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  • 8/18/2019 Ritratto di Carla Voltolina Pertini

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    IO AMAVO IL MARE,LUI LA MONTAGNA

    Ritratto di Carla Voltolina Pertini

    a cura di Stefano Rolando

    con la collaborazione di Anna Celadin prefazione di Giuliano Pisapia 

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    LE DONNE E LA RESISTENZA

    Roberto Cenati10

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    Nori Brambilla Pesce sottolineava sempre chea differenza di molti uomini che scelsero diandare in montagna per sottrarsi all’arruola-mento nell’esercito di Salò, nessun obbligo mi-litare costringeva le donne a una scelta di par-te. La partecipazione alla Resistenza, alla qualemigliaia di donne furono spinte per la loro

    avversione alla guerra voluta dal fascismo e allesofferenze da essa provocate, costituì, per loro,l’occasione di affermare quei diritti che il regi-me aveva sempre negato, come la parità uomodonna e il diritto di voto. Mai come in quei venti mesi le partigiane si sentivano pari agliuomini. Fu proprio sul giornale “Noi Donne ”

    dei Gruppi di Difesa della Donna che Nori les-

    10 Presidente dell’ANPI-Associazione Nazione Partigianid’Italia – Provinciale Milano.

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    se per la prima volta la parola “emancipazio-

    ne”.

    Le staffette partigiane

    Le staffette partigiane assolsero ad un ruolofondamentale nella Resistenza: quello del col-legamento con le formazioni di montagna, diinformazione, di segnalazioni che si rivelavano

    fondamentali per chi doveva compiere delleazioni contro i nazifascisti.

    Se catturate non veniva loro risparmiato al-cun trattamento di favore. Subivano interroga-tori pesantissimi e venivano sottoposte a tortu-re. Nori Pesce ricorda che, in caso di cattura,

    si doveva resistere per almeno tre giorni, perdare la possibilità a chi agiva nella clandestini-tà di prendere le opportune contromisure. Siarrabbiava se la si chiamava staffetta, perchéera ufficiale di collegamento.

    Le donne alla testa delle prime proteste

    Le donne compaiono raramente alla testa deimovimenti di lotta nelle fabbriche, almeno si-no al periodo della resistenza armata. Sono in- vece in prima fila nel fornire ai militari italianisbandati dopo l’8 settembre 1943, abiti bor-ghesi e nelle proteste sul fronte degli approv- vigionamenti e della richiesta di migliori con-

    dizioni di vita. Ai primi di giugno del 1941molti rapporti parlano di una consistente pro-testa a Sesto San Giovanni di donne scese in

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    piazza per ottenere la distribuzione delle pata-

    te. Solo l’arrivo di cinquanta agenti da Milanoavrebbe permesso di sciogliere l’assembra-mento grazie a getti d’acqua.

    I Gruppi di difesa della donna e per l’assistenza aicombattenti per la libertà 

    Il vero ingresso delle donne nella vita politica

    italiana si ebbe nel novembre del 1943, quandoa Milano vennero costituiti i Gruppi di difesadella donna, con cui accanto all’obiettivo dellaliberazione del Paese dal nazifascismo si inizia-rono a porre le questioni più specificamente le-gate alla condizione femminile. Il programmastabiliva i compiti e le attività da svolgere, tracui l’aumento delle razioni alimentari, il com-bustibile, i vestiti, l’assistenza alle famiglie deipartigiani, dei carcerati, degli internati inGermania. Ma il programma affermava, tra l’al-tro, il diritto delle donne al lavoro e alla tuteladella salute, ma soprattutto richiedeva un sala-

    rio uguale per un lavoro uguale a quello degliuomini. A liberazione av venuta le donne avreb-bero dovuto esigere il diritto di partecipare alla vita sociale in tutti gli organismi in cui si espri-me.

    La diffusione della stampa 

    Nel corso del 1944 iniziò la stampa clandesti-na di quello che sarebbe divenuto il portavocedei Gruppi, “Noi donne ”. La direzione era com-posta dalle comuniste Giovanna Barcellona e

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    Lina Fibbi, dalla socialista Claudia Maffioli e

    dalla azionista Ginetta Martini Fanoli.Il giornale si ispirava a quello omonimo

    fondato a Parigi nel 1937 da Teresa Noce e di- venne un importante strumento di propagan-da. “Noi donne ” non fu il solo giornale clande-stino. A Milano le attiviste dei Gruppi di di di-fesa della donna curavano la pubblicazione di

    un “Bollettino per le organizzate ” e la rivista “Il  pensiero femminile ”, di cui però uscì un solo nu-mero. Tuttavia esso costituisce una fonte pri- vilegiata perché è proprio su queste pagine che,accanto alla motivazione della lotta, preserocorpo le idee paritarie e i progetti relativi al

    ruolo della donna nella società dell’Italia li-berata.

    La protesta delle donne a Milano il 21 aprile 1944

    Le prime prove della capacità organizzativadei Gruppi di Difesa della Donna si ebberosoprattutto a partire dall’8 marzo 1944, gior-

    nata internazionale della donna, con una se-rie di sabotaggi alla produzione e di scioperi.Nella data significativa del 21 aprile, natale diRoma, a Milano un migliaio di donne si reca-rono al comune per protestare contro il caro vita e si scontrarono con i militi della Muti.

    Il periodo incluso tra il marzo e il novembrefu decisivo per il potenziamento dei Gruppi diDifesa della Donna, non solo perché essi risul-tarono presenti a un sempre maggior numero

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    di iniziative, ma anche perché ottennero il

    riconoscimento ufficiale da parte del CLNAI.Un dato importante da sottolineare è che ledonne seppero, nella loro diversità, ricono-scere gli elementi comuni che le univano eanteporre la doppia lotta, per la libertà e perl’emancipazione femminile, ad ogni settari-smo.

    La consistenza e le iniziative dei Gruppi di Difesa della Donna 

    Nell’agosto del 1944, a meno di un anno dallafondazione, i Gruppi di Difesa della Donna a- ve vano compiuto molti progressi dal punto di vista numerico e organizzativo.

     A Milano le attiviste effettive erano salite acirca novecento (rispetto al centinaio di apri-le), distribuite in una sessantina di gruppi enel novembre del 1944 risultavano già 2.300strutturate in 116 gruppi e sostenute da più di7.000 donne collegate.

    Una innovazione importante fu la creazio-ne di un Comitato centrale di assistenza checoordinasse gli interventi nell’ambito provin-ciale e regionale. Per ogni settore o zona ven-nero redatte delle schede relative alle vittimedel nazifascismo e alle loro famiglie: in talmodo i Gruppi poterono iniziare ad operare

    con metodo, valendosi anche di visitatrici ap-positamente preparate nel campo assistenzia-le.

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    Tra le attività promosse dai Gruppi di Difesa

    della Donna non vanno dimenticate la costitu-zione di un Corpo volontarie della libertà, cheestese la partecipazione femminile alla lottaarmata, l’istituzione di un servizio staffette, larealizzazione di corsi di infermierato. Accantoalle manifestazioni di carattere politico, si in-tensificavano le agitazioni sindacali. Anche in

    questo campo le donne dei Gruppi di Difesariuscirono ad ottenere in molte fabbriche laparità salariale, il miglioramento delle menseaziendali, la distribuzione di viveri, combusti-bile e vestiario.

    La ricorrenza dell’8 marzo 1945

    Tra la fine del 1944 e i primi mesi del 1945 siintensifica la propaganda dei Gruppi di Difesadella Donna. Si trattava in genere di esortazionialla Resistenza, di incoraggiamenti rivolti alledonne, affinché non considerassero l’espe-rienza del momento come una parentesi, ma

    come una prima tappa verso la partecipazionealle future istituzioni democratiche. Da questopunto di vista, imponente e simbolico fu loschieramento di forze mobilitate per l’8 marzo1945. La ricorrenza fu celebrata con grandeentusiasmo perché segnava una conquistaimportante: il diritto di voto alle donne, appro- vato dal governo Bonomi nell’Italia liberata.

     A Milano i Gruppi di Difesa organizzaronouna commemorazione dei caduti per la liber-

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    tà presso il cimitero di Musocco, quindi un

    corteo che si snodò per le vie del centro, atti-rando centinaia e centinaia di donne, e che,dopo aver toccato la Prefettura, si conclusealla Sepral (l’ente preposto alla distribuzionedei generi tesserati). Qui le donne affrontaro-no il personale dirigente e ottennero l’imme-diata distribuzione dei viveri di marzo, nonché

    delle razioni arretrate di febbraio.

    I comizi volanti

    Quella dei Comizi volanti fu una tecnica moltousata dai Gruppi di Difesa della Donna nellefabbriche, nelle mense popolari, nei mercati

    rionali. Parlavano generalmente delle giovanioperaie che si recavano sul posto protettedalle Squadre di Azione Patriottica (SAP), fa-cevano il loro breve discorso ad una follaimprovvisata, e poi si ritiravano. La tattica erasempre quella della sorpresa, del comizio edella ritirata. In tal modo si tennero decine e

    decine di comizi volanti ascoltati da migliaia dipersone.

    Le donne alla testa degli scioperi del marzo 1943

    Piera Antoniazzi, operaia della Borletti, in unatestimonianza del 1997, così ricorda il periodobellico:

    “Con l’entrata in guerra la Borletti fabbricava spolette, sofisticati congegni per le testate delle bombe e dei proiettili. Dopo pochi mesi fummo tutti 

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    militarizzati, uomini e donne, e nessuno poteva 

    lasciare il lavoro. Il primo sciopero del marzo 1943 non fu uno sciopero spontaneo come vollero fare credere i fascisti ai loro gerarchi ma una lunga pre-  parazione di una piccola cellula antifascista pre- sente in fabbrica che trovò terreno facile nel mal- contento, nella disperazione e nella rabbia degli operai. Nei reparti dove la maggioranza erano le donne furono loro le prime ad abbassare le leve dei 

    quadri dei comandi e furono sempre le donne che stettero davanti ai quadri per impedire ai fascisti e ai compagni paurosi di rimettere la corrente”.

    “Venne in fabbrica – continua Piera – il ministro Cianetti con le sue guardie del corpo e ci esortò a  finire lo sciopero (durava da 6 giorni) ma, davan- ti al nostro rifiuto, ci minacciò, ci chiamò tradito- 

    ri perché pugnalavamo alle spalle i camerati tede- schi; una salva di fischi lo fece smettere. Eravamo in un grande cortile all’interno stabilimento, i reparti erano vuoti, ma dal terrazzo piovvero cen- tinaia di manifestini contro la guerra e contro i  fascisti. Erano le ragazze del volantinaggio che  facevano il loro lavoro. Il Ministro se ne andò 

    minacciandoci tutti. Lo sciopero finì. I delegati del reparto ottennero dalla direzione una piccola somma di denaro e un sostanzioso miglioramento del pasto in mensa, che per molti di noi era l’uni- co pasto caldo della giornata.” 

    La partigiana Elena Rasera 

    La partigiana Elena Rasera, nome di battaglia“Olga” ha compiuto l’1 gennaio di quest’an-no, cento anni. Elena, di famiglia antifascista,entra alla Olap nel 1935, all’età 21 anni, dopo

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    essersi trasferita a Milano dal suo paese di San-

    ta Giustina Bellunese.Durante la Seconda Guerra Mondiale la Olap

    che contava ben 3000 operai di cui 1700 donne,costituiva un complesso tra i più importanti, peril particolare tipo di produzione legata alla guer-ra: strumentazioni di altissima precisione perradiofonia e telefonia. Nel corso dell’inverno del

    1943 Elena si occupa dell’organizzazione dei Grup-pi di Difesa della Donna. Nella sua autobiografia,così ricorda:

    “ Il compito di organizzare i Gruppi di Difesa della  Donna nella fabbrica non era facile. Bisognava agire con oculatezza e molta prudenza. I gruppetti erano costituiti da due o tre operaie che a loro volta si collegavano con altri gruppetti. Si formava così una sorta di catena di Sant’Antonio. Intanto la stampa circolava”.

    Fu Elena a organizzare lo sciopero del marzo1944 alla Olap al quale aderirono circa 500donne. Nel corso dello sciopero, dopo aver tol-

    to la corrente, furono prima le donne a uscireproteggendo gli uomini che erano più espostiagli arresti ed alle rappresaglie. Verso la metàdell’ottobre 1944, a seguito del ritrovamento diarmi alla Olap da parte dei fascisti, vi furonosette morti ed una ventina di arresti. Elena nonpuò più rientrare in fabbrica e si dà alla mac-chia dopo aver ricevuto l’incarico di Capo servi-zio di collegamento e di diffusione della stam-pa clandestina. Elena diventa responsabile del-

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    la zona che comprendeva il tratto da Porta Ve-

    nezia a Rogoredo, facendo capo alla Olap, allaSaffa, alla Bianchi, alla Innocenti, alla Readelli.

    Tra gli episodi che l’hanno più profonda-mente toccata, Elena ricorda l’incontro conGina Galeotti Bianchi, la prima caduta parti-giana nei giorni dell’insurrezione di Milano.

    “Incontrai questa partigiana – racconta Elena – all’appuntamento in via Carlo Farini. Appena ci siamo riconosciute, lei si è sentita male ed era molto preoccupata per il buon esito della missione che le avevo dato da compiere. La condussi allora in un caffè e chiesi al gestore un bicchiere d’acqua.Invece lui, vedendo che stava male, le diede del surrogato di caffè. Dopo un po’ Gina, la “Lia” si 

    riprese e mi confessò: “Sai sono in stato interessan- te. Mi chiamo Gina Galeotti e sono sposata Bianchi, ma mio marito si trova in carcere”. Ci lasciammo; dopo alcuni giorni scoppiò l’insurre- zione e in quella occasione incontrai una partigia- na, quella che aveva avuto i collegamenti con la Lia. Fu lei che mi comunicò la morte di quella gio- vane, coraggiosa staffetta, colpita da una raffica 

    di mitra dai tedeschi nelle ore più calde della Liberazione. Quando il marito uscì da San Vittore lei e il bambino che portava in grembo se ne erano andati per sempre”.

    La rivendicazione dei propri diritti

    Prepararsi a governare era una delle mete pre-

    fissate dalle donne in lotta. Tuttavia si trattavadi un cammino difficile, non solo per gli osta-coli di natura esterna, ma anche per l’insicu-

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    rezza e la remissività di molte. A questo propo-

    sito colpisce il tono sferzante di un manifesti-no, diffuso dai Gruppi di Difesa della Donnaalla vigilia dell’insurrezione, col quale si inco-raggiava ogni donna a impegnarsi nella vitapubblica:

    “La donna non può restare estranea e passiva dinanzi ad un simile stato di cose. La sua passi- vità, il suo male interpretato e compreso senso della  famiglia e del dovere, il suo permanere nella men- talità di docile schiava e di serva contribuiscono alla rovina della nazione e alla miseria dei suoi cari. Se essa dà la vita per la nazione, deve preten- dere i suoi diritti di intervento nella vita della nazione.”

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    RIMASTA SE STESSA

    Umberto Voltolina 5

    Qui, nella mostra, c’è la foto con Carla che do-na al sindaco di Torino Sergio Chiamparino la500 rossa (detta la Peppa ) con cui scarrozzava

    per Roma il suo Sandro.Era la fine novembre 2005, pochi giorni do-po il 5 dicembre Carla moriva nella sua casa diRoma. È significativo che l’ultimo dei suoi tan-ti viaggi (autobus e treno, l’auto blu non ap-

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    5

    L’ing. Umberto Voltolina, fratello di Carla Voltolina, èpresidente della Fondazione “Sandro Pertini”.Il testo costituisce il racconto, a commento delle immaginidella mostra fotografica, raccolto in video dalla commissione“Storia e memoria” creata da SPI-CGIL Forlanini.

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    parteneva al suo dna) lo abbia fatto nella sua

    Torino (nevicava quel giorno) per rivedereluoghi a lei molto cari, in cui era nata il 14 giu-gno 1921 e in cui aveva vissuto fino al 1943.

    Infanzia e adolescenza 

    Per ricordare la mamma, Rosa Barberis, di fa-miglia astigiana di tradizioni socialiste, che nel

    maggio 1915, pochi giorni prima dello scoppiodella guerra ’15-’18, si era sposata con Luigi,nostro padre, nato a Chioggia nel 1889, gio- vane tenente d’artiglieria, poi decorato di me-daglia d’argento al V.M. uomo verticale di saldiprincipi “ Dio, patria, famiglia ”.

    Infanzia e adolescenza, quelle di Carla, se-rene e gioiose, con le sorelle Laura e Luisa econ la cugina Lisetta alle quali, come a mam-ma e papà, resterà legatissima per tutta la vita.

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    (A sinistra ) – Elezioni del 18 aprile 1948 – Carla e Sandro Pertini con il col.Luigi Voltolina; (a destra ) – Carla e Sandro Pertini con i genitori di Carla.

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    Tra i tanti episodi che Carla ricordava quello

    del “suo papà” che l’accompagnava in bici al-l’asilo con la bottiglia del latte e il cestino dellacolazione. Da piccola era scatenata e papà fuconvocato più di una volta perché, pur simpati-cissima, mangiava la merenda degli altri bambi-ni e dava calci ai maschietti.

    Precoce sportiva (a 12 anni vinse il cam-

    pionato italiano allieve di nuoto nella staffettadella  Juventus ), all’ultimo anno di ragioneriaabbandona improvvisamente la scuola.

    Mai rivelatomi il perché. Forse da anticon-formista quale fu sempre, mal sopportava l’ob-bligo delle adunate paramilitari fasciste in ca-

    micia nera. Voleva lavorare per essere economicamenteindipendente. E ci riuscì, convincendo mio pa-dre che, nel 1941, in partenza per il fronte nord-africano, le affidò con la mamma il fratellino diun anno (ero io). A ventun anni Carla, studen-tessa lavoratrice (aveva ripreso alle scuole serali

    gli studi) di fatto capofamiglia matura la suascelta di vita.

    Resistenza 

    Prima dell’8 settembre 1943 entra nel movi-

    mento della Resistenza, prima a Torino, da cuidovrà allontanarsi perché troppo conosciuta,poi a Roma sotto la guida di Eugenio Colorni,suo primo grande maestro di socialismo.

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    Di lui, caduto combattendo i nazifascisti a

    Roma il 31 maggio 1944 diceva:“un capo coraggioso, modesto, buono, un esempio 

     per noi giovani della prima formazione partigiana Matteotti”.

    Durante una missione clandestina nelle Mar-che, quale partigiana combattente nel gruppo

    di Pietro Capuzzi, medaglia d’oro della Re-sistenza il 2 aprile 1944, durante un rastrella-mento delle SS, viene arrestata a Visso sull’Ap-pennino tra Marche e Abruzzo e caricata su uncamion per la fucilazione.

    Fu un giorno tremendo per Carla, l’angosciae la paura che provò l’hanno accompagnata per

    tutta la vita.Di Visso (me lo confidò all’ospedale di Roma

    ove era ricoverata in terapia intensiva, sotto l’ef-fetto di farmaci duri per la sua cardiopatia) siportava sempre dentro di sé il terrore per lacaduta e l’interrogatorio, ma specialmente losgomento e la vergogna che lei vide negli occhidel compagno partigiano che sotto tortura a- veva fatto il suo nome.

    Scampò miracolosamente alla morte quelladomenica delle Palme del ’44, ma quella pau-ra l’accompagnò per sempre, il che fece direal suo Sandro:

    “il vero coraggio è di chi come Carla riuscì a con- tinuare la lotta partigiana vincendo giorno dopo giorno la paura”.

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     Ai primi di giugno del 1944 Carla è a Mi-

    lano, entra nel Comitato esecutivo della Fe-derazione Giovanile Socialista, sotto la guidadi Libero Cavalli. Diventa redattrice del gior-nale clandestino “La rivoluzione socialista ”, pri-mo numero il 25 giugno 1944.

    Con altre partigiane, le staffette, Carla era in-caricata tra l’altro della distribuzione del gior-

    nale e dei volantini insurrezionali, che si effet-tuava con pericolosi viaggi sulle bici di esperticompagni operai.

    Furono queste azioni, tra le quali Carlaricordava l’improvvisato comizio nel piazzaleantistante la fabbrica CGE nel luglio 1944, con

    distribuzione del volantino “Compagni lavora-tori” a farla entrare in contatto con l’ambien-te operaio di Milano.

    Mi raccontava dei pranzi domenicali conSandro in via Cola di Rienzo 37 in casa di Linae Felice Maderna operai militanti socialisti del-la CGE, che mitigavano la povera dieta delle

    mense popolari. Nascono in quel periodo leamicizie di tutta la vita con alcuni giovani com-pagni partigiani: Libero Cavalli, l’operaia Anna Di Lorenzo, Eugenio Maderna, Paolo Pe-scetti studenti lavoratori classe 1925.

    Cito queste amicizie, ravvivate negli anni

    con gli incontri in via Juvara 12 in casa Cavalli,perché la lotta di liberazione fu anche questo:l’incontro, che lasciò un segno indelebile dirapporti, tra persone diverse tra loro per età,

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    genere, classe sociale, unite dai pericoli della

    clandestinità e dagli ideali comuni di libertà egiustizia sociale.E mi avvio a concludere: una sera di novem-

    bre del 1944 il cognato di Carla, Alfredo Fan-tino, vice comandante delle Matteotti la convocaa Torino, in casa della sorella Luisa neo mammae le chiede di scortare a Milano un coraggioso

    dirigente socialista, inviato dalla direzione delpartito Socialista di Roma paracadutato in Fran-cia e giunto a Torino dopo un’avventurosa tra- versata invernale del Monte Bianco, per rappre-sentare il PSIUP nel CLN Alta Italia.

    L’uomo di una vita 

    Quell’uomo era Sandro Pertini, con cui Carlainizierà nella durezza della lotta partigiana, unininterrotto percorso di vita coerentemente vissuta con integrità, comunanza d’ideali e pas-sione politica.

    Così Sandro ricordava quel primo incontro:“novembre 1944, dalla montagna scendemmo a Valsavaranche di lì a Cogne, poi a Torino, dove conobbi Carla che fu al mio fianco valorosa parti- giana. Da Torino, dopo un rastrellamento andam- mo a Milano”.

    E Carla ricordando Sandro, l’ultimo 25 apri-le 2005 a Milano:“studiavo alla Bocconi, Sandro veniva in universi- tà, insegnava a noi giovani l’importanza della li- 

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    bertà che stavamo poco a poco conquistando… è 

    stata una lotta incredibile… di notte si dormiva nello studio di un compagno avvocato in viale Tunisia, pancia a terra, dietro un’intercapedine o sotto una scrivania… sono passati sessant’anni,ma ancora oggi i nazifascisti mi appaiono negli incubi, li vedo ancora appostati sui tetti, a sparare sulla gente che passava per strada e mi torna in mente un ragazzo ucciso a fucilate, steso accanto a 

    me. Era già morto e quelli continuavano a spara- re… e poi penso a Sandro sempre, alle violenze che ha subito, le bastonate, il carcere, le torture. A tutto quello che ha fatto per la libertà. A quei valori, come l’uguaglianza e la giustizia sociale, oggi smarriti ma che vorrei tanto ritornassero. I nazifascisti occu- 

     pavano ogni strada ogni piazza. Sandro, che sareb- be poi diventato mio marito, con Leo Valiani (del P.d.Az) e Luigi Longo, del P.C.I. fu tra gli organiz- zatori dell’insurrezione di Milano. Ricordo che ci davano la caccia dappertutto e se sono viva lo devo anche alle portinaie di Milano. Sì, le portinaie dei 

     palazzi dove trovavamo rifugio. Ci aiutavano, ci mettevano a disposizione dei nascondigli. Sono stat- e donne di grande coraggio, rimaste anonime, ma 

    in un certo senso, eroine… Sandro è stato per me un grande maestro, un grande socialista… Mai una slealtà, un uomo affascinante, gentile, altruista…un grande compagno! Mi ha insegnato a dissenti- re, ma con educazione. Mi ha amato moltissimo,ma anch’io l’ho amato. Forse di più…” 

    Dopoguerra Incominciano gli anni difficili della ricostru-zione, gli anni delle lotte operaie e contadine,

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    del forte impegno politico e di presa di co-

    scienza delle donne, cui Carla partecipa attiva-mente come militante socialista, in un irripeti-bile clima di entusiasmo, di speranze, di ecci-tante attesa di un mondo migliore.

    L’8 giugno 1946 Carla e Sandro si sposanoa Roma con cerimonia civile in Campidoglio.Lei volle il ritorno del padre dalla prigionia.

    Sandro già segretario del partito socialista edeletto deputato all’assemblea costituente ave- va cinquant’anni lei 25. Vanno ad abitare inlungotevere Flaminio a Roma.

    Sandro, un uomo importante con una vitatravagliata alle spalle così commentava:

    “Carla è stata la mia unica fonte di serenità ma all’inizio io pensavo che lei fosse troppo giovane,temevo un fallimento matrimoniale”.

    Non si lasceranno più e Carla una ragazza volitiva e anticonformista che riusciva a tener-gli testa confermava:

    “Sandro me lo disse subito: la mia fede politica viene prima di tutto. E io questa scelta di vita l’ho condivisa al suo fianco”.

    Lasciati dopo la liberazione gli studi di eco-nomia alla Bocconi “ero negata per la matemati- ca ” si dedica giornalismo firmando Carla Bar-beris, secondo il cognome della madre (socia-lista per tradizione familiare) collaborandocome pubblicista ai quotidiani Epoca , Avanti !,

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    Lavoro Nuovo 6 di Genova e a Noi Donne, rivista

    dell’Unione Donne Italiane, antesignana delmovimento femminista in cui militavano ledonne del PCI e del PSI.

    Quelle di Carla, collaboratrice della paginaculturale, impegnata nel sociale, sono inchie-ste sugli anziani e specialmente sulla condizio-ne femminile nelle fabbriche.

    È stata la prima giornalista italiana condur-re, come assistente della senatrice Lina Merlincon cui firmò il libro Lettere dalle case chiuse (e-dizione Avanti! 1955) l’inchiesta sulla prostitu-zione di Stato negli ospedali, nelle prigioni enelle case di tolleranza cui fece seguito la leg-

    ge di abolizione, promulgata nel 1958.Nei primi anni ’60 in veste di giornalista par-lamentare per il quotidiano Lavoro Nuovo è assi-dua frequentatrice della Camera dei Deputati ein tale ruolo partecipa a qualche trasmissionedell’allora seguitissimo programma televisivoTribuna politica.

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    6 Sandro Pertini fu direttore politico del Lavoro Nuovo dalgiugno ’47 al giugno ’68. E’ degna di nota, a prova dell’auste-rità di quella stagione politica, la testimonianza di VincenzoCuria, all’epoca giovane cronista, che ricorda come i coniugiPertini, per non gravare sul bilancio del giornale, dormissero

    su brandine nei locali della redazione e d’aver assistito di per-sona a una richiesta di Pertini, che non vuole mai essere retri-buito dal giornale, di un prestito all’amministratore CarloBordiga per poter acquistare il biglietto di ritorno a Romaper Carla.

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     Appartengono a quel periodo di giornali-

    smo militante, le sobria cene in trattoria (biso-gnava stare attenti al bilancio poiché lo stipen-dio da deputato dell’epoca già non elevato, erain buona parte destinato al Partito) e la mitica500 rossa, portiera antivento con cui accompa-gnava a Montecitorio il suo Sandro.

    L’impegno sociale

    Nel 1964 Sandro Pertini viene nominato vice-presidente della Camera dei Deputati e Carla,battagliera e determinata, ma in fondo di natu-ra timida e riservata, per evitare “conflitti di in-

    teresse”, sapendo di fare con questa scelta nonfacile, cosa grata al rigoroso compagno, fa unpasso indietro, rinunciando alla sua vita allasua attività di giornalista parlamentare. Con-cluderà in un anonimo ufficio stampa del mi-nistero dei LL.PP. la sua carriera giornalistica.

    Per evadere dal “Palazzo”, pur rimanendonel privato vicinissima al suo Sandro, che nelgiugno del ’68, con l’elezione a presidente del-la Camera dei Deputati s’era trasferito come a-bitazione a Montecitorio.

    Si iscrive alla facoltà di Scienze politiche diFirenze “Cesare Alfieri” (la stessa in cui s’era

    laureato il marito quarantacinque anni prima)ove si laureerà nel 1972 per poter accederealla specializzazione in psicologia presso l’Uni-

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     versità degli Studi di Torino, allieva della pro-

    fessoressa Massucco Costa7

    .Si laurea nel 1977 con una tesi di ricerca sullacondizione operaia nelle fabbriche. Parallela-mente a Roma si applica come psicoterapeutain analisi con il prof. Emilio Servadio. Frequen-ta anche a Milano, ospite dei genitori, la sezionetossicodipendenze dell’Ospedale di Limbiate e

    il Centro Aiuto Drogati (CAD) diretto dal prof.Madeddu.

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    Con il professor Emilio Servadio (Roma, marzo 1984).

    7  Angiola Massucco Costa, nata a Brescia nel 1902 e mortaa Torino nel 2001, è stata esponente di rilievo della psicologia

    italiana, fondando a Torino a scuola triennale di specializza-zione in psicologia, una delle prime in Italia riconosciute dalMinistero della Pubblica Istruzione e insegnando all’universi-tà fino al 1977. E’ stata deputato al parlamento nella IV legi-slatura per il PCI, eletta in Sardegna.

     A Roma fa pratica di volontariato presso ilServizio psichiatrico dell’Ospedale Forlanini esuccessivamente, nei primi mesi del 1978 e alPoliclinico Gemelli presso il servizio “alcolisti”e farmacodipendenti.

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    Sandro Pertini al Quirinale 

    Il 15 marzo, in via Fani, le Brigate Rosse ucci-dono a raffiche di mitra la scorta di Aldo Mo-ro, che viene rapito e il cui cadavere due mesidopo viene ritrovato in pieno centro a Roma,a due passi dalle sedi della DC e del PCI.

     Alla metà di giugno Giovanni Leone si di-

    mette da presidente della Repubblica e la sce-na politica si affolla di illustri candidati che sieliminano a vicenda. Spunta “un’outsider di82 anni dal glorioso passato” che, dopo le per-plessità iniziali relative all’età, diventa il setti-mo presidente della Repubblica con 832 votisu 995.

    Carla che ormai pensava di poter trascorre-re insieme serenamente quello che restavadella loro vita, dopo le tante rinunce alla loroprivacy, lontano dagli impegni politici e istitu-zionali, al crescere della candidatura Carlaesplode: “Facciamo così, se ti eleggono presi-dente io me ne vado in Francia a Nizza”. Sem-bra una leggenda ma è vero.

    Il 7 luglio 1978, data delle elezioni a capodello Stato, Carla è a Nizza spaventata. L’avevaavvertito che non aveva nessuna intenzione diseguirlo al Quirinale “bardata come una Ma-donna” e ha mantenuto con rocciosa coerenza

    quella promessa per tutti lunghi sette annidella presidenza (“Il mio Quirinale è una camera in ospedale con persone che soffrono ”). Per aumen-tare la distanza dal cerimoniale si trasferisce a

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    Firenze, facendo la vita della pendolare con

    scalo la stazione di Santa Maria No vella8

    .

    1985. Fine del settennato 

    “Cara Carla, scusaci se rompiamo il riserbo di cui ti sei voluta giustamente circondare, ma vogliamo,salutando il Presidente Pertini salutare anche te.

    In questi sette anni di te si è parlato poco per tua volontà, perché hai voluto rimanere te stessa e non assumere il ruolo di moglie del Presidente. Questa scelta, che tutte noi abbiamo apprezzato, ha rappre- sentato un modo nuovo di concepire rapporti tra uomo e donna e forse anche tra donna e potere.Pertini è stato un grande presidente e a lui va il nostro saluto e ringraziamento. A te Carla i nostri abbracci e i nostri ringraziamenti perché la tua scel- ta l’abbiamo capita, apprezzata e condivisa e ci 

     piace la tua immagine di donna. Auguriamo a te e a tuo marito una vita serena che abbracciamo con affetto”.

    Così il Coordinamento Donne CGIL di Mi-lano, nell’ottobre ’85 saluta con il Presidentel’anti first-lady, abituata a vivere scontrosamen-te nell’ombra e rifiutare fasti e oneri del ruoloe dell’ex ruolo.

    8 “Cominciavo a trovare divertente anche il rendersi invisibile. A volte mi capita che qualcuno mi riconosca. Per esempio un giorno fa- cendo la fila per aspettare un taxi, dietro di me c’era una coppia. Ho 

    sentito lei che diceva a lui: “ma questa signora qui davanti a noi non è la moglie del Presidente?”. Lui rispondeva: “Figurati se sta qui a fare la fila”. La donna però si avvicinò e mi chiese: “Ma lei non è la signo- ra Pertini?”, io risposi: “no, le assomiglio soltanto e fui contenta quan- do lei mi disse: “È vero, a vederla da vicino lei è molto più giovane”.

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    “Fare la moglie di un Presidente non è una profes- 

    sione che dà senso alla vita. La Pertini ci ha dimo- strato che una donna non è prima di tutto una moglie ma una persona”.

    Finalmente c’è tempo per stare insieme, lo-ro due soli con gli amici di sempre, pur conti-nuando Carla il suo impegno di assistenza psi-chiatrica a Firenze e a Prato, dove nel 1987 si

    era trasferita presso l’Ambulatorio del Dipar-timento di Igiene Mentale del dottor GrazianoGraziani, con cui continuerà a collaborare fin-ché le condizioni di salute glielo hanno per-messo. Per tale impegno l’amministrazionecomunale di Prato le ha consegnato le “Chiavi

    della Città” nel corso di una cerimonia che siè tenuta nel 1999.

    2005 

    Carla muore a Roma il 5 dicembre 2005. Lesue ceneri riposano a Stella San Giovanni ac-canto a quelle del suo Sandro.

    Pochi giorni prima l’ultima sua intervista:“A Milano abbiamo fatto tante cose insieme…adesso sono molto molto triste e penso che sia stato tutto invano… ma non pensavo che andasse a 

     finire così male, dopo che noi ragazze e ragazzi abbiamo rischiato tanto… e poi basta”.

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    Carla ai funerali di sua madre, Rosa Barberis, accompagnata dal marito(1982). Sulla destra della foto il col. Piccinini, fidatissimo collaboratoredel presidente e capo della sicurezza del Quirinale.

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    SOMMARIO

     IntroduzioniGiuliano PisapiaPrefazione  ........................................................9

    Andrea GandolfoNota biografica ...............................................11

    Stefano RolandoLe ragioni che rendono attualeuna biografia ..................................................17

    Anna CeladinIntroduzione al convegno .............................25

     Le radici familiari

    Umberto Voltolina

    Rimasta se stessa ............................................33

    Carlotta VoltolinaUna zia anticonvenzionale............................48

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     Nella lotta per la libertà e nella storia della Repubblica

    Roberto CenatiLe donne e la Resistenza ...............................63

    Renato Bragaglio, Ida Bertocchi,Serena PasinettiI percorsi culturali ...........................................74

    Lettera dalle case chiuse................................79

    Stefano RolandoLa misteriosa First Lady   .................................85

     La scelta della psicologia

    Graziano GrazianiTra Firenze e Prato, psicologa volontaria ...125

    Renata Thiele(intervista a cura di Tilde Steiner)Roma, nella scia di Emilio Servadio.............136

     Altri testi

    Carla VoltolinaConclusioni della tesi di specializzazione in

    Psicologia, Università degli Studi di Torino(a.a. 1975-1976) .................................................149

    Parigi, Nizza e la Francia di Carla e SandroPertini (intervista, 2000)...............................153

    Paolo ContiMuore la moglie di Pertini. “Sandro, un grandeamore”, Corriere della Sera (7.12.2005)..........159

    Pino NazioCarla Voltolina non dormì mai al Quirinale,L’Unità (8.3.2006) .........................................164

    La Fondazione Sandro Pertini ......................170

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    Io amavo il mare,lui la montagna 

    Ritratto diCarla Voltolina Pertini

    a cura di Stefano Rolandocon la collaborazione di Anna Celadin

     prefazione di Giuliano Pisapia