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RASSEGNA STAMPA di venerdì 12 febbraio 2016 SOMMARIO Sul Corriere di oggi c’è un interessante commento del sociologo Mauro Magatti sui cosiddetti “Millennials” e su “L’identità politica dei giovani, a metà tra l’io e il noi”, a partire dai primi esiti delle presidenziali Usa. Scrive tra l’altro: “…il candidato «socialista» Sanders sta inaspettatamente mettendo a rischio la nomination di Hillary Clinton. Con un accento molto forte sui temi della giustizia sociale e uno stile decisamente antitelevisivo - basato su un tratto bonario e quasi paterno, il contrario dell’«uomo che non deve chiedere mai» - Sanders sta riscuotendo un successo inaspettato. Nel suo ultimo confronto con Clinton è uscito a testa alta, riuscendo a comunicare il senso di essere una persona lontana dall’ establishment (e da Wall Street) e proprio per questo degna di fiducia. La cosa più interessante però è il profilo demografico degli elettori di Sanders: nel piccolo Iowa, l’84 % degli elettori democratici con meno di 30 anni ha votato Sanders, mentre tra gli ultra sessantenni la percentuale scende a meno del 30%. Qualcosa di molto simile sta accadendo anche in Inghilterra, dove Jeremy Corbyn, anch’egli apparentemente piuttosto démodé, da qualche mese ha preso la guida del partito laburista a partire da una piattaforma politico-economica che mette definitivamente alle spalle la «terza via» di Tony Blair. Secondo i critici, Corbyn è un vecchio laburista, di quelli che hanno sempre fatto perdere le elezioni. E ci sono buone ragioni per pensare che ciò sia assai probabile. Eppure, la cosa curiosa è che Corbyn è appoggiato soprattutto dai giovani (secondo un ultimo sondaggio, nella fascia di età tra 18-24 anni il 61 % pensa che stia facendo bene), mentre chi è più avanti negli anni rimane freddo (tra gli ultra sessantenni l’approvazione crolla al 16). Naturalmente, queste indicazioni non devono essere sopravvalutate. Stiamo parlando di sondaggi e di candidati che sono ancora molto lontani da un vero test elettorale. E tuttavia, gli orientamenti giovanili, che spesso segnalano tendenze che poi si diffondono in tutta la società, non possono non sorprendere. Tanto più che stiamo parlando dei Paesi anglosassoni, che rimangono i battistrada del mondo occidentale. Il fatto è che sono ormai tante le ricerche che concordemente rilevano un significativo riorientamento in atto nel mondo giovanile. Probabilmente come risposta agli anni difficili che hanno segnato la loro giovinezza, i cosiddetti Millennials (nati tra il 1980 e il 2000) appaiono eticamente più sensibili, meno cinici e strumentali rispetto alle generazioni precedenti. Un po’ in tutti i Paesi occidentali (e anche in Italia), questa nuova generazione è alla ricerca di un nuovo equilibrio tra le proprie aspirazioni personali e lo sviluppo della comunità, tra la crescita economica e il rispetto dell’ambiente, tra l’identità storica e culturale di un popolo e la necessità di aprirsi al mondo, compresa anche l’ospitalità per i rifugiati. Nella convinzione, più in generale, che l’etica costituisca una dimensione irrinunciabile per raggiungere una prosperità che è vista come individuale e insieme collettiva. I prossimi anni ci diranno se queste nuove tendenze culturali riusciranno a rafforzarsi, aprendo la via per una agenda politica ed economica. Ipotesi tutta da dimostrare, tanto più che il profilo demografico delle nostre società è oggi sbilanciato sulle classi di età più avanzate, come sempre conservatrici rispetto alla loro esperienza, tutta centrata sull’individualismo di matrice neoliberista. Rimane il fatto che, come accaduto già altre volte nella storia, lunghezza e profondità della crisi hanno già rimodellato gli orientamenti culturali dei giovani. Nella oscillazione tipica della vita sociale tra il polo privato dell’Io e il polo pubblico del Noi, le nuove generazioni si pongono alla ricerca di un equilibrio nuovo, capace di trovare un punto di mediazione più avanzato rispetto a quello che noi siamo stati capaci di fare. Dopo tanti anni di slegamento, i giovani - non a caso cresciuti con il web e i social network anziché con la Tv - sono i primi a rendersi conto che c’è bisogno di nuove legature. Dove espressione di sé e condivisione non sono altro che le due facce della stessa medaglia. Quale nuova offerta politica, quale nuova forma di organizzazione

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RASSEGNA STAMPA di venerdì 12 febbraio 2016

SOMMARIO

Sul Corriere di oggi c’è un interessante commento del sociologo Mauro Magatti sui cosiddetti “Millennials” e su “L’identità politica dei giovani, a metà tra l’io e il noi”, a

partire dai primi esiti delle presidenziali Usa. Scrive tra l’altro: “…il candidato «socialista» Sanders sta inaspettatamente mettendo a rischio la nomination di Hillary

Clinton. Con un accento molto forte sui temi della giustizia sociale e uno stile decisamente antitelevisivo - basato su un tratto bonario e quasi paterno, il contrario dell’«uomo che non deve chiedere mai» - Sanders sta riscuotendo un successo

inaspettato. Nel suo ultimo confronto con Clinton è uscito a testa alta, riuscendo a comunicare il senso di essere una persona lontana dall’ establishment (e da Wall

Street) e proprio per questo degna di fiducia. La cosa più interessante però è il profilo demografico degli elettori di Sanders: nel piccolo Iowa, l’84 % degli elettori

democratici con meno di 30 anni ha votato Sanders, mentre tra gli ultra sessantenni la percentuale scende a meno del 30%. Qualcosa di molto simile sta accadendo anche in Inghilterra, dove Jeremy Corbyn, anch’egli apparentemente piuttosto démodé, da qualche mese ha preso la guida del partito laburista a partire da una piattaforma

politico-economica che mette definitivamente alle spalle la «terza via» di Tony Blair. Secondo i critici, Corbyn è un vecchio laburista, di quelli che hanno sempre fatto perdere le elezioni. E ci sono buone ragioni per pensare che ciò sia assai probabile. Eppure, la cosa curiosa è che Corbyn è appoggiato soprattutto dai giovani (secondo un ultimo sondaggio, nella fascia di età tra 18-24 anni il 61 % pensa che stia facendo bene), mentre chi è più avanti negli anni rimane freddo (tra gli ultra sessantenni l’approvazione crolla al 16). Naturalmente, queste indicazioni non devono essere sopravvalutate. Stiamo parlando di sondaggi e di candidati che sono ancora molto lontani da un vero test elettorale. E tuttavia, gli orientamenti giovanili, che spesso segnalano tendenze che poi si diffondono in tutta la società, non possono non

sorprendere. Tanto più che stiamo parlando dei Paesi anglosassoni, che rimangono i battistrada del mondo occidentale. Il fatto è che sono ormai tante le ricerche che concordemente rilevano un significativo riorientamento in atto nel mondo giovanile. Probabilmente come risposta agli anni difficili che hanno segnato la loro giovinezza, i cosiddetti Millennials (nati tra il 1980 e il 2000) appaiono eticamente più sensibili, meno cinici e strumentali rispetto alle generazioni precedenti. Un po’ in tutti i Paesi occidentali (e anche in Italia), questa nuova generazione è alla ricerca di un nuovo equilibrio tra le proprie aspirazioni personali e lo sviluppo della comunità, tra la

crescita economica e il rispetto dell’ambiente, tra l’identità storica e culturale di un popolo e la necessità di aprirsi al mondo, compresa anche l’ospitalità per i rifugiati.

Nella convinzione, più in generale, che l’etica costituisca una dimensione irrinunciabile per raggiungere una prosperità che è vista come individuale e insieme collettiva. I prossimi anni ci diranno se queste nuove tendenze culturali riusciranno a rafforzarsi, aprendo la via per una agenda politica ed economica. Ipotesi tutta da

dimostrare, tanto più che il profilo demografico delle nostre società è oggi sbilanciato sulle classi di età più avanzate, come sempre conservatrici rispetto alla loro

esperienza, tutta centrata sull’individualismo di matrice neoliberista. Rimane il fatto che, come accaduto già altre volte nella storia, lunghezza e profondità della crisi hanno già rimodellato gli orientamenti culturali dei giovani. Nella oscillazione tipica

della vita sociale tra il polo privato dell’Io e il polo pubblico del Noi, le nuove generazioni si pongono alla ricerca di un equilibrio nuovo, capace di trovare un punto di mediazione più avanzato rispetto a quello che noi siamo stati capaci di fare. Dopo tanti anni di slegamento, i giovani - non a caso cresciuti con il web e i social network anziché con la Tv - sono i primi a rendersi conto che c’è bisogno di nuove legature. Dove espressione di sé e condivisione non sono altro che le due facce della stessa medaglia. Quale nuova offerta politica, quale nuova forma di organizzazione

economica, saranno in grado di rispondere a questa nuova domanda culturale rimane ancora da capire. Tanto più che la questione, come si vede bene nel panorama

politico contemporaneo, interpella tanto la destra quanto la sinistra. Può essere che, al di là dei loro destini elettorali, Sanders e Corbyn stiano davvero aprendo una nuova stagione politica. Ma può darsi che si tratti solo di primi esploratori. E che tocchi ad altri trovare quelle nuove soluzioni che tutti, a partire dai giovani, stiamo cercando”.

Intanto a Venezia prendono il via in questi giorni, nel tempo di Quaresima e nell’Anno giubilare della Misericordia, i pellegrinaggi dei vicariati e delle singole zone della Diocesi alla basilica cattedrale di S. Marco per il passaggio della Porta Santa e la

celebrazione eucaristica presieduta dal Patriarca Francesco. A cominciare saranno il vicariato di Gambarare (Riviera) nel pomeriggio di sabato 13 febbraio - è prevista la partecipazione di 1300 fedeli - e quello di Marghera nel pomeriggio di domenica 14 - circa 800 i fedeli in arrivo - mentre una settimana dopo (domenica 21) toccherà, insieme, ai tre vicariati del Litorale (Caorle, Eraclea, Jesolo/Cavallino-Treporti). Ogni volta il ritrovo dei fedeli è fissato intorno alle ore 15.15 in una chiesa non

distante da S. Marco (in questo caso S. Zaccaria per Gambarare e Litorale, S. Moisè per tutti gli altri) per poi recarsi processionalmente verso la cattedrale dove, verso le

15.45, ci sarà il passaggio della Porta Santa e quindi la S. Messa presieduta in basilica dal Patriarca. Il pellegrinaggio vicariale a S. Marco sarà anche uno dei primi terreni su cui si misureranno, in concreto, le “collaborazioni pastorali” da qualche tempo in fase

di avvio o in atto nella Diocesi veneziana tra più parrocchie di una stessa area. Il calendario dei prossimi appuntamenti prevede sabato 27 febbraio il pellegrinaggio di un’ampia zona di Venezia (S. Marco-Castello, Cannaregio-Estuario e Lido) e domenica 28 febbraio del vicariato mestrino della Castellana; sabato 5 marzo toccherà al resto di Venezia (S. Polo - S. Croce - Dorsoduro), sabato 12 marzo a Carpenedo e Favaro-Altino e, infine, domenica 13 marzo al vicariato dell’area centrale di Mestre. Dai pellegrinaggi vicariali giungerà, inoltre, un segno concreto di solidarietà e aiuto ai detenuti e alle detenute delle carceri di Venezia. Le offerte raccolte durante questi

appuntamenti verranno infatti destinate a due realizzazioni: la prima è il trasferimento del laboratorio di pelletteria in un altro ambiente di S. Maria Maggiore, così da raddoppiare gli spazi di laboratorio e di lavoro disponibili per i detenuti della struttura; nel carcere femminile della Giudecca il sostegno economico fornito dai pellegrini alla Porta Santa marciana verrà utilizzato per realizzare alcuni corsi di

formazione al teatro, visto come occasione positiva di impegno e buone relazioni per le donne detenute. (a.p.)

1 – IL PATRIARCA IL GAZZETTINO DI VENEZIA Pag VI Il Patriarca in visita ai malati del Civile: “Geriatria, reparto all’avanguardia” di t.borz. LA NUOVA Pag 20 Giornata del malato, visita del Patriarca all’ospedale civile di Nadia De Lazzari Moraglia: valorizzare il patto tra paziente e operatori sanitari. Il dg Dal Ben ricorda la prossima ristrutturazione del Gaggia 2 – DIOCESI E PARROCCHIE IL GAZZETTINO DI VENEZIA Pag VII Torcello, festa di Santa Fosca di t.b. Pag XX Giubileo del malato, 400 in preghiera di Roberta Pasqualetto Borbiago: lunga processione dal chiostro alla chiesa di Santa Maria Assunta

Pag XXIV Eraclea. Tornano le messe nella chiesa di San Isidoro: vincono i fedeli di D. Deb. 3 – VITA DELLA CHIESA L’OSSERVATORE ROMANO Pag 8 Il tempo della potatura Nella messa delle Ceneri il Papa chiede di vincere ipocrisia, mondanità e indifferenza AVVENIRE Pag 3 L’ “ecumenismo del sangue” fa dei cristiani una cosa sola di Stefania Falasca Cattolici e ortodossi, un colpo d’ala nel segno dei martiri Pag 5 “Perché lo storico colloquio? Per i cristiani perseguitati” di Giacomo Gambassi Padre Ioann: dietro il disgelo il dramma dimenticato CORRIERE DELLA SERA Pag 25 Kirill e Francesco a Cuba, perché il futuro passa da lì di Luigi Accattoli WWW.VATICANINSIDER.LASTAMPA.IT La scommessa russa di Papa Francesco di Gianni Valente La preparazione dell’incontro tra il Vescovo di Roma e il Patriarca Kirill è disseminata di segnali eloquenti. Fuori dagli stereotipi sulle presunte «Sante Alleanze» che snaturano l’evento, riducendolo a una mera questione di “alta strategia” ecclesiastica WWW.CHIESA.ESPRESSONLINE.IT Sull'abbraccio tra Francesco e Kirill c'è l'ombra di Putin di Sandro Magister Per incontrare il patriarca di Mosca, il papa ha dato appoggio alla politica della Russia in Ucraina e in Medio Oriente, deludendo le attese dei cristiani di quelle regioni. Come già aveva fatto a Cuba 5 – FAMIGLIA, SCUOLA, SOCIETÀ, ECONOMIA E LAVORO CORRIERE DELLA SERA Pag 25 L’identità politica dei giovani, a metà tra l’io e il noi di Mauro Magatti IL FOGLIO Pag 2 Per insegnanti e Tar la scuola è laica solo quando fa comodo a loro di Camillo Langone Benedizione pasquale no, vacanze di Pasqua sì. E perché? CORRIERE DEL VENETO Pag 1 La generazione di Giulio Regeni di Stefano Allievi Giovani, conoscenza, globalità LA NUOVA Pag 1 I bugiardi che muovono i mercati di Mario Bertolissi 7 - CITTÀ, AMMINISTRAZIONE E POLITICA LA NUOVA Pag 21 Chilometro dell’azzardo in centro di Francesco Furlan Mestre: quattro sale scommesse e slot distano pochi passi l’una dall’altra. L’ultima arrivata sarà aperta in via Verdi 8 – VENETO / NORDEST

AVVENIRE Pag 21 Chioggia, il vescovo sul caso Birolo: anche sicurezza è diritto di Vincenzo Tosello IL GAZZETTINO Pag 9 Sotto processo l’ex delegato pontificio di Luca Ingegneri Padova: con monsignor Gioia a giudizio progettista e impresario dell’intervento nel complesso di Sant’Antonio Pag 14 Caso Birolo, il vescovo: “I magistrati? Sembrano uno lobby, non li temo” di Filippo Greggio Monsignor Tessarollo replica elle critiche alla sua lettera in difesa del tabaccaio di Corezzola LA NUOVA Pagg 30 – 31 “Il diritto di critica è nella democrazia” di Elisabetta B. Anzoletti e Cristina Genesin Monsignor Tessarollo è intervenuto sul tabaccaio che ha ucciso il ladro e non fa marcia indietro: che mi querelino pure, io sono tranquillo. Il presidente di Anm Miazzi: “Adesso contro il vescovo la querela è possibile” CORRIERE DEL VENETO Pag 9 Caso Birolo, il giudice valuta se denunciare. Il Pd: il vescovo sbaglia di Nicola Munaro … ed inoltre oggi segnaliamo… CORRIERE DELLA SERA Pag 1 Il Paese delle leggi in ostaggio di Sergio Rizzo Giustizia e politica Pag 1 Lo strappo che spiazza il Pd di Massimo Franco Pag 1 Le mani abili di Ezio Bosso come un piccone sui pregiudizi di Gian Antonio Stella Chi ha già vinto Sanremo Pag 2 Lo spazio che si muove e s’increspa come un lago di Carlo Rovelli Cento anni dopo la teoria di Einstein l’annuncio in diretta mondiale sul web: abbiamo rilevato le onde gravitazionali LA REPUBBLICA Pag 1 Un confine da rispettare di Stefano Folli Pag 8 Unioni civili, lite con la Cei. Bagnasco: sì ai voti segreti. Il governo: non decide lui di Giovanna Casadio AVVENIRE Pag 1 Niente alibi di Marco Tarquinio Pag 2 Gravità: orgogliosi e umili di Andrea Lavazza L’individuazione delle onde di Einstein. Il ruolo italiano Pag 6 Bagnasco: ci sia libertà di coscienza. E piovono attacchi dalla sinistra di Marco Iasevoli e Angelo Picariello Mirabelli: “”Via le adozioni, non spacchiamo il Paese. Si può fare legge seria con accordo largo”. L’ultimo appello alla sinistra e ai cattolici di Napolitano: si trovi un’intesa IL GAZZETTINO

Pag 1 Io, derubato di tutto sul vagone letto della vergogna di Giuseppe Pietrobelli Pag 1 Massimo: Italia addio, scelgo il Paese delle tasse al 15% di Bruno Vespa Pag 1 Quelle fantastiche sonde per esplorare mondi inaccessibili di Massimo Capaccioli Pag 6 “Unioni civili, voto segreto”, bufera sull’appello dei vescovi di Diodato Pirone LA NUOVA Pag 8 I vescovi chiedono il voto segreto di Maria Berlinguer L’intervento del cardinal Bagnasco scatena polemiche. “La Chiesa rispetti le istituzioni repubblicane”

Torna al sommario 1 – IL PATRIARCA IL GAZZETTINO DI VENEZIA Pag VI Il Patriarca in visita ai malati del Civile: “Geriatria, reparto all’avanguardia” di t.borz. La giornata mondiale del malato, che ogni anno cade l'11 febbraio, ha visto ieri la visita del patriarca Francesco Moraglia all'ospedale Civile. Moraglia è giunto a Ss. Giovanni e Paolo alle 16.30, dove è stato ricevuto dal direttore generale dell'Ulss 12 Giuseppe Dal Ben. Ha celebrato una messa nella chiesa di San Lazzaro dei Mendicanti, di fronte a medici ed infermieri prima di portare i suoi omaggi ai malati. Al padiglione Jona, il patriarca è stato invitato a salutare i degenti del reparto di geriatria, al quinto piano, per poi passare al piano inferiore, dove c'è la medicina generale e concludere il percorso al reparto di oncologia. I primari dei tre reparti hanno presentato le loro aree al patriarca, che si è complimentato anche con Dal Ben per la nuova struttura: «Sembra una pediatria - riferendosi al reparto di geriatria - non si vedono le immagini solite a cui si è soliti pensare». Tanti gli abbracci e le benedizioni, molte le carezze e le parole di conforto verso chi sta lottando versando qualche lacrima. Ma non sono mancati nemmeno i momenti distensivi e i sorrisi, quando alcuni malati hanno approfittato dell'omaggio del patriarca per farsi scattare una fotografia con il telefono. Moraglia non si è mai tirato indietro, sorridendo e dispensando una parola di conforto anche agli operatori dell'ospedale. «La malattia purtroppo entra nella vita delle persone - ha spiegato Moraglia - e non devono essere isolati, trovando conforto anche nella religione. Poi un plauso va al patto di ospitalità che l'Ulss ha voluto (da circa un anno, ndr) in cui malati e curanti esprimono il rispetto per le difficoltà e l'impegno a fornire una corretta assistenza». Durante l'omelia, il patriarca si è soffermato sul significato della malattia. Infine, il direttore Dal Ben lo ha ringraziato: «La sua presenza offre un senso di condivisione e sostegno alle persone in difficoltà». LA NUOVA Pag 20 Giornata del malato, visita del Patriarca all’ospedale civile di Nadia De Lazzari Moraglia: valorizzare il patto tra paziente e operatori sanitari. Il dg Dal Ben ricorda la prossima ristrutturazione del Gaggia Venezia. La melodiosa voce del soprano Benedetta Botter e la musica dell’organista Attilio Zavarise hanno accompagnato la celebrazione eucaristica presieduta dal Patriarca Francesco Moraglia nella chiesa di San Lazzaro dei Mendicanti all’ospedale civile Santi Giovanni e Paolo. Ieri ricorreva la commemorazione della Madonna di Lourdes e la giornata mondiale del malato e in tanti hanno partecipato alla messa: primari, medici,

operatori sanitari, volontari delle associazioni Ail, Aido, Arciconfraternita della Misericordia, Avapo, Filo d’Argento, Suem. In prima fila il direttore generale dell’Asl veneziana, Giuseppe Dal Ben, con i suoi più stretti collaboratori Rita Finotto, Claudio Beltrame, Fabio Perina, Mario Po. Il Patriarca ha spiegato il senso della visita prettamente religiosa in una struttura sociale fondamentale: «La malattia entra nella vita di una persona e di una comunità. Il curare non deve isolare. È l’occasione di una preghiera con i malati che presentano le loro situazioni personali o familiari. L’età avanza quindi le istituzioni sanitarie sono chiamate a prendersi cura. Ho visto il patto di assistenza tra l’utente che è il cittadino malato e l’operatore sanitario. Si parla di diritti, di doveri e di una collaborazione. Il malato non è solo un soggetto passivo ma si cerca di riscoprirlo come soggetto attivo». Nell’omelia il presule ha detto: «Ringrazio tutti coloro che rendono questo luogo importante per la nostra città, un luogo che appartiene alla collettività. L’idea è quella di un’assistenza umanizzata. Il malato è molto di più della patologia, della cartella sanitaria». Il direttore Giuseppe Dal Ben ha ricordato la prossima ristrutturazione del padiglione oncologico Gaggia. «La sua presenza ci onora» ha detto rivolto al Patriarca «Questa giornata ci invita a fermarci e a riflettere sulla fragilità delle persone. Prima c’è l’accoglienza, l’ascolto poi la diagnosi e la terapia. Abbiamo fatto una scelta di vita, il nostro è un lavoro di servizio alla persona fragile». Il Patriarca accompagnato dallo staff dirigenziale e medico si è recato al capezzale dei malati nei reparti di geriatria e lungodegenza, medicina e oncologia. È entrato in ogni stanza dove ha salutato, pregato, sorriso, accarezzato veneziani e anche un turista scozzese. Tanti malati gli hanno chiesto una foto–ricordo dicendo: «Questa è una medicina efficace». Torna al sommario 2 – DIOCESI E PARROCCHIE IL GAZZETTINO DI VENEZIA Pag VII Torcello, festa di Santa Fosca di t.b. Torna un appuntamento diventato ormai - proprio in questo periodo dell’anno - una sentita tradizione devozionale nell’antica isola lagunare. Domenica 14 febbraio infatti, alle ore 10.30 a Torcello, in occasione della festa liturgica di Santa Fosca e di Santa Maura Martiri è in programma una santa messa solenne celebrata da monsignor Ettore Fornezza, delegato patriarcale di Torcello. Pag XX Giubileo del malato, 400 in preghiera di Roberta Pasqualetto Borbiago: lunga processione dal chiostro alla chiesa di Santa Maria Assunta Mira - Folla nella chiesa Santa Maria Assunta di Borbiago per il Giubileo del malato, in occasione della ventiquattresima Giornata mondiale del malato, organizzato dalle Unitalsi diocesana e interaziendale. Alle cinque del pomeriggio una schiera di circa 400 persone è partita in processione dal chiostro e ha raggiunto il capitello della Madonna per poi tornare alla chiesa e attraversare la Porta Santa. La processione si è tenuta nel massimo rispetto di tutti: gli ammalati, a capo del corteo, hanno poi preso posto in chiesa aiutati dai diversi volontari Unitalsi. In seguito i fedeli hanno affollato la chiesa e il santuario per assistere alla messa presieduta da monsignor Angelo Centenaro. Alla fine della cerimonia, una preghiera dei fedeli e un rinfresco in patronato aperto a tutti. «Gli ammalati sono arrivati da diversi luoghi della provincia di Venezia per assistere alla messa e passare attraverso la Porta santa - spiega Juccia Vianello di Unitalsi aziendale - con il rinfresco, alla fine della celebrazione, c'è stato un momento di incontro per tutti». Le due sottosezioni Unitalsi hanno lavorato insieme per organizzare il Giubileo del malato. «Credo che l'appuntamento sia stato un momento in cui ci siamo raccolti tutti intorno alla fragilità umana - commenta Roberto Maurizio, consigliere della sezione triveneta - è stata un'occasione per dedicarci all'ascolto e per metterci tutti in relazione. Voglio riportare le parole del maestro Ezio Bosso, malato di Sla e nei giorni scorsi, ospite a Sanremo, perché molto appropriate per questa giornata. Il pianista ha parlato della felicità e del fatto che non ci accorgiamo che ci circonda fino a quando non siamo

costretti a fermarci». Alla fine della celebrazione è stata consegnata ai fedeli una Madonnina proveniente da Lourdes per ricordare l’apparizione a Bernadette nel 1858. Pag XXIV Eraclea. Tornano le messe nella chiesa di San Isidoro: vincono i fedeli di D. Deb. Eraclea - Riapre la chiesa di San Isidoro a Eraclea. Le messe riprenderanno, officiate da don Luigi Trevisiol, domani alle 19, primo sabato di Quaresima. Dopo l'ordine di "chiudere" impartito dalla Curia veneziana i fedeli si erano organizzati, promuovendo una petizione con 700 firme per testimoniare il loro attaccamento alla chiesetta di via Murazzetta, e chiedendo un ripensamento. Una situazione che aveva creato qualche incomprensione, ora risolta con il benestare del parroco don Angelo Munaretto e della Curia. «Ho piacere che la chiesa venga utilizzata - precisa il parroco - Le messe potranno continuare finche ci sarà la disponibilità di don Luigi Trevisiol. Per non creare divisioni nella parrocchia ho fatto un appello ai parrocchiani perché, oltre che per le messe, la chiesetta venga valorizzata ed aperta anche in altre occasioni come la recita del rosario, veglie di preghiera, momenti di adorazione, novene, Via crucis e gruppi di ascolto. Anche lo scorso anno la chiesa non è mai stata trascurata come le altre comunità più piccole; nella chiesa dedicata a San Isidoro è stata celebrata l'apertura del mese di maggio con tutta la parrocchia». Contenti anche i fedeli che hanno visto accolte le loro richieste e che confidano nella presenza di don Trevisiol. Torna al sommario 3 – VITA DELLA CHIESA L’OSSERVATORE ROMANO Pag 8 Il tempo della potatura Nella messa delle Ceneri il Papa chiede di vincere ipocrisia, mondanità e indifferenza «La quaresima sia un tempo di benefica “potatura” della falsità, della mondanità, dell’indifferenza»: è la speranza espressa dal Papa durante la messa celebrata nel pomeriggio del 10 febbraio, mercoledì delle Ceneri, nella basilica vaticana, per il conferimento del mandato ai missionari della misericordia. La Parola di Dio, all’inizio del cammino quaresimale, rivolge alla Chiesa e a ciascuno di noi due inviti. Il primo è quello di san Paolo: «Lasciatevi riconciliare con Dio» (2Cor 5, 20). Non è semplicemente un buon consiglio paterno e nemmeno soltanto un suggerimento; è una vera e propria supplica a nome di Cristo: «Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio» (ibid.). Perché un appello così solenne e accorato? Perché Cristo sa quanto siamo fragili e peccatori, conosce la debolezza del nostro cuore; lo vede ferito dal male che abbiamo commesso e subìto; sa quanto bisogno abbiamo di perdono, sa che ci occorre sentirci amati per compiere il bene. Da soli non siamo in grado: per questo l’Apostolo non ci dice di fare qualcosa, ma di lasciarci riconciliare da Dio, di permettergli di perdonarci, con fiducia, perché «Dio è più grande del nostro cuore» (1Gv 3, 20). Egli vince il peccato e ci rialza dalle miserie, se gliele affidiamo. Sta a noi riconoscerci bisognosi di misericordia: è il primo passo del cammino cristiano; si tratta di entrare attraverso la porta aperta che è Cristo, dove ci aspetta Lui stesso, il Salvatore, e ci offre una vita nuova e gioiosa. Ci possono essere alcuni ostacoli, che chiudono le porte del cuore. C’è la tentazione di blindare le porte, ossia di convivere col proprio peccato, minimizzandolo, giustificandosi sempre, pensando di non essere peggiori degli altri; così, però, si chiudono le serrature dell’anima e si rimane chiusi dentro, prigionieri del male. Un altro ostacolo è la vergogna ad aprire la porta segreta del cuore. La vergogna, in realtà, è un buon sintomo, perché indica che vogliamo staccarci dal male; tuttavia non deve mai trasformarsi in timore o paura. E c’è una terza insidia, quella di allontanarci dalla porta: succede quando ci rintaniamo nelle nostre miserie, quando rimuginiamo continuamente, collegando fra loro le cose negative, fino a inabissarci nelle cantine più buie dell’anima. Allora diventiamo persino familiari della tristezza che non vogliamo, ci scoraggiamo e siamo più deboli di fronte

alle tentazioni. Questo avviene perché rimaniamo soli con noi stessi, chiudendoci e fuggendo dalla luce; mentre soltanto la grazia del Signore ci libera. Lasciamoci allora riconciliare, ascoltiamo Gesù che dice a chi è stanco e oppresso «venite a me» (Mt 11, 28). Non rimanere in sé stessi, ma andare da Lui! Lì ci sono ristoro e pace. In questa celebrazione sono presenti i Missionari della Misericordia, per ricevere il mandato di essere segni e strumenti del perdono di Dio. Cari fratelli, possiate aiutare ad aprire le porte dei cuori, a superare la vergogna, a non fuggire dalla luce. Che le vostre mani benedicano e risollevino i fratelli e le sorelle con paternità; che attraverso di voi lo sguardo e le mani del Padre si posino sui figli e ne curino le ferite! C’è un secondo invito di Dio, che dice, per mezzo del profeta Gioele: «Ritornate a me con tutto il cuore» (2, 12). Se bisogna ritornare è perché ci siamo allontanati. È il mistero del peccato: ci siamo allontanati da Dio, dagli altri, da noi stessi. Non è difficile rendersene conto: tutti vediamo come facciamo fatica ad avere veramente fiducia in Dio, ad affidarci a Lui come Padre, senza paura; come è arduo amare gli altri, anziché pensare male di loro; come ci costa fare il nostro vero bene, mentre siamo attirati e sedotti da tante realtà materiali, che svaniscono e alla fine ci lasciano poveri. Accanto a questa storia di peccato, Gesù ha inaugurato una storia di salvezza. Il Vangelo che apre la Quaresima ci invita a esserne protagonisti, abbracciando tre rimedi, tre medicine che guariscono dal peccato (cfr. Mt 6, 1-6.16-18). In primo luogo la preghiera, espressione di apertura e di fiducia nel Signore: è l’incontro personale con Lui, che accorcia le distanze create dal peccato. Pregare significa dire: “Non sono autosufficiente, ho bisogno di Te, Tu sei la mia vita e la mia salvezza”. In secondo luogo la carità, per superare l’estraneità nei confronti degli altri. L’amore vero, infatti, non è un atto esteriore, non è dare qualcosa in modo paternalistico per acquietarsi la coscienza, ma accettare chi ha bisogno del nostro tempo, della nostra amicizia, del nostro aiuto. È vivere il servizio, vincendo la tentazione di soddisfarci. In terzo luogo il digiuno, la penitenza, per liberarci dalle dipendenze nei confronti di quello che passa e allenarci a essere più sensibili e misericordiosi. È un invito alla semplicità e alla condivisione: togliere qualcosa dalla nostra tavola e dai nostri beni per ritrovare il bene vero della libertà. «Ritornate a me - dice il Signore - ritornate con tutto il cuore»: non solo con qualche atto esterno, ma dal profondo di noi stessi. Infatti Gesù ci chiama a vivere la preghiera, la carità e la penitenza con coerenza e autenticità, vincendo l’ipocrisia. La Quaresima sia un tempo di benefica “potatura” della falsità, della mondanità, dell’indifferenza: per non pensare che tutto va bene se io sto bene; per capire che quello che conta non è l’approvazione, la ricerca del successo o del consenso, ma la pulizia del cuore e della vita; per ritrovare identità cristiana, cioè l’amore che serve, non l’egoismo che si serve. Mettiamoci in cammino insieme, come Chiesa, ricevendo le Ceneri - anche noi diventeremo cenere - e tenendo fisso lo sguardo sul Crocifisso. Egli, amandoci, ci invita a lasciarci riconciliare con Dio e a ritornare a Lui, per ritrovare noi stessi. AVVENIRE Pag 3 L’ “ecumenismo del sangue” fa dei cristiani una cosa sola di Stefania Falasca Cattolici e ortodossi, un colpo d’ala nel segno dei martiri Crossroads in un incrocio rivelatore. Quello che conta soprattutto è trovarsi. Parlarsi vis-a-vis. E andare avanti. Amicizia trasparente e servizio comune. È la scommessa della nuova pagina nei rapporti tra la Chiesa ortodossa russa e la Chiesa cattolica che si apre oggi nella sala d’attesa di un aeroporto sotto il sole dei tropici. È la fine della diffidenza e il colpo d’ala a ciò che da qui in futuro potrà scaturire nel segno della fraternità e dell’«ecumenismo del sangue», dove «l’unità è superiore al conflitto» e la questione delle sofferenze dei cristiani, della pace e della riconciliazione appaiono in primo piano in questo storico incontro tra il patriarca russo Kirill e papa Francesco a Cuba. Per il metropolita Hilarion è stata proprio l’emergenza della difficile situazione dei cristiani creatasi oggi in Medio Oriente, in Africa settentrionale e centrale e in altre regioni del mondo, a dettare l’agenda. Da qui l’urgenza di una più stretta interazione tra le Chiese cristiane e quindi la decisione di realizzare a stretto giro un incontro da siglare con una congiunta dichiarazione, mettendo da parte antichi disaccordi, ostacoli di natura ecclesiale. Il concilio dei vescovi della Chiesa ortodossa russa, conclusosi a Mosca il 3

febbraio, aveva del resto esortato a fare del 2016 un anno di particolare impiego in questa direzione. Ma l’incontro non può essere rinchiuso e snaturato nelle posture strategiche di alta politica ecclesiastica. Né è da considerarsi un prodromico serramento di fila per stabilire ipotetiche 'sante alleanze' in sinergia con l’agenda mediorentale di Putin. Spinte dalle urgenze e dalle complesse sfide del mondo globale, dall’emergenza della pace e della rispettosa convivenza religiosa e civile le Chiese entrano oggi, con questo incontro non formale, in una stagione di sostanziale riavvicinamento. E se la stretta da parte di Kirill accettata da Francesco appare nell’attuale contesto coraggiosa, considerata la difficoltà rappresentata dai recenti sviluppi in Ucraina e il relativo problema dell’uniatismo (principale nodo nelle relazioni tra le due Chiese e ostacolo alla realizzazione dell’incontro dei loro Primati), tanto più appare significativa se si considerano il lungo tempo di gestazione e il luogo odierno di realizzazione nell’'isola ponte'. Se è vero infatti che già negli anni 1996-1997 si sono tenuti intensi negoziati, poi svaniti, sulla organizzazione di un incontro del patriarca Alessio II con Giovanni Paolo II in Austria, è anche vero che da parte ortodossa non si voleva che l’incontro si svolgesse in Europa, dal momento che all’Europa è legata la pesante storia delle divisioni e dei conflitti tra cristiani. «Un mondo nuovo per una nuova stagione di rapporti» ha dichiarato il russo Hilarion. Superato così da parte del patriarcato di Mosca il timore del 'proselitismo' cattolico in Russia e archiviato anche il timore di quello che chiamano 'il metodo dell’uniatismo', in particolare in Ucraina, le auspicate condizioni necessarie le ha date papa Francesco: non mettendo condizioni. Facendo sapere al patriarca Kyrill: «Io vengo. Tu mi chiami e io vengo, dove vuoi, quando vuoi», come dichiarava già il 24 novembre 2014 ai giornalisti durante il volo che lo riportava a Roma da Istanbul. E proprio da qui si legge la prospettiva di questo incontro da parte di Papa Francesco. Egli ha aderito alle proposte che arrivavano da Mosca anche riguardo al luogo e alla modalità dell’incontro, come anche ai contenuti della dichiarazione comune che sarà sottoscritta dai due. Ma soprattutto egli ha aderito alla volontà dello Spirito di ristabilire quella comunione fraterna che è il grande segno che caratterizza i discepoli di Cristo. Papa Francesco ha ripetuto in più occasioni con parole inequivocabili quali sono le attese che lo animano rispetto ai fratelli delle Chiese ortodosse. Il 30 novembre 2014, in Turchia al Patriarca ecumenico Bartolomeo, disse che per giungere alla piena unità con i cristiani ortodossi la Chiesa cattolica «non intende imporre alcuna esigenza, se non quella della professione della fede comune». Nel messaggio inviato al Patriarca ecumenico per la festa patronale di Sant’Andrea, il Papa ha ripetuto che tra cattolici e ortodossi «non vi è più nessun ostacolo alla comunione eucaristica che non possa essere superato attraverso la preghiera, la purificazione dei cuori, il dialogo e l’affermazione della verità». In una visione incentrata soprattutto sulla realtà dell’«ecumenismo in cammino», sono parole e incontri all’insegna del coraggio e della speranza, della pazienza e del sentire comune, che hanno fin qui segnato l’iter di Francesco con le diverse Chiese dei battezzati in Cristo. Mostrando come egli aveva annunciato e promesso all’inizio del suo pontificato, che l’impegno ecumenico fa parte delle priorità del suo ministero e come questo cammino trova sviluppo seguendo il Concilio Vaticano II. Con il quale l’ecumenismo, movimento irreversibile della Chiesa, ha smesso di essere mera diplomazia, strategia o adempimento forzato per trasformarsi, nell’orizzonte ecclesiale, in cammino essenziale, obbligo di ogni cristiano e «via imprescindibile dell’evangelizzazione». Nel multiforme mondo contemporaneo, cattolici e ortodossi sono chiamati a collaborare fraternamente nell’annuncio della Buona Novella della salvezza «perché il mondo creda». E, quindi, insieme con la missione universale, sua gemella, è il cantiere futuro della Chiesa. Quello che si svolge dunque oggi a Cuba è un incontro di concordia non in opposizione a nemici esterni, ma frutto di «una comune conversione al Signore della pace e dell’unità», secondo quanto afferma l’Unitatis redintegratio, al numero 8. Da cui scaturisce l’ecumenismo spirituale e quella sua forma particolare chiamata da Papa Francesco «ecumenismo del sangue». Con tale definizione, egli si riferisce alla tragica realtà presentataci dal mondo odierno, in cui moltissimi cristiani sono vittima di massicce persecuzioni e le comunità cristiane sono diventate Chiese di martiri. Il martirio è ecumenico. Nell’«ecumenismo del sangue» Papa Francesco vede il fulcro centrale di ogni sforzo ecumenico teso alla ricomposizione dell’unità della Chiesa. Poiché la sofferenza di tanti cristiani, siano essi cattolici, ortodossi o protestanti, costituisce un’esperienza comune più forte delle differenze che ancora dividono le Chiese cristiane. Il martirio

comune dei cristiani è oggi «il segno più convincente» dell’ecumenismo come ha affermato nel discorso al Global Christian Forum, il 1 novembre 2015 riprendendo Giovanni Paolo II. E come la Chiesa primitiva era convinta che il sangue dei martiri fosse seme di nuovi cristiani, così il sangue dei martiri del nostro tempo si rivela seme di piena unità ecumenica del Corpo di Cristo. Perché nel sangue dei martiri siamo già una cosa sola. Pag 5 “Perché lo storico colloquio? Per i cristiani perseguitati” di Giacomo Gambassi Padre Ioann: dietro il disgelo il dramma dimenticato Il dramma dei cristiani perseguitati nel mondo è stato come un’enorme piccozza che ha abbattuto uno dei muri che da mille anni separano la “prima Roma” dalla “terza Roma”, vale a dire la Chiesa cattolica da quella ortodossa russa. «Di fronte a un contesto effettivamente nuovo, segnato dalle uccisioni e dalle vessazioni dei discepoli dell’unico Cristo, si è deciso di lasciare da parte i problemi non ancora risolti. E, sulla base di questa comune visione, è giunto l’assenso da parte del patriarcato di Mosca all’incontro fra papa Francesco e il patriarca di Mosca e di tutta la Russia, Kirill». Padre Ioann, al secolo Giovanni Guaita, racconta dalla capitale russa le ultime tappe che hanno portato allo storico colloquio di oggi fra i due “primati” a Cuba. Fino a pochi mesi fa, il monaco ortodosso russo – ma d’origine italiana – ha collaborato con il Dipartimento per le relazioni esterne del patriarcato di Mosca che di fatto ha preparato l’evento in terra latinamericana. Dipartimento che era diretto da Kirill prima di essere eletto patriarca. «A Cuba – anticipa padre Ioann – l’ordine del giorno avrà al centro soprattutto il tema delle persecuzioni dei cristiani». L’incontro, che si terrà nell’aeroporto “José Marti” di L’Avana alle 14.15 (le 20.15 in Italia) e si concluderà con la firma di una dichiarazione congiunta, arriva a poche settimane dall’inizio del terzo anno di pontificato di Bergoglio e al settimo di guida pastorale di Kirill. «Da tempo – ricorda l’esperto – Roma aveva inviato a Mosca la sua richiesta per un appuntamento di questo tipo. Fin dagli anni Novanta si stava lavorando a una sua concretizzazione. E almeno due volte si era arrivati a un passo dal fissarne la data. Ma fattori contingenti non avevano permesso che il proposito si realizzasse. Anche perché al patriarcato sembrava che ancora permanessero ostacoli che rendevano impossibile l’evento». Uno degli incontri “sfumati” risale al 1997 quando nella città austriaca di Graz, durante la seconda Assemblea ecumenica europea, era stato ventilato l’arrivo di Giovanni Paolo II per incontrare l’allora patriarca di Mosca, Alessio II. «Tuttavia, in quegli anni, i rapporti fra le due Chiese erano ben più convulsi – sottolinea il monaco – e non avevamo davanti una situazione così grave per il mondo cristiano come quella attuale che vede l’impeto di un islam aggressivo o piuttosto del terrorismo che si dichiara islamico. Oggi le relazioni sono decisamente migliorate e la tragedia delle persecuzioni non ci può lasciare indifferenti. Anzi, esige un impegno comune oltre le diversità». Le violenze che subiscono i cristiani interrogano i russi. «C’è viva preoccupazione – afferma padre Ioann –. Anche l’intervento militare della Federazione russa contro il Daesh in Siria ha dietro motivazioni legate a questa dimensione ed è presentato dal governo come una reazione al genocidio dei cristiani». Eppure una minoranza conservatrice dell’ortodossia russa fa fatica ad accettare l’“abbraccio” fra Francesco e Kirill. «Comunque si tratta di una frangia ridotta – avverte il monaco – mentre la maggioranza dei fedeli attende tutto ciò con benevolenza e fiducia. Anche la società laica russa non ha preclusioni. Mosca attraversa una fase di isolamento politico: così l’incontro di Cuba può essere un segnale di distensione ed è gradito al Cremlino». Papa Francesco si troverà davanti il patriarca della più numerosa Chiesa d’Oriente che conta 150 milioni di credenti e rappresenta i due terzi del “pianeta” ortodosso. «Kirill – racconta padre Ioann – è un uomo deciso, energico e aperto. È discepolo del metropolita Nikodim che nel settembre 1978 morì in Vaticano fra le braccia di Giovanni Paolo I durante un’udienza. Nikodim era conosciuto per essere una persona del dialogo, in particolare con la Chiesa cattolica. E Kirill è il suo più caro figlio spirituale. Quindi, per il nostro patriarca, il colloquio con il Papa sarà anche un’occasione per tornare agli insegnamenti del suo maestro». Negli ultimi anni le tensioni fra le due Chiese si sono smorzate. «Il patriarcato di Mosca – nota l’esperto – ha sempre evidenziato due ordini di problemi con Roma: quello dei greco-cattolici in Ucraina e quello del proselitismo.

Questo secondo impedimento è ormai superato: oggi la presenza cattolica in Russia non solleva alcuna preoccupazione, a differenza di quanto succedeva negli anni Novanta quando veniva osservato uno zelo talvolta eccessivo. Invece la questione dei grecocattolici è diventata più complessa e si registrano nuove ragioni di frizione». Nel colloquio a Cuba non entreranno le divergenze dottrinali. «Il patriarca sa bene che i nodi teologici rimangono, ma è altrettanto convinto che non possano essere discussi in un aeroporto. La sede opportuna è la Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse dove il lavoro prosegue fra accelerazioni e frenate. Certo, accanto al confronto teologico, è fondamentale il dialogo della carità e della fraternità che impegni i vertici delle Chiese. Papa Francesco, nel volo di ritorno da Istanbul nel 2014, aveva chiarito che serve andare avanti insieme e non si può attendere di dirimere tutte le controversie teologiche. Questa è anche la posizione del patriarcato. Più i rapporti personali si intensificano, più i problemi si risolvono rapidamente». Il disgelo avrà anche un riverbero sul Concilio panortodosso in programma a Creta il prossimo giugno. «Nelle note per l’incontro fra Francesco e Kirill non è mai menzionato il Concilio ma non è escluso un cenno durante il faccia a faccia. Del resto – conclude padre Ioann – non ho nessun dubbio che ci sia un riflesso positivo sul Concilio. Nel momento in cui a Creta si parlerà del rapporto fra l’ortodossia e le altre Chiese, come quella cattolica, sia Kirill, sia il patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo I, che ha un ottimo rapporto con il Papa, sia altri patriarchi potranno portare la loro testimonianza sul proficuo dialogo che è già in essere con il vescovo di Roma». CORRIERE DELLA SERA Pag 25 Kirill e Francesco a Cuba, perché il futuro passa da lì di Luigi Accattoli Kirill e Francesco oggi a Cuba: le guide di due Chiese mondiali, le due più grandi, che si incontrano fuori dall’Europa per superare le discordie che nel vecchio continente le ha fatte nemiche nei secoli. La scelta di Cuba per questo appuntamento inedito nella storia ha più ragioni che vanno lette insieme per intenderne la proiezione in avanti. C’è una prima ragione d’immagine: la stessa che nel 1964 comportò che Atenagora e Paolo VI si incontrassero a Gerusalemme. Era il primo abbraccio tra un Papa e un Patriarca di Costantinopoli e l’ubiqua ipersensibilità del mondo ecclesiastico impediva che l’uno andasse a casa dell’altro. Poi Atenagora venne a Roma e Paolo VI andò a Istanbul, ma per il primo incontro fu necessario un campo neutro. Vagliate negli anni varie proposte - Cipro, Ginevra, Vienna - le due diplomazie sono arrivate a Cuba per una ragione occasionale e una di sostanza. Quella occasionale è nella coincidenza temporale delle trasferte dei due «patriarchi» in programma da tempo: Kirill in visita alle comunità latino-americane dell’Ortodossia Russa e Francesco in visita al Messico. La ragione di sostanza è nascosta dietro a quella occasionale ed è stata chiarita dal metropolita Hilarion, negoziatore di Kirill: era desiderio dei russi che l’incontro non si tenesse in Europa, cioè nel continente della divisione delle Chiese, mentre l’appuntamento dovrebbe tendere al superamento della rottura. Resta da dire che l’Ortodossia Russa è una Chiesa mondiale, presente - a motivo dell’emigrazione russa precedente e seguente il comunismo - nel Nord e nel Sud America, nell’Europa Occidentale, nell’Asia Centrale e in Siberia, in Giappone, in Australia e in Nuova Zelanda. Kirill che rappresenta una tale dislocazione planetaria e il Papa venuto dall’Argentina non hanno trovato difficoltà a scegliere Cuba come postazione dalla quale guardare al futuro. WWW.VATICANINSIDER.LASTAMPA.IT La scommessa russa di Papa Francesco di Gianni Valente La preparazione dell’incontro tra il Vescovo di Roma e il Patriarca Kirill è disseminata di segnali eloquenti. Fuori dagli stereotipi sulle presunte «Sante Alleanze» che snaturano l’evento, riducendolo a una mera questione di “alta strategia” ecclesiastica Niente chiese, monasteri, palazzi apostolici, curie patriarcali. Papa Francesco e il Patriarca russo Kirill si incontreranno nelle sale d’attesa di un aeroporto. «Ma l’aeroporto» ha fatto notare Alexander Shchipkov, uno dei collaboratori stretti di Kirill «è un crocevia simbolico. E quando le persone si incontrano ai crocevia, i loro incontri sono brevi, ma sinceri e profondi». Lì, di solito, ci si parla «con franchezza» delle cose «che

sono più importanti». L’unità dei cristiani – e non solo quella – trova un crocevia inedito e carico di futuro nel breve incontro cubano tra il Vescovo di Roma e il Patriarca di Mosca. Ma già la preparazione e i giorni della vigilia si mostrano disseminati di segnali e implicazioni più che eloquenti. Smascherando le fuorvianti congetture che si accaniscono a spacciare l’evento come una mera questione di «alta politica» ecclesiastica. Senza condizioni - Pur di abbracciare Kirill, Papa Francesco non ha posto alcuna pre-condizione. «Gli ho detto (a Kirill, ndr): io vengo dove tu vuoi. Tu mi chiami e io vengo». Così raccontò lo stesso Pontefice sul volo che lo riportava da Istanbul a Roma, il 30 novembre 2014. Papa Francesco ha aderito alle proposte che arrivavano da Mosca anche riguardo al luogo e alla modalità dell’incontro, come pure ai contenuti della dichiarazione comune che sarà sottoscritta dai due. In quel testo, a giudicare dagli accenni fatti trapelare anche dal domenicano Hyacinthe Destivelle, del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani, si ritrovano temi e accenti su cui si concentrano da tempo gli interventi pubblici e «politici» di esponenti autorevoli del Patriarcato di Mosca: allarme per la secolarizzazione e la deriva etica della modernità, difesa della vita, della famiglia e del matrimonio eterosessuale, denuncia delle persecuzioni dei cristiani in Medio Oriente. Negli ultimi anni, i portavoce ufficiali dell’Ortodossia russa hanno accentuato le condanne della «decadenza morale» occidentale, da loro identificata con fenomeni come la legalizzazione delle convivenze omosessuali, e hanno proposto le battaglie etiche come terreno privilegiato della “alleanza” con la Chiesa cattolica. Nel contempo, i martellanti richiami dei leader ortodossi russi alla difesa dei cristiani dei Paesi arabi si sono mossi in perfetta sinergia con l’agenda mediorientale di Putin, intento a rivendicare il ruolo - di foggia neo-zarista – di protettore dei cristiani d’Oriente. La Sede Apostolica di Roma, di suo, non cavalca toni da crociata anti-moderna venati di omofobia che pure si trovano in alcuni interventi dei leader russi. E riguardo al Medio Oriente, lo sguardo realista della Santa Sede sul conflitto siriano ha certo sabotato nei fatti il «cordone sanitario» che alcuni circoli occidentali volevano stendere intorno alla Russia di Putin. Ma nella costante predicazione di Papa Francesco intorno al martirio dei cristiani mediorientali non si trova traccia del linguaggio da «Guerra Santa» utilizzato da esponenti del Patriarcato di Mosca per benedire le bombe russe contro il «Male» jihadista. La dichiarazione congiunta rimarrà come attestato documentario dell’incontro di Cuba, ma non conviene sopravvalutarla come chiave interpretativa di tale evento. Papa Francesco ha aderito senza esitazioni alla prospettiva di sottoscrivere un testo predisposto secondo la sensibilità di Mosca, pur di facilitare l’abbraccio con il Patriarca Kirill. A lui interessa l’incontro, e quello che dall’incontro potrà nascere. Il resto – il Paese scelto per il rendez vous, la «location» anomala, la dichiarazione congiunta – è secondario. La “bussola” della piena unità - Il Vescovo di Roma ha detto in più occasioni con parole inequivocabili quali attese lo animano rispetto ai fratelli delle Chiese ortodosse. Il 30 novembre 2014, parlando al Fanar davanti al Patriarca ecumenico Bartolomeo, Papa Francesco disse che per giungere alla piena unità coi cristiani ortodossi la Chiesa cattolica «non intende imporre alcuna esigenza, se non quella della professione della fede comune». Anche lo scorso anno, nel messaggio inviato al Patriarca ecumenico per la festa patronale di Sant’Andrea, il Papa ha ripetuto che tra cattolici e ortodossi «non vi è più nessun ostacolo alla comunione eucaristica che non possa essere superato attraverso la preghiera, la purificazione dei cuori, il dialogo e l’affermazione della verità». La piena unità sacramentale, e non soltanto la ratifica di «sante alleanze» contro nemici comuni, rappresenta l’orizzonte verso cui i cristiani sono chiamati a muoversi. E solo camminando insieme – così crede Papa Francesco – cadranno le ostilità e gli equivoci, e ci si accorgerà prima o poi di essere già uniti. «L’unità – ha detto il Vescovo di Roma il 25 gennaio 2014 - non verrà come un miracolo alla fine: l’unità viene nel cammino, la fa lo Spirito Santo nel cammino… Essa si fa in questo cammino, in ogni passo, e non la facciamo noi: la fa lo Spirito Santo, che vede la nostra buona volontà». L’Ut unum sint messa in pratica - Di suo, per facilitare il cammino, Papa Francesco realizza nei fatti compiuti la «forma di esercizio del primato» aperta «a una situazione nuova» che era stata evocata nell’enciclica wojtyliana Ut unum sint come svolta ecumenica richiesta nel tempo presente, dopo il Concilio Vaticano II. L’attuale Successore di Pietro non impone proprie «linee» di pensiero, lascia cadere ogni pre-condizione teologica e ogni rivendicazione di preminenza giurisdizionale nei confronti dei Primati delle Chiese d’Oriente. Appaiono archiviati anche i tatticismi preoccupati di

«gestire» le differenze e le rivalità tra le diverse articolazioni dell’Ortodossia. La Chiesa di Roma ha rinunciato per sempre a ogni immaginaria «politica dei due forni» da applicare al dualismo cronico tra il Patriarcato di Mosca e la «Chiesa madre» di Costantinopoli: Papa Francesco ha avuto la premura di avvertire per lettera il «Fratello Bartolomeo» dell’incontro che avrà con il «fratello Kirill», quando mancavano ancora dei giorni all’annuncio ufficiale. La stessa premura viene riservata dal Vescovo di Roma a tutti i capi delle Chiese d’Oriente, a prescindere dal loro «peso» politico, seguendo i criteri di quella ecclesiologia «sinodale» che il Pontefice argentino vuole favorire anche in seno alla Chiesa cattolica. Per Papa Bergoglio, la rete crescente di amicizie con i capi delle altre Chiese non si misura con il righello dei rapporti di forza: anche l’incrocio con Kirill non sarà tanto un appuntamento con il leader dell’entità «più grossa» dell’Ortodossia, quanto l’abbraccio con il capo di una Chiesa di santi e di martiri, che ha custodito la fede nei decenni dell’ateismo forzato, donando a tutta la cristianità tesori di fede e di spiritualità inestimabili. E che ora, pur tra ambiguità e ombre, vede un’innegabile rifioritura, che non può non rallegrare il Vescovo di Roma e tutti gli altri cristiani. Il tempo e lo spazio dell’unità - Papa Francesco abbraccia i fratelli ortodossi così come sono: coi loro limiti, le loro ricchezze, le loro conflittualità e inclinazioni non sempre collimanti. Non ha una sua «linea» da imporre. Sa bene che l’unità non arriverà come effetto di negoziati dottrinali, ma incoraggia ugualmente il dialogo teologico tanto caro a Ioannis Zizioulas, il Metropolita del Patriarcato ecumenico non troppo amato dai russi, che Francesco definisce «il più grande teologo cristiano vivente». Allo stesso modo, sa bene che l’unità tra cristiani non può ridursi a una «alleanza» neorigorista contro la modernità. Ma asseconda tutto quello che è condivisibile nelle denunce dei leader ortodossi russi, preoccupati delle derive della secolarizzazione. Per Bergoglio, l’unità coi fratelli in Cristo non è omologazione, ma «diversità riconciliata», compiuta dallo Spirito Santo, da scoprire lungo il cammino. A questo serve anche l’incontro di Cuba, fuori dalle logiche auto-appaganti dei «mega-eventi» celebrativi: per lui, l’importante era incontrare Kirill, per camminare insieme guardando al futuro. Tutto il resto è secondario: le modalità dell’incontro, il cerimoniale, le frasi di circostanza, e anche il luogo. Un aeroporto cubano va bene come qualsiasi altro posto. Perché vale anche per l’unità dei cristiani il principio bergogliano che il tempo è superiore allo spazio. E che l’importante è «avviare processi, più che occupare spazi». WWW.CHIESA.ESPRESSONLINE.IT Sull'abbraccio tra Francesco e Kirill c'è l'ombra di Putin di Sandro Magister Per incontrare il patriarca di Mosca, il papa ha dato appoggio alla politica della Russia in Ucraina e in Medio Oriente, deludendo le attese dei cristiani di quelle regioni. Come già aveva fatto a Cuba L'incontro con il patriarca russo Kirill all'aeroporto dell'Avana è fotografia perfetta della geopolitica di papa Francesco. Lui gli ostacoli li aggira, non li affronta. Dà priorità e urgenza al contatto tra persona e persona, come in un ospedale da campo, dove nessuno aspetta che prima finisca la guerra. In Ucraina, in Medio Oriente, di guerra ce n'è davvero, e con la Russia come primo attore. Ma per Francesco l'abbraccio con il patriarca di Mosca vale di più, come segno di pace, che dar retta alle popolazioni cattoliche di quelle regioni. Il caso dell'Ucraina è esemplare. Lì la Chiesa ortodossa russa ha la sua terra natale, ma anche si sente assediata dai milioni di fedeli di rito orientale passati sotto l'obbedienza di Roma, gli "uniati", come spregiativamente li chiama. Mentre viceversa i cattolici di rito bizantino vedono oggi nella Russia ortodossa il loro nemico e invasore. Ebbene, Francesco ha sempre fatto di tutto per non urtare il patriarcato di Mosca e la politica imperiale di Vladimir Putin, anche a costo di seminare fortissima delusione tra i vescovi, il clero e i fedeli della Chiesa cattolica della regione. Ha definito "guerra fratricida", alla pari, un conflitto che per i cattolici ucraini è pura aggressione da parte della Russia. E ha aderito di slancio alla proposta di Kirill di un incontro né in Oriente né in Occidente ma a Cuba, definita terra "neutrale". Dove in realtà di neutrale e di libero non c'è nulla. Dove la popolazione carceraria, tra cui abbondano i prigionieri politici, "è tra le dieci più numerose al mondo", secondo le ultime stime del vescovo di Pinar del Rio, che l'ha in cura. Da dove a migliaia continuano a

fuggire, risalendo il Centramerica verso gli Stati Uniti, salvo trovarsi bloccati sulla frontiera del filocastrista Nicaragua. Quando lo scorso settembre papa Jorge Mario Bergoglio si recò a Cuba, non vi compì uno solo dei tanti gesti di "misericordia" che semina ovunque. Non una parola per le migliaia di fuggiaschi inghiottiti dal mare. Nessuna richiesta di scarcerazione per i prigionieri politici. Nessuna carezza per le loro madri, spose, sorelle, arrestate a decine in quegli stessi giorni. Oggi sappiamo che l'incontro con Kirill a Cuba era già allora sull'agenda di entrambi, oltre che su quella di Raúl Castro e dello stesso Putin. Nella dichiarazione congiunta sottoscritta da Francesco e Kirill all'aeroporto dell'Avana ogni contesa teologica è accantonata, mentre in primo piano c'è la comune sofferenza per le vittime cristiane, sia ortodosse che cattoliche, in Siria e in tutto il Medio Oriente. Anche qui la geopolitica di Francesco brilla più di passione che di calcolo razionale. Fece colpo la giornata di preghiera e digiuno indetta dal papa nel settembre del 2013 per scongiurare ogni intervento armato occidentale in Siria. Putin esultò per la rinuncia di Barack Obama ad abbattere il regime sciita di Damasco e anche le Chiese cristiane di Siria respirarono di sollievo, avendo nel despota Assad il loro interessato protettore. Ma quando poi si espanse lo Stato islamico con la sua scia di eccidi e i vescovi dell'Iraq e del Kurdistan invocarono dall'Occidente un intervento militare su terra, Francesco non diede loro ascolto. Oggi la posizione della Santa Sede sullo scacchiere mediorientale non è neutrale ma decisamente schierata. E tanto più lo è da quando Putin, trascurando di colpire lo Stato islamico, ha rafforzato il suo ruolo guida del fronte sciita pro Assad, in quella che ampi settori della Chiesa ortodossa russa chiamano "guerra santa". Effettivamente, la diplomazia vaticana lega molto più con l'asse sciita che ha il suo epicentro in Iran, specie dopo l'accordo sul nucleare, che con il mondo sunnita, il cui maggiore centro guida, l'università di al-Azhar del Cairo, da cinque anni ha rotto i rapporti con Roma. Le bombe russe su Aleppo accerchiata dalle truppe sciite iraniane, libanesi e di Assad, con la fuga disperata dei civili sunniti, sono benedette dal patriarcato di Mosca, così caro al vescovo di Roma. Torna al sommario 5 – FAMIGLIA, SCUOLA, SOCIETÀ, ECONOMIA E LAVORO CORRIERE DELLA SERA Pag 25 L’identità politica dei giovani, a metà tra l’io e il noi di Mauro Magatti Nella corsa alle presidenziali degli Stati Uniti, il candidato «socialista» Sanders sta inaspettatamente mettendo a rischio la nomination di Hillary Clinton. Con un accento molto forte sui temi della giustizia sociale e uno stile decisamente antitelevisivo - basato su un tratto bonario e quasi paterno, il contrario dell’«uomo che non deve chiedere mai» - Sanders sta riscuotendo un successo inaspettato. Nel suo ultimo confronto con Clinton è uscito a testa alta, riuscendo a comunicare il senso di essere una persona lontana dall’ establishment (e da Wall Street) e proprio per questo degna di fiducia. La cosa più interessante però è il profilo demografico degli elettori di Sanders: nel piccolo Iowa, l’84 % degli elettori democratici con meno di 30 anni ha votato Sanders, mentre tra gli ultra sessantenni la percentuale scende a meno del 30%. Qualcosa di molto simile sta accadendo anche in Inghilterra, dove Jeremy Corbyn, anch’egli apparentemente piuttosto démodé, da qualche mese ha preso la guida del partito laburista a partire da una piattaforma politico-economica che mette definitivamente alle spalle la «terza via» di Tony Blair. Secondo i critici, Corbyn è un vecchio laburista, di quelli che hanno sempre fatto perdere le elezioni. E ci sono buone ragioni per pensare che ciò sia assai probabile. Eppure, la cosa curiosa è che Corbyn è appoggiato soprattutto dai giovani (secondo un ultimo sondaggio, nella fascia di età tra 18-24 anni il 61 % pensa che stia facendo bene), mentre chi è più avanti negli anni rimane freddo (tra gli ultra sessantenni l’approvazione crolla al 16%). Naturalmente, queste indicazioni non devono essere sopravvalutate. Stiamo parlando di sondaggi e di candidati che sono ancora molto lontani da un vero test elettorale. E tuttavia, gli orientamenti giovanili, che spesso segnalano tendenze che poi si diffondono in tutta la società, non possono non sorprendere. Tanto più che stiamo parlando dei Paesi anglosassoni, che rimangono i battistrada del mondo occidentale. Il fatto è che sono ormai tante le ricerche che

concordemente rilevano un significativo riorientamento in atto nel mondo giovanile. Probabilmente come risposta agli anni difficili che hanno segnato la loro giovinezza, i cosiddetti Millennials (nati tra il 1980 e il 2000) appaiono eticamente più sensibili, meno cinici e strumentali rispetto alle generazioni precedenti. Un po’ in tutti i Paesi occidentali (e anche in Italia), questa nuova generazione è alla ricerca di un nuovo equilibrio tra le proprie aspirazioni personali e lo sviluppo della comunità, tra la crescita economica e il rispetto dell’ambiente, tra l’identità storica e culturale di un popolo e la necessità di aprirsi al mondo, compresa anche l’ospitalità per i rifugiati. Nella convinzione, più in generale, che l’etica costituisca una dimensione irrinunciabile per raggiungere una prosperità che è vista come individuale e insieme collettiva. I prossimi anni ci diranno se queste nuove tendenze culturali riusciranno a rafforzarsi, aprendo la via per una agenda politica ed economica. Ipotesi tutta da dimostrare, tanto più che il profilo demografico delle nostre società è oggi sbilanciato sulle classi di età più avanzate, come sempre conservatrici rispetto alla loro esperienza, tutta centrata sull’individualismo di matrice neoliberista. Rimane il fatto che, come accaduto già altre volte nella storia, lunghezza e profondità della crisi hanno già rimodellato gli orientamenti culturali dei giovani. Nella oscillazione tipica della vita sociale tra il polo privato dell’Io e il polo pubblico del Noi, le nuove generazioni si pongono alla ricerca di un equilibrio nuovo, capace di trovare un punto di mediazione più avanzato rispetto a quello che noi siamo stati capaci di fare. Dopo tanti anni di slegamento, i giovani - non a caso cresciuti con il web e i social network anziché con la Tv - sono i primi a rendersi conto che c’è bisogno di nuove legature. Dove espressione di sé e condivisione non sono altro che le due facce della stessa medaglia. Quale nuova offerta politica, quale nuova forma di organizzazione economica, saranno in grado di rispondere a questa nuova domanda culturale rimane ancora da capire. Tanto più che la questione, come si vede bene nel panorama politico contemporaneo, interpella tanto la destra quanto la sinistra. Può essere che, al di là dei loro destini elettorali, Sanders e Corbyn stiano davvero aprendo una nuova stagione politica. Ma può darsi che si tratti solo di primi esploratori. E che tocchi ad altri trovare quelle nuove soluzioni che tutti, a partire dai giovani, stiamo cercando. IL FOGLIO Pag 2 Per insegnanti e Tar la scuola è laica solo quando fa comodo a loro di Camillo Langone Benedizione pasquale no, vacanze di Pasqua sì. E perché? La scuola è laica" dicono gli insegnanti anzi le insegnanti (la portavoce si chiama Monica Fontanelli) che hanno mosso mari e monti, istigato comitati e scomodato tribunali affinché agli scolari bolognesi non venisse impartita la benedizione pasquale. Gli insegnanti anzi le insegnanti l'italiano lo conoscono così così. Laici sono i cattolici non appartenenti alla gerarchia ecclesiastica ossia i semplici fedeli. A rigor di etimo una scuola laica è una scuola senza sacerdoti ma piena di cristiani praticanti, magari anche di frati (un frate non ordinato si dice frate laico e per molti anni fu il caso addirittura di san Francesco, che infatti non celebrava messa). Poi naturalmente corre l'accezione parassitaria di laico come sinonimo di ateo, utilissima per chi non ha il coraggio del proprio nichilismo e dell' alfa privativa. Ateo si capisce troppo bene che significa senza Dio, meglio confondere le acque rubacchiando nel vocabolario altrui. "A scuola si insegna a vivere insieme, si fa cultura. Le pratiche religiose restano fuori", dicono sempre gli insegnanti anzi le insegnanti anzi Monica Fontanelli. Sono portato ad amare questa maestra che da ragazza come tutte le ragazze bolognesi avrà amato le canzoni di Luca Carboni o di Lucio Dalla o forse, andando un po' indietro, di Claudio Lolli, oppure, andando un po' avanti, di Cesare Cremonini, comunque canzoni che ho amato e amo tuttora anch'io, e invece la odio perché mi costringe a essere pedante e a fare un altro rilievo etimologico: cultura deriva precisamente da culto, dire che la religione non fa parte della cultura è come dire che le patate non fanno parte del puré. Per giunta la benedizione in oggetto non era prevista in orario scolastico bensì dopo la fine delle lezioni, e coi bambini accompagnati dai genitori, come per gli spettacoli un po' porno. Forse proprio per queste modalità tanto relativistiche e di Adriano Sofri rispettose il consiglio di istituto aveva dato il via libera a stragrande maggioranza. Adesso il suo presidente si dice amareggiato per il divieto di acqua santa deciso dal Tar. Non mi

dispiace che si chiami Giovanni Prodi: chiunque sia cresciuto in Emilia sa che i Prodi sono prolificissimi e tra Reggio e Bologna innumerevoli, in qualche modo simbolo di un' epoca in cui eravamo tutti più democristiani e più giovani. Non mi dispiace nemmeno che il nipote di un campione del cattolicesimo democratico debba constatare sulla propria pelle che le consultazioni democratiche in Italia contano zero, conta solo la magistratura. "I riti religiosi sono attinenti unicamente alla sfera individuale, secondo scelte private" scrive il tribunale amministrativo usando parole che sembrano di Prodi Romano in fase cattolico adulto. Piaceranno a tanti insegnanti anzi a tante insegnanti bolognesi, che però la domenica a lavorare non ci vanno. E perché mai? La domenica è il giorno del Signore, loro che fanno parte del Comitato Scuola e Costituzione cosa c' entrano? Anche a Natale, Santo Stefano, Epifania, Pasquetta, Assunta, Ognissanti, Immacolata il corpo docente costituzionale dovrebbe presentarsi di buon' ora nelle rispettive scuole. Ma quando c'è da fare vacanza ecco che la religione ritorna immediatamente pubblica, la si sfrutta e non si fanno reclami al Tar. Ultimo rilievo: la sede dell'istituto bolognese da cui è partito l'ambaradan si trova in via Dante. Gli insegnanti anzi le insegnanti che non credono nell' inferno, nel purgatorio e nel paradiso dovrebbero per coerenza chiedere il cambio di toponomastica: Via Franco Fortini? Via Bertolt Brecht? Mai vorrei dar torto a una bolognese così bionda e fremente come Monica Fontanelli: ma nella scuola come la intende lei non si fa cultura, si fa deculturazione. CORRIERE DEL VENETO Pag 1 La generazione di Giulio Regeni di Stefano Allievi Giovani, conoscenza, globalità Quella di Giulio Regeni è una generazione itinerante: mobile per necessità e per desiderio. E’ la generazione Erasmus: di chi ha imparato ad essere parte di un mondo globale, e a muoversi di conseguenza – studiando all’estero per un po’, imparando lingue straniere, sprovincializzandosi, aprendosi al mondo. Gli italiani che lo fanno ci provano così tanto gusto che in percentuale elevatissima, oltre un terzo, finiscono per sposarsi con una persona di altra nazionalità: e spesso avranno percorsi lavorativi che, intrecciandosi con quelli familiari, li porteranno a vivere in paesi diversi, in maniera intermittente – come condizione in buona misura scelta. Certo, c’è la difficoltà a trovare l’occupazione che interessa nel proprio paese. Ma c’è anche l’idea che inseguire i propri interessi, non solo il proprio comodo, sia piacevole in sé, qualcosa che ti fa diverso, davvero cosmopolita. Una condizione diversa dal sedentario professionale: in cui il legame con le proprie radici non impedisce affatto, anzi stimola, la possibilità di far maturare i propri frutti in altri climi e in altri contesti. Per chi fa ricerca questo è ancora più vero. Qui, certo, gioca un ruolo, più che il bisogno, la mancanza di occasioni. Il nostro paese investe pochissimo in questi settori, con il risultato che molti nostri giovani brillanti entrano in percorsi di ricerca di università straniere. Ma è anche vero che, laddove si fa ricerca, si è finalmente imparato a guardare alle competenze anziché alla nazionalità: per cui se c’è una borsa di studio da assegnare, la fai avere a chi è in grado di seguire quella ricerca, non a uno del tuo paese. Semmai, in questo, è l’Italia a essere tremendamente indietro: non nel lasciare andare in giro i nostri giovani, ma nel non offrire occasioni a giovani stranieri. Con buona pace di chi pensa che «prima i nostri». Molti dunque lavorano per università straniere, che occasioni di ricerca sul campo ne offrono di più. Questo ha fatto anche Giulio Regeni, ed è un bene che va salvaguardato. La buona ricerca è per definizione ricerca sul campo: non basta una scrivania, un computer e l’accesso a internet. La globalizzazione ha reso il mondo più piccolo, più facile da raggiungere, ma l’iperconnessione non ha sostituito l’esperienza del viaggio, dell’incontro personale – al contrario. I lavori in cui ci si viene a contatto con ambienti e culture diversi da quelli d’origine sono sempre di più. Se poi ci si aggiunge il desiderio di non accontentarsi delle verità di regime – precisamente quello che un ricercatore (ma anche un giornalista o un cooperante) non può e non deve fare – è inevitabile incrociare mondi in cui si possono correre anche dei rischi. Ma sono rischi professionali senza i quali il lavoro della ricerca e della testimonianza non ha alcun senso e alcuna utilità. Tanto è vero che chi fa questo mestiere, non di rado finisce per sovrapporre e mischiare i ruoli: un buon ricercatore sul campo finisce anche per essere una fonte di informazione per chi sta fuori dal campo (per i giornalisti, ad esempio), spesso un testimone, talvolta

scomodo (perché ha voce, a differenza di altri), e in qualche caso finisce per prendere, se non parte, posizione – perché vive in mezzo a punti di vista diversi da quelli che raccontano i governi e le verità ufficiali. Questo accade alla gran parte di coloro che lavorano su questioni legate alla contemporaneità, e non solo nei paesi considerati a rischio: sono le questioni di cui ci si occupa, eventualmente, a rischio, non i paesi. E’ del resto preferibile la consapevolezza di chi sa quello che fa all’inconsapevolezza di chi va a Sharm senza nemmeno sapere che è in Egitto: anche quelli corrono dei rischi, senza saperlo... E non si può rimanere ignavi e silenti, come le tre scimmiette che non vedono non sentono e non parlano, di fronte a certe scoperte che fanno parte del lavoro di ricerca. E’ intollerabile perciò chi dice che Giulio un po’ se l’è cercata. Mentre è doveroso mobilitarsi per cercare le verità nascoste dietro la sua morte. Rendendogli, senza retorica, omaggio in questo modo: cercando di rendere migliori le condizioni non solo di chi fa ricerca, ma del mondo in cui la fa – anzi, del mondo, in quanto tale. LA NUOVA Pag 1 I bugiardi che muovono i mercati di Mario Bertolissi Le prime pagine dei quotidiani di questi giorni recano notizie da brivido. Quelle di carattere economico-finanziario lo sono più delle altre. Perché informano circa il collasso del sistema bancario italiano e non solo. Perché confondono e deprimono, nella parte in cui convincono il risparmiatore, l’investitore e qualunque altro cliente che non solo non vi è alcuna certezza, ma che addirittura ciò che è positivo, tutto sommato, può essere considerato tale oppure no. A discrezione, se non ad arbitrio, dei mercati. I quali, a loro volta, sono tutto e niente. Qualcosa di visibile e di reale oppure di semplicemente indistinto, al cui interno tutto nasce, cresce e si dissolve. La favola è che i mercati hanno una loro razionalità: dovrebbe essere quella dei conti in regola, ma i conti in regola possono avere scarso o nessun rilievo. Dunque, si investe e si disinveste, sulla base di premesse, che dovrebbero orientare al migliore degli investimenti. In gioco vengono patrimonializzazione, liquidità, utili, rischi, reputazione... Elementi che non si costituiscono in un solo giorno e che in un solo giorno non si distruggono. Ci sono i piani d’impresa, cui riportarsi; le decisioni strategiche assunte; la sana e prudente gestione o il suo contrario, quali fattori dirimenti di una scelta; il breve, il medio e il lungo periodo, per valutare la serietà o non-serietà di come agisce in concreto un’impresa. E, poi, molto dipende dal Paese cui ci si riferisce: lo qualificano famiglie, imprese e organi di governo. Pure questo non si crea e non si distrugge in un attimo. È qui che si inseriscono il delicatissimo capitolo delle previsioni e la regola fondamentale cui le medesime dovrebbero ispirarsi: vale a dire, il principio di non-contraddizione. In che cosa consista ce lo dice - se non ci accontentiamo dell’apporto decisivo del buon senso - Wikipedia: «Il principio di non-contraddizione afferma la falsità di ogni proposizione implicante che una certa proposizione A e la sua negazione, cioè la proporzione non-A, siano entrambe vere allo stesso tempo e nello stesso modo. Secondo le parole di Aristotele: “È impossibile che il medesimo attributo, nel medesimo tempo, appartenga e non appartenga al medesimo oggetto e sotto il medesimo riguardo”». È una affermazione che dà un rilievo assoluto alla verità. E la verità riguarda, per quel che qui ci interessa, la realtà e le sue condizioni. Ricordate il punto luminoso in fondo al tunnel di Mario Monti? L’inversione di tendenza - quanto alla crisi - di Fabrizio Saccomanni? La ripresa in atto di tanti altri, che non è neppure il caso di nominare? E, poi, quell’incalzante impiego di parole autoreferenziali, che sono destinate, sempre, a concludersi con l’esorcizzante innovazione, che, a sua volta, pone un’alternativa secca? O gli Einstein si sprecano oppure, quelli odierni, tutto sono, meno che Albert Einstein. Non gli assomigliano in nulla, perché - notava Einstein - «la vera crisi è la crisi dell’incompetenza. Lo sbaglio delle persone e dei Paesi è la pigrizia nel trovare soluzioni». Soluzioni che debbono possedere - così la pensava - un elevato tasso di moralità, mai disgiunta da un sapere profondo, di certo estraneo alla logica della pura convenienza e dell’azzardo. Azzardo, dal quale sono animati e regolati i cosiddetti mercati, in cui fluttuano capitali dalle proporzioni enormi, che non rappresentano valori (persone, beni, servizi: risvolti dell’incessante creatività umana), ma pezzi di carta. Tanta carta, troppa carta! Carte da gioco, appunto, che si danno e ridanno a moltitudini di giocatori che sconquassano la Borsa. Ora su, ora giù, secondo ritmi che hanno ben poco a che fare con la ragione.

Molto con l’istinto rapace di chi, pur di appropriarsi dell’ennesimo miliardo, identifica A e non-A, falsificando il vero. Il fatto è che le bugie hanno le gambe corte. Abbiamo un’unica certezza: ci opprimono i bugiardi e i bugiardi non sanno prevedere. Torna al sommario 7 - CITTÀ, AMMINISTRAZIONE E POLITICA LA NUOVA Pag 21 Chilometro dell’azzardo in centro di Francesco Furlan Mestre: quattro sale scommesse e slot distano pochi passi l’una dall’altra. L’ultima arrivata sarà aperta in via Verdi Benvenuti nel chilometro della scommessa: cento passi per saltare da una slot elettronica dove per vincere bisogna mettere in riga le ciliegie, a una puntata ai cavalli e altri cento passi per andare dalla partita a poker giocata allo schermo luminoso della macchinetta alla scommessa sull’ultima sfida del calcio. Con la prossima apertura di una nuova sala scommesse in via Verdi - vicino all’incrocio con via Murri - e conseguente strascico di polemiche e preoccupazione da parte dei residenti, si chiude l’ultimo vertice del quadrilatero delle scommesse, in centro di Mestre. Una concentrazione che preoccupa: sia per i timori sull’ordine pubblico che per l’ennesimo incentivo al gioco, perché non tutti si limitano a una partitella o a una puntatina. Qualche numero aiuta a capire un fenomeno che spaventa gli specialisti: sono circa 150 le persone in carico al Servizio per le dipendenze dell’Asl 12, per la maggior parte uomini, cinquantenni, che non riescono a staccarsi dalle macchinette elettroniche, e si giocano lo stipendio, dimenticando la famiglia e gli amici. E questi sono solo coloro che fanno il primo passo, e trovano la forza di chiedere aiuto. «Mi sono arrivate molte segnalazioni sulla nuova apertura di via Verdi», conferma l’assessore alla Sicurezza, Giorgio D’Este conosciuto nel quartiere anche perché la sede della lista che ha promosso in campagna elettorale, Coesione popolare, aveva sede proprio a poche centinaia di metri da dove aprirà la nuova sede. «Le esperienze del passato suggeriscono ai residenti che locali di questo tipo», aggiunge D’Este, «possono avere delle ripercussioni sul piano della sicurezza pubblica. Il Comune non ha strumenti per impedire, in via preventiva, l’apertura di queste attività ma abbiamo ben presente la concentrazione dell’area centrale di Mestre, per questo faremo maggiori controlli». L’agenzia storica del quartiere è la sala scommesse Matchpoint Sisal di via Mazzini, la piccola laterale che collega via Verdi con via Carducci, già in passato al centro delle proteste dei residenti per la clientela, proteste poi rientrate anche per l’intervento dei proprietari, che più di qualche volta hanno pulito e sistemato l’area. Bastano cento passi, in direzione di via Carducci, per raggiungere la sala scommesse Eurobet, aperta due mesi fa all’angolo con via Felisati. Altri cento passi, in direzione di via Piave, e ci si trova di fronte alla sala Vlt - acronimo che sta per Videolottery - aperta anch’essa da pochi mesi e teatro, lo scorso novembre, di un pestaggio avvenuto lungo via Piave dopo che la lite era iniziata all’interno del locale. Dall’incrocio tra le vie Piave e Carducci, percorrendo a piedi via Circonvallazione e poi svoltando a sinistra lungo via Verdi si raggiunge la nuova sala scommesse la cui apertura è prevista nei prossimi giorni, non appena sarà concluso l’allestimento. In questi giorni sono stati installati i pannelli interni, gli schermi e le telecamere esterne di sicurezza, che puntano sul marciapiede all’altezza di quella che sarà la porta d’ingresso al locale delle scommesse. E con quella di via Verdi si arriva a quattro sale nell’arco di meno di un chilometro. «Ormai sembra di essere a Las Vegas», dice Vincenzo Conte, presidente della Municipalità di Mestre centro, «una concentrazione in un’area così ristretta del centro pone effettivamente dei problemi. E le esperienze che abbiamo in altre zone ci dicono che spesso queste aperture possono portare dei problemi, è normale che le persone siano preoccupate». Torna al sommario 8 – VENETO / NORDEST

AVVENIRE Pag 21 Chioggia, il vescovo sul caso Birolo: anche sicurezza è diritto di Vincenzo Tosello Chioggia (Venezia). La vasta eco mediatica provocata a livello locale e nazionale dall’intervento del vescovo di Chioggia Adriano Tessarollo che, nella sua rubrica 'Commentando…' ospitata nel settimanale diocesano 'Nuova Scintilla', ha affrontato la vicenda del tabaccaio Franco Birolo, condannato a 2 anni e 8 mesi più una multa di 325.000 euro per eccesso di legittima difesa colpendo a morte il rapinatore che si era introdotto nel suo negozio, sta ad indicare che la questione è sentita e si colloca in una complessa visione della giustizia che dovrebbe essere chiamata a regolare la vita delle persone e delle comunità tutelando i diritti di tutti. Ciò che il vescovo ha voluto dire - il te- sto integrale è visibile nel sito e nelle pagine social del giornale - si riassume nella frase finale «Pensiamoci tutti! ». Un invito cioè, a cittadini e responsabili della cosa pubblica, a politici e parlamentari, ad avvocati e magistrati a riflettere sull’adeguatezza delle leggi, e quindi delle sentenze, al loro compito anche pedagogico per il bene della collettività. Il vescovo sottolinea che «La vita comprende un insieme di condizioni e tutte devono essere rispettate e protette: certi valori sono altrettanto importanti come la vita fisica e sarebbe ora che entrassero nella valutazione dei giudici. Non ha diritto uno di vivere in pace senza sentirsi oggetto di violenze, ruberie e aggressioni, senza pensare di doversi barricare in casa, di porre allarmi, di vivere nell’ansia che se non oggi, domani certamente subirà un furto o una rapina? E che ne sa uno delle reali intenzioni di chi entra in casa rompendo, scassando e rubando quanto acquistato e conservato con tanta fatica e lavoro o a cui si è particolarmente affezionati?». Il pastore non ignora il 'sentire della gente': «Un padre di famiglia, un imprenditore, un lavoratore, che sta a casa sua, lavorando o dormendo, ha diritto di non vedere violata la sua casa, compromessa la sua attività, derubati i suoi beni, minacciata la quiete e tranquillità sua e dei suoi familiari». E continua precisando e interrogandosi, ampliando il discorso ai 'diritti', più o meno conclamati: «La vita delle persone non è solo vita fisica, ma un complesso di realtà come anche la casa, l’attività, la roba, la libertà, lo spazio vitale, il progetto di vita e la propria sicurezza, in una parola l’insieme dei propri diritti umani e civili! Basta che uno si presenti senza armi perché gli sia assicurata l’incolumità, mentre lui viola palesemente i diritti civili fondamentali degli altri? Si pensi a quanto baccano si sta facendo per via dei diritti civili non riconosciuti! Forse che i ’diritti civili’ sopra scritti non meritano attenzione come gli altri?». Il vescovo non prende posizione contro il giudice, ma invita a riflettere e mette in guardia sul fatto che leggi e sentenze devono aiutare il cittadino a una visione equilibrata e globale, evitando di far passare messaggi controproducenti. La successiva recente pubblicazione delle motivazioni della sentenza che ravvisa nel comportamento del tabaccaio il «grave sospetto della volontarietà dell’uccisione in assenza dei presupposti della legittima difesa» e la dura presa di posizione dell’Anm devono ammettere interpretazioni diverse in un caso così complesso. Non va dimenticata l’interpretazione opposta del pm che aveva chiesto l’assoluzione dell’imputato e la decisione dell’avvocato di Birolo di ricorrere in appello. L’intervento del vescovo non va contro nessuno né intende istigare all’eccesso di difesa, ma si colloca in uno spazio di democratica riflessione. IL GAZZETTINO Pag 9 Sotto processo l’ex delegato pontificio di Luca Ingegneri Padova: con monsignor Gioia a giudizio progettista e impresario dell’intervento nel complesso di Sant’Antonio L’ex delegato pontificio monsignor Francesco Gioia, 77 anni, con residenza in Vaticano, finirà sotto processo per il macroscopico abuso edilizio all’ombra del Santo. Gli faranno compagnia sul banco degli imputati l’architetto Gennaro Di Lascio, 50 anni, di Frascati, e l’impresario Gianluca Campagna, 46 anni, di Colonna, in provincia di Roma. L’appuntamento davanti al giudice monocratico Stefano Canestrari è fissato per il prossimo 25 maggio. Il terzetto, difeso rispettivamente dagli avvocati Lorenzo Pilon, Paolo Marson e Alberto Berardi, avrebbe in realtà potuto azzerare l’accusa con un’ammenda da 23mila euro a testa. L’illustre prelato, plenipotenziario della Basilica del

Santo fino al luglio 2013, quando papa Bergoglio ne dispose la rimozione, e i due coimputati hanno invece scelto l’opposizione al decreto penale di condanna. Affronteranno quindi il dibattimento nella consapevolezza che i tempi della prescrizione sono ormai molto vicini. La violazione della normativa edilizia, contestata a dicembre 2011, si estingue infatti in un tempo limite di sei anni. Ci sarà quindi soltanto un anno e mezzo per completare quantomeno il giudizio di primo grado. Anche perchè l’opposizione al decreto penale di condanna ha congelato tutti gli aspetti amministrativi della complessa vicenda, a partire dalla rimessa in pristino dei luoghi in cui sarebbero stati commessi i clamorosi abusi edilizi. È stata la consulenza tecnica affidata dal pm Maria D’Arpa all’architetto Paolo Merlini, docente allo Iuav di Venezia, ad imprimere una svolta precisa all’inchiesta. Gli accertamenti sono partiti da un’indagine storica sullo stato dei luoghi prima dell’avvio dei lavori di ristrutturazione nello storico palazzo di via Orto Botanico 1, all’interno di uno stabile che fa parte del complesso antoniano. L’edificio era stato usato prima come biblioteca e poi come magazzino. Il Comune di Padova non ha mai rilasciato nessuna concessione edilizia per la trasformazione di quei locali in mini appartamenti da 35 metri quadri, tre stanze al massimo, pubblicizzati persino su Internet. Era stato lo stesso ufficio tecnico di Palazzo Moroni a trasmettere in Procura l’esposto con cui si segnalava la realizzazione abusiva dei cinque mini appartamenti nell'ala che s'allunga in via Orto Botanico, già sede del museo cittadino e della vecchia biblioteca. La decisione era stata presa quando era arrivata in Comune la richiesta di sanatoria presentata dalla proprietà dell'immobile. Era stato accertato che l’allora delegato pontificio monsignor Francesco Gioia non aveva mai chiesto alcuna concessione edilizia. Tutti i beni e immobili antoniani sono sottoposti a accordi e regole chiarissime, come si evince da una lettera del 20 novembre 2008, trasmessa dal Ministero per i Beni culturali alla Soprintendenza e, per conoscenza, al Delegato Pontificio e alla Veneranda Arca in occasione di un restauro. Pag 14 Caso Birolo, il vescovo: “I magistrati? Sembrano uno lobby, non li temo” di Filippo Greggio Monsignor Tessarollo replica elle critiche alla sua lettera in difesa del tabaccaio di Corezzola «Sono tranquillo. Possono fare come vogliono e non credo neanche di difendermi. Certo, mi chiedo se questa autotutela dei magistrati, che si difendono a vicenda, non si possa leggere come una lobby». È sereno il vescovo di Chioggia, monsignor Adriano Tessarollo, dopo le dichiarazioni di Lorenzo Miazzi, referente per il Veneto dell'Anm, che non ha escluso la possibilità di querelare il presule, per le sue dichiarazioni sul caso del tabaccaio di Civè di Corezzola, Franco Birolo di 47 anni, che uccise un ladro. Tessarollo precisa di aver parlato da cittadino e non da vescovo, ponendosi alcune domande senza accusare nessuno: «Non sono un giustiziere né un pistolero, come molti hanno scritto». Era la notte del 26 aprile del 2012 quando Franco Birolo sparò a un giovane moldavo che stava rubando nella sua bottega, uccidendolo. All'indomani della sentenza di primo grado, emessa dal giudice di Padova Beatrice Bergamasco, il vescovo Tessarollo ha preso carta e penna per far riflettere sulla questione. Birolo è stato condannato a 2 anni e 8 mesi di reclusione oltre al risarcimento di 225mila euro alla madre della vittima e di 100mila alla sorella. «Mi ha colpito la sanzione di 325.000 euro: significano 1000 euro al mese per oltre 27 anni! Questa somma potrebbe essere in grado di mettere in ginocchio e destabilizzare la serenità della famiglia del derubato. Mi permetta un'ironia, signora giudice: quello che non era riuscito forse a rubare il ladro da vivo, glielo ha dato il giudice, completando il furto alla famiglia, un bel vitalizio ottenuto per i suoi familiari, con l'incidente accadutogli nel suo "lavoro di ladro"», aveva scritto il vescovo nel suo editoriale uscito sul settimanale diocesano "La Nuova Scintilla". Parole che non sono piaciute all'Associazione nazionale magistrati. «Accusare senza neppure sapere come si sono svolti i fatti realmente, va oltre il diritto di cronaca, si rischia di sfociare nella diffamazione o perfino nella calunnia», aveva commentato infatti Miazzi. «Non sono un giustiziere né un pistolero, come molti hanno scritto - ha replicato ieri Tessarollo - Ho solo cercato di porre delle domande e di valutare le conseguenze che avrà quella sentenza per la famiglia di quel tabaccaio», spiega il vescovo che aggiunge: «Ho parlato secondo buon senso da cittadino che paga le tasse. Non ho citato il Vangelo e nessuna

scrittura sacra, ho solo cercato di usare il buon senso. Non ho accusato la magistratura né il giudice. Non ho neanche detto che il tabaccaio ha fatto bene a sparare. Ho semplicemente osservato che nel caso c'erano molti elementi da valutare e che, a mio parere, il giudice ne ha valutati solo alcuni. Trovo la sentenza sproporzionata». LA NUOVA Pagg 30 – 31 “Il diritto di critica è nella democrazia” di Elisabetta B. Anzoletti e Cristina Genesin Monsignor Tessarollo è intervenuto sul tabaccaio che ha ucciso il ladro e non fa marcia indietro: che mi querelino pure, io sono tranquillo. Il presidente di Anm Miazzi: “Adesso contro il vescovo la querela è possibile” Chioggia. «Ho espresso solo il mio pensiero, se non lo si può più fare forse allora non siamo in democrazia…». Il vescovo di Chioggia monsignor Adriano Tessarollo tira dritto e, anche a fronte della “minaccia” dei giudici di essere querelato, non indietreggia di un passo. L’Associazione nazionale magistrati (Anm) non ha apprezzato la presa di posizione del vescovo che dalla pagine del settimanale diocesano “La Nuova Scintilla” ha bacchettato la giudice padovana Beatrice Bergamasco, per aver emesso una sentenza troppo pesante (due anni e otto mesi e 325.000 euro di risarcimento), e ha ipotizzato di reagire per vie legali, dando pieno sostegno al magistrato padovano. Spetterà alla Bergamasco, che si è presa sette giorni per rifletterci, decidere se procedere o no con una querela. «I rappresentanti istituzionali», spiega il magistrato Lorenzo Miazzi, referente per il Veneto dell’Anm, «non dovrebbero dare giudizi sull’attività di altri organi, come quello giudiziario, senza avere la completa conoscenza dei fatti. Monsignor Tessarollo ha commentato la sentenza prima ancora di conoscerne il merito, usando toni troppo pesanti. Accusare senza neppure sapere come si sono svolti i fatti realmente va oltre il diritto di cronaca, si rischia di sfociare nella diffamazione o perfino nella calunnia». Miazzi specifica che spetta comunque a un giudice terzo stabilire se nell’editoriale del vescovo si configurino dei reati, tenendo conto che il “significato delle parole utilizzate risulta ancora più forte, visto l'alto ruolo rivestito da chi ne l'autore”. Un avvertimento che non scalfisce minimamente monsignor Tessarollo che ribadisce punto su punto le sue considerazioni. «Se mi vuole querelare lo faccia», spiega il vescovo vicentino, «io sono tranquillo, ho semplicemente espresso il mio pensiero, penso che si possa ancora fare o non siamo più in democrazia? Il diritto di critica esiste se non sbaglio. Non ho mai detto che Birolo ha fatto bene a sparare o che è giusto che i cittadini si armino e facciano fuoco, ho solo detto che ritengo che il giudice nel formulare la sentenza non abbia tenuto conto di tutti gli elementi, di una parte e dell’altra. Credo si sia calata molto nei panni del ladro moldavo e della sua famiglia, decidendo per un risarcimento astronomico che suona davvero come un vitalizio, e poco nei panni del tabaccaio e della sua di famiglia che con il pagamento di una cifra del genere potrebbe anche essere rovinata». In città non si parla d’altro. In piazza come nei social in moltissimi hanno espresso piena solidarietà al vescovo, apprezzando una presa di posizione coraggiosa, schietta, per nulla scontata. «Ho parlato di leggi e di scopo pedagogico delle stesse», spiega Tessarollo, «credo che la vita sia il bene più prezioso, e va condannato chi non la rispetta, ma credo esistano dei beni come la casa, il lavoro, la famiglia, il frutto dei sacrifici, che vanno preservati. Credo che non si possa vivere nell’angoscia di essere derubati in casa propria o aggrediti da chi magari per prendere 10 è disposto a far danni per 100, senza alcuna certezza della pena. La giudice doveva tener conto delle condizioni in cui Birolo ha reagito, del clima in cui si sta vivendo». Adesso spetterà al giudice Bergamasco decidere il da farsi, rischiando comunque di sollevare un nuovo polverone. Padova. «La querela? Non è esclusa. Sarà la giudice Beatrice Bergamasco a decidere con calma. Ma non c’è solo la strada penale, c’è anche quella del risarcimento del danno, percorribile con un’azione civile. A noi magistrati interessa solo una cosa: essere rispettati nel nostro lavoro. Un lavoro pubblico e giustamente sottoposto a critiche che, tuttavia, non devono travalicare il limite, diventando offese o, peggio, tradursi in insinuazioni. Ecco perché, se ci sarà una causa civile, non è escluso che intervenga l’Associazione nazionale magistrati (Anm): è un’opzione che stiamo valutando». Il

presidente dell’Anm Veneta, Lorenzo Miazzi, si schiera deciso ancora una volta in difesa della collega padovana che ha pronunciato la sentenza nei confronti del tabaccaio di Civè di Correzzola Franco Birolo (condannato per eccesso colposo di legittima difesa a 2 anni e 8 mesi di carcere oltre al pagamento di un risarcimento di 325 mila euro a favore della famiglia del ladro moldavo Igor Ursu). Le polemiche non si spengono alimentate dall’articolo pubblicato sul settimanale diocesano “La Scintilla”. Un articolo firmato dal vescovo di Chioggia monsignor Adriano Tessarollo che ha bollato quel ristoro come «un bel vitalizio ottenuto dai familiari per l'incidente accadutogli nel suo "lavoro notturno di ladro e scassinatore"». Continua il presidente Miazzi: «La collega Bergamasco si prenderà tutto il tempo necessario, ora è troppo coinvolta, poi deciderà. E valuterà se procedere sia nei confronti delle dichiarazioni deliranti pubblicate sui social come Facebook o su alcuni blog, sia altri pesanti commenti come quelli del vescovo. Il giudice non va attaccato sul piano personale». Per quanto riguarda il prelato, l’esponente dei magistrati veneti chiarisce: «Naturalmente il diritto di critica va rispettato... Ma la critica deve’essere continente e riferita ai fatti: qualcuno valuterà se ha queste caratteriste o va ben al di là». C’è un’altra questione che l’Anm esaminerà perché ogni sentenza o inchiesta rischia di scatenare la guerra contro quel giudice o quel pm: «Bisognerà riflettere se sia opportuno che la stampa indichi i nominativi dei magistrati: ci stiano ponendo il problema di chiedere il diritto alla riservatezza. È passata la stagione dei “Di Pietro” o dei “De Magistris”: oggi finire sui giornali crea solo problemi, il protagonismo non produce risultati positivi, ma attacchi continui» Pieno apprezzamento per le dichiarazioni espresse sia dall’Ordine degli avvocati di Padova («Solidarietà al giudice che svolge la propria attività quotidiana con scrupolo e serietà») sia dall’avvocato Luigino Martellato, difensore di Birolo che ha preannunciato appello («Attacchi al giudice inaccettabili e ingiustificabili... La nostra battaglia sarà solo nelle aule giudiziarie»). «Fa piacere che quanti sono abitualmente parte nel processo abbiano espresso queste posizioni» rileva Miazzi, «L’appello serve a rivedere i fatti che possono essere interpretati diversamente: è la fisiologica dialettica del processo. Padova. Basta con le aggressioni verbali ai giudici. Da qualsiasi pulpito esse arrivino. Ad Alessandro Naccarato, deputato del Pd, le parole monsignor Adriano Tessarollo non sono di certo andate giù. «I l suo intervento» dice l’esponente del Pd, «è particolarmente grave alla luce delle motivazioni della sentenza che hanno chiarito che l'imputato ha sparato contro un uomo disarmato che stava fuggendo. Il vescovo, come le altre cariche pubbliche civili e religiose, non può abusare del proprio ruolo e deve rispettare le leggi e la Costituzione: le sentenze si rispettano e, se non condivise, si impugnano nelle sedi opportune. In uno Stato democratico e laico i rappresentanti delle istituzioni e i vescovi, come tutti i cittadini, non possono sostituirsi ai giudici». E non è tutto. «È triste leggere che anche esponenti della Chiesa, alla ricerca di facili visibilità e di demagogia a buon mercato» rincara l’esponente del Pd «si uniscano al disprezzo dei principi costituzionali di autonomia e indipendenza dei magistrati». CORRIERE DEL VENETO Pag 9 Caso Birolo, il giudice valuta se denunciare. Il Pd: il vescovo sbaglia di Nicola Munaro Padova. Ancora nessun commento, solo quello istituzionale per bocca dell’Associazione nazionale magistrati del Veneto. Come nessuna mossa è stata fatta, nessuna querela o richiesta di risarcimento danni è stata ancora presentata del giudice Beatrice Bergamasco, finita nel mirino dell’opinione pubblica (politica e religiosa pure) per aver condannato a 2 anni e 8 mesi, oltre a 325 mila euro di risarcimento danno, il tabaccaio di Civè Franco Birolo. «Valuterà lei come muoversi», ha spiegato il capo dell’Anm Veneta, Lorenzo Miazzi, riferendosi alle parole del vescovo di Chioggia, monsignor Adriano Tessarollo, che non solo ha assolto Birolo ma ha anche detto che il giudice «ha completato l’opera del ladro». Una presa di posizione forte che però la diretta interessata preferisce non commentare. Sta valutando, e quindi è possibile che all’orizzonte si materializzi una denuncia. Intanto continuano ad arrivare lettere di minacce in cancelleria al tribunale di Padova, mentre mercoledì una donna di Verona aveva telefonato per dire di essere «stanca di pagare i vostri stipendi» perché alla fine

«il tabaccaio ha fatto bene a sparare». Sul caso indaga la polizia giudiziaria. Intanto solidarietà al giudice, sotto sorveglianza per le minacce piovute sulla bacheca Facebook di Matteo Salvini a commento del suo post «Io sto con il tabaccaio», è stata espressa dall’onorevole Alessandro Naccarato, deputato del Partito Democratico, per nulla morbido nemmeno con il presule: «Al coro delle aggressioni minacciose contro il giudice si è aggiunta la voce del vescovo di Chioggia. Il suo intervento è particolarmente grave alla luce delle motivazioni della sentenza – precisa Naccarato - che hanno chiarito che l’imputato ha sparato contro un uomo disarmato che stava fuggendo. Il vescovo, come le altre cariche pubbliche civili e religiose, non può abusare del proprio ruolo e deve rispettare le leggi e la Costituzione». Torna al sommario … ed inoltre oggi segnaliamo… CORRIERE DELLA SERA Pag 1 Il Paese delle leggi in ostaggio di Sergio Rizzo Giustizia e politica La prova di quanto sia difficile in Italia fare certe riforme è nei cassetti della commissione Giustizia della Camera. Lì, in attesa della seconda lettura parlamentare, è sepolta una legge approvata dal Senato quasi due anni fa: martedì 11 marzo 2014. Si tratta di un provvedimento in grado di toccare nervi sensibili, perché regolamenterebbe in modo ben più rigoroso di oggi il rapporto fra magistrati e politica. Stabilisce, per esempio, che il magistrato non si possa candidare dove ha esercitato nei cinque anni precedenti. E in ogni caso può farlo solo se è in aspettativa da almeno sei mesi. Ancora: i giudici non eletti non accedono per cinque anni a uffici della stessa circoscrizione elettorale. Mentre gli eletti non possono tornare a svolgere le funzioni ricoperte prima di candidarsi. Hanno solo facoltà di scelta fra Avvocatura statale, ministero della Giustizia o Corte d’appello, ma con l’inibizione territoriale quinquennale. Il minimo sindacale, insomma, in un Paese ammorbato dalle polemiche sull’uso politico dei tribunali. E che su questo esista una condivisione generale, lo stanno a dimostrare le 25 firme di senatori di centrodestra e centrosinistra al testo unificato della legge uscita dal Senato. Il che avrebbe lasciato supporre un percorso spedito anche alla Camera. Invece no. Il testo è arrivato a Montecitorio il 13 marzo 2014; l’esame è cominciato il 24 giugno successivo e da allora la commissione Giustizia si è riunita con quel provvedimento all’ordine del giorno soltanto q uattro volte. L’ultima, il 16 dicembre 2015, nove mesi addirittura dopo la precedente riunione del 12 marzo. Da allora sono trascorsi altri due mesi e tutto tace. Tutto ciò dovrebbe far riflettere innanzitutto chi si ostina a difendere senza se e senza ma il bicameralismo perfetto come fosse l’estrema garanzia del sistema democratico e non invece, quale purtroppo spesso si è dimostrato, un comodo meccanismo per inceppare le riforme. Ma questa storia mette in luce un aspetto forse ancora più rilevante delle nostre «non regole» istituzionali. Presidente della commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti, onorevole del Partito democratico, è infatti un magistrato. Vale a dire esponente di quella particolare sottocategoria, i giudici scesi in politica, colpita proprio dalla legge di cui stiamo parlando. Un dettaglio come tanti analoghi, nel nostro Parlamento, sempre liquidati con troppa sufficienza. Tanto è vero che nella medesima commissione Giustizia presieduta da un magistrato, siedono ben 26 avvocati (su 44 membri!) che potrebbero lì, in teoria, scrivere leggi a vantaggio dei propri assistiti. Come del resto già avvenuto in passato. Dettagli ritenuti insignificanti, che invece segnalano con fragore l’assenza di uno dei principi fondamentali della politica: l’opportunità di certe scelte. Nessuno può vietare a un giudice di candidarsi alle elezioni, ovvio. Sarebbe contro la Costituzione. Ma è opportuno che a un magistrato politico sia affidata la guida della commissione Giustizia? E che la maggioranza dei suoi membri sia composta da avvocati in attività? I cittadini non possono sapere se in casi come questo, frequentissimi, esistano reali conflitti d’interessi. Ma devono pretendere che ogni loro rappresentante sia al riparo dal pur minimo sospetto. Ecco perché la forma, certe volte, è anche sostanza.

Pag 1 Lo strappo che spiazza il Pd di Massimo Franco Vade retro, voto palese. Sulle unioni civili, il cardinale Bagnasco è entrato a gamba tesa contro il presidente del Senato Pietro Grasso. Le parole dure usate ieri dal capo della Cei sono uno strappo rispetto alla cautela mantenuta finora. E estremizzano uno scontro sul quale si scaricano pressioni esterne crescenti: al punto che non è chiaro quanto sull’esito della legge Cirinnà peseranno i contrasti tra partiti; e quanto la tensione tra alcuni vescovi. Sotto accusa è la decisione di Grasso di rifiutare il voto segreto alle opposizioni in materia di unioni civili. Ma, ingerenza o no, Bagnasco è entrato come il burro nelle debolezze del Pd, rivelandone la profondità. L’unica certezza, per ora, è il rinvio del voto a martedì prossimo. Si capirà allora se le gerarchie cattoliche hanno piegato il governo: basterà vedere se il premier Matteo Renzi farà ritirare il testo che farebbe decadere tutti gli emendamenti leghisti; o se lo confermerà. Si vedrà. Fino a ieri, non si escludeva una soluzione di mediazione, senza le adozioni di bambini da parte delle coppie omosessuali. L’impressione è che, così com’é, la legge piaccia sempre meno. Non solo a pezzi di Pd. Il M5S anticipa il «sì» «anche senza l’adozione», evocando una manovra trasversale. A forzare la mano sembrano le forze in minoranza in Parlamento: Lega, FI, Ncd. Soprattutto le prime due accusano Renzi di alzare i toni per ricompattare il Pd; ma non fanno nulla per facilitare un’intesa, anzi. È come se sapessero che la minaccia di usare l’arma del voto palese fosse a doppio taglio. In effetti, Palazzo Chigi è sulla difensiva. Lancia avvertimenti, e insieme offre compromessi. Solo che gli avversari appaiono decisi a scoprire il presunto «bluff» renziano. Bagnasco radicalizza questa dialettica. Si augura un dibattito «ampiamente democratico» in cui «tutti possano esprimersi»; e in cui la libertà di coscienza «su temi fondamentali sia non solo rispettata ma promossa con una votazione a scrutinio segreto». L’accusa di ingerenza è in agguato. L’«augurio» cardinalizio contiene un attacco a Palazzo Chigi e alla seconda carica dello Stato. Ma il Pd reagisce diviso, scoprendo crepe diffuse. Il leghista Roberto Calderoli scolpisce, ispirato, che «in Senato il comportamento di Grasso lo giudica Renzi. Ma un giorno ci sarà un Giudizio con la G maiuscola...». Insomma, il finale sulle unioni civili diventa più aspro e intrigante. Misurerà i rapporti tra vescovi e Parlamento italiano. E chissà, magari si scoprirà che serve a ricalibrare anche le relazioni tra Cei e papa Francesco. Pag 1 Le mani abili di Ezio Bosso come un piccone sui pregiudizi di Gian Antonio Stella Chi ha già vinto Sanremo Ezio Bosso, il pianista e compositore torinese, ha fatto tre bellissimi regali, l’altra sera, agli italiani. Il primo: l’esecuzione del suo struggente Following a Bird («Sarebbe “inseguendo un uccellino”»). Secondo: ha spiegato quanto sia importante «perdersi per imparare a seguire: perdere è brutto ma non è brutto perdere i pregiudizi, le paure, il dolore». Terzo regalo: il coraggio con cui si è offerto a milioni di italiani nella sua dignitosa fragilità corporale. «E chi mi porta via?». È stato lì, dopo la standing ovation dell’Ariston con gli orchestrali commossi fino alle lacrime, pudiche e mute, che Ezio Bosso ha avuto l’unico attimo di smarrimento. Quello di chi, dopo un quarto d’ora di magica sospensione della realtà vede riemergere la sua disabilità. La fatica di ogni giorno. Ogni ora. Ogni momento. Il pianista, compositore e direttore d’orchestra torinese ha fatto tre bellissimi regali, l’altra sera, agli italiani. Il primo: l’esecuzione al pianoforte del suo struggente «Following a Bird» («Sarebbe “inseguendo un uccellino” ma in inglese è più fighetto», ha ammiccato) che ha emozionato una platea abituata per decenni alle rime cuore amore. Il secondo: ha spiegato quanto sia importante, andando all’inseguimento di quell’uccellino, «perdersi per imparare a seguire: perdere è brutto ma non è brutto perdere i pregiudizi, perdere le paure, perdere il dolore» e più ancora ha ricordato quanto la musica conti perché «si fa insieme» e «noi (i musicisti) mettiamo le mani ma ci insegna la cosa più importante che esista: ascoltare». Parole bellissime in un Paese dove la voglia di ascoltare (la buona musica, i dialoghi del grande teatro, le opinioni altrui, le voci di chi è ai margini…) pare sempre più affievolirsi. Peccato: saper ascoltare, spiegava Wolfgang Goethe, «è un’arte». Il regalo più grande, però, è stato il terzo: lo straordinario coraggio, arricchito da una leggerezza contagiosa e qua e là allegra, con cui si è offerto a milioni di italiani in tutta la sua dignitosa fragilità corporale.

Non molti di quei milioni di italiani che erano davanti alla tivù, come confermano i numeri di Google fino all’altro ieri, lo conoscevano. Non molti sapevano che Ezio Bosso è stato un «enfant prodige», che ancora ragazzino teneva già concerti in giro per l’Europa, che per anni ha saputo mischiare più generi musicali, che ha suonato nei più grandi teatri del pianeta e diretto tra le altre le orchestre dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, della London Symphony, del Teatro Regio di Torino… Forse ancora meno sapevano che pochi anni fa, nel 2011, fu colpito dalla Sla, la Sclerosi laterale amiotrofica che giorno dopo giorno ha fiaccato i suoi muscoli rubandogli, la stramaledetta, la forza fisica senza riuscire però a fiaccarlo nell’anima. Per millenni le persone fragili come lui sono state nascoste in casa, celate nelle stanze più scure come fossero una colpa così come pensava Gregorio Magno («Un’anima sana non albergherà mai in una dimora malata»), piazzati in remoti conventi tipo l’abbazia di Reichenau su un’isoletta del lago di Costanza come sant’Ermanno il rattrappito, affetto lui pure da una malattia degenerativa che gli impediva perfino di stare seduto ma non di comporre un capolavoro come il «Salve Regina». O rinchiuse più recentemente in istituti fuori mano come fecero col figlio Daniel perfino un intellettuale liberal come Arthur Miller o col figlio Eduard un genio imperfetto quale Albert Einstein. Per non dire dei disabili addirittura eliminati come «scarti», direbbe papa Francesco, dalle società più antiche («È ragionevolezza separare gli esseri inutili dai sani», scrisse Seneca teorizzando la necessità di annegare «anche i nostri figli, se sono venuti alla luce minorati o anormali») e giù giù fino a quelle di pochi decenni fa. Vedi le leggi eugenetiche giapponesi abolite completamente solo nel 1996 o la selezione assassina del programma Aktion T4 voluto da Adolf Hitler che autorizzò i medici nazisti, attenzione alle parole, a «concedere la morte per grazia ai malati considerati incurabili secondo l’umano giudizio». Ecco, offrendosi l’altra sera nel suo genio così grande e così gracile all’immenso pubblico di Sanremo, Ezio Bosso ha dato una bella picconata a quella lunga storia d’infamia. E una sberla a chi ancora oggi (avete presente Gasparri l’altra settimana?) usa la parola «handicappato» come un insulto o si avventura in spiritosaggini dissennate come ieri il blog spinoza.it: «È davvero commovente vedere come anche una persona con una grave disabilità possa avere una pettinatura da coglione». Al che il pianista ha risposto beffardo: «È perché cerco di pettinarmi da solo». Dieci a zero, palla al centro. Di più: il compositore ha dimostrato ancora una volta quanto possano avere senso le parole «diversamente abile». Non perché «politicamente corrette» o dettate da buona educazione ma perché hanno un significato pieno, denso, reale. Quanti «normodotati» troppo spesso così superficiali e sprezzanti con le persone fragili saprebbero a trasmettere l’arte, la poesia e le emozioni di «Following a Bird»? Pag 2 Lo spazio che si muove e s’increspa come un lago di Carlo Rovelli Cento anni dopo la teoria di Einstein l’annuncio in diretta mondiale sul web: abbiamo rilevato le onde gravitazionali Il mondo della fisica era in fibrillazione da settimane. Le regole del gioco, che servono per ridurre il rischio di falsi allarmi, imponevano riserbo fino all’annuncio ufficiale, e i colleghi tenevano la bocca cucita. Ma lo scintillio dei loro occhi li tradiva. In fondo è un Nobel praticamente certo. Ieri, in un’emozionante conferenza stampa seguita in diretta sul web nel mondo intero, è arrivato l’annuncio ufficiale: rilevate le onde gravitazionali. Per i fisici è un momento estatico. Fino al giorno prima, le uniche onde fondamentali osservate dall’uomo erano le onde elettromagnetiche, quelle di cui sono fatti i segnali radio e la luce. Ieri è stato osservato un altro tipo di onda. È come se dovessimo riscrivere la Genesi, sostituendo «Fiat lux» con «Fiat lux et gravitatis fluctus». Sono onde un po’ simili a quelle elettromagnetiche, ma anche qualcosa di diverso e strano: sono oscillazioni dello spazio. Lo spazio si increspa e oscilla come la superficie di un lago. L’aspetto più spettacolare di questa storia non è la stranezza della Natura, né la maestria degli scienziati che hanno costruito l’antenna capace di rilevare le onde di spazio. Quello che è straordinario è che noi conoscevamo l’esistenza di queste onde molto prima di vederle: la loro esistenza è predetta della relatività generale di Albert Einstein, di cui abbiamo appena festeggiato il centenario. Se la Natura benigna voleva onorare Einstein a cent’anni dalla sua teoria, ha trovato il modo più elegante. Difficile immaginare un’indicazione più chiara della forza di un pensiero che, appoggiandosi sugli

indizi e sulla ragione, è capace di vedere così lontano; tanto che occhi e mani hanno bisogno di un altro secolo per seguirlo. Per arrivarci, è stata necessaria una vasta collaborazione internazionale, dove gli italiani hanno - ancora una volta - un ruolo maggiore. Eravamo convinti che queste onde esistessero. Ma una cosa è essere convinti che esistano leoni. Un’altra è cercare un leone vero e guardarlo negli occhi. La differenza è ciò che chiamiamo «scienza». L’esistenza di queste «onde di gravità» è conseguenza del fatto che niente va più veloce della luce. La luce impiega otto minuti per arrivare dal Sole a noi. Se il Sole fosse spazzato via adesso, magari da una stella di neutroni che pazzia per la galassia (evento improbabile), che succederebbe nei successivi otto minuti sulla Terra? Risposta: niente. Perché non c’è modo qui di sapere che il Sole non c’è più, nessun messaggio ha avuto il tempo di arrivare. Ma la gravità del Sole tiene la Terra sulla sua orbita, quindi per otto minuti la Terra sarebbe ancora attratta dal Sole, anche se il Sole non c’è più! Nel corso di questi otto minuti, qualcosa deve viaggiare nello spazio, portando l’informazione che il Sole non c’è più, e l’attrazione del Sole deve spegnersi. Questo qualcosa, è un’onda gravitazionale: il propagarsi rapido di una minuta deformazione dello spazio. Le onde osservate ora dal Ligo (Laser interferometer gravitational-waves observatory: osservatorio di onde gravitazionali a interferometria laser) sono state prodotte da un evento catastrofico: lo sprofondare di due buchi neri uno nell’altro. Erano ciascuno pesante diverse decine di volte il Sole, e nel loro sfracellarsi spiraleggiando l’uno sull’altro hanno irradiato nello spazio una quantità di energia pari a tre interi «Soli» vaporizzati in pochi istanti. La violenza dell’evento ha prodotto onde che come uno tsunami galattico hanno viaggiato milioni di anni nello spazio interstellare e ora sono arrivate a sciabordare, indebolite, sulle nostre antenne. Un’antenna per osservare queste deformazioni dello spazio è semplice in linea di principio. Basta prendere due oggetti, due palle appese a un filo, e misurare con precisione la distanza fra loro. Un’onda gravitazionale fa cambiare, oscillare, la distanza, perché lo spazio si stira e si tira come un filo per stendere che oscilla al vento. Il problema è che il cambiamento è piccolo, e rilevarlo richiede ingegneria avanzatissima. Ligo misura la distanza fra due grandi masse sospese a distanza di qualche chilometro, per mezzo di un laser che rimbalza fra le due e fa interferenza con un secondo laser che rimbalza fra due masse disposte a novanta gradi. Per questo le antenne sono costruzioni con due lunghi bracci perpendicolari. Il leggero sfasamento fra i due bracci è quello che si misura. In Italia c’è una simile antenna presso Pisa, chiamata Virgo, parte integrante della vasta collaborazione che ha portato al risultato di ieri. Anche Virgo ha due bracci lunghi qualche chilometro. È uno spettacolo visitarli. Virgo non era accesa quando c’è stato l’evento celeste visto da Ligo, ma i fisici italiani che hanno costruito Virgo hanno giocato un ruolo essenziale. L’Italia è in primissima fila nel mondo e la ricerca delle onde gravitazionali è di antica tradizione da noi - risale alla lungimiranza di Edoardo Amaldi, allievo di Enrico Fermi, padre nobile della fisica italiana del dopoguerra e del dipartimento di Fisica a Roma - ed è stata condotta su molti fronti. Ricordo, studente a Trento, le esplorazioni artigianali e geniali di Massimo Cerdonio e Stefano Vitale che, forse troppo in anticipo sui tempi, provavano a usare i superconduttori come piccole antenne per rilevare le onde di spazio… Un briciolo di amarezza di non essere stati i primi a «vedere», ma anche per i fisici delle onde gravitazionali italiani è momento del trionfo: Virgo è, come Ligo, un macchina straordinaria che ora diventa un fantastico telescopio per osservare l’universo. Perché quello di ieri non è un punto di arrivo, è un punto di partenza: abbiamo aperto nuovi telescopi sull’universo. Siamo al punto in cui Galileo, dopo aver perfezionato il suo cannocchiale, è riuscito a usarlo per vedere il cielo. Quello che vedremo, nuovamente, ci stupirà. Alla costruzione di queste antenne hanno partecipato decine di fisici, tecnici, ingegneri, e torme di studenti. Per decenni. Nei primi anni Novanta ero giovane professore in America, e Richard Isaacson era venuto a Pittsburgh, dove insegnavo. Richard era il responsabile per la fisica della gravitazione della National science foundation, l’agenzia americana che assegna i fondi per la ricerca scientifica. Aveva appena deciso, in prima persona, come si usa in America, di investire fondi cospicui per Ligo. L’obiettivo era rilevare le onde in cinque anni. Io avevo manifestato perplessità. Lui, di passaggio da Pittsburgh, voleva capirne i motivi. Cenavamo assieme a un piccolo tavolo in uno di quei simpatici ristoranti etnici che costellano le zone universitarie americane. Mi chiese se avessi dubbi sull’esistenza delle onde gravitazionali. «Praticamente nessuno». Critiche al principio della misura? «No»,

tutto limpido. Allora? Le onde sono deboli, ricordo gli risposi, e prima che la tecnologia arrivi a vederle, passerà tempo. Gli chiesi cosa gli desse la convinzione che ci si potesse arrivare. La risposta fu netta: la fiducia in Kip Thorne. Kip è uno dei grandi relativisti. Lavorava a Caltech. È lo stesso Kip Thorne che ha partecipato alla scrittura del film Interstellar: merito suo se oggi anche l’uomo della strada si è convinto che sia possibile rincontrare la propria figlia, più anziana di sé. Qualche anno dopo, incontratolo a una conferenza, gli chiesi cosa gli avesse dato la sicurezza per convincere Isaacson della fattibilità della misura. Kip ha aspettato a lungo prima di rispondere, guardandomi negli occhi. Poi mi ha chiesto: «Secondo te non dobbiamo provarci?». Sono passati venticinque anni. Finalmente ho capito: aveva ragione Kip. Oggi abbiamo visto le onde gravitazionali. È un trionfo per la scienza, un ennesimo trionfo per Einstein, un trionfo per Thorne e Isaacson, e la loro scommessa da poker. È un trionfo per una piccola comunità di ostinati ricercatori, in America come in Italia, che ha passato la vita a costruire delle macchine fantastiche, con finanziamenti molto più piccoli di quelli del Cern, inseguendo un sogno: vedere onde di tipo completamente nuovo, che nessuno aveva mai visto prima. Un sogno basato su una fede strana, la fede che la ragione scientifica funzioni: che le deduzioni logiche di Einstein e della sua matematica siano affidabili. Solo che la fede nella ragione è una fede peculiare: una fede a cui non si crede davvero fino in fondo, si chiede sempre di controllare. Abbiamo controllato. Ci sono. È un grande giorno per la scienza. Per fortuna Isaacson non ha badato ai miei dubbi. LA REPUBBLICA Pag 1 Un confine da rispettare di Stefano Folli Il presidente della Cei, cardinale Bagnasco, ha superato la linea sottile che separa il diritto della Chiesa di esprimere valutazioni, esortazioni e moniti in assoluta libertà, specie su questioni etiche, dalla vera e propria ingerenza in questioni che riguardano solo il Parlamento. UN conto è dare voce al sentimento morale cattolico contro le unioni omosessuali, in particolare contro le adozioni; e persino sollecitare le resistenze di una parte consistente dell' opinione pubblica avversa alla nuova legislazione. In una società liberale questo è concesso, anzi è dovuto agli esponenti delle confessioni religiose. Ed è bene che sia così. Ma tutt'altro conto è intervenire nei meccanismi che regolano il processo di formazione delle leggi, addirittura stabilendo che il voto parlamentare deve essere segreto anziché palese. Una scelta spettante, come è noto, al presidente dell'assemblea, eventualmente d'intesa con i capigruppo. Senza dubbio non spetta a un'entità esterna, tantomeno a un'autorità religiosa da cui ci si attende semmai il massimo rispetto verso un delicato e per certi versi drammatico passaggio parlamentare. Bagnasco è noto come uomo di equilibrio, ma questa uscita non proprio felice tradisce il momento difficile della Chiesa, lacerata al suo interno più di quanto non si voglia ammettere per le conseguenze del pontificato "rivoluzionario" di Bergoglio. È tormentata la Chiesa, diviso il Parlamento, incerti o diffidenti molti cittadini. Non tanto nel merito delle unioni civili, ormai accettate dal sentire comune - e qui si potrebbe dire che il paese è più avanti di chi siede in Parlamento -, quanto sul controverso nodo delle adozioni. Passano i giorni, si rinvia l'inizio delle votazioni, ma non si vede un possibile punto d' incontro. Anzi, la tensione tende a crescere in Senato e certi fragili accordi dei giorni scorsi sono già saltati oppure non trovano concreta applicazione. Come lo scambio fra Pd e Lega: da un lato, la rinuncia di quest'ultima a mettere in votazione una massa esorbitante di emendamenti; dall'altro, una linea più aperta e meno intransigente del Pd su altri emendamenti sostanziali che non potranno essere cassati con espedienti di tecnica parlamentare. In altri termini, la matassa non si sbroglia e la prospettiva di una legge Cirinnà amputata di alcuni aspetti non secondari - le adozioni, appunto - oggi sembra plausibile, anche se non ancora probabile. È chiaro che le parole del presidente della Cei hanno l'effetto di esasperare gli animi. Il ricorso al voto segreto è una prassi legittima in Parlamento, sebbene limitata a circostanze ben definite. Un tempo serviva a proteggere il deputato o il senatore da rivalse e vendette del potere costituito, oggi che rischi non ce ne sono diventa spesso solo un alibi e una scomoda scappatoia. Lanciare il sasso e ritirare la mano, secondo un'immagine ben nota. La storia repubblicana insegna che l'evoluzione del costume e il rapporto fra cattolico e laici trae vantaggio da un confronto ragionevole, privo di estremismi di qualsiasi tipo. Non è detto quindi che

l'iniziativa della Cei, quella sottile linea rossa che è stata scavalcata dal presidente dei vescovi, sia destinata a produrre risultati utili per il punto di vista della Chiesa. Il senso religioso e morale di un paese non si esalta e non si cancella a seconda di come il Parlamento vota una legge della Repubblica. Ancor meno se questo o quell'emendamento viene approvato grazie allo scrutinio segreto che scava nelle inquietudini dei parlamentari. Se il voto deve essere di coscienza, esso merita di manifestarsi senza infingimenti. Altrimenti si tratterebbe di una coscienza molto debole. E quando la posta in gioco è etica, il primo a rifiutare una coscienza debole e irresoluta dovrebbe essere il cardinale Bagnasco. Pag 8 Unioni civili, lite con la Cei. Bagnasco: sì ai voti segreti. Il governo: non decide lui di Giovanna Casadio Roma. A suggello di una delle giornate che i laici in Parlamento giudicano tra le più brutte, per come si è svolto il dibattito sulle unioni civili, arriva l' invito del cardinale Angelo Bagnasco a favore del voto segreto sulla legge Cirinnà. Il presidente del Senato, Pietro Grasso mercoledì aveva annunciato che il criterio generale sarebbe stato quello di non abusare dei voti segreti, anzi di limitarli. Il presidente dei vescovi spinge nella direzione opposta e ammonisce affinché «la libertà di coscienza su temi fondamentali per la vita della società e delle persone sia, non solo rispettata, ma anche promossa con una votazione a scrutinio segreto». Un intervento a gamba tesa. Almeno così lo giudica lo stesso governo. Bagnasco parla a Genova, a margine della messa per la giornata del malato commentando la legge sulle unioni civili. Le agenzie di stampa rilanciano la dichiarazione. Passano pochi minuti e reagisce il sottosegretario ai Rapporti con il Parlamento, Luciano Pizzetti: «Le esortazioni sono giuste e condivisibili, ma come regolare il dibattito del Senato lo decide il presidente del Senato. Non il presidente della Cei». E un altro sottosegretario, Ivan Scalfarotto, in prima linea nella battaglia per le unioni civili, dà l’altolà: «Nessuno deve tirare il presidente Grasso per la giacchetta». A difenderlo ci pensa il centrodestra. Nell' aula del Senato è stato il giorno della bagarre e degli insulti. I senatori erano chiamati a illustrare gli emendamenti un po' alla rinfusa, poiché il voto è slittato a martedì prossimo e nel frattempo si tratta per evitare l'ostruzionismo. Ma i toni si alzano. Carlo Giovanardi, ultrà cattolico, interrompe l' illustrazione dei propri emendamenti per indicare «la provocazione di due gay in tribuna che si sono baciati». Al capogruppo del Pd, Luigi Zanda che chiede di smettere l'ostruzionismo, risponde la destra ritmando insulti: «Bastardo, fascista». É però sul senatore dem Sergio Lo Giudice e sulla sua storia di gay con un figlio che lo scontro assume la pesantezza dell'attacco personale. Lo conduce il forzista Maurizio Gasparri. In questo clima le riunioni e i tentativi di mediazione sono una strada tutta in salita. L'ex capo dello Stato, Giorgio Napolitano esprime le proprie perplessità e si spende per una mediazione, perché «non ci siano estremizzazioni tra laici e cattolici, credenti e non credenti». I cattodem si riuniscono all'ora di pranzo. Intorno al tavolo c'è anche il "pontiere" del Pd, Giorgio Tonini. Non affrontano la questione clou, ovvero la stepchild adoption, l'adozione del figlio del partner in una coppia gay, ma discutono del primo nodo che si presenterà a apertura d'aula martedì, ovvero l'emendamento "super canguro" del renziano Andrea Marcucci. I cattodem temono che così si blindi la legge Cirinnà, impedendo qualsiasi tipo di modifica. Ricevono la garanzia che sarà comunque riscritto. Se quindi la Lega non ritirerà i suoi trabocchetti, venendo meno - dicono i dem - al patto tra gentiluomini che era stato siglato, il "super canguro" di Marcucci ci sarà, ma limato in modo da non impedire di votare le proposte di modifica dei cattolici. Riunioni, incontri, colloqui anche oggi. L'articolo 5, quello sulla stepchild, sarà riscritto. Il dem Francesco Russo tiene i contatti anche con i 5Stelle, senza i quali la maggioranza per approvare la legge sulle unioni civili non c'è. Il compromesso sull'adozione passa per una restrizione della platea di coloro che possono vantare il diritto all' adozione del figlio del partner: in pratica una garanzia per i bimbi già nati. Inoltre si lavora per inserire nel testo un richiamo al divieto di utero in affitto. AVVENIRE Pag 1 Niente alibi di Marco Tarquinio

Qui si tratta di libertà di coscienza, e di buon diritto. Nessuno cerchi alibi. E nessuno tenti di nascondersi dietro il (presunto) dito “regolamentare” alzato del presidente della Cei. Il cardinal Bagnasco, ieri, nella sua Genova, è stato interpellato a proposito del ddl sulle unioni civili e l’adozione omosessuale e ha auspicato che in Parlamento «tutti », qualunque opinione abbiano, «possano esprimersi», facendo valere posizioni e obiezioni in assoluta «libertà di coscienza» visto che sono in discussione «temi fondamentali per la vita della società e delle persone ». Un augurio da pastore e da cittadino, che qualche politico, e persino qualche solitamente accorto membro del governo, ha tentato di trasformare in “diktat” su una (presunta) preferenza tecnica per il voto segreto d’aula. I modi del voto sono affare di chi presiede e compone il Parlamento. Ma il giudizio sull’operato di costoro compete a tutti noi. E la ferita aperta, ancora oggi, non sono certo gli autorevoli, rispettosi e democratici auspici di un vescovo, ma le disposizioni tese a limitare la libertà di coscienza dei senatori del Pd. I cattolici si aspettano dagli eletti consapevolezza, coerenza e trasparenza, altri – invece – inclinano agli ordini di scuderia. Lo ripetiamo per l’ennesima volta: “a ciascuno il suo”. E se davvero si vuole uscire dall’angolo dell’attuale brutto testo del ddl Cirinnà, si dia corpo a norme sulle unioni omosessuali («basterebbe un pomeriggio», dice il gran giurista Cesare Mirabelli) che rispettino persone e Costituzione. Pag 2 Gravità: orgogliosi e umili di Andrea Lavazza L’individuazione delle onde di Einstein. Il ruolo italiano È molto, ma molto più difficile che capire quanti capelli abbiamo perso correndo dentro una bufera di vento. Intercettare le onde gravitazionali, un secolo dopo la previsione di Albert Einstein, è stata un’impresa straordinaria in sé, oltre a consentire un passo da gigante nella comprensione del funzionamento del nostro universo. Gli interferometri che hanno intercettato i segni di una fusione tra buchi neri avvenuta un miliardo e mezzo di anni fa sono apparecchi semplici da un lato ed enormemente complessi dal-l’altro, per dire la cui sensibilità uno starnuto da qualche chilometro è per loro come una bomba atomica sopra le nostre teste. C’è addirittura una pattuglia di ricercatori-guastatori incaricato di creare false segnalazioni, per impedire che una perturbazione casuale tragga in inganno le migliaia di fisici coinvolti. E ancora una volta in questo gruppo di brillanti studiosi c’è una robusta pattuglia italiana. L’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) dagli anni Settanta è alla testa del progetto di lunga gittata che nello scorso settembre ha raggiunto un risultato quasi insperato del quale ieri è stata data ufficialmente conferma. Una nostra ricercatrice è tra gli autori dell’articolo che descrive l’esperimento e a Cascina (nel Pisano) si trova uno dei tre interferometri mondiali. Si rinnova così una tradizione di eccellenza, che va da Enrico Fermi e dai ragazzi di via Panisperna, i quali negli anni Trenta del secolo scorso diedero un impulso fondamentale alla fisica nucleare, fino a Fabiola Gianotti, oggi direttrice del Cern dove si è trovato il bosone di Higgs, l’inafferrabile particella che ha completato la 'descrizione standard' della materia. Che cosa siano le onde gravitazionali e quale sia l’importanza della scoperta è spiegato in dettaglio nell’inserto Agorà al centro del giornale, qui basti dire che sono un effetto della curvatura dello spaziotempo per come è delineata nella teoria della Relatività Generale che Einstein formulò nel 1915. Tenete un panno teso e appoggiategli sopra una biglia di ferro, ci sarà una deformazione che coinvolge sia lo spazio sia il tempo, le impercettibili increspature sono le deboli onde che corrono alla velocità della luce e che sono state rilevate negli Stati Uniti. Un modello che lo scienziato forse più geniale di tutti i tempi costruì sulla carta e che pezzo dopo pezzo è stato confermato dalle osservazioni sperimentali che le sue intuizioni hanno permesso di progettare. Com’è chiaro, le onde sono entità inosservabili, la cui esistenza è inferita da modificazioni degli strumenti. E questo rende la scoperta tanto più di valore (per la difficoltà di ideare e realizzare la prova) e affascinante (per l’idea di afferrare qualcosa che non vediamo né tocchiamo né sentiamo). Ma forse rende la scoperta anche un po’ misteriosa e lontana, tanto da farcela sottovalutare. In realtà, questa ulteriore 'occhiata alla carte di Dio', come diceva Einstein, ci deve rendere orgogliosi di quello che l’umanità ha saputo mettere in campo per l’aumento della sua conoscenza. E, infine, ci deve rendere anche più umili, nella consapevolezza di quanto poco ancora sappiamo del

cosmo e di quanto, noi tutti, potremmo meglio impiegare il patrimonio di conoscenza acquisita, anche quaggiù, dove tanto c’è ancora da fare per il bene dell’essere umano. Pag 6 Bagnasco: ci sia libertà di coscienza. E piovono attacchi dalla sinistra di Marco Iasevoli e Angelo Picariello Mirabelli: “”Via le adozioni, non spacchiamo il Paese. Si può fare legge seria con accordo largo”. L’ultimo appello alla sinistra e ai cattolici di Napolitano: si trovi un’intesa L’Aula del Senato immersa nel caos. Il Pd spaccato come mai, con il fronte contrario alle adozioni gay che cresce, travalica i confini dei cosiddetti 'cattodem' e vive con sempre maggiore fastidio sia il tentativo di restringere gli emendamenti sui quali esercitare la libertà di coscienza sia la minaccia di falcidiare la discussione con il 'canguro'. E le opposizioni - dalla Lega a M5S - che giocano al gatto con il topo calcolando ogni mossa al preciso scopo di evidenziare le fratture interne ai democratici. In questo scenario, in serata, arrivano da Genova, a margine della Giornata del malato, le parole del presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco: «Ci auguriamo che il dibattito in Parlamento e nelle varie sedi istituzionali sia ampiamente democratico, che tutti possano esprimersi, che le loro obiezioni possano essere considerate e che la libertà di coscienza su temi fondamentali per la vita della società e delle persone sia non solo rispettata ma anche promossa con una votazione a scrutinio segreto». Parole che sembrano ribadire la centralità che su un tema del genere deve esercitare la coscienza dei singoli senatori, mentre è forte il rischio che tutto si riduca a un braccio di ferro ideologico. È un intervento, quello di Bagnasco, che arriva nel momento in cui le minacce incrociate per piegare le diverse opinioni in campo superano ogni tentativo di confronto. Le reazioni della politica non tardano, e seguono lo schema classico. Il presidente della Cei viene tirato per la giacca dalle opposizioni di centrodestra contrarie in tutto o in parte al ddl-Cirinnà, che leggono le sue parole - è il caso del leghista Calderoli come un monito rivolto al presidente del Senato Pietro Grasso, che mercoledì non ha autorizzato il voto segreto sulla proposta di non procedere all’esame dell’articolato. Al contrario minoranza dem e Sel accusano il presidente della Cei di «ingerenza », di volersi «sostituire» alla seconda carica dello Stato. Anche il sottosegretario ai Rapporti con il Parlamento, l’esponente della minoranza pd Luciano Pizzetti, entra in polemica: «Le esortazioni sono giuste ma come regolare il dibattito lo decide il presidente del Senato e non quello della Cei. Ha travalicato il suo ruolo». Ovviamente tra chi contesta con maggiore forza ci sono i senatori della sinistra dem e di Sel che si sono spesi in prima persona per il disegno di legge, compreso il democratico Lo Giudice, che in una recente intervista tivù ha ammesso di esser ricorso con il suo compagno all’utero in affitto all’estero. Di segno opposto sono invece i commenti dei cattolici democratici presenti a Palazzo Madama e a Montecitorio. Sono in diversi, da Preziosi a Patriarca, a difendere il diritto di Bagnasco ad esprimere la propria posizione e a ricordare che «la libertà di coscienza non è un optional». Il dibattito che si scatena intorno al richiamo di Bagnasco a non forzare la coscienza dei senatori è solo l’ulteriore prova della semi-paralisi di Palazzo Madama. In mattinata in Aula è accaduto di tutto. Il patto Pd-Lega per tagliare gli emendamenti è ormai alla frutta, il capogruppo dem Luigi Zanda accusa il centrodestra di voler provare «l’ostruzionismo», entrando in polemica con il collega di Forza Italia Paolo Romani. Tra valutazioni politiche e di tecnica parlamentare i toni salgono. Gasparri accusa Lo Giudice di aver «comprato» un bambino e diversi senatori dem intervengono con durezza contro l’ex colonnello finiano. Giovanardi vede nel pubblico due uomini gay che, sostiene il senatore di Idea in Aula, provano a baciarsi per provocarlo (e per questo vengono allontanati dagli addetti). Cosicché nei commenti di diversi parlamentari quanto sta accadendo viene definito un «delirio». Nel merito la situazione resta ingarbugliata. Gli elementi politici nuovi sono l’intervento di Napolitano per «ricucire il Paese ». E il nuovo passo di M5S attraverso Carla Ruocco, deputata e membro del direttorio: «Voteremo il ddl anche senza l’articolo 5. E personalmente sarei favorevole a uno stralcio». Vuol dire, in concreto, una cosa: se i numeri non sono uno scherzo, ora c’è, potenzialmente, un’ampia maggioranza al Senato che voterebbe un testo in cui si correggono i richiami al matrimonio eterosessuale e si eliminano il comma 4 dell’articolo 3 e l’articolo 5. E più l’ala dura del Pd minaccia di usare il 'canguro' per spaventare chi è contrario all’adozione gay, più rischia di spaccare in due Senato e Paese.

«Siamo ancora in tempo per un accordo largo che non spacchi il Paese». Ne è convinto il presidente merito della Consulta Cesare Mirabelli. «Se c’è volontà basta un un pomeriggio », dice. Ma chiede a Matteo Renzi di scendere in campo per trovare una via d’uscita, sulle unioni civili. Partiamo dalla sentenza sulla coppia di Firenze che ha fatto ricorso all’utero in affitto all’estero. Che cosa aggiunge in questo dibattito? Questa sentenza del Tribunale di Firenze ha consentito a una coppia che ha fatto uso di questa pratica in Ucraina, di portare a termine quanto in Italia sarebbe vietato. E questo attraverso un atto di nascita redatto all’estero. Con il timbro finale di un tribunale italiano. Così il diritto diventa solo una formula vuota, come se il divieto non esistesse. Viene aggirato anche il divieto di sfruttamento, e di commercio sulla nascita di un bambino. E ciò spiega che cosa avverrebbe abitualmente se venisse approvato l’attuale testo sulle unioni civili. Sebbene qui si tratti di una coppia eterosessuale... Ma quando si parla di una coppia di omosessuali, se maschi, è evidente che un figlio se lo può procurare solo attraverso queste pratiche. Come è già avvenuto d’altronde. Da sinistra emergono nuove consapevolezze. Quasi a far rivivere il compromesso alto del testo costituzionale. È un invito a riflettere, a un ripensamento, per collocarsi nel solco profondo della Costituzione e della ragionevolezza: puntando a non spaccare il Paese, senza guardare a chi vince e a chi perde. Uno spazio di riflessione che andrebbe utilizzato da tutte le forze politiche. Quale via d’uscita indica? La strada è quella segnata dalla Corte Costituzionale. Le unioni civili sono una formazione sociale con fondamento solidaristico-affettivo che va tutelata, ma in modo diverso e distinto dal matrimonio. Con una disciplina puntuale, senza continui rinvii al diritto di famiglia. Poi sull’adozione c’è da decidere da che parte si sta. Se dalla parte della coppia che vuole un bambino o dalla parte del bambino. Se facciamo la scelta giusta la soluzione è facile. Togliendo i riferimenti all’adozione, già nell’articolo 3? Sarebbe saggio affrontare il tema nella sede più propria, dentro una legge di riforma dell’adozione e della tutela del minore. L’articolo 3 introduce una totale equiparazione con una serie di rinvii ai casi in cui nel codice si usa la parola coniuge e si stabilisce che da ora in poi dovrà essere aggiunta la 'parte dell’unione civile'. Il comma 4 poi introduce una chiusura, sull’adozione ordinaria, ma non sull’adozione speciale. A quel punto l’articolo 5 che regola la stepchild adoption diventa una specificazione non necessaria. Già l’articolo 3 la prevede, legittimando di fatto l’utero in affitto. Quindi il problema nasce già dai rimandi al matrimonio? Nasce dai tanti rinvii dell’articolo 3, anche a intere sezioni del codice. L’adozione ne scaturirebbe quasi automaticamente, o per via giurisprudenziale, specie con l’allargamento alle unioni della disciplina sulle adozioni speciali. Da un lato i 5mila emendamenti, dall’altro il canguro che li taglia tutti. Come si fa? Un tema del genere può diventare un braccio di ferro o un incontro di pugilato: 5mila emendamenti non sono una cosa seria, ma anche il 'canguro' presenta dubbi di lealtà costituzionale: le leggi vanno approvate articolo per articolo e poi nel loro complesso perché la discussione sia adeguata. Siamo ancora in tempo per correggere il tiro? Deponendo le armi ci può essere la seria volontà di esaminare i profili di costituzionalità, o almeno di problematicità che il testo contiene. Ma va corretto il simil-matrimonio e stralciata l’adozione... Con intelligenza e buon volontà ci può essere una disciplina appropriata delle unioni civili che non sia la fotocopia del matrimonio, rinviando a una sede diversa della discussione su adozioni e bambini. C’è ancora tempo? Se ci fosse buona volontà e intelligenza di scrittura bastererebbe un pomeriggio. Renzi lascia liberi i suoi. Ma, ripeto, serve buona volontà. Serve un’iniziativa politica, non solo dichiarazioni di principio. Per evitare soluzioni 'costrittive' su temi delicati che spaccano il Paese e anche

i singoli partiti. Non sarebbe intelligente. Un’iniziativa alta, invece, rafforzerebbe la sua autorevolezza di presidente del Consiglio e leader politico. Il cardinale Bagnasco ha difeso il voto segreto. La libertà di coscienza è sancita dal non vincolo di mandato, ma su temi così delicati la segretezza può garantirla maggiormente. Ciò detto gli attacchi a presunte ingerenze sono del tutto prive di fondamento, il presidente della Cei ha il diritto di esprimere la sua opinione. L’espressione «società naturale» riferita alla famiglia e inserita in Costituzione all’articolo 29, ha una paternità chiara. Che non è quella di un cattolico come La Pira o Dossetti, ma - ricordano le cronache del tempo - del leader storico dei comunisti Palmiro Togliatti. Aveva rotto il ghiaccio il presidente dell’istituto Gramsci, Beppe Vacca, aprendo alle ragioni del popolo della Famiglia, sceso in piazza al Circo Massimo. Mercoledì, poi, le parole forti di Anna Finocchiaro al Senato contro l’utero in affitto. Ma ecco scendere in campo, con i suoi 90 anni passati (un decimo dei quali passati sul Colle) Giorgio Napolitano. Ne fa un problema di unità del Paese, di riforme che si fanno mettendo una piazza contro l’altra: «Non ho difficoltà a manifestare la mia preoccupazione per un esito di tale discussione che possa vedere contrapposti aspramente settori politici pur favorevoli in principio al riconoscimento dei diritti delle coppie omosessuali e delle convivenze di fatto». Napolitano si fa interprete, chiaramente, anche delle raccomandazioni, informali, che dal Quirinale sono arrivate di mantenersi nell’ambito del dettato della sentenza del 2010. «La mia preoccupazione - spiega - nasce coerentemente dall’impegno istituzionale che ho svolto nell’interesse generale per la comprensione reciproca e il dialogo - al di fuori di qualsiasi estremizzazione - tra laici e cattolici, tra credenti e non credenti. Mi auguro perciò - conclude - che in questa fase finale del confronto in Senato sia possibile ancora un avvicinamento tra le diverse posizioni, attraverso il concentrarsi degli sforzi sul merito della legge, e in particolare sull’articolo 5, in vista di ogni possibile condivisa soluzione». IL GAZZETTINO Pag 1 Io, derubato di tutto sul vagone letto della vergogna di Giuseppe Pietrobelli Un tempo il vagone letto di prima classe era una specie di sancta sanctorum. Con sussiego il controllore chiedeva il documento di viaggio (non diceva il biglietto), poi ti accompagnava verso una cabina così accogliente da sfatare il pregiudizio di chi ritiene il treno comunque puzzolente e promiscuo. Un altro mondo rispetto alla seconda, una serie di loculi sovrapposti, odorosi come calzini bucati, variopinti come una casbah. Già, un tempo, l'Italia sui treni viaggiava così. Ma oggi che il Paese si è rimesso in moto - assicura il potere di turno - il medioevo della crisi è dietro le nostre spalle e la modernizzazione conosce ritmi inarrestabili, anche uno scompartimento può diventare il simbolo delle nostre insicurezze e paure, esperienza vivente nella giungla ove siamo ormai costretti a crescere. «Gli Intercity ti consentono di risparmiare tempo e denaro» promette pomposamente Trenitalia nell'eterna disfida commerciale con l'aereo, nel tentativo di portare la gente del Nord produttivo verso il Centro e il Meridione. Non credeteci. Per chi è salito indenne sul trenino dei tagliagole, che in Perù raggiunge il Titicaca, forse il più pericoloso al mondo, o ha attraversato l'India dentro bidonville in movimento, ammasso di razze e religioni, la tratta da Venezia-Mestre a Roma Termini dovrebbe essere una specie di Eden. Si sale, si parte, ci si stende placidamente sul letto dalle lenzuola di carta (non come ai bei tempi...) e poi ci si lascia dondolare nel tun-tun, tun-tun-tun, tun-tun che addormenta placidamente. Chi può immaginarsi che sia solo l'anticamera di un incubo che si materializza nel bel mezzo della notte? Alle 0.22 l'intercity 771 arrivato da Trieste e diretto al Sud ha lasciato la piattaforma di Mestre. Il controllore se n'è andato a dormire da un pezzo e anche il passeggero si è abbandonato al sonno, ignaro di chi si sta muovendo nell'ombra. Su due grucce sono stati appesi un giaccone, una giacca, una camicia e una cravatta. Ma intanto là fuori, in quel microcosmo viaggiante, sfacciatamente indifeso perchè privo di controlli e di tutele, c'è gente al lavoro. Che pianifica, studia ed è pronta a colpire. Alle 3.30 il buio della notte è illuminato da un bagliore, la porta della camera numero 31 viene spalancata con mossa furtiva. Previa forzatura della serratura, con una chiave probabilmente identica a quelle

in dotazione ai ferrovieri. Un lampo di coscienza, qualcuno è appena entrato e ha afferrato ciò che gli capitava a tiro, certo di trovarvi soldi a buon mercato. Il risveglio è repentino, ma il balzo oltre la soglia è attutito dal sonno, conosce sequenze felpate. Quindi, tardive. La giacca non c'è più, con tutto il più ovvio dei corollari di carte di credito, bancomat, bigliettoni di medio taglio, tessera sanitaria e codice fiscale. Un'intrusione in piena regola, ma non il gesto di un singolo disperato. Il furto con scasso è solo l'evidente applicazione di un metodo. Nella preparazione. Nella esecuzione. E nella fuga. Alla faccia delle garanzie di sicurezza del passato, quando il personale vegliava attento sul sonno di tutti. La corsa trafelata fino alla cabina del controllore dura poco, molto più lungo è il risveglio del lavorante. «Chiami la polizia». «Non ci sono agenti». Invece i ladri ci sono. «Vado a cercare il capotreno». Passano minuti cruciali, il corridoio che corre nella direzione opposta finisce di fronte a una doppia porta che si apre premendo un semplice pulsante. Al di là sì spalanca il mondo brulicante della notte in seconda classe, gente che staziona sui seggiolini, che satura gli scompartimenti, una piccola babele. In piedi un allampanato dalla barba incolta.«La giacca, dov'è la mia giacca?». «?!». Inutile chiamare la Polizia con il cellulare, sta ad Arezzo mentre il convoglio è a Prato. Con flemma arriva il controllore. »Faccia aprire le porte, faccia il suo lavoro. Controlli, cerchi il ladro e la refurtiva». Risposta serafica: «Non posso far aprire le borse, chiedere di mostrare cos'hanno nelle tasche...». Ha ragione. «...e poi hanno già buttato tutto dal finestrino e si sono tenuti i soldi». Ma cerchi beneddetuomo! Sollecitato, va nelle toilettes. Nulla. In seconda classe solo un muro di indifferenza. E nelle cabine vicine? Sorpresa. La numero 29 è occupata. Ma non dovrebbe. Due uomini sono seduti sul letto, non dormono, paiono appena entrati. Non hanno il biglietto. Ma non è una prova. «Ma lei non era in corridoio tre minuti fa?». «Sono andato in toilette». Nessuno controllava, nessuno ha chiuso l'accesso allo scompartimento. Un tempo il vagone letto era inaccessibile, oggi è peggio di un’autostrada. «Ma allora c'era una persona in ogni vagone, adesso sono solo». Ci risiamo con privatizzazione e personale all'osso, che si traduce in servizio scadente. Questa è l'Italia che corre. Chiunque può scassinare una porta in piena notte e far manbassa. Arriva anche il capotreno, donna, gentile, ma piuttosto inutile. «Tranquillo, da qui non scende nessuno, le porte sono tutte chiuse». Ma ad Arezzo e Terontola qualcuno scende. Anche la capotreno è inerme in questo pezzo di mondo dove ogni notte si combatte una guerra senza vincitori. «Ma lo sa che aprono e ci rubano i tablet?». E voi cosa fate? «Niente, ci portiamo appresso le borse». Treni da Terzo Mondo. Quando il 771 entra a Termini, solo un giaccone può coprire la giacca del pigiama. Così, impudicamente, come un barbone, si raggiunge la Polfer. La denuncia è litania senza speranze. «Sul treno a volte ci saliamo, ieri sera no» ammette candidamente l'agente. Grazie tante, e i ministri strombazzano sul controllo del territorio. Al posto assistenza di Trenitalia nessuno è attrezzato per prestare una camicia a un passeggero senza soldi. Per fortuna il vostro giornalista è atteso da una trasmissione in Rai. Attraversa mezza Roma in taxi, sempre con un mezzo pigiama addosso. Per fortuna la costumista di via Teulada trova giacca e camicia, che calzano a pennello. Ciak, in onda. E Magalli apre "I fatti vostri", dedicati a rievocare i misfatti di Unabomber. Ma quello almeno lo hanno cercato, senza trovarlo. Ai ladri sui treni delle nostre notti nessuno sembra dare la caccia. Pag 1 Massimo: Italia addio, scelgo il Paese delle tasse al 15% di Bruno Vespa Miami. Massimo si presenta impeccabile nella sua divisa bianca, cappellino e auricolare d’ordinanza. E’ il manager di spiaggia di un nuovissimo, grande albergo di South Beach a Miami e in un quarto d’ora mi fa capire che la distanza tra questa città e Roma è enormemente superiore agli 8337 chilometri segnalati dalle carte geografiche. Massimo ha 45 anni e non è dunque un giovane ‘cervello in fuga’ né un ragazzino venuto a tentare l’avventura nella metropoli delle tentazioni. Fino a quarant’anni ha lavorato in due aziende significative in Italia, dieci anni in ciascuna, raggiungendo responsabilità manageriali. Poi ha pensato che il futuro ch sognava era altrove e ha accettato l’invito di amici di trasferirsi qui. “Ma non so l’inglese” – aveva obiettato, ricordando che la sua area di lavoro era stata sempre l’Italia. Lo imparerai, gli avevano risposto, a patto che all’inizio accetti di adattarti. Massimo si è adattato e ha cominciato a tagliare mozzarelle in una pizzeria. A quarant’anni. Ha capito subito che la qualità degli italiani “è

enormemente superiore alla media di qui” e taglio dopo taglio ha fatto subito carriera. Prima nella pizzeria, poi collaborando all’apertura di uno dei ristoranti più trendy di Miami. Vedendolo muoversi con grande disinvoltura tra i tavoli e dare disposizioni al personale, un ricco cliente venuto da Filadelfia gli ha dato il suo biglietto da visita: “Quando si è stancato di stare qui, mi chiami e l’assumo”. Massimo non voleva muoversi da Miami ed è stato assunto da una grossa società che gestisce la spiaggia per quasi tutti gli alberghi di lusso di Miami Beach. Qui non funziona come da noi, con una selva di ombrelloni attaccati gli uni agli altri. La distanza tra le strutture non è inferiore ai cento metri e le file di ombrelloni sono una, due al massimo. Massimo guadagna 4000 dollari al mese lordi e paga il 15 per cento di tasse. Quando il commercialista gli chiede i costi di auto, telefono, vestiario per portarli in detrazione, scopre di essere in credito. “Una settimana dopo aver presentato la denuncia dei redditi – racconta – mi è arrivato un assegno di 70 euro: il fisco mi rimborsava quanto non dovuto”. Massimo ha una eccellente assicurazione sanitaria che lo copre completamente e paga 450 dollari al mese. Anche così, gli restano 3200 dollari da tenere in tasca. La sua compagnia ha coperto il business a Miami Beach e vuole allargarsi ad aree più esclusive della costa. Ha chiesto a Massimo la disponibilità a spostarsi di cento minuti di automobile e lui ha accettato perché gli piacciono le nuove avventure e perché il suo stipendio crescerà. L’inglese è ormai a posto (“ma se scrivo una mail faccio ancora qualche piccolo errore”) favorito dal matrimonio con una donna americana. Nessun desiderio di tornare in Italia. “E’ il paese più bello del mondo, ma….”. Ecco, sta tutto in quel “ma” . Con una aliquota fiscale del 15 per cento, a chi viene in mente di evadere? Anche perché qui il fisco, sollecito con i rimborsi, è inflessibile con le sanzioni. Finire in prigione è facile. Personalmente ritengo che una ‘flat tax’ al 15 per cento in Italia sia per il momento improponibile. E non trovo equo che non ci sia una certa progressività delle imposte. Ma se l’aliquota minima fosse del 20 per cento e quella massima del famoso 33 per cento promesso nel 2001 da Berlusconi e mai attuato – con sanzioni terribili per chi evade – il fisco incasserebbe di più, i consumi crescerebbero, la disoccupazione diminuirebbe e saremmo un paese felice, oltre che bello. Perché non provare? Pag 1 Quelle fantastiche sonde per esplorare mondi inaccessibili di Massimo Capaccioli Lo si sapeva da settimane. La voce, appena sussurrata come fosse un pettegolezzo piccante, è passata d'ufficio in ufficio, da un'università all'altra f acendo rapidamente il giro del mondo. Un segreto di pulcinella ufficializzato ieri da un comunicato stampa concertato tra Washington e Pisa: è stato finalmente registrato un segnale attendibile di onda gravitazionale. Se Albert Einstein fosse ancora in vita – cosa poco probabile visto che avrebbe la bellezza di 137 anni! – di certo ne sarebbe entusiasta. Un secolo fa, il fisico tedesco, ormai famoso per un rosario di brillanti teorie, dava alle stampe la più importante di tutte, quella della relatività generale. Dopo soli tre anni le predizioni di questo nuovo approccio al concetto di gravità elaborato da Newton, e riscritto nell'ambito della relatività speciale che pretende l'unificazione dello spazio con il tempo e assegna alla luce una velocità immutabile e invalicabile, poteva già vantare un prima verifica. «Se ho ragione, in Germania diranno che sono tedesco, e in Francia che appartengo al mondo. Sennò i francesi diranno che sono tedesco e i tedeschi che sono ebreo», scriveva Albert alla madre, ansioso del verdetto. Preoccupazione inutile. Da allora tutto è andato in discesa per questa sua creatura che lega e fa dipendere l'un dall'altro l'attore e il suo palcoscenico, cioè la materia e lo spazio-tempo che la accoglie. L'una modifica la geometria dell'altro e questo influenza le traiettorie della materia, in un do ut des formulato matematicamente che è parte dei mali di testa degli studenti di fisica e che sembrerebbe essere il manuale d'istruzioni del cosmo per procedere, pochi attimi dopo il Grande Scoppio, al governo dei suoi ingredienti. Eppure, dopo tanti esami passati con lode, alla relatività mancava ancora la validazione di un importante tassello: la previsione di un comportamento dinamico dello spazio-tempo in presenza di masse accelerate. L'idea è questa. Tutti sanno che una carica elettrica in movimento accelerato genera onde elettromagnetiche che si propagano nello spazio. È così, per esempio, che vengono prodotti i segnali dei telefonini. Per le masse soggette a forti accelerazioni Einstein aveva previsto un caso apparentemente simile, cioè l'instaurarsi di

un'increspatura in movimento nello spazio-tempo. Le differenze tra i due fenomeni sono molteplici, però. Mentre nella teoria classica dell'elettromagnetismo lo spazio in cui si svolge l'evento è una sorta di fondale preesistente e inalterabile, nella emissione di onde gravitazionali lo spazio-tempo interagisce con l'oscillatore. La conseguenza è una trattazione fisico-matematica più complessa, che scoraggia i non addetti ai lavori. La gravità, poi, è capricciosa. Perché il segnale si produca, c'è bisogno che il complesso delle masse in gioco sia asimmetrico: problema che le cariche elettriche non hanno. E finalmente, mentre la radiazione descritta dalle equazioni di Maxwell viaggia sempre con lo stesso passo, qualunque cosa facciano la sorgente e l'osservatore, la velocità con cui lo tsunami gravitazionale si trasmette non è fissata a priori: anzi, è un ghiotto parametro da determinare con le osservazioni, si diceva, sempre che qualcuno riesca a vederle, queste benedette onde. Da qui la caccia iniziata alcuni decenni fa anche qui da noi da autentici pionieri: gente che sapeva di lavorare per aprire la strada al futuro. Per i cacciatori di onde gravitazionali il problema è che il metro per misurarle si deforma insieme allo spazio-tempo: come se, in aereo, voleste sapere a che quota siete basandovi sulla vostra distanza dal pavimento. Niente panico, però. Il risultato si raggiunge egualmente confrontando due righelli tra loro perpendicolari prima e durante il passaggio dell'onda. Nella pratica il marchingegno è una coppia di lunghissime piste su cui va avanti e indietro un raggio laser in condizioni ottimali, perché la differenze da apprezzare sono davvero molto molto piccole. Di questi laboratori specializzati ce n'è uno anche in Italia, vicino a Pisa, frutto di una collaborazione tra il nostrano Infn e l'analogo francese. Forse tra qualche anno ce ne sarà un altro, gigantesco, nello spazio interplanetario. Perché tanto sforzo? Perché siamo fatti per «servir virtute e canoscenza» e perché le onde gravitazionali sono una fantastica sonda per esplorare corpi sinora inaccessibili, come i buchi neri, una coppia dei quali, litigando di brutto, ha causato il segnale appena scoperto. Ma anche nel convincimento, sempre verificato, che l'avanzamento del sapere è strumento di progresso sociale e civile. Speriamo che chi ci governa finalmente lo capisca e realizzi che non si possono fare le nozze coi fichi secchi! Pag 6 “Unioni civili, voto segreto”, bufera sull’appello dei vescovi di Diodato Pirone Colpi bassi. Toni alti. Bagarre in Senato con polemiche spesso di terz'ordine. Sul fronte delle Unioni Civili, la giornata di ieri è stata segnata soprattutto da forzature ed eccessi, talvolta ai limiti della provocazione. Energie profuse a dispetto dell'umore degli italiani che non sembra così teso su questo tema e a dispetto dei tempi del dibattito che - placidamente - riprenderà nel pomeriggio di martedì prossimo. A dare il ”la” alle polemiche è stato il cardinale Angelo Bagnasco, segretario della Cei che ha chiesto ai senatori di esprimersi con il voto segreto. «Ci auguriamo che il dibattito in Parlamento e nelle varie sedi istituzionali sia ampiamente democratico, che tutti possano esprimersi, che le loro obiezioni possano essere considerate e che la libertà di coscienza su temi fondamentali per la vita della società e delle persone sia, non solo rispettata, ma anche promossa con una votazione a scrutinio segreto», ha detto Bagnasco. Immediata (e irritata) la risposta da parte del governo. Per il sottosegretario ai Rapporti con il Parlamento, Luciano Pizzetti: «Le esortazioni sono giuste e condivisibili, ma come regolare il dibattito del Senato lo decide il presidente del Senato. Non il presidente della Cei». E la vicepresidente del Senato, Valeria Fedeli, chiede «rispetto per le istituzioni repubblicane». Sul fronte opposto, Roberto Calderoli invita proprio Grasso a «riflettere sulle parole del presidente Cei». L'esame degli emendamenti sulle Unioni civili, che l'altro ieri ha superato il primo voto con 195 favorevoli, ieri è stato molto duro. Il Pd ha proposto di esaminare le modifiche nel loro insieme e non articolo per articolo, un'idea stroncata dall'opposizione come totalmente fuori dal regolamento. Molto pesanti alcuni interventi nei confronti del Pd, accusato di voler prendere tempo solo per risolvere i problemi interni al gruppo. La replica alle accuse è toccata al capogruppo Luigi Zanda, altrettanto puntuto: «Questi sono atteggiamenti ostruzionistici. Noi vogliamo la legge, se pensate di tenerci qui mesi a discutere sbagliate». Nel corso del dibattito non sono mancate cadute di stile. Il centrista Carlo Giovanardi ha ”denunciato” un bacio gay fra gli spettatori in tribuna. E Maurizio Gasparri, di Forza Italia, parlando della pratica dell'utero in affitto ha attaccato il senatore del Pd Sergio Lo Giudice, che si è sposato in Norvegia

circa 5 anni fa e nella coppia, dopo tre anni, è arrivato anche il figlio del compagno. «Lo Giudice ci dica quanto lo hanno pagato», gli ha chiesto Gasparri fra i rimbrotti del presidente di turno Roberto Calderoli e le proteste dei senatori Pd che hanno ribadito di considerare meschini e non legittimi gli attacchi personali. L'esame del testo sulle Unioni Civili riprenderà martedì, alle 16, con l'avvio delle votazioni sugli emendamenti all'articolo 1. Le 5.000 proposte di modifica della Lega non sono state ritirate così come resta in piedi l'emendamento ”supercanguro” del democrat Marcucci destinato ad asfaltare tutte le proposte di modifica, considerato un «colpo di mano» dal Comitato per il Family Day. LA NUOVA Pag 8 I vescovi chiedono il voto segreto di Maria Berlinguer L’intervento del cardinal Bagnasco scatena polemiche. “La Chiesa rispetti le istituzioni repubblicane” Sulle unioni civili è ormai scontro tra Cei e le istituzioni del nostro Paese per un duro intervento della Cei che con Angelo Bagnasco chiede il voto segreto. «Chiedo rispetto delle istituzioni della Repubblica perché abbiamo regole e sedi per prendere tutte le decisioni che servono», replica la vicepresidente del Senato, Valeria Fedeli. E’ una giornata davvero campale per il ddl Cirinnà con la rivolta delle opposizioni e gli insulti prima di Giovanardi, poi di Gasparri, feroci oppositori della legge e l’affondo del presidente della Cei. «Ci auguriamo che il dibattito i Parlamento sia ampiamente democratico, che tutti possano esprimersi, che le loro obiezioni possano essere considerate e che possa essere promossa con una votazione a scrutinio segreto». Cortese nei toni ma ferma le replica del governo. «Come regolare il dibattito parlamentare lo decide il presidente del Senato, non il presidente della Cei», commenta il sottosegretario ai Rapporti con il Parlamento, Luciano Pizzetti. «Bagnasco non tiri per la giacchetta il presidente Grasso», rincara Ivan Scalfarotto. Ma è in Aula che capita di tutto. Il Pd chiede di procedere alla illustrazione delle modifiche alla legge non articolo per articolo ma esaminandole tutte insieme, una prassi, accusa l’opposizione, non prevista dal regolamento. E la minoranza insorge. Il Pd vuole allungare i tempi della discussione per risolvere i problemi interni, è l’accusa. E in effetti problemi in casa ci sono e sono crescenti visto che non sono più solo i catto-dem ad avere perplessità sulla stepchild adoption ma anche laici con Giorgio Napolitano. Anche il grillino Castaldi è perplesso sull’iter proposto dal Pd. Con questi giochi d’Aula il Pd sembra «voler affossare la legge», dice. Dura la replica di Luigi Zanda. «Questi sono atteggiamenti ostruzionistici, noi vogliamo la legge se pensate di tenerci qui mesi a discutere sbagliate», avverte il capogrppo dem. La situzione degenera. «Bugiardo», tuona Carlo Giovanardi. Il senatore di Idea si scaglia anche contro la tribuna: «Provocano e tentano di baciarsi tra loro», dice. «Ma sei ossessionato!, sbotta la senatrice Valeria Cardinali. «Si baciano per provocare i senatori, occorre decoro in Aula», riprende Giovanardi. «Purtroppo non ci siamo baciati, Giovanardi ormai sogna baci ovunque», giura più tardi Andrea Maccarone, esponente Lgbt. Molto più pesante è Maurizio Gasparri che si scaglia contro il senatore del Pd, Sergio Lo Giudice che in un’intervista ha raccontato di avere un figlio grazie all’utero in affitto. I figli non si coprano, tuona, poi lo interroga «sul costo dell’acquisto del famoso bambino comprato». Lo Giudice lascia l’aula, «Non ti permettere», grida. Insorge tutto il gruppo Pd. Ma Gasparri tira dritto: «La legge per comprare i a bambini non si può fare, i bambini non si comprano perché altrimenti si possono anche vendere». In Aula è il senatore dem Francesco Russo a replicare. «Attacchi personali, lesivi della dignità della persona, ci si è abbassati al livello di tirare in ballo in bambini». Quanto al ddl Cirinnà si riprende martedì. Fallita la mediazione Pd-Lega i dem sono pronti a giocare la carta dell’emendamento canguro per azzerare i 6mila emendamenti di Andrea Marcucci. Torna al sommario