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ildentistamoderno settembre 2012 50 z KEY WORDS: immediate Loading, Guided Tissue Regeneration, Fresh Extraction Sockets, Resonance Frequency Analysis Summary The present work introduces clinical protocols designed to treat, with enough confidence, advanced clinical cases, such as immediate loading, guided bone regeneration (GBR) and immediate extraction sites. Today we have many techniques for dealing with such challenging situations but perhaps it is necessary, according to the literature, draw guidelines to help the operator toward a treatment as predictable as possible. Particular emphasis is given to the Resonance Frequency Analysis, an instrument of utmost importance in risk situations and able to monitor the conditions of implant stability at any stage of treatment. z PAROLE CHIAVE: carico immediato, Rigenerazione Ossea Guidata, Alveoli post estrattivi immediati, Frequenza di Risonanza Riassunto Nel presente lavoro vengono descritti dei protocolli operativi per poter affrontare con sufficiente sicurezza casi clinici avanzati, come il carico immediato, la rigenerazione ossea guidata (GBR) e il trattamento dei siti post estrattivi immediati. Oggi possediamo molte tecniche per potere trattare tali situazioni ma forse è necessario, in base alla letteratura scientifica, tracciare delle linee guida che possano orientare l’operatore verso un trattamento il più possibile prevedibile. Particolare enfasi viene dedicata alla Frequenza di Risonanza, uno strumento di grande ausilio in situazioni a rischio e capace di monitorare le condizioni di stabilità implantare in qualsiasi fase del trattamento. Protocolli operativi e di controllo per massimizzare il successo nelle situazioni cliniche avanzate P aggiornamento monografico Carico immediato Il protocollo originale di implantologia osteointegrata, redatto dal professor Brånemark alcuni decenni fa, prevedeva un periodo di guarigione di 3-6 mesi durante i quali l’impianto doveva rimanere in ambiente sommerso allo scopo di evitare ogni trauma nella fase guarigione. Negli anni successivi alcuni ricercatori osservarono che il processo di osteintegrazione poteva avvenire anche in ambiente transmucoso, l’abutment veniva direttamente connesso all’impianto al momento della sua installazione 1-3 , limitando la chirurgia a un’unica fase. Un ulteriore sviluppo della procedura implantare è stata realizzato agli inizi degli anni ’90, quando alcuni clinici iniziarono a caricare immediatamente impianti posizionati nella sinfisi mentoniera, ottenendo risultati clinici sorprendenti 4,5 . Naturalmente la sinfisi mentoniera rappresenta la zona più prevedibile per eseguire il carico immediato, sia per la quantità che per la qualità dell’osso. Nelle altre aree dei mascellari la quantità e la qualità dell’osso erano meno favorevoli, e infatti inizialmente queste zone davano dei risultati meno soddisfacenti. Per poter estendere il carico immediato anche alle zone con osso più soffice è stato necessario comprendere i fattori e i prerequisiti che stavano alla base della metodica. Il fattore principale nel carico immediato è rappresentato dalla stabilità implantare nell’osso, che può essere di tipo primario o secondario: Q stabilità primaria. È la stabilità meccanica dell’impianto ottenibile al momento dell’inserzione e dipende da alcuni fattori: ≈ tecnica chirurgica. Il sito chirurgico può essere sottopreparato per ottenere un maggiore ingaggio al momento dell’inserzione 6 , ≈ geometria dell’impianto. Una forma conica dell’impianto aumenta considerevolmente la stabilità, specie in osso soffice 7 , ≈ sufficiente quantità e qualità di osso. Deve esserci una quantità di osso sufficiente sia in senso orizzontale che verticale. La presenza di osso corticale è associata a un aumento di stabilità implantare con corrispondente incremento dei valori ISQ di Frequenza di Risonanza 8 . In caso di esposizione di parte dell’impianto è necessario applicare una tecnica GBR per ottenere la copertura ossea delle spire; Q stabilità secondaria. È la stabilità biologica che si determina nelle settimane successive all’installazione implantare e si può identificare con l’osteointegrazione. La stabilità secondaria dipende dalle caratteristiche della superficie impiantare: impianti con superficie ruvida sono in grado di accelerare il processo di osteointegrazione 4,9,10 . La stabilità primaria (meccanica) può diminuire lentamente a partire dal giorno dell’intervento mentre quella secondaria (biologica) mostra un costante incremento (Figura 1). Nel carico immediato è fondamentale avere: Q una stabilità primaria ottimale che impedisca micromovimenti dell’impianto durante le prime settimane di guarigione;

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ildentistamodernosettembre 2012

50

z KEY WORDS: immediate Loading, Guided Tissue Regeneration, Fresh Extraction Sockets, Resonance Frequency Analysis

SummaryThe present work introduces clinical protocols designed to treat, with enough confidence, advanced clinical cases, such as immediate loading, guided bone regeneration (GBR) and immediate extraction sites. Today we have many techniques for dealing with such challenging situations but perhaps it is necessary, according to the literature, draw guidelines to help the operator toward a treatment as predictable as possible. Particular emphasis is given to the Resonance Frequency Analysis, an instrument of utmost importance in risk situations and able to monitor the conditions of implant stability at any stage of treatment.

z PAROLE CHIAVE: carico immediato, Rigenerazione Ossea Guidata, Alveoli post estrattivi immediati, Frequenza di Risonanza

RiassuntoNel presente lavoro vengono descritti dei protocolli operativi per poter affrontare con sufficiente sicurezza casi clinici avanzati, come il carico immediato, la rigenerazione ossea guidata (GBR) e il trattamento dei siti post estrattivi immediati. Oggi possediamo molte tecniche per potere trattare tali situazioni ma forse è necessario, in base alla letteratura scientifica, tracciare delle linee guida che possano orientare l’operatore verso un trattamento il più possibile prevedibile. Particolare enfasi viene dedicata alla Frequenza di Risonanza, uno strumento di grande ausilio in situazioni a rischio e capace di monitorare le condizioni di stabilità implantare in qualsiasi fase del trattamento.

Protocolli operativi e di controllo per massimizzare il successo nelle situazioni cliniche avanzate

P aggiornamento monografico

Carico immediato Il protocollo originale di implantologia

osteointegrata, redatto dal professor

Brånemark alcuni decenni fa, prevedeva un

periodo di guarigione di 3-6 mesi durante i

quali l’impianto doveva rimanere in ambiente

sommerso allo scopo di evitare ogni trauma

nella fase guarigione.

Negli anni successivi alcuni ricercatori

osservarono che il processo di

osteintegrazione poteva avvenire anche in

ambiente transmucoso, l’abutment veniva

direttamente connesso all’impianto al

momento della sua installazione1-3, limitando

la chirurgia a un’unica fase.

Un ulteriore sviluppo della procedura

implantare è stata realizzato agli inizi degli

anni ’90, quando alcuni clinici iniziarono a

caricare immediatamente impianti posizionati

nella sinfisi mentoniera, ottenendo risultati

clinici sorprendenti4,5. Naturalmente la

sinfisi mentoniera rappresenta la zona più

prevedibile per eseguire il carico immediato,

sia per la quantità che per la qualità dell’osso.

Nelle altre aree dei mascellari la quantità e

la qualità dell’osso erano meno favorevoli,

e infatti inizialmente queste zone davano

dei risultati meno soddisfacenti. Per poter

estendere il carico immediato anche alle

zone con osso più soffice è stato necessario

comprendere i fattori e i prerequisiti che

stavano alla base della metodica.

Il fattore principale nel carico immediato

è rappresentato dalla stabilità implantare

nell’osso, che può essere di tipo primario o

secondario:

stabilità primaria. È la stabilità meccanica

dell’impianto ottenibile al momento

dell’inserzione e dipende da alcuni fattori:

≈ tecnica chirurgica. Il sito chirurgico

può essere sottopreparato per ottenere

un maggiore ingaggio al momento

dell’inserzione6,

≈ geometria dell’impianto. Una forma conica

dell’impianto aumenta considerevolmente la

stabilità, specie in osso soffice7,

≈ sufficiente quantità e qualità di osso. Deve

esserci una quantità di osso sufficiente sia in

senso orizzontale che verticale. La presenza

di osso corticale è associata a un aumento

di stabilità implantare con corrispondente

incremento dei valori ISQ di Frequenza di

Risonanza8. In caso di esposizione di parte

dell’impianto è necessario applicare una

tecnica GBR per ottenere la copertura ossea

delle spire;

stabilità secondaria. È la stabilità biologica

che si determina nelle settimane successive

all’installazione implantare e si può identificare

con l’osteointegrazione. La stabilità secondaria

dipende dalle caratteristiche della superficie

impiantare: impianti con superficie ruvida

sono in grado di accelerare il processo di

osteointegrazione4,9,10.

La stabilità primaria (meccanica) può diminuire

lentamente a partire dal giorno dell’intervento

mentre quella secondaria (biologica) mostra un

costante incremento (Figura 1).

Nel carico immediato è fondamentale avere:

una stabilità primaria ottimale che

impedisca micromovimenti dell’impianto

durante le prime settimane di guarigione;

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una stabilità secondaria più precoce,

che induca un più rapido processo di

osteointegrazione.

Come abbiamo detto, gli impianti con una

geometria leggermente conica determinano

una compressione ed espansione ossea

durante l’inserimento, garantendo una

maggiore stabilità primaria. Vanden Bogaerde

e coll.11. In uno studio multicentrico prospettico

hanno installato 124 impianti conici a superficie

liscia in mascellari superiori e mandibole

posteriori, li hanno caricati precocemente entro

15 giorni dalla chirurgia, e ne hanno osservato

i risultati a 18 mesi. La percentuale totale di

sopravvivenza implantare è stata del 96,8%.

Nelle prime settimane dopo la chirurgia

implantare si assiste a un rimaneggiamento

del tessuto osseo perimplantare con possibili

cambiamenti nella stabilità.

Abrahamsson e coll.12 hanno condotto uno

studio nel cane analizzando da un punto di

vista istologico le modificazioni che avvengono

nell’interfaccia osso-impianto durante le prime

settimane di guarigione.

Il comparto della ferita chirurgica viene

inizialmente occupato da coagulo (eritrociti

intrappolati in una rete di fibrina) e tessuto

di granulazione, rimpiazzato presto da una

matrice provvisoria. Il processo di formazione

ossea inizia già nella prima settimana con

formazione di “woven bone” che continua nelle

successive 2 settimane. Dopo 4 settimane

inizia già a osservarsi la formazione di osso

lamellare e osso midollare. Nello studio è stato,

inoltre, osservato che tutto il processo viene

accelerato dalla superficie implantare ruvida.

Questo lavoro ha evidenziato come vi sia, nel

periodo iniziale di guarigione, un considerevole

rimaneggiamento osseo con fenomeni

infiammatori, di riassorbimento e quindi

neoapposizione ossea. Tutto ciò potrebbe

essere responsabile del calo di stabilità

implantare spesso osservabile clinicamente

(mediante frequenza di risonanza) intorno alla

3a-4a settimana.

Gli impianti con superficie ruvida hanno quindi

la caratteristica di velocizzare il processo di

osteointegrazione, fattore molto importante

nel carico immediato. Vanden Bogaerde e coll.13

hanno condotto uno studio multicentrico

con un protocollo analogo al loro lavoro

precedente (2003) ma utilizzando impianti

a superficie ruvida (ossidata). Sono stati

posizionati 111 impianti in zone edentule

dei mascellari e delle mandibole posteriori

e caricati precocemente entro 9 giorni

dall’installazione. La valutazione a 18 mesi

mostrava il fallimento di un solo impianto con

una percentuale di sopravvivenza del 99,1 %.

Analizzando i vantaggi del carico

immediato riscontriamo:

possibilità di ricostruire in tempi brevissimi

la funzione estetica compromessa;

possibilità di ripristinare, almeno

parzialmente, la funzione masticatoria

compromessa;

possibilità di conservare i livelli dei tessuti

duri e molli;

abbreviazione significativa dei tempi

protesici;

tempi e costi ridotti per il paziente.

Se invece prendiamo in analisi gli svantaggi

del carico immediato, si evidenzia:

necessità di un monitoraggio frequente

nelle prime settimane;

necessità della collaborazione costante del

paziente (selezione del paziente);

necessità di un protocollo estremamente

rigido (non ottemperandolo, anche solo

parzialmente, vi sono maggiori possibilità di

fallimento implantare);

necessità di un training particolare

dell’operatore.

Emergono due tipologie di

controindicazioni al carico immediato:

assolute, il trattamento non deve essere

eseguito nei casi di:

≈ stabilità primaria insufficiente,

≈ nella sostituzione degli incisivi superiori e

presenza di deep bite,

≈ fenomeni infiammatori acuti,

≈ parodontite non trattata;

relative (il trattamento può essere eseguito

con un rigido protocollo di controllo) in caso di:

≈ malattie generali,

≈ bruxismo,

≈ parodontite trattata.

L’implantologia odierna è sempre più protesa

a risolvere casi avanzati con situazioni dentali

e ossee severamente compromesse.

Vi è sempre maggiore richiesta di eseguire

il carico precoce o immediato, di trattare

immediatamente siti post estrattivi freschi, di

combinare carico immediato e rigenerazione

ossea, di trattare pazienti con forte bruxismo o

con occlusioni anomale. Tutto ciò ha generato

una forte necessità di dover quantificare, e

quindi misurare, la stabilità implantare non

solo all’installazione dell’impianto, ma anche

nelle settimane successive.

In altre parole abbiamo bisogno di maggiore

capacità diagnostica, allo scopo di:

sapere quando applicare il carico

all’impianto, immediatamente, precocemente

o tardivamente;

sapere quando eliminare il carico

1. Il grafico mostra la decrescita della stabilità meccanica (primaria) nelle prime settimane, mentre la stabilità biologica (secondaria) cresce progressivamente. La stabilità totale mostra un calo fisiologico intorno alla 3-4a settimana.

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dall’impianto, possibilità di “early warning”;

valutare le condizioni di un impianto in

qualsiasi momento;

trattare con maggiore sicurezza casi a

rischio, e quindi fornire al paziente maggiori

garanzie;

avere un’“impronta digitale” dell’impianto

che ci consenta una migliore comunicazione

con i pazienti e con i colleghi con cui

collaboriamo.

La stabilità implantare può essere misurata

con diverse metodiche: vediamole.

è la misurazione della forza di inserzione

dell’impianto fino al valore di completo

adattamento all’osso (Seating Torque);

è una metodica affidabile, ma ci fornisce

un unico valore, al momento dell’inserimento

dell’impianto, quindi misura solo la stabilità

primaria;

il torque misura le forze di torsione.

si tratta di una metodica messa a punto dal

dottor Meredith negli anni ’9014,15, sviluppata

continuamente nei decenni successivi e oggi

realmente affidabile e ripetibile. Centinaia di

pubblicazioni internazionali confermano la

validità del sistema;

si basa sul principio del diapason.

L’apparecchio emette impulsi magnetici

verso uno “smartpeg” inserito sull’impianto,

registrandone poi un valore numerico in ISQ

(Implant Stability Quotient). La misurazione

avviene in modalità “wireless” (Figure 2-3);

è una misurazione molto precisa e può

essere ripetuta in qualsiasi momento del

trattamento, quindi misura sia la stabilità

primaria che quella secondaria;

ci può fornire due misurazioni del singolo

impianto, secondo due assi ortogonali (mesio-

distale e bucco-linguale);

misura il contatto osso-impianto

soprattutto nel terzo coronale dell’impianto;

misura la resistenza ai movimenti in lateralità.

Indicazioni cliniche all’uso della frequenza di risonanza

La RFA è utile in numerose situazioni cliniche,

ma è da considerarsi indispensabile nella

procedura di carico immediato. In questo

caso, infatti, è fondamentale, durante le

prime 6 settimane dall’intervento, eseguire

un monitoraggio costante degli impianti

per intercettare eventuali cali di stabilità che

potrebbero portare al fallimento implantare.

Alcuni Autori16-18 hanno evidenziato un

fisiologico calo di stabilità dopo 3-4 settimane,

imputabile probabilmente ai fenomeni

infiammatori e di rimaneggiamento osseo che

seguono la chirurgia12.

In uno studio prospettico Vanden Bogaerde

e coll.19 hanno seguito, mediante RFA, 69

impianti Neoss per 18 mesi, evidenziando una

leggera perdita di stabilità dopo 4 settimane,

più marcata nel mascellare superiore che nella

mandibola. Il valore medio di ISQ al baseline

era di 68 ISQ, mentre risaliva a 72 ISQ dopo

6 mesi. Nello studio sono stati posizionati

anche impianti in siti post-estrattivi immediati:

è stato osservato che in caso di difetti ossei

residui di tipo “closed”13 la stabilità media al

baseline era comunque piuttosto elevata,

con un valore di 65.8 ISQ.

Nei difetti di tipo “open”, invece, la stabilità

era piuttosto bassa, prossima alla soglia di

fattibilità, con un valore di 51 ISQ.

La possibilità di inserire impianti in siti

post-estrattivi immediati e caricarli

immediatamente è stata analizzata in

uno studio clinico prospettico20 in cui sono

stati inseriti 50 impianti in siti estrattivi

freschi. I risultati a 18 mesi hanno indicato la

sorprendente percentuale di successo del

100%. L’analisi con la frequenza di risonanza,

eseguita al baseline, dopo 1, 3, 4, 6 settimane

e dopo 3, 6 mesi ha evidenziato tre tipi

di curve: un primo gruppo di impianti ha 2. Registrazione del valore di ISQ: un perno magnetico (Smartpeg) viene avvitato sull’impianto e la punta della sonda registra il valore di stabilità in modalità wireless.

3. Apparecchio per la Frequenza di Risonanza.

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mantenuto la stabilità nel tempo, un secondo

ha mostrato un aumento progressivo di

stabilità mentre un terzo gruppo, più esiguo,

ha evidenziato un iniziale calo con un

mantenimento nel periodo di osservazione.

Carico immediato in

combinazione con la GBR

Il carico immediato può essere eseguito,

in casi ben selezionati e controllati, anche

su impianti che, in considerazione

di mancanza d’osso localizzata, sono

sottoposti a procedura di GBR. Mediante

la RFA possiamo seguire l’evolversi del

processo rigenerativo, constatando che

dopo almeno 6 mesi la rigenerazione

ossea è avvenuta a dispetto della iniziale

esposizione implantare e che i valori di

ISQ sono cresciuti in modo proporzionale

alla rigenerazione stessa. In uno studio su

cadavere21 sono stati estratti tutti i denti

naturali e sostituiti con impianti posizionati

nei siti post-estrattivi. È stato misurato

il torque di inserzione, la frequenza di

risonanza e la profondità dei difetti ossei. Lo

studio ha dimostrato una proporzionalità

diretta tra i difetti verticali perimplantari e i

valori di frequenza di risonanza.

Carico immediato nel gruppo

incisivo superiore

Il carico immediato eseguito nel gruppo

incisivo superiore è una delle situazioni

più a rischio di fallimento. In presenza

di un severo deep bite si configura

addirittura una reale controindicazione al

trattamento, mentre in situazioni occlusali

più favorevoli possiamo eseguire il carico

immediato a condizione di effettuare un

costante monitoraggio durante le prime

settimane di guarigione. È comunque

sempre indispensabile eliminare dalle

protesi provvisorie qualsiasi tipo di contatto

occlusale e istruire il paziente sulla necessità

di evitare qualsiasi atteggiamento o

abitudine viziata che possa determinare un

trauma sull’elemento interessato.

Possibilità di intercettare

un fallimento implantare

La frequenza di risonanza fornisce una

possibilità che nessun altro strumento

finora ci ha consentito: la possibilità di

intercettare un fallimento implantare prima

che esso si concretizzi realmente. Infatti,

il monitoraggio continuo dell’impianto

con la RFA ci permette di ottenere una

“curva di stabilità” implantare. L’analisi

dei valori presenti sulla curva ci mette in

condizione di intervenire allorché gli stessi

calino nel tempo in modo progressivo e

continuo, avvicinandosi o raggiungendo

un determinato “valore soglia”, al di sotto

del quale l’impianto non è più recuperabile.

Se noi riusciamo a intercettare il calo di

stabilità prima che raggiunga valori critici,

possiamo rimuovere la protesi provvisoria,

attendere un periodo di guarigione e, infine,

ripristinare il carico. Una vera e propria

“Rescue procedure” in grado di recuperare

completamente un impianto destinato al

fallimento (Figure 4a-4f, Tabella 1).

4a. Incisivo centrale superiore sinistro con una frattura radicolare. 4b. Il dente viene estratto e l’impianto immediatamente inserito.

Tabella 1

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Protocollo di controllo implantare

nel carico immediato medi ante

l’utilizzo di frequenza

di risonanza

Il “valore soglia” di stabilità, misurato in ISQ,

rappresenterebbe il valore al di sotto del

quale la procedura di carico immediato non

deve essere eseguita. Sulla defi nizione esatta

di questo valore non vi è ancora oggi un

consenso unanime.

Vanden Bogaerde e coll.19, in uno studio

prospettico, hanno stabilito arbitrariamente

un “valore soglia” al baseline di 50 ISQ,

osservando clinicamente che valori al di sotto

di 50 ISQ erano associati a una visibile mobilità

implantare. Altri Autori hanno invece defi nito e

utilizzato valori diff erenti.

Probabilmente, un valore soglia adeguato per

il carico immediato potrebbe essere di 55 ISQ,

utilizzando però un protocollo di applicazione

come descritto nella tabella seguente:

4c. Viene eseguito il carico immediato posizionando una corona provvisoria senza contatti occlusali.

4d. L’impianto mostra nel periodo di guarigione un calo di ISQ (vedere tabella 1), per cui viene eliminato il provvisorio fi no a che non ha ripreso un suffi ciente grado di stabilità. I tessuti molli appaiono in ottime condizioni.

4e. Il posizionamento della protesi defi nitiva.

4f. L’immagine radiografi ca rivela un buon mantenimento dell’osso marginale.

Valori di ISQ al baseline (valore soglia 55 ISQ) Trattamento Carico

Inferiore a 55 No al carico immediato -

Compreso fra 55 e 65 Monitoraggio settimanale Nessun carico

Superiore a 65 Monitoraggio bisettimanale Carico molto limitato

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Applicando questo protocollo è

indispensabile poter rimuovere a intervalli

regolari la struttura protesica provvisoria;

pertanto è raccomandato l’uso di una protesi

avvitata e non cementata.

Quando la curva di stabilità, partendo dal

valore al baseline, cala in modo continuo

nel tempo raggiungendo il “valore soglia”

di 55 ISQ, è indicato rimuovere il carico

dall’impianto, attendere alcuni mesi affinché la

stabilità risalga e quindi ripristinare il carico.

Rigenerazione Ossea Guidata Il più importante requisito per il successo

dell’osteointegrazione implantare è

rappresentato da una sufficiente quantità e

qualità del tessuto osseo che possa garantire

la stabilizzazione dell’impianto con formazione

di un contatto osso impianto ottimale22,23.

In caso di insufficiente quantità di tessuto

osseo nel sito dell’impianto, è stato descritta

una minore percentuale di successo

implantare24.

La tecnica che negli anni ha avuto più

successo per incrementare il supporto osseo

è rappresentata dalla Rigenerazione Ossea

Guidata (GBR)25-28.

La metodica GBR deriva direttamente da

un’altra procedura utilizzata per rigenerare

il parodonto perduto a causa di malattia

parodontale, la Rigenerazione Tissutale

Guidata (GTR)29-31.

Questa metodica prevede l’uso di una

membrana che, agendo come una barriera

meccanica, esclude dalla zona di riparazione

chirurgica le cellule non competenti (epiteliali

e connettivali), favorendo nel contempo

la proliferazione di cellule del legamento

parodontale, le uniche in grado di ricostruire il

parodonto profondo.

Basandosi sui principi biologici della GTR,

nella GBR le membrane vengono utilizzate

allo scopo di escludere dalla zona di

guarigione le cellule differenti da quelle ossee,

favorendo quindi la migrazione di cellule

osteocompetenti in grado di rigenerare il

tessuto perimplantare.

La GBR ha elevate possibilità di successo per

il trattamento dei difetti perimplantari32-35

e per la rigenerazione ossea prima del

posizionamento degli impianti in difetti di

cresta localizzati36-38 (Figura 5).

La possibilità di rigenerare l’osso

perimplantare dipende da alcuni fattori:

■ morfologia del difetto;

■ tipo di membrana utilizzata (riassorbibile,

non riassorbibile);

■ tipo di materiale di riempimento (osso

autologo, eterologo, di origine animale);

■ tecnica chirurgica utilizzata.

Le membrane utilizzate per le tecniche di

rigenerazione tissutale devono possedere

alcuni requisiti fondamentali affinchè il

processo rigenerativo sia sicuro e prevedibile.

Tali requisiti sono:

■ biocompatibilità. Il materiale deve essere

biocompatibile;

■ occlusività cellulare. Le membrane devono

possedere capacità di barriera, isolando

la zona di rigenerazione dalle aree non

competenti per tale processo;

■ integrazione tissutale. Il materiale deve

permettere la crescita, al suo interno, di

tessuto connettivo al fine di stabilizzare

la membrana e di ritardare la migrazione

epiteliale;

■ mantenimento di spazio (“spacemaking”).

La membrana dovrebbe possedere una

sufficiente rigidità per garantire, soprattutto

nelle prime fasi di guarigione, uno spazio

sufficiente per la ricrescita di tessuto. Il

collasso della membrana all’interno del

difetto è causa frequente di insuccesso della

tecnica rigenerativa;

■ maneggevolezza clinica. Il materiale deve

essere disponibile in diverse configurazioni

e dimensioni per adattarsi alle differenti

tipologie dei difetti, e deve essere

sufficientemente malleabile per adattarlo

alla morfologia della zona da trattare.

Ma gli impianti posizionati in osso rigenerato

hanno la stessa percentuale di successo di

quelli posti in osso nativo? In uno studio a 5

anni recentemente pubblicato39 sono stati

messi a confronto impianti con simultanea

GBR e impianti in osso nativo come controllo.

La percentuale di sopravvivenza implantare

è stata del 100% per il gruppo GBR e del

94% per il gruppo controllo, senza differenze

statisticamente significative. Anche il livello di

osso marginale mostrava in entrambi i gruppi

un riassorbimento simile a 5 anni.

GBR perimplantare In parodontologia esiste una classificazione

dei difetti parodontali in base al grado di

compromissione dei tessuti parodontali e

al numero di pareti ossee che circondano il

difetto stesso: parliamo di difetti ossei a una,

due, tre pareti e difetti circumferenziali. La

potenzialità rigenerativa e la difficoltà della

tecnica chirurgica dipendono direttamente

dal numero di pareti presenti intorno al

difetto. Un difetto a tre pareti risponde molto

meglio alla terapia sia perché in grado di

mantenere la stabilità del coagulo nelle prime

5. Posizionamento della membrana nella tecnica GBR.

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fasi di guarigione, sia per la sua intrinseca

capacità spacemaking. Diversamente, in

un difetto a una parete il coagulo è molto

meno protetto e la terapia rigenerativa è più

complessa in quanto è necessario creare una

“camera rigenerativa” per consentire l’ingresso

e la maturazione dei tessuti competenti. Sarà

quindi necessario applicare una membrana

rigida fissandola adeguatamente alle zone

circostanti, associandola spesso a un materiale

di riempimento. Basandosi sui principi biologici

della parodontologia è stata proposta una

classificazione dei difetti perimplantari40 che

sono stati classificati come segue:

■ difetti “closed”, con pareti ossee conservate

(Figura 6);

■ difetti “open”, con una o più pareti mancanti

(Figura 7);

■ deiscenze. Mancanza di osso su un lato

dell’impianto, solitamente quello buccale;

■ within the envelope. Difetti inclusi nel

contorno della cresta alveolare (Figura 8);

■ outside the envelope. Difetti che sporgono

dal contorno della cresta alveolare (Figura 9).

Difetti “closed”

I difetti chiusi, con le loro pareti ossee

conservate, offrono condizioni favorevoli per il

processo rigenerativo.

La morfologia di questi difetti è simile a una

scodella o a un piccolo cratere.

Essi contengono stabilmente il coagulo,

ed eventuali innesti ossei, durante tutto

il periodo di guarigione. Le pareti ossee

conservate proteggono l’ambiente di

guarigione dai movimenti dei tessuti

sovrastanti, permettendo l’invasione

indisturbata delle cellule osteorigenerative.

Inoltre, i margini del difetto agiscono come

sostegno impedendo alla membrana di

collassare entro il difetto.

Terapia. Questi difetti, soprattutto quelli con

un “gap” non superiore a 2 mm, potrebbero

essere lasciati guarire spontaneamente,

senza alcuna tecnica GBR. Uno studio

sperimentale41 ha però dimostrato che

più l’ampiezza del difetto aumenta, più

la guarigione, in termini di contatto osso

impianto (BIC), è peggiore.

Quindi, potremmo evitare di trattare solo

difetti molto stretti (1-2 mm), mentre per

difetti più ampi è consigliabile sempre

inserire un riempitivo, meglio se osso

autologo raccolto nelle zone limitrofe. Data

6. Difetto “closed” con pareti ossee conservate. 7. Difetto “open” con mancanza di una o più pareti ossee.

8. Deiscenza “within the envelope”. 9. Deiscenza “outside the envelope”.

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la capacità contenitiva del difetto, nella

maggior parte dei casi non è necessaria

l’applicazione di una membrana (Figure 10-11).

Difetti “open”

L’anatomia dei difetti open è meno favorevole

per il processo rigenerativo dei difetti

closed, dal momento che la mancanza di

una o più pareti ossee espone l’ambiente di

guarigione a traumi esterni. Nei difetti open

il coagulo è meno protetto, innesti ossei

particolati sono più soggetti a spostamento

e una membrana posizionata per coprire il

difetto può facilmente collassare perché non

sufficientemente sorretta dalle pareti ossee

circostanti (Figura 12).

Naturalmente esistono difetti open più

favorevoli e altri meno. I meno favorevoli sono,

per esempio, quelli al di sopra della cresta

in cui, per la mancanza completa di ogni

parete ossea, la terapia rigenerativa è molto

impegnativa e la prognosi incerta.

Terapia. La morfologia dei difetti open

richiede comunque una terapia rigenerativa

più complessa di quelli closed. È sempre

consigliabile riempire il difetto con materiale

di innesto particolato, previlegiando l’osso

autologo rispetto ai sostituti dell’osso.

L’innesto deve essere contenuto e protetto

con una membrana non riassorbibile o

riassorbibile. Già molti anni fa Gelb42 aveva

messo in evidenza l’importanza dell’anatomia

del difetto nel processo rigenerativo. Vennero

trattati sia difetti a tre pareti che difetti a

una parete con diverse terapie rigenerative;

l’Autore osservò che i difetti a tre pareti

guarivano con qualsiasi tipo di terapia

adottata, mentre per quelli a una parete era

più efficace una combinazione di membrana

e materiale riempitivo.

Deiscenze

La deiscenza è la mancanza di osso su di un

solo lato dell’impianto, solitamente quello

buccale, dove la teca ossea è più sottile. Il

difetto comporta l’esposizione delle spire

implantari fino alla testa dell’impianto. Si

distinguono in:

■ deiscenze all’interno dell’envelope. Sono

difetti compresi all’interno del contorno

della cresta ossea alveolare, per cui la parte

esposta dell’impianto risulta circondata da

pareti ossee in grado sia di mantenere un

innesto sia di fornire cellule osteopromotrici

10. Esempio di difetto “closed”con aspetto a cratere. 11. Difetto “closed” trattato con osso autologo particolato.

12. Esempio di difetto “open” con mancanza delle pareti ossee buccale e distale.

13. Deiscenza ossea “within the envelope”.

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64

(difetto spacemaking). L’anatomia del

difetto consente di posizionare un innesto

di osso autologo, che risulterà spesso

talmente stabile da non necessitare di

una membrana contenitiva (Figure 13-14);

■ deiscenze all’esterno dell’envelope. Sono

difetti che protrudono al di fuori del

contorno osseo, per cui le spire esposte

dell’impianto non sono circondate da

pareti contenitive (Figura 15). Infatti

l’osso è piuttosto lontano dalle spire e

la distanza che devono percorrere le

cellule osteopromotrici è piuttosto ampia.

Sono difetti “non spacemaking”, che non

garantiscono uno spazio sufficiente e

protetto per la rigenerazione. La terapia

consiste nell’utilizzare uno “spacemaker”,

cioè del materiale di riempimento al di

sopra delle spire, che mantenga spazio.

È necessario poi coprire tutto con una

membrana ben fissata con dei chiodini

all’osso circostante. È molto importante

la stabilità della membrana in quanto il

difetto, per sua natura non anatomicamente

protetto, è fortemente esposto ai movimenti

nel cavo orale e quindi a un dislocamento.

Fenestrazioni

Sono difetti simili alle deiscenze, ma che

non arrivano a interessare la parte più

coronale dell’impianto (Figura 16).

In altre parole sono esposizioni limitate di

spire confinate nel corpo dell’impianto.

Non sono stati descritti casi di fallimenti

implantari a causa di fenestrazioni, per cui

la terapia dei casi meno estesi consiste

nel non trattarli. Se abbiamo invece delle

fenestrazioni piuttosto estese possiamo

utilizzare le stesse tecniche descritte per le

deiscenze.

Materiali di riempimento

dei difetti perimplantari

L’osso autologo particolato è considerato il

“gold standard” per il riempimento

dei difetti ossei perimplantari in quanto

combina capacità osteoconduttive

e osteoinduttive. I sostituti dell’osso

posseggono invece solo capacità

osteoconduttive, di “scaffold”; inoltre,

se vengono in contatto con il tessuto

connettivale sono invase immediatamente

da tessuto fibroso, vanificando qualsiasi

rigenerazione.

Nella Tabella 2 sono indicati i vantaggi e

gli svantaggi dell’osso autologo e dei suoi

sostituti.

L’osso autologo particolato può essere

prelevato in piccole quantità utilizzando

tecniche mini-invasive.

Per quantità maggiori, come i blocchi solidi, si

possono utilizzare frese e trephine o, in modo

meno traumatico, il piezo.

Nella Tabella 3 sono elencate alcune di queste

TABELLA 2

Materiali di riempimento Vantaggi Svantaggi

Osso autologo OsteoconduttivoOsteoinduttivoOttima prognosi

Maggiore morbiditàSi riassorbe più facilmente

Sostituti dell’osso Nessun prelievo Solo osteoconduttivoCosto maggioreRischio elevato di invasione di cellule connettivali

14. Nella deiscenza “within the envelope” l’innesto di osso autologo particolato è mantenuto all’interno del difetto dalla presenza delle pareti laterali dello stesso. In genere non occorre l’uso di membrane.

15. Nella deiscenza “outside the envelope” l’impianto protrude dal contorno osseo per cui la tecnica rigenerativa richiede l’uso di mantenitori di spazio, membrane e chiodini di fissaggio.

16. Esempio di fenestrazione ossea.

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tecniche. È stato eseguito uno

studio morfogenico sulla riparazione di

“critical size defects”, cioè difetti che non

guariscono spontaneamente, usando sia

osso bovino deproteinizzato (DBB), sia osso

autologo, nella calvaria di topo43.

Nello studio il DBB non era in grado di

ripristinare l’osso mancante e i difetti

risultarono occupati prevalentemente di

tessuto connettivo fibrotico, mentre solo il

16% era nuovo osso.

Nei difetti trattati con osso autologo si

poteva invece assistere a una completa

chiusura dei difetti con osso neoformato.

Gli innesti ossei devono spesso essere

coperti e protetti da una membrana;

esistono membrane non riassorbibili

(e-PTFE), che devono essere rimosse dopo

alcuni mesi, e membrane riassorbibili

(PLA o collagene) che non necessitano di

alcuna rimozione.

Nella Tabella 4 sono riportati i vantaggi

e gli svantaggi dei due tipi di membrana.

GBR preimplantare

Ricostruzioni di cresta (RR)

Spesso nei mascellari si riscontrano

estese perdite di tessuto osseo dovute a

infezioni, cisti, estrazioni dentali, fratture

radicolari, impianti falliti.

Queste aree possono essere localizzate in

zone strategiche per la masticazione

oppure in aree estetiche, situazioni che

richiedono in molti casi il posizionamento

di impianti per ripristinare la funzione

perduta.

Le ricostruzioni di cresta (RR) sono quindi

quelle procedure chirurgiche che mirano

a ripristinare l’integrità della cresta

alveolare mediante l’utilizzo di materiali di

riempimento e membrane, in vista di un

successivo trattamento implantare.

I grossi difetti crestali possono essere più

o meno contenitivi in base alla presenza o

meno di pareti ossee conservate.

Terapia. Data l’ampiezza dei difetti è

indispensabile un materiale di riempimento

che consenta la proliferazione delle

cellule osteogenetiche. La distanza fra

le pareti ossee non consente, infatti, un

naturale “jumping” cellulare e l’innesto

rappresenta un indespensabile “scaffold”

per la rigenerazione. È inoltre consigliabile

associare una membrana che potrà

essere non-spacemaking (membrana in

collagene) nei difetti con pareti conservate,

o spacemaking (membrana riassorbibile in

PLA o non riassorbibile in e-PTFE), fissate

con pernini in titanio.

Quasi sempre è richiesta una notevole

quantità di materiale come “scaffold”:

abbiamo diverse possibilità:

■ prelevare osso autologo dalla branca

montante della mandibola, riducendolo poi

a particolato;

■ prelevare osso autologo con uno scraper

con lembo o con tecnica “a tunnel”;

■ fare un innesto miscelato di osso

autologo particolato e osso bovino nella

proporzione di 60/40. Non è consigliabile

usare solo osso bovino per il rischio

di colonizzazione estesa di tessuto

connettivo e insufficiente formazione di

osso;

■ usare una tecnica a strati (Layer-

Technique, Vanden Bogaerde, 2011). La

procedura consiste nel riempire la metà

o i 2/3 apicali del difetto con osso bovino

e la restante parte coronale con osso

autologo particolato.

Il principio alla base di questa tecnica

è quello di circondare completamente

l’innesto di osso bovino con osso

autologo, impedendo così che, in fase

di guarigione, cellule connettivali

invadano le particelle di xenotrapianto.

Al di sopra dell’innesto viene, infine,

posizionata e fissata una membrana

riassorbibile in PLA. Il maggiore

vantaggio della riassorbibilità risiede

nel fatto che in caso di esposizione

non deve essere rimossa (Figure 17a-17g).

TABELLA 3

Osso autologo Sistemi di prelievo Caratteristiche

Osso particolato Scraper Riccioli di osso, discreto volume e consistenza, bassa morbidità

Frese degli impianti Piccole quantità, poco consistente, morbidità nulla

Scalpellini monouso Piccole quantità di osso corticale, bassa morbidità

Ossivore Quantità discrete di osso consistente, bassa morbidità

Trephine piccoliPiccole quantità di osso consistente, bassa morbidità se usatio in sede di impianto

Blocchetti di osso Frese o piezoPossibilità di grosse ricostruzioni, morbidità elevata, limitabile usando il piezo

Trephine grossi Possibilità di grosse ricostruzioni, morbidità elevata

TABELLA 4

Membrane Vantaggi Svantaggi

Riassorbibili Quando si espongononon vanno rimosseNon richiedono unintervento di rientro

In difetti non spacemaking necessitanodi un riempitivo di supporto

Non riassorbibili Maggiori capacità spacemaking Quando si espongono vanno rimosseRichiedono un intervento di rientro per la rimozione

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Aumento orizzontale

di cresta (HRA)

Le creste alveolari, in seguito

all’estrazione dei denti, sono soggette

a gravi fenomeni di riassorbimento in

senso verticale, ma ancora di più in senso

orizzontale.

Si formano delle creste a lama di coltello

di larghezza così ridotta da impedire il

posizionamento di impianti.

Per tale motivo è necessario applicare delle

tecniche preimplantari per incrementare

l’osso in senso orizzontale.

Le procedure sono molteplici e la scelta

della loro applicazione dipende spesso

dalla familiarità e dall’esperienza che

l’operatore possiede nei confronti di una

determinata metodica:

■ innesto di osso autologo + membrana

riassorbibile fissata con chiodini;

■ innesto di osso autologo + membrana

non riassorbibile fissata con chiodini;

■ innesto a blocco di osso autologo fissato

con viti da osteosintesi;

■ split-crest.

Aumento verticale di cresta

(VRA)

L’aumento verticale di cresta è una tecnica

che consente di incrementare la quantità

di osso crestale in altezza. È probabilmente

la tecnica più impegnativa nel settore

della GBR e riservata a operatori altamente

specializzati e competenti.

È anche una delle tecniche meno

prevedibili in quanto il difetto da trattare

è completamente senza pareti e la

sorgente di cellule osteopromotrici arriva

solo dalla base dello stesso. Inoltre, vi

possono essere serie difficoltà nell’ottenere

una copertura dell’innesto con i tessuti

molli.

Può essere eseguita in due modi:

■ procedura in due tempi. Innesto di osso

autologo o di miscela osso autologo/

osso bovino posizionato sopra la cresta

+ membrana non riassorbibile rinforzata

fissata con chiodini in titanio.

17a. RICOSTRUZIONE DI CRESTA. Ampio riassorbimento osseo esito di un processo infettivo.

17b. “LAYER-TECHNIQUE”. Il fondo del difetto viene riempito con osso bovino deproteinizzato.

17c. Lo strato più coronale dell’innesto è costituito da riccioli di osso autologo raccolto con uno “scraper”.

17d. Una membrana riassorbibile in PLA, fissata con due chiodini in titanio, protegge e contiene il materiale di innesto.

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70

Aumento del pavimento

del seno mascellare (SFA)

Molto spesso la presenza delle cavità

dei seni mascellari impedisce il corretto

posizionamento di impianti nei settori

posteriori dei mascellari superiori. La

metodica chirurgica definita come “rialzo

del seno mascellare” mira a creare una

base ossea sufficiente per gli impianti

e può oggi essere considerata una

procedura ben sperimentata e codificata.

Proposta per la prima volta da Boyne et al.

nel 1980, oggi viene eseguita di routine

e la letteratura ci conforta sulle sue

possibilità di successo a lungo termine44,45.

L’osso bovino deproteinizzato (DBB) ha

la caratteristica di mantenere il volume

inalterato nel tempo; è stata eseguita

un’analisi morfologica e morfometrica46

su biopsie eseguite a distanza di 11 anni

utilizzando osso bovino deproteinizzato

miscelato con osso autologo nella

percentuale 80/20%.

Gli Autori hanno evidenziato la presenza,

dopo 11 anni, di particelle di DBB ben

integrate in osso lamellare senza segni di

riassorbimento.

Generalmente si esegue la metodica in

due tempi, con un intervallo di almeno

6 mesi; talvolta, però, se l’osso residuo

crestale è superiore a 6 mm si possono

posizionare gli impianti contestualmente

al rialzo.

La tecnica chirurgica può così essere

riassunta:

■ sollevamento di un lembo a tutto

spessore, spesso con un’incisione di

rilasciamento mesiale o distale;

■ assottigliamento della parete ossea

esterna del seno utilizzando uno scraper

fi no a evidenziare il caratteristico colore

bluastro della membrana.

Gli impianti vengono installati non prima

di 9 mesi dalla chirurgia;

■ procedura in un tempo unico. Gli

impianti vengono posizionati alcuni

millimetri al di sopra della cresta e

contestualmente viene eseguita la

tecnica rigenerativa come descritta

sopra. È una procedura più rischiosa di

quella precedente in quanto, in caso di

esposizione della membrana, si vanifica

la rigenerazione e una parte delle spire

implantari rimangono esposte.

17e. Radiografi a postoperatoria. 17g. Radiografi a a 6 mesi.

17f. A 6 mesi l’osso è rigenerato con una consistente corticale e l’impianto può essere inserito.

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72

L’uso dello scraper consente anche di

raccogliere dei frammenti ossei che

alla fine dell’intervento possono essere

utilizzati a chiusura della finestra ossea.

Per assottigliare l’osso si può anche

utilizzare il piezoelettrico;

■ utilizzo del piezoelettrico o di una fresa

a pallina per disegnare il contorno della

finestra e arrivare alla membrana;

■ scostamento della membrana, prima

con il piezo e poi con scollatori dedicati;

■ riempimento del seno con osso bovino

oppure con una miscela di osso bovino

e autologo.

La presenza di coagulo sanguigno è

favorevole.

Possiamo naturalmente utilizzare

osso autologo per l’innesto, tuttavia

la necessità di una quantità notevole

di materiale comporta anche una

maggiore morbidità per il paziente;

■ chiusura della finestra con uno strato di

osso autologo raccolto con lo scraper

e copertura con una membrana in

collagene;

■ sutura a punti staccati.

Eventuali piccole lacerazioni della

membrana possono essere trattate con

una membrana in collagene, sostituendo

l’osso bovino particolato con osso bovino/

collagene che presenta minori rischi di

dispersione di materiale all’interno del

seno mascellare.

Grandi lacerazioni invece rappresentano

una reale controindicazione a questa

metodica.

È sempre consigliabile eseguire un

monitoraggio nel tempo degli impianti

inseriti in un seno mascellare

aumentato utilizzando la Frequenza di

Risonanza.

Le misurazioni ci consentono di stabilire

quando gli impianti hanno raggiunto la

sufficiente stabilità per sopportare il carico

occlusale.

Il trattamento dei siti post-estrattivi Nella pratica clinica quotidiana, con

sempre maggiore frequenza ci troviamo

nelle condizioni di dovere scegliere fra il

mantenimento di un elemento dentario e la

sua estrazione con immediato o successivo

posizionamento di un impianto.

Escludendo naturalmente i casi di frattura

radicolare o di carie estesa alla radice in cui

è imperativo eseguire l’avulsione, vi sono

situazioni più sfumate in cui la scelta può

dipendere da numerosi fattori:

■ l’integrità e la lunghezza della radice del

dente naturale;

■ la presenza di lesioni periapicali;

■ la necessità di eseguire un allungamento

della corona clinica dei denti adiacenti,

con conseguente perdita di osso anche a

carico di questi ultimi;

■ la presenza di una parodontite diffusa

che comporta una prognosi incerta per il

mantenimento dell’elemento dentario a

medio termine;

■ il rapporto costo-benefici di una terapia

complessa per la conservazione del dente

naturale.

Se si decide per l’estrazione del dente

è necessario conoscere le dinamiche di

rimaneggiamento osseo che avvengono

nelle settimane e nei mesi successivi

all’intervento.

Schropp e coll.47 in uno studio clinico

hanno analizzato le modificazioni

dell’alveolo post-estrattivo usando

radiografie standardizzate. I risultati hanno

dimostrato che i maggiori cambiamenti

dell’alveolo avvengono durante i primi

12 mesi successivi all’estrazione con una

riduzione di spessore della cresta alveolare

del 50%, quantificabile in 5-7 mm.

Inoltre, i due terzi di questa riduzione

avviene nei primi 3 mesi dopo l’avulsione.

Araùjo e Lindhe48 hanno studiato i

cambiamenti dell’alveolo post-estrattivo

utilizzando una tecnica convenzionale a

lembo e una tecnica “flapless”.

L’esperimento dimostra che la rimozione

di un dente comporta, durante la

guarigione, una marcata riduzione della

cresta alveolare, soprattutto nella parte

più coronale e più dal lato buccale che da

quello linguale.

Dopo 6 mesi di guarigione si è verificata

una riduzione del 35% di quantità di tessuto

osseo. L’osservazione più importante è stata

però che la quantità di tessuto duro perso

nel periodo di guarigione è stata simile

sia con la tecnica a lembo che con quella

flapless.

Il riassorbimento osseo principalmente

localizzato sul lato buccale dell’alveolo

sembra essere correlato alle caratteristiche

anatomiche della zona. Infatti, la teca ossea

buccale è spesso costituita esclusivamente

da “bundle bone” cioè quel tipo di lamina

ossea in cui si inseriscono le fibre di

Sharpey (fibre del legamento parodontale)

provenienti dal cemento radicolare.

Sembra che dopo l’avulsione dentaria il

“bundle bone” perda la sua funzione e

quindi si riassorba. Il piatto osseo linguale

subisce meno riassorbimento perché

costituito sia da “bundle bone” che da osso

lamellare49.

Allorché la teca ossea buccale si riassorbe,

si assiste all’ingresso di tessuto molle

nello spazio prima occupato dal “bundle

bone”, con conseguente mancanza di

spazio per la rigenerazione ossea e quindi

al collasso della cresta in senso orizzontale

e verticale.

Covani e coll.50 hanno dimostrato che la

rimozione di un singolo dente intercalato

causa un marcato cambiamento della

parete ossea buccale e, come conseguenza,

la cresta alveolare si riduce scivolando

lingualmente.

Il riassorbimento osseo verticale risulta più

marcato (10.6 mm) nel centro della cresta

rispetto alle estremità mesiale (5.4 mm) e

distale (6.6 mm).

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74

Riassumendo, quando decidiamo di estrarre

un dente, abbiamo in genere 3 opzioni:

■ attendere la guarigione dell’alveolo;

■ ricostruire l’alveolo;

■ inserire un impianto contestualmente

all’avulsione.

Abbiamo già visto come l’estrazione

del dente comporti spesso un collasso

dell’alveolo.

Esistono oggi delle possibilità di

impedire questo fenomeno utilizzando

delle tecniche che promuovano una

ricostruzione ossea dell’alveolo?

La ricostruzione dell’alveolo

Fickl e coll.49 hanno studiato la

possibilità di mantenere

dimensionalmente gli alveoli post-estrattivi

utilizzando il seguente protocollo di

ricerca:

■ inserimento nell’alveolo di osso bovino

collagene;

■ osso bovino collagene e innesto

gengivale libero;

■ solo coagulo come controllo.

L’innesto xenogenico sembra essere

in grado di sostituire il “bundle bone”

prevenendo in parte il collasso

dell’alveolo.

Esso agirebbe anche come “scaffold”

per la rigenerazione ossea sebbene,

nella parte più coronale, le particelle

innestate siano circondate da tessuto

connettivo.

Sembra inoltre che l’uso di un innesto

gengivale libero per sigillare l’ingresso

dell’alveolo comporti dei benefici rispetto

al gruppo di controllo senza innesto.

Tuttavia non vi è un accordo definitivo

sulla possibilità di prevenire il collasso

dell’alveolo mediante biomateriali.

Araujo e coll.51 hanno eseguito uno studio

sul cane trattando siti post-estrattivi con

osso bovino collagene e usando il lato

controlaterale non trattato come

controllo.

I risultati istologici mostrano come la

presenza di cellule multinucleate nel

tessuto circostante l’innesto xenografico

ritardi la guarigione dell’alveolo.

Una presenza significativa di nuovo osso è

stata osservata solo nella parte più apicale

dell’alveolo dove il materiale di innesto era

assente.

Nella restante parte dell’alveolo innestato,

i granuli di biomateriale risultavano

circondati da una matrice provvisoria

infiammata ed erano frequentemente

ricoperti da cellule multinucleate che

potevano essere identificate come

osteoclasti derivanti dalla linea dei

macrofagi.

La presenza di cellule multinucleate

nella matrice provvisoria indicava che le

particelle di xenoinnesto erano

riconosciute come estranee all’organismo.

Nei siti non innestati di controllo si

potevano osservare grandi quantità di

“woven bone” distribuite nella maggior

parte dei compartimenti dell’alveolo.

Santos e coll.52 hanno condotto una

ricerca sul cane per valutare la reazione

dei tessuti duri e molli dopo l’inserimento

in alveoli post-estrattivi immediati di due

differenti tipi di idrossiapatite (sintetica e

naturale) e di vetro bioattivo.

I risultati del gruppo di controllo

mostravano la formazione di osso lamellare

dopo 4 settimane e di osso compatto

dopo 28 settimane.

Le idrossiapatiti e il biovetro mostravano

a 28 settimane risultati simili, con la

formazione intorno alle particelle sia di

tessuto connettivo che di osso neoformato.

Nessuno dei materiali risultava

completamente riassorbito. In ultima

analisi, si può dire che tutti i materiali

innestati hanno ritardato la guarigione

dell’alveolo.

La tecnica da noi preferita per la

ricostruzione dell’alveolo è quella che

viene definita “Layer- Technique” (Vanden

Bogaerde, 2011).

Questa procedura consiste nel

riempimento dell’alveolo in modo

stratificato: sul fondo, a livello di circa i

due terzi dell’alveolo, viene posizionato

dell’osso bovino.

Il terzo coronale viene riempito con osso

autologo prelevato con scraper. Infine, un

innesto gengivale libero sigilla l’imbocco

dell’alveolo.

A nostro parere il vantaggio di questa

tecnica consiste nell’isolamento completo

dell’innesto di biomateriale, che risulta

interamente circondato da osso nativo e

innestato.

Il biomateriale non entra direttamente

in contatto con il connettivo o l’epitelio

ed è quindi colonizzato solo da cellule

osteopromotrici (Figure 18a-18d).

TABELLA 5

Opzioni Vantaggi Svantaggi

Attendere la guarigione Terapia semplice e poco costosa Grave riassorbimento osseo, corona clinica molto lunga

Ricostruire l’alveolo Possibilità di mantenere parzialmente il livello osseoPosizionamento dell’impianto in osso stabilizzato

Terapia impegnativa, tempi lunghi, costi importanti

Inserire un impianto Possibilità di mantenere parzialmente il livello osseoTempi di trattamento molto brevi

Imprevedibilità della recessione dei tessuti molliResidui di tessuto infiammatorio nell’alveolo

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76

Inserimento contestuale

dell’impianto

Dall’analisi degli studi sopra riportati

si evince che il tentativo di preservare

l’alveolo per mezzo di biomateriali spesso

non è all’altezza delle aspettative.

Possiamo, a questo punto, domandarci se

possa essere utile, per il mantenimento del

livello osseo, posizionare immediatamente

un impianto in un sito post-estrattivo fresco.

Ma, secondo la letteratura, quale prevedibilità

e possibilità di successo hanno gli impianti

posizionati in siti post-estrattivi? Botticelli e

coll.53 hanno eseguito uno studio prospettico

a 5 anni ottenendo una percentuale di

sopravvivenza implantare del 100%.

Quindi gli impianti posizionati in siti post-

estrattivi, a condizione di rispettare un

adeguato protocollo chirurgico, avrebbero,

in termini di percentuale di successo, una

prognosi paragonabile a quelli posizionati in

osso nativo.

Ma l’impianto può prevenire il riassorbimento

dell’osso marginale?

Paolantonio e coll.54 in uno studio clinico e

istologico nell’uomo hanno asserito che il

posizionamento immediato di un impianto in

un sito post-estrattivo può evitare il processo

di riassorbimento del piatto osseo buccale.

Questo risultato è stato successivamente

smentito da altri ricercatori55,56. Recentemente,

Sanz e coll.57 hanno confermato che impianti

posizionati in siti post-estrattivi immediati

comportano una marcata riduzione del livello

osseo sia in senso orizzonatale che verticale,

più marcato sul lato buccale che su quello

palatino.

Il riassorbimento osseo verticale sul lato

buccale può essere quantificato in 2.6 mm

secondo Araujo e coll.56 in uno studio a 3 mesi

nel cane, o di 2.8 mm secondo Botticelli e

coll.58 sempre in uno studio sul cane a 4 mesi.

18d. A chiusura dell’alveolo è consigliabile inserire un innesto gengivale libero.

18a. RICOSTRUZIONE DI ALVEOLO. Alveolo post estrattivo fresco. 18b. “LAYER-TECHNIQUE”. Il fondo dell’alveolo viene riempito con osso bovino deproteinizzato

18c. Lo strato più coronale è costituito da osso autologo particolato.

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78

Guarigione spontanea

del “gap” perimplantare

È necessario chiarire ciò che avviene nel “gap”

perimplantare durante la fase di guarigione.

Uno studio istologico di più di dieci

anni fa41 esaminava la guarigione ossea

del gap perimplantare lasciato guarire

spontaneamente.

Gli Autori valutarono, in siti post-estrattivi

simulati, gli effetti di “gap” perimplantari

di varia ampiezza, lasciati guarire

spontaneamente.

Furono preparati difetti sperimentali di

ampiezza crescente di 0.5, 1.0, 1.4 mm, con un

lato controllo senza gap. I difetti furono lasciati

guarire senza alcuna terapia rigenerativa.

Benché clinicamente tutti i difetti erano

guariti, l’esame istologico, eseguito dopo

12 settimane, mostrava che la percentuale

di contatto osso impianto (BIC) diminuiva

quanto maggiore era l’ampiezza del difetto

iniziale.

Questo articolo ci indica che un difetto può

essere lasciato guarire spontaneamente

purché la sua ampiezza sia ridotta;

diversamente, la connessione osso impianto

ne può risultare indebolita.

Morfologia del difetto

perimplantare

Il processo di guarigione del difetto dipende

anche dalla morfologia dello stesso; vi sono

difetti più o meno spacemaking, cioè in grado

di mantenere sufficiente spazio durante il

periodo di guarigione.

È stata proposta una classificazione dei difetti

ossei in base alla morfologia e al numero di

pareti ossee presenti40.

I difetti ossei contigui agli impianti sono

stati distinti in due gruppi principali: closed,

cioè difetti con presenza di pareti ossee

completamente conservate, simili ai difetti

parodontali a tre pareti; open, cioè difetti

con mancanza di una o più pareti ossee.

È evidente che il primo tipo di difetto, per

la sua conformazione anatomica, mostra

caratteristiche di mantenimento di spazio,

con ottima stabilità del coagulo durante le

prime fasi di guarigione e quindi migliore

prevedibilità del processo rigenerativo.

I difetti open, invece, in considerazione della

mancanza di una o più pareti ossee hanno

minori possibilità di mantenere la stabilità

del coagulo o di un eventuale materiale di

innesto.

Quindi questi difetti hanno una prognosi

meno prevedibile dei precedenti e richiedono

una terapia rigenerativa più complessa e

costosa, consistente in innesti ossei e utilizzo

di membrane.

Trattamento del “gap”

perimplantare

Un aspetto importante è rappresentato dal

materiale di innesto che possiamo utilizzare

per il riempimento dei difetti.

Vi è un comune consenso sul fatto che

l’osso autologo sia il “gold standard” fra

gli innesti ossei in considerazione delle

sue capacità sia osteoconduttive che

osteoinduttive.

A dispetto della crescente diffusione di

sostituti ossei, ancora oggi l’osso autologo

può essere considerato il materiale di prima

scelta per questo genere di lesioni.

Per i difetti perimplantari in genere non

necessitano ingenti quantità di osso, per

cui si possono eseguire dei micro prelievi

nell’ambito del cavo orale.

A tale scopo è possibile utilizzare degli

scraper, strumenti in grado di asportare

dalla superficie dell’osso piccole quantità di

materiale da innesto.

È interessante osservare come spesso

all’interno di questi prelievi sia possibile

rinvenire cellule ossee vitali, a testimonianza

dalla bassa traumaticità di tale metodica.

Esistono attualmente anche dei mini-scraper

con i quali possiamo eseguire prelievi con

tecniche mini invasive.

Una di queste è la “tecnica a tunnel”: si

esegue un’incisione verticale sul lato esterno

della mandibola a livello del primo molare, si

scolla il periostio, si inserisce il mini-scraper

di forma tubulare e, muovendolo avanti

e indietro, si gratta la superficie dell’osso

corticale raccogliendo nell’apposito deposito

piccoli “riccioli” di osso.

Pochissimi punti di sutura sono necessari per

chiudere la ferita di accesso.

L’utilizzo di sostituti dell’osso per il

trattamento del gap perimplantare espone,

a nostro parere, il difetto a una indesiderata

invasione di tessuto connettivo, con

conseguente incapsulamento delle particelle

di biomateriale e assenza di neoformazione

ossea.

La guarigione del difetto ne risulterebbe

impedita con il rischio, inoltre, che la

proliferazione connettivale funga da

tramite per possibili fenomeni infettivi e

infiammatori.

Uso di impianti conici

Dobbiamo anche analizzare la possibilità di

riempire il gap perimplantare con

titanio invece che con innesto particolato:

usando impianti conici, che mimano

la morfologia dell’alveolo, possiamo

ridurre al minimo la presenza del difetto

perimplantare.

Un recente studio sperimentale nel cane59

ha analizzato questa problematica.

Sono stati posizionati impianti in siti post-

estrattivi immediati, nel lato controllo sono

stati inseriti impianti cilindrici di piccolo

diametro, mentre nel lato test impianti conici

più larghi con forma a radice.

Dopo 4 mesi sono state eseguite delle analisi

istomorfometriche.

I risultati evidenziano un riassorbimento osseo

sia nel lato test che in quello controllo, con

una maggiore perdita buccale nel gruppo test

rispetto a quello di controllo.

Quindi, l’utilizzo di impianti conici non solo

non preverrebbe il riassorbimento della cresta,

ma indurrebbe un maggiore riassorbimento

buccale rispetto agli impianti cilindrici.

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80

Posizione dell’impianto

nell’alveolo

La localizzazione dell’impianto nell’alveolo

post-estrattivo è stato oggetto di uno

studio specifico condotto da Caneva e coll.60

nell’animale da esperimento (cane).

Sono stati posizionati impianti in siti post-

estrattivi immediati: nel lato controllo al centro

dell’alveolo, mentre nel lato test sono stati

inseriti 0.8 mm in profondità e verso il lato

linguale.

Dopo 4 mesi sono stati analizzati da un punto

di vista istomorfometrico. Tutti gli impianti

risultarono integrati con presenza di osso

lamellare; vi era in entrambi i gruppi un

riassorbimento marginale, tuttavia questo

risultava meno pronunciato nel gruppo test

(impianti più profondi e linguali) che in quello

di controllo.

In conclusione, è consigliabile posizionare

l’impianto sempre verso il lato linguale per

diversi motivi:

■ la teca ossea linguale è più spessa e si

riassorbe meno facilmente;

■ la parete ossea linguale è in genere

costituita da osso corticale e quindi

garantisce maggiore stabilità primaria

all’impianto;

■ posizionando l’impianto verso il lato

linguale liberiamo più spazio sul lato

buccale per un eventuale innesto osseo.

Per quando riguarda la profondità di

inserzione dell’impianto, dobbiamo valutare

le differenti localizzazioni nelle arcate

mascellari:

■ nelle zone estetiche è consigliabile

posizionare l’impianto a livello della cresta

o più profondamente; la scelta dipende

sia dallo spessore dell’osso alveolare sia

dallo spessore e dalla consistenza dei

tessuti molli. Dobbiamo considerare che

un impianto collocato a livello o sotto la

cresta è spesso accompagnato, nella fase

di guarigione, da un riassorbimento della

cresta legata alla necessità di stabilirsi

dell’“ampiezza biologica”;

■ nelle zone posteriori può essere invece

utile posizionare l’impianto 1-2 mm sopra

la cresta sia per minimizzare la perdita

ossea verticale legata all’“ampiezza

biologica”, sia per diminuire la distanza

interocclusale e quindi il braccio di leva.

Tecnica flapless

Araujo e Lindhe48 hanno eseguito uno

studio nel cane per valutare la guarigione

del tessuto osseo dopo estrazione dentale

eseguita con o senza lembo. La procedura

di estrazione dentale eseguita con o

senza lembo non comporta differenze

statisticamente significative in termini di

riassorbimento osseo marginale. Blanco

e coll.61 hanno condotto uno studio nel

cane per valutare le alterazioni della cresta

alveolare dopo avulsione dentaria, sia in

senso orizzontale che verticale. Dopo 3

mesi le misurazioni hanno evidenziato

un riassorbimento verticale di 1.48 mm

e 1.22 mm per i gruppi flap e flapless

rispettivamente, e una perdita orizzontale

di 4.41 mm e di 4.5 per i gruppi flap e

flapless rispettivamente. I risultati non erano

però statisticamente significativi. Quindi il

riassorbimento osseo non era influenzato

dal tipo di tecnica utilizzata, se flap o

flapless.

I pareri non sono però concordi; infatti

Fickl e coll.62 hanno concluso uno studio

nell’animale teso a definire le conseguenze

sull’osso di tecniche di estrazione con o

senza lembo. Gli Autori hanno riscontrato

una perdita ossea di 2.1 mm nel gruppo

flapless e di 2.5 mm nel gruppo flap,

considerando la differenza significativa.

Hanno quindi concluso che lasciando in

sede il periostio diminuisce la velocità di

riassorbimento dell’alveolo estrattivo. È

necessario sottolineare che le differenze di

risultati degli studi citati potrebbero essere

attribuibili alla diversa localizzazione degli

elementi dentari interessati, con differenti

anatomie e spessori ossei.

Precauzioni nell’inserimento

di impianti in siti post-estrattivi

immediati

Prima di procedere con l’inserimento degli

impianti in siti post-estrattivi immediati è

indispensabile assumere alcune precauzioni

tese a valutare alcuni fattori:

■ la presenza di parodontite. La presenza

di malattia parodontale attiva è una

controindicazione all’implantologia in

siti post-estrattivi immediati. È necessario

preventivamente: eseguire una terapia

adeguata della parodontite, tenere

sotto controllo la placca batterica con

un programma di igiene orale rigoroso,

monitorare nel tempo le condizioni

implantari mediante radiografie e

frequenza di risonanza. È stato dimostrato

che in caso di parodontite aggressiva

generalizzata (GAP), i pazienti hanno

una maggiore incidenza di patologie

parimplantari, un più accentuato

riassorbimento osseo marginale e

un minore tasso di sopravvivenza

implantare63,64;

■ impianti in siti infetti. Sembra possibile

inserire impianti anche in siti infetti,

eseguendo un accurato curettage

dell’alveolo; tuttavia, dobbiamo sempre

tenere presente che, in tali siti, possono

residuare dei frammenti di tessuto

infiammatorio che possono rimanere

intrappolati dopo l’installazione

implantare dando origine a fenomeni

infettivi anche gravi con perdita

dell’impianto o con formazioni di

perimplantiti apicali (granulomi);

■ la concomitanza di parodontite e

fumo può rappresentare una seria e

reale controindicazione alla procedura

implantare63.

CorrispondenzaLeonardo Vanden Bogaerde

Via Dante 32 - 20863 Concorezzo (MB)

Telefax 039.6049005

[email protected]

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[email protected] 84 26/07/12 16.14