ha sede il soggetto che ha e-messo l’atto consequenziale (cartella) notificato al contribuente e da questi impu-gnato per far valere anche vizi di legittimità propri dell’atto presupposto (ruolo).

Queste considerazioni hanno portato ad escludere la possibilità di individuare per ciascuno dei due atti tributari giudici territorialmente competenti diversi, sicché «nel caso in cui il contribuente, al quale sia stata notificata cartella di pagamento emessa dall’agente del servizio di riscossione avente sede in luogo diverso da quello dell’Uffi-cio tributario che abbia formato il ruolo ... intenda impugnare l’atto notificatogli fa-cendo valere – anche in via esclusiva – vizi propri del ruolo ... trova applicazione il delle quali sarebbe stata legittimata a definire la controversia (v. anche MICCINESI, op. cit., p. 39; DELLA VALLE, op. cit., p. 80). La suddetta posizione è, però, contrastata da chi (GLENDI, La connessione, in Corr. trib., 2002, pp. 269 e 271; ID., Ancora sul nuovo processo tributario cautelare, in GT-Riv. giur. trib., 1996, p. 774; ID., Il concessionario della riscossione quale sostituto processuale dell’ente impositore, cit., p. 1419) ritiene che l’art. 33 c.p.c. sia incompatibile con il processo tributario, in quanto per tale processo il legislatore avrebbe previsto un solo giudice competente essendo stata espressamente sancita l’as-soluta inderogabilità del criterio territoriale.

32 Si segnala per la chiarezza e completezza dell’analisi, Cass., sez. trib., 1° ottobre 2014, n. 20671. V. anche Cass., sez. trib., 13 agosto 2004, n. 15864.

33 Ancora Cass., sez. trib., 1° ottobre 2014, n. 20671, secondo cui «tanto si desume dalla natura del ruolo quale atto meramente strumentale del procedimento, nel quale sono del tutto assenti margini di potere discrezionale, essendo funzionale esclusivamente ad attivare l’ulteriore attività di competenza del Concessionario (ora denominato Agente del servizio per la riscossione) in quanto destinato a for-nire a quest’ultimo i dati essenziali (identificativo del debitore; ammontare del credito principale ed accessorio) per la richiesta di pagamento del tributo, trattandosi dunque di atto concernente l’attua-zione del rapporto organizzativo tra i predetti soggetti e non destinato a produrre effetti direttamente nella sfera giuridica del contribuente, al quale infatti non deve essere notificato».

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Corte cost., 3 marzo 2016, n. 44 547

criterio di radicamento della competenza territoriale del giudice stabilito dal D.Lgs. n. 546/1992, art. 4, comma 1 con riferimento alla circoscrizione della CTP in cui ri-cade il luogo in cui ha sede la società Agente del servizio di riscossione che ha emes-so la cartella» 34. Ne derivava, dunque, che la competenza in tema di impugnazione degli atti della riscossione si radicava in funzione della sede dell’ente che aveva emes-so l’atto (cartella di pagamento o altro atto della riscossione), senza che a nulla rile-vasse la collocazione spaziale del contribuente, fermo restando che la sede del sog-getto incaricato della riscossione prevaleva su quella dell’ente impositore in caso di impugnazione congiunta del ruolo e della cartella di pagamento.

4. La ripartizione della competenza nelle controversie aventi ad oggetto gli atti del-la riscossione dopo la sent. n. 44/2016

Tale assetto è stato messo in discussione dalla Commissione tributaria provincia-le di Cremona con le ordd. 15 dicembre 2014, nn. 169 e 170, che hanno rimesso alla Corte costituzionale la questione di legittimità dell’art. 4, D.Lgs. n. 546/1992, «nella parte in cui prevede che le Commissioni tributarie provinciali siano competenti per le controversie proposte nei confronti dei concessionari che hanno sede nella loro circoscrizione, anche nel caso in cui tale sede appartenga ad una circoscrizione diver-sa da quella degli enti locali concedenti».

Tale problema si pone essenzialmente nei casi in cui un ente locale affidi la riscos-sione dei suoi tributi ad un soggetto avente sede nell’ambito di competenza di una Commissione tributaria diversa da quella in cui si trova l’ente medesimo 35. Si tratta di una conseguenza del sistema delineato dagli artt. 52 e 53, D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, che hanno istituito l’albo dei soggetti incaricati di procedere alla riscos-

34 Cass., sez. trib., 1° ottobre 2014, n. 20671, ripete quanto osservato in precedenza, ovverosia che tale conclusione «deve argomentarsi in via interpretativa dal combinato disposto dal D.Lgs. n. 546/1992, art. 19, comma 1, lett. d) e comma 3, e art. 21, comma 1, che, ai fini della impugnabilità, considerano in modo unitario i due atti in questione, escludendo, da un lato, il frazionamento delle cause tra Giudici diversi, rispettivamente competenti a conoscere dei vizi della cartella e dei vizi del ruolo, e dall’altro la rimessione al ricorrente della scelta del Giudice territorialmente competente ad adire, non essendo consentito al contribuente che ha impugnato la cartella di pagamento notificatagli spostare la compe-tenza avanti la CTP del luogo in cui ricade l’Ufficio finanziario che ha formato il ruolo». In dottrina v. RUSSO, La competenza territoriale del giudice tributario nell’impugnazione della cartella di pagamento, in Boll. trib., 2015, p. 1127.

35 Le ordinanze in esame osservano efficacemente che, sulla base del sistema attuale, ben potrebbe accadere che «un contribuente residente in Milano debba essere costretto ad impugnare un atto di accer-tamento avanti la Commissione tributaria provinciale di Bari, in relazione ad una imposta ICI gravante sul proprio immobile sito in Milano, sol perché nella circoscrizione del capoluogo pugliese si trovi la sede legale del concessionario che sia stato incaricato del servizio di accertamento e riscossione dal Comune di Milano».

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sione locale, non ponendo a carico di tali soggetti il vincolo di fissare una sede nei territori in cui avrebbero operato 36.

Questo assetto, ad avviso della Commissione rimettente, potrebbe tradursi in una violazione:

• dell’art. 24 Cost., in quanto, nell’ipotesi in cui il concessionario abbia sede in un luogo significativamente distante da quello in cui ha sede l’ente impositore, il contri-buente si vedrebbe costretto a instaurare un giudizio in un luogo lontano da quello ove è ubicato l’oggetto (un immobile nel caso concreto). Tale onere potrebbe rap-presentare un significativo ostacolo all’esercizio del proprio diritto di difesa da parte del contribuente e potrebbe persino indurlo a rinunciare ad impugnare l’atto 37. Pe-raltro si tratterebbe di un effetto che il legislatore voleva evitare stabilendo, infatti, il D.Lgs. n. 546/1992 che «l’affidamento ... non deve comportare oneri aggiuntivi per il contribuente»;

• dell’art. 97 Cost. in quanto, consentendo che a giudicare la controversia tra i due soggetti sia la Commissione tributaria nella cui circoscrizione ha sede il conces-sionario “scelto” dall’ente medesimo, si attribuirebbe all’Amministrazione Finanzia-ria stessa il potere di gestire il proprio rapporto con gli amministrati in maniera ini-qua ed arbitraria, così stravolgendo il corretto rapporto istituzionale che deve, inve-ce, intercorrere tra cittadino e Pubblica Amministrazione.

La Consulta, con la sent. 3 marzo 2016, n. 44 38, ha, innanzitutto, rigettato la se-conda questione ritenendo il rinvio all’art. 97 Cost. inconferente. Il principio del buon

36 La Presidenza del Consiglio dei Ministri, nelle sue difese, riteneva inammissibile l’ordinanza di remissione proprio in quanto, se si fosse potuta prospettare una violazione dell’art. 97 Cost., questa avrebbe dovuto riguardare non l’art. 4, D.Lgs. n. 546/1992, ma, al massimo, proprio gli artt. 52 e 53, D.Lgs. n. 446/1997. La Corte rigetta tale osservazione in quanto ritiene che correttamente la questio-ne sia stata inquadrata dal giudice remittente entro gli schemi del diritto processuale e non di quelli del diritto sostanziale, sicché non possono venire in rilievo gli articoli menzionati.

37 Per la Commissione «non si comprende, davvero, come possa sottrarsi al dubbio di illegittimità costituzionale una norma che, pur collocandosi in un contesto normativo che non dovrebbe affatto trascurare i diritti del contribuente (come, tra l’altro, evocati dallo statuto di cui alla legge 27 luglio 2000, n. 212), ne pregiudica gravemente e ingiustificatamente proprio quello di difesa, posto che, co-stringe il cittadino ad un gravoso spostamento verso il luogo ove instaurare la propria azione giudiziaria». Aggiungono altresì i giudici che «infrangere il rapporto territoriale tra originario ente pubblico ... e con-tribuente nel momento in cui quest’ultimo intenda esercitare il proprio diritto alla tutela giudiziaria, non determina soltanto un vulnus al diritto di difesa del cittadino, ma finisce contestualmente per compro-mettere quella corretta relazione intercorrente tra la pubblica amministrazione e la base sociale».

38 Per alcuni primi commenti v. KOSTNER, La competenza territoriale nelle liti tributarie di primo gra-do in cui è parte il concessionario della riscossione: l’intervento della Corte costituzionale, in Riv. trim. dir. trib., 2016, p. 518; CERIONI, Parziale incostituzionalità della disposizione che regola la competenza nel processo tributario, in Corr. trib., 2016, p. 1295; CONIGLIARO, La competenza territoriale delle Commis-sioni tributarie viaggia nella direzione del contribuente, in Il Fisco, 2016, p. 1855; FRONTICELLI BALDELLI, Illegittimità costituzionale della norma sulla competenza territoriale nelle liti in cui è parte l’agente di riscos-sione – Commento, in Il Fisco, 2016, p. 1363.

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Corte cost., 3 marzo 2016, n. 44 549

andamento della Pubblica Amministrazione è, infatti, riferibile all’amministrazione della giustizia soltanto per quanto attiene all’organizzazione e al funzionamento de-gli uffici giudiziari, e non anche in rapporto all’esercizio della funzione giurisdiziona-le. Viene, dunque, confermata l’impostazione tradizionale 39 per cui la legittimità co-stituzionale dell’art. 4, D.Lgs. n. 546/1992 deve essere valutata esclusivamente alla luce dei principi del diritto processuale e non anche di quello sostanziale avendo, per l’appunto, la norma in esame natura processuale.

L’unico parametro costituzionale da prendere in considerazione è, dunque, l’art. 24 Cost., di cui la Consulta ravvisa una violazione.

A tal proposito viene ricordato come sia vero, da un lato, che la giurisprudenza costituzionale 40 attribuisce ampia discrezionalità al legislatore nella conformazione degli istituti processuali, anche per quanto concerne la ripartizione della competenza degli uffici giudiziari, ma come sia altrettanto vero, dall’altro lato, che nel procedere a tale ripartizione il legislatore debba utilizzare criteri “ragionevoli”. Non può conside-rarsi tale un criterio che provochi «una compressione del diritto di agire (sentenza n. 335 del 2004)». Quest’ultimo diritto deve, invece, considerarsi violato laddove «vengano imposti oneri tali o ... vengano prescritte modalità tali da rendere impos-sibile o estremamente difficile l’esercizio del diritto di difesa o lo svolgimento dell’at-tività processuale».

Nel caso di controversie aventi ad oggetto atti degli incaricati della riscossione di tributi locali, la circostanza che il contribuente possa dover impugnare un atto prove-niente da un soggetto avente la sede in una circoscrizione diversa da quella dell’ente impositore, comporta un «sostanziale impedimento all’esercizio del diritto di azione garantito dall’art. 24 della Costituzione suscettibile di integrare la violazione del cita-to parametro costituzionale». Ciò si verifica per il fatto che, non incontrando «l’en-te locale ... alcuna limitazione di carattere geografico-spaziale nell’individuazione del terzo cui affidare il servizio di accertamento e riscossione dei propri tributi», potreb-be accadere che il contribuente debba farsi carico di uno spostamento, anche signifi-cativo, per esercitare il proprio diritto di difesa. Ciò integra un considerevole onere a suo carico 41 e rende l’esercizio dell’azione giurisdizionale «oltremodo difficoltos[o]».

Per tali motivi la Corte costituzionale ritiene non costituzionalmente legittimo il sistema vigente e provvede a correggerlo 42, dando rilievo al rapporto esistente tra l’en-te locale e il soggetto cui è affidato il servizio di accertamento e riscossione.

39 Corte cost., 3 agosto 1976, n. 214; Corte cost., 25 gennaio 1989, n. 209. 40 Corte cost., ord. 16 aprile 1999, n. 128. 41 La Corte aggiunge poi che «questo onere, già di per sé ingiustificato, diviene tanto più rilevante

in relazione ai valori fiscali normalmente in gioco, che potrebbero essere – come in concreto sono nel-la specie – di modesta entità, e quindi tali da rendere non conveniente un’azione da esercitarsi in una sede lontana».

42 La Consulta procede così a redigere una sentenza manipolativa di tipo sostitutivo, ovverosia una sentenza dichiarativa dell’illegittimità costituzionale della disposizione “nella parte in cui prevede” quel

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2017 550

Per la Consulta, infatti, ferma la plurisoggettività del rapporto, l’incaricato della riscossione costituisce una «longa manus del primo, con la conseguente imputazione dell’atto di accertamento e riscossione a quest’ultimo», sicché, ai fini del radicamen-to della competenza territoriale, «non può che emergere il rapporto sostanziale tra il contribuente e l’ente impositore». Dunque, in altri termini, la competenza territoria-le delle Commissioni tributarie deve dipendere anche in questo caso dalla colloca-zione spaziale dell’ente impositore.

La Corte può così dichiarare l’incostituzionalità dell’art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992, nel testo previgente e in quello vigente 43, nella parte in cui prevede che, per le controversie proposte nei confronti dei concessionari del servizio di riscossio-ne o nei confronti dei soggetti iscritti nell’albo di cui all’art. 53, D.Lgs. n. 446/1997, sia competente la Commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione i con-cessionari stessi hanno sede, anziché quella nella cui circoscrizione ha sede l’ente lo-cale concedente/impositore.

Così facendo, la Corte costituzionale resta ferma al dato letterale della norma tri-butaria per cui la competenza è determinata in funzione della sede del soggetto che ha emanato l’atto impugnato, ma chiarisce come questo criterio debba essere inter-pretato non in senso formalistico (dunque, limitandosi a verificare a chi risulti impu-tabile l’atto), ma (almeno limitatamente alle controversie che hanno ad oggetto atti della riscossione) in senso sostanzialistico. In altri termini, la sentenza impone di te-nere conto di un elemento nuovo: la facilità di accesso alla tutela giurisdizionale da parte del contribuente. Dando però rilievo a tale elemento, ne consegue che viene ad avere rilievo “indiretto” la localizzazione spaziale del contribuente o del bene tassato. La sentenza della Corte costituzionale restituisce così unità e coerenza al sistema in quanto adotta un criterio unitario attraverso cui individuare la Commissione tributa-ria competente.

Tale sentenza si pone poi in linea di perfetta continuità con la precedente giuri-sprudenza della Consulta 44, che, per dichiarare l’incostituzionalità dell’art. 4, D.Lgs. che incostituzionalmente è previsto (parte demolitoria), “anziché” prevedere quel che la Costituzione esige che sia previsto (parte ricostruttiva), sostituendo così un frammento di norma con un altro. La Corte costituzionale ha più volte riconosciuto di essere titolare del potere di procedere alla manipola-zione di una disposizione al fine di renderla conforme alla Costituzione, nei limiti in cui essa deduca la soluzione dai principi dell’ordinamento (Corte cost., 27 novembre 1980, n. 151). In dottrina, ex multis v. CAMERLENGO, La saggezza della Corte costituzionale, in Riv. trim. dir. pubbl., 2011, p. 647; MARCIANÒ, Le ordinanze di manifesta inammissibilità per “insufficiente sforzo interpretativo”: una tecnica che può coesi-stere con le decisioni manipolative (di norme) e con la dottrina del diritto vivente?, in Giur. cost., 2005, p. 785; ROMBOLI, Il processo costituzionale: la tipologia delle decisioni. Premessa, in Foro it., 1998, p. 143; PERTICI, Il processo costituzionale: la tipologia delle decisioni. le sentenze “manipolative”, in Foro it., 1998, p. 152.

43 La Consulta ritiene, infatti, che il novellato art. 4 sia una disposizione sostitutiva contenente di-sposizioni analoghe in contrasto con i principi affermati, sicché, ai sensi dell’art. 27, L. 11 marzo 1953, n. 87, ritiene di dover dichiarare costituzionalmente illegittimo anche l’art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992, nel testo successivo alle modifiche apportate dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156.

44 Corte cost., 3 agosto 1976, n. 214; Corte cost., 25 gennaio 1989, n. 209.

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Corte cost., 3 marzo 2016, n. 44 551

n. 546/1992, utilizza solo argomenti di ordine processuale (la facilità di accesso alla giustizia da parte del contribuente) e non di ordine sostanziale.

Essa è sostanzialmente condivisibile in quanto, anche se solo “indirettamente”, restituisce centralità al contribuente: sarà, infatti, la sua collocazione spaziale o quel-la del bene tassato a determinare la Commissione tributaria competente. Potrà esse-re fatto ricorso solo a questo criterio in quanto esso sarà l’unico idoneo ad evitare aggravi di costi per il contribuente 45.

Vale, infine, osservare come, testualmente, la sentenza in esame riguardi solo l’i-potesi in cui parte del processo siano i soggetti di cui all’art. 53, D.Lgs. n. 446/1997, ovverosia i soggetti iscritti all’«albo per l’accertamento e riscossione delle entrate degli enti locali»; ciò consente di svolgere due ulteriori osservazioni.

In primo luogo, si ritiene che la regola affermata dalla Corte costituzionale deb-ba valere tanto nell’ipotesi in cui l’ente iscritto all’albo di cui all’art. 53, D.Lgs. n. 446/1997 svolga solo attività di riscossione, quanto in quella in cui lo stesso svolga anche attività di accertamento. In entrambe le ipotesi, la competenza dovrà essere determinata in base alla sede dell’ente locale concedente, consentendo così anche di evitare disparità di trattamento a seconda che l’ente locale esternalizzi o meno l’attività di accertamento.

In secondo luogo, la stessa regola si ritiene dovrà essere estesa alla riscossione era-riale, pur essendo, in questa ipotesi, più remoto il verificarsi di casi “estremi” quali quello oggetto della sentenza della Consulta 46. La ripartizione su base territoriale delle attività svolte, a far data dal 1° luglio 2017, da Agenzia delle Entrate-Riscossione 47

45 Ragionando a contrario ci si potrebbe domandare se il criterio enunciato dalla Consulta eviti un aggravio al contribuente, ma ne causi uno al soggetto incaricato della riscossione locale. Sarà, infatti, questo a dover ora sostenere i costi per intervenire in un processo che potrà magari svolgersi in un luo-go distante da quello in cui ha la sede. La Corte costituzionale lascia intendere che tra la posizione del contribuente e quella dell’incaricato della riscossione debba prevale la posizione del primo. Peraltro, mentre il contribuente potrebbe valutare se avviare un contenzioso tenendo conto dei costi che do-vrebbe sostenere, analoga valutazione non la potrebbero fare gli incaricati della riscossione. Essi eserci-tano, infatti, un’attività che si colora di caratteri pubblicistici, sicché non possono procedere a valuta-zioni di convenienza del tipo di quelle che svolge un privato e, in ogni caso, per lo svolgimento della loro attività è comunque necessaria una presenza nel territorio dell’ente impositore per il quale agiscono. Ciò fa sì che sia ragionevole ipotizzare che nei loro confronti non si possa verificare alcun aggravio di costi paragonabile a quello sostenuto dal contribuente.

46 È, comunque, un’ipotesi che non si può escludere essendosi verificati, in passato, casi analoghi a quelli oggetto della sentenza della Corte costituzionale proprio con riferimento alla riscossione eraria-le. V. Cass., sez. trib., 1° ottobre 2014, n. 20671, in cui si discuteva della competenza della Commissio-ne tributaria provinciale di Alessandria a giudicare della legittimità di una cartella di pagamento emes-sa dall’allora Riscossioni Tributi Lucca e Cremona s.p.a. in base ad un ruolo formato dall’Ufficio doga-nale di Alessandria. In questo caso la Cassazione ha ritenuto di dover indicare «la CTP di Cremona quale Giudice territorialmente competente a conoscere del ricorso introduttivo».

47 Si ricorda che si tratta dell’ente pubblico economico, «strumentale dell’Agenzia delle entrate» (così testualmente il legislatore), costituito con l’art. 1, D.L. 22 ottobre 2016, n. 193, conv., con modi-ficazioni, dalla L. 1° dicembre 2016, n. 225. Tale ente, a decorrere dal 1° luglio 2017, svolgerà le fun-

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2017 552

non potrà, comunque, avere alcun rilievo ai fini dell’individuazione della Commis-sione competente all’impugnazione degli atti emessi da questo nuovo ente, doven-dosi, anche in tale caso, dare prevalenza solo alla sede delle ente impositore a favore del quale il soggetto incaricato della riscossione, volta per volta, agisce 48.

Peraltro, sotto questo punto di vista, la sostituzione di Equitalia con Agenzia del-le Entrate-Riscossione (nella misura in cui, organizzativamente, comporterà un com-pleto coordinamento delle attività svolte dalla Agenzie della Entrate e dall’ente, sua diretta emanazione, incaricato della riscossione) eliminerà integralmente ogni, ben-ché minima, ipotesi in cui l’incaricato della riscossione erariale possa essere territo-rialmente lontano dall’ente impositore.

5. La competenza nelle controversie aventi ad oggetto gli atti dei Centri operativi

Come si è anticipato, il comma 2 dell’art. 4, D.Lgs. n. 546/1992, è stato di recen-te oggetto di modifiche volte a prevedere che, per le controversie instaurate nei con-fronti di articolazioni dell’Agenzia delle Entrate con competenza su tutto o parte del territorio nazionale, individuate con il Regolamento di amministrazione previsto dall’art. 71, D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, sia competente la Commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione ha sede l’Ufficio al quale spettano le attribuzioni sul rapporto controverso. zioni relative alla riscossione nazionale ed avrà la facoltà di svolgere anche quelle relative alle entrate tributarie o patrimoniali degli enti locali e delle società da essi partecipate. Esso sarà sottoposto all’in-dirizzo ed alla vigilanza del Ministro dell’Economia e delle Finanze e sarà amministrato da un Comita-to di gestione composto dal Direttore dell’Agenzia delle Entrate, che ne sarà il Presidente, e da due com-ponenti nominati dall’Agenzia medesima. L’Agenzia delle Entrate-Riscossione subentrerà, a titolo uni-versale, nei rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali, delle società del Gruppo Equitalia e assumerà la qualifica di agente della riscossione.

48 È rilevante osservare come anche la Cassazione, in passato, nelle sentenze in cui si era posto un problema di individuazione della Commissione competente a giudicare la legittimità degli atti dell’a-gente della riscossione erariale, avesse ritenuto di dare rilievo a esigenze simili a quelle individuate dal-la Corte costituzionale. Queste esigenze, però, nell’impostazione della Cassazione, dovevano essere prese in considerazione in un momento precedente a quello dell’individuazione della Commissione compe-tente, ovverosia in sede di «individuazione della competenza dell’agente della riscossione». Esse ave-vano così un’efficacia solo riflessa ai fini della soluzione della questione processuale di cui qui si discu-te. In particolare, nella sent. 1° ottobre 2014, n. 20671, si legge che «la individuazione della competen-za del Concessionario (ora Agente) in relazione al domicilio fiscale del contribuente appare, peraltro, del tutto coerente con il sistema della riscossione coattiva dei tributi a mezzo ruolo, e trova giustifica-zione in considerazione delle esigenze di speditezza ed efficienza dell’attività amministrativa (art. 97 Cost.), tenuto conto che nella fase successiva alla notifica della cartella di pagamento si instaura un rap-porto diretto tra il contribuente e tale organo della riscossione (competente a ricevere i pagamenti ed a rilasciare le relative quietanze; competente ad iniziare la espropriazione), e che apparirebbe, pertanto, del tutto illogico attribuire tali poteri ad un soggetto territorialmente distante dal luogo in cui risiede il contribuente».

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Corte cost., 3 marzo 2016, n. 44 553

Questo è stato l’inciso dell’art. 4 in esame oggetto di modifiche nel corso degli anni 49; si è, infatti, assistito ad un suo progressivo aggiustamento per meglio definire la regola per cui, in caso di atti provenienti da particolari articolazioni dell’Ammini-strazione Finanziaria con competenza diffusa sul territorio (in origine, i Centri di ser-vizio ed ora i Centri operativi) la Commissione tributaria competente è individuata in funzione della sede dell’«Ufficio al quale spettano le attribuzioni sul rapporto con-troverso» (in origine «sul tributo controverso»). Il tenore letterale della norma ha lasciato, come si vedrà, spazi di manovra all’Amministrazione Finanziaria che posso-no sollevare alcuni profili critici.

Prima di procedere a tale analisi, occorre ricordare come l’evoluzione della norma in esame sia strettamente correlata all’evoluzione subita dall’art. 10, D.Lgs. n. 546/1992 50, per il quale la legittimazione processuale avverso gli atti di articolazioni dell’Ammini-strazione Finanziaria con competenza diffusa, è in capo all’Ufficio al quale spettano le attribuzioni sul tributo controverso.

Come noto, l’applicazione di tali disposizioni e le modifiche che le hanno riguar-date sono state condizionate principalmente dalle vicende che hanno visti coinvolti, prima, i Centri di servizio 51, poi, i Centri operativi, in particolare, quello di Pescara le

49 Questo inciso costituisce la parte dell’art. 4, D.Lgs. n. 546/1992 che ha subito più modifiche nel tempo. La versione originale prevedeva che «se la controversia è proposta nei confronti di un centro di servizio è competente la Commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio al quale spettano le attribuzioni sul tributo controverso». Per effetto delle modifiche apportate dal-l’art. 28, D.L. 31 maggio 2010, n. 78, è stato disposto che «se la controversia è proposta nei confronti di un centro di servizio o altre articolazioni dell’Agenzia delle Entrate, con competenza su tutto o parte del territorio nazionale, individuate con il regolamento di amministrazione di cui all’articolo 71 del de-creto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, nell’ambito della dotazione organica prevista a legislazione vi-gente e anche mediante riorganizzazione, senza oneri aggiuntivi, degli Uffici dell’Agenzia è competen-te la Commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio al quale spettano le attribuzioni sul tributo controverso». La versione attualmente vigente prevede che «se la controversia è proposta nei confronti di articolazioni dell’Agenzia delle Entrate, con competenza su tutto o parte del territorio nazionale, individuate con il regolamento di amministrazione di cui all’articolo 71 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, è competente la Commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio al quale spettano le attribuzioni sul rapporto controverso».

50 In origine la norma stabiliva che fossero parte del processo tributario gli Uffici del Ministero del-le Finanze, ma «se l’ufficio è un centro di servizio» era parte «l’ufficio delle entrate del Ministero delle finanze al quale spettano le attribuzioni sul rapporto controverso». Per effetto delle modifiche appor-tate dall’art. 28, D.L. 31 maggio 2010, n. 78, è stato disposto che «se l’ufficio è un centro di servizio o altre articolazioni dell’Agenzia delle Entrate, con competenza su tutto o parte del territorio nazionale, indivi-duate con il regolamento di amministrazione di cui all’articolo 71 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, nell’ambito della dotazione organica prevista a legislazione vigente e anche mediante riorganizza-zione, senza oneri aggiuntivi, degli Uffici dell’Agenzia» è parte «l’ufficio delle entrate del Ministero delle finanze al quale spettano le attribuzioni sul rapporto controverso». La norma è stata poi semplificata per prevedere che «se l’ufficio è un’articolazione dell’Agenzia delle Entrate, con competenza su tutto o parte del territorio nazionale, individuata con il regolamento di amministrazione di cui all’articolo 71 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, è parte l’ufficio al quale spettano le attribuzioni sul rap-porto controverso».

51 Con riferimento ai Centri di servizio procede a fare il punto della situazione Cass., sez. trib., 10 feb-

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2017 554

cui attribuzioni si sono progressivamente ampliate. Assumono particolare rilievo le vicende che vedono coinvolto il Centro operativo di Pescara in quanto esso è stato oggetto di attenzione non solo da parte del legislatore, ma anche da parte dell’Am-ministrazione Finanziaria, della giurisprudenza e della dottrina. Per questi motivi sa-rà la sua posizione ad essere qui presa in considerazione e, conseguentemente, si analizzeranno i casi in cui sussiste la competenza della Commissione tributaria pro-vinciale di Pescara.

Per approfondire la questione si devono verificare le fonti normative che si sono succedute nel tempo. Più dettagliatamente, si analizzerà lo stato dell’arte della nor-mativa vigente al fine di individuare i vari compiti affidati al Centro operativo di Pe-scara. Si comprenderà così quali contribuenti possono essere coinvolti per controlla-re se l’individuazione del giudice chiamato ad accertare la validità dei relativi atti im-positivi avvenga nel rispetto dei criteri fissati dalla Corte costituzionale.

5.1. Lo stato dell’arte ...

5.1.1. Segue: dei controlli nei confronti di residenti e non residenti Occorre muovere dall’art. 71, comma 3, lett. a), D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, il

quale consente all’Agenzia delle Entrate, di strutturare con proprio Regolamento «la disciplina, l’organizzazione e il funzionamento dell’agenzia» 52 e l’art. 28, D.L. 31 mag-gio 2010, n. 78. Quest’ultimo, in particolare, permette all’Agenzia delle Entrate di svolgere le attività di accertamento e controllo ad essa attribuite con modalità auto-matizzate delegandone l’effettuazione ad apposite articolazioni, con competenza su braio 2010, n. 2927, che ricorda come «al di là della definizione teorica delle parti processuali di cui al D.Lgs. n. 546/1992, art. 10, in cui è citata come parte, quando l’atto è stato emesso da un Centro di servizio, solo il competente Ufficio delle Entrate, che la procedura delineata dal D.P.R. n. 787 del 1980, art. 10, che regola la proposizione dei ricorsi, dimostra che in realtà il Centro di servizio non si limita a regolare la fase extraprocessuale, ma svolge anche una funzione diretta nel procedimento, in quanto, a se-guito della richiesta della Segreteria della Commissione tributaria presso cui è stato incardinato il ri-corso, trasmette l’originale del ricorso medesimo, che le era stato notificato, “unitamente alle proprie deduzioni” di cui ovviamente deve tenersi conto nel processo anche da parte dell’Ufficio che assume il ruolo di parte sostanziale. Ne consegue che il Centro di servizio e l’Ufficio finanziario costituiscono una endiadi di enti autonomi ed entrambi attivi nella causa. Tale anomala posizione funzionale del Centro di Servizio, ha determinato una giurisprudenza oscillante della Corte, che in alcune pronunce (ad es. Cass. n. 12862 del 2004) ha ritenuto il Centro di Servizio parte anche del processo di primo grado, con conseguente necessità di notificazione del ricorso in appello sia al Centro che all’Ufficio delle En-trate, in applicazione dell’art. 53 citato, con integrazione necessaria, anche di ufficio, del contradditto-rio qualora il ricorso sia stato notificato, come nel caso di specie, ad una sola di esse, ex art. 331 c.p.c. In altre ha invece escluso la natura di parte processuale del Centro di Servizio, ritenendo insuperabile il dato testuale di cui al D.Lgs. n. 546/1992, art. 10 (Cass. 18508 del 2003; 9059/05; 6403/05). Corol-lario di tale assunto, che può ritenersi maggioritario e che questa Corte condivide, è che l’unica parte processuale in primo grado è l’Ufficio delle Entrate, e pertanto solo a questo deve essere notificato il ricorso in appello». In dottrina v. MICCINESI, op. cit., p. 41.

52 V. anche Regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle Entrate del 30 novembre 2000, n. 4, come modificato dalla L. 31 ottobre 2008, n. 55.

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tutto o parte del territorio nazionale, individuandole, appunto, con il Regolamento di cui al predetto art. 71.

Il menzionato art. 28 non solo ha riconosciuto, dunque, la possibilità per l’Ammi-nistrazione Finanziaria di ripartire al suo interno i compiti che le sono attribuiti, ma, modificando gli artt. 4 e 10, D.Lgs. n. 546/1992, ha anche definito gli effetti di tali ripartizioni. È previsto che, laddove l’Agenzia delle Entrate si avvalga di questo pote-re di organizzazione per effetto del quale talune funzioni sono attribuite a specifiche «articolazioni dell’Agenzia delle entrate, con competenza su tutto o parte del terri-torio nazionale», comunque conservi formale legittimazione processuale l’ufficio al quale spettano le attribuzioni sul rapporto controverso. Dunque, stando alla norma-tiva primaria, la competenza sulle controversie riguardanti gli atti derivanti da dette attività di controllo e accertamento emessi dalle «apposite articolazioni (...) indivi-duate con il regolamento di amministrazione» continua a spettare alla Commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio al quale spetterebbero le attribuzioni sul rapporto controverso. La norma sembrerebbe in linea con i prin-cipi della sent. n. 44/2016 in quanto si eviterebbero spostamenti al contribuente.

L’Agenzia delle Entrate, individuando, con provvedimento del suo Direttore 53, nei Centri operativi di Pescara e Venezia le «apposite articolazioni» indicate dalla nor-ma e disciplinando altresì le modalità di svolgimento delle attività connesse al relati-vo contenzioso, come si vedrà, ha però solo parzialmente rispettato tale principio.

È stato, infatti, previsto che il Centro operativo di Pescara, benché non compe-tente in generale per l’emanazione di atti di accertamento, svolga le seguenti attività:

a) controlli e accertamenti centralizzati ed automatizzati (compresa la gestione dei crediti d’imposta e delle relative comunicazioni ed istanze);

b) gestione e controllo dei soggetti non residenti, ivi compresa la gestione dei rimborsi e le procedure per l’identificazione in Italia dei non residenti 54.

53 V. Provv. Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 28 gennaio 2011, Prot. n. 16271. 54 Entrando più nel dettaglio, vale la pena ricordare come, con riferimento alla prima attività, il Centro

provveda all’emissione di accertamenti parziali di massa realizzabili in modalità automatizzata ai fini dell’IVA e delle imposte sui redditi. Tale potere comprende anche quello di annullamento in autotute-la degli atti emanati e quello di sospensione degli effetti, oltre alle prerogative di avvio della riscossione delle somme dovute, comprese quelle inerenti alla riscossione delle somme dovute in pendenza di giu-dizio tributario, ovvero di iscrizione a ruolo. Il Centro procede anche all’istruttoria funzionale e alla pre-disposizione degli atti di costituzione in giudizio in caso di ricorso.

Lo stesso Centro può, inoltre, svolgere controlli automatizzati di massa sulla base dei dati informa-tici disponibili nell’Anagrafe tributaria ed emanare, conseguentemente, atti di contestazione, atti di re-cupero di crediti d’imposta, avvisi di liquidazione per decadenza di agevolazioni per le imposte indiret-te (registro, ecc.).

Il Centro provvede poi alla gestione dei crediti d’imposta previsti dalle leggi speciali, comprese le istanze dei contribuenti e i provvedimenti in ordine all’assegnazione delle risorse.

Le attribuzioni del Centro di Pescara comprendono inoltre anche la gestione dei rimborsi a soggetti non residenti in materia di ritenute ed imposte sostitutive previste dal D.P.R. n. 600/1973 sulla base, oltre che della normativa interna, anche delle convenzioni internazionali e della normativa europea.

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Il provvedimento direttoriale si conclude poi dando specifiche indicazioni circa il contenzioso relativo alle attività del Centro di Pescara distinguendo:

1. le controversie riguardanti gli atti emessi dal Centro a seguito delle attività di controllo e accertamento realizzate con modalità automatizzate per le quali è com-petente la Commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione ha sede l’uffi-cio al quale spettano le attribuzioni sul tributo controverso il quale ultimo è anche parte nel processo dinanzi alle Commissioni medesime 55;

2. le controversie proposte nei confronti del Centro relativamente ad atti diversi da quelli precedenti (comprese quelle riguardanti atti connessi ai controlli non rea-lizzabili con modalità automatizzate, quali quelli relativi alle istanze presentate per la fruizione dei crediti d’imposta) per le quali permangono le regole ordinarie, sicché è competente la Commissione tributaria provinciale di Pescara e il Centro è parte nel processo dinanzi alla stessa Commissione (è per proporre tali controversie che il con-tribuente potrebbe essere costretto ad un ingiustificato spostamento).

5.1.2. Segue: dei controlli nell’ambito del regime IVA MOSS Le funzioni del Centro operativo di Pescara sono poi state di recente ulteriormente

ampliate da un nuovo provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate 56 affin-ché siano comprese quelle relative agli adempimenti collegati al regime IVA MOSS (“Mini One Stop Shop”) 57.

Ai sensi, questa volta, dell’art. 7, D.Lgs. 31 marzo 2015, n. 42 58, il Centro operati-vo di Pescara è stato individuato quale ufficio competente a svolgere le attività con-

Con riferimento alle competenze in materia di rimborsi ai soggetti non residenti ed alla loro iden-tificazione in Italia, al Centro operativo di Pescara è stata affidata la gestione dei rimborsi in materia di IVA richiesti dai soggetti non residenti, attribuendo al Centro medesimo anche il potere di controllo automatizzato delle dichiarazioni a rimborso presentate da tali soggetti e, più in generale, di accertamento dell’IVA dovuta dai predetti soggetti, compresa l’attribuzione dei poteri inerenti l’avvio della procedu-ra di riscossione delle somme dovute.

Il Centro gestisce, infine, i rapporti con i soggetti non residenti che intendono identificarsi fiscal-mente in Italia per ivi assolvere direttamente gli obblighi IVA.

55 Giunge a conclusioni parzialmente difformi l’Agenzia delle Entrate nella Risoluzione 18 dicem-bre 2003, n. 226/E.

56 V. Provv. Direttore dell’Agenzia delle Entrate 26 luglio 2016, Prot. n. 118987/2016. 57 Si ricorda che il Reg. (UE) n. 967/2012 del Consiglio del 9 ottobre 2012 ha determinato le nor-

me IVA per l’e-commerce diretto, prevedendo la possibilità di aderire, su opzione, al regime speciale c.d. “Mini one stop shop” (MOSS), in base al quale le prestazioni di servizi di telecomunicazione, di telera-diodiffusione ed elettronici, effettuate da soggetti passivi UE o extra UE, nei confronti di clienti privati residenti o domiciliati nell’Unione europea, sono imponibili, ai fini IVA, nel luogo dove il committente è stabilito oppure è domiciliato o ha la residenza.

V. sul tema MELIS, Economia digitale e imposizione indiretta: problemi di fondo e prospettive, in Dir. prat. trib. int., 2016, p. 977.

58 Questa norma attribuiva ad uno o più provvedimenti del Direttore dell’Agenzia delle Entrate l’in-dividuazione degli Uffici competenti allo svolgimento dei controlli e delle attività connessi al regime IVA MOSS.

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nesse al regime in esame quali: la lavorazione delle richieste di identificazione e di registrazione; il trattamento delle dichiarazioni IVA trimestrali presentate dai soggetti passivi non residenti nel territorio dello Stato; l’emissione dei provvedimenti di so-spensione, esclusione e cancellazione; i controlli automatizzati di cui all’art. 54 ter, commi 1, 2 e 3, D.P.R. n. 633/1972; la liquidazione dell’imposta dovuta in base alle dichiarazioni, ai sensi dell’art. 54 quater, D.P.R. n. 633/1972, relativamente alle pre-stazioni rese verso committenti nazionali non soggetti passivi; le attività di accerta-mento dell’imposta dovuta ai sensi dell’art. 54 quinquies, D.P.R. n. 633/1972; il mo-nitoraggio e la lavorazione dei rimborsi.

Completa questo elenco di attribuzioni la disposizione contenuta nel medesimo provvedimento secondo cui «per le controversie riguardanti gli atti emessi dal Cen-tro operativo di Pescara a seguito delle attività [indicate in precedenza] è competente la Commissione tributaria provinciale di Pescara».

5.1.3. Segue: dei controlli nell’ambito della procedura di voluntary disclosure Un ulteriore ampliamento delle competenze del Centro operativo di Pescara si

era poi avuto ad opera del legislatore (e non dell’Amministrazione Finanziaria). L’art. 2, D.L. 30 settembre 2015, n. 53 59, in tema di collaborazione volontaria (c.d. volun-tary disclosure), dopo aver prorogato l’originario termine per attivare la procedura in esame, ha previsto che sia competente all’emissione degli atti connessi alla procedu-ra, compresi quelli di accertamento e di contestazione delle violazioni, un’apposita articolazione dell’Agenzia delle Entrate individuata con provvedimento del Direttore dell’Agenzia, fermo restando che «per gli atti di cui al periodo precedente, impugnabi-li ..., si applicano le disposizioni in materia di competenza per territorio di cui all’articolo 4, comma 1, e in materia di legittimazione processuale dinanzi alle Commissioni tribu-tarie di cui all’articolo 10, comma 1, dello stesso decreto legislativo n. 546/1992, ..., pre-viste per le articolazioni dell’Agenzia delle entrate ivi indicate».

L’Agenzia delle Entrate 60 ha attribuito al Centro operativo di Pescara 61 la gestio-ne delle richieste di accesso alla procedura di collaborazione volontaria, presentate per la prima volta a decorrere dal 10 novembre 2015, consentendo 62, comunque, ai con-tribuenti di presentare apposita richiesta di instaurare le fasi istruttorie del procedi-mento, compreso il solo contraddittorio, non presso il Centro operativo di Pescara, ma piuttosto presso la Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate o la Direzione Provinciale di Trento che sarebbe stata normalmente competente.

Dall’analisi di queste fonte si evince, dunque, come il legislatore e l’Amministra-zione Finanziaria intendano in modo diverso le funzioni attribuite al Centro operati-

59 Conv., con modificazioni, dalla L. 20 novembre 2015, n. 187. 60 V. Provv. Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 6 novembre 2015, Prot. n. 2015/142716. 61 Salvo mantenere ferma la competenza della Direzione Provinciale di Bolzano, per i contribuenti

con domicilio fiscale nella circoscrizione di competenza di tale Direzione Provinciale. 62 V. Provv. Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 27 novembre 2015, Prot. n. 2015/153427.

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vo di Pescara: per il legislatore sembrerebbe che le funzioni ad esso devolute abbiano rilevanza solo organizzativa, restando il relativo potere impositivo all’Ufficio ordina-riamente competente, al contrario i provvedimenti del Direttore dell’Agenzia delle Entrate sembrerebbero individuare ambiti in cui il Centro operativo abbia piena po-testà impositiva.

È questo il principale problema che hanno posto le attribuzioni al Centro operativo di Pescara: se esso possedesse o meno potestà impositiva tanto da poter essere indivi-duato quale Ufficio titolare del rapporto controverso ai sensi dell’art. 10, D.Lgs. n. 546/1992 e agli effetti dell’individuazione della Commissione competente 63.

Inizialmente, aveva cercato di fare chiarezza la Cassazione 64, affermando che l’art. 10, D.Lgs. n. 546/1992, nel testo vigente prima delle modifiche apportate nel 2010, considerava parti del processo tributario l’Ufficio del Ministero dell’Economia e del-le Finanze, l’ente locale o l’agente della riscossione che ha emanato l’atto impugnato o, qualora l’ufficio fosse stato un centro di servizio, l’ufficio delle Entrate del Ministe-ro delle Finanze. Per la Cassazione ne derivava inequivocabilmente che, laddove il Centro operativo fosse investito della posizione di organo tecnico inerente l’attività di istruttoria e di controllo, il potere impositivo era comunque attribuibile all’Agen-zia delle Entrate, sicché la legittimazione nel processo doveva spettare alla stessa Agenzia: pertanto, la competenza territoriale del giudice tributario doveva essere ra-dicata secondo il criterio della sede dell’Ufficio individuato quale legittimo contrad-dittore (e, dunque, indirettamente, ancora una volta in funzione del domicilio fiscale del contribuente) 65.

Nel dettaglio la Cassazione giungeva a tale conclusione, in quanto, diversamente opinando si derogherebbe alla regola del domicilio fiscale del contribuente «con con-seguente aggravio della sua posizione se ubicato in sede molto lontana, e inevitabile “vulnus” al diritto pieno di difesa». Dunque, la Cassazione addiveniva a tale interpre-tazione adottando argomenti del tutto simili a quelli usati dalla Corte costituzionale

63 In dottrina (FRANSONI, Sui “provvedimenti” emanati dalla Agenzia delle entrate, in Rass. trib., 2001, p. 375; TUNDO, Il Centro operativo di Pescara non ha legittimazione impositiva né processuale, in Corr. trib., 2011, p. 879; CALIFANO, Controversie in tema di crediti di imposta. Centro operativo e profili di com-petenza territoriale, in TributImpresa, 2005, p. 55) era stato ulteriormente sollevato il problema se un provvedimento amministrativo potesse o meno attribuire ad un dato Ufficio il potere di emettere atti impositivi o quello di stare in giudizio, in assenza di una norma di legge che disciplinasse l’attribuzione di siffatto potere. Tale problema pare sostanzialmente superato in quanto, dopo una prima fase in cui si potevano effettivamente registrare vuoti normativi, il legislatore, con fonti primarie, è intervenuto via via a colmare le lacune dell’ordinamento e ad autorizzare in modo esplicito l’Agenzia delle Entrate ad intervenire.

64 Cass., sez. trib., 12 novembre 2010, n. 23003; Cass., sez. trib., 18 settembre 2013, n. 21313. 65 V. anche Cass., sez. trib., 12 febbraio 2013, n. 3342. In dottrina CISSELLO, Cass., n. 23003 del 12

novembre 2010 – Legittimazione processuale del Centro operativo di Pescara, in Il Fisco, 2010, p. 7193; ID., Comm. trib. reg. L’Aquila, sez. Pescara, 25 novembre 2011, n. 307/9/11 – Le competenze del Centro operativo di Pescara, in Il Fisco, 2012, p. 752; MARRONE, Poteri del Centro operativo di Pescara e compe-tenza della Commissione tributaria, in Il Fisco, 2013, p. 3513.

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nella sent. n. 44/2016: a sostegno di questa conclusione pesava l’argomento di ren-dere agevole al contribuente l’accesso alla tutela giurisdizionale. Anche per la Cassa-zione, dunque, il sistema della competenza del processo tributario dovrebbe essere in-terpretato, da un lato, nel senso di rispettare la natura formalmente impugnatoria del processo tributario, ma, dall’altro, nella prospettiva di evitare aggravi al contribuente nell’accesso alla tutela giurisdizionale.

Anche il legislatore sembrerebbe aver accolto tali posizioni in quanto le modifi-che agli artt. 4 e 10, D.Lgs. n. 546/1992 vanno nel senso di svalutare gli effetti pro-cessuali delle ripartizioni di funzioni che vedono coinvolte le articolazioni dell’Agen-zia con competenza su tutto il territorio nazionale. Tali deleghe avrebbero rilevanza solo “internamente” all’Agenzia delle Entrate, mentre “esternamente” il rapporto tri-butario si instaurerebbe con l’Ufficio competente a prescindere da tale ripartizione interna. I provvedimenti del Direttore dell’Agenzia, invece, non accolgono tale pro-spettiva svalutativa, ma attribuiscono rilevanza esterna a queste ripartizioni.

Si può ora verificare se, quanto meno ai fini dell’individuazione della Commis-sione tributaria provinciale competente, le conclusioni dell’Agenzia delle Entrate pos-sano essere messe in discussione. Lo potrebbero consentire proprio i chiarimenti of-ferti dalla Corte costituzionale con la sent. n. 44/2016.

5.2. Spunti per una rimeditazione della disciplina vigente ...

5.2.1. Segue: dei controlli nei confronti di residenti e non residenti Come si è visto, sino ad ora, per opera della Cassazione, la Commissione tributa-

ria competente a giudicare la legittimità degli atti del Centro operativo di Pescara è stata individuata verificando preliminarmente la sussistenza o meno di potere impo-sitivo in capo al Centro medesimo. La novità della sent. n. 44/2016 della Corte co-stituzionale pare, invece, essere:

a) quella di leggere separatamente le due vicende (potendo, infatti, ora accadere che il soggetto individuato quale legittimo contraddittore sia chiamato in causa da-vanti ad una Commissione diversa da quella individuata in base alla sua sede);

b) quella di proporre un’interpretazione dell’art. 4, D.Lgs. n. 546/1992 di tipo “soggettivo”, che mette al centro della questione dell’individuazione del giudice com-petente il contribuente e la facilità di accesso alla giustizia tributaria. Per la Corte co-stituzionale, come peraltro aveva già statuito la Cassazione, occorre, infatti, evitare un «“vulnus” al diritto pieno di difesa» e, quindi, occorre consentire al contribuente di adire l’Ufficio legittimato processualmente avanti alla Commissione tributaria, de-finita in funzione del suo domicilio. La Consulta ha chiarito che è costituzionale quel criterio di ripartizione della competenza che non risulti «una condizione di sostan-ziale impedimento all’esercizio del diritto di azione» o che lo renda «oltremodo dif-ficoltos[o]». Impedisce, invece, l’accesso alla giustizia un criterio (che è, pertanto, incostituzionale) per effetto del quale «il contribuente debba farsi carico di uno “spo-stamento” geografico anche significativo per esercitare il proprio diritto di difesa»,

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spostamento che peraltro dipenderebbe da atti organizzativi della stessa Agenzia del-le Entrate.

Traslando tali regole al caso della competenza degli atti posti in essere dai Centri operativi, ne deriverebbe la necessità di individuare nei confronti di quali soggetti que-sti centri esercitano i loro poteri per verificare se i contribuenti di volta in volta inte-ressati subiscono o meno un aggravio nell’esercizio del diritto di difesa 66. Secondo questo punto di vista, le attribuzioni del Centro operativo di Pescara dovrebbero al-lora essere identificate secondo un criterio specifico: a tal riguardo si propone di di-stinguere quelle rese “nei confronti dei residenti” da quelle rese “nei confronti dei non residenti”.

Le attività svolte nei confronti dei residenti sono lo svolgimento dei controlli au-tomatizzati e l’attribuzione di crediti di imposta. Più precisamente 67, l’Agenzia delle Entrate prevede che per gli atti emessi a seguito delle attività di controllo e accerta-mento realizzate con modalità automatizzate sia competente la Commissione tribu-taria provinciale nella cui circoscrizione ha sede l’Ufficio al quale spettano le attribu-zioni sul tributo controverso, mentre per gli atti diversi da quelli precedenti e per quelli relativi alle istanze presentate per la fruizione dei crediti d’imposta sia competente la Commissione tributaria provinciale di Pescara.

La prima ipotesi appare sostanzialmente in linea con l’impostazione della Corte costituzionale, mentre solleva alcune perplessità la seconda. I contribuenti, che risul-tano obbligati ad impugnare eventuali atti innanzi alla Commissione di Pescara, po-trebbero, infatti, subire un aggravio di costi, dovendosi tenere anche conto che gli atti in questione potrebbero essere di ammontari moderati.

Applicando il principio affermato dalla Consulta, dovrebbe, invece, individuarsi an-che in questa ipotesi la Commissione competente in quella di residenza del contri-buente o in quella in cui si è verificato il presupposto di imposta tassato o agevolato.

66 L’approccio sino ad ora utilizzato è, invece, quello di individuare se il Centro eserciti o meno nel caso concreto un potere di tipo impositivo. Questo criterio resterebbe valido, eventualmente, solo per in-dividuare se, volta per volta, il Centro operativo sia o meno il legittimo contraddittore, ma non anche la Commissione competente.

67 Si prendono, infatti, qui in esame le disposizioni dei provvedimenti del Direttore dell’Agenzia se-condo le quali:

– per le controversie riguardanti gli atti emessi dal Centro a seguito delle attività di controllo e ac-certamento realizzate con modalità automatizzate, è competente la Commissione tributaria provincia-le nella cui circoscrizione ha sede l’Ufficio al quale spettano le attribuzioni sul tributo controverso. L’Uf-ficio al quale spettano le attribuzioni sul tributo controverso è, altresì, parte nel processo dinanzi alle Commissioni tributarie;

– per le controversie proposte nei confronti del Centro relativamente ad atti diversi da quelli pre-cedenti (comprese quelle riguardanti atti connessi ai controlli non realizzabili con modalità automatiz-zate, quali quelli relativi alle istanze presentate per la fruizione dei crediti d’imposta) restano valide le regole ordinarie, sicché è competente la Commissione tributaria provinciale di Pescara e il Centro è parte nel processo dinanzi alla stessa Commissione.

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Recupererebbe così centralità la figura del contribuente e verrebbe eliminata in radi-ce la possibilità di onerare il contribuente di maggiori costi per accedere alla tutela giurisdizionale.

Sotto questo primo punto di vista, si può, dunque, osservare come l’impostazione adottata dalla Agenzia delle Entrate appaia criticabile.

Ove le medesime attività fossero svolte nei confronti di non residenti, al fine di verificare se le regole stabilite dall’Agenzia delle Entrate presentano elementi critici, si dovrebbe individuare la Commissione tributaria che sarebbe competente in assen-za di tali regole. Si deve, dunque, verificare quale sia l’Ufficio incaricato dell’accerta-mento di tali soggetti. Per le imposte di tipo personale 68, opera l’art. 58, D.P.R. n. 600/1973. Esso stabilisce che le persone fisiche non residenti nel territorio dello Sta-to hanno il domicilio fiscale nel Comune in cui si è prodotto il reddito o, se il reddito è prodotto in più Comuni, in quello in cui si è prodotto il reddito più elevato. Invece, i soggetti non residenti diversi dalle persone fisiche hanno il domicilio fiscale nel comune ove è stabilita una sede secondaria o una stabile organizzazione e, in man-canza, in quello in cui esercitano prevalentemente la loro attività. Per le imposte di-verse di tipo reale, i criteri previsti per i contribuenti residenti si applicano anche a quelli non residenti. È, dunque, tramite questi criteri che viene definita la competen-za degli Uffici all’accertamento dei soggetti non residenti e, per l’effetto, viene indi-viduata anche la Commissione tributaria titolare del potere di giudicare la legittimità di eventuali atti impositivi.

Anche, in questa ipotesi, dunque, fissare a priori la competenza della Commissio-ne tributaria provinciale di Pescara per il contenzioso relativo a taluni tipi di control-li, rappresenta un aggravio di costi ai soggetti non residenti, non in linea con i dettati della Corte costituzionale.

5.2.2. Segue: dei controlli nell’ambito del regime IVA MOSS Si può ora muovere all’analisi delle funzioni che il Centro operativo di Pescara

svolge nell’ambito del regime IVA MOSS. Con riferimento a tale ambito di interven-to i provvedimenti dell’Agenzia delle Entrate che regolano la materia individuano sempre la Commissione tributaria provinciale di Pescara quale unico giudice compe-tente. Anche questa conclusione desta qualche perplessità.

In relazione al regime IVA MOSS si deve tenere distinta la posizione, da un lato, dei c.d. soggetti non UE e, dall’altro, quella dei c.d. soggetti UE.

Si considerano soggetti non UE i contribuenti non stabiliti nella Unione Europea, ovverosia i contribuenti che non dispongono di una stabile organizzazione in alcun Paese dell’Unione Europea (e, dunque neppure in Italia per quanto qui di interesse)

68 Non pongono problemi le imposte di tipo reale in quanto per queste l’accertamento viene svolto dall’Ufficio individuato in funzione della localizzazione del bene tassato con l’effetto che per residenti e non residenti valgono le medesime regole. Entrambi, dunque, impugneranno eventuali atti impositi-vi avanti al medesimo giudice.

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o di un numero identificativo IVA. Questi soggetti, come si è visto, intrattengono rap-porti con il Centro operativo di Pescara per identificarsi in Italia al fine di assolvere l’IVA gravante sui (soli) servizi elettronici resi a privati stabiliti nell’Unione Europea, in qualunque Stato dell’Unione questi ultimi siano residenti. Il Centro operativo di Pescara provvede agli adempimenti nei loro confronti e all’emissione dei relativi atti.

Per verificare se per questi soggetti vi sia un aggravio nell’accesso alla giustizia, si deve, come fatto in precedenza, verificare quale sarebbe la Commissione tributaria altrimenti competente. Entra, allora, in gioco l’art. 40, D.P.R. n. 633/1972 ai sensi del quale provvede all’accertamento di soggetti passivi IVA non residenti:

a) l’Ufficio di Roma per i soggetti non residenti nello Stato, che non vi hanno una stabile organizzazione né un rappresentante nominato;

b) il Centro operativo di Pescara per i soggetti non residenti che provvedono in-vece all’identificazione diretta (ai sensi dell’art. 35 ter, D.P.R. n. 633/1972).

Per quanto qui di interesse, si ritiene che i soggetti non UE ai fini della disciplina IVA MOSS ricadrebbero nella ipotesi sub a). Si tratta, infatti, di soggetti non residenti privi di un qualunque collegamento con il territorio dello Stato, collegamento che ac-quistano solo a seguito dell’adesione al regime IVA MOSS. Tali soggetti, però, per le controversie diverse da quelle che riguardano il regime IVA MOSS, dovrebbero svol-gere il loro contenzioso presso la Commissione tributaria provinciale di Roma. La sentenza della Corte cost. n. 44/2016 potrebbe consentire di affermare il principio per il quale il contenzioso relativo alla medesima imposta si dovrebbe svolgere avanti al medesimo giudice. Dunque, anche in questo caso le scelte dell’Agenzia presentano profili critici. Essi potrebbero essere risolti dal legislatore: visto che in questo caso i contribuenti coinvolti sono non residenti (sicché rivolgersi alla Commissione di Roma o di quella di Pescara sarebbe per loro indifferente), il legislatore potrebbe scegliere a quale due obbligatoriamente il contribuente debba rivolgersi, purché ne sia scelta una soltanto per tutti i rapporti che li riguardano. La criticità della posizione dell’Agen-zia delle Entrate non sta infatti nello scegliere Pescara piuttosto che Roma, quanto piuttosto nel permettere che il contribuente possa rivolgersi a due Commissioni per lo stesso presupposto impositivo.

Venendo, infine, all’applicazione del regime IVA MOSS ai c.d. soggetti UE, si ri-corda che si considerano tali i contribuenti che hanno la sede della propria attività o una stabile organizzazione nell’Unione Europea (e, dunque, anche in Italia) che so-no tenuti a registrarsi al MOSS nello Stato in cui è situata o la sede o la stabile orga-nizzazione. Possono ricadere in questo regime:

1. soggetti non residenti in Italia e residenti a fini IVA in altro Stato dell’UE; 2. soggetti residenti in Italia e residenti a fini IVA in Italia.

Con riferimento alla prima ipotesi, valgono le considerazioni svolte in precedenza per i soggetti non UE. Si verifica anche in questo caso la medesima situazione (ovvero-sia l’individuazione dell’Ufficio di Roma e, dunque, della Commissione di Roma quale

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Corte cost., 3 marzo 2016, n. 44 563

Commissione “generale” per il contribuente) con la conseguenza che l’attribuzione alla Commissione tributaria di Pescara del contenzioso instaurato da tali soggetti con riferimento all’adesione al regime IVA MOSS può portare alla criticabile indivi-duazione di un’ulteriore Commissione a cui rivolgersi.

Allo stesso modo pare criticabile quanto potrebbe accadere ai soggetti residenti in Italia che aderiscono al regime IVA MOSS. Potrebbe, ad esempio, verificarsi che il Centro operativo di Pescara risulti tenuto all’emissione dei provvedimenti di sospen-sione, esclusione e cancellazione dal “Regime UE”, mentre, all’accertamento della re-golarità degli adempimenti IVA dallo stesso effettuati al di fuori di tale regime, prov-veda un altro ufficio determinato in funzione del loro domicilio fiscale. Il contenzio-so relativo ad adempimenti IVA potrebbe, dunque, svolgersi innanzi a Commissioni tributarie Provinciali differenti.

Non essendovi ragioni per giustificare tale differenziazione, il sistema così conge-gnato rischierebbe di causare quell’ingiustificato aggravio di costi che la Consulta in-tende evitare. Il contribuente in questione potrebbe essere costretto ad uno “spo-stamento geografico” per esercitare il suo diritto di difesa solo avverso gli atti relativi al regime IVA MOSS.

Tale situazione potrebbe essere risolta prevedendo che la competenza avverso gli atti del regime IVA MOSS non sia attribuita alla Commissione di Pescara, ma a quella altrimenti determinata in funzione del domicilio del contribuente. Si eviterebbe così quella duplicazione di Commissioni competenti in relazione alla medesima imposta che potrebbe apparire in contrasto con quanto affermato dalla sent. n. 44/2016.

5.2.3. Segue: dei controlli nell’ambito della procedura di voluntary disclosure Si può conclusivamente procedere all’analisi della competenza attribuita al Centro

operativo di Pescara in tema di voluntary disclosure. Si ricorda che il D.L. n. 167/1990, come modificato dal D.L. n. 153/2015, insieme ai successivi provvedimenti attuativi, ha stabilito (con l’art. 5 quater, comma 5) che, in espressa deroga agli artt. 31, D.P.R. n. 600/1973 e 40, D.P.R. n. 633/1972, la competenza alla gestione delle istanze pre-sentate, per la prima volta a decorrere dal 10 novembre 2015, e all’emissione dei re-lativi atti impositivi sia attribuita al Centro operativo di Pescara, restando, comun-que, applicabili le ordinarie disposizioni previste per le articolazioni dell’Agenzia del-le Entrate con competenza su tutto o parte del territorio nazionale dagli artt. 4 e 10, D.Lgs. n. 546/1992.

L’interpretazione corretta di tale complesso di disposizioni è quella di individua-re la Commissione tributaria cui devolvere la controversia in quella che sarebbe or-dinariamente competente in funzione del domicilio fiscale del contribuente. Dun-que, in questo caso, il coinvolgimento del Centro operativo di Pescara ed il fatto che ad esso siano imputabili gli atti connessi alla procedura di collaborazione volontaria non determina alcuno spostamento delle ordinarie competenze. Tale interpretazio-ne appare essere l’unica possibile in quanto è l’unica aderente al testo normativo ed ai principi costituzionali come interpretabili alla luce della sent. n. 44/2016. Il conten-

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2017 564

zioso che emergerà con riferimento agli atti di collaborazione volontaria deve, dun-que, essere necessariamente devoluto alle Commissioni che sarebbero state ordina-riamente competenti per i contribuenti coinvolti, senza spostamento alcuno 69.

Alla luce delle conclusioni che precedono pare possibile un ripensamento delle in-dicazioni fornite dall’Amministrazione Finanziaria quanto alla competenza delle Com-missioni tributarie per l’impugnazione degli atti emessi dal Centro operativo di Pe-scara. L’aprioristica affermazione della competenza della Commissione tributaria di Pescara non risulta allineata agli orientamenti tanto della Corte costituzionale, quanto della Corte di Cassazione. Ma non è allineata neppure allo stesso tenore letterale del-l’art. 4, D.Lgs. n. 546/1992 nella parte in cui tratta delle articolazioni dell’Agenzia delle Entrate con competenza su tutto il territorio nazionale. Pare, pertanto, necessario prov-vedere ad un superamento dei provvedimenti dell’Agenzia delle Entrate.

6. Ulteriori casi critici in tema di competenza: lo spostamento della Commissione tributaria ad opera dell’art. 39 c.p.c.

Con riferimento al tema della competenza delle Commissioni tributarie Provin-ciali può venire, infine, in rilievo un ulteriore tema da valutare alla luce dei principi del-la sent. n. 44/2016: quello dello spostamento della competenza ai sensi dell’art. 39 c.p.c.

L’art. 39 c.p.c. è stato individuato dalla giurisprudenza come l’unica norma che pos-sa condurre nel processo tributario a radicare la competenza a giudicare una contro-versia presso una Commissione diversa da quella in cui ha sede l’ente impositore, non essendo altrimenti rinvenibili nel processo tributario ipotesi in cui possano individuar-si fori alternativi o altri spostamenti della competenza.

Va inoltre aggiunto che l’operatività dell’art. 39 c.p.c. è stata, sino ad ora, in-vocata solo con riferimento alle ipotesi di processo litisconsortile avente ad ogget-to l’accertamento del reddito delle società di persone. Come noto, l’operatività dell’istituto del litisconsorzio necessario nel processo tributario è stata oggetto di un vivace dibattito dottrinale che ha trovato i primi chiarimenti solo con le note sentt. 18 gennaio 2007, n. 1052 70 in tema di imposta di registro e 4 giugno 2008, n.

69 Sarebbero così superate alcune criticità nella lettura della norma che la stampa specializzata non ha mancato di evidenziare. V. TOMASSINI, Per la disclosure «fase 2» con gli accertamenti, in Il Sole 24 Ore, 27 dicembre 2015, p. 2; DE SANTIS, Voluntary disclosure, la competenza segna anche gli eventuali conten-ziosi, in Banca dati Quotidiano del Fisco-Il Sole 24 ore, 3 giugno 2016.

70 Sulla quale v.: CONSOLO, Per una nuova figura di litisconsorzio necessario nel processo tributario. Il giusto riparto tra coobbligati solidali torna (per altra via) al centro del sistema “ricostruito” dalle sezioni unite, in Giust. trib., 2007, p. 419; ID., ... E pur si muove! il giusto riparto fra coobbligati solidali torna (per altra via) al centro del sistema (nota a Cass. Sez. Un. Civ. 18 gennaio 2007, n. 1057), in Corr. giur., 2007, p. 797; GLENDI, Le SS.UU. della Suprema Corte officiano i “funerali” della solidarietà tributaria, in GT-Riv.

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Corte cost., 3 marzo 2016, n. 44 565

14815 71 in tema di società di persone. Esse rappresentano il punto di arrivo della Cassazione sulla questione del necessario coinvolgimento nella determinazione dell’obbligazione tributaria di una pluralità di soggetti, che è stato ritenuto sussi-stere solo nelle predette ipotesi, così da evitare che sulla stessa situazione si formi-no giudicati differenti.

Non si vogliono analizzare in questa sede i riflessi di ordine sostanziale di queste sentenze, bensì solo quelli di ordine processuale. Viene pertanto in rilievo soprattut-to la sent. n. 14815/2008 in quanto, a differenza che nell’altra sentenza 72, la Cassa-zione ha analizzato i risvolti pratici del processo litisconsortile. Le Sezioni Unite del-la Cassazione, in questa occasione, nel descrivere le modalità mediante le quali opera il litisconsorzio necessario nel processo tributario, hanno affrontato anche alcune que-stioni di diritto processuale, tra le quali, appunto, quella dell’individuazione della Com-missione competente nel caso in cui, dalla sussistenza di un’ipotesi di litisconsorzio, possano essere astrattamente competenti a decidere più Commissioni di primo gra-do. Nel caso di società di persone può, infatti, verificarsi che i processi instaurati se-paratamente dalla società e dai soci si celebrino di fronte a giudici differenti (ognuno giur. trib., 2007, p. 189; RANDAZZO, Litisconsorzio necessario fra condebitori d’imposta sugli atti di divisio-ne, in Corr. trib., 2007, p. 1002; SEPIO, Solidarietà tributaria e pluralità di parti nel processo tributario tra litisconsorzio necessario e riunione dei ricorsi, in GT-Riv. giur. trib., 2007, p. 1059; MARCHESELLI, Plurisog-gettività tributaria, procedimento e processo, in GT-Riv. giur. trib., 2007, p. 1067; BACCAGLINI, Litisconsor-zio necessario e solidarietà tributaria: corsi e ricorsi storici, in Corr. giur., 2007, p. 778; FERLAZZO NATOLI-ACCORDINO, Solidarietà tributaria paritetica e litisconsorzio necessario, in Il Fisco, 2007, p. 922; BIANCHI, La solidarietà tributaria tra nuovi orientamenti della Cassazione e antichi problemi sostanziali, in Dir. prat. trib., 2008, p. 365; ALBERTINI, In tema di litisconsorzio necessario nel processo tributario, secondo il nuovo orientamento della Corte di cassazione, in Giur. it., 2007, p. 1545; GIOLO, Obbligazioni solidali, accerta-menti divergenti e giustizia sostanziale, in Dir. prat. trib., 2008, p. 295; ID., Il litisconsorzio necessario nel processo tributario in attesa delle Sezioni Unite, in Dir. prat. trib., 2006, p. 1043; COMASCHI-VANZ, Dal liti-sconsorzio necessario al perseguimento della giusta imposizione: una pronuncia a sorpresa delle sezioni uni-te, in Dir. prat. trib., 2007, p. 559; COMASCHI, Ancora incerto l’ambito applicativo del litisconsorzio neces-sario nel processo tributario, in Dir. prat. trib., 2007, p. 55.

71 Sulla quale v.: GLENDI, Le SS.UU. della Suprema Corte si immergono ancora nel gorgo del litiscon-sorzio necessario, in GT-Riv. giur. trib., 2008, p. 993; NUSSI, A proposito di accertamento del reddito delle so-cietà di persone e litisconsorzio necessario (verso un processo tributario sulle questioni?), in GT-Riv. giur. trib., 2008, p. 771; COPPA, Accertamento dei redditi prodotti in forma associata e litisconsorzio necessario, in Rass. trib., 2008, p. 978; BASILAVECCHIA, L’accertamento unitario trova un assetto stabile (nota a Cass., SS.UU., 4 giugno 2008, n. 14815), in Corr. trib., 2008, p. 2270; ID., Effettività e relatività del giudizio unitario, in Dialoghi trib., 2008, p. 41; LUPI, Rettifiche del reddito di società di persone e unitarietà del giudizio; in Dia-loghi trib., 2008, p. 36; FICARI, Litisconsorzio necessario tra società e soci professionisti, in GT-Riv. giur. trib., 2009, p. 972; BACCAGLINI, Si allargano i confini del litisconsorzio necessario nel processo tributario. L’unitarietà dell’accertamento nelle dichiarazioni dei redditi ai fini Ilor e Irpef è imposta anche sul piano processuale, in Corr. giur., 2008, p. 1719; RAGUCCI, Il litisconsorzio necessario nelle impugnazioni degli accer-tamenti dei redditi prodotti in forma associata, in Giur. it., 2008, p. 2350; ZANETTI, L’unicità dell’accerta-mento del reddito (e del rapporto tributario sostanziale) nelle società di persone, in Dir. prat. trib., 2009, p. 24.

72 Si deve precisare che il medesimo problema non si sarebbe però potuto porre, neppure astratta-mente, con riferimento all’imposta di registro essendo, in questo caso, la competenza determinata dal luogo di registrazione dell’atto, che è uguale per tutti i litisconsorti.

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2017 566

secondo la propria sede o luogo di residenza) e che la verifica dell’esistenza di un’i-potesi di litisconsorzio necessario imponga di individuare quali di questi giudici (quel-lo della società e quelli dei soci) sia competente.

Questo problema è stato risolto stabilendo la regola per cui il giudice deve disporre la riunione dei processi innanzi alla Commissione preventivamente adita se sono pen-denti innanzi a Commissioni diverse, operando l’art. 39 c.p.c. Esso pone la regola se-condo cui è con la proposizione del primo ricorso che sorge la necessità di integrare il contraddittorio, sicché è innanzi al primo giudice adito che si radica la competenza territoriale. Le Sezioni Unite della Cassazione hanno così ritenuto che tale articolo sia in grado di superare la regola dell’inderogabilità della competenza delle Commis-sioni tributarie sancita dall’art. 5, D.Lgs. n. 546/1992, in quanto il valore dell’integri-tà del contradditorio deve prevalere su qualunque altra regola processuale 73.

Il “primo” giudice investito della controversia diviene così titolare del potere di decidere tutte le contestazioni relative alla medesima fattispecie e prospettate dalle altre parti. Ciò può inevitabilmente comportare per taluna delle parti la modifica del giudice “naturalmente” competente. La società (che contesterà eventuali vizi nella determinazione del maggior reddito dalla stessa realizzato) avrebbe dovuto rivolger-si solo alla Commissione tributaria provinciale determinata in base alla sua sede, men-te i soci (che potranno contestare anch’essi il maggior reddito ritenuto realizzato dalla società, come pure eventuali errori nella imputazione di tale reddito o eventuali si-tuazioni personali) avrebbero dovuto rivolgersi alla Commissione tributaria provin-ciale determinata in base al loro domicilio; in forza dell’art. 39 c.p.c. potrà, invece, ac-cadere che il giudice preventivamente adito sia quello della società che conoscerà an-che le contestazioni dei soci o quello di un socio che conoscerà le contestazioni della società e degli altri soci. Benché, inevitabilmente, potrà venire richiesto uno “spo-stamento” a qualcuna delle parti (salvo che al contribuente che per primo instaurerà il processo) 74, non pare che ciò possa essere in contrasto con i principi affermati dal-la Corte costituzionale nella sent. n. 44/2016.

Quanto affermato dalla sent. n. 14815/2008 è, infatti, coerente con l’impostazio-ne della sent. n. 44/2016, innanzitutto perché il problema dell’individuazione del giu-dice competente viene valutato solo alla luce dei principi del diritto processuale. È proprio invocando l’art. 39 c.p.c. che deve ritenersi che il giudice da esso individuato sia giudice “naturale” della vicenda allo stesso modo di quello che sarebbe individua-to secondo l’art. 4, D.Lgs. n. 546/1992. La garanzia del giudice naturale mira, infatti,

73 Si legge nella sent. n. 14815/2008 che «il valore della integrità del contraddittorio, garanzia del giusto processo, tutelato da norma costituzionale (art. 111 Cost., comma 2), giustifica la deroga della competenza territoriale; ovvero, la proposizione del primo ricorso determina il radicarsi della compe-tenza territoriale per tutti i litisconsorti, sulla base del criterio, stabilito per legge (D.Lgs. n. 546/1992, art. 14) del simultaneus processus».

74 Si pensi al caso di scuola in cui la società ed i soci hanno tutti sede o domicilio in Province diffe-renti.

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Corte cost., 3 marzo 2016, n. 44 567

esclusivamente ad assicurare il diritto alla certezza che a giudicare non sia un giudice creato a posteriori 75. Tale garanzia non è messa in discussione nel caso di specie po-tendo soci e società conoscere anticipatamente la possibilità di uno spostamento della competenza.

Né può ritenersi che questo spostamento renda (utilizzando la terminologia della Corte costituzionale) «oltremodo difficoltoso» l’accesso al contenzioso da parte del contribuente o possa dissuaderlo dal costituirsi. In concreto, il singolo contribuente (si pensi in particolare al singolo socio) non dovrebbe sostenere costi significativi per l’accesso alla tutela giurisdizionale potendo la sua partecipazione al processo ri-solversi in una mera costituzione in giudizio: a lui, infatti (ad eccezione che per que-stioni meramente personali), si estenderanno le censure mosse dalla società stessa o dagli altri soci. Questa è una conseguenza del processo litisconsortile tributario in cui, comunque, tutti i contribuenti (ferma la possibilità di sollevare contestazioni “per-sonali”) agiranno per ottenere l’annullamento del medesimo atto impugnato di mo-do che le argomentazioni esposte da uno varranno per gli altri.

Né la sent. n. 14815/2008 può ritenersi in contrasto con quelle sentenze della Consulta 76 in cui la stessa Corte aveva chiarito che le norme in tema di competenza hanno non solo una portata organizzativa, ma anche garantista: la ripartizione della competenza è ispirata, infatti, dall’esigenza di agevolare la raccolta delle prove e, per tale via, la tutela del diritto di difesa. Ne deriva che una maggiore gravosità nelle mo-

75 Così Cass., sez. un., 5 gennaio 2016, n. 29, ove si legge che «la dottrina prevalente e la giurispru-denza costituzionale concordano sulla ratio della garanzia del “giudice naturale” prevista dall’art. 25 Cost., comma 1, propria dello Stato costituzionale di diritto: l’affermazione di tale garanzia – corollario, fra i tanti, del più generale principio dell’eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, di portata “asso-lutamente generale” (Corte cost., sent. n. 82/1971) applicandosi a tutti gli organi giurisdizionali, la cui attuazione è assistita da riserva (tendenzialmente) assoluta di legge mediante norme generali ed astrat-te, dettate preventivamente –, da un lato, mira ad assicurare a tutti coloro che esercitano il diritto alla tutela giurisdizionale (art. 24 Cost., comma 1) “il diritto alla certezza che a giudicare non sarà un giu-dice creato a posteriori in relazione a un fatto già verificatosi” (v., per tutte, Corte costituzionale, sen-tenza n. 88 del 1962, n. 4 del Considerato in diritto), dall’altro e al contempo, pone una fondamentale re-gola di organizzazione istituzionale del potere giurisdizionale, volta ad assicurare l’indipendenza e l’im-parzialità di ogni giudice, anche rispetto alla singola regiudicanda (art. 111 Cost., commi 1 e 2)». La Corte ricorda anche che «le principali carte internazionali dei diritti, nel garantire ad ogni persona il cosiddetto diritto di “accesso alla giustizia”, affermano che tale diritto deve essere esercitato dinanzi al giudice – lato sensu – “competente” secondo le leggi nazionali (v., ad esempio, l’art. 8 della Dichiara-zione universale dei diritti dell’uomo: “Ogni individuo ha diritto ad una effettiva possibilità di ricorso ai competenti tribunali nazionali”; l’art. 14, prf. 1, secondo periodo, del Patto internazionale sui diritti ci-vili e politici, reso esecutivo dalla legge 25 ottobre 1977, n. 881: “Ogni individuo ha diritto ad un’equa e pubblica udienza dinanzi a un tribunale competente, indipendente e imparziale stabilito dalla legge”; l’art. 6, prf. 1, della CEDU: “Ogni persona ha diritto ad un’equa e pubblica udienza ... davanti a un tri-bunale indipendente e imparziale costituito per legge”; l’art. 47, prf. 2, della Carta dei diritti fondamen-tali dell’Unione europea: “Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubbli-camente ... da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge”)».

76 Corte cost., 6 luglio 1994, n. 280.

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2017 568

dalità di esercizio di questo diritto sarebbe ingiustificabile salvo che per motivi di sal-vaguardia di altri interessi ugualmente meritevoli di considerazione 77.

L’argomento della maggiore difficoltà nella raccolta delle prove pare difficilmente invocabile nel diritto tributario in quanto la stessa Corte costituzionale ha più volte ribadito 78 che «il giudice deve giudicare iuxta alligata et probata e non in base alla conoscenza personale che può avere dei fatti sottoposti al suo giudizio, dovendo le conoscenze occorrenti per vagliare quei fatti essere tratte dalle prove» ed essendo l’esercizio di poteri istruttori molto raro nel processo tributario. La natura documen-tale del processo tributario rende l’argomento dell’aggravio in termini di raccolta della prova difficilmente accoglibile.

Ne deriva che nel bilanciamento degli interessi imposto dalla Corte costituziona-le, in concreto, i “fastidi” che possono derivare ai soci o alla società nello svolgimento delle attività processuali presso una Commissione diversa da quella loro propria non paiono rappresentare una menomazione del diritto di difesa tale da costituire un pregiudizio di diritti costituzionalmente loro garantiti. In definitiva, l’applicazione al processo tributario dell’art. 39 c.p.c. non pare possa essere in alcun modo censurabile.

7. Considerazioni conclusive

La sentenza della Corte cost. n. 44/2016 presenta, in definitiva, una grande rile-vanza nella ricostruzione del sistema processuale tributario in quanto essa pone in luce come le Commissioni tributarie rappresentino lo strumento attraverso il quale è consentito al contribuente di ottenere che un torto da lui subito venga riparato. Per-tanto, il contribuente deve essere il più possibile agevolato all’accesso a questo si-stema e nessun elemento deve costituire per lui un ostacolo. La Corte costituzionale mette così in evidenza il valore della “comodità” dell’accesso alla tutela giurisdiziona-le stabilendo che tale valore debba informare anche l’art. 4, D.Lgs. n. 546/1992.

Con riferimento all’impugnazione degli ordinari atti impositivi esso pare già so-stanzialmente rispettato. Non era, invece, rispettato con riferimento agli atti della riscossione (soprattutto dei tributi locali); ma a correggere tale aspetto ha provvedu-to, appunto, la Corte costituzionale. Non è ancora rispettato con riferimento agli atti del Centro operativo di Pescara. L’Agenzia delle Entrate, avvalendosi di maglie piut-tosto larghe lasciate dal legislatore e sfruttando il tenore, potenzialmente equivoco, dell’art. 4, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992, ha potuto “dettare le regole del gioco” ed

77 LUISO, Diritto processuale civile, I, Principi generali, Milano, 2015, p. 85; GIONFRIDA, (voce) Com-petenza civile, in Enc. dir., VIII, 1961, p. 40; MANDRIOLI, Diritto processuale civile, 1, Nozioni introduttive e principi generali, Torino, 2005, p. 239; MELILLO, (voce) Competenza (proc. pen.), in CASSESE (diretto da), Dizionario di diritto pubblico, II, Milano, 2006, p. 1081.

78 Così Corte cost., 3 agosto 1976, n. 214; Corte cost., 25 gennaio 1989, n. 209.

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Corte cost., 3 marzo 2016, n. 44 569

obbligare il contribuente a onerose, e scomode, “trasferte giudiziarie” 79. È, inoltre, interessante notare come la Corte costituzionale affermi i predetti prin-

cipi sulla base di una lettura esclusivamente processuale dell’art. 4, D.Lgs. n. 546/1992. Si tratta di una sentenza che, come altre in precedenza, applica al processo tributario principi del diritto processuale generale, senza in alcun modo dare rilievo a situazioni specifiche del diritto tributario. La circostanza che l’oggetto del processo in cui opera il predetto art. 4 sia l’accertamento della posizione tributaria del contribuente e che tale accertamento sia regolato da specifici principi non incide in alcun modo nella valutazione della vicenda. Viene fortemente valorizzata la regola per cui nell’interpre-tazione delle norme del diritto processuale tributario devono essere valorizzate le re-gole fondamentali del diritto processuale generale 80. Tra queste regole, come visto, nel caso di specie, viene applicata quella che impone al legislatore di garantire a tutti i consociati la massima facilità – la “comodità” – nell’accesso alla tutela giurisdizionale.

Federico Rasi

79 Tale comportamento appare in contrasto con la giurisprudenza della Cassazione non solo passa-ta, ma anche recente. V. Cass., sez. un., 5 maggio 2016, n. 29 che, richiamando la giurisprudenza costi-tuzionale, afferma che: «il principio della precostituzione per legge del giudice naturale è leso soltanto quando il giudice è designato in modo arbitrario e a posteriori, oppure direttamente dal legislatore in via di eccezione singolare alle regole generali, ovvero attraverso atti di soggetti ai quali sia attribuito il relativo potere in violazione della riserva assoluta di legge stabilita dall’art. 25 Cost., comma 1, ma non anche qualora l’identificazione del giudice competente sia operata dalla legge sulla scorta di criteri det-tati preventivamente, oppure con riferimento ad elementi oggettivi capaci di costituire un discrimen della competenza o della giurisdizione dei diversi organi giudicanti ...» (così, sinteticamente, l’ord. n. 176/1998; v., nello stesso senso, l’ord. n. 343/2001, nonché, ex plurimis, le sentt. nn. 182/2014, 30/2011, 237 e 77/2007, 204/2004, 452/1997, 217/1993, 269/1992, 88/1962, cit.). Del resto, anche le principali carte internazionali dei diritti, nel garantire ad ogni persona il cosiddetto diritto di “acces-so alla giustizia”, affermano che tale diritto deve essere esercitato dinanzi al giudice – lato sensu – “com-petente” secondo le leggi nazionali (v., ad esempio, l’art. 8 della Dichiarazione universale dei diritti del-l’uomo: «Ogni individuo ha diritto ad una effettiva possibilità di ricorso ai competenti tribunali nazio-nali ...»; l’art. 14, par. 1, secondo periodo, del Patto internazionale sui diritti civili e politici, reso esecu-tivo dalla L. 25 ottobre 1977, n. 881: «Ogni individuo ha diritto ad un’equa e pubblica udienza dinanzi a un tribunale competente, indipendente e imparziale stabilito dalla legge ...»; l’art. 6, par. 1, della CEDU: «Ogni persona ha diritto ad un’equa e pubblica udienza ... davanti a un tribunale indipenden-te e imparziale costituito per legge ...»; l’art. 47, par. 2, della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unio-ne Europea: «Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ... da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge».

80 Oltre ad avere rilievo le regole del diritto processuale generale, hanno comunque rilievo le nor-me del codice di procedura civile, in forza del rinvio previsto dall’art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992. È per effetto di tale disposizione che si applica al processo tributario l’art. 39 c.p.c.

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GIURISPRUDENZA RTDT - n. 2/2017 570

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