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INTRODUZIONE ALLA TRAUMATOLOGIA Giovedi 12 marzo 11.30-‐12.30
Prof. Milone mail: [email protected]
Come va affrontata la traumatologia e quali sono i suoi punti critici? Da un punto di vista epidemiologico il trauma rappresenta la prima causa di morte tra i pazienti giovani, in genere sono incidenti automobilistici ma anche altri tipi di traumi. Ovviamente ha un costo sociale enorme perché il trauma ha spesso degli esiti che condizioneranno per sempre la vita lavorativa del paziente. Dopo un trauma noi abbiamo in genere una mortalità che segue un andamento trimodale: morti immediate, morti precoci e morti tardive. Il paziente muore tardivamente in genere per insufficienza multiorgano, cioè dovuta a situazioni che col tempo determinano compromissione di più organi ed apparati fino all’exitus. Fondamentale è sapere che ciò che possiamo e riusciamo a fare nella prima ora condiziona il risultato finale: queste operazioni, passata la prima ora, non possono più essere realizzate. La “golden hour” rappresenta un criterio imprescindibile per il prosieguo dell’azione e per la sopravvivenza. Ovviamente l’obiettivo è salvare il paziente ed ottenere gli esiti meno invalidanti possibile. Questo avviene attraverso la rapida valutazione della scena e del paziente, tempestivi e rapidi interventi atti a garantire il supporto delle funzioni vitali, l’accesso all’ospedale più idoneo a garantire il trattamento definitivo del paziente. Cosa significa? Se ho un trauma cranico, arriva l’ambulanza e mi porta il paziente al primo Pronto Soccorso vicino di un ospedale dove non c’è la Neurochirurgia, io ho fatto una stupidaggine. Quindi c’è un problema di organizzazione delle emergenze. Cosa succederebbe in un caso del genere? Il personale dell’ospedale prenderebbe il paziente, vedrebbe il trauma e ne predisporrebbe il trasporto in un’altra struttura sul territorio più idonea a trattarlo. In tutto ciò quasi sicuramente passerebbe più di un’ora, quindi avremmo bypassato quel concetto fondamentale della prima ora. Dunque: i medici o i paramedici sul luogo del trauma dovrebbero segnalare che, nel caso preso ad esempio, c’è un trauma cranico e la Centrale operativa in tal modo potrebbe dire “portalo nella struttura X dove c’è la Neurochirurgia e c’è disponibilità ad accogliere il paziente”. Naturalmente al di là del caso specifico il concetto che deve restare è che nella prima ora il paziente deve essere trattato in una struttura specializzata idonea a seconda del trauma riportato.
La catena della sopravvivenza si attiva in questo modo: 118 -‐> trattamento pre-‐ospedaliero -‐> trasporto in ospedale idoneo -‐> trattamento ospedaliero.
Ecco come dovrebbe funzionare la Centrale operativa del 118. Essa raccoglie i dati e provvede all’invio di mezzi di soccorso più idonei, cioè ambulanze ma non solo. Ci sono posti difficilmente accessibili in cui, per esempio, il mezzo più idoneo può risultare essere una jeep; oppure pensate alla possibilità dell’elisoccorso per raggiungere posti molto stretti. Tutto questo può essere pianificato sapendo dove il paziente si trova.
L’équipe che arriva sul luogo dell’incidente fa una valutazione della scena: si devono rendere conto se la scena del trauma è pericolosa per se stessi. Immaginate un terremoto: i soccorritori, prima di portare soccorso, devono valutare che la propria incolumità venga salvata, sennò non si salva nessuno! L’altra cosa importante: immaginate i grandi disastri, esempio due pullman che cadono in un burrone con centinaia di feriti e alcuni morti; bisogna capire cosa fare e poi attuare il triage. Il triage rappresenta la valutazione dei pazienti caso per stabilire la gravità della situazione e consiste nell’attribuire dei codici di colore diverso. Codice nero: pz morto; Rosso: pz gravissimo; Giallo e Verde: pz che possono attendere qualche tempo, ma non molto; codice bianco: pz che sta bene. Ciò è un’indicazione per la cronologia dei soccorsi: il codice rosso richiede immediato trasporto in ospedale, il codice bianco può essere condotto in ospedale per ultimo. Guardo se sono presenti pericoli evidenti, ascolto le dichiarazioni dei presenti, segnalo alla Centrale operativa la necessità di mezzi aggiuntivi (macchine, ambulanze, mezzi blindati). Com’è composta una squadra di soccorso? Abbiamo il leader, che prende le decisioni, poi il primo ed il secondo soccorritore. Ripeto il concetto: verificare se esistono le condizioni per operare nei limiti di scurezza. Triage: valutazione rapidissima, sul luogo dell’incidente, della CESIRA (Coscienza, Emorragia, Shock, Insufficienza respiratoria, Rottura ossea, Altro). Ricordate questa sigla.
(Seguono alcuni esempi) La persona cammina? Si: codice verde. E’ cosciente? No: codice rosso. Ha un’emorragia esterna? Si: codice rosso. E’ in stato di shock? Si: codice rosso. Ha un’insufficienza respiratoria? Si: codice rosso. Presenta rottura ossea? Si: codice giallo. Altre patologie o problemi? Si: codice giallo. Una volta che il pz ha raggiunto l’ospedale è fondamentale che il team leader o comunque chi prende le decisioni inquadri il pz nel trauma maggiore o nel trauma minore. Trauma maggiore non è sinonimo di trauma più grave. Ci si riferisce sempre alle condizioni del pz ma in maniera molto relativa. Perché la necessità di questa distinzione? E’ un problema di organizzazione sanitaria e di compatibilità economica con il sistema che vogliamo attuare. Se ad ogni pz traumatizzato faccio fare TC total body, cranio, torace addome, pelvi e arti io salverò molte persone ma questo avrà un costo incompatibile col notro SSN che vi ricordo è gratuito ed universale. Quindi non avremo soldi per erogare altri tipi di prestazione. Abbiamo la necessità di razionalizzare le risorse. Quindi se viene un pz con un trauma, ad es. una lussazione di caviglia, perché è stato investito da una moto, io non gli faccio un TC torace, addome pelvi ecc. Fare questa distinzione è utile anche per avere una certa tranquillità in caso di eventuali contenziosi medico-‐legali (e non c’è trauma della strada in cui non ci sia una richiesta di risarcimento da parte della compagnia assicurativa, soprattutto se il pz muore) perché la compagnia dice “il mio assicurato ha causato l’incidente ed io devo pagare, però il pz è morto per il trauma ma anche per cattiva assistenza e allora le spese ce le dobbiamo dividere”. L’assicurazione cioè ributta sul SSN un’eventuale diluizione delle spese. Allora ci devono essere dei criteri che dicono il mio pz si era lussato la caviglia però è caduto, ha sbattuto il fianco, ha avuto una rottura di milza ed è morto per quello. Perciò la colpa è del mio assicurato ma la colpa è anche dei sanitari che non si sono accorti della rottura di milza.
Esistono perciò dei criteri che non si discutono che immeditatamente impongono ai sanitari di inquadrare o meno il pz nel trauma maggiore. Quali sono?
-‐ Caduta dall’alto > 5 m (es dal secondo piano di un palazzo; indipendentemente dalle condizioni generali io lo inquadrerò come trauma maggiore, anche se il pz ride e scherza e sembra stare bene. Pertanto gli faccio prima di tutto un’eco fast (eco per vedere se ci sono versamenti endoaddominali, cioè sangue fondamentalmente, o altri fluidi tipo urina se si è rotta la vescica);
-‐ Impatto ad alta velocità (dopo incidente a 200/h ad es). Come faccio io sanitario a sapere che è avvenuto tale impatto? In genere negli incidenti stradali al Pronto Soccorso ho anche una relazione della Polfer (? Polizia ferroviaria?) che mi segnala tutto quello che è avvenuto: autostrada, alta velocità eccetera. Se non avete questa relazione dovete ricorrere a criteri anamnestici. Se l’incidente avviene su strada sterrata è difficile che l’impatto sia stato ad alta velocità, al contrario dell’autostrada in cui ciò è plausibile.
-‐ Estrinsecazione complessa per gravi danni dal veicolo (se ho dovuto estrarre il pz dalle lamiere con la fiamma ossidrica);
-‐ Incendio del veicolo; -‐ Coinvolgimento di un mezzo pesante; -‐ Morte di un passeggero (anche se gli altri non hanno un graffio si considerano traumatizzati
maggiori); -‐ Esplosioni; -‐ Ferite da arma bianca; -‐ Lesioni da arma da fuoco; -‐ Motociclista o ciclista sbalzato; -‐ Ribaltamento dell’autoveicolo.
Valutazione rapida: respiro, coscienza, emorragia, movimenti spontanei.
La valutazione del paziente traumatizzato, fondamentale, va fatta sempre seguendo questa progressione:
A, airways: controllare la pervietà delle vie aeree e se il pz ha controllo dei movimenti del rachide.
B, breathing: garantire una ventilazione efficace (cercare di estrinsecare la lingua se questa è caduta posteriormente nel pz non cosciente, estrarre eventuali corpi estranei presenti nelle vie aeree, valutare lesioni o fratture del massiccio facciale). Se ci sono ostruzioni vie aeree: apertura bocca, sollevamento del mento, possibilmente mettendo dietro le spalle qualcosa che sopraeleva le regioni scapolari in modo che la testa vada in iperestensione, sublussazione mandibola per intubare il paziente. Se non c’è respiro si ventila artificialmente il pz. Se presenta il respiro invece si può dare ossigeno per aiutarlo e valutare la frequenza respiratoria.
C, circulation: controllare eventuali emorragie e il circolo (controllare polsi periferici, verificare se la pressione è normale; inutile ricordare che la riduzione della p differenziale indica insufficienza di circolo che non garantisce la normale emodinamica del pz. Valutare se eventualmente il pz è cianotico).
D, distress: valutare lo stato neurologico (se il pz è cosciente, reattivo e se risponde agli stimoli luminosi e verbali).
E, exposure: svestire il pz per ispezionarlo e valutare la presenza di ecchimosi, ferite o altre lesioni visibili a occhio nudo.
Mai invertire quest’ordine di valutazione e mai passare al punto successivo se non avete riconosciuto e trattato quello precedente. Se la situazione si modifica, ricominciare la valutazione dalla A.
Qual’è la differenza tra emergenza ed urgenza? L’emergenza si calcola in minuti, l’urgenza in ore o giorni. Un trauma della strada è un’emergenza; un’occlusione intestinale è un’urgenza chirurgica, quindi non necessita di intervento immediato.
Cos’è il BLS: Basic Life Support. Insieme ad esso ci sono varie altre sigle per indicare le sue varianti, come l’ACLS (Advanced Cardiovascular Life Support) e il PBLS (Paediatric Basic Life Support).
La catena della sopravvivenza
-‐ Ogni volta che vi trovate in corso di emergenza, fate sapere se è possibile la situazione (allarme precoce).
-‐ Rianimazione cardiopolmonare -‐ Defibrillazione precoce oppure Advanced Life Support (il successivo al BLS)
Valutazione stato di coscienza. Controllate il primo punto, airway: se il pz respira lo si mette in posizione laterale di sicurezza, perché potrebbe vomitare e quindi sviluppare una polmonite ab ingestis per inalazione del vomito. Se invece non respira dobbiamo fare una ventilazione. Per quanto riguarda il punto tre, circulation, ci chiederemo: il polso presente? Continua la ventilazione. Polso assente? Massaggio cardiaco esterno.
Quindi, valutazione del primo punto: Airway. Valutiamo coscienza e respiro. Azione: avvertire il 118, apertura delle vie aeree se questo non avviene. Breathing: è presente il respiro? Insufflazione. Circulation: valutare la presenza del polso, eventuale massaggio cardiaco. Come facciamo il massaggio cardiaco esterno? Possibilmente si mette un supporto a livello delle regioni scapolari del pz per ottenere iperestensione del collo. Il soccorritore si pone alla sinistra del pz, in ginocchio. A volte si vede un massaggio esterno su barella; ciò è impossibile, perché il massaggio deve essere fatto su pz posto su supporto rigido per poter essere efficace. Già la semplice iperestensione del collo facilita la pervietà delle vie aeree. La respirazione bocca a bocca: il soccorritore è sempre a sinistra. Si usano maschera e pallone Ambu per insufflare. Come faccio a sapere se c’è polso adeguato? Il primo che vado a sentire è quello carotideo, se assente il pz è in arresto cardiaco.
Massaggio cardiaco esterno: il rapporto compressione/ventilazione deve essere 30:2 (domanda d’esame) secondo le ultime linee guida. Frequenza delle compressioni: 100/min. Posizione delle mani: non va
compresso l’epigastrio e nemmeno il manubrio sternale ma va compressa la parte centrale dello sterno, con mano a piatto per avere un più ampio impatto superficie mano/superficie torace. Partite con 30 compressioni e poi passate all’insufflazione: nel momento in cui fate il massaggio dopo un po’ siete sfiniti e avrete bisogno di un cambio, da qui l’importanza di allertare. Se siete sotto al sole poi rischiate voi lo shock. Se le vie aeree sono occupate da un corpo estraneo esso dovrà essere eliminato. Come facciamo? Con la manovra di Heimlich: se il pz è cosciente e può stare in piedi incociamo le nostre mani sull’epigastrio e diamo delle compressioni sull’epigastrio stesso per sollevare il diaframma, per creare un flusso d’aria controcorrente che consenta l’espulsione del corpo estraneo. Se invece il pz non è cosciente spingiamo l’epigastrio come se volessimo spingere il diaframma attraverso l’epigastrio.
Ricordate che il codice rosso indica priorità assoluta, va trattato al più presto possibile. Codice giallo: è un’urgenza può aspettare alcune ore per una cura definitiva. Codice verde non urgente, può aspettare molte ore per cura definitiva. Codice nero decesso codice bianco pz che non ha niente. Mentre sembrerebbe logico il trattamento prima del codice rosso ecce cc questo è intuitivo e logico da seguire nella traumatologia civile. In traumatologia bellica invece si soccorre prima il pz che può più rapidamente tornare a combattere, cioè i codici vengono invertiti perché la logica cambia.
Perché attuiamo il triage? Il 40% degli accessi in Pronto Soccorso (PS) sono codici bianco e verde: sono questi che generano una spesa impropria di un miliardo di euro/anno. Avrete sentito la campagna dei media riguardo i posti in barella nel periodo influenzale: ciò perché la maggior parte dei pz che accedevano al PS non avevano il codice rosso ma alcuni addirittura bianco. Tuttavia è importante anche il tessuto sociale. Se questo è dignitoso si chiama la Guardia Medica, il Medico di fiducia; si pagano delle prestazioni, si fanno esami anche privatamente, si va in farmacia venendo eventualmente rimborsati dal SSN ecc. Se invece insisto su un tessuto sociale in cui una grossa fetta della popolazione non ce la fa ad arrivare a fine mese è chiaro che questi vanno in PS per non pagare medici, esami e medicine, questo barella o non barella. Più basso è il tessuto sociale su cui incide il PS più elevati sono i casi di errato utilizzo di un PS. Far pagare poi i codici bianchi mica è facile! Si dovrebbe agire per vie legali per farsi rimborsare. Le Aziende Sanitarie preferiscono non ricevere i soldi di una prestazione piuttosto che affrontare spese legali enormi per farseli restituire.
Vediamo i tempi di attesa per ciascun codice:
Codice rosso: nessuno, immediato
Codice giallo: 15 min
Codice verde: 30 min
Codice bianco: 60 min
Nel concetto di triage non c’è la risoluzione della patologia traumatica ma solo un criterio di priorità.
La maggior parte delle persone pensano che il PS sia sempre disponibile per favorire cure ospedaliere non programmate e ciò è alla base dell’intasamento del PS. L’accettazione al PS è un compito ingrato che è probabile vi troverete a dover svolgere ed è anche estremamente pericoloso: in due o tre mesi si collezionano almeno una ventina di avvisi di garanzia, dopodiché diventa routine. Vi dovrete quindi fare un amico avvocato. Le spese legali in caso di proscioglimento verranno pagati dalla parte soccombente (privato cittadino o assicurazione). Gli sportelli sono dappertutto, chiamate un numero e date la documentazione. Non pagate una lira. I benefattori di parte lesa iniziano la procedura ed in caso di rimborso il 70% lo prende parte lesa e a voi privati cittadini solo 30%. E’ chiaro che si tratta di un meccanismo che invoglia al contenzioso perché è più facile prendere qualche soldo rivolgendosi a queste associazioni piuttosto che vincere ad un gratta e vinci! Il gratta e vinci ormai lo comprano tutti, immaginate allora quale sia l’invito a fare questo. Per un dipendente ospedaliero la cosa non è drammatica, perché in
caso di avviso di garanzia io scrivo “ho fatto questo, poi vedetevela voi” ma per popolo della partita IVA (collaborazione libero professionale quindi contratto a tempo determinato) o per un professionista non ospedaliero lo è perché, in caso di colpa grave, l’azienda si potrebbe rivalere sul professionista stesso. Se uno di voi trova posto con partita IVA presso una casa di cura convenzionata si deve assicurare.
Ci vuole un’assicurazione sostanziosa il cui costo annuo varia dai 5000 ai 18000 euro/anno a seconda delle specializzazioni. Quindi alla vostra paga da fame fatturata dovrete sottrarre tale ammontare. È un problema che va risolto perché, alla seconda-‐terza segnalazione che fare alla vostra assicurazione il vostro premio aumenta pure. Allora possiamo essere sposti a pathos psicologico per essere accusati delle più grandi infamità del mondo, essere esposti ad un esborso non sopportabile per cui si sono fatti degli aggiustamenti ma siamo lontani dalla risoluzione del problema. Non dobbiamo chiedere l’impunità ma se sto lavorando e commetto un reato colposo, non potete massacrarmi: il pz andrebbe risarcito dalle strutture dove ha richiesto assistenza. Non parliamo poi dei liberi professionisti. Tanti di voi faranno solo libera professione. Un nostro specializzando trovò grazie al padre, dirigente di un’azienda sanitaria, posto il giorno dopo aver conseguito la specializzazione. Insieme al padre fa un’ernia inguinale in Day Surgery. Il pz viene dimesso con Rocefin 1 fl/die intramuscolo per 3 gg. Il pz va a casa, fa la prima fiala di Rocefin e muore per shock anafilattico. Questo tizio ha passato un guaio inenarrabile perché il magistrato ovviamente si fida della perizia. Questo problema viene enormemente amplificato quando si parla di traumatologia, di emergenze, dove non ci sono calma né tempo e nemmeno le strutture per lavorare tranquillamente.
Non fate mai visite superficiali all’amico, o all’amico dell’amico perché non vi guarda in faccia nessuno. Un mio collega cardiologo è stato contattato dal suo infermiere che chiedeva di prescrivere qualcosa per il fratello a casa con vomito; il mio amico gli prescrisse del Plasil, il pz morì per infarto del miocardio e il medico fu denunciato per non aver pensato, proprio lui cardiologo, che potesse trattarsi di infarto.
(consiglia di seguire il Balzanelli come libro di testo)
Lezione Emergenze 19/03/2015 Ci sono altri parametri che bisogna considerare nell’approccio al politraumatizzato. Innanzitutto la priorità di trattamento. Il vostro comportamento sarà sempre quello di tenere in mente i fattori ABCDE, per cui vie aeree, circolazione e così via. Se è necessario fare un massaggio cardiaco esterno, voi ve ne fregate di quello che ha il paziente e gli praticate il massaggio, chiaramente bisogna tenere presente che se ha delle fratture toraciche non lo potrò fare perché si sfonda tutto e dovrò fare un massaggio cardiaco interno, cioè addominale, pertanto questo rientra nella E (exposure), quindi il paziente lo devo vedere per intero, lo devo spogliare completamente ed analizzarlo in toto, anche una singola ecchimosi mi può dare molte informazioni. Spesso le priorità con cui devo agire sono diverse da quelle che considererei in maniera istintiva, esempio: paziente politraumatizzato ad un arto inferiore con lesioni ossee (frattura femore), arteriosa (a. femorale), venosa (v. femorale), nervosa (n.femorale) e dei tessuti molli, voi cosa trattereste per prima? Molti di voi risponderebbero l’arteria, in realtà è sbagliato. E’ chiaro che andrò a fare prima una emostasi temporanea, ma di certo non vado a ricostruire l’arteria. Infatti la prima cosa che si fa in un paziente con frattura è quello di metterlo in trazione in quanto il paziente con frattura presenta una contrazione dei muscoli che può portare i capi ossei a sovrapporsi tra di loro con accorciamento dell’arto, pertanto io lo metto prima in trazione e poi faccio il resto. Se facessi prima un bypass femoro-femorale e poi mettessi in trazione l’arto, avremo la rottura del bypass, ecco perché non si tratta per prima l’arteria. Neanche posso pensare di fare un bypass più abbondante e poi mettere in trazione. Quindi i criteri di priorità spesso seguono un approccio clinico gestionale che non è intuitivo. Una lesione d’arma da fuoco la dobbiamo considerare sempre una lesione infetta, perché io non conosco un killer che sterilizza i proiettili prima di usarli, inoltre i proiettili attraversano l’aria e gli indumenti prima di colpire il bersaglio. Quando una ferita è infetta non posso usare protesi, perché sapete che il tessuto infetto cicatrizza più difficilmente. Ora, se questo proiettile colpisce il sigma e l’arteria iliaca che cosa accade? Avremo la fuoriuscita delle feci in addome con peritonite e quindi ambiente infetto. Per il sigma è semplice, perché faccio una colostomia a sinistra, ma per l’arteria? Non potrò applicare una protesi in dacron o teflon, che dovrò fare? Dovrò fare un bypass extra anatomico femoro femorale oppure un bypass axillo femorale tunnellizzando il nuovo vaso nel sottocutaneo dalla clavicola alla regione inguinale per fornire sangue all’arto. In questo modo io evito il territorio infetto e potrò usare anche materiale protesico. E’ come se separassi le due situazioni, quella del sigma e quella dell’arteria, come se fossero due interventi diversi. Una volta fatta la stomia cambio il carrello e metto quello per il bypass. Per l’epidemiologia dei traumi sono riportate sui vari testi, poi abbiamo una divisione trimodale delle cause di mortalità per trauma, ovvero cause divise in minuti, ore e giorni. Riporto dalla slide che il professore non ha letto: Minuti: cervello, midollo spinale, cuore, aorta, vasi. Ore: emorragia cerebrale, emotorace, pneumotorace, emoperitoneo, fratture. Giorni: infezioni, insufficienza multi organo. Poi abbiamo gli indici di trauma comunque “grave”, sono indici che inequivocabilmente ci dicono se il trauma è grave. 1) Caduta da 4-5 metri 2) Ferite penetranti 3) Distruzione dell’abitacolo del veicolo 4) Investimento di pedone o di ciclista o motociclista
5) Proiezione da un veicolo 6) Decesso di una delle persone coinvolte Sono utili per stabilire l’iter diagnostico terapeutico, soprattutto in Italia dove abbiamo una assistenza sanitaria universale in cui non ci possiamo permettere di fare TAC a tutti. Per cui se inserisco il paziente come trauma maggiore farò delle cose, altrimenti farò altre indagini. Come vi ho detto l’altra volta, se viene da voi un paziente che ride, scherza e si prende gioco di voi ma è incluso in uno degli indici di trauma comunque grave, io lo devo considerare come trauma grave e quindi fargli un eco fast ed in base all’ecofast fare una tac. Se il paziente non lo vuole fare deve firmarvi un documento in cui il paziente rifiuta ulteriori accertamenti. E’ accaduto che un paziente è caduto da 4-5 metri, ha avuto una distorsione ad una caviglia, è stato mandato a casa ed è morto dopo qualche giorno per rottura della milza. Molti di voi lavoreranno come liberi professionisti nei pronto soccorso ed il vostro nemico sarà il direttore generale, il quale quando vedrà che taldeitali ha chiesto 150 tac, non gli rinnoverà più il contratto. Per cui c’è il dissidio tra lo spendere poco e lo stare tranquilli. Il mio consiglio è fregatevene, meglio stare tranquilli che avere un rinvio a giudizio. E’ come iniziare una partita con un ammonito, è una cosa che vi condiziona per tutta la vita. Per questo seguite sempre le linee guida. Spesso capita che al PS, ci sta un medico ed un chirurgo, il radiologo è reperibile e sta a casa a dormire e non gli farà piacere avere una chiamata alle 3 di notte. Vi ripeto, fregatevene, state tranquilli, fate tutti gli esami necessari. Il paziente Politraumatizzato è un paziente portatore di lesioni traumatiche di due o più organi o apparati. E’ un portatore di lesioni traumatiche multiple di cui almeno una comporti un giudizio prognostico grave quod vitam, quod valitudinem e quod functionem. Tenete presente che ogni 2 lesioni ci sono più di 125 associazioni, con 3 lesioni 625 e con 4 lesioni più di 3125 associazioni. Pertanto è importante visitare per intero il paziente spogliandolo e tenendo presente sempre i critieri ABCDE. Non è il numero delle lesioni che definisce il politraumatizzato ma la prognosi “vitale”, cioè la criticità ed il rischio evolutivo. Classificazione fisiopatologica del politraumatizzato
1) FENOMENI DI ADDIZIONE: lesioni multiple, cause multiple di shock, sintomi eterogenei. 2) FENOMENI DI SOTTRAZIONE: stato comatoso, shock traumatico, mascheramento. 3) FENOMENI DI POTENZIAMENTO: stress patogeni, lesioni encefaliche associate, lesioni
midollari associate. Chiaramente chi non è venuto a lezione non saprà che i fenomeni di sottrazione non inficiano gli altri due, in quanto si parla di sintomi. Il paziente in stato comatoso ha dei sintomi meno evidenti, legati al suo stato. Perdite ematiche nel politraumatizzato Statisticamente vedremo che un politraumatizzato perde Per un Emotorace 30-40% della massa circolante Emoperitoneo 50-60% massa circolante Frattura Pelvica 1000-2000cc. Frattura Femore 500-1500cc. Ematoma di 5-10cm 500cc. Ematoma interstiziale 25% della perdita ematica.
State attenti alle perdite che non si vedono, se uno ha una frattura di femore può perdere tra i 500 e i 1000cc di sangue e non si vedono. Oppure può avere una frattura del bacino in cui non si vede niente ma può perdere 1 o 2 litri. Un ematoma di 10cm può essere responsabile di una perdita da 500cc. In base a ciò ci si basa sull’infusione di sangue necessario al paziente. Ancora una volta vi ricordo di seguire sempre questi criteri ABCDEF. Vi ripeto i Codici di Gravità: Rosso: 0 min Funzioni ABC assenti, il paziente va trattato immediatamente Giallo: 2-5 min Funzioni ABC instabili e a rischio Verde: 30-60 min Funzioni ABC stabili Bianco: >60 min Funzioni normali E poi ci sarebbe il nero che è la morte.
TRAUMA TORACICO
Prima di parlare del trauma toracico voglio fare una premessa di tipo anatomico, perché spesso accade che all’esame non sapete ad esempio come sia composta la pleura e diventa imbarazzante. La pleura è composta da un foglietto parietale ed uno viscerale che avvolge il polmone e tra di essi vi è uno spazio virtuale occupato dal liquido pleurico in cui vige una pressione negativa che consente al polmone di rimanere espanso. Se non avessimo questa pressione negativa, il polmone collasserebbe. Domanda: un paziente che ha 1 solo polmone è un paziente che può vivere? Risposta: Si. Allora perché un paziente con uno pneumotorace deve essere trattato immediatamente perché può morire? Risposta: perché nello pneumotorace iperteso si ha lo “sbandamento mediastinico” controlaterale che va ad angolare le vene cave, quindi impedisce al sangue di raggiungere l’atrio destro. Come arriva l’aria dentro la pleura? Risposta di un ragazzo: dipende se il trauma è aperto p chiuso. Prof: ok, se il trauma è aperto allora l’aria entra dall’esterno tramite la ferita, ma sei la gabbia toracica è integra? Vi entra tramite il polmone, perché nel polmone c’è aria. Come lo tratto? Dovrò fare una Toracentesi. Ora, da un punto di vista intuitivo, dove lo vado a ficcare il drenaggio? Se c’è solo aria lo andrò a porre sull’emiclaveare nel 2° o 3° spazio intercostale, se c’è un emotorace andrò a pungere sull’ascellare media a livello del 4° o 5° spazio. Quando ho messo questo tubo nel cavo pleurico, a cosa devo stare attento? Dovrò stare attento a metterlo in un dispositivo a valvola oppure dovrà pescare nell’acqua, ma non dovrà mai essere libero. Se lo lasciate libero avete trattato uno pneumotorace e ne avete creato un altro. Lo pneumotorace più pericoloso è priprio quello a valvola, quello iperteso. Le principali cause sono: trauma penetrante, trauma chiuso con lesione parenchimale, rottura di bolla, respirazione con pressione positiva. Un’altra cosa a cui devo stare attento è nel caso di fratture multiple delle coste, magari su linee parallele, in cui osserveremo il famoso “Respiro Paradosso” in cui avremo movimenti della gabbia toracica opposti a quelli fisiologici. Nella inspirazione vedremo che una parte del torace si affossa. Ora passiamo a nozioni epidemiologiche: Incidenza: 12,8 x 100000 Morte Diretta: 25% Causa Mortale: 25% Trattamento Non Chirurgico: 85%
Trattamento Chirurgico: 15% La toracentesi di certo non è un trattamento chirurgico e neanche medico, ma la consideriamo a cavallo tra i due. Come possiamo fare diagnosi? Alla RX vediamo che c’è aria, mentre nel polmone sano si vede l’aria ed il parenchima. La diagnosi è semplice anche clinicamente, infatti all’auscultazione avremo il silenzio respiratorio, non ci sarà il fremito vocale tattile, non c’è il suono chiaro polmonare. Esistono diversi pneumotoraci, classificazione: Eziologica: spontaneo, traumatico, iatrogeno Fisiopatologica: aperto, chiuso, iperteso (con meccanismo a valvola) Ho visto diversi episodi bizzarri, come quei cretini che starnutiscono a glottide chiusa e fanno lo pneumotorace. La causa più frequente di pneumotorace iatrogeno è quello che si verifica dopo posizionamento di accesso venoso centrale, ma ho visto anche gente che aveva l’artrite scapolo omerale che facendo l’infiltrazione di cortisone hanno bucato l’apice. Lo pneumotorace iperteso è quello che dobbiamo trattare subito col drenaggio perché è quello più pericoloso. Come si presenta il paziente con lo pneumotorace iperteso? Muscoli rigonfi nella regione sovraclaveare, spazi intercostali rigonfiati, spazio pleurico riempito di aria, polmone collassato, grossi vasi compressi, polmone contro laterale compresso, vene cave compresse, cuore compresso. Toracentesi: Assistenza preoperatoria: tricotomia, togliere protesi e oggetti, camice monouso, profilassi prescritta. Posizionamento del drenaggio: anestesia locale, incisione con bisturi, un Klemmer che apre la lesione, un dito nello spazio pleurico e apposizione del drenaggio. Esitono dei kit appositi monouso. Non temete di incidere e mettere il drenaggio, tanto il polmone è collassato, sotto non trovate niente. Una volta messo il tubo di drenaggio lo dobbiamo collegare ad una bottiglia riempita con un po’ d’acqua avente un tubo di raccordo che vi pesca dentro ed un altro più corto che è libero e consente lo scambio di aria. In questo modo l’aria presente nel torace va nella bottiglia, entra nell’acqua, fa le bollicine le quali si rompono e la liberano nella bottiglia per poi farla fuoriuscire nel secondo tubo (quello libero). Quando il polmone si è riespanso vedremo che ci sarà una risalita dell’acqua nel tubo di raccordo che segue gli atti respiratori, questa risalita sarà più visibile colorando l’acqua con il Blè di Metilene. Una volta si usavano le bottiglie di vetro, però spesso i pazienti o anche i medici ci inciampavano dentro e le rompevano, allora si è passati ad altre soluzioni come quelle di plastica oppure con meccanismi a valvola.
Emergenze medico – chirurgiche -‐ Addome acuto – prof. Milone – 26-‐03-‐15 1° ora
Il mio compito è quello di farvi capire quali sono i punti fondamentali della diagnosi e della cura dell’addome acuto. Cominciamo col dire che quando si parla di addome acuto spesso si tralascia un altro aggettivo, ovvero spontaneo, perché ovviamente possiamo avere un addome acuto traumatico, che rientra in un altro inquadramento ovvero nei traumi dell’addome.
Che cosa significa fare diagnosi di addome acuto? Significa che il paziente deve essere operato, l’addome acuto quindi equivale all’indicazione all’intervento chirurgico. L’addome acuto spontaneo va diversificato immediatamente da un’altra condizione detta appunto falso addome acuto o addome acuto “mento”.
Alcuni esempi ci faranno meglio capire questo concetto. Se un paziente ha una colica renale, quasi sempre ha dolore addominale, vomito, dolore alla palpazione dell’addome, il che potrebbe sembrare un addome acuto, in realtà non lo è perché non ci sogneremmo mai di intervenire chirurgicamente per una colica renale, si tratta pertanto di un falso addome acuto. Anche una calcolosi della colecisti può dare un quadro di addome acuto con dolore, vomito e spesso anche alterazioni dell’alvo, anche in questo caso l’indicazione non è chirurgica. Vi dirò di più, esistono delle condizioni di organi extra addominali, in cui possono simulare un addome acuto. Queste condizioni sono essenzialmente l’infarto del miocardio nella sua porzione diaframmatica, il quale da molto spesso dolore addominale all’epigastrio e vomito, anche una pleurite basale può dare un dolore addominale. Altre situazioni di tipo generale, malattie un po’ rare, come la porfiria acuta intermittente, il saturnismo (l’intossicazione da piombo), che possono simulare un addome acuto vero ma sono delle affezioni di tipo sistemico. Per essere chiari e per avere un quadro completo su quali siano le patologie che esordiscono con un quadro di addome acuto vero possiamo distinguere 3 situazioni:
1. Addome acuto occlusivo 2. Addome acuto peritonitico 3. Addome acuto vascolare (infarto intestinale)
Non lasciatevi trarre in inganno da altre patologie che intuitivamente possono essere confuse con un addome acuto. Il comune denominatore di tutti questi casi di addome acuto è il dolore. Nell’addome acuto vero il dolore è costante. Nella definizione di addome acuto pertanto possiamo dire che l’addome acuto è una situazione con diversi aspetti anatomo – patologici ma il cui esito prognostico è infausto se non si ricorre all’intervento chirurgico, in più ci aggiungiamo che è caratterizzato fondamentalmente dal dolore. Se noi togliamo il sintomo dolore, vi pongo all’attenzione alcune situazioni e voi mi direte se possono essere un addome acuto oppure no.
Primo caso: emorragia digestiva. Voi la inquadrereste in un quadro di addome acuto, che può essere da ulcera gastrica, duodenale, ileite. Se non teniamo presente il segno dolore , inserireste l’emorragia digestiva in un addome acuto? Diciamo che la maggior parte delle emorragie digestive, sia avvale della terapia medica, anche se non si opera il paziente, l’esito è buono. Quando ho cominciato a fare il chirurgo si operavano 3-‐4 stomaci a settimana per ulcera gastrica, mentre oggi, oggi vedo 1 o 2 stomaci all’anno operati per emorragia digestiva. Quindi in questo caso non inseriamo questa condizione in un quadro di addome acuto.
Secondo caso: pancreatite acuta. La inserireste nell’addome acuto? La pancreatite acuta ha uno spettro anatomo – patologico molto vario, si passa dalla pancreatite acuta edematosa alla necrotico-‐emorragica. La maggior parte delle pancreatiti si avvale della terapia medica (digiuno, terapia parenterale, gabesato
mesilato e somatostatina). Inseriremo in un addome acuto solo le complicanze della pancreatite acuta necrotica – emorragica, che sono fondamentalmente l’emorragia e gli ascessi. In questi casi non parleremo più di pancreatite ma per esempio di sepsi o peritonite.
Analogamente non inseriremo nel quadro dell’addome acuto l’emorragia pelvica per scoppio di un follicolo ovarico, questa condizione darà emoperitoneo e dolore, ma che molte volte è un’emorragia autolimitante che non richiede un intervento chirurgico.
Ecco perché è utile avere ben inquadrate le 3 situazioni in cui certamente io devo inserire il paziente in un caso di addome acuto.
Come si fa una diagnosi di addome acuto? Quali sono gli elementi semeiologici , di laboratorio e strumentali che rendono possibile la diagnosi di addome acuto spontaneo vero?
Da un punto di vista anamnestico qualche elemento noi possiamo averlo. Se il paziente lamenta dolore addominale, riferisce vomito e soprattutto vi riferisce febbre, già il vostro orientamento è verso una patologia di tipo infiammatoria/settica. Se riferisce che da alcuni giorni o da alcuni mesi ha variazioni dell’alvo, stipsi prolungata, chiusura dell’alvo a feci e gas, alternanza di diarrea con stipsi ostinata, emissione di sangue con le feci, ovviamente voi vi orientate verso un addome acuto occlusivo. Se il paziente vi riferisce di essere portatore di altre patologie che possono far risalire a una patologia arteriosclerotica ostruttiva, ad esempio un paziente che presenta una claudicatio intermittens, oppure un paziente che ha avuto precedenti infarti del miocardio o ictus cerebrali, sarà un paziente multi-‐sclerotico, quindi molto probabile che possa avere anche un interessamento dei vasi mesenterici , con conseguente ostruzione e infarto intestinale.
Quello che in realtà ci fa fare diagnosi di addome acuto, per poi risalire alla causa dell’addome acuto, solo per inserire il paziente in una diagnosi di addome acuto, è necessario che l’addome non sia trattabile. Che significa addome trattabile? È un addome in cui la palpazione superficiale e profonda non determina né resistenza , né contrattura, né dolore (esacerbazione del dolore).
Sono essenzialmente due quindi i segni che dobbiamo andare a ricercare. Dovremmo chiederci, è presente contrattura addominale? È presenza resistenza alla palpazione? Perché si fa questa differenziazione?
Se noi abbiamo una perforazione intestinale, la reazione recettoriale peritoneale innesca un arco diastaltico col SNC per cui qualsiasi infiammazione del peritoneo si trasforma in contrattura della muscolatura striata della parete addominale e paralisi della muscolatura liscia, per cui ha contemporaneamente una contrattura addominale e un ileo paralitico. Palpando sempre dolcemente l’addome potete apprezzare che i muscoli della parete addominale sono duri e vi impediscono la palpazione profonda. Questo è un segno patognomonico di un addome acuto peritonitico, non necessariamente dovuto a una perforazione, può essere anche dovuto a una infiammazione peritoneale per contiguità, quello che si manifesta nell’appendicite acuta.
Altro segno: la resistenza. Che cos’è la resistenza? Da un punto di visto soggettivo, da parte del medico che esamina il paziente, è la stessa sensazione che potete avere cercando di vincere la resistenza di un pallone pieno di aria, però non c’è contrattura. Allora voi vedrete un addome globoso, resistente alla palpazione profonda ma non contratto. Questo è un segno che molto probabilmente vi porta alla diagnosi di addome acuto occlusivo.
Sulla trattabilità dell’addome per quanto riguarda l’infarto intestinale c’è da fare qualche precisazione. Premessa: l’addome acuto vascolare da ischemia mesenterica o da infarto intestinale, è caratterizzato da un segno molto importante, ovvero la sproporzione tra la sintomatologia del paziente e l’obiettività clinica. Tant’è che questa patologia viene anche indicata in maniera molto efficace come “addome acuto senza addome acuto”. Questo vi fa capire tante cose. Questo sarà un paziente che avrà un dolore che su una scala di dolore raggiunge il massimo. È un paziente agitato per il forte dolore che prova. Se fate l’esame obiettivo addominale non trovate grosse cose. L’addome può essere non contratto o addirittura non resistente. Non cercate scorciatoie, come spesso capita per inesperienza, ed etichettiamo il paziente o come malato mentale oppure come un paziente che simula un dolore lancinante perché gli vengano somministrati oppiacei. Questo è il motivo per cui l’infarto intestinale ha una mortalità che oscilla tra il 40 e l’80%. Questo è dovuto al fatto che è spesso una diagnosi tardiva.
Ci sono delle alterazioni dell’alvo in tutte e tre le situazioni di addome acuto, nell’addome occlusivo è facilmente comprensibile, in quello peritonitico è perché abbiamo l’ileo paralitico, nell’infarto intestinale è per gli stessi motivi per cui abbiamo l’ileo paralitico, mentre nella fase che precede immediatamente l’infarto intestinale abbiamo l’iperperistaltismo.
Ci sono altri esami che ci possono essere utili in questi casi?
1. Emocromo con formula leucocitariaà ci interessa quanti leucociti ha il paziente. In alcune situazioni lo riteniamo un elemento indispensabile e un indice di indicazione chirurgica quando si ha un’elevazione importante dei globuli bianchi.
2. Emogasanalisi àun paziente che avrà vomito per esempio per un’ulcera duodenale che ha esitato in una cicatrice che restringe il duodeno, avrà una gastrectasia a monte. Il vomito ripetuto porterà il paziente a perdere HCl, quindi ciò esiterà in un’alcalosi ipocloremica. Un altro elettrolita molto presente a livello gastrico che viene perso col vomito è il potassio (proveniente fondamentalmente dalla bile). Il paziente pertanto avrà un’alcalosi ipocloremica ipopotassiemica.
3. RX diretta dell’addome in bianco à andiamo alla ricerca di due segni che ci permettono di fare diagnosi certa. Per esempio possiamo vedere che è presente dell’aria a livello sottodiaframmatico, si chiama “falce d’aria sottodiaframmatica”. Ciò significa che il paziente ha una perforazione, l’aria esce dall’intestino e per gravità sale verso l’alto, ovvero verso la loggia sottodiaframmatica. Potremmo fare allora diagnosi di addome acuto perforativo peritonitico. Quindi la prima cosa da fare è ricercare i segni di uno pneumoperitoneo. Secondo segno che vado a cercare, la presenza di livelli idroaerei. Nel soggetto normale, il livello idroareo non compare perché aria e liquido si mischiano nella peristalsi, per cui non c’è questa decantazione che permette al liquido di scendere giù e all’aria di salire verso l’alto. Se ho un’occlusione intestinale, a monte manca la peristalsi, si dilata, per reazione immette più liquido di quello che normalmente produce, ed è quello il momento per cui il liquido si decanta verso il basso e l’aria sale in alto. Si crea quindi un livello che non è altro che il passaggio tra liquido e aria. In genere questo livello assume una convessità superiore. Se io ho una RX diretta dell’addome che cosa vedo? Il liquido non lo vedo con la diretta, l’aria si. Vedrò una mezzaluna diritta con la convessità superiore, quello in basso è un livello idroaereo. Il livello idroaereo è espressione di occlusione intestinale. Perché questo esame preziosissimo sia veramente tale, bisogna raccomandare che il paziente sia in ortostatismo. Nell’infarto intestinale le pareti dell’intestino rimangono infarcite di liquido o di sangue, per cui aumentano il loro spessore. Alla radiografia diretta dell’addome è possibile vedere anse spesse e accollate le une sulle altre. Gli autori francesi chiamano questo segno “encartment delle anse” (il termine sta per accartocciamento). Un altro segno che è possibile vedere è la presenza di aria nel
sistema venoso mesenterico – portale. Questo è un altro segno patognomonico di infarto intestinale meglio visibile però alla TC. Quindi alla RX diretta dell’addome può seguire un’ecografia o una TC dell’addome con contrasto.
Nell’occlusione intestinale dobbiamo tener presente che possiamo avere un ileo dinamico e un ileo paralitico. L’ileo dinamico è sempre espressione di addome acuto occlusivo al contrario dell’ileo paralitico. Se io ho un grave scompenso idroelettrolitico con marcata iposodiemia, se manca il sodio non c’è peristalsi, così come nell’ipokaliemia e nell’ipocalcemia può mancare la peristalsi. Pertanto l’ileo potrà essere paralitico anche se non c’è un’ostruzione ma c’è un’impossibilità di trasmissione dell’impulso nervoso per carenza elettrolitica. Quante volte in rianimazione ci chiedono una consulenza perché il paziente ha un alvo chiuso a feci e gas. Per esempio può essere un paziente con traumi cranici e quindi con mancanza della trasmissione nervosa dello stimolo peristaltico. Se facciamo un RX diretta dell’addome, vedremo che i livelli idroaerei da ileo paralitico partono dallo stomaco e arrivano al retto perché c’è una paralisi generalizzata. Nell’ileo dinamico da occlusione intestinale vera, avremo una dilatazione delle anse a monte e una normalità delle anse a valle. In questo caso i livelli idroaerei li vedremo a monte e non a valle. Altra cosa molto importante è valutare se sono presenti situazioni di occlusione intestinale che mettono a rischio la vitalità dell’intestino stesso. A un paziente con occlusione intestinale se inseriamo il sondino nasogastrico possiamo operarlo anche dopo 48-‐72 ore e non succede niente se questa ostruzione intestinale non è dovuta a una delle seguenti 3 cause che invece pongono l’intervento d’urgenza perché è un’ostruzioone intestinale con rischio di tenuta degli assi vascolari e sono:
1. Ernia strozzata: il cingolo strozzante preme sui vasi facendo andare in ischemia l’ansa intestinale (ernia inguinale, ernia ombelicale, ernia interna da aderenze post-‐chirurgiche)
2. Volvolo 3. Invaginazione
Per quanto riguarda l’addome acuto peritonitico, abbiamo detto già che la peritonite può seguire una perforazione intestinale la cui gravità è direttamente proporzionale alla maggiore distanza dalla giunzione esofago-‐gastrica. Se si perfora lo stomaco avrò una peritonite chimica, se si perfora il sigma avremo una peritonite stercoracea altamente tossica ed estremamente grave. Una peritonite può anche essere conseguente a una trasmissione per contiguità di un focolaio infiammatorio endoaddominale che può essere un’infiammazione della tuba, dell’ovaio, dell’appendice, del colon (MICI). Che cosa dovete immediatamente inquadrare nel paziente peritonitico? Il paziente ha una peritonite diffusa o circoscritta? Qual è la differenza tra questi due tipi di peritonite? La peritonite diffusa è un’infiammazione che riguarda tutto il cavo peritoneale, mentre quella circoscritta o saccata è quella che avviene in alcune sedi del nostro organismo precostituite anatomicamente in cui il processo peritonitico è stato l’input a che le difese organiche naturali hanno tentato di circoscrivere in quella predeterminata cavità endoaddominale. Quali sono queste sedi?
1. Cavo del Douglas à se ho un’infiammazione del Douglas, questo può essere raggiunto dall’intestino, dal meso o il grande epiploon e mi circoscrivono l’infezione alla pelvi.
2. Piastrone appendicolare à è dovuto all’appendice aumentata di volume, mesoappendice e all’epiploon che si è andato ad indovare in quel posto per tentare di limitare la diffusione della peritonite.
3. Zona sottodiaframmatica 4. Zona sottoepatica à ascesso sottoepatico
La peritonite circoscritta ha già avuto un minimo ridimensionamento spontaneo da parte delle difese naturali dell’organismo , ma non per questo possiamo tralasciare di trattarla.
Fate attenzione a non fare semplice diagnosi con l’appendicite acuta anche in presenza di leucocitosi, non vi buttate a operare soprattutto se è una paziente è di sesso femminile e giovane, poiché prima di tutto voi dovete escludere l’interessamento della patologia ginecologica. Vi potreste trovare di fronte allo scoppio di un follicolo emorragico che non viene dall’ovaio dx ma dall’ovaio sx, per cui vi trovate con il tagliettino estetico per l’appendice, il Douglas pieno di sangue e il sanguinamento che viene dall’ovaio di sx, quindi dovete richiudere il McBurney e fare un altro taglio. Mai fare una cosa del genere senza aver fatto un’ecografia pelvica in ginecologia dove faranno come prima cosa anche il test di gravidanza, in quanto può trattarsi anche di una gravidanza extrauterina che può simulare un’appendicite acuta.
Per quanto riguarda il trattamento ovviamente dipende dalla causa dell’addome acuto. Un’occlusione intestinale in genere se dipendente da cancro si risolve con la resezione intestinale. Se fosse un’occlusione da briglia o da ernia strozzata la cosa può essere risolta soltanto rimuovendo il cingolo strozzante senza effettuare una resezione.
Lezione emergenze – Addome acuto vascolare -‐ 13/04/2015 prof. Milone
Nella lezione sull’addome acuto, abbiamo parlato delle cause da inserire nell’addome acuto che nell’insieme configurano l’addome acuto peritonitico, occlusivo e vascolare. Specificammo che l’addome acuto vascolare è costituito essenzialmente dall’infarto intestinale che tuttavia non è la sola causa di addome acuto vascolare. Le cause principali cause di addome acuto vascolare sono:
• rottura di aneurismi delle arterie viscerali
• rottura di Aneurisma Aorta Addominale
• ischemia mesenterica (infarto intestinale)
• complicanze delle ricostruzioni protesiche vascolari
Per quanto riguarda la rottura degli aneurismi dell’aorta addominale si tratta in primis di un addome acuto retro peritoneale dato che l’aorta addominale si trova nel retroperitoneo. Tuttavia dopo la prima fase di fissurazione dell’aorta addominale si passa alla rottura e dato che il retroperitoneo, che è uno spazio molto piccolo, non ce la fa a contenere la pressione del sangue riversato in questo spazio, prima o poi si forma un emoperitoneo, una vera e propria emorragia all’interno del cavo peritoneale.
Rottura di aneurismi delle arterie viscerali
È evidente che se si rompe un arteria splenica, una arteria epatica, il tripode, la gastroduodenale, la pancreatoduodenale, la mesenterica superiore, noi parliamo di un emoperitoneo dato che sono tutte arterie che si trovano nel cavo peritoneale. L’incidenza totale non è alta, stimata intorno allo 0,2%, con l’incidenza (relativa alle singole arterie) più elevata a carico dell’arteria splenica. La rottura della mesenterica inferiore ha un’incidenza molto bassa ed è considerata una situazione grave.
Etiopatogenesi
In ordine decrescente:
• arterosclerosi (quindi degenerativa)
• trauma
• infezione
Per quanto riguarda una infezione, immaginate che il paziente abbia una endocardite. Si ritrovano quindi a livello endocardico dei trombi che possono dare origine ad emboli settici i quali oltre ad ostruire un’arteria danno luogo anche ad una infezione della stessa arteria.
Quadro clinico
Tale quadro clinico vale non solo per le arterie viscerali ma anche per i più frequenti aneurismi dell’aorta addominale.
Si distinguono 3 fasi successive:
1. Pre-‐fissuraazione: sintomatologia aspecifica
2. Fissurazione: sintomatologia più accentuata che si caratterizza in base al tratto interessato. Si crea un piccolo buco nell’arteria con iniziale fuoriuscita di sangue che viene più o meno tamponata dalla pressione positiva che si crea in corrispondenza di questo foro nell’arteria. Ovviamente dopo un po’ questa pressione che si oppone alla perdita di sangue non ce la fa più a contenerla e si ha la vera e propria rottura dopo una fase di stasi di durata variabile.
Segue una fase di stasi (latenza) di durata variabile
3. Rottura: shock ipovolemico e quadro clinico specifico a seconda della localizzazione dell’arteria interessata
Clinica in base alla modalità di rottura I quadri clinici sono differenti a seconda della localizzazione del’aneurisma che si fissura.
Diagnosi
La diagnosi deve essere tempestiva. Il più delle volte il paziente viene aperto per una laparotomia esplorative con la diagnosi generica di emoperitoneo. Se l’aneurisma viene preso in fase prefissurativa o fissurativa, ci possono dare dei dettagli molto importanti:
• Ecografia
• Tac
• Angiografia selettiva
• Diretta addome (si vede poco, quindi non molto importante)
La diagnosi viene fatta con l’eco-‐fast che dimostra la presenza di sangue in addome. Per quanto riguarda l’angiografia essa è una metodica diagnostica e terapeutica insieme perché se riusciamo a fare diagnosi precoce con una angiografia selettiva, questa non solo ci permette di fare diagnosi certa ma è possibile, con metodica radiologica interventistica, andare a chiudere quest’arteria con un’embolizzazione. Quindi si tratta la fissurazione con una tecnica mini-‐invasiva.
Il prof. salta le slides del trattamento chirurgico dicendo che sono cose specialistiche.
Nell’immagine si vede una fistola artero-‐venosa o meglio un aneurisma artero-‐venoso che ha una posizione atipica. Si trova infatti nella pelvi, quindi appartiene all’ipogastrica. È chiaro che la rottura di una formazione di questo genere già è rara come incidenza, andare a fare la diagnosi è veramente difficile. Queste sono quelle malformazioni vascolari che molto spesso sono causa di grosse complicanze inaspettate che spesso i ginecologi si trovano ad affrontare, per es. quando fanno un intervento di asportazione di cisti ovarica. Oppure immaginate un cesareo con una malformazione di questo genere. Sono quei casi che poi si leggono sui giornali “morta per cesareo”, poi si va a fare l’autopsia e si vede che effettivamente c’era un problema inaspettato, non preventivato e del quale il ginecologo non se ne può assumere la responsabilità. Dovrebbe però intraoperatoriamente riconoscerlo prontamente e trattarlo.
Aneurisma Aorta Addominale (AAA)
Fino ad ora abbiamo trattato una patologia al margine, rara. L’aneurisma dell’aorta addominale è una patologia con un’incidenza decisamente maggiore. È conseguente nella maggior parte dei casi ad aterosclerosi. Ha una evoluzione rapida soprattutto dopo i 70 anni ma lì aterosclerosi, vi ricordo, incomincia a 30 anni. Grazie all’allungamento della vita media, il numero degli 80 è molto aumentato, di conseguenza anche gli AAA sono aumentati.
Per la diagnosi degli aneurismi dell’aorta addominale andiamo in primis a ricercare una massa pulsante a livello addominale. Una massa pulsante è patognomonico di aneurisma dell’aorta addominale. Si può instaurare una terapia conservativa di un aneurisma dell’aorta addominale fino a quando il suo diametro si mantiene entro i 4,5 cm. Oltre queste misure c’è l’indicazione al trattamento chirurgico. Infatti per la legge di Laplace la pressione aumenta con l’aumentare del diametro. Si può porre l’indicazione all’intervanto anche con una certa generosità anche a 4 cm dato che oggi il trattamento degli AAA è diventato quasi esclusivamente appannaggio della chirurgia endovascolare. Quindi un approccio mini invasivo. Si fanno due incisioni in regione inguinale dx e sx, si isolano le arterie femorali e attraverso le arterie femorali si inseriscono dei fili guida e delle endoprotesi che trattano l’aneurisma senza necessità di apporre in open queste protesi. Ovviamente ci sono delle indicazioni ben precise, delle controindicazioni ( ma queste sono cose specialistiche). Ovviamente la rottura di AAA è una emergenza chirurgica addominale che necessita di una precoce diagnosi e trattamento. È chiaro che le possibilità di trattamento e di risoluzione della patologia sono maggiori se noi trattiamo in fase prefissurativa ed è altrettanto intuitivo che in caso di rottura non c’è la possibilità di trattamento per via endovascolare. Segni che caratterizzano lì aneurisma dell’aorta addominale: massa pulsante e dolore addominale dovuto all’imponete emoperitoneo che si viene a creare. Il dolore è per lo più posteriore in fase prefissurativa e fissurativa, quindi in regione lombare bilaterale, fino a diventare un dolore addominale quando passiamo dalla fase fissurativa alla fase di rottura con emoperitoneo. In tutte le sedi se la rottura è tamponata da strutture paraortiche si avrà dolore e lipotimia come prima manifestazione, segue ematoma con incremento dell’emorragia e shock. Per quanto riguarda la diagnosi:
• Clinica • Ecografia • Angio-TC • Angiografia
Quando invece si fa un’arteriografia anche qui ci aspetteremmo un arteria molto dilatata. In realtà l’arteria risulta dilatata ad una ecografia o una TC ma non all’angiografia perché la maggior parte della cavità non è occupata da flusso ematico ma è occupata da depositi calcifici, piastrinici, trombotici che coprono tutta la parete per cui quando facciamo l’arteriografia, che ci fa vedere solo il flusso, l’arteria può sembrare non dilatata. Una caratteristica però è sempre la stessa, cioè una conformazione ad S del vaso che può essere considerato anch’esso un segno patognomonico di aneurisma dell’aorta addominale. Il materiale che si ritrova lungo la parete del vaso in sede di AAA può provocare embolia periferica per il distacco di un embolo da questi depositi trombotici, piastrinici. Quindi si può avere come primo segno di AAA non la rottura ma l’embolia periferica. L’immagine seguente rappresenta un angio-‐TC con ricostruzione dell’aorta addominale. In questa immagine la forma ad S è molto accentuata. L’aorta è quasi trasversale in alto poi fa
questa S e poi ritorna ad essere longitudinale. In genere se la S è molto pronunciata l’aneurisma sarà molto grande.
Quindi se non è rotto un AAA superiore a 4,5 cm va trattato con chirurgia endovascolare. In caso di fessurazione o rottura il trattamento è esclusivamente chirurgico (open).
Un’altra cosa molto importante oltre le dimensioni è la sede del’’aneurisma. È fondamentale conoscere se l’aneurisma è a sede sottorenale o soprarenale. Se l’aneurisma è a sede sottorenale il clampaggio non esclude il flusso alle arterie renali. Se invece è sovra renale per il clampaggio deve essere fatto sopra le arterie renali escludendo il flusso ai due reni. Questo è possibile per un tempo massimo di 45 – 60 minuti dopodiché il rene va in ischemia. Ecco perché in questi casi il trattamento potrebbe essere addirittura in circolazione extracorporea. Si utilizza una protesi birofcata che ha un tratto comune e due branche rispettivamente per le anastomosi prossimale e distali.
La mortalità è bassa se riusciamo a trattare l’aneurisma in fase prefissurativa, quindi un AAA dove l’unico segno è una massa addominale pulsante. Mentre se l’aneurisma si rompe la mortalità raggiunge circa il 40%.
Un AAA che si rompe in due sistoli fa perdere un litro e mezzo di sangue. Per cui si comprende perché la mortalità è cosi elevata.
Le complicanze delle ricostruzioni protesiche vascolari
Questo argomento sembrerebbe apparentemente specialistico ma è un argomento che un medico di medicina generale deve assolutamente conoscere perché le ricostruzioni dell’aorta sono diventate molto frequenti proprio per l’aumento della vita media e di conseguenza dell’aumento dell’incidenza degli AAA. Quando un paziente viene all’attenzione del medico e riferisce di essere stato operato per una arteriopatia cronica ostruttiva e di aver subito un bypass aorto-‐femorale e riferisce allo stato attuale dolore addominale, bisogna sapere che il dolore addominale potrebbe derivare da problemi a carico della protesi. Tali problemi possono determinare quindi anche un addome acuto vascolare. Ovviamente il tipo di problemi dipende dalle condizioni generali e locali del paziente dalla tecnica di esecuzione dell’impianto e dal materiale utilizzato.
Quando si fa un bypass aorto-‐bifemorale si esclude il flusso alle arterie ipogastriche per cui il paziente potrebbe andare incontro ad una impotenza di tipo vasculogenico. Da qui l’utilità di innestare un’altra protesi su un ramo della aorto-‐bifemorale per consentire il flusso ad una arteria ipogastrica. Allo stesso modo si può reimpiantare sulla protesi aortica anche l’arteria mesenterica inferiore. I problemi che posso nascere a carico di queste protesi possono determinare quadri di addome acuto vascolare che non centrano niente con l’addome acuto vascolare in un paziente senza protesi. Per questo è molto importante sapere se il paziente ha una protesi vascolare e che tipo di ricostruzione ha avuto. La complicanza peggiore che si può verificare in un paziente che ha avuto una ricostruzione protesica vascolare è l’infezione della protesi. Da un punto di vista generale bisogna sapere che in chirurgia in caso di infezione protesica si ha una sola possibilità di trattare questa complicanza ed è l’asportazione della protesi. Il paziente si presenta con una febbre molto elevata, dolore addominale. La prima cosa da sospettare, se il paziente riferisce che ha avuto una protesi vascolare è che la protesi si sia infettata. In caso di infezione la protesi, anche a distanza di molti anni dall’intervanto, sembra nuova, ha un colorito biancastro. Invece, in condizioni normali, la protesi dovrebbe avere un aspetto che si integra perfettamente, anche per il colore, con l’aorta ed i tessuti limitrofi. L’intervento di asportazione della protesi è un intervento molto complesso: bisogna far saltare le anastomosi ma il vero punto critico è rappresentato dal fatto che noi non possiamo più ricostruire con un’altra protesi perché si tratta di un terreno infetto. Se apponessimo una nuova protesi, questa si infetterebbe. Quindi quel tratto anatomico non lo possiamo più prendere in considerazione. Dopo aver tolto la protesi si deve chiudere il buco sull’aorta per evitare una emorragia. Ad una risonanza magnetica l’infezione della protesi fa vedere aria intorno alla protesi perché in genere si tratta di una infezione da anaerobi che circondano tutta la protesi. In caso di infezione ai può avere una rottura di alcuni punti di sutura. L’emorragia in genere viene tamponata dal viscere che si trova vicino alla protesi. Ma a causa delle sistoli si può sviluppare un decubito ad esempio sull’ansa intestinale adiacente la quale prima o poi si rompe. Si crea cosi una fistola aorto-‐digiunale con emorragie copiosissime che per lo più si manifestano sottoforma di ematemesi. Per cui un
paziente che si presenta all’attenzione del medico potrebbe avere o una rottura di varici esofagee, ma se all’anamnesi egli dice di aver avuto un bypass aorto-‐bifemorale non bisogna escludere la possibilità di una fistola aorto-‐digiunale. In quest’ultimo caso bisogna chiudere la fistola, asportare la protesi e confezionare un bypass extra anatomico in quanto la sede della fistola è infetta e non si può riposizionare una nuova protesi nella stessa sede. Si può utilizzare un bypass axillo-‐bifemorale che è sottocutaneo.
Ischemia mesenterica
Altra causa di addome acuto vascolare. Il 62% è su base arteriosa in particolare embolica (35%), aterosclerotica (45%) o da cause rare (4%). L’ischemia mesenterica può essere anche venosa(30%) o mista (5%) o anche da cause non ostruttive (16%). La vascolarizzazione intestinale è data dal tripode celiaco, dalla mesenterica superiore e dalla mesenterica inferiore. Questi distretti arteriosi sono collegati tra loro da delle anastomosi la più importante delle quali è l’arcata di Riolano che mette in comunicazione il distretto dell’arteria mesenterica superiore con quello della mesenterica inferiore. Una stenosi della mesenterica superiore comporta un marcato sviluppo dell’arcata di Riolano in modo tale che la mesenterica inferiore sopperisce al flusso mancante dovuto alla stenosi della mesenterica superiore. Condizione necessaria e sufficiente affinché si abbia un infarto intestinale è che ci sia l’ostruzione di due di questi tre vasi. Si può avere anche solo la stenosi serrata: ad esempio se si ha una stenosi serrata della mesenterica superiore ed un’ostruzione della mesenterica inferiore comunque si ha un infarto intestinale. Nella insufficienza arteriosa mesenterica bisogna distinguere due fasi che in genere sono cronologicamente succedentesi: SIAM ( sindrome ischemica acuta mesenterica) e infarto intestinale. La necessità di distinguere queste due fasi deriva dal fatto che se si riesce a fare diagnosi di ischemia intestinale nella fase di SIAM si ha ancora la possibilità di evitare ampie resezioni intestinali perché quest’ischemia splancnica è reversibile. Dopo circa 12 ore l’ischemia diventa irreversibile per cui anche andando a fare un tempo vascolare di rimozione dell’ostruzione e di ricostruzione vascolare e quindi ripristinando la circolazione dell’intestino questo comunque è già andato in ischemia irreversibile, quindi la ricostruzione sarebbe stata inutile dato che quella parte di intestino deve essere resecata. Tutto questo dimostra quanto sia importante la diagnosi precoce. Infatti essa permette di evitare o quanto meno di ridurre la parte di intestino che va asportata.
Clinica L’addome acuto vascolare si definisce anche “addome acuto senza addome acuto” data la larga sproporzione tra i sintomi lamentati dal paziente e l’obiettività clinica. Il paziente ha dolore vivacissimo quindi appare vivamente agitato ma la palpazione dell’addome non determina una grossa esacerbazione del dolore e soprattutto non si ritrova né contrattura né resistenza. Sembra quindi un addome obiettivamente normale. Inoltre non bisogna cadere nella scorciatoia di etichettare il paziente come tossicodipendente e pensare che stia facendo una scena per ricevere oppiacei. A volte succede ma bisogna stare attenti e tenere questa ipotesi come riserva. Segni cambiano a seconda se c’è SIAM o se c’è infarto (vedi tabella).
L’ischemia intestinale alla Rx diretta dell’addome è caratterizza dall’ecartement (accartocciamento) delle anse. Le anse intestinali, che appaiono aumentate di spessore per edema, sono poste le une sulle altre come se fossero accartocciate
Trattamento
1. Fase vascolare 2. Fase intestinale (resettiva)
Durante un infarto intestinale l’intestino cambia colore con il proceder del tempo di ischemia.
In un infarto venoso l’intestino invece appare nero a causa dell’infarcimento emorragico. Ovviamente l’infarto venosi non è da causa aterosclerotica. Esso è dovuto all’alterazione di uno dei fattori della triade di Virchow ( stasi, trombofilia, danno parietale)
La mortalità dell’infarto intestinale è di circa il 40% in calo negli ultimi anni. La riduzione della mortalità è dovuta soprattutto all’approccio postoperatorio di tipo rianimatorio: infatti dopo l’intervento non bisogna far svegliare il paziente. Il paziente deve andare intubato in rianimazione anche se l’intervento è perfettamente riuscito, anche se la resezione intestinale è stata limitata. Questo
perché durante l’intervento l’anestesista mantiene una determinata PO2 ed una determinata pressione. Se il paziente viene svegliato e portato in reparto si assiste a calo pressorio, il paziente è dolorante e respira male quindi anche la PO2 scende. Quindi si realizza una situazione più sfavorevole per l’ irrorazione dell’intestino. Perciò quello che era stato valutato come intestino vitale diventa intestino necrotico. Se il paziente viene portato in rianimazione e vengono mantenuti quei parametri (pressione arteriosa e PO2) che hanno permesso di fare la valutazione intraoperatoria di intestino vitale, con la creazione di circoli collaterali il paziente ha maggiori possibilità di sopravvivenza.
Urgenze vascolari
Generalità.Le urgenze vascolari sono un problema importante in emergenza perché il fattore tempo è l'elemento più importante nel condizionare le scelte terapeutiche e la prognosi → la possibilità di salvare un arto ischemico è nulla dopo poco più di 24h di latenza. Le condizioni che possono causare un'urgenza vascolare sono: embolia, trombosi, traumi, aneurismi e fistole arterovenose.
Fisiopatologia dell’ischemia acuta degli arti
Per ischemia acuta degli arti inferiori si intende la brusca o graduale soppressione della vascolarizzazione di un distretto dell’arto inferiore con conseguente diminuzione dell’ O2 ai tessuti. La zona di ischemia è direttamente proporzionale alla sede dell’ostruzione, cioè più alta è l’ostruzione più vasta è la zona ischemica (ad es. se l’ischemia è bilaterale vuol dire che l’ostruzione è aortica; se monolaterale l’ostruzione avrà sede dalle iliache in giù).
Quando si verifica un'ostruzione del tonco arterioso principale, il sangue riesce lo stesso a defluire a valle per l'instaurarsi di circoli collaterali se l'ostruzione avviene lentamente → questo succede per
1. Fattori emodinamici: costante ma modesto aumento di pressione a monte dell'ostruzione e caduta di pressione a valle → si facilita il passaggio di sangue da zone a monte ad alta pressione a zone a valle a bassa pressione. Inoltre l'aumento della pressione a monte causa l'allungamento e l'aumento del calibro del circolo collaterale → i vasi sono pulsanti e serpiginosi.
2. Fattori umorali: il rallentamento del flusso sanguigno a livello dell'ostruzione porta alla formazione di metoboliti acidi e liberazione di sostanze istamino simili che provocano vasodilatazione e aumento del calibro dei vasi circostanti che formano quindi i collegamenti anastomotici.
Una volta instaurata un'ostruzione arteriosa, l'efficacia del circolo collaterale è in rapporto a
• Sede di un'ostruzione: esistono infatti punti critici in ogni asse vascolare la cui ostruzione impedisce la formazione di un circolo collaterale efficace (ad esempio tripode femorale).
• Rapidità con cui si instaura un'ostruzione: più è rapida meno probabile è l'instaurarsi del circolo collaterale
• Estensione del segmento arterioso ostruito: più è esteso meno probabilmente si instaura il circolo collaterale
• Lasso di tempo intercorso tra ostruzione e trattamento
• Condizioni anatomiche preesistenti della parete arteriosa: se le arterie sono in buone condizioni le probabilità di compenso collaterale sono più alte.
Sindrome da rivascolarizzare tardiva degli arti
Quindi posso trovarmi di fronte ad alcuni casi:
- Se ho una franca gangrena → ricorro subito all’amputazione
- Se ho un’ischemia acuta sell’arto non in gangrena ed entro 12h (in realtà con le conoscenze di oggi il limite si può spostare a 20 h)→ faccio un bilancio laboratoristico, valutando creatininemia, Kaliemia, indici di citolisi (più il muscolo è in disfacimento, maggiore è l’increzione di CPK, LDH, transaminasi, GOT, aldolasi), il pH (per l’acidosi). Questo perché se la quota ematica di questi parametri è già alta prima della rivascolarizzazione, quando andrò a rivascolarizzare essa diventerà esponenziale, portando il pz a morte, per cui è necessaria da subito l’amputazione. La condizione è particolarmente delicata nei casi borderline, in cui i valori non sono alti ma sono valori limite; dopo qualche ora da un intervento di rivascolarizzazione avvenuto con successo si ha un aumento di questi valori, per cui ci si ritrova di fronte alla difficilissima scelta di amputare un arto su cui era avvenuto con successo l’intervento di rivascolarizzazione.
→ L’amputazione risulta necessaria perché altrimenti il K ematico aumentato potrebbe causare un arresto cardiaco mentre l’IR potrebbe costringere il pz ad una dialisi a vita; e non si può, per salvare un arto, arrecare più danni.
Le manifestazioni cliniche caratteristiche della fase ischemica sono:
1. dolore intenso all'inizio fino alla perdita della sensibilità
2. ischemia e pallore marmoreo dei tessuti
3. rigidità degli arti colpiti: è il segno più caratteristico e precoce
4. edema muscolare massivo
5. trombosi venosa con eventuale embolia polmonare
Altre manifestazioni sono la miopatia, la necrosi mioglobinurica (avviene 10-12 ore dopo l'occlusione arteriosa ed è determinata dalla precipitazione della mioglobina e dell'Hb nei tubuli renali con IRA e oligoanuria), le alterazioni metaboliche (difetto di concentrazione idrogenionica, iperazotemia, iperkaliemia).
Dopo la rivascolarizzazione (che sia embolectomia o altra terapia rivascolarizzante) ci sono tre possibilità:
1. ripresa completa: se l'acidosi e l'iperkaliemia sono modeste
2. ripresa parziale o ritardata: se il riaggiustamento elettrolitico postoperatorio è rallentato per le residue lesioni focali dei muscoli e del rene
3. morte, anche rapida, per IRA, microembolia polmonare, scompenso cardiaco o loro combinazione
• l'insufficienza respiratoria → si cura con eparina perché è determinata da microembolia; in associazione si può dare O2, CSS, antibiotici
• shock → 6 metil prednisone, determina protezione delle piastrine e dei leucociti e riduce l'edema delle cellule endoteliali, il rigonfiamento cellulare e la distruzione dei mitocondri
Terapia locale
Tende a prevenire la sindrome da rivascolarizzazione e si basa su tre presidi
1. misure intraoperatorie per evitare di mettere in circolo durante la rivascolarizzazione le sostanze prodotte nell'ischemia; le fasi sono
• felobotomia della vena femorale
• disostruzione dell'arteria
• introdurre un catetere per somministrare THAM, xilocaina, eparina, Ringer, 6 metilprednisone
• dopo 15 minuti si spreme l'arto in senso disto prossimale per far uscire dalla flebotomia il sangue venoso refluo dai tessuti ischemici fino a che il colore del sangue da nero torni normale. IN QUESTA FASE SI PUO' USARE CATETERE FOGARTY per ESEGUIRE LA TROMBECTOMIA VENOSA.
• Chisura della flebotomia
• continuare la perfusione per 2 ore sotto controllo emodinamico e di lab
2. Fasciotomia: poiché tra i primi effetti della rivascolarizzazione tardiva c'è l'edema muscolare ma essendo i muscoli dell'arto racchiusi in fasci aponeurotici → c'è un aumento di pressione inzialmente con blocco linfatico e venoso e dopo arterioso con aggravamento dell'ischemia. Da qui il razionale dell'incidere i fasci; poiché le complicanze come l'infezioni e le alterazioni dell'equilibrio oncotico sono gravi, la fasciotomia si fa SOLO SE LA PRESSIONE INTRAMUSCOLARE E' >60 CMH20.
3. Circolazione extracorporea regionale (descritta prima).
Embolia e trombosi
Sono le due cause principali di ischemia arteriosa non traumatica.
Definizioni
Embolia: ostruzione su arteria sana. Cause tipiche cardiache sono la stenosi mitralica, l'infarto del miocardio e la fibrillazione atriale; cause di embolia periferica sono ad esempio la possibile mobilizzazione di trombi formatisi all'interno di una sacca aneurismatica o aderenti a placche ateromasiche, distacco di una placca aterosclerotica. Per effetto della gravità il 90% degli emboli si localizzano nell'aorta terminale o nelle arterie degli arti con predilizione per le biforcazioni; altre sedi sono il distretto cerebrale (20%) e quello splancnico (8% - soprattutto arteria renale e mesenterica superiore) (anche se in totale tutto ciò fa ben il 118% dei casi non ci pensiamo, è l'esame di emergenze e il 118 ci sta sempre). L'arteria più interessata è la femorale (46%),seguita dall'iliaca (18%). La sintomatologia dell'embolia è più grave della trombosi.
Trombosi acuta: ostruzione su arteria patologica. L'incidenza è tra il 20-40% delle ischemia acute, e il danno parietale è secondario a processi degenerativi (arteriosclerosi, collagenopatie) o infiammatori (arteriti). Eventi scatenanti sono la stasi, le alterazioni cardiocircolatorie; più rare sono la poliglobulia, il LES, etc.
È necessario sapere se la causa sia embolia o trombosi per le ripercussioni immediate sull’approccio da avere, perché:
- Per l’embolia ho solo un trattamento (senza nessun altro esame diagnostico) → embolectomia con catetere di Fogarty (accesso femorale);
- Nella trombosi acuta ho assoluto bisogno prima di rivascolarizzare il pz anche di un quadro completo della morfologia vascolare, perché se ho una trombosi acuta a livello
dell’arteria femorale immagino che il pz abbia delle lesioni degenerative anche a monte (a. iliaca) e/o a valle (a. poplitea). Quadro ottenibile mediante angioTC o arteriografia.
Clinica
L’ischemia acuta rispetto all’ arteriopatia cronica ostruttiva (la quale tra i sintomi presenta parestesie, claudicatio, dolore a riposo, lesioni trofiche) presenta un quadro clinico molto più grave, pur essendo le lesioni delle due assolutamente sovrapponibili in quanto a sede ed estensione dell’ostruzione; quello che cambia tra le due è il tempo dato al circuito collaterale di compensare l’ostruzione (nell’ischemia acuta la compensazione non può avvenire).
Nell’ischemia la diagnosi viene fatta in base a:
1) Dolore all’arto: improvviso e lacerante, crampiforme, localizzato al polpaccio se l'ostruzione è a livello del distretto femoropopliteo o gluteo, e alla regione posteriore della coscia nelle ostruzioni aorto-iliache.
2) Impotenza funzionale dell’arto
3) Contrattura ischemica dei muscoli dell’arto
A questi si aggiungono: pallore dell’arto, assenza dei polsi periferici e fondamentali sono l’anestesia tattile, termica e dolorifica e l’impossibilità a compiere funzioni fini delle dita del piede (cioè se al pz viene chiesto di muovere le dita del piede questi non riesce a farlo, ma in questo caso muove in blocco l’arto).
In base all’esame obiettivo (soprattutto la valutazione della presenza dei polsi arteriosi periferici) si stabilisce la sede dell’ostruzione che può essere: femorale, poplitea, tibiale anteriore e tibiale posteriore. (Ricordare che l’ostruzione dell’a. femorale profonda non fa scomparire nessun polso. Se scompaiono entrambi i polsi femorali l’ostruzione è aortica). Solo in alcuni casi l'auscultazione fornisce elimenti utili come la presenza di un soffio indice di stenosi aortica o aneurisma.
La diagnosi di ischemia acuta degli arti si fa sulla semplice semeiologia fisica; ovviamente ci si può aiutare ricorrendo ad alcuni esami strumentali in particolare la velocimetria doppler, l’ecocolordoppler o l’angioTC, a seconda naturalmente anche della programmazione terapeutica.
La diagnosi differenziale fra embolia e trombosi viene fatta con l'arteriografia.
Sia per l’embolia sia per la trombosi acuta oltre che la chirurgia è indispensabile anche la terapia medica, basata su EBPM, antiaggreganti piastrinici e trombolitici.
Fisiopatologia
In seguito all’ostruzione si ha una diminuzione di O2 ai tessuti; la resistenza all’ipossia varia a seconda dei tessuti, con conseguenze più gravi per i muscoli e meno gravi per i tegumenti. L’arto inferiore è formato per la maggioranza da tessuto muscolare.
La diminuzione dell’O2 altera la membrana cellulare, rendendola non più impermeabile al suo contenuto liquido; il liquido quindi va negli spazi interstiziali il primo segno è quindi l’edema.
Inoltre il miocita è ricco di K e mioglobina, per cui se c’è un danno del miocita entrambi escono nell’interstizio e possono entrare nel circolo con conseguente aumento della Kaliemia e della mioglobinemia. La mioglobina riesce a passare nel glomerulo renale ma non riesce a passare
attraverso i tubuli renali per cui si ha una tubulopatia ostruttiva che esita in un’IRA segnalata da un aumento della creatininemia.
Sempre nella cellula (mitocondri) la diminuzione di O2 fa virare il metabolismo aerobico dei glucidi in metabolismo anaerobio → accumulo di acido lattico → acidosi.
Terapia
• Embolia: chirurgia → embolectomia con catetere di Fogarty. A livello degli arti inferiori, in relazione al livello di ostruzione si possono verificare varie eventualità:
• lesione unilaterale e polso femorale presente: l'accesso vascolare più corretto è la poplitea bassa perché permette la disostruzione sia dell'asse femoropopliteo che di quello tibiale e peroniero. (non ho capito di che arteria è l'ostruzione)
• Lesione unilaterale con assenza del polso femorale: l'ostruzione è dell'asse iliaco, quindi l'accesso è dalla femorale comune.
• Ostruzione bilaterale con scomparsa di entrambi i polsi femorali: l'ostruzione è aorto-iliaca e quindi l'accesso è alla femorali nel triangolo di Scarpa.
Dopo l'embolectomia si fa arteriografia per controllare che le arterie renali siano sane visto che potrebbero essere interessate direttamente dall'embolia o secondariamente alla trombosi estensiva postembolica nella sua progressione verso l'alto.
• Trombosi acuta: l'impiego del Fogarty è quasi impossibile perché le arterie sono tortuose e con calcificazioni parietali, inoltre la trombectomia con Fogarty espone a ritrombosi e estensione del danno parietale. Per questo l'intervento per la trombosi è molto più complesso e le tecniche sono: tromboendoarteriectomia, bypass, trombolisi distrettuale → l'arteriografia è INDISPENSABILE per precisare la sede dell'ostruzione e lo stato delle arterie e anche la possibilità di fare la rivascolarizzazione.