res gesta e divi augusti

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RES GESTAE DIVI AUGUSTI TESTI, TRADUZIONE E SUSSIDI PER LAPPROFONDIMENTO DI ASPETTI RELATIVI AL PRINCEPS, TRATTATI NELCORSO DI DIRITTO ROMANO, A CURA DI ANTONIO RODINÒ DI MIGLIONE DA INTEGRARE CON LO STUDIO DEI SEGUENTI TESTI: - GIULIANO CRIFÒ, Lezioni di storia del diritto romano, 4ª ed., Monduzzi ed., Bologna 2005, pagg. 224-238 e pagg.255-258 - RICCARDO ORESTANO, Parola del potere: “auctoritate omnibus prestiti”, in ‘Diritto’ incontri e scontri, Il Mulino ed., Bologna 1981, pp.565-636 LUMSA - PALERMO Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza Anno Accademico 2008-2009

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Il testamento di Augusto

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Page 1: Res Gesta e Divi Augusti

RES GESTAE DIVI AUGUSTI

TESTI, TRADUZIONE E SUSSIDI PER L’APPROFONDIMENTO DI ASPETTI RELATIVI AL PRINCEPS, TRATTATI NELCORSO DI

DIRITTO ROMANO, A CURA DI ANTONIO RODINÒ DI MIGLIONE

DA INTEGRARE CON LO STUDIO DEI SEGUENTI TESTI:

- GIULIANO CRIFÒ, Lezioni di storia del diritto romano, 4ª ed., Monduzzi ed.,

Bologna 2005, pagg. 224-238 e pagg.255-258 - RICCARDO ORESTANO, Parola del potere: “auctoritate omnibus prestiti”, in

‘Diritto’ incontri e scontri, Il Mulino ed., Bologna 1981, pp.565-636

LUMSA - PALERMO

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza Anno Accademico 2008-2009

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PREMESSA

Queste pagine sono volte a consentire un approfondimento dei temi relativi al passaggio dalla res publica al Princeps, che costituiscono parte del programma svolto nell’ambito del corso di diritto romano. Di tali temi, gli studenti possono prendere conoscenza dallo studio del testo di RICCARDO ORESTANO, Il “problema delle persone giuridiche” in diritto romano, I, Giappichelli ed., Torino 1968, nonché (e ciò vale per i ‘frequentanti’) dalle ultime lezioni del corso stesso, dedicate in particolare alle Res gestae Divi Augusti.

E’ chiaro che fondamentali restano le fonti dell’epoca: in particolare, oggetto principale di questo approfondimento è il testo delle Res Gestae, cui si premettono le pagine di Tacito su Augusto, nonché quanto scrive relativamente alle Res Gestae Svetonio; si aggiungono poi alcuni brani di poeti dell’età augustea, che sembrano utili per meglio lumeggiare il contesto, ed infine i Fasti consulares relativi agli anni dal 50 a.C. al 14 d.C..

Ma, prima di far “parlare direttamente” Augusto e i suoi contemporanei, si rende necessario in primo luogo un inquadramento aggiornato della problematica della genesi e natura del principato augusteo, che gli studenti trarranno da alcune pagine di GIULIANO CRIFÒ, Lezioni di storia del diritto romano, 4ª ed., Monduzzi ed., Bologna 2005 (pagg. 224-238 e pagg.255-258 - manuale che, tra l’altro, si segnala a chi fosse interessato ad una buona conoscenza della Storia del diritto romano)

Una volta acquisito – sia pur in sintesi - ciò che del principato augusteo dicono gli

studiosi modern, vediamo la succinta descrizione che dell’epoca di Augusto fa il maggiore storico latino dell'età imperiale, Tacito (n. circa 56 d. C. – m. circa 120 d. C.), che nelle sue opere (gli Annales dedicati al periodo da Augusto al 69 d.C. e le Historiae, dal 69 d.C. al 96 d. C., in cui tratta il periodo a lui contemporaneo) traccia un bilancio amaro del primo secolo dell'età imperiale, partecipando di quel rimpianto per i valori politici e morali dell'età repubblicana ancora espresso dalla classe senatoria.

Publii (o Gai?) Corneli Taciti Annalium liber I

[1] Urbem Romam a principio reges habuere; libertatem et consulatum L. Brutus instituit. dictaturae ad tempus sumebantur; neque decemviralis potestas ultra biennium, neque tribunorum militum consulare ius diu valuit. non Cinnae, non Sullae longa dominatio; et Pompei Crassique potentia cito in Caesarem, Lepidi atque Antonii arma in Augustum cessere, qui cuncta discordiis civilibus fessa nomine principis sub imperium accepit. sed veteris populi Romani prospera vel adversa claris scriptoribus memorata sunt; temporibusque Augusti dicendis non defuere decora ingenia, donec gliscente adulatione deterrerentur. Tiberii Gaique et Claudii ac Neronis res florentibus ipsis ob metum falsae, postquam occiderant, recentibus odiis compositae sunt. inde consilium mihi pauca de Augusto et extrema tradere, mox Tiberii principatum et cetera, sine ira et studio, quorum causas procul habeo.

1. [14 d.C.]. Roma in origine fu una città governata dai re. L'istituzione della libertà e del consolato spetta a Lucio Bruto. L'esercizio della dittatura era temporaneo e il potere dei decemviri non durò più di un biennio, né a lungo resse la potestà consolare dei tribuni militari. Non lunga fu la tirannia di Cinna né quella di Silla; e la potenza di Pompeo e Crasso finì ben presto nelle mani di Cesare, e gli eserciti di Lepido e di Antonio passarono ad Augusto, il quale, col titolo di principe, concentrò in suo potere tutta la res publica, stremata dalle lotte civili. Ora, scrittori di fama hanno ricordato la storia, nel bene e nel male, del popolo romano dei tempi lontani e non sono mancati chiari ingegni a narrare i tempi di Augusto, sino a che, crescendo l'adulazione, non ne furono distolti. Quanto a Tiberio, a Gaio, a Claudio e a Nerone, il racconto risulta falsato: dalla paura, quand'erano al potere, e, dopo la loro morte, dall'odio, ancora vivo. Di qui il mio proposito di riferire pochi dati su Augusto, quelli degli ultimi anni, per poi passare al principato di Tiberio e alle vicende successive, senza rancori e senza favore, non avendone motivo alcuno.

[2] Postquam Bruto et Cassio caesis nulla iam 2. Dopo che, uccisi Bruto e Cassio, non vi furono più

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publica arma, Pompeius apud Siciliam oppressus exutoque Lepido, interfecto Antonio ne Iulianis quidem partibus nisi Caesar dux reliquus, posito triumviri nomine consulem se ferens et ad tuendam plebem tribunicio iure contentum, ubi militem donis, populum annona, cunctos dulcedine otii pellexit, insurgere paulatim, munia senatus magistratuum legum in se trahere, nullo adversante, cum ferocissimi per acies aut proscriptione cecidissent, ceteri nobilium, quanto quis servitio promptior, opibus et honoribus extollerentur ac novis ex rebus aucti tuta et praesentia quam vetera et periculosa mallent. neque provinciae illum rerum statum abnuebant, suspecto senatus populique imperio ob certamina potentium et avaritiam magistratuum, invalido legum auxilio quae vi ambitu postremo pecunia turbabantur.

eserciti della res publica e, con la disfatta di Pompeo in Sicilia, l'emarginazione di Lepido e l'uccisione di Antonio, non rimase a capo delle forze cesariane se non Cesare [Ottaviano], costui, deposto il nome di triumviro, si presentò come console, pago della tribunicia potestas a difesa della plebe. Quando ebbe adescato i soldati con donativi, con distribuzione di grano il popolo, e tutti con la dolcezza della pace, cominciò passo dopo passo la sua ascesa, a concentrare su di sé le competenze del senato, dei magistrati, delle leggi, senza opposizione alcuna essendo scomparsi gli avversari più decisi o sui campi di battaglia o nelle proscrizioni, mentre gli altri nobili, quanto più pronti a servire, tanto più salivano di ricchezza o in cariche pubbliche, e, divenuti più potenti col nuovo regime, preferivano la sicurezza del presente ai rischi del passato. Né si opponevano a quello stato di cose le province: era a loro sospetto il governo del senato e del popolo, per la rivalità dei potenti, l'avidità dei magistrati e le insufficienti garanzie fornite dalle leggi, stravolte dalla violenza, dagli intrighi e, infine, dalla corruzione.

[3] Ceterum Augustus subsidia dominationi Claudium Marcellum sororis filium admodum adulescentem pontificatu et curuli aedilitate, M. Agrippam ignobilem loco, bonum militia et victoriae socium, geminatis consulatibus extulit, mox defuncto Marcello generum sumpsit; Tiberium Neronem et Claudium Drusum privignos imperatoriis nominibus auxit, integra etiam tum domo sua. nam genitos Agrippa Gaium ac Lucium in familiam Caesarum induxerat, necdum posita puerili praetexta principes iuventutis appellari, destinari consules specie recusantis flagrantissime cupiverat. ut Agrippa vita concessit, Lucium Caesarem euntem ad Hispaniensis exercitus, Gaium remeantem Armenia et vulnere invalidum mors fato propera vel novercae Liviae dolus abstulit, Drusoque pridem extincto Nero solus e privignis erat, illuc cuncta vergere: filius, collega imperii, consors tribuniciae potestatis adsumitur omnisque per exercitus ostentatur, non obscuris, ut antea, matris artibus, sed palam hortatu. nam senem Augustum devinxerat adeo, uti nepotem unicum Agrippam Postumum, in insulam Planasiam proiecerit, rudem sane bonarum artium et robore corporis stolide ferocem, nullius tamen flagitii conpertum. at hercule Germanicum Druso ortum octo apud Rhenum legionibus inposuit adscirique per adoptionem a Tiberio iussit, quamquam esset in domo Tiberii filius iuvenis, sed quo pluribus munimentis insisteret. bellum ea tempestate nullum nisi adversus Germanos supererat, abolendae magis infamiae ob amissum cum Quintilio Varo exercitum quam cupidine proferendi imperii aut dignum ob praemium. domi res tranquillae, eadem magistratuum vocabula; iuniores post Actiacam victoriam, etiam senes plerique inter bella civium nati: quotus quisque reliquus qui rem publicam vidisset?

3. Fatto sta che Augusto, a sostegno del proprio potere, innalzò alla carica di pontefice e di edile curule Claudio Marcello, figlio della sorella, ancora giovane, e nominò console per due anni consecutivi Marco Agrippa, persona di umili origini ma buon soldato e compagno nella vittoria, ed appena morto Marcello lo volle come genero. Fregiò del titolo di imperator i figliastri Tiberio Nerone e Claudio Druso, pur essendo ancora viventi membri della sua famiglia. Aveva infatti introdotto nella famiglia dei Cesari, Gaio e Lucio, figli di Agrippa, e, benché fingesse riluttanza, era stato suo desiderio struggente che essi, pur portando ancora la toga dei minorenni, fossero nominati principi della gioventù e designati consoli. Ma, appena Agrippa cessò di vivere, una morte fatalmente precoce o forse le trame della matrigna Livia tolsero di mezzo sia Lucio Cesare, mentre era diretto agli eserciti di Spagna, sia Gaio, di ritorno dall'Armenia, ferito; e poiché Druso s'era spento da tempo, dei figliastri era rimasto il solo [Tiberio] Nerone, cui si volsero tutte le aspettative: considerato come figlio e assunto come collega a reggere l'impero e a condividere la potestà tribunicia, fu mostrato a tutti gli eserciti, non più, come prima, per gli oscuri intrighi della madre, ma con scoperta insistenza. Infatti Livia aveva a tal punto avvinto a sé il vecchio Augusto, da fargli relegare nell'isola di Pianosa l'unico nipote, Postumo Agrippa, certo di rozza cultura e brutalmente fiero della forza dei suoi muscoli, ma non riconosciuto colpevole di delitto alcuno. Se non altro però, mise Germanico, nato da Druso, al comando di otto legioni sul Reno e volle che Tiberio lo adottasse, benché in casa di Tiberio ci fosse un figlio giovane: e ciò allo scopo di avere più sostegni. Di guerre, a quel tempo, non ne erano rimaste se non contro i Germani, e più per cancellare la vergogna dell'esercito perduto con Quintilio Varo che per l'intenzione di estendere l'impero o per vantaggi di cui valesse la pena. A Roma, tutto tranquillo: ricorrevano sempre gli stessi nomi di magistrati. I più giovani erano nati dopo la vittoria di Azio e anche la maggior parte dei vecchi nel pieno delle guerre civili: chi ancora restava che avesse visto la res publica [repubblica, qui

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usato come res populi, risultando di fatto in senso analogo al nostro. N.d.T.)]?

[4] Igitur verso civitatis statu nihil usquam prisci et integri moris: omnes exuta aequalitate iussa principis aspectare, nulla in praesens formidine, dum Augustus aetate validus seque et domum in pacem sustentavit. postquam provecta iam senectus aegro et corpore fatigabatur, aderatque finis et spes novae, pauci bona libertatis in cassum disserere, plures bellum pavescere, alii cupere. pars multo maxima inminentis dominos variis rumoribus differebant: trucem Agrippam et ignominia accensum non aetate neque rerum experientia tantae moli parem, Tiberium Neronem maturum annis, spectatum bello, set vetere atque insita Claudiae familiae superbia, multaque indicia saevitiae, quamquam premantur, erumpere. hunc et prima ab infantia eductum in domo regnatrice; congestos iuveni consulatus, triumphos; ne iis quidem annis, quibus Rhodi specie secessus exul egerit, aliud quam iram et simulationem et secretas lubidines meditatum. accedere matrem muliebri inpotentia: serviendum feminae duobusque insuper adulescentibus, qui rem publicam interim premant, quandoque distrahant.

4. A seguito dei profondi cambiamenti avvenuti nell'ordinamento dello città, non rimaneva traccia alcuna dell'antico, incorrotto costume. Tutti, perduto il senso dell'eguaglianza, aspettavano gli ordini del principe, senza alcun timore al presente, fino a che Augusto, ancora nel pieno delle forze, riusciva a sostenere il proprio ruolo, il proprio casato e a garantire la pace. Ma quando, ormai tanto vecchio e provato nel fisico, si avvicinava per lui la fine e si profilavano nuove speranze, erano pochi a discorrere, invano, degli ideali della libertà; i più paventavano la guerra, altri la desideravano. La stragrande maggioranza denigrava con commenti d'ogni sorta i prossimi padroni: Agrippa era - dicevano - un violento, inasprito dall'umiliazione subita, e non appariva, né per età né per esperienza, all'altezza del compito; Tiberio Nerone invece, pur maturo e di provata capacità militare, aveva la congenita e inveterata alterigia della famiglia Claudia, e in lui affioravano, pur rattenuti, numerosi indizi di crudeltà. Egli era cresciuto, fin dalla prima infanzia, nella casa regnante; ancor giovane l'avevano colmato di consolati e trionfi; e anche negli anni passati a Rodi in esilio, dietro la facciata di un ritiro, non aveva rimuginato altro che rancori, covando dissimulazione e segrete dissolutezze. In più c'era la madre, con la sua incapacità, tipicamente femminile, di dominarsi: ci sarebbe dunque toccato di subire gli ordini di una donna e, in aggiunta, di due giovani, che rappresentavano, al momento, un peso incombente sulla res publica, ma erano destinati, prima o poi, a dilaniarlo.

[5] Haec atque talia agitantibus gravescere valetudo Augusti, et quidam scelus uxoris suspectabant. quippe rumor incesserat, paucos ante menses Augustum, electis consciis et comite uno Fabio Maximo, Planasiam vectum ad visendum Agrippam; multas illic utrimque lacrimas et signa caritatis spemque ex eo fore ut iuvenis penatibus avi redderetur: quod Maximum uxori Marciae aperuisse, illam Liviae. gnarum id Caesari; neque multo post extincto Maximo, dubium an quaesita morte, auditos in funere eius Marciae gemitus semet incusantis, quod causa exitii marito fuisset. utcumque se ea res habuit, vixdum ingressus Illyricum Tiberius properis matris litteris accitur; neque satis conpertum est, spirantem adhuc Augustum apud urbem Nolam an exanimem reppererit. acribus namque custodiis domum et vias saepserat Livia, laetique interdum nuntii vulgabantur, donec provisis quae tempus monebat simul excessisse Augustum et rerum potiri Neronem fama eadem tulit.

5. In mezzo a chiacchiere di tal genere, la salute di Augusto peggiorò e, nel sospetto di alcuni, per delitto della moglie. Era infatti corsa voce che, pochi mesi prima, Augusto, - essendo a conoscenza di pochi eletti ed accompagnato dal solo Fabio Massimo - s'era recato a Pianosa a visitare Agrippa; là s'eran sparse molte lacrime tra manifestazioni d'affetto, che facevano sperare in un possibile ritorno del giovane alla casa del nonno. Massimo lo avrebbe rivelato alla moglie Marcia e quest'ultima a Livia. Cesare Augusto lo venne a sapere. Non molto dopo, spentosi Massimo – essendo in dubbio che avesse cercata la morte - al suo funerale, si udì Marcia incolparsi, tra i lamenti, d'essere stata lei la causa della rovina del marito. Comunque fosse, Tiberio, non appena messo piede nell'Illirico, viene richiamato da un messaggio urgente della madre: e non si sa bene se abbia trovato, presso Nola, Augusto ancora in vita o già spirato. Livia, infatti, aveva fatto isolare la casa e sbarrare le vie, con stretta sorveglianza, e intanto aveva diramato notizie rassicuranti, finché, predisposto quanto la situazione imponeva, si diffuse contemporanea la notizia che Augusto era morto e che Tiberio Nerone prendeva il potere.

Passiamo ora a parlare più specificatamente delle Res Gestae, cominciando da ciò che ci

dice lo storico romano Svetonio [nato c. 69 – morto c. 130 d.C.] nel suo libro sulla vita dei dodici Cesari, una raccolta di biografie da Giulio Cesare a Domiziano:

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Cai Suetoni Tranquilli [c. 69 – 130 d.C.] de vita Caesarum Divus Iulius

[101] Testamentum L. Planco C. Silio cons. III. Non. Apriles, ante annum et quattuor menses quam decederet, factum ab eo ac duobus codicibus, partim ipsius partim libertorum Polybi et Hilarionis manu, scriptum depositumque apud se virgines Vestales cum tribus signatis aeque voluminibus protulerunt. Quae omnia in senatu aperta atque recitata sunt. Heredes instituit primos: Tiberium ex parte dimidia et sextante, Liviam ex parte tertia, quos et ferre nomen suum iussit, secundos: Drusum Tiberi filium ex triente, ex partibus reliquis Germanicum liberosque eius tres sexus virilis, tertio gradu: propinquos amicosque compluris. Legavit populo Romano quadringenties, tribubus tricies quinquies sestertium, praetorianis militibus singula milia nummorum, cohortibus urbanis quingenos, legionaris trecenos nummos: quam summam repraesentari iussit, nam et confiscatam semper repositamque habuerat. Reliqua legata varie dedit perduxitque quaedam ad vicies sestertium, quibus solvendis annuum diem finiit, excusata rei familiaris mediocritate, nec plus perventurum ad heredes suos quam milies et quingenties professus, quamvis viginti proximis annis quaterdecies milies ex testamentis amicorum percepisset, quod paene omne cum duobus paternis patrimoniis ceterisque hereditatibus in rem publicam absumpsisset. Iulias filiam neptemque, si quid iis accidisset, vetuit sepulcro suo inferri. Tribus voluminibus, uno mandata de funere suo complexus est, altero indicem rerum a se gestarum, quem vellet incidi in aeneis tabulis, quae ante Mausoleum statuerentur, tertio breviarium totius imperii, quantum militum sub signis ubique esset, quantum pecuniae in aerario et fiscis et vectigaliorum residuis. Adiecit et libertorum servorumque nomina, a quibus ratio exigi posset.

101. Fu portato [dopo la morte di Augusto] il testamento, fatto il 3 aprile, essendo consoli L. Planco e C. Silio [13 a.C.], un anno e quattro mesi prima della [sua] morte, scritto in due codici [tavolette?], parte di sua mano, parte di mano dei suoi liberti Polibio e Ilarione, e depositato presso le vergini vestali con tre volumi anch’essi sigillati. Tutti questi documenti furono aperti e letti in Senato. Istituì eredi in primo grado Tiberio, per la metà più un sesto, Livia per un terzo, e ad ambedue imponeva di prendere il suo nome; in secondo grado, Druso, figlio di Tiberio per un terzo, Germanico e i suoi tre figli maschi per le parti restanti; in terzo grado molti parenti e amici. Lasciò in legato al popolo Romano di quaranta milioni di sesterzi, alle tribu di tre milioni cinquecentomila, di mille ciascuno ai pretoriani, di cinquecento alle coorti urbane, di trecento ai legionari, e ordinò che questa somma fosse pagata all’atto [della morte], infatti la teneva da parte sempre e confiscatam [nelle casse del fisco]. Fece pure diversi altri legati, alcuni dei quali fino a venti volte di sesterzi [sottinteso: mille, cioè duemilioni], fissando [il termine di] un anno per il pagamento di essi, adducendo a motivo l’esiguità del patrimonio personale; e dichiarando che ai suoi eredi non sarebbero pervenuti più di cinquanta milioni di sesterzi, sebbene negli ultimi venti anni ne avesse percepito dai testamenti di amici quattordici volte mille[???: quattordici milioni?], somme che quasi tutte, insieme con i due patrimoni paterni e le altre eredità aveva speso per la res publica. Vietò che le due Giulie, figlia e nipote fossero, alla loro morte tumulate nel suo sepolcro. Dei tre volumi, uno conteneva le disposizioni per il suo testamento, l’altro l’indice [enunciazione riassuntiva] delle sue imprese, che voleva fosse inciso in tavole di bronzo poste davanti al suo mausoleo, il terzo un breviarium [sommaria esposizione] di tutto l’impero, quanti soldati fossero in servizio e dove, quanti soldi vi fossero nell’erario, nei fisci [casse del fisco] e quante rendite pubbliche residue [da incassare]. Vi aggiunse i nomi degli schiavi e dei liberti ai quali si potessero chiedere i conti.

Ciò che ci interessa in questa sede - a parte gli accenni al fiscus - è l’indicem rerum a se gestarum, quem vellet incidi in aeneis tabulis, quae ante Mausoleum statuerentur, un riassunto dei suoi atti [dettato da Augusto nella forma definitiva all’inizio del 14 d. C, come risulta dall’ultimo paragrafo delle Res Gestae, il n.35], che come si è visto volle inciso in tavole di bronzo poste davanti al suo Mausoleo. Le tavole di bronzo del mausoleo di Augusto a Roma sono scomparse da moltissimo tempo, ma copie ne erano state fatte e afffisse sui muri dei numerosi templi di Roma e di Augusto, nelle diverse province dell’Impero.

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Tre copie ne furono ritrovate in Asia Minore ed una in Siria. Una sola, quella del Monumentum Ancyranum, il “Tempio di Roma e di Augusto” a Ancyra (l’odierna Ankara), offre un testo quasi completo, accompagnato da una traduzione greca; gli altri son poco più che frammenti. Oggi, il testo delle Res Gestae può essere letto a Roma, inciso nel travertino sul basamento dell’Ara Pacis [l’altare della Pace Augusta], difronte al Mausoleo di Augusto, nella piazza Augusto Imperatore, in occasione della sistemazione di quei luoghi avvenuta durante il fascismo Le due tavole di Ancyra misurano 2,70 m. d’altezza per 4 m. circa di lunghezza. Riportano sei pagine, lunghe da 46 a 54 righe, di circa sessanta caratteri ciascuna. Il testo latino, in alcuni punti molto deteriorato ha potuto essere ricostruito grazie alla traduzione greca e agli altri frammenti ritrovati in altri siti. Per meglio inquadrare il testo delle Res Gestae, vale la pena leggere l’interpretazione che ne dà un grande storico di lingua inglese del secolo scorso, RONALD SYME, nel suo libro The Roman Revolution, pubblicato a Londra nel 1939, (ed. italiana La Rivoluzione romana, Einaudi ed., Torino 1962, pp.525-528):

“Durante le guerre di Spagna, colpito da una malattia che avrebbe potuto facilmente significare la fine di una fragile esistenza, Augusto compose la sua Autobiografia. Prima di lui, altri generali, ad esempio Silla e Cesare, avevano pubblicato il resoconto delle loro res gestae o avevano raccontato la loro vita, le loro imprese e la loro fortuna per amor di gloria o della politica; ma nessuno fu capace di manipolare la storia con tanto tranquilla audacia. Altri generali avevano i loro monumenti nei trofei, nei templi, nei teatri che avevano eretto: le loro statue oplofore con brevi iscrizioni a ricordo dei servigi resi allo Stato adornavano il foro augusteo di Marte Ultore. Questa era la ricompensa dovuta ai « boni duces » post mortem [Orazio, Odi, 4, 8, 13 sgg]. Silla era stato il Felix, Pompeo aveva preso il titolo di Magnus. Augusto, che per gloria e fortuna era il massimo dei duces e dei principes, volle eclissarli tutti quanti. Nel momento stesso in cui era impegnato all'apparente restaurazione della repubblica, fece costruire nel Campo Marzio quell'enorme e principesco monumento che fu il suo mausoleo. Forse, nell'ambizioso desiderio di perpetuare la propria gloria, aveva già composto una prima stesura dell'iscrizione che doveva trovar posto all'esterno del monumento, quella delle Res gestae; oppure, nella peggiore delle ipotesi, si può supporre che un documento del genere fosse compreso fra gli incartamenti di stato che il princeps, sentendosi vicino a morire, consegnò al console Pisone nel 23 a. C. Ma queste prime redazioni delle Res gestae è più facile presupporle che comprovarle. Le Res gestae nella loro forma definitiva furono stilate all'inizio del 13 d. C., assieme alle ultime volontà e al testamento; Tiberio ne curò l'edizione e la pubblicazione [Come sostiene E. Kornemann, in « Mio », II (1902), 141 sgg. e altrove; cfr. ora P-T XVI, 217 sgg.].

Questo prezioso documento, conservatoci da copie provinciali, reca il marchio di fabbrica della verità ufficiale. Esso indica in che modo Augusto voleva che i posteri interpretassero le tappe della sua carriera, le realizzazioni e le caratteristiche del suo governo. Il testo è non meno significativo per i suoi silenzi che per le sue dichiarazioni. I nomi degli oppositori de1 princeps in guerra e delle vittime dei suoi tradimenti pubblici e privati, lungi dall'esser ricordati, sono sprezzantemente consegnati all'oblio: Antonio passa sotto la maschera diffamatoria di fazione, i liberatori sotto quella di nemica della patria, Sesto Pompeo sotto quella di pirata. Perugia e le proscrizioni [Svetonio, Divus Aug., 101; cfr. E. Hohl, in « Klio », XXX (1937), 323 sgg.] sono dimenticate, il colpo di stato del 32 a. C. è presentato come una spontanea sollevazione di tutta Italia, Filippi diventa una vittoria interamente dovuta all'erede e vendicatore di Cesare [Res gestae, 2: “(et) postea bellum inferentis rei publicae | vici b(is a)cie”]. Il nome di Agrippa vi ricorre due volte, ma più ad indicare una data che come vero e proprio personaggio. Altri soci del princeps sono passati sotto silenzio, eccezion fatta per Tiberio del quale viene convenientemente esaltata la conquista dell'Illirico sotto gli auspici di Augusto [Res gestae, 30. Da notare anche il rilievo conferito alla spedizione navale del 5 d. C., di cui Tíberio ebbe il comando, benché non si faccia il suo nome (ibid., 26)].

Superlativamente magistrale, e superlativamente elusiva, è la formulazione del capitolo in cui si definisce la posizione costituzionale del princeps. Dei suoi poteri si parla come di poteri legali e magistratuali, e se egli è superiore a tutti i suoi possibili colleghi, non lo è per potestas, ma soltanto per auctoritas [Res gestae, 34]. Il che è vero solo in parte, in minima parte. Tuttavia, la parola auctoritas denunzia la verità, poiché auctoritas è anche potentia. In questo passo non si fa parola della tribunicia potestas la quale, pur essendo altrove modestamente citata come strumento utile per varare la

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legislazione, non tradisce mai la sua vera, formidabile essenza e la sua funzione di chiave di volta del sistema imperiale: “summi fastigii vocabulum”. Inoltre, in tutto il documento, non s'incontra neppure un'allusione all’imperium proconsulare, in virtù del quale Augusto aveva il controllo, diretto od indiretto, di tutte le province e di tutti gli eserciti. Eppure questi poteri erano i pilastri del suo dominio, saldamente ergentesi alle spalle dell'inconsistente e ingannevole repubblica. Nell'uso dei poteri tribunizi e dell’imperium, il princeps riconosce di aver avuto dei precursori, alludendo ai potentati Pompeo e Cesare. Popolo ed esercito erano alla sorgente e alla base del suo predominio.

Queste erano le Res gestae Divi Augusti. Sarebbe quindi imprudente usare tale documento come una guida sicura alla storia, ma ottusamente irritante lagnarsi delle omissioni e delle deformazioni che presenta. Altrettanto vano è il tentativo di individuarne l'origine ultima e l'esatta definizione in quanto genere letterario [Mommsen (nella sua edizione del 1883, p. vi) annotava: “arcana imperii in tali scriptione nemo sanus quaeret”. Sul carattere e lo scopo delle Res gestae, cfr. l'edizione di J. Gagé (Paris 1935), 23 sgg. Non sempre ha avuto sufficiente considerazione il convincimento del Dessau che l'iscrizione era in primo luogo destinata alla plebe di Roma, e piú esattamente ai clienti del princeps (“Mio”, XXII [1928], 261 sgg.)]. Finché era in vita, il princeps, al pari di altri governanti, poteva essere apertamente venerato come una divinità nelle province e, a Roma e in Italia, fatto oggetto di onori pari a quelli tributati agli dèi dall 'umanità riconoscente; ma per i Romani egli era solamente il capo dello Stato romano. Però una cosa era certa: dopo morto, Augusto si sarebbe visto tributare le onoranze del Fondatore, che già era insieme Enea e Romolo, e, come il divus Iulius, sarebbe stato annoverato per voto del Senato romano tra gli dèi di Roma, per i suoi grandi meriti e soprattutto per motivi di alta politica. Ciò nondimeno, non avrebbe scopo definire la Res gestae come il certificato della sua divinità [Come fa W. Weber, Princeps, I(1936), 94]. Se si deve proprio darne una spiegazione, questo lo si può fare, non facendo riferimento alle religioni e ai re dell'Oriente ellenistico, bensì prendendo come base Roma e la prassi romana, definendole una contaminazione fra l'elogium del generale romano e il rendiconto del magistrato romano.

Al pari di Augusto, le sue Res gestae sono qualcosa di unico, che elude ogni definizione verbale, che trova in sé la sua spiegazione. Dal principio, dalla giovanile rivelazione come capo rivoluzionario in un periodo di sedizione civica e di violenza armata, l'erede di Cesare aveva durato fino in fondo. Morì nell'anniversario del giorno in cui aveva assunto per la prima volta il consolato, dopo la marcia su Roma. Erano passati cinquantasei anni. Per tutto questo tempo, nell’azione come nella linea politica, rimase fedele a se stesso e alla carriera che gli si era aperta quando arruolò un esercito privato e «liberò lo Stato dal predominio di una fazione». Il dux era diventato princeps e aveva trasformato un partito in un governo. Per il potere aveva sacrificato ogni cosa; ma aveva attinto la vetta di ogni ambizione umana, e con la sua ambizione aveva salvato e rigenerato il popolo romano”.

Nella lettura di questo brano,va peraltro tenuto presente che, come dice nella sua introduzione all’edizione italiana un altro grande storico dell’antichità, ARNALDO MOMIGLIANO (italiano, fuggito dall’Italia per le persecuzioni razziali e divenuto di cultura anglosassone, che ne condivideva l’impostazione e già nel 1940 ne aveva scritto la recensione nel ‘Journal of Roman Studies’, n. 30, pp.75-80) [R.SYME, La Rivoluzione romana, cit., p.IX] :

“Il libro…stabiliva un rapporto immediato tra l’antica marcia su Roma e la nuova, fra la conquista del potere di Augusto e il colpo di stato di Mussolini, e forse quello di Hitler. Nell’incisiva vivezza con cui uomini e situazioni dell’antica Roma erano rappresentati si rifletteva la esperienza di situazioni del nostro tempo. Non c’era mai forzatura. I testi antichi parlavano direttamente. Era anche palese che chi così scriveva aveva raggiunto la chiaroveggenza con un personale atto di liberazione. … … … la valutazione abituale del governo diAugusto in Inghilterra era differente, di simpatia e consenso. … … … Lo stile di Syme che coscientemente riprendeva la tematica e la lingua di Tacito - non senza qualche immistione di Gibbon [il celebre autore di The History of the Declin and Fall of the Roman Empire, pubblicata nel 1776] - era l’indizio esteriore della rottura con le convenzioni accademiche dei suoi colleghi di Oxford e dintorni”.

Infine, prima di passare al testo delle Res Gestae Divi Augusti, non possiamo ignorare il fondamentale contributo di RICCARDO ORESTANO [Parola del potere: “auctoritate omnibus prestiti”] sul ritrovamento del Monumentum Ancyranum, nonché sul valore e sull’interesse delle Res Gestae, e sui caratteri del principato augusteo[ad integrazione di quanto dallo stesso detto a proposito del passaggio dal populus al princeps in Il “problema delle persone giuridiche” in diritto romano, I, Giappichelli ed., Torino 1968]. Gli studenti potranno trovarlo in : RICCARDO ORESTANO, ‘Diritto’ incontri e scontri, Il Mulino ed. Bologna 1981, pp.565-636

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Res Gestae Divi Augusti

(Testo latino tratto da www.thelatinlibrary.com/resgestae.html)

Rerum gestarum divi Augusti, quibus orbem terrarum imperio populi Romani subiecit, et impensarum quas in rem publicam populumque Romanum fecit, incisarum in duabus aheneis pilis, quae sunt Romae positae, exemplar subiectum.

Esemplare delle Imprese del Divo Augusto, con le quali sottomise l’orbe all’imperium del popolo romano e delle spese che fece a favore della res publica e del popolo romano, incise in due pilastri di bronzo, posti in Roma.

[1] Annos undeviginti natus exercitum privato consilio et privata impensa comparavi, per quem rem publicam a dominatione factionis oppressam in libertatem vindicavi. [Ob quae] senatus decretis honorificis in ordinem suum me adlegit, C. Pansa et A. Hirtio consulibus, consularem locum sententiae dicendae tribuens, et imperium mihi dedit. Res publica ne quid detrimenti caperet, me propraetore simul cum consulibus providere iussit. Populus autem eodem anno me consulem, cum cos. uterque bello cecidisset, et triumvirum rei publicae constituendae creavit.

1. All’età di diciannove anni apprestai, per decisione e con spesa privata (a mia iniziativa e a mie spese), un esercito con il quale liberai la res publica dal dominio delle fazioni che la opprimevano. Per la qual cosa il Senato, con decreti onorifici, mi cooptò nel suo ordine, sotto il consolato di C. Pansa e A. Hirtio [44 a.C.], attribuendomi la facoltà di parlare quale consolare, e mi conferì l’imperium. Mi dette inoltre mandato di provvedere quale propretore insieme con i consoli a che non vi fose danno alla res publica [formula del senatus consultum ultimum, che attribuiva pieni poteri ai consoli]. Lo stesso anno, essendo morti in guerra i consoli, il popolo mi nominò console e triumviro rei publicae constituendae [con il compito di consolidare/riformare? la res publica].

[2] Qui parentem meum trucidaverunt, eos in exilium expuli iudiciis legitimis ultus eorum facinus, et postea bellum inferentis rei publicae vici bis acie.

2. Gli uccisori di mio padre [adottivo, C.Giulio Cesare] mandai in esilio, avendo vendicato con giudizi legali il loro delitto, e successivamente - avendo essi mosso guerra alla res publica – due volte vinsi in battaglia.

[3] Bella terra et mari civilia externaque toto in orbe terrarum saepe gessi, victorque omnibus veniam petentibus civibus peperci. Externas gentes, quibus tuto ignosci potuit, conservare quam excidere malui. Millia civium Romanorum sub sacramento meo fuerunt circiter quingenta. Ex quibus deduxi in colonias aut remisi in municipia sua stipendis emeritis millia aliquanto plura quam trecenta, et iis omnibus agros adsignavi aut pecuniam pro praemiis militiae dedi. Naves cepi sescentas praeter eas, si quae minores quam triremes fuerunt.

3. Condussi spesso per terra e per mare guerre civili e con altri popoli per tutto l’orbe, e da vincitore perdonai tutti i cittadini che chiedevano venia. Preferii far salvi piuttosto che uccidere gli stranieri dai quali mi resi conto di poter essere al sicuro. Giurarono per me [si vincolarono a me col giuramento militare] circa cinquecentomila cittadini romani. Di essi, più di trecentomila stanziai in colonie o feci tornare ai loro municipi avendo terminato il servizio militare, e a tutti costoro assegnai campi o soldi. Catturai seicento navi, oltre quelle che erano più piccole delle trireme.

[4] Bis ovans triumphavi, tris egi curulis triumphos et appellatus sum viciens et semel imperator. Cum autem pluris triumphos mihi senatus decrevisset, iis supersedi. Laurum de fascibus deposui in Capitolio, votis quae quoque bello nuncupaveram solutis. Ob res a

4. Due volte ebbi l’ovazione, feci tre trionfi curuli e ventuno volte fui acclamato imperator [generale vittorioso]. Avendomi il Senato decretato ulteriori trionfi, vi rinunziai. Deposi in Campidoglio l’alloro dai fasci, avendo adempiuto i voti solennemente pronunziati

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me aut per legatos meos auspicis meis terra marique prospere gestas quinquagiens et quinquiens decrevit senatus supplicandum esse dis immortalibus. Dies autem, per quos ex senatus consulto supplicatum est, fuere DCCCLXXXX. In triumphis meis ducti sunt ante currum meum reges aut regum liberi novem. Consul fueram terdeciens, cum scribebam haec, et agebam septimum et tricensimum tribuniciae potestatis.

nelle rispettive guerre. Il Senato decretò cinquantacinque volte suppliche agli dei immortali per le imprese felicemente condotte da me o sotto i miei auspici dai miei legati in terra e in mare. I giorni in cui furono levate suppliche per senatoconsulto furono 890. Nei miei trionfi furono condotti avanti al carro del trionfo nove tra re e figli di re. Fui console per tredici volte, fino al momento di questo scritto, il trentasettesimo anno in cui ho rivestito la tribunicia potestas.

[5] Dictaturam et apsenti et praesenti mihi delatam et a populo et a senatu, M. Marcello et L. Arruntio consulibus non accepi. Non recusavi in summa frumenti penuria curationem annonae, quam ita administravi, ut intra paucos dies metu et periclo praesenti populum universam liberarem impensa et cura mea. Consulatum quoque tum annuum et perpetuum mihi delatum non recepi.

5. Essendo consoli M.Marcello e L.Arrunzio [22 a.C.], rifiutai di accettare la dittatura, conferitami in mia assenza e poi me presente dal Senato e dal popolo. Nel periodo di massima penuria del frumento non ricusai la cura dell’Annona, cosicché in pochi giorni liberai dal timore e dal pericolo presente l’intera città, a mie spese e cure. Non accettai anche il consolato annuo e quello perpetuo offertomi.

[6] Consulibus M. Vinicio et Q. Lucretio et postea P. Lentulo et Cn. Lentulo et tertium Paullo Fabio Maximo et Q. Tuberone senatu populoque Romano consentientibus ut curator legum et morum summa potestate solus crearer, nullum magistratum contra morem maiorum delatum recepi. Quae tum per me geri senatus voluit, per tribuniciam potestatem perfeci, cuius potestatis conlegam et ipse ultro quinquiens a senatu depoposci et accepi.

6. Essendo consoli M. Vinicio e Q. Lucrezio [19 a. C.] e successivamente P. Lentulo e Cn. Lentulo [18 a. C.] e per la terza volta Paullo Fabio Massimo e Q. Tuberone [11 a. C.] avendo convenuto il Senato e il popolo di Roma che io fossi creato unico curatore con piena potestà delle leggi e dei costumi, non accettai alcuna magistratura offertami contro il mos maiorum. Ciò che il Senato volle che io in quel tempo gestissi, lo feci giovandomi della tribunicia potestas, nella quale io stesso chiesi al Senato un collega e lo ebbi [Agrippa nel 18 e nel 13 a.C., Tiberio nel 12 e nel 6 a.C.].

[7] Triumvirum rei publicae constituendae fui per continuos annos decem. Princeps senatus fui usque ad eum diem quo scripseram haec per annos quadraginta. Pontifex maximus, augur, XV virum sacris faciundis, VII virum epulonum, frater arvalis, sodalis Titius, fetialis fui.

7. Fui triumviro rei publicae constituendae per dieci anni consecutivi [dal 27 novembre 43 al 31 dicembre 32 a.C]. Sono stato princeps Senatus fino al giorno in cui scrivo per quaranta anni [dal 28 a.C.]. Pontefice massimo, augure, quindicemviro sacris faciundis [per il compimento dei riti sacri] settemviro epulonum, sacerdote Arvale, sacerdote Tizio, feziale.

[8] Patriciorum numerum auxi consul quintum iussu populi et senatus. Senatum ter legi, et in consulatu sexto censum populi conlega M. Agrippa egi. Lustrum post annum alterum et quadragensimum feci, quo lustro civium Romanorum censa sunt capita quadragiens centum millia et sexaginta tria millia. Tum iterum consulari cum imperio lustrum solus

8. Durante il mio quinto consolato [29 a. C.] per ordine del Senato e del popolo aumentai il numero dei patrizi. Tre volte feci nomine al Senato e nel sesto consolato, avendo collega M.Agrippa feci il censimento del popolo [28 a. C.]. Feci il lustrum [sacrificio di espiazione per il popolo, fatto dai censori al termine del proprio mandato] dopo quarantadue anni, nel

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feci C. Censorino et C. Asinio cos., quo lustro censa sunt civium Romanorum capita quadragiens centum millia et ducenta triginta tria millia. Et tertium consulari cum imperio lustrum conlega Tib. Caesare filio meo feci Sex. Pompeio et Sex. Appuleio cos., quo lustro censa sunt civium Romanorum capitum quadragiens centum millia et nongenta triginta et septem millia. Legibus novis me auctore latis multa exempla maiorum exolescentia iam ex nostro saeculo reduxi et ipse multarum rerum exempla imitanda posteris tradidi.

quale lustro furono censiti quattromilioni sessantatremila cittadini romani. Avendo l’imperium consolare per la seconda volta, feci da solo il lustro, essendo consoli C. Censorino e C. Asinio [8 a. C.], e in quel lustro furono censiti quattromilioniduecentotrentatremila cittadini romani. Rivestendo l’imperium consolare per la terza volta, avendo come collega mio figlio Tiberio Cesare, lo feci sotto il consolato di Sesto Pompeo e Sesto Appuleio [14 d. C.] , ed in quel lustro furono censiti quattromilioninovecentotrentamila cittadini romani. Con nuove leggi da me proposte ripristinai molte norme di condotta dei nostri antenati che ai nostri tempi erano desuete, ed io stesso ne lasciai in molti campi, da imitare dai posteri.

[9] Vota pro valetudine mea suscipi per consules et sacerdotes quinto quoque anno senatus decrevit. Ex iis votis saepe fecerunt vivo me ludos aliquotiens sacerdotum quattuor amplissima collegia, aliquotiens consules. Privatim etiam et municipatim universi cives unanimiter continenter apud omnia pulvinaria pro valetudine mea supplicaverunt.

9. Il Senato decretò che venissero fatti dai consoli e dai sacerdoti voti per la mia salute ogni cinque anni. In occasione di questi voti, in vita, talvolta i quattro maggiori collegi sacerdotali, talvolta i consoli, organizzarono giochi. Tutti i cittadini in forma privata e anche ordinati per municipi elevarono suppliche per la mia salute in modo unanime ed ininterrotto avanti ad ogni altare.

[10] Nomen meum senatus consulto inclusum est in saliare carmen, et sacrosanctus in perpetum ut essem et, quoad viverem, tribunicia potestas mihi esset, per legem sanctum est. Pontifex maximus ne fierem in vivi conlegae mei locum, populo id sacerdotium deferente mihi quod pater meus habuerat, recusavi. Quod sacerdotium aliquod post annos, eo mortuo qui civilis motus occasione occupaverat, cuncta ex Italia ad comitia mea confluente multitudine, quanta Romae nunquam fertur ante id tempus fuisse, recepi, P. Sulpicio C. Valgio consulibus.

10. Il mio nome è stato incluso per senatoconsulto nel Carme Saliare, perché fossi sacrosanctus in perpetuo, e fu stabilito per legge [sanctus=sancito] che per tutta la durata della mia vita avessi la tribunicia potestas. Rifiutai di divenire Pontefice massimo in luogo di un collega ancor in vita, dignità che mi offriva il popolo e che aveva mio padre. Ho accettato questo sacerdozio alcuni anni dopo, sotto il consolato di P. Sulpicio e C. Valgio [12 a. C.], essendo morto chi l’aveva occupato in occasione della guerra civile [Lepido], quando una moltitudine tale che si disse mai esservi stata prima affluì ai miei comizi [per la mia elezione a P.M.].

[11] Aram Fortunae Reducis ante aedes Honoris et Virtutis ad portam Capenam pro reditu meo senatus consacravit, in qua pontifices et virgines Vestales anniversarium sacrificium facere iussit eo die quo, consulibus Q. Lucretio et M. Vinicio, in urbem ex Syria redieram, et diem Augustalia ex cognomine nostro appellavit.

11. Il Senato, per celebrare il mio ritorno, consacrò un altare alla Fortuna Reduce, avanti al tempio dell’Onore e della Virtù alla porta Capena. Sul quale ordinò che i pontefici e le vergini vestali facessero un sacrificio ogni anno nel giorno in cui tornai nell’Urbe dalla Siria, sotto il consolato di Q. Lucrezio e M. Vinicio [19 a. C.], e diede nome di Augustale a quel giorno, dal nostro cognomen.

[12] Ex senatus auctoritate pars praetorum et 12. Per decisione del Senato mi fu mandata

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tribunorum plebi cum consule Q. Lucretio et principibus viris obviam mihi missa est in Campaniam, qui honos ad hoc tempus nemimi praeter me est decretus. Cum ex Hispania Galliaque, rebus in iis provincis prospere gestis, Romam redi, Ti. Nerone P. Qintilio consulibus, aram Pacis Augustae senatus pro reditu meo consacrandam censuit ad campum Martium, in qua magistratus et sacerdotes virginesque Vestales anniversarium sacrificium facere iussit.

una delegazione di pretori e tribuni della plebe, con il console Q.Lucrezio e i principali personaggi, in Campania, onore che fino a qusto tempo non è stato decretato a nessun altro. Quando tornai a Roma dalla Gallia e dalla Spagna, avendo condotto a buon fine le imprese in quelle province, sotto il consolato di Tiberio Nerone e di P. Quintilio [13 a.C.], il Senato stabilì che fosse consacrata per il mio ritorno l’ara della Pace Augusta nel Campo Marzio , nella quale ordinò che i magistrati, i sacerdoti e le vergini vestali facessero ogni anno un sacrificio.

[13] Ianum Quirinum, quem claussum esse maiores nostri voluerunt cum per totum imperium populi Romani terra marique esset parta victoriis pax, cum priusquam nascerer, a condita urbe bis omnino clausum fuisse prodatur memoriae, ter me principe senatus claudendum esse censuit.

13. [Il tempio di] Giano Quirinio, che i nostri antenati vollero che fosse chiuso quando in tutto l’impero del popolo romano vi fosse pace a seguito delle vittorie riportate, e del quale si ricorda che dalla fondazione di Roma alla mia nascita fosse stato chiuso solo due volte in tutto, tre volte essendo io principe il Senato ordinò che fosse chiuso.

[14] Filios meos, quos iuvenes mihi eripuit fortuna, Gaium et Lucium Caesares honoris mei causa senatus populusque Romanus annum quintum et decimum agentis consules designavit, ut eum magistratum inirent post quinquennium, et ex eo die quo deducti sunt in forum ut interessent consiliis publicis decrevit senatus. Equites autem Romani universi principem iuventutis utrumque eorum parmis et hastis argenteis donatum appellaverunt.

14. I miei figli Gaio e Lucio Cesare [figli di Giulia, adottati da Augusto nonno materno nel 17 a.C., morti Lucio nel 2 e Gaio nel 4 d.C.], per farmi onore il Senato e il popolo romano li nominò consoli designati quando compirono ciascuno quindici anni, così che entrassero in carica dopo un quinquennio, e decretò il Senato che partecipassero ai consigli pubblici dal giorno che frequentarono il foro [che rivestirono la toga virile]. Inoltre l’intero ordine dei cavalieri romani dette loro l’appellativo di principes iuventutis avendo donato loro scudi e lance [le armi della cavalleria] d’argento

[15] Plebei Romanae viritim HS trecenos numeravi ex testamento patris mei et nomine meo HS quadringenos ex bellorum manibiis consul quintum dedi, iterum autem in consulatu decimo ex patrimonio meo HS quadringenos congiari viritim pernumeravi, et consul undecimum duodecim frumentationes frumento privatim coempto emensus sum, et tribunicia potestate duodecimum quadringenos nummos tertium viritim dedi. Quae mea congiaria pervenerunt ad hominum millia numquam minus quinquaginta et ducenta. Tribuniciae potestatis duodevicensimum, consul XII, trecentis et viginti millibus plebis urbanae sexagenos denarios viritim dedi. Et colonis militum meorum consul quintum ex manibiis viritim millia nummum singula dedi;

15. Versai alla plebe romana trecento sesterzi [HS] onorando il testamento di mio padre e ne detti quattrocento dal bottino di guerra quando fui console per la quinta volta [29 a.C.], e durante il mio decimo consolato detti a ciascuno per una seconda volta [il valore di] quattrocento sesterzi in generi di consumo attingendo al mio patrimonio privato, ed essendo console per l’undicesima volta [23 a.C.] ho provveduto a dodici distribuzioni di frumento [frumentationes] avendo comprato [a mie spese] privatamente il frumento; quando per la dodicesima volta rivestii la potestà tribunizia, detti per la terza volta quattrocento sesterzi a ciascuno. Queste distribuzioni da me fatte hanno riguardato non meno di 250.000 uomini. Essendo rivestito della potestà

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acceperunt id triumphale congiarium in colonis hominum circiter centum et viginti millia. Consul tertium decimum sexagenos denarios plebei quae tum frumentum publicum accipiebat dedi; ea millia hominum paullo plura quam ducenta fuerunt.

tribunizia per la diciottesima e per la dodicesima volta console [5 a.C.] ho distribuito sessanta denari a trecentoventi mila cittadini della plebe urbana. Sotto il mio quinto consolato [29 a.C.] alle colonie dei miei soldati distribuii dal bottino di guerra mille monete [sesterzi] ciascuno; ricevettero questo premio per il mio trionfo circa centoventimila uomini nelle colonie. Quando fui console per la tredicesima volta [2 a.C.] detti sessanta denari [ciascuno] ai plebei che allora avevano diritto al[la distribuzione di] frumento pubblico; questi furono poco più di duecentomila uomini.

[16] Pecuniam pro agris quos in consulatu meo quarto et postea consulibus M. Crasso et Cn. Lentulo Augure adsignavi militibus solvi municipis; ea summa sestertium circiter sexiens milliens fuit quam pro Italicis praedis numeravi, et circiter bis milliens et sescentiens quod pro agris provincialibus solvi. Id primus et solus omnium qui deduxerunt colonias militum in Italia aut in provincis ad memoriam aetatis meae feci. Et postea, Ti. Nerone et Cn. Pisone consulibus itemque C. Antistio et D. Laelio cos. et C. Calvisio et L. Pasieno consulibus et L. Lentulo et M. Messalla consulibus et L. Caninio et Q. Fabricio cos., militibus quos emeriteis stipendis in sua municipia deduxi praemia numerato persolvi, quam in rem sestertium quater milliens circiter impendi.

16. Ho versato ai municipi somme per le terre che assegnai ai soldati sotto il mio quarto consolato [30 a.C.] e poi sotto il consolato di M. Crasso e Cneo Lentulo Augure [14 a. C.]; di questa somma ho pagato circa seicento milioni di sesterzi per le proprietà in Italia e circa 260 milioni per le terre provinciali. E ciò fui il primo e l’unico a farlo tra tutti coloro che fino alla mia età hanno fondato colonie di soldati in Italia o nelle province. E successivamente, sotto il consolato di Tiberio Nerone e di Cneo Pisone [7 a. C.], poi sotto il consolato di C. Antistio e di D. Lelio [6 a. C.], di C. Calvisio e L. Pasieno [4 a. C.], diL. Lentulo e M. Messalla[3 a. C.], e di L. Caninio e Q. Fabricio [2 a. C.] ai soldati che alla fine del loro servizio avevo installato nei loro municipi ho pagato in contanti il loro premio. In questa operazione ho speso circa 400 milioni di sesterzi.

[17] Quater pecunia mea iuvi aerarium, ita ut sestertium milliens et quingentiens ad eos qui praerant aerario detulerim. Et M. Lepido et L. Arruntio cos. in aerarium militare, quod ex consilio meo constitutum est ex quo praemia darentur militibus qui vicena aut plura stipendia emeruissent, HS milliens et septingentiens ex patrimonio meo detuli.

17. Quattro volte ho aiutato l’erario con il mio denaro, cosicché ho consegnato a coloro che erano preposti ad esso 150 milioni di sesterzi. Sotto il consolato di M. Lepido e L. Arrunzio ho versato dal mio patrimonio 170 milioni di sesterzi all’erario militare, istituito su mia proposta, per dare i premi [di fine servizio] ai soldati che avevano servito per venti anni e più.

[18] Ab eo anno quo Cn. et P. Lentulli consules fuerunt, cum deficerent vectigalia, tum centum milibus hominum tum pluribus multo frumentarios et nummarios tributus ex horreo et patrimonio meo edidi.

18. Dall’anno in cui furono consoli P. e Cn. Lentulo [18 a. C.], non essendo sufficenti le imposte, ho provveduto dai miei granai e dal mio patrimonio alle distribuzioni di frumento e di monete, ora a centomila uomini, ora a molti di più.

[19] Curiam et continens ei Chalcidicum templumque Apollinis in Palatio cum

19. Ho costruito la Curia e il contiguo Calcidico e il tempio di Apollo con i suoi

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porticibus, aedem divi Iuli, Lupercal, porticum ad circum Flaminium, quam sum appellari passus ex nomine eius qui priorem eodem in solo fecerat, Octaviam, pulvinar ad circum maximum, aedes in Capitolio Iovis Feretri Iovis Tonantis, aedem Quirini, aedes Minervae et Iunonis Reginae et Iovis Libertatis in Aventino, aedem Larum in summa sacra via, aedem deum Penatium in Velia, aedem Iuventatis, aedem Matris Magnae in Palatio feci.

portici sul Palatino, il tempio del divo Giulio, il Lupercale, il portico attorno al circo Flaminio, che ho accettato che fosse chiamato Ottavio, dal nome di colui che aveva fatto costruire sullo stesso suolo il precedente portico, il pulvinar [la tribuna imperiale] al Circo Massimo, sul Campidoglio i templi di Giove Feretrio e di Giove Tonante, il tempio di Quirino, i templi di Minerva e di Giunone regina e di Giove Libertà sull’Aventino, il tempio degli dei Lari alla sommità della via Sacra, il tempio degli dei Penati sulla Velia, il tempio de la Gioventù e il trmpio della Grande Madre sul Palatino.

[20] Capitolium et Pompeium theatrum utrumque opus impensa grandi refeci sine ulla inscriptione nominis mei. Rivos aquarum compluribus locis vetustate labentes refeci, et aquam quae Marcia appellatur duplicavi fonte novo in rivum eius inmisso. Forum Iulium et basilicam quae fuit inter aedem Castoris et aedem Saturni, coepta profligataque opera a patre meo, perfeci et eandem basilicam consumptam incendio, ampliato eius solo, sub titulo nominis filiorum meorum incohavi, et, si vivus non perfecissem, perfici ab heredibus meis iussi. Duo et octoginta templa deum in urbe consul sextum ex auctoritate senatus refeci nullo praetermisso quod eo tempore refici debebat. Consul septimum viam Flaminiam ab urbe Ariminum refeci pontesque omnes praeter Mulvium et Minucium.

20. Ho ricostruito il Campidoglio e il teatro di Pompeo, entrambi con grande spesa e senza che si apponesse alcuna iscrizione con il mio nome. Ho ricostruito gli acquedotti, in molte parti deteriorati per la loro antichità, ed ho duplicato l’acqua Marcia, avendo immesso una nuova fonte nel suo acquedotto. Ho portato a termine il foro Giulio e la basilica che si trovava tra i templi di Castore e di Saturno, opere iniziate e portate avanti da mio padre, ed essendo stata distrutta da un incendio quella basilica ne ho iniziato la ricostruzione avendone ampliato la superficie, a nome dei miei figli, ed ho disposto che se non la porterò a termine durante la mia vita, debba essere terminata dai miei eredi. Nel mio sesto consolato, per decisione del Senato, ho fatto restaurare 82 templi degli dei, non avendo trascurato nessuno di quelli che ne avevano bisogno. Essendo console per la settima volta, ho rifatto la via Flaminia da Roma a Rimini, e ttti i ponti ad eccezione del ponte Milvio e del ponte Minucio.

[21] In privato solo Martis Ultoris templum forumque Augustum ex manibiis feci. Theatrum ad aedem Apollinis in solo magna ex parte a privatis empto feci, quod sub nomine M. Marcelli generi mei esset. Dona ex manibiis in Capitolio et in aede divi Iuli et in aede Apollinis et in aede Vestae et in templo Martis Ultoris consacravi, quae mihi constiterunt HS circiter milliens. Auri coronari pondo triginta et quinque millia municipiis et colonis Italiae conferentibus ad triumphos meos quintum consul remisi, et postea, quotienscumque imperator appellatus sum, aurum coronarium non accepi decernentibus municipiis et colonis aeque benigne adque

21. Ho edificato, su suolo privato e con il bottino di guerra, il tempio di Marte Ultore e il foro d’Augusto. Ho costruito, presso il tempio di Apollo e su terreno in gran parte acquistato da privati, un teatro che portasse il nome di Marcello, mio genero. Ho consacrato doni, che mi costarono circa un milione di sesterzi, con il bottino di guerra, sul Campidoglio nei templi del divo Giulio, di Apollo, di Vesta e di Marte Ultore. Ho rinunciato al contributo di trentacinquemila libre dell’aurum coronarium che mi avevano assegnato i municipi e le colonie d’Italia per i miei trionfi, e in seguito, ogni volta che sono stato acclamato imperator, ho rifiutato l’ aurum coronarium che con la

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antea decreverant. stessa generosità di prima i municipi e le colonie mi avevano decretato.

[22] Ter munus gladiatorium dedi meo nomine et quinquiens filiorum meorum aut nepotum nomine, quibus muneribus depugnaverunt hominum circiter decem millia. Bis athletarum undique accitorum spectaculum populo praebui meo nomine et tertium nepotis mei nomine. Ludos feci meo nomine quater, aliorum autem magistratuum vicem ter et viciens. Pro conlegio XV virorum magister conlegii collega M. Agrippa ludos saeclares C. Furnio C. Silano cos. feci. Consul XIII ludos Martiales primus feci quos post id tempus deinceps insequentibus annis s.c. et lege fecerunt consules. Venationes bestiarum Africanarum meo nomine aut filiorum meorum et nepotum in circo aut in foro aut in amphitheatris populo dedi sexiens et viciens, quibus confecta sunt bestiarum circiter tria millia et quingentae.

22. Ho dato spettacoli di gladiatori, per tre volte a mio nome e cinque volte a nome dei miei figli e nipoti, nei quali combatterono circa diecimila uomini. Due volte ho offerto al popolo a mio nome ed una volta a nome di mio nipote, spettacoli di atleti accorsi da ogni parte. Ho fatto giochi a mio nome per quattro volte, e e ventitre volte a nome di altri magistrati. Come maestro del collegio dei Quindecemviri insieme al collega Agrippa ho fatto celebrare a nome del collegio i Ludi Saeculares, sotto il consolato di C. Furnio e C. Silano [17 a.C.]. Essendo console per la tredicesima volta [2 a. C.], ho organizzato per primo i Ludi di Marte, che negli anni seguenti, per senatoconsulto i consoli organizzarono insieme a me. Ventisei volte ho dato al popolo, a mio nome o in quello dei miei figli e nipoti, caccie di bestie Africane, o nel circo, o nel foro o negli anfiteatri, nelle quali furono uccise circa tremilacinquecento fiere.

[23] Navalis proeli spectaclum populo dedi trans Tiberim in quo loco nunc nemus est Caesarum, cavato solo in longitudinem mille et octingentos pedes, in latitudinem mille et ducenti, in quo triginta rostratae naves triremes aut biremes, plures autem minores inter se conflixerunt; quibus in classibus pugnaverunt praeter remiges millia hominum tria circiter.

23. Ho dato al popolo lo spettacolo di una guerra navale al di là del Tevere, dove ora è il bosco sacro dei Cesari, avendo fatto uno scavo di milleottocento piedi di lunghezza, per una larghezza di milleduecento [530 per 353 metri], nel quale si affrontarono trenta navi rostrate, triremi o biremi, e parecchie minori. In queste flotte combatterono circa tremila uomini, oltre i rematori.

[24] In templis omnium civitatium provinciae Asiae victor ornamenta reposui quae spoliatis templis is cum quo bellum gesseram privatim possederat. Statuae meae pedestres et equestres et in quadrigeis argenteae steterunt in urbe XXC circiter, quas ipse sustuli, exque ea pecunia dona aurea in aede Apollinis meo nomine et illorum qui mihi statuarum honorem habuerunt posui.

24. Dopo la mia vittoria ho fatto rimettere nei templi di tuttte le città della provincia d’Asia gli ornamenti che colui al quale ho mosso guerra [M. Antonio] aveva preso come sue cose private. Furono innalzate nell’Urbe circa quaranta statue mie, a piedi a cavallo o su quadrighe in argento; che io ho fatto togliere ed ho posto come doni in oro nel tempio di Apollo il valore di esse, a mio nome e in nome di quelli che avevano innalzato le statue in mio onore.

[25] Mare pacavi a praedonibus. Eo bello servorum qui fugerant a dominis suis et arma contra rem publicam ceperant triginta fere millia capta dominis ad supplicium sumendum tradidi. Iuravit in mea verba tota Italia sponte sua, et me belli quo vici ad Actium ducem depoposcit; iuraverunt in eadem verba provinciae Galliae, Hispaniae, Africa, Sicilia,

25. Liberai il marte dai pirati. Catturai in quella guerra [36 a. C.] circa 30.000 schiavi, fuggiti dai loro padroni e armatisi contro la repubblica e li consegnai per la punizione ai proprietari. L’Italia intera giurò volontariamente nelle mie parole, e mi invocò come duce nella guerra che vinsi ad Azio [31 a. C.]; giurarono nelle stesse parole le province

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Sardinia. Qui sub signis meis tum militaverint fuerunt senatores plures quam DCC, in iis qui vel antea vel postea consules facti sunt ad eum diem quo scripta sunt haec LXXXIII, sacerdotes circiter CLXX.

della Gallia, delle Spagne, di Africa, Sicilia Sardegna. Di coloro che militarono allora sotto le mie insegne, più di 700 erano senatori, e tra essi erano stati o furono eletti consoli fino ad oggi 83, e circa 170 i sacerdoti.

[26] Omnium provinciarum populi Romani quibus finitimae fuerunt gentes quae non parerent imperio nostro fines auxi. Gallias et Hispanias provincias, item Germaniam, qua includit Oceanus a Gadibus ad ostium Albis fluminis pacavi. Alpes a regione ea quae proxima est Hadriano mari ad Tuscum pacificavi nulli genti bello per iniuriam inlato. Classis mea per Oceanum ab ostio Rheni ad solis orientis regionem usque ad fines Cimbrorum navigavit, quo neque terra neque mari quisquam Romanus ante id tempus adit. Cimbrique et Charydes et Semnones et eiusdem tractus alii Germanorum populi per legatos amicitiam meam et populi Romani petierunt. Meo iussu et auspicio ducti sunt duo exercitus eodem fere tempore in Aethiopiam et in Arabiam quae appellatur Eudaemon, magnaeque hostium gentis utriusque copiae caesae sunt in acie et complura oppida capta. In Aethiopiam usque ad oppidum Nabata perventum est, cui proxima est Meroe; in Arabiam usque in fines Sabaeorum processit exercitus ad oppidum Mariba.

26. Estesi i territori di tutte le province del popolo Romano confinanti con popolazioni non soggette al nostro dominio. Pacificai le province delle Gallie, delle Spagne e così la Germania da Cadice fino alle foci dell’Elba. Le Alpi, dalla regione prossima all’Adriatico fino al Tirreno, le pacificai senza recare guerra ingiusta ad alcuna popolazione. La mia flotta ha navigato per l’Oceano, dalla foce del Reno alla regione del Sole nascente [ad Est] fino ai territori dei Cimbri, dove fino ad allora nessun Romano era arrivato né per terra né per mare. I Cimbri, i Caridi e i Semnoni ed altre popolazioni germaniche di quella regione mandarono ambasciatori a chiedere l’amicizia mia e del popolo Romano. Quasi nello stesso tempo sono stati condotti due eserciti, per mio ordine e sotto i miei auspici, in Etiopia e nell’Arabia chiamata Felice, e gran numero di nemici di entrambe le popolazioni cadde in battaglia, e molte città furono conquistate. In Etiopia si arrivò fino a Nabata, che è vicina a Meroe; in Arabia, l’esercito giunse nei territori dei Sabei, fino alla città di Mariba.

[27] Aegyptum imperio populi Romani adieci. Armeniam maiorem interfecto rege eius Artaxe cum possem facere provinciam malui maiorum nostrorum exemplo regnum id Tigrani regis Artavasdis filio, nepoti autem Tigranis regis, per Ti. Neronem tradere, qui tum mihi privignus erat. Et eandem gentem postea desciscentem et rebellantem domitam per Gaium filium meum regi Ariobarzani regis Medorum Artabazi filio regendam tradidi, et post eius mortem filio eius Artavasdi; quo interfecto Tigranem qui erat ex regio genere Armeniorum oriundus in id regnum misi. Provincias omnis quae trans Hadrianum mare vergunt ad orientem Cyrenasque, iam ex parte magna regibus ea possidentibus, et antea Siciliam et Sardiniam occupatas bello servili reciperavi.

27. Aggiunsi l’Egitto al dominio del popolo Romano [30 a. C.]. Potendo ridurre a provincia l’Armenia, dopo l’uccisione del suo re Artace, preferii, seguendo l’esempio dei nostri antenati, affidare quel regno, per mezzo di Tiberio Nerone, che allora era mio figliastro, a Tigrane, figlio del re Artavasde, e nipote del re Tigrane. Successivamente quando quella stessa gente si rivoltò e ribellò e fu sottomessa da mio figlio Caio, la detti da governare al re Ariobarzane figlio di Artabaze re dei medi, e dopo la sua morte a suo figlioArtavasde; essendo stato ucciso costui, mandai in quel regno Tigrane, che proveniva dalla famiglia reale degli Armeni. Riconquistai tutte le province che si estendono verso oriente al di là del mare Adriatico e [quella di] Cirene, che allora erano per la maggior parte possedute da re, e già prima recuperai la Sicilia e la Sardegna, occupata durante la guerra servile [contro Sesto Pompeo].

[28] Colonias in Africa, Sicilia, Macedonia, utraque Hispania, Achaia, Asia, Syria, Gallia

28. Dedussi colonie di soldati in Africa, Sicilia, Macedonia, le due Spagne, Acaia,

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Narbonensi, Pisidia militum deduxi. Italia autem XXVIII colonias quae vivo me celeberrimae et frequentissimae fuerunt mea auctoritate deductas habet.

Asia, Siria, Gallia Narbonense, Pisidia. Inoltre l’Italiam ha ventotto colonie dedotte in base alla mia auctoritas, che divennero celeberrime e popolosissime durante la mia vita.

[29] Signa militaria complura per alios duces amissa devictis hostibus recepi ex Hispania et Gallia et a Dalmateis. Parthos trium exercitum Romanorum spolia et signa reddere mihi supplicesque amicitiam populi Romani petere coegi. Ea autem signa in penetrali quod est in templo Martis Ultoris reposui.

29. Recuperai, dopo aver vinto i nemici, dalla Gallia, dalla Spagna e dai Dalmati molte insegne militari, perse da altri condottieri. Obbligai i Parti a rendere le spoglie e le insegne di tre eserciti Romani, e a domandare, supplici, l’amicizia del popolo Romano. Queste insegne, le deposi nei penetrali [il santuario interiore] del tempio di Marte Ultore

[30] Pannoniorum gentes, quas ante me principem populi Romani exercitus nunquam adit, devictas per Ti. Neronem, qui tum erat privignus et legatus meus, imperio populi Romani subieci, protulique fines Illyrici ad ripam fluminis Danui. Citra quod Dacorum transgressus exercitus meis auspicis victus profilgatusque est, et postea trans Danuvium ductus exercitus meus Dacorum gentes imperia populi Romani perferre coegit.

30. Ho sottomesso al dominio del popolo Romano le genti della Pannonia, vinte da Tiberio Nerone, che allora era mio figliastro e mio legato, e ho portato i confini dell’Illirico alle sponde del Danubio. L’esercito dei Daci, che lo aveva traversato, sotto i miei auspici è stato vinto e messo in fuga, e successivamente il mio esercito, condotto oltre il Danubio, ha costretto i popoli Daci a sottomettersi all’ impero del popolo Romano

[31] Ad me ex India regum legationes saepe missae sunt non visae ante id tempus apud quemquam Romanorum ducem. Nostram amicitiam appetiverunt per legatos Bastarnae Scythaeque et Sarmatarum qui sunt citra flumen Tanaim et ultra reges, Albanorumque rex et Hiberorum et Medorum.

31. Spesso mi sono state inviate dall’India ambascerie di re, prima d’allora mai viste presso alcun condottiero romano. I re dei Bastarni, degli Sciti e dei Sarmati che sono al di qua e al di là del Tanai [l’odierno Don] richiesero, attraverso ambasciatori la nostra amicizia.

[32] Ad me supplices confugerunt reges Parthorum Tiridates et postea Phrates regis Phratis filius, Medorum Artavasdes, Adiabenorum Artaxares, Britannorum Dumnobellaunus et Tincommius, Sugambrorum Maelo, Marcomanorum Sueborum [?Segime]rus. Ad me rex Parthorum Phrates Orodis filius filios suos nepotesque omnes misit in Italiam non bello superatus, sed amicitiam nostram per liberorum suorum pignora petens. Plurimaeque aliae gentes expertae sunt p. R. fidem me principe quibus antea cum populo Romano nullum extiterat legationum et amicitiae commercium.

32. Si rifugiarono presso di me, supplici, i re dei Parti Tiridate e poi Frate, figlio del re Frate, Artavasde dei Medi, Artaxare degli Adiabeni, Dumnobellauno e Tincommio dei Britanni, Melo dei Sicambri, Segimero [?] re dei Marcomanni e degli Svevi. Il re dei Parti Frate, figlio di Orode, inviò tutti i suoi figli e nipoti, non perché vinto in guerra, ma per chiedere la nostra amicizia attraverso il pegno dei suoi discendenti. Essendo io principe, molti altri popoli hanno fatto l’esperienza della fides [lealtà, fiducia, parola] del popolo Romano,, con i quali in precedenza non vi era stato alcun scambio di ambascerie e di amicizia.

[33] A me gentes Parthorum et Medorum per legatos principes earum gentium reges petitos acceperunt: Parthi Vononem, regis Phratis filium, regis Orodis nepotem, Medi Ariobarzanem, regis Artavazdis filium, regis Ariobarzanis nepotem.

33. Le genti dei parti e dei Medi ricevettero come re principes [principi, uomini eminenti] dei loro popoli, avendolo richiesto attraverso loro ambasciatori: i Parti [ebbero in re] Vonone, figlio del re Frate, i Medi Ariobarzane, figlio del re Artavazde e nipote del re Ariobarzane.

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[34] In consulatu sexto et septimo, postquam bella civilia exstinxeram, per consensum universorum potitus rerum omnium, rem publicam ex mea potestate in senatus populique Romani arbitrium transtuli. Quo pro merito meo senatus consulto Augustus appellatus sum et laureis postes aedium mearum vestiti publice coronaque civica super ianuam meam fixa est et clupeus aureus in curia Iulia positus, quem mihi senatum populumque Romanum dare virtutis clementiaeque et iustitiae et pietatis caussa testatum est per eius clupei inscriptionem. Post id tempus auctoritate omnibus praestiti, potestatis autem nihilo amplius habui quam ceteri qui mihi quoque in magistratu conlegae fuerunt.

34. Durante il mio sesto e settimo consolato [28 e 27 a. C.], dopo che ebbi posto fine alle guerre civili, avendo conseguito per consenso universale il supremo potere, trasferii la res publica [la cosa pubblica, la repubblica, l’ordinamento romano] dalla mia potestà alla discrezionalità del senato e del popolo Romano. Per questo mio merito, per senatoconsulto, ho ricevuto l’appellativo di Augusto [16 gennaio 27 a. C.]; le porte della mia casa furono ornate pubblicamente [con una cerimonia pubblica] di alloro, sopra la porta d’ingresso fu infissa la corona civica e fu posto uno scudo d’oro nella curia Gulia, la cui iscriziona attestava che il senato e il popolo Romano lo davano a me a motivo del mio valore, della mia clemenza, della mia giustizia e della mia pietà [copia in marmo di questo scudo è al museo di Arles con l’iscrizione: SENATUS / POPULUSQUE ROMANUS / IMP(eratori) CAESARI DIVI F(ilio) AUGUSTO / CO(n)S(uli) VIII DEDIT CLUPEUM/VIRTUTIS CLEMENTIAE/ IUSTITIAE PIETATIS ERGA / DEOS PATRIAMQUE, iscrizione che in base agli anni di consolato si data al 26 a.C.], dopo di allora fui superiore a tutti per auctoritas, ma non ebbi maggiore potestà di coloro che mi furono anche colleghi nelle magistrature.

[35] Tertium decimum consulatum cum gerebam, senatus et equester ordo populusque Romanus universus appellavit me patrem patriae, idque in vestibulo aedium mearum inscribendum et in curia Iulia et in foro Aug. sub quadrigis quae mihi ex s.c. positae sunt censuit. Cum scripsi haec annum agebam septuagensumum sextum.

35. Mentre rivestivo il consolato per la tredicesima volta, il senato, l’ordine equestre e l’intero popolo Romano mi acclamarono padre della patria[5 febbraio del 2 a.C.] e stabilirono che questo titolo fosse iscritto nel vestibolo della mia casa, nella curia Giulia e nel foro d’Augusto, sotto le quadrighe che vi furono poste, per senatoconsulto, in mio onore. Ho scritto queste cose quando avevo settantasei anni [pochi mesi prima della morte, avvenuta a Nola il 19 agosto del 14 d. C.]

[1] Summa pecuniae quam dedit vel in aerarium vel Plebei Romanae vel dimissis militibus: denarium sexiens milliens.

1. Somme che dette o all’erario o alla Plebe Romana o ai soldati congedati: seicento milioni di denarii

[2] Opera fecit nova aedem Martis, Iovis Tonantis et Feretri, Apollinis, divi Iuli, Quirini, Minervae, Iunonis Reginae, Iovis Libertatis, Larum, deum Penatium, Iuventatis, Matris Magnae, Lupercal, pulvinar ad circum, curiam cum Chalcidico, forum Augustum, basilicam Iuliam, theatrum Marcelli, porticum Octaviam, nemus trans Tiberim Caesarum.

2. Nuove costruzioni che fece: i templi di Marte, di Giove Tonante e Feretrio, di Apollo, del divo Giulio, di Quirino, di Minerva, di Giunone Regina, di Giove Libertà, dei Lari, degli dei Penati, della Magna Mater, il Lupercale, il pulvinar [tribuna] del circo, la curia con il Calcidico, il foro Augusto, la basilica Giulia, il teatro di Marcello, il portico

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Ottavio, il bosco dei Cesari al di là del Tevere.

[3] Refecit Capitolium sacrasque aedes numero octoginta duas, theatrum Pompei, aquarum rivos, viam Flaminiam.

3. Rifece il Campidoglio e gli edifici sacri, in numero di ottantadue, il teatro di pompeo, gli acquedotti, la via Flaminia.

[4] Impensa praestita in spectacula scaenica et munera gladiatorum atque athletas et venationes et naumachiam et donata pecunia colonis, municipiis, oppidis terrae motu incendioque consumptis aut viritim amicis senatoribusque quorum census explevit innumerabilis.

4. Spese effettuate per spettacoli, per giochi galdiatorii, per atleti, per venationes [cacce di fiere nel circo], per naumachie, e le somme donate ai coloni, ai municipi, alle città rovinate da terremoto o da incendio, o distribuite singolarmente ad amici o a senatori di cui integrò il censo richiesto: innumerabili

Come si vede chiaramente dalla lettura del testo, e come ci hanno ben illustrato le pagine del Syme e quelle dell’Orestano, le Res Gestae volevano essere, oltre e più che una una apologia di Augusto, la ricostruzione della ‘verità ufficiale’ dell’instaurazione del principato e dell’attività del princeps e quindi un “manifesto” programmatico.

Augusto, e in questo rivela la sua ‘modernità’, è forse stato il primo ad utilizzare scientemente e in modo diffuso la letteratura, e soprattutto la poesia come propaganda.

Se ne dà qui di seguito un breve saggio col riportare alcuni brani dei più noti poeti augustei, sottolineando, che al di là degli aspetti propagandistici, spesso l’intuizione poetica ci dà dei flashes più illuminanti di qualche ragionamento: mi riferisco, in particolare a quanto dice Riccardo Orestano (Il problema delle persone giuridiche in diritto romano, cit. pag. 218) a proposito del populus [già] fonte ultima dell’autorità legale: “La realtà è ben altra: e cioè che profondi cambiamenti si vengono determinando, a partire dal tempo dello stesso Augusto. Con una di quelle prodigiose intuizioni che sono il dono della poesia, se ne rese conto Ovidio, il quale, all’alba della nuova era, ne scolpirà in una formula pregnante l’intero svolgimento: res est publica Caesar” [cfr. infra Ovidio, Tristia, liber IV, 4, v.15].

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POETI AUGUSTEI

Publius OVIDIUS Naso

a) Metamorphoseon, liber XV, vv. 745-762; 843-879 (testo e traduzione tratti da OVIDIO, Le Metamorfosi, Mondadori ed., 2007)

Hic tamen accessit delubris advena nostris Caesar in urbe sua deus est; quem Marte togaque praecipuum non bella magis finita triumphis resque domi gestae properataque gloria rerum in sidus vertere novum stellamque comantem, quam sua progenies. Neque enim de Caesaris actis ullum maius opus quam quod pater exstitit huius. Scilicet aequoreos plus est domuisse Britannos perque papyriferi septemflua flumina Nili victrices egisse rates Numidasque rebelles Cinyphiumque lubam Mithridateisque tumentem nominibus Pontum populo adiecisse Quirini et multos meruisse, aliquos egisse triumphos, quam tantum genuisse virum ? Quo praeside rerum humano generi, superi, favistis abunde. Ne foret hic igitur mortali semine cretus, ille deus faciendus erat ; quod ut aurea vidit Aeneae genetrix, vidit quoque triste parari …

Un dio straniero, dunque, aggiunto ai nostri templi ma Cesare è dio nella sua città: illustre in guerra con la toga ; ma piú che le guerre concluse in trionfo, le imprese in patria, la gloria fulminea, a trasformarlo in un astro nuovo, in stella cometa, fu la sua progenie. Fra le imprese di Cesare non c’è impresa maggiore che l'essere padre di Augusto. Vale di piú aver domato gli isolani Britanni, avere spinto per le sette foci del Nilo, ricco di papiri, le navi vittoriose, aver aggiunto al popolo di Quirino i ribelli Numidi, Giuba e il Ponto gonfio del nome di Mitridate, l'aver meritato molti trionfi e l'averne celebrato alcuni vale di piú che aver generato un eroe cosí grande? Col suo governo, dèi, beneficaste in abbondanza il [genere umano. Ma perché questo non fosse nato da stirpe umana, quello doveva diventare dio. Come l'aurea madre di Enea vide questo, ma anche la morte orribile ….

Vix ea fatus erat, media cum sede senatus constitit alma Venus nulli cernenda suique Caesaris eripuit membris nec in ara solvi passa recentem animam caelestibus intulit astris, dumque tulit, lumen capere atque ignescere sensit emisitque sinu: luna volat altius illa flammiferumque trahens spatioso limite crinem stella micat natique videns bene facta fatetur esse suis maiora et vinci gaudet ab illo. Hic sua praeferri quamquam vetat acta paternis, libera fama tamen nullisque obnoxia iussis invitum praefert unaque in parte repugnat. Sic magni cedit titulis Agamemnonis Atreus, Aegea sic Theseus, sic Pelea vicit Achilles, denique, ut exemplis ipsos aequantibus utar, sic et Saturnus minor est Iove : luppiter arces temperat aetherias et mundi regna triformis, terra sub Augusto est ; pater est et rector uterque. Di, precor, Aeneae comites, quibus ensis et ignis cesserunt, dique Indigetes genitorque Quirine urbis et invicti genitor Gradive Quirini Vestaque Caesareos inter sacrata Penates et cum Caesarea tu, Phoebe domestice, Vesta, quique tenes altus Tarpeias Iuppiter arces, quosque alios vati fas appellare piumque est: tarda sit illa dies et nostro serior aevo,

……………………………Aveva appena detto ciò, e Venere si fermò in mezzo al senato, invisibile a tutti, e toglie al corpo del suo Cesare l'anima, e non la lascia dissolversi ma la porta tra gli astri celesti. E mentre la porta, vede che si illumina e brucia e la lascia andare dal seno: vola piú alta della luna e, trascinandosi per lungo tratto una coda fiammeggiante, diventa una fulgida stella e, vedendo

[le imprese del figlio, ammette che sono piú grandi della sua e gode di

[essere vinta. E benché il figlio proibisca di essere anteposto a suo

[padre, la libera Fama, che non si piega a nessun comando, lo preferisce contro sua voglia, e solo in questo lo

[contraddice. Cosí Atreo cede ai meriti di Agamennone, Egeo a Teseo, e Peleo ad Achille, e se si deve addurre esempi adeguati, Saturno è minore di Giove. Giove governa le rocche celesti e i mondi del triplo universo, la terra è sotto Augusto : tutti e due sono padri e

[guide. Dei compagni di Enea, cui cedettero il ferro e il

[fuoco, e voi dèi indigeti, Quirino padre di Roma, e tu Gradivo, padre dell'invitto Quirino, Vesta consacrata tra i penati di Cesare, e tu, Apollo, dio familiare assieme a Vesta, e tu, Giove, che reggi in alto la rupe Tarpea, evoi altri dèi che per un poeta è lecito e pio

[invocare, arrivi tardi il momento, piú tardi della mia vita,

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qua caput Augustum, quem temperat, orbe relicto accedat caelo faveatque precantibus absens! Iamque opus exegi, quod nec Iovis ira nec ignes nec poterit ferrum nec edax abolere vetustas. Cum volet, illa dies, quae nil nisi corporis huius ius habet, incerti spatium mihi finiat aevi: parte tamen meliore mei super alta perennis astra ferar, nomenque erit indelebile nostrum, quaque patet domitis Romana potentia terris, ore legar populi, perque omnia saecula fama, siquid habent veri vatum praesagia, vivam.

in cui Augusto, lasciato il mondo che adesso governa, salga al cielo ed esaudisca in assenza le nostre

[preghiere. Ho compiuto un'opera che non potrà cancellare né l'ira di Giove, né il fuoco, né il ferro, né il tempo

[ingordo. Venga quando vorrà il giorno che ha giurisdizione

[soltanto sul mio corpo, a finire il tempo incerto della mia

[esistenza ; salirò con la parte migliore di me in eterno alle stelle, e il mio nome sarà indistruttibile. Dovunque si estende sulle terre assoggettate la

[potenza romana, mi leggeranno le labbra del popolo e, grazie alla

[Fama, se c'è qualcosa di vero nelle profezie dei poeti, vivrò per tutti i

[secoli.

b) Tristia, liber IV, 4, vv.11-16

… nec tamen officium nostro tibi carmine factum principe tam iusto posse nocere puto. ipse pater patriae--quid enim est civilius illo?-- sustinet in nostro carmine saepe legi; nec prohibere potest, quia res est publica Caesar, et de communi pars quoque nostra bono est

… E pertanto non ritengo che l'omaggio a te reso coi miei versi ti possa nuocere agli occhi di un principe tanto giusto. Il padre stesso della patria - che vi è più umano di lui? - accetta che si legga spesso il suo nome nei miei carmi, né potrebbe impedirlo, perché Cesare è la res publica [il bene comune], e del bene comune una parte è anche mia.

Quintus HORATIUS Flaccus

a) Carmen Saeculare (testo e traduzione [con qualche modifica] tratti da http://defaste.altervista.org/orazio/odi/carmsaec.htm)

Phoebe silvarumque potens Diana, lucidum caeli decus, o colendi semper et culti, date quae precamur tempore sacro, quo Sibyllini monuere versus virgines lectas puerosque castos dis, quibus septem placuere colles, dicere carmen. Alme Sol, curru nitido diem qui promis et celas aliusque et idem nasceris, possis nihil urbe Roma visere maius. Rite maturos aperire partus lenis, Ilithyia, tuere matres, sive tu Lucina probas vocari seu Genitalis: diva, producas subolem patrumque prosperes decreta super iugandis feminis prolisque novae feraci lege marita, certus undenos deciens per annos orbis ut cantus referatque ludos ter die claro totiensque grata nocte frequentis. Vosque, veraces cecinisse Parcae, quod semel dictum est stabilisque rerum

Febo e Diana dea delle foreste, splendido decoro del cielo, da venerare e sempre onorati, esaudite le cose che desideriamo in questi giorni solenni in cui i versi sibillini prescrissero che vergini e fanciulli scelti e puri cantino un inno per gli Dei che hanno cari i sette colli! Sole divino, che sul cocchio luminoso dischiudi e nascondi il giorno sempre nuovo e uguale sorgi, e nulla maggior di Roma possa tu vedere! Tu, che propizia fai schiudere i maturi parti come conviene, Ilizia, e che proteggi le madri, o che voglia essere chiamata Lucina o Genitale. o Diva, fa’ crescere la prole e benedici i decreti dei Padri per le muliebri nozze, e per la legge maritale di nuova prole feconda, onde il giro fissato di cento e dieci anni riconduca i ludi e i cantici, ripetuti tre volte nel chiaro giorno, e tre volte nella notte gioconda. Voi che veraci annunziaste, o Parche, una volta per sempre ciò

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terminus servet, bona iam peractis iungite fata. Fertilis frugum pecorisque Tellus spicea donet Cererem corona; nutriant fetus et aquae salubres et Iovis aurae. Condito mitis placidusque telo supplices audi pueros, Apollo; siderum regina bicornis, audi, Luna, puellas. Roma si vestrum est opus Iliaeque litus Etruscum tenuere turmae, iussa pars mutare lares et urbem sospite cursu, cui per ardentem sine fraude Troiam castus Aeneas patriae superstes liberum munivit iter, daturus plura relictis: di, probos mores docili iuventae, di, senectuti placidae quietem, Romulae genti date remque prolemque et decus omne. Quaeque vos bobus veneratur albis clarus Anchisae Venerisque sanguis, impetret, bellante prior, iacentem lenis in hostem. Iam mari terraque manus potentis Medus Albanasque timet securis, iam Scythae responsa petunt, superbi nuper et Indi. Iam Fides et Pax et Honos Pudorque priscus et neglecta redire Virtus audet adparetque beata pleno Copia cornu. Augur et fulgente decorus arcu Phoebus acceptusque novem Camenis, qui salutari levat arte fessos corporis artus, si Palatinas videt aequos arces, remque Romanam Latiumque felix alterum in lustrum meliusque semper prorogat aevum, quaeque Aventinum tenet Algidumque, quindecim Diana preces virorum curat et votis puerorum amicas adplicat auris. Haec Iovem sentire deosque cunctos spem bonam certamque domum reporto, doctus et Phoebi chorus et Dianae dicere laudes.

che il fato disse, e ciò che i sicuri eventi confermeranno, aggiungete fati ai fatti antichi buoni già compiuti! La terra fertile di messi e greggi Offra a Cerere corone di spighe; nutrano i frutti l’acque salubri e le aure di Giove! Placido e mite, ora che hai riposto il dardo, ascolta, Apollo, i supplici fanciulli; Luna, bicorne dea degli astri, ascolta tu le fanciulle! Se Roma è opera vostra, e se le schiere Troiane approdarono all’etrusco lido con l’ordine di cambiare dei e città con un viaggio favorevole, cui senza infamia tra le fiamme d’Ilio il casto Enea, superstite della patria, aprì un cammino libero per dare ai rimasti sorte più grande, Dei, date buon costume ai giovani sottomessi e ai vegliardi placida quiete, e date alla gente di Romolo la potenza, la discendenza ed ogni gloria; e quanto, offrendo bianchi buoi, l’illustre sangue d’Anchise e Venere vi chieda, egli l’ottenga, egli nell’armi altero, mite col nemico vinto. Già teme il Medeo la sua mano, potente per terra e in mare, e le latine scuri; già Sciiti ed Indi, poco fa ribelli, chiedono leggi. Già Fede e Pace, e Onore e il Pudore prisco e la Virtù negletta osano tornare; e già beata col suo corno pieno viene l’Abbondanza. Se Apollo, adorno dello splendido arco, augure e amico delle nove Muse, che ristora le membra stanche con l’arte salutare, guardi benigno i colli Palatini, di lustro in lustro proroghi la res romana ed il Lazio a tempi sempre migliori, e Diana, che possiede l’Algido e l’Aventino, si curi delle preghiere dei quindecemviri ed ascolti le suppliche dei giovinetti. Io porto a casa la buona e sicura speranza che Giove e tutti i Numi sentano questo, coro dotto nel cantare i canti di Febo e le lodi di Diana.

b) Carmina, liber I, II, vv. 41-52

(testo e traduzione [con qualche modifica] tratti da QUINTO ORAZIO FLACCO, Tutte le opere, Versione, introduzione e note di EZIO CETRANGOLO, Sansoni ed., Firenze 1968)

…. sive mutata iuvenem figura ales in terris imitaris almae filius Maiae, patiens vocari Caesaris ultor: setus in caelum redeas diuque laetus intersis populo Quirini, neve te nostris vitiis iniquum ocior aura

…………… o tu, figlio di Maia, alato, che mutata la figura assumi in terra il sembiante di un giovane e sopporti d'esser chiamato in mezzo a noi di Cesare vendicatore. Oh sia pur tardo il tuo ritorno al cielo e lieta la presenza fra i Quiriti, né ti rapisca, avverso ai nostri errori,

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tollat: hic magnos potius triumphos, hic ames dici patcr atque princeps, neu sinas Medos equitare inultos te duce, Caesar.

sùbito I'aura. Ma ti piaccian questi grandi trionfi, ti piaccía il nome di padre e di prìncipe; né lascerai che impuniti cavalchino i Parti essendo tu, Cesare, [dell'esercito] duce.

c) Carmina Liber I, XXXVII

(testo tratto da QUINTO ORAZIO FLACCO, Tutte le opere, Versione, introduzione e note di EZIO CETRANGOLO, Sansoni ed., Firenze 1968)

Nunc est bibendum, nunc pede libero pulsanda tellus, nunc Saliaribus ornare pulvinar deorum tempus erat dapibus, sodales. Antehac nefas depromere Caecubum cellis avitis, dum Capitolio regina dementis ruinas funus et imperio parabat contaminato cum grege turpium morbo uirorum, quidlibet impotens sperare fortunaque dulci ebria. Sed minuit furorem uix una sospes nauis ab ignibus, mentemque lymphatam Mareotico redegit in ueros timores Caesar, ab Italia uolantem remis adurgens, accipiter uelut mollis columbas aut leporem citus venator in campis niualis Haemoniae, daret ut catenis fatale monstrum. Quae generosius perire quaerens nec muliebriter expauit ensem nec latentis classe cita reparauit oras, ausa et iacentem uisere regiam uoltu sereno, fortis et asperas tractare serpentes, ut atrum torpore conbiberet uenenum, deliberata morte ferocior: saeuis Liburnis scilicet inuidens priuata deduci superbo, non humilis mulier, triumpho.

E’ il momento ora di bere, di battere la terra [danzare] con piede libero, ora è il momento, o amici,di ornare i letti degli dei con un convito degno dei Salii. Prima d’ora non era lecito cavare il Cecubo dalle cantine avite,mentre una folle regina preparava rovine al Campidoglio e il funerale al dominio [dei Romani], con una turba d’uomini colpita dal morbo, ebria per la facile fortuna poteva sperare qualunque cosa. Ma le tolse il furore la sola nave scampata dal fuoco, e la mente sconvolta dal [vino] Mareotico riportò ai timori reali Cesare [Augusto], spingendo a volare con i remi [la nave], come sparviero che tenere colombe o lepri caccia, sul campo innevato di Emonia, per mettere in catene il mostro fatale [Cleopatra]. Ed essa volendo morire più nobilmente non ebbe timore muliebre della spada, né con flotta veloce si rifugiò in lidi nascosti, ed osò guardare con volto sereno la reggia prostrata, e maneggiare i serpenti squamosi, affinché col torpore fosse pervasa dall’atro veleno, più feroce [lei] della morte destinatale. E così, più veloce delle agili [navi] Liburne Evitò, donna non umile, di esser trascinata nel superbo trionfo.

d) Carmina, liber IV, V

(testo e traduzione [con qualche modifica] tratti da QUINTO ORAZIO FLACCO, Tutte le opere, Versione, introduzione e note di EZIO CETRANGOLO, Sansoni ed., Firenze 1968)

Divis orte bonis, optume Romulae custos gentis, abes iam nimium diu: maturum reditum pollicitus patrum

sancto concilio redi. lucem redde tuae, dux bone, patriae: instar veris enim voltus ubi tuus adfulsit populo, gratior it dies

et soles melius nitent. ut mater iuvenem, quem Notus invido flatu Carpathii trans maris aequora cunctantem spatio longius annuo

dulci distinet a domo, votis ominibusque et precibus vocat curvo nec faciem litore dimovet, sic desideriis icta fidelibus

quaerit patria Caesarem. tutus bos etenim rura perambulat,

Tu che sei nato per bontà dei numi, e la gente Romulea assisti, ottimo, è lunga la tua assenza: torna! Avevi

ai padri venerabili un ritorno sollecito promesso. Rendi la gioia alla tua patria, o duce valoroso! Se il volto tuo risplende

come la primavera al popolo, più grato scorre il giorno e i sereni rifulgono più belli. Come una madre con preghiere e voti

supplica e attende il figlio che già da più d'un anno il triste soffio di Noto lunge tiene dalla dolce casa, fermo di là dalla distesa

del Carpatico mare, e guarda fissa al curvo lido sempre:

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nutrit rura Ceres almaque Faustitas, pacatum volitant per mare navitae,

culpari metuit fides, nullis polluitur casta domus stupris, mos et lex maculosum edomuit nefas, laudantur simili prole puerperae,

culpam poena premit comes. quis Parthum paveat, quis gelidum Scythen, quis Germania quos horrida parturit fetus incolumi Caesare? quis ferae

bellum curet Hiberiae? condit quisque diem collibus in suis et vitem viduas ducit ad arbores; hinc ad vina redit laetus et alteris

te mensis adhibet deum; te multa prece, te prosequitur mero defuso pateris et Laribus tuum miscet numen, uti Graecia Castoris

et magni memor Herculis. longas o utinam, dux bone, ferias praestes Hespaeriae!’ dicimus integro sicci mane die, dicimus uvidi,

cum sol Oceano subest.

la patria similmente da penoso desiderio trafitta cerca Cesare.

Sicuro il bove passa per la campagna, che alimenta Cerere e l'Abbondanza; i marinai trascorrono per il mare da te fatto tranquillo,

la fedeltà non è accusata di colpa; profanata da violenza non è la casta casa; la legge e il buon costume hanno domato

le scellerate infamie; le donne partoriscono figliuoli con sembianze paterne, e viene sùbito duro il Castigo al tergo della Colpa.

Finché Cesare è salvo chi teme il Parto, chi lo Scita gelido, chi la prole cui la Germania è madre orrida? Chi s'affanna per la guerra

con la Spagna feroce? Ciascuno compie il giorno tra i suoi colli marita la vite ai solitarii alberi e lieto viene a convitare, e alle seconde mense invoca te qual dio, libando vino a te dalle sue tazze, e il nome tuo unisce ai Lari come quello d'Ercole smisurato e di Castore la Grecia memore. ‘Possa tu, o duce valoroso, donare lunghe feste all'Italia!' Questo, nascendo il giorno, questo, calando, è il voto.

e) Carmina, liber IV, XV (testo e traduzione [con qualche modifica] tratti da QUINTO ORAZIO FLACCO, Tutte le opere,

Versione, introduzione e note di EZIO CETRANGOLO, Sansoni ed., Firenze 1968) Phoebus volentem proelia me loqui victas et urbes increpuit lyra, ne parva Tyrrhenum per aequor vela darem. tua, Caesar, aetas fruges et agris rettulit uberes et signa nostro restituit Iovi derepta Parthorum superbis postibus et vacuum duellis Ianum Quirini clausit et ordinem rectum evaganti frena licentiae iniecit emovitque culpas et veteres revocavit artis, per quas Latinum nomen et Italae creverce vires famaque et imperi porrecta maiestas ad ortus solis ab Hesperio cubili. custode rerum Caesare non furor civilis, aut vis exiget otium, non ira, quae procudit enses et miseras inimicat urbes. non qui profundum Danuvium bibunt edicta rumpent Iulia, non Getae, non Seres infidique Persae, non Tanain prope flumen orti. nosque et profestis lucibus et sacris inter iocosi munera Liberi

Io volevo cantare le battaglie e le vinte città, ma venne Febo a dirmi con la lira di non mettermi sul mar Tirreno in fragile battello. Cesare, l'età tua messi ubertose ha riportato ai campi, e le Romane insegne, ai templi dei superbi Parti ritolte, ha collocato in Campidoglio; ha chiuso il tempio di Giano Quirino, libero dalle guerre; ha posto freno alla licenza uscita dalle vie dell'ordine; ha disperso infami colpe, e i costumi dei padri ha restaurato onde il nome Latino e la potenza d'Italia crebbe e s'allargò la fama e la maestà fu estesa dell'impero fino alle terre dove nasce il sole da quelle dove scende a riposare. Finché le nostre sorti ha in mano Cesare né furore civile né violenza né l'ira infausta che le spade acùmina e le città fa misere e nemiche scacceranno la pace. Non le genti che il profondo Danubio bagna o i Geti né i Seri o i Parti infidi, non i nati lungo il corso del Tànai turberanno

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cum prole matronisque nostris, rite deos prius adprecati, virtute functos more patrum duces Lydis remixto carmine tibiis Troiamque et Anchisen et almae progeniem Veneris canemus.

le leggi Auguste. E tutti i giorni noi tra le gioie di Libero coi nostri figli e matrone, dopo aver pregato gli dèi secondo il rito, canteremo all'usanza vetusta i capitani valorosi col canto mescolato al flauto Lidio e Troia e Anchise e il sangue generoso di Venere divina.

Publius VERGILIUS Maro, Aeneadis (testo e traduzione [con qualche modifica] tratti da PUBLIO VIRGILIO MARONE, Tutte le opere,

Versione, introduzione e note di EZIO CETRANGOLO, Sansoni ed., Firenze 1966)

a) liber VI, vv. 788-800 Huc geminas nunc flecte acies, hanc aspice gentem Romanosque tuos. Hic Caesar et omnis Iuli progenies, magnum caeli ventura sub axem. Hic vir, hic est, tibi quem promitti saepius audis, Augustus Caesar, Divi genus, aurea condet saecula qui rursus Latio regnata per arva Saturno quondam; super et Garamantas et Indos proferet imperium: iacet extra sidera tellus, extra anni solisque vias, ubi caelifer Atlans axem umero torquet stellis ardentibus aptum. Huius in adventum iam nunc et Caspia regna responsis horrent divom et Maeotia tellus et septemgemini turbant trepida ostia Nili. Nec vero Alcides tantum telluris obivit, fixerit aeripedem cervam licet aut Erymanthi pacarit nemora et Lernam tremefecerit arcu; nec qui pampineis victor fuga flectit habenis Liber, agens celso Nysae de vertice tigris. Et dubitamus adhuc virtute extendere vires, aut metus Ausonia prohibet consistere terra?

Or fissa lo sguardo, osserva la tua gente Romana: Cesare è quello e l'intera progenie di Giulo che verrà sotto il vasto splendore del cielo. Questo, questo è l'uomo di cui spesso odi annunziare l'avvento, Augusto Cesare, figlio del Divo che al Lazio porterà il secolo d'oro di nuovo,sui campi ove un giorno ebbe regno Saturno; e stenderà l'imperio di là dai Garamanti e dagl'Indi e ovunque sia terra fuori degli astri, del corso del sole e dell'anno, dove Atlante sostiene con l'omero il cielo stellato. In vista già del suo arrivo i regni del Caspio temon gli oracoli, e la terra Meòtide e le sette trepide foci del Nilo si turbano. Alcíde davvero non tanto percorse di terra, abbia pure trafitto la cerva dai piedi di bronzo, abbia dato la pace ai boschi d'Erìmanto ed abbia con l'arco atterrito il paese di Lerna; né Bacco che piega trionfante i gioghi con redini ravvolte di pampini, spingendo dall'alta Nisa le tigri. E ancor dubitiamo di estender coi fatti il valore o un timore ci vieta l'approdo alla terra d'Ausonia?

b) liber VIII, vv. 671-728

At Caesar, triplici invectus Romana triumpho moenia dis Italis, votum immortale sacrabat

maxuma tercentum totam delubra per urbem. Laetitia ludisque viae plausuque fremebant omnibus in templis matrum chorus, omnibus arae; ante aras terram caesi stravere iuvenci. Ipse, sedens niveo candentis limine Phoebi dona recognoscit populorum aptatque superbis, postibus; incedunt victae longo ordine gentes quam variae linguis, habitu tam vestis et armis Hic Nomadum genus et discinctos Mulciber Afros, hic Lelegas Carasque sagittiferosque Gelonos finxerat; Euphrates ibat iam mollior undis, extremique hominum Morini Rhenusque bicornis indomitique Dahae et pontem indignatus Araxes.

Cesare intanto, fatto per entro le mura Romane ingresso, trionfando tre volte, andava, voto immortale, molti templi elevando per 1'urbe ai Numi d'Italia. Risonavan le vie d'allegrezza e di plauso; in tutti i templi davanti alle are uno stuolo di madri; uccisi giovenchi davanti alle are coprivan il suolo. Augusto, seduto sul candido marmo alla soglia del tempio di Apollo, i doni riceve dai popoli e li appende alle porte superbe; gli passan davanti in lunghissima fila le vinte nazioni, per lingua tanto diverse e per vesti e per armi: la stirpe Numidica e gli Afri discinti aveva Vulcano effigiato e i Lèlegi e i Cari e i Geloni saettanti; veniva l'Eufrate, ormai già placato nei flutti, la gente dei Mòrini più lontana del mondo e il Reno bicorne e gl'indomiti Dai e l'Arasse, fiume che il ponte ha in disdegno.

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Fasti consulares dal 50 a. C. al 14 d. C. (Testo tratto da: www.imperiumromanum.com/geschichte/zeittafeln/konsularlisten_index.htm )

(N:B: Quando vi sono più di due consoli, i consoli eponimi – cioè quelli che danno il nome

all’anno – sono la prima coppia)

Anno Primo console Secondo console

50 L. Aemilius M. f. Q. n. Lepidus Paullus C. Claudius C. f. M. n. Marcellus

49 C. Claudius M. f. M. n. Marcellus L. Cornelius P. f. -n. Lentulus Crus

48 C. Iulius C. f. C. n. Caesar P. Servilius P. f. C. n. Isauricus

47 Q. Fufius Q. f. C. n. Calenus P. Vatinius P. f. -n.

In questo anno vi fu un dittatore. C. Iulius Caesar (Dictator) M. Antonius (Magister equitum) 46 C. Iulius C. f. C. n. Caesar M. Aemilius M. f. Q. n. Lepidus

In questo anno fu nominato un dittatore per dieci anni. C. Iulius Caesar (Dictator) 45 In questo anno vi furono quattro consoli. C. Iulius C. f. C. n. Caesar Q. Fabius Q. f. Q. n. Maximus

C. Caninius C. f. C. n. Rebilus C. Caninius C. f. C. n. Rebilus

In questo anno fu nominato un dittatore a vita. C. Iulius Caesar (Dictator) In questo anno vi furono tre consoli. 44 C. Iulius C. f. C. n. Caesar

P. Cornelius P. f. -n. Dolabella M. Antonius

In questo anno vi fu, in base alle decisioni dell’anno precedente, un dittatore. C. Iulius Caesar (Dictator) 43 In questo anno vi furono sei consoli. C. Vibius C. f. C. n. Pansa Caetronianus A. Hirtius A. f. -n.

C. Iulius C. f. C. n. Caesar Octavianus Q. Pedius M. f. -n.

C. Carrinas C. f. -n. P. Ventidius P. f. -n. Bassus

42 M. Aemilius M. f. Q. n. Lepidus L. Munatius L. f. L. n. Plancus

41 L. Antonius M. f. M. n. Pietas P. Servilius P. f. C. n. Vatia Isauricus

40 In questo anno vi furono quattro consoli. Cn. Domitius M. f. M. n. Calvinus C. Asinius Cn. f. -n. Pollio

L. Cornelius L. f. -n. Balbus P. Canidius P. f. -n. Crassus

39 In questo anno vi furono quattro consoli. L. Marcius L. f. C. n. Censorinus C. Calvisius C. f. -n. Sabinus

C. Cocceius -f. -n. Balbus P. Alfenus P. f. -n. Varus

38 In questo anno vi furono quattro consoli. App. Claudius C. f. App. n. Pulcher C. Norbanus C. f. -n. Flaccus

L. Cornelius -f. -n. Lentulus L. Marcius L. f. L. n. Philippus

37 In questo anno vi furono tre consoli. L. Caninius L. f. -n. Gallus

M. Vipsanius L. f. -n. Agrippa

T. Statilius T. f. -n. Taurus

36 In questo anno vi furono quattro consoli. L. Gellius L. f. L. n. Publicola M. Cocceius -f. -n. Nerva

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L. Nonius L. f. T. n. Asprenas - Marcius -f. -n.

35 In questo anno vi furono quattro consoli. Sex. Pompeius Sex. f. Sex. n. L. Cornificius L. f. -n.

P. Cornelius P. f. -n. Scipio T. Peducaeus -f. -n.

34 In questo anno vi furono cinque consoli. M. Antonius M. f. M. n.

L. Sempronius L. f. L. n. Atratinus L. Scribonius L. f. -n. Libo

Paullus Aemilius L. f. M. n. Lepidus C. Memmius C. f. L. n.

33 In questo anno vi furono otto consoli. Imp. Caesar Divi f.

L. Antonius P. f. L. n. Paetus L. Volcacius L. f. -n. Tullus

L. Flavius -f. -n.

M. Acilius M'. f. -n. Glabrio C. Fonteius C. f. -n. Capito

L. Vinicius M. f. -n. Q. Laronius -f. -n.

32 In questo anno vi furono quattro consoli. Cn. Domitius L. f. Cn. n. Ahenobarbus C. Sosius C. f. T. n.

L. Cornelius -f. -n. Cinna M. Valerius -f. -n. Messalla

31 In questo anno vi furono cinque consoli. M. Antonius M. f. M. n. Imp. Caesar Divi f.

M. Valerius M. f. M. n. Messalla Corvinus

M. Titius L. f. -n.

Cn. Pompeius Q. f. -n.

30 In questo anno vi furono cinque consoli. Imp. Caesar Divi f. M. Licinius M. f. M. n. Crassus

C. Antistius C. f. -n. Vetus

M. Tullius M. f. M. n. Cicero

L. Saenius L. f. -n.

29 In questo anno vi furono tre consoli. Imp. Caesar Divi f. Sex. Appuleius Sex. f. Sex. n.

Potitus Valerius M. f. -n. Messalla

28 Imp. Caesar Divi f. M. Vipsanius L. f. -n. Agrippa

27 Imp. Caesar Divi f. Augustus M. Vipsanius L. f. -n. Agrippa

26 Imp. Caesar Divi f. Augustus T. Statilius T. f. -n. Taurus

25 Imp. Caesar Divi f. Augustus M. Iunius M. f. D. n. Silanus

24 Imp. Caesar Divi f. Augustus C. Norbanus C. f. C. n. Flaccus

23 In questo anno vi furono quattro consoli. Imp. Caesar Divi f. Augustus A. Terentius A. f. -n. Varro Murena

L. Sestius P. f. L. n. Quirinalis Albinianus Cn. Calpurnius Cn. f. Cn. n. Piso

22 M. Claudius M. f. M. n. Marcellus Aeserninus L. Arruntius L. f. L. n.

21 M. Lollius M. f. -n. Q. Aemilius M'. f. M'. n. Lepidus

20 M. Appuleius Sex. f. -n. P. Silius P. f. -n. Nerva

19 In questo anno vi furono tre consoli. C. Sentius C. f. C. n. Saturninus

M. Vinucius P. f. -n. Q. Lucretius Q. f. -n. Cinna Vespillo

18 P. Cornelius P. f. Cn. n. Lentulus Marcellinus Cn. Cornelius L. f. -n. Lentulus

17 C. Furnius C. f. -n. C. Iunius C. f. -n. Silanus

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16 In questo anno vi furono tre consoli. P. Cornelius P. f. P. n. Scipio

L. Domitius Cn. f. L. n. Ahenobarbus

L. Tarius -f. -n. Rufus

15 M. Livius L. f. -n. Drusus Libo L. Calpurnius L. f. L. n. Piso Frugi

14 M. Licinius M. f. M. n. Crassus Cn. Cornelius Cn. f. Cn. n. Lentulus

13 Ti. Claudius Ti. f. Ti. n. Nero P. Quinctilius Sex. f. -n. Varus

12 In questo anno vi furono cinque consoli. M. Valerius M. f. -n. Messalla Barbatus Appianus

C. Valgius C. f. -n. Rufus P. Sulpicius P. f. -n. Quirinus

L. Volusius Q. f. -n. Saturninus C. Caninius C. f. C. n. Rebilus

11 Q. Aelius Q. f. -n. Tubero Paullus Fabius Q. f. Q. n. Maximus

10 Africanus Fabius Q. f. Q. n. Maximus Iullus Antonius M. f. M. n.

9 Nero Claudius Ti. f. Ti. n. Drusus T. Quinctius T. f. L. n. Crispinus Sulpicianus

8 C. Marcius L. f. L. n. Censorinus C. Asinius C. f. Cn. n. Gallus

7 Ti. Claudius Ti. f. Ti. Nero Cn. Calpurnius Cn. f. Cn. n. Piso

6 D. Laelius D. f. D. n. Balbus C. Antistius C. f. C. n. Vetus

5 In questo anno vi furono cinque consoli. L. Cornelius P. f. P. n. Sulla

Imp. Caesar Divi f. Augustus

L. Vinucius L. f. M. n.

Q. Haterius -f. -n. C. Sulpicius C. f. Ser. n. Galba

4 In questo anno vi furono quattro consoli. C. Calvisius C. f. C. n. Sabinus L. Passienus -f. -n. Rufus

C. Caelius C. f. -n. Rufus Galus Sulpicius -f. -n.

3 L. Cornelius L. f. L. n. Lentulus M. Valerius M. f. M. n. Messalla Messallinus

2 In questo anno vi furono cinque consoli. M. Plautius Silvanus

Imp. Caesar Divi f. Augustus

C. Fufius -f. -n. Geminus

Q. Fabricius -f. -n.

L. Caninius L. f. L. n. Gallus

1 In questo anno vi furono quattro consoli. Cossus Cornelius Cn. f. L. n. Lentulus L. Calpurnius Cn. f. Cn. n. Piso

A. Plautius -f. -n. A. Caecina -f. -n. Severus

1 d. C. In questo anno vi furono tre consoli. L. Aemilius Paulli f. M. n. Paullus

C. Caesar Augusti f. Divi n.

M. Herennius M. f. M'. n. Picens

2 In questo anno vi furono quattro consoli. P. Vinicius M. f. P. n. P. Alfenus P. f. P. n. Varus

P. Cornelius Cn. f. Cn.n. Lentulus Scipio T. Quinctius T. f. T. n. Crispinus Valerianus

3 In questo anno vi furono quattro consoli. L. Aelius L. f. L. n. Lamia M. Servilius M. f. -n.

P. Silius P. f. P. n. L. Volusius L. f. Q. n. Saturninus

4 In questo anno vi furono quattro consoli. Sex. Aelius Q. f. L. n. Catus C. Sentius C. f. C. n. Saturninus

Cn. Sentius C. f. C. n. Saturninus C. Clodius C. f. C. n. Licinus

5 In questo anno vi furono quattro consoli. L. Valerius Pototo f. M. n. Messalla Volesus Cn. Cornelius L. f. Pompeii Magni n. Cinna

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Magnus

C. Vibius C. f. C. n. Postumus C. Ateius L. f. L. n. Capito

6 In questo anno vi furono tre consoli. L. Arruntius L. f. L. n.

M. Aemilius Pavilli f. L. n. Lepidus

L. Nonius L. f. L. n. Asprenas

7 In questo anno vi furono tre consoli. A. Licinius A. f. A. Nerva Silanus

Q. Caecilius Q. f. M. n. Metellus Creticus Silanus

Lucilius -f. -n. Longus

8 In questo anno vi furono quattro consoli. M. Furius P. f. P. n. Camillus Sex. Nonius L. f. L. n. Quinctilianus

L. Apronius C. f. C. n. A. Vibius C. f. C. n. Habitus

9 In questo anno vi furono quattro consoli. C. Poppaeus Q. f. Q. n. Sabinus Q. Sulpicius Q. f. Q. n. Camerinus

M. Papius M. f. N. n. Mutilus Q. Poppaeus Q. f. Q. n. Secundus

10 In questo anno vi furono quattro consoli. P. Cornelius P. f. P. n. Dolabella C. Iunius -f. -n. Silanus

Ser. Cornelius Cn. f. Cn. n. Lentulus Maluginensis Q. Iunius -f. -n. Bassus

11 In questo anno vi furono quattro consoli. M'. Aemilius Q. f. M. n. Lepidus

L. Cassius L. f. -n. Longinus T. Statilius T. f. T. n. Taurus

12 In questo anno vi furono tre consoli. Germanicus Caesar Ti f. Augusti n. C. Fonteius C. f. C. n. Capito

C. Visellius C. f. C. n. Varro

13 C. Silius P. f. P. n. Caecina Largus L. Munatius L. f. L. n. Plancus

14 Sex. Pompeius Sex. f. -n. Sex. Appuleius Sex. f. -n.