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MAGGIO•2012 Q U E S T I O N I A P E R T E P R O D U Z I O N E, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI I N I T A L I A

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M A G G I O • 2 0 1 2

Q U E S T I O N I A P E R T E

P R O D U Z I O N E, R I C E R C AE I N N O VA Z I O N E N E L S E T T O R E

D E I D I S P O S I T I V I M E D I C II N I T A L I A

A cura del Centro Studi di Assobiomedica.

Il lavoro ha preso spunto dai risultati di un’indagine sugli investimenti in produzione,

ricerca e innovazione nel settore dei dispositivi medici in Italia, condotta sempre

dal Centro Studi nel 20111 e nell’ambito della quale sono stati intervistati impren-

ditori, manager e professionisti delle seguenti aziende e organizzazioni: A.Menarini

Diagnostics, Abbott Vascular, Artsana, Associazione Torri dell’Acqua, B.Braun Avi-

tum, Baxter, Bellco, Bioindustry Park Silvano Fumero, BioMerieux, Bracco Imaging,

Carestream, CNR2, Consobiomed, Consorzio ASTER, CTF, Dasit Group, Democenter-

Sipe, DiaSorin, EB Neuro, Edwards Lifesciences, ElEn, EndoCAS, Esaote, ET Medical

Devices, Fin-Ceramica, Fresenius Kabi, Gambro, Gilardoni, Igea, Istituto Italiano di

Tecnologia (IIT), Fondazione Toscana Gabriele Monasterio, Johnson & Johnson Me-

dical, Medtronic, Mortara Rangoni Europe, Nanogen Advanced Diagnostics, Ner-

viano Medical Sciences Centre, Roche Diagnostics, Samo, Sorin Group, Tecres, Uni-

versità degli Studi di Padova3, Villa Sistemi Medicali.

La presente pubblicazione è stata curata e coordinata da Paolo Gazzaniga con i

contributi di: Davide Perego (Assobiomedica) per la stesura del capitolo 4, Giusep-

pe Turchetti e Leopoldo Trieste (Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa) per la stesura

dei capitoli 5 e 6.

Fatti salvi dunque i doverosi ringraziamenti a tutti i soggetti citati, la responsabilità

dei contenuti di questo lavoro è interamente di Assobiomedica.

Assobiomedica, (2012), Produzione, Ricerca e Innovazione nel Settore dei Dispositivi Medici in Italia.Rapporto.

1

Ufficio Promozione e Sviluppo Collaborazioni della Direzione Generale.2

Area Ricerca e Trasferimento di Tecnologia, Direzione Servizio Trasferimento di Tecnologia e Servizio Ricerca Finanziamenti Strutturali

3

8 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 9QUESTIONI APERTE

SOMMARIO

SINTESI DEL RAPPORTO

PREMESSA

INTRODUZIONE

1. RETI NAZIONALI DI ECCELLENZE SPECIALISTICHE

2. PARCHI SCIENTIFICI E TECNOLOGICI (PST)

3. TRASFERIMENTO TECNOLOGICO

4. INDAGINI CLINICHE

5. FINANZIAMENTI PUBBLICI

5.1 Finanziamenti europei per progetti di ricerca

5.2 Finanziamenti nazionali e regionali

6. STRUMENTI PER FAVORIRE GLI INVESTIMENTI E LA COMPETITIVITÀ DELLE IMPRESE

6.1 Misure di natura fiscale a livello nazionale

6.2 Politiche a livello regionale

7. IL RUOLO DELLA DOMANDA PUBBLICA NEL MERCATO DOMESTICO DEI DISPOSITIVI MEDICI

CONSIDERAZIONI FINALI

BIBLIOGRAFIA

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11QUESTIONI APERTE10 PRODUZIONE, RICERCAE INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN EMILIA-ROMAGNA

ALLEGATI

ALLEGATO 1PARAMETRI PRESI IN CONSIDERAZIONE AI FINI DEL COSIDDETTO“INNOVATION INDEX” ASSEGNATO DALL’UNIONE EUROPEAA CIASCUN PAESE

ALLEGATO 2ATTI NORMATIVI CHE INTERVENGONO DIRETTAMENTE SUL TEMADELLE INDAGINI CLINICHE CON DISPOSITIVI MEDICI

ALLEGATO 3PRINCIPALI FINANZIAMENTI PUBBLICI DISPOSTI NEGLI ULTIMI ANNIA LIVELLO NAZIONALE

ALLEGATO 4PRINCIPALI NORME E DOCUMENTI REGIONALI IN MATERIA DI RICERCA, INNOVAZIONE, TRASFERIMENTO TECNOLOGICOE COMPETITIVITÀ DELLE IMPRESE

ALLEGATO 5GLOSSARIO

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85

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AUTORI

Capitoli 1-3 Paolo Gazzaniga*

Capitolo 4 Davide Perego*

Capitoli 5 Giuseppe Turchetti**, Leopoldo Trieste**

Capitoli 6 Paolo Gazzaniga, Giuseppe Turchetti, Leopoldo Trieste

Capitolo 7 Paolo Gazzaniga

* Centro Studi Assobiomedica** Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa

12 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 13QUESTIONI APERTE

SINTESI DEL RAPPORTO

I principali problemi che il nostro Paese deve affrontare sono l’ingente debito pub-blico e l’andamento negativo dell’economia. Essi sono legati in modo molto stretto l’uno all’altro: per riuscire dall’attuale crisi della finanza pubblica è indispensabile poter contare su una crescita economica stabile. Tornare a crescere è dunque un imperativo per il Paese, tanto quanto le riforme strutturali che vanno avviate in parallelo.

L’Italia investe troppo poco in R&S e in misura importante ciò è dovuto al venire meno del cosiddetto “effetto traino” della spesa pubblica nei confronti degli in-vestimenti privati. In altre parole, gli investimenti pubblici in R&S in Italia non produ-cono un volano sufficiente a generare investimenti delle imprese, se non in misura modesta. Le ragioni di questo, in generale, sono di varia natura.

Ciò detto, siamo ancora un Paese con grandi potenzialità; potenzialità che ora più che mai dobbiamo valorizzare in modo che attraggano investimenti in R&S e generino innovazione. Affinché questo possa realizzarsi, occorre intervenire sui punti deboli e compiere scelte strategiche chiare, individuando priorità che siano in linea con i bisogni e le competenze del Paese, nel solco degli indirizzi strategici 2011-2020 indicati dalla Commissione europea nel quadro di “Europa 2020”.

CRESCERE PUNTANDO SULL’INNOVAZIONE E LE TECNOLOGIE SANITARIE

La Sanità e il settore dei dispositivi medici offrono importanti opportunità di sviluppo per il Paese ed è in questa chiave, dunque, che vanno pensati i nuovi interventi da mettere in campo per questo settore, ivi compresi quelli tesi ad assicurare la necessaria sostenibilità del sistema: un obiettivo, quest’ultimo, da perseguire non rinunciando alla qualità (delle tecnologie sanitarie e delle prestazioni erogabili), bensì puntando proprio su di essa come volano di sviluppo.

Al riguardo, in questo momento nel Paese ci sono diverse iniziative in moto a li-vello locale e regionale che, una volta esaminate, dimostrano come, da un lato, le opportunità offerte dal settore siano state intraviste, ma, dall’altro, manchi una strategia di coordinamento e un sistema finalizzato a cogliere le possibili sinergie tra queste iniziative.

Questo documento si propone di richiamare l’attenzione su una serie di possibili interventi strutturali, in massima parte a costo netto pari a zero, quali spunti finaliz-zati a una politica per lo sviluppo centrata sul settore sanitario e, in particolare, dei dispositivi medici. Tutto questo con il presupposto che nel Paese sia prioritario: 1) elevare il livello di collaborazione tra i soggetti interessati nel fare investimenti, nel promuovere tali investimenti, nel potenziare e offrire capacità di fare ricerca ecc.; 2) non disperdere le risorse a disposizione, ma fare il più possibile massa critica.

LA GOVERNANCE DELLA RICERCA SANITARIA

Il nostro sistema sanitario, pur con tutte le disuguaglianze interregionali e infra-re-gionali, può contare su competenze e tecnologie che lo pongono certamente tra

14 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 15QUESTIONI APERTE

nazionale.

L’Italia ha tutto quello che occorre per creare numerose reti di eccellenza. Una so-luzione pragmatica consisterebbe nell’allargare il respiro delle reti che già esistono, coinvolgendovi tutti i poli di eccellenza che possono renderle più competitive. Al contempo è necessario creare nuove reti di questa concezione, così da giungere ad avere una rete nazionale per ognuna delle branche medico-specialistiche e tecnologiche nelle quali l’Italia ha oggettivi punti di forza da valorizzare.

IL TRASFERIMENTO TECNOLOGICO

L’idea di “parco scientifico e tecnologico” (PST) nasce come luogo d’elezione dove industria e laboratori di ricerca (collegati all’università) possano interagire già in fase di programmazione delle rispettive attività e poi collaborare in fase di R&S e trasferimento tecnologico. Questo è un aspetto di fondamentale importanza, che invece tende a essere tuttora sottovalutato in Italia. La R&S e il trasferimento tec-nologico non passano attraverso semplici “interruttori” da accendere episodica-mente e tenere spenti per il resto del tempo. I risultati della R&S e del trasferimento tecnologico sono tanto più proficui quanto più si tratta di finalizzare un rapporto di “frequentazione” tra impresa e ricerca che è sistematico, continuativo, caratteriz-zato da una fertilizzazione reciproca.

È noto che sotto il profilo della frequentazione stabile tra il mondo dell’impresa e quello della ricerca all’interno dei PST la situazione è tuttora meno brillante di quan-to servirebbe, complice probabilmente il fatto che diversi PST, quando sono nati, non avevano alle spalle una progettualità forte. Per questa ragione, si ritiene che il ripensamento dei PST esistenti potrebbe essere un esercizio decisamente utile – ad esempio per favorirne l’aggregazione, in taluni casi, e rafforzarne le specializzazio-ni, in altri – che andrebbe fatto nell’ambito e in sinergia con il ragionamento sulle reti di eccellenze. Peraltro, visto che idealmente il PST svolge un ampio ventaglio di attività, una parte delle quali lo avvicina concettualmente ai distretti tecnologici, il medesimo ripensamento dovrebbe coinvolgere altresì queste realtà.

Riguardo, poi, agli uffici di trasferimento tecnologico (UTT) interni alle università, possiamo affermare che essi nel nostro Paese hanno finora svolto una funzione più culturale che pratica. In linea generale, infatti, hanno sì promosso e sviluppato in-terazioni con il sistema produttivo, ma sul piano del trasferimento tecnologico vero e proprio, i risultati prodotti appaiono modesti. Le ragioni di questo sono diverse. Dopo averle analizzate, appare sensata l’idea di creare un UTT nazionale dedicato al settore delle tecnologie sanitarie e collegato in rete a una serie di UTT regionali, altrettanto dedicati a questo settore e a loro volta in contatto con gli atenei e i centri di ricerca non universitari.

I SERVIZI PER LE INDAGINI CLINICHE

Investimenti in R&S, indagini cliniche, registri, studi post-marketing sono tutti momen-ti di un unico processo finalizzato all’innovazione per un’assistenza sanitaria sempre più appropriata. Tale processo va favorito nel suo insieme e sostenuto creandogli intorno le condizioni di cui necessita.

quelli più avanzati al mondo. In particolare, il fatto che la classe medica italiana sia di ottimo livello e all’avanguardia nell’utilizzo di numerose tecnologie sanitarie in-novative, rappresenta sicuramente un importante punto di forza del nostro sistema che occorre valorizzare al massimo, su due piani: 1) quello delle capacità proget-tuali per cogliere le opportunità presenti nel quadro dei finanziamenti europei per l’innovazione; 2) quello delle capacità di offerta di servizi alle imprese in tema di R&S, trasferimento tecnologico, indagini cliniche.

Attrarre investimenti per la ricerca e l’innovazione è un obiettivo che molti paesi si pongono. Di più, è un obiettivo rispetto al quale la competizione tra i paesi interes-sati alle ricadute dirette e indirette di tali investimenti è già oggi molto forte e andrà crescendo ancora in futuro. A questo proposito si ritiene che il principale ostacolo da superare nel nostro Paese sia la frammentazione delle politiche, delle iniziative, e degli investimenti. Essa, con i suoi risvolti pratici sul piano delle risorse a disposizio-ne, limita fortemente sia le possibilità di valorizzare il sistema nel suo complesso, sia l’efficacia e l’efficienza delle iniziative che vengono portate avanti.

In tema di governance della ricerca e dell’innovazione, le proposte domestiche e gli esempi dall’estero su cui ragionare, anche criticamente, non mancano. L’obiet-tivo, però, deve essere quello di trovare rapidamente una soluzione in grado di:

• favorire sinergie e collaborazioni attraverso una regia e un coordinamento, al-meno per quanto riguarda le iniziative più impegnative;

• promuovere soluzioni in grado di attrarre con maggiore efficacia gli investimenti europei;

• facilitare l’interlocuzione tra mondo della ricerca e imprese;• semplificare l’accesso ai finanziamenti disponibili.

LE RETI DI ECCELLENZE SPECIALISTICHE

Probabilmente, nel prossimo futuro andranno consolidandosi “macro-architetture” ad alta tecnologia che risulteranno sempre più attrattive per gli investimenti e, di conseguenza, diminuiranno le opportunità alla portata di singole strutture, o di sin-gole regioni al di fuori di tali architetture. Sul piano strategico, la risposta a un tale scenario consisterebbe nel passare dall’odierna logica “micro-competitiva” (tra singole strutture e/o singole regioni) a una logica “collaborativa-di-sistema” basata sulle eccellenze. Sul piano pratico, si tratterebbe di realizzare apposite “reti” cia-scuna delle quali ospitasse al suo interno il centro nazionale di riferimento per una determinata competenza per la propria specialità e riunisse tutti i migliori poli con competenze in quella specialità. I vantaggi, rispetto a oggi, che queste reti offrireb-bero sarebbero diversi.

a) Consentirebbero di non disperdere le risorse a disposizione a livello regionale e nazionale, e di migliorare il livello qualitativo della ricerca sanitaria italiana; inol-tre, favorirebbero il consolidamento infrastrutturale dei laboratori, a cominciare da quelli che oggi sono deficitari di risorse.

b) Darebbero ai centri italiani più forza per intercettare le opportunità offerte dalla programmazione europea e dai finanziamenti privati.

c) Darebbero a tutte le imprese certezze riguardo a dove poter trovare determi-nate competenze a cui esse fossero interessate, offrendosi a loro non solo come partner ideali per l’attività di R&S, ma altresì come piattaforme tecnologiche (multicentriche e interregionali) ideali per validare le innovazioni su scala inter-

16 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 17QUESTIONI APERTE

territori e ai rispettivi sistemi produttivi (distretti tecnologici), appare decisivo al fine di massimizzarne le ricadute economiche.

Nel complesso, la frammentazione degli interventi disposti all’interno di una stessa Regione oggi è talmente alta che, per un’impresa, risulta difficile orientarsi, anche tenuto conto del fatto che in passato non tutte le misure inizialmente disposte sono state poi effettivamente finanziate.

Come già detto, per riuscire nel prossimo futuro a cogliere maggiormente le im-portanti opportunità offerte dai bandi comunitari, tanto i finanziamenti nazionali quanto quelli delle singole regioni è necessario che vengano in massima parte fi-nalizzati a rafforzare le eccellenze e le specializzazioni forti del nostro Paese. Infatti, l’efficacia dei futuri finanziamenti nazionali e regionali dipenderà da quanto questi risulteranno sinergici rispetto a quelli europei: alla strategia “Europa 2020” è quindi bene che il nostro Paese risponda con un’analoga strategia “Italia 2020”, in cui l’in-novazione legata alle tecnologie sanitarie sia uno degli assi portanti.

GLI INCENTIVI FISCALI AGLI INVESTIMENTI IN R&S DELLE IMPRESE

Al fine di riorientare il nostro modello di sviluppo economico verso determinati setto-ri ad alta intensità di ricerca e strategici per il Paese, quale ad esempio il settore dei dispositivi medici, servono segnali forti e stabili perché segnali deboli e intermittenti hanno già dimostrato di non essere efficaci. A questo proposito, il meccanismo del credito di imposta è uno strumento di grande rilevanza che, in Italia, deve però essere migliorato, sotto il profilo sia della stabilità che della portata.

In relazione all’aspetto della stabilità, si sottolinea come fino a oggi il credito di imposta sia stato oggetto di continue ridefinizioni; infatti, i provvedimenti che nel tempo lo hanno introdotto e regolamentato si sono caratterizzati per la loro breve durata e ciò li ha resi fatti isolati in balia di una perenne incertezza. Invece, i pro-grammi di investimento delle imprese, e in particolare quelli in R&S, non sono decisi con logiche di breve periodo: il credito di imposta nel nostro Paese andrebbe dun-que reso strutturale, stabilizzato per un periodo di almeno dieci anni.

In relazione all’aspetto della portata, è fin troppo facile affermare che occorre destinare al credito di imposta un’adeguata dotazione finanziaria. Il punto è come riuscire a conciliare l’esigenza di offrire agevolazioni sufficientemente attraenti con la limitatezza delle disponibilità finanziarie pubbliche. A questo proposito, si ritiene che una possibile soluzione consista nell’adottare un approccio doppiamente se-lettivo, che punti su pochissimi settori, quelli ritenuti realmente strategici, nonché soprattutto sulle imprese realmente innovative. Sul piano pratico, una volta definiti quali siano i settori strategici e fatto salvo l’automatismo iniziale del credito (nessuna valutazione ex-ante sull’impresa interessata), andrebbero introdotti meccanismi di valutazione (periodica) ex-post che non fossero meramente fiscali e contabili, ma fossero in grado di cogliere e premiare la produttività degli investimenti effettuati. L’impresa che dimostrasse di sapere bene investire in R&S si vedrebbe riconosce-re lo status di “impresa innovativa”, in base al quale, il credito di imposta da essa inizialmente goduto potrebbe essere aumentato per gli anni a venire. Si consideri che lo status di “impresa innovativa” è presente in Francia, Belgio e probabilmente verrà presto introdotto in Spagna e Gran Bretagna; in Francia, in particolare, questo meccanismo esiste dal 2004 e sembra aver funzionato bene.

In Italia gli investimenti delle imprese in studi clinici, siano essi pre-marketing o post-marketing, appaiono modesti rispetto alle potenzialità del nostro sistema sanitario nazionale (SSN), che è all’avanguardia nell’utilizzo di innumerevoli tecnologie sa-nitarie. Le motivazioni sono legate, prima ancora che ai costi (maggiori sopratutto rispetto ai paesi emergenti), a una certa disorganizzazione del sistema nel suo com-plesso, e in particolare alla burocrazia (che produce tempi lunghi e incerti). Questo si è tradotto in minori risorse a disposizione del SSN. L’elemento positivo in tutto ciò consiste nel fatto che l’Italia ha ancora la possibilità di essere competitiva su questo fronte.

Allo scopo di valorizzare le potenzialità del nostro SSN e attrarre maggiori investi-menti, sia di imprese produttrici che di multinazionali estere commerciali, in studi clinici è necessario, prima di ogni altra cosa, rendere uniformi tempistiche, modalità di presentazione dei protocolli clinici (i documenti da produrre e il formato standard degli stessi, le istruzioni per la formulazione del consenso del paziente ecc.) e tariffe di rimborso spese applicate dai Comitati etici locali.

I FINANZIAMENTI PUBBLICI

Sul fronte europeo, i bandi comunitari offrono importanti opportunità, che l’Italia oggi riesce a cogliere in misura molto inferiore rispetto ad altri paesi e al di sotto delle proprie potenzialità.Tra tutti i progetti di ricerca che, a partire dal 1990, sono stati finanziati direttamen-te dall’Unione europea e che riguardano il settore Health and Medicine, l’Italia è al 4° posto (e molto distanziata da Regno Unito, Germania e Francia) nel ranking europeo per numero di progetti in cui è presente e al 5° per numero di progetti che coordina (cedendo il 4° posto all’Olanda).

A questo riguardo, si ritiene che la realizzazione di apposite reti nazionali di eccel-lenze specialistiche sia la via per rafforzare le nostre realtà di punta e potenziarne le capacità di proporsi con il ruolo di coordinatrici di progetti europei.Sul fronte interno, l’esame dei programmi, delle norme e delle iniziative in questione ha messo in luce in generale:

• un’altissima dispersione, a livello nazionale, dei finanziamenti, i quali peraltro ri-sultano normalmente caratterizzati da un respiro di breve periodo;

• un’ampia sovrapposizione, a livello regionale, delle voci, degli strumenti e so-prattutto delle aree strategiche di intervento.

Riguardo al primo punto, si ritiene che i fondi nazionali a disposizione vadano ac-corpati in modo da renderne meno frammentata la finalizzazione. Inoltre, appare necessaria una politica di lungo respiro che dia certezza sulle linee di indirizzo e sulle risorse che si renderanno disponibili. Al fine di potenziarne l’effetto traino nei confronti degli investimenti privati, i finanziamenti pubblici è bene che vengano programmati con un respiro di lungo periodo e resi noti alle imprese con un con-gruo anticipo.

Riguardo al secondo punto, si auspica il diffondersi di un approccio sistemico e interregionale che miri a cogliere sinergie e a evitare competizioni domestiche irra-gionevoli. Infatti, un coordinamento, almeno a livello interregionale, delle politiche regionali di finanziamento a sostegno della ricerca e dell’innovazione, legate ai

18 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 19QUESTIONI APERTE

Sulla base di queste considerazioni, si ritiene fondamentale che le innovazioni pro-venienti dal settore dei dispositivi medici possano trovare nel mercato italiano logi-che premianti in termini di: 1) politiche di acquisto e criteri di aggiudicazione delle forniture; 2) meccanismi di finanziamento e di rimborso delle prestazioni sanitarie. Riguardo al primo punto, da diversi anni, in Italia la politica pubblica di acquisto dei dispositivi medici sembra, invece, non preoccuparsi del suo possibile impatto a medio-lungo termine sul “genoma” dell’offerta. Questo almeno traspare dalle sempre più numerose gare caratterizzate da punteggi prezzo-qualità sbilanciati sul prezzo e dalle gare centralizzate. Queste ultime, in particolare, nella misura in cui tentano di imporre la logica del “one device for all” appaiono in totale controten-denza rispetto agli indirizzi della ricerca nel campo delle tecnologie sanitarie, che invece va verso una crescente personalizzazione dei dispositivi medici.

Riguardo al secondo punto, si osserva come la pervasività delle tecnologie oggi sembri spaventare chi governa sul piano amministrativo il sistema. Il pensiero corre al concetto di health technology assessment (HTA), una funzione che, nonostante fosse stata considerata una priorità sia nel Piano sanitario nazionale (PSN) 2006-2008 che nella quasi totalità dei piani sanitari regionali, finora è stata implementata più sul piano mediatico che sostanziale. L’HTA può essere di grande utilità nell’orientare al meglio le decisioni di politica sanitaria e per assicurare un servizio di sempre mag-giore equità ed efficienza. Questo a condizione che resti ancorato a una visione e a un approccio prettamente clinici e non amministrativi.

In chiusura del ragionamento sul mercato e sul ruolo della domanda pubblica, non è possibile non citare un ulteriore aspetto che, seppure su un piano differente rispet-to ai temi toccati precedentemente, è comunque caratterizzante per un mercato: i tempi medi di pagamento. In Italia i tempi medi di pagamento che caratterizzano il mercato dei dispositivi medici sono da sempre lunghissimi e nel corso del 2011 sono altresì peggiorati rispetto all’anno prima. Si tratta di un problema noto, e uno dei motivi per cui in Italia le norme contro i ritardati pagamenti, che pure esistono, non risultano incisive è riconducibile ai tempi della giustizia civile, che nel nostro Pa-ese sono altrettanto lunghi. I risultati di tutto questo sono che oggi quasi un’impresa su due risulta avere problemi di liquidità e che a tutte vengono a mancare impor-tanti risorse che esse potrebbero investire in R&S. A questo riguardo, dunque, occorre con urgenza:

• ritirare la norma che stabilisce il blocco dei pignoramenti da intraprendere o da proseguire nei confronti delle aziende sanitarie delle regioni che hanno sotto-scritto “Piani di rientro dai disavanzi sanitari”;

• definire un puntuale programma di ripiano del debito accumulato, che si basi sull’intera gamma dei possibili interventi e strumenti;

• adottare tutti i necessari correttivi delle attuali procedure per ottenere un de-creto ingiuntivo così da ridurre significativamente la tempistica di tali procedure;

• garantire alle imprese una regolare certificazione dei propri crediti, nonchè la possibilità di optare per la compensazione con debiti erariali e iscritti a ruolo.

A completare il quadro, la rosa delle attività e dei costi ammissibili dovrebbe essere definita in modo stringente (così da essere certi di incentivare investimenti in R&S), la rendicontazione dovrebbe essere il più possibile semplificata, e il credito dovreb-be riguardare l’intera spesa sostenuta, e non unicamente il suo relativo eventuale incremento rispetto all’anno precedente (come invece è previsto che sia attual-mente), per non penalizzare le imprese che già investono molto, facendo venir loro a mancare il sostegno offerto alle altre.

Tutti questi interventi, insieme, garantirebbero che gli incentivi alla R&S andassero effettivamente non solo a investimenti di questo tipo, ma altresì alle imprese che dimostrassero di saperli fare in modo produttivo.

LE RETI DI IMPRESE

Il Contratto di Rete è un modello economico-industriale innovativo sul quale diverse regioni stanno puntando, intravedendo in questa formula un fattore di competitivi-tà in grado di rafforzare il tessuto produttivo e l’economia. Per lo sviluppo di molte imprese del settore, che hanno il know-how per produrre innovazione, ma dimen-sioni spesso troppo piccole per farlo, si tratta probabilmente di una strada quasi obbligata che merita quindi grande considerazione.

A dicembre 2011, risultavano costituite 214 reti di imprese: di queste reti, 9 coinvol-gono imprese del settore dei dispositivi medici. Pur trattandosi di una rosa estre-mamente circoscritta di casi, il fatto che le reti finalizzate all’innovazione risultino essere quelle composte mediamente dal numero maggiore di imprese, oltre a es-sere un segnale decisamente positivo per il settore, può rappresentare un modello per questo tipo di reti – che, in altre parole, sembrano aver trovato nell’ampiezza dell’aggregazione un possibile fattore di successo – anche in considerazione del fatto che i produttori di dispositivi medici (e i loro contoterzisti) sono concentrati in numero ridotto di province.

IL MERCATO DOMESTICO E IL RUOLO DELLA DOMANDA PUBBLICA

Nei mercati la domanda incide profondamente sulle politiche di investimento delle imprese. Alla cosiddetta “industria o filiera italiana della salute” va attribuita una quota importante del PIL italiano e, in tale ambito, la domanda pubblica ha un ruo-lo predominante. Per i dispositivi medici, in particolare, il mercato italiano è uno dei più importanti nel mondo – è il 3° mercato europeo, il 6° a livello mondiale (dopo Stati Uniti, Giappone, Cina, Germania, Francia) – e la domanda pubblica ne rap-presenta direttamente circa il 73%. Non a caso, l’innovazione è storicamente entra-ta e si è diffusa nel nostro sistema sanitario passando prima e soprattutto attraverso le strutture sanitarie pubbliche. Qui la domanda pubblica ha dunque una valenza enorme e, se bene esercitata, può risultare determinante nello stimolare e attrarre gli investimenti in R&S. Infatti, il sapere di poter contare su un contesto istituzionale e tecnico favorevole all’introduzione sul mercato dell’innovazione stimola la pro-pensione dell’industria a investire, sin dalle fasi più precoci, in prodotti innovativi. Ovviamente è vero anche l’inverso: un Paese che facesse suo un atteggiamento anche solo di timidezza nei confronti dell’innovazione tecnologica finirebbe per allontanare gli investimenti delle imprese.

20 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 21QUESTIONI APERTE

RIEPILOGO DEI PRINCIPALI SPUNTI PROPOSITIVI

1. Rafforzare le competenze specialistiche, promuovendo la realizzazio-ne di apposite reti di eccellenze nazionali, una per ciascuna branca medico-specialistica e tecnologica in cui l’Italia ha punti di forza da valorizzare.

2. Creare a livello nazionale una struttura di trasferimento tecnologico specializzato in campo sanitario, quale mercato di sbocco delle possi-bili innovazioni.

3. Rendere uniformi tempistiche, modolità di presentazione dei protocolli clinici e tariffe di rimborso spese applicate dai comitati etici locali.

4. Promuovere l’implementazione di una soluzione per il coordinamen-to delle politiche regionali di finanziamento a sostegno della ricerca e dell’innovazione in campo sanitario, in modo da non disperdere le risor-se a disposizione e da fare il più possibile massa critica.

5. Definire una strategia “Italia 2020” finalizzata a cogliere al massimo pos-sibile le opportunità offerte dai bandi comunitari nell’ambito di “Europa 2020”.

6. Introdurre lo status di “impresa innovativa” nell’ambito dei settori indu-striali ritenuti strategici per il Paese, tra i quali quello dei dispositivi medici. Introdurre un credito di imposta stabile per i prossimi dieci anni e desti-nato specificatamente alle imprese in questione.

7. Promuovere una domanda pubblica di tecnologie sanitarie che risulti di stimolo all’innovazione.

8. Normalizzare i tempi di pagamento della P.A. attraverso il ritiro della nor-ma che stabilisce il blocco dei pignoramenti nei confronti delle aziende sanitarie. Garantire la regolare certificazione dei crediti commerciali, consentendo di optare per la compensazione con debiti erariali iscritti a ruolo.

22 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 23QUESTIONI APERTE

PREMESSA

I principali problemi che il nostro Paese deve affrontare sono l’ingente debito pub-blico (il debito privato, pur essendo in aumento, è ancora contenuto rispetto agli altri paesi) e l’andamento negativo dell’economia. Se in passato si è ritenuto che l’Italia avrebbe potuto tirare avanti in tali condizioni ancora a lungo, senza avviare riforme strutturali e misure per la crescita, ma contando sul basso livello dei tassi e sul supporto dei partner europei, quanto accaduto nel secondo semestre del 2011 non può aver lasciato il benché minimo dubbio: riforme strutturali e interventi per la crescita sono, in ugual misura, urgenti. I problemi in questione (alto debito e andamento negativo dell’economia), infatti, sono legati in modo molto stretto l’uno all’altro: abbattere in un tempo relativamente breve il debito accumulato è impossibile; per riuscirci invece gradualmente è indispensabile poter contare su una crescita economica stabile. Tornare a crescere è dunque un imperativo per il Paese, tanto quanto le riforme strutturali che vanno avviate in parallelo.

Per crescere, l’Italia, deve investire laddove ha la possibilità di competere a livello mondiale, ovvero sull’innovazione nei settori in cui è all’avanguardia e precisamen-te in alcuni ambiti dell’alta tecnologia, cosa che oggi fa troppo poco e, soprattut-to, in modo meno efficace di quanto potrebbe.

GRAFICO 1. INVESTIMENTI IN R&S (QUOTE % DEL PIL).

Fonte: elaborazioni Centro Studi Assobiomedica su dati MIUR, PNR 2011-2013

Il Grafico 1 mostra una spesa pubblica in R&S nel nostro Paese vicina alla media europea dei 27 paesi membri (media peraltro non elevata), e invece una spesa privata molto al di sotto del corrispondente dato medio europeo (anch’esso non elevato). Una più attenta analisi dovrebbe: 1) tenere conto solo degli investimenti effettivamente tradottisi in spesa, il che, verosimilmente, abbasserebbe soprattutto il dato riferito agli investimenti pubblici in Italia, distanziandolo quindi dalla media europea; 2) disaggregare i dati riferiti agli investimenti delle imprese a seconda del-le dimensioni delle stesse, il che, verosimilmente, mostrerebbe: investimenti allineati tra Italia e Ue, con riferimento alle grandi e medie imprese; invece, investimenti molto più bassi in Italia rispetto alla media europea, con riferimento alle piccole

24 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 25QUESTIONI APERTE

Analisi a cura dell’Unione europea della capacità di innovazione degli Stati membri che prende in conside-razione 25 parametri di innovazione (fino al 2009 erano 29) e assegna a ciascun Paese un indice complessi-vo di innovazione: il cosiddetto “Summary Innovation Index” (SII). I paesi vengono quindi suddivisi in quattro gruppi omogenei: paesi “Innovation leader”; paesi “Innovation followers”; paesi “Moderate innovators”; paesi “Catching-up countries”. In allegato 1 sono riportati i parametri in questione, con la relativa traduzione italiana.

4

GRAFICO 2. EUROPEAN INNOVATION SCOREBOARD 2011.

Fonte: European Commission, 2011

Che cosa fare? Occorre riorientare rapidamente il nostro modello di specializzazio-ne, puntando su ricerca e innovazione quali elementi di competizione (MISE, 2007): passare da tecnologie medio-basse (sulle quali il Paese sarà sempre meno in grado di competere con i paesi cosiddetti “new comers”) ad alte tecnologie, con riferi-mento alle quali la ricerca e l’innovazione costituiscono i fattori chiave competitivi. L’esigenza di dare un nuovo modello competitivo al Paese è da tempo fortemente condivisa tra le parti sociali, ancor prima che nel 2003 a Lisbona i paesi europei (e dunque anche l’Italia) convenissero che era opportuno elevare la media de-gli investimenti in R&S fino al 3% del PIL entro il 2010: allora la media europea era dell’1,9% e il dato italiano era pari all’1,1%; alla fine del 2011, la media europea si è attestata al 2,5%, mentre il dato italiano (che negli anni precedenti era addirittura sceso sotto l’1%) è rimasto a quota 1,1%.

Ciò detto, siamo ancora un Paese con grandi potenzialità; potenzialità che, ora più che mai, dobbiamo valorizzare in modo che attraggano investimenti in R&S e generino innovazione. Affinché questo possa realizzarsi, occorre intervenire su tutti i punti deboli sopra richiamati. Questo andrà fatto nel solco degli indirizzi strategici 2011-2020 indicati dalla Commissione europea nel quadro di “Europa 2020” (Euro-pean Commission, 2010). A questo proposito, anche l’Italia deve fare scelte strate-giche chiare, individuando priorità che siano in linea con i bisogni e le competenze del Paese. Non fare questo equivarrebbe a “scegliere” di andare incontro a tutto ciò che, invece, dobbiamo evitare.

La Sanità e il settore dei dispositivi medici e dispositivi medico-diagnostici in vitro (di seguito semplicemente dispositivi medici) offrono importanti opportunità di svi-luppo per il Paese ed è in questa chiave, dunque, che vanno pensati i nuovi inter-venti da mettere in campo per questo settore, ivi compresi quelli tesi ad assicurare la necessaria sostenibilità del sistema: un obiettivo da perseguire non rinunciando alla qualità (delle tecnologie sanitarie e delle prestazioni erogabili), bensì puntando proprio su di essa come volano di sviluppo.

I vari Servizi sanitari regionali testimoniano un livello di sviluppo generale delle re-gioni italiane storicamente molto differenziato. Essendo quella sanitaria la prima voce di spesa nei bilanci delle regioni, la sua inevitabile tendenza ad aumentare deve fare i conti con la pressante esigenza di assicurare la sostenibilità dei bilanci in questione. Su questo fronte, la situazione è, come noto, estremamente comples-sa: da un lato, si osservano i buoni risultati di talune regioni; dall’altro, nel Paese si

imprese. In sintesi, l’Italia investe troppo poco in R&S e in misura importante ciò è dovuto al venire meno del cosiddetto “effetto traino” della spesa pubblica nei con-fronti degli investimenti privati. In altre parole, gli investimenti pubblici in R&S in Italia non producono un volano sufficiente a generare investimenti delle imprese, se non in misura modesta. Le ragioni di questo, in generale, sono di varia natura.

a) La prevalente specializzazione del nostro modello competitivo in settori a bassa e media tecnologia, nei quali è meno forte la spinta all’innovazione e quindi agli investimenti in R&S.

b) Il ruolo evidentemente poco efficace svolto dall’amministrazione pubblica (P.A.), in qualità di “contractor”, nell’indirizzare, facilitare e accelerare l’innova-zione.

c) La frammentazione, nel Paese, delle politiche in tema di ricerca, trasferimento tecnologico, sostegno alle imprese ecc..

d) La scarsa propensione della P.A. a relazionarsi con le imprese, soprattutto quan-do si tratterebbe di offrire servizi e informazioni utili agli investimenti.

e) I limiti degli strumenti fiscali fin qui messi in campo per favorire gli investimenti delle imprese.

f) Le piccole dimensioni della maggior parte delle imprese italiane (caratteristica resa ancora più evidente dall’uscita di scena di alcune grandi industrie, avve-nuta nella seconda metà del secolo scorso).

Per quanto riguarda, in particolare, la specializzazione dell’industria italiana, va ri-conosciuto che in passato il nostro tessuto imprenditoriale, in assenza di un’incisiva politica nazionale che promuovesse lo sviluppo nei settori a più alta intensità tec-nologica, è andato appunto specializzandosi in settori a bassa e media tecnologia. In generale, le imprese italiane sono ancora oggi riconosciute “deboli-forti innova-trici”, ovvero imprese in grado di fare meglio (con maggior qualità e tecnologie) rispetto ai concorrenti, in settori che nel complesso sono caratterizzati da bassa tecnologia (e minore valore aggiunto). Questo modello industriale di “innovazio-ne senza ricerca” (Moncada-Paternò-Castello et al., 2006) ha funzionato nei primi decenni del dopoguerra, ma avrebbe poi dovuto essere aggiornato e migliorato per fare fronte alle condizioni mutevoli dell’economia mondiale (Faini and Garda-gliucci, 2005). L’Italia oggi è al 18° posto tra i paesi europei, secondo il cosiddetto “European Innovation Scoreboard” più aggiornato4 (UNU-MERIT, 2012), e il ritardo sui primi è molto forte: investiamo decisamente meno in percentuale sul PIL; per giunta la nostra economia, da tempo, mostra di essere in maggiori difficoltà rispet-to a quella dei principali paesi.

26 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 27QUESTIONI APERTE

nel caso della Gran Bretagna, è un’agenzia esclusivamente rivolta alla ricerca sa-nitaria. La competizione con i suddetti paesi nel settore delle tecnologie sanitarie è alla portata del nostro Paese. Infatti, sono numerose le tecnologie sanitarie con riferimento alle quali l’industria, la ricerca e la classe medica italiana hanno ottime carte da giocare. Notiamo, ad esempio, come l’Italia abbia un ruolo pionieristico e di alto livello scientifico riconosciuto internazionalmente nell’interventistica oncolo-gica, nella robotica e nelle tecniche mini-invasive guidate da immagini, nella ricer-ca sui biosensori per il glucosio, nella ricerca sulle malattie infiammatorie croniche, in quelle neurodegenerative e legate all’invecchiamento, e in numerosi altri campi (Fondazione Rosselli, 2009).

È essenziale riuscire a fare “sistema Italia” tra P.A., industria e mondo della ricerca, superando gli attuali ostacoli. Serve un gioco di squadra nel Paese, tra livelli isti-tuzionali, tra istituzioni e operatori, tra imprese e mondo della ricerca, tra centri di ricerca. In questo momento nel Paese ci sono diverse iniziative in moto a livello lo-cale e regionale che, una volta esaminate, dimostrano come, da un lato, le oppor-tunità offerte dal settore siano state intraviste, ma, dall’altro, manchi una strategia di coordinamento e un sistema finalizzato a cogliere le possibili sinergie tra queste iniziative.

Guardando all’obiettivo della crescita non solo economica, non può sfuggire come quello sanitario sia il settore in cui, più che in altri, l’orientamento al prodotto tende a coincidere con l’orientamento al bene sociale. In tale contesto, il settore dei dispositivi medici, per le sue caratteristiche tra cui spicca l’alta produttività del-la ricerca, riveste un ruolo strategico, sia ai fini dell’assistenza sanitaria (in termini di outcome clinici e di efficienza del sistema sanitario) che in chiave di sviluppo economico.

Fatta questa premessa, nei capitoli che seguono non si indugerà oltre nel sotto-lineare l’importanza della ricerca e dell’innovazione per la competitività e lo svi-luppo di un Paese come il nostro che, avendo un elevato costo del lavoro e non disponendo di materie prime, deve puntare a valorizzare innanzitutto le proprie intelligenze. Si darà questo argomento per acquisito. Non si indugerà neppure nel ribadire quanto ricerca e innovazione siano importanti per la modernità del nostro sistema sanitario: il fatto che i territori e i settori a ritardata diffusione di tecnologie innovative siano destinati all’obsolescenza tecnologica e al declino economico, è una verità che in campo sanitario risulta ancora più evidente.

Importanti opportunità sono alla nostra portata. Molte sono le cose da fare, e c’è consapevolezza che la maggior parte dei benefici attesi non potrà comunque ar-rivare immediatamente. Questo deve spingerci a non perdere tempo.

Al fine di spostare l’accento da una sterile retorica sull’importanza della ricerca in generale, a una fattiva politica economico-industriale basata sulla ricerca e sull’in-novazione specificatamente nel settore delle tecnologie sanitarie, in questo docu-mento vengono quindi trattate, in chiave propositiva, quelle che si ritengono essere le principali questioni da affrontare. Le idee qui sostenute non poggiano sulla pre-sunzione di rappresentare le uniche o le migliori soluzioni possibili; semplicemente, si è voluto richiamare l’attenzione su una serie di possibili interventi di natura struttu-rale, in massima parte a costo netto pari a zero e in linea con gli indirizzi strategici della Commissione europea, che si ritengono utili a questo obiettivo, e contribuire così a un dibattito di vitale importanza per il futuro del Paese.

osservano drammatici gap in termini di effettive garanzie sanitarie (relative ai livelli essenziali di assistenza) offerte ai cittadini.

La cosiddetta “industria o filiera italiana della salute” – che produce direttamente e con l’indotto l’11,2% del PIL e dove lavorano circa 1.567.800 addetti, che salgono a 2.822.000 considerando anche l’indotto (Confindustria, 2012) – è ricca di oggettivi punti di forza, di eccellenze a livello internazionale e di importanti potenzialità an-cora da valorizzare. Questo anche nelle regioni più in difficoltà.

Il progressivo invecchiamento della popolazione e la crescente attenzione alla qualità della vita rendono le tecnologie sanitarie fondamentali e pervasive. Quello dei dispositivi medici, in particolare, è un settore ad alta tecnologia e forte innova-zione, nel quale oggi oltre l’80% delle tecnologie sanitarie acquisite sono di impor-tazione; e questa percentuale tende a crescere.

Nonostante tutto, l’idea che la medicina sia a pieno titolo un possibile driver di sviluppo, un generatore di ricchezza per l’Italia, ha incontrato finora una certa resi-stenza culturale. Si avverte, infatti, una qualche riluttanza nell’associare il concetto di opportunità di sviluppo economico all’idea di malattia e di sofferenza. A ben vedere, però, tale riluttanza è totalmente ingiustificata e la questione andrebbe capovolta: le opportunità in questione non sono date dalle malattie e dalle soffe-renze, bensì dalle capacità (attraverso le tecnologie) di prevenirle o curarle.

Occorre tenere presente che tutte le previsioni indicano una domanda di salute in crescita esponenziale, in Italia e nel mondo. Se valutassimo questo dato solo come un problema di natura finanziaria (ovvero in termini di spesa da contenere) incorreremmo in due errori. Il primo: posta in questi termini la “battaglia” contro la spesa per la salute sarebbe già persa in partenza, a meno di incorrere in forti ten-sioni sociali. Il secondo: le importanti opportunità di crescita, fornite da un mercato anticiclico e in forte espansione a livello mondiale come è appunto questo, non verrebbero colte.

Alcuni paesi guardano da tempo alla Sanità come volano di sviluppo socio-econo-mico (cosiddetto “Health Industry Model”). Non si tratta soltanto dei principali pa-esi industrializzati, ma anche di quelli emergenti (European Commission, 2011). Nei confronti di tutti questi paesi l’Italia ha, tuttora, oggettivi punti di forza che devono essere mantenuti e potenziati. Tra questi, in primo luogo, una capacità di innovazio-ne (e di attrarre investimenti a ciò destinati) che oggi viene sfruttata solo in parte.

In Italia la Medicina è al primo posto nella speciale classifica per numero di citazioni di pubblicazioni (tre volte più numerose di quelle relative a Fisica e Chimica, due categorie scientifiche che pure hanno una grande tradizione nel nostro Paese). L’Italia è il 7° Paese – dietro a Stati Uniti (1°), Inghilterra (2°), Germania (3°), Giap-pone (4°), Canada (5°), e Francia (6°) – per numero di citazioni di pubblicazioni in medicina (Thomson Reuters, 2009)5.

Germania, Francia e Gran Bretagna, ad esempio, pur non avendo un sistema sani-tario migliore del nostro, sono stati finora più determinati nell’investire e nell’attrarre risorse. Essi, ad esempio, si sono dotati di un’agenzia nazionale per la ricerca che,

Thomson Reuters, (2009), Essential Sciences Indicators. Per approfondimenti si rimanda alle informazioni con-sultabili sul sitohttp://thomsonreuters.com/products_services/science/science_products/a-z/essential_science_indicators/

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28 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 29QUESTIONI APERTE

INTRODUZIONE

L’esigenza di intervenire urgentemente sulle debolezze del nostro Paese citate in premessa – ad esempio, innanzitutto, semplificando e riorganizzando gli strumenti a supporto dell’innovazione esistenti a livello nazionale e regionale, e creando in-frastrutture di ricerca in grado di competere a livello internazionale – è oggi forte-mente condivisa da tutte le parti sociali. Una precisa indicazione in tal senso viene, inoltre, dalla Commissione europea che, a sua volta, ha intrapreso azioni analoghe. Per questa ragione, indugiare oltre senza adottare un nuovo paradigma di svilup-po, incentrato su ricerca, innovazione e alta tecnologia, per l’Italia significherebbe emarginarsi dai paesi più sviluppati.

Il Piano nazionale della ricerca (PNR) 2011-2013 (MIUR, 2011), partendo dall’analisi delle competenze e potenzialità a disposizione, da un lato, e delle verosimili pro-spettive di sviluppo, dall’altro, indica alcuni settori ritenuti strategici per l’Italia, su cui concentrare attenzione e risorse per la ricerca: tra questi, vi è quello “della salute”. Rispetto ai settori indicati nel PNR, potrebbe rivelarsi necessario giungere a una lista più ristretta di priorità e di settori, nel qual caso sarebbe bene che le scelte venissero fatte rapidamente. Detto questo, per le ragioni esposte in premessa, si ritiene che il settore delle tecnologie sanitarie non possa non rientrare nella rosa delle priorità del nostro Paese, per quanto questa venga ristretta. La decisione, però, deve essere chiara perché la “corsa” di altri paesi è già partita.

Il nostro sistema sanitario, pur con tutte le disuguaglianze interregionali e infra-re-gionali, può contare su competenze e tecnologie che lo pongono certamente tra quelli più avanzati al mondo. In particolare, il fatto che la classe medica italiana sia di ottimo livello e all’avanguardia nell’utilizzo di numerose tecnologie sanitarie in-novative, rappresenta sicuramente un importante punto di forza del nostro sistema che occorre valorizzare al massimo, su due piani: 1) quello delle capacità proget-tuali per cogliere le opportunità presenti nel quadro dei finanziamenti europei per l’innovazione; 2) quello delle capacità di offerta di servizi alle imprese in tema di R&S, trasferimento tecnologico, indagini cliniche.

Attrarre investimenti per la ricerca e l’innovazione è un obiettivo che molti paesi si pongono. Di più, è un obiettivo rispetto al quale la competizione tra i paesi interes-sati alle ricadute dirette e indirette di tali investimenti (sui rispettivi sistemi produttivi, sui livelli occupazionali e sulle capacità di creare sviluppo) è già oggi molto forte e andrà crescendo ancora in futuro. A questo proposito si ritiene che il principale ostacolo da superare nel nostro Paese sia la frammentazione delle politiche, delle iniziative, e degli investimenti. Essa, con i suoi risvolti pratici sul piano delle risorse a disposizione, limita fortemente sia le possibilità di valorizzare il sistema nel suo com-plesso, sia l’efficacia e l’efficienza delle iniziative che vengono portate avanti.

La frammentazione non attrae gli investimenti, anzi li respinge. Ancora una volta torna utile richiamare il PNR 2011-2013 laddove questo auspica “un rafforzamento della cooperazione interistituzionale con le autonomie regionali, in una prospetti-va di identificazione di maggiori opportunità a beneficio del sistema Paese”. Tale cooperazione è indispensabile per evitare che le competenze istituzionali in tema di R&S, oggi distribuite tra molteplici centri decisionali e di spesa, finiscano per du-plicarsi in azioni e investimenti sovrapposti. In altre parole, lo Stato e le regioni sono chiamate a “promuovere e attuare maggiori livelli di integrazione, riducendo dra-

30 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 31QUESTIONI APERTE

di progetti di ricerca e innovazione presentati dalle imprese;• l’analisi delle politiche regionali in tema di ricerca e innovazione e la pubblica-

zione di rapporti annuali sui risultati delle stesse.

Nonostante il consenso su questi aspetti sia da tempo fortissimo, la maggior parte degli interventi necessari sono ancora da realizzare.

Manca un’anagrafe nazionale della ricerca, idonea a fornire alle imprese infor-mazioni sull’offerta di ricerca e di competenze dei vari laboratori (e ricercatori). Una sorta di sportello unico, una bacheca online che un’impresa possa facilmen-te interrogare al fine di trovare un partner scientifico. Questa è un’esigenza che le imprese avvertono da molto tempo; tuttavia, sarebbe sbagliato affermare che oggi strumenti di questo tipo non esistano (si pensi, ad esempio, alla matrice di offerta della Piattaforma Tecnologica di Scienze della Vita dell’ASTER in Emilia-Ro-magna, allo sportello tecnologico del Politecnico di Milano, al NetwOrK-Outreach and Knowledge del CNR, al portale BIOPMED del Bioindustry Park Silvano Fumero in Piemonte). Il vero punto è che si tratta di contenitori diversi, parziali, scollegati gli uni agli altri e che proprio per questi motivi finiscono per non centrare l’obiettivo.

Un altro esempio concreto: oggi in Italia nessuno, nè a livello nazionale nè regionale, sa esattamente quali e quanti campioni sono contenuti nelle biobanche presenti sul territorio; il risultato è che non esiste un database a cui possano fare riferimento le imprese, da un lato, per individuare a quali centri rivolgersi, e i decisori pubblici, dall’altro, per individuare dove serve intervenire per rafforzare le proprie capacità di offerta di questi campioni.

Quello che serve è un database unico che contenga tutte le informazioni di que-sto tipo, per quanto riguarda la ricerca sanitaria e tecnologica, e che sia costruito partendo dal punto di vista della domanda (rappresentata dalle imprese) piuttosto che dell’offerta (rappresentata dai centri di ricerca).

L’industria, attraverso le associazioni di categoria, può darsi un obiettivo analogo: creare un unico repertorio online delle imprese che investono in R&S e produzione nel settore dei dispositivi medici, che possa diventare uno strumento prezioso per gli uffici di trasferimento tecnologico e per tutti gli altri attori interessati a collabora-zioni finalizzate ad attività di R&S o alla partecipazione a bandi pubblici. Anche in questo caso, esistono già banche dati online di questo tipo, ma si tratta di strumenti ampiamente parziali che, principalmente per questa ragione, sono poco cono-sciuti e ancora meno utilizzati.

Completano il quadro i numerosi enti oggi preposti a promuovere la ricerca e l’in-novazione, sui quali andrebbe fatta un’analisi tesa a valutarne i costi e i risultati. L’impressione è che se, attraverso una maggiore collaborazione tra le regioni, si mettessero a sistema le risorse disponibili (quelle che già oggi vengono impiegate, non una di più) se ne amplificherebbe l’efficacia e, probabilmente, si eviterebbe qualche spreco. Ci sono regioni dove le cose funzionano un po’ meglio, come ad esempio l’Emilia-Romagna: qui l’ASTER (ovvero il consorzio tra le Università dell’Emi-

sticamente la tendenza alla frammentazione e sovrapposizione di progetti” (MIUR, 2011).

Sul piano della governance, è utile riflettere, anche criticamente, su quanto fatto da altri paesi. In Germania, in Francia e in Gran Bretagna sono state create agen-zie nazionali per la ricerca. In Gran Bretagna, in particolare, nel 2006 è stato istituito il National Institute for Health Research (NIHR), un’agenzia che si occupa esclusi-vamente di ricerca sanitaria, coordinando e finanziando le attività in questione all’interno del National Health Service (NHS). Nella mission del NIHR vi è il compito di valorizzare a livello internazionale il NHS, sostenendo ricerche all’avanguardia e altre iniziative che possano elevare la qualità della ricerca inglese. In tale ambito il NIHR dedica grande attenzione alle collaborazioni con l’industria, affinché, ad esempio, le necessità delle imprese siano tenute nella debita considerazione nello sviluppo di infrastrutture, processi e procedure per l’offerta di servizi di R&S, indagini cliniche ecc.. Come detto in premessa, l’Italia avrebbe numerosi punti di forza in campo sani-tario da far valere nella competizione con i paesi citati, ma finora le è manca-ta altrettanta determinazione. Intervenire efficacemente anche in Italia sul piano dell’architettura di governance della ricerca sanitaria appare, dunque, prioritario. Si otterrebbero certamente benefici in termini di maggiore efficacia ed efficienza degli investimenti pubblici e, al tempo stesso, si riuscirebbero ad attrarre maggiori finanziamenti privati. La questione è nota. Ad esempio, la creazione di un’agenzia italiana per la ricerca scientifica in generale, o specifica per la ricerca sanitaria, è un’ipotesi che periodicamente alcuni avanzano. Nel PNR 2011-2013 si cita l’esigen-za di creare una “segreteria tecnica di governance […] per il coordinamento della ricerca italiana”. Può darsi che nessuna di queste proposte rappresenti la strada migliore da seguire; tuttavia, resta il fatto che occorre trovare una soluzione in gra-do di:

• favorire sinergie e collaborazioni attraverso una regia e un coordinamento al-meno per quanto riguarda le iniziative più impegnative;

• promuovere soluzioni in grado di attrarre con maggiore efficacia gli investimenti europei;

• facilitare l’interlocuzione tra mondo della ricerca e imprese;• semplificare l’accesso ai finanziamenti disponibili.

In Lombardia, ad esempio, questi compiti sono stati assegnati alla neo-costituita Fondazione Regionale per la Ricerca Biomedica, a dimostrazione che l’esigenza è reale e che a livello regionale qualcosa si va muovendo per soddisfarla.

Anni fa, nel 2007, la Conferenza delle regioni aveva approvato la costituzione del cosiddetto “Osservatorio sulle politiche regionali per la ricerca e l’innovazione”, in attuazione del Protocollo d’intesa sulla ricerca scientifica e innovazione tecnologi-ca siglato il 2 Marzo 2005 dalle regioni, CGIL, CISL, UIL e Confindustria. Si trattava di un primo passo verso un sistematico confronto e una maggiore collaborazione tra le regioni e le parti sociali attraverso:

• la realizzazione di una banca dati comune su ricerca e innovazione; • la definizione di standard minimi per l’accreditamento dei centri per la ricerca,

l’innovazione e il trasferimento tecnologico;• la definizione di procedure e strumenti condivisi per la ricezione e la valutazione

32 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 33QUESTIONI APERTE

lia-Romagna, gli enti di ricerca, la Regione, Unioncamere e le associazioni impren-ditoriali), il Quality Center Network (un accordo tra aziende sanitarie della Provincia di Modena, l’Università di Modena e Reggio Emilia, le associazioni imprenditoriali del biomedicale, gli enti locali, finalizzatoa far dialogare tra loro tali soggetti in par-ticolare in tema di sperimentazioni cliniche e pre-cliniche e relativa validazione) e l’Agenzia sanitaria e sociale regionale (ASSR) sono attori importanti che cercano di lavorare in modo finalizzato e sinergico. L’ASSR, in particolare, dal 2007 partecipa ai lavori del Quality Center Network ed è molto attenta al governo dell’innovazio-ne, con la convinzione che il ruolo della programmazione pubblica deve essere di stimolo e indirizzo per l’attività di ricerca e innovazione, ovvero per “orientare […] le capacità imprenditoriali sugli ambiti assistenziali e sui problemi clinici più rilevanti” (ASSR Emilia-Romagna, 2009). Tuttavia, anche nelle realtà che sono più avanti, esi-ste un problema di massa critica (insufficiente). Tornando al sopracitato ruolo della programmazione pubblica, ad esempio, è evidente che l’indirizzo e lo stimolo che una programmazione regionale può esercitare nei confronti di aziende chiamate a competere a livello mondiale è modesto o nullo. Le cose sarebbero diverse se par-lassimo di una programmazione a livello nazionale in grado di mettere in campo piani di lungo periodo e piattaforme tecnologiche di eccellenza attrattive anche a livello internazionale.

Fin qui abbiamo accennato all’esigenza di fare precise scelte strategiche, di rea-lizzare iniziative sinergiche invece che frammentate, di semplificare e riorganizzare taluni strumenti di supporto alla ricerca e all’innovazione e di valorizzare i punti di forza presenti nel nostro sistema sanitario rafforzando le specializzazioni nella ricer-ca scientifica e tecnologica. Altrettanto importante sarà:

• utilizzare in modo più mirato ed efficace lo strumento rappresentato dalle misu-re di natura fiscale;

• far sì che il mercato italiano premi, attraverso i criteri di aggiudicazione delle forniture e i meccanismi di finanziamento e di rimborso delle relative presta-zioni sanitarie, l’innovazione e la qualità delle tecnologie sanitarie, così che la diffusione delle stesse si mantenga rapida all’interno del sistema e quest’ultimo continui a essere all’avanguardia.

I prossimi capitoli approfondiscono tutti questi temi.

34 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 35QUESTIONI APERTE

1. RETI NAZIONALI DI ECCELLENZE SPECIALISTICHE

Il sistema sanitario italiano è certamente al livello dei migliori sistemi sanitari mondia-li, sul piano clinico, scientifico e tecnologico. Tuttavia, l’attuale quadro di estrema frammentazione e di scarsa collaborazione a livello istituzionale non aiuta e anzi fre-na lo sviluppo delle singole eccellenze a livello locale, nonché la competitività del sistema nel suo complesso nell’attrarre investimenti per la ricerca e l’innovazione. Come detto, questo è un obiettivo che molti paesi già si pongono e continueran-no a porsi. Probabilmente, andranno disegnandosi “macro-architetture” ad alta tecnologia che risulteranno sempre più attrattive per gli investimenti e, di conse-guenza, diminuiranno le opportunità alla portata di singole strutture, o di singole regioni al di fuori di tali architetture. Sul piano strategico, la risposta a un tale scena-rio consisterebbe nel passare dall’odierna logica “micro-competitiva” (tra singole strutture e/o singole regioni) a una logica “collaborativa-di-sistema” basata sulle eccellenze. Sul piano pratico, si tratterebbe di realizzare apposite “reti” ciascuna delle quali ospitasse al suo interno il centro nazionale di riferimento per una deter-minata specialità e riunisse tutti i migliori poli con competenze in quella specialità. I vantaggi, rispetto a oggi, che queste reti offrirebbero sarebbero diversi.

a) Consentirebbero di non disperdere le risorse a disposizione a livello regionale e nazionale, e di migliorare il livello qualitativo della ricerca sanitaria italiana, raf-forzando le competenze specialistiche; inoltre, favorirebbero il consolidamento infrastrutturale dei laboratori, a cominciare da quelli che oggi sono deficitari di risorse.

b) Darebbero ai centri italiani più forza per intercettare le opportunità offerte dalla programmazione europea e i finanziamenti privati.

c) Darebbero a tutte le imprese certezze riguardo a dove poter trovare determi-nate competenze a cui esse fossero interessate, offrendosi a loro non solo come partner ideali per l’attività di R&S, ma altresì come piattaforme tecnologiche (multicentriche e interregionali) ideali per validare le innovazioni su scala inter-nazionale.

L’azione concertata e concreta di tutti i componenti della rete, infatti, avrebbe lo scopo di: concentrare gli investimenti, producendo economie di scala; mettere a sistema tutto il migliore know-how a disposizione; evitare duplicazioni.

L’Italia ha tutto quello che occorre per creare numerose reti di eccellenza, cia-scuna delle quali, si immagina, non aggregherebbe intere strutture sanitarie, interi centri di ricerca, bensì specifiche unità operative (reparti, dipartimenti, laboratori ecc.), tutte eccellenti e focalizzate nel medesimo campo, a loro volta apparte-nenti a strutture sanitarie, pubbliche e private, o centri di ricerca, pubblici e privati, ivi compresi naturalmente i parchi scientifici e tecnologici. Questo significa che, ad esempio, all’interno di un IRRCS o di un grande centro di ricerca si potrebbero tro-vare più poli (unità) appartenenti a reti differenti.

Già esistono alcune reti di eccellenze che si avvicinano al modello delineato.

Ad esempio: in Lombardia esiste una rete oncologica, una rete ematologica, una rete per i tumori rari, una rete per le malattie rare; in Emilia-Romagna esiste la Rete Alta Tecnologia, gestita dall’ASTER e composta da diverse Piattaforme

36 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 37QUESTIONI APERTE

di sufficienti strutture, tecnologie e competenze mediche; progetti diretti al trasfe-rimento di risorse (medicinali, apparecchiature, personale medico) nei paesi de-stinatari; progetti volti alla formazione di medici e personale sanitario tramite un sistema di visite e di scambi, in forma anche di gemellaggi tra ospedali; progetti finalizzati alla prevenzione e alla diffusione di conoscenze igienico-sanitarie.

Accanto ai progetti di pura cooperazione “filantropica”, è opportuno seguire l’esempio della Germania che, nel promuovere lo sviluppo di paesi esteri, si è or-ganizzata in modo estremamente efficace per cogliere anche in tali iniziative le possibili opportunità di sviluppo della propria industria ed economia. La maggior parte della popolazione mondiale oggi vive in aree dove, mancando strutture e competenze adeguate, la fruibilità dei dispositivi medici è minima o nulla. Apri-re nuovi ospedali o supportare strutture di assistenza in paesi stranieri che hanno risorse economiche, ma attualmente mancano di personale formato e di know-how, rientra dunque in una possibile strategia di valorizzazione dell’industria italiana della salute. L’eccellenza della Sanità italiana, infatti, si presta a essere valorizzata nell’ambito dei rapporti tra l’Italia e i paesi ricchi di materie prime (a noi necessa-rie), o comunque in forte crescita, ma ancora privi di un sistema sanitario moderno, ai quali offrirci, da un lato, come partner nella realizzazione di moderne infrastruttu-re sanitarie dotate di altrettanto moderne tecnologie e, dall’altro, come fornitori in remoto di determinati servizi e prestazioni di assistenza sanitaria.

Tematiche6 (una delle quali è dedicata alle “Scienze della Vita”). I limiti che si rico-noscono a queste realtà, e a tutte le altre analoghe, sono due: 1) quello di essere costruite su una logica territoriale che le confina entro il perimetro della Regione di riferimento; 2) quello di non integrare sufficientemente la ricerca clinica con la ricerca tecnologica. Superare questi limiti consentirebbe alle reti in questione di essere molto più forti e attrattive.

Una soluzione pragmatica consisterebbe nell’allargare il respiro delle reti che già esistono, coinvolgendovi tutti i poli italiani di eccellenza che possono renderle più competitive. Al contempo sarebbe opportuno creare nuove reti di questa conce-zione, così da giungere ad avere una rete nazionale per ognuna delle branche medico-specialistiche e tecnologiche nelle quali l’Italia ha oggettivi punti di forza da valorizzare.

FIGURA 1. MODELLO LINEARE DELL’INNOVAZIONE NEL CAMPO DELLE TECNOLOGIE SANITARIE.

Siamo consapevoli che il termine “rete” è oggi in voga e spesso se ne abusa. Sotto questo aspetto, il rischio da evitare è quello di creare reti virtuali. Occorrono invece infrastrutture reali, dotate di un proprio management di rete - in grado di esprimere una precisa visione strategica, di declinarla in azioni concrete e di rispondere dei risultati via via ottenuti - nonché di punti unitari di ricaduta (a beneficio della rete) del valore che si mira a produrre.

Per inciso, le Reti nazionali di eccellenze specialistiche sul piano clinico avrebbe-ro altresì un ruolo importante sia nell’attrarre mobilità sanitaria internazionale sia nell’ambito delle cooperazioni tra diversi paesi.

Per quanto riguarda la mobilità sanitaria internazionale, si tratta di un fenomeno fin qui ha interessato solo marginalmente l’Italia dove le più moderne strutture pub-bliche e private hanno finora singolarmente puntato a intercettare soprattutto la mobilità interregionale. Anche su questo fronte, dunque, esistono ampi margini di sviluppo e ancora una volta ci sono buoni motivi per adottare un approccio sistemi-co: i necessari investimenti per acquisire un’adeguata conoscenza della domanda (paesi/bisogni) e, soprattutto, per fare promozione all’estero sono tali da rendere opportuno un gioco di squadra tra regioni così da disporre di maggiori risorse, evita-re di farsi competizione interna, avere una maggiore capacità attrattiva. A questo scopo è auspicabile che le regioni, oggi più avanti in questo tipo di ragionamento, facciano squadra tra loro e mettano a punto strategie condivise e sinergiche; non strategie generali, bensì piani concreti e focalizzati sugli specifici target (paesi, bi-sogni, tipo di pazienti).

Per quanto riguarda le cooperazioni internazionali in ambito sanitario, si tratta di una vasta gamma di programmi e attività, quali ad esempio: interventi finalizzati a ospitare nei propri ospedali pazienti provenienti da paesi che non dispongono

Ciascuna Piattaforma è, a sua volta, una rete che comprende diversi Tecnopoli (singoli laboratori).6

38 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 39QUESTIONI APERTE

2. PARCHI SCIENTIFICI E TECNOLOGICI (PST)

La diffusione e lo sviluppo di una mentalità collaborativa in tutto il Paese è una tra le esigenze da tempo fortemente condivise. Si tratta non solo dei rapporti tra diversi livelli istituzionali e di quelli tra P.A. e imprese, ma altresì dei rapporti tra industria e laboratori di ricerca, tra industria e università.

L’idea di “parco scientifico e tecnologico” nasce – in seno all’Università di Stanford intorno al 19507 – proprio come luogo d’elezione dove industria e laboratori di ricer-ca (collegati all’università) possano interagire già in fase di programmazione delle rispettive attività e poi collaborare in fase di R&S e trasferimento tecnologico. Que-sto è un aspetto di fondamentale importanza, che invece tende a essere tuttora sottovalutato in Italia. La R&S e il trasferimento tecnologico non passano attraverso semplici “interruttori” da accendere episodicamente e tenere spenti per il resto del tempo. I risultati della R&S e del trasferimento tecnologico sono tanto più proficui quanto più si tratta di finalizzare un rapporto di “frequentazione” tra impresa e ricer-ca che è sistematico, continuativo, caratterizzato da una fertilizzazione reciproca.

In Italia i primi PST vennero creati negli anni ’80. All’epoca si trattava di realtà su mi-sura per grandi industrie, mentre oggi si tratta di luoghi di ricerca coordinata, colle-gati a poli universitari e soprattutto aperti a imprese medio-piccole. Oggi possiamo affermare che la creazione di un PST dovrebbe, in linea di principio, soddisfare i seguenti presupposti:

• la presenza sul territorio di diversi centri di ricerca che, per natura del settore di interesse e propria vocazione, siano intenzionati a stimolare e sviluppare pro-cessi di innovazione che li veda co-protagonisti; questo giustificherebbe investi-menti fatti in comune per la realizzazione di laboratori dotati delle più avanzate tecnologie e competenze;

• l’esistenza di un tessuto imprenditoriale (non necessariamente in loco) che espri-ma una domanda di innovazione specializzata che troverebbe nelle capacità di ricerca risposte e servizi.

Con tutta probabilità, questo non fu sempre il caso quando nacquero in Italia i PST oggi esistenti. Inoltre, sarebbe stato bene poter contare sulla spinta di una forte progettualità da parte dei soggetti promotori, ma, probabilmente, neppure questo avvenne e si immagina che tutto ciò abbia penalizzato le ricadute economiche degli investimenti effettuati.

Guardando ai PST che funzionano meglio si può ricavare l’idea che questi assolva-no a diverse funzioni, di seguito richiamate.

a) Consentire investimenti in attrezzature per la ricerca che non sarebbero altri-menti alla portata di singoli laboratori. Il PST ha un elevato tasso di utilizzo delle aree immobiliari e dei macchinari acquistati per attrezzare i laboratori.

b) Produrre e disseminare conoscenza che le imprese interne ed esterne al PST po-tranno sfruttare attraverso un processo di valorizzazione che il PST stesso mette a disposizione. Ciascun PST deve tendere a ritagliarsi una propria posizione all’in-

Quella che nel 1971 venne definita “Silicon Valley” si sviluppò a partire dallo Stanford Research Park costruito nel 1951 su terreni della Stanford University a Palo Alto, in California.

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40 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 41QUESTIONI APERTE

terno delle filiere di produzione caratteristiche dei settori di interesse, stando a stretto contatto con le imprese e riuscendo a proporre ricerche e studi stretta-mente legati al fabbisogno tecnologico delle stesse.

c) Fungere da “aggregatore di competenze” così da creare economie esterne di tipo tecnologico, favorendo le collaborazioni tra imprese (sia ivi insediate che esterne). Questa è una funzione molto importante per due motivi: 1) la singola impresa conosce bene i propri concorrenti, ma solitamente incontra difficoltà a individuare opportunità di collaborazione con imprese non concorrenti che essa conosce molto meno o per nulla; 2) La singola strat-up è all’avanguardia su una determinata tecnologia, ma solitamente è scoperta di copetenze com-plementari alle proprie quando si tratta di offrire skills a imprese già sul mercato. Il PST, grazie alla sua visione ad ampio raggio che mette a disposizione al suo interno e all’esterno, può facilitare le collaborazioni finalizzate a progetti di R&S.

d) Offrire alle imprese interne ed esterne, senza limitazioni territoriali, servizi ad alto valore aggiunto sul piano tecnologico e scientifico.

e) Attrarre e creare esso stesso imprese ad alta vocazione innovativa. Il PST con-tiene un “incubatore” che fornisce alle start-up servizi tecnici, logistici e di con-sulenza di varia natura, ivi compreso il supporto nel reperire il capitale di rischio necessario per sviluppare l’impresa. Il PST, In questo modo, favorisce lo sviluppo socio-economico locale.

Alla luce di quanto detto, il ripensamento dei PST esistenti potrebbe essere un eser-cizio decisamente utile – ad esempio per favorirne l’aggregazione, in taluni casi, e rafforzarne le specializzazioni, in altri – che andrebbe fatto nell’ambito e in sinergia con il ragionamento sulle reti di eccellenze. Peraltro, visto che idealmente il PST svolge un ampio ventaglio di attività (fa R&S, cerca di animare il territorio in termini di attitudine all’innovazione, supporta le imprese innovative, promuove le collabo-razioni tra imprese ecc.) e che una parte di esse lo avvicina concettualmente ai distretti tecnologici, il medesimo ripensamento dovrebbe coinvolgere altresì queste realtà.

A questo riguardo, si sottolinea l’importanza che i finanziamenti relativi ai bandi MIUR (2011 e 2012) per la realizzazione e il potenziamento dei distretti tecnologici vadano a progetti forti e resi ancora più forti da interventi di razionalizzazione del quadro generale delle specializzazioni.

Infatti, è importante che lo sviluppo di uno specifico territorio venga perseguito con uno sguardo che vada oltre i confini della singola provincia o Regione e puntando su ciò che già è, o può diventare, un reale vantaggio competitivo.

42 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 43QUESTIONI APERTE

3. TRASFERIMENTO TECNOLOGICO

In Italia le origini del trasferimento tecnologico possono farsi risalire agli anni ’808. Tuttavia, è soltanto a partire dal 2001 che le università italiane sono andate dotan-dosi di un proprio ufficio di trasferimento tecnologico (UTT), tanto che quelli italiani (insieme agli irlandesi) oggi risultano essere gli UTT più “giovani” in Europa.

GRAFICO 3. UFFICI DI TRASFERIMENTO TECNOLOGICO (UTT) – DISTRIBUZIONE PER ANNO DI COSTITUZIONE.

Fonte: Netval Survey (2011)

Le funzioni tradizionali di un UTT sono di seguito richiamate.

a) Diffondere una cultura imprenditoriale della ricerca e sostenere le iniziative di spin-off.

b) Promuovere la valorizzazione in chiave economica dei risultati e delle compe-tenze della ricerca scientifica e tecnologica.

c) Promuovere il trasferimento tecnologico e i processi di sviluppo economico a livello locale e regionale.

d) Sostenere le politiche di brevettazione dei risultati della ricerca e potenziare le capacità dell’università di sfruttare commercialmente i diritti derivanti dal pro-prio portafoglio brevetti (cessioni e licensing).

e) Potenziare le capacità dell’università, e dei singoli dipartimenti, di stipulare con-tratti e/o convenzioni di ricerca con imprese e altre organizzazioni (Balderi et al., 2011).

Rispetto a questi loro compiti, possiamo affermare che nel nostro Paese gli UTT han-no finora svolto una funzione più culturale che pratica. In linea generale, infatti, hanno sì promosso e sviluppato interazioni con il sistema produttivo (e va dato loro atto che il tema ha acquisito buona visibilità e che la consapevolezza riguardo alla

Circa 50 anni dopo la nascita del Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston che, probabilmente, nel suo genere è tuttora la realtà di maggior successo al mondo.

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44 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 45QUESTIONI APERTE

Un terzo aspetto critico è riconducibile alla multisettorialità di gran parte degli UTT universitari, ciascuno dei quali è inserito all’interno di un ateneo dove si coltivano diverse discipline (gli UTT legati alle Facoltà di Medicina fanno eccezione da que-sto punto di vista). Un UTT “generalista” sconta evidenti difficoltà, sia nel rapportarsi con i ricercatori, di cui dovrebbe capire il linguaggio per comprendere la portata delle relative innovazioni, sia nel rapportarsi con il mondo delle imprese, tra le quali dovrebbe saper individuare quelle potenzialmente più interessate. Il fatto di essere privi di una focalizzazione su uno specifico mercato di sbocco complica enorme-mente le cose e rende ancora più evidenti le criticità dovute alle limitate risorse a disposizione. Peraltro, questo deficit di risorse e di competenze specifiche, che ap-pare caratterizzare molti UTT, è verosimile che finisca per tradursi in una modesta au-torevolezza degli stessi, sia interna all’università (ad esempio in fase di scelta di cosa brevettare e cosa no, o nel gestire i progetti, cercando di tenere stretti determinati tempi, una volta “agganciata” un’azienda) che esterna (ad esempio nel fidelizza-re i partner in rapporti di collaborazione stabili). Meglio sarebbe poter contare su un unico UTT per ciascun mercato di sbocco, collegato a tutte le possibili facoltà e i centri di ricerca che svolgono attività potenzialmente attinenti.

Si immagina che tutti questi aspetti abbiano finora frenato la capacità di sfruttare la ricerca ai fini commerciali, nonostante le potenzialità che il nostro sistema possie-de, in virtù delle sue ottime performance nel generare risultati di ricerca altamente innovativi in campo biomedico e diagnostico.

Alla luce delle considerazioni svolte, l’idea di un UTT nazionale dedicato al settore delle tecnologie sanitarie e collegato in rete a una serie di UTT regionali, altrettanto dedicati a questo settore e a loro volta in contatto con gli atenei e i centri di ricerca non universitari, appare sensata. Ciascun UTT potrebbe così contare, in sede o in rete, sulle competenze e sugli strumenti necessari.

TABELLA 1. RISORSE E ATTIVITÀ DEGLI UTT ITALIANI (2004-2009).

Nota: * Personale equivalente a tempo pieno

Fonte: elaborazioni Centro Studi Assobiomedica su dati Netval (2011)

sua importanza è oggi diffusa), ma sul piano del trasferimento tecnologico vero e proprio, i risultati prodotti appaiono modesti. Le ragioni di questo sono diverse.

Innanzitutto, va ricordato che gli UTT sono per loro natura intermediari tra i ricerca-tori e le imprese e quindi patiscono delle debolezze, in Italia, sia degli uni che delle altre. Infatti, da un lato, nonostante il lavoro di “alfabetizzazione” culturale in tema di trasferimento tecnologico svolto dagli UTT, molte strutture italiane che ospitano la ricerca mostrano spesso di avere scarsa dimestichezza nel produrre innovazioni che si prestino a creare business; dall’altro, in Italia, le aziende di grandi dimensioni, che storicamente rappresentano l’interlocutore ideale dei laboratori di ricerca e degli UTT, sono poche.

In secondo luogo, abbiamo finora assistito a un elevato numero di iniziative locali che però non ha consentito l’allocazione ottimale delle risorse, creando disomo-geneità e frammentazione. Quasi tutti gli UTT esistenti non dispongono delle risorse necessarie, finanziarie e umane. Per sostenere efficacemente l’attività di trasferi-mento tecnologico occorre disporre di fondi sufficienti almeno a finanziare il primo scalino, quello della prototipazione-brevettazione delle idee più interessanti (Figura 2), mentre attualmente gli UTT hanno difficoltà a trovare questi fondi. Poichè le ri-sorse a disposizione (ivi comprese le necessarie competenze tecniche, giuridiche, economiche, finanziarie) sono decisamente limitate, esse dovrebbero essere con-centrate e non disperse. Al fine di superare queste difficoltà, la Regione Toscana nel 2009 ha istituito la Rete regionale del sistema di incubazione di impresa “RETE” e la Rete regionale di trasferimento tecnologico alle imprese “TecnoRete” per la qualificazione e il potenziamento del proprio sistema di trasferimento tecnologico e l’innalzamento del livello di cooperazione tra gli attori coinvolti. Nello stesso anno la Regione ha istituito altresì l’Ufficio regionale dei brevetti in ambito biomedico e farmaceutico, dando alle aziende ospedaliere universitarie, grazie al finanziamen-to regionale, la possibilità di acquistare le quote già di competenza universitaria dei brevetti presenti e futuri che esse ritenessero interessanti sul piano economico. Per fare un altro esempio, le aziende sanitarie del modenese hanno creato un ufficio brevetti in comune con l’Università; in particolare hanno proposto di strutturare a livello regionale i servizi di ricerca e innovazione per Aree vaste, anziché per singola azienda, in modo da disporre di personale qualificato e dedicato a seguire i bandi ecc.. Ancora una volta, si tratta di esempi di iniziative che vanno nella giusta dire-zione, ma che, restando a livello locale/regionale, difficilmente saranno in grado di fare la differenza.

FIGURA 2. GLI SCALINI DEL TRASFERIMENTO TECNOLOGICO.

46 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 47QUESTIONI APERTE

4. INDAGINI CLINICHE

Le indagini cliniche pre-marketing ricoprono un’importanza fondamentale nello sviluppo di dispositivi medici innovativi9. Inoltre, pur essendo un dispositivo già sicuro e affidabile al momento della sua immissione in commercio, è un fatto ricorrente che, attraverso studi post-marketing e appositi registri osservazionali, vengano rac-colti ulteriori dati a compendio di quanto accertato nella fase precedente, anche ai fini di valutazioni di natura economica. Investimenti in R&S, indagini cliniche, regi-stri, studi post-marketing sono dunque tutti momenti di un unico processo finalizzato all’innovazione per un’assistenza sanitaria sempre più appropriata. Processo che va favorito nel suo insieme e sostenuto creandogli intorno le condizioni necessarie.

In Italia gli investimenti delle imprese in studi clinici, siano essi pre-marketing o post-marketing, appaiono modesti rispetto alle potenzialità del nostro sistema sanitario nazionale (SSN), che è all’avanguardia nell’utilizzo di innumerevoli tecnologie sani-tarie. Le motivazioni sono legate, prima ancora che ai costi (maggiori soprattutto rispetto ai paesi emergenti), a una certa disorganizzazione del sistema nel suo com-plesso, e in particolare alla burocrazia (che produce tempi lunghi e incerti). Questo si è tradotto in minori risorse a disposizione del SSN. L’elemento positivo in tutto ciò consiste nel fatto che l’Italia ha ancora la possibilità di essere competitiva su questo fronte. Allo scopo di attrarre maggiori investimenti, sia di imprese produttrici che di multinazionali estere commerciali, occorre però intervenire su una serie di punti.

Il problema più spinoso riguarda l’attuale regolamentazione relativa ai comitati eti-ci. Da parte delle imprese intervistate si lamentano tre aspetti.

1. Una scarsa competenza tecnica dei comitati etici locali nella valutazione dei protocolli clinici riferiti a dispositivi medici. Il problema segnalato è che le valuta-zioni dei comitati etici spesso avvengono con criteri di giudizio derivati acritica-mente dal settore farmaceutico, senza tener conto delle peculiarità del settore dei dispositivi. In passato, il problema era stato amplificato da alcune incertezze normative che non chiarivano se e in che modo il parere del comitato etico lo-cale fosse propedeutico alla valutazione del protocollo da parte del Ministero. Le incertezze sono state chiarite a partire dalla circolare 26/2/2007 e da allora alcuni passi avanti sono stati fatti, anche nel livello di conoscenza e competen-za dei comitati etici, soprattutto attraverso la cooptazione, in alcuni di essi, di esperti dei vari dispositivi medici; i passi avanti in questione, tuttavia, sono avve-nuti a “macchia di leopardo” sul territorio, al punto che la situazione generale è ancora oggi critica.

2. Tempi lunghi, da parte dei comitati etici, nel comunicare il proprio parere e relativo impatto negativo sull’effettiva possibilità dei centri italiani di partecipa-re agli studi, in particolare a quelli multicentrici. A questo riguardo va tenuto presente che con riferimento ai dispositivi medici non esiste la certezza di un termine entro cui i comitati etici sono vincolati a comunicare il proprio parere, come invece è previsto per i farmaci (per cui la scadenza prevista per legge è 30 giorni10).

In allegato 2 sono richiamati gli atti normativi che intervengono direttamente sul tema delle indagini cliniche con dispositivi medici.

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D.lgs. n.211 del 24/06/2003 “Attuazione della direttiva 2001/20/CE relativa all’applicazione della buona pratica clinica nell’esecuzione delle sperimentazioni cliniche di medicinali per uso clinico” e successivi aggiornamenti.

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48 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 49QUESTIONI APERTE

3. Disomogeneità negli approcci metodologici, nella modalità di presentazione della domanda, nonché nell’applicazione delle tariffe di rimborso spese da par-te dei differenti comitati etici locali.

Un ulteriore aspetto critico su cui intervenire è riconducibile alla mancanza nel no-stro Paese di un’unica terminologia, adeguata ai riferimenti normativi internazionali.

Alla luce delle indicate criticità, al fine di rendere il sistema più chiaro ed efficiente, si ritiene che siano necessari i seguenti interventi.

a) Rendere uniformi tempistiche, modalità di presentazione dei protocolli clinici (i documenti da produrre e il formato standard degli stessi, le istruzioni per la for-mulazione del consenso del paziente ecc.) e tariffe di rimborso spese applicate dai comitati etici locali11.

b) Per gli studi multicentrici, prevedere che venga individuato un unico comitato etico coordinatore (come già è previsto per i farmaci), il quale possa avvalersi anche degli esperti degli altri comitati etici locali coinvolti e dia maggiori garan-zie di rapidità.

c) Istituire un elenco nazionale dei centri, pubblici e privati, abilitati alla sperimen-tazione nei vari campi e prevedere specifiche procedure per il rilascio delle autorizzazioni di idoneità unicamente per quei centri che non risultassero com-presi nell’elenco o che non vi risultassero abilitati alla sperimentazione in quel determinato campo.

d) Produrre una linea guida che abbia come fondamento le norme armonizzate UNI EN ISO 14155 e faccia la massima chiarezza sulle definizioni e sui passaggi ai quali devono attenersi gli attori coinvolti nelle indagini cliniche con dispositivi medici, soffermandosi in particolare sulle differenze tra i processi delle indagini cliniche pre e post-marketing (queste ultime svolte in un’ottica di sorveglianza del mercato).

Un Paese benchmark in questo caso è la Francia, dove le procedure sono rigorose e risultano altresì partico-larmente chiare, certe, snelle e rapide.

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5. FINANZIAMENTI PUBBLICI

Sul piano finanziario non c’è dubbio alcuno che l’Italia stanzi molti meno fondi per la ricerca sanitaria di quanti dovrebbe, ovvero, complessivamente, poco più dell’1% del PIL, circa la metà della media europea (Eurostat 2009). Si consideri che in base al DLgs n.502/92 almeno l’1% del finanziamento totale annuo del Servizio sanitario nazionale andrebbe destinato alla ricerca sanitaria; nonostante ciò, la percentua-le non ha mai superato lo 0,3%.

Premesso questo, si ritiene che l’aspetto critico principale sia la frammentazione delle politiche di finanziamento a livello nazionale e regionale e, soprattutto, il fatto che esse non siano sufficientemente finalizzate a rafforzare la capacità del nostro Paese di essere protagonista in Europa, ovvero a cogliere in maggiore misura le grandi opportunità offerte dai bandi comunitari.

5.1 FINANZIAMENTI EUROPEI PER PROGETTI DI RICERCA

Come noto, i finanziamenti comunitari possono giungere al settore dei dispositivi medici, e più in generale alla ricerca e al trasferimento tecnologico, per via diretta o indiretta. I finanziamenti comunitari diretti sono quelli che passano per i bandi europei nell’ambito dei programmi (ad esempio il 7° Programma Quadro), a cui imprese private, istituti di ricerca, università dei paesi membri possono partecipare presentando progetti alle commissioni competenti. I finanziamenti comunitari indi-retti sono quelli che passano attraverso la pianificazione regionale. In questi casi la Regione predispone un piano operativo regionale (POR) per l’uso di fondi comu-nitari, prevedendo altresì il co-finanziamento con fondi propri e/o con trasferimenti nazionali.

Considerando tutti i progetti di ricerca che, a partire dal 1990, sono stati finanziati direttamente dall’Unione europea, l’Italia risulta essere stata Paese coordinatore di 8.344 progetti e semplice partecipante in ulteriori 12.336 progetti. Questi numeri le valgono il 4° posto nel ranking europeo, dopo Regno Unito, Germania e Francia. Tuttavia, facendo un rapporto tra numero di progetti in cui l’Italia è coordinatrice e il numero di progetti in cui è partecipante si ottiene un valore percentuale pari a 67,6%12, sensibilmente inferiore rispetto alle relative percentuali degli altri tre paesi.

TABELLA 2. TOP TEN PAESI EUROPEI PER NUMERO DI PROGETTI DI RICERCA UE.

Le percentuali calcolate non sono il rapporto percentuale di “una parte sul tutto” ma sono il rapporto percen-tuale tra due grandezze distinte.

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52 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 53QUESTIONI APERTE

Fonte: elaborazioni Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa su dati CORDIS (2012)

Complessivamente sono 765 i partner italiani coinvolti in questi progetti e il settore Health and Medicine è quello che ne vede partecipare il maggior numero (171). In questo settore l’Italia mantiene la 4A posizione per numero di progetti in cui è pre-sente (1.568, pari al 12,7% di tutti i progetti a cui partecipa), ma scende al 5° posto per numero di progetti che coordina (764, pari al 9,2% dei progetti che coordina) cedendo il 4° posto all’Olanda (821 progetti).

TABELLA 3. TOP TEN PAESI EUROPEI PER NUMERO DI RICERCA UE AMBITO HEALTH AND MEDICINE.

Fonte: elaborazioni Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa su dati CORDIS (2012)

TABELLA 4. PROGETTI DI RICERCA UE SOTTOSETTORI HEALTH AND MEDICINE IN CUI È COINVOLTA L’ITALIA.

Fonte: elaborazioni Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa su dati CORDIS (2012)

TABELLA 5. PRINCIPALI PROGRAMMI DI INTERESSE DEL SETTORE CHE COINVOLGONO PARTNER ITALIANI.

Fonte: elaborazioni Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa su dati CORDIS (2012)

Si tratta di finanziamenti importanti. Si considerino, ad esempio, i progetti europei di cui al programma 7fp-Health: i progetti con coordinatore italiano sono risultati 56,

per un totale finanziato di oltre 277 milioni di euro con una media a progetto di oltre 9,8 milioni di euro (gli importi in questione si riferiscono ai progetti, mentre in tabella 6 sono riportati i finanziamenti assegnati ai singoli centri coordinatori).

TABELLA 6. PROGETTI CON COORDINATORE ITALIANO E FINANZIAMENTO UE AL PROGETTO NELL’AMBITO DEL F7-HEALTH.

Fonte: elaborazioni Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa su dati CORDIS (2012)

L’analisi dell’apporto italiano ai progetti europei, sia in generale sia con riferimento

54 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 55QUESTIONI APERTE

a quelli nel campo delle tecnologie sanitarie, suggerisce due linee di azione: au-mentare la collaborazione tra i centri italiani di eccellenza e rafforzare la parteci-pazione delle imprese italiane alla competizione per questi bandi europei.

Le reti nazionali di eccellenze specialistiche (vedi capitolo 1) sono pensate appun-to per rafforzare le nostre realtà di punta e potenziarne le capacità di proporsi con il ruolo di coordinatrici di progetti europei.

Allo scopo di rafforzare la partecipazione delle imprese italiane ai programmi eu-ropei di ricerca, occorre intervenire sul fronte della razionalizzazione degli strumenti di informazione (ad esempio, affidando a un apposito sportello unico pubblico il compito di fornire alle imprese informazioni chiare sulle competenze dei vari centri di ricerca e sulle varie opportunità di finanziamento, nonché il compito di prestare assistenza gratuita alle imprese interessate, così da aiutarle a cogliere le opportu-nità). Parallelamente, è opportuno intervenire sul fronte della semplificazione dei processi, sia quelli gestiti dalla P.A. sia quelli in mano al sistema bancario, nonché delle regole di presentazione, valutazione e gestione dei progetti, eliminando le procedure superflue che comportano oneri inutili. In particolare, si ritiene utile:

• creare una banca dati unica a livello nazionale con i dati delle aziende parte-cipanti a progetti di ricerca co-finanziati dal pubblico, sulla falsariga di quanto fatto dalla Commissione europea con la Banca Dati URF dove le imprese si regi-strano e caricano una sola volta la loro documentazione;

• introdurre maggiore flessibilità per le attività di rendicontazione contabile;• ridurre il cosiddetto “time-to-grant”;• passare da un sistema basato sui controlli a uno basato sulla fiducia.

A questo punto, è altresì utile richiamare gli elementi che caratterizzano, sul piano quantitativo e su quello qualitativo, i programmi e i finanziamenti europei; essi ri-guardano i criteri di investimento, le ingenti risorse investite e le modalità con cui le stesse vengono assegnate.

La Commissione europea ha adottato come criterio guida quello di puntare sulle eccellenze nella ricerca applicata e sul ruolo dell’industria, indicando così la volon-tà di optare per progetti vicini al mercato, ovvero alla produzione di prodotti inno-vativi. Questa è la prima lezione da trarre: finanziare progetti che vedano l’industria e la ricerca, quella di eccellenza, insieme non solo formalmente, ma soprattutto nella sostanza e per le finalità stesse dei progetti.

I finanziamenti europei sono ingenti perché la Commissione europea, avendo in-dividuato le aree strategiche di intervento, su di esse ha poi potuto concentrare la maggior parte delle risorse. Questa è la seconda lezione da trarre: individuare le priorità e su queste concentrare le risorse; minori le risorse a disposizione, maggiore deve essere la concentrazione del loro utilizzo.

Per quanto riguarda le modalità di assegnazione dei finanziamenti, l’attenzione è volta a far sì che ciascun progetto strategico sia finanziato per un periodo di tempo congruo per consentirne la finalizzazione e misurarne i risultati; in altre parole, non viene lasciato alcun spazio a eventuali scuse per la mancata o parziale realizzazio-ne degli obiettivi del progetto. Questa è la terza lezione da trarre: offrire finanzia-menti assolutamente adeguati alla complessità del progetto e ai tempi necessari per portarlo a termine, prestando massima attenzione affinché le erogazioni di ri-

sorse siano puntuali.

Per inciso, rientrano in questo modello virtuoso le cosiddette “Future and Emerging Technologies (FET) Flagship initiatives”. Si tratta di progetti ambiziosi di ricerca scien-tifica e tecnologica su larga scala con “obiettivi visionari”. L’idea sottostante è che il progresso scientifico debba fornire una base ampia e forte per future innovazioni tecnologiche in grado di essere sfruttate economicamente e che producano nuo-vi benefici per la società in diverse aree. Sono stati individuati sei programmi pilota. Tra questi, dopo un’attenta scrematura, nella seconda metà del 2012 saranno se-lezionati due progetti da implementare a partire dal 2013. Ciascun progetto sele-zionato riceverà un finanziamento notevole: 100 milioni di euro ogni anno, per dieci anni. Dei sei programmi pilota fin qui individuati, i più interessanti, ai fini del presente documento, sono: The Human Brain Project (HBP), The Future of Medicine (ITFoM ) e Robot Companions for Citizens (RoboCom). L’Italia fa parte del consorzio ITFoM attraverso il Centro per la risonanza magnetica CERM dell’Università di Firenze e coordina il progetto RoboCom con la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.

5.2 FINANZIAMENTI NAZIONALI E REGIONALI

Negli allegati 3 e 4 sono richiamati i principali finanziamenti di interesse per il settore, disposti negli ultimi anni dai ministeri dell’Università e della Ricerca, dello Sviluppo Economico, della Salute, nonché dal CIPE e da singole regioni, per favorire lo svi-luppo della ricerca. L’esame dei programmi, delle norme e delle iniziative in que-stione mette in luce in generale:

• a livello nazionale, un’altissima dispersione dei finanziamenti, i quali peraltro risultano normalmente caratterizzati da un respiro di breve periodo;

• a livello regionale, un’ampia sovrapposizione delle voci, degli strumenti e so-prattutto delle aree strategiche di intervento; oltre alla condivisione di obiettivi generali comuni, vi è una sostanziale omogeneità delle aree potenziali di in-teresse e di intervento dei piani operativi regionali (POR), che sembra quindi prescindere dalle diverse specificità regionali (che pure sono richiamate nelle introduzioni ai documenti di programmazione).

Riguardo al primo punto, si ritiene che i fondi nazionali a disposizione vadano ac-corpati in modo da renderne meno frammentata la finalizzazione. Inoltre, appare necessaria una politica di lungo respiro che dia certezza sulle linee di indirizzo e sulle risorse che si renderanno disponibili. Al fine di potenziarne l’effetto traino nei confronti degli investimenti privati, i finanziamenti pubblici è bene che vengano programmati con un respiro di lungo periodo e resi noti alle imprese con un con-gruo anticipo.

Riguardo al secondo punto, si auspica il diffondersi di un approccio sistemico e interregionale che miri a cogliere sinergie e a evitare competizioni domestiche irra-gionevoli. Infatti, un coordinamento, almeno a livello interregionale, delle politiche regionali di finanziamento a sostegno della ricerca e dell’innovazione, legate ai territori e ai rispettivi sistemi produttivi (distretti tecnologici), appare decisivo al fine di massimizzarne le ricadute economiche.

Infine, come già detto, per riuscire nel prossimo futuro a cogliere maggiormente le importanti opportunità offerte dai bandi comunitari, tanto i finanziamenti nazionali

56 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 57QUESTIONI APERTE

quanto quelli delle singole regioni è necessario che vengano in massima parte fi-nalizzati a rafforzare le eccellenze e le specializzazioni forti del nostro Paese. Infatti, l’efficacia dei futuri finanziamenti nazionali e regionali dipenderà da quanto questi risulteranno sinergici rispetto a quelli europei: alla strategia “Europa 2020” è quindi bene che il nostro Paese risponda con un’analoga strategia “Italia 2020”, in cui l’in-novazione legata alle tecnologie sanitarie sia uno degli assi portanti.

58 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 59QUESTIONI APERTE

6. STRUMENTI PER FAVORIRE GLI INVESTIMENTI E LA COMPETITIVITÀ DELLE IMPRESE

6.1 MISURE DI NATURA FISCALE A LIVELLO NAZIONALE

Tra le possibili misure di natura fiscale, a disposizione dei legislatori nazionali per fa-vorire gli investimenti delle imprese, il credito di imposta è probabilmente quella più frequentemente adottata e maggiormente apprezzata dalle imprese. Su di essa, quindi, ci si concentra in questo capitolo.

Il credito di imposta è un valido strumento, soprattutto se sganciato dal meccani-smo dell’autorizzazione preventiva e basato invece sull’applicabilità automatica, in quanto va a ridurre il costo del fare ricerca per l’impresa riconoscendole un cre-dito fiscale corrispondente a una parte della relativa spesa da essa sostenuta.

Detto questo, rispetto alla situazione nel nostro Paese, si richiama l’attenzione su due aspetti, entrambi di fondamentale importanza:

• l’esigenza di supportare le imprese che già investono in R&S in Italia;• l’esigenza di attrarre nuovi investimenti in R&S da parte di multinazionali a capi-

tale estero.

Riguardo al primo punto, è sicuramente vero che, per un’impresa, il poter contare su un modesto credito di imposta è comunque meglio di niente. Resta il fatto che un credito di imposta in Italia inferiore che in altri paesi, si traduce in un maggior co-sto per le imprese italiane e in una loro minore competitività rispetto ai concorrenti di quei paesi. Il benchmark internazionale è dunque molto importante.

Riguardo al secondo punto, il benchmark internazionale diventa imprescindibile: per risultare attrattiva l’Italia non può offrire meno degli altri paesi con i quali si tro-va a competere su questo obiettivo. Entro certi limiti, eventuali minori agevolazioni fiscali potrebbero venir compensate da altri fattori premianti che noi fossimo in gra-do di offrire, ma questo a condizione che il gap tra le prime (le agevolazioni fiscali) non risultasse decisivo.

Sulla scia di queste considerazioni, si ritiene che in Italia il meccanismo del credito di imposta possa essere decisamente migliorato, sotto il profilo sia della stabilità che della portata.

In relazione all’aspetto della stabilità, si sottolinea come fino a oggi il credito di im-posta sia stato oggetto di continue ridefinizioni (misure di tipo “stop & go”); infatti, i provvedimenti che nel tempo lo hanno introdotto e regolamentato si sono carat-terizzati per la loro breve durata e ciò li ha resi fatti isolati in balia di una perenne incertezza. Invece, i programmi di investimento delle imprese, e in particolare quelli in R&S, non sono decisi con logiche di breve periodo: il credito di imposta nel no-stro Paese andrebbe dunque reso strutturale, stabilizzato per un periodo di almeno dieci anni. In relazione all’aspetto della portata, è fin troppo facile affermare che occorre destinare al credito di imposta un’adeguata dotazione finanziaria. Il punto è come riuscire a conciliare l’esigenza di offrire agevolazioni sufficientemente attraenti, da

60 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 61QUESTIONI APERTE

un lato, con la limitatezza delle disponibilità finanziarie pubbliche, dall’altro. A que-sto proposito, si ritiene che una possibile soluzione consista nell’adottare un approc-cio doppiamente selettivo, che punti su pochissimi settori, quelli ritenuti realmente strategici, nonché soprattutto sulle imprese realmente innovative. Sul piano pratico, una volta definiti quali siano i settori strategici e fatto salvo l’automatismo iniziale del credito (nessuna valutazione ex-ante sull’impresa interessata), andrebbero in-trodotti meccanismi di valutazione (periodica) ex-post che non fossero meramente fiscali e contabili, ma fossero in grado di cogliere e premiare la produttività degli investimenti effettuati. L’impresa che dimostrasse di sapere bene investire in R&S si vedrebbe riconoscere lo status di “impresa innovativa”, in base al quale, il credito di imposta da essa inizialmente goduto potrebbe essere aumentato per gli anni a venire. Si consideri che lo status di “impresa innovativa” potrebbe essere presente in Francia, Belgio e probabilmente verrà presto introdotto in Spagna e Gran Breta-gna; in Francia, in particolare, questo meccanismo esiste dal 2004 e sembra aver funzionato bene.

A completare il quadro, la rosa delle attività e dei costi ammissibili dovrebbe essere definita in modo stringente (così da essere certi di incentivare investimenti in R&S13), la rendicontazione dovrebbe essere il più possibile semplificata e il credito dovreb-be riguardare l’intera spesa sostenuta, e non unicamente il suo relativo eventuale incremento rispetto all’anno precedente (come invece è previsto che sia attual-mente14), per non penalizzare le imprese che già investono molto, facendo venir loro a mancare il sostegno offerto alle altre.

Tutti questi interventi, insieme, garantirebbero che gli incentivi alla R&S andassero effettivamente non solo a investimenti di questo tipo, ma altresì alle imprese che dimostrassero di saperli fare in modo produttivo.

La convinzione di fondo è che, per riorientare il nostro modello di sviluppo economi-co verso determinati settori ad alta intensità di ricerca e strategici per il Paese, qua-le ad esempio il settore dei dispositivi medici, servano segnali forti e stabili perché segnali deboli e intermittenti hanno già dimostrato di non essere efficaci.

6.2 POLITICHE A LIVELLO REGIONALE

In allegato 4 è riportato il quadro complessivo delle principali norme regionali in materia di R&S, trasferimento tecnologico e competitività delle imprese. Dall’analisi della normativa in questione, analogamente a quanto già detto per le politiche di finanziamento, emerge un insieme di obiettivi e di iniziative molto simili anche in aree del Paese decisamente diverse tra loro e portati avanti in modo assolutamen-te scollegato da Regione a Regione.

Premesso questo, possiamo distinguere tra: 1) misure tese a incidere sulle attività di R&S e di trasferimento tecnologico; 2) iniziative volte a supportare lo sviluppo del tessuto industriale.

Per quanto riguarda le prime (in tema di R&S e trasferimento tecnologico), il minimo

comune denominatore degli interventi disposti dai legislatori regionali è rappresen-tato dalla spinta a un maggiore dialogo e collaborazione tra università e imprese, allo scopo di valorizzare i risultati della ricerca delle prime sui mercati in cui operano le seconde. Questo avviene attraverso finanziamenti a bando e strumenti di natura fiscale (sgravi).

La valutazione dei progetti presentati in funzione di determinati finanziamenti a bando è affidata ad appositi comitati, piuttosto che a organismi tecnici regionali; questi solitamente mostrano di concentrarsi sui contenuti del progetto, senza pre-stare sufficiente attenzione né al “respiro ideale” dello stesso rispetto al perimetro in cui lo si vorrebbe circoscrivere, né all’eventualità che altre regioni stiano inve-stendo in progetti analoghi. Sarebbe opportuna una maggiore collaborazione tra regioni che spingesse alla convergenza dei rispettivi programmi di investimento, quando finalizzata a cogliere determinate sinergie (regioni diverse investono insie-me in modo da avere maggiore massa critica).

Inoltre, il fatto che i regolamenti dei bandi regionali (ma lo stesso dicasi per quel-li nazionali) siano solitamente complicati e sempre presentati solo in italiano non agevola l’attrazione di investimenti delle imprese estere. Gli strumenti di natura fiscale (sgravi) prevalgono su quelli puramente finanziari (come ad esempio i fondi per il finanziamento agevolato15), il che risulta coerente con le caratteristiche dell’investimento in R&S, che risulta più efficacemente incen-tivato da contributi a fondo perduto.

Infine, va detto che la frammentazione degli interventi disposti all’interno di una stessa Regione è spesso talmente alta che, per un’impresa, risulta difficile orientarsi, anche perché non tutte le misure inizialmente disposte vengono poi effettivamente finanziate. Tenuto conto delle limitate disponibilità finanziarie pubbliche, un aspetto critico, in cui ci si imbatte tanto a livello regionale quanto a livello nazionale, è rap-presentato dal voler sostenere l’innovazione rivolgendosi in modo generico al mon-do delle imprese e delle PMI. Come detto, al fine di risultare più efficaci nell’incen-tivare l’innovazione e nel creare valore aggiunto e ricchezza, si ritiene opportuno mirare selettivamente a quelle imprese che dimostrano di sapere investire meglio le risorse di cui dispongono e che operano nei settori strategici.

Ciò ci riporta all’opportunità di introdurre anche in Italia lo status di “impresa inno-vativa” e di puntare a livello regionale su bandi settoriali e tematici.

Per quanto riguarda le iniziative volte a supportare lo sviluppo del tessuto industria-le, queste tipicamente mirano a supportare due processi che sono evidentemente legati tra loro: 1) l’internazionalizzazione delle imprese; 2) il superamento dei limiti legati alle piccole dimensioni aziendali.

Sul primo punto, si osserva che quella delle imprese italiane del settore dei dispositivi medici, fatte salve le consuete eccezioni, appare essere in generale un’internazio-nalizzazione “povera” in diversi sensi, sebbene sia in crescita e non priva di buone prospettive. In particolare, l’internazionalizzazione delle imprese di questo settore finora è apparsa:

D.L. n.70/2011 convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011 n.106.

In questo senso appare giusto agevolare maggiormente la spesa per R&S fatta in collaborazione con uni-versità ed enti di ricerca accreditati, rispetto a quella cosiddetta “intra muros”, ovvero fatta in proprio dalle imprese, anche in collaborazione tra di esse.

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13

La messa in campo di strumenti per agevolare l’accesso al credito è altresì opportuna, anche a prescindere dal tema degli investimenti, in quei settori, come appunto quello sanitario, dove il problema dei ritardati pa-gamenti della P.A. è più sentito.

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62 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 63QUESTIONI APERTE

• povera di sostegno pubblico, dal semplice supporto nel reperimento di dati e informazioni sui vari paesi, fino ad arrivare al possibile coinvolgimento in pro-grammi e iniziative di cooperazione internazionale;

• povera di mezzi da parte delle imprese, le quali appaiono essere attente a co-gliere possibili opportunità estemporanee, ma generalmente poco attrezzate per crearsene e svilupparne di importanti e durature;

• e di conseguenza, povera in quanto finora dimostratasi meno efficace nei mer-cati più ricchi e più promettenti (che sono altresì i più difficili, costosi, rischiosi).

A questo riguardo, il pensiero corre al caso della Germania: infatti, non può sfug-gire il fatto che la capacità competitiva dell’industria tedesca è sostenuta da una “macchina” pubblica estremamente efficace nel fornire alle imprese servizi rea-li per l’innovazione, l’internazionalizzazione ecc.. Da quando le singole regioni, in base ai loro poteri costituzionali, sono divenute protagoniste insieme allo Stato di relazioni internazionali che possono portare alla stipula di accordi con Stati sovrani (per scambi economici, cooperazioni ecc.), il numero degli enti pubblici sub-nazio-nali attivi sul fronte dell’internazionalizzazione delle imprese è andato aumentando. La Regione Lombardia, ad esempio, ha creato i cosiddetti “Lombardia Points” in numerosi paesi nel mondo, proprio con la funzione di fornire alle imprese lombar-de servizi per ricerche di mercato, di operatori e partner. Se da un lato è evidente che si tratta di iniziative positive, dall’altro è altrettanto vero che esse potrebbero risultare decisamente più efficienti ed efficaci se realizzate a un livello almeno inter-regionale.

Sul secondo punto (il superamento dei limiti derivanti da piccole dimensioni azien-dali) – a cui, lo sottolineiamo nuovamente, il tema dell’internazionalizzazione è strettamente legato – si osserva come, dopo che nel 2009 è stato introdotto giu-ridicamente il Contratto di Rete16, diverse regioni abbiano offerto agevolazioni e incentivi (ad esempio, la Regione Lombardia nel luglio 2011 ha emanato un bando finanziato con 2 milioni di euro) proprio al fine di promuovere aggregazioni stabili tra imprese (non concorrenti) del proprio territorio, intravedendo in questa formula un fattore di competitività in grado di rafforzare il tessuto produttivo e l’economia. Si ritiene che questa sia effettivamente una strada da seguire.

Le reti di imprese possono assumere numerose forme (AIP, 2011) ed essere finalizza-te ad attività e scopi differenti, quali ad esempio:

• l’acquisto su larga scala di una materia prima o un servizio su cui non si gioca la differenziazione dei rispettivi prodotti;

• il rafforzamento della rispettiva capacità produttiva, attraverso la condivisione della proprietà di un impianto;

• il co-finanziamento di un programma di ricerca dal quale ciascuna impresa può pensare di trarre una propria utilità nel medio periodo;

• la penetrazione di un determinato mercato estero di comune interesse.

A dicembre 2011, risultavano costituite 214 reti di imprese: 19 le regioni coinvolte (in particolare Toscana, Emilia-Romagna, Lombardia), 86 le province, 1.067 le aziende (68% rappresentato da società di capitali, 14% da società di persone, 13% da im-prese individuali, 3% da società cooperative e il restante 2% da altre forme societa-rie e fondazioni, secondo i dati RetImpresa). Di queste reti, 9 coinvolgono imprese

del settore dei dispositivi medici: in un caso l’obiettivo dichiarato è la penetrazione di mercati extra-europei (3 sono le imprese che la compongono); in altri due casi, invece, si tratta di reti mirate al rafforzamento della capacità produttiva (ciascuna di queste reti è composta da 2-3 imprese); nei restanti sei casi l’obiettivo principale dichiarato è accrescere la capacità innovativa, attraverso collaborazioni e co-muni investimenti in ricerca (tre di queste reti sono composte da 4-5 imprese cia-scuna, le restanti tre mediamente da 10 imprese ciascuna). Pur trattandosi di una rosa estremamente circoscritta di casi, il fatto che le reti finalizzate all’innovazione siano quelle composte mediamente dal numero maggiore di imprese, oltre a es-sere un segnale decisamente positivo per il settore, può rappresentare un modello per questo tipo di reti – che, in altre parole, sembrano aver trovato nell’ampiezza dell’aggregazione un possibile fattore di successo – anche in considerazione del fatto che i produttori di dispositivi medici (e i loro contoterzisti) sono concentrati in numero ridotto di province17. FIGURA 3. SCHEMA CONCETTUALE DELLE RETI DI IMPRESE.

Note: * Nella rete di tipo “Orizzontale”, nessuna delle aziende ha un ruolo predominante, il che può rendere

più difficile decidere specie al crescere del numero delle aziende coinvolte. ** Nella cosiddetta “rete di Filiera”,

l’impresa che ha le maggiori dimensioni fa da capofila. *** All’interno della cosiddetta “rete di Metafiliera” coesi-

stono più aziende di grandi dimensioni che tendono a condividere in tutto o in parte la medesima filiera

Si tratta di un modello economico-industriale innovativo e quasi obbligato per lo sviluppo di molte imprese del settore, che hanno il know-how per produrre innova-zione, da un lato, ma dimensioni spesso troppo piccole, dall’altro, il che si traduce

Legge 9 aprile 2009 n.33, art.3, comma 4-ter (poi modificato dalla legge 23 luglio 2010 n.99 e infine dalla legge 30 luglio 2010 n.122).

Considerazioni analoghe valgono per le reti di imprese create per formare un gruppo di acquisto di beni e servizi, in quanto anch’esse presuppongono una larga adesione di imprese e possono trovare nella vicinanza delle stesse un fattore di facilitazione.

1617

64 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 65QUESTIONI APERTE

in limiti oggettivi nell’investire, nel brevettare, nel finanziare studi multicentrici, nel riuscire a esportare.

Una volta creato lo strumento, e introdotti gli appositi incentivi, resta però da scio-gliere un nodo che è in massima parte culturale. Uno studio del 2005 (Bianchi et al., 2005) su dati della Banca d’Italia evidenzia, infatti, il nesso che, in generale, esiste tra la scarsa competitività delle imprese italiane di piccole dimensioni e la loro strut-tura di governance, concludendo che proprio questa non favorirebbe un’ade-guata crescita dimensionale.

Il punto è noto: le imprese di piccole dimensioni risultano meno aperte alle oppor-tunità offerte dal mercato dei capitali, meno propense alle collaborazioni esterne (con università e con altre imprese non loro concorrenti), carenti nel dotarsi di una strategia di internazionalizzazione (risultando confinate in una logica “mordi e fug-gi” sui mercati esteri).

Il settore dei dispositivi medici non sembra poter fare eccezione e su questi aspetti critici, dunque, c’è da lavorare.

66 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 67QUESTIONI APERTE

7. IL RUOLO DELLA DOMANDA PUBBLICA NEL MERCATO DOMESTICO DEI DISPOSITIVI MEDICI

Quest’ultimo capitolo è dedicato al ruolo della domanda pubblica nello stimolare e indirizzare gli investimenti in R&S da parte delle imprese, promuovendo la diffusio-ne delle tecnologie innovative quando queste arrivano sul mercato. Si tratta di un tema di fondamentale importanza. Infatti, così com’è dimostrato che le scelte fat-te quotidianamente dalle persone impattano sul genoma umano e dunque sulle generazioni future (Laland K.N. et al., 2010), anche nei mercati la domanda incide profondamente sulle politiche di investimento delle imprese. Peraltro, la capacità di produrre e diffondere l’innovazione tecnologica è senza dubbio uno dei principali fattori di competitività, su cui bisogna puntare per raggiungere l’obiettivo di costru-ire un’economia dinamica basata sulla conoscenza. Un sistema sanitario capace di recepire l’innovazione tecnologica, velocizzandone la diffusione sul mercato, e di valorizzarla sotto tutti gli aspetti (al servizio della salute ovviamente, ma anche dello sviluppo economico) è una componente essenziale di suddetta economia. Questo, ad esempio, è il compito del NHS Technology Adoption Centre in Gran Bretagna e del Canadian Innovation Commercialization Program in Canada.

Come illustrato in precedenza, alla cosiddetta “industria o filiera italiana della salu-te” va attribuita una quota importante del PIL italiano, e in tale ambito la domanda pubblica ha un ruolo predominante. Per i dispositivi medici, in particolare, la Sanità è l’unico mercato di sbocco. Quello italiano è uno dei più importanti nel mondo – è il 3° mercato europeo, il 6° a livello mondiale (dopo Stati Uniti, Giappone, Cina, Germania, Francia)18 – e la domanda pubblica ne rappresenta direttamente circa il 73% e indirettamente (per il tramite di strutture sanitarie private accreditate) una percentuale ancora più alta. Non a caso, l’innovazione è storicamente entrata e si è diffusa nel nostro sistema sanitario passando prima e soprattutto attraverso le strutture sanitarie pubbliche. Questo, seppure non sia bastato a rendere l’Italia sostanzialmente attrattiva per gli investimenti delle imprese in R&S e produzione, ha però consentito al nostro sistema sanitario di raggiungere le odierne punte di eccellenza.

La domanda pubblica per questo comparto ha dunque una valenza enorme e, se bene esercitata, può risultare determinante nello stimolare e attrarre gli investimenti in R&S. Infatti, il sapere di poter contare su un contesto istituzionale e tecnico favo-revole all’introduzione sul mercato dell’innovazione stimola la propensione dell’in-dustria a investire, sin dalle fasi più precoci, in prodotti innovativi.

Ovviamente è vero anche l’inverso: un Paese che facesse suo un atteggiamento anche solo di timidezza nei confronti dell’innovazione tecnologica finirebbe per allontanare gli investimenti delle imprese.

La stima è di Assobiomedica. Data la frammentazione del settore, le fonti internazionali offrono dati eteroge-nei; ad esempio, secondo i dati Eucomed, l’Associazione europea dell’industria biomedicale, il mercato ita-liano è 4° in Europa (scavalcato dal Regno Unito); secondo i dati EDMA, European Diagnostic Manufacturers Association, il mercato italiano della diagnostica in vitro è 3° in Europa (4° è quello spagnolo, e solo 5° quello del Regno Unito che risulta più piccolo della metà del nostro); da tali statistiche restano tuttavia fuori diversi segmenti importanti di cui non esistono stime ufficiali. A livello mondiale, la Cina è un mercato in crescita che per alcuni segmenti ha già superato il Giappone; anche in questo caso, però, non esistono stime solide di questo mercato nel suo complesso.

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68 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 69QUESTIONI APERTE

Sulla base di queste considerazioni, si ritiene fondamentale che le innovazioni pro-venienti dal settore dei dispositivi medici possano trovare nel mercato italiano logi-che premianti in termini di: 1) politiche di acquisto e criteri di aggiudicazione delle forniture; 2) meccanismi di finanziamento e di rimborso delle prestazioni sanitarie.

Riguardo al primo punto, da diversi anni, in Italia la politica pubblica di acquisto dei dispositivi medici sembra, invece, non preoccuparsi del suo possibile impatto a medio-lungo termine sul “genoma” dell’offerta. Questo almeno traspare dalle sempre più numerose gare caratterizzate da punteggi prezzo-qualità sbilanciati sul prezzo e dalle gare centralizzate. Queste ultime, in particolare, nella misura in cui tentano di imporre la logica del “one device for all” appaiono in totale controten-denza rispetto agli indirizzi della ricerca nel campo delle tecnologie sanitarie, che invece va verso una crescente personalizzazione dei dispositivi medici.

Riguardo al secondo punto, spetta alle regioni introdurre meccanismi che assicu-rino il rapido adeguamento dei sistemi di finanziamento e dei livelli tariffari (DRG, specialistica ambulatoriale e di laboratorio, assistenza integrativa, farmaceutica), così da tener conto delle innovazioni che via via si affaccino al mercato e da evi-tare il rischio di penalizzare o discriminare i pazienti nell’accesso alle cure. Anche sotto questo profilo, tuttavia, la pervasività delle tecnologie oggi sembra spaventa-re chi governa sul piano amministrativo il sistema.

Viene naturale pensare al concetto di health technology assessment (HTA), quale utile strumento di governo dell’innovazione. Un recente studio (Curto et al., 2012) mostra come l’implementazione di questa funzione in Italia, nonostante fosse stata considerata una priorità sia nel Piano sanitario nazionale (PSN) 2006-2008 che nella quasi totalità dei piani sanitari regionali, sia finora avvenuta più sul piano mediatico che sostanziale. Al riguardo, peraltro, valgono molte delle argomentazioni fatte in precedenza in merito agli svantaggi della frammentazione negli investimenti e nel-le iniziative a sostegno dell’innovazione. L’opportunità di fare sistema, infatti, anche in questo caso è di tutta evidenza: rispetto al National Institute for Clinical Excellen-ce (NICE) inglese che può contare su un budget annuo di oltre 70 milioni di sterline, oggi in Italia sommando tutti i budget regionali dedicati all’HTA non ci si avvicina neppure a un decimo di tale importo. In questa situazione, i due network nazionali attualmente esistenti (RIHTA19 e COTE20) andrebbero quindi il più possibile rafforzati.

L’HTA è certamente uno strumento importante che può essere di grande utilità nell’orientare al meglio le decisioni sulle politiche sanitarie e per assicurare un servi-zio di sempre maggiore equità ed efficienza. Questo a condizione che resti anco-rato a una visione e a un approccio prettamente clinici e non amministrativi. Non si deve commettere l’errore di appiattire la valutazione dell’impatto di tecnologie sanitarie innovative a un mero esercizio per il controllo della spesa.

Occorre, invece, approfondirne gli effetti sui percorsi diagnostici e terapeutici, non-ché accompagnare la diffusione delle tecnologie con una comprensione e condi-visione sia delle implicazioni che delle potenzialità delle stesse, tra cittadini, decisori politici e amministratori. I database (nazionali e regionali) che non contengano informazioni coperte dalle norme sulla privacy dovrebbero essere resi pubblici, o eventualmente accessibili a pagamento da parte di soggetti privati (ricercatori,

imprese ecc.). In sintesi, è essenziale che quanto sviluppato su questo tema sia frut-to di una visione strategica, caratterizzata dalla convergenza tra obiettivi di politica sanitaria e obiettivi di sviluppo del settore e non, al contrario, frutto della volontà di rallentare i processi innovativi in Sanità sotto la pressione dei pur imprescindibili vincoli di bilancio.

In chiusura del ragionamento sul mercato e sul ruolo della domanda pubblica, non è possibile non citare un ulteriore aspetto che, seppure su un piano differente rispet-to ai temi toccati precedentemente, è comunque caratterizzante un mercato: i tempi medi di pagamento. In Italia i tempi medi di pagamento che caratterizzano il mercato dei dispositivi medici sono da sempre lunghissimi e nel corso del 2011 sono altresì peggiorati rispetto all’anno prima21. Si tratta di un problema noto, e uno dei motivi per cui in Italia le norme contro i ritardati pagamenti, che pure esistono, non risultano incisive è riconducibile ai tempi della giustizia civile che nel nostro Paese sono altrettanto lunghi. I risultati di tutto questo sono che oggi quasi un’impresa su due risulta avere problemi di liquidità e che a tutte vengono a mancare importanti risorse che esse potrebbero investire in R&S.

TABELLA 7. IMPRESE DEL COMPARTO – DISTRIBUZIONE PER REGIONE E CLASSI DI LIQUIDITÀ AZIENDALE.

Fonte: elaborazioni Centro Studi Assobiomedica su dati OrbisTM 2009 (2011)

Rete Italiana HTA. Per un approfondimento si rimanda ai dati e ai documenti sul tema consultabili online all’indirizzo webhttp://www.assobiomedica.it/it/analisi-documenti/ecm/index.html.

19 21Centro di Osservazione delle Tecnologie sanitarie Emergenti.20

70 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 71QUESTIONI APERTE

A questo riguardo, dunque, occorre con urgenza:

• ritirare la norma che stabilisce il blocco dei pignoramenti da intraprendere o da proseguire nei confronti delle aziende sanitarie delle regioni che hanno sot-toscritto “Piani di rientro dai disavanzi sanitari” (introdotto dall’art.1, comma 51 della L. 220/10 e successivamente prorogato sino a dicembre 2012 dal DL 78/11);

• definire un puntuale programma di ripiano del debito accumulato, che si basi sull’intera gamma dei possibili interventi e strumenti;

• adottare tutti i necessari correttivi delle attuali procedure per ottenere un decre-to ingiuntivo così da ridurre significativamente la tempistica di tali procedure;

• garantire alle imprese una regolare certificazione dei propri crediti; questo fa-vorirebbe il fatto che un terzo (ad esempio una società di factoring), dotato di un’autonoma credibilità economica, si assumesse l’impegno del pagamento al fornitore a data certa e pattuisse un accordo con l’ente pubblico in termini compatibili con il suo ciclo finanziario; consentire alle imprese la possibilità di compensare i propri crediti certificati con debiti erariali iscritti a ruolo.

72 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 73QUESTIONI APERTE

CONSIDERAZIONI FINALI

La convinzione che sta alla base del presente lavoro è che l’Italia abbia oggi grandi difficoltà, ma altresì grandi potenzialità. Da quanto esposto nei precedenti capitoli, tale convinzione esce certamente rafforzata. Inoltre, si possono trarre le seguenti tre considerazioni.

1. Occorre puntare, dando segnali forti e stabili in tal senso, su alcuni settori ad alta tecnologia e intensità di ricerca. Tra i settori di questo tipo, quello dei dispositivi medici è probabilmente uno dei più adatti all’Italia e, al tempo stesso, uno di quelli con le prospettive di sviluppo a livello mondiale più interessanti.

2. Una grande parte degli interventi oggi necessari al fine di valorizzare le poten-zialità del nostro Paese in questo settore (sintetizzati a pag.20) è di natura strut-turale, a costo netto pari a zero e si basa su una maggiore collaborazione tra i soggetti interessati. Essenziale è innanzitutto non disperdere le risorse a disposi-zione, fare massa critica e rafforzare le specializzazioni.

3. Occorre semplificare e riorganizzare gli strumenti a supporto dell’innovazione e dell’internazionalizzazione delle imprese di questo settore, a cominciare da quelli più semplici che pure sono oggi deficitari.

74 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 75QUESTIONI APERTE

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76 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 77QUESTIONI APERTE

ALLEGATI

78 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 79QUESTIONI APERTE

ALLEGATO 1

PARAMETRI PRESI IN CONSIDERAZIONE AI FINI DEL COSIDDETTO “INNOVATION INDEX” ASSEGNATO DALL’UNIONE EUROPEA A CIASCUN PAESE

1. ENABLERS

1.1 Human resources

1.1.1 New doctorate graduates (ISCED 6) per 1000 population aged 25-34

1.1.2 Percentage population aged 30-34 having completed tertiary education

1.1.3 Percentage youth aged 20-24 having attained at least upper secondary level education

1.2 Open, excellent and attractive research systems

1.2.1 International scientific co-publications per million population

1.2.2 Scientific publications among the top 10% most cited publications worldwide as % of total scientific publications of the country

1.2.3 Non-EU doctorate students as a % of all doctorate students

1.3 Finance and support

1.3.1 Public R&D expenditures as % of GDP

1.3.2 Venture capital (early stage, expan-sion and replacement) as % of GDP

2. FIRM ACTIVITIES

2.1 Firm investments

2.1.1 Business R&D expenditures as % of GDP

2.1.2 Non-R&D innovation expenditures as % of turnover

2.2 Linkages & entrepreneurship

2.2.1 SMEs innovating in-house as % of SMEs

2.2.2 Innovative SMEs collaborating with others as % of SMEs

1. FORZE TRAINANTI L’INNOVAZIONE ESTERNE ALL’IMPRESA

1.1 Risorse umane

1.1.1 Numero di PhD (Dottori di Ricerca/per-sone che hanno conseguito un titolo post-laurea) ogni 1000 tra i 25 e i 34anni

1.1.2 % della popolazione (30-34anni) che ha conseguito una laurea

1.1.3 % della popolazione (20-24 anni) che ha completato l’istruzione secondaria supe-riore

1.2 Competitività del sistema di ricerca

1.2.1 Numero di pubblicazioni scientifiche in-ternazionali (al limite come co-autore)

1.2.2 Numero di pubblicazioni scientifiche tra le più citate (top 10) a livello internazio-nale

1.2.3 Numero di dottorandi/ti non europei (/non nazionali) rispetto al totale

1.3 Disponibilità dei finanziamenti

1.3.1 % PIL investita in R&S

1.3.2 Venture capital (capitale privato inve-stito)

2. ATTIVITA’ AZIENDALI VOLTE ALL’INNOVA-ZIONE

2.1 Investimenti aziendali

2.1.1 Spese in R&S nel settore di business

2.1.2 Totale delle spese totali investite esclu-se quelle relative a R&S (intra ed extra mu-ros)

2.2 Imprenditoria

2.2.1 Totale delle PMI che mostrano attività innovative al loro interno

2.2.2 PMI che collaborano con altre imprese per attività in qualche modo innovatrici

80 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 81QUESTIONI APERTE

ALLEGATO 1

2.2.3 Public-private co-publications per mil-lion population

2.3 Intellectual assets

2.3.1 PCT patents applications per billion GDP (in PPS€)

2.3.2 PCT patent applications in societal challenges per billion GDP (in PPS€) (climate change mitigation; health)

2.3.3 Community trademarks per billion GDP (in PPS€)

2.3.4 Community designs per billion GDP (in PPS€)

3. OUTPUTS

3.1 Innovators

3.1.1 SMEs introducing product or process innovations as % of SMEs

3.1.2 SMEs introducing marketing or organi-zational innovations as % of SMEs

3.1.3 High-growth innovative firms

3.2 Economic effects

3.2.1 Employment in knowledge-intensive activities (manufacturing and services) as % of total employment

3.2.2 Medium and high-tech product ex-ports as % total product exports

3.2.3 Knowledge-intensive services exports as % total service exports

3.2.4 Sales of new to market and new to firm innovations as % of turnover

3.2.5 License and patent revenues from abroad as % of GDP

2.2.3 Numero di pubblicazioni scientifiche derivanti dalla ricerca privata (o dalla ricer-ca in collaborazione pubblico-privato)

2.3 Assets intellettuali

2.3.1 Numero brevetti depositati a livello Eu-ropeo e internazionale

2.3.2 Numero brevetti depositati nel campo dei Cambiamenti Climatici e della Salute, compresi i farmaci e le tecnologie mediche

2.3.3 Numero di marchi registrati depositati

2.3.4 numero di nuovi designs comunitari

3. OUTPUT

3.1 Innovazioni

3.1.1 Numero di PMI che hanno introdotto nuovi prodotti o processi in uno dei loro mer-cati

3.1.2 Numero di PMI che hanno introdotto innovazioni nel marketing o nell’organizza-zione di uno dei loro mercati

3.1.3 Imprese caratterizzate da elevato tas-so di innovazione

3.2 Effetti economici

3.2.1 Numero di addetti nei settori che ri-chiedono un elevato grado d’istruzione

3.2.2 Export di prodotti ad elevato e medio valore tecnologico

3.2.3 Totale dei servizi forniti in ambiti che ri-chiedono conoscenze di carattere elevato

3.2.4 Totale del turnover determinato dall’in-troduzione di nuovi prodotti

3.2.5 Totale degli introiti legati alla vendita di licenze

82 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 83QUESTIONI APERTE

ALLEGATO 2

ATTI NORMATIVI CHE INTERVENGONO DIRETTAMENTE SUL TEMA DELLE INDAGINI CLI-NICHE CON DISPOSITIVI MEDICI

• D.lgs. n. 46 del 24/2/1997 di recepimento della Direttiva 93/42/CE.

• D.lgs. n.37 del 25/01/2010 di recepimento della Direttiva 2007/47/CE.

• D.lgs. n. 507 del 14/12/1992 di recepimento della Direttiva 90/385/CE.

• D.M. 2/8/2005 sulle modalità di presentazione della notifica di indagine clinica.

• Circolare Min. del 26/2/2007 sulle procedure amministrative correlate alla notifica.

• Circolare Min. del 5/12/2007 di ulteriori chiarimenti al riguardo.

• Circolare Min. del 2/08/2011 per esemplificazioni del processo ministeriale.

• MEDDEV 2.7.1: Clinical Evaluation. A guide for manufacturers and notified bodies, Dec 2009.

• MEDDEV 2.12-2: Guidelines on post-market clinical follow-up, May 2004.

• UNI EN ISO 14155-1: Indagine clinica dei dispositivi medici per soggetti umani. Parte 1 – Requisiti generali, Nov. 2005.

• UNI EN ISO 14155-2: Valutazione clinica dei dispositivi medici per soggetti umani. Parte 2 – Piani di valutazione clinica, Dic. 2004.

84 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 85QUESTIONI APERTE

ALLEGATO 3

PRINCIPALI FINANZIAMENTI PUBBLICI DISPOSTI NEGLI ULTIMI ANNI A LIVELLONAZIONALE

FINANZIAMENTI DEL MIUR

Partendo dal 2004, nei tre anni successivi i principali finanziamenti attraverso il tra-sferimento di risorse a fondi specifici e o bandi sono stati i seguenti.

FIRB (FONDO PER GLI INVESTIMENTI DELLA RICERCA DI BASE)

I finanziamenti sono divisi dal Ministero in più linee di intervento. Sono previste linee di intervento separate per progetti promossi da dottori di ricerca italiani o comuni-tari che non siano ancora strutturati negli atenei ed enti pubblici o privati di ricerca con età non superiore a un valore che viene via via modificato negli anni. La se-conda linea riguarda progetti presentati da giovani professori o ricercatori di età non superiore a limiti anche questi aggiornati negli anni, già strutturati.

Nel 2004 per la ricerca di base (FIRB) 9,735 milioni di euro per lo sviluppo di tecnolo-gie innovative di mapping genetico per le cardiopatie, attraverso un co-finanzia-mento pari al 70% dei costi ammissibili.

Nel 2005 sono stati stanziati 18 milioni di euro per progetti riguardanti le nano-bio-tecnologie per dispositivi applicabili alla genomica e alla post-genomica; 16 milioni per piattaforme di tecnologie per la diagnostica medica avanzata; 25 milioni per sviluppo laboratori del settore biotecnologico.

Più di recente i finanziamenti in ambito FIRB al settore Life Sciences (LS) si sono man-tenuti a un livello di 16 milioni di euro.

Nel 2010 ha ammesso al co-finanziamento 105 progetti per un totale di circa 45 milioni di euro. Di questi, il 37% (€ 16.738.140) riguarda il co-finanziamento di progetti del settore LS.

86 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 87QUESTIONI APERTE

ALLEGATO 3 ALLEGATO 3

TABELLA 8. PROGETTI CO-FINANZIATI FIRB 2008 PER ATENEO.

Fonte: elaborazioni Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa su dati MIUR (2012)

TABELLA 9. FINANZIAMENTI FIRB 2010, SETTORE LIFE SCIENCES PER ATENEO.

Fonte: elaborazioni Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa su dati MIUR (2012)

88 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 89QUESTIONI APERTE

ALLEGATO 3 ALLEGATO 3

PRIN (PROGETTI DI RICERCA DI INTERESSE NAZIONALE)

Nel periodo 2001-2008, i cofinanziamenti del MIUR per progetti di rilevanza nazio-nale che riguardano i settori della chimica, fisica, scienze biologiche e mediche sommati insieme, costituiscono, per ogni anno in esame, circa la metà di tutti i co-finanziamenti PRIN concessi (i contributi alle aree indicate pesano sul totale da un minimo del 48,9% nel 2008 ad un massimo del 52% nel 2001). Per quanto riguarda in dettaglio i finanziamenti al settore delle scienze mediche, si è registrato un minimo di quasi 16 milioni di finanziamenti nel 2006 ad un massimo di oltre 27 milioni di euro nel 2003.

TABELLA 10. CO-FINANZIAMENTI MIUR A PROGETTI PRIN PER AREA.

Fonte: elaborazioni Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa su dati MIUR (2012)

FINANZIAMENTI DEL MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO

Nel 2010 il Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) ha messo a disposizione 5 mi-lioni di euro, a valere sul FIT (Fondo per l’Innovazione Tecnologica), per promuove-re progetti transnazionali di innovazione industriale in tutti i campi applicativi delle biotecnologie.

Il bando in questione si rivolge alle piccole e medie imprese e sostiene progetti di ricerca applicata e sviluppo sperimentale realizzati in collaborazione con altre imprese (anche di grandi dimensioni) e organismi di ricerca. Esso, inoltre, nella con-sapevolezza che la competitività delle imprese in questo settore si gioca su scala almeno continentale, nasce dal coordinamento tra diversi paesi europei nell’ambi-to dell’iniziativa EUROTRANS-BIO (ETB) e richiede la collaborazione tra almeno due imprese di nazionalità diversa.

Sebbene non riguardi specificatamente il settore delle tecnologie sanitarie, ci cita altresì il Programma RIDITT: la Rete Italiana per la Diffusione dell’Innovazione e il Trasferimento Tecnologico alle imprese è un’iniziativa del MISE e gestita dall’Istituto per la Promozione Industriale (IPI) finalizzata a stimolare processi di interazione tra operatori pubblici e privati con l’obiettivo di diffondere e trasferire innovazione e creare nuove imprese ad alta tecnologia. Nell’ambito di tale programma, il MISE ha messo a disposizione 12,5 milioni di euro per cofinanziare, fino alla misura mas-sima del 50%, progetti da realizzarsi in determinate aree del territorio nazionale e

in determinati campi tecnologici tra cui: le tecnologie dei materiali, le tecnologie per l’automazione e la sensoristica, le tecnologie elettriche, elettroniche ed elettro-ottiche, le tecnologie per l’informatica.

Infine, per quanto riguarda dati più recenti e programmatici, il Piano per la ricer-ca 2011-2013 prevede uno stanziamento di 8 milioni di euro per il progetto ASTRI – Astrofisica con Specchi a Tecnologia Replicante Italiana (INAF). Nell’ambito del progetto è previsto lo sviluppo di speciali ottiche per tecniche di investigazioni bio-medicale non invasive.

FINANZIAMENTI DEL MINISTERO DELLA SALUTE

Considerando più nel dettaglio i finanziamenti del Ministero della Salute, si nota come quest’ultimo abbia finanziato sia bandi di progetto per “attività di ricerca finalizzata” che bandi per “giovani ricercatori”. Il bando per giovani ricercatori 2008 ha visto finalisti progetti di ricerca per un totale di € 453.951.744,92 di finanziamenti ammissibili per un costo complessivo dei proget-ti di € 678.194.358,54 (67% di copertura). La Tabella 12 mostra i risultati dell’analisi per istituzioni ed enti a cui fanno riferimento i ricercatori il cui progetto è stato valutato positivamente.

TABELLA 11. INIZIATIVE MINISTERO DELLA SALUTE, 2007-2011,PER PROGETTI ATTINENTI AL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI.

Fonte: Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa (2012)

90 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 91QUESTIONI APERTE

ALLEGATO 3 ALLEGATO 3

TABELLA 12. FINANZIAMENTI A GIOVANI RICERCATORI (BANDO 2008), PER ENTE DI APPARTENENZA.

Fonte: Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa (2011)

La Tabella 13 mostra i centri e gli enti coinvolti nei progetti finalisti (% sul totale di finanziamento ammesso non inferiore all’1%, pari a € 4.539.517,45).

TABELLA 13. FINANZIAMENTI GIOVANI RICERCATORI (BANDO 2008), TOP-23 ENTI DI APPARTENENZA.

Fonte: Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa (2011)

Si tratta in molti casi dei principali centri di eccellenza italiani sia da un punto di vista di ricerca che di attività clinico-assistenziale.

Dall’elenco dei progetti finalisti il Ministero ha erogato fondi ai primi 57 per un totale di € 29.519.982 per una copertura del 74,9% delle spese complessive.

92 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 93QUESTIONI APERTE

ALLEGATO 3 ALLEGATO 3

TABELLA 14. FINANZIAMENTI GIOVANI RICERCATORI (BANDO 2008), IMPORTI CONCESSI VS RICHIESTI.

Fonte: Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa (2011)

I principali enti di riferimento dei ricercatori hanno ricevuto un contributo medio pari a € 952.257,48 ma con una altissima dispersione. Rispetto ai finanziamenti com-plessivi la quota media di ciascun ente è stata del 3,2% (0,03 di Dev. St.). In alcuni casi vi è una elevata concentrazione di risorse. Sei istituti riescono a concentrare ol-tre il 48% dei finanziamenti: si tratta della Fondazione del San Raffaele (15,9%), della

Fondazione Santa Lucia (8,8%), dell’Istituto Europeo di Oncologia (7,4%), dell’Istituto Humanitas (5,6%), dell’Emilia-Romagna (5,4%) e del San Raffaele Pisana (5,1%). Dal-la tabella in questione risulta una tendenza dei fondi nazionali a finanziare progetti di ricercatori afferenti a istituti e centri nazionali e/o fondazioni o istituti privati piut-tosto che centri pubblici regionali.

Il bando 2009 per la ricerca finalizzata e per giovani ricercatori ammontava com-plessivamente a € 99.426.471,35. Di questi € 46.485.401,07 hanno finanziato progetti dell’area clinico assistenziale (46,7% sul totale) e € 52.941.070,28 (53,2% del totale) dell’area biomedicale. La Tabella 15 riporta il dettaglio dei finanziamenti per de-stinatario istituzionale (l’istituzione o ente a cui faceva riferimento il ricercatore a capo del progetto). La seconda e la quinta colonna indicano l’ammontare com-plessivo ricevuto da ciascun ente o istituzione di riferimento per la ricerca vincitrice del bando nell’area biomedicale (seconda colonna) e clinico assistenziale (quinta colonna). Le terza e la sesta colonna indicano la percentuale del finanziamento all’ente o istituzione per area, sul totale dei progetti finanziati per ogni area. La quarta e la settima colonna indicano invece la percentuale di finanziamenti per area, sul totale dei finanziamenti ricevuti dall’ente o istituzione di riferimento. Le ul-time colonne indicano il valore complessivo dei finanziamenti senza distinzione tra le due aree.

Per il settore biomedicale, l’ente o istituzione con la più alta percentuale sul totale dei progetti 2008-2009 finanziati nel settore è la Fondazione San Raffaele del Monte Tabor con 15,3% dove la media è dell’1,7%, mentre nel settore clinico assistenziale al primo posto troviamo la Regione Emilia-Romagna con l’8,5% (media 1,7%).

Sul totale dei contributi senza distinzione di area, la Fondazione San Raffaele del Monte Tabor è sempre al primo posto con una percentuale dell’11,6% contro una media dell’1,7%. .

94 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 95QUESTIONI APERTE

ALLEGATO 3 ALLEGATO 3

TABELLA 15. FINANZIAMENTI RICERCA FINALIZZATA E GIOVANI RICERCATORI (BANDO 2009).

Fonte: Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa (2011)

ALTRI FINANZIAMENTI E FONDI NAZIONALI

Oltre al finanziamento di progetti da parte del MIUR occorre ricordare il fondo rota-tivo per gli incentivi alle imprese e gli investimenti in ricerca istituito con la L.311/04

art.1 c.354-361, che nel 2005 ha concesso finanziamenti per 6 miliardi di euro di cui 1,8 dedicati al settore biomedicale, e il CIPE, che nel 2006 ha finanziato il progetto: “Protogenomica e bioimaging molecolare” per 71 milioni per il periodo 2006-2008.

PRINCIPALI FINANZIAMENTI PUBBLICI DISPOSTI NEGLI ULTIMI ANNI A LIVELLO REGIONALE

Per quanto attiene ai bandi regionali per il finanziamento della ricerca di interes-se al presente documento, gli assessorati competenti sono quelli della Sanità e dell’Istruzione.

Il quadro dei finanziamenti regionali alla ricerca qui riportato non è esaustivo, ma si concentra su alcuni esempi.

Molti finanziamenti regionali sono in realtà dei co-finanziamenti vincolati (co-finan-ziamento regionale obbligatorio) ai bandi nazionali per giovani ricercatori e ricerca finalizzata del Ministero della Salute.

TABELLA 16. PRINCIPALI FINANZIAMENTI REGIONALI PER RICERCA E INNOVAZIONE IN AMBITO BIOMEDICALE,

TOP-6 REGIONI.

Fonte: Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa (2011)

I fondi appena citati, insieme a quelli predisposti dai piani operativi regionali (POR) e a quelli di competenza di assessorati quali Industria e Artigianato, Attività Produt-tive (e le diverse variazioni sul tema delle regioni) sono impiegati per la valorizzazio-ne del tessuto imprenditoriale, della tecnologia e della ricerca e fanno riferimento a specifiche leggi regionali.

96 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 97QUESTIONI APERTE

ALLEGATO 4

PRINCIPALI NORME E DOCUMENTI REGIONALI IN MATERIA DI RICERCA, INNOVAZIONE, TRASFERIMENTO TECNOLOGICO E COMPETITIVITÀ DELLE IMPRESE

98 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 99QUESTIONI APERTE

ALLEGATO 4 ALLEGATO 4

PIANI OPERATIVI REGIONALI

Per quanto riguarda i finanziamenti “propri”, le regioni attivano bandi e agevolazio-ni attingendo alle proprie risorse interne.

Per quanto riguarda i fondi europei, essi sono il FSE (Fondo sociale europeo) e il FESR (Fondo Europeo di Sviluppo Regionale).

Le regioni, per la gestione delle risorse e dunque anche dei fondi ottenuti, predi-spongono un POR22 e ripartiscono le risorse in diverse attività. I POR si articolano in assi.

Ogni asse è composto da diverse azioni. Le azioni qui di interesse nel presente do-cumento possono riguardare:

• finanziamenti diretti a particolari settori produttivi industriali;• finanza agevolata, o risorse a fondo perduto per le spese di ristrutturazione, in-

novazione di prodotto e processo, adeguamento dei servizi informatici e tec-nologici di determinate categorie di imprese23;

Attualmente il periodo di riferimento dei POR è 2007-2013. 22

Per quanto riguarda la gestione regionale di questi fondi di provenienza europea esiste un tetto massimo di finanziamento: ogni singola impresa non può ricevere in un periodo di tre anni contributi e finanziamenti su-periori a €200.000.

23

100 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 101QUESTIONI APERTE

ALLEGATO 4

• finanziamenti per la costituzione di poli scientifici e/o incubatori e/o poli e parchi scientifici tecnologici e finanziamento di imprese appartenenti a parchi scienti-fici o incubatori;

• finanziamenti per l’avviamento di nuove imprese innovative anche spin-off del-la ricerca pubblica.

In base a queste linee di intervento i finanziamenti regionali al settore biomedicale si articolano in:

• finanziamenti ai parchi scientifici-tecnologici (PST) del settore; • finanziamenti ai poli di innovazione e loro gestori (non necessariamente i PST); • finanziamento a progetti di ricerca del settore biomedicale a università, centri

di ricerca ecc.;• finanziamenti per lo sviluppo di nuove imprese derivate da trasferimento tecno-

logico e/o incubate nel settore biomedicale;• finanziamenti (a fondo perduto, o agevolati) ad imprese del settore biomedi-

cale non propriamente rivolti a specifici progetti di ricerca o di sviluppo di pro-dotti ma indirizzati alla ristrutturazione e riqualificazione delle imprese in termini di adeguamento tecnico strumentale.

L’analisi condotta nel presente documento riguarda più espressamente sia il finan-ziamento a cui il settore biomedicale può accedere con riferimento a bandi non ancora scaduti, che il finanziamento a cui ha avuto accesso in virtù di bandi già scaduti.

I finanziamenti POR per gli assi rilevanti ai fini del presente studio ammontano com-plessivamente a circa 8,15 miliardi di euro.

Di questi, circa 3,74 miliardi sono di provenienza comunitaria e i restanti 4,41 miliardi di provenienza nazionale, con un tasso di co-finanziamento totale (fondi comunita-ri sul totale) del 45,9% e medio del 42,4%.

L’analisi dei finanziamenti POR 2007-2013 per gli assi di interesse (innovazione, com-petitività, ricerca e trasferimento tecnologico) può essere condotta Regione per Regione attraverso i seguenti indicatori:

• quota % del finanziamento POR della Regione rappresentata dai finanziamenti europei catturati dalla Regione stessa; questo indicatore dà un quadro dell’au-tonomia finanziaria delle varie regioni ai fini della rispettiva programmazione;

• quota % di finanziamenti europei catturati dalla Regione sul totale di questi fi-nanziamenti catturati dalle regioni italiane; questo indicatore misura la relativa capacità delle singole regioni di attrarre fondi comunitari.

Presi singolarmente i suddetti indicatori possono essere fuorvianti (ad esempio il se-condo criterio non è valido per quelle regioni come la Puglia che ricevono molti finanziamenti europei perché ritenute critiche), ma se vengono analizzati congiun-tamente e con i necessari punti di attenzione danno indicazioni interessanti.

Le regioni più virtuose sono quelle che sanno attrarre più finanziamenti comunitari,

ALLEGATO 4

pur mantenendo una propria autonomia finanziaria. Esse infatti risultano in grado di mantenere nel tempo una programmazione economico-finanziaria adeguata, al riparo sia dal rischio di riduzione dei contributi comunitari (potendo contare su importanti risorse proprie) che da un’eventuale situazione di difficoltà di bilancio interno (potendo contare su una buona capacità di intercettare fondi comunitari).

Le regioni più a rischio, per contro, sono quelle con un alto tasso di co-finanziamen-to e una percentuale relativamente bassa di finanziamenti comunitari sul totale dei finanziamenti comunitari che complessivamente arrivano alle regioni italiane.

Se si confrontano gli scarti percentuali dalla media dei due indicatori (tasso di co-finanziamento, media del 42,4%; percentuale di fondi comunitari percepiti dalla Regione sul totale dei fondi comunitari attribuiti complessivamente alle regioni ita-liane, media del 4,8%) le regioni che presentano valori positivi nel primo indicatore e negativi nel secondo sono Lazio, Toscana, Umbria, Valle d’Aosta e Veneto.

La Regione che sembra essere più virtuosa nell’analisi degli scarti dalla media dei due indicatori (variazione negativa rispetto alla media nel primo indicatore e posi-tiva rispetto alla media nel secondo indicatore) è il Piemonte. Il Piemonte sembra possedere una certa autonomia relativa di spesa per il finanziamento della pro-grammazione e allo stesso tempo risulta efficace nell’intercettare fondi europei a sostegno delle proprie attività.

102 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 103QUESTIONI APERTE

ALLEGATO 4

GRAFICO 4. TASSO DI CO-FINANZIAMENTO EUROPEO POR 2007-2013 E PERCENTUALE FONDI EUROPEI SUL TOTALE

OTTENUTI DALLE REGIONI.

Fonte: elaborazioni Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa su dati POR 2007-2013 (2011)

L’analisi dei programmi di finanziamento regionali all’interno dei POR nelle princi-pali aree di interesse (seconda colonna della Tabella 17) e una più accurata analisi testuale dei documenti di programmazione, mostrano un’ampia sovrapposizione delle voci, degli strumenti e soprattutto delle aree strategiche di intervento, da Re-gione a Regione.

ALLEGATO 4

TABELLA 17. FINANZIAMENTI POR 2007-2013, ATTIVITÀ DEGLI ASSI DI RIFERIMENTO.

100% di finanziamento pubblico in tutti i casi.24

24

Fonte: elaborazione Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa su dati POR 2007-2013 (2011)

104 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 105QUESTIONI APERTE

ALLEGATO 4

Fonte: elaborazione Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa su dati POR 2007-2013 (2011)

106 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 107QUESTIONI APERTE

ALLEGATO 5

GLOSSARIO

DISPOSITIVI MEDICI – Qualsiasi strumento, apparecchio, impianto, sostanza o altro prodotto destinato dal fabbricante a essere impiegato nell’uomo a scopo di dia-gnosi, controllo, prevenzione, terapia o attenuazione di una malattia, di un trauma, di un handicap (Dir. 93/42/CE – D.Lgs. 46/97).

DISPOSITIVI MEDICI IMPIANTABILI ATTIVI – Qualsiasi dispositivo medico attivo (colle-gato quindi ad una fonte di energia) destinato a essere impiantato internamente o parzialmente mediante intervento chirurgico o medico nel corpo umano e desti-nato a restarvi dopo l’intervento (Dir. 90/385/CE – D.Lgs. 507/92).

DISPOSITIVI MEDICO-DIAGNOSTICI IN VITRO – Qualsiasi dispositivo medico compo-sto da un reagente, da un prodotto reattivo, da un calibratore, da un materiale di controllo, da un kit, da uno strumento, da un’apparecchiatura o sistema destinato a essere impiegato in vitro per l’esame di campioni del corpo umano, unicamente o principalmente allo scopo di fornire informazioni su uno stato fisiologico o patolo-gico, o su un’anomalia congenita (Dir. 98/79/CE – D.Lgs. 332/00).

DISTRETTO INDUSTRIALE – Il concetto di distretto industriale (o produttivo) è stato introdotto da Marshall (Marshall, 1890). In Italia è definito dalla legge 317/91 e suc-cessive modifiche. Come i cluster, anche i distretti sono insiemi di imprese insediate in un determinato territorio e appartenenti a uno stesso settore industriale; rispetto ai cluster, però, ai distretti viene solitamente riconosciuta la caratteristica di essere entità più ristrette, per via della maggiore omogeneità produttiva delle imprese che ne fanno parte, e soprattutto della ridotta estensione del territorio interessato per cui sono fondamentali la prossimità fisica delle imprese e il legame con la co-munità locale.

DISTRETTO TECNOLOGICO – Assume la forma di fondazioni o società consortili cre-ate ad hoc per un certo ambito territoriale, specializzati in una determinata area tecnologica e sviluppati con l’obiettivo di favorire la collaborazione tra grandi, me-die e piccole imprese su progetti innovativi, la crescita di aziende eccellenti e lo sviluppo del tessuto produttivo. Le principali differenze rispetto ai distretti industriali sono la presenza e il ruolo di centri di ricerca pubblica nell’ambito del distretto tec-nologico e l’intervento pubblico che tipicamente promuove la nascita e lo svilup-po di questi distretti (Cesaroni and Piccaluga, 2003).

FILIERA PRODUTTIVA – E’ un insieme di imprese legate tra loro da rapporti produttivi, commerciali e tecnologici, che sono finalizzati a una certa produzione. La filiera pertanto può raccogliere imprese attive in settori anche molto distanti tra loro, ma accomunati dal partecipare alla realizzazione del ciclo di lavorazione di un mede-simo prodotto finito. Le imprese della filiera possono essere più o meno vicine fisica-mente, e dunque appartenere allo stesso contesto territoriale come pure a territori lontani tra loro (Morvan, 1985).

HEALTH TECHNOLOGY ASSESSMENT (HTA) – Nel presente documento, in linea con le definizioni più accreditate25, con l’espressione “health technology assessment” si

108 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 109QUESTIONI APERTE

ALLEGATO 5

intende un approccio multidimensionale e multidisciplinare per l’analisi di tutte le possibili implicazioni (medico-cliniche, sociali, organizzative, economiche, etiche ecc.) di una tecnologia. L’obiettivo è quello di valutare gli effetti reali e/o potenziali della tecnologia, sia a priori che durante l’intero ciclo di vita, nonché le conse-guenze che l’introduzione o l’esclusione di un intervento ha per il sistema sanitario, l’economia e la società.

INDAGINE CLINICA – Qualsiasi studio sistematico progettato e pianificato nei sog-getti umani intrapreso per verificare la sicurezza e/o le prestazioni di un dispositivo medico (norma europea UNI EN ISO 14155-1). Nel quadro della regolamentazione europea e nazionale, si distinguono in indagini (o studi) pre-marketing e post-mar-keting.

INDAGINI CLINICHE PRE-MARKETING – Sono studi tesi a dimostrare la sicurezza cli-nica e a confermare le prestazioni di un nuovo prodotto, una nuova terapia, una nuova indicazione. Richiedono l’autorizzazione ministeriale e l’autorizzazione del comitato etico, riguardano dispositivi non marcati CE o prodotti che, pur avendo la marcatura CE, sono oggetto di una sperimentazione al di fuori delle indicazioni d’uso previste dalla loro marcatura già ottenuta.

INDAGINI CLINICHE POST-MARKETING – Riguardano prodotti già in commercio, re-canti marcatura CE, e sono finalizzati alla sorveglianza del mercato. Il loro scopo, infatti, è di seguire i risultati clinici a lungo termine sui pazienti trattati, valutando indi-rettamente anche la performance dei dispositivi utilizzati secondo la normale prati-ca clinica. Si tratta, ad esempio, di studi osservazionali (retrospettivi o prospettici) e di registri epidemiologici. Gli studi osservazionali, in particolare, sono fondamentali al fine di validare nella pratica clinica (nelle normali condizioni d’uso e su grandi numeri di pazienti) i risultati dei grandi trial, per verifiche in tema di appropriatezza e per valutazioni di tipo economico. Per queste indagini, in aggiunta all’autorizza-zione del comitato etico, è sufficiente la notifica al ministero, a meno che si tratti di studi randomizzati per i quali è altresì necessaria l’autorizzazione ministeriale.

METADISTRETTO – Si tratta di aree produttive di eccellenza con forti legami esistenti o potenziali con il mondo della ricerca e della produzione di innovazione, e carat-terizzate dalla collaborazione strategica tra più filiere e distretti anche distanti tra loro (LR n.8, del 4 Aprile 2003, Regione Veneto, 2003; DGR n.6735 del 5 marzo 2008, Regione Lombardia, 2008).

PARCO SCIENTIFICO E TECNOLOGICO (PST) – Nel presente documento, in linea con le definizioni riportate da APSTI (Associazione dei PST italiani)26 e da IASP (Interna-tional Association of Science Parks)27, con l’espressione “parco scientifico e tecno-

Ad esempio quelle consultabili online agli indirizzi web:http://www.salute.gov.it/dispositivi/paginainternasf.jsp?id=1202 (ultimo accesso 13 aprile 2012)e http//:www.nlm.nih.gov/nichsr/hta101/ta101_c1.html (ultimo accesso 13 aprile 2012).

25

Consultabile online all’indirizzo web:http://www.apsti.it/index.php?id=177&L=uwnuqmxg (ultimo accesso 13 aprile 2012).

26

Consultabile online all’indirizzo web:http://www.iasp.ws/publico/index.jsp?enl=2 (ultimo accesso 13 aprile 2012).

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logico” si intende una realtà che comprende imprese impegnate in settori ad alta tecnologia e istituti di ricerca e di università.Il PST funge da snodo tra il mercato e la produzione di conoscenza, in grado di faci-litare, abbreviare e rendere meno costoso il percorso tra bisogni di sostegno all’in-novazione e soluzioni possibili, in funzione di un effettivo incremento del dialogo e una “fertilizzazione incrociata” tra ricerca scientifica e produzione di beni e servizi. All’interno della maggioranza dei PST sono presenti anche servizi e infrastrutture d’incubazione per la nascita e sviluppo di nuove imprese a base innovativa, fun-zionalmente e strutturalmente integrati con il Parco, in cui le idee innovative pro-venienti dall’eccellenza scientifica trovano un habitat naturale per trasformarsi in impresa.Il PST si distingue dal Parco Scientifico per la presenza di imprese che legano opera-tivamente le proprie attività di ricerca, soprattutto applicata e di sviluppo, alle at-tività di produzione e commercializzazione. Le istituzioni accademiche continuano ad essere presenti, con laboratori messi al servizio delle imprese e con dipartimenti di ricerca. All’interno dei laboratori le università effettuano attività di ricerca, sia in proprio sia per conto delle imprese. PIATTAFORMA TECNOLOGICA – Nel presente documento con il termine “piattafor-ma tecnologica” si intende un network di strutture dotate di competenze e mezzi idonei per portare avanti in modo sinergico attività di ricerca in un determinato campo ad alta intensità di tecnologia e che in quanto tali possono offrire tali at-tività sotto forma di servizi per l’innovazione a imprese interessate a quel campo specifico. La puntuale governance del network fa sì che si possa parlare di una piattaforma e non di una semplice rete. Rispetto a questa definizione, le cosiddet-te “Piattaforme Tecnologiche Europee” (PTE), individuate nell’ambito della Com-munity Research and Development Information Service (CORDIS), sono una cosa differente: si tratta di partnership pubblico-private che coinvolgono industrie, istitu-zioni di ricerca, istituzioni finanziarie e autorità di regolamentazione, finalizzate alla produzione di documenti programmatici nei quali vengono proposte alla Com-missione Europea tematiche prioritarie e di interesse strategico, nonché definiti gli obiettivi di ricerca a breve, medio e lungo termine (prossimi 20 anni).

POLO DI SVILUPPO – Il concetto di polo di sviluppo è stato introdotto da Perroux (Perroux, 1960). Si tratta di una forma di aggregazione di imprese che trova origine da un’impresa che grazie alla sua capacità di creare innovazione o semplicemen-te alle sue grandi dimensioni genera effetti di crescita in tutto il territorio circostante, influenzando le scelte di investimento delle altre imprese. L’impresa dominante è pertanto una grande impresa che diventa il motore dello sviluppo locale, perché traina con sé la crescita delle imprese più piccole, le quali si legano ad essa me-diante rapporti di fornitura e mediante la costituzione di un indotto produttivo.

POLO TECNOLOGICO – Nel presente documento con il termine “polo tecnologico” o “tecnopolo” si intende una struttura specializzata, dotata di solide competenze e mezzi per svolgere attività di ricerca industriale e trasferimento tecnologico in un determinato campo e che può appartenere a sua volta a organizzazioni più ampie (rete, piattaforma) per la ricerca e l’innovazione.

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110 PRODUZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE NEL SETTORE DEI DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA 111QUESTIONI APERTE

RETI DI IMPRESE – Sono forme di libera aggregazione tra soggetti privati verso le qua-li si possono indirizzare particolari incentivi, agevolazioni, semplificazioni. Il contratto di rete (art.1 legge 99/09):

(a) è stipulato da due o più imprese per esercitare in comune una o più attività economiche allo scopo di accrescere la reciproca capacità innovativa e la competitività sul mercato;

(b) è redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata e deve essere iscritto nel registro delle imprese, anche per quanto riguarda tutte le sue successive modificazioni;

(c) prevede la costituzione di un fondo patrimoniale comune, disciplinato da-gli articoli 2614 e 2615 del codice civile;

(d) prevede la costituzione di un organo comune per l’esecuzione del pro-gramma di rete, con funzioni di rappresentanza delle imprese contraenti;

(e) assume rilevanza sia sul piano civilistico (in quanto rappresenta un nuovo strumento di aggregazione tra imprese diverso dagli altri esistenti) che sul piano delle strategie aziendali (in quanto rappresenta uno strumento per lo sviluppo della competitività delle imprese omogeneo a livello nazionale);

(f) ha evidenza verso soggetti terzi (ovvero, attualmente, la P.A., il sistema bancario e quello assicurativo.

RICERCA SANITARIA CORRENTE – La ricerca sanitaria corrente è l’attività di ricer-ca scientifica diretta a sviluppare nel tempo le conoscenze fondamentali in settori specifici della biomedicina e della Sanità pubblica. La ricerca è attuata attraverso la programmazione triennale dei progetti istituzionali degli organismi di ricerca na-zionali, soggetti istituzionali pubblici e privati la cui attività di ricerca è stata ricono-sciuta dallo Stato come orientata al perseguimento di fini pubblici (Istituto superiore di Sanità, Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza sul lavoro, Agenzia per i servizi sanitari regionali, Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, Istituti zo-oprofilattici sperimentali). Il D.Lgs. n.288 del 16 ottobre 2003 prevede, per il ricono-scimento scientifico di un ente, il possesso di specifici requisiti economici, strutturali, umani e scientifici (tale possesso deve essere dimostrato per i tre anni precedenti al riconoscimento).

RICERCA SANITARIA FINALIZZATA – Ha lo scopo di attuare gli obiettivi prioritari, in-dividuati dal Piano sanitario nazionale (articoli 12 e 12 bis del D.Lgs. 502/92, come modificato ed integrato dal D.Lgs. 229/99); comprende due tipi di progetti: strate-gici e ordinari.

RICERCA E SVILUPPO (R&S) – In senso ampio è definita come il complesso di lavori creativi intrapresi in modo sistematico sia per accrescere l’insieme delle conoscen-ze sia per utilizzare tali conoscenze per nuove applicazioni (OECD, 2002). Compren-de: la ricerca di base (pre-clinica), ovvero il lavoro sperimentale o teorico intrapre-so per acquisire nuove conoscenze, non finalizzato a una specifica applicazione o

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utilizzazione; la ricerca applicata, ovvero il lavoro originale intrapreso per acquisire conoscenze e finalizzato a una pratica e specifica applicazione o utilizzazione; lo sviluppo sperimentale, ovvero il lavoro sistematico, basato sulle conoscenze esisten-ti, acquisite attraverso la ricerca e l’esperienza pratica, condotto al fine di comple-tare, sviluppare o migliorare materiali, prodotti e processi produttivi, sistemi e servizi.

SPIN-OFF – Nel presente documento con il termine “spin-off” si intende un’impresa nata per iniziativa di un’altra impresa o di un’organizzazione quale, ad esempio, un’università o un ente di ricerca; gli spin-off della ricerca, in particolare, sono nuo-ve imprese operanti in settori high-tech e tese a finalizzare sul piano commerciale una determinata attività di ricerca precedentemente condotta; il termine risale agli anni ’60, quando nacquero i primi spin-off del MIT di Boston e dell’Università di Stanford.

SPIN-OUT – Impresa nata da una pre-esistente divisione o ramo di un’azienda (ti-pico) o di un’organizzazione di varia natura che esce da quest’ultima e diventa autonomo.

START-UP – Impresa innovativa di nuova costituzione.