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0 UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINO FACOLTA’ DI LINGUE E LETTERATURE STRANIERE CORSO DI LAUREA IN LINGUE STRANIERE PER LA COMUNICAZIONE INTERNAZIONALE TESI DI LAUREA RICHIEDENTI ASILO E RIFUGIATI: ACCOGLIENZA E SITUAZIONE ABITATIVA A TORINO RELATORE: PROF.SSA Laura Bonato CANDIDATA: Erika Lavolpe Matricola: 309036 ANNO ACCADEMICO 2012-2013

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINO FACOLTA’ DI LINGUE E LETTERATURE STRANIERE

CORSO DI LAUREA IN LINGUE STRANIERE PER LA COMUNICAZIONE INTERNAZIONALE

TESI DI LAUREA

RICHIEDENTI ASILO E RIFUGIATI: ACCOGLIENZA E SITUAZIONE ABITATIVA A TORINO RELATORE: PROF.SSA Laura Bonato

CANDIDATA: Erika Lavolpe

Matricola: 309036

ANNO ACCADEMICO 2012-2013

1

INDICE

Introduzione……………………………………………………………………......4

Capitolo1 – Diritto d’asilo: convenzioni, leggi e decreti…………………....7

1.1. – Diritto internazionale……………………………………………………......7

1.2. – La legislazione europea………………………………………………......10

1.3. – Legislazione italiana……………………………………………………....16

Capitolo 2 - Richiesta d’asilo: la procedura italiana…………………….....21

2.1. - Domanda d’asilo in quattro tappe……………………………………......21

Capitolo 3 - Richiedenti asilo e rifugiati in Italia........................................29

3.1. – Domande di protezione internazionale: i numeri italiani......................29

3.2. – Nazionalità dei richiedenti asilo in Italia...............................................32

3.3. – Richiedenti asilo a Torino e in Piemonte.............................................34

3.4. – Perché rifugiati?: breve inquadramento storico- politico......................38

Capitolo 4 – L’accoglienza in Italia..............................................................48

4.1. – SPRAR: per saperne di più..................................................................54

4.1.1. – Le strutture abitative destinate all’accoglienza.................................55

4.2. – I fondi destinati ai rifugiati....................................................................57

Capitolo 5 – Piemonte: accoglienza e soluzioni abitative.........................60

5.1. – Coordinamento Non Solo Asilo............................................................60

5.2. – Ricerca sull’abitare..............................................................................62

5.2.1. – I luoghi e gli intervistati.....................................................................63

5.2.2. – Tipologia di strutture abitative...........................................................65

5.2.3. – Cause di disagio e difficoltà..............................................................68

5.2.4. – Elementi positivi nelle esperienze vissute........................................70

2

Capitolo 6 – Accoglienza e situazione abitativa a Torino.........................73

6.1. – Gli intervistati.......................................................................................73

6.2. – La richiesta di protezione internazionale.............................................75

6.3. – Vivere a Torino....................................................................................76

6.4. – Diritti negati..........................................................................................80

Conclusioni..................................................................................................83

Riferimenti bibliografici...............................................................................86

Allegato – Interviste......................................................................................89

3

INDICE DELLE TABELLE

Tabella 1: Rifugiati in Italia (raffronto 2008-2011) ........................................ 31

Tabella 2: Nazionalità dei richiedenti asilo in Italia ....................................... 32

Tabella 3: Istanze d'asilo presentate alla Commissione di Torino - suddivise

per nazionalità e per genere ........................................................................ 36

Tabella 4: Età e genere intervistati "Ricerca Abitare"................................... 64

Tabella 5: Paesi d'origine intervistati "Ricerca Abitare" ................................ 64

Tabella 6: Presenza sul territorio italiano degli intervistati "Ricerca Abitare" 65

Tabella 7: Strutture abitative abitate dagli intervistati "Ricerca Abitare ........ 66

Tabella 8: Paesi di provenienza "ricerca Torino".......................................... 74

Tabella 9: Anno di arrivo in Italia "ricerca Torino"......................................... 75

Tabella 10: Luoghi di accoglienza a Torino “ricerca Torino”......................... 77

Tabella 11: Situazione abitativa a Torino “ricerca Torino” ............................ 79

INDICE DEI GRAFICI

Grafico 1: Richieste d’asilo in Italia nel 2011 e 2012 da parte dei cinque

maggiori Paesi ............................................................................................. 33

Grafico 2: Domande d'asilo esaminate - suddivisione per nazionalità e per

genere.......................................................................................................... 35

4

Introduzione

L’argomento di questa tesi e la scelta di svolgere una ricerca sui

rifugiati sono nati principalmente dalla volontà di comprendere chi sono le

persone che vengono etichettate come “rifugiati”, che cosa li differenzia dai

titolari di protezione sussidiaria o umanitaria e che cosa comporta aver

acquisito uno di questi riconoscimenti.

È risultato fondamentale per l’approfondimento dell’argomento la

partecipazione al Laboratorio Interdisciplinare sul Diritto d’Asilo, organizzato

dal Coordinamento Non Solo Asilo in collaborazione con l’Università degli

Studi di Torino, che si proponeva di approfondire la tematica della protezione

internazionale, rivolgendosi a studenti universitari e operatori del privato

sociale e delle associazioni operanti nel settore.

Grazie ai temi trattati durante i tre mesi di laboratorio è emersa con

chiarezza la vastità dell’argomento, la quantità di implicazioni giuridiche,

politiche, sociali e culturali che lo caratterizzano e la necessità di

circoscrivere la trattazione. Ho deciso pertanto di orientare la ricerca

sull’accoglienza e la situazione abitativa vissuta dai richiedenti asilo e dai

rifugiati, cogliendo l’opportunità di partecipare come tirocinante ad un

progetto di ricerca sull’abitare, svoltosi nei territori di Aqui Terme, Asti, Biella,

Ivrea e Torino. A questo ho inoltre deciso di affiancare un’indagine

personale, basata su un numero ristretto di testimonianze, volta ad indagare

la situazione abitativa di rifugiati o titolari di protezione sussidiaria o

umanitaria che vivono nella città di Torino.

La trattazione si sviluppa attraverso sei capitoli che tentano di dare un

inquadramento legislativo e storico-politico sull’argomento, per poi

focalizzare l’attenzione sui risultati prodotti dalla ricerca.

Il primo capitolo sintetizza i contenuti della Convenzione di Ginevra del

1951 e del Protocollo sullo status di rifugiato del 1967 che costituiscono le

basi normative per il riconoscimento della figura del rifugiato in ambito

internazionale. Segue poi un elenco delle direttive europee attraverso le quali

le norme internazionali ratificate dagli Stati europei trovano applicazione e

5

che dovrebbero garantire una procedura comune in materia d’asilo e un

trattamento uniforme riservato ai titolari di protezione internazionale sul

territorio europeo. Infine sottolineando la mancanza di una legge nazionale

organica, vengono elencati i decreti legislativi, i provvedimenti e le leggi

italiane in materia di diritto d’asilo e rifugiati.

Il secondo capitolo enuncia le quattro fasi dell’iter che un richiedente

asilo in Italia deve affrontare per ottenere la protezione internazionale:

presentazione della domanda, foto segnalamento e compilazione del modello

C3, audizione presso la Commissione Territoriale di competenza e

acquisizione della decisione della Commissione.

A questi due capitoli esplicativi e più generici segue il terzo in cui si

elencano i dati relativi alle domande d’asilo presentate in Italia nel 2011/2012

e ai principali Paesi di provenienza dei richiedenti, facendo riferimento al

rapporto “Global Refugees Trends in Industrialized Countries” dell’UNHCR

(Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati). Analogamente, grazie alla

consultazione dei dati forniti dalla Prefettura e dalla Commissione Territoriale

di Torino relativi all’anno 2011/2012, viene riportato il numero di richieste e

indicate le provenienze dei richiedenti nella regione Piemonte. Il capitolo si

conclude con un breve inquadramento storico-politico dei Paesi che

emergono dai dati nazionali come le principali zone di provenienza dell’anno

2011/2012 (Tunisia, Pakistan, Nigeria, Afghanistan e Mali), nel tentativo di

comprendere quali sono le motivazioni che spingono un tale numero di

persone a fuggire.

Dal quarto capitolo si inizia a sviluppare l’effettiva trattazione del tema

della ricerca, fornendo una descrizione delle diverse tipologie di centri di

accoglienza e di centri di trattenimento, attraverso i quali è strutturato il

sistema di accoglienza per i richiedenti asilo in Italia: Centri di Primo

Soccorso e Accoglienza (CPSA ), Centri di Accoglienza (CDA), Centri di

Accoglienza per Richiedenti Asilo (CARA), Centri di Identificazione ed

Espulsione (CIE) e Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati

(SPRAR). Viene in seguito approfondita la differenza tra prima accoglienza e

accoglienza integrata, che dovrebbe caratterizzare i progetti SPRAR e

6

garantire ai beneficiari interventi finalizzati non solo a fornire vitto e alloggio

ma anche, e soprattutto, la realizzazione di attività di accompagnamento,

indirizzate alla conoscenza del territorio, all'effettivo accesso ai servizi e alla

costruzione di percorsi individuali di inserimento socio-economico. Infine

viene sottolineato che per il finanziamento dei servizi di accoglienza e i

percorsi di integrazione di coloro che hanno ottenuto la protezione

internazionale in Italia esiste un Fondo Nazionale per le Politiche e i Servizi

dell’Asilo. Inoltre l’Italia, in quanto firmataria della Convenzione di Ginevra,

beneficia di un aiuto economico da parte dell’Unione Europea da destinare

alle politiche e al sistema di asilo: il Fondo Europeo per i Rifugiati.

Nel quinto capitolo si concretizza il tema della ricerca sull’accoglienza

e le situazioni abitative vissute dai rifugiati nella regione Piemonte. Il gruppo

di ricerca con cui ho svolto l’indagine era composto da due antropologhe e

due studentesse e ha effettuato 23 interviste non strutturate, sviluppatesi a

partire da una traccia, elastica e flessibile, adattata di volta in volta agli

interlocutori intervistati nei Comuni di Aqui Terme, Asti, Biella, Ivrea e

Torino. Dall’indagine, che è stata possibile grazie alla rete del

Coordinamento Non Solo Asilo, un’associazione di secondo livello che si

occupa di seconda accoglienza, è emersa un’estrema disparità di situazioni

vissute dagli intervistati. Inoltre si è cercato di fare emergere quali fossero gli

aspetti negativi e positivi della prima accoglienza e delle esperienze abitative

sperimentate in seguito all’ottenimento della protezione.

L’ultimo capitolo si sviluppa sulla base di dieci interviste effettuate a

rifugiati e titolari di protezione umanitaria che vivono attualmente nella città di

Torino. La traccia seguita con questi interlocutori era mirata a far emergere in

quali strutture avessero vissuto all’arrivo nella città di Torino e quali fossero

state le mancanze o le carenze nel sistema di accoglienza e nella procedura

di riconoscimento della protezione ottenuta. Infine l’attenzione era rivolta alla

situazione abitativa attuale.

7

Capitolo 1

Diritto d’asilo: convenzioni, leggi e decreti

Per parlare di diritto d’asilo politico e di rifugiati è necessario fare

riferimento a leggi, norme e convenzioni che hanno il compito di definire chi

può beneficiare di tale diritto e di tutelare le persone che possono goderne.

Il diritto d’asilo garantisce protezione a soggetti i cui diritti sono già

stati compromessi o sono altamente a rischio e ha un suo fondamento

legislativo nel diritto internazionale. Il diritto internazionale trova poi

applicazione all’interno dell’Unione Europea e dei singoli Stati che ne fanno

parte. La UE ha creato una serie di norme specifiche in materia di diritto

d’asilo nel rispetto dell’adesione ai trattati internazionali. Inoltre ogni Stato

dell’Unione Europea aderente a tali norme, compreso quello Italiano, ha la

responsabilità di applicarle, inserendole nel proprio ordinamento legislativo.

1.1. Diritto internazionale

Il diritto internazionale, detto anche ius gentium, diritto delle genti, è

quella branca del diritto che regola la vita della comunità internazionale ed è

al di sopra degli Stati e dei loro ordinamenti interni. In merito alla protezione

dei diritti umani e dei rifugiati, è il primo strumento a cui gli Stati devono fare

riferimento e in base al quale devono uniformare la propria legislazione.

Infatti, la ratifica di un trattato internazionale, comporta l’adesione degli Stati

ratificanti ai valori proclamati dalla comunità internazionale e vincola alla

responsabilità dell’applicazione delle normative.

Il processo attraverso il quale ha preso forma la legislazione che riguarda il

diritto d’asilo e i rifugiati ha il suo fondamento nella Dichiarazione universale

dei diritti dell’uomo, che fu approvata il 10 dicembre 1948 dall’Assemblea

generale delle Nazioni Unite e che rappresenta il documento con cui si

stabiliscono universalmente i diritti che spettano all’essere umano. Afferma

che «ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della

8

propria persona»1 e «di cercare e di godere in altri Paesi asilo dalle

persecuzioni»2 (www.serviziocentrale.it, La tutela dei richiedenti asilo –

Manuale giuridico per l'operatore).

In seguito risultò necessaria la creazione di un organismo

internazionale che si occupasse di rifugiati e nel dicembre del 1949 fu istituito

l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), il cui statuto

venne approvato alla fine del 1950. Questo organismo si occupa di fornire

protezione internazionale ai rifugiati e di cercare soluzioni permanenti alle

loro problematiche, assistendo i governi nei rimpatri volontari o

nell’integrazione alle comunità nazionali.

A seguito di una conferenza speciale delle Nazione Unite che si svolse a

Ginevra il 28 luglio 1951 venne approvata la Convenzione sullo status dei

rifugiati, conosciuta come Convenzione di Ginevra, che aveva l’obiettivo di

realizzare una carta dei diritti che stabilisse i requisiti per il conferimento dello

status di rifugiato, le forme di protezione legale, di assistenza e i diritti sociali

di cui il rifugiato dovrebbe godere negli Stati firmatari, ed infine gli obblighi del

rifugiato nei confronti dello stato ospitante e le categorie di persone che non

possono accedere allo status di rifugiato (per esempio i criminali di guerra).

In base alla definizione contenuta nella Convenzione di Ginevra, il rifugiato è

colui che «per causa di avvenimenti anteriori al 1° gennaio 1951 e nel

giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la

sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le

sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza

e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto

Stato; oppure a chiunque, essendo apolide e trovandosi fuori del suo Stato di

domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato,

non vuole ritornarvi»3 (www.serviziocentrale.it, La tutela dei richiedenti asilo –

Manuale giuridico per l'operatore). Pertanto lo status di rifugiato viene

concesso a chi possiede i seguenti requisiti:

1 Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo 1948, art.3. 2 Idem, art.14 3 Unhcr, Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato 1951, art. 1°.

9

1. un rifugiato è colui che è fuggito dal proprio paese, varcandone i

confini;

2. un rifugiato è colui che possiede «giustificato (o fondato) timore di

persecuzione» che lo riguarda personalmente e direttamente;

3. un rifugiato è colui che ha subito o teme di subire, una persecuzione

per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un

determinato gruppo sociale o di opinione pubblica. A questi si

aggiungono, motivi che riguardano l’identità di genere e l’orientamento

sessuale della persona4 (Rastello L., (2010), La frontiera addosso.

Così si deportano i diritti umani. Torino, Laterza, pp. 195-251)

I citati motivi di persecuzione dovevano riferirsi a situazioni e fatti

avvenuti esclusivamente prima del 1º gennaio 1951.

La Convenzione stabilì inoltre, il principio di non respingimento (non

refoulement) che determina l’impossibilità da parte degli Stati contraenti di

espellere o respingere un richiedente asilo verso le frontiere di Stati dove la

sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate. Infine venne prevista la

possibilità per gli stati ratificanti di depositare una dichiarazione specifica di

limitazione geografica e di optare per una protezione rivolta esclusivamente a

rifugiati di provenienza europea.

Il 31 gennaio 1967 a New York venne però ratificato il Protocollo sullo

status di rifugiato, con l’obiettivo di eliminare il limite temporale (fatti avvenuti

prima del 1º gennaio 1951) e le limitazioni geografiche contenute nella

Convenzione di Ginevra e garantire così il riconoscimento dello status di

rifugiato anche a nuove categorie di persone.

La Convenzione di Ginevra e il Protocollo per i rifugiati costituiscono le

basi normative per l’azione dell’alto Commissariato delle Nazioni Unite per i

4 Inizialmente questi motivi non erano elencati nella Convenzione di Ginevra 1951 ma l’UNHCR, nel 2002, ha pubblicato delle linee guida per la definizione di rifugiato, includendo fra i motivi di persecuzione la violenza sessuale, la tratta, la violenza domestica, la pianificazione familiare forzata, la mutilazione genitale femminile, i delitti d’onore, i matrimoni forzati, le punizioni inflitte a chi infrange le consuetudini sociali e le discriminazioni verso chi ha partner dello stesso sesso.

10

rifugiati e 146 Stati, Italia compresa, aderirono ad uno o ad entrambi gli

strumenti normativi dell’ONU.

Inoltre la Convenzione venne riconosciuta come strumento basilare

dall’Organizzazione per l’unità africana (OUA) per disciplinare la questione

dei rifugiati in Africa e, nel 1969, venne inclusa nella Convenzione

dell’Organizzazione per l’unità africana con l’estensione della definizione di

rifugiato a coloro che abbandonano la propria residenza abituale a causa di

«aggressioni esterne, occupazione, dominio straniero o fatti che rechino un

grave turbamento all’ordine pubblico5» (Rastello L., (2010), La frontiera

addosso. Così si deportano i diritti umani. Torino, Laterza, pp. 195-251).

Un ulteriore ampliamento della definizione venne apportata a seguito

dell’incontro di un gruppo di rappresentanti dei governi, professori universitari

e giuristi centroamericani, con la Dichiarazione di Cartagena nel 1984,

includendo nella definizione di rifugiato coloro che fuggono «perché la loro

vita, la loro sicurezza e la loro libertà è minacciata da violenze generalizzate,

aggressione straniera, conflitto interno, massicce violazioni dei diritti umani o

altre gravi turbative dell’ordine pubblico6» Rastello L., (2010), La frontiera

addosso. Così si deportano i diritti umani. Torino, Laterza, pp. 195-251).

1.2. La legislazione europea

La Comunità Economica Europea, nata nel 1957, aveva come

principale obiettivo quello di creare un’unione economica tra gli stati aderenti

al trattato. Successivamente gli Stati della CEE lavorarono per l’attuazione

del libero movimento di beni, servizi, lavoratori e capitali e per lo sviluppo di

politiche congiunte in materia di lavoro, stato sociale, agricoltura, trasporti e

commercio estero. Tuttavia, in principio, non fu prevista una strategia

sovranazionale in materia di diritto d’asilo e ingresso nei paesi comunitari di

cittadini di Stati Terzi perché vennero ritenute discipline di competenza

statale. Solo nel 1999 venne inserito il titolo “Visti, asilo, immigrazione e altre

politiche connesse con la libera circolazione delle persone” nel Trattato di

5 UNHCR, Convenzione dell’Organizzazione per l’unità africana 1969, art.1.2. 6 UNHCR, Dichiarazione di Cartagena 1984, art.3.3.

11

Amsterdam7, grazie al quale le politiche di immigrazione e di asilo trovarono

spazio in ambito comunitario, con il conseguente passaggio da oggetto di

cooperazione intergovernativa a competenza comunitaria sovranazionale.

Nell’ottobre del 1999 (15-16 ottobre) ci fu il Consiglio Straordinario di

Tampere, allo scopo di risolvere le difficoltà sorte in seguito al Trattato di

Amsterdam e di adoperarsi affinché la Convenzione di Ginevra venisse

rispettata dall’Unione Europea: «l’obiettivo è un’Unione Europea aperta,

sicura e pienamente impegnata a rispettare gli obblighi della Convenzione di

Ginevra relativa allo status dei rifugiati e di altri importanti strumenti

internazionali per i diritti dell’uomo, e capace di rispondere ai bisogni

umanitari con la solidarietà8»; venne stabilito che si sarebbe dovuto attuare

quanto disposto nel Trattato di Amsterdam e che, nel lungo termine, si

sarebbe dovuta realizzare una procedura comune in materia di asilo e creare

uno status uniforme per coloro che fossero riconosciuti come rifugiati.

A seguito di queste disposizioni, nel 1990 venne ratificata la

Convenzione di Dublino che stabilì quale Stato europeo fosse competente

all’esame di una domanda di asilo presentata da cittadini di paesi terzi

richiedenti ingresso in uno degli Stati membri della Comunità Europea. La

Convenzione venne poi sostituita dal Regolamento Dublino II (2003/343/CE)

per garantire non solo l’individuazione nel più breve tempo possibile dello

Stato competente all’esame della domanda del richiedente asilo, ma anche

che venisse rispettato il principio di non refoulement (non respingimento di un

richiedente asilo in un paese nel quale rischia di essere vittima di nuove

persecuzioni), venisse risolto il caso dell’asilo shopping che comportava la

non presa in carico della domanda da parte degli Stati, e il rinvio da uno

Stato all’altro del richiedente asilo, ed infine si risolvesse il caso delle

domande di asilo multiple cioè presentate in più Stati membri.

Il Regolamento Dublino II elenca sei criteri fondamentali per

l’individuazione dello Stato competente all’esame della domanda:

7 Trattato di Amsterdam firmato il 2 ottobre 1997 ma entrato in vigore il 1º maggio 1999. 8 Consiglio Europeo di Tampere 1999, Verso un’unione di libertà, sicurezza e giustizia: i capisaldi di Tampere, art.4.

12

1. criteri relativi al principio dell’unità del nucleo familiare: se il richiedente

è un minore non accompagnato, è competente lo Stato in cui si trova

un suo familiare, purché sia nel migliore interesse del minore. In

mancanza di un familiare, è competente lo Stato in cui il minore ha

presentato domanda;

2. criteri relativi al rilascio di permessi di soggiorno o visti: se il

richiedente possiede titoli di soggiorno validi, lo Stato competente è

quello che ha rilasciato tali titoli;

3. criteri relativi all’ingresso o al soggiorno illegali in uno Stato membro:

a) se il richiedente ha varcato illegalmente le frontiere di uno Stato

membro, questo è competente all’esame della domanda entro dodici

mesi dalla data di attraversamento; b) se il richiedente ha soggiornato

per un periodo continuato di almeno cinque mesi in uno Stato membro

prima di presentare domanda di asilo, quest’ultimo è competente per

l’esame della domanda;

4. criteri relativi all’ingresso legale in uno Stato membro: se il richiedente

è un cittadino di un paese terzo per cui non è richiesto l’obbligo del

visto, l’esame della domanda compete allo Stato membro in cui

questo fa domanda d’asilo;

5. criteri relativi a domanda presentata in una zona internazionale di

transito di un aeroporto: lo Stato competente è quello che riceve la

domanda d’asilo in un aeroporto di sua competenza;

6. criterio detto generale: esso è applicabile quando nessuno Stato

membro può essere designato competente per la domanda di asilo

sulla base dei criteri elencati. In tali casi, è competente il primo Stato

membro nel quale la domanda è stata presentata.

A questi criteri è aggiunta la “clausola umanitaria”, la quale stabilisce

che un qualsiasi stato membro può, pur non essendo competente sulla base

dei criteri definiti dal Regolamento, accettare di esaminare una domanda di

asilo per ragioni umanitarie9.

9 Regolamento Dublino II 2003, http://europa.eu/

13

In seguito alla Conferenza di Tampere venne anche emanata la

decisione 2000/596/CE con la quale venne istituito il Fondo Europeo per i

Rifugiati (FER) per il periodo 2001-2004, che garantiva l’equa ripartizione

delle risorse finalizzate all’accoglienza dei rifugiati e dei richiedenti asilo, tra

gli Stati membri.

Il FER verrà successivamente rinnovato per i periodi 2005-2010 e 2008-2013

attraverso la Decisione 2004/94/CE e l’abrogazione della stessa tramite la

Decisione 2007/573/CE.

Nel 2000 venne anche emanato il Regolamento 2000/2725, con il

quale venne istituito l’Eurodac, un sistema informatico che garantisce la

determinazione dello stato competente all’analisi della domanda d’asilo; esso

utilizza un’unità centrale che dispone di una banca dati nella quale vengono

raccolte le impronte digitali dei richiedenti asilo che fanno la loro domanda in

uno degli Stati membri.

In seguito venne emessa una serie di direttive allo scopo di chiarire

alcuni aspetti del diritto d’asilo e garantire un trattamento uniforme ai rifugiati

all’interno degli Stati della Unione Europea:

• Direttiva 2003/9/CE: accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati

membri. Il fine principale di questa direttiva è quello di garantire al

richiedente asilo una qualità di vita dignitosa e condizioni di vita

omogenee all’interno degli Stati membri, favorendo l’unione del nucleo

familiare nel territorio.

Nello specifico, essa determina le condizioni generali di accoglienza,

permette alla Stato di limitare la libertà di spostamento del richiedente

asilo, di stabilire i tempi di accesso al mercato del lavoro e di tener

conto della specifica situazione di persone vulnerabili (minori non

accompagnati, disabili, anziani, donne in stato di gravidanza, genitori

singoli con figli minori, vittime di torture, stupri o altre forme gravi di

violenza psicologica, fisica o sessuale);

• Direttiva 2004/83/CE conosciuta come Direttiva qualifiche: stabilisce

due tipi di protezione internazionale: lo status di rifugiato e quello di

14

protezione sussidiaria. In precedenza, quest’ultima non esisteva e

l’unica alternativa allo status di rifugiato era la possibilità di ottenere la

protezione umanitaria. La protezione sussidiaria viene concessa al

rifugiato quando è perseguitato per una condanna alla pena di morte,

per torture o trattamenti inumani o degradanti e punizioni o se si trova

in pericolo per una situazione generalizzata di violenza indiscriminata

in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.

Grazie a questa direttiva vennero anche inserite tra gli atti di

persecuzione, le azioni dirette specificatamente contro un sesso.

Attraverso il recepimento di questa direttiva gli Stati membri devono

garantire alcuni diritti:

1. diritto di non respingimento;

2. diritto del richiedente asilo di ricevere comunicazioni in lingue

comprensibili;

3. diritto all’ottenimento di un permesso di soggiorno;

4. diritto all’esercizio di un’attività autonoma e la possibilità di accedere ai

corsi di formazione professionale per gli adulti e all’istruzione per i

minori;

5. il diritto alle cure mediche e psicologiche e a qualsiasi altra forma di

assistenza per le categorie vulnerabili;

6. il diritto ad una sistemazione adeguata;

7. il diritto all’accesso a programmi mirati alla promozione

dell’integrazione all’interno della società o finalizzati a facilitare il

rientro volontario nel paese d’origine;

• Direttiva 2005/85/CE conosciuta come Direttiva procedure: ha il

compito di ridurre le disparità di trattamento nell’analisi delle richieste

d’asilo garantendo la qualità delle decisioni e fornisce delle

disposizioni a cui tutti gli Stati membri devono attenersi:

1. la domanda d’asilo non può essere respinta perché non è stata

presentata tempestivamente;

15

2. le decisioni prese dagli Stati membri devono essere il risultato di un

esame individuale, obiettivo e imparziale;

3. i richiedenti asilo hanno diritto a rimanere sul territorio del paese in cui

hanno presentato domanda fino all’adozione della decisione finale da

parte dell’autorità responsabile;

4. i richiedenti asilo hanno diritto al ricorso effettivo e non possono

essere trattenuti per il solo motivo di aver fatto richiesta di asilo;

• Direttiva 2008/115/CE detta anche Direttiva rimpatri: stabilisce norme

comuni per il rimpatrio di cittadini provenienti da paesi terzi che si

trovano in situazione di soggiorno irregolare e che, pertanto, non

soddisfano le condizioni di ingresso, soggiorno o residenza in uno

Stato membro. La direttiva prevede due tappe nel processo di

rimpatrio: la prima è definita “periodo di partenza volontario”, ha una

durata compresa fra i sette e i trenta giorni e consiste nel fare richiesta

esplicita allo straniero di rimpatriare; la seconda è chiamata “decisione

di rimpatrio”, è di natura coercitiva, consiste nell’allontanamento dello

straniero dallo Stato membro da parte dell’autorità giudiziaria e si

attua in seguito al rifiuto da parte dello stesso, di partire

volontariamente. La Direttiva rimpatri prevede il trattenimento con

parametri comuni in tutti gli Stati e stabilisce il divieto di rientrare nel

territorio dell’Unione Europea per un periodo non superiore ai cinque

anni per coloro i quali non abbiano beneficiato del ritorno volontario o

non abbiano rispettato l’obbligo di rimpatrio. La direttiva evidenzia la

necessità di considerare l’interesse superiore del minore - che deve

essere ricondotto ad un membro della famiglia, ad un tutore designato

o presso strutture di accoglienza nel paese di ritorno -, la vita

familiare, le condizioni di salute delle persone coinvolte e il rispetto del

principio di non respingimento.

Infine, nel panorama della legislazione europea in materia di diritto

d’asilo e rifugiati, nel 2009 venne inserito nel Trattato di Lisbona il titolo

“Politiche relative ai controlli alle frontiere” che, nell’articolo 63, paragrafo 2 si

16

occupa di chiarire che il Parlamento e il Consiglio europeo adottano un

sistema comune in materia di asilo, basato su dei criteri imprescindibili:

• uniformità dello status di asilo politico e di protezione sussidiaria;

• procedure comuni per la concessione e la revoca degli status;

• sistema comune di protezione degli sfollati;

• criteri e meccanismi per la determinazione dello Stato membro

competente per l’esame della domanda;

• norme riguardanti l’accoglienza;

• partenariato e cooperazione con gli Stati terzi con la finalità di gestire i

flussi di richiedenti asilo.

Inoltre, nel caso di afflussi improvvisi di cittadini provenienti da paesi

terzi, il paragrafo 3 dell’articolo 63 dello stesso Trattato prevede la possibilità

di adottare misure temporanee a vantaggio degli Stati in situazione di

emergenza.

1.3. Legislazione italiana

Come già precedentemente affermato, il diritto d’asilo è uno dei diritti

fondamentali dell’uomo, sancito dalle norme di diritto internazionale e

riconosciuto anche dallo Stato italiano che, con il comma terzo dell’articolo

10 della Costituzione afferma: «Lo straniero, al quale sia impedito nel suo

paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla

Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo

le condizioni stabilite dalla legge» (www.governo.it).

Inoltre l’Italia ha aderito alla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951

che definisce lo status di rifugiato, al successivo Protocollo del 31 gennaio

1967 e alla Convenzione di Dublino del 15 giugno 1990, che determina lo

Stato membro dell’Unione Europea competente all’esame della domanda

d’asilo. Tuttavia, lo Stato italiano non ha una legge nazionale organica in

materia di asilo.

17

Il primo intervento in materia di immigrazione e rifugiati è

rappresentato dalla Legge Martelli, legge 39/90 (1990) che abolì la riserva

geografica che precedentemente circoscriveva il riconoscimento dello status

di rifugiato ai soli soggetti provenienti dall’Europa e introdusse una

programmazione degli ingressi in Italia per motivi di lavoro dei cittadini

extracomunitari.

Nel 1998 la Legge Turco-Napolitano, legge 40/98, introdusse ed

istituzionalizzò i CPTA, Centri di permanenza temporanea e accoglienza,

oggi chiamati CIE, Centri di identificazione ed espulsione, che dovevano

contenere tutti gli stranieri sottoposti a provvedimenti di espulsione e/o

respingimento. Inoltre la legge Turco-Napolitano incluse nell’ordinamento

italiano il permesso di soggiorno per motivi umanitari, rilasciato nel caso in

cui ricorrano gravi motivi di carattere umanitario.

Nel 2002 la Legge Bossi-Fini, legge 189/02, entrata in vigore

pienamente nel 2005, introdusse una procedura di asilo oggi venuta meno

che prevedeva una procedura semplificata in aggiunta a quella ordinaria. La

procedura semplificata, veniva applicata in due casi: a) richiedente straniero

fermato in condizioni di soggiorno irregolare; b) richiedente straniero già

destinatario di un provvedimento di espulsione. In entrambi i casi era compito

del questore stabilire il luogo di trattenimento del richiedente.

Nonostante la Legge Bossi-Fini precisasse che lo straniero non

potesse essere trattenuto per il solo fatto di aver presentato domanda d’asilo,

di fatto introduceva due forme di trattenimento: la prima obbligatoria, in base

a quanto stabilito dalla procedura semplificata, e la seconda facoltativa, nel

caso fosse risultato necessario verificare l’identità dello straniero richiedente.

Inoltre la legge Bossi-Fini istituì le Commissioni Territoriali e la Commissione

Nazionale, che garantiscono, rispettivamente, l’esame in modo decentrato

delle domande d’asilo e il coordinamento, la formazione e l’aggiornamento

delle stesse commissioni. Infine la legge istituì il Sistema di protezione per i

richiedenti asilo e i rifugiati (SPRAR), costituito dalla rete degli enti locali che

realizza progetti di accoglienza integrata.

18

In seguito alla Legge Bossi-Fini vennero emanati alcuni decreti

legislativi in materia di richiedenti asilo e rifugiati:

• D.Lgs. 85/03, Direttiva sui minori stranieri non accompagnati:

stabilisce che all’arrivo alla frontiera di un minore, che esprima la

volontà di richiedere lo status di rifugiato, egli venga accompagnato ed

affidato immediatamente alle strutture di protezione per i richiedenti

asilo e i rifugiati (SPRAR). Inoltre tutti i pubblici ufficiali e gli esercenti

dei pubblici servizi che vengono in contatto con i suddetti minori,

devono garantire loro tutte le informazioni sulla facoltà di richiedere il

diritto d’asilo, utilizzando modalità adeguate all’età del minore e

usufruendo dell’aiuto di mediatori culturali;

• D.Lgs. 140/05, in seguito alla ricezione della Direttiva comunitaria

2003/9/CE sull’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri.

Grazie a questo decreto vennero stabilite le norme sull’accoglienza

degli stranieri richiedenti lo status di rifugiato nel territorio italiano, in

linea con gli standard europei e con il diritto internazionale dei rifugiati.

• D.Lgs. 251/07, emanato in seguito alla ricezione delle Direttiva

comunitaria 2004/83/CE (Direttiva qualifiche), introduce la categoria di

protezione sussidiaria, che viene attribuita dalla Commissione

territoriale al richiedente qualora non sussistano i requisiti per il

riconoscimento della qualifica di rifugiato; essa è caratterizzata

dall’essere un vero e proprio status come la qualifica di rifugiato. Il

decreto introduce inoltre la tutela del nucleo familiare per entrambi i

tipi di protezione: i beneficiari di protezione potranno essere ricongiunti

o, se si trovano in Italia, ottenere un permesso per motivi di famiglia;

• D.Lgs. 25/2008, a seguito della Direttiva comunitaria 2005/85/CE

(Direttiva procedure), stabilì l’ampliamento del numero delle

Commissioni territoriali a dieci che vennero rinominate Commissioni

territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale e la

soppressione dei Centri di identificazione (Cdi) che vennero sostituiti

dai Centri accoglienza richiedenti asilo (Cara). Il D.Lgs. 25/2008 ha

19

successivamente subito alcune modifiche e integrazioni, a seguito

dell’entrata in vigore, nel novembre 2008, del D.Lgs 159/08, che fa

parte del “pacchetto sicurezza” (una serie di misure legislative in

materia di sicurezza che presenta alcune disposizioni volte a

contrastare l’immigrazione clandestina e a fare fronte a questioni di

ordine e sicurezza pubblica connesse con il fenomeno migratorio) e

che introduce:

1. restrizioni alla libertà di circolazione dei richiedenti asilo nel caso di

ricorso contro le decisioni di diniego di domande considerate

manifestatamente infondate;

2. estensione del trattenimento obbligatorio dei richiedenti asilo che sono

oggetto di un provvedimento di respingimento al momento del loro

arrivo in Italia;

3. dimezzamento dei termini di ricorso per i richiedenti asilo trattenuti;

• D.L. 11/09 reca misure urgenti in materia di sicurezza pubblica, di

contrasto alla violenza sessuale nonché in tema di atti persecutori.

L’articolo 5 stabilisce la possibilità di prolungare, fino ad un massimo

di sei mesi i tempi di trattenimento dello straniero nei centri di

identificazione ed espulsione, lasciando in ogni caso libertà al

questore di eseguire l’espulsione e il respingimento anche prima della

scadenza del termine.

Infine gli ultimi provvedimenti in materia di rifugiati risalgono al 2011:

infatti, in seguito alla crisi che ha attraversato i Paesi del Nord Africa e

all’ulteriore afflusso di persone sulle coste italiane, è stato dichiarato lo stato

di emergenza umanitaria in tutto il territorio nazionale fino al 31 dicembre

2011 (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 12 febbraio 2011), poi

prorogato al 31 dicembre 2012 (D.P.C.M. 6 ottobre 2011). Tale dichiarazione

ha consentito l’adozione dell’ordinanza di protezione civile del Presidente del

consiglio del 18 febbraio 2011, n. 3924, che ha adottato i primi provvedimenti

di urgenza tra cui la nomina del Capo della protezione civile quale

20

Commissario delegato per la realizzazione degli interventi necessari in

materia.

Nel marzo 2011, successivamente all’intervento militare in Libia, il

Governo, le Regioni e gli enti locali hanno sancito un accordo che prevedeva

un piano di accoglienza straordinario per la sistemazione di circa 50.000

profughi nel territorio italiano.

Il 5 aprile 2011 è stata sottoscritta a Tunisi un’ intesa tra Italia e

Tunisia che impegna le autorità del Paese nordafricano a rafforzare i controlli

per evitare nuove partenze e ad accettare il rimpatrio diretto per i nuovi arrivi

in Italia. Ai cittadini provenienti dei Paesi nordafricani sbarcati in Italia è stato

concesso un permesso di soggiorno temporaneo per protezione umanitaria,

per consentire la loro libera circolazione nei Paesi dell'area Schengen

(D.P.C.M. 5 aprile 2011). La durata del permesso di soggiorno, inizialmente

fissata a sei mesi, è stata poi prorogata di altri sei mesi dal D.P.C.M. 6

ottobre 2011 e di ulteriori 6 mesi dal D.P.C.M. 15 maggio 2012.

Il 31 dicembre 2012 è stata dichiarata la cessazione dello stato di

emergenza e il rientro nella gestione ordinaria da parte del Ministero

dell’interno e delle altre amministrazioni competenti (Ordinanza del Capo

Dipartimento della protezione civile 28 dicembre 2012, n. 33). Questo ha

comportato l’adozione da parte dei Prefetti di percorsi di uscita dei profughi

dalle strutture di accoglienza che si è tradotto in ulteriori sessanta giorni di

regime ordinario di accoglienza, usufruendo delle risorse rimanenti e

successiva corresponsione di 500 Euro a persona quale misura di uscita.

Con il D.P.C.M. del 28 febbraio 2013 è stata disciplinata la cessazione

delle misure umanitarie di protezione temporanea dei rifugiati, prevedendo

che essi possano presentare, entro il 31 marzo 2013, domanda di rimpatrio

assistito nel Paese di provenienza o di origine, oppure possano presentare

domanda di conversione dei permessi di soggiorno per motivi umanitari in

permessi per lavoro, famiglia, studio e formazione professionale. In

mancanza di una di queste due opzioni si prevede l'espulsione.

21

Capitolo 2

Richiesta d’asilo: la procedura italiana

Come precedentemente affermato, l’Italia rientra tra gli Stati firmatari

della Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato e del successivo

Protocollo e, pertanto, garantisce la protezione internazionale, nonostante

non possieda ancora una legge organica in materia di diritto d’asilo. L’iter per

la richiesta d’asilo consta di diverse fasi che verranno successivamente

illustrate e comporta il coinvolgimento di molteplici enti e organismi nazionali.

È necessario precisare che, a causa della mancanza di una normativa unica,

i passaggi elencati di seguito possono variare a seconda della Questura e

del luogo in cui si presenta la propria domanda.

2.1. Domanda d’asilo in quattro tappe.

Il percorso che un richiedente asilo deve affrontare consiste di quattro

fasi:

1. Domanda d’asilo: è personale e il richiedente deve presentarla presso

la polizia di frontiera al momento di arrivo sul suolo italiano o presso

una Questura, all’ufficio immigrazione, qualora si trovasse già in Italia.

La Questura che prende in carico la domanda ha la responsabilità di

seguire il richiedente fino all’acquisizione della decisione, garantendo

il collegamento di quest’ultimo con la Commissione territoriale. Inoltre

deve informare il richiedente sui suoi diritti e doveri e fissare gli

22

appuntamenti necessari affinché egli concluda l’iter di domanda in

Italia;

2. Fotosegnalamento e compilazione del modello C3: la seconda fase

del percorso consiste nella presa delle impronte digitali e delle

fotografie segnaletiche. Successivamente il richiedente deve

compilare il modello C3, che consiste in un foglio notizie in cui egli

deve specificare i suoi dati personali (nome, cognome, nazionalità,

data di nascita), i dati personali dei suoi familiari, il viaggio dal paese

di origine fino all’Italia e infine il racconto sintetico delle motivazioni

che l’hanno spinto a lasciare il suo paese. Le dichiarazioni possono

essere fatte nella lingua madre del richiedente o in qualsiasi altra

lingua che gli permetta la piena espressione.

In questa fase la Questura ritira tutti i documenti originali in possesso

del richiedente (carta d’identità, passaporto, lasciapassare, visti,

certificati, tessere di partito) lasciandogli solo una copia, col timbro

“verbale di consegna”. La Questura redige un verbale in seguito alle

dichiarazioni del modello C3, vi allega i documenti e questa

documentazione costituisce il dossier personale del richiedente che

egli stesso deve firmare per l’approvazione e verrà inviato alla

Commissione territoriale di competenza, qualora l’Italia risultasse il

Paese responsabile all’analisi della domanda.

La competenza di uno Stato è verificata dall’Unità Dublino, un

ufficio appositamente creato presso il Dipartimento per le libertà civili e

l’immigrazione del Ministero dell’Interno, che decide se la presa in

carico della domanda spetta all’Italia, in base alle informazioni sul

richiedente di cui dispone, fornitegli dalla polizia. In seguito all’invio

della domanda d’asilo al ministero dell’Interno, la Questura deve

rilasciare al richiedente un permesso di soggiorno che può essere:

a) permesso di soggiorno, motivo: Convenzione di Dublino che ha

validità un mese ed è rinnovabile fino a quando le autorità italiane non

abbiano verificato che l’Italia è il Paese responsabile all’analisi della

domanda;

23

b) permesso di soggiorno, motivo: Richiesta d’asilo che ha validità tre

mesi ed è rinnovabile fino all’audizione con la Commissione

territoriale.

Infine la Questura deve valutare se il neorichiedente rientra in

uno dei casi di accoglienza o trattenimento nei CARA (Centro di

accoglienza per richiedenti asilo) o nei CIE (Centri di identificazione ed

espulsione) ed è responsabile della segnalazione alla Prefettura

dell’eventuale necessità di reperimento di un posto Sprar (Sistema di

protezione richiedenti asilo e rifugiati). A causa dell’insufficienza dei

posti SPRAR, l’ex D.Lgs. 140/05 ha stabilito che è possibile inviare i

richiedenti asilo, in via temporanea e/o eccezionale, presso i centri per

stranieri. Inoltre essi possono essere inviati presso altri circuiti di

accoglienza non specifici per i richiedenti asilo o, in mancanza di

inserimento del richiedente in un progetto, dovrebbe essergli

corrisposta una somma di denaro giornaliera10;

3. Audizione presso la Commissione territoriale di competenza: questa è

un organismo nominato con decreto del presidente del Consiglio dei

ministri su proposta del ministro dell’Interno e si occupa di esaminare

e valutare le domande d’asilo presentate in territorio italiano.

Inizialmente, esisteva una Commissione unica con sede a Roma ma

dal 2008 il numero delle Commissioni è stato ampliato a dieci per

ridurre i tempi di esame delle domande. Le Commissioni si trovano a

Gorizia (competente delle domande presentate nelle regioni Friuli-

Venezia Giulia, Veneto e Trentino Alto Adige), Milano (competente

delle domande presentate in Lombardia) Roma (competente delle

domande presentate in Lazio, Abruzzo, Sardegna, Marche, Umbria e

Toscana), Foggia (per l’analisi delle domande presentate nelle

provincie di Foggia e Barletta-Andria-Trani), Siracusa (per le domande

presentate in provincia di Siracusa, Ragusa, Caltanissetta e Catania),

Crotone (competente per le domande presentate nelle regioni

Calabria e Basilicata), Trapani (competente per le domande

10

Attualmente, in Italia questa non è una cosa che avviene nella pratica.

24

presentate nelle provincie di Agrigento, Trapani, Messina, Enna e

Palermo) , Bari (per le domande presentate nelle provincie di Bari,

Brindisi, Lecce e Taranto) Caserta (per le domande presentate nelle

regioni Campania e Molise) e Torino (competente per le domande

presentate nelle regioni Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria ed Emilia

Romagna11).

Ogni Commissione Territoriale è composta da quattro membri,

la cui carica ha durata triennale ed è rinnovabile:

• un funzionario prefettizio, con funzioni di presidente;

• un funzionario delle polizia di stato;

• un rappresentante di un ente territoriale (Comune, Provincia, Regione

facente capo alla sede della Commissione territoriale);

• un rappresentante dell’ UNHCR.

Il richiedente asilo deve essere convocato ad udienza, tramite

lettera di convocazione, presso la Commissione territoriale di

competenza, entro trenta giorni dalla ricezione della domanda d’asilo.

L’audizione consiste in un colloquio personale con i quattro membri della

Commissione che si struttura attraverso una serie di domande (le

medesime del modello C3), volte ad approfondire le ragioni che hanno

spinto il soggetto a lasciare il paese d’origine e i motivi per cui non è più

possibile farvi ritorno. Ci sono situazioni particolari previste dalla legge in

cui, è ammessa la presenza di terze persone come l’avvocato, il

personale di sostegno nel caso il richiedente sia portatore di particolari

esigenze12 o un genitore oppure, in loro assenza, il tutore nel caso di

minori. È inoltre possibile sostenere l’audizione con un solo membro delle

Commissione, dello stesso sesso del richiedente e infine, è prevista la

11 Dall’agosto 2010 è stata istituita una Sezione distaccata a Bologna con competenza sull’Emilia Romagna e sulla città di Prato. 12 Rientrano nei soggetti portatori di particolari esigenze i casi di vulnerabilità. Il D.Lgs. 140/5 definisce come vulnerabili i disabili, gli anziani, le donne in stato di gravidanza, i genitori singoli con figli minori, persone per le quali si è accertato che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza fisica, psicologica o sessuale.

25

presenza di un mediatore linguistico per permettere al richiedente di

esprimersi nella propria lingua madre.

La Commissione ha inoltre, la facoltà di:

• concedere l’asilo evitando che il richiedente compaia davanti alla

Commissione per l’audizione nel caso in cui ritenga la domanda

palesemente fondata o quando la situazione del richiedente è

particolarmente delicata per motivi di vulnerabilità. Inoltre, l’esame

prioritario è concesso anche ai richiedenti che sono trattenuti nei CIE

e sono sottoposti ad un provvedimento di espulsione;

• dichiarare inammissibile una domanda qualora si tratti di un rifugiato

riconosciuto o di un caso di diniego che non ha prodotto nuova

documentazione o su cui sussistano fatti innovativi;

• sospendere e rinviare un’audizione nel caso in cui il richiedente non

sia in grado di sostenere il colloquio, ci siano problemi legati al

reperimento della documentazione o sussistano problemi di

comunicazione con l’interprete.

Infine la Commissione territoriale deve:

• non far trapelare le dichiarazioni rilasciate dai richiedenti nelle

audizioni perché strettamente personali e non divulgabili;

• esaminare ogni singolo caso in relazione alla situazione del paese di

origine del richiedente asilo e, se necessario, dei paesi in cui egli è

transitato, alla luce di notizie precise ed aggiornate13;

• consegnare al richiedente, al termine dell’audizione, una copia del

verbale da sottoporre alla sua firma e conseguente accettazione;

• decidere in merito alla domanda d’asilo entro i successivi tre giorni

dall’audizione e informare immediatamente la Questura che ne darà

notifica al richiedente;

4. L’acquisizione della decisione della Commissione territoriale: la

Questura contatta il richiedente e fissa un appuntamento per la

13 Le informazioni dei paesi di provenienza sono reperite dalla Commissione territoriale o elaborate sulla base dei dati forniti dall’UNHCR o dal Ministero degli Interni.

26

consegna del verdetto della Commissione territoriale. Le decisioni che

la Commissione territoriale può prendere sono molteplici:

• riconoscere e concedere lo status di rifugiato politico e rilasciare un

permesso di soggiorno che ha validità cinque anni ed è sempre

rinnovabile;

• riconoscere e concedere la protezione sussidiaria nel caso in cui

ritenga che esista un rischio effettivo di pericolo, nel caso di ritorno nel

paese di origine del rifugiato e conseguente rilascio di un permesso

che ha validità tre anni ed è rinnovabile;

• non riconoscere lo status di rifugiato o di protezione sussidiaria ma,

ritenendo che esistano gravi problemi umanitari, raccomandare alla

Questura il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari

che ha validità un anno;

• non riconoscere lo status di rifugiato e rigettare la domanda: diniego;

• rigettare la domanda per manifesta infondatezza quando si ritenga

palese l’insussistenza di ogni presupposto per il riconoscimento dello

status di rifugiato ovvero, si ritenga che la domanda sia stata

presentata con il solo obiettivo di ritardare o impedire un

provvedimento di espulsione o respingimento;

La decisione della Commissione territoriale viene comunicata per

iscritto entro i tre giorni feriali successivi alla data dell’udienza e, in caso di

diniego, contiene la dicitura “nota” in cui vengono riportati i mezzi di

impugnazione plausibili.

Dal 2008 l’unico mezzo di impugnazione della decisione da parte del

richiedente è il ricorso, che deve essere presentato al Tribunale ordinario

competente per il territorio in cui ha sede la Commissione territoriale o, per i

casi CARA e CIE, presso il Tribunale ordinario nel distretto di Corte d’Appello

dove si trova il centro. Il ricorso va presentato entro trenta giorni dalla data di

comunicazione della decisione della Commissione territoriale o entro quindici

giorni se il richiedente è ospite di un CARA o di un CIE.

Il richiedente ha la possibilità di presentare ricorso in tre casi:

27

• contro la decisione della Commissione territoriale, qualora gli sia stata

riconosciuta unicamente la protezione sussidiaria e gli sia stato negato

lo status di rifugiato;

• contro la decisione della Commissione Nazionale, nel caso di revoca o

cessazione dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria;

• contro la decisione di diniego da parte della Commissione territoriale,

qualora il richiedente ritenga che non siano stati valutati correttamente

tutti gli elementi presentati.

In caso di ricorso è necessario che il richiedente sia assistito da un

avvocato e, se non ha la possibilità di pagarlo personalmente, può richiedere

un’assistenza legale gratuita (gratuito patrocinio a spese dello Stato). Nel

caso in cui anche il Tribunale neghi la concessione della protezione

internazionale, il richiedente può fare reclamo alla Corte d’Appello e, contro

la sentenza di quest’ultima, ricorrere alla Cassazione.

L’alternativa al ricorso, nel caso in cui il richiedente abbia ricevuto un

diniego, è il rimpatrio volontario e assistito che dovrebbe essere garantito dal

PNA (Programma Nazionale Asilo); il quale dovrebbe supportare il

richiedente nel ritorno al proprio Paese garantendo un servizio di

orientamento, l’assistenza per l’ottenimento di documenti di viaggio da parte

delle autorità consolari preposte, l’organizzazione e la copertura delle spese

di viaggio fino a destinazione ed infine, un sostegno economico per la prima

sistemazione e il reinserimento nel tessuto sociale di destinazione.

Nel caso in cui la Commissione territoriale accolga la richiesta d’asilo

e riconosca la protezione internazionale, viene rilasciato un provvedimento

comprovante il riconoscimento e il titolare di protezione può ritirare presso la

Questura il permesso di soggiorno. Tutti i permessi di soggiorno (rifugio

politico, protezione sussidiaria e protezione umanitaria) sono convertibili alla

scadenza in permesso di soggiorno per motivi di lavoro.

Lo status di rifugiato comporta in Italia il diritto di ottenere lo stesso

trattamento e uno status giuridico uguale a quello di cui godono i cittadini

italiani. Inoltre il rifugiato ha una serie di diritti fra cui l’accesso alla

28

legislazione del lavoro, il diritto al ricongiungimento familiare senza il

soddisfacimento delle disponibilità di alloggio e reddito previste per gli

stranieri, l’assistenza sociale e sanitaria con conseguente iscrizione

obbligatoria al Servizio Sanitario Nazionale, un documento di viaggio e la

possibilità di circolare nel territorio dell’Unione Europea (Regno Unito e

Danimarca escluse), l’istruzione pubblica, la cittadinanza italiana dopo cinque

anni, la possibilità di contrarre matrimonio, partecipare all’assegnazione di

alloggi pubblici e ottenere la patente di guida.

Il titolare di protezione sussidiaria può accedere al lavoro a condizione

che il contratto non superi la durata del permesso di soggiorno, ha diritto al

ricongiungimento familiare secondo i limiti di legge, all’assistenza

sociosanitaria, alla partecipazione degli alloggi pubblici e ad avere un

documento di viaggio nel caso in cui non possieda un passaporto. Infine, il

titolare di protezione umanitaria può accedere al lavoro con un contratto che

non superi la durata del permesso di soggiorno, ha diritto all’assistenza

sanitaria e ad avere un documento di viaggio nel caso in cui non disponga di

passaporto.

Per poter godere dei diritti sopra elencati, come la possibilità di

contrarre matrimonio, l’ottenimento della patente di guida o l’inserimento

nelle graduatorie degli alloggi pubblici, i titolari di protezione internazionale

devono essere in possesso della residenza italiana ma spesso faticano a

vedersela riconosciuta da parte dei Comuni, con conseguenti difficoltà nella

conquista dei propri diritti.

29

Capitolo 3

Richiedenti asilo e rifugiati in Italia

Risulta fondamentale per comprendere maggiormente la materia di cui

si sta trattando, fornire alcuni dati statistici che illustrino il numero di richieste

d’asilo presentate in Italia, gli esiti che queste hanno ottenuto e i principali

paesi di provenienza delle persone che richiedono protezione. Inevitabile in

questa analisi è il riferimento al rapporto statistico dell’UNHCR; si tratta,

come segnalato in precedenza, dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i

Rifugiati che si occupa anche di redigere annualmente il rapporto “Global

Refugees Trends in Industrialized countries” sui flussi di persone richiedenti

protezione in 55 paesi definiti industrializzati, tra cui figura anche l’Italia, che

mensilmente forniscono i dati riguardanti le richieste d’asilo ricevute.

Molto utile è inoltre il “Rapporto annuale del Sistema di Protezione per

Richiedenti Asilo e Rifugiati”, che si concentra sulla situazione italiana e,

grazie al quale, si ottiene anche un’anticipazione sui dati riguardanti il 2012,

ancora non disponibili dall’UNHCR.

Risultano di poco superiori a 8.000 le domande di asilo presentate in

Italia nei primi sei mesi del 2012 e circa 16.000 sono le richieste di

protezione esaminate dalle Commissioni territoriali nel medesimo periodo.

3.1. Domande di protezione internazionale: i numeri italiani

Di seguito sono elencati i dati relativi alle richieste di protezione

internazionale presentate in Italia negli ultimi quattro anni, dal 2008 al 2011,

in seguito alla consultazione del rapporto annuale dell’UNHCR e del rapporto

annuale SPRAR.

30

Come è possibile osservare nella Tabella 1, nel 2011 in Italia sono

state presentate 37.350 domande di protezione internazionale, il 208,1% in

più rispetto al 2010 (12.121). L’aumento delle domande è attribuito in

particolare a quella che è stata comunemente definita “emergenza Nord

Africa”, con grandi flussi migratori seguiti ai moti di indipendenza nati

all’interno dei movimenti della Primavera Araba che hanno coinvolto

principalmente Tunisia, Algeria, Egitto, Libia ma anche Siria, Bahrein,

Yemen, Giordania e Gibuti.

Nonostante le richieste avanzate nel 2011 in Italia siano nettamente

superiori al 2010, risultano inferiori o consimili a quelle presentate in alcuni

paesi europei come Francia (56.300), Germania (53.300), Belgio (31.900),

Regno Unito (26.400) 14 e pertanto non così atipiche.

Le istanze complessivamente esaminate dalle Commissioni Territoriali

italiane nel 2011 sono state 25.626 e al 40,1 % dei richiedenti è stata

riconosciuta una forma di protezione internazionale: all’8% lo status di

rifugiato; al 10% quello di protezione sussidiaria e al 22,1% la protezione

umanitaria. Nel complesso le decisioni positive prese nel 2011, che

corrispondono al 40,14%, risultano inferiori ai dinieghi, che si aggirano

intorno al 43,46%. Inoltre è possibile aggiungere che tra il 2008 e il 2011 si è

registrato un incremento delle domande di asilo pari al 17,7%. Ma se

consideriamo le richieste presentate nel 2009 e nel 2010, si nota un netto

calo delle domande in questi due anni: rispettivamente 19.090 nel primo e

12.121 nel secondo. Tale andamento è imputabile, in particolar modo,

all’entrata in vigore dell’accordo Italia–Libia, il quale impegnava la Libia a

contrastare l’immigrazione clandestina verso le coste italiane.

Infine, confrontando i dati dei quattro anni indicati nella tabella 1, i

dinieghi variano dal 33,45% del 2010 al 44,57% del 2009, mentre le decisioni

positive variano dal 40,09% del 2009 al 54,26% del 2008.

14 Richiedenti asilo in Europa, fonte Eurostat: http://epp.eurostat.ec.europa.eu/

31

Tabella 1: Rifugiati in Italia (raffronto 2008-2011)

2011

2010

2009

2008

DOMANDE

D’ASILO

PRESENTATE

37.350

12.121

19.090

31.723

DOMANDE

D’ASILO

ESAMINATE

25.626

14.042

25.113

23.175

DINIEGO 11.131

(43.46%)

4.698

(33.45%)

11.193

(44.57%)

9.219

(39,77%)

DECISIONI

POSITIVE

10.288

(40.14%)

7.558

(53.82%)

10.070

(40.09%)

12.576

(54,26%)

STATUS DI

RIFUGIATO

2.057

(8.02%)

2.094

(14.91%)

2.328

(9.27%)

2.009

(8.66%)

PROTEZIONE

SUSSIDIARIA

2.569

(10.02%)

1.789

(12.74%)

5.331

(21.22%)

6.946

(29.97%)

32

PROTEZIONE

UMANITARIA

5.662

(22.06%)

3.675

(26.17%)

2.411

(9.60%)

3.621

(15.62%)

ALTRO ESITO

E

IRREPERIBILI

4.207

(16.41%)

1.786

(12.71%)

3.850

(15.33%)

1.380

(5.95%)

3.2. Nazionalità dei richiedenti asilo in Italia.

Nella tabella 2 sono forniti i dati relativi ai paesi di provenienza dei

richiedenti protezione in Italia, relativi agli ultimi anni, dal 2008 al 2011,

mentre quelli del 2012 si riferiscono solo ai primi sei mesi dell’anno (gennaio-

giugno).

Tabella 2: Nazionalità dei richiedenti asilo in Italia15

2012 2011 2010 2009 2008

PRIMO

PAESE

D’ORIGIN

E

Pakistan

2.366

Nigeria

6.210

Ex Jugoslavia

2.249

(18.55%)

Nigeria 4.274

(22.38%)

Nigeria 6.142

(19.36%)

SECOND

O PAESE

D’ORIGIN

E

Nigeria

1.513

Tunisia 4.560

Nigeria 1.632

(13.46%)

Somalia 1.617

(8.47%)

Somalia 4.960

(15.63%)

TERZO

PAESE

Afghanista

n 1.364

Ghana 3.130

Pakistan 1.115

(9.19%)

Pakistan 1.475

(7.72%)

Eritrea 3.085

(9.72%) QUARTO Tunisia Mali Turchia Banglades Ghana

15 Fonti: Eurostat: http://epp.eurostat.ec.europa.eu/ ; Commissione Nazionale per il diritto d’asilo: http://www.interno.gov.it/; UNHCR: http://www.unhcr.it/

33

PAESE 852 2.582 1.020 (8.41%)

h 1.403

(7.34%)

1.909 (6.01%)

QUINTO

PAESE

Ghana

803

Pakista

n

2.058

Afghanistan

999 (8.24%)

Eritrea 1.109

(5.80%)

Afghanistan

1.840 (5.80%)

Confrontando i dati si nota che i primi cinque paesi di origine dei

cittadini stranieri che hanno presentato le domande di asilo in Italia

appartengono a due continenti: africano e asiatico. L’Africa è il territorio da

cui, tra il 2008 e il 2011, è pervenuto il maggior numero di domande di asilo,

mentre l’Asia si colloca nella seconda fascia. Valori minori sono quelli

contenuti nella terza fascia, riconducibili alle richieste di asilo presentate da

cittadini provenienti dall’Est Europa e Sud America.

Come precedentemente affermato, tra il 1° gennaio e il 30 giugno

2012 le domande di asilo presentate in Italia sono state di poco superiori alle

ottomila, un numero nettamente inferiore, seppur riferito ai soli primi sei mesi

dell’anno, alle domande presentate nel 2011, anno caratterizzato da elevati

flussi migratori.

Come si può osservare nel Grafico 1, mentre nel 2011 sono stati i

cittadini nigeriani ad aver presentato il maggior numero di domande (6.210),

a cui seguivano i tunisini (4.560) e i ghanesi (3.130), nei primi sei mesi del

2012 la Nigeria rappresenta il secondo paese di provenienza per numero di

domande presentate, e sono stati i cittadini pakistani (che nel 2011 erano il

quinto paese di provenienza) a richiedere maggiore protezione. Il terzo

paese di provenienza nel 2012 è l’Afghanistan, seguito da Tunisia e Ghana

che nell’anno precedente rappresentavano rispettivamente il secondo e il

terzo paese per numero di richieste.

Grafico 1: Richieste d’asilo in Italia nel 2011 e 2012 da parte dei cinque maggiori Paesi

34

3.3. Richiedenti asilo a Torino e in Piemonte.

Per focalizzare l’attenzione sull’accoglienza e le situazione abitative di

cui godono i richiedenti asilo e rifugiati, si è deciso di concentrare l’indagine

sulla regione Piemonte e in particolare sulla città di Torino per entrare

realmente nel merito della questione. Pertanto, di seguito vengono forniti i

dati relativi al numero di persone che hanno fatto richiesta d’asilo in

Piemonte nell’anno 2011 e ai loro Paesi di provenienza, basandosi sui dati

statistici forniti dalla Prefettura di Torino che fanno riferimento a quanto

riportato dalla Commissione Territoriale di Torino, competente per le

domande presentate nelle regioni Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria ed Emilia

Romagna16.

Per una maggiore comprensione dei flussi che riguardano il 2011 e

l’anno successivo, il 2012, va ricordato che a seguito dell’Ordinanza del

Presidente del Consiglio dei Ministri del 12 febbraio 2011 è stato dichiarato lo

stato di emergenza umanitaria nel territorio nazionale per l’eccezionale

afflusso di cittadini provenienti dai Paesi del Nord Africa, situazione resa

ancora più complessa dal conflitto in corso nel territorio libico e

dall’evoluzione degli assetti politico-sociali nei paesi della fascia del Maghreb

e in Egitto. La diretta conseguenza della citata ordinanza è stata la

16 Dall’agosto 2010 è stata istituita una Sezione distaccata a Bologna con competenza sull’Emilia Romagna e sulla città di Prato.

35

realizzazione di un Piano di Accoglienza per rispondere operativamente

all’emergenza umanitaria, assicurando la prima accoglienza e garantendo

l’equa distribuzione sul territorio nazionale dei profughi e dei migranti arrivati

in Italia dai Paesi del Nord Africa, i quali sono stati destinati alle diverse

regioni, con la conseguente assegnazione al Piemonte di 1.909 persone:

sono però state realmente accolte 1699 persone. Di queste, tra coloro che

erano domiciliati nelle strutture della provincia di Torino, hanno presentato

richiesta di protezione internazionale solo 193, provenienti dai Paesi indicati

di seguito, nel Grafico 2.

Come si può osservare, i principali Paesi di provenienza per numero di

richieste sono Costa d’Avorio, Nigeria, Mali, Bangladesh, Ghana e Somalia.

Qui compare anche la distinzione di genere, dalla quale si può evincere che i

richiedenti sono prevalentemente uomini; infatti, solo nel caso di tre Paesi

(Gambia, Ghana e Nigeria), si registrano domande da parte di donne.

Grafico 2: Domande d'asilo esaminate - suddivisione per nazionalità e per genere

36

Ai dati riguardanti la provincia di Torino si possono aggiungere i

restanti richiedenti asilo domiciliati nel territorio regionale le cui provenienze

non si discostano dai dati provinciali, in quanto le nazionalità sono le stesse,

con aggiunta di tre cittadini algerini e del Ciad. Se, al contrario, si fa

riferimento alle richieste di protezione internazionale non legate

all’Emergenza Nord Africa, esaminate dalla stessa Commissione di Torino

nel corso del 2011, esse risultano essere 491 e, come si può notare nella

sottostante Tabella 3, esiste una maggiore varietà di nazionalità dei

richiedenti asilo. Si vede inoltre che le istanze sono ulteriormente suddivise

per genere, appare nuovamente evidente una preponderanza di domande

maschili, che per alcuni Paesi come per esempio Bangladesh, Afghanistan,

Pakistan, Algeria ed Egitto, rappresenta la totalità di richieste presentate.

I primi cinque Paesi di origine per numero di richieste d’asilo

presentate risultano essere: Nigeria, con un totale di 233 domande, Tunisia

62, Turchia 39, Bangladesh 19 e infine Iran, con 14 richieste di protezione.

Tabella 3: Istanze d'asilo presentate alla Commissione di Torino - suddivise per nazionalità e per genere

NAZIONE TOTALE MASCHI FEMMINE

Nigeria 233 63 170

Tunisia 62 55 7

Turchia 39 37 2

Bangladesh 19 19 0

Iran 14 10 4

Afghanistan 12 12 0

Costa d’Avorio 9 7 2

37

Pakistan 9 9 0

Senegal 8 7 1

Libia 7 5 2

Rep.Dem. del

Congo

7 3 4

Marocco 6 5 1

Algeria 5 5 0

Congo 5 5 0

Ghana 5 4 1

Liberia 5 2 3

Sierra Leone 5 4 1

Armenia 4 2 2

Egitto 4 4 0

Somalia 4 1 3

Albania 3 3 0

Camerun 3 1 2

Cuba 2 0 2

Gabon 2 2 0

Gambia 2 2 0

Guinea 2 2 0

38

Kosovo 2 1 1

Sudan 2 1 1

Colombia 1 1 0

Georgia 1 1 0

Iraq 1 1 0

Mauritania 1 1 0

Messico 1 0 1

Moldavia 1 0 1

Palestina 1 1 0

Rep.

Centrafricana

1 1 0

Ruanda 1 0 1

Togo 1 1 0

Uganda 1 1 0

Totale 491 279 212

3.4. Perché rifugiati?: breve inquadramento storico-politico

A questo punto, è indispensabile indagare le motivazioni storico-

politiche che hanno spinto tante persone a lasciare il proprio Paese d’origine.

Come si è accennato, i Paesi da cui i richiedenti asilo fuggono sono

molti, prevalentemente africani o asiatici, e il loro numero varia proprio in

base agli eventi che coinvolgono i diversi Stati e che minacciano la sicurezza

39

personale dei migranti; cercando di focalizzare l’attenzione sulle provenienze

di coloro che hanno presentato domanda d’asilo negli ultimi anni, risulta

indispensabile descrivere i moti rivoluzionari iniziati nel dicembre 2010, e in

parte tuttora in corso, che hanno interessato l’area del Nord Africa e il Medio

Oriente e che sono conosciuti come “Primavera araba”.

Il Paese capofila delle proteste è stato la Tunisia, con la “Rivoluzione

dei Gelsomini”, iniziata il 17 dicembre 2010, quando a Sidi Bouzid un

venditore ambulante di verdure – Mohamed Bouazizi – si è dato fuoco

perché esasperato dall’impossibilità di svolgere e guadagnare con il proprio

lavoro. A partire dal gesto del venditore ambulante, si sono moltiplicate le

proteste di strada in tutte le città del paese, con la richiesta di lavoro, dignità

e libertà. I Tunisini si sono mobilitati per chiedere la fine della dittatura

ultraventennale di Zine El-Abidine Ben Ali e hanno conseguito l’obiettivo

quando il 14 gennaio 2011 il presidente è scappato in Arabia Saudita. Gli

scontri hanno determinato morti e la formazione di molteplici governi ad

interim che hanno condotto a nuove manifestazioni di piazza.

A partire dalla Rivoluzione dei Gelsomini si è innescata una serie di reazioni

a catena che hanno coinvolto gli altri paesi limitrofi e hanno condotto alla

fuga di massa dei tunisini verso l’Europa. I principali motivi che hanno portato

alla rivolta della popolazione tunisina e che accomunano la Tunisia ad Egitto,

Algeria, Libia, Siria e gli altri Paesi condizionati dalle rivolte, sono stati la

disoccupazione, la corruzione, l’aumento dei prezzi dei beni primari e il

perdurare di regimi autoritari (www.viedifuga.org).

È indispensabile sottolineare che, i richiedenti asilo provenienti dai

Paesi sopraccitati non sono esclusivamente cittadini di questi Stati ma

spesso possiedono altre nazionalità: provengono da Stati africani da cui sono

scappati precedentemente perché logorati da guerre civili e lotte intestine.

Pertanto, facendo riferimento alla classifica dei Paesi di provenienza citata

precedentemente relativa al territorio nazionale nel periodo 2011-2012, si è

deciso di fornire un quadro dell’assetto politico dei principali Paesi che

40

costringono i propri cittadini a fuggire, per comprendere a fondo cosa si celi

dietro la decisione di abbandonare il proprio Paese di origine17.

PAKISTAN

Il Pakistan (o Repubblica Islamica del Pakistan) è uno stato asiatico

confinante con India, Afghanistan, Iran e Cina. Lo stato attuale è nato il 14

agosto 1947 dalla scissione con l’India di cui faceva precedentemente parte.

È una federazione di provincie e di territori che hanno leggi proprie ma che

sono sottoposti formalmente al controllo del governo centrale.

17 Fonti schede Paese: Vie di fuga - Osservatorio permanente sui rifugiati: http://viedifuga.org/; Coordinamento Non solo Asilo: http://www.nonsoloasilo.org;

41

Il Pakistan è una repubblica federale in cui i due maggiori partiti politici

sono il Partito del Popolo Pakistano (PPP) e la Lega Musulmana Pakistana

(PML-Q). La storia del Pakistan è intessuta di feroci dittature militari durate

fino alla fine degli anni ’90 del 1900. Nel 1999 il generale Pervez Musharraf

prese il potere in Pakistan con un colpo di stato e rimase presidente del

paese fino al 2007. Il presidente odierno della repubblica è il rappresentante

del PPP Asif Ali Zardari, vedovo di Benazir Bhutto, ex primo ministro del

paese uccisa nel 2007 durante la campagna per le elezioni nazionali del

2008.

Esistono due zone di guerra in Pakistan: la prima, nella zona del

Kashmir, conteso da India e Pakistan fin dall’anno dell’indipendenza dei due

paesi, nel 1947; la seconda riguarda le aree tribali di amministrazione

federale FATA, che sono governate a livello nominale dal governo pakistano

ma in realtà sono controllate dalle tribù Pashtun, fieramente indipendenti, che

le abitano.

Nel 1893 l’impero britannico stabilì una linea di confine fra il Pakistan e

l’Afghanistan tagliando in due i territori abitati dall’etnia Pashtun e lasciando

uno strettissimo collegamento fra i due paesi. Questa divisione ha portato

allo scoppio di conflitti interni, soprattutto nel distretto del Waziristan, dove

trovano rifugio molti Talebani in fuga dall’Afghanistan, invaso dalle forze

statunitensi. Oltre all’esercito pakistano dispiegato nel Waziristan sono

diventati periodici anche i bombardamenti statunitensi.

Altro distretto del FATA a essere oggetto di scontri è il Belucistan,

terra ricca di risorse naturali che combatte fin dagli anni ’50 per l’autonomia,

tentativo represso da parte del governo di Islamabad. Gli attentati in

Belucistan sono diventati ormai quotidiani, spingendo migliaia di profughi

verso altri paesi o altre zone del Pakistan (www.fiedifuga.org).

NIGERIA

42

La Nigeria è uno stato africano che confina ad est con il Ciad e il

Camerun, ad ovest con il Benin, a sud con il golfo di Guinea e a nord con il

Niger. Ha ottenuto la totale indipendenza dal colonialismo britannico il 1

ottobre 1960; è una repubblica federale suddivisa in 36 stati ai quali si

aggiunge, il Territorio della Capitale Federale ( Abuja).

Tra la metà degli anni ’60 e la fine degli anni ’90 del secolo scorso la

storia politica nigeriana ha conosciuto scontri violenti e un susseguirsi di colpi

di stato militari. Le prime elezioni libere si hanno nel 1999 con l’elezione del

presidente federale Olusegun Obasanjo, rappresentante del People’s

Democratic Party, poi riconfermato nelle successive elezioni del 2003.

Attualmente i due principali partiti politici sono il People’s Democratic Party

(PDP) e l’All Nigerian People’s Party (ANPP ).

Nel 2007 si sono svolte le nuove elezione vinte da Umaru Yar’Adua, delfino

dell’ex Presidente ed anch’esso esponente del PDP, votazioni duramente

contestate dai partiti delle opposizione per brogli elettorali.

I numerosi scontri che sono avvenuti e che tutt’oggi avvengono in

Nigeria, sono legati principalmente a due questioni distinte: religiosa e del

petrolio. La maggior parte dei conflitti legati alla questione del petrolio

avvengono in prossimità del Delta del Niger, zona che nell’ultimo decennio è

stata maggiormente sfruttata per l’estrazione del greggio dalle più grosse

compagnie petrolifere internazionali. Negli anni gruppi di guerriglia hanno

43

intrapreso azioni di sabotaggio, sequestri di persona e guerriglia nelle aree

interessate, per ribellarsi al continuo sfruttamento della regione che riduce gli

abitanti in miseria. Per contrastare le operazioni di guerriglia l’intera zona del

Delta è stata militarizzata e ciò causa continui scontri armati fra i gruppi di

guerriglieri, l’esercito nigeriano e le milizie paramilitari.

Nel 2006 si è costituito il Movimento per l’emancipazione del Delta del

Niger (MEND), un gruppo paramilitare che ha dichiarato guerra aperta alle

principali compagnie petrolifere presenti sul territorio e il cui obiettivo è quello

di liberare il territorio dalle compagnie petrolifere e ricavare benefici per

l’intera popolazione del Delta.

Per quanto riguarda la questione religiosa, la natura degli scontri

nasce dalla compresenza del culto islamico, prevalentemente professato nel

nord del paese e del culto cristiano, più presente a sud. La situazione si è

aggravata irrimediabilmente nel 2000, quando molti stati della Nigeria

settentrionale hanno deciso di ignorare il veto costituzionale, introducendo

nei propri territori la Sharìa (legge islamica) e dando così il via ad un

susseguirsi di scontri che sono tutt’oggi in corso e che causano migliaia di

vittime e sfollati (www.viedifuga.org).

AFGHANISTAN

44

L’Afghanistan è uno stato dell’Asia centrale che confina con Iran,

Turkmenistan, Pakistan, Uzbekistan, Tagikistan e con la Cina, nel cosiddetto

corridoio del Vacan. Nel Paese coabitano popoli di origine iranica, turca e

indiana; le lingue ufficiali sono due e riflettono i due gruppi etnici prevalenti: il

dari (gruppo persiano) e il pashtu (gruppo pashtun). L’Afghanistan è diviso a

livello amministrativo in 34 province, a loro volta suddivise in distretti; a capo

di ogni provincia c’è un governatore nominato dal Ministro degli Interni che

rappresenta il governo centrale.

Dal 2001 l’Afghanistan è nominalmente una repubblica presidenziale

guidata da Hamid Karzai, primo presidente eletto nel 2002, che ha dovuto

affrontare pesanti accuse di brogli durante le ultime elezioni del 2009, accuse

che hanno messo temporaneamente in discussione il verdetto del voto.

La legge fondamentale del paese è la carta costituzionale di 160

articoli, approvata nel 2004, che delinea un regime presidenziale forte, nel

quale l’Islam trova una collocazione centrale.

La situazione politica del paese è instabile a causa della persistente

occupazione straniera, della corruzione dilagante, dei signori della guerra

che occupano, e di fatto governano, intere zone del paese, portando avanti

scontri fra diverse fazioni armate.

L’Afghanistan non conosce un periodo di pace duratura dagli anni ’70

del 1900. Una permanente guerra civile coinvolge da decenni tutto il territorio

e a questa si è sommata l’occupazione straniera, prima dell’ex Unione

Sovietica (1979) poi di un contingente di forze guidato dagli USA (2001), a

seguito dell’attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono. Quest’ultima

occupazione, tutt’ora in corso, iniziata da George Bush, aveva come scopo il

rovesciamento del governo dei Talebani guidati dal Mullah Omar, lo

smantellamento di al-Qaeda e di conseguenza del terrorismo islamico.

In risposta ai continui attentati nelle principali città, la coalizione di

forze straniere capeggiate dagli USA, procede ad un graduale e continuo

rinforzo che conduce nel 2006 a una nuova azione nel sud, zona ancora

sotto il controllo dei Talebani e dei narcotrafficanti.

45

Questo intervento nasce soprattutto dal fatto che l’Afghanistan è il maggior

produttore mondiale di oppio, dai cui ricavi tutte le forze irregolari del paese

acquistano armi. Questa situazione interna, produce una continua e

ininterrotta crescita del numero di persone che lasciano il paese e fanno

domanda di asilo. La maggior parte non raggiunge però i paesi europei ma

trova un primo e immediato rifugio nel vicino Pakistan e in Iran

(www.viedifuga.org).

MALI

Il Mali è uno stato dell’Africa occidentale che confina al nord con

l’Algeria, a est con il Niger, a sud con il Burkina Faso e la Costa d’Avorio, a

sud-ovest con la Guinea e ad ovest con il Senegal e la Mauritania. Qui le

condizioni di vita sono precarie per la maggior parte della popolazione, come

attestano l’alta mortalità infantile (122‰), la bassa speranza di vita (48 anni),

46

l’elevato tasso di analfabetismo (81%) e le carenti condizioni igienico

sanitarie che favoriscono il diffondersi di epidemie e la propagazione

dell’AIDS. Il francese è l’unica lingua ufficiale e molte lingue minoritarie

cominciano a scomparire; nel paese è parlata anche la lingua tuareg nel

nord, l’arabo è la lingua franca.

Il Mali proclama la sua indipendenza dalla Francia nel 1960. Il primo

presidente eletto è Modibo Keita, che in poco tempo instaura un regime con

partito unico, deposto nel 1968 con un sanguinoso colpo di stato militare che

porta al potere Moussa Traoré. Un altro colpo di stato militare spodesta

Traoré nel 1991. I militari decidono di formare un governo di transizione civile

che porta nel 1992 alle prime elezioni democratiche, con Alpha Oumar

Konare eletto presidente. Alla fine del suo secondo mandato è sostituito nel

2002 da Amadou Toumani Touré, che viene rieletto nel 2007.

All’inizio del 2010 nell’Azawad (il territorio a nord di Timbuctu) nasce

un movimento per l’autodeterminazione chiamato Mouvement pour la

libération nationale de l’Azawad (MNLA) e il 6 aprile 2012, dopo una serie di

vittorie contro l’esercito maliano, proclama l’indipendenza dell’Azawad, con la

creazione di un Consiglio di transizione di Stato di Azawad – CTEA. Nel

medesimo periodo, però, compaiono come co-attori e protagonisti anche il

movimento radicale islamico Ansar Dine, il Movimento per l’Unità e la Jihad

in Africa occidentale – MUJAO e Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM).

Il 22 marzo 2012 un gruppo di soldati prende il potere con un colpo di

stato ma il nuovo governo non riconosce il MNLA ed inizia una serie di azioni

militari. A complicare la situazione, la componente tuareg, che assume la

denominazione di al-Qa’ida nel Maghreb islamico, prende il controllo del

settentrione del Paese. Il MNLA si appella all’ONU, denunciando pogrom ai

danni dei Tuareg e l’esistenza di narcotrafficanti nella zona settentrionale del

Mali. Anche il governo provvisorio richiede un intervento militare dell’ONU.

L’ONU, con un documento del 12 ottobre 2012, accetta l’esistenza del

“problema Mali” ma evita di spingere per un intervento militare immediato

(caldeggiato invece dalla Francia), dando al Segretario Generale Ban Ki-

moon un primo mandato a tempo – 45 giorni – per indagare ed elaborare una

47

strategia. Ban Ki-moon sceglie Romano Prodi come inviato delle Nazioni

Unite per il Sahel e per una prima presa di contatto con il governo maliano.

L’ONU sposa contemporaneamente due ipotesi: quella dell’opzione militare

proposta dal presidente francese, Francois Hollande, che non vede

alternativa alle armi, e quella dell’azione diplomatica caldeggiata dall’Algeria,

che spinge per una soluzione negoziale.

Il 10 gennaio 2013, a seguito dell’avanzata dei miliziani islamisti verso sud e

dell’occupazione della città di Konna, nel centro del paese, il presidente ad

interim Dioncounda Traoré, lancia un appello e il presidente francese

François Hollande decide di rispondere alle richieste di aiuto del governo di

Bamako, dando un supporto all’esercito del Mali nella sua offensiva. Lo

scontro politico interno in Francia è immediato: appare evidente che alla

base della scelta di Hollande ci sia la tutela dei propri interessi nella regione,

in particolare in Niger, ricco di uranio: la Francia non può permettersi che gli

altri Paesi della regione (e quindi l’estrazione dell’uranio da cui dipendono le

centrali francesi) vengano messi in pericolo. L’Europa non nega il suo

appoggio alla Francia e fra i Paesi sostenitori rientra anche l’Italia. Per le

truppe franco-governative non risulta difficile la risalita verso il nord del Mali:

il 28 gennaio 2013 riprendono il pieno controllo della città di Timbuctu, dopo

averne liberato l’aeroporto e controllato tutti gli accessi a seguito di

un’operazione congiunta iniziata nella notte del 27. La città, patrimonio

dell’Unesco, era sotto il controllo dei gruppi alqaedisti dal giugno 2012.

La situazione che imperversa dal gennaio 2012 nella regione

dell’Azawad, ha generato un flusso incessante di sfollati che continua a

spostarsi dal Nord del Mali verso il Sud del paese, in fuga dagli scontri

armati, dalle violenze e dall’insicurezza economica. Inoltre la crisi politica e

l’occupazione militare di forze contrarie al Governo che divide in due il paese

sta spingendo un numero crescente di persone a lasciare i propri villaggi e le

proprie case (www.viedifuga.org).

48

Capitolo 4

L’accoglienza in Italia

È utile ricordare che l’accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati in

Italia è garantita e regolata dal Decreto Legislativo n. 140 dell’anno 2005 in

attuazione della direttiva 2003/9/CE concernente le norme minime relative

all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri. Da questo documento

emerge che l’accesso alle misure d’accoglienza previste dovrebbe essere

disposto dal momento della presentazione della domanda d’asilo (effettuata

entro 8 giorni dall’ingresso nel territorio nazionale, salvo ricorrano cause di

forza maggiore) ed essere assicurato, previa valutazione della Prefettura, a

chi risulta privo di mezzi sufficienti a garantire una qualità di vita adeguata

per la salute e per il sostentamento proprio e dei propri familiari18. Inoltre il

richiedente ha diritto ad essere informato sulla normativa in materia di asilo e

sul funzionamento interno della struttura di accoglienza in cui è ospitato, e ha

diritto di comunicare con parenti, avvocati, rappresentanti dell’UNHCR (Alto

18 D.Lgs. 30 maggio 2005, n. 140 art.5, in materia di “Norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo”

49

Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati), associazioni ed enti di

tutela (art. 9 D.Lgs. 140/05, art. 9 D.P.R. n. 304/04, art. 11 D.P.R. n. 304/04).

L’accoglienza deve protrarsi per il tempo necessario all’esame della

domanda e può prolungarsi in caso di ricorso avverso ad un’eventuale

decisione negativa (www.serviziocentrale.it, 2007b)

Nel tentativo di dare applicazione al suddetto Decreto, si è sviluppato

sul territorio nazionale un sistema di accoglienza per i richiedenti asilo che è

strutturato attraverso diverse tipologie di centri di accoglienza e di centri di

trattenimento: CPSA, CDA, CARA, CIE e SPRAR.

I Centri di primo soccorso e accoglienza (CPSA) sono stati istituiti

con Decreto interministeriale del 16 febbraio 2006 e sono le prime strutture in

cui viene ospitato il potenziale richiedente asilo. Garantiscono la prima

accoglienza e il soccorso alle persone appena arrivate in Italia e,

generalmente, il trattenimento presso queste strutture non supera le 48 ore,

con il conseguente trasferimento presso altri centri (www.nonsoloasilo.org).

Nei Centri di Accoglienza (CDA), istituiti con la Legge n. 563/95,

vengono ospitati tutti gli stranieri irregolari rintracciati sul territorio nazionale o

fermati al passaggio di frontiera. Queste strutture, non essendo adibite ad

accoglienza esclusiva dei richiedenti asilo, hanno la finalità di fornire una

forma di prima assistenza e di emanare un provvedimento che stabilisca la

condizione giuridica degli ospiti, definendone l’identità e la legittimità della

loro permanenza o la disposizione di un eventuale allontanamento dal

territorio italiano (www.nonsoloasilo.org).

I CARA sono i Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo, istituiti

con Decreto Legislativo del 28 gennaio del 2008, che hanno come principale

obiettivo quello di definire l’identità personale. Sono strutture nelle quali i

richiedenti protezione internazionale sono ospitati qualora si verifichino i casi

espressamente previsti dall’art. 20 del decreto citato, ovvero quando: a) è

necessario verificare o determinare la nazionalità o l’identità della persona; b)

50

il richiedente ha presentato la domanda dopo essere stato fermato per aver

eluso o tentato di eludere il controllo di frontiera o subito dopo; c) quando il

richiedente ha presentato la domanda dopo essere stato fermato in

condizioni di soggiorno irregolare.

La permanenza presso il CARA nel primo caso è correlato al tempo

necessario allo svolgimento degli adempimenti finalizzati all’identificazione

del richiedente e, comunque, per non più di 20 giorni. Negli altri due casi il

periodo di accoglienza si protrae per il tempo necessario all’esame della

domanda e, comunque, per non più di 35 giorni.

Allo scadere dei termini predetti il richiedente ha diritto al rilascio di un

permesso di soggiorno di durata trimestrale, rinnovabile sino alla decisione

della domanda. Invero, il periodo di permanenza dei richiedenti asilo nei

CARA è mediamente più lungo e si protrae sino alla comunicazione della

decisione adottata dalla Commissione Territoriale. La norma prevede che il

richiedente asilo ospitato nei CARA abbia diritto all’uscita nelle ore diurne

senza che sia necessario richiedere alcuna autorizzazione; esclusivamente

nei casi in cui il richiedente debba allontanarsi per periodi di tempo superiori

o diversi, ha l’obbligo di chiedere al Prefetto territorialmente competente

l’autorizzazione all’allontanamento temporaneo.

Infine, nel corso della permanenza nel CARA, non è rilasciato il titolo

di soggiorno provvisorio ma solo un attestato nominativo e i richiedenti asilo

sono privi di residenza e di iscrizione al servizio sanitario nazionale

(www.nonsoloasilo.org).

I CIE, ovvero i Centri di identificazione e Espulsione (ex CPT:

Centri di Permanenza Temporanea) sono stati istituiti dalla legge Turco-

Napolitano nel 1998 e rinominati secondo la dicitura attuale nel 2008. Hanno

la funzione di consentire accertamenti sull’identità di persone detenute in

vista di una possibile espulsione.

Il richiedente asilo non può mai essere trattenuto al solo fine

dell’esame della domanda presentata, tuttavia l’art. 21 del D.Lgs. n. 25/08

prevede la possibilità di trattenimento in tre casi: a) il richiedente si trova

51

nelle condizioni previste dall’art. 1 par f) della convenzione di Ginevra; b) è

stato condannato in Italia per un reato per cui è previsto l’arresto obbligatorio

in flagranza, ovvero per i reati inerenti gli stupefacenti, la libertà sessuale e il

favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e reati inerenti la

prostituzione o sfruttamento di minori; c) il richiedente è destinatario di un

provvedimento di espulsione o respingimento. Il richiedente protezione

internazionale può essere trattenuto fino a 210 giorni, nel corso dei quali non

può essere rimpatriato (www.nonsoloasilo.org).

Lo SPRAR è il Sistema di Protezione e Accoglienza di Richiedenti

Asilo e Rifugiati diffuso su tutto il territorio nazionale e previsto dalla Legge

n. 189/2002. È un sistema di accoglienza fondato sul coinvolgimento delle

istituzioni centrali e locali al quale possono accedere tutti i richiedenti asilo

che non debbano essere obbligatoriamente inviati nei CARA o nei CIE ai

sensi degli artt. 20 e 21 D.Lgs. 25/08. Secondo le indicazioni delle Linee

Guida del Ministero dell’Interno (Decreto Ministeriale del 22 luglio 2008 come

modificato dal Decreto ministeriale del 5 agosto 2010, punto 3), il richiedente

ha diritto all’accoglienza nello SPRAR fino alla notifica della decisione della

Commissione Territoriale.

Nell’ipotesi di riconoscimento della protezione internazionale o

umanitaria, il periodo di permanenza in accoglienza non potrà comunque

superare complessivamente i sei mesi. I tempi di accoglienza dei titolari di

protezione internazionale e umanitaria possono essere comunque prorogati

per circostanze eccezionali, debitamente motivate, anche in relazione ai

percorsi di integrazione avviati o a comprovate necessità. Nell’ipotesi, invece,

di decisione negativa della Commissione Territoriale, il richiedente protezione

internazionale può permanere in accoglienza per la durata del ricorso

giurisdizionale o, comunque, finché non gli sia consentito di svolgere attività

lavorativa ai sensi dell’art. 11 c. 1 del D.Lgs. 140/05 e sempre nel caso in cui

le sue condizioni fisiche non gli consentano di svolgere alcuna attività

lavorativa (Giovannetti M., 2011).

52

È bene precisare che la distribuzione delle strutture descritte sul

territorio nazionale non è omogenea. Mentre i CPSA sono presenti in Sicilia e

Sardegna, i CDA/CARA si trovano in Sicilia, Puglia, Calabria, Marche, Friuli e

Lazio; i centri della rete SPRAR sono presenti in tutta Italia tranne che in

Valle d’Aosta e i CIE sono in Sicilia, Puglia, Calabria, Friuli, Lazio, Emilia

Romagna, Lombardia e Piemonte. Bisogna aggiungere a quest’elenco i

Centri Polifunzionali che sono sorti in quattro regioni Lazio, Toscana,

Piemonte e Lombardia e i centri della Protezione Civile presenti in tutta Italia

tranne che in Abruzzo a causa della ricostruzione post terremoto.

I Centri Polifunzionali sono nati nel 2007 in alcune città

metropolitane: Roma, Milano, Firenze e Torino, sulla base di accordi

sottoscritti tra i Comuni e il Ministero dell’Interno per «l’attivazione di centri

polifunzionali per lo svolgimento in comune di attività in favore di richiedenti

asilo, rifugiati e protetti umanitari» (Giovannetti M., 2011). Questo modello

organizzativo, avente carattere temporaneo, è stato ideato per le città che

devono affrontare la maggiore emergenza dovuta al grande numero di

stranieri titolari di protezione internazionale o appartenenti a categorie

vulnerabili. Non in tutte le città i centri sono coordinati con lo SPRAR.

I Centri delle Protezione Civile sono nati in seguito al già

precedentemente descritto decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri

del 12 febbraio 2011, con il quale è stato dichiarato fino al 31 dicembre 2011,

poi prorogato fino a dicembre 2012, lo stato di emergenza umanitaria nel

territorio nazionale in relazione all’eccezionale afflusso di cittadini

appartenenti ai Paesi del Nord Africa. A questo documento è seguito

l’Accordo stipulato il 6 aprile 2011 tra il Governo, le Regioni, l’ANCI e l’UPI,

che ha assegnato al sistema di protezione civile nazionale il compito della

pianificazione delle attività necessarie alla dislocazione nelle singole regioni

dei cittadini extracomunitari in modo equilibrato.

Il Piano di Accoglienza, emanato il 12 aprile 2011 dal Dipartimento

della Protezione civile, stabilisce che la distribuzione sul territorio è

53

determinata in base alla percentuale relativa di popolazione residente in ogni

singola regione o provincia autonoma rispetto al totale nazionale, mediante

un sistema modulare che individua per ogni territorio il numero massimo di

migranti da accogliere in rapporto agli arrivi. Inoltre è necessario sottolineare

che le norme di accoglienza in Italia prevedono delle attenzioni specifiche per

alcune categorie di persone, con l’indicazione precisa dei luoghi che devono

essere preposti ad ospitarli:

• minore straniero non accompagnato: l’accoglienza deve sempre

essere garantita tenendo in primaria considerazione il suo interesse

superiore e deve essere ispirata ad assicurare un sereno sviluppo

psicofisico del fanciullo che ha diritto a crescere in un ambiente sicuro

e ospitale: l’accoglienza deve avvenire ad opera dell’ente locale, in

conformità delle disposizioni del Tribunale dei Minorenni, e nell’ambito

dei posti di accoglienza espressamente riservati nel sistema SPRAR.

Il minore non può in nessun caso essere trattenuto presso un CARA

e/o un CIE. L’accoglienza del minore titolare di protezione

internazionale o umanitaria può protrarsi fino a sei mesi dal

compimento della maggiore età e sono consentite ulteriori proroghe

sulla base delle esigenze dei percorsi di integrazione presso strutture

dedicate ai maggiorenni;

• nuclei familiari: l’accoglienza deve essere garantita nel rispetto del

diritto all’unità familiare, evitando la separazione dei nuclei familiari, e

in strutture idonee alla presenza di figli minori;

• donne in stato di gravidanza e disabili: ove possibile deve essere

garantita l’accoglienza in idonee strutture esterne ai centri CARA e/o

CIE (art. 8, D.P.R. n. 303/04);

• portatrici di esigenze particolari: l’accoglienza deve essere sempre

organizzata tenendo in considerazione la situazione individuale e

personale del richiedente, predisponendo, laddove necessario, tutti gli

interventi di sostegno psicologico e sanitario necessari. Le Linee

Guida del Ministero dell’Interno dispongono che gli enti locali che

offrono servizi di accoglienza a persone con disagio mentale e con

54

necessità di assistenza sanitaria e domiciliare, specialistica e/o

prolungata, sono tenuti a garantire la loro stretta collaborazione con i

servizi socio-sanitari locali e le realtà del privato sociale, nonché a

dimostrare la comprovata esperienza nella presa in carico di tali

tipologie di beneficiari (Decreto Ministeriale del 22 luglio 2008 come

modificato nel 2010).

Infine è bene precisare che le misure di accoglienza possono essere

revocate con decreto del Prefetto qualora il richiedente asilo: a) non si

presenti presso la struttura individuata o abbandoni immotivatamente la

struttura stessa; b) non si presenti all’audizione in Commissione Territoriale;

c) abbia già in precedenza presentato in Italia domanda di protezione

internazionale; d) abbia mezzi economici sufficienti, e accertati, per garantirsi

l’assistenza; e) abbia violato ripetutamente le regole della struttura di

accoglienza. Qualora si verifichi il primo caso, e il richiedente protezione

internazionale si ripresenti volontariamente alla struttura, il Prefetto, sulla

base degli elementi addotti dal richiedente, può disporre il ripristino delle

misure di accoglienza.

4.1. SPRAR: per saperne di più.

Come anticipato precedentemente, il sistema di accoglienza per i

richiedenti protezione internazionale è organizzato attraverso disparate e

molteplici strutture con finalità diverse e destinate ad ospitare persone

differenti. I centri di prima accoglienza (CPSA e CARA) sono importanti per

garantire un’assistenza ad individui che arrivano in Italia dopo lunghi percorsi

migratori ma diventa fondamentale soprattutto la seconda accoglienza,

quella che dovrebbe essere garantita a tutti coloro che lo necessitano, dallo

SPRAR, il Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati.

Lo SPRAR è costituito dalla rete degli enti locali che, per la

realizzazione di progetti di accoglienza integrata, accedono, nei limiti delle

risorse disponibili, al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo. È

55

bene ricordare che le caratteristiche principali del Sistema di protezione

sono:

• il carattere pubblico delle risorse messe a disposizione e degli enti

politicamente responsabili dell'accoglienza, Ministero dell'Interno ed

enti locali;

• la volontarietà degli enti locali nella partecipazione alla rete dei progetti

di accoglienza;

• il decentramento degli interventi di "accoglienza integrata";

• le sinergie avviate sul territorio con gli "enti gestori", i soggetti del terzo

settore che contribuiscono in maniera essenziale alla realizzazione

degli interventi;

• la promozione e lo sviluppo di reti locali, con il coinvolgimento di tutti

gli attori e gli interlocutori privilegiati per la riuscita delle misure di

accoglienza, protezione, integrazione in favore di richiedenti e titolari

di protezione internazionale.

Per accoglienza integrata s’intendono degli interventi finalizzati non

solo a fornire vitto e alloggio ma anche, e soprattutto, la realizzazione di

attività di accompagnamento sociale, indirizzate alla conoscenza del territorio

e all'effettivo accesso ai servizi locali (fra i quali l'assistenza socio-sanitaria),

attraverso la costruzione di percorsi individuali di inserimento socio-

economico. Sono previste attività per facilitare l'apprendimento dell'italiano e

l'istruzione degli adulti, l'iscrizione a scuola dei minori in età dell'obbligo

scolastico, nonché ulteriori interventi di informazione legale sulla procedura

per il riconoscimento della protezione internazionale e sui diritti e doveri dei

beneficiari in relazione al loro status. In particolare, sono sviluppati, percorsi

formativi e di riqualificazione professionale per promuovere l'inserimento

lavorativo, così come sono approntate misure per l'accesso alla casa. Sono

presenti progetti specializzati per l'accoglienza e il sostegno di persone

portatrici di specifiche vulnerabilità. Infine, secondo un approccio

all'accoglienza che prevede un’apertura dei progetti SPRAR ai propri territori

e al lavoro in rete, sono promosse iniziative per informare e sensibilizzare le

56

comunità cittadine alla conoscenza della realtà del diritto di asilo e della

condizione di richiedenti e titolari di protezione internazionale. Occasione

centrale per iniziative di questo genere è il 20 giugno, Giornata mondiale del

rifugiato.

4.1.1. Le strutture abitative destinate all’accoglienza

Le strutture abitative dedicate all’accoglienza dei beneficiari all’interno

della rete dello SPRAR sono suddivise in tre tipologie: appartamenti (74%),

centri collettivi (20%) e comunità alloggio (6%). Le abitazioni hanno in

comune la capacità di ospitare ciascuna un numero limitato di persone e la

collocazione all’interno del centro abitato o comunque in una zona limitrofa e

tendenzialmente ben collegata dal servizio di mezzi pubblici.

Se si focalizza l’attenzione sull’anno 2011, grazie ai dati forniti dal

Rapporto annuale del Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati

2011/2012, risulta che i servizi complessivamente erogati dai progetti

territoriali dello SPRAR durante l’anno sono stati pari a 38.552, il 9% in più

rispetto al 2010: l’incremento è da imputarsi al maggior numero di posti che

sono stati messi a disposizione per l’accoglienza, in particolare grazie alle

risorse straordinarie dell’otto per mille e della Protezione Civile (Ordinanza

del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3933/2011 con validità prorogata

fino al 31/12/2012 per le misure di accoglienza straordinaria messe in atto

nell’ambito della cosiddetta Emergenza Nord Africa) .

I progetti finanziati dal Fondo Nazionale per le Politiche e i Servizi

dell’Asilo (FNPSA) per il 2011 sono stati complessivamente 151, di cui 111

destinati all’accoglienza di beneficiari appartenenti alle categorie ordinarie e

40 riservati all’accoglienza delle “categorie vulnerabili”, quali disabili anche

temporanei, persone che richiedono assistenza domiciliare, sanitaria

specialistica e prolungata, vittime di tortura e/o di violenza, minori non

accompagnati, anziani, donne sole in stato di gravidanza, nuclei

monoparentali e persone con disagio mentale.

Complessivamente, i progetti finanziati hanno reso disponibili 3.000

posti in accoglienza, di cui 2.500 destinati alle categorie ordinarie e 500 a

57

quelle vulnerabili (di questi 50 hanno servizi per la presa in carico di persone

con disagio mentale).

Gli enti locali titolari di progetto sono stati complessivamente 128, di

cui 110 Comuni, 16 Province e 2 Unioni di comuni. Ne vanno aggiunti

ulteriori 816, attivati dalla rete dello SPRAR per le misure di accoglienza

straordinaria coordinate dal Dipartimento nazionale di Protezione Civile e 163

posti in strutture implementate grazie alle risorse otto per mille.

La rete dello SPRAR nel suo complesso ha contemplato, per il biennio

2011/2012, 3.979 posti di accoglienza.

Oltre ai posti SPRAR esistono i cosiddetti extra SPRAR: si tratta

normalmente di un circuito di accoglienza (dormitori, mense ecc.) che le città

italiane hanno strutturato negli anni per le più varie necessità e che finisce

anche per accogliere i richiedenti asilo e i rifugiati quando non esistono

alternative valide. I posti extra SPRAR non garantiscono il percorso di

“accoglienza integrata” alla base dello stesso progetto ministeriale ma solo i

servizi e i beni di prima necessità come il tetto, il letto e il cibo. Essi sono la

controprova dell’insufficienza del sistema (il numero di posti messi a

disposizione dallo SPRAR è nettamente inferiore rispetto al numero di

richieste pervenute) e sono esclusivamente legati alle risorse delle varie città

o realtà locali italiane.

4.2. I fondi destinati ai rifugiati

È bene sottolineare che per il finanziamento dei servizi di accoglienza

descritti in precedenza e per i percorsi finalizzati all’integrazione di coloro che

hanno ottenuto la protezione internazionale nel nostro Paese esiste un

Fondo Nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo. Inoltre l’Italia, in quanto

Stato Europeo e firmatario della già citata Convenzione di Ginevra, dispone,

come tutti gli Stati membri, di un aiuto economico da parte dell’Unione

Europea da destinare alle politiche e al sistema di asilo: il Fondo Europeo per

i Rifugiati.

Il Fondo Nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo (FNPSA)

consiste in uno stanziamento di fondi a favore di enti locali che attivano

servizi di accoglienza per i richiedenti asilo, i rifugiati e i destinatari di

58

protezione sussidiaria. È un fondo gestito dal Ministero dell’Interno italiano e i

contributi che questo elargisce sono in favore degli enti locali che presentino

progetti destinati all’accoglienza:

• richiedenti asilo in attesa della pronuncia delle Commissioni territoriali

• titolari dello status di rifugiato

• titolari di protezione sussidiaria.

Per ottenere i contributi è necessario rispettare le indicazioni sui

servizi ammissibili al finanziamento, gli standard richiesti, le condizioni per

l'ammissione delle istanze di contributo e le modalità di utilizzo delle

economie. Vengono inoltre disposti dei controlli per la verifica della corretta

gestione del contributo assegnato e, nel caso di inadempienza, sono previste

delle modalità per l’eventuale revoca.

Il Fondo Europeo per i Rifugiati (FER) rientra invece

nel “Programma Generale Solidarietà e gestione dei flussi migratori”

emanato dall’Unione Europea, per dare un aiuto economico agli Stati membri

nella gestione delle persone provenienti da altri Paesi. Il Programma, si

realizza concretamente attraverso quattro fondi:

• Fondo Europeo per i Rimpatri: destinato a migliorare la gestione dei

rimpatri sulla base del principio della gestione integrata dei rimpatri

nonché a sostenere le azioni volte ad agevolare il rimpatrio forzato;

• Fondo Europeo per l’Integrazione di cittadini di Paesi Terzi: finalizzato

a co-finanziare azioni concrete a sostegno del processo di

integrazione di cittadini di Paesi terzi, a sviluppare e valutare tutte le

strategie e le politiche in materia di integrazione dei cittadini di Pesi

terzi, nonché a favorire lo scambio di informazioni e di migliori pratiche

e a sostenere la cooperazione interna ed esterna allo Stato;

• Fondo Europeo per le Frontiere Esterne: finalizzato ad assicurare

controlli alle frontiere esterne uniformi e a favore della cooperazione

59

tra Stati membri nel campo della politica dei visti o di altre attività pre-

frontiera;

• Fondo Europeo per i Rifugiati: riguarda le politiche e i sistemi dell’asilo

degli Stati membri con l’intento di promuove le migliori prassi in tale

ambito. In linea con l’obiettivo del Programma dell’Aja, tenta di

costituire un sistema di asilo unico europeo, improntato al principio

della parità di trattamento, che garantisca alle persone effettivamente

bisognose un livello elevato di protezione, alle stesse condizioni in tutti

gli Stati membri.

Il FER, nello specifico, sostiene le azioni negli Stati membri relative a:

a. condizioni di accoglienza e procedure di asilo;

b. integrazione delle persone il cui soggiorno in uno Stato membro ha

carattere durevole e stabile;

c. rafforzamento delle capacità degli Stati membri di sviluppare, monitorare e

valutare le rispettive politiche di asilo, nel rispetto degli obblighi loro imposti

dalla normativa comunitaria in materia di asilo, in particolare al fine di avviare

una cooperazione pratica tra gli Stati membri;

d. reinsediamento delle persone ai fini della presente decisione;

e. trasferimento di persone allo Stato membro che ha accordato loro una

protezione internazionale.

Gli obiettivi del Fondo, che sono realizzati nell'ambito del periodo di

programmazione pluriennale, vengono approvati dalla Commissione Europea

e poi attuati nei singoli Stati tramite programmi annuali.

In Italia il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero

dell'Interno è l'Autorità Responsabile per la gestione del Fondo e ha

designato l'ANCI quale Autorità Delegata per lo svolgimento di alcuni compiti.

Il contributo finanziario offerto dal Fondo assume la forma di sovvenzione e

prevede il co-finanziamento da parte dello Stato membro che ne fruisce.

A differenza degli altri fondi, il Fondo Europeo per i Rifugiati aveva già

vissuto due precedenti fasi con il FER I dal 2001 al 2004 e con il FER II dal

60

2005 al 2007, durante le quali i contributi FER assegnati all’Italia sono

stati: (FER I), periodo 2000-2004 11.000.000 Euro; (FER II), periodo 2005-

2007 6.500.000 Euro. In questo lasso di tempo, i Fondi europei sono confluiti

sul capitolo destinato al Fondo Nazionale per i Servizi e le Politiche dell’Asilo,

fondendosi con i finanziamenti destinati ai progetti territoriali dello SPRAR.

Nel 2006 e nel 2007 i finanziamenti del Fondo Europeo Rifugiati, pur

sempre nell’ambito dello SPRAR, sono stati specificamente destinati ai

progetti territoriali per le categorie vulnerabili.

La terza fase del Fondo Europeo per i Rifugiati (FER III), per il periodo

2008-2013 istituito con la Decisione 573/2007/CE, si prefiggeva una

destinazione del tutto autonoma rispetto al Fondo Nazionale per i Servizi e le

Politiche dell’Asilo. Infatti è stato stabilito che i contributi derivati dovevano

essere destinati non più all’attività istituzionale per l’accoglienza, realizzata

con lo SPRAR sulla base della legge 189/2002, ma ad azioni complementari,

integrative e rafforzative di essa. Secondo la stima indicata nella decisione

istitutiva il FER III avrebbe elargito all’Italia, per il periodo 2008-2013,

complessivi 21.016.926,30 Euro (Sprar, 2007c; www.serviziocentrale.it).

Capitolo 5

Piemonte: accoglienza e soluzioni abitative

Il Piemonte, come tutte le regioni italiane, dispone di una rete di

accoglienza rivolta ai richiedenti asilo e ai rifugiati. Facendo nuovamente

riferimento al Rapporto Annuale del Sistema di Protezione per Richiedenti

Asilo e Rifugiati 2011/2012, il maggior numero di accolti a livello regionale

nell’anno 2011 è distribuito tra i centri della Protezione Civile (1.605, il

64,4%) e i Centri Polifunzionali (522, il 20,9% il secondo); solo il 14,2% del

totale rientra in un progetto SPRAR. La percentuale appena citata si traduce

in un numero concreto di posti disponibili che si aggira intorno ai 160 (in cui

sono compresi dei posti riservati a persone vulnerabili) che vengono suddivisi

61

tra la città di Torino e i Comuni di Ivrea, Chiesa Nuova, Alice del Colle e la

Provincia di Alessandria. Questo sistema è assolutamente insufficiente

rispetto alla quantità di richieste di aiuto e accoglienza. La diretta

conseguenza di queste carenze nel sistema di accoglienza e dell’esclusione

dei rifugiati dai programmi di assistenza è il ricorso a sistemi di accoglienza

alternativa, i cosiddetti extra-SPRAR (i dormitori e le mense) o a soluzioni

altre.

5.1. Coordinamento Non Solo Asilo

Trattando di accoglienza in Piemonte non si può non accennare al

Coordinamento Non Solo Asilo, un’associazione di secondo livello che nasce

nel 2008 a Torino come coordinamento di associazioni del terzo settore, in

seguito all’occupazione da parte di un centinaio di rifugiati politici e

beneficiari di protezione internazionale, dell’ex clinica San Paolo, in Corso

Peschiera.

L’occupazione è l’ennesima dimostrazione che l’accoglienza e il

sostegno di coloro che sono titolari di protezione internazionale, da parte del

sistema nazionale non è adeguata al numero di richieste e appare chiara la

necessità di un cambiamento.

Una trentina di associazioni19 si uniscono nel Coordinamento per dare

un aiuto concreto all’interno dello stabile occupato ma anche per proporsi

come interlocutori con le istituzioni e per nuovi progetti per il futuro.

Superata la situazione di emergenza del 2008, il coordinamento ha

continuato la sua azione per dare una risposta strutturale e non

emergenziale sul territorio della regione Piemonte, ai bisogni più immediati

19 ACLI, ACMOS, Amnesty International Piemonte-Valle D'Aosta, Architettura senza Frontiere ONLUS, ASGI, Associazione Alma Terra, Associazione Opportunanda, Associazione Sole, Associazione Soomaaliya, Camminare Insieme, Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza-Piemonte, CGIL Torino, CISL Torino, Comitato Sankara XX Torino, Cooperativa Alice, Cooperativa il Ponte, Gruppo Emergency Torino, Gruppo Abele, Gruppo Arco, Marypoppins Cooperativa Sociale, Comitato di Solidarietà con i rifugiati e le rifugiate, Servizi per i rifugiati-Chiesa Evangelica Valdese, Società San Vincenzo de Paoli Torino, Ufficio Pastorale Migranti, Cantieri di Pace, Cooperativa Parella, Progetto Tenda, Mani tese Torino, Mosaico

62

dei rifugiati, e per individuare efficaci percorsi di integrazione attraverso il

dialogo con le Istituzioni.

Nel 2012 è iniziato il lavoro di definizione dello statuto e della carta dei

valori che ha portato a gennaio 2013 il Coordinamento Non solo asilo a

registrarsi come associazione. A questa terza fase hanno aderito, ad oggi, le

seguenti realtà: Acmos, Associazione Soomaaliya Onlus, Crescere Insieme,

Casa di Carità, CCM, CISV, Cooperativa Alice, Cooperativa Orso, Engim

Piemonte, Gruppo Abele, Mary Poppins cooperativa sociale, Mosaico -

azione per i rifugiati, Piam, Società San Vincenzo de Paoli Torino, Ufficio

Pastorale Migranti Torino, Migrantes Regionale.

Fin dal principio il Coordinamento si è occupato di seconda

accoglienza, con l’obiettivo di garantire la riconquista dell’autonomia dei

rifugiati attraverso la ricerca di risorse abitative e occupazionali su tutto il

territorio cittadino e regionale, permettendo la creazione di una rete integrata

regionale.

Rientrano nelle attività realizzate negli anni dal Coordinamento due

progettualità: “Piemonte non solo Asilo”, finanziato attraverso i fondi della

Prefettura e della Provincia di Torino, e “Non solo asilo FER” (giunto alla

quarta edizione), finanziato attraverso il Fondo Europeo per i Rifugiati, che

hanno permesso di realizzare, in base ai dati aggiornati a dicembre 2012,

476 percorsi di autonomia sul territorio della regione Piemonte

(www.nonsoloasilo.org). Il Coordinamento è attivo nelle province di Torino,

Cuneo, Asti, Alessandria, Vercelli, Novara e Biella e si occupa anche di

incontri informativi e di sensibilizzazione nei territori in cui opera e di corsi

formativi. Rientra nella formazione offerta il Laboratorio Interdisciplinare sul

Diritto d’Asilo, giunto nell’anno 2012 alla seconda edizione e rivolto agli

studenti universitari interessati ad approfondire la tematica della protezione

internazionale e agli operatori istituzionali, del privato sociale e delle

associazioni che operano, a vario titolo, in questo settore. Al termine della

formazione alla quale io stessa ho preso parte, il Coordinamento Non solo

Asilo ha messo a disposizione la sua rete di enti per consentire agli studenti

di seguire tirocini formativi. Sfruttando questa opportunità, ho deciso di

63

partecipare alla ricerca abitativa che si proponeva di approfondire il tema

della casa e dell’abitare, nelle diverse percezioni dei rifugiati politici e titolari

di protezione internazionale, anche in questo caso presenti sul territorio

regionale piemontese.

5.2. Ricerca sull’abitare

Come già anticipato, la ricerca sull’abitare si è svolta in seguito al

periodo formativo di laboratorio ed è stata realizzata da un gruppo di lavoro

composto da due antropologhe culturali (la prima docente universitaria

presso l’Università di Torino e la seconda impegnata da tempo nella

cooperazione internazionale e nel terzo settore) e due studentesse

universitarie. L’indagine è nata dal desiderio di comprendere qual è il

rapporto che i rifugiati politici o i titolari di protezione che vivono sul territorio

della regione Piemonte hanno con lo spazio in cui vivono. Inoltre si è tentato

di approfondire attraverso quale percorso sono giunti in Piemonte e in quale

contesto vivono attualmente, indagando sia lo spazio abitativo sia le

interazioni con il territorio, il livello di familiarità o estraneità del posto in cui

vivono, e se ci sono degli elementi di identificazione con esso.

Avendo ben chiari i principali due obiettivi della ricerca (situazioni

abitative vissute e attuale condizione abitativa), abbiamo realizzato un

canovaccio di intervista, prima di procedere all’indagine sul campo.

5.2.1. I luoghi e gli intervistati

I luoghi in cui si è svolta la ricerca sono stati cinque comuni piemontesi

che rientrano nella rete regionale del Coordinamento; più precisamente le

interviste si sono svolte nelle sedi di: PIAM (Progetto Integrazione

Accoglienza Migranti) ad Asti; cooperativa sociale Crescere Insieme ad

Acqui Terme; cooperativa sociale Marypoppins ad Ivrea; Caritas Diocesana a

Biella; UPM (Ufficio Pastorale Migranti) a Torino.

Il gruppo di ricerca ha effettuato 23 interviste non strutturate,

sviluppatesi a partire dalla suddetta traccia, elastica e flessibile, che è stata

adattata di volta in volta in base agli interlocutori, alla loro conoscenza della

64

lingua, alla loro storia personale e al loro genere. Gli intervistati nei diversi

territori hanno dato origine ad un gruppo eterogeneo, come si può osservare

dai dati relativi all’età, al genere e alla provenienza.

Tabella 4: Età e genere intervistati "Ricerca Abitare"

ETA’ DONNE UOMINI TOTALE

20-30 3 10 13

30-40 7 7

40-50 1 1 2

OLTRE 50 1 1

TOTALE 5 18 23

Come risulta dalla Tabella 4, la fascia di età maggiormente

rappresentata dalle persone intervistate, in prevalenza uomini, è quella tra i

20 e i 30 anni. Se anche non si considerasse la fascia d’età, gli uomini

risulterebbero comunque più numerosi rispetto alle donne.

Per quanto concerne i Paesi di provenienza, quasi un terzo degli

intervistati ha origini somale ma, nonostante questa superiorità numerica, nel

complesso il quadro appare piuttosto variegato: in generale i Paesi di

provenienza appartengono a due aree geografiche: l’Africa e il Medio

Oriente.

Tabella 5: Paesi d'origine intervistati "Ricerca Abitare"

PAESE D’ORIGINE UOMINI DONNE

ERITREA 2

LIBIA 2

REPUBBLICA 1

65

Per una comprensione più approfondita della ricerca infine, è utile

sottolineare altri dati riguardanti il periodo di permanenza in Italia dei nostri

interlocutori. Si è cercato, infatti, di limitare l’indagine a persone che

vivessero in Italia da almeno un anno, non necessariamente in Piemonte, per

focalizzare l’attenzione su permanenze più continuative e verificare quale sia

e come cambi la condizione abitativa.

Tabella 6: Presenza sul territorio italiano degli intervistati "Ricerca Abitare"

DEMOCRATICA CONGO

SOMALIA 5 4

MALI 1

IRAQ 1

RWANDA 1

AFGHANISTAN 2

SUDAN 3

IRAN 1

PRESENZA IN ITALIA UOMINI DONNE

≤ 1 ANNO

1 < X ≤ 3 ANNI 7 3

3 < X < 5 ANNI 5 1

5 < X < 7 ANNI 4 1

> 7 ANNI 2

66

Come si può osservare dalla Tabella 6, il tempo di permanenza sul

territorio nazionale maggiormente rappresentato è compreso tra 1 e 3 anni,

mentre risulta nettamente ridotto il numero di coloro che abitano in Italia da

più di 7 anni.

5.2.2 Tipologia di strutture abitative

Come si è già sottolineato, agli interlocutori sottoposti alle interviste si

è richiesto in primo luogo di descrivere gli spostamenti che hanno compiuto

dal loro arrivo in Italia ad oggi (sul territorio nazionale ma anche eventuali

periodi trascorsi in altri Paesi Europei) per comprendere quali strutture

abitative caratterizzano il percorso di un richiedente protezione internazionale

e per capire quanto, secondo la percezione personale, possa variare la

valutazione delle stesse e la considerazione che i soggetti hanno dei diversi

luoghi di accoglienza.

Come si può osservare dalla Tabella 7, nella quale si è cercato di

raffigurare tutti i luoghi attraverso i quali sono transitati almeno una volta i

richiedenti protezione intervistati, la maggior parte ha vissuto, per il primo

periodo dopo l’arrivo in Italia, nelle strutture definite di prima accoglienza: i

CARA, i CIE e gli SPRAR.

Tabella 7: Strutture abitative abitate dagli intervistati "Ricerca Abitare

STRUTTURE PERSONE CHE CI HANNO

ABITATO

CIE 3

CARA 17

SPRAR 12

DORMITORIO 8

COMUNITÀ 9

FAMIGLIE ITALIANE 2

APPARTAMENTI CONDIVISI 16

APPARTAMENTI SOLI/CON 11

67

FAMIGLIA

CASA OCCUPATA 5

RESIDENZA UNIVERSITARIA 1

ALTRO (PONTI, STRADE,

GIARDINI, STAZIONE)

3

Per chi arriva da sud, via mare, appare una tappa obbligata l’isola di

Lampedusa e poi essere prontamente trasferito presso i CARA di Bari o di

Crotone, che vengono descritti come luoghi molto affollati, in cui le persone

vivono in container che arrivano ad ospitare 6-8 persone ciascuno, con

regole e orari precisi e pasti distribuiti senza particolare riguardo alle

esigenze personali. Ciononostante non vengono ricordati come esperienze

negative o traumatiche: al contrario, spesso risultano essere delle soluzioni

abitative migliori rispetto a quanto vissuto successivamente, dopo il

riconoscimento della protezione richiesta.

Totalmente differente è la descrizione che riguarda i CIE, che vengono

rappresentati come vere e proprie prigioni in cui non solo ci sono regole e

orari rigidi e inflessibili ma si viene anche privati della libertà e non si viene

considerati né informati sulla propria condizione e sulle leggi e le normative

che riguardano il proprio caso.

Degna di nota risulta essere la varietà di soluzioni abitative

sperimentate dagli interlocutori in seguito al periodo di prima accoglienza.

Alcuni sono rientrati in progetti SPRAR o, nel caso di coloro che si sono

trasferiti in Piemonte, in progetti del Coordinamento Non Solo Asilo, che

prevedevano l’inserimento in centri collettivi preposti all’accoglienza integrata

con la condivisione degli spazi con connazionali o migranti provenienti da

altri Paesi, o in appartamenti condivisi o comunità alloggio la cui gestione è

garantita o agevolata dal progetto stesso.

Inoltre rientra nelle soluzioni di accoglienza integrata che due dei

nostri interlocutori hanno vissuto, il tentativo di inserimento in famiglie italiane

disposte ad ospitare i migranti. Stando ai loro racconti, la principale difficoltà

incontrata in questo tipo di esperienza è legata alle abitudini di vita molto

68

diverse da quelle del Paese d’origine e ad una scansione temporale molto

rigida (connessa con gli orari dei pasti, la sveglia, il rientro a casa).

Tuttavia, come è già stato ampiamente sottolineato, i posti SPRAR

risultano essere insufficienti rispetto al numero di coloro che dovrebbero

godere dell’accoglienza e molti degli interlocutori che hanno ricevuto una

forma di protezione e, con essa, la possibilità di vivere regolarmente sul

territorio nazionale, a parità di diritti con i cittadini italiani, hanno dovuto

abbandonare le strutture di prima accoglienza e cercare una sistemazione

autonomamente.

Trovare una casa con una disponibilità di denaro limitata e

conoscendo poco o niente della lingua del Paese in cui ci si trova (condizioni

che accomunavano la maggior parte degli interlocutori all’uscita dai

CARA/CIE), sono elementi di difficoltà che spesso conducono queste

persone a ritrovarsi in situazioni di disagio e abbandono. Per molti degli

interlocutori la scelta della destinazione all’uscita dai luoghi di prima

accoglienza è stata dettata dalla presenza di parenti, connazionali o amici in

altre città ma questo elemento non ha garantito loro la risoluzione del

“problema alloggio”. Alcuni degli intervistati raccontano infatti di aver vissuto

anche per lunghi periodi in strada o nei giardini pubblici, sotto i ponti, in

stazione o in stabili occupati. Quest’ultima soluzione è diffusa soprattutto

nelle grandi città (Roma, Milano, Torino), dove il fenomeno delle case

occupate sta diventando una risposta per fasce di popolazione indigente e

senza casa.

Dai racconti degli interlocutori che hanno provato questa esperienza,

appare evidente la condizione di disagio vissuta e le difficoltà affrontate,

legate all’estrema disparità dei abitanti e alla mancanza di servizi e generi di

prima necessità.

Infine, alcuni degli interlocutori hanno vissuto per un periodo nei

dormitori, strutture normalmente preposte all’accoglienza degli indigenti ma

anche definite extra-SPRAR, perché forniscono anche ai rifugiati e ai titolari

di protezione che non rientrano nei progetti di accoglienza integrata un letto,

un pasto e servizi igienico-sanitari. Anche questa soluzione risulta essere,

69

dai racconti degli interlocutori, precaria e difficile per l’eterogeneità degli

utenti, con cui spesso risulta complesso convivere e per l’estrema rigidità

degli orari dei pasti, del riposo e di entrata e uscita dalle strutture. È stato

riportato dalla maggior parte di coloro che hanno vissuto un periodo in

dormitorio l’estrema problematicità del trascorrere tutta la giornata

all’addiaccio (specialmente nella stagione invernale) a causa della chiusura

diurna dei ricoveri.

Infine il disagio maggiore per le persone che hanno vissuto o vivevano

in dormitorio (per alcuni degli intervistati era una situazione contingente) è

determinato dall’idea di dover considerare una sistemazione che dovrebbe

essere momentanea ed emergenziale come duratura e permanente.

5.2.3. Cause di disagio e difficoltà

Alla luce delle molteplici esperienze abitative e della quantità di

cambiamenti che ciascuno degli intervistati ha vissuto, si è cercato di

estrapolare dalle interviste quali fossero i motivi condivisi o più diffusi che

hanno provocato maggiore disagio e sofferenza all’interno delle strutture

adibite all’accoglienza e nei percorsi di integrazione. È emerso che per molti

degli interlocutori il periodo di prima accoglienza è stato problematico a

causa delle difficoltà legate alla lingua (la maggior parte di loro non

conosceva l’italiano), aggravate dall’assenza di una formazione linguistica

all’interno delle strutture. Inoltre gli interlocutori evidenziano la mancanza di

chiarezza e disponibilità da parte delle autorità competenti (CARA, Questure

e Prefetture) nel fornire informazioni relative alla domanda d’asilo e alle

tempistiche connesse con questa scelta e l’estrema rigidità del personale

addetto all’informazione e alla vigilanza delle strutture. A causa di questa

carenza molti degli interlocutori hanno intrapreso percorsi non realmente

desiderati e non pienamente consapevoli delle conseguenze che la domanda

che presentavano, avrebbe determinato.

Alcuni hanno manifestato il desiderio di andare a vivere in altri Paesi

europei (Francia, Svizzera, Inghilterra, Norvegia, Svezia e Olanda) ma chi ha

tentato di farlo, per raggiungere familiari o conoscenti o per fuggire dall’Italia

70

in cerca di condizioni migliori, è stato inviato nuovamente nel nostro Paese,

nel rispetto della normativa comunitaria che lo considera come Stato

competente della loro richiesta20 e li lega ad esso in maniera irreversibile. Il

confronto con i connazionali o i familiari che vivono in altri Paesi d’Europa e

che spesso raccontano di esperienze di accoglienza e inserimento positive

che non si possono condividere, acuiscono negli interlocutori il desiderio di

fuga e la sensazione di essere vittime di ineguaglianze di trattamento

all’interno dei Paesi europei.

Un’altra difficoltà emersa dagli incontri è rappresentata

dall’inserimento in progetti che spesso risultano frammentari e parziali, non

solo in ambito abitativo ma anche formativo e lavorativo e non consentono la

valorizzazione delle competenze e delle capacità delle persone coinvolte,

violando uno dei presupposti dell’accoglienza integrata. In particolare, sulla

questione abitativa, è evidente la mancanza di un programma di supporto

alla casa che sia omogeneo e diffuso in tutta la regione Piemonte e la

disgregazione degli aiuti economici determina nuove disparità di trattamenti

nei confronti di persone aventi teoricamente uguali diritti.

Attualmente la precaria situazione lavorativa condivisa dai cittadini

italiani rende difficile anche per i rifugiati che vivono in una casa propria, con

la famiglia o in condivisione con altri migranti, il pagamento delle spese di

locazione e gestione, generando nuovamente una sensazione di instabilità.

Infine risulta motivo di sorpresa e di malessere, la complessità

nell’instaurare buoni rapporti di vicinato. Questo aspetto è emerso

prevalentemente dai racconti di coloro che vivono in condominio, i quali

sottolineano la difficoltà di dialogo (non solo dovuta alla parziale conoscenza

della lingua italiana) e di scambio reciproco con gli altri condomini. La

tematica è messa in evidenza da molti interlocutori perché, a quanto

riferiscono, i rapporti di vicinato nei loro Paesi di provenienza sono

considerati una risorsa preziosa per la costruzione di legami stabili e per la

risoluzione dei problemi e delle difficoltà.

20 Regolamento Dublino II (2003/343/CE).

71

5.2.4. Elementi positivi nelle esperienze vissute

Dai dialoghi con gli interlocutori è emerso quale denominatore comune

l’importanza delle relazioni che spesso hanno garantito un miglioramento o

una maggiore tolleranza della situazione vissuta. Se si focalizza l’attenzione

sull’accoglienza, gli operatori che lavorano nel settore risultano per molti

degli interlocutori persone di fiducia e di riferimento che hanno facilitato i

percorsi personali, fornendo informazioni utili e orientandoli nelle scelte

formative e nella ricerca abitativa e lavorativa.

Inoltre risultano fondamentali le reti di connazionali, che

rappresentano dei riferimenti sicuri per il mutuo aiuto e lo scambio di

informazioni e che spesso determinano la mobilità sul territorio e la scelta

della destinazione. La comunità somala, che è molto presente sul territorio

regionale piemontese e costituisce la nazionalità più numerosa tra gli

intervistati nella ricerca sull’abitare, ne è un valido esempio; molti dei nostri

interlocutori hanno raccontato di aver usufruito dell’aiuto di connazionali per

trovare una prima sistemazione abitativa, anche se di fortuna, per avere

informazioni, per orientarsi nel nuovo contesto e sapere a chi rivolgersi.

Risultano positive anche le esperienze di coabitazione in alloggio con

conoscenti, connazionali o amici ma anche con persone incontrate nelle fasi

del percorso migratorio o nelle strutture di prima accoglienza. Alcuni degli

intervistati vivono infatti in piccoli appartamenti con altre 3 o 4 persone e tutti

descrivono la convivenza come un buon compromesso che permette loro di

avere uno spazio personale proprio in una dimensione collettiva.

Elencati i principali aspetti positivi che accomunano le molteplici

esperienze vissute dagli interlocutori, mi sembra importante menzionare un

esempio di prima accoglienza che ha funzionato egregiamente in base alle

testimonianze degli intervistati e che si inserisce nel vasto e controverso

contesto dell’emergenza Nord Africa. Come già descritto in precedenza, lo

stato di emergenza umanitaria è stato dichiarato in Italia nel 2011, in seguito

alle proteste che sono imperversate nel Nord Africa. L’arrivo di persone

provenienti dai Paesi stravolti dalle ribellioni sul territorio nazionale è stato

72

gestito dalla Protezione Civile, che ha inviato i profughi nei diversi territori

regionali per assegnarli alle strutture di accoglienza.

Fra gli organismi convenzionati per l’accoglienza dei richiedenti asilo in

Piemonte, la Caritas Diocesana nel Comune di Asti si è distinta

positivamente con un modello costruttivo di accoglienza e con una gestione

previdente delle risorse economiche stanziate per l’emergenza. Il 7 maggio

2011, all’Oasi dell’Immacolata di Asti, sono stati accolti trentuno richiedenti

originari della Somalia, uomini, donne e 3 bambini ai quali si sono poi

aggiunti due ricongiungimenti (2 uomini che erano stati separati dalle mogli

nel caos dell’arrivo) e altri 3 giovani trasferiti da una struttura alberghiera

sovraffollata (www.viedifuga.org).

In base a quanto riportato dagli stessi intervistati, la scelta di ospiti

aventi la stessa nazionalità e con i medesimi usi e costumi ha favorito la

buona convivenza, permettendo la nascita di rapporti duraturi, la formazione

di un gruppo coeso e evitando le difficoltà di convivenza determinate dalle

differenze culturali.

I 36 ospiti, sono stati affiancati da 4 operatori e da una trentina di volontari

ma il buon esito di questa gestione è da attribuirsi all’autogestione del gruppo

nell’organizzazione della casa; gli ospiti si sono occupati della pulizia dei

locali, della lavanderia, della cucina e della cura dell’orto realizzato in un

angolo del parco. Di conseguenza gli operatori hanno avuto un ruolo

accessorio, occupandosi di aspetti più tecnici come la gestione della spesa e

riuscendo a coinvolgere altri enti, associazioni e volontari per la realizzazione

di attività all’interno della struttura (mediazione culturale, animazione, corsi

d’italiano, donazione di indumenti, il “bilancio delle competenze”

personalizzato per aiutare nella ricerca di un lavoro).

Tutti gli intervistati che abbiamo incontrato ad Asti avevano trascorso il

periodo di prima accoglienza all’Oasi e ci tenevano a sottolineare la positività

dell’esperienza: ognuno di loro aveva una stanza singola con bagno, poteva

partecipare ai corsi di italiano tenuti dai volontari all’interno della casa e

ciascuno svolgeva un’attività organizzata (le donne hanno raccontato di aver

imparato a cucinare dei dolci con la crema e alcuni degli uomini facevano

73

l’orto nel parco, apprendendo le tecniche di coltivazione di ortaggi che non

conoscevano in Somalia). Inoltre sottolineavano l’importanza del confronto e

del dialogo, favorito dal numero cospicuo di abitanti e volontari sempre

disposti all’ascolto.

La convenzione di Asti è scaduta, come tutte le altre, il 31 dicembre

2012 ma la Caritas diocesana si è distinta anche nella gestione della

cessazione dello stato di emergenza, lavorando su percorsi di accoglienza di

“secondo livello” per piccoli nuclei sul territorio e per l’inserimento in borse

lavoro e tirocini formativi. Infatti gli interlocutori incontrati ad Asti ad aprile

2013 hanno rivelato di vivere in appartamenti condivisi con 4 o 5

connazionali e alcuni di loro stavano svolgendo attività formative e tirocini. La

buona gestione dei fondi stanziati per l’emergenza permetterà a queste

persone di avere una sistemazione stabile fino a giugno 2013 e di aver avuto

l’occasione di crearsi una rete sul territorio che potrebbe risultare

determinante per il loro futuro.

Capitolo 6

Accoglienza e situazione abitativa a Torino

Ho scelto di svolgere l’ultima parte della ricerca sull’accoglienza dei

rifugiati concentrandomi sulle situazioni vissute nella città di Torino, per

capire che cosa offre la realtà urbana a queste persone e quali sono le

mancanze. Mi è stato possibile fare quest’indagine presso la sede dell’Ufficio

Pastorale Migranti (UPM) grazie alla disponibilità del direttore Sergio

Durando e degli operatori che mi hanno aiutata a contattare le persone che

74

hanno partecipato personalmente alle interviste raccontandomi la loro

esperienza. La ricerca è stata realizzata basandosi su una traccia indicativa

composta da domande volte ad indagare l’esperienza di prima accoglienza

vissuta dagli interlocutori, le difficoltà incontrate nella presentazione della

richiesta d’asilo e la situazione abitativa contingente, con le difficoltà

connesse, vissuta a Torino.

6.1. Gli intervistati

La traccia di intervista elaborata è stata utilizzata in maniera flessibile,

nel tentativo di guidare la conversazione sugli argomenti accennati

precedentemente ma permettendo agli interlocutori di condividere le

informazioni e le sensazioni che ritenevano importanti. In totale, i protagonisti

delle interviste sono stati 10, 8 uomini e 2 donne, di età compresa tra i 20 e i

48 anni, titolari dello status di rifugiato o della protezione umanitaria.

Come già accennato, la protezione umanitaria viene riconosciuta al

richiedente protezione internazionale quando la Commissione Territoriale,

pur non accertando la sussistenza di esigenze di protezione internazionale,

ritiene che esistano seri motivi di carattere umanitario che giustificano la

permanenza del richiedente sul territorio nazionale: «Nei casi in cui non

accolga la domanda di protezione internazionale e ritenga che possano

sussistere gravi motivi di carattere umanitario, la Commissione trasmette gli

atti al Questore per l’eventuale rilascio del permesso di soggiorno ai sensi

dell’art. 5, c. 6, del D.Lgs. n. 286/98» (art. 32 D.Lgs. 25/08).

La provenienza degli interlocutori, come si può osservare dalla Tabella

8, è varia ed eterogenea ma ad eccezione di un intervistato originario

dell’Iran, tutti gli altri Paesi, appartengono al continente africano.

Tabella 8: Paesi di provenienza "ricerca Torino"

PAESE DI PROVENIENZA UOMINI DONNE

NIGERIA 1

ETIOPIA 2

75

IRAN 1

SUDAN 1

EGITTO 1

GHANA 1

CONGO 1

CAMERUN 1

GUINEA 1

TOTALE 8 2

Infine, se si osservano i dati forniti nella Tabella 9, relativi all’anno di

arrivo in Italia degli interlocutori, emerge che nessuno di loro risiede sul

territorio nazionale da più di sei anni e 2 dei 3 interlocutori che dichiarano di

essere arrivati nel 2007 sono di nazionalità etiope. Si può inoltre notare come

la metà degli intervistati sia giunta in Italia recentemente, negli anni 2010 e

2011. Tra gli arrivi recenti figurano le 2 donne intervistate, giunte sul territorio

nazionale rispettivamente nell’anno 2010 e 2011.

Tabella 9: Anno di arrivo in Italia "ricerca Torino"

ANNO DI ARRIVO IN ITALIA UOMINI DONNE

2007 3

2008 1

2009 1

2010 2 1

2011 1 1

TOTALE 8 2

76

6.2. La richiesta di protezione internazionale.

In tutte le interviste gli interlocutori sono stati invitati a raccontare ciò

che ritenevano rilevante per descrivere le situazioni di accoglienza vissute

dal momento del loro arrivo in Italia, a ricordare dove avessero effettuato la

richiesta di asilo e quale fosse stata l’assistenza ricevuta o le eventuali

difficoltà affrontate.

Nessuno degli intervistati è arrivato direttamente dal Paese d’origine a

Torino ma 4 di loro hanno scelto la città come destinazione non appena sono

giunti sul territorio italiano. Arrivati in città hanno effettuato la richiesta d’asilo

presentandosi in Questura ed è curioso come siano concordi nel ricordare di

non aver ricevuto nessuna informazione sulla procedura e le tempistiche

della domanda di protezione internazionale. Questa mancanza rappresenta

la negazione di un diritto che le autorità competenti dovrebbero assolvere nei

confronti dei richiedenti (Direttiva 2004/83/CE).

Gli altri 6 interlocutori, invece, hanno trascorso i primi mesi in Italia nei

Centri di Accoglienza o nei Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo e

hanno presentato la richiesta di protezione all’interno delle strutture dove

pare che la maggior parte di loro abbia ricevuto un trattamento migliore: molti

raccontano di aver usufruito dell’aiuto di un mediatore e di essere stati

informati sulle diverse fasi che si sarebbero susseguite prima dell’eventuale

riconoscimento.

Nel periodo vissuto nei CARA, gli interlocutori segnalano le difficoltà

determinate dal numero ingente di abitanti che vengono ospitati nelle

strutture e dalla convivenza tra individui molto diversi per cultura e

provenienza. Inoltre, dalle parole degli intervistati, si ha la sensazione che il

tempo trascorso nelle strutture di accoglienza sia stato percepito come un

tempo perduto; uno degli intervistati dichiara chiaramente che non c’era

niente da fare, neanche un corso di italiano.

6.3. Vivere a Torino.

Nel cercare di comprendere quali siano i percorsi di accoglienza dei

rifugiati a Torino, emerge con estrema chiarezza la mancanza di un

programma che garantisca a tutti un medesimo percorso o, perlomeno,

77

un’assistenza duratura e programmata. Come già descritto in precedenza,

anche nella regione Piemonte e nella città di Torino i posti SPRAR sono

inferiori al numero di persone che dovrebbero essere inserite in un progetto

di accoglienza integrata e, pertanto, si è sviluppata una serie di realtà di

seconda accoglienza (anche emergenziali in seguito alla dichiarata

Emergenza Nord Africa), gestita da associazioni del terzo settore che

realizzano progetti di ospitalità e inserimento, finanziati dai Fondi per i

Rifugiati (nazionale ed europeo). A questi si aggiungono i posti destinati agli

indigenti di cui dispone la città (dormitori e mense) che vengono definiti

anche extra-SPRAR poiché, sempre più spesso, ospitano anche beneficiari

di protezione internazionale che non riescono ad essere inseriti in alcun

progetto.

In base ai dati forniti dagli interlocutori, le realtà in cui hanno vissuto o

sono stati accolti nel primo periodo dall’arrivo a Torino sono molteplici e

variabili, pertanto ho tentato di realizzare una panoramica delle esperienze

che vengono illustrate nella Tabella 10, raffigurando tutte le fasi sperimentate

dai 10 intervistati.

Tabella 10: Luoghi di accoglienza a Torino “ricerca Torino”

LUOGHI DI ACCOGLIENZA NEMERO DI UTENTI

SECONDA ACCOGLIENZA (ASSOCIAZIONI

E/O FONDAZIONI)

2

ACCOGLIENZA SERALE/NOTTURNA

(DORMITORI, SERMIG)

4

PROGETTO SPRAR 1

APPARTAMENTO CONDIVISO 2

STAZIONE PORTA NUOVA 2

78

OSPITALITÀ (CONNAZIONALI, AMICI…) 3

CASA OCCUPATA 2

È rilevante che 4 persone su 10, abbiano vissuto un periodo in una

struttura di ospitalità notturna, arrivando a considerare una situazione che

dovrebbe essere emergenziale come duratura. Il Sermig risulta tra gli enti

che si sono dati disponibili a Torino per offrire ospitalità notturna durante

l’Emergenza Nord Africa, e nel 2011 ha accolto residenzialmente 134

profughi, alcuni dei quali risultano essere tra gli intervistati (www.sermig.org).

Le sensazioni provate dagli interlocutori ospitati sono simili e

sottolineano la difficoltà del vivere con tante persone diverse e con abitudini

differenti per molto tempo (parlano di mesi) e il dover sottostare a regole

intransigenti e orari rigidi di entrata e uscita dalla struttura che li

costringevano a trascorrere la giornata all’aperto.

La complessità della convivenza “forzata” con persone molto diverse,

emerge anche tra coloro che sono stati ospitati dalla Fondazione Dravelli,

ente resosi anch’esso disponibile per l’accoglienza ENA. Mi ha colpito inoltre

che 2 dei 10 interlocutori hanno vissuto, in periodi diversi, nella stessa casa

occupata, uno stabile sito in Via Paganini angolo Via Bologna occupato da

alcuni rifugiati nel 2007 e attualmente ancora abitato da una sessantina di

persone (www.migrantitorino.it).

Uno dei 2 interlocutori rimarca la complessità dell’esperienza vissuta,

dovuta non solo alle condizioni igienico-sanitarie della struttura ma anche alle

difficoltà di convivenza con persone che avevano iniziato ad avere problemi

di tabagismo e abuso di alcol. La sensazione di marginalità vissuta in una

casa occupata credo sia equiparabile alle esperienze dei 2 intervistati che

hanno trascorso le prime notti in città, alla stazione Porta Nuova e che hanno

sottolineato lo spaesamento e l’abbandono che ha caratterizzato questa fase

della loro vita.

Nella Tabella 10 figurano anche soluzioni di inserimento in progetti SPRAR o

di convivenza in appartamento che, anche se di breve durata, sono descritte

come esperienze positive dagli interlocutori.

79

Infine alcuni interlocutori parlano di un’esperienza di “rifugio diffuso”: si

tratta di un progetto di inserimento in famiglie di Richiedenti Asilo o titolari di

protezione umanitaria, che si sviluppa dalla collaborazione tra il Comune di

Torino, le famiglie disponibili e alcune associazioni del territorio (La Tenda,

ASAI, ARCI, Almaterra). L’affidamento dura per un periodo di 6 mesi

rinnovabile per altri 6, qualora il percorso verso l’autonomia non fosse ancora

completato, percorso che si sviluppa attraverso l’apprendimento della lingua

italiana, la formazione professionale e la ricerca del lavoro.

(www.comune.torino.it).

Confrontando invece i dati relativi al primo periodo trascorso a Torino

con quelli che si riferiscono alla situazione abitativa degli interlocutori al

momento dell’indagine (maggio 2013) raffigurati nella Tabella 11, si può

osservare come solo alcuni dei contesti abitativi iniziali figurano ancora tra i

parametri presenti.

Tabella 11: Situazione abitativa a Torino “ricerca Torino”

SITUAZIONE ABITATIVA UOMINI DONNE

APPARTAMENTO AUTONOMO 3 2

APPARTAMENTO CONDIVISO 2

ACCOGLIENZA NOTTURNA 1

CASA OCCUPATA 1

LUOGO DI LAVORO 1

TOTALE 8 2

80

La metà delle persone intervistate nel mese di maggio viveva in

appartamento autonomo, da solo o con qualche familiare, lamentando però

la difficoltà di pagare l’affitto a causa della perdita del lavoro. La recente

perdita del lavoro o l’impossibilità di trovare un’occupazione e di avere

un’entrata fissa rappresentava una complicazione per la maggioranza degli

intervistati, determinando nuovamente una sensazione di precarietà e

rendendo impossibile una progettualità futura. Infatti avere un lavoro

determina chiaramente la possibilità di avere una casa che per gli

interlocutori è una condizione fondamentale per poter ottenere la residenza e

poter completare i percorsi di ricongiungimento familiare che si vogliono

intraprendere o che sono già in corso. Solo uno degli intervistati al momento

dell’indagine usufruiva ancora dei servizi di ospitalità notturna nonostante un

periodo di permanenza in città ormai duraturo.

Infine, uno degli interlocutori viveva ancora nella casa occupata di via

Paganini ma manifestava l’intenzione di abbandonare lo stabile non appena

avesse trovato una casa propria che potesse garantirgli il riconoscimento dei

propri diritti e consentirgli il ricongiungimento familiare.

6.4. Diritti negati

Dall’indagine sulla situazione abitativa che vivono i rifugiati e i titolari di

protezione a Torino emergono con evidenza alcune problematiche che li

accomunano e costituiscono una violazione dei diritti di cui queste persone

dovrebbero godere. La Direttiva comunitaria 2004/83/CE, che è stata

recepita dall’Italia con il D.Lgs.251/07, stabilisce che il Paese ospitante

dovrebbe garantire il diritto ad una sistemazione adeguata ma è evidente

dalle testimonianze raccolte che spesso non viene rispettata. Non ci sono

posti sufficienti nel Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati e

questo comporta il ricorrere ad un sistema di accoglienza emergenziale che

81

spesso determina un dispendio di risorse senza la realizzazione di un

progetto di accoglienza integrata e mirata all’inserimento di queste persone.

Inoltre, proprio per queste mancanze, si sviluppano delle soluzioni abitative

che costringono i rifugiati a vivere in una condizione di marginalità e degrado,

che vengono tollerate per mancanza di un programma organico. È il caso

degli stabili occupati che, soprattutto nelle grandi città, risultano essere

sempre più spesso una soluzione per tutti coloro che non hanno altre

alternative.

A Torino la prima occupazione da parte di rifugiati risale al 2007,

quando un’ottantina di persone si stabilirono in Via Bologna angolo Via

Paganini per mancanza di soluzioni alternative e, come è emerso dalle

interviste, l’ex caserma dei vigili urbani è ancora occupata e abitata dai

rifugiati. Negli anni si sono susseguiti altri episodi di occupazione, fino

all’ultima che si è verificata il 30 marzo 2013, quando migranti e rifugiati si

sono impossessati di alcune palazzine disabitate dell’ex villaggio olimpico, in

Via Giordano Bruno. Le occupazioni costringono gli abitanti, titolari di

protezioni riconosciute dallo Stato italiano, a vivere in condizioni precarie e

senza il diritto a godere di servizi di assistenza minimi che dovrebbero essere

garantiti. Spesso la sopravvivenza è determinata dall’aiuto di privati e

associazioni del terzo settore ma non dalle istituzioni.

Un problema diffuso per tutti coloro che vivono negli stabili occupati o

in altre condizioni precarie (dormitori, comunità), che come si è visto dalle

interviste, sono soluzioni diffuse tra i rifugiati e i titolari di protezione, è la

negazione della residenza che genera una serie di impedimenti.

La residenza è un diritto/dovere del cittadino sia italiano sia straniero che

risiede abitualmente in un territorio. Per richiedere il certificato di residenza e

la carta d’identità ci si deve rivolgere all’Ufficio Anagrafe del Comune, che

avrà bisogno dell’indirizzo di dimora abituale della persona e di un

documento di riconoscimento della persona da registrare. L'iscrizione

anagrafica può essere richiesta dai cittadini stranieri maggiorenni titolari di

permesso di soggiorno di durata superiore a 3 mesi, quindi anche dai

richiedenti asilo con permesso di soggiorno semestrale. Si deve richiedere

82

l’iscrizione anagrafica al Comune dove si è eletto il domicilio e, dopo i

controlli della polizia municipale, si ottiene, qualora se ne abbiano i requisiti,

la residenza.

I documenti necessari per l’iscrizione anagrafica sono:

• permesso di soggiorno

• dichiarazione di cessione di fabbricato (a titolo oneroso o gratuito) o

dichiarazione di ospitalità

• documento di identità. Qualora il rifugiato non abbia il documento di viaggio,

o per la persona in protezione sussidiaria o umanitaria il relativo titolo di

viaggio o ancora nel caso del richiedente asilo (che ha consegnato i suoi

documenti al momento della presentazione della domanda d’asilo), il

documento d’identità può essere sostituito dalla presenza fisica di due

testimoni, muniti di documento, che garantiscano l’identità del richiedente

• per i rifugiati e in protezione sussidiaria: certificato di riconoscimento dello

status.

Una volta ottenuta la residenza si può richiedere il rilascio della Carta

d’identità, valida solo per l’Italia e da esibire sempre accompagnata dal

permesso di soggiorno valido.

A Torino la residenza viene riconosciuta, oltre che alle persone di

qualsiasi nazionalità che vivono in un domicilio certo, anche agli italiani che

invece non hanno un alloggio stabile. Sono i cosiddetti Senza Dimora (SD)

che vivono ai margini della società ma che possono accedere ai servizi

torinesi grazie all'istituzione di due indirizzi fittizi: “Via della Casa Comunale

numero 1 e numero 2”. Purtroppo a questi indirizzi non possono accedere i

rifugiati politici e i titolari di protezione internazionale allorquando vivano in

condizioni precarie (dormitori, comunità, case occupate). Siccome la

residenza è un diritto-dovere stabilito dalle normative nazionali, nel mese di

gennaio 2011 il Coordinamento Non Solo Asilo ha iniziato un percorso per

sollecitare il Comune ad affrontare il problema ed individuare delle soluzioni

ma attualmente ancora nulla è stato fatto.

Il riconoscimento delle residenza è un aspetto fondamentale poiché

senza non si ha un indirizzo in cui ricevere le comunicazioni ufficiali, non si

83

può accedere ai servizi sociali, non si può avere la carta di identità, senza la

quale non è possibile avere la patente di guida, iscriversi all'Università, aprire

una partita IVA, iscriversi alle agenzie interinali e ai centri per l'impiego,

aprire un conto corrente bancario o postale. Oltre tutto il mancato

riconoscimento della residenza ritarda la possibilità ai rifugiati di richiedere la

concessione della cittadinanza che, per chi è in possesso di regolare

permesso di soggiorno per asilo politico, può essere richiesta dopo 5 anni di

residenza continuativa e complica il rinnovo dello stesso permesso di

soggiorno (www.nonsoloasilo.org).

Il riconoscimento della residenza è solo uno degli esempi di violazione

dei diritti che i rifugiati sono consapevoli di subire. Molti dichiarano di aver

ricevuto una protezione che non garantisce loro nessuna tutela e che non

esiste differenza tra il riconoscimento del titolo di rifugiato e le protezioni

sussidiarie o umanitarie perché, in tutti i casi, il trattamento ricevuto è il

medesimo. Alcuni affermano di sentirsi prigionieri di questo Paese, un Paese

che ha riconosciuto loro un diritto “finto” e in cui sono costretti a rimanere

perché non possono tornare nella propria terra d’origine e non possono

andare altrove; il Regolamento Dublino II, infatti, non consente loro di

trasferirsi in altri Paesi europei e chi ha provato a farlo è stato rimandato in

Italia. La sensazione che provano è quella di sentirsi prigionieri di uno Stato

che non li tutela e non garantisce il rispetto dei diritti minimi di cui dovrebbero

godere.

Conclusioni

La ricerca condotta per realizzare questo lavoro mi ha offerto

l’opportunità di conoscere alcuni aspetti del tema dei richiedenti asilo in Italia

ma, soprattutto, mi ha dato l’occasione di confrontarmi con persone che mi

hanno dedicato il loro tempo e il racconto delle loro esperienze. Ho cercato

quindi di presentare il loro punto di vista, basandomi su delle testimonianze

che mettono in luce molte mancanze nel sistema di accoglienza italiano.

Spesso l’essere riconosciuti come rifugiati o titolari di protezione

umanitaria è percepito dai beneficiari come un riconoscimento solo teorico,

84

finto, che dovrebbe garantire dei diritti che poi vengono quotidianamente

negati. Il confronto con queste persone mi ha aiutata a considerare quanto

possa essere complesso vivere in una società di cui non ti senti parte, in cui

ti senti costretto a restare e che ti obbliga a rimanere in una condizione di

precarietà continua.

Nell’approfondire il tema dell’accoglienza e delle situazioni abitative

vissute dai beneficiari di protezione internazionale, è emerso con chiarezza

che la problematicità della questione dipende in primo luogo dall’assenza di

un programma organico e strutturato, valido per l’intero territorio nazionale.

Lo SPRAR è una risposta positiva ma insufficiente al numero di richieste e le

soluzioni alternative a questo sistema, quando ci sono, sono spesso

caratterizzate dall’emergenzialità. Questo tipo di gestione comporta un

dispendio di risorse ed energie che non danno una risposta duratura e si

concludono al termine dell’emergenza (come è accaduto con l’Emergenza

Nord Africa), ignorando l’esigenza di un sistema permanente che garantisca

ai rifugiati, che giornalmente in Italia ottengono lo status e la possibilità di

risiedere sul territorio nazionale, il riconoscimento dei loro diritti.

Come si è visto ci sono stati dei sistemi di accoglienza (anche durante

l’Emergenza Nord Africa) che hanno raggiunto buoni risultati, come quello

riservato ai Somali ad Asti o dei tentativi ben riusciti di inserimento,

attraverso l’accoglienza integrata sul territorio piemontese, realizzati dal

Coordinamento Non Solo Asilo ma appaiono come delle eccezioni, delle

gestioni limitate territorialmente che nascono dalla volontà di pochi. Il terzo

settore svolge nell’accoglienza e nell’integrazione dei migranti un ruolo

fondamentale ma, per renderlo ancora più efficace, dovrebbe essere

valorizzato e organizzato all’interno di una logica nazionale che punti al

miglioramento delle realtà presenti nelle regioni o che ne stimoli lo sviluppo.

Un altro aspetto fondamentale dell’accoglienza consiste nell’evitare

l’assistenzialismo che, in alcuni casi, si è verificato durante l’Emergenza Nord

Africa. L’assistenza non deve cronicizzarsi, deve essere un aiuto per l’inizio

di un nuovo percorso in un Paese che si propone di garantire una protezione

a chi la richiede ma che mira al conseguimento dell’indipendenza da parte

85

del rifugiato. Per il raggiungimento dell’autonomia e dell’integrazione nel

territorio, i beneficiari non possono essere trattatati come soggetti passivi di

interventi predisposti in loro favore. È importante che nei mesi di accoglienza

imparino la lingua, conoscano la realtà in cui dovranno vivere, facciano dei

percorsi formativi che possano essere utili o risolutivi per il loro futuro.

Dai risultati ottenuti nell’indagine è anche emersa l’importanza

primaria della ricerca di una soluzione abitativa il più possibile durevole e

autonoma in seguito al periodo di prima accoglienza. La precarietà abitativa

è uno dei fattori che incide maggiormente sui processi di esclusione sociale,

impedendo la stabilizzazione della persona e costringendola in una

condizione di incertezza continuativa. Pertanto risulta fondamentale nel

processo di inclusione del rifugiato un programma di mediazione e aiuto per

facilitare l’accesso al mercato immobiliare.

Infine è stata messa in risalto la questione della residenza che rende

più complessa l’integrazione e rappresenta anch’essa una violazione di un

diritto: si nega l’iscrizione anagrafica che spetterebbe al rifugiato come al

cittadino italiano e, di conseguenza, non si permette la realizzazione dei

“diritti di cittadinanza”. Questi ultimi si sostanziano nel poter accedere ai

fondamentali servizi sociali, espressione dei principi costituzionali di

eguaglianza sostanziale21e di solidarietà22 (www.governo.it).

La ricerca sull’accoglienza e la situazione abitativa sottolinea la

complessità del fenomeno dei rifugiati ma rimarca la necessità palese di

nuove prospettive e del potenziamento delle buone prassi nel rispetto della

Convenzione di Ginevra che obbliga l’Italia a dare protezione a chi temendo

a ragione, di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità,

appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni

politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a

causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure

che, non avendo cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva

21 Costituzione italiana, 1948, art. 3 22 Idem, art.2

86

residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi

per il timore di cui sopra" 23(www.interno.gov.it).

Riferimenti bibliografici

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rifugiati in Italia, Roma, Avagliano.

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europee e leggi nazionali, Matelica, Halley.

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un’introduzione, Padova, Cedam. 23 Convenzione di Ginevra,1951, art.1A

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politici in provincia di Torino. Anno 2011/2012., Torino.

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una domanda di asilo: dalla Convenzione di Dublino al nuovo Regolamento,

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Roma, Servizio Centrale.

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l’operatore, Roma, Servizio Centrale.

Sprar (2007c), Manuale operativo per l’attivazione e la gestione di servizi di

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internazionale, Roma, Servizio Centrale.

Sprar (2007d), Raccolta normativa e giurisprudenziale in materia d’asilo,

Roma, Servizio Centrale.

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integrazione per rifugiati politici, “Quaderni dell’Ufficio Pastorale Migranti”,n.7,

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88

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www.governo.it

www.hrw.org

www.interno.gov.it

www.meltingpot.org

www.migrantitorino.it

www.migreurop.org

www.naga.it

www.nonsoloasilo.org

www.prefettura.it

www.programmaintegra.it

www.sermig.org

89

www.serviziocentrale.it

www.unhcr.it

www.viedifuga.org

90

ALLEGATO

Interviste

91

Intervista n.1

Nome: B. J.

Cognome: G.

Genere: M

Età: 20 anni

Luogo di nascita: Ghana

Status attuale: titolare di protezione umanitaria

Quando e dove sei arrivato in Italia?

Sono arrivato a luglio 2011 a Lampedusa ma sono rimasto lì solo due

settimane. Dopo sono stato a Manduria (centro di prima accoglienza ENA, ex

aeroporto militare) dove c’erano tante persone. Dormivamo in tende da

cinque o sei persone. Sono rimasto a Manduria un mese ed è stato difficile.

Quando sei arrivato a Torino e dove hai vissuto?

Da Manduria mi hanno trasferito a Torino (settembre 2011) e sono stato in

un Centro di Accoglienza fino a marzo 2013. Anche qui c’erano molte

persone provenienti da Paesi diversi, molti africani e dormivo in una camera

condivisa.

Dove hai fatto la richiesta di protezione internazionale?

A Torino ho presentato la richiesta di protezione internazionale e al centro di

accoglienza mi hanno aiutato a capire come fare e mi hanno dato le

informazioni.

Dove vivi adesso? Quali sono le difficoltà?

Vivo in un appartamento condiviso con altri quattro ragazzi e dormo in una

stanza con 2 di loro.

92

Mi trovo bene qui anche perché posso parlare l’italiano (cosa che non facevo

nel centro) ma a volte c’è qualche problema di convivenza (disturbo

reciproco in stanza).

Qui ho iniziato a cucinare da solo, prima non lo facevo perché nei centri i

pasti ci venivano preparati e in Ghana non ho mai cucinato. Cucino riso e

verdure ma il problema è avere i soldi per andare a fare la spesa.

Non so quanto mi fermerò in questo appartamento e questo è un problema

per ottenere la residenza (non può indicare l’attuale indirizzo come

residenza).

Da quando sono a Torino ho fatto un corso alberghiero e ho frequentato i

corsi di italiano in ASAI (Associazione di Animazione Interculturale).

93

Intervista n.2

Nome: H.

Cognome: R.

Genere: M

Età: 48 anni

Luogo di nascita: Congo

Status attuale: rifugiato

Quando e dove sei arrivato in Italia?

Sono arrivato in Italia il 27 novembre 2007 a Roma ma ci sono rimasto solo

poche ore (cinque ore). Poi ho preso il treno per Trento ma ho sbagliato

fermata e mi sono ritrovato a Torino.

Quando sei arrivato a Torino e dove hai vissuto?

Ho passato le prime due notti a Torino alla stazione Porta Nuova e poi grazie

all’aiuto di un connazionale sono andato a fare colazione in via Nizza (Casa

Santa Luisa per persone senza dimora, via Nizza 24, apertura: lunedì-sabato

7.30-8.30 (solo colazione), dove mi hanno suggerito di andare in Questura.

Dove hai fatto la richiesta di protezione internazionale?

Ho presentato la richiesta di protezione internazionale ma gli agenti non mi

hanno dato nessuna informazione a riguardo. Sono andato all’audizione

presso la Commissione Territoriale a Roma e ho ottenuto il riconoscimento

dopo tre anni (dopo aver presentato ricorso) durante i quali, ho vissuto al

centro di accoglienza di via Negarville (Casa del Mondo Unito, via Negarville

94

30/2). Ho fatto un corso di italiano all’UPM (Ufficio Pastorale Migranti) e un

corso professionale per decoratori.

Dopo sei mesi ho dovuto lasciare il centro e sono andato a dormire al

Sermig. I due mesi vissuti lì sono stati molto difficili a causa della convivenza

con persone diverse e gli orari di entrata e uscita (20.30-7.00) che ti

obbligavano a stare tutto il giorno all’addiaccio.

Quando ho trovato lavoro, ho affittato un appartamento con un amico che

avevo conosciuto in via Negarville ma a dicembre 2013 abbiamo perso

entrambi il lavoro e ci hanno mandato fuori casa perché non potevamo più

pagare l’affitto.

Dove vivi adesso?Quali sono le difficoltà?

Adesso vivo a casa di un anziano signore che ho incontrato alla stazione di

Porta Nuova (dopo aver perso la casa e il lavoro ero tornato a dormire in

stazione). Lo aiuto nelle faccende di casa perché lui non sta bene e in

cambio mi da un posto dove vivere. La convivenza è molto difficile, a volte

riusciamo a parlare e mi ha raccontato di aver vissuto in Congo per molti anni

ma spesso grida e beve molto.

95

Intervista n.3

Nome: M.

Cognome: K.

Genere: M

Età: 35 anni

Luogo di nascita: Guinea

Status attuale: rifugiato

Quando e dove sei arrivato in Italia?

Sono arrivato in Italia il 10 ottobre 2010 a Milano. Sono subito andato a

Cuneo perché conoscevo una ragazza che viveva lì e ci sono rimasto fino a

novembre 2011.

Quando sei arrivato a Torino e dove hai vissuto?

Mi sono trasferito a Torino e ho presentato la richiesta di protezione a

maggio 2012.

Sono andato all’ufficio stranieri che mi ha inserito nelle liste d’attesa per un

posto letto e mi ha mandato a fare le visite mediche di controllo.

Mi hanno trovato un posto letto al Sermig (Borgo Dora 61), ma è stato difficile

vivere qui. C’erano orari inflessibili di entrata e uscita (20.30 - 7.00) ed era

complicato stare tutto il giorno fuori, al freddo. Per stare al caldo andavo in

biblioteca o al corso di italiano. Le stanze erano piccole, c’erano tante

persone diverse e c’erano orari per guardare la Tv e andare a dormire.

96

Dopo sono stato mandato alla Fondazione Dravelli (centro individuato per

l’accoglienza ENA) e ho trascorso lì sei mesi, fino al 22 aprile 2013.

Anche qui c’erano orari di entrata e uscita (18.00 – 9.30) ma sono stato

meglio che al Sermig non c’erano tante regole si poteva stare quanto si

voleva negli spazi comuni, non eri obbligato a stare in camera.

Dove hai fatto la richiesta di protezione internazionale?

In Questura a Torino.

Dove vivi adesso? Quali sono le difficoltà?

Adesso vivo in un appartamento condiviso con altri ragazzi in zona Falchera,

A volte ci sono dei problemi di convivenza con gli altri, dovuti a mentalità

diverse e a modi differenti di vivere in casa (pulizie, cucina…) ma sto bene

qui, sono libero di fare quello che voglio senza dover rispettare delle regole.

Considero l’Italia come il mio secondo Paese ma qui il riconoscimento è solo

un documento, non ti da diritti, non c’è differenza di trattamento tra status

(rifugiato, protezione sussidiaria o umanitaria).

In altri Paesi (Belgio, Francia, Germania, Olanda) mi hanno detto che con il

riconoscimento della protezione ti danno una casa, puoi fare il

ricongiungimento, ti aiutano con un fondo. Qui non è così.

97

Intervista n.4

Nome: M.

Cognome: G.

Genere: F

Età: 33 anni

Luogo di nascita: Egitto

Status attuale: rifugiata

Quando e dove sei arrivata in Italia?

Sono arrivata a Roma nel 2011 e sono stata per un anno in un centro di

prima accoglienza con i miei due figli.

Dormivamo in una zona del centro per famiglie ma è stato brutto vivere lì

perché c’erano tante, troppe persone da tanti Paesi.

Dove hai fatto la richiesta di protezione internazionale?

Nel campo ho presentato domanda d’asilo e un mediatore mi ha aiutata a

capire cosa dovevo fare.

Quando sei arrivata a Torino e dove hai vissuto?

Ottenuto il riconoscimento sono venuta a Torino dove c’era mio marito e ho

abitato con alcuni connazionali fino al gennaio 2013.

98

Dove vivi adesso? Quali sono le difficoltà?

Nel gennaio 2013 un amico di mio marito ci ha aiutato a trovare un

appartamento e ci siamo trasferiti lì. Adesso non so come pagare l’affitto, mio

marito ha perso il lavoro e non so dove sia andato e io non riesco a trovare

un lavoro.

Intervista n.5

Nome: M.

Cognome: K.

Genere: M

Età: 33 anni

Luogo di nascita: Etiopia

Status attuale: titolare di protezione umanitaria

Quando e dove sei arrivato in Italia?

Sono arrivato in Italia a Lampedusa nel 2007 e mi hanno subito trasferito nel

CARA di Gradisca dove sono rimasto per otto mesi.

Dove hai fatto la richiesta di protezione internazionale?

Ho fatto la richiesta d’asilo nel CARA ma mentre aspettavo la risposta non

potevo fare niente; non c’era un corso di italiano, non si poteva studiare né

lavorare.

Quando sei arrivato a Torino e dove hai vissuto?

Ottenuto il riconoscimento sono venuto a Torino perché c’era un mio amico

che stava in una casa occupata in via Bologna (ex-caserma dei vigili urbani).

99

Dopo lui è partito per l’Inghilterra ma io sono rimasto lì per un anno; è stato

molto difficile, non c’era acqua, faceva freddo e molte persone bevevano e

fumavano tanto. In quel periodo ho fatto un corso come muratore.

Poi sono andato all’ufficio stranieri e mi hanno trovato un posto al Sermig

(Borgo Dora 61), anche se potevo andarci solo a dormire, stavo meglio di

prima.

Dopo ho deciso di andare a Parma dove ho lavorato per un mese ma poi

sono tornato a Torino e ho fatto un corso professionale per tornitori.

Dove vivi adesso? Quali sono le difficoltà?

Adesso dormo in una casa di accoglienza dei monaci ortodossi e vado a

mangiare alla mensa Caritas. È difficile vivere qui ma Torino è meglio di

Parma, ci sono i corsi di italiano e quelli per lavorare.

100

Intervista n.6

Nome: C.

Cognome: M.

Genere: F

Età: 39 anni

Luogo di nascita: Camerun

Status attuale: rifugiata

Quando e dove sei arrivata in Italia?

Sono arrivata in Italia nel dicembre 2010 a Genova e sono subito venuta a

Torino. I primi tre giorni ho dormito alla stazione Porta Nuova.

Dove hai fatto la richiesta di protezione internazionale?

Sono andata in Questura per presentare la mia domanda d’asilo. Non mi

hanno dato nessuna informazione, non mi hanno spiegato nulla della

procedura e delle tempistiche.

Dove hai vissuto?

101

Ci sono voluti sei mesi per ottenere il riconoscimento, durante i quali ho

dormito in posti diversi: al Sermig per un mese, alla casa di accoglienza delle

suore Missionarie della carità di Madre Teresa, ancora al Sermig, poi alla

Casa di ospitalità notturna di via Pacini (Gruppo Abele) e infine nuovamente

al Sermig.

Il problema più grande in questi posti era lingua che era una vera barriera

perché non riuscivo a dire quello che volevo e si aggiungeva alle difficoltà

della convivenza con donne diverse per provenienza e condizioni (italiane e

straniere, migranti e senzatetto).

Ad aprile 2011 sono stata inserita in un progetto di accoglienza SPRAR

(progetto tenda) per sole donne, in Via Quittengo e ho ottenuto una borsa

lavoro come receptionist in un hotel. Ho lavorato lì per sei mesi e poi ho

trovato una borsa lavoro di scrittura e traduzione in una ONG. Mi piaceva

questo lavoro perché in Camerun ero giornalista e ho collaborato con loro

fino a gennaio 2013 ma non mi pagavano quindi ho deciso di smettere.

Fino ad aprile 2013 sono stata inserita in un progetto di rifugio diffuso ma

dopo sei mesi è terminato.

Dove vivi adesso? Quali sono le difficoltà?

Adesso vivo in un appartamento da sola perché quando sono uscita dal

progetto SPRAR mi hanno detto che avrei avuto diritto ad un contributo e che

potevo fare un contratto d’affitto. A causa della burocrazia ci ho messo alcuni

mesi per fare il contratto e a quel punto, mi hanno detto che non avevo più

diritto al contributo.

Io adesso non so cosa fare, come pagare e nessuno sa darmi una risposta.

Io non posso tornare al mio Paese, non posso andare altrove (Regolamento

Dublino II), sono prigioniera.

Lo status di rifugiato non ha scadenza. Lo status di rifugiato è una protezione

finta.

102

Intervista n.7

Nome: M.

Cognome: A.

Genere: M

Età: 38 anni

Luogo di nascita: Sudan

Status attuale: rifugiato

Quando e dove sei arrivato in Italia?

Sono arrivato in Italia nel 2008 a Lampedusa e poi sono stato mandato nel

CARA di Crotone.

Dove hai fatto la richiesta di protezione internazionale?

Ho fatto al richiesta d’asilo nel CARA.

Quando sono uscito con i documenti in regola sono andato a Metaponto

dove c’era un amico. Dormivamo sotto un ponte e di giorno lavoravamo nei

campi. Nel 2010 sono andato a Roma per avere la residenza al Centro Astalli

e poi sono arrivato a Torino.

103

Quando sei arrivato a Torino e dove hai vissuto?

Sono arrivato nel 2010. In città avevo un amico e sono andato a vivere nella

casa occupata di Via Paganini/Via Bologna.

A Torino ho fatto il mio primo corso di lingua italiana e un corso professionale

per muratori. Poi ho fatto uno stage in una ditta e mi hanno fatto un contratto

per un anno che mi hanno anche rinnovato.

Dove vivi adesso? Quali sono le difficoltà?

Da quando sono a Torino vivo nella casa occupata di via Paganini,

attualmente siamo una sessantina. Continuo a lavorare e sto cercando una

casa in affitto per prendere la residenza a Torino e far venire in Italia anche

mia moglie e mio figlio.

Intervista n.8

Nome: S.

Cognome: K.

Genere: M

Età: 32 anni

Luogo di nascita: Iran

Status attuale: rifugiato

Quando e dove sei arrivato in Italia?

Sono arrivato in Italia nel 2010 a Roma e poi sono venuto a Torino perché

conoscevo una connazionale.

Dove hai fatto la richiesta di protezione internazionale? Dove hai

vissuto?

Mi sono a rivolto all’associazione Terra del Fuoco e sono stato inserito in un

progetto di accoglienza a Settimo e ho fatto la mia richiesta d’asilo. Non ci

davano molte informazioni al centro di accoglienza e dopo sei mesi ho

104

dovuto abbandonare la struttura, ho ottenuto un posto in una residenza

universitaria con una borsa di studio EDISU ma poi mi hanno tolto la borsa il

posto in residenza perché non avevo superato i crediti necessari.

Mi sono rivolto all’ufficio stranieri e mi hanno trovato un posto per la notte al

Sermig e dopo una decina di giorni al centro gestito dalla Fondazione

Dravelli. Non è stato facile vivere qui, l’edificio era vecchio e sporco, la

convivenza con gli altri ospiti complicata e il cibo scarso.

In seguito sono stato inserito nel progetto di rifugio diffuso e ho svolto alcune

borse lavoro.

Dove vivi adesso? Quali sono le difficoltà?

Adesso vivo in un appartamento con una ragazza e mio fratello e sto

cercando un lavoro.

Intervista n.9

Nome: B.

Cognome: A.

Genere: M

Età: 33 anni

Luogo di nascita: Etiopia

Status attuale: titolare di protezione umanitaria

Quando e dove sei arrivato in Italia? Dove hai fatto la richiesta di

protezione internazionale?

Sono arrivato in Italia nel 2007 a Lampedusa e poi mi hanno spostato nel

CARA di Foggia dove ho fatto la richiesta d’asilo.

Dopo tre mesi sono uscito e sono andato a Parma perché avevo un amico lì

e ho lavorato per tre anni.

Quando sei arrivato a Torino e dove hai vissuto?

105

Ho deciso di venire a Torino perché c’era un altro mio amico e ho lavorato

come badante per un anno e mezzo ma poi il signore di cui mi occupavo è

morto.

Dove vivi adesso? Quali sono le difficoltà?

Adesso vivo in un appartamento con la mia mamma che è arrivata a Torino

ad aprile e ricevo la disoccupazione ma sono preoccupato perché non ho

lavoro. Sto facendo un corso come OSS (operatore socio sanitario).

Intervista n.10

Nome: P.

Cognome:

Genere: M

Età: 26 anni

Luogo di nascita: Nigeria

Status attuale: rifugiato

Quando e dove sei arrivato in Italia? Dove hai fatto la richiesat di

protezione internazionale?

Sono arrivato in Italia nel 2009 in Sicilia e poi mi hanno trasferito nel CARA di

Crotone dove ho fatto la domanda d’asilo ma lì non mi hanno dato nessuna

informazione.

Quando sei arrivato a Torino e dove hai vissuto?

106

Uscito dal campo di accoglienza sono andato a Napoli ma lì non potevo fare

niente e quindi sono venuto a Torino perché qui c’è mia sorella.

Sono andato anche in Svizzera per trovare un lavoro ma mi hanno rimandato

in Italia a causa di Dublino (Regolamento Dublino II), prima non sapevo che

cosa fosse, nessuno mi aveva spiegato nulla. Devo vivere per forza qui ma

qui non ho diritti.

Dove vivi adesso? Quali sono le difficoltà?

Vivo da mia sorella e ho la residenza da lei ma non posso più abitare lì

perché ha perso il lavoro. Sono andato all’ufficio stranieri ma non mi hanno

dato una sistemazione, non ho avuto un lavoro. Sono un rifugiato ma non ho

nessun diritto.

Ringraziamenti

Vorrei innanzitutto ringraziare la mia relatrice, la Professoressa Bonato

per aver dedicato il suo tempo alla correzione paziente della mia tesi ed

essersi dimostrata sempre disponibile e attenta nel seguirmi nella

realizzazione di questo lavoro.

Ringrazio la Professoressa Francese che fin dal principio si è

dimostrata interessata alla trattazione di questo argomento e mi ha dato utili

consigli sulle modalità da seguire per lo svolgimento dell’indagine.

Un grazie speciale va a tutte le persone che mi hanno permesso di

svolgere questa ricerca, ai rifugiati e ai titolari di protezione umanitaria che ho

incontrato in quest’anno di lavoro e che mi hanno consentito di conoscere le

loro esperienze spesso sofferte, dimostrandosi contenti di poter essere utili e

sperando che queste informazioni potessero servire a far conoscere la realtà

dei fatti e a migliorare l’accoglienza per i futuri migranti.

107

Grazie a Sergio Durando direttore dell’Ufficio Pastorale Migranti, a

Don Fredo Olivero e Cristina Molfetta, persone che lavorano tutti i giorni con i

migranti e che si confrontano direttamente e in prima persona con le

problematiche che li riguardano, tentando di migliorare le cose. Sono stati in

quest’anno di lavoro dei punti di riferimento e mi hanno aiutata a vedere la

realtà dalla giusta prospettiva, coinvolgendomi nelle loro attività e fornendomi

informazioni utili.

Grazie anche a tutti gli operatori dell’UPM, a quelli incontrati sul

territorio piemontese che ci hanno fornito un aiuto prezioso per la ricerca e al

gruppo di lavoro con cui ho collaborato nel suo svolgimento.

E infine grazie alla mia famiglia e ai miei amici sempre presenti, i miei

punti fermi e le mie certezze. Le persone che mi sono state sempre accanto

anche nei momenti più difficili, quelle che mi hanno supportato e spesso

sopportato, quelle senza le quali non ce l’avrei fatta.

Grazie.