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Il libro

Lara Jean non si aspettava di innamorarsi davvero di Peter. All’inizio era solo una recita per far ingelosire qualcun

altro. E invece, alla fine, quello che fingevano di provare si è trasformato in una storia d’amore. Una storia vera, di

quelle che possono spezzare il cuore.

Naturalmente Lara Jean pensa che sarà lei a farsi male, che un giorno Peter tornerà con la sua ex. Poi però un

ragazzo proveniente dal passato arriva a scombussolare le sue certezze.

Una ragazza può amare due ragazzi?

A volte innamorarsi è la parte più semplice dell’amore.

L’autrice

Vive a Brooklyn, New York, dove ha frequentato la New

School ottenendo un Master in Scrittura Creativa. Adora la serie Buffy l’ammazzavampiri, la torta di mirtilli e le

calze al ginocchio. P.S. Ti amo ancora è l’attesissimo seguito diTutte le volte che ho scritto ti amo, pubblicato da

Piemme dopo la trilogia di L’estate nei tuoi occhi.

Jenny Han

P.S. Ti amo ancora

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A Logan.

Ti ho appena conosciuto e già ti voglio bene.

Era contenta che la sua casetta accogliente,

la mamma, il papà, il caminetto acceso e la musica

fossero lì con lei, nel presente. Era impossibile

dimenticarli, pensò, perché il presente è adesso.

Non può mai essere lontano nel tempo.

LAURA INGALLS WILDER, La piccola casa nei grandi boschi

Il tempo è la distanza più grande tra due luoghi.

TENNESSEE WILLIAMS, Lo zoo di vetro

Caro Peter,

mi manchi. Sono passati solo cinque giorni, ma mi manchi come se fossero cinque anni. Forse perché non so se le

cose potranno mai cambiare, se io e te torneremo mai a parlarci. Cioè, sono sicura che ci saluteremo a lezione, o nei

corridoi, ma tra noi tornerà mai come un tempo? È questo a rendermi triste. Sentivo di poterti raccontare tutto.

Penso che tu provassi lo stesso. Lo spero.

Dunque ti dirò tutto anche adesso, prima che perda il coraggio di farlo. Quello che c’è stato tra noi nella vasca

idromassaggio mi ha spaventata. So che per te non è stato niente di straordinario, ma per me ha significato molto,

ed è questo ad avermi spaventata. Non solo il fatto che la gente abbia messo in giro brutte voci a riguardo, e su di

me, ma il fatto stesso che sia successo. Che sia stato tutto così naturale, e che mi sia piaciuto. Mi sono spaventata e

me la sono presa con te, e di questo ti chiedo scusa.

E poi mi dispiace di non averti difeso dagli attacchi di Josh alla festa. Avrei dovuto. Te lo meritavi. Non riesco ancora

a credere che tu sia venuto e che tu abbia anche portato quei biscotti con la frutta secca. Sai, eri così carino con

quel maglione. E non lo dico per rendermi simpatica. Lo penso sul serio.

A volte i sentimenti che provo per te sono così forti da diventare insopportabili. Mi inondano fino a traboccare. Mi

piaci da impazzire. Quando so che sto per vederti, il cuore inizia a battermi forte. E poi, quando mi guardi in quel

modo, mi sento la ragazza più fortunata del mondo.

Le cose che Josh ha detto su di te non sono vere. Tu non mi hai fatto soffrire, anzi, mi hai aperto un mondo. Mi hai

regalato la mia prima storia d’amore, Peter. Ti prego, non lasciarla finire.

Con amore, Lara Jean

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Kitty non fa che lamentarsi da quando si è svegliata, e sospetto che Margot e papà soffrano dei postumi della

sbornia di Capodanno. E io? Ho gli occhi a cuoricino e una lettera che brucia nella tasca del cappotto.

Mentre ci mettiamo le scarpe, Kitty sta ancora cercando una scusa per non indossare il vestito tradizionale coreano

per fare visita alla zia Carrie e lo zio Victor. «Guardate le maniche! A me arrivano a tre quarti!»

Con aria poco convincente, papà ribatte: «È così che devono stare».

Kitty indica me e Margot. «Allora perché a loro le maniche stanno bene?» La nonna ci ha comprato

gli hanbok l’ultima volta che è stata in Corea. Quello di Margot ha una giacca gialla e una gonna verde mela. Il mio

è di un rosa acceso, con una giacca avorio e un lungo fiocco con fiori ricamati sul davanti. La gonna è voluminosa,

rigonfia, e scende fino a terra. A Kitty, invece, arriva alle caviglie.

«Non è colpa nostra se tu cresci a vista d’occhio» dico io, mentre mi affanno a fare il fiocco. Il fiocco è la parte più

difficile da sistemare. Ho dovuto guardare varie volte un video su YouTube per capire come farlo, eppure è ancora

floscio e sbilenco.

«Anche la gonna è troppo corta» borbotta Kitty sollevando l’orlo.

La verità è che mia sorella odia indossare l’hanbok perché ti obbliga a camminare con garbo e a tenere la gonna

chiusa con una mano, altrimenti si apre.

«Lo indosseranno anche i vostri cugini, e la nonna ne sarà felice» dice papà massaggiandosi le tempie. «Fine della

discussione.»

In macchina Kitty continua a ripetere: «Io odio il primo dell’anno», mettendo di cattivo umore tutti tranne me.

Margot ha già la luna storta perché ha dovuto lasciare il rifugio di montagna all’alba per rientrare a casa in tempo.

C’è anche la questione della probabile sbornia. Niente può riuscire a mettere me di cattivo umore, invece, perché

io non sono neppure in quell’auto. Ho la mente altrove, concentrata sulla lettera per Peter. Mi sto domandando se

sia abbastanza sentita, come e quando consegnargliela, quale sarà la sua reazione e come andrà a finire. Devo

lasciargliela nella cassetta della posta? Oppure nell’armadietto? Quando lo vedrò, mi sorriderà e farà una battuta

per alleggerire l’atmosfera? Oppure farà finta di non averla mai letta, per risparmiare a entrambi l’imbarazzo?

Penso che la seconda opzione sarebbe la più dura da sopportare. Mi sforzo di rammentarmi che Peter, nonostante

tutto, è gentile e alla mano, e non si comporterebbe mai in modo crudele. Di questo posso essere certa.

«A cosa pensi?» mi chiede Kitty.

La sento a malapena.

«Pronto? Ci sei?»

Chiudo gli occhi e fingo di dormire, e appare subito l’immagine di Peter. Non so cosa voglio esattamente da lui, che

tipo di rapporto voglio – se una storia d’amore seria o quella che avevamo prima, fatta di divertimento e qualche

bacio, oppure una via di mezzo – ma so che non riesco a togliermi dalla mente il suo bellissimo viso, il sorrisetto

che fa mentre pronuncia il mio nome, il modo in cui a volte mi toglie il fiato quando mi è vicino.

Ovviamente, quando arriviamo a casa degli zii, nessuno dei cugini indossa l’hanbok, e Kitty diventa paonazza dalla

rabbia. Anche io e Margot lanciamo a papà un’occhiataccia. Non è molto comodo indossare tutto il giorno

l’hanbok. Poi, però, la nonna mi rivolge un sorriso di approvazione che compensa ampiamente il fastidio.

Mentre ci togliamo le scarpe e i cappotti nell’ingresso, sussurro a Kitty: «Chissà, forse gli adulti ci daranno più soldi,

visto che ci siamo messe il vestito tradizionale…».

«Come siete carine!» esclama la zia Carrie abbracciandoci. «Haven si è rifiutata di indossare il suo!»

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Haven alza gli occhi al cielo. «Bel taglio di capelli» dice a Margot. Tra me e Haven ci sono solo pochi mesi di

differenza, ma lei si considera molto più grande di me. Cerca sempre di farsi amica Margot.

Per prima cosa risolviamo il rito dell’inchino. Nella cultura coreana il primo dell’anno ci s’inchina davanti ai familiari

più anziani, augurando buon anno e in cambio si ricevono soldi. Si va dai più anziani ai più giovani; dunque,

essendo la più vecchia, la nonna si siede sul divano per prima, e all’inizio si inchinano la zia Carrie e lo zio Victor,

poi papà, e uno dopo l’altro tutti gli altri, fino ad arrivare a Kitty, che è la più piccola. Quando tocca a papà sedersi

sul divano e ricevere gli inchini, c’è un posto vuoto accanto a lui, come sempre da quando è morta la mamma. Mi

dà una fitta al cuore vederlo seduto da solo, con un sorriso coraggioso e dieci dollari in mano. La nonna incrocia di

proposito il mio sguardo e so che sta pensando la stessa cosa. Quando tocca a me inchinarmi, mi inginocchio, le

mani giunte davanti alla fronte, e giuro che l’anno dopo non vedrò di nuovo mio padre da solo su quel divano.

Riceviamo dieci dollari dagli zii Carrie e Victor, dieci da papà, dieci dagli zii Min e Sam, che in realtà non sono nostri

zii ma cugini di secondo grado (o si dice biscugini? Ad ogni modo, sono i cugini di mia mamma) e venti dollari dalla

nonna! Non perché abbiamo indossato l’hanbok, ma tutto sommato è un buon incasso. L’anno prima gli zii ci

avevano dato solo pezzi da cinque.

Dopo mangiamo la zuppa di riso, che porta fortuna. La zia Carrie ha anche preparato le polpette di fagioli e insiste

a farcene assaggiare almeno una, anche se nessuno ne vuole. I gemelli, Harry e Leon (i nostri cugini di terzo grado?

O triscugini?) si rifiutano di mangiare la zuppa di riso e le polpette di fagioli, preferendo crocchette di pollo davanti

al televisore. Non c’è abbastanza posto a tavola, così io e Kitty restiamo in cucina. Da là sentiamo gli altri ridere.

Quando inizio a mangiare la zuppa, esprimo un desiderio. Ti prego, fa’ che tra me e Peter le cose si sistemino.

«Perché a me è toccata la ciotola più piccola?» sussurra Kitty.

«Perché sei la più piccola.»

«Perché non hanno dato anche a noi una ciotola di kimchi?»

«Perché la zia Carrie pensa che non ci piaccia, visto che siamo coreane solo per metà.»

«Va’ tu a fartelo dare» mi dice mia sorella a bassa voce.

Obbedisco, principalmente perché anche a me va di mangiarlo.

Mentre gli adulti bevono il caffè, Margot, Haven e io saliamo in camera di Haven, e Kitty si aggrega. Di solito lei

gioca con i gemelli, ma stavolta prende in braccio lo Yorkshire della zia Carrie, Smitty, e ci segue al piano di sopra.

Ormai si sente grande.

Haven ha poster di gruppi indie alle pareti; per me sono quasi tutti sconosciuti. Li cambia in continuazione. Ce n’è

uno nuovo, una stampa in rilievo dei Belle and Sebastian. «Fantastico» dico io.

«Ho intenzione di toglierlo» replica Haven. «Puoi prenderlo, se ti va.»

«Non importa» dico. So che me lo sta offrendo solo per mostrarsi superiore, come suo solito.

«Lo prendo io» esclama Kitty, e Haven si acciglia per un secondo, ma mia sorella sta già staccando il poster dalla

parete. «Grazie, Haven.»

Margot e io ci guardiamo trattenendo un sorriso. Haven non ha mai avuto molta simpatia per Kitty, e il sentimento

è assolutamente reciproco.

«Margot, sei stata a qualche concerto da quando vivi in Scozia?» chiede Haven. Si lascia cadere sul letto e apre il

portatile.

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«Per la verità, no. Sono stata molto presa dallo studio.»

Margot non è molto appassionata di concerti, ad ogni modo. Sta controllando il cellulare; ha la gonna

dell’hanbok aperta come un ventaglio. È l’unica di noi Song a essere ancora tutta vestita. Io mi sono tolta la giacca,

dunque ho solo la sottoveste e la gonna; Kitty si è tolta giacca e gonna, per cui indossa solo una canottiera e un

paio di mutandoni.

Mi siedo sul letto di fianco a Haven, per farmi mostrare le foto della loro vacanza alle Bermuda su Instagram.

Mentre le scorre, appare una foto della gita sulla neve. Haven fa parte della Charlottesville Youth Orchestra, perciò

conosce persone di molte scuole diverse, compresa la mia.

Non riesco a frenare un sospiro quando la vedo: la foto di alcuni di noi sul pullman l’ultima mattina. Peter ha il

braccio sulle mie spalle, mi sta sussurrando qualcosa. Purtroppo non ricordo cosa.

Sorpresa, Haven alza gli occhi e mi chiede: «Ehi, questa sei tu, Lara Jean. Dov’è stata scattata questa foto?».

«Durante la gita in montagna.»

«Quello è il tuo ragazzo?» mi chiede, e mi accorgo che è colpita, anche se cerca di nasconderlo.

Mi piacerebbe poter rispondere di sì. Ma…

Kitty si accosta a noi e guarda lo schermo. «Sì. È il ragazzo più figo che tu abbia mai visto in vita tua, Haven.» Lo

dice con tono di sfida. Margot, che stava guardando il cellulare, alza gli occhi e ridacchia.

«Be’, non è proprio così» dico io evasiva. Voglio dire, Peter è il ragazzo più figo che abbia mai visto in vita mia, ma

non so con che genere di gente Haven vada a scuola.

«Kitty ha ragione, è figo» ammette Haven. «Come siete finiti insieme? Ehm, non offenderti, ma pensavo tu fossi il

tipo che non si interessa ai ragazzi.»

Mi acciglio. Per chi mi ha presa? Per una che sta in casa tutto il giorno ad ammuffire?

«Lara Jean frequenta un sacco di ragazzi» interviene Margot per difendermi.

Arrossisco. Io non esco mai con nessuno, Peter non so nemmeno se posso ancora contarlo, ma sono contenta di

quella bugia.

«Come si chiama?» mi chiede Haven.

«Peter. Peter Kavinsky.» Anche solo pronunciare il suo nome è un piacere, un qualcosa da assaporare, come un

pezzo di cioccolata che si scioglie in bocca.

«Oooh» esclama lei. «Pensavo fosse fidanzato con quella bionda molto carina. Come si chiama? Jenna? Tu e lei

non eravate migliori amiche da piccole?»

Provo una fitta al cuore. «Si chiama Genevieve. Un tempo eravamo amiche, ora non più. E lei e Peter si sono

lasciati da un po’.»

«Allora da quanto state insieme?» mi chiede Haven. Ha uno sguardo dubbioso, come se al novanta per cento mi

credesse, ma avesse ancora un dieci per cento di dubbio.

«Abbiamo iniziato a frequentarci a settembre.» Almeno questo è vero. «In questo momento non stiamo insieme; ci

siamo presi una specie di pausa… ma… io sono ottimista.»

Kitty mi preme il mignolo sulla guancia, creando una fossetta. «Stai sorridendo» dice, e anche lei sorride. Si

accoccola al mio fianco. «Fate la pace oggi, va bene? Voglio che Peter torni nella mia vita.»

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«Non è così semplice» rispondo, anche se forse, chissà, potrebbe esserlo?

«Certo che è semplice. Tu gli piaci ancora. Digli che anche tu sei ancora innamorata di lui e… bum, tornerete

insieme. Il fatto che lo hai buttato fuori di casa verrà dimenticato.»

Haven sgrana gli occhi. «Lara Jean, sei stata tu a rompere?»

«Caspita, è così difficile da credersi?» La guardo in cagnesco, mentre lei apre e poi richiude saggiamente la bocca.

Dà un’altra occhiata alla foto di Peter. Poi si alza per andare in bagno e, mentre chiude la porta, aggiunge: «L’unica

cosa che posso dire è che, se fosse il mio ragazzo, non me lo lascerei scappare».

Quelle parole mi fanno fremere.

Un tempo avevo pensato la stessa cosa di Josh, e adesso… sembrano passati un milione di anni e Josh è solo un

ricordo. Non voglio che accada lo stesso con Peter. Non voglio che diventi un sentimento vecchio, così lontano da

rendere difficile perfino ricordare il suo viso a occhi chiusi. Comunque vada, voglio ricordare per sempre il suo viso.

Quando è ora di andare, mi metto il cappotto e la lettera per Peter mi cade dalla tasca. Margot la raccoglie.

«Un’altra lettera?»

Arrossisco. In tutta fretta rispondo: «Non ho ancora deciso come dargliela, se infilarla nella sua cassetta della posta

oppure inviarla. Forse è meglio consegnargliela di persona? Gogo, tu cosa mi consigli?».

«Secondo me dovresti semplicemente parlargli» risponde lei. «Vai da lui. Possiamo darti uno strappo fino a casa

sua. Gli dai la lettera e poi senti cosa ti dice.»

Il cuore inizia a martellare alla sola idea. Subito? Senza prima chiamare? Senza un piano? «Non so» rispondo

esitante. «Forse è meglio se ci rifletto ancora.»

Margot apre la bocca per replicare, ma Kitty ci raggiunge da dietro ed esclama: «Finiscila con queste lettere! Va’ a

riprendertelo, punto e basta».

«Prima che sia troppo tardi» aggiunge Margot, e so che non sta parlando solo di me e Peter.

Non ho mai affrontato direttamente l’argomento “Josh”, per via di quello che è successo tra noi. Cioè, Margot mi

ha perdonata, ma non ha senso smuovere le acque. Dunque negli ultimi giorni ho fatto il tifo in silenzio e sperato

che fosse sufficiente. Margot, però, tornerà in Scozia tra meno di una settimana. Il pensiero che se ne vada senza

aver parlato con Josh non mi sembra giusto. Siamo amici da una vita. Tra me e lui le cose si sistemeranno, perché

siamo vicini di casa, ed è così che va con le persone che vedi spesso. Lui e Margot, però, saranno distanti. Se non si

chiariscono adesso, con il tempo la cicatrice non farà che indurirsi, inspessirsi, e allora diventeranno due

sconosciuti che non si sono mai amati, e questo è tristissimo.

Mentre Kitty si sta mettendo gli stivali, sussurro a Margot: «Se io vado a parlare con Peter, allora tu dovresti

andare a parlare con Josh. Non tornare in Scozia senza averlo fatto».

«Vedremo» risponde. Però noto un lampo di speranza nei suoi occhi, che dona speranza anche a me.

2

Margot e Kitty sono entrambe addormentate sul sedile posteriore. Kitty ha la testa appoggiata sul grembo di

Margot, che sta dormendo con il capo all’indietro e la bocca spalancata. Papà sta ascoltando la radio con un

accenno di sorriso sul volto. Sono tutti così tranquilli, mentre il mio cuore batte all’impazzata.

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Lo farò stasera. Prima del rientro a scuola, prima che io e Peter ci si trasformi solo in un ricordo. Non voglio che

succeda come con le palle di neve, che quando le agiti, per un istante, tutto è capovolto, luccicante e magico, ma

poi ogni cosa torna come prima. Ecco, io non voglio che fra me e Peter torni come prima.

Calcolo bene i tempi e aspetto d’essere arrivata a un semaforo di distanza dal quartiere di Peter prima di chiedere

a papà di farmi scendere. Lui evidentemente nota l’intensità della mia voce, l’impellenza, perché non fa domande:

obbedisce e basta.

Quando arriviamo davanti a casa di Peter, le luci sono accese e la sua macchina è nel vialetto; c’è anche il

furgoncino di sua mamma. Il sole sta già tramontando, perché è inverno. Sul lato opposto della strada i vicini di

Peter hanno ancora le decorazioni natalizie accese. Probabilmente oggi le smonteranno, visto che è Capodanno.

Anno nuovo, nuovo inizio.

Sento le vene dei polsi pulsarmi, e sono nervosa, nervosissima. Corro fuori dall’auto e suono il campanello. Quando

sento dei passi, faccio cenno a papà di andarsene, e lui fa retromarcia nel vialetto. Kitty si è svegliata, e mi guarda

dal finestrino con un sorrisone. Solleva il pollice mentre io la saluto.

Ad aprire la porta è Peter. Il cuore mi salta in gola. Indossa una camicia che non ho mai visto. A quadri. Deve essere

un regalo di Natale. Ha i capelli arruffati, come se fosse stato sdraiato. Non sembra molto sorpreso di vedermi.

«Ciao.» Osserva la mia gonna, che, gonfia come quella di un abito da ballo, spunta da sotto al cappotto. «Perché

sei vestita così?»

«È per il pranzo del primo dell’anno.» Forse avrei fatto meglio ad andare prima a casa a cambiarmi. Mi sarei sentita

più a mio agio a starmene davanti alla porta di questo ragazzo con il proverbiale cappello in mano. «Ehm, allora,

come hai passato il Natale?»

«Bene.» Peter se la prende comoda e fa passare ben quattro secondi prima di chiedere: «E tu?».

«Bene. Abbiamo un cagnolino. Si chiama Jamie Fox-Pickle.» Neppure un sorrisetto sul volto di Peter. È freddo; non

me l’aspettavo. Forse non è neanche freddo. La parola giusta è indifferente. «Posso parlarti un secondo?»

Peter fa spallucce, e lo prendo come un sì, ma non mi invita a entrare. D’un tratto mi viene il terrore che ci sia

Genevieve in casa. Quel brutto pensiero svanisce non appena mi rendo conto che se ci fosse stata Genevieve, lui

non sarebbe là fuori con me. Lascia la porta socchiusa mentre si mette le scarpe e una giacca, e poi esce. Chiude la

porta e si siede sugli scalini. Io mi siedo accanto a lui, spianando la gonna. «Allora, che c’è?» mi dice, come se gli

stessi rubando del tempo prezioso.

Non sta andando affatto come prevedevo.

Ma cosa mi aspettavo, esattamente, da Peter? Che dopo aver ricevuto e letto la lettera tornasse ad amarmi? Che

mi abbracciasse e mi desse un bacio, appassionato ma innocente? Che tornassimo a frequentarci? E quanto tempo

ci avrebbe messo a stufarsi di me? Prima o poi avrebbe sentito la mancanza di Genevieve e avrebbe voluto più di

ciò che ero disposta a dare, fisicamente e in generale come stile di vita. Uno come lui non si sarebbe mai

accontentato di starsene a casa a guardare un film sul divano. In fin dei conti, stiamo parlando di Peter Kavinsky.

Resto così a lungo assorta nei miei pensieri che Peter ripete, stavolta con meno freddezza: «Che c’è, Lara Jean?».

Mi guarda come se stesse aspettando qualcosa, e tutto d’un tratto mi sento insicura.

Stringo la lettera e la infilo nella tasca del cappotto. Ho le mani gelate. Non ho cappello né guanti; forse è meglio se

vado a casa. «Volevo solo dirti che… mi dispiace che le cose siano finite così e… spero che possiamo restare amici

e… ti auguro buon anno.»

Peter mi guarda sbalordito. «Buon anno?» ripete. «Sei venuta fino a qui per scusarti e augurarmi buon anno?»

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«E per dirti che spero che restiamo amici» aggiungo io, mordendomi il labbro.

«Speri che restiamo amici» ripete lui, e c’è una traccia di sarcasmo nella sua voce, che mi disorienta.

«Sì, è così.» Faccio per alzarmi. Speravo che mi desse un passaggio a casa, ma a questo punto non mi va di

chiederglielo. Fa così freddo, però. Forse, se glielo facessi capire… Soffiando sulle mani per scaldarle, dico: «Be’,

vado a casa».

«Aspetta un attimo. Torniamo alle scuse. Di cosa ti stai scusando esattamente? Di avermi buttato fuori da casa tua,

o per aver pensato che io sia uno stronzo che va in giro a raccontare che abbiamo fatto sesso, quando in realtà non

lo abbiamo fatto?»

Mi viene un groppo alla gola. Messa così, la situazione appare davvero tremenda. «Entrambe le cose. Ti chiedo

scusa per entrambe le cose.»

Peter piega la testa da un lato, le sopracciglia sollevate. «E poi?»

Mi irrito. E poi? «E poi basta. Tutto qua.» Per fortuna non gli ho dato la lettera, visto come si comporta. Anche lui

avrebbe alcune cose da farsi perdonare.

«Ehi, sei stata tu a venire qui a fare discorsi del tipo “mi dispiace” e “restiamo amici”. Non sono mica obbligato ad

accettare le tue stupide scuse.»

«Be’, ti auguro comunque buon anno.» Ora sono io a essere sarcastica, e devo dire che mi dà una certa

soddisfazione. «Ti auguro ogni bene. Adieu.»

«Va bene. Ciao, allora.»

Faccio per andarmene. Ero così ottimista stamattina, immaginando come sarebbe andata. Dio, Peter è proprio un

cretino! Menomale che me lo sono levato dai piedi!

«Aspetta un attimo.»

La speranza si insinua nel mio cuore come Jamie Fox-Pickle si insinua in camera mia al mattino: con rapidità e senza

invito. Per non darlo a vedere, però, mi volto con aria infastidita.

«Cos’è quella cosa che hai accartocciato lì?»

Abbasso subito le mani verso le tasche del cappotto. «Quella? Oh, niente. Un volantino. Era a terra vicino alla tua

buca delle lettere. Non preoccuparti, lo butto nel primo cestino.»

«Dalla a me, ci penso io» fa lui allungando la mano.

«No, ti ho detto che lo butto.» Cerco di infilare la lettera in tasca, mentre Peter prova a strapparmela di mano. Mi

giro di scatto e la tengo stretta. Lui fa spallucce, così io mi rilasso e sospiro di sollievo, e a quel punto fa un balzo in

avanti e mi sfila la lettera di mano.

«Ridammela, Peter!» dico ansimando.

Con tono spensierato, ribatte: «Rubare la corrispondenza è un reato federale». Poi guarda la busta. «È indirizzata a

me. E il mittente sei tu.» Tento disperatamente di afferrare la lettera, cogliendolo di sorpresa. Lottiamo, stringo

l’angolo, ma lui non vuole mollare la presa. «Smettila, o finirai per strapparla!» grida.

Io cerco di stringere più forte, ma è inutile. Riesce a strapparmela di mano.

Tiene la busta sollevata in aria, la apre e comincia a leggere. È una tortura stare davanti a lui, in attesa… di cosa?

Non lo so. Un ulteriore umiliazione? Forse sarebbe meglio andarsene. Peter legge così lentamente…

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Quando finalmente ha terminato, mi chiede: «Perché te ne stavi andando senza darmela?».

«Perché, non lo so, non mi sembravi felice di vedermi…» La mia voce si affievolisce.

«Ho voluto tirarmela un po’. Sono sei giorni che aspetto una tua telefonata, sciocca!»

Resto senza fiato. «Oh!»

«Oh.» Peter mi afferra per il bavero del cappotto e mi tira a sé, abbastanza vicino da potermi baciare. Così vicino

che riesco a vedere gli sbuffi del suo respiro. Così vicino che, se volessi, potrei contare le sue ciglia. A bassa voce,

dice: «Dunque… ti piaccio ancora?».

«Sì» sussurro. «Cioè, penso di sì.» Il cuore mi batte forte. Sono frastornata. È un sogno? Se lo è, spero di non

svegliarmi mai.

Peter mi guarda come a dire: “Andiamo, lo sai che ti piaccio”. Sì, lo so, penso. Poi, con dolcezza, aggiunge: «Ci credi

che non ho detto in giro che abbiamo fatto sesso?».

«Sì.»

«Bene.» Poi inspira. «C’è… c’è stato qualcosa tra te e Sanderson dopo quella sera in cui sono andato via da casa

tua?» È geloso! Il solo pensiero mi riscalda come una zuppa bollente. Faccio per rispondere di no, ma lui subito si

affretta ad aggiungere: «No, aspetta. Non dirmelo. Non voglio saperlo».

«No» dico con convinzione, per fargli capire che sono sincera. Lui annuisce ma rimane in silenzio.

Poi si sporge in avanti, e io chiudo gli occhi, il cuore che mi sfarfalla nel petto. Tecnicamente ci siamo baciati solo

quattro volte, e solo una di queste era sul serio. Vorrei che si andasse subito al dunque, così smetterei di essere

nervosa.

Peter però non mi bacia, non come prevedo. Mi bacia sulla guancia sinistra e poi su quella destra; ha il respiro

caldo. E poi, nient’altro. Spalanco gli occhi. Che sia un bacio di addio? Perché non mi bacia come si deve? «Che stai

facendo?» sussurro.

«Faccio salire il desiderio.»

Subito gli dico: «Dai, baciamoci».

Inclina la testa e la sua guancia sfiora la mia, ed è in quel momento che si apre la porta di casa e appare il fratellino

di Peter, Owen, a braccia incrociate. Mi allontano di scatto da Peter, come se avessi appena scoperto che ha una

malattia infettiva incurabile. «La mamma vuole che entriate a bere qualcosa di caldo» dice con un sorrisetto.

«Tra un minuto» risponde Peter tirandomi a sé.

«Ha detto che dovete venire immediatamente» insiste Owen.

Oh mio Dio. Lancio a Peter un’occhiata terrorizzata. «Forse è meglio che vada, prima che mio papà cominci a

preoccuparsi…»

Mi indica la porta con il mento. «Entra un minuto, e poi ti riaccompagno a casa io.» Mentre obbedisco, Peter mi

toglie la giacca e dice a bassa voce: «Volevi davvero tornare a casa a piedi con quel vestito? E con questo freddo?».

«No, speravo che tu mi dessi uno strappo in preda al senso di colpa» rispondo.

«Perché sei vestita così?» mi chiede Owen.

«È l’abito che indossano i coreani il primo dell’anno» gli spiego.

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La mamma di Peter esce dalla cucina con due tazze fumanti. Indossa un lungo cardigan di cachemire e un paio di

pantofole di lana. «Sei stupenda» esclama. «Quell’abito ti sta benissimo. È così colorato.»

«Grazie» rispondo, provando imbarazzo per quelle attenzioni.

Noi tre ci sediamo in salotto, Owen fugge in cucina. Mi sento ancora rossa in viso per il bacio che stavo per ricevere

da Peter e per il fatto che probabilmente sua mamma sa che cosa stavamo facendo. Mi domando anche se Peter le

abbia raccontato cosa è successo tra noi.

«Come hai passato il Natale, Lara Jean?» mi chiede sua mamma.

Soffio sulla tazza. «Molto bene. Mio papà ha comprato un cagnolino alla mia sorellina, e litighiamo in

continuazione su chi debba tenerlo in braccio. Mia sorella maggiore invece non è ancora tornata in Scozia, e anche

questa è una bella cosa. Lei come ha passato le vacanze, signora Kavinsky?»

«Oh, sono state belle. Tranquille.» Indica le pantofole. «Queste me le ha regalate Owen. La festa musicale come è

andata? Alle tue sorelle sono piaciuti i biscotti che ha preparato Peter? Io, sinceramente, non riesco proprio a

mangiarli.»

Sorpresa, guardo Peter, che tutto d’un tratto è impegnato ad armeggiare con il cellulare. «Non mi avevi detto che li

aveva fatti tua madre?»

Lei sorride orgogliosa. «Oh no, li ha fatti da solo. Era molto determinato.»

«Facevano vomitare!» grida Owen dalla cucina.

Sua madre ride ancora, e poi restiamo in silenzio. Cerco disperatamente di farmi venire in mente un argomento di

conversazione. I propositi per il nuovo anno? La tempesta di neve prevista per la prossima settimana? Peter non è

di alcun aiuto: continua a guardare il cellulare.

La signora Kavinsky si alza in piedi. «È stato un piacere vederti, Lara Jean. Peter, non riaccompagnarla a casa troppo

tardi.»

«D’accordo» risponde lui, e a me dice: «Torno subito. Vado a prendere le chiavi».

Dopo che si è allontanato, mi rivolgo a sua mamma: «Mi scusi se sono piombata a casa sua così, il primo dell’anno.

Spero di non aver disturbato».

«Tu sei sempre la benvenuta.» Poi si sporge in avanti e mi appoggia una mano sul ginocchio. Con uno sguardo

eloquente, aggiunge: «L’unica cosa che ti chiedo è di non maltrattare il suo cuore».

Sento lo stomaco sprofondare. Peter le ha raccontato cosa è successo?

Mi dà una pacca sulla gamba e si alza. «Buonanotte, Lara Jean.»

«Buonanotte» le faccio eco.

Nonostante il suo sorriso gentile, ho la sensazione di essermi messa nei guai. C’era un tono di rimprovero nella sua

voce, ne sono certa. “Non creare problemi a mio figlio” mi ha detto in pratica. Peter è rimasto molto turbato da

quello che è successo? Non dava l’idea di esserlo. Sembrava infastidito, forse un po’ ferito. Di sicuro non

abbastanza da parlarne con sua madre. Ma se invece lui e sua madre fossero molto in confidenza? Accidenti. La

nostra storia non è ancora cominciata e forse sua madre si è già fatta una brutta opinione sul mio conto.

Fuori è buio pesto, non ci sono molte stelle in cielo. Forse presto tornerà a nevicare. A casa mia tutte le luci sono

accese al pianterreno, e al piano di sopra è accesa la luce in camera di Margot. Sul lato opposto della strada, vedo il

piccolo albero di Natale della signora Rothschild davanti alla finestra.

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Peter e io siamo al calduccio nella sua auto. L’aria calda esce con forza dalle bocchette. «Hai raccontato a tua

madre che ci siamo lasciati?» chiedo.

«No. Perché non ci siamo mai lasciati» risponde lui abbassando il riscaldamento.

«Ah no?»

Peter ride. «No. Perché non siamo mai stati insieme sul serio, ricordi?»

Ora stiamo insieme? Lo penso ma non lo dico, perché nel frattempo mi appoggia un braccio sulle spalle e avvicina il

mio mento al suo, e io torno a sentirmi nervosa. «Non essere nervosa» mi dice.

Gli do un bacio veloce per dimostrargli che non lo sono.

«Baciami come se ti fossi mancato.» Ha la voce roca.

«Mi sei mancato» rispondo. «Te l’ho scritto nella lettera.»

«Sì, ma…»

Lo bacio prima che possa finire di parlare. Con convinzione. Lui ricambia con la stessa convinzione. Come se ci

fossimo ritrovati dopo quattrocento anni. E allora smetto di pensare e mi perdo in quel bacio.

3

Dopo aver salutato Peter, corro in casa per raccontare tutto a Kitty e Margot. Non vedo l’ora di vuotare il sacco. Un

sacco pieno di monete d’oro.

Kitty è sdraiata sul divano a guardare la tv con Jamie Fox-Pickle in grembo, e si alza di scatto quando apro la porta.

Con voce sommessa dice: «Gogo sta piangendo».

Il mio entusiasmo svanisce di colpo. «Cosa?! Perché?»

«Penso che sia andata da Josh, abbiano parlato e non sia andata bene. Forse è meglio se vai a vedere come sta.»

Oh no. Non doveva finire così tra loro. Dovevano tornare insieme, come me e Peter.

Kitty si rimette comoda sul divano, il telecomando in mano, convinta di aver assolto ai suoi obblighi di sorella.

«Come è andata con Peter?»

«Bene» dico. «Alla grande.» Senza che lo voglia, mi affiora un sorriso sul volto, ma subito lo cancello, per rispetto

di Margot.

Vado in cucina e preparo a Margot una tazza di camomilla con due cucchiaini di miele, come faceva la mamma

quando ci metteva a letto. Per un secondo prendo in considerazione l’idea di aggiungere un goccio di whiskey,

come ho visto fare su un programma sulla vita in epoca vittoriana: le cameriere versavano del whiskey nella

bevanda calda della padrona di casa per calmarle i nervi. So che Margot beve all’università, ma deve ancora

smaltire la sbornia di Capodanno, e poi, dubito che mio padre sarebbe d’accordo. Perciò verso solo la camomilla

nella mia tazza preferita, e ordino a Kitty di portarla su. Le dico di mostrarsi adorabile. Le spiego che prima

dovrebbe darle la tazza, e poi stringersi a lei per almeno cinque minuti. Kitty però si rifiuta, perché lei fa le coccole

solo quando deve ottenere qualcosa, e anche perché so che la spaventa vedere Margot turbata. «La farò coccolare

da Jamie» dice.

Che egoista!

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Quando arrivo in camera di Margot con un toast alla cannella, non c’è traccia di Kitty, né di Jamie. Margot è

rannicchiata su un fianco, e piange. «È finita, Lara Jean» sussurra. «Ora so che è finita sul serio. P-pensavo che se

avessi deciso di tornare con lui, avrebbe accettato, invece n-non vuole.» Mi raggomitolo accanto a lei, con la fronte

premuta sulla sua schiena. Sento ogni suo respiro. Piange con la faccia sprofondata nel guanciale, e io le massaggio

le spalle, come piace a lei. Margot non piange mai, quindi vederla piangere mette il mio mondo a soqquadro. Mi

scombussola. «Ha detto che una storia a distanza è troppo d-difficile, e che ho fatto bene a lasciarlo. Mi è mancato

così tanto, ma a quanto pare io non gli sono mancata per niente.»

Mi mordo il labbro, in preda al senso di colpa. Sono stata io a incoraggiarla a parlare con Josh e in parte sono

responsabile del risultato. «Margot, gli sei mancata molto. Da morire. Quando guardavo fuori dalla finestra,

durante l’ora di francese, lo vedevo sugli spalti a pranzare da solo. Era deprimente.»

Margot tira su con il naso. «Davvero pranzava da solo?»

«Sì.» Non riesco proprio a capire il comportamento di Josh. Sembrava così innamorato di lei; era andato in

depressione dopo la partenza di mia sorella. E ora perché reagisce così?

Sospirando, Margot dice: «Io… lo amo ancora».

«Sul serio?» Lo ama. Margot ha detto che lo ama. Penso che non mi avesse mai detto di amare Josh. Forse aveva

detto di essere “innamorata”, ma mai di “amarlo”.

Si asciuga le lacrime con il lenzuolo. «La ragione per cui l’ho lasciato è che non volevo essere una ragazza che

piange per il fidanzato, e ora mi ritrovo a essere esattamente quello. È patetico.»

«Tu sei la persona meno patetica che conosca, Gogo» le dico.

Margot smette di singhiozzare e si gira verso di me. Accigliata, ribatte: «Non ho detto che io sono patetica, ho

detto che è patetico piangere per un ragazzo».

«Oh» esclamo. «Be’, secondo me non è patetico piangere per una persona. Significa che ci tieni molto e che sei

triste.»

«Ho pianto così tanto che ho l’impressione che gli occhi mi siano diventati… due palloni. Non è vero?» Margot mi

lancia un’occhiata.

«Sono gonfi» ammetto. «I tuoi occhi non sono abituati a piangere. Ho un’idea!» Balzo giù dal letto e corro in

cucina. Infilo dei cubetti di ghiaccio e due cucchiai d’argento in una ciotola e torno su di corsa. «Sdraiati» le ordino,

e Margot obbedisce. «Chiudi gli occhi.» Appoggio un cucchiaio su ciascun occhio.

«Funziona davvero?»

«L’ho letto su una rivista.»

Quando i cucchiai si scaldano a contatto con la pelle, li metto nel ghiaccio e poi di nuovo sugli occhi, un’infinità di

volte. Mia sorella mi chiede di raccontarle come è andata con Peter, così lo faccio, ma ometto il bacio perché mi

sembra di cattivo gusto, visto che Margot è così afflitta. Si siede e mi dice: «Non devi fingere che ti piaccia Peter

per riguardo verso di me».

Deglutisce a fatica, come se avesse il mal di gola. «Se ti piace ancora Josh… Se a lui piaci tu…» Resto senza fiato.

Apro la bocca per negare, per dirle che i sentimenti per Josh sono ormai lontani anni luce, ma lei mi mette una

mano sulla bocca per farmi tacere. «Sarebbe dura, ma non vi metterei i bastoni tra le ruote. Dico sul serio, Lara

Jean. Puoi confidarti con me.»

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Sono così sollevata, così grata che abbia tirato fuori l’argomento. Mi affretto a rispondere: «A me Josh non piace,

Gogo. Per nulla. E io non piaccio a lui. Secondo me… sentivamo entrambi la tua mancanza, tutto qui. A me piace

Peter». Sotto alla coperta, trovo la mano di Margot e intreccio il mio mignolo al suo. «Giuro.»

Lei deglutisce rumorosamente. «Allora Josh non ha alcun motivo misterioso per non tornare con me.

Semplicemente non ha più voglia di stare con me.»

«No. Semplicemente tu vivi in Scozia e lui in Virginia, e sarebbe troppo dura. Tu sei stata saggia a lasciarlo. Saggia e

coraggiosa. Hai fatto la scelta giusta.»

Si fa per un attimo dubbiosa, poi scuote il capo e si rasserena. «Basta parlare di me e Josh. Ormai siamo storia

passata. Raccontami di Peter. Per piacere, mi farà stare meglio.» Torna a sdraiarsi, e io le rimetto i cucchiai sugli

occhi.

«Be’, quando ha aperto la porta era molto freddo con me, indifferente…»

«No, raccontami tutto dall’inizio.»

Così torno indietro: le parlo della nostra relazione finta, della vasca idromassaggio e tutto il resto. Lei si toglie di

continuo i cucchiai per potermi guardare. Presto, però, i suoi occhi appaiono molto meno gonfi. E io mi sento più

leggera, quasi frastornata. Le ho tenuto nascoste tutte queste cose per mesi, e ora che Margot sa tutto ciò che è

successo da quando è partita, sento che siamo di nuovo unite. Due persone non possono essere veramente unite,

se tra loro ci sono segreti.

Margot si schiarisce la gola. Esita, poi mi chiede: «Allora, come bacia?».

Arrossisco. Picchietto le dita sulle labbra prima di rispondere: «Bacia… come un professionista».

Margot ridacchia e si toglie i cucchiai dagli occhi. «Come un prostituto?»

Afferro uno dei cucchiai e glielo sbatto sulla fronte come se fosse un gong.

«Ahi!» Margot prova a sfilarmi l’altro cucchiaio, ma io sono più svelta e li tengo entrambi. Ridiamo come pazze

mentre cerco di colpirle un’altra volta la fronte.

«Margot… hai provato dolore quando hai fatto sesso?» Sto attenta a non pronunciare il nome di Josh. È strano,

perché io e mia sorella non abbiamo mai parlato di sesso prima d’ora, perché nessuna delle due aveva esperienza a

riguardo. Adesso però lei ha esperienza e io no, e voglio sapere cosa sa.

«Mmm. Le prime due o tre volte, un pochino.» Ora è lei ad arrossire. «Lara Jean, non ce la faccio a parlare con te di

queste cose. Mi sento a disagio. Non puoi chiedere a Chris?»

«No, voglio saperlo da te. Ti prego, Gogo. Devi dirmi tutto, così sarò preparata. Non voglio sembrare una sciocca

durante la mia prima volta.»

«Non è che io e Josh abbiamo fatto sesso centinaia di volte! Io non sono un’esperta. Lui è l’unica persona con cui

l’abbia fatto. Ma se stai pensando di fare sesso con Peter, usa il preservativo.» Annuisco subito. Sta per arrivare al

bello. «E cerca di essere sicura, al cento per cento. E fa’ in modo che lui sia dolce e premuroso, così la tua prima

volta sarà speciale e resterà per sempre un bel ricordo.»

«Ho capito. Ehm… quanto è durata, dall’inizio alla fine?»

«Non molto. Non scordare che era la prima volta anche per Josh.»

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Margot diventa pensierosa. Lo divento anch’io. Peter l’ha fatto con Genevieve così tante volte. Probabilmente avrò

un orgasmo la mia prima volta. Certo, sarebbe fantastico, ma sarebbe stato carino anche se fossimo stati entrambi

vergini.

«Non te ne sei pentita, vero?»

«No. Non credo. Penso che sarò sempre felice che sia successo con Josh. Al di là di come è finita.» Per me è un

sollievo sentir dire da Margot, perfino adesso che ha gli occhi rossi dal pianto, che non si pente di aver amato Josh.

Quella notte dormo in camera sua come ai vecchi tempi, accoccolata a lei sotto al piumone. La stanza di Margot è

la più fredda, perché è sopra al garage. Sento il riscaldamento spegnersi e riaccendersi.

Al buio di fianco a me, mia sorella dice: «Ora che torno all’università voglio uscire con un po’ di scozzesi. Quando

mi ricapita un’occasione come questa, no?».

Ridacchio e mi giro verso di lei. «No, aspetta… perché solo scozzesi? Frequentane uno inglese, uno irlandese e uno

scozzese. E un gallese! Farai il tour dell’Impero britannico!»

«In effetti, vado all’università per studiare antropologia» dice Margot, e ridacchiamo ancora. «Sai cosa mi rende

più triste? Josh e io non saremo più amici come un tempo. Non dopo quello che è successo. È impossibile ricucire il

rapporto. Josh era il mio migliore amico.»

Mi fingo offesa per tirarla su di morale, per evitare che ricominci a piangere. «Ehi, pensavo di essere io la tua

migliore amica!»

«Tu non sei la mia migliore amica. Tu sei mia sorella, ed è molto di più.»

È vero.

«Il mio rapporto con Josh era così semplice e divertente, e ora siamo come due sconosciuti. Non riavrò più indietro

quella persona, che io conoscevo meglio di chiunque altro e che mi conosceva così bene.»

Provo una fitta al cuore. Quelle parole mi rendono tristissima. «Magari un giorno, quando sarà passato del tempo,

tornerete amici.» Ma non sarà lo stesso, questo lo so. Ci sarà sempre nostalgia per le cose perdute. Sarà sempre un

rapporto… inferiore.

«Ma non sarà più come prima.»

«No» concordo. «Immagino di no.» Stranamente, penso a Genevieve, a quanto contavamo l’una per l’altra. La

nostra era un tipo di amicizia che aveva senso da bambine, ma non molto ora che siamo cresciute. Immagino non

ci si possa aggrappare alle cose del passato solo per il gusto di farlo.

A quanto pare, è la fine di un’era. La storia tra Margot e Josh è un capitolo chiuso. Stavolta sul serio. Sul serio

perché Margot sta piangendo, e lo capisco dalla sua voce che è davvero finita, e stavolta lo sappiamo entrambe. Le

cose sono cambiate.

«Non permettere che succeda anche a te, Lara Jean. Non lasciare che il rapporto si faccia così serio da impedire

che si possa tornare indietro. Innamorati di Peter se vuoi, ma sii cauta. A volte ci si convince che le cose possano

durare per sempre, ma non è così. L’amore può finire, le persone possono lasciarti, magari senza neppure volerlo.

Niente è garantito.»

Cavolo. «Te lo prometto. Starò attenta.» Per la verità, non sono neanche sicura di aver capito cosa intenda dirmi

mia sorella. Come posso essere cauta, se Peter mi piace già così tanto?

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4

Margot è uscita a comprare un nuovo paio di stivali con la sua amica Casey, papà è al lavoro, Kitty e io stiamo

guardando la tv quando mi suona il cellulare. È un messaggio di Peter. Andiamo al cinema stasera? Gli rispondo di

sì, con un punto esclamativo. Poi cancello il punto esclamativo per non apparire troppo entusiasta. Però, senza il

punto esclamativo, la risposta sembra del tutto priva di entusiasmo. Mi decido per una faccina sorridente e premo

invio per evitare di rimuginarci ancora.

«A chi stai scrivendo?» Kitty è sdraiata sul pavimento del salotto e sta mangiando un budino. Jamie tenta di dare

una leccata, ma lei scuote la testa e lo rimprovera. «Lo sai che non puoi mangiare la cioccolata!»

«Stavo mandando un messaggio a Peter. Sai, forse quella non è cioccolata vera, ma un’imitazione. Controlla

l’etichetta.»

Tra le tre, Kitty è la più severa con Jamie. Non lo prende subito in braccio quando piange per farsi coccolare; gli

spruzza l’acqua sul muso quando si comporta male. Sono tutti trucchi che sta imparando dalla nostra vicina, la

signora Rothschild, che abbiamo scoperto essere una brava addestratrice cinofila. Un tempo aveva tre cani, ma

quando lei e suo marito divorziarono, lei tenne Simone, la Golden Retriever, mentre lui prese in custodia gli altri

due.

«Peter è di nuovo il tuo ragazzo?» mi chiede Kitty.

«Mmm… Non ne sono sicura.» Dopo quello che mi ha detto Margot ieri sera, riguardo al fatto di prendere le cose

con calma, stare attenta e non giungere a un punto di non ritorno, forse è meglio trovarsi in una condizione incerta

per un po’. E poi, è difficile ridefinire qualcosa che non ha mai avuto una definizione chiara. Eravamo due persone

che fingevano di piacersi, dunque ora cosa siamo? E come sarebbe andata, se avessimo iniziato a piacerci senza

finzioni? Saremmo mai stati una coppia? Forse non lo sapremo mai…

«Cosa vuol dire che non ne sei sicura?» insiste Kitty. «Ma non dovresti saperlo, se sei o no la fidanzata di

qualcuno?»

«Non ne abbiamo ancora discusso. Cioè, non in modo esplicito.»

Kitty cambia canale. «Dovresti chiarirlo.»

Mi giro su un fianco e mi sollevo su un gomito. «Cambierebbe qualcosa? Voglio dire, ci piacciamo. Che vuoi che

significhi un’etichetta? Cosa cambierebbe?»

Kitty non risponde.

«Ehi? Ci sei?»

«Scusa, puoi ripetere quello che hai detto durante la pubblicità? Sto cercando di guardare il programma.»

Le lancio un cuscino in testa. «Farei meglio a discutere di queste cose con Jamie.» Batto le mani. «Jamie, vieni

qui!»

Fine dell'estratto Kindle.

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