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INTRODUZIONE ALLA TRAUMATOLOGIA Giovedi 12 marzo 11.3012.30 Prof. Milone mail: [email protected] Come va affrontata la traumatologia e quali sono i suoi punti critici? Da un punto di vista epidemiologico il trauma rappresenta la prima causa di morte tra i pazienti giovani, in genere sono incidenti automobilistici ma anche altri tipi di traumi. Ovviamente ha un costo sociale enorme perché il trauma ha spesso degli esiti che condizioneranno per sempre la vita lavorativa del paziente. Dopo un trauma noi abbiamo in genere una mortalità che segue un andamento trimodale: morti immediate, morti precoci e morti tardive. Il paziente muore tardivamente in genere per insufficienza multiorgano, cioè dovuta a situazioni che col tempo determinano compromissione di più organi ed apparati fino all’exitus. Fondamentale è sapere che ciò che possiamo e riusciamo a fare nella prima ora condiziona il risultato finale: queste operazioni, passata la prima ora, non possono più essere realizzate. La “golden hour” rappresenta un criterio imprescindibile per il prosieguo dell’azione e per la sopravvivenza. Ovviamente l’obiettivo è salvare il paziente ed ottenere gli esiti meno invalidanti possibile. Questo avviene attraverso la rapida valutazione della scena e del paziente, tempestivi e rapidi interventi atti a garantire il supporto delle funzioni vitali, l’accesso all’ospedale più idoneo a garantire il trattamento definitivo del paziente. Cosa significa? Se ho un trauma cranico, arriva l’ambulanza e mi porta il paziente al primo Pronto Soccorso vicino di un ospedale dove non c’è la Neurochirurgia, io ho fatto una stupidaggine. Quindi c’è un problema di organizzazione delle emergenze. Cosa succederebbe in un caso del genere? Il personale dell’ospedale prenderebbe il paziente, vedrebbe il trauma e ne predisporrebbe il trasporto in un’altra struttura sul territorio più idonea a trattarlo. In tutto ciò quasi sicuramente passerebbe più di un’ora, quindi avremmo bypassato quel concetto fondamentale della prima ora. Dunque: i medici o i paramedici sul luogo del trauma dovrebbero segnalare che, nel caso preso ad esempio, c’è un trauma cranico e la Centrale operativa in tal modo potrebbe dire “portalo nella struttura X dove c’è la Neurochirurgia e c’è disponibilità ad accogliere il paziente”. Naturalmente al di là del caso specifico il concetto che deve restare è che nella prima ora il paziente deve essere trattato in una struttura specializzata idonea a seconda del trauma riportato. La catena della sopravvivenza si attiva in questo modo: 118 > trattamento preospedaliero > trasporto in ospedale idoneo > trattamento ospedaliero. Ecco come dovrebbe funzionare la Centrale operativa del 118. Essa raccoglie i dati e provvede all’invio di mezzi di soccorso più idonei, cioè ambulanze ma non solo. Ci sono posti difficilmente accessibili in cui, per esempio, il mezzo più idoneo può risultare essere una jeep; oppure pensate alla possibilità dell’elisoccorso per raggiungere posti molto stretti. Tutto questo può essere pianificato sapendo dove il paziente si trova. L’équipe che arriva sul luogo dell’incidente fa una valutazione della scena: si devono rendere conto se la scena del trauma è pericolosa per se stessi. Immaginate un terremoto: i soccorritori, prima di portare soccorso, devono valutare che la propria incolumità venga salvata, sennò non si salva nessuno! L’altra cosa importante: immaginate i grandi disastri, esempio due pullman che cadono in un burrone con centinaia di feriti e alcuni morti; bisogna capire cosa fare e poi attuare il triage. Il triage rappresenta la valutazione dei pazienti caso per stabilire la gravità della situazione e consiste nell’attribuire dei codici di colore diverso. Codice nero: pz morto; Rosso: pz gravissimo; Giallo e Verde: pz che possono attendere qualche tempo, ma non molto; codice bianco: pz che sta bene. Ciò è un’indicazione per la cronologia dei soccorsi: il codice rosso richiede immediato trasporto in ospedale, il codice bianco può essere condotto in ospedale per ultimo. Guardo se sono presenti pericoli evidenti, ascolto le dichiarazioni dei presenti, segnalo alla Centrale operativa la necessità di mezzi aggiuntivi (macchine, ambulanze, mezzi blindati). Com’è composta una squadra di soccorso? Abbiamo il leader, che prende le decisioni, poi il primo ed il secondo soccorritore. Ripeto il concetto: verificare se esistono le condizioni per operare nei limiti di scurezza. Triage: valutazione rapidissima, sul luogo dell’incidente, della CESIRA (Coscienza, Emorragia, Shock, Insufficienza respiratoria, Rottura ossea, Altro). Ricordate questa sigla.

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Page 1: Prof.&Milone&& & mail:&francesco.milone@unina.it&igazzellini.altervista.org/gazzellini/altro/emergenze_milone.pdf · caso*di*avviso*di*garanzia*ioscrivo“hofattoquesto,poivedetevelavoi”

INTRODUZIONE  ALLA  TRAUMATOLOGIA         Giovedi  12  marzo  11.30-­‐12.30  

Prof.  Milone       mail:  [email protected]  

Come  va  affrontata  la  traumatologia  e  quali  sono  i  suoi  punti  critici?  Da  un  punto  di  vista  epidemiologico  il  trauma  rappresenta  la  prima  causa  di  morte  tra  i  pazienti  giovani,  in  genere  sono  incidenti  automobilistici  ma  anche  altri  tipi  di  traumi.  Ovviamente  ha  un  costo  sociale  enorme  perché  il  trauma  ha  spesso  degli  esiti  che  condizioneranno  per  sempre  la  vita  lavorativa  del  paziente.  Dopo  un  trauma  noi  abbiamo  in  genere  una  mortalità  che  segue  un  andamento  trimodale:  morti  immediate,  morti  precoci  e  morti  tardive.  Il  paziente  muore  tardivamente  in  genere  per  insufficienza  multiorgano,  cioè  dovuta  a  situazioni  che  col  tempo  determinano  compromissione  di  più  organi  ed  apparati  fino  all’exitus.  Fondamentale  è  sapere  che  ciò  che  possiamo  e  riusciamo  a  fare  nella  prima  ora  condiziona  il  risultato  finale:  queste  operazioni,  passata  la  prima  ora,  non  possono  più  essere  realizzate.  La  “golden  hour”  rappresenta  un  criterio  imprescindibile  per  il  prosieguo  dell’azione  e  per  la  sopravvivenza.  Ovviamente  l’obiettivo  è  salvare  il  paziente  ed  ottenere  gli  esiti  meno  invalidanti  possibile.  Questo  avviene  attraverso  la  rapida  valutazione  della  scena  e  del  paziente,  tempestivi  e  rapidi  interventi  atti  a  garantire  il  supporto  delle  funzioni  vitali,  l’accesso  all’ospedale  più  idoneo  a  garantire  il  trattamento  definitivo  del  paziente.  Cosa  significa?  Se  ho  un  trauma  cranico,  arriva  l’ambulanza  e  mi  porta  il  paziente  al  primo  Pronto  Soccorso  vicino  di  un  ospedale  dove  non  c’è  la  Neurochirurgia,  io  ho  fatto  una  stupidaggine.  Quindi  c’è  un  problema  di  organizzazione  delle  emergenze.  Cosa  succederebbe  in  un  caso  del  genere?  Il  personale  dell’ospedale  prenderebbe  il  paziente,  vedrebbe  il  trauma  e  ne  predisporrebbe  il  trasporto  in  un’altra  struttura  sul  territorio  più  idonea  a  trattarlo.  In  tutto  ciò  quasi  sicuramente  passerebbe  più  di  un’ora,  quindi  avremmo  bypassato  quel  concetto  fondamentale  della  prima  ora.  Dunque:  i  medici  o  i  paramedici  sul  luogo  del  trauma  dovrebbero  segnalare  che,  nel  caso  preso  ad  esempio,  c’è  un  trauma  cranico  e  la  Centrale  operativa  in  tal  modo  potrebbe  dire  “portalo  nella  struttura  X  dove  c’è  la  Neurochirurgia  e  c’è  disponibilità  ad  accogliere  il  paziente”.  Naturalmente  al  di  là  del  caso  specifico  il  concetto  che  deve  restare  è  che  nella  prima  ora  il  paziente  deve  essere  trattato  in  una  struttura  specializzata  idonea  a  seconda  del  trauma  riportato.    

La  catena  della  sopravvivenza  si  attiva  in  questo  modo:  118  -­‐>  trattamento  pre-­‐ospedaliero  -­‐>  trasporto  in  ospedale  idoneo  -­‐>  trattamento  ospedaliero.    

Ecco  come  dovrebbe  funzionare  la  Centrale  operativa  del  118.  Essa  raccoglie  i  dati  e  provvede  all’invio  di  mezzi  di  soccorso  più  idonei,  cioè  ambulanze  ma  non  solo.  Ci  sono  posti  difficilmente  accessibili  in  cui,  per  esempio,  il  mezzo  più  idoneo  può  risultare  essere  una  jeep;  oppure  pensate  alla  possibilità  dell’elisoccorso  per  raggiungere  posti  molto  stretti.  Tutto  questo  può  essere  pianificato  sapendo  dove  il  paziente  si  trova.    

L’équipe  che  arriva  sul  luogo  dell’incidente  fa  una  valutazione  della  scena:  si  devono  rendere  conto  se  la  scena  del  trauma  è  pericolosa  per  se  stessi.  Immaginate  un  terremoto:  i  soccorritori,  prima  di  portare  soccorso,  devono  valutare  che  la  propria  incolumità  venga  salvata,  sennò  non  si  salva  nessuno!  L’altra  cosa  importante:  immaginate  i  grandi  disastri,  esempio  due  pullman  che  cadono  in  un  burrone  con  centinaia  di  feriti  e  alcuni  morti;  bisogna  capire  cosa  fare  e  poi  attuare  il  triage.  Il  triage  rappresenta  la  valutazione  dei  pazienti  caso  per  stabilire  la  gravità  della  situazione  e  consiste  nell’attribuire  dei  codici  di  colore  diverso.  Codice  nero:  pz  morto;  Rosso:  pz  gravissimo;  Giallo  e  Verde:  pz  che  possono  attendere  qualche  tempo,  ma  non  molto;  codice  bianco:  pz  che  sta  bene.  Ciò  è  un’indicazione  per  la  cronologia  dei  soccorsi:  il  codice  rosso  richiede  immediato  trasporto  in  ospedale,  il  codice  bianco  può  essere  condotto  in  ospedale  per  ultimo.  Guardo  se  sono  presenti  pericoli  evidenti,  ascolto  le  dichiarazioni  dei  presenti,  segnalo  alla  Centrale  operativa  la  necessità  di  mezzi  aggiuntivi  (macchine,  ambulanze,  mezzi  blindati).  Com’è  composta  una  squadra  di  soccorso?  Abbiamo  il  leader,  che  prende  le  decisioni,  poi  il  primo  ed  il  secondo  soccorritore.  Ripeto  il  concetto:  verificare  se  esistono  le  condizioni  per  operare  nei  limiti  di  scurezza.  Triage:  valutazione  rapidissima,  sul  luogo  dell’incidente,  della  CESIRA  (Coscienza,  Emorragia,  Shock,  Insufficienza  respiratoria,  Rottura  ossea,  Altro).  Ricordate  questa  sigla.    

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(Seguono  alcuni  esempi)  La  persona  cammina?  Si:  codice  verde.  E’  cosciente?  No:  codice  rosso.  Ha  un’emorragia  esterna?  Si:  codice  rosso.  E’  in  stato  di  shock?  Si:  codice  rosso.  Ha  un’insufficienza  respiratoria?  Si:  codice  rosso.  Presenta  rottura  ossea?  Si:  codice  giallo.  Altre  patologie  o  problemi?  Si:  codice  giallo.  Una  volta  che  il  pz  ha  raggiunto  l’ospedale  è  fondamentale  che  il  team  leader  o  comunque  chi  prende  le  decisioni  inquadri  il  pz  nel  trauma  maggiore  o  nel  trauma  minore.  Trauma  maggiore  non  è  sinonimo  di  trauma  più  grave.  Ci  si  riferisce  sempre  alle  condizioni  del  pz  ma  in  maniera  molto  relativa.  Perché  la  necessità  di  questa  distinzione?  E’  un  problema  di  organizzazione  sanitaria  e  di  compatibilità  economica  con  il  sistema  che  vogliamo  attuare.  Se  ad  ogni  pz  traumatizzato  faccio  fare  TC  total  body,  cranio,  torace  addome,  pelvi  e  arti  io  salverò  molte  persone  ma  questo  avrà  un  costo  incompatibile  col  notro  SSN  che  vi  ricordo  è  gratuito  ed  universale.  Quindi  non  avremo  soldi  per  erogare  altri  tipi  di  prestazione.  Abbiamo  la  necessità  di  razionalizzare  le  risorse.  Quindi  se  viene  un  pz  con  un  trauma,  ad  es.  una  lussazione  di  caviglia,  perché  è  stato  investito  da  una  moto,  io  non  gli  faccio  un  TC  torace,  addome  pelvi  ecc.  Fare  questa  distinzione  è  utile  anche  per  avere  una  certa  tranquillità  in  caso  di  eventuali  contenziosi  medico-­‐legali  (e  non  c’è  trauma  della  strada  in  cui  non  ci  sia  una  richiesta  di  risarcimento  da  parte  della  compagnia  assicurativa,  soprattutto  se  il  pz  muore)  perché  la  compagnia  dice  “il  mio  assicurato  ha  causato  l’incidente  ed  io  devo  pagare,  però  il  pz  è  morto  per  il  trauma  ma  anche  per  cattiva  assistenza  e  allora  le  spese  ce  le  dobbiamo  dividere”.  L’assicurazione  cioè  ributta  sul  SSN  un’eventuale  diluizione  delle  spese.  Allora  ci  devono  essere  dei  criteri  che  dicono  il  mio  pz  si  era  lussato  la  caviglia  però  è  caduto,  ha  sbattuto  il  fianco,  ha  avuto  una  rottura  di  milza  ed  è  morto  per  quello.  Perciò  la  colpa  è  del  mio  assicurato  ma  la  colpa  è  anche  dei  sanitari  che  non  si  sono  accorti  della  rottura  di  milza.    

Esistono  perciò  dei  criteri  che  non  si  discutono  che  immeditatamente  impongono  ai  sanitari  di  inquadrare  o  meno  il  pz  nel  trauma  maggiore.  Quali  sono?    

-­‐ Caduta  dall’alto  >  5  m  (es  dal  secondo  piano  di  un  palazzo;  indipendentemente  dalle  condizioni  generali  io  lo  inquadrerò  come  trauma  maggiore,  anche  se  il  pz  ride  e  scherza  e  sembra  stare  bene.  Pertanto  gli  faccio  prima  di  tutto  un’eco  fast  (eco  per  vedere  se  ci  sono  versamenti  endoaddominali,  cioè  sangue  fondamentalmente,  o  altri  fluidi  tipo  urina  se  si  è  rotta  la  vescica);  

-­‐ Impatto  ad  alta  velocità  (dopo  incidente  a  200/h  ad  es).  Come  faccio  io  sanitario  a  sapere  che  è  avvenuto  tale  impatto?  In  genere  negli  incidenti  stradali  al  Pronto  Soccorso  ho  anche  una  relazione  della  Polfer  (?  Polizia  ferroviaria?)  che  mi  segnala  tutto  quello  che  è  avvenuto:  autostrada,  alta  velocità  eccetera.  Se  non  avete  questa  relazione  dovete  ricorrere  a  criteri  anamnestici.  Se  l’incidente  avviene  su  strada  sterrata  è  difficile  che  l’impatto  sia  stato  ad  alta  velocità,  al  contrario  dell’autostrada  in  cui  ciò  è  plausibile.    

-­‐ Estrinsecazione  complessa  per  gravi  danni  dal  veicolo  (se  ho  dovuto  estrarre  il  pz  dalle  lamiere  con  la  fiamma  ossidrica);    

-­‐ Incendio  del  veicolo;    -­‐ Coinvolgimento  di  un  mezzo  pesante;    -­‐ Morte  di  un  passeggero  (anche  se  gli  altri  non  hanno  un  graffio  si  considerano  traumatizzati  

maggiori);    -­‐ Esplosioni;    -­‐ Ferite  da  arma  bianca;    -­‐ Lesioni  da  arma  da  fuoco;    -­‐ Motociclista  o  ciclista  sbalzato;    -­‐ Ribaltamento  dell’autoveicolo.    

Valutazione  rapida:  respiro,  coscienza,  emorragia,  movimenti  spontanei.  

La  valutazione  del  paziente  traumatizzato,  fondamentale,  va  fatta  sempre  seguendo  questa  progressione:  

A,  airways:  controllare  la  pervietà  delle  vie  aeree  e  se  il  pz  ha  controllo  dei  movimenti  del  rachide.  

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B,  breathing:  garantire  una  ventilazione  efficace  (cercare  di  estrinsecare  la  lingua  se  questa  è  caduta  posteriormente  nel  pz  non  cosciente,  estrarre  eventuali  corpi  estranei  presenti  nelle  vie  aeree,  valutare  lesioni  o  fratture  del  massiccio  facciale).  Se  ci  sono  ostruzioni  vie  aeree:  apertura  bocca,  sollevamento  del  mento,  possibilmente  mettendo  dietro  le  spalle  qualcosa  che  sopraeleva  le  regioni  scapolari  in  modo  che  la  testa  vada  in  iperestensione,  sublussazione  mandibola  per  intubare  il  paziente.  Se  non  c’è  respiro  si  ventila  artificialmente  il  pz.  Se  presenta  il  respiro  invece  si  può  dare  ossigeno  per  aiutarlo  e  valutare  la  frequenza  respiratoria.    

C,  circulation:  controllare  eventuali  emorragie  e  il  circolo  (controllare  polsi  periferici,  verificare  se  la  pressione  è  normale;  inutile  ricordare  che  la  riduzione  della  p  differenziale  indica  insufficienza  di  circolo  che  non  garantisce  la  normale  emodinamica  del  pz.  Valutare  se  eventualmente  il  pz  è  cianotico).  

D,  distress:  valutare  lo  stato  neurologico  (se  il  pz  è  cosciente,  reattivo  e  se  risponde  agli  stimoli  luminosi  e  verbali).  

E,  exposure:  svestire  il  pz  per  ispezionarlo  e  valutare  la  presenza  di  ecchimosi,  ferite  o  altre  lesioni  visibili  a  occhio  nudo.  

Mai  invertire  quest’ordine  di  valutazione  e  mai  passare  al  punto  successivo  se  non  avete  riconosciuto  e  trattato  quello  precedente.  Se  la  situazione  si  modifica,  ricominciare  la  valutazione  dalla  A.    

Qual’è  la  differenza  tra  emergenza  ed  urgenza?  L’emergenza  si  calcola  in  minuti,  l’urgenza  in  ore  o  giorni.  Un  trauma  della  strada  è  un’emergenza;  un’occlusione  intestinale  è  un’urgenza  chirurgica,  quindi  non  necessita  di  intervento  immediato.    

Cos’è  il  BLS:  Basic  Life  Support.  Insieme  ad  esso  ci  sono  varie  altre  sigle  per  indicare  le  sue  varianti,  come  l’ACLS  (Advanced  Cardiovascular  Life  Support)  e  il  PBLS  (Paediatric  Basic  Life  Support).  

La  catena  della  sopravvivenza  

-­‐ Ogni  volta  che  vi  trovate  in  corso  di  emergenza,  fate  sapere  se  è  possibile  la  situazione  (allarme  precoce).  

-­‐ Rianimazione  cardiopolmonare  -­‐ Defibrillazione  precoce  oppure  Advanced  Life  Support  (il  successivo  al  BLS)  

Valutazione  stato  di  coscienza.  Controllate  il  primo  punto,  airway:  se  il  pz  respira  lo  si  mette  in  posizione  laterale  di  sicurezza,  perché  potrebbe  vomitare  e  quindi  sviluppare  una  polmonite  ab  ingestis  per  inalazione  del  vomito.  Se  invece  non  respira  dobbiamo  fare  una  ventilazione.  Per  quanto  riguarda  il  punto  tre,  circulation,  ci  chiederemo:  il  polso  presente?  Continua  la  ventilazione.  Polso  assente?  Massaggio  cardiaco  esterno.    

Quindi,  valutazione  del  primo  punto:  Airway.  Valutiamo  coscienza  e  respiro.  Azione:  avvertire  il  118,  apertura  delle  vie  aeree  se  questo  non  avviene.  Breathing:  è  presente  il  respiro?  Insufflazione.  Circulation:  valutare  la  presenza  del  polso,  eventuale  massaggio  cardiaco.  Come  facciamo  il  massaggio  cardiaco  esterno?  Possibilmente  si  mette  un  supporto  a  livello  delle  regioni  scapolari  del  pz  per  ottenere  iperestensione  del  collo.  Il  soccorritore  si  pone  alla  sinistra  del  pz,  in  ginocchio.  A  volte  si  vede  un  massaggio  esterno  su  barella;  ciò  è  impossibile,  perché  il  massaggio  deve  essere  fatto  su  pz  posto  su  supporto  rigido  per  poter  essere  efficace.  Già  la  semplice  iperestensione  del  collo  facilita  la  pervietà  delle  vie  aeree.  La  respirazione  bocca  a  bocca:  il  soccorritore  è  sempre  a  sinistra.  Si  usano  maschera  e  pallone  Ambu  per  insufflare.  Come  faccio  a  sapere  se  c’è  polso  adeguato?  Il  primo  che  vado  a  sentire  è  quello  carotideo,  se  assente  il  pz  è  in  arresto  cardiaco.  

Massaggio  cardiaco  esterno:  il  rapporto  compressione/ventilazione  deve  essere  30:2  (domanda  d’esame)  secondo  le  ultime  linee  guida.  Frequenza  delle  compressioni:  100/min.  Posizione  delle  mani:  non  va  

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compresso  l’epigastrio  e  nemmeno  il  manubrio  sternale  ma  va  compressa  la  parte  centrale  dello  sterno,  con  mano  a  piatto  per  avere  un  più  ampio  impatto  superficie  mano/superficie  torace.  Partite  con  30  compressioni  e  poi  passate  all’insufflazione:  nel  momento  in  cui  fate  il  massaggio  dopo  un  po’  siete  sfiniti  e  avrete  bisogno  di  un  cambio,  da  qui  l’importanza  di  allertare.  Se  siete  sotto  al  sole  poi  rischiate  voi  lo  shock.  Se  le  vie  aeree  sono  occupate  da  un  corpo  estraneo  esso  dovrà  essere  eliminato.  Come  facciamo?  Con  la  manovra  di  Heimlich:  se  il  pz  è  cosciente  e  può  stare  in  piedi  incociamo  le  nostre  mani  sull’epigastrio  e  diamo  delle  compressioni  sull’epigastrio  stesso  per  sollevare  il  diaframma,  per  creare  un  flusso  d’aria  controcorrente  che  consenta  l’espulsione  del  corpo  estraneo.  Se  invece  il  pz  non  è  cosciente  spingiamo  l’epigastrio  come  se  volessimo  spingere  il  diaframma  attraverso  l’epigastrio.    

Ricordate  che  il  codice  rosso  indica  priorità  assoluta,  va  trattato  al  più  presto  possibile.  Codice  giallo:  è  un’urgenza  può  aspettare  alcune  ore  per  una  cura  definitiva.  Codice  verde  non  urgente,  può  aspettare  molte  ore  per  cura  definitiva.  Codice  nero  decesso  codice  bianco  pz  che  non  ha  niente.  Mentre  sembrerebbe  logico  il  trattamento  prima  del  codice  rosso  ecce  cc  questo  è  intuitivo  e  logico  da  seguire  nella  traumatologia  civile.  In  traumatologia  bellica  invece  si  soccorre  prima  il  pz  che  può  più  rapidamente  tornare  a  combattere,  cioè  i  codici  vengono  invertiti  perché  la  logica  cambia.    

Perché  attuiamo  il  triage?  Il  40%  degli  accessi  in  Pronto  Soccorso  (PS)  sono  codici  bianco  e  verde:  sono  questi  che  generano  una  spesa  impropria  di  un  miliardo  di  euro/anno.  Avrete  sentito  la  campagna  dei  media  riguardo  i  posti  in  barella  nel  periodo  influenzale:  ciò  perché  la  maggior  parte  dei  pz  che  accedevano  al  PS  non  avevano  il  codice  rosso  ma  alcuni  addirittura  bianco.  Tuttavia  è  importante  anche  il  tessuto  sociale.  Se  questo  è  dignitoso  si  chiama  la  Guardia  Medica,  il  Medico  di  fiducia;  si  pagano  delle  prestazioni,  si  fanno  esami  anche  privatamente,  si  va  in  farmacia  venendo  eventualmente  rimborsati  dal  SSN  ecc.  Se  invece  insisto  su  un  tessuto  sociale  in  cui  una  grossa  fetta  della  popolazione  non  ce  la  fa  ad  arrivare  a  fine  mese  è  chiaro  che  questi  vanno  in  PS  per  non  pagare  medici,  esami  e  medicine,  questo  barella  o  non  barella.  Più  basso  è  il  tessuto  sociale  su  cui  incide  il  PS  più  elevati  sono  i  casi  di  errato  utilizzo  di  un  PS.  Far  pagare  poi  i  codici  bianchi  mica  è  facile!  Si  dovrebbe  agire  per  vie  legali  per  farsi  rimborsare.  Le  Aziende  Sanitarie  preferiscono  non  ricevere  i  soldi  di  una  prestazione  piuttosto  che  affrontare  spese  legali  enormi  per  farseli  restituire.    

Vediamo  i  tempi  di  attesa  per  ciascun  codice:  

Codice  rosso:  nessuno,  immediato  

Codice  giallo:  15  min  

Codice  verde:  30  min  

Codice  bianco:  60  min    

Nel  concetto  di  triage  non  c’è  la  risoluzione  della  patologia  traumatica  ma  solo  un  criterio  di  priorità.    

La  maggior  parte  delle  persone  pensano  che  il  PS  sia  sempre  disponibile  per  favorire  cure  ospedaliere  non  programmate  e  ciò  è  alla  base  dell’intasamento  del  PS.  L’accettazione  al  PS  è  un  compito  ingrato  che  è  probabile  vi  troverete  a  dover  svolgere  ed  è  anche  estremamente  pericoloso:  in  due  o  tre  mesi  si  collezionano  almeno  una  ventina  di  avvisi  di  garanzia,  dopodiché  diventa  routine.  Vi  dovrete  quindi  fare  un  amico  avvocato.  Le  spese  legali  in  caso  di  proscioglimento  verranno  pagati  dalla  parte  soccombente  (privato  cittadino  o  assicurazione).  Gli  sportelli  sono  dappertutto,  chiamate  un  numero  e  date  la  documentazione.  Non  pagate  una  lira.  I  benefattori  di  parte  lesa  iniziano  la  procedura  ed  in  caso  di  rimborso  il  70%  lo  prende  parte  lesa  e  a  voi  privati  cittadini  solo  30%.  E’  chiaro  che  si  tratta  di  un  meccanismo  che  invoglia  al  contenzioso  perché  è  più  facile  prendere  qualche  soldo  rivolgendosi  a  queste  associazioni  piuttosto  che  vincere  ad  un  gratta  e  vinci!  Il  gratta  e  vinci  ormai  lo  comprano  tutti,  immaginate  allora  quale  sia  l’invito  a  fare  questo.  Per  un  dipendente  ospedaliero  la  cosa  non  è  drammatica,  perché  in  

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caso  di  avviso  di  garanzia  io  scrivo  “ho  fatto  questo,  poi  vedetevela  voi”  ma  per  popolo  della  partita  IVA  (collaborazione  libero  professionale  quindi  contratto  a  tempo  determinato)  o  per  un  professionista  non  ospedaliero  lo  è  perché,  in  caso  di  colpa  grave,  l’azienda  si  potrebbe  rivalere  sul  professionista  stesso.  Se  uno  di  voi  trova  posto  con  partita  IVA  presso  una  casa  di  cura  convenzionata  si  deve  assicurare.  

Ci  vuole  un’assicurazione  sostanziosa  il  cui  costo  annuo  varia  dai  5000  ai  18000  euro/anno  a  seconda  delle  specializzazioni.  Quindi  alla  vostra  paga  da  fame  fatturata  dovrete  sottrarre  tale  ammontare.  È  un  problema  che  va  risolto  perché,  alla  seconda-­‐terza  segnalazione  che  fare  alla  vostra  assicurazione  il  vostro  premio  aumenta  pure.  Allora  possiamo  essere  sposti  a  pathos  psicologico  per  essere  accusati  delle  più  grandi  infamità  del  mondo,  essere  esposti  ad  un  esborso  non  sopportabile  per  cui  si  sono  fatti  degli  aggiustamenti  ma  siamo  lontani  dalla  risoluzione  del  problema.  Non  dobbiamo  chiedere  l’impunità  ma  se  sto  lavorando  e  commetto  un  reato  colposo,  non  potete  massacrarmi:  il  pz  andrebbe  risarcito  dalle  strutture  dove  ha  richiesto  assistenza.  Non  parliamo  poi  dei  liberi  professionisti.  Tanti  di  voi  faranno  solo  libera  professione.  Un  nostro  specializzando  trovò  grazie  al  padre,  dirigente  di  un’azienda  sanitaria,  posto  il  giorno  dopo  aver  conseguito  la  specializzazione.  Insieme  al  padre  fa  un’ernia  inguinale  in  Day  Surgery.  Il  pz  viene  dimesso  con  Rocefin  1  fl/die  intramuscolo  per  3  gg.  Il  pz  va  a  casa,  fa  la  prima  fiala  di  Rocefin  e  muore  per  shock  anafilattico.  Questo  tizio  ha  passato  un  guaio  inenarrabile  perché  il  magistrato  ovviamente  si  fida  della  perizia.  Questo  problema  viene  enormemente  amplificato  quando  si  parla  di  traumatologia,  di  emergenze,  dove  non  ci  sono  calma  né  tempo  e  nemmeno  le  strutture  per  lavorare  tranquillamente.    

Non  fate  mai  visite  superficiali  all’amico,  o  all’amico  dell’amico  perché  non  vi  guarda  in  faccia  nessuno.  Un  mio  collega  cardiologo  è  stato  contattato  dal  suo  infermiere  che  chiedeva  di  prescrivere  qualcosa  per  il  fratello  a  casa  con  vomito;  il  mio  amico  gli  prescrisse  del  Plasil,  il  pz  morì  per  infarto  del  miocardio  e  il  medico  fu  denunciato  per  non  aver  pensato,  proprio  lui  cardiologo,  che  potesse  trattarsi  di  infarto.    

(consiglia  di  seguire  il  Balzanelli  come  libro  di  testo)  

 

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Lezione Emergenze 19/03/2015 Ci sono altri parametri che bisogna considerare nell’approccio al politraumatizzato. Innanzitutto la priorità di trattamento. Il vostro comportamento sarà sempre quello di tenere in mente i fattori ABCDE, per cui vie aeree, circolazione e così via. Se è necessario fare un massaggio cardiaco esterno, voi ve ne fregate di quello che ha il paziente e gli praticate il massaggio, chiaramente bisogna tenere presente che se ha delle fratture toraciche non lo potrò fare perché si sfonda tutto e dovrò fare un massaggio cardiaco interno, cioè addominale, pertanto questo rientra nella E (exposure), quindi il paziente lo devo vedere per intero, lo devo spogliare completamente ed analizzarlo in toto, anche una singola ecchimosi mi può dare molte informazioni. Spesso le priorità con cui devo agire sono diverse da quelle che considererei in maniera istintiva, esempio: paziente politraumatizzato ad un arto inferiore con lesioni ossee (frattura femore), arteriosa (a. femorale), venosa (v. femorale), nervosa (n.femorale) e dei tessuti molli, voi cosa trattereste per prima? Molti di voi risponderebbero l’arteria, in realtà è sbagliato. E’ chiaro che andrò a fare prima una emostasi temporanea, ma di certo non vado a ricostruire l’arteria. Infatti la prima cosa che si fa in un paziente con frattura è quello di metterlo in trazione in quanto il paziente con frattura presenta una contrazione dei muscoli che può portare i capi ossei a sovrapporsi tra di loro con accorciamento dell’arto, pertanto io lo metto prima in trazione e poi faccio il resto. Se facessi prima un bypass femoro-femorale e poi mettessi in trazione l’arto, avremo la rottura del bypass, ecco perché non si tratta per prima l’arteria. Neanche posso pensare di fare un bypass più abbondante e poi mettere in trazione. Quindi i criteri di priorità spesso seguono un approccio clinico gestionale che non è intuitivo. Una lesione d’arma da fuoco la dobbiamo considerare sempre una lesione infetta, perché io non conosco un killer che sterilizza i proiettili prima di usarli, inoltre i proiettili attraversano l’aria e gli indumenti prima di colpire il bersaglio. Quando una ferita è infetta non posso usare protesi, perché sapete che il tessuto infetto cicatrizza più difficilmente. Ora, se questo proiettile colpisce il sigma e l’arteria iliaca che cosa accade? Avremo la fuoriuscita delle feci in addome con peritonite e quindi ambiente infetto. Per il sigma è semplice, perché faccio una colostomia a sinistra, ma per l’arteria? Non potrò applicare una protesi in dacron o teflon, che dovrò fare? Dovrò fare un bypass extra anatomico femoro femorale oppure un bypass axillo femorale tunnellizzando il nuovo vaso nel sottocutaneo dalla clavicola alla regione inguinale per fornire sangue all’arto. In questo modo io evito il territorio infetto e potrò usare anche materiale protesico. E’ come se separassi le due situazioni, quella del sigma e quella dell’arteria, come se fossero due interventi diversi. Una volta fatta la stomia cambio il carrello e metto quello per il bypass. Per l’epidemiologia dei traumi sono riportate sui vari testi, poi abbiamo una divisione trimodale delle cause di mortalità per trauma, ovvero cause divise in minuti, ore e giorni. Riporto dalla slide che il professore non ha letto: Minuti: cervello, midollo spinale, cuore, aorta, vasi. Ore: emorragia cerebrale, emotorace, pneumotorace, emoperitoneo, fratture. Giorni: infezioni, insufficienza multi organo. Poi abbiamo gli indici di trauma comunque “grave”, sono indici che inequivocabilmente ci dicono se il trauma è grave. 1) Caduta da 4-5 metri 2) Ferite penetranti 3) Distruzione dell’abitacolo del veicolo 4) Investimento di pedone o di ciclista o motociclista

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5) Proiezione da un veicolo 6) Decesso di una delle persone coinvolte Sono utili per stabilire l’iter diagnostico terapeutico, soprattutto in Italia dove abbiamo una assistenza sanitaria universale in cui non ci possiamo permettere di fare TAC a tutti. Per cui se inserisco il paziente come trauma maggiore farò delle cose, altrimenti farò altre indagini. Come vi ho detto l’altra volta, se viene da voi un paziente che ride, scherza e si prende gioco di voi ma è incluso in uno degli indici di trauma comunque grave, io lo devo considerare come trauma grave e quindi fargli un eco fast ed in base all’ecofast fare una tac. Se il paziente non lo vuole fare deve firmarvi un documento in cui il paziente rifiuta ulteriori accertamenti. E’ accaduto che un paziente è caduto da 4-5 metri, ha avuto una distorsione ad una caviglia, è stato mandato a casa ed è morto dopo qualche giorno per rottura della milza. Molti di voi lavoreranno come liberi professionisti nei pronto soccorso ed il vostro nemico sarà il direttore generale, il quale quando vedrà che taldeitali ha chiesto 150 tac, non gli rinnoverà più il contratto. Per cui c’è il dissidio tra lo spendere poco e lo stare tranquilli. Il mio consiglio è fregatevene, meglio stare tranquilli che avere un rinvio a giudizio. E’ come iniziare una partita con un ammonito, è una cosa che vi condiziona per tutta la vita. Per questo seguite sempre le linee guida. Spesso capita che al PS, ci sta un medico ed un chirurgo, il radiologo è reperibile e sta a casa a dormire e non gli farà piacere avere una chiamata alle 3 di notte. Vi ripeto, fregatevene, state tranquilli, fate tutti gli esami necessari. Il paziente Politraumatizzato è un paziente portatore di lesioni traumatiche di due o più organi o apparati. E’ un portatore di lesioni traumatiche multiple di cui almeno una comporti un giudizio prognostico grave quod vitam, quod valitudinem e quod functionem. Tenete presente che ogni 2 lesioni ci sono più di 125 associazioni, con 3 lesioni 625 e con 4 lesioni più di 3125 associazioni. Pertanto è importante visitare per intero il paziente spogliandolo e tenendo presente sempre i critieri ABCDE. Non è il numero delle lesioni che definisce il politraumatizzato ma la prognosi “vitale”, cioè la criticità ed il rischio evolutivo. Classificazione fisiopatologica del politraumatizzato

1) FENOMENI DI ADDIZIONE: lesioni multiple, cause multiple di shock, sintomi eterogenei. 2) FENOMENI DI SOTTRAZIONE: stato comatoso, shock traumatico, mascheramento. 3) FENOMENI DI POTENZIAMENTO: stress patogeni, lesioni encefaliche associate, lesioni

midollari associate. Chiaramente chi non è venuto a lezione non saprà che i fenomeni di sottrazione non inficiano gli altri due, in quanto si parla di sintomi. Il paziente in stato comatoso ha dei sintomi meno evidenti, legati al suo stato. Perdite ematiche nel politraumatizzato Statisticamente vedremo che un politraumatizzato perde Per un Emotorace 30-40% della massa circolante Emoperitoneo 50-60% massa circolante Frattura Pelvica 1000-2000cc. Frattura Femore 500-1500cc. Ematoma di 5-10cm 500cc. Ematoma interstiziale 25% della perdita ematica.

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State attenti alle perdite che non si vedono, se uno ha una frattura di femore può perdere tra i 500 e i 1000cc di sangue e non si vedono. Oppure può avere una frattura del bacino in cui non si vede niente ma può perdere 1 o 2 litri. Un ematoma di 10cm può essere responsabile di una perdita da 500cc. In base a ciò ci si basa sull’infusione di sangue necessario al paziente. Ancora una volta vi ricordo di seguire sempre questi criteri ABCDEF. Vi ripeto i Codici di Gravità: Rosso: 0 min Funzioni ABC assenti, il paziente va trattato immediatamente Giallo: 2-5 min Funzioni ABC instabili e a rischio Verde: 30-60 min Funzioni ABC stabili Bianco: >60 min Funzioni normali E poi ci sarebbe il nero che è la morte.

TRAUMA TORACICO

Prima di parlare del trauma toracico voglio fare una premessa di tipo anatomico, perché spesso accade che all’esame non sapete ad esempio come sia composta la pleura e diventa imbarazzante. La pleura è composta da un foglietto parietale ed uno viscerale che avvolge il polmone e tra di essi vi è uno spazio virtuale occupato dal liquido pleurico in cui vige una pressione negativa che consente al polmone di rimanere espanso. Se non avessimo questa pressione negativa, il polmone collasserebbe. Domanda: un paziente che ha 1 solo polmone è un paziente che può vivere? Risposta: Si. Allora perché un paziente con uno pneumotorace deve essere trattato immediatamente perché può morire? Risposta: perché nello pneumotorace iperteso si ha lo “sbandamento mediastinico” controlaterale che va ad angolare le vene cave, quindi impedisce al sangue di raggiungere l’atrio destro. Come arriva l’aria dentro la pleura? Risposta di un ragazzo: dipende se il trauma è aperto p chiuso. Prof: ok, se il trauma è aperto allora l’aria entra dall’esterno tramite la ferita, ma sei la gabbia toracica è integra? Vi entra tramite il polmone, perché nel polmone c’è aria. Come lo tratto? Dovrò fare una Toracentesi. Ora, da un punto di vista intuitivo, dove lo vado a ficcare il drenaggio? Se c’è solo aria lo andrò a porre sull’emiclaveare nel 2° o 3° spazio intercostale, se c’è un emotorace andrò a pungere sull’ascellare media a livello del 4° o 5° spazio. Quando ho messo questo tubo nel cavo pleurico, a cosa devo stare attento? Dovrò stare attento a metterlo in un dispositivo a valvola oppure dovrà pescare nell’acqua, ma non dovrà mai essere libero. Se lo lasciate libero avete trattato uno pneumotorace e ne avete creato un altro. Lo pneumotorace più pericoloso è priprio quello a valvola, quello iperteso. Le principali cause sono: trauma penetrante, trauma chiuso con lesione parenchimale, rottura di bolla, respirazione con pressione positiva. Un’altra cosa a cui devo stare attento è nel caso di fratture multiple delle coste, magari su linee parallele, in cui osserveremo il famoso “Respiro Paradosso” in cui avremo movimenti della gabbia toracica opposti a quelli fisiologici. Nella inspirazione vedremo che una parte del torace si affossa. Ora passiamo a nozioni epidemiologiche: Incidenza: 12,8 x 100000 Morte Diretta: 25% Causa Mortale: 25% Trattamento Non Chirurgico: 85%

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Trattamento Chirurgico: 15% La toracentesi di certo non è un trattamento chirurgico e neanche medico, ma la consideriamo a cavallo tra i due. Come possiamo fare diagnosi? Alla RX vediamo che c’è aria, mentre nel polmone sano si vede l’aria ed il parenchima. La diagnosi è semplice anche clinicamente, infatti all’auscultazione avremo il silenzio respiratorio, non ci sarà il fremito vocale tattile, non c’è il suono chiaro polmonare. Esistono diversi pneumotoraci, classificazione: Eziologica: spontaneo, traumatico, iatrogeno Fisiopatologica: aperto, chiuso, iperteso (con meccanismo a valvola) Ho visto diversi episodi bizzarri, come quei cretini che starnutiscono a glottide chiusa e fanno lo pneumotorace. La causa più frequente di pneumotorace iatrogeno è quello che si verifica dopo posizionamento di accesso venoso centrale, ma ho visto anche gente che aveva l’artrite scapolo omerale che facendo l’infiltrazione di cortisone hanno bucato l’apice. Lo pneumotorace iperteso è quello che dobbiamo trattare subito col drenaggio perché è quello più pericoloso. Come si presenta il paziente con lo pneumotorace iperteso? Muscoli rigonfi nella regione sovraclaveare, spazi intercostali rigonfiati, spazio pleurico riempito di aria, polmone collassato, grossi vasi compressi, polmone contro laterale compresso, vene cave compresse, cuore compresso. Toracentesi: Assistenza preoperatoria: tricotomia, togliere protesi e oggetti, camice monouso, profilassi prescritta. Posizionamento del drenaggio: anestesia locale, incisione con bisturi, un Klemmer che apre la lesione, un dito nello spazio pleurico e apposizione del drenaggio. Esitono dei kit appositi monouso. Non temete di incidere e mettere il drenaggio, tanto il polmone è collassato, sotto non trovate niente. Una volta messo il tubo di drenaggio lo dobbiamo collegare ad una bottiglia riempita con un po’ d’acqua avente un tubo di raccordo che vi pesca dentro ed un altro più corto che è libero e consente lo scambio di aria. In questo modo l’aria presente nel torace va nella bottiglia, entra nell’acqua, fa le bollicine le quali si rompono e la liberano nella bottiglia per poi farla fuoriuscire nel secondo tubo (quello libero). Quando il polmone si è riespanso vedremo che ci sarà una risalita dell’acqua nel tubo di raccordo che segue gli atti respiratori, questa risalita sarà più visibile colorando l’acqua con il Blè di Metilene. Una volta si usavano le bottiglie di vetro, però spesso i pazienti o anche i medici ci inciampavano dentro e le rompevano, allora si è passati ad altre soluzioni come quelle di plastica oppure con meccanismi a valvola.

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Emergenze  medico  –  chirurgiche  -­‐  Addome  acuto  –  prof.  Milone  –  26-­‐03-­‐15  1°  ora  

Il  mio  compito  è  quello  di  farvi  capire  quali  sono  i  punti  fondamentali  della  diagnosi  e  della  cura  dell’addome  acuto.  Cominciamo  col  dire  che  quando  si  parla  di  addome  acuto  spesso  si  tralascia  un  altro  aggettivo,  ovvero  spontaneo,  perché  ovviamente  possiamo  avere  un  addome  acuto  traumatico,  che  rientra  in  un  altro  inquadramento  ovvero  nei  traumi  dell’addome.  

Che  cosa  significa  fare  diagnosi  di  addome  acuto?  Significa  che  il  paziente  deve  essere  operato,  l’addome  acuto  quindi  equivale  all’indicazione  all’intervento  chirurgico.  L’addome  acuto  spontaneo  va  diversificato  immediatamente  da  un’altra  condizione  detta  appunto  falso  addome  acuto  o  addome  acuto  “mento”.    

Alcuni  esempi  ci  faranno  meglio  capire  questo  concetto.  Se  un  paziente  ha  una  colica  renale,  quasi  sempre  ha  dolore  addominale,  vomito,  dolore  alla  palpazione  dell’addome,  il  che  potrebbe  sembrare  un  addome  acuto,  in  realtà  non  lo  è  perché  non  ci  sogneremmo  mai  di  intervenire  chirurgicamente  per  una  colica  renale,  si  tratta  pertanto  di  un  falso  addome  acuto.  Anche  una  calcolosi  della  colecisti  può  dare  un  quadro  di  addome  acuto  con  dolore,  vomito  e  spesso  anche  alterazioni  dell’alvo,  anche  in  questo  caso  l’indicazione  non  è  chirurgica.  Vi  dirò  di  più,  esistono  delle  condizioni  di  organi  extra  addominali,  in  cui  possono  simulare  un  addome  acuto.  Queste  condizioni  sono  essenzialmente  l’infarto  del  miocardio  nella  sua  porzione  diaframmatica,  il  quale  da  molto  spesso  dolore  addominale  all’epigastrio  e  vomito,  anche  una  pleurite  basale  può  dare  un  dolore  addominale.  Altre  situazioni  di  tipo  generale,  malattie  un  po’  rare,  come  la  porfiria  acuta  intermittente,  il  saturnismo  (l’intossicazione  da  piombo),  che  possono  simulare  un  addome  acuto  vero  ma  sono  delle  affezioni  di  tipo  sistemico.  Per  essere  chiari  e  per  avere  un  quadro  completo  su  quali  siano  le  patologie  che  esordiscono  con  un  quadro  di  addome  acuto  vero  possiamo  distinguere  3  situazioni:  

1. Addome  acuto  occlusivo  2. Addome  acuto  peritonitico  3. Addome  acuto  vascolare  (infarto  intestinale)  

Non  lasciatevi  trarre  in  inganno  da  altre  patologie  che  intuitivamente  possono  essere  confuse  con  un  addome  acuto.  Il  comune  denominatore  di  tutti  questi  casi  di  addome  acuto  è  il  dolore.  Nell’addome  acuto  vero  il  dolore  è  costante.  Nella  definizione  di  addome  acuto  pertanto  possiamo  dire  che  l’addome  acuto  è  una  situazione  con  diversi  aspetti  anatomo  –  patologici  ma  il  cui  esito  prognostico  è  infausto  se  non  si  ricorre  all’intervento  chirurgico,  in  più  ci  aggiungiamo  che  è  caratterizzato  fondamentalmente  dal  dolore.  Se  noi  togliamo  il  sintomo  dolore,  vi  pongo  all’attenzione  alcune  situazioni  e  voi  mi  direte  se  possono  essere  un  addome  acuto  oppure  no.    

Primo  caso:  emorragia  digestiva.  Voi  la  inquadrereste  in  un  quadro  di  addome  acuto,  che  può  essere  da  ulcera  gastrica,  duodenale,  ileite.  Se  non  teniamo  presente  il  segno  dolore  ,  inserireste  l’emorragia  digestiva  in  un  addome  acuto?  Diciamo  che  la  maggior  parte  delle  emorragie  digestive,  sia  avvale  della  terapia  medica,  anche  se  non  si  opera  il  paziente,  l’esito  è  buono.  Quando  ho  cominciato  a  fare  il  chirurgo  si  operavano  3-­‐4  stomaci  a  settimana  per  ulcera  gastrica,  mentre  oggi,  oggi  vedo  1  o  2  stomaci  all’anno  operati  per  emorragia  digestiva.  Quindi  in  questo  caso  non  inseriamo  questa  condizione  in  un  quadro  di  addome  acuto.  

Secondo  caso:  pancreatite  acuta.  La  inserireste  nell’addome  acuto?  La  pancreatite  acuta  ha  uno  spettro  anatomo  –  patologico  molto  vario,  si  passa  dalla  pancreatite  acuta  edematosa  alla  necrotico-­‐emorragica.  La  maggior  parte  delle  pancreatiti  si  avvale  della  terapia  medica  (digiuno,  terapia  parenterale,  gabesato  

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mesilato  e  somatostatina).  Inseriremo  in  un  addome  acuto  solo  le  complicanze  della  pancreatite  acuta  necrotica  –  emorragica,  che  sono  fondamentalmente  l’emorragia  e  gli  ascessi.  In  questi  casi  non  parleremo  più  di  pancreatite  ma  per  esempio  di  sepsi  o  peritonite.    

Analogamente  non  inseriremo  nel  quadro  dell’addome  acuto  l’emorragia  pelvica  per  scoppio  di  un  follicolo  ovarico,  questa  condizione  darà  emoperitoneo  e  dolore,  ma  che  molte  volte  è  un’emorragia  autolimitante  che  non  richiede  un  intervento  chirurgico.    

Ecco  perché  è  utile  avere  ben  inquadrate  le  3  situazioni  in  cui  certamente  io  devo  inserire  il  paziente  in  un  caso  di  addome  acuto.  

Come  si  fa  una  diagnosi  di  addome  acuto?  Quali  sono  gli  elementi  semeiologici  ,  di  laboratorio  e  strumentali  che  rendono  possibile  la  diagnosi  di  addome  acuto  spontaneo  vero?    

Da  un  punto  di  vista  anamnestico  qualche  elemento  noi  possiamo  averlo.  Se  il  paziente  lamenta  dolore  addominale,  riferisce  vomito  e  soprattutto  vi  riferisce  febbre,  già  il  vostro  orientamento  è  verso  una  patologia  di  tipo  infiammatoria/settica.  Se  riferisce  che  da  alcuni  giorni  o  da  alcuni  mesi  ha  variazioni  dell’alvo,  stipsi  prolungata,  chiusura  dell’alvo  a  feci  e  gas,  alternanza  di  diarrea  con  stipsi  ostinata,  emissione  di  sangue  con  le  feci,  ovviamente  voi  vi  orientate  verso  un  addome  acuto  occlusivo.  Se  il  paziente  vi  riferisce  di  essere  portatore  di  altre  patologie  che  possono  far  risalire  a  una  patologia  arteriosclerotica  ostruttiva,  ad  esempio  un  paziente  che  presenta  una  claudicatio  intermittens,  oppure  un  paziente  che  ha  avuto  precedenti  infarti  del  miocardio  o  ictus  cerebrali,  sarà  un  paziente  multi-­‐sclerotico,  quindi  molto  probabile  che  possa  avere  anche  un  interessamento  dei  vasi  mesenterici  ,  con  conseguente  ostruzione  e  infarto  intestinale.    

Quello  che  in  realtà  ci  fa  fare  diagnosi  di  addome  acuto,  per  poi  risalire  alla  causa  dell’addome  acuto,  solo  per  inserire  il  paziente  in  una  diagnosi  di  addome  acuto,  è  necessario  che  l’addome  non  sia  trattabile.    Che  significa  addome  trattabile?  È  un  addome  in  cui  la  palpazione  superficiale  e  profonda  non  determina  né  resistenza  ,  né    contrattura,  né  dolore  (esacerbazione  del  dolore).  

Sono  essenzialmente  due  quindi  i  segni  che  dobbiamo  andare  a  ricercare.  Dovremmo  chiederci,  è  presente  contrattura  addominale?  È  presenza  resistenza  alla  palpazione?  Perché  si  fa  questa  differenziazione?  

Se  noi  abbiamo  una  perforazione  intestinale,  la  reazione  recettoriale  peritoneale  innesca  un  arco  diastaltico  col  SNC  per  cui  qualsiasi  infiammazione  del  peritoneo  si  trasforma  in  contrattura  della  muscolatura  striata  della  parete  addominale  e  paralisi  della  muscolatura  liscia,  per  cui  ha  contemporaneamente  una  contrattura  addominale  e  un  ileo  paralitico.  Palpando  sempre  dolcemente  l’addome  potete  apprezzare  che  i  muscoli  della  parete  addominale  sono  duri  e  vi  impediscono  la  palpazione  profonda.  Questo  è  un  segno  patognomonico  di  un  addome  acuto  peritonitico,  non  necessariamente  dovuto  a  una  perforazione,  può  essere  anche  dovuto  a  una  infiammazione  peritoneale  per  contiguità,  quello  che  si  manifesta  nell’appendicite  acuta.    

Altro  segno:  la  resistenza.  Che  cos’è  la  resistenza?  Da  un  punto  di  visto  soggettivo,  da  parte  del  medico  che  esamina  il  paziente,  è  la  stessa  sensazione  che  potete  avere  cercando  di  vincere  la  resistenza  di  un  pallone  pieno  di  aria,  però  non  c’è  contrattura.  Allora  voi  vedrete  un  addome  globoso,  resistente  alla  palpazione  profonda  ma  non  contratto.  Questo  è  un  segno  che  molto  probabilmente  vi  porta  alla  diagnosi  di  addome  acuto  occlusivo.    

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Sulla  trattabilità  dell’addome  per  quanto  riguarda  l’infarto  intestinale  c’è  da  fare  qualche  precisazione.  Premessa:  l’addome  acuto  vascolare  da  ischemia  mesenterica  o  da  infarto  intestinale,  è  caratterizzato  da  un  segno  molto  importante,  ovvero  la  sproporzione  tra  la  sintomatologia  del  paziente  e  l’obiettività  clinica.  Tant’è  che  questa  patologia  viene  anche  indicata  in  maniera  molto  efficace  come  “addome  acuto  senza  addome  acuto”.  Questo  vi  fa  capire  tante  cose.  Questo  sarà  un  paziente  che  avrà  un  dolore  che  su  una  scala  di  dolore  raggiunge  il  massimo.  È  un  paziente  agitato  per  il  forte  dolore  che  prova.  Se  fate  l’esame  obiettivo  addominale  non  trovate  grosse  cose.  L’addome  può  essere  non  contratto  o  addirittura  non  resistente.  Non  cercate  scorciatoie,  come  spesso  capita  per  inesperienza,  ed  etichettiamo  il  paziente  o  come  malato  mentale  oppure  come  un  paziente  che  simula  un  dolore  lancinante  perché  gli  vengano  somministrati  oppiacei.  Questo  è  il  motivo  per  cui  l’infarto  intestinale  ha  una  mortalità  che  oscilla  tra  il  40  e  l’80%.  Questo  è  dovuto  al  fatto  che  è  spesso  una  diagnosi  tardiva.  

Ci  sono  delle  alterazioni  dell’alvo  in  tutte  e  tre  le  situazioni  di  addome  acuto,  nell’addome  occlusivo  è  facilmente  comprensibile,  in  quello  peritonitico  è  perché  abbiamo  l’ileo  paralitico,  nell’infarto  intestinale  è  per  gli  stessi  motivi  per  cui  abbiamo  l’ileo  paralitico,  mentre  nella  fase  che  precede  immediatamente  l’infarto  intestinale  abbiamo  l’iperperistaltismo.    

Ci  sono  altri  esami  che  ci  possono  essere  utili  in  questi  casi?  

1. Emocromo  con  formula  leucocitariaà  ci  interessa  quanti  leucociti  ha  il  paziente.  In  alcune  situazioni  lo  riteniamo  un  elemento  indispensabile  e  un  indice  di  indicazione  chirurgica  quando  si  ha  un’elevazione  importante  dei  globuli  bianchi.    

2. Emogasanalisi  àun  paziente  che  avrà  vomito  per  esempio  per  un’ulcera  duodenale  che  ha  esitato  in  una  cicatrice  che  restringe  il  duodeno,  avrà  una  gastrectasia  a  monte.  Il  vomito  ripetuto  porterà  il  paziente  a  perdere  HCl,  quindi  ciò  esiterà  in  un’alcalosi  ipocloremica.  Un  altro  elettrolita  molto  presente  a  livello  gastrico  che  viene  perso  col  vomito  è  il  potassio  (proveniente  fondamentalmente  dalla  bile).  Il  paziente  pertanto  avrà  un’alcalosi  ipocloremica  ipopotassiemica.  

3. RX  diretta  dell’addome  in  bianco  à  andiamo  alla  ricerca  di  due  segni  che  ci  permettono  di  fare  diagnosi  certa.  Per  esempio  possiamo  vedere  che  è  presente  dell’aria  a  livello  sottodiaframmatico,  si  chiama  “falce  d’aria  sottodiaframmatica”.  Ciò  significa  che  il  paziente  ha  una  perforazione,  l’aria  esce  dall’intestino  e  per  gravità  sale  verso  l’alto,  ovvero  verso  la  loggia  sottodiaframmatica.  Potremmo  fare  allora  diagnosi  di  addome  acuto  perforativo  peritonitico.  Quindi  la  prima  cosa  da  fare  è  ricercare  i  segni  di  uno  pneumoperitoneo.  Secondo  segno  che  vado  a  cercare,  la  presenza  di  livelli  idroaerei.  Nel  soggetto  normale,  il  livello  idroareo  non  compare  perché  aria  e  liquido  si  mischiano  nella  peristalsi,  per  cui  non  c’è  questa  decantazione  che  permette  al  liquido  di  scendere  giù  e  all’aria  di  salire  verso  l’alto.  Se  ho  un’occlusione  intestinale,  a  monte  manca  la  peristalsi,  si  dilata,  per  reazione  immette  più  liquido  di  quello  che  normalmente  produce,  ed  è  quello  il  momento  per  cui  il  liquido  si  decanta  verso  il  basso  e  l’aria  sale  in  alto.  Si  crea  quindi  un  livello  che  non  è  altro  che  il  passaggio  tra  liquido  e  aria.  In  genere  questo  livello  assume  una  convessità  superiore.  Se  io  ho  una  RX  diretta  dell’addome  che  cosa  vedo?  Il  liquido  non  lo  vedo  con  la  diretta,  l’aria  si.  Vedrò  una  mezzaluna  diritta  con  la  convessità  superiore,  quello  in  basso  è  un  livello  idroaereo.  Il  livello  idroaereo  è  espressione  di  occlusione  intestinale.  Perché  questo  esame  preziosissimo  sia  veramente  tale,  bisogna  raccomandare  che  il  paziente  sia  in  ortostatismo.  Nell’infarto  intestinale  le  pareti  dell’intestino  rimangono  infarcite  di  liquido  o  di  sangue,  per  cui  aumentano  il  loro  spessore.  Alla  radiografia  diretta  dell’addome  è  possibile  vedere  anse  spesse  e  accollate  le  une  sulle  altre.  Gli  autori  francesi  chiamano  questo  segno  “encartment  delle  anse”  (il  termine  sta  per  accartocciamento).  Un  altro  segno  che  è  possibile  vedere  è  la  presenza  di  aria  nel  

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sistema  venoso  mesenterico  –  portale.  Questo  è  un  altro  segno  patognomonico  di  infarto  intestinale  meglio  visibile  però  alla  TC.  Quindi  alla  RX  diretta  dell’addome  può  seguire  un’ecografia  o  una  TC  dell’addome  con  contrasto.    

Nell’occlusione  intestinale  dobbiamo  tener  presente  che  possiamo  avere  un  ileo  dinamico  e  un  ileo  paralitico.  L’ileo  dinamico  è  sempre  espressione  di  addome  acuto  occlusivo  al  contrario  dell’ileo  paralitico.  Se  io  ho  un  grave  scompenso  idroelettrolitico  con  marcata  iposodiemia,  se  manca  il  sodio  non  c’è  peristalsi,  così  come  nell’ipokaliemia  e  nell’ipocalcemia  può  mancare  la  peristalsi.  Pertanto  l’ileo  potrà  essere  paralitico  anche  se  non  c’è  un’ostruzione  ma  c’è  un’impossibilità  di  trasmissione  dell’impulso  nervoso  per  carenza  elettrolitica.  Quante  volte  in  rianimazione  ci  chiedono  una  consulenza  perché  il  paziente  ha  un  alvo  chiuso  a  feci  e  gas.  Per  esempio  può  essere  un  paziente  con  traumi  cranici  e  quindi  con  mancanza  della  trasmissione  nervosa  dello  stimolo  peristaltico.  Se  facciamo  un  RX  diretta  dell’addome,  vedremo  che  i  livelli  idroaerei  da  ileo  paralitico  partono  dallo  stomaco  e  arrivano  al  retto  perché  c’è  una  paralisi  generalizzata.  Nell’ileo  dinamico  da  occlusione  intestinale  vera,  avremo  una  dilatazione  delle  anse  a  monte  e  una  normalità  delle  anse  a  valle.  In  questo  caso  i  livelli  idroaerei  li  vedremo  a  monte  e  non  a  valle.  Altra  cosa  molto  importante  è  valutare  se  sono  presenti  situazioni  di  occlusione  intestinale  che  mettono  a  rischio  la  vitalità  dell’intestino  stesso.  A  un  paziente  con  occlusione  intestinale  se  inseriamo  il  sondino  nasogastrico  possiamo  operarlo  anche  dopo  48-­‐72  ore  e  non  succede  niente  se  questa  ostruzione  intestinale  non  è  dovuta  a  una  delle  seguenti  3  cause  che  invece  pongono  l’intervento  d’urgenza  perché  è  un’ostruzioone  intestinale  con  rischio  di  tenuta  degli  assi  vascolari  e  sono:  

1. Ernia  strozzata:  il  cingolo  strozzante  preme  sui  vasi  facendo  andare  in  ischemia  l’ansa  intestinale  (ernia  inguinale,  ernia  ombelicale,  ernia  interna  da  aderenze  post-­‐chirurgiche)  

2. Volvolo  3. Invaginazione    

Per  quanto  riguarda  l’addome  acuto  peritonitico,  abbiamo  detto  già  che  la  peritonite  può  seguire  una  perforazione  intestinale  la  cui  gravità  è  direttamente  proporzionale  alla  maggiore  distanza  dalla  giunzione  esofago-­‐gastrica.  Se  si  perfora  lo  stomaco  avrò  una  peritonite  chimica,  se  si  perfora  il  sigma  avremo  una  peritonite  stercoracea  altamente  tossica  ed  estremamente  grave.  Una  peritonite  può  anche  essere  conseguente  a  una  trasmissione  per  contiguità  di  un  focolaio  infiammatorio  endoaddominale  che  può  essere  un’infiammazione  della  tuba,  dell’ovaio,  dell’appendice,  del  colon  (MICI).  Che  cosa  dovete  immediatamente  inquadrare  nel  paziente  peritonitico?  Il  paziente  ha  una  peritonite  diffusa  o  circoscritta?  Qual  è  la  differenza  tra  questi  due  tipi  di  peritonite?  La  peritonite  diffusa  è  un’infiammazione  che  riguarda  tutto  il  cavo  peritoneale,  mentre  quella  circoscritta  o  saccata  è  quella  che  avviene  in  alcune  sedi  del  nostro  organismo  precostituite  anatomicamente  in  cui  il  processo  peritonitico  è  stato  l’input  a  che  le  difese  organiche  naturali  hanno  tentato  di  circoscrivere  in  quella  predeterminata  cavità  endoaddominale.  Quali  sono  queste  sedi?    

1. Cavo  del  Douglas  à  se  ho  un’infiammazione  del  Douglas,  questo  può  essere  raggiunto  dall’intestino,  dal  meso  o  il  grande  epiploon  e  mi  circoscrivono  l’infezione  alla  pelvi.    

2. Piastrone  appendicolare  à  è  dovuto  all’appendice  aumentata  di  volume,  mesoappendice  e  all’epiploon  che  si  è  andato  ad  indovare  in  quel  posto  per  tentare  di  limitare  la  diffusione  della  peritonite.    

3. Zona  sottodiaframmatica  4. Zona  sottoepatica  à  ascesso  sottoepatico    

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La  peritonite  circoscritta  ha  già  avuto  un  minimo  ridimensionamento  spontaneo  da  parte  delle  difese  naturali  dell’organismo  ,  ma  non  per  questo  possiamo  tralasciare  di  trattarla.    

Fate  attenzione  a  non  fare  semplice  diagnosi  con  l’appendicite  acuta  anche  in  presenza  di  leucocitosi,  non  vi  buttate  a  operare  soprattutto  se  è  una  paziente  è  di  sesso  femminile  e  giovane,  poiché  prima  di  tutto  voi  dovete  escludere  l’interessamento  della  patologia  ginecologica.  Vi  potreste  trovare  di  fronte  allo  scoppio  di  un  follicolo  emorragico  che  non  viene  dall’ovaio  dx  ma  dall’ovaio  sx,  per  cui  vi  trovate  con  il  tagliettino  estetico  per  l’appendice,  il  Douglas  pieno  di  sangue  e  il  sanguinamento  che  viene  dall’ovaio  di  sx,  quindi  dovete  richiudere  il  McBurney  e  fare  un  altro  taglio.  Mai  fare  una  cosa  del  genere  senza  aver  fatto  un’ecografia  pelvica  in  ginecologia  dove  faranno  come  prima  cosa  anche  il  test  di  gravidanza,  in  quanto  può  trattarsi  anche  di  una  gravidanza  extrauterina  che  può  simulare  un’appendicite  acuta.    

Per  quanto  riguarda  il  trattamento  ovviamente  dipende  dalla  causa  dell’addome  acuto.  Un’occlusione  intestinale  in  genere  se  dipendente  da  cancro  si  risolve  con  la  resezione  intestinale.  Se  fosse  un’occlusione  da  briglia  o  da  ernia  strozzata  la  cosa  può  essere  risolta  soltanto  rimuovendo  il  cingolo  strozzante  senza  effettuare  una  resezione.  

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Lezione  emergenze  –  Addome  acuto  vascolare  -­‐  13/04/2015            prof.  Milone  

Nella  lezione  sull’addome  acuto,  abbiamo  parlato  delle  cause  da  inserire  nell’addome  acuto  che  nell’insieme  configurano  l’addome  acuto  peritonitico,  occlusivo  e  vascolare.  Specificammo  che  l’addome  acuto  vascolare  è  costituito  essenzialmente  dall’infarto  intestinale  che  tuttavia  non  è  la  sola  causa  di  addome  acuto  vascolare.  Le  cause  principali  cause  di  addome  acuto  vascolare  sono:    

•  rottura  di  aneurismi  delle  arterie  viscerali  

• rottura  di  Aneurisma  Aorta  Addominale  

• ischemia  mesenterica  (infarto  intestinale)  

• complicanze  delle  ricostruzioni  protesiche  vascolari  

Per  quanto  riguarda  la  rottura  degli  aneurismi  dell’aorta  addominale  si  tratta  in  primis  di  un  addome  acuto  retro  peritoneale  dato  che  l’aorta  addominale  si  trova  nel  retroperitoneo.  Tuttavia    dopo  la  prima  fase  di  fissurazione  dell’aorta  addominale  si  passa  alla  rottura  e  dato  che  il  retroperitoneo,  che  è  uno  spazio  molto  piccolo,  non  ce  la  fa  a  contenere  la  pressione  del  sangue  riversato  in  questo  spazio,    prima  o  poi  si  forma  un    emoperitoneo,  una  vera  e  propria  emorragia  all’interno  del  cavo  peritoneale.                                                                                                          

Rottura  di  aneurismi  delle  arterie  viscerali  

È  evidente  che  se  si  rompe  un  arteria  splenica,  una  arteria  epatica,  il  tripode,  la  gastroduodenale,  la  pancreatoduodenale,  la  mesenterica  superiore,  noi  parliamo  di  un  emoperitoneo  dato  che  sono  tutte  arterie  che  si  trovano  nel  cavo  peritoneale.                                                                                                                                                                                                                                                  L’incidenza  totale  non  è  alta,  stimata  intorno  allo  0,2%,  con  l’incidenza  (relativa  alle  singole  arterie)  più  elevata  a  carico  dell’arteria  splenica.  La  rottura  della  mesenterica  inferiore  ha  un’incidenza  molto  bassa  ed  è  considerata  una  situazione  grave.  

 

 

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Etiopatogenesi  

In  ordine  decrescente:  

• arterosclerosi  (quindi  degenerativa)  

• trauma    

• infezione  

Per  quanto  riguarda  una  infezione,  immaginate  che  il  paziente  abbia  una  endocardite.  Si  ritrovano  quindi  a  livello  endocardico  dei  trombi  che  possono  dare  origine  ad  emboli  settici  i  quali  oltre  ad  ostruire  un’arteria  danno  luogo  anche  ad  una  infezione  della  stessa  arteria.  

 

Quadro  clinico  

Tale  quadro  clinico  vale  non  solo  per  le  arterie  viscerali  ma  anche  per  i  più  frequenti  aneurismi  dell’aorta  addominale.  

Si  distinguono  3  fasi  successive:  

1. Pre-­‐fissuraazione:  sintomatologia  aspecifica  

2. Fissurazione:  sintomatologia  più  accentuata  che  si  caratterizza  in  base  al  tratto  interessato.  Si  crea  un  piccolo  buco  nell’arteria  con  iniziale  fuoriuscita  di  sangue  che  viene  più  o  meno  tamponata  dalla  pressione  positiva  che  si  crea  in  corrispondenza  di  questo  foro  nell’arteria.  Ovviamente  dopo  un  po’  questa  pressione  che  si  oppone  alla  perdita  di  sangue  non  ce  la  fa  più  a  contenerla  e  si  ha  la  vera  e  propria  rottura  dopo  una  fase  di  stasi  di  durata  variabile.  

Segue  una  fase  di  stasi  (latenza)  di  durata  variabile  

3. Rottura:  shock  ipovolemico  e  quadro  clinico  specifico  a  seconda  della  localizzazione  dell’arteria  interessata  

 

Clinica  in  base  alla  modalità  di  rottura                                                                                                                                                                                                                            I  quadri  clinici  sono  differenti  a  seconda  della  localizzazione    del’aneurisma  che  si  fissura.                                                                                                                                    

 

 

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Diagnosi  

La  diagnosi  deve  essere  tempestiva.  Il  più  delle  volte  il  paziente  viene  aperto  per  una  laparotomia  esplorative  con  la  diagnosi  generica  di  emoperitoneo.  Se  l’aneurisma  viene  preso  in  fase  prefissurativa  o  fissurativa,  ci  possono  dare  dei  dettagli  molto  importanti:  

• Ecografia  

• Tac  

• Angiografia  selettiva  

• Diretta  addome  (si  vede  poco,  quindi  non  molto  importante)  

La  diagnosi  viene  fatta  con  l’eco-­‐fast  che  dimostra  la  presenza  di  sangue  in  addome.                                                                                                  Per  quanto  riguarda  l’angiografia  essa  è  una  metodica  diagnostica  e  terapeutica  insieme  perché  se  riusciamo  a  fare  diagnosi  precoce  con  una  angiografia  selettiva,  questa  non  solo  ci  permette  di  fare  diagnosi  certa  ma  è  possibile,  con  metodica  radiologica  interventistica,  andare  a  chiudere  quest’arteria  con  un’embolizzazione.  Quindi  si  tratta  la  fissurazione  con  una  tecnica  mini-­‐invasiva.  

Il  prof.  salta    le  slides  del  trattamento  chirurgico  dicendo  che  sono  cose  specialistiche.  

 

 

Nell’immagine  si  vede  una  fistola  artero-­‐venosa  o  meglio  un  aneurisma  artero-­‐venoso  che  ha  una  posizione  atipica.  Si  trova  infatti  nella  pelvi,  quindi  appartiene  all’ipogastrica.  È  chiaro  che  la  rottura  di  una  formazione  di  questo  genere  già  è  rara  come  incidenza,  andare  a  fare  la  diagnosi  è  veramente  difficile.    Queste  sono  quelle  malformazioni  vascolari  che  molto  spesso  sono  causa  di  grosse  complicanze  inaspettate  che  spesso  i  ginecologi  si  trovano  ad  affrontare,  per  es.  quando  fanno  un  intervento  di  asportazione  di  cisti  ovarica.  Oppure  immaginate  un  cesareo  con  una  malformazione  di  questo  genere.  Sono  quei  casi  che  poi  si  leggono  sui  giornali  “morta  per  cesareo”,  poi  si  va  a  fare  l’autopsia  e  si  vede  che  effettivamente  c’era  un  problema  inaspettato,  non  preventivato  e  del  quale  il  ginecologo  non  se  ne  può  assumere  la  responsabilità.  Dovrebbe  però  intraoperatoriamente  riconoscerlo  prontamente  e  trattarlo.  

 

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Aneurisma  Aorta  Addominale  (AAA)  

Fino  ad  ora  abbiamo  trattato  una  patologia  al  margine,  rara.                                                                                                                                                                          L’aneurisma  dell’aorta  addominale  è  una  patologia  con  un’incidenza  decisamente  maggiore.                                                        È  conseguente  nella  maggior  parte  dei  casi  ad  aterosclerosi.                                                    Ha  una  evoluzione  rapida  soprattutto  dopo  i  70  anni  ma  lì  aterosclerosi,  vi  ricordo,  incomincia  a  30  anni.          Grazie  all’allungamento  della  vita  media,  il  numero  degli  80  è  molto  aumentato,  di  conseguenza  anche  gli  AAA  sono  aumentati.  

Per  la  diagnosi  degli  aneurismi  dell’aorta  addominale  andiamo  in  primis  a  ricercare  una  massa  pulsante  a  livello  addominale.  Una  massa  pulsante  è  patognomonico  di  aneurisma  dell’aorta  addominale.                                                                                          Si  può  instaurare  una  terapia  conservativa  di  un  aneurisma  dell’aorta  addominale  fino  a  quando  il  suo  diametro  si  mantiene  entro  i  4,5  cm.  Oltre  queste  misure  c’è  l’indicazione  al  trattamento  chirurgico.                                    Infatti  per  la  legge  di  Laplace  la  pressione  aumenta  con  l’aumentare  del  diametro.                                                                                                          Si  può  porre  l’indicazione  all’intervanto  anche  con  una  certa  generosità  anche  a  4  cm  dato  che  oggi  il  trattamento  degli  AAA  è  diventato  quasi  esclusivamente  appannaggio  della  chirurgia  endovascolare.                                                    Quindi  un  approccio  mini  invasivo.  Si  fanno  due  incisioni  in  regione  inguinale  dx  e  sx,  si  isolano  le  arterie  femorali  e  attraverso  le  arterie  femorali  si  inseriscono  dei  fili  guida  e  delle  endoprotesi  che  trattano  l’aneurisma  senza  necessità  di  apporre  in  open  queste  protesi.  Ovviamente  ci  sono  delle  indicazioni  ben  precise,  delle  controindicazioni  (  ma  queste  sono  cose  specialistiche).                          Ovviamente  la  rottura  di  AAA  è  una  emergenza  chirurgica  addominale  che  necessita  di  una  precoce  diagnosi  e  trattamento.  È  chiaro  che  le  possibilità  di  trattamento  e  di  risoluzione  della  patologia  sono  maggiori  se  noi  trattiamo  in  fase  prefissurativa  ed  è  altrettanto  intuitivo  che  in  caso  di  rottura  non  c’è  la  possibilità  di  trattamento  per  via  endovascolare.                                            Segni  che  caratterizzano  lì  aneurisma  dell’aorta  addominale:  massa  pulsante  e  dolore  addominale  dovuto  all’imponete  emoperitoneo  che  si  viene  a  creare.  Il  dolore  è  per  lo  più  posteriore  in  fase  prefissurativa  e  fissurativa,  quindi  in  regione  lombare  bilaterale,  fino  a  diventare  un  dolore  addominale  quando  passiamo  dalla  fase  fissurativa  alla  fase  di  rottura  con  emoperitoneo.                            In  tutte  le  sedi  se  la  rottura  è  tamponata  da  strutture  paraortiche  si  avrà  dolore  e  lipotimia  come  prima  manifestazione,  segue  ematoma  con  incremento  dell’emorragia  e  shock.                                        Per  quanto  riguarda  la  diagnosi:  

• Clinica • Ecografia • Angio-TC • Angiografia

Quando  invece  si  fa  un’arteriografia  anche  qui  ci  aspetteremmo  un  arteria  molto  dilatata.  In  realtà  l’arteria  risulta  dilatata  ad  una  ecografia  o  una  TC  ma  non  all’angiografia  perché  la  maggior  parte  della  cavità  non  è  occupata  da  flusso  ematico  ma  è  occupata  da  depositi  calcifici,  piastrinici,  trombotici  che  coprono  tutta  la  parete  per  cui  quando  facciamo  l’arteriografia,  che  ci  fa  vedere  solo  il  flusso,  l’arteria  può  sembrare  non  dilatata.  Una  caratteristica  però  è  sempre  la  stessa,  cioè  una  conformazione  ad  S  del  vaso  che  può  essere  considerato  anch’esso  un  segno  patognomonico  di  aneurisma  dell’aorta  addominale.  Il  materiale  che  si  ritrova  lungo  la  parete  del  vaso  in  sede  di  AAA  può  provocare  embolia  periferica  per  il  distacco  di  un  embolo  da  questi  depositi  trombotici,  piastrinici.  Quindi  si  può  avere  come  primo  segno  di  AAA  non  la  rottura  ma  l’embolia  periferica.  L’immagine  seguente  rappresenta  un  angio-­‐TC  con  ricostruzione  dell’aorta  addominale.  In  questa  immagine  la  forma  ad  S  è  molto  accentuata.  L’aorta  è  quasi  trasversale  in  alto  poi  fa  

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questa  S  e  poi  ritorna  ad  essere  longitudinale.  In  genere  se  la  S  è  molto  pronunciata  l’aneurisma  sarà  molto  grande.    

Quindi  se  non  è  rotto  un  AAA  superiore  a  4,5  cm  va  trattato  con  chirurgia  endovascolare.                                    In  caso  di  fessurazione  o  rottura  il  trattamento  è  esclusivamente  chirurgico  (open).            

 

 

Un’altra  cosa  molto  importante  oltre  le  dimensioni  è  la  sede  del’’aneurisma.  È  fondamentale  conoscere  se  l’aneurisma  è  a  sede  sottorenale  o  soprarenale.  Se  l’aneurisma  è  a  sede  sottorenale  il  clampaggio  non  esclude  il  flusso  alle  arterie  renali.  Se  invece  è  sovra  renale  per  il  clampaggio  deve  essere  fatto  sopra  le  arterie  renali  escludendo  il  flusso  ai  due  reni.  Questo  è  possibile  per  un  tempo  massimo  di  45  –  60  minuti  dopodiché  il  rene  va  in  ischemia.  Ecco  perché  in  questi  casi  il  trattamento  potrebbe  essere  addirittura  in  circolazione  extracorporea.                                      Si  utilizza  una  protesi  birofcata  che  ha  un  tratto  comune  e  due  branche  rispettivamente  per  le  anastomosi  prossimale  e  distali.  

La  mortalità  è  bassa  se  riusciamo  a  trattare  l’aneurisma  in  fase  prefissurativa,  quindi  un  AAA  dove  l’unico  segno  è  una  massa  addominale  pulsante.    Mentre  se  l’aneurisma  si  rompe  la  mortalità  raggiunge  circa  il  40%.                  

 

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Un  AAA  che  si  rompe  in  due  sistoli  fa  perdere  un  litro  e  mezzo  di  sangue.  Per  cui  si  comprende  perché  la  mortalità  è  cosi  elevata.    

 

 

Le  complicanze  delle  ricostruzioni  protesiche  vascolari  

Questo  argomento  sembrerebbe  apparentemente  specialistico  ma  è  un  argomento  che  un  medico  di  medicina  generale  deve  assolutamente  conoscere  perché  le  ricostruzioni  dell’aorta  sono  diventate  molto  frequenti  proprio  per  l’aumento  della  vita  media  e  di  conseguenza  dell’aumento  dell’incidenza  degli  AAA.                Quando  un  paziente  viene  all’attenzione  del  medico  e  riferisce  di  essere  stato  operato  per  una  arteriopatia  cronica  ostruttiva  e  di  aver  subito  un  bypass  aorto-­‐femorale  e  riferisce  allo  stato  attuale  dolore  addominale,  bisogna  sapere  che  il  dolore  addominale  potrebbe  derivare  da  problemi  a  carico  della  protesi.  Tali  problemi  possono  determinare  quindi  anche  un  addome  acuto  vascolare.  Ovviamente  il  tipo  di  problemi  dipende  dalle  condizioni  generali  e  locali  del  paziente  dalla  tecnica  di  esecuzione  dell’impianto  e  dal  materiale  utilizzato.    

Quando  si  fa  un  bypass  aorto-­‐bifemorale  si  esclude  il  flusso  alle  arterie  ipogastriche  per  cui  il  paziente  potrebbe  andare  incontro  ad  una  impotenza  di  tipo  vasculogenico.  Da  qui  l’utilità  di  innestare  un’altra  protesi  su  un  ramo  della  aorto-­‐bifemorale  per  consentire  il  flusso  ad  una  arteria  ipogastrica.                        Allo  stesso  modo  si  può  reimpiantare  sulla  protesi  aortica  anche  l’arteria  mesenterica  inferiore.                                      I  problemi  che  posso  nascere  a  carico  di  queste  protesi  possono  determinare  quadri  di  addome  acuto  vascolare  che  non  centrano  niente  con  l’addome  acuto  vascolare  in  un  paziente  senza  protesi.                                                            Per  questo  è  molto  importante  sapere  se  il  paziente  ha  una  protesi  vascolare  e  che  tipo  di  ricostruzione  ha  avuto.                                                                                        La  complicanza  peggiore  che  si  può  verificare  in  un  paziente  che  ha  avuto  una  ricostruzione  protesica  vascolare  è  l’infezione  della  protesi.                              Da  un  punto  di  vista  generale  bisogna  sapere  che  in  chirurgia  in  caso  di  infezione  protesica  si  ha  una  sola  possibilità  di  trattare  questa  complicanza  ed  è  l’asportazione  della  protesi.  Il  paziente  si  presenta  con  una  febbre  molto  elevata,  dolore  addominale.  La  prima  cosa  da  sospettare,  se  il  paziente  riferisce  che  ha  avuto  una  protesi  vascolare  è  che  la  protesi  si  sia  infettata.  In  caso  di  infezione  la  protesi,  anche  a  distanza  di  molti  anni  dall’intervanto,  sembra  nuova,  ha  un  colorito  biancastro.  Invece,  in  condizioni  normali,  la  protesi  dovrebbe  avere  un  aspetto  che  si  integra  perfettamente,  anche  per  il  colore,  con  l’aorta  ed  i  tessuti  limitrofi.                                            L’intervento  di  asportazione  della  protesi  è  un  intervento  molto  complesso:  bisogna  far  saltare  le  anastomosi  ma  il  vero  punto  critico  è  rappresentato  dal  fatto  che  noi  non  possiamo  più  ricostruire  con  un’altra  protesi  perché  si  tratta  di  un  terreno  infetto.  Se  apponessimo  una  nuova  protesi,  questa  si  infetterebbe.  Quindi  quel  tratto  anatomico  non  lo  possiamo  più  prendere  in  considerazione.                                        Dopo  aver  tolto  la  protesi  si  deve  chiudere  il  buco  sull’aorta  per  evitare  una  emorragia.                            Ad  una  risonanza  magnetica  l’infezione  della  protesi  fa  vedere  aria  intorno  alla  protesi  perché  in  genere  si  tratta  di  una  infezione  da  anaerobi  che  circondano  tutta  la  protesi.                            In  caso  di  infezione  ai  può  avere  una  rottura  di  alcuni  punti  di  sutura.  L’emorragia  in  genere  viene  tamponata  dal  viscere  che  si  trova  vicino  alla  protesi.  Ma  a  causa  delle  sistoli  si  può  sviluppare  un  decubito  ad  esempio  sull’ansa  intestinale  adiacente  la  quale  prima  o  poi  si  rompe.  Si  crea  cosi  una  fistola  aorto-­‐digiunale  con  emorragie  copiosissime  che  per  lo  più  si  manifestano  sottoforma  di  ematemesi.  Per  cui  un  

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paziente  che  si  presenta  all’attenzione  del  medico  potrebbe  avere  o  una  rottura  di  varici  esofagee,  ma  se  all’anamnesi  egli  dice  di  aver  avuto  un  bypass  aorto-­‐bifemorale  non  bisogna  escludere  la  possibilità  di  una  fistola  aorto-­‐digiunale.    In  quest’ultimo  caso  bisogna  chiudere  la  fistola,  asportare  la  protesi  e  confezionare  un  bypass  extra  anatomico  in  quanto  la  sede  della  fistola  è  infetta  e  non  si  può  riposizionare  una  nuova  protesi  nella  stessa  sede.  Si  può  utilizzare  un  bypass  axillo-­‐bifemorale  che  è  sottocutaneo.  

 

Ischemia  mesenterica  

Altra  causa  di  addome  acuto  vascolare.                                                                    Il  62%  è  su  base  arteriosa  in  particolare  embolica  (35%),  aterosclerotica  (45%)  o  da  cause  rare  (4%).  L’ischemia  mesenterica  può  essere  anche  venosa(30%)  o  mista  (5%)  o  anche  da  cause  non  ostruttive  (16%).                      La  vascolarizzazione  intestinale  è  data  dal  tripode  celiaco,  dalla  mesenterica  superiore  e  dalla  mesenterica  inferiore.  Questi  distretti  arteriosi  sono  collegati  tra  loro  da  delle  anastomosi  la  più  importante  delle  quali  è  l’arcata  di  Riolano  che  mette  in  comunicazione  il  distretto  dell’arteria  mesenterica  superiore  con  quello  della  mesenterica  inferiore.  Una  stenosi  della  mesenterica  superiore  comporta  un  marcato  sviluppo  dell’arcata  di  Riolano  in  modo  tale  che  la  mesenterica  inferiore  sopperisce  al  flusso  mancante  dovuto  alla  stenosi  della  mesenterica  superiore.                                          Condizione  necessaria  e  sufficiente  affinché  si  abbia  un  infarto  intestinale  è  che  ci  sia  l’ostruzione  di  due  di  questi  tre  vasi.  Si  può  avere  anche  solo  la  stenosi  serrata:  ad  esempio  se  si  ha  una  stenosi  serrata  della  mesenterica  superiore  ed  un’ostruzione  della  mesenterica  inferiore  comunque  si  ha  un  infarto  intestinale.        Nella  insufficienza  arteriosa  mesenterica  bisogna  distinguere  due  fasi  che  in  genere  sono  cronologicamente  succedentesi:  SIAM  (  sindrome  ischemica  acuta  mesenterica)  e  infarto  intestinale.                    La  necessità  di  distinguere  queste  due  fasi  deriva  dal  fatto  che  se  si  riesce  a  fare  diagnosi  di  ischemia  intestinale  nella  fase  di  SIAM  si  ha  ancora  la  possibilità  di  evitare  ampie  resezioni  intestinali  perché  quest’ischemia  splancnica  è  reversibile.                            Dopo  circa  12  ore  l’ischemia  diventa  irreversibile  per  cui  anche  andando  a  fare  un  tempo  vascolare  di  rimozione  dell’ostruzione  e  di  ricostruzione  vascolare  e  quindi  ripristinando  la  circolazione  dell’intestino  questo  comunque  è  già  andato  in  ischemia  irreversibile,  quindi  la  ricostruzione  sarebbe  stata  inutile  dato  che  quella  parte  di  intestino  deve  essere  resecata.                                      Tutto  questo  dimostra  quanto  sia  importante  la  diagnosi  precoce.  Infatti  essa  permette  di  evitare  o  quanto  meno  di  ridurre  la  parte  di  intestino  che  va  asportata.  

Clinica                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                              L’addome  acuto  vascolare  si  definisce  anche  “addome  acuto  senza  addome  acuto”  data  la  larga  sproporzione  tra  i  sintomi  lamentati  dal  paziente  e  l’obiettività  clinica.  Il  paziente  ha  dolore  vivacissimo  quindi  appare  vivamente  agitato  ma  la  palpazione  dell’addome  non  determina  una  grossa  esacerbazione  del  dolore  e  soprattutto  non  si  ritrova  né  contrattura  né  resistenza.  Sembra  quindi  un  addome  obiettivamente  normale.  Inoltre  non  bisogna  cadere  nella  scorciatoia  di  etichettare  il  paziente  come  tossicodipendente  e  pensare  che  stia  facendo  una  scena  per  ricevere  oppiacei.  A  volte  succede  ma  bisogna  stare  attenti  e  tenere  questa  ipotesi  come  riserva.                                    Segni  cambiano  a  seconda  se  c’è  SIAM  o  se  c’è  infarto  (vedi  tabella).    

 

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L’ischemia  intestinale  alla  Rx  diretta  dell’addome  è  caratterizza  dall’ecartement  (accartocciamento)  delle  anse.  Le  anse  intestinali,  che  appaiono  aumentate  di  spessore  per  edema,  sono  poste  le  une  sulle  altre  come  se  fossero  accartocciate    

Trattamento  

1. Fase vascolare 2. Fase intestinale (resettiva)

 

 

Durante  un  infarto  intestinale  l’intestino  cambia  colore  con  il  proceder  del  tempo  di  ischemia.  

 

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In  un  infarto  venoso  l’intestino  invece  appare  nero  a  causa  dell’infarcimento  emorragico.  Ovviamente  l’infarto  venosi  non  è  da  causa  aterosclerotica.  Esso  è  dovuto  all’alterazione  di  uno  dei  fattori  della  triade  di  Virchow  (  stasi,  trombofilia,  danno  parietale)  

 

 

La  mortalità  dell’infarto  intestinale  è  di  circa  il  40%  in  calo  negli  ultimi  anni.                                La  riduzione  della  mortalità  è  dovuta  soprattutto  all’approccio  postoperatorio  di  tipo  rianimatorio:  infatti  dopo  l’intervento  non  bisogna  far  svegliare  il  paziente.  Il  paziente  deve  andare  intubato  in  rianimazione  anche  se  l’intervento  è  perfettamente  riuscito,  anche  se  la  resezione  intestinale  è  stata  limitata.  Questo  

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perché  durante  l’intervento  l’anestesista  mantiene  una  determinata  PO2  ed  una  determinata  pressione.  Se  il  paziente  viene  svegliato  e  portato  in  reparto  si  assiste  a  calo  pressorio,  il  paziente  è  dolorante  e  respira  male  quindi  anche  la  PO2  scende.  Quindi  si  realizza  una  situazione  più  sfavorevole  per  l’  irrorazione  dell’intestino.  Perciò  quello  che  era  stato  valutato  come  intestino  vitale  diventa  intestino  necrotico.  Se  il  paziente  viene  portato  in  rianimazione    e  vengono  mantenuti  quei  parametri  (pressione  arteriosa  e  PO2)  che  hanno  permesso  di  fare  la  valutazione  intraoperatoria  di  intestino  vitale,  con  la  creazione  di  circoli  collaterali  il  paziente  ha  maggiori  possibilità  di  sopravvivenza.    

 

                                                                                                                       

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Urgenze vascolari

Generalità.Le urgenze vascolari sono un problema importante in emergenza perché il fattore tempo è l'elemento più importante nel condizionare le scelte terapeutiche e la prognosi → la possibilità di salvare un arto ischemico è nulla dopo poco più di 24h di latenza. Le condizioni che possono causare un'urgenza vascolare sono: embolia, trombosi, traumi, aneurismi e fistole arterovenose.

Fisiopatologia dell’ischemia acuta degli arti

Per ischemia acuta degli arti inferiori si intende la brusca o graduale soppressione della vascolarizzazione di un distretto dell’arto inferiore con conseguente diminuzione dell’ O2 ai tessuti. La zona di ischemia è direttamente proporzionale alla sede dell’ostruzione, cioè più alta è l’ostruzione più vasta è la zona ischemica (ad es. se l’ischemia è bilaterale vuol dire che l’ostruzione è aortica; se monolaterale l’ostruzione avrà sede dalle iliache in giù).

Quando si verifica un'ostruzione del tonco arterioso principale, il sangue riesce lo stesso a defluire a valle per l'instaurarsi di circoli collaterali se l'ostruzione avviene lentamente → questo succede per

1. Fattori emodinamici: costante ma modesto aumento di pressione a monte dell'ostruzione e caduta di pressione a valle → si facilita il passaggio di sangue da zone a monte ad alta pressione a zone a valle a bassa pressione. Inoltre l'aumento della pressione a monte causa l'allungamento e l'aumento del calibro del circolo collaterale → i vasi sono pulsanti e serpiginosi.

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2. Fattori umorali: il rallentamento del flusso sanguigno a livello dell'ostruzione porta alla formazione di metoboliti acidi e liberazione di sostanze istamino simili che provocano vasodilatazione e aumento del calibro dei vasi circostanti che formano quindi i collegamenti anastomotici.

Una volta instaurata un'ostruzione arteriosa, l'efficacia del circolo collaterale è in rapporto a

• Sede di un'ostruzione: esistono infatti punti critici in ogni asse vascolare la cui ostruzione impedisce la formazione di un circolo collaterale efficace (ad esempio tripode femorale).

• Rapidità con cui si instaura un'ostruzione: più è rapida meno probabile è l'instaurarsi del circolo collaterale

• Estensione del segmento arterioso ostruito: più è esteso meno probabilmente si instaura il circolo collaterale

• Lasso di tempo intercorso tra ostruzione e trattamento

• Condizioni anatomiche preesistenti della parete arteriosa: se le arterie sono in buone condizioni le probabilità di compenso collaterale sono più alte.

Sindrome da rivascolarizzare tardiva degli arti

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Quindi posso trovarmi di fronte ad alcuni casi:

- Se ho una franca gangrena → ricorro subito all’amputazione

- Se ho un’ischemia acuta sell’arto non in gangrena ed entro 12h (in realtà con le conoscenze di oggi il limite si può spostare a 20 h)→ faccio un bilancio laboratoristico, valutando creatininemia, Kaliemia, indici di citolisi (più il muscolo è in disfacimento, maggiore è l’increzione di CPK, LDH, transaminasi, GOT, aldolasi), il pH (per l’acidosi). Questo perché se la quota ematica di questi parametri è già alta prima della rivascolarizzazione, quando andrò a rivascolarizzare essa diventerà esponenziale, portando il pz a morte, per cui è necessaria da subito l’amputazione. La condizione è particolarmente delicata nei casi borderline, in cui i valori non sono alti ma sono valori limite; dopo qualche ora da un intervento di rivascolarizzazione avvenuto con successo si ha un aumento di questi valori, per cui ci si ritrova di fronte alla difficilissima scelta di amputare un arto su cui era avvenuto con successo l’intervento di rivascolarizzazione.

→ L’amputazione risulta necessaria perché altrimenti il K ematico aumentato potrebbe causare un arresto cardiaco mentre l’IR potrebbe costringere il pz ad una dialisi a vita; e non si può, per salvare un arto, arrecare più danni.

Le manifestazioni cliniche caratteristiche della fase ischemica sono:

1. dolore intenso all'inizio fino alla perdita della sensibilità

2. ischemia e pallore marmoreo dei tessuti

3. rigidità degli arti colpiti: è il segno più caratteristico e precoce

4. edema muscolare massivo

5. trombosi venosa con eventuale embolia polmonare

Altre manifestazioni sono la miopatia, la necrosi mioglobinurica (avviene 10-12 ore dopo l'occlusione arteriosa ed è determinata dalla precipitazione della mioglobina e dell'Hb nei tubuli renali con IRA e oligoanuria), le alterazioni metaboliche (difetto di concentrazione idrogenionica, iperazotemia, iperkaliemia).

Dopo la rivascolarizzazione (che sia embolectomia o altra terapia rivascolarizzante) ci sono tre possibilità:

1. ripresa completa: se l'acidosi e l'iperkaliemia sono modeste

2. ripresa parziale o ritardata: se il riaggiustamento elettrolitico postoperatorio è rallentato per le residue lesioni focali dei muscoli e del rene

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3. morte, anche rapida, per IRA, microembolia polmonare, scompenso cardiaco o loro combinazione

• l'insufficienza respiratoria → si cura con eparina perché è determinata da microembolia; in associazione si può dare O2, CSS, antibiotici

• shock → 6 metil prednisone, determina protezione delle piastrine e dei leucociti e riduce l'edema delle cellule endoteliali, il rigonfiamento cellulare e la distruzione dei mitocondri

Terapia locale

Tende a prevenire la sindrome da rivascolarizzazione e si basa su tre presidi

1. misure intraoperatorie per evitare di mettere in circolo durante la rivascolarizzazione le sostanze prodotte nell'ischemia; le fasi sono

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• felobotomia della vena femorale

• disostruzione dell'arteria

• introdurre un catetere per somministrare THAM, xilocaina, eparina, Ringer, 6 metilprednisone

• dopo 15 minuti si spreme l'arto in senso disto prossimale per far uscire dalla flebotomia il sangue venoso refluo dai tessuti ischemici fino a che il colore del sangue da nero torni normale. IN QUESTA FASE SI PUO' USARE CATETERE FOGARTY per ESEGUIRE LA TROMBECTOMIA VENOSA.

• Chisura della flebotomia

• continuare la perfusione per 2 ore sotto controllo emodinamico e di lab

2. Fasciotomia: poiché tra i primi effetti della rivascolarizzazione tardiva c'è l'edema muscolare ma essendo i muscoli dell'arto racchiusi in fasci aponeurotici → c'è un aumento di pressione inzialmente con blocco linfatico e venoso e dopo arterioso con aggravamento dell'ischemia. Da qui il razionale dell'incidere i fasci; poiché le complicanze come l'infezioni e le alterazioni dell'equilibrio oncotico sono gravi, la fasciotomia si fa SOLO SE LA PRESSIONE INTRAMUSCOLARE E' >60 CMH20.

3. Circolazione extracorporea regionale (descritta prima).

Embolia e trombosi

Sono le due cause principali di ischemia arteriosa non traumatica.

Definizioni

Embolia: ostruzione su arteria sana. Cause tipiche cardiache sono la stenosi mitralica, l'infarto del miocardio e la fibrillazione atriale; cause di embolia periferica sono ad esempio la possibile mobilizzazione di trombi formatisi all'interno di una sacca aneurismatica o aderenti a placche ateromasiche, distacco di una placca aterosclerotica. Per effetto della gravità il 90% degli emboli si localizzano nell'aorta terminale o nelle arterie degli arti con predilizione per le biforcazioni; altre sedi sono il distretto cerebrale (20%) e quello splancnico (8% - soprattutto arteria renale e mesenterica superiore) (anche se in totale tutto ciò fa ben il 118% dei casi non ci pensiamo, è l'esame di emergenze e il 118 ci sta sempre). L'arteria più interessata è la femorale (46%),seguita dall'iliaca (18%). La sintomatologia dell'embolia è più grave della trombosi.

Trombosi acuta: ostruzione su arteria patologica. L'incidenza è tra il 20-40% delle ischemia acute, e il danno parietale è secondario a processi degenerativi (arteriosclerosi, collagenopatie) o infiammatori (arteriti). Eventi scatenanti sono la stasi, le alterazioni cardiocircolatorie; più rare sono la poliglobulia, il LES, etc.

È necessario sapere se la causa sia embolia o trombosi per le ripercussioni immediate sull’approccio da avere, perché:

- Per l’embolia ho solo un trattamento (senza nessun altro esame diagnostico) → embolectomia con catetere di Fogarty (accesso femorale);

- Nella trombosi acuta ho assoluto bisogno prima di rivascolarizzare il pz anche di un quadro completo della morfologia vascolare, perché se ho una trombosi acuta a livello

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dell’arteria femorale immagino che il pz abbia delle lesioni degenerative anche a monte (a. iliaca) e/o a valle (a. poplitea). Quadro ottenibile mediante angioTC o arteriografia.

Clinica

L’ischemia acuta rispetto all’ arteriopatia cronica ostruttiva (la quale tra i sintomi presenta parestesie, claudicatio, dolore a riposo, lesioni trofiche) presenta un quadro clinico molto più grave, pur essendo le lesioni delle due assolutamente sovrapponibili in quanto a sede ed estensione dell’ostruzione; quello che cambia tra le due è il tempo dato al circuito collaterale di compensare l’ostruzione (nell’ischemia acuta la compensazione non può avvenire).

Nell’ischemia la diagnosi viene fatta in base a:

1) Dolore all’arto: improvviso e lacerante, crampiforme, localizzato al polpaccio se l'ostruzione è a livello del distretto femoropopliteo o gluteo, e alla regione posteriore della coscia nelle ostruzioni aorto-iliache.

2) Impotenza funzionale dell’arto

3) Contrattura ischemica dei muscoli dell’arto

A questi si aggiungono: pallore dell’arto, assenza dei polsi periferici e fondamentali sono l’anestesia tattile, termica e dolorifica e l’impossibilità a compiere funzioni fini delle dita del piede (cioè se al pz viene chiesto di muovere le dita del piede questi non riesce a farlo, ma in questo caso muove in blocco l’arto).

In base all’esame obiettivo (soprattutto la valutazione della presenza dei polsi arteriosi periferici) si stabilisce la sede dell’ostruzione che può essere: femorale, poplitea, tibiale anteriore e tibiale posteriore. (Ricordare che l’ostruzione dell’a. femorale profonda non fa scomparire nessun polso. Se scompaiono entrambi i polsi femorali l’ostruzione è aortica). Solo in alcuni casi l'auscultazione fornisce elimenti utili come la presenza di un soffio indice di stenosi aortica o aneurisma.

La diagnosi di ischemia acuta degli arti si fa sulla semplice semeiologia fisica; ovviamente ci si può aiutare ricorrendo ad alcuni esami strumentali in particolare la velocimetria doppler, l’ecocolordoppler o l’angioTC, a seconda naturalmente anche della programmazione terapeutica.

La diagnosi differenziale fra embolia e trombosi viene fatta con l'arteriografia.

Sia per l’embolia sia per la trombosi acuta oltre che la chirurgia è indispensabile anche la terapia medica, basata su EBPM, antiaggreganti piastrinici e trombolitici.

Fisiopatologia

In seguito all’ostruzione si ha una diminuzione di O2 ai tessuti; la resistenza all’ipossia varia a seconda dei tessuti, con conseguenze più gravi per i muscoli e meno gravi per i tegumenti. L’arto inferiore è formato per la maggioranza da tessuto muscolare.

La diminuzione dell’O2 altera la membrana cellulare, rendendola non più impermeabile al suo contenuto liquido; il liquido quindi va negli spazi interstiziali il primo segno è quindi l’edema.

Inoltre il miocita è ricco di K e mioglobina, per cui se c’è un danno del miocita entrambi escono nell’interstizio e possono entrare nel circolo con conseguente aumento della Kaliemia e della mioglobinemia. La mioglobina riesce a passare nel glomerulo renale ma non riesce a passare

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attraverso i tubuli renali per cui si ha una tubulopatia ostruttiva che esita in un’IRA segnalata da un aumento della creatininemia.

Sempre nella cellula (mitocondri) la diminuzione di O2 fa virare il metabolismo aerobico dei glucidi in metabolismo anaerobio → accumulo di acido lattico → acidosi.

Terapia

• Embolia: chirurgia → embolectomia con catetere di Fogarty. A livello degli arti inferiori, in relazione al livello di ostruzione si possono verificare varie eventualità:

• lesione unilaterale e polso femorale presente: l'accesso vascolare più corretto è la poplitea bassa perché permette la disostruzione sia dell'asse femoropopliteo che di quello tibiale e peroniero. (non ho capito di che arteria è l'ostruzione)

• Lesione unilaterale con assenza del polso femorale: l'ostruzione è dell'asse iliaco, quindi l'accesso è dalla femorale comune.

• Ostruzione bilaterale con scomparsa di entrambi i polsi femorali: l'ostruzione è aorto-iliaca e quindi l'accesso è alla femorali nel triangolo di Scarpa.

Dopo l'embolectomia si fa arteriografia per controllare che le arterie renali siano sane visto che potrebbero essere interessate direttamente dall'embolia o secondariamente alla trombosi estensiva postembolica nella sua progressione verso l'alto.

• Trombosi acuta: l'impiego del Fogarty è quasi impossibile perché le arterie sono tortuose e con calcificazioni parietali, inoltre la trombectomia con Fogarty espone a ritrombosi e estensione del danno parietale. Per questo l'intervento per la trombosi è molto più complesso e le tecniche sono: tromboendoarteriectomia, bypass, trombolisi distrettuale → l'arteriografia è INDISPENSABILE per precisare la sede dell'ostruzione e lo stato delle arterie e anche la possibilità di fare la rivascolarizzazione.